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1950-1969 Il dopoguerra e l’Italia del boom

Interessante il dibattito che si apre nell’immediato dopoguerra sull’identificazione del capo famiglia. Anche se dovremo aspettare il 1975 per una riforma completa del diritto di famiglia, subito dopo la guerra appare evidente a molti che l’attribuzione del titolo di capofamiglia nel registro anagrafico non riguarda scontatamente l’uomo più anziano.

Pochi anni di conflitto hanno mutato profondamente la cultura degli italiani, un popolo che prima della guerra era prevalentemente contadino e generalmente provinciale, e che si è trovato sorvolato da macchine volanti, attraversato da carri armati, jeep e motorette, nonché chiamato ad un impegno industriale per sostenere lo sforzo bellico. Questa «chiamata alle macchine» che ha accompagnato la classica chiamata alle armi ha riguardato soprattutto le donne, dato che gli uomini erano impegnati al fronte, ed ha portato ad una nuova visione della società e ad un nuovo ruolo per la donna, cambiando inevitabilmente anche la visione della famiglia. Inoltre sembra che questa figura di capofamiglia dia diritto a dei vantaggi economici, immaginiamo legati alle pensioni di guerra, per cui vengono chieste delle regole chiare che permettano agli ufficiali d’anagrafe di operare correttamente. Qualcuno coglie gli aspetti umoristici della situazione e scrive qualche battuta sugli stati di famiglia (chissà se era un antenato dell’amico Gianni Pizzo, che oggi accompagna la competenza con uno stile altrettanto efficace e pungente). Questa mutazione è rappresentata forse più efficacemente da una pubblicità che da tanti articoli: qui vediamo la pubblicità del moderno archivio meccanico, di fronte al quale non è più rappresentato un «mezzemaniche» con i baffoni, bensì una sorridente signorina.

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Continuano naturalmente tutte le discussioni attorno alle tematiche fondamentali della rivista: adozione, matrimoni, cittadinanze, iscrizioni anagrafiche. Alcuni aspetti sono mutati, nel tempo, ad esempio il fatto che le notizie anagrafiche non venissero rilasciate «a chiunque ne faccia richiesta», come avviene oggi, ma solo all’interessato oppure a chi dimostri un interesse legittimo (e pensare che all’epoca ancora non si parlava di privacy...) Si comincia anche a parlare di Europa unita, e la Rivista comincia a dedicare un po’ d’attenzione a questa importante tematica, anche se solo in anni recenti il diritto dell’Unione ha richiamato l’attenzione dei Servizi Demografici.

L’idea di un’associazione (qualcuno propone la parola «lega») degli Ufficiali dello Stato Civile ritorna in voga.

ricerca storica | parte quinta | 1950 - 1970 Il dopoguerra e l’Italia del boom

Parecchi quesiti riguardano la ricostruzione degli atti distrutti dagli eventi bellici, ma la guerra sembra essere velocemente dimenticata e per lo più si guarda al futuro, anche se alcuni strascichi non mancano, ad esempio i campi profughi o la questione della restituzione dei beni sottratti agli ebrei, e, di conseguenza, del riconoscimento della cittadinanza e dello status.

Nel 1953 perdura la norma che impedisce di attribuire ai neonati nomi stranieri, anche se verrà abrogata pochi anni più tardi.

Inoltre si inizia a vedere l’evoluzione tecnologica della società: cominciano articoli sui primi incidenti stradali, sulla meccanizzazione dell’anagrafe, sull’uso della macchina da scrivere per la redazione degli atti. Tutte questioni allora modernissime, oggi completamente superate dai calcolatori.

Notiamo che gli operatori chiedono il permesso per poter generare gli atti con la macchina da scrivere. Questo permesso arriverà nel novembre 1967, col Decreto del Ministero di Grazia e Giustizia(1), ma molti Comuni lo recepiranno solo qualche anno più tardi, continuando a scrivere a mano su modelli prestampati.

Mentre è del 1954 il primo riferimento che ho trovato sull’inseminazione artificiale umana:

ricerca storica | parte quinta | 1950 - 1970 Il dopoguerra e l’Italia del boom

In questi anni la Rivista si apre al mondo, presentando una bella panoramica sulla situazione dello Stato civile in molti Paesi, anche esotici. Come autore, devo riconoscere un grosso sforzo di ricerca perché anche oggi, nonostante Internet, non sarebbe facile raccogliere tutte queste informazioni.

Significative le diatribe che si imperniano attorno al retaggio di una norma fascista del 1939(2) contro l’urbanesimo: per evitare la migrazione verso grandi città e mantenere il carattere rurale del Paese erano state stabilite limitazioni al movimento delle persone. Negli anni ’60 la tendenza era esattamente opposta, con le grandi fabbriche del Nord che attiravano migliaia di famiglie, ma alcuni amministratori si appellavano a quella norma, non ancora abrogata, per cercare di limitare il flusso. Con queste premesse, si può forse meglio comprendere il significato dell’art. 16 della Costituzione, che oggi i giovani ritengono scontato: «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale». D’altra parte in altri Paesi questa libertà è una conquista ancora più recente, come si evince da un titolo di giornale del novembre 2010.

2) L. n. 1092 del 6 luglio 1939.

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