C'era una volta e forse c'e' ancora

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C’era una volta…

e forse c’è ancora Raccolta di fiabe scritte dagli alunni dell’Istituto Comprensivo J. Sanvitale -Fra Salimbene di Parma anno scolastico 2012-13

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Prefazione Le fiabe qui raccolte sono il frutto del laboratorio di scrittura creativa che l’Istituto Comprensivo ha voluto nei suoi progetti prioritari per la verticalizzazione dei curricoli. Hanno partecipato tre classi: una della primaria, la 5^A, e due della secondaria, 1^C e 1^E. Per i nostri ragazzi è stata un’esperienza senza dubbio molto entusiasmante e formativa. La “noiosa” grammatica era finalizzata alla creazione degli scritti. Aggettivi, pronomi, coniugazioni, non erano più fredde nozioni da imparare con esercizi sul quaderno o sul testo. Via tutto (o quasi) e dentro la creatività, la fantasia. Come si costruisce una fiaba? Quali sono gli elementi cardine che la compongono? Come si descrive un luogo, e un personaggio? E i dialoghi? Ogni classe ha affrontato gli elementi della scrittura creativa, secondo le proprie modalità, in base agli obiettivi che i docenti si erano posti per i propri alunni. La morfologia della fiaba di Propp, con le 31 funzioni dei personaggi, ha certamente guidato il percorso del progetto, e in alcuni scritti è evidente lo schema rigido che ne consegue. I ragazzi però avevano la necessità di riconoscere e seguire una traccia a loro comunque familiare e creare degli intrecci lineari e ridondanti per liberare meglio, alla fine, la fantasia. Fantasia che si ritrova nei luoghi, nei personaggi, nel loro modo di esprimersi. Un altro momento significativo è stato quando hanno illustrato le loro storie. Lì hanno dovuto fare i conti con un altro linguaggio, altri codici espressivi, altre regole. Non è stato facile coordinare la scrittura con il disegno. In una “semplice” illustrazione si debbono inserire tutte le descrizioni presenti nel testo e andare oltre. Coinvolgere ancor più chi legge nella storia, nei luoghi e parteggiare con i personaggi. Non ci sono sconti: le regole sono ferree e non si può barare. Spesso si sono dovute rivedere intere sequenze perché fossero armoniche con i testi. Le scene, gli eroi e gli antagonisti, dovevano essere descritti minutamente prima di passare al linguaggio iconico. Non è mai stato il caso a produrre i disegni. Chi ha collaborato con i compagni per le illustrazioni, si è docilmente fatto guidare dalla descrizione data e ha dovuto inserire ogni singolo dettaglio gli fosse fornito. I ruoli sono stati rispettati come in uno studio di art grafica: scrittore-designer. I ragazzi hanno compreso e accettato, con questo laboratorio, il ruolo di ognuno, assegnato secondo le capacità riconosciute da tutti. Il ruolo dell’insegnante, invece, seppur ovviamente imprescindibile, è stato sempre meno preponderante. 2


Ed è stato bello e appagante vedere come i nostri ragazzi hanno man mano acquisito sicurezza, iniziativa, competenza. Questo laboratorio non aveva la finalità di pubblicare un bel libro di fiabe perché diventasse un ricordo da sfogliare negli anni, soprattutto da parte dei genitori che con nostalgia rimpiangono i momenti della fanciullezza dei loro figlioli, ma soprattutto di svolgere un’attività creativa in cui le classi della primaria e della secondaria, per una volta, fossero veramente insieme. Siamo solo agli inizi e questo progetto potrebbe diventare una Collana di Fiabe e Leggende di cui questo volume è il numero UNO. Noi docenti, insieme ai nostri ragazzi, possiamo solo augurare buona lettura a tutti i bambini che ancora credono, o meglio vogliono credere, che ci sono ancora mondi fatati dove i buoni vincono e hanno il premio, e i cattivi sono puniti e cacciati dal regno.

Hanno collaborato al progetto le docenti Maria Rosaria Magarielli, 5^A Primaria Marcella Gussoni, 1^C Secondaria Stefania Popoli, 1^E Secondaria Paola Ghirardi per la supervisione alle illustrazioni delle fiabe degli alunni di 1^E. Art Grafica Stefania Popoli

Si ringrazia il Dirigente dell’Istituto Comprensivo, Prof. Pier Paolo Eramo, per avere creduto in questo progetto e averlo sostenuto.

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Sommario Principi e Principesse Un principe e una principessa Migliori amici Il Principe di Biribì Il Regno magico I “C’era una volta” della … Isiy e la spada magica Castelli e…Fantasmi Francesco il ragazzo in missione Jack e la strega buona La prima avventura di Leo Storie di Eroi, Maghi e … La Principessa Rosalba Alice e il Regno azzurro Giorgio e Alessandro La collana magica L’isola magica Maria e il boscaiolo Pullide e la principessa Marco e Linda Daniel e lo stregone malvagio 4

Classe 5 A E. Borrelli C. Ferrari G. Martini M. Piscina Classe 1 C F. Ghirardi S. Guareschi I. Savani M. Tuma R. Zucchi Classe 1 E Y. Abu

Pag. 7

N. Alfieri A. Ferrari

Pag. 70

T. Barbieri J.Bazzini L. Codilupi G. Compari P. Farasini E. Ferrarini

Pag. 77

F. Fontana M. Mesfun

Pag. 120

Pag. 9 Pag.13 Pag. 20 Pag. 24 Pag. 31 Pag. 32 Pag. 37 Pag. 43 Pag. 49 Pag. 57 Pag. 63 Pag. 64

Pag. 85 Pag. 91 Pag. 99 Pag. 107 Pag. 113


Il fiore magico Giacomo e il cavaliere temerario La ballerina migliore Mille stoffe per Celeste L’acqua magica del lago Giacomo all’avventura Arturo e il drago Giovanna e lo stregone Jacopo, l’eroe Alla ricerca del vaso magico

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G. Fontanesi M. Fusari M. Leoni V. Maestri F. Mora F. Mossini N. Quintavalla A.Railean

Pag. 126

M.Ruggiero G.Bouomrani

Pag. 175

M.Semino C. Vitale

Pag.180

Paf. 131 Pag. 137 Pag. 144 Pag. 151 Pag. 157 Pag. 164 Pag. 170


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Principi e Principesse

Raccontati dalla 5^A J. Sanvitale 7


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Un principe e una principessa C'era una volta un castello situato su una collina, con gli abitanti che vivevano in un villaggio nella foresta ai piedi della collina.

Come spesso accadeva c'erano ladri e assassini, ma il piĂš potente era uno stregone in gattabuia e senza poteri. In quel castello abitava una principessa di nome Elisabetta fidanzata con il suo cavaliere Gianluca; avevano una vita stupenda. Trascorsero cinque anni di felicitĂ e spensieratezza; in quegli anni una strega malvagia si travestĂŹ da bottegaia per riuscire ad entrare nel castello a liberare il mago cattivo. Insieme rapirono Elisabetta e la portarono nel cuore della foresta dove c'era il loro rifugio, nascosto sopra un albero incantato. La principessa fu obbligata a pulire, lavare e a fare i lavori piĂš umili. 9


Al castello intanto regnava la disperazione per la scomparsa di Elisabetta; Gianluca innamorato e disperato per la scomparsa del suo amore prese il suo cavallo bianco e andò da una fatina che gli diede una spada con poteri magici. Essa poteva infliggere solo due colpi.

Inoltre la fatina gli consegnò una bussola che gli avrebbe indicato la strada per trovare Elisabetta, l'ago della bussola avrebbe funzionato solo se guidato dal vero amore.

Il principe si mise in viaggio e dovette affrontare combattimenti contro mostri malvagi creati dallo stregone prima che andasse in prigione, tra cui un serpente gigante che sputava fuoco. Nel frattempo Elisabetta fu portata e nascosta in una prigione sulla cima della montagna più alta e difficilissima da scalare. Quando il principe uscì dalla foresta, l'ago della bussola gli indicò la casa sulla cima della montagna. 10


Il principe con il cavallo provò a salire ma l'animale scivolò e quindi il principe dovette scalare la montagna da solo. Nel frattempo la strega e lo stregone prepararono una pozione che fece cadere in un sonno profondo la principessa.

Solo il bacio del vero amore l'avrebbe potuta svegliare. I due malvagi scapparono cavalcando un drago. Quando il principe arrivò vide la principessa sdraiata per terra la abbracciò e la baciò; la principessa si svegliò. Ma la strega e lo stregone erano ancora vivi e si sarebbero per sempre opposti al loro amore. Per questo Elisabetta e Gianluca presero un altro drago più veloce e con pochi battiti d'ali raggiunsero i due cattivi. La strega lanciò un fulmine che rimbalzò sulla spada fatata del principe e uccise il drago che cadde investendo i cattivi, i quali non riuscirono a liberarsi e il principe li catturò esiliandoli in una terra lontana dal loro castello. Gianluca ed Elisabetta tornarono nel loro regno, si sposarono e nacque il 11


loro primo erede; vissero tutti insieme felici e contenti.

Fine

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Migliori Amici di Chiara Ferrari

C'era una volta, tanto tempo fa, un piccolo paesino di nome Bosco di Rovo. Bosco di Rovo era governato da re Alberto e da sua moglie, la bellissima regina Margherita. I due avevano avuto un’incantevole figlia che avevano chiamato Beatrice.

Il tempo passava e Beatrice era piĂš bella che mai : alta e snella, aveva una folta chioma riccia e il suo sguardo aveva l'intensitĂ di quello di un leone. Beatrice non sapeva di essere una principessa: alla sua nascita era stata affidata ad un'anziana coppia che non aveva avuto bambini. 13


Beatrice , quindi, cresceva tra i bambini del villaggio che la adoravano, in particolare Michele, il suo migliore amico, che tutti i giorni le portava un mazzolino di rose; lei lo ringraziava e metteva i fiori dentro ad un vaso. Quando era bel tempo, e il sole splendeva alto nel cielo, Beatrice, Michele e un loro amico, di nome Enrico, andavano sulle rive del lago, si spruzzavano, si tuffavano e si rincorrevano.

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Al compiere dei diciotto anni Beatrice venne convocata al castello dove le fu comunicato che era una principessa e che sarebbe dovuta andare a vivere nel castello. Però lei non voleva lasciare i suoi amici perciò chiese ai suoi genitori se Michele ed Enrico potevano vivere al castello e venne accontentata. Col passare del tempo Michele ed Enrico si erano innamorati di Beatrice, ma lei non se ne accorgeva. Michele aveva un carattere amichevole e piuttosto dolce; Enrico, al contrario, era aggressivo e presuntuoso. Un giorno un terribile stregone venne a sapere che Beatrice aveva il potere di mettere pace tra le persone che lui aveva fatto bisticciare, lui, invece, voleva disseminare l'odio tra la gente. Allora, nel cuore della notte, il malvagio stregone, rapÏ la magnifica principessa e, con un incantesimo, la addormentò e la rinchiuse in un bosco incantato. Il bosco, all'apparenza, sembrava un posto meraviglioso: era verde con molti fiori e con degli alberi carichi di dolci e succosi frutti. Ma mai nessun animale andava a riposarsi nel bosco e mai nessuno beveva nel ruscello da cui era attraversato. 15


Di notte il bosco era illuminato da misteriose e lugubri luci. Beatrice era cosĂŹ buona d'animo che gli animali si riunivano intorno alla casa dove era stata rinchiusa. Il re decise di dare in sposa la figlia al valoroso cavaliere che l'avrebbe salvata. Sia Michele che Enrico si offrirono di salvare la loro amata. 16


All' alba del giorno dopo i due partirono insieme, ma ad un certo punto, la strada prendeva due direzioni: una misteriosa e oscura, l'altra verde e gioiosa; Enrico intraprese la prima, Michele la seconda. Il sole stava calando e Michele stava cercando un riparo per la notte. Eccolo! Michele avrebbe trascorso la notte in una capanna abbandonata. Enrico non aveva cercato un riparo per la notte, perché avrebbe continuato a cercare Beatrice finché non l'avesse trovata.

Il giorno seguente passò tranquillo. Alla sera Enrico, che era più avanti di Michele, arrivò al bosco incantato, ma lo oltrepassò pensando che fosse un luogo troppo pacifico per poter essere il luogo del nascondiglio di una principessa. La mattina dopo Michele arrivò al bosco e percepì la presenza di Beatrice. Entrò nel bosco e lì la trovò, pensando fosse morta si disperò e, prima di andarsene, la baciò. 17


Lei lentamente si svegliò. Michele, felicissimo, le disse di tornare con lui al castello dove si sarebbero sposati. Però il bosco era sorvegliato dall'aquila, la fedele spia dello stregone, che gli raccontò tutto. Lo stregone elaborò un piano: doveva far ingelosire Enrico per farlo passare al lato oscuro. Il pomeriggio dopo lo stregone andò da Enrico e gli disse che Michele aveva trovato Beatrice e che stavano tornando a Bosco do Rovo per sposarsi. Enrico era perplesso: era più avanti dell'amico, ma non aveva trovato Beatrice. Accecato dall'invidia Enrico accettò la proposta dello stregone: avrebbe sposato la principessa solo se si fosse unito al lato oscuro e se avesse ucciso Michele. Allora lo stregone, col suo scettro magico, portò Enrico sulla strada di Michele. Enrico ordinò all'amico di consegnargli la ragazza, ma Michele rifiutò. Allora Enrico si scagliò su Michele, Beatrice pregava loro di smetterla, ma non veniva considerata. Dopo tre giorni di lotta Michele ed Enrico stabilirono una pausa nella quale Michele, sapendo di essere più debole dell'amico, si disperò. Comparve un elfo vestito di giallo, come tutti gli elfi, che accorse in aiuto di Michele e gli chiese cosa fosse successo, allora Michele gli raccontò la sua disavventura; l’elfo, che si chiamava Jorsh, disse a Michele di avere dei poteri magici, come tutti gli elfi, il suo potere era di immaginare delle cose e queste si concretizzano. 18


La pausa terminò ed Enrico era più combattivo che mai, ad un certo punto aveva disarmato Michele che chiese aiuto all’elfo allora in un battibaleno Michele ebbe una nuova spada. Dopo due giorni e due notti la battaglia finì con la vittoria di Michele, allora Beatrice chiese che venisse fatto il funerale ad Enrico e Michele non le seppe dire di no. Trascorsi tre giorni di lutto i due ripartirono e sulla strada di casa trovarono il malvagio stregone in persona, che si lanciò su Jorsh, ma Michele lo uccise infilzandolo. Quando Michele, Beatrice e Jorsh tornarono al castello furono accolti da una gran festa. Diversi giorni dopo Michele e Beatrice si sposarono, mentre Jorsh andò a vivere in un villaggio di elfi, tutti furono sistemati e vissero per sempre felici e contenti

Fine 19


Il Principe di BiribĂŹ di Giovanni Martini

C'era una volta, tanto tempo fa, in un castello incantato, il principe di BiribĂŹ: un piccolo paese. Il principe, nonostante fosse importante, era sempre triste perchĂŠ non poteva mai stare con nessuno: era solo.

Un giorno di primavera ricevette dal suo messaggero la pergamena che dava le notizie degli avvenimenti successi negli altri castelli e lesse:

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Decise di dover salvare quella povera ragazza, allora prese scudo, spada e armatura e partì. Entrò in una foresta buia e fitta, perciò egli si perse, fino a quando non vide un sentiero che lo portò davanti ad una casetta con un bel giardino fiorito.

Il principe bussò alla porta e udì una vocina fragile che rispose: - Chi è? -Sono il principe di Biribì! - egli rispose. -Mi sono perso nella foresta e vorrei riposarmi e chiederti indicazioni! aggiunse. 21


Si aprì la porta e ne uscì una fata che disse: - Potrai entrare solo dopo aver trovato il fiore che mi permetterà di compiere una magia. Si trova in una radura nella foresta! Bum! La fata sbatté la porta con un rumore secco. Il principe non poteva fare altro che cercare il fiore, allora andò nella foresta e dopo ore di cammino lo trovò. Lo portò dalla fata che come aveva promesso lo ospitò. Ella si fece spiegare come erano andate le cose. Alla fine disse al principe: - Se vuoi sconfiggere la strega devi usare questa spada magica. Poi gli spiegò la strada e lei si avviò. Seguendo le indicazioni che la fata gli aveva dato il principe si ritrovò nel bel mezzo della foresta. Trovò una caverna dove ripararsi per la notte quando sentì un ruggito cupo… Un drago! Il principe combatté fino a trafiggere il drago con la spada. Dopo aver ucciso il drago, egli proseguì il cammino. Il principe arrivò davanti ad una gradinata; la scese e vide la principessa legata; la liberò ma intanto arrivò la strega con una spada. Il principe si mise a combattere ma appena la strega vide l’arma si pietrificò. 22


Solo allora il principe capì gli effetti dell’arma. Dopo aver liberato la principessa, il principe se ne andò al castello, la sposò e insieme vissero regnando su Biribì.

Fine

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Il Regno Magico di Maria Piscina

C'era una volta una bimba di nome Tracy che viveva in un paesino di nome Zibana , con la sua umile famiglia. Tutte le mattine Tracy si alzava con il sorgere del sole e percorreva chilometri e chilometri per raggiungere la fonte più pura dove riempiva il suo piccolo catino di acqua da portare a casa.

Una mattina fu diversa dalle altre. Arrivata alla fonte vide qualcosa che luccicava, si avvicinò, mise la mano nell'acqua per raccogliere la pietra che emanava quel bagliore; la mise in tasca e proseguì per tornare a casa. Una volta arrivata a casa Tracy si chiuse nella sua cameretta, tirò fuori la pietra e iniziò ad osservarla attentamente. In quel momento sentì una vocina provenire dalla pietra, si spaventò e mise la testa sotto il cuscino. La vocina continuava a dire:- Ciao Tracy! 24


E così dopo un po' la bimba mise un occhio fuori dal cuscino e rispose con una vocina timida: -Ciao! A quel punto vide una nube gialla che la avvolse e la trasportò in un mondo incantato. Tracy si ritrovò vestita con abiti principeschi e capelli setosi brillanti come stelle.

Si strofinò gli occhi per capire che non fosse un sogno e disse: - Dove mi trovo? Una voce le rispose: -Tracy ti trovi a Fantobia! Lei si girò e non vide nessuno ma, ad un tratto, sentì un fruscio tra gli incantevoli alberi, andò a vedere e c'era un bellissimo unicorno!

Lui la guardò e le disse: -Ciao io sono Onciao e sono il tuo unicorno custode. Insieme voleremo per i cieli di Fantobia e tu sarai la salvatrice di questo mondo! 25


Tracy stupita chiese:-Come la salvatrice di questo mondo? Onciao rispose:-Sì ! Noi abbiamo bisogno di te; tu dovrai minacciare Pantea, la strega, e farla ritornare nel suo mondo, gli inferi! Tracy chiese: - Ma chi è questa Pantea? Onciao le rispose:- Tracy ma tu non sai proprio niente di questo mondo ?! Pantea è una strega cattiva che sta rovinando il nostro mondo e solo tu puoi aiutarci. Devi prendere la bacchetta magica sulla “ radura orticosa “ e puntarla contro Pantea pronunciando la formula: “ Castrum Badassum Mostrum “ capito? Tracy annuì : - Sì tutto chiaro! Lo faccio! Non voglio rovinare questo mondo! - Possiamo partire? - chiese Onciao. - Certo! - rispose decisa Tracy. Dopo aver percorso molti chilometri i due amici stanchi si fermarono per la notte a riposare. Dal suo castello Pantea stava tramando qualcosa di brutto

L’indomani Tracy e Onciao si alzarono per continuare il viaggio ma nel tragitto incontrarono dei mostri simili a degli pterodattili. Erano i consiglieri di Pantea che stavano cercando Tracy per portarla nei sotterranei del castello della strega. 26


I due amici, correndo via velocissimi riuscirono a scappare. L’avevano scampata bella! Continuarono il cammino sulla strada e lungo la strada trovarono un piccolo essere di altezza lillipuziana, era un incrocio tra un capretto e un fungo, ma aveva un aspetto simpatico.

Onciao disse:- Noi quei piccoli esseri li chiamiamo puddle, lui si chiama Ciuffetto ed è il puddle più chiacchierone di Fantobia . Ciuffetto iniziò a chiacchierare e sembrava non finire più, fino a che non chiese a Tracy di potersi unire a loro nel viaggio. Tracy rispose: - Va bene puoi venire, purchè taci durante il tragitto perché dobbiamo concentrarci! Ciuffetto rispose : - Contateci starò zitto come non mai!! I tre si avviarono ma dopo quasi due giorni di cammino a Onciao venne fame e si dovettero fermare per fare uno spuntino. A poco a poco il sole calava e si faceva notte quindi i tre amici si misero alla ricerca di una grotta dove fermarsi. Dopo un’ora finalmente trovarono una caverna, entrarono e stanchi caddero in un sonno profondo. La mattina seguente si svegliarono all’alba per 27


sfruttare il più possibile il poco tempo a loro disposizione. Ormai era arrivati alla radura orticosa e già si poteva intravedere su una piccola collinetta la “bacchetta magica “. Tracy e Ciuffetto saltarono in groppa ad Onciao per volare sopra il punto più difficile della radura orticosa quando ad un tratto da un albero spuntò fuori la perfida Pantea con i suoi mostri che volevano sconfiggere i tre amici. Pantea e i suoi aiutanti attaccarono subito Onciao e Ciuffetto. Tracy era l’unica loro speranza e voleva talmente tanto, con tutto il cuore aiutare i suoi amici che le spuntarono all’improvviso delle bellissime ali grazie alle quali spiccò il volo verso la radura. Arrivò sulla collinetta, si mise di fronte a Pantea e pronunciò l’incantesimo: - “ Castrum Baddassum Mostrum “. Pantea e tutto quello che aveva creato di malvagio scomparvero e il regno tornò bello come prima. Onciao e Ciuffetto urlarono: - Per Tracy, hip hip urrà!!! Tutti e tre felici andarono dalla regina di Fantobia che disse: - Tu Tracy sei diventata principessa di Fantobia ! Distruggendo Pantea ci hai salvati. Potrai tenere tutto il suo oro e portarlo nel tuo mondo. Congratulazioni, te lo meriti!

