Architettura senza architetti - Palanzo di Faggeto Lario

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ARCHITETTURA

SENZA ARCHITETTI Palanzo di Faggeto Lario

Stefano Ceresa



INDICE INTRODUZIONE 3 ORIENTAMENTO 5 LA CONFIGURAZIONE GEOLOGICA 7 SOCIETA’ ED ECONOMIA 9 URBANISTICA 13 CONTRADE 23 LE CASE 27 MATERIALI – LA PIETRA 31 MATERIALI – IL LEGNO 43 IL RIMBOMBO DELL’OMBRA 49 IL TORCHIO 63 SOCIETA’ CONTEMPORANEA 65 CONCLUSIONE 69 BIOGRAFIA 75

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Preludio al silenzio

C'è un tempo accanto al tempo in cui il Tempo è tradizione. Oggi è la pietra della storia Ieri le mani che la partorirono. Vedi, Non viviamo, ma resistiamo oggi, dilavati, come antiche osterie.

Lorenzo Donati, Poeta e Architetto

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INTRODUZIONE Il titolo architettura senza architetti nasce da una domanda che da tempo mi incuriosisce: quando guardo un edificio, un parco o un paese, cosa mi può far dire “ecco, questa è architettura”? Personalmente non riesco a trovare risposta nelle leggi indiscusse della metrica, del rapporto aureo, della simmetria e via discorrendo ma trovo la mia risposta quando un edificio riesce a trasmettermi emotivamente qualcosa mentre lo sto osservando, percorrendo e vivendo. Quando diciamo bello un viso umano? Ogni viso è funzionale nelle sue parti, ma solo quando siamo toccati emotivamente possiamo attribuire a quel viso un aggettivo di pregio: bello. Lo stesso è vero in architettura. Solo l'armonia perfetta delle sue funzioni tecniche come della scelta dei suoi materiali e della loro lavorazione può sfociare nel bello. Per scrivere di questo argomento, e per meglio capirlo, ho scelto di analizzare Palanzo di Faggeto Lario, il paese in cui abito. Se è vero che la buona architettura è proiezione della vita stessa, e ciò implica una conoscenza intima dei problemi biologici, sociali, tecnici e artistici, l’architettura di Palanzo è proiezione di uno stile di vita dove gli abitanti sanno apprezzare il luogo in cui vivono e farlo proprio: si è in contatto con la natura e la si valorizza per ciò che può dare in agricoltura, allevamento e nell’estrazione dei materiali di costruzione. Gli abitanti sono consapevoli dei vantaggi e dei limiti che caratterizzano il borgo di Palanzo e questa presa di coscienza si concretizza nel costruito. Questo modo di fare architettura pone come obiettivo e punto di riferimento costante l’uomo e il suo ambiente.

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Torre medioevale. Sulla sinistra si notano i terrazzamenti.

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ORIENTAMENTO L’impianto formativo del nucleo abitativo di Palanzo è ubicato lungo il versante del monte Palanzone che prospetta verso il lago. Il paese si trova a mezza costa e per questo è da ritenersi di carattere prevalentemente agricolo. I comuni posti lungo la riva del lago, invece sono legati alla pesca e ad impianti portuali per il commercio e la difesa . Del tutto particolare il sistema di controllo e difesa di Palanzo che risulta unico del territorio lariano. L’estremità settentrionale del paese è segnata dalla presenza di una torre medioevale a base quadrata, divenuta monumento nazionale. La torre risale probabilmente al 1239, periodo in cui l’imperatore Federico II prese il controllo di questo territorio. La scelta di costruire un sistema difensivo su questa piccola zona di terra è stata determinata dalla posizione e dall’orientamento che Palanzo occupa. Con i suoi 596 metri sopra il livello del mare, è uno dei paesi più elevati del Lario, ma il vero primato sta nella sua posizione privilegiata in direzione sud-ovest: il sole risplende per la maggior parte della giornata, consentendo così allo sguardo di esplorare l'intera vallata per l'avvistamento di eventuali nemici.

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Scorcio della chiesa. Si nota il masso erratico sul quale appoggia la costruzione.

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LA CONFIGURAZIONE GEOLOGICA Il paese sorge su un territorio solido e asciutto, costituito in modo prevalente da materiale morenico-calcareo, da cui a volte emergono i massi erratici. Sotto un leggero spessore di terreno si trova uno strato di roccia che, scendendo fino a lago, costituisce il basamento profondo del paese. Il fondo valle è percorso da torrenti incavati nella roccia, che, alla foce del lago, assumono la forma di orrido. Ogni avvallamento indica, in modo naturale, i confini dei vari comuni. Palanzo si trova tra la valle del Cairo, che divide il paese dal comune di Lemna, e la valle di Figirola che lo divide dal comune di Pognana. Nella valle del Cairo la portata dell’acqua è considerevole, ma facilmente attraversabile per il raggiungimento degli altri paesi. Questi fattori portarono alla realizzazione del mulino; ogni famiglia vi portava il proprio raccolto, ottenuto dalla mietitura estiva, dal quale si produceva la “fraina” un tipo di farina dalla colorazione nera che per gli abitanti costituiva un alimento prezioso. La particolare esposizione al sole e la natura stessa del territorio hanno reso Palanzo famoso per la fertilità del suolo. I terreni agricoli sono disposti a terrazzamenti e circondano l’intero paese. La scelta di costruire dei terrazzamenti è stata una vera e propria strategia architettonica adottata per sfruttare il terreno nel miglior modo possibile e che risponde, ancora oggi, a varie esigenze funzionali: si ottiene una maggiore superficie a disposizione per l’agricoltura, le colture hanno un buon orientamento al sole per tutto l’arco della giornata e l’acqua piovana, che altrimenti scivolerebbe via con forza lungo il ripido pendio della montagna, viene trattenuta e assorbita dal terreno.

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Via all’Approdo, collega i campi e la chiesa al paese e termina a lago.

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Tra la fine di un terrazzamento e l’inizio dell’altro crescevano le viti dalle quali si ricavavano abbondanti quantità d’uva nera. Tutto il terrazzamento, fino al successivo filare, era a disposizione per la coltivazione di frumento, verdura o alberi da frutto. SOCIETA’ ED ECONOMIA Palanzo venne costruito nel Medioevo, periodo in cui si sviluppano gli agglomerati montani. In questa fascia storica si ritorna a un modello economico regredito, non più basato sullo scambio, ma sul valore della produzione dei beni di consumo creati per una circolazione ristretta all’interno della comunità. In passato era il nucleo familiare che costituiva il fulcro di questa organizzazione socio-economica basata sull’unione che ancora oggi si fa promotrice per valorizzare la cultura e il costume del posto. Un punto di riferimento omogeneo e sistematico era la chiesa che ricopriva un ruolo importante per tutta la comunità: era il luogo sacro per assistere a cerimonie liturgiche e per intrattenersi a discutere, prima e dopo la funzione, di questioni d’interesse comune. Gli argomenti riguardavano la protezione e l’economia del paese: i servizi di vigilanza contro gli incendi e contro i ladri, la tutela del buoncostume e della condizione igienico-sanitaria, l’esecuzione dei lavori d’interesse comune come la costruzione di strade, del mulino e del torchio.

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Ponte che collegava Palanzo ai paesi vicini.

