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Insuperlabel

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Make a Mark

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IL LABEL DESIGN CONTEST IDEATO DA AUROFLEX UNICO NEL SUO GENERE

È un contest unico nel suo genere quello interamente dedicato alle etichette che prende il nome di Insuperlabel e che, come spiega Claudia Fuschi, Marketing & Communication Manager di Auroflex, azienda di Alcamo (TP) specializzata nella stampa di etichette in bobina, «nasce come occasione di confronto tra il mondo delle arti grafiche e la stampa. Eravamo desiderosi di scoprire dove la libertà creativa sarebbe potuta arrivare qualora chi si occupa di grafica non fosse costretto in specifici limiti e vincoli. Abbiamo per questo assegnato un tema progettuale che potesse essere il fattore comune a tutti, ma abbiamo poi lasciato totale libertà espressiva nella realizzazione del progetto grafico». Lo scopo? Utilizzare tecniche di stampa innovative per creare etichette uniche, combinando le potenzialità della tecnologia digitale HP Indigo con la qualità e le prestazioni dei supporti Fedrigoni Self-Adhesives, dei materiali per la nobilitazione Leonhard Kurz distribuiti in Italia in esclusiva da Luxoro e l’operatività dei software Esko per la pre-produzione. Grazie a momenti di approfondimento e formazione i partecipanti hanno potuto ripensare sia alla progettazione ma specialmente alla realizzazione di quel sofisticato sistema di comunicazione che è l’etichetta, in grado di produrre significato a diversi livelli di profondità e di senso.

E ricche di significato, infatti, sono le etichette che sono entrate nella rosa delle otto finaliste, fino alla scelta, da parte della giuria composta da Leonardo Sonnoli, Fausto Gristina e Giovanni Angelucci, del lavoro realizzato da Salieri 3, studio creativo di Enrico Cerri e Giuseppe del Greco. Un lavoro che si è distinto tra quello di oltre 50 agenzie iscritte quest’anno, provenienti da tutta Italia con «la percentuale più alta – prosegue Fuschi – composta da agenzie siciliane, soprattutto della provincia di Trapani, il che ci inorgoglisce e ci fa riflettere sul fatto che probabilmente il vitigno più grande di Europa, nel quale ci troviamo, porta inevitabilmente a essere un laboratorio di idee nel mondo del vino». Ma cosa distingue Insuperlabel dagli altri contest nel mondo del packaging design e delle etichette?

«Insuperlabel – dice ancora Fuschi – non si basa su prodotti già esistenti, ma bensì su creazioni fatte ad hoc. Al centro di tutto c’è la creatività: i partecipanti hanno potuto realizzare una wine label senza nessun vincolo a partire da un tema progettuale a cui ispirarsi, sfruttando l’opportunità di seguire training realizzati ad hoc da tutti i partner concludendo poi con la stampa in Auroflex. Un momento di condivisione importante che ha permesso ai grafici di prendere le decisioni dell’ultimo miglio e di scoprire in che cosa consiste la stampa di un’etichetta. Per la prima volta un etichettificio si è occupato

Si è conclusa il 1° dicembre con una cerimonia di premiazione alla Villa Favorita di Marsala la prima edizione di Insuperlabel, il contest promosso da Auroflex in partnership con HP Indigo, Luxoro, Fedrigoni Self-Adhesives e Esko. Lo studio creativo Salieri 3 si è aggiudicato il podio.

PH. ©Luca Stabile

LE INSUPERLABEL 2021

I partecipanti a Insuperlabel 2021 hanno interpretato il tema della cantina "Vigna del Mare”, una narrazione verosimile ma non vera, incontro di tradizioni, personaggi e paesaggi scritta da Marcello Ingrassia, scrittore e contributor di riviste come Porthos, Slow Food e Slow Wine. Ecco l’etichetta vincitrice e le altre sette finaliste in ordine nella foto da sinistra a destra:

Salieri 3

L’etichetta vincitrice è realizzata grazie ad un accoppiamento di carte Modi Barrier e Cotone Bianco UWS e l’abbinamento di serigrafia a rilievo e stampa a caldo.