Tracy salutò tutti, soprattutto il suo amico unicorno, e tornò a casa. Aveva 28


con sĂŠ tantissime ricchezze, ma soprattutto il ricordo di una bellissima esperienza e nuove amicizie. Da quel giorno Tracy visse per sempre felice e contenta.

Fine

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I “C’era una volta” della 1^C Fra Salimbene 31


Isy e la spada magica

Testo e illustrazioni di Fiammetta Ghirardi

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C’era una volta una bambina di nome Isy, una bambina molto bella e, allo stesso tempo, molto intelligente. Isy abitava in una casa in campagna con la sua famiglia la quale era composta dai suoi due genitori, Anna e Stefano, e due fratelli, Marco di otto anni e Giulio di cinque. Marco e Giulio erano dei bambini assai curiosi e ribelli e molto spesso andavano nei boschi da soli in cerca di tesori, facendo così spaventare la mamma. Purtroppo erano poveri ma il loro amore rendeva la loro vita ben più allegra! Un giorno, mentre stava giocando in soffitta tra vecchi oggetti di famiglia, Isy trovò uno scrigno. Con emozione lo aprì e dentro vi trovò la mappa di un tesoro, un po’ sciupata e impolverata, come se fosse stata in quella scatola per anni! Sopra era disegnata una montagna che con dei puntini si collegava ad un lago e questo, a sua volta, si univa a una grande X rossa -il luogo ove si trovava il tesoro-: la prese e la portò in camera sua per andare alla sua ricerca! All’alba del giorno seguente, Isy si alzò, fece un grande respiro e ricordandosi che il tesoro sarebbe stato d’aiuto alla sua famiglia scese, andò in cucina, prese pane, formaggio ed acqua e… partì. Dopo ore e ore di cammino in un bosco insidioso, Isy non desiderava nient’altro che fermarsi per dormire e, per sua fortuna, vide una casa in lontananza. Dal momento che ormai era buio, decise di fermarsi lì per la notte. 33


Arrivata davanti alla porta, Isy bussò; la porta si aprì da sola e ciò la spaventò, ma vi entrò ugualmente. Appena entrata, la bambina si accorse che quella era una casa abbandonata, piena di polvere e ragnatele. La bimba salì le scale, e dopo aver girato a lungo per la casa alla ricerca di una camera con un letto, finalmente riuscì a coricarsi, mise la mappa nella sua borsa e si addormentò. La mattina dopo, Isy si alzò e, dopo essersi rifocillata, uscì e andò nel bosco per continuare la sua ricerca ma, appena ebbe varcato la soglia, si accorse di non avere più la mappa e ne fu disperata!

Isy alzò gli occhi da terra e si accorse che c’era qualcuno che camminava: quel qualcuno era una fantasma! Questi aveva la sua mappa; allora lo seguì pensando che potesse condurla al tesoro ma… l’essere scomparve! 34


La piccola Isy si sedette sconsolata ma, a un tratto, spuntò una vecchietta con i capelli grigi e la gobba ma con l’energia di una ragazza. Costei le diede una spada, così la bimba le chiese “Salve signora! Perché mi avete dato questa spada? Noi non ci conosciamo neanche” e la signora rispose “So che stavi cercando il tesoro della montagna e qualcuno ti ha rubato la mappa… con questa spada potrai arrivare al tesoro! Ogni volta che ti ci avvicinerai, sulla spada cresceranno dei fiori e quando vi arriverai la spada sarà coperta di fiori” così dicendo la signora si allontanò, veloce come solo una fata avrebbe potuto fare, ed Isy rimase sola. La ragazza puntò la spada in ogni direzione fino a quando su questa comparve un fiore; la bimba si mise a camminare e a ogni passo che faceva la spada si ricopriva di fiori e la sua gioia cresceva. Ad un certo punto Isy si accorse che sulla spada non crescevano più fiori perché ormai non era più una spada, ma un piccolo giardino!

Allora Isy si mise a scavare e trovò una cassa, la aprì e vi trovò una lettera su cui era scritta una formula, la recitò e dopo poco la scatola si richiuse. Fece appena in tempo a vedere il fantasma il quale venne rinchiuso lì dentro! 35


Fuori dalla scatola comparve un sacchetto color legno con un nastro di spago per tenerlo chiuso poiché pesava molto. Il sacchetto aveva un odore sgradevole, di chiuso: puzzava a tal punto da far tappare il naso a Isy mente lo apriva, ma questo particolare non le fece passare la curiosità! Isy lo aprì e dentro c’erano delle pietre preziose che prese e subito portò con sé a casa dalla sua famiglia!

Fine

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Castelli e‌Fantasmi

Testo e illustrazioni di Sharon Guareschi 37


C’era una volta, in un’epoca lontana, un piccolo villaggio ai piedi di un’altissima montagna, in un’isola sperduta. Sopra questo monte, proprio sulla vetta, dominava un remoto castello medioevale.

Tanto tempo fa era stato abitato da una famiglia nobile molto potente che governava tutto il territorio circostante. Dentro al maniero risiedeva un antichissimo museo, un punto d’incontro di famosi letterati e storici: sarebbe potuta divenire una rinomata meta turistica. Però, purtroppo, questa splendida e ormai evanescente dimora abbandonata, era evitata da tutti i tour 38


operator perché si pensava che lo spettro, acerrimo nemico del sovrano, fosse in una di quelle tante stanze o ancor peggio, in tutto il castello.

Solo gli uomini più arditi e coraggiosi potevano cercare di addentrarsi negli inferi sotterranei, ma invano, nessuno, di quelli che ci provarono, ne uscì vittorioso. In un caloroso e soleggiato giorno di primavera, Tom, un bambino di quindici anni, spinto dalla lettura di avventurosi libri, volle cimentarsi in questa ardita prova: a tutti i costi voleva riuscire a scacciare la sua più grande paura: i fantasmi. Perciò dopo aver scalato faticosamente la montagna, 39


entrò in punta di piedi in quel lugubre castello in cerca di coraggio. Quella rocca era molto astrusa: era piena di quadri raffiguranti antenati, di murales e sale buie, prive di lanterne. Avviatosi nella stanza centrale, Tom iniziò ad avere paura: si sentivano schiamazzi forti, scricchiolii deboli ma sempre in continuo movimento. Ad un certo punto alzò gli occhi e gli sembrò di avere un’illusione: vide le immagini raffigurate nei quadri prendere vita e diventare reali! Tutto sembrava rivivere, dentro alle mura dimenticate ed aleggiava il surreale rinascendo in scene paurose e tetre. All’improvviso, sentì una voce che gli chiedeva, rimbombando con echi lancinanti nella sala: “Oh … un nuovo arrivato … avvicinati … voglio raccontarti una cosa molto importante e che troverai interessante…”. Questo profondo richiamo si ripeteva continuamente divenendo sempre più intenso e impaziente, finché Tom si decise e convinto si avvicinò: “Chi sei?” “Io mi chiamo Tom e sono qui per vedere lo spettro di cui tutti hanno tanto paura!” La sua voce era tremante e bassa perché non sapeva chi fosse colui che aveva dinnanzi e a chi ora si stava rivolgendo. Non ci mise troppo tempo a capire che quello era il fantasma nemico del governatore. Dopo essersi presentato, lo spirito fece con il ragazzo un piccolo patto: se lui avesse recuperato un’antica spada e strappato il nome del pittore dal quadro avrebbe ricevuto una grossissima ricompensa. Ma il problema era: dove poter trovare la spada? Così il fantasma, in modo subdolo e cercando di essere il più gentile possibile, gli diede le indicazioni necessarie per trovarla: doveva scendere giù, nei sotterranei del castello, in una determinata sala, dove si ammucchiavano e accatastavano gli oggetti ritenuti preziosi. Arrivarci era davvero una cosa ardua e pericolosa. Tom, sicuro di ottenere la ricompensa, oltrepassò scale, torri e cunicoli finché si trovò negli scantinati 40


del maniero. C’era solo una sala, dove, entrando, il ragazzo scorse qualcosa di luccicante: eccola, finalmente! Trovò l’oggetto che cercava. Felice ed eccitato corse in meno che non si dica alla sala centrale dove dimorava il fantasma. Tagliò, come ordinato dallo spettro, il nome del pittore e, contento, aspettò che gli desse ciò che si meritava… Al contrario di Tom, il fantasma urlò di gioia! Finalmente, dopo secoli, era uscito da quell’ammuffita tavolozza colorata, oltrepassò le mura e si avventurò nel villaggio a spaventare la gente, lasciando il povero ragazzo nel castello chiuso a chiave! Ma, all’ottavo giorno dopo l’accaduto e dopo tanta solitudine, Tom fece amicizia con una topolina parlante. Quest’ultima, gli raccontò la sua brutta storia: avevano grandi somiglianze i due nuovi amici! Lei, prima, era una giovane e bella ragazza, giunta fin lì per lo stesso motivo di Tom; poi, però, si rifiutò di prendere la spada come gli aveva ordinato il fantasma e venne così trasformata in un topo. Ora entrambi volevano uscire da quelle vecchie mura per paura che esse crollassero. Insieme, cercarono di escogitare una trappola per trarre il fantasma nella loro esca. Ad uno dei due, venne in mente la spada,”il mezzo magico” con cui avevano liberato lo spettro. La cercarono ovunque, ma poi si addentrarono nei sotterranei, ovviamente ricordandosi delle famose indicazioni. Si salvarono a vicenda, dalle tante trappole ancora rimanenti lungo l’impervio percorso. Per questo la forza dell’amicizia fece loro trovare la spada e, corsi ai piani superiori, riattaccarono il nome del pittore e, con un grande vortice, il fantasma fu risucchiato nel dipinto. 41


Ruppero il quadro e lo bruciarono. CosĂŹ, alla fine dell’incantesimo, la topolina diventò una bellissima ragazza. Ogni giorno, da quel momento, la ragazza e Tom si incontravano nel castello per rievocare le avventure fatte insieme. Quando diventarono adulti si sposarono e abitarono in quel luogo meraviglioso.

Fine

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Francesco il ragazzo in missione

Testo e illustrazioni di Ilaria Savani

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C’era una volta un ragazzo di nome Francesco. Egli aveva un bell’aspetto: era alto, magro, con i capelli neri e gli occhi azzurri come l’oceano. Purtroppo il ragazzo non riusciva a trovare una sposa, a causa della sua povertà. Passeggiando per il paese, trovò attaccato al muro di una casa un foglio con scritto: “Chi troverà mia figlia, la principessa Leila, sarà ricompensato!”.

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Francesco, subito, s’immaginò quale vita meravigliosa avrebbe avuto se fosse riuscito a trovare la principessa Leila! Allora decise di partire immediatamente, ma non sapeva ancora a cosa andava incontro. Il ragazzo noleggiò un cavallo e, quando ebbe finito di preparare le provviste, partì. I giorni passavano e Francesco non trovò nemmeno un indizio di dove fosse la fanciulla. Il cavallo, noleggiato da Francesco, era ormai stanco e debole; allora Francesco fu costretto a fermarsi, per farlo riposare. D’un tratto un piccolo topolino si avvicinò a Francesco: “Ragazzo, perché sei così stanco?”. Francesco gli rispose: “Da giorni sono in cerca della principessa Leila e purtroppo non riesco a trovarla”. Il topo si avvicinò al cavallo stravolto e disse, rivolto a Francesco: “Con un cavallo del genere non riuscirai mai a trovare la fanciulla”. Francesco, non capendo cosa volesse dire il topo, chiese: “Scusa topolino, cosa intendi dire?” Il topo, con voce gentile e spiritosa, disse: “Ti procurerò un cavallo alato, così riuscirai nel giro di quarantotto ore a trovare la principessa”. Francesco non poteva credere che un minuscolo topolino potesse donargli un cavallo alato, ma all’improvviso, davanti a lui, si presentò un cavallo bianco con delle bellissime ali. Immediatamente il ragazzo lo cavalcò e partì verso il cielo e, mentre si avvicinava alle nuvole candide, si girò a ringraziare il topolino. Ma, appena giunto in cielo, stormi d’uccelli cominciarono a coprirgli la visuale; allora Francesco decise di lanciare delle briciole di pane per cibare gli uccelli che subito si calmarono e così poté ripartire. 45


Dopo quarantotto ore, come aveva predetto il topolino, comparve, dinanzi a lui, un enorme castello.

A Francesco vennero subito i brividi, ma poi egli raccolse tutto il suo coraggio e si avvicinò al portone d’ingresso. Se lo doveva aspettare! Davanti al portone c’erano delle guardie e… come avrebbe fatto ad entrare? Francesco, ingegnoso, fece un rumore per distrarle; le due guardie, sentendo il rumore, decisero di andare a controllare. Francesco aveva così la strada libera. Entrò senza far rumore e cominciò a cercare la principessa. Aveva cercato in tutto il castello e ormai cominciò a pensare che quello non era il castello dove la principessa era stata imprigionata, ma, improvvisamente, in fondo ad un corridoio buio e stretto, vide una piccola porta e la aprì: la principessa si trovava lì incatenata! 46


Francesco cercò di slegarla, ma era tutto inutile. All’improvviso si sentirono delle risate malvagie e comparve uno stregone che, con il suo scettro splendente, lanciò un incantesimo contro Francesco. Quando Francesco stava per arrendersi, sentì una voce “delicata” e “soave” che gli disse: “Puoi farcela, so che puoi farcela!”. Era la voce della principessa Leila. 47


Il ragazzo si alzò in piedi e disse rivolgendosi allo stregone: “Tu non mi fai paura!” e cominciò a “riempirlo” di botte, pugni, calci e gomitate. Alla fine, lo stregone, distrutto, cadde a terra. Il ragazzo raccolse lo scettro dello stregone e lanciò un incantesimo contro le catene della principessa che si ruppero all’istante.

Francesco riportò la fanciulla al villaggio e il padre di Leila lo ricompensò con ricchezze di ogni genere, concedendogli di sposare sua figlia.

Fine 48


Jack e la strega buona

Testo e illustrazioni di Matilde Tuma 49


C’era una volta, in un paese molto lontano, un bambino di nome Jack, che viveva in una famiglia di povere condizioni. Nel Paese le tasse aumentavano mentre la popolazione diminuiva a causa della fame e dei saccheggi, senza contare i numerosi omicidi e rapimenti. Il padre di Jack era stato portato via e ormai da tempo la madre aveva pensato di trasferirsi, ma Jack non ne voleva sapere. Un giorno a scuola arrivò una nuova bambina di nome Anastasia, bionda, con gli occhi azzurri ed uno sguardo pensoso. Jack era molto incuriosito da quella strana bambina la quale, però, appena sentiva qualcuno avvicinarsi a lei, scappava. Solo una volta il bambino riuscì ad andarle abbastanza vicino per udire che sussurrava strane parole, forse in latino. Tutti le stavano lontano e la prendevano in giro, ma lei, tranquilla e serena, lasciava che fosse l'insegnante a difenderla. Effettivamente tra lei e la maestra sembrava esserci una strana intesa, quasi come se si leggessero nella mente. Un giorno quest'ultima scomparve, nessuno la vide più e quando Anastasia lo venne a sapere, sembrava quasi non esserne sorpresa, benché un po' rattristata. Un pomeriggio, dopo la scuola, Jack decise di seguire la bambina e la vide uscire dalle mura della città passando per un'apertura segreta che portava nella foresta, un luogo inesplorato con acquitrini e paludi disgustose.

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Ad ogni passo sentiva il fango sotto i sandali e le rane che, per non essere calpestate, saltavano da ogni parte gracchiando. Poco dopo la bambina scomparve nel nulla, come per magia. “Chi sei e cosa ci fai qui?” disse una voce alle sue spalle. Quando si voltò vide Anastasia, o almeno gli sembrava che fosse lei: era "normale", eccetto gli occhi rosso fuoco che emettevano fiammelle ad intervalli regolari. Appena la bambina si accorse che si trattava di Jack, i suoi occhi fiammeggianti si spensero per tornare al loro azzurro lucente. “Cosa ci fai qui?? Vattene via!” lo rimproverò. Il bambino sembrò non ascoltarla: “Perché sei venuta qui??” “Non posso dirtelo!” “Perché?” “Perché il patto delle streghe dice che non...” “Sei una strega??” 51


“No, tu non hai sentito e non hai visto niente!” “Hai poteri magici? Aspetta, ma le streghe non sono cattive? E vengono uccise?!?” “No, ti prego, non dire a nessuno che sono una strega! Sono buona, te lo assicuro!!” Anastasia continuò: “C'è una strega, una maligna, che vuole impossessarsi dei poteri di tutte le altre per conquistare il mondo: dobbiamo fermarla! Sai, io sono alle prime armi ma, non avendo altri eredi, oltre ai poteri dei miei genitori, ho acquisito quelli di un centinaio di zii: sono una strega potente! Per sconfiggere la strega cattiva bisogna risvegliare le sue vittime” “Cioè?” “Molte streghe sono state ipnotizzate da lei e rese schiave, costrette a lavorare al suo servizio in un cupo castello a nord del mondo. L'unico modo per salvarle è quello di sfiorare ognuna di loro con il "FLORIS DELEO SOPOR": il fiore che sveglia dall'ipnosi. Ma, per prenderlo, bisogna attraversare il Mare Blu e la mia scopa non riesce a volare così a lungo, quindi stavo lavorando con la nostra maestra ad una pozione per riuscirci… ma anche lei è stata rapita, e io sono l'ultima possibilità che resta!” “La nostra maestra era una strega? Ora si spiega la vostra intesa!” “Già! Ma allora... mi vuoi aiutare?” “Se questo significa volare su una scopa… allora ci sto!” “Ok! Allora ogni giorno dopo la scuola ci incontreremo in una capanna poco lontano da qui per lavorare alla pozione!” Tutti i giorni Jack e Anastasia si incontravano in un'angusta capanna nella foresta. 52


Al bambino piaceva molto andare in quel posticino tra ampolle colorate e pentoloni ed ascoltare l'amica che pronunciava formule in latino. La strega buona gli aveva spiegato che, a causa delle tante condanne fatte alle streghe, quasi tutte erano diventate buone; eccetto durante la "Notte delle Streghe", in cui tutte, buone e cattive, si divertivano a trasformare gli uomini in rane, topi e ragni pelosi. Un pomeriggio, però, arrivato alla capanna, Jack non trovò l'amica; aveva di sicuro avuto qualche problema perché la stanza era sottosopra. Trovò appeso all'anta dell'armadio un foglio spalancato per lui: "Per Jack” È qui, sta per portarmi via, solo tu puoi salvare il mondo. Prendi pozione e scopa e parti. Attraversa il mare, raggiungi l'Isola Viola; lì affronterai una pr"... A quanto pare non era riuscita a finire la frase. La mattina seguente il bambino disse alla madre che sarebbe andato qualche giorno da un amico e scappò nella foresta. Prese la pozione e la versò sulla scopa, vi salì e prese il volo. Da lassù il paesaggio era favoloso e ancora di più lo era la Foresta Chiara, dove gli arbusti più grossi andavano diradandosi lasciando il posto ai cespugli di more e ai pioppi lungo il fiumiciattolo che percorreva la radura fino a raggiungere il mare. Jack andava velocissimo ma, ad un certo punto, la scopa perse quota fino a sfiorare l'acqua. Mentre cadeva in mare vide la coda di un grosso pesce e subito pensò con 53


terrore allo squalo bianco, con tante file di denti aguzzi che avrebbe certo usato per triturarlo e renderlo fine come la sabbia. Il grosso pesce si avvicinò e, quando uscì dall'acqua, Jack si accorse di avere di fronte una sirena, come quelle delle fiabe: busto umano, coda di pesce e volto angelico. L'incantevole essere gli chiese: “Chi sei? Ti sei perso?” “Mi chiamo Jack e… sì, mi sono perso! Stavo andando all’Isola Viola ma la mia scopa si è rotta!” “Tranquillo, ti aiuteremo noi!” “Noi chi??” Dall'acqua uscì un esercito di splendidi delfini dalle sfumature argentate. Subito intuì che li avrebbe dovuti cavalcare, quindi, quando uno di essi si avvicinò, si sedette a cavalcioni e lasciò che lo trasportasse. La sirena gli spiegò che cavalcare un delfino significava possederlo: ora quel delfino era suo e con un fischio lo avrebbe potuto chiamare. In poco tempo giunsero all'Isola Viola, una terra completamente… viola, compresi cielo e terra circostanti. Il bambino ringraziò i suoi nuovi amici e si addentrò nel bosco. “Secondo te chi è?” “Non lo so!” “Forse è lui!” “Ma è un bambino! Come la profezia!” bisbigliarono vocine nascoste. “Chi siete!?” chiese Jack. “Noi!” dissero le vocine in coro. Dalla chioma di un albero viola uscirono due personcine viola, che gli girarono intorno guardandolo attentamente. Poi si fermarono e dissero: 54


“Siamo le fate del FLORIS DELEO SOPOR! La profezia diceva che sarebbe arrivato un bambino e che avrebbe salvato il mondo! “Io? E cosa dovrei fare??” “Superare una prova: dovrai attraversare, con qualsiasi mezzo, il mare che c'è tra noi e la roccia laggiù e tornare indietro… ma attento: ci sono molti ostacoli!” Jack, prima di buttarsi in mare, fischiò e subito arrivò il suo delfino; salì su di lui e si lasciò trasportare. Il suo animaletto andava molto veloce: fece lo slalom tra le rocce, saltò il recinto di spine, seminò gli squali che lo inseguivano e, arrivato alla roccia, vi girò intorno e ripeté il percorso al contrario. “Bravo!” dissero le fatine “Prendi questo fiore e va’ a salvare il mondo!” Improvvisamente comparve una porta luminescente che Jack varcò; subito si ritrovò in una radura triste, scura, con alberi spogli e corvi neri che gli volavano intorno. In lontananza scorse un cupo castello che raggiunse di corsa; entrandovi sfiorò con il fiore tutte le streghe che incontrava finché trovò Anastasia: era ai piedi di un grande trono e osservava con sguardo perso l'individuo che vi sedeva. Doveva essere la strega maligna, ma lui, coraggiosamente, corse verso l'amica e, toccandola col fiore, la liberò dal sortilegio. A questo punto tutte le streghe assalirono la cattiva con vari incantesimi e lei rispondeva con ondate di luce scura. Anastasia condusse Jack al riparo in una nicchia e tornò al combattimento. Dal suo nascondiglio il bambino vedeva lampi di luce chiara e scura sovrapporsi. 55


Nonostante la luce scura fosse molto piÚ potente di quella chiara, la maggioranza di quest’ultima ebbe la meglio.

