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So.ve.mec, etichette tra heritage e contemporaneità

Mario Coppola e Antonella Coppola

CEO E MARKETING MANAGER DI SO.VE.MEC. Antonella Coppola è specializza in Marketing e Business internazionale. Dopo aver lavorato come Assistant Brand Manager Marketing in un’azienda di import e posizionamento di prodotti italiani in Cina, nel 2019 torna in Italia e crea l’ufficio Marketing all’interno dell’azienda di famiglia, occupandosi sia di vendite sia promuovendo il profilo aziendale in eventi, fiere e contest.

Mario Coppola si è specializzato in Economia e commercio, lavorando fin da piccolo nell’azienda di famiglia in concomitanza con gli studi. Ha imparato l’arte della stampa acquisendo sempre di più le abilità da stampatore che gli consentiranno di investire sempre di più nelle nuove tecnologie per ampliare la produzione aziendale.

So.ve.mec.

La So.ve.mec. nasce da un’idea di Antonio Coppola a Nola (NA) nel lontano 1984 come azienda per modulistica varia e successivamente si apre anche al settore delle etichette adesive. Negli anni a seguire, grazie all’ingresso in società delle nuove generazioni, si specializza con stampe a caldo, rilievo a secco, serigrafia tattile e oro tridimensionale. Infine, in risposta alle esigenze del settore del beverage, la So.ve.mec. decide di avviare anche un reparto produttivo dedicato al packaging, offrendo ai suoi clienti capsule per bottiglie di vino, olio, liquori etc. PERCORSI DI LABELING

L'identità del brand tra Heritage e contemporaneità

Il mondo del vino, e del beverage in senso più ampio, ha vissuto negli ultimi anni una profonda trasformazione in termini di design e applicazioni di stampa. Il capo del filo sono le esigenze dei consumatori finali che mutano di pari passo all’evoluzione della società. Se prima c’erano molti meno prodotti e molta meno esigenza di battere la concorrenza, oggi il mercato è saturo e i consumatori, avendo un eccesso di scelta del prodotto, sono diventati sempre più esigenti.

Anatomia dell’etichetta contemporanea

Un tempo l’etichetta doveva catturare l’attenzione del cliente coinvolgendo solo l’ambito visivo. Ora, invece, deve emozionare. La percezione sensoriale è ampliata: non basta più solo vederla, ma bisogna toccarla, percepirla, sentirla. Le nuove tecnologie di stampa permettono di raggiungere questo obiettivo, e da stampatori abbiamo visto come la configurazione delle macchine sia cambiata repentinamente. Prima si configuravano le macchine da stampa fino a 7 colori; oggi nascono macchine solamente per il finishing, che sono in grado di nobilitare l’etichetta anziché colorarla utilizzando lamine speciali, embossing , debossing, depastillage o vernici trasparenti a rilievo.

In termini di design, in passato era di tendenza riportare un quadro o una raffigurazione di epoca romana sul fronte dell’etichetta per evidenziare la storicità del prodotto. Oggi i quadri lasciano spazio a fondi di tinte piatte; le gradazioni del retino che creavano sfumature vengono completamente accantonate per far risaltare forme stilizzate e geometriche. L’etichetta moderna è un’etichetta essenziale ma ricca di elementi percettibili attraverso il tatto. La semplicità è la chiave fondamentale per comunicare al consumatore più informazioni in meno tempo possibile. L’evoluzione del design è stata influenzata anche soprattutto dall’esigenza di creare un packaging sempre più sostenibile, visto che il consumatore di oggi è molto più sensibile ai temi che riguardano l’eco-sostenibilità e la salute, quindi parole come bio, doc, docg o igp vengono messe ancora di più in risalto, si prediligono carte meno lavorate e preferibilmente che derivino da materiali riciclati.

BUE APIS

IL POGGIO

La famiglia Fusco, proprietaria della cantina Il poggio, voleva modernizzare la sua etichetta senza cambiare l’impostazione di base, quindi insieme alla graphic designer Annalisa Fusco abbiamo lasciato immutata la grafica, tenendo persino la firma del titolare, tecnica molto usata in passato per trasmettere affidabilità del prodotto. Quello che abbiamo fatto è stato aggiungere un elemento tattile: riprendendo le immagini del mosto in macinazione abbiamo ricreato la stessa texture con la tecnica del rilievo a secco tono su tono sul fondo dell’etichetta, rendendo il design moderno e innovativo. Da classica etichetta da vino è diventata un’etichetta contemporanea senza perdere la storicità che ha sempre trasmesso, in più mostrando anche uno dei processi della vinificazione che avvalora ancora di più il prodotto al suo interno. Un esempio concreto di etichetta modernizzata senza perdere di vista i simboli legati all’identità aziendale è il progetto “bue apis” della cantina del Taburno. Il vino prende il nome di una famosa statua egizia rinvenuta a Benevento ed esposta in città, all’inizio del Viale di San Lorenzo. La vecchia etichetta riportava l’immagine stilizzata della statua usando una lamina dorata e il nome della cantina, un’immagine iconica per chi conoscesse già la storia della statua ma un po’ meno per chi non avesse mai sentito parlare. Nella nuova etichetta, insieme alla graphic designer Annalisa Fusco, abbiamo cercato di rendere la statua in maniera più viva possibile, non più stilizzata ma raffigurata in ogni suo dettaglio, coperta con una vernice a rilievo sabbiata che riprende la sensazione materica della pietra. L’identità del brand esce rafforzata dalla verosimiglianza dettagliata di questo simbolo del beneventano e delle vigne sannite.

Il rebranding: diventare iconici senza perdersi di vista

La storicità del prodotto è sempre stata tra i valori più significativi nel mondo del vino. Se quello del rebranding è un lavoro molto delicato su qualunque prodotto, sulle etichette lo è ancora di più. Il messaggio del brand deve rimanere lo stesso, ma deve essere comunicato in modo differente: modernizzare un’etichetta non significa eliminare l’aspetto storico dell’azienda, ma comunicare la sua storicità in maniera più contemporanea. La prima cosa da fare è individuare i punti riconoscibili e memorabili dell’etichetta, come un font particolare, un colore distintivo del brand, un logo, e lasciarli completamente invariati. È il caso del progetto Bue Apis della Cantina del Taburno, mentre un progetto modernizzato in chiave pop è Terra Viva della cantina Villa Dora, che ha conquistato l’oro al Fedrigoni Top Award nella sezione Label (ne parliamo a pagina 69).

La richiesta arriva dai brand, ma con tante sfumature

Nella nostra esperienza, la richiesta di rinnovamento parte sempre dai clienti e i motivi sono diversi: perché si trovano davanti a un’evoluzione del mercato, per attirare un nuovo pubblico o perché si trovano in un momento di crescita aziendale. L’obiettivo principale che cerchiamo di perseguire insieme ai clienti è quello di diventare iconici: scegliere un elemento identificativo e applicarlo a tutte le linee di prodotti con leggere modifiche, in modo tale da essere sempre riconosciuti e identificati anche nelle nuove linee. Per questo bisogna essere predisposti al “think outside the box”: non immolare modelli di design già visti, ma raccontare la propria senza perdere di vista gli ideali e i valori che contraddistinguono il proprio marchio. Ma molti clienti sono restii a cambiare etichetta, un po’ per la paura di perdere la riconoscibilità acquisita negli anni e un po’ per abitudine; in questi casi l’approccio migliore è rinnovare senza cambiare impostazione ma apportando qualche accorgimento che si gioca tutto in sala stampa. È il caso del progetto Il Poggio della Famiglia Fusco.

HOW IT'S MADE COME CHIEDERE E VALUTARE I COSTI DI STAMPA

Quanto mi costa? Il preventivo è cruciale nell’intero processo produttivo di uno stampato, ora più che mai vista l’incertezza economica. L’analisi dei costi però non dovrebbe essere l’unico elemento di valutazione: ecco qualche consiglio utile su come trasformare questa fase in un momento di studio e progettazione, trovando insieme allo stampatore le soluzioni più adatte e convenienti per il nostro progetto.

di LORENZO CAPITANI

Il momento del preventivo rappresenta una delle fasi cruciali dell’intero processo produttivo di uno stampato. Non dovrebbe limitarsi alla mera raccolta e analisi dei costi e, di conseguenza, alla decisione di assegnare o meno un lavoro a un certo stampatore, ma andrebbe inteso in modo più ampio e costruttivo come un vero e proprio momento di studio e progettazione di quanto vogliamo realizzare. Questo è ancor più vero in un momento di incertezza come quello attuale, in cui le materie prime e i costi industriali salgono in modo incontrollato e imprevedibile e l’attenzione al bilanciamento economico è spesso il primo pensiero. Eppure, proprio perché i costi sono determinanti così come l’esigenza di tenere sotto controllo obiettivi, margini e risultati, si dovrebbe uscire dalla logica miope del cliente/fornitore, cercando di vedere lo stampatore non come mero fornitore di un servizio cui fare un ordine e dare una deadline di consegna, ma piuttosto come un partner per trasformare in realtà le nostre idee creative, trovando insieme le soluzioni più adatte e convenienti.