Clara Giglio

Due elementi della storia, terra e mare, si combinano diventando un unico paesaggio grazie all’uso di HP Mosaic e di una lamina a caldo su carta Picasso Xdry WS Barrier.

Maria Giannico

Ad avvolgere la sezione aurea della conchiglia, impreziosita dalla lamina a caldo con microincisione in contemporanea e il rilievo a secco, note olfattive che appartengono all'uva Grillo come la zagara e i fiori di campo. Farfalle in libertà invece cambiano la propria posizione in ogni etichetta. Realizzata su Materica Gesso Ultra WS.

Gianclaudia Marino

Il coniglio che ad ogni etichetta varia la sua posizione è realizzato con lamina a caldo e rilievo a secco, il dato variabile si presenta inoltre sulle colline che si affacciano sul mare cristallino: i colori cangianti di mare e sabbia sono ottenuti grazie dall’uso delle due lamine a caldo. Il paesaggio del racconto inserito viene enfatizzato grazie alla serigrafia lucida. In questo caso accoppiamento di carte: Modi Barrier e Cotone Bianco UWS.

Giulio Patrizi

La lamina oro con microincisione applicata sul vitigno Perricone è di grande effetto visivo, illumina e impreziosisce la sua Insuperlabel. Il dato variabile è lo sfondo che cambia. La carta scelta è Eden.

Kiu – Carlo Frisardi

Stampa a rilievo a secco e una lamina a caldo a suggellare l'abbraccio tra terra e mare, più una fustellatura che abbraccia la bottiglia. Carta Materica Gesso Ultra WS.

Ferrario Design

Il denominatore comune è l’intreccio tra la macchia mediterranea, i vigneti e il mare realizzato grazie a molteplici tecniche di stampa. Un percorso impervio segnalato dalla serigrafia lucida e da punti precisi impreziositi dalle lamine a caldo, il rilievo a secco nel punto dove la sabbia incontra la strada più il dato variabile fatto con inchiostro invisibile. La carta è Materica Gesso Ultra WS.

Adduma

La tecnica dell'oro colato è stata applicata nella bottiglia, il dato variabile è nella corda, ciascuna diversa dall'altra, mentre il rilievo a secco racconta le increspature del mare. L’etichetta è realizzata con Materica Gesso Ultra WS.

di coordinare tutte le diverse fasi e di fare da capofila all’intera filiera con il supporto di partner tecnici d’eccezione come HP». Non solo produzione dei lavori, dunque, ma un lavoro di organizzazione e coordinamento che per Auroflex ha rappresentato una sfida importante, portata avanti con grande determinazione. «La filiera delle etichette ha lavorato in maniera unisona su un solo progetto dalla fase iniziale a quella di stampa. Uno degli elementi che hanno reso a nostro avviso Insuperlabel un importante momento di confronto è il fatto che tutti i partner hanno contribuito in maniera determinante a ciascuna delle fasi, si è fatto un vero gioco di squadra, si è creata una splendida rete e sono nati rapporti che prima erano meramente legati al campo professionale. L’elemento che ha sorpreso tutti è la qualità dei progetti grafici: tutti diversi, molto complessi e frutto delle competenze che sono state fornite in maniera identica a tutti i partecipanti. Nessuno partiva avvantaggiato, ma il percorso è stato comune e condiviso a tutti» dice ancora Claudia Fuschi.

Una prima edizione che ha portato riscontri molto positivi, e lascia ben sperare in edizioni future: «stiamo già lavorando all’edizione 2022 scegliendo così di renderlo un appuntamento annuale. Le novità saranno molte ma non possiamo al momento svelarle tutte; abbiamo però chiaro cosa desideriamo che Insuperlabel diventi negli anni a venire. Desideriamo aprire una sezione dedicata agli studenti, loro sono i creativi del domani ed è importante coinvolgerli fin da ora in questi progetti. Desideriamo che Insuperlabel diventi un contest di livello internazionale, ma soprattutto ci impegneremo affinché diventi il punto di riferimento per il mondo delle arti grafiche» conclude Fuschi.