Fu cosĂŹ che le streghe buone riuscirono a sconfiggere la strega maligna con il prezioso aiuto di Jack!

Fine 56


La prima avventura di Leo

Testo e illustrazioni di Rebecca Zucchi

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C’era una volta, in un tempo lontano, quando la tecnologia ancora non esisteva, un piccolissimo villaggio in una valle sperduta, fra due montagne altissime. La vita nel villaggio era semplice e allegra; la popolazione non doveva lavorare giorno e notte ma portava avanti la vita del proprio paese con piccoli lavori collettivi e, al contrario di molti altri popoli, non vi erano differenze tra i gruppi della società. Un giorno, in questo villaggio, nacque un piccolo bambino che, a soli cinque anni, amava aiutare le persone in difficoltà ma spesso gli capitava di portarle in guai ancor più seri, anche se involontariamente. Leo, così si chiamava, era un bambino normale, come molti altri e gli bastava poco per far diventare una giornata bella e allegra, perché possedeva molta creatività e fantasia.

Successe però che un giorno il padre dovette partire per arruolarsi nell’esercito. Leo era tormentato, infastidito e preoccupato dal fatto che il papà fosse lontano e in guerra. Gli mancavano i momenti che trascorreva assieme a lui, perché anche se il bimbo 58


amava la compagnia di amici e familiari, il padre era l’unica persona con cui desiderava confidarsi. Nei tempi in cui il padre era in guerra, purtroppo la famiglia diventò povera e la madre aveva sempre più debiti da pagare. La madre era sempre indaffarata e impegnata nel lavoro e perciò non aveva mai tempo per il suo piccolo bambino; Leo, invece, era sempre più sconsolato anche perché non aveva tempo libero, in quanto doveva aiutare la propria famiglia. I due fratelli più grandi erano molto antipatici e presuntuosi poiché non lo coinvolgevano mai nel gioco e lo evitavano spesso e volentieri. Così, non avendo amici, Leo rimaneva quasi sempre nella sua piccola stanza abbracciando il suo piccolo orsacchiotto di stoffa, che aveva con sé da quando era nato. L’orsetto Teddy era per Leo l’unico amico, e rappresentava un grande sostegno morale. In quegli anni la carestia non cessava, i campi erano aridi e vuoti, senza i colori dei fiori. La terra era secca, la verdura e la frutta erano rare e così la tristezza di Leo aumentava. Un giorno Leo era rimasto a casa da solo, mentre la madre e i fratelli andarono al mercato. Il fanciullo stava guardando fuori dalla finestra speranzoso di trovare qualche bel fiore, quando sentì bussare alla porta. Andò ad aprire, anche se la madre gli aveva sempre proibito di farlo. Sulla porta vide un buffo uomo con un cappello e una borsa nella quale vi erano dei fogli; quel signore gli consegnò una busta e un bellissimo girasole. Il bambino era stupito dalla bellezza di quel bel fiore in un luogo così arido!

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Chiuse delicatamente la porta, incredulo di possedere quella meraviglia; ringraziò e corse sul letto. Appoggiò con delicatezza il fiore sul cuscino e aprì la lettera. Non sapeva leggere, ma riconobbe la firma del padre e capì che era ancora vivo e che il fiore era un suo regalo. Conservò la lettera e nascose il girasole sotto il letto. Questo evento lo spinse a prendere una decisione: partire la notte stessa alle ricerca del padre! Senza dire una parola alla madre prese il fiore e scappò, uscendo dalla finestra. Era troppo eccitato ed emozionato al pensiero di ritrovare il padre, così si dimenticò di Teddy posto sul letto. Dopo tutto Teddy era un pupazzo, ma aveva la particolarità di essere animato! Così gli si spezzò il cuore quando scoprì che il suo padroncino lo aveva abbandonato; decise dunque di vendicarsi e lo seguì per impedirgli di ritrovare il suo amato papà.

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Le ricerche del padre compiute da Leo duravano giorno e notte e si fermavano soltanto qualche volta per lasciargli il tempo di sedersi sotto l’ombra di un albero per riposare e riprendere le energie necessarie per continuare il viaggio. Il piccolo bambino proteggeva il fiore come se fosse l’unico mezzo con cui potesse sopravvivere e al momento del bisogno si rivelò utile, necessario per continuare il suo lungo cammino… Mentre continuava il viaggio, il fanciullo venne fermato da un enorme e fitto muro di alberi intrecciati tra loro: era impossibile superarlo! Così decise di fermarsi e di pensare a cosa avrebbe potuto fare; si sedette e, all’improvviso, sprofondò in un lungo sonno. Al suo risveglio non vi era più quella spessa parete di alberi, ma una piccola pianta. Grazie a un potente incantesimo il suo bel fiore era riuscito a far scomparire il muro! Leo, però, pensava che si fosse trattato di un sogno, così proseguì il cammino. Era già entrato in un bosco quando sentì dei rumori intorno a sé e, all’improvviso, comparve Teddy. Quando Leo lo vide, si ricordò di lui e gli corse incontro, ma il pupazzo lo evitò. Da quel momento il bambino capì che l’orsetto non era più suo amico, che si era arrabbiato perché lo aveva dimenticato e che il muro era una sua costruzione, a causa della sua gelosia, per impedirgli di compiere il desiderato viaggio. Teddy stava per attaccarlo quando una luce immensa venne scagliata dal girasole e circondò tutta l’atmosfera con il suo calore e bagliore. Era così grande e potente che Teddy tornò ad essere di pezza, ma a Leo non importava perché lo amava e sapeva che lui gli voleva bene. 61


Durante il ritorno a Leo capitò molto spesso di avere delle apparizioni a causa della stanchezza, così vide un uomo vestito da militare, ne era convinto …gli corse incontro e lo abbracciò. Per un momento pensò di aver toccato solo aria ma non si sbagliava perché anche quell’uomo lo prese e lo strinse forte al petto, come quando ogni padre dona un momento speciale al proprio bambino.

Fine

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Storie di Eroi, maghi e principesse I “C’era una volta” della 1^E Fra Salimbene 63


La principessa Rosalba

Testo e illustrazioni di Yara Abu 64


C’ era una volta, tanto tempo fa, un regno incantato e magico. In quel regno governavano saggiamente un re e una regina. Avevano anche due figlie bellissime, così belle che si diceva che il sole sorgesse per ammirarle. La più grande si chiamava Rosalba e la più piccola Emilia. Erano tanto unite e si volevano molto bene, ma un giorno, quando Rosalba si svegliò per giocare con la sua sorellina, non riuscì a trovarla: era scomparsa. Tutto il regno iniziò a cercare la piccola Emilia, ma era scomparsa. Un giorno, mentre il re e la regina piangevano disperati per la scomparsa della figlia, arrivò al castello un vecchio malridotto che diceva di essere un indovino. Si presentò alle guardie dicendo che doveva parlare con i sovrani, ma non lo facevano passare. Le grida del vecchio arrivarono fino alle stanze del re che si affacciò e chiese cosa fosse tutto quel gridare. Allora il vecchio disse: “Oh vostra maestà, io so chi è stato a rapire vostra figlia! È stato il Re dei Venti!!!”. Il re non credette a ciò che gli era stato riferito, girò il capo e fece cacciare via l’uomo. Rosalba, però rimase colpita dalle parole del vecchio e, anche se le era proibito uscire dal castello, decise di andare a cercare la sua sorellina. Quella stessa notte, senza che nessuno la vedesse, sgattaiolò fuori dalle sue stanze, e passando dal una galleria segreta che serviva in caso di assedio, riuscì ad allontanarsi senza che le guardie se ne accorgessero. Quando uscì si trovò su un sentiero che portava fuori dal regno. Cammina, cammina, Rosalba arrivò nella Foresta Proibita, così si chiamava, e lì trovò un castello buio e tempestoso, perché attorno ci giravano 65


tutti i venti del mondo. L’ingresso non aveva guardie, sembrava però che qualcuno l’aspettasse… La principessa, senza perdersi d’animo, entrò. Il buio era così fitto che non riusciva a vedere dove metteva i piedi, poi si sentì una voce acuta che diceva: “Vattene via!” Allora Rosalba, scacciando la paura, gridò: “Ma come osi parlare così, a me, che sono una principessa?! Piuttosto rispondi alle mie domande! Sai dove si trova mia sorella?” All’improvviso si accesero le luci, e Rosalba ne rimase abbagliata. Su un trono altissimo era seduto il Re dei Venti, contornato da un turbine di venti.

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Rosalba, dopo un attimo di stupore chiese: “Dove hai nascosto mia sorella!” Il Re dei Venti non volle dirle niente, ma propose alla principessa un indovinello, e disse: “Se tu riuscirai a trovare tua sorella con questa filastrocca, vi lascerò tornare a casa”. A quelle parole la principessa rispose subito di sì. Allora il sovrano disse: “Quello che tu cerchi è in questo punto, si trova sotto ma non è defunto, per rispondere dovrai cercare, se vuoi tornare a giocare." Rosalba iniziò a pensare e ripensare poi andò a cercare nelle cantine. Quando arrivò là, si guardò attorno e vide ragnatele sparse dappertutto. Era difficile sopportare tutta quella sporcizia per una principessa. Rosalba all’improvviso sentì una voce sottile ma acuta, che diceva: “Aiuto, aiuto!”

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La principessa aprì la porticina che le era davanti e trovò un topolino dal manto bianco e macchie dorate. Rosalba gli disse: “Cos’hai da urlare così tanto?” Il topolino le disse: “Oh, per favore, potresti aiutarmi? Devo trovare il mio formaggio, se mi aiuterai a trovarlo ti darò un oggetto che sarà sicuramente indispensabile per te.” Cerca, cerca, la principessa trovò il formaggio sotto a una scopa. Lo diede al topolino e lui le porse un calice dorato dicendole che quando fosse stata davanti al Re dei Venti doveva sfregarlo, ma attenzione aveva soltanto un desiderio. La principessa ringraziò il topolino e andò dal re dei Venti che le chiese: “Allora principessina hai trovato la risposta?” La principessa fece un passo avanti; aveva paura ma sapeva che avrebbe aiutato Emilia. Tolse il calice dalla tasca e lo sfregò dicendo: “Oh mio calice, che il sovrano mi dica dove si trova mia sorella!” All’istante si alzò un vento tanto forte che spazzò via tutti i mobili della sala del trono. Fuori dal castello si sentivano ululare tutti i venti che tempestano sula mare e sulla terra. Rosalba, però, rimaneva ferma dove si trovava. Sembrava che i turbini non la sfiorassero nemmeno. Poi di colpo tutto si calmò. Rosalba alzò lo sguardo e vide magicamente il re trasformarsi in un bellissimo principe dagli occhi azzurri come il cielo e i capelli dorati come il sole e sua sorella comparve con lui. Ci fu una spiegazione: il principe, di nome Filippo, era stato trasformato nel Re dei Venti da un Mago, che, arrabbiato con lui per il suo egoismo e la cattiveria verso i suoi sudditi, lo volle punire. Però, come Re dei Venti 68


era diventato ancora piĂš cattivo e godeva del dolore degli altri. Per quello aveva rapito la principessa Emilia: per il gusto di dare un dispiacere ai re e ai sudditi del regno.

Rosalba vedeva che il principe era cambiato perchĂŠ mentre parlava gli scendeva una lacrima. Allora, anche lei commossa, abbracciò forte Emilia e felici tornarono tutti al castello. Il re e la regina non credevano ai loro occhi quando videro le figlie entrare nel maniero, tanto erano disperati, ma quando gli raccontarono tutto, vollero annunciare al regno la loro gioia. Si celebrarono le nozze di Rosalba, che decise di sposare Filippo, e insieme andarono a vivere in un castello di cristallo con le torri d’argento, lontano dal regno. E vissero felici e contenti.

Fine 69


Alice e il Regno Azzurro

Testo di Nina Alfieri Illustrazioni di Nina Alfieri e Arianna Ferrari 70


Tanto tempo fa, in un bellissimo regno, vivevano un re e una regina che stavano per dare alla luce una splendida bambina. Quando nacque la chiamarono Alice. Tutto il regno festeggiò per giorni e giorni. La bambina, fra le braccia dei suoi cari, cresceva sempre più. Era buona e gentile con tutti: una vera principessa amata dal popolo. Purtroppo però il re morì e tutto il peso del regno ricadde sulla regina, che però era saggia e sapeva come rendere felice i suoi sudditi. Tutto procedeva tranquillamente quando una mattina Alice si svegliò di soprassalto dopo un brutto sogno. La madre alle grida della figlia corse per vedere cosa le fosse successo. Alice fra le lacrime, balbettò: “Mamma ho sognato tutto il regno in fiamme!” “Tesoro non ti preoccupare, è solo un sogno!” La baciò sulla fronte e stava per uscire dalla camera della figlia, quando si accorse che Walter, il cameriere, le stava spiando da dietro la porta con la colazione di Alice sul vassoio. Entrò e…: “La colazione, mia principessa.” La madre si alzò e se ne andò lasciando i due soli. Walter si avvicinò ad Alice porgendole una tazza di tè, lei la prese e, a piccoli sorsi, lo finì. Il cameriere sistemò sul vassoio la tazza vuota e se ne andò. Alice, finalmente sola, prese un vecchio libro dal comodino e cominciò a leggere. Ad un certo punto inizò a tremare sempre più forte, fino a che non le sembrò di morire soffocata. 71


Nel pomeriggio la madre bussò alla porta della principessa senza ricevere risposta, entrò e quando vide il corpo della sua adorata figlia pallido e senza vita, corse, l’abbracciò e si mise a piangere disperatamente. La notizia in un attimo si sparse per tutto il regno. IL giorno dopo si celebrò il funerale: c’era tutto il popolo, grandi e piccini, per dare il loro ultimo saluto alla principessa Alice. “Manca solo il cameriere Walter”, pensava la regina. In quel preciso istante Alice si alzò di scatto dalla bara balbettando: “Mamma mi sento male aiutami!” e subito dopo svenne ancora. Ma allora la principessa non era morta! Ma come mai Walter non era venuto? La regina chiamò subito il migliore dei suoi cavalieri e gli disse: “Vai dallo gnomo Maldor nel bosco e chiedigli un antidoto contro i veleni, digli che ti mando io!” “Sì mia regina subito!” Montò in groppa al suo stallone e partì in missione. Il cavaliere, arrivato nel mezzo del bosco, chiamò lo gnomo più volte ma nessuno rispose. 72


Quando stava per andarsene una voce flebile e delicata parlò: “Buongiorno, mi cercavate?” Il cavaliere un po’ stranito si voltò e disse: “Sì, ma sei tu lo gnomo Maldor?” “Sì, sono io, chi ti manda?E cosa vuoi?” “Mi manda la regina del Regno Azzurro, chiede aiuto perché è stata avvelenata sua figlia, la principessa!!!” “Va bene ma sappi che se userai nel modo sbagliato la pozione che ti darò, te ne pentirai!” Lo gnomo lo portò nella sua casetta. Era molto piccola, talmente tanto minuscola che il cavaliere aveva paura di rompere qualcosa con le sue mosse brusche. Lo gnomo prese dalla credenza una boccetta trasparente che conteneva un liquido rossastro. Il cavaliere incuriosito chiese: “Che cos’è?” Lo gnomo lo guardò con la coda dell’occhio, come se non avesse dovuto fargli quella domanda, poi rispose: “E’ sangue di drago diluito con l’acqua dello stagno sacro. Tutto quello che posso fare è questo, e se non dovesse funzionare non saprei più come aiutare la principessa.” Il cavaliere montò di nuovo sul suo cavallo ringraziando di cuore Maldor lo gnomo, e ripartì per il regno. Arrivato vide il popolo che aspettava fuori dal castello. A fatica riuscì a farsi strada fra la folla, attraversò il ponte levatoio, scese velocemente da cavallo e corse alla camera reale dove si trovava la principessa. Entrò e diede l’antidoto alla regina che andò subito al capezzale della figlia per farglielo bere. 73


Aspettarono un segnale di vita da parte di Alice, ma lei non si muoveva: pareva davvero morta. Le speranze ormai se ne stavano andando e il popolo piangeva di nuovo la sua principessa, quando, ad un certo punto, Alice girò il viso verso la madre, e, come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno, disse: “Mamma, sto bene…lasciami riposare.” La regina era felice come mai e commossa ordinò al Gran Ciambellano di dare la buona notizia al popolo che era in ansia. Proprio quando una guardia aprì il portone, il Ciambellano si accorse che il cameriere Walter era tenuto prigioniero, in catene, da un’altra guardia. “Questo è il cameriere reale. Abbiamo scoperto che è stato lui ad avvelenare la principessa e ora lo abbiamo sorpreso mentre versava del liquido nero, velenoso, nella tazza di tè per la regina!” “Portalo da sua maestà e fallo imprigionare!” rispose con decisione il Gran Ciambellano Lui restò fuori e diede la bella notizia al popolo che felice festeggiò con balli e canti. L’orchestra suonava le canzoni più belle del regno. Intanto la guardia eseguiva l’ordine del Ciambellano ed entrò nella camera reale con Walter il cameriere.

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La regina stupita chiese: “Ma come mai avete imprigionato il cameriere reale? Che cosa ha fatto?” e rivolgendosi a Walter: “Perché non eri al funerale della principessa?” Il cavaliere, che fino a quel momento era stato in silenzio ad assistere a tutto, parlò: “Mia regina, è stato lui ad avvelenare vostra figlia! Lo abbiamo sorpreso mentre avvelenava anche il vostro tè! Credo fosse per quello che non è venuto al funerale di Alice.” “Ma tu, perché lo hai fatto? Quanto odio hai nei confronti di questo regno da volere morta la mia adorata figliola e anche me! Cosa ti ha spinto ad uccidere?” “Io non sono un cameriere qualunque. Mio padre era il legittimo erede di questo regno, ma il re suo padre lo diseredò donandolo a vostro marito. Sono io il legittimo pretendente al trono. Questo era il mio piano: uccidere tutte voi e diventare re del Regno Azzurro!!!” La regina allora diede ordine di cacciarlo dal regno. Il giorno dopo la principessa si svegliò guarita da tutto il veleno. La madre aprì la porta della stanza reale e quando vide la sua figliola sana e salva l’abbracciò con tutta la forza che aveva. La principessa, ridendo, anche lei felice, si liberò e disse: “Sì, sì, ok, ma non mi uccidere tu di baci e abbracci!!!” Trascorsero alcuni anni e la principessa diventava sempre più bella. Certo era giunto il momento di pensare al matrimonio. Alla regina sarebbe piaciuto che la figlia si fosse innamorata del cavaliere, a proposito il suo nome era Alessandro. Era un giovane valoroso e coraggioso. La regina era stanca di dover regnare senza un uomo forte e saggio al suo fianco. 75


Allora chiese ad Alice se voleva sposare il cavaliere che l’aveva salvata. La principessa arrossì, perché in effetti le piaceva, ma non avrebbe mai pensato di sposarlo, visto che non era un principe. Ci pensò alcuni istanti poi disse: “Va bene lo sposerò. Vai a dare la notizia a lui e al popolo. Il regno era in fermento: i sudditi contenti della notizia, prepararono un magnifico banchetto. Si celebrò il matrimonio e tutti furono felici e contenti.