Avere le idee chiare

Parlando con gli stampatori il panorama dei print buyer spesso appare desolante. Molto spesso ci si limita a mandare un capitolato più o meno ben fatto che descrive quel che si vuole stampare spesso a ridosso della chiusura dei pdf chiedendo tempi spesso appena sostenibili, come se gli stampatori lavorassero a capacità infinita con tutta la carta in casa e noi fossimo gli unici a voler far stampare un lavoro. Altre volte, che di questi tempi è ancora peggio, quando i lavori sono routinari, si cerca di chiudere (dovrei dire imporre) accordi quadro che durino tutto l’anno ma non tengono conto della fluidità dei costi di energia e materie prime. A riprova che si ragiona a compartimenti stagni: il print buyer è soddisfatto con i costi messi al riparo dietro a listini fissi, lo stampatore lavora in perdita costretto a onorare quanto ha firmato. Ma non è solo una questione di costi, quanto di cercare di lavorare bene, nel senso più ampio del termine e da entrambe le parti. Comprare bene non significa solo spuntare il prezzo più basso chiedendo lo sconto sul totale scritto in fondo al preventivo, bensì trovare lo stampatore giusto al momento giusto per il la-

voro che in quel momento si deve far stampare. Considerare lo stampatore semplicemente come il trasformatore di pdf in carta stampata, nei migliori dei casi lo costringe a lavorare per approssimazione, a tenere contingency eccessivamente cautelative perché tanto gli si chiederà lo sconto, o ancora a lavorare al costo o sotto. Insomma, due sono gli errori più comuni: non rendersi conto che un buon stampato nasce prima di trasformarsi in ordine e che la fase di preventivazione è cruciale per determinare la buona riuscita di un lavoro. Perché il preventivo non è affare solo dello stampatore, ma anche del buyer che con lui lo deve costruire, avendo ben chiaro cosa si vuole realizzare e sapendo valutare la correttezza del costo richiesto.

Stendere un buon capitolato

Prima ancora di chiedersi a chi mandare la richiesta di preventivo è necessario stendere un buon capitolato che descriva nel dettaglio e in modo chiaro le caratteristiche dello stampato senza omettere o dare per scontato nulla. Per prima cosa diamo un titolo al nostro lavoro che descriva in sintesi cosa si richiede: volume cartonato “PinocÈ necessario stendere un buon capitolato che descriva nel dettaglio e in modo chiaro le caratteristiche dello stampato.

chio”, invito sfilata S/S 2023 a quartino con busta, volantino 24 pagine Offerte di Natale 2022… Serve per classificare il preventivo, per aprire l’eventuale commessa e per usare un riferimento comune. Riportiamo il formato chiuso e aperto, se comune a tutto lo stampato, altrimenti andrà dichiarato parte per parte, in centimetri secondo la notazione base x altezza unità di misura (fto chiuso 21x28,7 cm, fto aperto 42x28,7 cm) e diamo al capitolato una struttura articolata ben definita, dividendolo nelle singole parti che lo compongono. Partendo dalla copertina (o sovraccoperta se prevista), si dichiara il numero di colori di stampa di ciascun lato, secondo la notazione 4+4 se a colori o 1+1 se il lavoro è a un colore, esplicitando anche il colore. Se ci sono colori speciali devono essere dichiarati (4+4 + Pantone Blu Reflex). Si passa poi alla carta: se generica si riporta la finitura richiesta (Patinata Lucida 300 g), ovvero il nome preciso di cartiera e carta, specificando la grammatura e l’indicazione FSC, se deve essere certificata. Infine, si riportano eventuali altre lavorazioni: dal tipo di vernice o di plastica, fino a nobilitazioni come sbalzo, fustellatura o stampa a caldo, anche in questo caso con l’indicazione del nastro da usare.

Lo stesso dettaglio va riservato anche agli interni di cui si riporteranno il numero di pagine ed eventuali segnature eccentriche come pagine battenti o più corte: per questo è importante riportare anche il formato aperto o eventuali misure diverse. Nel caso di segnature o schede ad esempio più basse si dovrà indicare se andranno pareggiate in testa o al piede. Anche altre parti accessorie allo stampato principale devono essere descritte: è il caso ad esempio di un eventuale cofanetto per un volume, una fascetta, un segnalibro o, nel caso di un invito, la busta. Non devono mancare anche in questo caso il numero dei colori di stampa, il tipo di carta e l’indicazione di una verniciatura e di che tipo, intendendo non solo la finitura, ma anche la copertura, perché nel caso di una verniciatura lucida a registro solo ad esempio sulle immagini, questo deve essere ben chiaro, perché non solo determinerà un costo, ma anche la fattibilità all’interno del parco macchine del fornitore e la verifica degli impianti quando verranno forniti i pdf. Ovviamente devono essere specificate le nobilitazioni e come devono essere assemblati i pezzi. Se per esempio il

segnalibro deve essere in un punto preciso o casuale o se l’invito deve essere imbustato. Ogni parte ha delle proprie lavorazioni e ogni lavorazione un costo. Una cartolina inserita in un punto preciso di un catalogo, se non macchinabile, implica il tempo di trovare manualmente, copia per copia, quel punto preciso. Anche la parte della confezione è determinante perché da essa dipende la forma dello stampato e per confezione non si intende solo i classici punto metallico, brossura fresata o cucita (con il colore dei punti o del filo se non i soliti usati) e cartonato con lo spessore del cartone e il tipo di dorso (tondo o quadro), ma anche rilegature diverse dal semplice accavallamento libero delle segnature stile quotidiano al filo colla, a tutte quelle legature artistiche come la bodoniana, la svizzera, la giapponese eccetera, con tutti i dettagli come risguardi (stampati o no e su quale tipo di carta), la presenza di capitelli e segnalibri e il loro colore. Anche il tipo di piega di flyer, brochure o foglietti, il taglio di schede o la fustellatura devono essere descritti qui con le misure se non sono uguali. Questo livello di dettaglio è necessario tanto se si vuole realizzare uno stampato complesso come un volume cartonato con sopra-copertina, quanto per un adesivo fustellato a mezzo taglio o per un biglietto da visita.

Infine, occorre dare indicazioni anche sul tipo di imballo richiesto, che deve essere considerato per determinare i costi: cellophanare a copia singola ha un prezzo e una tempistica diversi rispetto a un pacco termo a più copie, così come il reso in scatole, soprattutto se queste devono essere fatte ad hoc per formato, stampa o etichettatura. E non va sottovalutata la consegna, non tanto per le tempistiche, che comunque hanno un costo, quanto per le necessità che essa si porta dietro: dalle scatole al tipo di bancale (EUR, fumigato), al fatto che sia richiesto di consegnare in zone a traffico limitato della città o senza possibilità di avere un muletto per lo scarico.

Circoscrivere il parco fornitori

La bozza del capitolato, prima di essere inviata per la quotazione, andrebbe discussa con il fornitore in modo da non essere fraintesa e da non scoprire tardi che qualcosa non è fattibile perché fa sforare il budget. Allo stesso modo deve essere condivisa anche all’interno. Il più delle volte, chi si occupa della produTutte le persone coinvolte nel progetto devono aver ben chiare opportunità, criticità, limiti e peso economico delle tecnologie, delle lavorazioni, dei materiali e delle nobilitazioni.