PH. ©Luca Stabile

di MICHELA PIBIRI

La manifattura additiva sta cambiando la produzione manifatturiera in Italia, contribuendo a una piena digitalizzazione della supply chain e a un incremento della produttività. L’automotive, l’aerospaziale, il medicale sono i mercati di riferimento, ma negli ultimi anni quella che viene anche chiamata stampa 3D ha guadagnato terreno nei campi del packaging, della comunicazione visiva, del design e della moda. I risultati? Applicazioni sorprendenti che fanno esclamare il tanto agognato “WOW!”.

La parola magica è personalizzazione, accompagnata a tempi di esecuzione rapidissimi: è questo il mantra del vantaggio competitivo delle tecnologie digitali, imbattibili sul piano del time-to-market e sulla possibilità di sviluppare soluzioni efficaci sulle basse tirature e sui pezzi unici. La manifattura additiva, che è una “nativa digitale” a tutti gli effetti, incarna questi principi ed è in crescita in tutte le aree applicative. «Non è una tecnologia nuova, esiste da 30 anni e ha avuto modo di sedimentarsi ed evolversi» dice Enrico Toson, Marketing manager di Stratasys, uno dei principali player mondiali nella produzione di macchine per la stampa 3D. «Risponde a diverse necessità e viene utilizzata in tutto il ciclo di vita del prodotto, con due fondamentali distinzioni: prototipazione e produzione. Nella produzione può essere usata per costruire strumenti di supporto o nella realizzazione vera e propria del prodotto finito. Le sue peculiarità sono l’efficacia sui piccoli-medi lotti, la personalizzazione, il passaggio dalla progettazione alla produzione in tempi rapidissimi e la scomparsa di molti limiti produttivi: si può produrre un pezzo unico, anche con forme molto complesse, ed eliminare l’assemblaggio» conclude Toson. «Quello della stampa 3D è un mercato complesso e veloce, che si evolve in maniera esponenziale» dice Sergio De Angelis, Market research & innovation technology di DGSHAPE, spin-off di Roland DG specializzato in ambito medicale. «Ha grandi potenzialità, ma anche molte insidie se non si hanno le idee chiare. Per intenderci, l’evoluzione tecnologica e la scadenza di molti brevetti hanno portato a un abbassamento dei prezzi delle macchine 3D, tanto che le entry-level si trovano anche nelle scuole e nelle case per l’autoproduzione di piccoli oggetti. Malgrado questa accessibilità ben pochi ne hanno tratto progetti redditizi, perché serve una preparazione specifica per generare file in 3D e perché è difficile creare modelli di business sostenibili. Per questo chi produce tecnologia deve specializzarsi, come hanno fatto grandi aziende che hanno puntato tutto su macchine di fascia alta per la progettazione funzionale di nicchie molto verticali come l’automotive, l’aerospaziale e il medicale», conclude De Angelis.

Forma e materia in una logica 4.0

Tracciata una distinzione tra questi due principali posizionamenti – il consumer e l’industriale, perché è sul secondo e sulle sue applicazioni che ci concentreremo – facciamo un passo indietro: cosa si intende per manifattura additiva? In estrema e non esaustiva sintesi, quella che viene anche chiamata stampa 3D, indicata con l’abbreviazione AM – Additive Manufacturing – consiste nella costruzione di oggetti tridimensionali tramite l’aggiunta di layer di materiale. O meglio, di materiali: il panorama è molto ampio e legato alla tecnologia utilizzata e alle relative applicazioni; quelli più comunemente utilizzati sono materiali polimerici e metallici ma ce ne sono molti altri, da quelli ceramici a quelli a base organica. «Il focus oggi è tutto sui materiali e sui software, che si sono molto evoluti e continuano a farlo» dice ancora De Angelis di DGSHAPE. Anche il panorama delle tecnologie è vastissimo e in evoluzione: i modi per aggiungere strati di materiali vanno dall’estrusione (la tecnica più conosciuta a livello consumer è quella della FDM, ossia la modellazione a deposizione fusa) alla fotopolimerizzazione, dalla fusione del letto di polvere al material jetting, dal binder jetting alla deposizione di energia diretta fino alla LOM, laminated object manufacturing, che può utilizzare anche la carta, e il panorama si dirama ulteriormente in sottocategorie di processo, materiali e applicazioni che differiscono enormemente tra loro.