Fine

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Giorgio e Alessandro

Testo e illustrazioni di Tommaso Barbieri 77


C’era una volta, tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, una bellissima principessa: Chiara. Un mago cattivo però, che voleva vendicarsi contro il re per averlo esiliato dal regno, un giorno la rapĂŹ e la rinchiuse in una torre altissima molto lontana, nella foresta incantata. Allora il re e la regina, disperati per il rapimento della figlia, chiesero aiuto ai migliori cavalieri del regno, ma nessuno aveva il coraggio di affrontare quel lungo e pericoloso viaggio. Non valsero a nulla le promesse di oro e terre, della mano della principessa, qualora si fosse riusciti nell’impresa: il mago era troppo temuto.

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Ormai si pensava che la principessa non potesse più essere liberata, quando un ragazzino, chiamato Giorgio, si offrì volontario per la missione.

Il coraggioso Giorgio si incamminò verso la torre in cui era rinchiusa Chiara. Cammina, cammina lungo sentieri, montagne e boschi, era giunta la notte e si accampò. Mentre dormiva udì dei passi furtivi, di chi non vuole essere scoperto, allora con estrema prudenza si voltò e vide una piccola persona e chiese: “Chi va là?” Allora il piccolo personaggio misterioso rispose: “Sono uno gnomo della foresta e mi chiamo Alessandro” “Hai per caso una mappa per uscire da qui?” chiese Giorgio. “Sì ce l’ho, ma prima di dartela dovrai superare una prova.” 79


A quelle parole lo gnomo si voltò e si incamminò nella fitta boscaglia. Giorgio incuriosito lo seguì. Arrivarono ai piedi di un monte e straordinariamente quello si aprì: ne fuoriuscì un labirinto enorme. Giorgio e Alessandro si addentrarono negli intrigati cunicoli del labirinto, quando un ruggito squarciò il silenzio. Alessandro disse: “Questo è il guardiano del monte…devi ucciderlo e avrai la tua mappa.” Giorgio accettò l’incarico e con la sua ascia si diresse verso il centro del labirinto. Una volta arrivato, vide il mostro che divorava carcasse putrefatte di animali. Era una visione orribile, che per lo spavento lo fece indietreggiare. Ma fu un attimo, Giorgio non dimenticò la sua missione e si lanciò con tutta la sua furia sulla bestia. Quella, però, con le sue possenti corna lo rilanciò via. Giorgio cadde sulle ossa degli animali sbranati. Ancora una volta dovette fare appello al suo coraggio: sfilò dalla cintura la sua possente ascia e gliela lanciò contro. Quella fece un volo vorticoso nell’aria e si conficcò nella schiena della bestia che cadde a terra. Il mostro sembrava stecchito, ma una voce roca si alzò: “Credevi davvero di avermi ucciso, io sono immortale, io sono TAURUS il grande Minotauro!!!” Giorgio non si intimorì e rispose: “Non mi fai paura, ti ucciderò con qualunque mezzo, se necessario!” Taurus con uno scatto di gambe si mise in piedi, si staccò l’ascia dalla schiena e la scagliò contro Giorgio che la schivò per un soffio. 80


Giorgio non sapeva come vincerlo, quando si accorse che sotto il punto in cui si trovava il terreno era vuoto, così lo incitò a correre verso di lui. I suoi passi erano talmente pesanti che quando si lanciò contro Giorgio il terreno si spaccò aprendosi in una voragine immensa. Giorgio con un salto si avventò contro di lui, si spinse sulle corna e lo fece cadere nel burrone. Ci mancò un soffio che anche lui non cadesse. Atterrò sul bordo del buco, ma anche il labirinto stava per crollare…così lo gnomo e Giorgio corsero a tutta velocità e con un salto uscirono dal labirinto. Un attimo prima che il monte crollasse, si misero al riparo. Alessandro disse: “Bene Giorgio, sei riuscito a sconfiggere il Minotauro, ecco la tua mappa.” Giorgio ringraziò e prima che lo gnomo gli potesse dire della Foresta Oscura e di come schivare i pericoli, si rimise in viaggio.

Dopo giorni di cammino si ritrovò in una grande foresta buia e spettrale. Guardò la mappa e vide che al centro c’era una macchia nera. Si stava chiedendo come e quando mai si fosse formata, quando prese fuoco e la mappa bruciò. 81


All’istante si sentirono orrende grida provenire dal profondo della foresta e all’improvviso i Goblin, mostruose bestie verdi con piccole ali da drago tutte bruciate, lo attaccarono. Giorgio impugnò l’ascia, ma i Goblin erano velocissimi e lui riusciva a malapena a vederli. Si concentrò al massimo. Tutto era silenzio…sembrava di essere l’unico essere nella foresta. Aguzzò le orecchie e appena sentì un minimo rumore lanciò l’ascia e infilzò un Goblin. Gli altri impauriti scapparono. Giorgio chiese al Goblin, a terra sanguinante: “Sai dov’è la torre del mago?” Quello non rispose. Si era girato ostinatamente dall’altra parte. Giorgio con un ringhio minaccioso lo spaventò e quello parlò subito: “Per favore non uccidermi ti dirò tutto!” “Parla!” gridò Giorgio. La bestia, ormai morente disse: “La torre del mago si trova oltre il monti ghiacciati” Giorgio riprese il viaggio verso i monti ghiacciati. Arrivato ai piedi del monte più alto cominciò a scalare, e dopo tanti giorni di cammino, dalla cima vide che sotto c’era una valle e decise che il giorno seguente l’avrebbe raggiunta. La mattina prese il mantello, l’ascia e discese il monte. Dopo un altro paio di giorni si trovò in una grande vallata. Una volta a valle intravide un ragazza che correva ed esclamò: “Chiara!!”. I due corsero l’uno verso l’altro e Chiara disse: “Giorgio per fortuna che sei venuto a prendermi!”

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In quel momento Giorgio capì, ma era troppo tardi: Chiara lo infilzò con un pugnale, allora Giorgio con il suo ultimo respiro disse: “Tu non sei Chiara, sei il mago!” Allora, con una risata malefica, rispose: “Ah, ah, ah, addio Giorgio, non potrai più salvare la tua principessa!!!”

Giorgio si accasciò a terra e poco a poco chiuse gli occhi. Alessandro che aveva assistito alla scena, lo raggiunse, prese una pozione curativa e gliela fece ingoiare. Giorgio, come un lampo, tornò in vita. Più in forma che mai corse verso la torre con Alessandro. Arrivati sfondarono la porta e combatterono contro i Goblin. Giorgio con tutta la sua forza infilzò tutti quelli che erano sul suo cammino, finché raggiunse la sala dove era rinchiusa la principessa. Il mago stava per ucciderla quando Giorgio lanciò la sua ascia che lo trafisse, ma non lo uccise. Poi liberò la principessa, ma il mago, che si era ripreso, con un potente incantesimo lanciò via Giorgio, che cadde sul pavimento. Da lì uscirono grossi tentacoli che lo stritolavano, ma in suo soccorso arrivò Alessandro, che con la sua spada li tagliò liberandolo. 83


Giorgio allora si scatenò contro il mago a colpi di spada. Il giovane era sul bordo delle mura con l’acerrimo nemico. La battaglia infuriava finché i due caddero nel vuoto. Alessandro urlò: “Giorgio!!!” Chiara e Alessandro erano disperati quando una mano si aggrappò al piede di quest’ultimo e una voce disse: “Mi potresti aiutare a salire?” I due erano felicissimi: Giorgio era vivo e il mago finalmente era morto. A questo punto è facile indovinare che Giorgio e Chiara si sposarono e da quel giorno il regno vive in pace e in tranquillità.

Fine

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La collana magica

Testo e illustrazioni di Jacopo Bazzini 85


C’era una volta, tanto tempo fa, un regno molto vasto con campi rigogliosi, alberi sempre in fiore, montagne con neve bianchissima.

Il re di questo regno era saggio e sempre disposto a dare consigli per risolvere i problemi di tutti. Un brutto giorno però il re morì. Al funerale c’era anche Luke, un cavaliere dai capelli dorati, che era il migliore amico del re. Era molto triste, ma ancora di più quando seppe che la regina aveva fatto chiamare il fratello del re perché unisse i due regni. Questo nuovo re era una persona sleale, pronta a far guerra a tutti: torturava il suo popolo, e se qualcuno non era d’accordo con lui, sulle regole che imponeva, gli veniva tagliata la testa oppure era cacciato dal regno, e non sarebbe più potuto tornare. 86


Un giorno il re alzò molto le tasse. Luke allora si recò dal re e gli disse: “Da quando tu sei salito al trono la gente è diventata poverissima, i bambini non hanno casa e cibo. Abbassa subito le tasse o la gente morirà di fame!” Il re a quelle parole rispose pieno di rabbia: “Vattene! E non fare più ritorno, o ti farò uccidere.” Arrivato ai confini del regno il cavaliere spronò il suo cavallo bianco e se ne andò. Dopo anni e anni di esilio Luke si trovò in un bosco incantato. C’erano alberi enormi con chiome grandissime, rose di ogni colore che erano fatte di pietre preziose -diamanti, rubini, smeraldi, ecc…- e un lago dall’acqua limpidissima. Il cavaliere era incantato alla vista di quella foresta, ma poi tornò in sé quando vide una fata del lago venirgli incontro. Era bellissima! Portava una tunica fatta di acqua del color del cielo, al collo una collana di gocce d’acqua che riflettevano i raggi del sole, i capelli argentati che le scendevano lungo i fianchi, gli occhi verde smeraldo e la carnagione rosa pallido. Lei disse al cavaliere: “Mi chiamo Argentea. So che sei preoccupato per come il re governa il regno. Se vorrai salvare il tuo popolo ti servirà la collana di smeraldi portafortuna, che si trova nel fondale del Lago dei Misteri, ma per trovarla, mentre ti inabisserai, incontrerai mostri orribili che ti vorranno uccidere. La collana, oltre a essere un portafortuna, ti darà anche il potere di trasformarti in qualunque animale tu voglia, quando vorrai, e l’invisibilità.” 87


“Non so se riuscirò nell’impresa, ma ci metterò tutto il mio coraggio” disse Luke. E subito s’inabissò. Man mano che si immergeva l’acqua diventava sempre più scura e il cavaliere aveva sempre più paura. Improvvisamente fu attratto da una luce: qualcosa brillava dal fondo nero…era la collana! L’afferrò e la nascose nella manica dell’abito. Ad un certo punto gli sembrò di essere seguito, si voltò e vide il Nag’rak, un mostro con mille tentacoli che a loro volta si dividevano in altri tentacoli. Era enorme e allungando un tentacolo afferrò il cavaliere, che però riuscì ad indossare la collana, e subito diventò invisibile. Il mostro, non vedendolo, si meravigliò e mollò la presa. Luke risalì in superficie, si tolse la collana, la mostrò alla fata e le disse: “Sono pronto a fare ritorno al mio regno.” “Va’ e fatti onore!” Il cavaliere raggiunse il suo cavallo, gli tolse sella e redini e gli disse: “Va’, sei libero.” Il cavallo esitò, ma poi corse via.

Luke indossò la collana, si trasformò in un’aquila …

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…e volò, volò, volò sorvolando grandi pianure, boschi e alte vette innevate.

All’alba del terzo giorno di volo, scorse il castello, scese a terra e ritornò umano. Le guardie reali appena lo videro gli saltarono addosso, ma Luke si trasformò in un’ape e senza farsi vedere entrò nella sala del trono dove c’era il re. Il cavaliere si ritrasformò in umano e disse al re: “Sono Luke, ti ricordi di me?” “Come no. Il cavaliere che era stato esiliato.” “E che è tornato per avere la sua vendetta!!” Detto questo Luke estrasse la spada e colpì il re, che riuscì però a parare il 89


colpo. Iniziò un duello senza fine, ma a un certo punto Luke ebbe un colpo di

genio: si trasformò in serpente, strisciò sotto le gambe del re, tornò umano e lo trafisse. Il re era morto e una folla di persone portò in trionfo il cavaliere. Dalle finestre della torre una bellissima fanciulla osservava sorridendo la scena. Era la principessa, figlia del re buono, che in quel tempo era stata confinata nelle stanze della torre perché si ribellava allo zio e alle sue ingiustizie. Luke, fu attratto dallo sguardo della ragazza, alzò gli occhi, e sentì da subito che sarebbe stata la sua sposa. Chiese la sua mano alla regina che gliela concesse, e con questo matrimonio Luke diventò re. La regina era così felice che disse al cavaliere: “Permettete che io diventi vostra consigliera?” “Certo! Sarebbe un vero onore!” La festa di nozze durò tre giorni, il regno tornò a essere colorato e rigoglioso e tutti vissero felici e contenti.

Fine 90


L’isola magica

Testo e illustrazioni di Lorenzo Codilupi

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C’era una volta, tanto tempo fa, un bambino di nome Giovanni. Lui era il figlio del capitano Barbarossa. Abitavano su una nave pirata e volevano cercare un tesoro, sepolto nell’isola magica. Il padre mostrò a Giovanni un segreto che solo lui conosceva: era un soffione dorato, i cui petali ricrescevano solo tre volte. Il padre gli disse: “Caro figliolo, tu devi sapere che questo soffione l’ho trovato sull’isola magica. Ha il potere di esaudire, se lo soffi, un tuo desiderio. Per ora ne ho esauditi solo due, il terzo me lo riservo in caso di emergenza. Erano trascorsi giorni e giorni da quando erano salpati, quando si sentì uno scossone che fece tremare tutti i legni della nave: era andata contro uno scoglio. Un pirata disse al capitano: “Capitano! La nave ha una falla, stiamo affondando!” Il capitano strillò: “Dannazione! Dobbiamo abbandonare la nave!” Tutti i pirati salirono su una barca tranne Giovanni, che fece appena in tempo a prendere il soffione. Lo mise in una lussuosa custodia di legno e si buttò in mare, ma la corrente lo trascinò via. Il ragazzo riuscì fortunatamente ad aggrapparsi ad un legno che gli passava davanti e si lasciò trasportare dalle onde. Stanco morto si addormentò. Al suo risveglio si ritrovò su una spiaggia. Lì c’erano alberi giganteschi che lasciavano cadere polvere magica dalle loro foglie, frutti che crescevano a dismisura oppure diventavano piccoli come microbi, piante luccicanti che raccoglievano polvere fatata caduta per far sbocciare un fiore nuovo. 92


Giovanni non aveva dubbi di dove fosse capitato: era sull’isola magica di cui gli aveva parlato suo padre. Era contento di trovarsi lì, finalmente l’aveva trovata, ma ad un certo punto udì una risata maligna. Giovanni si voltò e vide una scopa che stava volando, un cappello nero a punta e una vecchia piena di brufoli: era una strega, ma la cosa peggiore è che teneva in mano la custodia dov’era custodito il soffione dorato. La strega disse a Giovanni: “Dammi subito la chiave! E’un ordine!” Ma Giovanni si rifiutò, allora la strega diede un colpo alla scopa, fece una grande virata e sparì con la custodia. Giovanni era disperato. Pensava che da quell’isola non sarebbe mai più uscito, poi al padre che chissà quale fine aveva fatto. Il suo pianto era talmente alto che venne udito da una fata, che subito gli apparve. Aveva capelli lisci come la seta e biondi come il sole, gli occhi erano azzurri come il cielo a primavera. Sopra il capo era posto un grazioso cappello a punta rosa con un velo quasi trasparente, ma non dimentichiamo la bacchetta magica. La fata gli disse: “Per caso hai visto passare delle fate come me?” “N…no” rispose Giovanni stupito. “Senza di loro non posso sostenere questa isola, perché noi siamo le fate della natura; con la nostra magia riusciamo a tenere sospeso questo mondo che si trova tra spazio e tempo, ma visto che le mie compagne non ci sono quest’isola affonderà per sempre nell’oceano oscuro, cancellandone l’esistenza.” Quando ebbe finito di parlare agitò la sua bacchetta e fece apparire sulle mani di Giovanni una mappa magica. 93


La fata gli disse: “Questa mappa traccia una scia magica che ti segnerà il percorso del posto desiderato, per avere il soffione però ti servirà un’altra pianta, ora ti consiglierei di andare alla Grotta del Fiore Temporale.” E con un colpo di bacchetta sparì nel nulla. Giovanni toccò sulla mappa la grotta e comparve il percorso indicato. Il ragazzo camminò senza sosta, solo qualche volta si fermava per procurarsi delle provviste

Ci volle molto tempo, perché la grotta era dall’altra parte dell’isola, ma dopo circa sei ore arrivò ad una cascata molto strana: la sorgente era viola e la corrente andava dal basso verso l’alto, ma della grotta nessuna traccia.

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Giovanni non si arrese, si tuffò e la cascata lo trasportò su fino a una collina. Quando la corrente arrivò in cima, Giovanni balzò fuori e cadde a terra. Il ragazzo cercò un posto dove riposare, ma non dormì molto a lungo perché la mappa cominciò a vibrare con una tale forza da trascinarlo. Quando la mappa si fermò Giovanni si trovò davanti ad una statua colossale. Raffigurava un uomo alto e robusto: era suo padre, con un soffione in mano. Giovanni provò ad arrampicarsi, per arrivare al braccio. Quando arrivò provò a soffiare e nonostante la pianta fosse di pietra i semi volarono lo stesso, ma non notò nessun cambiamento. Allora scivolò lungo la statua fino a toccare terra. Udì un rumore che proveniva dalla sorgente, poi la terra cominciò a tremare…che cosa stava succedendo? Il ragazzo andò a controllare e vide dei cristalli viola che chiudevano la sorgente: infatti non c’era più acqua.

Giovanni si accorse che sotto il ruscello c’era un tunnel: si trattava della 95


Grotta del Fiore Temporale. Giovanni si avventurò nella grotta ma si accorse che non portava a nulla: era in un vicolo cieco. La strega, che stava volando nei paraggi, vide che Giovanni aveva trovato la grotta quindi fece apparire un enorme masso e lo lanciò all’entrata del tunnel bloccandone l’uscita. La strega ridendo disse: “Scacco matto ragazzino!!” Ma Giovanni non si perse d’animo e guardò la mappa su cui era segnato un passaggio segreto che era oltre la parete di roccia. Respirò a fondo e la attraversò. Sembrava che la roccia si fosse trasformata in burro, tanto gli fu facile trapassarla. Il passaggio conduceva in un stanza vuota. Giovanni non sapeva cosa fare...camminò avanti e indietro pensando a come trovare il fiore. Ad un certo punto si accorse che stava lasciando dei fiori chiari e scuri ad ogni passo che faceva. Giovanni capì, grazie alla mappa, che doveva seguire la scia di fiori scuri, che lo avrebbero portato dal Fiore Temporale. Al suo ultimo passo sbocciò un fiore fatto di cristalli viola e molto luminoso: era la pianta che cercava. La toccò, ma si aprì un varco che portava ad un’altra dimensione. Si ritrovò sulla nave di suo padre che stava volando e viaggiando in un tunnel e cosa peggiore ritrovò la strega, che gli disse: “Ci rincontriamo di nuovo, bello mio!!! Ho avuto l’idea di recuperare i resti della nave di tuo padre per abbattere l’isola così ho creato questo tunnel dimensionale per 96


ritornare nel mio mondo e distruggere l’isola magica; ma tu sei un ostacolo e quindi ti devo abbattere!” Ma all’improvviso il fiore viola colpì Giovanni con una luce intensa e lo trasformò in un cavaliere senza macchia e senza paura. “Fatti sotto!” urlò Giovanni sguainando la spada. La strega allora arrivò in picchiata su di lui cercando di colpirlo con un fulmine nero ed appuntito. Ma Giovanni estrasse uno scudo da dietro la schiena e respinse il fulmine, mandandolo a colpire la testa della strega. Quella però si riprese subito e con la magia sollevò due barili e li scagliò contro l’eroe. Giovanni li evitò, e questo fece arrabbiare la strega che reagì facendo apparire le ombre dei marinai morti di suo padre. Erano aggressivi e pieni di rabbia per la loro sorte. Giovanni però non si fece impaurire e con fortissimi colpi di spada li sconfisse trasformandoli in polvere. Poi fece un balzo e con la spada colpì la strega che cadde a terra, come morta, lasciando sul pavimento solo una macchia nera: era scomparsa, ma aveva lasciato accanto alla propria scopa la scatola con il soffione dorato. Le sei fatine di pietra, che fino a quel momento erano rimaste immobili, cominciarono a muoversi e nel giro di pochi attimi ritornarono ad essere le bellissime bambine volanti di prima. Giovanni portò la nave di nuovo sulle coste dell’isola e qui le fatine, per ringraziarlo, presero il soffione e con una magia vi rimisero dentro i tre desideri disponibili. Giovanni le ringraziò tantissimo ed usò il primo desiderio per lasciare l’isola. 97


*** Si ritrovò addormentato sulla sua nave in mare aperto. Suo padre gli gridò di svegliarsi e gli ordinò di pulire il ponte della nave, come se nulla fosse successo. L’avventura nel mondo magico era finita: era ritornato alla realtà, ma in tasca ritrovò il soffione. Chissà se funzionava anche nel suo mondo reale. Lo avrebbe scoperto presto...