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L’agricoltura, l’allevamento e alcune produzioni artigianali legate al commercio di legna, lana e bachi da seta, hanno formato la base produttiva di un territorio con una proprietà privata parcellizzata. In questo modo l’individuo è strettamente legato alla famiglia e alle sue forme produttive. Questa struttura economica autosufficiente, basata sulla terra e sul bestiame, ha confinato l’economia in una cerchia ben ristretta, così che anche la produzione artigianale e commerciale è risultata limitata sia a Palanzo che nei paesi vicini. Il sistema socio-economico montano fin qui descritto non è cambiato nel corso del Rinascimento: lo sviluppo dell’iniziativa commerciale e imprenditoriale infatti non ha coinvolto la zona montana che è rimasta sempre più marginale ed estranea alle innovazioni. Ancora oggi le attività produttive sono poco sviluppate: quanto più rimane invariata l’economia del paese, tanto più invariata rimane la fisionomia della comunità sociale che la esprime. Con lo sviluppo economico si è diffusa la motorizzazione grazie alla costruzione di un’efficiente rete stradale in grado di collegare i vari paesi del lago. Inizialmente la via di comunicazione più semplice era quella d’acqua, infatti nei secoli scorsi il porto di Como ricopriva un ruolo strategico e funzionale molto più importante rispetto ad oggi per la stretta comunicazione con i paesi limitrofi. Via terra invece si utilizzava il percorso storico, cioè la strada Regia che da Como conduce a Bellagio. È solo nel 1922 che venne sostituita con una nuova strada più veloce. Da qui si aprì verso valle la prima deviazione che arrivò a Molina nel 1924, giunse a Lemna nel 1929 e finalmente si concluse a Palanzo nel 1953, per l’attivo interessamento del sindaco Emilio Fasola, cui la popolazione riconoscente ha dedicato la piazza che segna la fine della nuova strada.

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Particolare della pavimentazione delle vie. Il blocco monolitico fungeva da paracarro: gli angoli delle case non rischiavano di essere rovinati con il passaggio delle slitte.

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A testimonianza di questa impresa c’è una lapide infissa nel muro lungo la strada che riporta la seguente scritta: “strada costruita con i cantieri di sistemazione montana negli anni dal 1950 al 1958”. La via di comunicazione per Palanzo non fu più il lago, raggiungibile da mulattiere indipendenti e segnate dalle valli, ma un’unica strada carrozzabile che unì tra loro gli agglomerati abitati a metà costa e agevolò le comunicazioni con Como. Questo più agevole collegamento tra le varie realtà culturali montane e quelle a valle, tolse il borgo da un lungo periodo d’isolamento, e favorì una nuova mobilità sociale costituita da pendolari e dai primi turisti. Nonostante ciò Palanzo rimane l’ultimo paese che si incontra sulla strada provinciale verso l’alpe: la particolarità di non essere quindi un luogo di passaggio ha impedito al borgo di usufruire dello sviluppo commerciale e turistico che invece ha interessato l’intero bacino lariano agli inizi del ‘900. In compenso, questo relativo isolamento ne ha favorito la preservazione architettonica. URBANISTICA Date le oggettive condizioni economico-sociali fin qui descritte, Palanzo è rimasto architettonicamente e urbanisticamente legato alle sue primitive origini, un paese la cui architettura sembra essere nata spontaneamente, priva di un’organizzazione preordinata del tessuto urbano. L’abitato presenta una grande compattezza in cui è possibile ancora oggi distinguere la gerarchia dei percorsi interni tra le abitazioni e le vie principali che conducevano ai campi. Anche se oggi Palanzo si presenta completamente circondato dal bosco, basta voltarsi indietro di due generazioni per scoprire che il territorio ospitava prati per il bestiame e soprattutto campi per l’agricoltura.

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Ingresso di una cantina in via all’Approdo.

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La struttura organizzativa del nucleo non è ascrivibile a un intervento pianificato di epoca antica, è piuttosto d’impianto medioevale come si può rilevare dall’irregolarità dei percorsi interni, nonostante si riescano a identificare due vie principali: la prima collega longitudinalmente il borgo ai terreni agricoli scendendo fino al lago, la seconda crea un collegamento tra la cima della montagna e la riva di Palanzo passando verticalmente per il paese. Via all’Approdo è il nome di questa strada principale sulla quale si affacciano gli edifici più antichi e significativi, costituisce l’asse prioritario al cui margine troviamo la chiesa e al centro il torchio. La chiesa e la sua piazza, pur integrate nel borgo, sono situate in una posizione predominante rispetto ad esso, particolarmente panoramica e di rilievo. Anche nella sua ubicazione, l’edificio religioso rivela l’importante ruolo ad esso attribuito, ancora oggi, di guida spirituale della comunità. Le strade comunali furono selciate nel 1845, data che si rileva scolpita su un masso del muro di sostegno del vecchio sagrato della chiesa. Le vie all’interno del paese sono strette, ripide e con alzate in pietra, selciate in modo semplice e con cordoli di sarizzo; si snodano in modo tortuoso, aggirandosi tra le case e originando suggestivi sottopassaggi coperti, i ponti. Secondo una tradizione tramandata oralmente, alcuni dei ponti più esterni dell’abitato sarebbero stati punti di difesa del paese. In alcuni tratti la pavimentazione delle strade presenta alzate in cordoli di pietra arrotondata: questo accorgimento consentiva un passaggio più agevole della “slitii”, la slitta trainata sia da animali , che a mano, perché ne diminuiva l’attrito con il suolo. Lungo i lati delle vie si possono ancora vedere le “muleta”, panchine di pietra dove i contadini potevano riposare prima di riprendere il cammino.

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Corte interna.

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Questa tecnica urbanistica medioevale prevedeva di concentrare le case come se fossero dei volumi accostati tra loro senza interruzione, in questo modo non si prevedevano spazi aperti all’interno del paese. Il rapporto tra la vegetazione e il paesaggio è già acquisito dalla popolazione nella vita produttiva legata al lavoro nei campi. Quello che appare guardando Palanzo dall’alto è un borgo formato dall’insieme di edifici architettonicamente omogenei tra loro, come se fosse un unico edificio articolato in più cellule abitative dalla struttura planimetrica labirintica. All’interno di questa fitta maglia di edifici, l’abitazione individuale si erige direttamente sopra i locali adibiti ad attività artigianali, commerciali o al ricovero delle bestie. Come nella maggior parte dei paesi del lago, troviamo piccoli gruppi di edifici distribuiti su ampie zone di terreno distanti dal borgo. Chiamati località “cascino”, queste costruzioni erano adibite al ricovero del bestiame e del foraggio che non sempre trovava spazio all’interno del paese. Durante l’inverno però, le famiglie che ne avevano l’opportunità, preferivano tenere gli animali nella stalla sotto casa per prendersene cura e per riscaldarsi : il calore emanato dagli animali rappresentava una ulteriore risorsa per la famiglia e, nelle fredde serate invernali, favoriva il ritrovo conviviale con amici e vicini per passare le lunghe serate in compagnia. In molte abitazioni le fondazioni formano un tutt’uno con le pareti portanti dell’edificio per garantirne un’efficiente stabilità. Abitualmente coperti da volte che hanno la funzione di trasferire il carico ai muri perimetrali e quindi al terreno stesso, questi spazi sottostanti l’abitazione e a contatto diretto con il terreno roccioso, mantengono una temperatura fresca e costante, risultando così perfettamente adatti ad essere impiegati come vani cantina.

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Vecchio cascinale.

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Tanto è vero che, a distanza di secoli dal suo concepimento e realizzazione questo nucleo abitativo è ancora perfettamente conservato e godibile; è solo l’abbandono dell’uomo che ha causato i pochi casi di degrado, non le forze naturali che sono state domate grazie alla sagacia dell’antico costruttore nello scegliere il luogo e i metodi costruttivi più idonei. Per i paesi che si sviluppano sulla costa del Lario l’urbanistica è alquanto differente. Prendendo in esame il paese di Nesso notiamo come la costa metta in relazione il paese stesso con tutti quelli del territorio circostante. A differenza di Palanzo che si basava su un’organizzazione autarchica, Nesso vive di scambi commerciali con i paesi limitrofi. Il lago era la via più semplice e più rapida per promuovere l’economia e, perché no, anche i sistemi costruttivi e artigianali più moderni. Nel corso degli anni questo fattore incise molto sull’immigrazione che non era legata ad un fattore di povertà (la pesca, l’agricoltura e l’allevamento garantivano un buon livello di benessere) ma sintomo di competenze maturate sul territorio e richieste altrove. Nesso rispecchia urbanisticamente le caratteristiche dei paesi sviluppatesi sul lago grazie ai suoi tre centri principali (Vico, Borgo e Castello) che si relazionano con quelli minori. Questa maglia di borghi rappresenta la vivace continuità tra la terra e l’acqua, tra le vie che raggiungono la mezza montagna e quindi i campi, con i porti che si affacciano sul lago. L’approdo per la costa è discontinuo e privo di comode spiagge d’attracco, il che ha dato luogo alla creazione di diversi porticcioli: San Martino, Careno, Piazza Vegia e altri.