zione e quindi parla con gli stampatori non si occupa anche della realizzazione grafica o della creatività. E tutte le persone coinvolte nel progetto devono aver ben chiare opportunità, criticità, limiti e peso economico delle tecnologie, delle lavorazioni, dei materiali e delle nobilitazioni. Sarebbe come se un architetto non conoscesse le differenze tra infissi in pvc o in legno, vetri singoli o doppi. A volte una leggera modifica può far cambiare il costo. Ad esempio, un volume fresato formato 14x24 cm in piana richiede la carta da 72x102 che al netto della disponibilità potrebbe costare di più rispetto al 70x100. Basterebbe, quindi, scendere al 13,5x23,5 cm. Sulla base di questo capitolato finalmente lo stampatore potrà iniziare le proprie valutazioni e quindi elaborare il costo della fornitura. Ma a chi chiedere un preventivo se non so qual è la tecnologia più adatta al mio progetto? Ecco perché è bene prendersi il tempo necessario per confrontare i preventivi e ancora una volta dialogare con gli stampatori. In un certo qual modo sarà anche la nostra esperienza e conoscenza tecnica di print buyer che farà la differenza e ci indicherà il corretto approccio. Molte realtà, però,

demandano direttamente al fornitore tutta la produzione e non hanno figure tecniche interne. Se è vero che esistono stampatori che hanno quasi tutte le tecnologie dalla roto offset alla piana fino alla stampa digitale, e sono in grado di indirizzare e preventivare di conseguenza, è altrettanto vero che la realtà del mercato è fatta di tipografie con al massimo due tecnologie, che poi a loro volta hanno una rete di sub fornitori cui appoggiarsi quando non possono realizzare un lavoro. Apparentemente funziona, ma a ogni passaggio si aggiunge un markup e un rischio sul controllo della qualità finale. La realtà schizofrenica del mercato attuale e delle condizioni di fornitura rende ancora più complesso lo scenario, perché certezze che fino a qualche tempo fa erano nette ora non lo sono più. Pensiamo al digitale come alternativa all’offset: la vulgata è sotto le 500 copie conviene il digitale, sopra la piana almeno fino a 5.000. Ma la tecnologia corre veloce e, detto che tutto dipende dal tipo di stampato, oggi è vero che il digitale è arrivato a fare concorrenza alla rotativa ma è altrettanto vero che la piana in determinate condizioni fa concorrenza al digitale stesso anche a tirature molto basse. Un esempio: 1.000 copie di un volume di 120 pagine formato 12x19,5 stampato a 4+4 colori su uso mano da 80 g con copertina stampata a 4+0 su patinata lucida da 300 g con plastifica lucida potrebbe costare meno in offset piuttosto che in digitale, cosa non vera per 300 copie di un volume leggermente più grande (17x24 cm), stesse caratteristiche con in più l’UV lucido a registro in copertina. Si dirà: più la tiratura è alta più si spalmano i costi fissi. È vero fino a un certo punto, e la scelta giusta, un po’ salomonicamente, dipende dallo stampato e dalle nostre abitudini di stampa. Se i nostri lavori sono periodici, hanno quasi sempre le stesse caratteristiche e tirature più o meno costanti, il nostro parco fornitori sarà più o meno fisso perché il tempo e l’esperienza avrà selezionato quelli più adatti: al più faremo scouting per capire se c’è qualche nuovo player. In questo caso, potremmo renderci quasi autonomi nel calcolare i costi sulla base di listini o calcolatori che tanti stampatori mettono a disposizione dei clienti abituali. Al massimo, al momento dell’ordine un ritocco dato dai costi delle materie prime potrà spostare un minimo il costo. Ci sono casi in cui si arriva al Print on Demand vero, come quello offerto dal portale PODRotomail o da Lampi di Stampa per la stampa di libri in cui si carica la propria libreria di pdf e man mano che servono si attiva la stampa, annullando di fatto il magazzino. Verifica dei pdf, costi e tempi sono sotto controllo e si può arrivare fino alla copia singola. Insomma, per lavori semplici, con una tecnologia semplice, i software consentono la preventivazione immediata; per lavori più sofisticati, serve quel livello di precisione che solo un bravo preventivista può garantire.

La giusta tecnologia al giusto prezzo

Il discorso cambia se abbiamo una produzione vasta ed eterogenea. Allora conviene avere un parco fornitori diviso per tipologia di lavori oppure rivolgersi a broker di stampa che fanno da intermediari. È vero che c’è un passaggio in più, ma il loro parco fornitori di solito è molto ampio e cercano la soluzione migliore per ogni lavoro che gli viene affidato. Oggi definire a priori quale tecnologia è la più adatta è facile solo per tipologie di stampati ben precise: un volantino della GDO da migliaia di copie è sicuramente da roto ma già per

La realtà schizofrenica del mercato attuale e delle condizioni di fornitura rende ancora più complesso lo scenario, perché certezze che fino a qualche tempo fa erano nette ora non lo sono più.

un libro d’arte la piana, che prima era una scelta indiscutibile, se la gioca, soprattutto per qualità, con il digitale. Ecco che allora conoscere le potenzialità del parco macchine dei fornitori diventa importante. Poi entrano in gioco le caratteristiche del lavoro stesso come la carta: certo 200 g in roto non passano, così come non si può fare un coldfoil. Una volta individuato il panel di fornitori cui chiedere un prezzo è opportuno aver ben chiaro come è composto il costo che verrà esposto. La cosa più importante per operare dei confronti e quindi poter scegliere, è avere un costo omogeneo di solito espresso in euro a copia. Anche le spedizioni varrebbe la pena averle a parte cosicché sia chiaro il costo di stampa e confezione. Ogni stampato ha dei costi fissi e altri variabili. Sono fissi i costi di matrici e avviamenti di ogni tipo di lavorazione che li richieda, ma nel digitale sono marginali o trascurabili, anzi a differenza dell’offset oltre certe tirature il costo cresce in modo diverso. Il break-even cambia da macchina a macchina. Un esempio per tutti: 2 piane stesso formato che debbono stampare lo stesso lavoro potrebbero avere costi fissi diversi a seconda dell’anzianità o delle tecnologie a bordo per velocizzare gli avviamenti o i setup di inchiostrazione.

Ma come si calcola il costo di uno stampato? Semplificando al massimo, si parte dall’impostazione del lavoro in base alle esigenze di stampa e confezione, quindi dal numero delle segnature che determina il numero di avviamenti, e di conseguenza di matrici (compresi il ripping, le scritture e i materiali), poi si considerano i giri macchina (che dipendono dal costo della linea di produzione), la carta e altre materie prime, coprenza dell’inchiostro, scarti di stampa, legatoria e altre lavorazioni compresi, e l’avviamento di legatoria e i costi a copia per la confezione richiesta, infine l’imballo. Ovviamente se sono previste lavorazioni speciali si sommeranno altri costi di avviamento, di matrice (es. i cliché per la stampa a caldo), di passaggio (scarti compresi) e di trasferimento se quella lavorazione è prevista da un subfornitore. Al totale dei costi industriali andrà aggiunto un markup di vendita, che è l’unico fattore sul quale lo stampatore può intervenire quando gli viene chiesto uno sconto. Tutto questo diviso per la tiratura dalla quale dipendono tutti i costi variabili e che tende a far diminuire i costi fissi perché spalmati sul numero delle copie. Come si vede le voci di costo sono chiare, sono i valori che variano in fun-

Conoscere le potenzialità del parco macchine dei fornitori diventa importante.

zione, oggi, soprattutto del mercato. O le oscillazioni sono trascurabili o, in caso di aumenti, il costo industriale eroderà il margine dello stampatore. Oggi anche farsi in casa il preventivo prima di interpellare i fornitori può avere senso per avere un’idea di massima dei costi, ma nulla di più. Gli stampatori aggiornano periodicamente i loro costi e listini, ma voi, a meno di non fare lo stesso con un parco di fornitori circoscritto, vi trovereste con preventivi non realistici. Senza dimenticare che un preventivo ha una scadenza proprio per la liquidità del mercato. Quindi va bene prendersi il tempo per raccogliere le idee e fare le valutazioni, ma non pensate che il prezzo che vi hanno mandato l’anno scorso sia valido anche quest’anno. Così come non date per scontato che i supporti che avete immaginato di usare siano subito disponibili, soprattutto la carta. Un’altra tendenza che è molto cambiata nel tempo è l’acquisto diretto della carta da parte del committente. A parte i costi di magazzino e la necessità di gestire gli ordini alle cartiere, di fatto il risparmio si dimostra illusorio in quanto il potere di contrattazione è direttamente proporzionale ai volumi acquistati e inevitabilmente lo stampatore otterrà prezzi più favorevoli.

La parola allo stampatore

Tre domande a Franco Mussa, Sales Executive di Logo, azienda veneta che dal 1998 è attiva in numerosi settori: dall’editoriale al manifatturiero, dal fashion alla GDO, dal food&beverage alla cosmetica, alla farmaceutica all’arredamento, con tecnologie di stampa offset, digitali e di cartotecnica e packaging.

Con un vasto parco macchine come scegliete la tecnologia giusta per proporre il giusto prezzo al cliente?

In fase di preventivazione viene richiesta la specifica della produzione da effettuare, da lì si sceglie la tecnologia idonea in base alla qualità richiesta, optando per il prezzo migliore. È la tipologia di stampato che guida la scelta.

Qual è la voce di spesa maggiore nel costo di uno stampato?

Le voci di spese sono molteplici, dalla carta alla manodopera per arrivare ai costi indiretti (energia elettrica, trasporti). Certamente l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia sta influendo anche sui costi stampa. Purtroppo oggi non solo energia elettrica e gas hanno subito forti aumenti, ma tutte le materie prime. Il cliente lo sa e cerca a sua volta soluzioni sostenibili. Il problema è che lo stampatore è nel mezzo e non può assorbire questi rincari senza conseguenze a lungo termine.