Fine

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Maria e il boscaiolo

Testo e illustrazioni di Gaia Compari

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C’era una volta, lontano lontano, un piccolo regno. Il popolo era triste perché non c’erano motivi per sorridere. Il re e la sua regina erano i più tristi di tutti perché non arrivava un bambino a renderli felici. Finalmente un giorno al castello del re, nacque una splendida principessina. La contentezza del regno era grande, tanto che il popolo fece festa per mesi. La bambina aveva occhi molto grandi e marroni, la bocca rosea, capelli ricci e folti. Era bella, dolce, ma soprattutto, e purtroppo, molto curiosa! Quando iniziò a camminare, amava passeggiare nelle stradine del paesino osservando con i suoi grandi occhi i lavoratori intenti nelle loro occupazioni. Quando quelli se ne accorgevano, le sorridevano, e lei rideva allegramente. Il re e la regina non le avevano ancora dato un nome e così decisero di chiedere al popolo come chiamarla. Il popolo si radunò nella piazza principale, ma c’erano varie proposte per decidere il nome della loro futura regina. Dopo ore di discussioni un contadino si fece avanti e disse: “Perché non la chiamiamo Maria?” Ci furono circa due minuti silenzio ma poi il popolo acclamò: “Sì, evviva la principessa Maria!!!” Nelle loro terre quel nome era santo, dedicato alle fanciulle più talentuose del regno. Al castello, anni dopo, una ragazza della servitù, aprendo le finestre, vide che era nato sul balconcino un fiore. Non era un fiore qualunque: aveva petali rossi e spinosi. La ragazza dopo averlo ammirato cercò di estirparlo e 100


si punse. Immediatamente iniziò a urlare e a rotolarsi per terra fino a quando non morì. Nel frattempo era arrivata Maria, con la madre. La ragazza, vedendo quel fiore malefico, ne rimase come ipnotizzata e si chiese cosa mai fosse. La madre, molto premurosa nei suoi confronti e impaurita, disse alla figlia che non avrebbe mai più dovuto osservare, toccare o respirare dinanzi a quel fiore. Il re, suo padre, fece trapiantare il fiore fuori dal proprio regno, vicino a una cascata. Il giorno seguente, mentre il paese era in fermento per la fiera di Primavera, Maria si svegliò prima del solito e trovando sua madre nel salone la salutò e le chiese se poteva andare a fare una passeggiata a cavallo anziché presenziare ai festeggiamenti. La madre, con occhi di fuoco, rispose: “Come ti permetti di disonorare il tuo popolo in questa maniera?! Proprio nei giorni di festa? Ora vatti a cambiare, metti il vestito ricamato d’oro e vai in piazza alla Festa!” La principessa stupita e arrabbiata con la madre per la sua reazione, si ritirò nelle sue stanze. Decise che se fosse uscita una mezz’ora a schiarirsi le idee non sarebbe successo niente, vero? Corse frettolosamente fuori dal palazzo e si allontanò cavalcando. Arrivò a una grande cascata dietro la quale si nascondeva un’ampia grotta. Maria vide qualcosa all’interno che brillava: riconobbe il fiore che aveva ucciso la cameriera. Si avvicinò per vedere meglio. Qualcosa si muoveva in quella grotta…

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Maria aveva paura, una paura che stava prendendo il sopravvento su di lei. Udì un rumore… Col cuore in gola sussurrò: “Chi è là? Si faccia avanti!”, ma nessuno rispose. Sentì un passo poi un altro e un altro ancora. Era evidente che in quella grotta c’era qualcuno! Improvvisamente una voce di uomo iniziò a parlare. Era molto calma e tranquilla: “Buondì madamigella come sta? Bella mattinata vero? Ma oggi non c’è la festa di Primavera al villaggio? Non dovevate indossare quel bel vestito così elegante che la fa sembrare più bella di una fata del bosco, e…”

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Maria lo interruppe e disse senza riflettere: “Senta mi ha riconosciuto? Sa chi sono io? Io sono Maria la figlia di Leonardo, il re di tutta la valle e non le permetto di pormi tante domande senza che neanche vi presentiate!” Lui rispose sorridendo: “Mi voglia scusare madamigella il mio nome è Riccardo, lo spadaccino. E, madamigella, si dà il caso che io venga da una ricca famiglia, beh fino a qualche anno fa, finché il re non ci ha portato via tutte nostre ricchezze e siamo rimasti senza denaro. E’ per questo motivo che l’ho seguita, per ricattare il re. Con lei nelle nostre mani ci restituirà tutto quello che ci ha sottratto. Quel fiore era stato solo un avvertimento. Peccato che sia morta una modesta cameriera. Doveva morire lei, la figlia prediletta del nostro nemico!” La principessa capì che era in pericolo. Si girò di scatto in direzione dell’uscita. Sentì solo la voce di quell’uomo urlare di catturarla. Dal fondo della grotta comparvero degli uomini armati che l’afferrarono alle spalle. Maria si dimenava più che poteva, ma quando capì di essere stata catturata e messa in un sacco, si fermò e cercò di ascoltare ciò che diceva l’uomo. Fecero un lungo viaggio e quando decisero di accamparsi per la notte tirarono la ragazza fuori dal sacco. Un uomo offrì a Maria un piatto di polenta che la principessa piangendo rifiutò. Ad un tratto, nell’accampamento si sentì una voce maschie: “Guarda chi c’è!!!” L’uomo che aveva catturato Maria disse: Senti boscaiolo, se non sbaglio l’ultima volta che ti ho visto mi avevi promesso che non ti saresti più fatto vedere.” 103


Lui rispose che non si sarebbe più fatto vedere se non avessero più commesso scorribande. Quindi, in un lampo, tirò fuori la spada e fece un massacro. Li uccise tutti tranne Riccardo, il loro capo, che scappò. Maria in tutto quel tempo era rimasta vicino al fuoco, impaurita. Provò molta compassione per i briganti, nonostante l’avessero rapita, e aspettò con ansia che l’uomo le parlasse. Non sapeva se fidarsi o no di lui. Poi il boscaiolo le disse in tono amichevole che avrebbe dovuto dormire perché l’attendeva una lunga giornata. L’indomani, quando Maria si svegliò, il boscaiolo le disse subito: “Ora sei libera e ti riporterò al castello, ma prima debbo sapere se meriti di tornare a casa con tutti gli onori. Sai vero cos’è il Cervo D’Oro?”. La ragazza face cenno di sì, perciò lui continuò: “Allora saprai anche che non è mai stato catturato. Si dice che abbia doti magiche e che nessuno sia mai riuscito ad avvicinarlo. Vorrei che tu lo facessi, e se lo catturerai avrai la mia protezione per sempre.” La principessa si mise subito in marcia. Il boscaiolo gli aveva detto di prendere il sentiero sud ai piedi del monte. Erano trascorse alcune ore quando vide lungo la strada un ragazzo, tanto magro da fare spavento. Maria si ricordò di avere con sé un po’ del pane dei banditi e subito lo diede al ragazzo. Lui lo prese e appena ne mangiò si librò in aria. Maria era senza parole. Quando il ragazzo scese a terra si era tramutato in un cervo dal manto marrone e oro.

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Maria, molto cautamente lo accarezzò, e poi gli salì in groppa. Il cervo la riportò all’accampamento dove l’aspettava il boscaiolo che, incredulo alla visione del Cervo D’Oro, disse a Maria: Direi che hai superato la prova!!!” Maria sentì un rumore e gridò: “Boscaiolo credo di aver visto un uomo!!!” Proprio in quel momento Riccardo, il capo dei banditi, tentò di assalire il boscaiolo con un arpione e lo immobilizzò. Poi colpì anche la ragazza al petto: era forse morta? ! Cadde a terra all’indietro con la testa piegata su una spalla. Il boscaiolo trovò la forza di liberarsi e, accecato dalla vendetta, uccise l’assassino di Maria e poi si precipitò da lei. Credendola morta la mise in groppa al Cervo D’Oro e si misero in cammino. 105


Ad un certo punto, lungo la strada, il boscaiolo si fermò e disse: “Maria io ti ho amato dal primo momento in cui ti ho visto, non lasciarmi ora…ti prego!!!” Dopo quelle parole la baciò. La principessa mosse leggermente il capo, aprì gli occhi e vedendo il giovane con le lacrime agli occhi allungò una mano e gliele asciugò. “Anch’io ti voglio bene. Se non ci fossi stato tu mi avrebbero certamente uccisa!” e lo abbracciò. Tornarono al regno, e, quando i sudditi la vedevano, sana e salva, attraversare il regno, addirittura in groppa al leggendario Cervo D’Oro, le correvano incontro felici. “Evviva Maria, evviva la nostra principessa!!!” Finalmente arrivarono al castello. Lì c’erano il re e la regina che non credevano ai loro occhi. Avevano versato lacrime e lacrime per la loro figliola che ormai pensavano morta. Quando Maria raccontò quello che era successo e da chi era stata salvata, furono contenti di dare il loro consenso alle nozze. Da quel giorno il regno non fu mai più triste grazie a Maria, al suo sposo, e alla protezione del Cervo D’Oro.

Fine

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Pullide e la principessa

Testo e illustrazioni di Pietro Farasini

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C’erano una volta, in un regno incantato, un re e un regina che avevano una bellissima figlia dai capelli splendenti. Era talmente meravigliosa che tutti i giovani principi l’avrebbero fatta loro sposa. Un brutto giorno, però, la principessa venne trasformata in una rana da un mago malefico che poi la rinchiuse in un maniero lontano. Il mago voleva vendicarsi dato che era stato allontanato dal regno dopo che aveva fatto un attentato al re per prendere il suo posto. Allora la regina disse al popolo: “Chi riporterà viva nostra figlia avrà la sua mano!”

Un ragazzo, di nome Pullide, montò il suo cavallo e l’andò a cercare. Pullide, dopo tre giorni di viaggio, trovò la fortezza e disse fra sé e sé: 108


“Come posso entrare senza farmi scovare?” Mentre pensava vide una luce provenire da un punto della parete del castello coperta da un fitto glicine. Fece largo con la spada e si rese conto che era un passaggio segreto. Si sentivano le voci delle guardie che passavano sulle mura sopra la sua testa e il giovane fece appena in tempo ad infilarsi nel pertugio prima che quelli lo scorgessero. Impugnò la spada, ed entrò in stretti e lunghi corridoi. Non vedeva oltre il suo naso, finché non giunse davanti ad una porta socchiusa. Si sentiva la voce rabbiosa di un uomo che insultava qualcuno. Spinse lentamente la porta e vide il mago con la principessa, ahimè trasformata in un orrido ranocchio. Quello si girò di scatto: “Hai molto coraggio ad entrare nella mia fortezza, lo sai ti ucciderò subito!”, ma Pullide non si scoraggiò e gli lanciò un’ascia che trovò appesa alla parete, però il colpo andò a vuoto. Allora il mago gli lanciò dei coltelli che gli uscivano dalle mani come frecce. Pullide li schivò ma una lama lo ferì ad un braccio. Fece però in tempo a scappare. Era molto scoraggiato. Come sconfiggere un mago con le sole armi umane? Era sanguinante e dolorante e pensava che non sarebbe mai riuscito a liberare la principessa, quando incontrò una fata, avvolta da una polvere magica come le farfalle, che gli disse: “Sei ferito, lascia che ti rimetta in forma. Ti prometto che ti guarirò”. Pullide non si fidava tanto di quella maga che gli sembrava strampalata, ma era così malconcio che si fece curare. La fata mantenne la promessa. Lo tenne con sé per alcune ore e sembrava che nulla fosse successo, tanto il suo corpo era tornato in forma. Pullide allora prese coraggio e le chiese: “Mi puoi aiutare a sconfiggere un mago malefico?” 109


La fata volle sapere ogni cosa, soprattutto quali malefici aveva fatto quel vecchio mago, poi fece un’espressione strana, come di chi ha riconosciuto una persona dopo tanto tempo e iniziò il raccontò di una bruttissima storia: “Io ero la sposa del mago, ma un giorno mi ribellai perché mi trattava come una schiava e prendeva tutta la mia magia. Mi teneva rinchiusa nel maniero, in una stanza tutta foderata di ferro, così mi indebolivo sempre più. Non potevo usare i miei poteri che lui mi rubava la notte raccogliendo la polvere magica che hai visto attorno al mio corpo. Ecco perché è diventato così potente. Ma adesso lo vorrei uccidere! Ti darò una pozione e con questa le magie del mago non avranno effetto, però dovrai uccidere un drago”. La fata gli indicò la grotta dove l’orrenda bestia viveva poi gli disse: “Dovrai portarmi la testa del drago perché in essa c’è la pozione”. Trascorsero giorni e giorni, mesi e mesi, poi Pullide trovò la grotta del drago il quale stava dormendo. In quella terra c’era una temperatura molto bassa. Entrò nella grotta buia, camminò rasente al muro, si avvicinò, prese l’ascia per tagliare la testa al drago ma non vide il fuoco, acceso dal drago per riscaldarsi, e ci appoggiò sopra un piede e: “Aah, che dolore!!!” urlò.

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Il drago si svegliò e si alzò di scatto. Il cavaliere cercò di scappare, ma prima doveva tagliargli la testa. Prese la spada e lo colpì, ma la pelle del drago era così spessa che la spada gli fece solo un piccolo graffio. Allora gli venne un’idea: “Posso prendere la mia spada, arroventarla sul fuoco e lanciargliela giù per la gola”. Andò vicino al fuoco, arroventò la punta della spada e la tirò nelle fauci del drago. Pullide vide il drago cadere a terra, morto. Gli mozzò la testa e riprese la sua spada. Poi si mise in viaggio per portare la testa del drago alla fata. Arrivato, le diede la testa e lei con una magia fece uscire dalla bocca del drago un fiore. La fata disse a Pullide di mangiare il fiore, perché questo sarebbe servito come protezione. Pullide non era tanto convinto, ma si poteva fidare della fata. Mangiò il fiore, ma non si sentì per niente diverso. Riprese il cammino e andò verso la fortezza convinto di potere sconfiggere il mago. Prese la spada e, senza fatica, uccise tutte le guardie che cercavano di colpirlo: i loro sforzi non andarono a buon fine grazie al fiore magico ricevuto dalla fata. 111


Attraversò tutti i corridoi, scovò il mago e gli disse: “Adesso non mi sconfiggerai!”. Il mago gli scagliò una magia ma Pullide non la sentì. L’eroe impugnò la spada, il mago cercò di salvarsi, ma Pullide lo afferrò e lo lanciò contro un muro. Il mago spaventato gridò: “Farò tutto quello vuoi!” “Allora voglio che la principessa sia liberata e che ritorni umana.” Il mago la liberò subito e trasformò la rana in una bellissima principessa. Pullide portò la principessa fuori dalla fortezza e le chiese: “Stai bene?” “Sì, ma chi sei?” “Sono Pullide, un cavaliere mandato dal re e dalla regina a salvarti, ora ritorniamo al regno, ma non prima di aver legato per bene le mani e i piedi di questo orribile mago. Non vorrei che ci facesse un incantesimo strada facendo!” Trascorsero alcuni giorni prima di tornare al regno e quando il re e la regina, che stavano sempre sulle mura del castello per vedere se Pullide tornava con la loro principessa, riconobbero la figlia, il sorriso magicamente riapparve sui loro visi e su quelli di tutti i sudditi. La principessa era felice e grata al cavaliere, perciò, il giorno dopo chiese di poterlo sposare. Pullide ebbe così la sua bellissima ricompensa. Il mago venne rinchiuso in una grotta nascosta nella montagna incantata e nessuno ne seppe più niente. Ogni tanto si odono dei lamenti e dei pianti provenire dal monte, ma ormai nessuno ci fa più caso.

Fine 112


Marco e Linda

Testo e illustrazioni di Emanuele Ferrarini

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Tantissimo tempo fa, in un paese chiamato Grenwick, c’era un castello abitato da un principe, Marco, e la madre Ottavia, perché il re, padre di Marco, era morto in battaglia contro il regno nemico. Marco era infelice, perché si era innamorato di una principessa di nome Linda, che però viveva nel regno nemico, Winterol, con suo padre, il re Federico. Anche lei lo amava, ma entrambi non si potevano vedere, perché i loro genitori si odiavano da molto tempo. Marco sapeva che gli era stato vietato passare dal bosco di confine e andare dalla sua amata per portarla con sé, ma lui partì di nascosto durante una notte buia e imboccò il sentiero proibito. Arrivato nel bosco vide un soldato di Federico, che scappò subito a gambe levate per dire al re che stava arrivando Marco, il principe di Grenwick. Il mattino seguente al suo risveglio davanti a lui c’erano dieci soldati pronti ad ucciderlo per ordine di Federico che gli gridarono: “Marco getta la spada!”, ma lui: “No, io amo Linda e non mi farò fermare da dieci soldati da strapazzo!”. Tirò fuori la spada, e con dieci colpi velocissimi, uccise i soldati però quelli gli danneggiarono l’armatura tentando di ucciderlo. Continuò il suo viaggio nel bosco buio, silenzioso e terrificante, ma non aveva paura. Dopo aver camminato per molto tempo vide un bagliore, si avvicinò pronto all’attacco: sentiva che c’era pericolo. Aveva ragione: era un mago. Quello gli fece una proposta: “Vai in cima al monte più alto, nella grotta del drago malvagio e prendimi la gemma magica e in cambio ti darò un’armatura fantastica fatta con lamine d’oro.” 114


“Certo ci andrò con gran piacere”, rispose risoluto, anche se aveva un po’ di paura a sentire di un drago spietato. Allora partì per la caverna del drago dove era custodita la gemma preziosa. Dopo ore di viaggio arrivò ai piedi della montagna: era terrificante, arida, altissima e accerchiata da una nube nera.

Iniziò a salire la montagna, Marco doveva farsi forza, perché sentiva strani rumori e c’erano tanti scheletri sparsi dappertutto, probabilmente di quelli che avevano tentato di salire l’oscura montagna prima di lui. Passati giorni e giorni, aveva le gambe che gli tremavano, gocce di sudore che gli scendevano dal capo, ma doveva arrivare in cima, obbligatoriamente. Passarono ore e ancora non si vedeva la fine, ma Marco era troppo ostinato per poter mollare. 115


I giorni trascorrevano ma Marco non cedeva. Finalmente arrivò in cima, ai piedi della grotta: era stanchissimo… non riusciva quasi a muoversi. Allora decise di aspettare il giorno dopo per prendere la gemma preziosa. Giunse la mattina e il momento di affrontare il drago. Nonostante il pericolo, non aveva paura: era deciso di portare la gemma magica al mago e ottenere l’armatura dalle lamine d’oro. Marco però non voleva affrontare direttamente il drago, preferiva provare a prendere la gemma senza svegliarlo. Si decise ed entrò nella grotta. Era terrificante, grandissima e buia; l’unica cosa che si vedeva era la gemma preziosa luccicante. Era troppo bello per essere vero. Il drago continuava a dormire e la gemma era lì davanti a lui. Sembrava fin troppo facile…Fece un passo in avanti per afferrarla quando precipitò in una voragine. Era un burrone buio, non si vedeva nulla, sembrava che ogni speranza fosse ormai perduta, ma lui, mentre cadeva, riuscì ad aggrapparsi all’altra sponda della grotta, e scalò faticosamente la parete del burrone. Uscito, afferrò al volo la gemma preziosa. Il drago se ne accorse e dalla bocca lanciò una fiammata che bruciò all’istante tutto quello che si trovava nella grotta. Marco scappò a gambe levate da lì; si era bruciacchiato solo un po’ la maglietta, ma per il resto era tutto intero. Iniziò la faticosa discesa verso la capanna del mago, nel bosco. Per fortuna il tragitto era molto meno faticoso della salita, quindi ci mise la metà del tempo ad arrivare alla capanna. Arrivò con la pesante gemma nelle mani e la diede al mago, lui lo portò nella sua capanna e gli diede la fantastica armatura. Marco gli disse infuriato: “Ma è piccolissima questa armatura!”, e il 116


mago gli rispose: “Come ti ho detto poco tempo fa, questa è un’armatura magica: va bene per tutte le taglie.” Gliela infilò e magicamente gli andava a pennello, era così leggera che sembrava di non indossarla. Salutò e proseguì il viaggio per il regno della principessa Linda. Era felicissimo, finalmente aveva la possibilità di sposarla. Passò per un paesino sperduto con pochissimi abitanti, ma notò che su ogni casa c’era appeso un cartello con scritto “Chi si unisce all’esercito del re Federico per sconfiggere il principe Marco sarà ricompensato”. Subito si accorse che tutti lo osservavano incuriositi dal luccichio della sua armatura e scappò. Tornò al suo villaggio per radunare un esercito contro quello di Federico. Per prima cosa andò ad avvisare la madre Ottavia di quel che era successo e che da lì a poco sarebbero stati attaccati se non avessero radunato un esercito, e disse: “Adesso che ti ho spiegato quello che è successo, chiediamo al popolo la stessa cosa che ha chiesto il re Federico cioè: “Chi si unirà all’esercito del principe Marco per combattere contro il regno di Winterol, avrà una grande ricompensa.”. Allora la madre disse ai servi del palazzo che durante la notte dovevano andare ad appendere i cartelli per tutto il regno e per tutti i dintorni con scritto “Chi si unirà all’ esercito del principe Marco sarà ricompensato”. La mattina dopo davanti al palazzo c’erano centinaia di persone che chiedevano: “Quale sarà la ricompensa? che battaglia ci sarà? che missione si dovrà svolgere? Per quanto tempo si dovrà stare lontani? Ci saranno armature pesanti per tutti i soldati?” Allora il principe Marco dalla finestra del suo palazzo disse a tutte le persone che gli facevano domande: “La ricompensa sarà cento soldi, la 117


battaglia sarà contro il regno di Winterol, si starà via per circa dieci giorni e tutti avranno armature pesanti.” I cittadini e i guerrieri che volevano partecipare alla guerra si fecero dare gli indumenti che volevano e si fecero spiegare il piano del principe Marco e cioè che l’esercito avrebbe superato il bosco al seguito del principe e i cavalieri del regno, poi il principe sarebbe andato a prendere la principessa Linda per portarla in salvo nel regno di Grenwick.