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Antica contrada.

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Anche Nesso ha saputo sfruttare questa disorganizzazione paesaggistica costruendo numerosi attracchi adibiti a svariati usi commerciali, ma non solo, il versante molto ripido al quale è addossato il paese ha dato origine a torrenti con una vasta portata d’acqua che scende verso la riva con forte velocità. Anche in questo caso, la caratteristica territoriale che avrebbe potuto costituire un pericoloso ostacolo naturale è stato trasformato in un vantaggio competitivo a favore dell’uomo che lo ha sfruttato con la costruzione di numerosi mulini per la produzione dei beni di consumo necessari e sufficienti non solo per la comunità che li generava, ma anche per la commercializzazione con i paesi vicini. Se ci si inoltra all’interno dei borghi di Nesso spicca l’importanza del ruolo delle corti. La corte non è da paragonare alla “curtis” medioevale, identificata come un complesso di diverse proprietà, ma è da intendersi come un insieme di residenze che si affacciano su un unico cortile che funge da elemento distributivo dei percorsi. La corte era anche spazio comunitario dove le quattro famiglie, in genere una per ogni abitazione, si ritrovavano al suo interno. L’accesso alla corte è costituito da un unico ingresso col preciso scopo di preservare l’intimità e la riservatezza dei suoi abitanti. Queste soluzioni ci consentono di paragonare le corti di Nesso alle contrade di Palanzo: anche se l’impianto costruttivo si articola in modi diversi, (una si sviluppa longitudinalmente lungo la via e l’altra trova forma su pianta quadrata), l’atmosfera che si vive all’interno di questi spazi è pressoché identica.

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Casa rivestita con assi di legno.

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L’appellativo con cui i locali chiamano le tre corti di Nesso, “curt de scima”, “curt de mez” e “curt de funt” identifica la posizione che esse occupano all’interno del borgo: corte di sopra, corte di mezzo e corte di fondo. Sono distribuite in successione lungo la strada che attraversa il paese seguendo la massima pendenza della montagna; le vie sono tortuose e presentano uno sviluppo labirintico, proprio come quelle di Palanzo in alpe e degli altri siti a riva, che tutt’oggi conservano le loro caratteristiche storiche, non ancora superate dal tempo. Possiamo quindi giungere alla conclusione che l’urbanistica di questi paesi si è sviluppata seguendo un’attenta analisi del territorio. Solo apparentemente tutto sembra lasciato al caso; in realtà, un esame più attento ci conferma che le costruzioni sono ubicate dove le fondamenta sono più forti perché costituite da roccia, rivolte verso il sole e in vicinanza dei terreni adatti all’agricoltura. Eppure, non vi è stato un modello urbanistico prestabilito e poi applicato, semplicemente l’esperienza dei costruttori e degli artigiani locali ha dato forma e vita a questi paesi del Lario. CONTRADE Il termine “contrada” non è sinonimo di strada o di via, ma intende indicare la “zona che sta di contorno”, cioè “intorno”. La parola che ne rende meglio il significato è probabilmente “rione”. Perciò la contrada non è un allineamento specifico di edifici o di terreni, è piuttosto una zona, un insieme che si autodefinisce per tale e che quindi può variare nella percezione dei singoli e a distanza di tempo, anche in maniera sensibile. La contrada medioevale è talvolta sostitutiva della parrocchia, più spesso è la zona d’influenza di un gruppo familiare. La contrada dell’epoca moderna è piuttosto un insieme di edifici dalle caratteristiche omogenee che tende progressivamente a identificarsi con le vie.

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Ingresso ottocentesco.

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Nella zona del triangolo lariano che va da Como a Bellagio, le contrade non sono uniformemente diffuse: gli agglomerati così definiti appaiono come un fenomeno urbano, mentre si direbbero del tutto assenti in campagna, forse perché i terrazzamenti agricoli agevolavano una suddivisione più omogenea della terra. I rogiti notarli stilati tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo segnalano la presenza di un gran numero di contrade, tutte identificate con i loro nomi. Se ne contano almeno una trentina ed è interessante notarne l’attestazione gerarchica. Una decina tra le principali prende il nome da gruppi familiari, in più di un caso l’indicazione della contrada è seguita da una specifica localizzazione, come per esempio: “contrada de Oriano ubi dicitur ad aream Gabrielis” cioè “aia di Gabriele”. Poi compaiono quelle che fanno riferimento a un elemento fisico del paese (la chiesa, la piazza, le porte, il torchio, il forno, la fontana); infine vi sono quelle che rimandano ad altri toponimi non ancora decodificati forse perché più antichi, ma ancora oggi utilizzati dagli abitanti del paese (fighirola, rabiana, pisciola, paravate). Il sistema delle contrade di Palanzo è ancora attestato alla metà dell’Ottocento, al momento della redazione del catasto. Ovviamente, quasi tutti i nomi sono cambiati: del tutto scomparsi i nomi delle persone o delle famiglie, mentre altre indicazioni hanno perso lo status di contrada e vengono ormai utilizzate autonomamente.

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Interno di un’abitazione. Cucina e zona pranzo.

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Oggi come allora quando ci si avventura per le strette vie del paese si nota come lo spazio incomincia a contenere il viandante e come la libertà di movimento si acquista percorrendo l’antico borgo: a fatica i raggi del sole riescono a penetrare tra i tetti delle case, ma ecco che là cade una luce più forte e attira dietro l’angolo. Attraversandola si continua a vagare tra le strettoie del paese che, stringendosi e allargandosi, creano quello spazio a volte più pubblico e a volte più riservato. Non si è guidati ma si è liberi di vagare. LE CASE E’ possibile che la tipologia delle case di Palanzo risalga all’architettura romanica: data l’accentuazione della compattezza determinata dalla struttura di poderose murature. Lo spazio viene definito e organizzato in blocchi compatti in modo tale che l’edificio presenti un forte carattere monolitico e di omogeneità. Le facciate infatti presentano rare e piccole aperture e sono contraddistinte da linee forti ed essenziali che contribuiscono alla determinazione degli altri volumi. Lo spazio abitativo è semplice e flessibile: all’interno della muratura portante solo l’arredo definiva i diversi ambienti. Anche se il carattere storico di questa soluzione abitativa è rimasto in molti casi invariato ancora oggi, il passare del tempo e le mutate condizioni economiche, hanno consentito ad alcune famiglie di riutilizzare gli antichi spazi adibiti a cantina o a stalla, trasformandoli in cucina con zona pranzo; oppure di riadattare il fienile, posto al primo piano fuori terra, per destinarlo a zona notte.

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Scolo in pietra per l’acqua.