Ma la realizzazione di un oggetto 3D è il risultato di un processo complesso e integrato, che parte dalla progettazione CAD, passa per la produzione in macchina, il finishing e la logistica di consegna: «Quello della manifattura additiva è un viaggio – dice ancora Toson di Stratasys – che richiede alle aziende di essere strutturate per progettare in maniera digitale». La manifattura additiva abbraccia, per sua natura, i concetti di produzione connessa, integrazione tecnologica e automazione intelligente che sono alla base dell’Industry 4.0. Sul finishing, poi, c’è ancora ampio spazio per l’innovazione: giocano un ruolo fondamentale anche le tecnologie sottrattive, che possono sia lavorare sulle finiture superficiali di un oggetto 3D, sia creare a loro volta oggetti nuovi a partire da panetti di materiale.

Dalla prototipazione alla produzione

Una ricerca commissionata nella prima metà del 2021 in area EMEA da HP, altro grande player della manifattura additiva con la tecnologia Multi Jet Fusion, rivela come la digitalizzazione della supply chain sia un asset per molte aziende italiane che hanno incrementato la produttività grazie alla creazione di componenti industriali su misura realizzati in 3D. Emerge anche come l’attuale frontiera della produzione additiva sia rappresentata dai prodotti finiti completi, ed è su questo che la tecnologia sta continuando a investire per passare dalla prototipazione, uno degli usi più classici dell’AM, alla produzione.

Ma date per assodate le applicazioni in ambito industriale e nei mercati verticali summenzionati, quali spunti creativi si possono trarre dalle potenzialità della manifattura additiva? Le possibilità di personalizzare e di produrre on demand, la libertà nel progettare forme complesse irrealizzabili con metodi tradizionali, le caratteristiche meccaniche e la leggerezza dei materiali rappresentano leve importanti per l’innovazione di prodotto in diversi ambiti, dalla visual communication al fashion, dalla gioielleria all’ottica fino all’arredamento, aprendo il campo a nuove possibilità espressive e di business.

Grazie a:

Enrico Toson – Stratasys Giorgia Giacobbe e Gino Rincicotti – HP Federico Zucchetti – Kornit Digital Vittorio Neri e Sergio De Angelis – Roland DG Carmel Rouhani – Sculpteo Federica Tisato e Oscar Stucchi – Sismaitalia Annalisa Nicola – XYZ Bags Claudio Molinelli e Ettore Lariani – ED Lighting

In alto: esempio di packaging per profumo realizzato da Sculpteo. Sotto: prototipi di packaging primario per cosmesi e beverage realizzati con tecnologia Stratasys J-Series.