All’alba iniziò la battaglia e il principe Marco ne approfittò per andare dalla principessa Linda, ma ci fu un imprevisto: a proteggerla c’era suo padre, il re Federico. Marco tirò fuori la spada e lo affrontò. Il duello fu duro ma Marco riuscì a stordire il suo avversario con un terribile colpo di spada. 118


Abbracciò la sua amata Linda e con lei tornò al regno di Grenwick. Si erano finalmente uniti. Marco raggiunse i suoi cavalieri sul campo di battaglia e più di una volta l’armatura del mago gli salvò la vita. Per giorni e giorni risuonarono i colpi delle spade e degli scudi fino a quando tutto si fermò con la vittoria del popolo di Grenwick. Al ritorno il principe Marco sposò la sua amata principessa Linda. Il popolo di Grenwick era contento che finalmente i regni fossero in pace e più di tutti i due principi che regnarono lungamente e con giustizia.

Fine

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Daniel e lo stregone malvagio

Testo di Francesco Fontana Illustrazioni di Francesco Fontana e Matewuos Mesfun

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C’era una volta un regno governato da un re e una regina molto gentili, però un giorno, un mago cattivo, entrò a palazzo e rivolgendosi alla regina ed al re con fare minaccioso disse loro che se non avesse avuto in sposa la principessa avrebbe distrutto il regno, poi sparì in una polvere violacea. Il re e la regina non sapevano cosa fare poi decisero di allontanare in un maniero fortificato la principessa così nessuno sarebbe riuscito a rapirla; nemmeno il mago. Visto che non si decidevano, il mago rapì il re e lasciò un biglietto con scritto “Se volete rivedere il re, consegnatemi la principessa.” A quel punto la regina svenne.

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Quando si riprese chiamò i migliori cavalieri a corte e gli disse: “Signori un mago ha rapito il nostro re così ho indetto un torneo. Al vincitore, verrà assegnata un’importante missione: salvare il re e sposare la principessa.

Solo un cavaliere riuscì a superare le prove del torneo, si chiamava Sir Daniel un giovane principe che veniva da molto lontano. 122


Subito partì verso il covo del mago; una volta arrivato vide il re che disse: “Consegna la principessa al mago”, a quelle parole Sir Daniel capì che quello non era il vero re, allora si lanciò sul “finto” re che all’istante si ritrasformò nel mago. I due ingaggiarono un furioso duello, il mago però usò la magia nera per sconfiggere il cavaliere perché altrimenti non ci sarebbe riuscito. Così il cavaliere scappò in groppa al suo destriero che sfortunatamente inciampò in una radice. I due fecero un volo tremendo. Daniel fu sbalzato a terra e perse i sensi. Quando si riprese si trovò in una caverna dove vide un essere basso, con una barba molto lunga. Stranito chiese allo gnomo: “Dove mi trovo?” “Ti trovi nella mia abitazione, ti ho salvato quando sei caduto da cavallo.” A quelle parole si ricordò tutto e anche la missione che gli aveva affidata la regina, allora esclamò: “Mi devi aiutare!” ma lo gnomo gli rispose sconsolato: “Non ti sarei d’aiuto, non so combattere, ma posso donarti la spada “invincibile” , però devo essere sicuro che tu sia degno dalla spada quindi devi superare una prova che solo un cavaliere valoroso e forte riuscirà a superare.” Allora il cavaliere chiese allo gnomo: “Qual è?” “Devi sopravvivere quattro giorni nella “Foresta Oscura” solo con una spada. Credi di farcela?” Il cavaliere stava per dire di no, ma si ricordò dalla missione che la regina gli aveva assegnato e accettò. Il giorno dopo si recò nella “Foresta Oscura”. Appena arrivato, sentì un rumore spettrale proveniente dal folto degli 123


alberi, ma proseguì. Ad un tratto sentì un ruggito tremendo. Era un orribile mostro: aveva la testa d’orso, il corpo di leone e gli artigli da drago.

Lo attaccò, ma il cavaliere lo schivò e con un fendente gli mozzò la testa e pensò tra sé e sé: “La cena me la sono procurata”. Si sedette, accese un fuoco e cucinò la carne del mostro e ne mangiò fino a scoppiare. Così tutti gli altri giorni tutti i mostri che incontrò finirono arrosto. L’ultimo giorno uscì dalla foresta e lo gnomo era lì con in mano una spada fatta interamente di luce e gli disse: “Questa è la spada “invincibile” “E’ bellissima!” Il cavaliere ringraziò lo gnomo e ripartì alla ricerca del mago, dopo due giorni di cammino trovò il suo nascondiglio in una grotta oscura e spettrale piena di ragnatele e ossa. 124


Dopo qualche metro vide il mago che stava preparando una pozione magica. Lì vicino, legato ad una sedia, c’era il re; cercò di liberarlo ma non ci riuscì perché le corde erano stregate. A quel punto il mago lo scoprì e lo sfidò a duello. Il cavaliere accettò e ingaggiarono un furioso combattimento. Il mago cercò nuovamente di usare la magia ma il cavaliere, con l’aiuto della spada, glielo impedì. Tutte le volte che il mago gli lanciava i suoi poteri la spada glieli faceva rimbalzare contro. Ormai il mago era stremato, le forze gli mancavano e stava in piedi a fatica. Ormai era sconfitto. Sir Daniel legò il mago al suo cavallo, liberò il re e insieme s’incamminarono verso il castello, dove il popolo, la regina e tutto il regno aspettavano ansiosamente il ritorno del re. Sulla strada del ritorno andarono a recuperare la principessa nel maniero fortificato e dopo qualche giorno arrivarono al castello accolti da una grande festa. Il mago venne subito rinchiuso in una prigione anti-magia, il re tornò a governare il suo regno, e Sir Daniel e la principessa si sposarono e vissero per sempre felici e contenti.

Fine

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Il fiore magico

Testo e illustrazioni di Giulia Fontanesi 126


C’era una volta un piccolo villaggio in festa perché la regina aveva dato alla luce una stupenda bambina di nome Sara, ma dopo qualche anno, si scoprì che era ammalata gravemente. “Adesso come faremo? E’ la mia unica figlia!”, disse la madre disperata. Allora il re andò dal suo esercito e raccontò la disgrazia che gli era capitata. Mise alla prova i migliori cavalieri per dargli un incarico difficile e solo uno, Marc, la superò. Il giorno dopo il re andò da Marc e gli disse: “Vai a cercare il fiore della saggezza per guarire mia figlia. Devi attraversare un bosco molto buio e pericoloso, poi, quando uscirai, ti troverai in un posto incantato, con cascate, un arcobaleno immenso, e lì troverai il fiore della saggezza per la mia adorata figlia. Ora vai, corri e torna sano e salvo col fiore…buona fortuna, e mi raccomando non rivelare a nessuno dov’è il fiore …non accennarne neanche l’esistenza…ora vai.” Dopo la spiegazione Marc partì attraversando vallate, boschi, e campi, senza mai riposare. L’ eroe si fermò un istante per riprendere le forze, ma si addormentò. Dopo un po’ si svegliò e vide una vecchia signora un po’ strana. La vecchia gli chiese: “Ma tu cosa ci fai qui?” 127


“Sono in missione, sto cercando l’antidoto per guarire una principessa. “Ma la vecchia signora, incuriosita, gli chiese che cosa fosse questo antidoto, ma Marc le rispose che non poteva dirglielo. Allora la vecchia signora, che in realtà era una maga cattiva, gli fece un incantesimo: lo addormentò e nel sonno Marc rispose a tutte le domande. Allora la maga se ne andò tutta contenta e lasciò lì Marc che dopo un breve lasso di tempo si risvegliò e si accorse del guaio che gli era capitato. Allora cercò di riparare al danno cercando di giungere nel luogo in cui doveva esserci l’antidoto prima della vecchia. Partì attraversando il bosco e finalmente arrivò, si mise a cercare il fiore ma non lo trovò, perché la maga cattiva lo aveva già nascosto. Marc si stava per arrendere, quando da dietro un albero sbucò la maga cattiva trasformata in una ragazza, una bellissima ragazza bionda con gli occhi azzurri che disse a Marc: “Seguimi vieni con me…insegnami a cosa serve il fiore della saggezza…” Ma il nostro eroe non ci cascò: fuggì a gambe levate per evitare che gli facesse un altro incantesimo. Purtroppo inciampò e finì dietro ad un cespuglio da dove partiva una strada. La percorse per un giorno intero finché si trovò davanti ad una caverna. Entrò per cercare riparo dal freddo, ma vide un piccoletto con un magnifico mantello da cui si sprigionavano lame di luce abbagliante. Il mago, così disse di essere, gli diede in dono una pietra colorata che emanava un buonissimo profumo quando fosse stata vicino al fiore magico. Marc seguì le tracce che gli dava la pietra. Il profumo si faceva sempre più forte. Trovò la vecchia, col fiore, e scoprì che lo aveva nascosto nel suo cappello. 128


La vecchia propose un duello per chi doveva tenersi il fiore: spada contro spada. Per primo attaccò Marc che subito la disarmò, ma la vecchia impugnò un’altra spada, che teneva tra le vesti, ma nulla poté contro Marc che era troppo giovane e la pietra lo rendeva immune dalle magie che la vecchia gli lanciava. Alla fine la maga cadde a terra stremata e Marc ne approfittò per legarla stretta per renderla innocua. Poi la trascinò fino al primo villaggio e la lasciò lì, schiava dei contadini.

L’eroe tornò al regno con il fiore magico sano ed intero. Quando arrivò nel castello tutti lo accolsero festosamente. Diede il fiore alla regina che lo portò subito a sua figlia la principessa, la quale, annusato il fiore, si rimise subito. 129


Tutti festeggiarono Marc come l’eroe degli eroi, e come premio la regina ed il re gli consegnarono una montagna di denaro, ma lui non li accettò e disse: “Non voglio questi soldi, usateli per i poveri. Io vdesidero rimanere un suddito come tutti!” Allora la regina ed il re decisero di far scolpire una statua dedicata a Marc per aver salvato la principessa e così aver ridato la felicità a tutto il regno.

Fine

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Giacomo il cavaliere temerario

Testo e illustrazioni di Matteo Fusari 131


C’era una volta, in un villaggio lontano, lontano, uno scudiero molto giovane e spensierato di nome Giacomo, e il suo cavaliere, il Cavaliere Bianco. Andavano molto d’accordo fino al punto di trattarsi alla pari. Intanto in una caverna, nella contea dell’ovest, un uomo stava forgiando un’armatura di ferro nero. Vicino aveva delle creature spaventose con occhi assetati di sangue e il corpo massiccio. L’uomo spronò le potenti creature dicendogli che l’indomani avrebbero attaccato… Giacomo stava dormendo, ma a un certo punto sentì colpi di spade e si svegliò con il cuore in gola temendo il peggio. Guardò fuori e vide una guerra in corso fra i suoi compaesani e delle creature molto potenti con a capo un uomo possente, Desjardins il Massacratore, che impugnava una spada di bronzo e indossava un’armatura nera. Desjardins e il suo esercito mietevano un sacco di vittime, a capo dell’altro esercito c’era il Cavaliere Bianco; con il suo enorme scudo si riparava il corpo possente dalle frecce nemiche. Giacomo si vestì frettolosamente, prese le armi del Cavaliere Bianco, e uscì per unirsi alla battaglia. Era solo un ragazzino inesperto e Il Cavaliere Bianco vedendolo gli disse: “Scappa più lontano che puoi altrimenti la profezia non si avvererà!” Giacomo però non sapeva nulla della profezia. Il giovane scappò in una foresta e si nascose in una quercia. Giacomo pensò fra sé e sé “Rimarrò qui dentro finché la battaglia non sarà finita”. Il nostro giovane eroe si addormentò. L’indomani mattina si svegliò di soprassalto per colpa di un tuono fortissimo. Scese dalla quercia e corse in città preoccupato. Arrivò e vide 132


centinaia di vittime stese sui campi coltivati del villaggio. Pioveva a dirotto ma Giacomo voleva a tutti i costi andare nel palazzo reale a parlare con il re per conoscere le sorti del suo amico cavaliere: per lui era come un padre. Corse per le scale e, senza neppure farsi annunciare o bussare, entrò.

Il re era seduto sul trono con la sua bellissima moglie. Giacomo disse: “Vostra maestà mi dispiace disturbarla ma le devo fare una domanda per me molto importante...” Ma il re non lo fece neanche finire che rispose: “Ti manderò a cercare il Cavaliere Bianco: tu non sai, vero, che durante la battaglia è scomparso? Tu però lo dovrai trovare altrimenti se ci attaccheranno di nuovo non 133


sapremo come proteggerci contro quei mostri assetati di sangue! Allora accetti la missione?” Il giovane era rattristato ma nello stesso tempo elettrizzato per la sua prima vera missione, ed eccitato, senza neppure pensarci, prese la decisione. “Partirò subito per il viaggio, l’unica cosa è che mi manca l’equipaggiamento” Il re fece portare un cavallo, e delle provviste. Inoltre avrebbe portato con sé le armi del Cavaliere Bianco. Era pronto per il viaggio. Senza perder tempo salì sul cavallo e partì. Stava andando velocissimo e aveva fatto un buon tragitto, quando arrivò nella foresta: era oscura, tenebrosa e non si vedeva praticamente niente. Con il bel cavallo Giacomo andava a gran velocità ma alla cieca. Senza neanche accorgersene cadde in un lago: era di una sostanza appiccicosa e nera. Non riusciva a muoversi. Era in una difficile situazione, oltretutto il cavallo era scappato. Giacomo era ormai senza speranze, ma, proprio mentre stava per affondare, vide una sagoma, che non riuscì bene a distinguere chi fosse, che lo tirò fuori. Stremato svenne. Quando si risvegliò si guardò intorno: era in una casa minuscola di legno. Arrivò una piccola creatura vestita di verde che gli disse: “Finalmente ti sei svegliato!!! hai dormito per tre giorni!” “Dannazione! Non ce la farò mai a compiere la mia missione!” La creatura controbatté:” Non ti preoccupare il tuo amico è vicino; adesso ti regalerò qualcosa…” L’elfo portò molte provviste, uno scudo, un arco con le frecce, uno splendido cavallo e una bellissima spada di bronzo. 134


Giacomo ringraziò e uscì dalla casa. Fuori c’era un omone, gli corse un brivido lungo la schiena: capì subito che si trattava del terribile Desjardins. Giacomo d’istinto tirò fuori la spada.

L’avversario a sua volta sguainò la sua micidiale spada di ferro nero. L’eroe notò che dietro c’era il lago di catrame e, spaventato, prese il cavallo e andò a cercare il Cavaliere Bianco nella foresta. Vide una grande fortezza. D’istinto pensò che lì dentro ci fosse l’amico e ci andò. Puntò alle segrete, anche se c’erano di guardia quattro soldati armati, ma Giacomo non si diede per vinto, tirò fuori la spada e combatté valorosamente ferendoli, anche se non mortalmente, mettendoli fuori combattimento. Rubò loro le chiavi, e andò a cercare il Cavaliere. 135


Dopo molte celle trovò l’amico, gli aprì la cella e lo liberò. “Dobbiamo sbrigarci, Desjardins potrebbe attaccare da un momento all’altro”, disse Giacomo. Percorsero un lungo corridoio che li portò in una grande sala. Scavalcarono una finestra, e salirono sul cavallo che li attendeva proprio sotto, quasi che avesse intuito che sarebbero scesi da lì. Giacomo non era mai andato così veloce! In poco tempo raggiunsero un villaggio vicino al lago di catrame. Lì c’era il nemico ad aspettarli. Giacomo sguainò la spada andandogli contro con foga. Quello passò all’attacco e con un colpo terribile ferì il Cavaliere; Giacomo allora menò un grande e potente fendente con tutta la rabbia e la forza che aveva in sé, disarmando il nemico. Desjardins supplicò Giacomo di non ucciderlo, ma il giovane con un colpo di scudo lo fece cadere nel lago di catrame, che si chiuse in un vortice nero facendolo scomparire. Da quel giorno nessuno ne seppe più nulla. Da lì in poi Giacomo venne nominato cavaliere e ancora oggi si narrano le gesta di questo eroe, che, seppur fosse un ragazzo, non ebbe paura ad affrontare un nemico tanto più grande, grosso, ed esperto di lui.

Fine 136


La ballerina migliore

Testo e illustrazioni di Mara Leoni 137


C’erano una volta, tanto tempo fa, in un maestoso teatro due bravissime danzatrici: la fata Chiara e la strega Vanessa che lottavano per il premio di miglior ballerina del regno. Alla fine del ballo vinse Chiara. Vanessa, allora, pianificò la vendetta: intrappolò Chiara nella scatola delle sue stesse scarpette da ballo, rimpicciolendola con una magia. Poi nascose la scatola nella torre di un castello ai confini del regno. Ogni mattina si recava là, la liberava e, restituendole le sue magiche scarpette, la faceva ballare. Si nutriva della polvere magica che Chiara sprigionava, poi le toglieva le scarpette e la rinchiudeva. Vanessa così viveva tranquillamente diventando sempre più una strega potente. Molti anni dopo nel castello vivevano pacificamente una regina, un re e il loro splendido figliolo di nome Marco, un bambino intelligente e straordinariamente curioso. A sedici anni il ragazzo diventò un bel giovane e i sui genitori organizzarono una festa in onore del suo compleanno dove egli diventava adulto ed erede al trono. Il giorno dopo Marco entrò nella camera del re e gentilmente chiese: “Padre posso esplorare il castello dato che ho compiuto sedici anni?” In seguito alla sua richiesta, gli diedero il permesso di esplorare le aree più remote del maniero. Marco, eccitatissimo, cominciò ad avventurarsi nell’ala est che gli era stata vietata per anni e anni. Un giorno giunse alla torre dove Chiara era rinchiusa. Prima di entrare accostò l’orecchio alla porta e sentì Vanessa che pronunciava parole magiche e Chiara che veniva rinchiusa dentro la scatola. Quando Vanessa andò 138


via, volando dalla finestra spalancata, Marco entrò, pronunciò la formula e liberò Chiara. Lei, terrorizzata, si tranquillizzò appena Marco disse: “Sono il principe non ti spaventare!”

Chiara gli raccontò di tutta la storia di lei e di Vanessa la strega. Così Marco, folgorato dalla sua bellezza, decise di aiutarla. La mattina dopo, Marco sì svegliò di soprassalto ricordandosi di Chiara e, pensando che fosse solo un sogno, andò a controllare. Appena fu sicuro della presenza di Chiara si vestì, prese la spada, il cavallo, e partì. Era già nel folto del bosco, quando si fermò a mangiare e a riposarsi, poi si rimise in viaggio. Giunto al limitare del bosco, dopo una lunga camminata, scorse in lontananza il castello di Vanessa la strega malvagia. 139


Si avvicinò furtivamente, entrò da una finestra e si mise a cercare le magiche scarpette da ballo, infatti la principessa, con esse, sarebbe stata libera. Stava quasi per raggiungere lo studio segreto della strega, quando ecco che si sentì echeggiare una perfida risata: era Vanessa! Marco sguainò la spada e cercò di capire da dove provenisse, quando, si voltò di scatto e vide la strega. Cercò di difendersi ma lei, indicandolo con un dito, lo paralizzò e lo scaraventò fuori dalla finestra. Atterrò sul prato ai piedi del castello. Marco si stava riprendendo quando sentì una voce e chiese: “Chi sei?”

“Sono Lucia e sono venuta appena ho saputo che stavi male.” “Perché?” 140


“Ti spiego tutto. Sono uno dei vecchi giudici che, tanti anni fa, hanno deciso a chi assegnare il titolo di miglior ballerina del regno e sono venuta qui per aiutarti.” “Davvero?” Lucia proseguì: “Già, io sono uno spirito e posso diventare invisibile perché sono morta da tanto tempo. Mi sono intrufolata a prendere le scarpette da ballo: con queste riuscirai a sconfiggere la strega ma, inoltre, dovrai amare sinceramente Chiara!” “L’ho amata dalla prima volta che l’ho vista, grazie vado subito!” Marco entrò immediatamente nel castello, si inoltrò nei bui e umidi corridoi e gridò: “Fatti avanti strega, se ne hai il coraggio!” Subito la strega si fece avanti, ma, quando vide le scarpette cominciò a indietreggiare spaventata. Marcò puntò le scarpette verso la strega e pronunciò la formula che gli aveva insegnato Chiara e la strega diventò di cenere! Era morta !!! Marco emise un grido di gioia e si precipitò subito 141


fuori dal castello per ringraziare Lucia. Appena la vide le saltò addosso dalla felicità, poi, appena si fu ripreso, le disse: “Grazie, grazie mille! Mi sei stata veramente d’aiuto. Dovrò pensare a come ricompensarti!” “Di niente è stato un piacere! Ciao e alla prossima volta.” Così Marco partì per ritornare finalmente a casa e raccontare tutto a Chiara. Quando la ragazza apprese la notizia era al settimo cielo dalla gioia e chiese a Marco se poteva riavere le proprie scarpette da ballo, per essere definitivamente libera. Dopo che le ebbe indossate, manifestò il suo sincero amore a Marco e gli disse: “Grazie di aver fatto tutto questo per me! Non ti sarò mai abbastanza riconoscente…” Marco felicissimo della riuscita della sua impresa scese subito nella sontuosa sala del trono per raccontare alla madre e al padre tutto quello che era successo. Quando i genitori ebbero ascoltato tutta la storia lui gli presentò Chiara e gli disse che l’amava con tutto il cuore e che voleva sposarla. I genitori, dopo aver compreso il sincero amore che c’era fra i due ragazzi, diedero il permesso alle loro nozze. Poi al regno avrebbe giovato la protezione di un a fata buona e gentile come Chiara. *** Organizzarono un’elegante e sontuosa festa a cui era invitato tutto il popolo che acclamò con molti applausi il principe Marco e la sua magica sposa. 142


Dopo la bellissima festa i due ragazzi andarono al loro nuovo castello e vissero felici e contenti.