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I locali oscillano in media tra i 9-15 mq, spesso sistemati in collegamento diretto tra loro, annullando così gli spazi di disimpegno . Ogni locale si caratterizza comunque per una sua funzione ben distinta nonostante le finestre in facciata esprimano un carattere omogeneo. IL muro perimetrale dell’abitazione, dall’ampio spessore di circa 60/70 cm., ospita altri piccoli spazi che prendono l’aspetto di nicchie di varie forme e di diverso utilizzo: alcune di dimensioni 50 x 50cm, vengono ricavate nella zona giorno, in prossimità del camino, e fungono da scaffali; altre nella zona notte, hanno dimensioni corrispondenti a quelle delle porte e si utilizzano come armadi a muro. L’evoluzione del concetto spaziale di nicchia, la ritroviamo nel camino: ai lati del braciere si sviluppano due piccoli vani che accolgono dai 2 ai 4 posti a sedere per la famiglia. La trasformazione delle abitazioni in Palanzo, è sempre stata caratterizzata, anche in termini architettonici, dallo spirito di adattamento. L’uomo svolge all’aperto gran parte delle proprie attività e la casa assume quindi una funzione di riparo nei limitati periodi di tempo da dedicare al lavoro individuale. Anche il senso del collettivo e dello scambio avvengono all’aperto o, nel periodo invernale, davanti al camino, acceso per la maggior parte della giornata senza timore d’incendi poiché la pavimentazione e le pareti erano interamente realizzate in pietra. Il camino è identificato come vero e proprio spazio vitale, di particolare importanza architettonica. È il centro focale della casa, intorno ad esso si preparano i cibi, si ritrova la famiglia e si scambiano conversazioni con amici. È come se uno spazio naturale esterno si fosse inserito all’interno della casa, portandovi ricchezza e vitalità.

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Ingresso del torchio.

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MATERIALI LA PIETRA Dopo aver analizzato l’impianto urbanistico del paese, si entra nel dettaglio per analizzare la struttura formativa del tessuto edilizio. In un paese come Palanzo, è l’ambiente stesso a esprimere la natura come fattore predominante per la vita dell’uomo. Gli elementi costruttivi sono infatti legati alle risorse del luogo. Le murature di origini medioevali sono prevalentemente in pietra faccia a vista, con conci regolari e squadrati, mentre quelle successive e di più recente edificazione hanno finitura e intonaco rustico tinteggiato o a raso pietra. I sassi impiegati per le costruzioni di architravi, stipiti di porte e di finestre, i gradini e i balconcini delle case, erano ricavati dai massi erratici che si trovano sparsi per tutto il territorio e venivano, soprattutto in passato, utilizzati come pietre da taglio per ricavarne ghiandone. Di altra tipologia era la pietra moltrasina comunemente chiamata “sarizzo”: un materiale lapideo di origine calcarea, di natura compatta e dura e che presentava una colorazione scura. L’estrazione di questo materiale avveniva dalle tre cave presenti sul territorio. Tale procedimento era il prodotto di una collaborazione tra il “cavasass” e il “picapreda”. L’opera dei cavatori era gestita direttamente dal proprietario della cava che, autonomamente, sceglieva il sito e le tecniche di estrazione,ancora simili a quelle utilizzate in epoca romana.E’ solo l’avvento degli esplosivi che ha consentito di introdurre modifiche sostanziali al sistema estrattivo, riducendo enormemente i tempi di lavorazione e la fatica delle braccia.

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Copertura del torchio.

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Prima di allora, infatti, i cavatori utilizzavano strumenti molto semplici: il piccone, i cunei, la mazza e la leva. Essi incidevano dei solchi nella roccia con il piccone e in essi battevano i cunei chiamati “punciotti”, fino ad ottenere la fenditura idonea per staccare il masso con l’utilizzo della leva. I cunei erano in ferro e costituiti da una punta a due lastrine, i quali, inseriti nelle venature della roccia dividevano il blocco dalla montagna. Prima ancora si utilizzavano cunei in legno secco che, bagnati con acqua calda, si gonfiavano esercitando nel masso una pressione sufficiente a produrne il distacco. Le enormi fatiche spese in questa durissima attività erano parzialmente alleggerite dalla conoscenza delle peculiarità della pietra da estrarre, infatti si traeva il massimo vantaggio dalla maggior divisibilità della roccia lungo i piani di stratificazione. Il materiale era così estratto in blocchi di diverse dimensioni a seconda della profondità degli strati. La tecnica di costruzione più antica è quella costituita da blocchi irregolari, grossolanamente squadrati e quindi sovrapposti, legati da un composto di terra mista a scaglie di pietra residuate dalla lavorazione. Questa tecnica elementare richiedeva però un’esecuzione accurata, con una destinazione d’uso generalmente attribuita al ricovero del bestiame, alla produzione agricola e alla costruzione dei terrazzamenti per la coltivazione. Molti di questi edifici si sono poi trasformati in abitazioni: le fughe tra i blocchi sono state riempite con malta cementizia, capace di rinforzare la struttura e isolare l’interno da spifferi d’aria. In entrambi i casi, la stabilità della muratura a secco è determinata dall’equilibrio statico delle varie pietre che la compongono. I punti strategici di tale equilibrio sono costituiti dagli angoli che vengono formati con pietrame di maggior dimensione e meglio squadrato.

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Scala di pietra esterna disposta parallelamente all’edificio.

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La tecnica prevede che le dimensioni delle pietre perimetrali diminuiscano progressivamente con l’innalzarsi dell’edificio, in modo da diminuire il carico sulle fondamenta. Le aperture che si trovano in facciata non seguono principi di simmetria e proporzioni ma variano semplicemente in funzione del loro utilizzo e della relativa quantità di luce necessaria all’interno. Solitamente le aperture sono realizzate con un architrave di pietra che presenta una forma arcuata in grado di distribuire meglio il carico sulle spalle laterali composte da due blocchi monolitici di pietra, le quali possono, a loro volta, posare su un elemento, anch’esso di pietra, che ne costituisce il davanzale, o la soglia d’ingresso nel caso di porte e portoni. Gli elementi sono composti da conci di pietra tagliati a cuneo e disposti in successione regolare. In paese troviamo anche delle porte combinate, che presentano aperture laterali di diverse dimensioni, quadrate o rettangolari. La stessa pietra era utilizzata anche come manto di copertura per il tetto, modificandone però la lavorazione che si basava sul taglio a spacco, per ottenere lastre con forme regolari e spessore contenuto tra i 2 e i 4cm chiamate “piode”. Queste lastre “sfogliate” dalla montagna vengono posizionate in senso quasi orizzontale e sfalsate tra loro in modo da raggiungere il colmo con la tessa gradualità. Si determina così una struttura il cui peso si distribuisce seguendo il principio dell’arco, che scarica il proprio peso sui muri perimetrali.

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Si notino le due differenti apertura in facciata, il tombino e l’affresco.

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Le piode venivano smussate sul lato che si trova verso la gronda per agevolare lo scorrimento dell’acqua. Tutti dettagli opera di esperti manovali che hanno saputo ricavare dalla pietra, unico materiale a loro disposizione, il massimo risultato possibile, veri accorgimenti architettonici perfezionati nel corso degli anni. Oggi gli stessi tetti accolgono tegole che non rispecchiano l’entità del territorio in cui si trovano. Il loro colore rosso acceso si discosta molto dalla tonalità grigiastra della pietra e l’argilla, materiale con il quale vengono velocemente fabbricate, è un elemento del tutto assente nel territorio montano. Del resto oggi come allora solo i più abili manovali sanno posare tale copertura e per questo venivano chiamati “maester”, ovvero maestro. Le tegole moderne sono invece più economiche, facilmente reperibili e di semplice e veloce posatura; hanno favorito purtroppo la sostituzione di gran parte dei tetti originali, alterando così il carattere omogeneo del territorio. Anche il collegamento verticale è definito attraverso l’utilizzo della pietra. In questo caso, anche se la lavorazione avveniva grossolanamente, il risultato era di straordinaria robustezza. Infatti la scala doveva essere estremamente funzionale e capace di sopportare il continuo passaggio dell’uomo e dei diversi carichi trasportati. Le scale potevano essere di diverso tipo: se sorrette da una muratura, presentavano un vero e proprio prolungamento dell’edificio sul terreno, il volume della casa si articolava in maniera diversa rispetto alle altre abitazioni, ma rimaneva architettonicamente integrato all’edificio, grazie all’impiego dello stesso materiale lapideo.

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Lavatoio comunale del 1832.