Packaging su misura

Se parliamo di prototipazione, nell’ambito del packaging riveste un ruolo fondamentale la possibilità di vedere in anteprima gli aspetti tangibili di un prodotto pensato per la produzione su larga scala. Ed è per questo che la stampa 3D sta diventando sempre più importante nel ciclo di progettazione del packaging: una ricerca Stratasys attesta al 25% la percentuale di aziende produttrici di beni di largo consumo che vi fanno attualmente ricorso, tra cui Unilever che utilizza la tecnologia Stratasys J-Series per il suo ventaglio globale di oltre 400 prodotti alimentari, di home care e personal care. È importante, perché sia efficace, che il prototipo sia in tutto e per tutto verosimile a quello che sarà il prodotto finito nella sua resa estetica e tattile: a colori, dotato di texture e trasparenze, con tanto di stampa superficiale, simulazione di etichette e mix di materiali diversi sia rigidi sia flessibili. Così può diventare uno strumento di comunicazione potentissimo nelle attività di marketing e dei focus group, accelerando i processi decisionali. Non solo: ragionare da subito in 3D permette di scoprire in anticipo i difetti di progettazione, risolvendoli in tempo utile per effettuare nuovi test. Oggi è possibile raggiungere questo livello di verosimiglianza con un unico processo di stampa e in tempi ridotti, in un ambito in cui i beni sono in continua trasformazione. Oltre a brand come Unilever, ci sono anche grandi player nel mondo del packaging per la cosmesi, come Quadpack e Albéa, che attualmente si affidano alle tecnologie Stratasys per la prototipazione 3D. C’è poi anche chi sta già realizzando packaging finiti, completamente tailor made in AM.

Nel corso di LuxePack 2021, l’azienda francese specializzata in stampa 3D Sculpteo ha presentato esempi di packaging secondario per profumi, gioielli, orologi e spirits di alta gamma, sia rigidi sia flessibili, per mostrare le possibilità di personalizzazione e il livello estetico raggiungibile con i materiali e le finiture. «Abbiamo un ottimo rapporto con LVMH e abbiamo molti progetti a breve termine e in corso insieme» dice Carmel Rouhani, Marketing manager di Sculpteo. «I progetti spaziano dagli accessori alle componenti strutturali di bauli e borse. Abbiamo anche realizzato alcuni progetti espositivi con il nostro partner MH Decors, che ha progettato le vetrine per Hublot e Cartier. Il lusso – prosegue Rouhani – ha a che fare con l’innovazione dei materiali, del design e della tecnica, e quindi è davvero naturale vedere nuovi processi produttivi entrare nel mondo del packaging». La scelta della tecnologia e del materiale dipende dai vincoli del progetto, spiega ancora Rouhani: «Per parti molto dettagliate consigliamo le tecnologie LCD che utilizzano fotopolimeri. Per le parti flessibili, poliuretano termoplastico che utilizza la tecnologia Jet Fusion di HP e crea parti di qualità con proprietà elastomeriche e un’elevata resilienza al rimbalzo. Per la maggior parte dei progetti, il polimero PA11 è un’ottima soluzione che ha il vantaggio di essere di origine organica, incontrando l’attenzione alla sostenibilità nell’industria del lusso. Il nostro obiettivo è fornire soluzioni industrializzate che consentano la produzione in serie» conclude Rouhani.

Immagini 1, 2 e 4: abiti stampati in 3D con tecnologia Stratasys J850 3D Fashion. Immagine 3: ricamo digitale ottenuto con Atlas MAX di Kornit Digital.