Come è cambiato il mercato negli ultimi anni?

Il mercato ha subito una forte variazione soprattutto sulle tirature, rendendo sempre più necessario orientarsi sulla stampa digitale, che offre maggiore flessibilità senza scorte di magazzino. Il che rende un servizio per il cliente che ordina just in time, ma lato nostro per essere competitivi e soprattutto avere le materie prime, bisogna ritornare a una logica di scorte.

Il preventivo

Dopo aver atteso qualche giorno, finalmente avremo il nostro preventivo. Troveremo certamente la descrizione del lavoro richiesto che dovrebbe rispecchiare il nostro capitolato con eventuali rettifiche in base alla fattibilità, il prezzo e la validità dell’offerta. Ma cosa comprende il costo esposto? Ovviamente lo stampato che si richiede più tutta una serie di servizi accessori finalizzati alla produzione, dalla ricezione dei file e produzione delle cianografiche (digitali o cartacee) per il visto si stampi al controllo tecnico dei pdf, alla possibilità di essere presenti all’avviamento quando la qualità dello stampato lo richiede, ma sono esclusi gli interventi per rendere stampabili i materiali consegnati, i rifacimenti richiesti dal cliente e le prove colore contrattuali che sono a carico e devono essere fornite dal committente, e a norma ISO 12647–7 (vedi documento TAGA.DOC.05). Ovviamente quanto non specificato è escluso, ad eccezione dei fermi macchina, dei guasti e delle rotture che restano in capo allo stampatore. Una chiara definizione delle norme di fornitura è contenuta nel documento TAGA.DOC.18 “Clausole e regolamentazione del settore grafico” reperibile facilmente in rete, che rappresenta un riferimento per chi direttamente o indirettamente opera nel settore grafico. Il documento non solo definisce il perimetro di preventivi e ordini, ma definisce attori e flussi, riporta gli standard di riferimento e norma anche le tolleranze qualitative e gli scarti.

Infine, la domanda cruciale: come si capisce se il prezzo fornito è giusto? Sostanzialmente operando una comparazione tra i diversi preventivi. Ecco perché è utile chiedere un prezzo a più di un fornitore: interrogare il mercato è sempre la strategia più utile. Per spuntare il prezzo migliore, certamente, ma anche per allargare sempre la rosa dei fornitori e per imparare a capire come si muovono commercialmente. Inevitabilmente delle differenze si riscontreranno e non ci si deve illudere di trovare un preventivo giusto a priori. È un po’ come andare ad acquistare un’auto: si comparano le diverse offerte dei vari concessionari, non si discute il valore della macchina. Tutt’al più, con l’esperienza, si può cercare di costruirsi un prezzo target per farsi, per così dire, un’idea.

La cultura d’ambiente di Alessandro Agrati

Non c’è design senza funzione, non c’è benessere senza il rispetto dell’unicità della persona. E tutto parte dalla natura, dal territorio e dalla sua storia. Alessandro Agrati, designer e naso che ha creato CULTI MILANO, brand specializzato nelle profumazioni per l’ambiente e per la persona, ci racconta la visione che dà vita ai suoi progetti.

di MICHELA PIBIRI

Mentre parlo con Alessandro Agrati dalla redazione di PRINTlovers a Segrate, lui è in macchina, diretto verso un cantiere. Sposta la videocamera del telefono dall’inquadratura del suo viso a ciò che si vede dal finestrino. «Vedi Michela? – mi dice – sono a solo mezz’ora da Milano, circondato da vigneti e cipressi. Questo paesaggio, questo territorio è tutto, non serve aggiungere niente. Vivere nella natura, ispirarsi alla natura è l’esperienza che tutte le persone dovrebbero fare». Una constatazione apparentemente semplice, che però, espressa da un designer, sintetizza un’intera visione del mondo e il germe stesso di ogni progetto. Sessant’anni, lombardo, Agrati è nato nella terra del design e dell’industria del mobile, dove, nei primi anni ’80, comincia a fare esperienza con i grandi marchi della Brianza. Mentre lavora come designer si scopre naso e decide di creare un marchio legato alla cultura d’ambiente. E “cultura” è la parola chiave da cui discende il nome stesso di CULTI, che richiama un’idea di conoscenza profonda, esperienza e ritualità.

Come nasce CULTI MILANO?

Nel mondo della progettazione di ambienti, nei primi anni ’80, mancava completamente il concetto di benessere. Scoprendomi naso ho pensato di unire design, profumo e funzione; e in qualità di naso – non di chimico – ho dato vita a una profumeria innovativa che ricalcasse lo stile della mia terra e la sua semplicità irreplicabile. Se ci pensiamo, quando si parla di cibo la semplicità del pane e dell’olio non può essere imitata in alcun modo, e così gli elementi essenziali del nostro territorio, in barba alle alte profumerie complesse inglesi e francesi. E così nel 1988 è nata CULTI, con il primo showroom aperto in Brera nel 1990, che offriva al cliente legni, tessuti e profumi: una sorta di battitore libero che si muoveva in un campo ancora inesplorato in cui il benessere della persona e la sua unicità fossero messi al centro. Dopo una fase che potrei definire di start-up durata circa 25 anni, 5 anni fa CULTI MILANO si è quotata in borsa senza mai rinunciare alla componente di artigianalità che la contraddistingue.

«Ho dato vita a una profumeria innovativa che ricalcasse lo stile della mia terra e la sua semplicità irreplicabile».

Prodotto e packaging, quando si parla di CULTI, sono indivisibili, frutto di una visione olistica. Quanto sono importanti i materiali che racchiudono il prodotto?

Le materie prime sono quelle della persona e dell’ambiente che abita: il profumo e i tessuti che si indossano, il legno che arreda. Dall’importanza del legno sono nati i midollini da inserire nella bottiglia per diffondere le fragranze: è un’idea di CULTI che è stata poi adottata da tutti. Oggi è diventata un’abitudine, ha trasformato il gesto del profumare gli ambienti in esperienza. Per CULTI ho scelto materiali innovativi ma soprattutto funzionali, che non miravano solo all’effetto wow: nel 1988 non c’era, come oggi, una filiera di partner a supportare il progetto, le bottiglie venivano sabbiate a mano, le etichette di tessuto venivano tagliate e applicate una alla volta. La mia prospettiva era quella dell’alto artigianato in grado di mettere insieme aziende diverse: quando si studia un prodotto si deve fare sistema, non affidarsi al caso ma creare qualcosa che abbia una visione lungimirante.

Cosa intende con visione lungimirante, e in che modo si può applicare al packaging?

Né le fragranze né il packaging di CULTI si sono mai basati sulle mode del momento: i nostri profumi di maggior successo sono stati creati 30 anni fa. Vengono poi create delle capsule collection, certo, che hanno un grande valore dal punto di vista commerciale ma non sono mai prevaricanti. Essere lungimiranti significa “togliere il tempo agli oggetti”, unendo innovazione, tradizione e cultura. Per CULTI la fusione tra prodotto e packaging è intrinseca alla sua stessa natura, ma posso tranquillamente dire, in generale, che i progetti più belli del mondo si fanno togliendo e non aggiungendo. Il packaging deve essere bello, ma ridotto al minimo. Fatto con poche cose, ma unico. Il prodotto deve restare ben protetto e ben presentato, quindi quando si toglie bisogna togliere bene.

CULTI ha partecipato a Brand Revolution 2022. Come ha vissuto il lavoro di interpretazione realizzato dall’agenzia Advision e dei partner myCordenons, Eurolabel, Luxoro e Varigrafica?

Quando si lavora sul marchio è importante dare input giusti e restituire messaggi chiari. È uno scambio: da parte del brand è fondamentale mantenere la coerenza e allo stesso tempo avere la capacità di lasciare libertà. Da parte dei partner, serve capacità di ascolto, ricezione del messaggio e condivisione. In Brand Revolution questo scambio c’è stato. Nella vita ho scartato progetti bellissimi ma non coerenti col marchio, perché voglio che un progetto nasca per me. Quando parlo di coerenza non parlo mai di DNA, ma parlo di “anima”: credo molto nel toccare le corde dell’anima, in tutti gli ambiti della vita, anche nella conversazione che stiamo avendo ora. Per farlo bisogna lasciare un segno che sia bello e coerente, credere in quello che si sta facendo, mai lasciarsi sovrastare dalla negatività.

«Essere lungimiranti significa “togliere il tempo agli oggetti”, unendo innovazione, tradizione e cultura».