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Se invece sono disposte in modo perpendicolare all’edificio, le scale si inerpicano rapidamente verso la porta d’ingresso. In entrambi questi casi comunque, esse appoggiano su muratura e non lasciano spazio per un sottoscala. La casa, quindi, era composta da pietra per la maggior parte dei suoi elementi costitutivi il che consentiva ad esempio, di tenere vivo il focolare senza alcun timore per tutto l’arco della giornata. Nelle epoche più remote, il braciere trovava spazio direttamente sulla pavimentazione centrale di un locale; per la fuoriuscita del fumo si ricorreva a piccole aperture opportunamente create nel tetto o lungo le pareti. L’uscita del fumo era protetta dagli agenti atmosferici con tettoie formate da semplici lastre di pietra e sostenute da mensole. In seguito, il braciere venne rialzato da terra e posizionato a ridosso di una parete o in un angolo. L’esigenza di controllare il fumo, portò alla realizzazione di canne fumarie che si sviluppavano lungo le pareti esterne della casa e che terminavano con la creazione di comignoli posizionati sopra le falde del tetto. La struttura delle canne fumarie era realizzata con pietra di taglio; anche i comignoli avevano lo stesso sistema costruttivo e terminavano con una copertura a piode, che impediva l’ingresso di acqua e neve. Il lavatoio di Palanzo, si trova in prossimità dell’approvvigionamento idrico, in modo tale che l’acqua fresca si riversi in continuazione nelle diverse vasche che lo compongono. Dalle prime si recuperava acqua per usi domestici e per l’abbeveramento degli animali, dalle ultime per il lavaggio di utensili e vestiti.

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Via che conduce ai campi.

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Le dimensioni e il numero delle vasche erano solitamente proporzionati al numero degli abitanti del paese che ne usufruivano L’intera struttura misura 600cm di lunghezza, 50cm di altezza e 80cm di profonditĂ . Di ben diverse proporzioni sono le piccole pietre che compongono la pavimentazione delle vie che vengono pressati con forza nella terra battuta. L'unico elemento che interrompe questa elegante sequenza è il tombino, sagomato in una lastra di granito e poi inciso tre volte per permettere lo scolo dell’acqua nel sottosuolo.

Un solo materiale disponibile sul territorio che i costruttori hanno saputo utilizzare plasmandolo in varie forme e adoperandolo in diversi elementi costruttivi. Tra terra e cielo, dalla pavimentazione al comignolo. Ciottoli come pavimentazione, conci di pietra compongono il ponte, blocchi squadrati le mura delle case, e fogli di pietra i tetti. Ecco che il cerchio si completa, si chiude: un unico materiale costruttivo, nato in questi luoghi e che in questi luoghi torna ad esserne parte sotto diverse forme. Licheni e muschi ingialliscono la pietra e la montagna si riappropria degli elementi prestati all’uomo.

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Loggiato appoggiato su trave di castagno. Si noti anche la mensola in sasso.

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In epoca recente, purtroppo, alcuni interventi di recupero, in assenza di una specifica normativa o forse per scarsa attenzione, hanno alterato gli elementi costitutivi dell’originale tessuto edilizio, in modo particolare con l’uso di materiali e tinteggiature improprie. Nel corso dell’800 e nei primi decenni del ‘900 molte abitazioni sono state intonacate anche esternamente, perdendo parte del carattere costruttivo originale. Nonostante ciò, esistono casi di recupero che hanno prodotto un valore aggiunto, dato da decori sulle facciate con la tecnica dell’affresco. I dipinti raffigurano personaggi sacri. IL LEGNO Un altro materiale facilmente reperibile e che abbonda a Palanzo è il legno, che grazie a questa disponibilità è stato largamente impiegato nelle costruzioni per la realizzazioni di tetti, solai, balconi, infissi, porte e utensili di vario genere. La versatilità delle sue caratteristiche di leggerezza, duttilità e resistenza hanno ispirato, di volta in volta, i criteri di scelta di questo materiale. I raffinati metodi di lavorazione, tramandati nei secoli, propongono una vastissima gamma di soluzioni che ne confermano le molteplici possibilità. Il legno, spogliato dei rami e della corteccia, era poi squadrato o segato in tavole. Prima della messa in opera si lasciava riposare il materiale per lunghi periodi di stagionatura naturale. A Palanzo troviamo alcune costruzioni realizzate parte in pietra e parte in legno. Questa combinazione di materiali è dettata dalle diverse destinazione d’uso dello spazio interno.

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Ristrutturazione e riuso di vecchio cascinale.

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Data la natura del terreno, l’impostazione del piano d’appoggio di fondazione veniva realizzato in pietra per motivi di resistenza, di durata e di garanzia d’isolamento dal terreno, mentre, la parte superiore è stata realizzata in legno per motivi di praticità statica. A volte la parte superiore dell’abitazione era composta da una sporgenza del volume stesso e sorretta da travi lignee che permettevano l’ingresso ad altre abitazioni. Questa caratteristica di originalità si contraddistingue con altri tipi d’architettura presenti nel paese. L’unica soluzione possibile per la realizzazione dei solai era l’impiego del legno. I tipi più utilizzati per le travature erano il rovere, il castagno, il pino e l’abete. Mentre per i tavolati e la pavimentazione erano il noce, il castagno e il rovere. I solai presentano un’orditura semplice, caratterizzata da un unico ordine di travi disposte tra loro parallelamente sulle murature portanti, oppure da un sistema ad orditura composta, dove le travi secondarie appoggiavano su una trave principale dalle massicce dimensioni. La luce coperta arriva fino a 6 metri e l’interasse tra un travetto e l’altro è intorno i 45 centimetri. La trave appoggiava all’interno della muratura di circa 20-25 cm e spesso l’incastro aveva una dimensione abbastanza ampia da permettere un’adeguata areazione. In questo modo non si agevolava la formazione di umidità ristagnante. Per ostacolare il problema di marcescenza, si procedeva anche con l’appoggio delle travi su mensole di pietra emergenti dalla muratura; in questo modo si proteggevano le teste delle travature dall’umidità presente all’interno delle mura. Il legno veniva adoperato anche per la realizzazione dei tetti che in genere prendevano una forma a due falde.

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Ingresso dell’antica osteria del paese.

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Questa soluzione è molto diffusa perché il territorio è soggetto a frequenti precipitazioni e a forti nevicate nel periodo invernale e la costruzione della struttura è economica e di semplice realizzazione. Nella maggior parte delle case di Palanzo il prospetto principale è orientato verso valle e quindi verso sud, mentre le falde sono così rivolte verso est e ovest per pratici motivi di esposizione solare. La facciata a valle poteva presentare anche delle aperture nel sottotetto a dipendenza dell’utilizzo che si faceva dello spazio interno. Questo veniva adoperato per la zona notte oppure per essiccare il fieno. La sporgenza della falda veniva dimensionata per offrire un’adeguata protezione sulla zona ingresso o sul porticato. In quest’ultimo caso la struttura veniva irrigidita con pilasti lignei posti in posizione verticale o obliqua. In legno vi erano anche gli infissi e le porte. A differenza delle murature che avevano un carattere di forte omogeneità, i portoni e le persiane assumevano una forma e una bellezza più soggettiva a dipendenza dei gusti della famiglia che vi abitavano. In alcuni casi, anche l’architrave di legno che componeva l’apertura della porta d’ingresso era caratterizzata da decorazioni. Questa ricerca del bello, non era un elemento connotativo di ricche dimore, ma l’espressione della tradizione lavorativa locale e artigianale. All’interno di due corti del paese, troviamo dei ballatoi o loggiati che si sviluppano lungo la facciata. Questi costituiscono un’articolazione dello spazio, sia in termini di distribuzione che dal punto di vista del valore architettonico che va ad aggiungersi all’abitazione stessa. I ballatoi e le logge vengono utilizzati anche come spazi di deposito per essiccare i prodotti alimentari. Le esigenze pratiche si uniscono alla volontà di arricchire lo spazio e la forma architettonica.