Textile tra ricami digitali e magia estetica

Il lusso è affamato di esclusività e richiede un altissimo livello di precisione nella personalizzazione dei capi: è così che l’attenzione si sposta sui decori e sui ricami digitali sui tessuti. Dal direct-to-garment al roll-to-roll, stanno nascendo soluzioni tecnologiche in grado di restituire su diversi tipi di tessuto effetti tridimensionali a colori, altamente personalizzabili e con caratteristiche espressive che non è possibile ottenere con le arti tradizionali della serigrafia e dell’embroidery, come la resa fotografica delle immagini. «I designer sono sempre alla ricerca di novità per valorizzare il prodotto finale – dice Federico Zucchetti, Regional sales manager per l’Italia di Kornit Digital, specializzata nella produzione di macchine inkjet per la stampa tessile – ma attualmente per ottenere risultati efficaci sono necessari processi che presentano limiti dovuti alle tirature, ai costi e alle tempistiche». Kornit ha lanciato di recente la Atlas MAX per la stampa su capo, ed è prossimo il lancio di Presto MAX per il roll-to-roll: «grazie alla nuova tecnologia Xdi e alle nuove chimiche – prosegue Zucchetti – è possibile stampare applicazioni 3D ottenendo un bianco ottico di qualità transfer, simulazione del ricamo digitale ed effetti materici. La Presto MAX sarà la prima tecnologia roll-to-roll con la possibilità di stampare il bianco e gli inchiostri Fluo. Il materiale è sempre l’inchiostro bianco che viene depositato a strati intervallato con una chimica fissativa direttamente su capo o su pezza, tutto certificato GOTS 6. Kornit sviluppa chimiche e tecnologie con pigmenti base acqua completamente ecosostenibili» conclude Zucchetti. Il colore, in tutte le sue sfumature e gradienti, per una vera e propria “magia estetica” è la parola d’ordine di Stratasys che, in ambito textile, ha recentemente sviluppato la stampante J850™ 3DFashion™ con tecnologia che utilizza algoritmi 3D sul tessuto per creare design parametrici che offrono effetti illusionistici di luce e colore. Creazioni illimitate e flessibilità sono frutto di un flusso di progettazione generato da computer, controllabile manualmente solo in parte. La tecnologia brevettata permette di utilizzare diversi materiali, sia rigidi sia flessibili, sia opachi sia trasparenti, servendosi della tecnologia PolyJet, che permette di stampare volumi diversi in un unico passaggio ed è abilitata all’utilizzo di colori Pantone. Le applicazioni finali hanno un sapore futuristico, che rompe gli schemi di ciò che siamo abituati a indossare: abiti e accessori che proiettano i propri volumi nello spazio circostante, diventando non solo espressione di idee progettuali innovative ibridate con l’intelligenza artificiale, ma anche della personalità di chi li indossa. E sa di futuro anche l’attenzione alla sostenibilità: produrre in 3D significa uscire dalle logiche degli sprechi della produzione tessile di massa per realizzare ciò che serve, quando serve.

Gretel Cell e Dada, due modelli di borse create da XYZ Bags con tecnologia HP Multi Jet Fusion.

Accessori fashion on demand

“Sartoria digitale” è il termine che usa Annalisa Nicola, fondatrice e CEO del brand XYZBAG di Torino, per definire l’approccio adottato per la creazione delle sue borse. Il brand rivisita la borsa artigianale non rinunciando alla sua caratteristica più tradizionale, la pelle, che viene assemblata con elementi stampati in 3D: case rigidi o manici, a seconda del modello, con declinazioni che vanno dalla superficie piena caratterizzata dal bassorilievo, fino agli ultimi modelli: forme complesse generate in modo parametrico, ispirate ai diagrammi di Voronoi presenti, in natura, nelle strutture cellulari. XYZBAG prende il nome dalle coordinate cartesiane dello spazio euclideo, rivendicando così da subito la sua essenza tridimensionale. «Il concetto base è quello del desiderio – dice Annalisa Nicola – che crea un senso di affezione e di durabilità del prodotto. Chi acquista una XYZBAG sa che dovrà attendere che venga prodotta appositamente, e anche questa attesa crea un legame che allunga la vita dell’oggetto. Tanto più che la personalizzazione fa parte della sua anima». Il modello di business è infatti completamente on demand: «La sfida più grande è avere una filiera produttiva disposta a rispondere subito alla richiesta. Il processo parte dal designer che invia il progetto – personalizzabile dal cliente durante l’acquisto – al partner di stampa, che lo realizza con tecnologia HP Multi Jet Fusion 4200 o 5200, e poi ci rivolgiamo a carrozzerie industriali per le finiture superficiali. Gli elementi polimerici così ottenuti vengono assemblati alle parti di pelle o tessuto, imballati e spediti direttamente al cliente». Clientela che ha delle peculiarità precise: sono soprattutto uomini tra i 30 e i 50 anni, attratti dalle caratteristiche tecnologiche del prodotto che si presta a diventare un regalo significativo e personalizzato. Allo stesso tempo, XYZBAG comincia a rivolgersi al B2B come partner di brand del segmento borse in cui la customizzazione è molto richiesta. Lavorare in manifattura additiva, per Nicola, significa «creare oggetti in grado di dare autorevolezza alla plastica, materiale ingiustamente denigrato. Forte di un background familiare legato ai polimeri e di un percorso di formazione da progettista, ho voluto creare un progetto valoriale che trasmettesse anche un messaggio: la sostenibilità non è una questione di mero materiale ma del suo intero ciclo di vita. La tecnologia a polvere HP, per esempio, consente di ridurre drasticamente gli scarti di produzione e di reintegrare nel ciclo produttivo circa l’80% della polvere non fusa». Quanto alle prospettive future, Nicola dice: «Credo fermamente nel 3D. Se è vero che quello del prodotto-borsa realizzato in manifattura additiva è un settore ancora embrionale, ci troviamo in una fase in cui la scarsità di materie prime sta portando, necessariamente, a ridiscutere e ridimensionare le produzioni. Nel futuro vedo sempre più la combinazione di materiali diversi e la nascita di una cultura che abbandoni l’approccio di massa dei brand tradizionali a vantaggio di un approccio artigianale. Il prodotto 3D è esattamente come un manufatto, che può avere particolarità che lo rendono unico, ma la sua unicità non è solo estetica: la natura digitale delle nostre borse prevede che ogni pezzo contenga in sé un codice univoco che ne attesta l’unicità, l’autenticità e che rende superflua l’applicazione di qualunque etichetta».