Sinestesie per l’anima

Il progetto di CULTI MILANO a Brand Revolution LAB 2022

Sinestesia. È su questo concetto che si basa il progetto realizzato per CULTI MILANO dall’agenzia Advision insieme ai partner Eurolabel, Luxoro, myCordenons e Varigrafica durante l’ultima edizione di Brand Revolution che ha aperto le porte a Milano lo scorso ottobre. Dal concept creativo alla realizzazione finale, l’obiettivo è stato regalare una nuova dimensione all’esperienza d’acquisto vissuta all’interno dei punti vendita CULTI MILANO e lasciare un ricordo unico e indelebile. Da qui la creazione di un vera e propria esplosione di sinestesie in tutti gli elementi del pack, dalle etichette agli astucci, dalla brochure alle mouillettes, dalla gift box fino a una speciale Senses Box in grado di sviluppare nuove dimensioni percettive. L’esperienza sinestetica si concretizza nella scelta di carte di struttura successivamente lavorate in debossing, in grado di far emergere la loro espressività grazie alle texture studiate e personalizzate per ogni famiglia olfattiva.

LE ETICHETTE DELLE LINEE STILE E DECOR Advision ha progettato insieme a Eurolabel e Luxoro le etichette per due linee di fragranze, Stile e Decor, ciascuna declinata in sei varianti corrispondenti ad altrettante famiglie olfattive. Scegliendo un supporto autoadesivo dalla consistenza materica importante, bianco per la linea Stile e nero per la linea Decor, è stato possibile lavorare con cliché hinderer + mühlich per la stampa a secco. Le etichette della linea Stile presentano il nome della fragranza stampata a caldo con LUXOR® 1081442N Rusty Earth e, grazie alla particolare fustella, fanno da cornice a un centro in cui si esprime l’identità del Brand: nella linea Stile il logo CULTI MILANO è stampato sulla stessa foglia Rusty Earth. La linea Decor invece presenta il nome del brand stampato in bianco serigrafico sulla cornice, mentre la parte centrale dell’etichetta è stampata in quadricromia digitale in 6 diverse varianti che offrono un prodotto personalizzato per i clienti top di gamma.

GLI ASTUCCI Bassorilievi stampati a secco in sei varianti connotano anche gli astucci per i flaconi da 500 ml realizzati da Varigrafica, per i quali è stata scelta la carta myMoondream di myCordenons da 400 g/mq. Con un nome e un concept emozionale, ispirata alla luce della luna, myMoondream è una carta innovativa e tecnicamente avanzata. Lavorata con lo sbalzo a secco permette di ottenere effetti tridimensionali quasi scultorei, e si è quindi rivelata perfetta per questo progetto. La stampa è realizzata in Pantone 876U.

LA SENSES BOX Per arricchire l’esperienza sinestetica Advision ha ideato un cofanetto di formato chiuso 22×20 cm con struttura ad alveare interna, realizzata da Varigrafica con myStardream Copper da 285 g/mq e logo stampato in bianco. La box racchiude sei mini pack a manicotto, ciascuno corrispondente a una famiglia olfattiva e contenente un campione di fragranza da annusare, un piccolo gift goloso da assaggiare e un QR code con una playlist da ascoltare. Le scatoline sono realizzate con myMoondream da 240 g/mq, con sleeve stampate a secco con cliché hinderer + mühlich.

LE MOUILLETTES E LA BROCHURE MULTISENSORIALE Perfettamente abbinate a etichette e cofanetti sono le mouillettes su cui provare le diverse fragranze, realizzate in sei varianti e indicanti sul retro la fragranza specifica. Sono realizzate da Varigrafica su myMoondream da 400 g/mq con texture in debossing e stampa Pantone 876U in bianca e volta. Le mouillettes sono pensate per essere raccolte in un’apposita brochure di 16 pagine in formato 15×15 cm che racconta le famiglie olfattive e i valori del brand. È realizzata da Varigrafica su carta myDivina White da 170 g/mq, una carta myCordenons specificamente studiata per l’editoria di alto livello, con stampa a 4 colori, finishing digitale con Rusty Earth e foratura con plotter da taglio.

LA GIFT BOX Per completare l’esperienza d’acquisto è nata la gift box con maniglie in tessuto bianco, in due diversi formati: 45×31 cm e 31×26 cm. Le box sono completamente abbattibili grazie alla peculiare soluzione cartotecnica realizzata da Varigrafica, il che consente di risparmiare l’85% di spazio in tutte le fasi di trasporto, stoccaggio e utilizzo. La presenza dei manici applicati con rivetti e la presenza di una chiusura a calamita permette di non utilizzare shopper. L’anima di cartone rigido è rivestita con myInsize Dalì da 120 g/mq, carta marcata a feltro dedicata a progetti che richiedono carte classiche e sofisticate. Il brand CULTI MILANO è stampato in bianco su un quadrato di carta myStardream Copper da 285 g/mq accoppiata in triplice strato per ottenere spessore e alloggiato in un apposito abbassamento del cartone realizzato con cliché da 7,5×7,5 cm.

«Bisogna concedersi il lusso del vuoto usando pochi materiali, ma giusti».

Prima abbiamo parlato di benessere: come si è evoluto questo concetto nel tempo? Sono cambiate le richieste dei committenti nel suo lavoro di architetto e designer d’interni? Come si vivono oggi gli spazi?

Ciò che è cambiato nel tempo è la nostra capacità di essere visionari. Nei miei progetti per alberghi, spa e masserie ho sempre messo al centro la persona: siamo tutti esseri unici e distinti. E questa unicità si riflette negli spazi, che non sono luoghi da riempire ma da rispettare. Il benessere è andare incontro alle proprie abitudini, lasciarsi guidare dalla natura applicando i suoi principi a tutto e facendola entrare ovunque con forza e autenticità, dal living al giardino. Il mio approccio al progetto parte dal territorio, dal recupero di luoghi persi, per poi concedersi il lusso del vuoto usando pochi materiali ma giusti, e una luce rispettosa, sia naturale sia artificiale. Difficilmente mi cimento in un progetto nuovo, perché preferisco recuperare l’antico senza aggiungere nuovi volumi. Recuperare luoghi persi significa portare a galla la verità dopo decenni di inaridimento architettonico di cui il nostro Paese è vittima. Se è vero che non si può replicare la storia, è anche vero che si può riportarla in vita, ed è quello che ho fatto con la prima Spa CULTI aperta in Puglia nel 1990 recuperando una masseria e creando un’accoglienza naturale, legata alla nostra cultura e alla nostra storia. Non si troverà mai, in un mio progetto, un bagno turco: basta conoscere le tradizioni del territorio, da Roma agli scavi di Pompei, per trovare l’ispirazione per fare i bagni più belli del mondo. Recupero e integrazione con la natura implicano un approccio che è sempre stato sostenibile, ma tutt’oggi si fa ancora troppo poco per la sostenibilità. La nuova sostenibilità deve agire a tutti i livelli, usare la tecnologia per essere autonomi e vivere bene, avere una visione olistica e mettere l’unicità della persona al centro.

Cosa significa per lei “innovazione”?

Sembrerà banale, ma per me innovare significa portare del bene. Generare qualcosa che allunghi e migliori la qualità della vita: il bello e il buono sono fondamentali.

La sua visione del futuro?

Credo molto nella forza dei giovani. Spesso non abbiamo la capacità di lasciare loro spazio e opportunità per creare i loro progetti. Se avessi un peso politico, oggi, finanzierei start-up con la visione di riportare in vita tutto quello che abbiamo lasciato a terra: le idee imprenditoriali che hanno fatto la nostra storia, il sapere artigianale, le idee che rendono noi Italiani unici al mondo. Promuoverei il nostro modo di essere unici, riportando a galla il mondo dei laboratori per tornare a sporcarsi le mani e metterle in pasta. In una parola, riscoprire l’arte. E a esser sincero, sono molto ottimista su quello che accadrà.

È la prima catena italiana di profumerie, e la terza in assoluto dopo Douglas (tedesca) e Sephora (francese e di proprietà del gruppo LVMH) sul territorio nazionale. E vuole crescere ancora di più con un ambizioso piano quinquennale partito nel 2022 e che conferma, potenziandola, quella svolta iniziata cinque anni fa quando Pinalli, con l’arrivo al vertice del nuovo Amministratore delegato Raffaele Rossetti, da realtà di provincia emiliana, decise, con anche un bel po’ di coraggio, di fare il grande salto sviluppando il brand in tutta Italia, partendo per ora dal Centro-Nord, e facendo anche della comunicazione del marchio – per cui si pensa anche di rafforzare il progetto di un marchio private label – del packaging, dell’allestimento dei punti vendita e di iniziative di successo come il calendario dell’Avvento e di Natale (il cosiddetto Pinallone) dei punti di forza e di riconoscimento presso i consumatori e i fornitori. Per arrivare, con un corposo piano di investimenti, spiega Raffaele Rossetti, a raddoppiare i ricavi a 200 milioni, avere più di 100 punti vendita che oggi servono oltre 550 mila clienti e circa 700 dipendenti diretti, quasi il doppio degli oltre 400 attuali.