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Pentagramma musicale

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Gli elementi strutturali che compongono i ballatoi sono interamente in legno e molto semplici da realizzare: l’orditura è composta da un assito ligneo dallo spessore di 3-5 cm e di larghezza variabile compresa tra i 20 e i 50 cm che viene disposto sulle mensole in modo parallelo all’andamento della muratura. Le balaustre sono strutture lineari e possono presentare dei motivi di decoro nei balaustrini. Il raggiungimento del ballatoio poteva avvenire internamente oppure esternamente grazie all’utilizzo di una scala scoperta. Le caratteristiche architettoniche di Palanzo non affrontano il collegamento verticale come un problema integrato al processo costruttivo dell’edificio, ma lo risolvono, per l’appunto, con la costruzione di scale esterne. IL RIMBOMBO DELL’OMBRA Lasciata la città si percorrono 17 km prima di giungere a Palanzo. Si attraversano piccoli paesi che sembrano diventare sempre più rurali. Con il distacco dalla città e dai suoi movimenti si abbandonano lentamente anche i suoi rumori; si procede con buona velocità tra il silenzio dei paesi e, da lì in avanti, del loro stesso silenzio. Si raggiunge così Palanzo, dove il rapporto casacittà sembra essersi capovolto: se nella città rimaniamo travolti da svariati suoni e solo all’interno della propria abitazione possiamo ritrovare la pace del silenzio, qui è il silenzio a rimbombare tra le strette contrade e sono le case che diventano casse armoniche musicate da chi le vive. Palanzo si presenta come un pentagramma dalle linee che si snodano come le curve di livello della montagna, mentre le note sono le case che non sembrano avere un ritmo pensato e studiato ma compongono una piacevole melodia casuale. Sembra quasi che all’interno del piccolo borgo siano rimasti intatti i suoni e soprattutto i lunghi silenzi che caratterizzano il paese.

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Pietra sonante di Pinuccio Sciola

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Ciò che impressiona inoltrandosi per le strette contrade è appunto il silenzio che pervade in ogni angolo dell’antico borgo; quasi come se stesse a denunciare il carattere antico che da sempre è presente in questi luoghi. In effetti Palanzo è come se fosse da sempre esistito: ogni materiale impiegato per la costruzione è stato estratto sul luogo, lavorato e impiegato sotto diverse forme. “Un giorno vorrei che tutte le mie sculture ridiventino parte dell'Universo. Per ora sono qui, nei miei laboratori all'aperto e nei luoghi in cui le ho piantate, perchè mettessero radici e tornassero a vivere. Mi auguro, però, che un giorno che non conosco, si ricongiungano al Cosmo, nel quale sono state generate”. Questa pensiero appartiene a Pinuccio Sciola, scultore sardo nato nel 1942 da genitori contadini. Gli spunti che si possono ricavare dai suoi lavori sono innumerevoli, non solo in merito alla valorizzazione del suono delle pietre, ma anche per un nuovo approccio alle tematiche del paesaggio sonoro. Per la realizzazione dell’opera, Sciola inizia ricercando la pietra emergente sul suo territorio, quasi come se si sentisse chiamato dalla materia prima. Trovato il masso lo lavora con una sua tecnica sperimentale basata sul taglio della pietra stessa per far si che i suoni che sono racchiusi al suo interno possano manifestarsi: passando la mano sulla superfice del monolite, si provoca una vibrazione della pietra che produce un suono fluido capace di rimandare la mente dell’ascoltatore al primo stato della materia, quello liquido, ovvero della pietra lavica. In questo modo scultura e musica sembrano una cosa sola: la scultura che diventa strumento e la musica che si fa oggetto plastico.

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Uno dei rumori più belli è sempre stato quello del riscaldamento, non del tintinnio che qualvolta si sente in prossimità dei riscaldamenti, ma lo schioppettio dovuto dall’ardere della legna. Al calar del sole il braciere acquistava anche un ruolo che va ben oltre al bisogno fisiologico. Nelle prime ore notturne si faceva elemento legante del senso di comunità per le famiglie che abitavano nelle case vicine: si ritrovavano intorno al fuoco e passavano le serate raccontando storie o vicende tramandate in generazione. I racconti che sono pervenuti fino ai giorni nostri sono quelli che venivano musicati dalle voci delle famiglie e che ritroviamo ancora oggi presenti nei canti liturgici o nelle note della banda del paese. È dunque nel buio della notte che nascevano queste melodie. Il silenzio del nero notturno favorisce l’acuirsi delle facoltà percettive dando modo di poter ascoltare con più chiarezza le risonanze esteriori e interiori. È come se si crei una sorta di fuga dall’esistenza che, attraverso il viaggio notturno, conduca ad una pace del nulla favorendo uno sviluppo alle tematiche romantiche. Non a caso la musica che racconta il nero notturno trova il suo sviluppo nel corso del Romanticismo e in particolare con le composizioni di Chopin, il quale sentiva il bisogno di esprimere le proprie sensazioni nel buio della notte. A illuminare il suo spartito era la leggera luce calda delle candele che tremolante si espandeva nella stanza dando voce al rimbombo dell’ombra che trovava il suo spazio negli angoli della stanza; è questa la spazialità che contribuiva a determinare un certo tipo di atmosfera idonea per il musicista.

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Il buio, il nero che vibrava con la luce fievole della candela o del focolare, appare dunque un contesto ideale per una esperienza uditiva e sensoriale che è in grado di rimandare ad una sensazione psicologica che ricorda il primordiale, o meglio l’essenzialità delle cose. Inoltre lo spazio buio contenuto in una stanza appare come condizione speciale per l’ascolto, favorendo le facoltà uditive che vengono fortemente sollecitate e spinte a fondo nella loro capacità di recepire tutto quello che ci circonda, infatti le capacità visive sono fortemente ridotte e per questo si utilizza maggiormente la sensibilità dell’orecchio. La percezione dell’architettura è un fattore combinato uditivo/visivo ma in alcuni casi può ridursi anche al solo fattore uditivo. La funzione biologica primaria del senso dell’equilibrio è quella di conoscere la posizione del proprio corpo nello spazio dove agisce la forza di gravità; parallelamente si può affermare che la funzione primaria dell’udito è quella di conoscere la posizione delle masse esterne al nostro corpo nello spazio circostante. Lo spazio visivo ci lascia scoprire i confini, i tratti esteriori e le distanze degli oggetti che contiene. Lo spazio acustico ci lascia conoscere la consistenza e la struttura interna. Il primo è assiale, rivolto in avanti ed esteriore mentre il secondo è aperto a 360 gradi ed interiore. Il primo è attivo e, facendoci conoscere i confini degli oggetti, lascia sviluppare la sensazione di proprietà, mentre il secondo è passivo e sviluppa il senso della condivisione. Lo spazio visivo è diurno, quello acustico è notturno: dove uno risulta inadeguato l’altro si sovrappone sottilmente e determina la percezione dominante. È interessante considerare che dove la luce è insufficiente o in qualche modo ingannevole, si tende a sviluppare una cultura aurale anziché visiva. Un esempio può essere la popolazione degli eschimesi, dove non esistono parole che definiscano la misura delle distanze e si dice normalmente “parla perché ti possa vedere”.