Fine

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Mille stoffe per la piccola, grande Celeste

Testo e illustrazioni di Veronica Maestri 144


C’era una volta, e forse c’è ancora, in un regno incantato ai confini del mondo, una ragazza, chiamata Celeste. Era figlia di un onesto contadino, Sandro. La madre, nobildonna che per amore aveva sposato Sandro, purtroppo mancò prima che la piccola compisse tre anni, però le regalò tre fantastici doni, che non mollò più: il suo amore, il dono di saper cucire magicamente -era una tradizione di famiglia- e tutto il suo patrimonio. Celeste, ormai, nonostante avesse tredici anni, sapeva cucire come nessuna ragazza della sua età sapesse fare, e ogni giorno, ogni ora, cuciva magnifici abiti, ma non era mai soddisfatta: quando non cuciva, aiutava il padre, ogni giorno più debole che le diceva: “Figlia mia, tu sei la luce dei miei occhi e senza di te non ce la farei.” Intanto sul giornale quotidiano del villaggio “Gazzettino Giornaliero”, c’erano moltissime lamentele da parte di tutte le sarte perché non c’era più stoffa in circolazione. Così Anita, egoista gran ficcanaso e acerrima nemica di Celeste, che viveva accanto alla sua casa, riferì che era lei che continuava a cucire e si era comprata tutta la stoffa in circolazione nei negozi del contado. Quando madame Antonietta, la regina, venne a sapere del fatto, andò personalmente a casa della ragazza, dove pronunciò queste esatte parole a Celeste: “Cara, sono costretta a ordinarti di non andare più in paese ad

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acquistare stoffa. Non si riesce a trovare nemmeno un metro di tessuto per cucire un abito per me, che sono la sovrana di questo Regno!!!” Ma suo padre, irritato dalle parole della regina, disse: “Chiedo scusa vostra maestà, ma è una cosa inaudita!” E lei: “Ho dato ordini da eseguire, e voi li eseguirete! Non fatemi passare alle maniere forti.” Così se ne andò via sbattendo la porta ancora per poco intatta. In quella stanza buia, erano rimasti la triste Celeste e il suo papà. “Padre, io vivo per le stoffe, ma ti prometto che se ci scopriranno, nelle cantine del sotterraneo andrò io, come è giusto che sia … Il padre, dopo aver sentito le parole della figliuola, chiuse le palpebre, sospirò due volte e se ne andò in camera sua. Celeste si mise a piangere fino a quando il sonno l’avvolse … Passarono i giorni, qualche mese, mentre Celeste creava nuovi abiti, fino a che … Toc Toc! si sentì alla porta. “Chi è?” chiese un po’ spaventato il padre. “Siamo le guardie del castello, aprite, cerchiamo Sandro Bianchi” rispose una voce al di là della porta.

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Così papà Sandro aprì e vide due uomini alti che indossavano un cappello con due piume giganti rosse. Nonostante il volto serio e un po’coperto dalle piume apparivano simpatici. “Non state sulla soglia, entrate…” disse tremante Sandro. E una delle guardie rispose: “N- no no, dobbiamo solamente leggerle questa, signore.” Ed estrasse un lettera sigillata con la firma del re: “Famiglia Bianchi, il sottoscritto, cioè il re del regno, è obbligato a mandarla nelle segrete del castello imperiale. Niente scuse. Entro il tramonto vi voglio nelle cantine. Firmato re Leopoldo . Allora Celeste, avendo sentito ogni parola della guardia, corse giù dalle scale, prese un piccolo rotolo di stoffa e andò dalle guardie facendo segno loro di prendere lei e non il padre. Senza esitare le afferrarono un braccio e si avviarono verso quello che Celeste chiamava il Piccolo Inferno del regno … Intanto il padre piangeva disperato… Trascorsero alcuni giorni e Celeste finì il rotolo di stoffa, poi cominciò a ragionare un po’ di più, non avendolo fatto prima, e da quel momento si fece molte domande: “Chi ha riferito che ho infranto la regola della regina? Come mai sono stati così duri col mio povero padre? Perché non posso tessere?!!” 147


Ad un tratto un piccolo gnomo entrò dalla serratura della sbarra e fece a Celeste segno di non parlare. Sotto il braccio aveva un foglietto e glielo fece vedere. La ragazza lo lesse e dopo di che annuì. Celeste capì che lo gnometto voleva aiutarla ad uscire da lì. Lo gnomo se ne andò e dopo un’oretta arrivò con rotoli di stoffa, di tutti i tipi! Come fece Celeste non lo seppe mai, ma subito, con ago e filo, cominciò a cucire un abito. Quando arrivava il momento dei pasti, lo poneva con cura sotto le coperte perché le guardie non vedessero cosa stesse facendo. Le cominciava a piacere stare dietro a quelle sbarre con quello gnometto, che poi scoprì che si chiamava Arturo, ma certo non le piaceva quanto casa sua. Finalmente, quando finì l’abito, emise un grido di gioia e disse ad Arturo: “Vai a chiamare la famiglia reale e di’ a tutti di scendere!” Lo gnomo andò in fretta e fece quando ordinato. E così la regina ed il re con il loro figlio Fabio andarono dalla ragazza, e aprirono la cantina. A quel punto il re disse: “Ora sei libera cara fanciulla, spero con il cuore che avrai imparato la lezione.” Con un bellissimo sorriso sul viso, Celeste: “Oh no, cioè sì! … insomma guardate!” E tirò fuori l’abito, più bello che mai … La regina rimase ad occhi aperti, senza parole, il re e Fabio lo stesso. 148


“Questo è il mio omaggio alla regina che possa indossarlo nel giorno del matrimonio del principe!” Ma è bellissimo!!! È per me? Intendo il vestito!” E Celeste: “Certamente maestà!” “Su! Preparate un banchetto, e tu marito mio, fai chiamare subito il signor Sandro, padre della ragazza!” La regina subito dopo andò nelle sue stanze a indossare l’abito di Celeste e apparve dopo poco come trasformata. Sembrava più bella e giovane e sprizzava gioia da tutte le parti. 149


“Che meraviglia! Guarda mio re come sto bene con questo abito! Dopo tutto quello che hai fatto ragazzina, ti meriti un regalo: sposerai Fabio, il principe nostro figlio ed erede.” Celeste, felicissima, accettò (dopo aver chiesto al padre ora gioioso), e, come ciliegina sulla torta, avrebbe indossato una sua creazione! La gioia era tanta che non si era neppure accorta che quel giorno aveva compiuto diciotto anni! Quale occasione migliore per festeggiare il compleanno che un matrimonio? La cerimonia di nozze e il banchetto furono un successone, ma qualcuno doveva essere punito: Anita! Era lei che aveva fatto tutti quegli inganni a Celeste. Da quel giorno entrò nei sotterranei. La sua giusta punizione! Peccato che non avesse nemmeno un centimetro di stoffa per passare il tempo.

E da quel giorno tutti, o quasi, vissero per sempre felici e contenti.

Fine 150


L’acqua magica del lago

Testo e illustrazioni di Francesca Mora 151


C’era una volta, anti anni fa, un ragazzino di nome Davide, che viveva in una piccola capanna con la sua famiglia molto povera. Erano però molto felici perché la mamma aveva dato alla luce una bellissima bimba,Elena . Una mattina Elena quando si svegliò si accorse che non riusciva a camminare: rimaneva bloccata nel letto. La mamma, spaventata, disse: “Povera figlia mia, se non troviamo subito il rimedio per guarirla, fra pochi giorni morirà! È molto malata!” C’era un solo rimedio: l’acqua magica dal lago. Il padre diede un compito a Davide: “Vai nella foresta a prendere l’acqua del lago, però devi tornare prima di tre giorni, altrimenti Elena morirà. Sii prudente perché nella foresta troverai creature pericolose e maghi molto cattivi.” Davide, preoccupato di non riuscire a prendere l’acqua in tempo, preparò la sua borsa e ci mise delle scorte di cibo, il sacco a pelo, e dei portafortuna. Si incamminò e arrivò nel bosco che era pieno di cespugli e luoghi bui. Aveva l’impressione che qualcuno lo stesse seguendo. Dietro di sé sentiva scricchiolii di rametti e foglie per terra. Era spaventato: “Scappo? Forse è solo un animale!”, ma una mano lo afferrò ad una spalla. Aveva molta paura. Si girò di scatto e vide una sagoma incappucciata con un coltello in mano. Era un mago! Quello cercò di pugnalarlo, Davide tentò di scappare, ma… troppo tardi… il mago e i suoi aiutanti lo circondarono e … Il mago lo ferì ad un braccio, poi si dileguò con tutto il suo seguito.

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Davide caduto a terra, non riusciva a muoversi. Prese un unguento che aveva nello zaino, lo mise sulla ferita e la fasciò. Si alzò e tornò indietro.

Ad un tratto vide una bellissima donna che subito gli si avvicinò. Capì che era una fata, allora, pieno di speranza, le chiese: “Oh fata, mi puoi aiutare per favore? Mia sorella morirà se non prendo una fiala dell’acqua del lago, ma c’è un mago che me lo impedisce!” “Va bene, ma ad una condizione: tu dovrai andare a cercare il mio unicorno che è stato rapito! E se ci riuscirai ti donerò la polvere magica, che ti svelerà la verità se la spargerai sulla testa del tuo nemico, e questo sacco prodigioso.” Davide camminò per ore ma non c’era traccia dell’unicorno. Era ormai disperato di riuscire nella sua missione, quando sentì degli strani versi. Era l’unicorno! 153


Era splendido. Davide non avrebbe mai immaginato di incontrare un giorno un animale così bello. Le grandi ali avevano piume colorare come l’arcobaleno e il corno sul muso sembrava d’oro e diamanti, da tanto splendeva. Ma ahimè! Era ferito ad una zampa e non riusciva ad alzarsi. Davide cercò in tutti i modi di aiutarlo, ma fallì: era troppo pesante per lui, allora legò l’animale ad una corda e con tutta la forza che aveva nelle braccia lo tirò verso sé, e tutto ad un tratto l’animale si mise sulle zampe. Zoppicava un poco ma poi spiegò le ali al cielo e facendo a Davide un cenno con la testa, lo invitò a salire sulla sua groppa e insieme presero il volo. Arrivati alla dimora della fata, quella gli donò ciò che aveva promesso. Davide si incamminò verso il lago. Erano già trascorsi quasi due giorni e il tempo era prezioso. Era immerso nei suoi pensieri quando sentì uno sbattere di ali sulla sua testa; alzò lo sguardo e vide uno strano uccello che lo seguiva. Si stava chiedendo cosa volesse, quando quello fece cadere ai suoi piedi un biglietto che diceva: “Figlio mio non perdere tempo! Tua sorella morirà!” Allora Davide corse a più non posso e dopo un po’, ormai sfinito, arrivò al lago. Prese la fiala, ma, quando cercò di raccogliere l’acqua, una fatina del lago gli volò contro e gliela fece rovesciare. Davide sapeva che il lago era sorvegliato dalle fate ma che erano buone. Si accorse che le fate del lago erano impaurite e non si avvicinavano. Tutte avevano occhi piccoli e verdi invece la fata che l’aveva urtato li aveva grandi e gialli, come il mago. La fata lo assalì ancora una volta per impedirgli di prendere l’acqua magica, ma Davide, svelto come un fulmine l’afferrò e la mise nel sacco che le aveva donato la fata del bosco, con la fiala piena di acqua. Dentro la fata cercava di uscire ma le pareti del sacco sembravano d’acciaio tanto erano forti e nulla potevano i suoi sortilegi. 154


Il ragazzo era molto preoccupato: temeva di non farcela a tornare in tempo. Pensava a Elena, che da un momento all’ altro sarebbe potuta morire. Era sconvolto! Nel suo cammino incontrò di nuovo la fata che gli aveva donato la polvere e il sacco. La ringraziò. Corse per tutto il tempo, sembrava che i suoi piedi fossero di piombo, tanto faceva fatica. Finalmente arrivò a casa e vide sua mamma che piangeva disperata. Quando però vide il figlio con l’ampolla d’acqua lo abbracciò. Corsero subito da Elena, che era ancora viva! Davide la prese fra le braccia e le porse l’acqua. Intanto che sua sorella beveva, lui le diceva: “Non temere, guarirai.” Elena si riprese subito, e per prima cosa abbracciò il fratello. Intanto la fata cercava di uscire dal sacco. Davide se ne era scordato completamente. Aprì una piccola fessura del sacco e ci sparse dentro la polvere della verità donata dalla fata del bosco. Aprì il sacco e subito uscì un raggio di luce: era il mago. Tutti insieme gli saltarono addosso, lo legarono e lo portarono dal re. Davide raccontò al re e alla regina tutta la storia, e soprattutto che il mago da quel momento non avrebbe più fatto male a nessuno. Il bosco era libero dai suoi sortilegi maligni. Il re premiò il coraggio di Davide con oro e ricchezze. Davide e la sua famiglia comprarono una nuova casa e i soldi rimasti li donarono ai poveri. Tutta la città era felice. 155


Il mago fu condannato a vivere nelle prigioni del castello per tutta la vita e tutte le sue ricchezze furono divise fra i sudditi. Grazie a Davide tutti vissero per sempre felici e contenti.

Fine

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Giacomo all’avventura

Testo e illustrazioni di Francesco Mossini

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Tanto tempo fa, in un castello lontano, lontano, vivevano un re e la sua regina. Un domestico del re, Giacomo, era molto triste e non lavorava più come un tempo. Il re cercava di capire il perché e scoprì che, Andrea, il cavaliere più valoroso del castello, gli aveva rapito il padre. Il re, infuriato, girava per la sua stanza come un leone in gabbia, poi prese una decisione; andò nei sotterranei del castello e disse al suo domestico: “Vai a cercare tuo padre e stai attento alle insidie che potrai trovare nel bosco.” poi gli consegnò una spada e uno scudo che lo avrebbero potuto aiutare. Giacomo partì e, appena arrivato nella foresta, vide una casetta. Pensò che suo padre potesse essere rinchiuso lì, allora aprì la porta piano, piano, ma sentì urlare e la richiuse subito. Dopo qualche secondo vide la maniglia piegarsi e una mano tutta rugosa che l’accompagnava. Dal rifugio uscì una vecchietta. Il domestico si spaventò, ma la vecchia gli disse: “Stai calmo! Vedi quella montagna ricoperta dalle nubi? Sulla cima troverai la mappa che ti indicherà dove si trova tuo padre.” Giacomo le rispose: “Non so come ringraziarti, ma come fai a sapere del rapimento di mio padre?” “Io sono una maga che vede tutto.” Giacomo la ringraziò per l’ultima volta e si avviò verso la montagna per trovare la mappa magica. Dopo una settimana il domestico arrivò ai piedi della vetta. Quella cima aveva poco di normale, perché era tutta ricoperta di nubi di diversi colori, tutti molto cupi. Quella montagna metteva proprio paura.

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Il povero Giacomo esitò prima di mettere piede nel sentiero che portava alla cima, però spinto dalla voglia di poter riabbracciare suo padre, disse fra sé e sé “Ora vado fino in fondo e compierò la missione che mi sono prefissato.”

Partì e arrivò alla vetta, che era ricoperta di nebbia. Non vedeva quasi niente, ma in lontananza intravide un piccolo tempio abbandonato. Si avvicinò, scorse un mattone diverso dagli altri, lo toccò e magicamente la porta si aprì. Entrò e vide la mappa; il poveretto non stava più nella pelle dalla gioia. La prese e corse più veloce che mai, ma non abbastanza da non farsi vedere dal guardiano del tempio “Chi sei?”, chiese Giacomo “Sono il guardiano del tempio e non ti lascerò portar via la mappa magica!!!”, rispose l’uomo, che sembrava forte come un toro. Giacomo non si fece spaventare da tutti quei muscoli: tirò fuori la spada che gli aveva consegnato il re, e con un colpo fulmineo lo ferì gravemente. Afferrò la mappa, poi corse giù dalla montagna. La fuga lo aveva stremato, le forze lo stavano abbandonando, perciò si fermò all’ombra di un albero per mangiare e bere le scorte che il re gli aveva consegnato. Poi rifocillato e sazio, riprese il cammino, seguendo la strada indicata sulla mappa. Subito non riusciva a capire il sentiero tracciato per cui andò fuori strada. Quando si accorse di avere sbagliato si rassegnò, ormai era notte, quindi si addormentò sopra un mucchio di foglie, che gli parevano molto comode e confortevoli, tanto era esausto. Quando si svegliò cercò di capire come poter leggere quella mappa magica, provò la sua ipotesi, ma senza successo.

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Si accorse che la mappa gli indicava una strada giù per un burrone che era a pochi metri da lui. Allora provò a leggerla al contrario e scoprì che era giusto così. Allora attraversò la foresta, che, come gli aveva detto il re, presentava molte più difficoltà di quanto uno si potesse aspettare, infatti dovette combattere con ragni giganti che gli arrecarono parecchie ferite.

Giacomo dovette anche attraversare un fiume in piena; riuscì ad arrivare alla riva opposta con un bel pezzo di legno che trovò sulla spiaggia. Una volta attraversato il fiume vide un rifugio: la mappa mostrava ampi segni rossi per cui tirò fuori la spada e aprì la porta del rifugio e… Vide Andrea, il valoroso guerriero, che stava frustando Maurizio, suo padre. Giacomo disse: “Lascialo subito!” 160


“Mai!” controbatté il perfido cavaliere. Poi scoppiò la battaglia. Sembravano tutti e due invincibili fino a che Giacomo non schivò un colpo e ferì il braccio di Andrea, che cadde a terra e implorò pietà. “Perché hai rapito mio padre?”

Andrea rispose: “Circa un mese fa, mentre tornavo dalla festa in maschera, che si è svolta al castello, ti vidi mentre tenevi fra le mani lo scettro magico che io stavo cercando da molto tempo. Era certo che fossi arrivato prima tu a trovarlo. La leggenda dice che chi possiede lo scettro sarà l’uomo più valoroso del regno. Io ero adirato, tu avresti preso il mio posto al fianco del re e non riuscivo più a controllarmi. Un servo il miglior cavaliere?! Era 161


inaudita una cosa simile! Così decisi di rapire il tuo povero ed indifeso padre. Lo avrei liberato in cambio dello scettro. Ora però sono pentito…ti supplico, non farmi del male!!!” Giacomo non si lasciò impietosire: con una corda legò Andrea ad un albero, poi corse a liberare suo padre. Lo abbracciò come non aveva mai fatto. Più tardi tutti e tre insieme imboccarono la strada che li avrebbe condotti al castello dove arrivarono dopo cinque giorni.

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Giacomo fu accolto come un re che ritorna in patria, anche se era solo un domestico. Ma lo rimase per poco, perché il re gli consegnò il titolo di Guerriero più valoroso del regno, e gli diede un servitore personale, che era Andrea. Giacomo sposò anche la donna più bella del regno e tutti vissero felici e contenti.

Fine

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Arturo e il drago

Testo e illustrazioni di Niko Quintavalla 164


C’era una volta, in una pianura sperduta, un villaggio molto tranquillo e sereno. A capo di questo villaggio c’erano un re e una regina che governavano sereni, ma un giorno accadde una cosa che avrebbe sconvolto la vita di tutti gli abitanti… In una grotta, si schiuse un enorme uovo. Da quell’uovo uscì un drago, che, con le sue possenti ali, tutti i giorni sorvolava il villaggio e seminava panico e distruzione; perfino i guerrieri più esperti non riuscivano ad ucciderlo, perché era così veloce che lo mancavano sempre.