Pinalli nasce nel 1984 a Fiorenzuola d’Arda (Piacenza), quando Luigi Pinalli e la moglie Liliana Segalini decidono di aprire la loro prima profumeria: un luogo accogliente dove i clienti vengono accompagnati nella scelta dei prodotti più adatti alle loro esigenze. Nel 1992 la famiglia amplia il business e inaugura un nuovo store a Piacenza. Nel corso degli anni l’azienda cresce costantemente, con nuove aperture in Emilia-Romagna e Lombardia (1998), Liguria e Piemonte (2006) e progressivamente in altre zone strategiche del Nord e Centro Italia, fino ad arrivare agli attuali 63 beauty store in otto regioni italiane

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(Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Liguria, Toscana, Trentino Alto Adige, Marche).

Particolare importanza riveste l’organizzazione della logistica, che viene gestita dall’azienda attraverso un modello di business rapido ed efficiente: gli addetti del magazzino – i cui spazi sono raddoppiati dai 2.500 mq del 2018 agli attuali 5.000 – sono dipendenti diretti di Pinalli e partecipano ai processi decisionali strategici per l’attività con furgoncini e camion che approvvigionano i punti vendita con scritto sulla carrozzeria il logo dai toni grigi dell’azienda.

Pilastro del modello adottato dall’azienda, ricorda ancora Raffaele Rossetti, è la prossimità: i punti vendita si trovano principalmente nei centri storici di città di piccole/medie dimensioni. Questo permette di conservare nel tempo la capacità di creare relazioni sincere con la clientela e di rimanere punto di riferimento per consigli reali e personalizzati. Pinalli è stata inoltre una delle prime aziende del settore a puntare sul canale e-commerce già nel 2012: oggi la piattaforma di vendita online – recentemente rinnovata – è tra le prime del mercato. L’omnicanalità è uno dei suoi punti distintivi, grazie alla sinergia tra digitale e fisico che consente di vivere un’esperienza di acquisto unica.

Esperienza d’acquisto che, sia per l’avvento del digitale sia per la scelta di sostenibilità ambientale, ha comportato un minore consumo di carta, spiega Giovanna Baratello, responsabile marketing e comunicazione di Pinalli. E così, messi nel cassetto brochure e cataloghi cartacei, aggiunge Baratello, «gli oltre 170 touch point digitali presenti negli store consentono al cliente di navigare nell’e-shop anche da negozio e di finalizzare con semplicità gli acquisti anche in assenza dei prodotti sul punto vendita». Prodotti per la cura della pelle del viso e del corpo, profumi, make up, articoli per la cura dei capelli, spaziando dai brand classici a quelli più moderni, con una particolare attenzione ai brand italiani indipendenti, spesso proposti in esclusiva come Veralab, uno dei marchi per la cura del corpo in maggiore ascesa specialmente tra la clientela più giovane.

Nel corso degli anni Pinalli ha ampliato la propria offerta, andando oltre la sola vendita di prodotti e promuovendo una beauty experience a 360 gradi, con una proposta integrata che in alcuni store si arricchisce di trattamenti estetici e di hairstyle. Pinalli Benessere è un vero e proprio istituto di bellezza, che nasce all’interno della profumeria, con cabine attrezzate per trattamenti viso e corpo. Pinalli Hair Lab è invece l’angolo dedicato alla cura dei capelli.

Coinvolgimento, vicinanza, fiducia, sono i valori, ricorda ancora Rossetti, in cui crede Pinalli. In particolare, il punto vendita fisico è fortemente caratterizzato da una grande attenzione alla persona, che viene sempre accompagnata nelle sue scelte da personale preparato e competente. Ma il punto vendita è anche lo spazio nel quale si esprime la comunicazione di Pinalli con, sottolinea Baratello, i cartelli autoportanti in stampa digitale, A4, A5 o A6 in forex 3 millimetri con piedino per sorreggerli e renderli appunto autoportanti. I punti vendita si avvalgono anche di vetrofanie in stampa digitale easydot, pop-up a scaffale sempre realizzati in digitale a quattro colori (i Pantone di Pinalli sono al momento, richiamando i colori tradizionali del brand, il Cool Gray e Warm Red) e anche flyer in carta spessa 300 grammi.

Realizzazioni per le quali Pinalli si affida da tempo a uno stampatore di riferimento come Kreati, un laboratorio creativo piacentino che affianca le aziende nella realizzazione delle attività di marketing nell’ambito della grafica, del web e della stampa.

Del resto la strategia sul fronte dei fornitori, anche quelli del mondo della stampa, di Pinalli è sempre stata quella, secondo Baratello, di sce-

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gliere partnership durature nel tempo privilegiando aziende grafiche in grado di assicurare un corretto rapporto tra prezzo e qualità e poi, per commesse più estemporanee, ampliare il parco fornitori di volta in volta in base alle offerte giudicate migliori.

Oltre a Kreati gli altri due partner per quanto riguarda la stampa e la cartotecnica di Pinalli sono Lito Group, azienda modenese con quasi trent’anni di attività alle spalle, e Rajapack Italia che, con sede a Castel San Giovanni nel piacentino, appartiene al Gruppo Raja, leader nella distribuzione di prodotti di imballaggio, presente in 18 paesi europei con 21 società.

In Lito Group viene stampato quello che è diventato un must di Pinalli, il Pinallone. Il calendario dell’Avvento che, aggiunge la responsabile marketing Giovanna Baratello, «accompagna un passo alla volta verso il magico periodo del Natale». In vendita da ottobre negli store e attraverso l’e-commerce, il Pinallone 2022 ha rappresentato una sfida creativa sia per Pinalli sia per Lito Group. Un vero e proprio “miracolo” di cartotecnica, con le sue 25 caselle perfettamente intersecabili e un tabellone, il Pinallone non è un semplice calendario dell’Avvento: si trasforma infatti in un divertentissimo gioco da tavolo ed è quindi destinato, in una logica di sostenibilità, ad avere una seconda vita.

Carta e cartoncino del resto sono da sempre la scelta sostenibile per il packaging e gli allestimenti dei punti vendita dove la plastica si può dire che sia ormai stata bandita. Ridotto, come detto, il materiale comunicativo stampato in favore delle informazioni sia per la clientela sia per i gestori dei negozi – e se oggi anche quella che si può definire la pubblicità viaggia tutta online in futuro, anticipa l’AD Raffaele Rossetti, si sta pensando al ricorso a mezzi più tradizionali come la radio, la tv e la stampa – rimane fondamentale l’attenzione all’imballaggio. In particolare quello secondario perché, essendo Pinalli una rete di distribuzione di marchi, sono gli stessi brand della cosmesi che si occupano del packaging primario. Un packaging sul quale «noi non abbiamo voce in capitolo».

Quali sono invece le strategie sul fronte imballaggio del gruppo emiliano? Quelle che riguardano innanzitutto l’imballo per l’e-commerce realizzato da un’azienda leader del settore come Rajapack. Scatole in varie misure rigorosamente in cartoncino – come in carta e non in plastica sono i materiali inseriti all’interno per proteggere i prodotti – grezzo di colore grigio e con il logo dell’azienda al servizio delle vendite online che, aggiunge l’AD di Pinalli, vengono realizzate tutte attraverso la piattaforma diretta dell’azienda. Per la gestione degli ordini online così come per il rifornimento dei punti vendita Pinalli ha investito moltissimo nella logistica interna, compresa la flotta di camion e furgoni per l’approvvigionamento dei negozi mentre per l’e-commerce ci si avvale di spedizionieri terzi. Il packaging firmato Pinalli, e in questo caso a seconda delle commesse realizzate da cartotecniche che possono essere anche scelte di volta in volta in base al tipo di commessa, riguarda le scatole premium, quelle pensate per regali o ricorrenze – come il Natale anche se non c’è una vera e propria scatola natalizia – o per offerte, promozioni, campagne mirate. Si tratta di scatole personalizzate, nobilitate anche da fiocchi e, sempre in cartoncino, con i Pantone caratteristici dell’azienda.

In futuro le commesse di lavori cartotecnici e di packaging da parte di Pinalli però è destinato ad aumentare con lo sviluppo, previsto dal piano quinquennale, della linea di prodotti a marchio della catena. Limitato per ora agli accessori con numeri limitati, il private label viene considerato dall’azienda un’altra opportunità di crescita e quindi, conclude Raffaele Rossetti, è destinato nei prossimi anni a crescere per rafforzare l’identità e il riconoscimento del brand Pinalli.