Grande formato: comunicazione visiva “space invader”

Guadagnare lo spazio tridimensionale per comunicare in un modo che non può passare inosservato. E attivare una quarta dimensione, quella dell’immaginario, con una visual communication che si può toccare, attraversare, e addirittura abitare grazie alla manifattura additiva. È il lavoro quotidiano di Sismaitalia, azienda specializzata in grande formato per indoor, outdoor, instore e interior design. «Siamo in grado di utilizzare tutti i materiali per lavori che vanno dalla decorazione di un’intera casa alle affissioni, dall’allestimento di un punto vendita e delle vetrine ai PoP per la GDO» dice Federica Tisato, Marketing & communication manager di Sismaitalia. «Nel 2017 siamo stati i primi in Italia a installare una Massivit 1800 per la stampa 3D di grande formato, segmento nel quale attualmente siamo primi in Italia e secondi in Europa». Un investimento che ha ampliato enormemente le possibilità nell’ambito della visual communication e degli allestimenti su misura per grandi brand – tra cui Louis Vuitton e Chiara Ferragni – ma anche in ambito fieristico, interior con la creazione di oggetti di arredamento e illuminotecnica e, non da ultimo, in ambito artistico. Qui la manifattura additiva diventa strumento espressivo di artisti contemporanei, come Federico Clapis, per la realizzazione di sculture e installazioni, ma anche alleato prezioso nei restauri integrativi e nella replica di opere d’arte per necessità di conservazione. Viene inoltre utilizzata per la creazione di scenografie per cinema, teatro e televisione. Praticamente non esistono limiti applicativi, compresa l’integrazione tra 2D e 3D: un esempio è la creazione di manifesti che “sfondano” la parete di affissione per invadere lo spazio. La tecnologia Massivit 1800 è in grado di stampare a una velocità di 100 cm/secondo in X e Y e di 35 cm/h in Z, e può produrre singoli pezzi di un volume massimo di h180 x p120 x l150. Utilizza un materiale gel all’avanguardia, che si polimerizza alla luce UV durante la fase di stampa, abbinando così la velocità di movimento a quella di polimerizzazione/ indurimento del materiale. «Con il 3D lavoriamo su due fronti – prosegue Tisato – quello della prototipazione e quello della realizzazione finita di prodotti per grandi marchi. Produciamo il manufatto in 3D e poi procediamo al finishing, unendo alta ingegneria tecnologica a una grande abilità artigianale: abbiamo infatti un reparto che si occupa della lisciatura e delle più svariate finiture manuali, che vanno dall’applicazione della foglia d’oro alle verniciature e lucidature». Sull’approccio dei clienti alla stampa 3D di grande formato, Tisato dice: «Ci sono due tipi di clienti: quelli già altamente competenti anche dal punto di vista tecnico, che hanno messo a punto il progetto e ci forniscono il file SPL pronto per la produzione – di norma sono architetti, interior designer, modellatori 3D che lavorano per i grandi brand – e i clienti che hanno bisogno della tecnologia 3D ma non hanno la possibilità di progettare internamente. A loro offriamo anche la competenza dei nostri modellatori, che sono in grado di ricostruire completamente un modello anche a partire da una semplice foto scattata col telefono» conclude Tisato. In alto, due esempi di visual communication 3D di grande formato realizzati con tecnologia Massivit 1800. Sopra e a sinistra, elementi architettonici per il restauro integrativo e complemento d’arredo realizzati da Sismaitalia con Massivit 1800.