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A Palanzo, quello che si percepisce tendendo l’orecchio sono, per la maggior parte, rumori legati al territorio, originati dalla natura e che ben si distinguono da quelli meccanici. Capita che durante l’ascolto del silenzio si viene interrotti da suoni che si manifestano in maniera del tutto casuale nel corso della notte. Ogni suono si distingue fra gli altri per svariate sfumature cromatiche, ma è possibile distinguerli e classificarli all’interno dei colori primari, quali il giallo, il blu e il rosso. Il rosso è un colore caldo dal significato di festa ma anche di mistero e magia. Il suo timbro è pastoso, solenne e può essere riconducibile allo schioppettio del fuoco. Il colore giallo si manifesta in modo squillante, deciso e a volte aggressivo. Interrompe il silenzio della notte esprimendo dinamicità e movimento. Può essere riconducibile ad un tintinnio metallico o al rintocco delle campane. Mescolato con dei marroni risulterebbe un suono sgradevole all’udito che può essere rapportato al rumore prodotto dal funzionamento dei riscaldamenti. Se si volesse imitarlo con uno strumento, se ne sceglierebbe uno appartenente alla famiglia degli ottoni. Di diversa natura è il blu, un colore che sprofonda senza fine nella calma e nella tranquillità. Anche se è un colore freddo, rievoca la serenità e ben si accomuna con il fruscio del vento oppure con lo scroscio dell’acqua piovana. Sono suoni che richiamano un senso di antichità e che rimandano al primordiale. Anche per questo, il contrabbasso è lo strumento che meglio riproduce questo suono scuro e profondo. Mescolando il blu con il giallo si ottiene il verde che, con eleganza, rappresenta il suono che il legno produce quando urtato. Non si tratta di un verde qualunque, ma di una tonalità palpabile, profonda e vellutata che esprime riposo e sicurezza. Il timbro è penetrante, espressivo e vibrante nello spazio. Lo strumento che rievoca questo suono è uno strumento a corda.

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Oltre all’ascolto dei suoni, la notte diventa promotrice di un ascolto ancora più sensibile: proprio quando l’ombra è più fitta e la sua presenza si fa palpabile, il buio profondo diventa risonanza per un dialogo fatto tra i vari materiali che compongono l’ambiente che ci ospita. ..."Cominciavo a udire i molteplici suoni emessi dai materiali quando la notte litigano con le forme in cui si è preteso di costringerli. Forse litigano sempre, anche di giorno, ma è di notte che l'osservatore attento se ne accorge più chiaramente. I materiali sussurrano "troppo grande", "troppo piccolo", "mi si usa male", "mi si umilia, mi si ridicolizza". E le forme a loro volta controbattono: "troppo secco", "troppo umido", "troppo liscio", "troppo ruvido", "troppo duro", "troppo morbido", "che cosa me ne faccio di te"? "... Johannes Urzidil

La casa viene così percepita come uno strumento musicale dove lo spazio diventa promotore di una musicalità specifica, che risuona come vera e propria colonna sonora del vivere intimo e privato; in secondo luogo, mostra che l’edificio è di per sé corpo sonante, dotato di una propria voce e di una propria musicalità, che va ad incidere sull’emozione di chi lo abita. Questo corpostrumento entra in relazione con la natura (vegetale, animale, meteorologica) che circonda la casa. Di conseguenza è poi l’edificio che accerchia l’uomo.

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Interno di una chitarra acustica

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Nello spazio più intimo e privato della casa, viene solitamente collocata la zona notte. Non a caso si trova nel punto più protetto dell’abitazione, prendendo la sua collocazione all’ultimo piano. Il sottotetto non acquisisce soltanto la funzione di riparo durante la notte ma diventa anche faro d’ascolto dell’ambiente circostante: da qui è possibile percepire anche i suoni più leggeri che sono presenti all’interno e all’esterno della casa. Quelli esterni si propagano verso l’alto raggiungendo l’orecchio dell’ascoltatore, mentre quelli interni sono i più affascinanti perché prodotti dai materiali che compongono la struttura, il rivestimento e gli oggetti della nostra abitazione. Le travi portanti che compongono le falde del tetto sono in legno d’abete; durante la notte è possibile sentirle lamentarsi del troppo peso che devono sostenere da molto tempo. Così si stirano una alla volta e il loro suono si riproduce nel silenzio della notte. La struttura lignea dalla forma a V rovesciata, diventa così la cassa armonica capace di percepire ogni suono, come per esempio, il tintennio dell’acqua piovana che si scontra sulle tegole per poi riversarsi a scrosci nella grondaia; è quì che il rumore diventa più acquietante: le gocciole che lente si staccano dall’orlo della grondaia o dalle foglie, rimbalzano su un lampione e spruzzano il muschio che cresce fra i ciottoli della contrada dove vengono poi bevute dalla terra. Quì a Palanzo in queste ore conviene, più che altrove, saper tendere l’orecchio a stridii degli insetti o ai canti degli uccelli o ancor più ai suoni delle quattro stagioni.

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Torchio.

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IL TORCHIO Le mura che racchiudono il torchio si distinguono dalle altre per il sasso a vista, posato quasi a secco, per le aperture in facciate prive di finestre e per una vecchia porta in castagno, chiusa semplicemente da un antico chiavistello di ferro. Basta farlo scorrere per aprire la porta e scoprire all’interno il gigante addormentato: il torchio. Oggi come nei tempi passati, chiunque può visitare questo ambiente, non esiste custode, né serratura che ne impedisca l’accesso. Tutto è rimasto come 400 anni fa, ossia uno spazio sociale che custodiva uno strumento pubblico, costruito per la comunità e usato a turno da tutte le famiglie del paese. Come in un museo, le pietre del centenario edificio hanno la semplice funzione di contenere quest’antico strumento, custodito con cura come se fosse, per l’appunto, un’opera d’arte. La struttura è composta da un’unica, enorme trave in legno di castagno dalle impressionanti dimensioni di 12 metri di lunghezza per tre di circonferenza. L’albero da cui è stata ricavata l’enorme trave è stato abbattuto sul posto; il suo enorme peso, infatti, avrebbe reso molto difficoltoso il suo trasporto per un lungo tragitto tra le strette vie del paese, inoltre, non ne avrebbero consentito il passaggio; queste considerazioni ci inducono a ritenere che il torchio sia stato una delle prime costruzioni di Palanzo, Un lato della trave è imperniato su una vite senza fine: alta più di 5 metri, scolpita a mano e ricavata da un unico tronco di noce (più resistente del castagno), e imperniata su una grande pietra circolare di granito.

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Particolare vite di noce.

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Dall’altro lato il tronco è retto da un’incastellatura che funge da pressa e sotto la quale è posta una grande pietra, opportunamente modellata per accogliere le vinacce da spremere e riversare poi il mosto nei tini. Qui troviamo incisa la data del 1572. Il geniale creatore di questo strumento ha fatto sì che il suo funzionamento fosse semplicissimo. Alla base della vite senza fine sono incastrati quattro bastoni rotondi che non sono altro che leve, alle quali le donne si appoggiavano, in modo che la grande vite, spinta in senso rotatorio, faceva abbassare l’enorme tronco sulla pressa finale. La forza umana risulta enormemente moltiplicata dal lungo braccio di leva, fino a sviluppare una pressione di parecchie tonnellate e quindi spremere grandi quantità di vinacce. Queste ultime si formavano dopo la pigiatura dei grappoli d’uva, schiacciati con i piedi e lasciati poi a macerare per qualche giorno. La procedura produceva un vino aspro e sapido chiamato “bruschett”. Tutt’oggi, accanto al torchio, troviamo una macina in pietra che veniva utilizzata la schiacciatura e la spremitura delle noci dalle quali si ricavava olio e, dai resti dei gusci, cibo per le bestie. L’ennesima dimostrazione di come l’economia rurale non lasciasse spazio allo spreco.

SOCIETA’ CONTEMPORANEA Un valore sociale, che distingue Palanzo dalle città, è il senso di comunità ancora oggi presente. I suoi 400 abitanti o poco più, che aumentano un po’ quando in paese arrivano i villeggianti per il periodo estivo, si conoscono proprio tutti, ognuno è sempre pronto ad ospitare, accogliere e prodigarsi per il prossimo.

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Durante la sagra del torchio.