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FEDRIGONI SELF-ADHESIVES PRESENTA

LE ULTIME NOVITÀ NEL MONDO GRAPHICS

Il 2022 è stato un anno importante per il mondo Graphics di Fedrigoni Self-Adhesives. Da una parte si è rafforzato il legame tra le diverse business unit del gruppo, che comprende anche il brand Ritrama, e dall’altra si è lavorato per colmare il gap esistente nel segmento dei film autoadesivi di grande formato introducendo nuove soluzioni. È inoltre previsto per gennaio il lancio ufficiale di un media che mette l’accento sulla sostenibilità. Ci racconta tutto Paola Cerchiai, Business Development Manager di Fedrigoni Self-Adhesives.

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Quali sono le ultime novità in termini di prodotto della gamma Ritrama Graphics di Fedrigoni Self-Adhesives?

Il 2022 è stato un anno particolarmente ricco per noi, perché ci siamo focalizzati sullo sviluppo di due prodotti ed una gamma intera di soluzioni per il mondo della comunicazione visiva. La prima è il nuovo Ri-Jet C50 Ultimate S&T, un materiale cast per decorare, o meglio wrappare gli automezzi; la seconda, il Ri-Mark Platinum, è una gamma di colorati polimerici di lunga durata – parliamo di otto/dieci anni – che rientrano nella categoria dei vinili da intaglio. La terza invece è una poliolefina il cui lancio ufficiale avverrà a Gennaio 2023, e rappresenta il secondo prodotto senza PVC che abbiamo introdotto sul mercato.

Qual è il vostro focus principale in questo momento in termini di applicazioni?

Ci stiamo concentrando moltissimo sul cast, perché siamo certi di avere tra le mani un prodotto assolutamente eccellente. Una qualità confermata non tanto da noi, che saremmo di parte, ma soprattutto dagli applicatori con cui stiamo lavorando, che hanno testato il prodotto e ci hanno restituito dei feedback estremamente positivi sulla stampabilità, la conformabilità e la facilità di applicazione: è un materiale che semplifica il lavoro di chi lo utilizza. L’obiettivo, adesso che abbiamo una soluzione che soddisfa le necessità del mercato, è quello di organizzare open house su territorio europeo e non per promuoverlo.

In termini di richieste del mercato, quali sono le ultime tendenze?

La sostenibilità direi che sicuramente è il leitmotiv. Anche nell’ambito Graphics, così come nelle altre aree di applicazione dei prodotti Fedrigoni, i clienti sono sempre più alla ricerca di soluzioni che possano essere considerate sostenibili, e dico “essere considerate” perché ad oggi nel Graphics si ricercano più che altro film senza PVC, mentre sappiamo come la sostenibilità sia un concetto un po’ più complesso. La problematica che riscontriamo

quotidianamente, e a cui cerchiamo di rispondere facendo corretta informazione, consiste nelle attese in merito di stampabilità, prezzo e applicazione che il mercato si aspetta da una soluzione senza PVC, che non possono eguagliare quelle di un prodotto con PVC. Essere trasparenti su quella che sarà la resa finale è fondamentale, così come continuare a investire in un trend destinato a crescere nei prossimi anni, motivo per cui proprio a gennaio 2023 è previsto il lancio ufficiale della nostra poliolefina.

Ci racconta nel dettaglio un esempio di progetto realizzato con i vostri materiali?

Non rientra nelle ultimissime novità ma c’è un progetto che ci sta particolarmente a cuore perché esprime molto bene il livello estremo di personalizzazione che si può ottenere utilizzando i materiali autoadesivi per il grande formato di Fedrigoni Self-Adhesives, che sono adatti ad ambienti esterni e interni e possono essere utilizzati su superfici come pareti, finestre, veicoli e pavimenti. Si tratta di quello realizzato da Grafox, azienda che si occupa di allestimenti, stampa e prototipi, che si è dedicata alla personalizzazione di scuole per l’apprendimento conscio e subconscio dei ragazzi. Aule, palestre, corridoi e arredi scolastici sono stati decorati per raccontare temi legati all'educazione e al sociale, come ad esempio il cyberbullismo: una parete non è più solo una parete, ma diventa un messaggio per gli studenti, oltre a rinnovare e riqualificare gli spazi scolastici. Un eccellente lavoro di squadra anche grazie al contributo di MCA Digital, nostro distributore che ha fornito i materiali per il primo progetto di rinnovamento della scuola Enrico Tosi di Busto Arsizio dove i materiali da stampa Ri-Jet sono stati applicati sulle pareti e sui banchi dell’istituto dando vita, all’interno delle aule, a soggetti futuristici e scientifici dal grande impatto visivo e dall’effetto wow.

Le regole del negozio perfetto

Laddove comunicare importa più che vendere, “flagship” e “pop up” store si impongono come modello definitivo di negozio. Tutti diversi ma con un trait d’union: allestimenti personalizzati e studiati nel dettaglio, per garantire ai consumatori una shopping experience fuori dall’ordinario.

di CATERINA PUCCI

Spuntano all’improvviso tra le vie principali delle città. A volte restano per qualche settimana o mese, altre si fermano un po’ di più. Possono essere piccolissimi o molto grandi, quasi sicuramente affollati. Li definiamo temporary store o pop up (che in inglese significa letteralmente sbucare dal nulla) anche quando di temporaneo hanno ben poco. Sono tutti diversi fra loro, ma hanno anche moltissimo in comune: design concepito ad hoc, assortimento di prodotti specifici, allestimenti personalizzati e spazi destinati a eventi e altre attività di intrattenimento. Un nuovo modo di concepire l’esperienza d’acquisto in negozio ha cominciato a farsi strada da un po’ di tempo: se fino a qualche anno fa la progettazione in ambito retail aveva come fine ultimo la vendita, oggi la presenza di uno store fisico ha soprattutto lo scopo di consolidare la brand identity e regalare agli utenti una shopping experience fuori dall’ordinario, quasi per niente di garantire l’acquisto. Che tanto, nella maggior parte dei casi, avviene successivamente, spesso online. Purché l’esperienza in negozio sia stata positiva.

La crisi del negozio tradizionale

Secondo ilSole24Ore l’affermazione del modello “pop up” potrebbe essere legata al timore delle aziende di “vincolarsi”, investendo sul lungo periodo nel retail fisico, dopo lo smacco subito durante la pandemia. Un tempo i contratti di locazione nelle grandi vie dello shopping vincolavano l’affittuario per almeno 4-6 anni, mentre oggi la formula “temporary” consente di testare l’andamento di un punto vendita e smontarlo in caso di flop entro 12 mesi dall’apertura. Sempre a ilSole Franco Rinaldi, responsabile delle attività di property management di Cbre (Commercial Real Estate Services), società che si occupa di consulenza immobiliare, ha spiegato che in futuro il 10-20% della GLA (gross leseable area, superficie totale affittabile) di un centro commerciale avrà questa formula dinamica di affitto, che porta più reddito alla proprietà e rende più dinamici e interessanti i centri anche per la clientela.

Flagship, il “fiore all’occhiello” di un brand Una strategia che potrebbe rinnovare gli stessi flagship store (i negozi vetrina), salvandoli dalla crisi che stanno vivendo. Costosi, date le metrature importanti, benché molto più originali di un negozio tradizionale, i flagship perdono di senso quando non sono più in grado di offrire un’esperienza rinnovata, in grado di portare ai clienti un valore aggiunto concreto. Attualmente comunque l’apertura di un flagship store segna il primo sviluppo di un brand nel contesto dei venditori di moda e del lusso, una sorta di consacrazione al grande pubblico. Con quasi tre milioni di prodotti venduti all’anno e un fatturato di oltre 60 milioni di euro nel 2021, Veralab è una delle imprese italiane di maggior successo nel settore cosmetico. All’e-commerce, con cui il brand ha raggiunto il successo in rete, si sono via via affiancati diversi punti vendita fisici: i monomarca aperti a Milano (2019) e Roma (2021), i corner nei punti vendita Rinascente sparsi in tutta Italia, le profumerie Pinalli e gli store Naïma e, recentemente, anche le farmacie. A settembre 2022 Veralab ha fatto il suo debutto all’interno della Stazione Centrale di Milano, con un pop up store dedicato alla bellezza inclusiva, in uno stile che rimanda all’architettura dello storico edificio in cui si trova, progettato da Ulisse Stacchini nel 1924. Il concept è stato affidato allo studio 23bassi, artefice anche del temporary di Roma Termini, dei flagship presenti a Milano e nella Capitale e dei corner in Rinascente. «Veralab è un brand che ha costruito la propria identità soprattutto online, puntando su una comunicazione e su un’identità visiva dirompenti. Siamo rosa, anzi fucsia: prima di noi nessuno nel mondo del beauty lo era» racconta Laura Assini, responsabile marketing di Veralab. Proprio in virtù della sua natura di media company, il brand ha sentito la necessità di stabilire un contatto diretto con clienti e follower, regalando loro una customer journey in cui potessero ritrovare tutti gli elementi che contraddistinguono Veralab. «Tanto nella progettazione dei flagship quanto in quella dei corner abbiamo puntato ad accantonare il concept della classica profumeria o del tradizionale negozio beauty monomarca. La prima cosa che ci siamo chiesti è stata: a chi vogliamo parlare?» continua Assini. «Abbiamo deciso di puntare molto sulla consulenza e sull’acquisto assistito, rendendo il camerino il centro nevralgico dell’esperienza d’acquisto» spiega Chiara Frigerio, architetta e fondatrice di 23bassi. «In ogni store abbiamo inserito un elemento assolutamente ludico, che cambia di volta in volta, a seconda del contesto. A Milano, per esempio, abbiamo creato