Lampade della collezione Icon di ED Lighting realizzate con tecnologia HP Multi Jet Fusion.

Luce sul futuro dell’industrial design

Anche il mondo dell’interior e del design industriale si sta confrontando con la stampa 3D. “Artigianalità industriale” è il concetto che riassume l’approccio di ED Lighting, brand italiano di illuminotecnica nato dall’incontro tra Ettore Lariani, architetto e designer, e Claudio Molinelli, professionista della luce e designer, all’interno di DaM – DESIGNaMILANO. «ED Lighting – dice Molinelli – nasce nel 2017 come brand che non si limita a progettare, ma produce rivolgendosi a un service di stampa, Prototek, che attraverso la figura di Andrea Barchi ci ha accompagnato nella conoscenza e nella scelta delle soluzioni di stampa che stavamo cercando, e che abbiamo trovato nella tecnologia HP Multi Jet Fusion». L’esigenza era quella di creare lampade di grande intensità luminosa con volumi e pesi ridotti, all’interno di un modello di business snello, in grado di ottimizzare i costi e di ridurre il time-to-market. Ma anche di distinguersi in un mercato, quello delle lampade, già decisamente saturo. Partiti con l’idea di lavorare con materiali tradizionali come legno e alluminio, i due designer hanno poi trovato la soluzione nella stampa 3D per la creazione di corpi illuminanti senza la necessità di stampi, fino alla creazione, con la collezione Icon, di lampade realizzare integralmente in 3D con paralumi dello spessore di 5/10 di millimetro, flessibili e abbastanza sottili da lasciar filtrare la luce. «Volevamo ottenere una collezione di corpi illuminanti molto artigianale – prosegue Molinelli – ma in parallelo cercavamo un metodo per ridurre al minimo il processo manuale, sia in produzione che nel finishing. Attualmente lavoriamo col nero e col grigio effetto cemento: quest’ultimo è il colore “naturale” del prodotto, realizzato in PA12, così come esce dalla macchina, dopo la sabbiatura. Per il nero viene fatto un bagno in tintura, che impregna il materiale e non crea, a differenza di come farebbe un coating, problemi di attrito nelle meccaniche mobili». La conquista del colore, tuttavia, è una prospettiva molto vicina e con HP, ED Lighting sta portando avanti delle prove-colore sempre in bagno di tintura molto promettenti. «Lavoriamo anche sull’effetto finale e le sensazioni tattili: se si fa attenzione si possono intravvedere i layer di stampa. Non vogliamo nascondere che la superficie è stampata in 3D, perché è la sua peculiarità, come è peculiare la scelta di lasciare i cavi a vista. I clienti finali sono amanti del design e dell’innovazione: apprezzano il 3D e le caratteristiche intrinseche del progetto, ma non solo. Spesso sono attratti delle caratteristiche puramente estetiche dei nostri prodotti». Oltre al colore, nel futuro di ED Lighting c’è anche molta ricerca per ridurre il peso e l’uso di materiale, con l’ambizione, anche, di colmare il gap – loro che sono stati i primi al mondo a utilizzare la stampa 3D di HP per la produzione di corpi illuminanti – attualmente esistente tra la produzione classica e la produzione additiva.

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