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La comunità si stringe nei momenti difficili, così come si lascia trascinare dall’allegria durante le festività paesane. Un esempio ne è la ricorrenza più popolare: la “sagra del torchio”. Una ricorrenza semplice, ma allo stesso tempo ricca di emozioni. Tutto il paese è impegnato per il buon successo dell’evento; tutti volontari, ovviamente, che si prodigano per curare ogni dettaglio. Le contrade sono investite dalla musica della banda e dal profumo di legna affumicata per la preparazione delle caldarroste. Il profumo più apprezzato è quello del mosto proveniente dal torchio. Qui si ripropongono, esattamente come un tempo, gli antichi metodi di torchiatura delle vinacce, che attirano numerosi turisti e appassionati da ogni parte della zona. Purtroppo, passata la festa, a interessarsi del vecchio attrezzo restano solo gli abitanti di Palanzo per i quali la manutenzione di un’opera così antica e preziosa non è cosa da poco. Negli anni ’60 fu Romeo Ceresa, un muratore del paese, a rifare il tetto dell’edificio con la stessa tecnica usata centinaia di anni fa e tramandata fino a lui da suo padre anch’egli muratore. Il rifacimento prevedeva la sostituzione delle travi in legno e la copertura con lastre del sasso moltrasino posizionate a sovrapposizione l’una con l’altra in modo tale da creare un manto omogeneo resistente all’acqua e alla neve. Lasciata la macchina al piccolo parcheggio del paese, può capitare che, in una domenica d’estate, qualche visitatore rimanga trascinato da una musica di festa accompagnata da canti e risa divertite. Seguendola ci si può ritrovare all'estremità del paese, e date le piccole dimensioni, non serve percorrere più di 300 passi circa.

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Pranzo in via “Contrada del comune�.

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Inoltrandosi si rimane investiti da un clima di festa genuino con una lunga fila di tavoli che prosegue dietro l'angolo e attira l’attenzione. Ogni paesano della via ha preso il proprio tavolo da pranzo e le proprie sedie e ha contribuito nel creare una lunga tavolata che predomina nella contrada. La strettoia si riempie e non permette altro movimento. Si crea così una fila discontinua che si alza e si abbassa, si allarga e si restringe, ma sempre di pochi centimetri, a dipendenza dell’altezza e della larghezza del proprio tavolo da cucina. Una semplice tovaglia di carta bianca rende il tutto omogeneo e invita a partecipare al simposio. Due anziani hanno rispolverato il loro vecchio strumento, una tromba e una fisarmonica bastano per alcune note che accompagnano la giornata. A volte si ha da festeggiare una ricorrenza, un piacevole fatto appena accaduto oppure si ha semplicemente il piacere di stare assieme.

CONCLUSIONE È importante capire i metodi costruttivi e il rispetto degli elementi originari dell’assetto del territorio ancora percepibili, che sono fattori indispensabili per una scelta di difesa di una realtà territoriale che voglia conservare e rafforzare la propria identità e salvaguardare una risorsa e una ricchezza insostituibile. Le costruzioni rurali di Palanzo possono avere importanti compiti. In un mondo che celebra il superfluo, l’architettura può, nel proprio ambito, opporre resistenza, ribellarsi alle mode e far valere le proprie intenzioni.

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Scorcio delle mura medioevali e della chiesa.

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A Palanzo ogni casa, fienile o cascinale è stato costruito per un determinato scopo, in un luogo ben preciso e per una determinata società. I costruttori del posto hanno cercato di rispondere alle domande risultanti da queste semplici circostanze e lo hanno fatto nel modo più preciso e semplice possibile, rispondendo ai bisogni e alle necessità della comunità del paese. È proprio per questo che l’architettura di Palanzo può e deve opporsi alle tendenze progettuali in corso per difendere l’efficienza e la chiarezza del fare buona architettura per l’uomo. La forza di opporsi risiede nella volontà di voler restare saldamente attaccati al tipo di architettura che si deve realizzare, concepita in modo precisa per il suo luogo e per la sua funzione che deve rivestire. Quando permane questa sincerità, non si ha il bisogno di nessun completamento artistico. È proprio la totale mancanza nel ricercare e nel trasmettere emozioni con il costruito, che si sprigiona una forza emotiva, data dalla semplice risposta a ciò che è funzionale e pratico. La nuova architettura si sforza nel trovare delle forme sempre più originali, dimenticandosi che le giuste costruzioni sono fatte per ospitare l’uomo e per rispondere alle sue esigenze, senza doverlo confondere con forme particolari dettate da mode passeggere. Una solida società, basata su principi e tradizioni locali, permette la realizzazione di una buona architettura. Gli artigiani di Palanzo questo lo sapevano: non progettavano o costruivano con teorie disgiunte dalle cose, ma si concentravano sulla realtà del concreto compito costruttivo. È solo nella realtà dei materiali del posto, come la pietra e l’acqua, che i costruttori del tempo potevano adoperare la propria immaginazione per offrire un’abitazione all’uomo sempre migliore.

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Palanzo ieri e oggi.

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Il compito che aspetta alle generazioni future è quello di monitorare, ricercare e catalogare il lavoro fatto da quegli abili artigiani che hanno costruito strade, chiese, case e porte del paese. L’importanza di comprendere questi valori e questi metodi costruttivi, risiede nel fatto di poter continuare la tradizione mantenendo viva la memoria storica del passato. Sono infatti i metodi di lavorazione della pietra e del legno i veri elementi che testimoniano lo stile di vita di una società ormai passata. Quando si può definire un qualcosa di costruito “architettura”? Se percorrendo una via, visitando una chiesa o un monumento, o ancora entrando in una bella casa ci si rende conto che si viene toccati sentimentalmente, ecco, questa atmosfera che si percepisce è fatta da buona architettura. Palanzo è fatto da buona architettura perchè pensata, progettata e realizzata non da architetti ma da abili costruttori che hanno saputo creare dal niente un piccolo borgo per vivere e far crescere i propri figli. Questi artigiani del tempo erano privi di conoscenze accademiche ma hanno saputo costruire un paese che fosse capace di rispondere ai propri bisogni: ripararsi, lavorare la terra, allevare bestiame, commerciare e stare assieme. In questa libera spontaneità si è formato qualcosa di spazialmente affascinante e ricco di atmosfera, costruzioni che si sono tramandate fino ai giorni nostri, forti come un tempo e piene di uno stile architettonico antico e unico. La topografia del territorio composta da contrade e da piccole piazze, ha permesso che gli abitanti si relazionassero tra loro nella vita di tutti i giorni, stringendosi in comunità. Anche se oggi sono pochi gli artigiani che lavorano in paese, il valore di stare insieme non si è perso, ma continua a essere la forza che mantiene vivo il paese di Palanzo.

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Muro di terrazzamento eretto sopra un masso erratico.

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BIOGRAFIA

-Gaetano Gatti, Faggeto Lario ieri, edizioni graphics, Milano, 1986. -Oliviero Tronconi, L’architettura montana, Maggiolini Editore s.p.a., Santarcangelo di Romagna, 2008. -Stefano Musso e Giovanna Franco, Guida alla manutenzione e al recupero dell’edilizia e dei manufatto rurali, Marsilio editore s.p.a., Venezia, 2000. -Fabio Cani e Rodolfo Vaccarella, Nesso, il lavoro dell’acqua, Nodo libri, Olgiate Comasco 2005. -Fabio Cani, La toponomastica storica del triangolo Lariano, Nodo libri, Olgiate Comasco 2003. -Peter Zumthor, Atmosfere _ Ambienti architettonici, l e cose che mi circondano, Electa, 1 giugno 2003. -Peter Zumthor, Atmosfere _ Pensare architettura, Electa, 2003. -Assessorato ecologia ed ambiente della provincia di Como, l’estrazione dei materiali lapidei in provincia di Como, Salin, 2005. -Como e dintorni, periodico mensile, febbraio 2007, numeri 41. -Concordia, la rivista della cassa rurale ed artigiana di Cantù, settembre 2010, numero 3. -Orobie, periodico mensile, settembre 2006, numero 192. Spazi sonori. -Musica e architettura domestica nell’Italia dell’Ottocento, Roberto Favaro -Nero e musica, Roberto Favaro -Musica-Realtà, Roberto Favaro -Johannes Urzidil, Trittico portoghese, Adelphi 270, 2005 -Jorge Luis Borges, Elogio all’ombra, Enaudi, 1999 -Junichiro Tanizaki, Libro D’ombra, Bompiani, 2011

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