Così un giorno il re disse a un servo: “Vai a chiamare il nostro guerriero più valoroso, Arturo.” 165


Il cavaliere, appena arrivato alla fortezza, chiese al re: “Sire, come mai mi avete convocato a corte?” Il re allora gli spiegò: “Ti ho convocato per darti l’incarico di uccidere il drago malefico che tutti i giorni semina panico e distruzione fra la gente.” Il cavaliere, allora, dopo una lunga meditazione, accettò, ma in cambio chiese una grande ricompensa. Il re, allora, decise: “Se ucciderai il drago sarai ricoperto d’oro.” Il cavaliere annuì ed infine uscì dalla magnifica fortezza. Il giorno seguente, Arturo, appena sveglio, iniziò a preparare l’armamento per sconfiggere il drago. Così all’alba, dopo aver preparato tutto per la difficile sfida, si avviò verso la foresta incantata. Quando calò la notte, il cavaliere preparò un accampamento e accese il fuoco per riscaldarsi. Però non riuscì a chiudere occhio, perché pensava che da un momento all’altro potessero uscire dai cespugli animali feroci. Quindi, alle prime luci dell’alba, si avviò verso la montagna dove si trovava la grotta del drago. Prima di arrivare, dovette attraversare boschi, acquitrini e, alcune volte, sconfiggere animali feroci, fino a quando, stremato, raggiunse la dimora del drago. Decise di togliersi tutti gli armamenti pesanti che aveva addosso, in modo tale da essere più veloce e leggero durante il combattimento. Prese la spada e il suo possente scudo e si addentrò in quella tenebrosa e oscura grotta, facendo attenzione a non fare nessun rumore, in modo tale da non svegliare il drago. Purtroppo inciampò e dal suo braccio scivolò lo scudo, che cadde facendo un enorme rumore. Il cavaliere pensò fra sé e sé: “Speriamo che il drago non si 166


svegli.” Ma non fu così: sentì una specie di ruggito nel profondo della grotta e dei passi da gigante avvicinarsi verso di lui. Iniziò a correre a più non posso fino a quando scorse una luce: era arrivato all’uscita della grotta. Il drago, però, era troppo veloce e lo raggiunse in un attimo. Arturo, con le sue ultime forze, arrivò l’uscita e con un balzò uscì. Ma ce la fece anche il drago. Arturo, allora, prese la spada e gliela lanciò contro. Lui la schivò e con un colpo di coda colpì Arturo facendolo cadere a terra. Privo di forze e senza nemmeno lo scudo e la spada che aveva perso durante lo scontro, si lasciò cadere giù dalla montagna. Scivolando e rotolando giù dal pendio, si accorse che il drago non lo stava più inseguendo. Capì che probabilmente era tornato nella grotta. Arturo, però, non si accorse che davanti a lui c’era un ramo che lo colpì in pieno. Svenne. Intanto, lì nelle vicinanze, un mago stava passeggiando e vedendo il cavaliere scivolare giù dal pendio, accorse subito ad aiutarlo. Lo sollevò da terra e lo portò a casa sua per medicarlo.

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Dopo qualche tempo Arturo si svegliò. Subito pensava di sognare, poi capì che era in una casa. Si alzò, un po’ stordito, e cercò di capire dove si trovava. Dopo qualche istante sentì dei passi che si avvicinavano e così si nascose dietro un mobile. Intravide sull’uscio della porta un signore anziano che aveva una lunga barba e indossava un mantello. Il cavaliere capì subito che quella persona non poteva essere cattiva, così si alzò e chiese: “Chi siete?” “Sono il mago protettore della foresta. Questa è la mia dimora e vi ho portato qui perché eravate ferito e privo di sensi.” “Io invece sono Arturo e sono qui per uccidere il drago che tutti i giorni devasta il mio villaggio prendendone tutte le ricchezze.” “Se vuoi ti posso aiutare. Ho una spada magica e un elmo che ti serviranno a sconfiggerlo.” Il cavaliere, allora, ringraziando il mago come non mai, prese l’elmo e la spada magica che gli aveva consegnato e ripartì verso la grotta. Risalì il pendio molto velocemente, dopo aver superato il bosco e gli acquitrini. Così si ritrovò davanti alla grotta. Questa volta, però, Arturo decise di sconfiggere il drago fuori dalla grotta: doveva attirarlo con qualsiasi mezzo… Lanciò giù dalla montagna un enorme masso, che, arrivato in fondo al burrone, fece un tremendo boato. Come si aspettava, dopo qualche istante, sentì il drago avvicinarsi. Erano l’uno di fronte all’altro. 168


Arturo con la spada magica lo colpì sul muso e lui cadde in avanti: più che il colpo fu la sorpresa a bloccarlo. Il drago, però, benché stordito riuscì a rialzarsi, ma Arturo non gli dette il tempo di contrattaccare e, approfittando della sua momentanea debolezza, lo infilzò uccidendolo. Con la spada magica staccò dal drago un dente: sarebbe stata la prova che lo aveva ucciso. Dopo qualche giorno Arturo tornò al villaggio dove lo aspettavano il re, la regina e tutto il popolo. Il re mantenne la sua promessa e lo ricoprì d’oro davanti a tutti.

Fine 169


Giovanna e lo stregone

Testo e illustrazioni di Alexandru Raielan

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In un tempo remoto, in un piccolo paesino sperduto, viveva una giovane ragazza: bella, simpatica, ma decisa e molto coraggiosa. Il suo nome era Giovanna. Nell’accademia per guerrieri era l’unica femmina, ma la migliore: sconfiggeva anche i maschi. Ogni sera si addormentava con l’armatura; la mamma glielo proibiva, lei, però, lo faceva lo stesso. Quel mattino, quando si svegliò, erano spariti tutti. Nel paese c’erano solo rospi e rane. Giovanna era spaventata, non sapeva che fare, quando vide un rospo con una coroncina in testa che le si avvicinò e cominciò a parlare: “Aiutaci Giovanna, lo stregone oscuro ci ha lanciato una maledizione! Catturalo e facci tornare normali!” Quello era il re. Giovanna era l’unica che poteva compiere la missione, perché l’armatura, quella notte, l’aveva protetta. Il re aveva avvertito la ragazza di non entrare a cercare lo stregone nella sua grotta, perché era buia, e lo stregone lì dentro vedeva ogni cosa, ma lei no. In mattinata Giovanna partì. Una volta arrivata nel Bosco dell’Oscurità, notò subito una grotta di diamante nero. Quella grotta emanava una luce nera: era terrificante! Giovanna, con passo svelto ma silenzioso, si avvicinò all’ingresso della grotta e sentì qualcuno che parlava di un piano: “Adesso che sono tutti rospi sarò il re di quel paese, dopodiché sarò il sovrano del mondo!!!” Una volta capito il piano del mago, Giovanna si scaraventò nella grotta buia, ma il colpo di spada andò a vuoto e non riuscì neanche a sfiorare lo stregone. A quel punto il mago malefico scagliò due fulmini neri sulla 171


ragazza. Uno lo schivò, ma l’altro la colpì ferendola gravemente. Lo stregone ne approfittò per lanciarle un incantesimo per teletrasportarla nella Pianura della Paura. Quando si svegliò, Giovanna sentiva un forte mal di testa. All’improvviso una voce le disse: “Buongiorno!” Giovanna si voltò di scatto, ma qualcosa la bloccò: le parve di sentire una mano piccola e calda sulla schiena. Era una bambina con la testa di tigre che la aiutò ad alzarsi. Giovanna, incredula, le chiese: “Chi sei tu? Cosa ci faccio qui?” La bimba le rispose: “Il mago oscuro ti ha lanciato un incantesimo, ma non preoccuparti, stai guarendo, sei ancora molto debole, riposa”. Giovanna si addormentò. Al suo risveglio Giovanna si sentì molto forte. La bambina-tigre le si sedette accanto e le disse: “Giovanna, tu hai un cuore puro ed è per questo che ti dono questo scudo: ha la capacità di teletrasportare chiunque lo tenga, così potrai sconfiggere il mago malefico, ma prima dimmi, chi è la persona a cui tieni di più?” Giovanna rispose: “Mia mamma, anche se a volte mi fa un po’ arrabbiare, ma so che mi vuole bene, più di chiunque altro.” “Brava Giovanna hai superato la prova.” La bambina le porse lo scudo.

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Giovanna lo prese, ma prima di teletrasportarsi si guardò intorno: c’erano alberi morti dappertutto; pianti disperati giungevano alle sue orecchie; degli occhi impauriti la fissavano, come se volessero chiederle aiuto. Senza pensarci due volte la ragazza si teletrasportò. Giovanna si ritrovò nella grotta dello stregone sempre buia e tenebrosa, quando sentì un tuono. Si voltò di scatto, ma non vide nulla: aveva capito che lo stregone aveva percepito la sua presenza. Quando si voltò vide finalmente in viso il mago: aveva la pelle blu, era calvo, magro e i suoi occhi erano grandi, rossi e pieni di odio. Giovanna cercò di colpirlo, ma lo stregone evitò il colpo e rispose con due fulmini neri. La ragazza si protesse dietro lo scudo, e così i fulmini vi rimbalzarono e ritornarono indietro allo stregone colpendolo e ferendolo gravemente. Così lo stregone cadde a terra e Giovanna uscì da quella lotta vittoriosa. 173


La ragazza ritornò a casa teletrasportandosi, portando con sé lo stregone che dovette liberare il regno dall’ incantesimo. Tutti gli abitanti tornarono normali e lo stregone venne rinchiuso in una prigione costruita con degli specchi, così, se avesse fatto qualche incantesimo, gli si sarebbe ritorto contro. Giovanna venne proclamata dal popolo regina del regno, per l’atto eroico e coraggioso che aveva compiuto. E alla fine vissero tutti felici e contenti.

Fine

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Jacopo l’eroe

Testo di Martina Ruggiero Illustrazioni di Martina Ruggiero e Gofran Bouomrani 175


C’erano una volta un re e una regina che vivevano in un castello. Tutti erano felici e contenti, ma un giorno un uomo, di nascosto, entrò nel maniero e rubò la corona del re.

Questi e la sua regina, disperati, chiamarono il loro migliore cavaliere, Jacopo, e gli dissero di andare a cercare il ladro e di riprendersi la corona; in cambio lo avrebbero nominato erede del regno. “Sarà bello esse re un giorno!”, pensò, quindi accettò e partì per la sua missione. *** Jacopo si allontanò dal castello in groppa al suo magnifico cavallo bianco e, pieno di speranze, andò ai margini del bosco e si incamminò. 176


Nella foresta si sentivano rumori sinistri, ma lui non si fece intimorire. Ad un certo punto sentì dei passi che lo seguivano, allora afferrò la spada, si girò e si trovò davanti ad un uomo mascherato con un sacco legato dietro le spalle, che, impugnata la spada, gli disse con tono di sfida: “In guardia!!!” Jacopo non si tirò indietro e incominciarono a lottare. Lui era molto forte ma non quanto Jacopo: tutto era alla pari, finché ad un tratto l’uomo cadde a terra, sbatté la testa contro un roccia e svenne. Jacopo allora ne approfittò: afferrò il suo sacco e lo aprì. Dentro ci trovò la corona rubata del re. Era il ladro. Jacopo quindi, salì sul suo cavallo, legò dietro di sé l’uomo ancora svenuto, e ritornò al maniero del re. Felice per avere compiuto la missione che gli avevano dato i sovrani, Jacopo entrò nel castello, insieme all’uomo che nel frattempo si era svegliato. Ancora un po’ stordito dopo la caduta chiese: “Ma dove sono?” E Jacopo arrabbiato: “Sei nel posto in cui devi stare: in prigione.” L’uomo non rispose. Jacopo andò subito a parlare con il re e la regina. Li trovò in attesa nella sala del trono e disse con un tono trionfante: “Ho compiuto la missione che mi avevate dato, miei sovrani, ecco la corona!” e la mostrò tirandola fuori dal sacco, “Vi ho portato anche il ladro che l’aveva rubata.” Il re, soddisfatto, gli rispose: “Sono felice che abbiate compiuto la missione che vi avevamo dato e come ricompensa, dopo la mia morte, voi prenderete il mio posto. Quanto all’uomo lo rinchiuderemo nella prigione più remota del castello,” e come dal nulla sbucarono due guardie che lo portarono via. 177


Jacopo felicissimo disse: “Grazie tante maestà non ve ne pentirete di questa scelta, io sarò il futuro re di questo paese e prometto che sarò un re giusto con il popolo!!!” Trascorse appena una settimana che il re si ammalò gravemente. Tutti i sudditi e gli abitanti del regno erano molto tristi e amareggiati. Chiamarono il medico che dopo averlo visitato, disse alla regina e a Jacopo: “Mi dispiace tanto ma il re morirà tra pochi giorni. Non ci posso fare niente…” A quelle parole lei andò a chiudersi nella sua camera a piangere, invece Jacopo rimase lì triste, senza sapere che fare. Il re, che aveva sentito cosa aveva detto il medico, chiamò Jacopo e gli disse: “Tu prenderai il mio posto Jacopo, perciò, per il bene del regno, dovrai sposare mia moglie” Lui rispose con le lacrime agli occhi: “Non vi deluderò mio sire!” Dopo quelle parole il re morì.

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La regina uscì dalla sua stanza e si trovò davanti suo marito morto. Lei pianse a dirotto tenendo le mani strette alle sue; anche Jacopo pianse disperato. I sudditi e gli abitanti del regno quando seppero della morte del buon re si disperarono anche loro e gli fecero il funerale più bello che avessero mai fatto, in memoria di un re. Trascorse un po’ di tempo e la regina iniziò a vedere in Jacopo molte cose che l’avevano fatta innamorare del suo re: era generoso, giusto e buono con tutti i sudditi. Allora andò da lui e gli disse: “Il mio sposo aveva visto giusto. Tu sei il solo che possa prendere il suo posto nel regno… e anche nel mio cuore.” Dopo pochi giorni Jacopo e la regina, come voleva il re, si sposarono e vissero per sempre felici e contenti.

Fine

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Alla ricerca del Magico Vaso

Testo di Matteo Semino Illustrazioni di Matteo Semino e Clara Vitale 180


C’era una volta, molto tempo fa, un antico regno dove si viveva in pace, e mai c’erano stati conflitti. Ma, durante una notte, le guardie del castello si assopirono, così un uomo misterioso entrò nella reggia senza alcun problema. Subito andò nei sotterranei sapendo bene cosa cercare: infatti da secoli lì vi era custodito un vaso dal valore inestimabile. L’obiettivo dell’uomo era quello di distruggerlo. Lo colpì con un possente colpo di spada e immediatamente uscirono cose strane e assai agghiaccianti: “Le Ombre Maligne”. Il capo delle Ombre era l’ombra di un perfido mago di nome Ombra Di Serpente che, vedendo chi lo aveva liberato dopo tanti secoli, gli si inginocchiò davanti mettendosi al suo servizio, giurandogli eterna fedeltà. L’uomo disse: “Ora che vi ho liberato vi ordino di distruggere il regno che io odio tanto: il regno di re Luigi.” Le ombre si sparsero per il regno a distruggere i campi e a devastare le città. Il giorno dopo il re, di buon mattino, guardando fuori dalla finestra si spaventò per l'orrendo spettacolo. Si rese conto che soltanto le ombre maligne avrebbero potuto causare un simile disastro e che non avevano ancora terminato il loro lavoro di distruzione: continuavano a devastare campi mandando in rovina i contadini del regno. 181


Il re preoccupato non sapeva come risolvere quella gravissima situazione, ma si ricordò che secoli prima era stato creato un potente antidoto, il tamburo magico, contro l'operato delle ombre malvagie. Il tamburo era custodito dalla fata Angelica nel regno dei Cristalli. Il viaggio era molto pericoloso e occorreva, quindi, una persona coraggiosa, impavida, forte, ma soprattutto intelligente, per superare tutte le difficoltà. Il re fece chiamare il cavaliere Valerio, un valente combattente, al quale era stato messo il nome di un antico e leggendario guerriero suo antenato, di cui aveva imitato le gesta. Il re gli spiegò ogni cosa e concluse molto preoccupato: “Sta accadendo una tragedia nel regno. Tutto sarà perduto e i miei sudditi dovranno andare in altre terre”. Valerio rispose: “Abbiate fiducia, spero di riuscire nell'impresa e di porre fine a questa catastrofe.”

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Il re proseguì: “Mi serve il tuo aiuto per recuperare il tamburo magico, che è custodito nel regno dei Cristalli dalla buona fata Angelica. Partirai domani mattina alle prime luci dell’alba.” Il regno dei Cristalli si trovava in un territorio molto lontano dal regno di re Luigi, quindi Valerio doveva affrontare ostacoli diversi prima di arrivare al regno dei Cristalli dove la fata Angelica custodiva il tamburo magico nel quale era custodita una pozione fatata capace di risucchiare le ombre malefiche che erano fuggite. La sera stessa in cui il re aveva incontrato Valerio, l’uomo ignoto che aveva rotto il vaso, venne a scoprire, da un servo del re un po’ troppo chiacchierone, che il cavaliere sarebbe partito per raggiungere il Regno dei Cristalli dove la fata Angelica custodiva l’unica pozione contro le Ombre. Allora gridò: “Ombra Di Serpente, ti ordino di seguire Valerio nel suo viaggio e di fare tutto per ostacolarlo.” “Sarà fatto mio signore”. Il giorno dopo Valerio partì con provviste per tre giorni, e la sua inseparabile armatura. Finalmente giunse al primo ostacolo, la foresta inaccessibile. Non fece in tempo ad addentrarsi che vide d’avanti a sé un cavaliere alto e magro, che gli ostacolava il cammino. In realtà il cavaliere era Ombra Di Serpente, travestito da cavaliere. 183


Valerio doveva entrare per forza, perché era l’unico modo per arrivare dalla fata Angelica. Così passò per un altro sentiero più lungo e pericoloso. Il mago si accorse che era riuscito ad entrare lo stesso, allora fece un altro incantesimo: trasformò la foresta in un intricato labirinto con false indicazioni. Valerio, infatti, si perse e tornò al punto di partenza più volte. Infine il mago, non trovando sufficiente farlo perdere, lo colpì alle spalle. Valerio, avendo subito un colpo molto forte, svenne. Al suo risveglio vide d’avanti ai suoi occhi una vecchietta malconcia e affamata che gli chiese: “Mi daresti qualcosa da mangiare?” Valerio impietosito le diede un po’ di pane e da bere. Lei lo ringraziò, ma subito dopo mangiato la vecchietta iniziò a trasformarsi in una giovane bionda, vestita di giallo, bellissima. Valerio stupito chiese: “Ma chi sei?” 184


“Sono una fata e ho voluto metterti alla prova per vedere se il tuo cuore è puro, e a quanto pare lo è” ,poi aggiunse: “ti sei meritato Luce, il più potente drago che c’è, questa spada, e una pozione contro ogni ferita.” Luce, il drago, era gigantesco: solo il collo era lungo dieci metri. Il corpo, grande come una casa a quattro piani, era coperto di squame dorate. La coda era molto lunga e altrettanto forte, e sarebbe stata in grado di tagliare una montagna. Le ali erano molto robuste e sembravano quelle di un enorme pipistrello. I suoi occhi avevano il potere di vedere oltre la materia, come dei raggi x, e, come ogni drago, sputava fuoco dall’enorme bocca. Valerio ringraziò la buona fata per il preziosissimo aiuto. Il giorno dopo arrivarono al secondo ostacolo: il villaggio dei folletti dispettosi. I folletti fecero molti scherzi a Valerio. Per prima cosa gli dettero false informazioni, ad esempio gli indicarono una scorciatoia che lo portò a una grotta dove vi era una bestia feroce, che mise a dura prova Luce che dovette distruggerlo con un potente colpo di coda. Poi gli regalarono una spada che feriva chi la impugnava. Nonostante i folletti, finalmente Valerio arrivò al regno dei cristalli.

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Già si intravedevano le case e il grande castello che le dominava, quando improvvisamente il cielo si oscurò e apparve Ombra di Serpente che lo sfidò ad un duello all’ultimo sangue. Ombra di Serpente lanciò una potentissima scarica elettrica, ma Valerio la respinse con la sua spada, che lanciò in cielo delle saette tremende. Il cavaliere però non poteva colpire Ombra perché non aveva un corpo: era un’ombra. A quel punto Valerio ebbe una brillante idea: avrebbe fatto in modo che la sua ombra combattesse contro Ombra di Serpente… Cercò il punto più illuminato del sentiero perché la sua ombra potesse combattere con Ombra di Serpente. Simulò calci e pugni e riuscì a colpirlo. Ombra si sparse nel terreno e pareva stesse scomparendo, quando in un attimo si rigenerò e reagì lanciando una gigantesca palla infuocata che colpì in pieno Valerio. L’eroe era in punto di morte, quando si ricordò di aver a disposizione la pozione che gli aveva dato la fata, e in un attimo la deglutì tornando in piena forma. Valerio provocò il mago: “La tua ombra è davvero orribile, sei così anche d’aspetto?” e lui rispose pieno di orgoglio e ormai sicuro di vincere: “Ecco come sono!” e si materializzò. A quel punto Valerio lo trafisse con la sua spada e lo uccise. Ormai era senza forze e solo Luce, che lo trasportò sul suo collo volando di vallata in vallata, poté salvarlo. 186


Giunsero nel regno dei cristalli, e, ancora grazie a Luce, Valerio riuscì a trovare la casa di Angelica. Angelica, che subito lo vide, gli disse: “Tu sei Valerio, venuto da lontano per chiedermi il mio tamburo magico.” “Come fai a saperlo?” “Non sarei una fata se non sapessi leggere nel futuro!” Angelica, allora puoi donarmi il tamburo magico?” “Certamente, perché sei gentile e il tuo scopo è magnanimo e disinteressato. Ora torna a casa e libera il regno dalle ombre, ma attenzione colui che ha rotto il vaso è il ciambellano.” Valerio finalmente tornò al castello, e nel momento stesso che batté sul tamburo magicamente le ombre furono risucchiate all’interno … per sempre. 187


Il ciambellano che aveva visto tutto dall’alto della torre gridò: “Non può essere!” Il re aveva assistito ad ogni cosa. Era felice che le ombre fossero state di nuovo imprigionate ma era incredulo: non riusciva a capire perché il ciambellano avesse distrutto il vaso e provocato la rovina del regno. Valerio però intervenne confermando la sua colpevolezza. Le guardie catturarono il ciambellano mentre stava scappando, e per punizione venne esiliato nel Deserto Senza Ritorno da cui ovviamente non sarebbe più tornato. Il re ricompensò Valerio dandogli in sposa sua figlia e facendone il suo erede al trono. Da quel giorno il regno tornò in pace e tutti vissero felici e contenti.

Fine

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