lo “scivolone”, uno scivolo in plexiglass fucsia che collega i due livelli del negozio: le clienti lo usano per gettare i flaconi vuoti, ottenendo così un prodotto in omaggio. In questo modo si trasforma un gesto virtuoso come la raccolta delle confezioni usate in qualcosa di iconico».

Qualcuno guarda al metaverso

Le esperienze immersive che giocano sull’integrazione con le tecnologie digitali rappresentano la grande scommessa per il futuro. Le grandi aziende guardano al metaverso come la nuova frontiera dell’e-commerce, e l’evoluzione definitiva del retail stesso, con tutte le ricadute sulla distribuzione che si possono immaginare. Lo confermano anche i dati: secondo una recente analisi della società di investimenti Morgan Stanley, entro il 2030 questo nuovo modello digitale potrebbe generare un giro d’affari di 50 miliardi di dollari, in particolar modo nel settore luxury.

Benetton Group è una delle aziende di moda più note al mondo, con una rete commerciale di circa 4.000 negozi. Qualche mese fa ha deciso di rivoluzionare il suo negozio in Corso Vittorio Emanuele a Milano, con un allestimento speculare a quello del nuovo store virtuale, inaugurato in occasione della Fashion Week. Il flagship store, infatti, è stato invaso dal colore rosa che ha ricoperto tutte le superfici: dalle vetrine agli interni, dalle grucce agli scaffali per creare un’esperienza cromatica coinvolgente e, al contempo, far risaltare la tonalità dei capi. In una nota aziendale, Massimo Renon, AD di Benetton Group ha detto: «Abbiamo voluto capovolgere l’esperienza immersiva, creando nel retail fisico lo stesso ecosistema emozionale del nuovo store virtuale». All’interno dello store Benetton nel metaverso non si fanno acquisti, ma i visitatori possono partecipare a esperienze di gaming e accumulare QR code per effettuare acquisti all’interno dello store fisico. Una strategia che crea un ulteriore touchpoint con il consumatore nella strategia omnichannel del marchio. «Siamo tra i primi brand a sperimentare l’omnicanalità diffusa, cioè la circolarità tra mondo fisico – metaverso – mondo fisico» spiega Antonio Patrissi, Chief Digital Officer di Benetton Group. «L’intento è offrire un ponte dimensionale tra presente e futuro, tra reale e virtuale, passando attraverso un’esperienza di brand».

Anche H&M è da poco sbarcata nel metaverso insieme Ceek, società che offre servizi digitali collegando artisti, atleti e creator digitali direttamente con i loro fan nel mondo digital, con l’apertura del suo primo negozio virtuale. L’allestimento ricorda in tutto e per tutto quello di un negozio vero e proprio. In realtà lo store esiste soltanto a Ceek City, universo tridimensionale in cui sono già presenti teatri, sale concerto e campi sportivi e accessibile tramite abbonamento. La piattaforma vende sia oggetti digitali (inclusi NFT) sia vestiti reali (da ordinare e ritirare nei negozi fisici della catena). I pagamenti si effettuano con la valuta locale: i Ceek Coin. Roblox è un videogioco pubblicato per la prima volta nel 2004 da Roblox Corporation: al suo interno i giocatori possono personalizzare il proprio avatar e creare mondi in 3D, comprando oggetti e decorazioni tramite un’apposita valuta, i Robux. In questo luogo virtuale Gucci ha venduto una versione digitale della sua borsa Dionysus al prezzo di 350.000 Robux (circa 4.100 dollari). Un prezzo più alto rispetto a quello del prodotto reale, che costa circa 3.400 dollari. All’interno di Roblox, Gucci ha inoltre rilasciato Gucci Garden, uno spazio espositivo virtuale liberamente ispirato alle campagne pubblicitarie del brand. Mentre i visitatori ammirano la galleria, i loro avatar si trasformano in manichini che assorbono gli elementi della mostra, trasformandosi in opere d’arte digitali. Per tutto il tempo di apertura della mostra virtuale, i visitatori hanno anche potuto scegliere per ciascun avatar alcuni articoli in edizione limi-

tata, disponibili all’interno di una boutique creata appositamente per garantire questa esperienza. Anche Nike, tra le prime multinazionali dell’abbigliamento a cogliere l’importanza del metaverso, si è lanciata nella creazione di una dimensione virtuale. Nikeland, ispirata al quartier generale di Nike, include edifici di vario genere, oltre a campi e arene in cui i giocatori possono competere tra loro.

Rinnovati ma sostenibili

La sostenibilità resta un grande trend, ma anche una sfida. In media, un punto vendita ha una vita di circa 5 anni, dopodiché viene rinnovato per dare spazio a nuovi concept estetici. Il restyling implica spesso una completa ristrutturazione e l’eliminazione fisica dell’allestimento precedente: per un brand con migliaia di store in tutto il mondo significa tonnellate di materiali di rifiuti. Un modus operandi antieconomico oltre che poco sostenibile. Le aziende se ne stanno progressivamente rendendo conto e cercano di utilizzare materiali riciclabili, con contenuto riciclato, oppure riutilizzabili o recuperati. Oltre a progettare concept in modo che siano rinnovabili senza la necessità di gettare via nulla, in una logica più orientata al circular design. Un’abitudine sempre più diffusa è dotare i propri flagship o pop up store della certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), inserendo all’interno degli allestimenti solo materiali con emissioni ridotte o pari a zero o che contribuiscono al risparmio energetico.

Athena nasce nel 2007 dall’idea di quattro giovani imprenditori desiderosi di offrire servizi di comunicazione fuori dai circuiti delle grandi città. Il suo centro stampa, inizialmente operante soltanto sul territorio calabrese, estende rapidamente i propri servizi a tutto il territorio nazionale. Avvalendosi di tecnologie all’avanguardia, professionisti nel campo della progettazione, e una serie di fornitori fidati per la scelta delle materie prime, l’azienda riesce ad acquisire nel tempo clienti importanti e si specializza nella fornitura di servizi di stampa per il mondo del retail e della GDO (che rappresenta il 45% del suo fatturato). «Nella comunicazione outdoor è ancora un’utopia, ma negli allestimenti indoor abbiamo già cominciato a sostituire i materiali plastici con alternative sostenibili. Siamo a buon punto: al momento circa l’80% dei supporti che utilizziamo proviene da fonti ecosostenibili» spiega Marino Fusco, Amministratore Unico di Athena. «Il cartone è molto richiesto, soprattutto nell’ambito della GDO, in cui i clienti ci chiedono allestimenti “genuini”, motivo per cui si preferiscono tinte tenui o colori naturali. Certo, è necessario considerare le stringenti normative anti incendio che in molti allestimenti interni prevedono l’utilizzo esclusivo di materiali ignifughi».

L’omnicanalità non è più un optional

Insomma il negozio fisico sopravviverà solo laddove saprà portare ai clienti un reale valore aggiunto. Se prima adottare una strategia multicanale era opzionale, oggi è fondamentale per continuare a esistere. I confini tra negozi tradizionali e flagship o temporary store si fanno sempre più sfumati. Per dirla ancora meglio, il negozio del futuro dovrà essere flagship di default, nel senso che le peculiarità di questo modello (allestimento curato ad hoc, customer experience immersiva e personalizzata) dovranno essere adottate fin dalle fasi di progettazione. E quindi, occorre concentrarsi su una customer experience rinnovata: fluida, attrattiva, realmente funzionale ai bisogni e alle aspettative dei clienti, senza fermarsi su ciò che il consumatore dà ormai per scontato. Altrimenti, arrivederci e online.

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