I l c a r a t t e re del luogo
Ristorante pizzeria La vecchia Costa
Nuovo salone per cerimonie - Parco giochi per bambini Aperto tutto l’anno fino a tarda notte - info 0789 98 688 Localita La Punga - strada Arzachena - Porto Cervo
CONTENUTI CONTENTS
Editoriale Cibus Loci - Andarinos di Usini Il Nepente di Oliena Il Pecorino Romano
Editorial
M.A.N. Nuoro
Cibus Loci - Andarinos di Usini
I Liutai di Pattada
Nepente of Oliena
La femina agabbadòra
Pecorino Romano Cheese M.A.N. Nuoro Lute building of Pattada The “Agabbadòra” woman www.glgeniusloci.com
Direttore responsabile VERONICA ASARA
Anno zero numero 1 Luglio / Agosto 2010 Editore
STILNOVO DESIGN - OLBIA
Grafica e Fotografia ANTONELLO MURGIA
Traduzioni
ALICE CROZIER
Si ringrazia:
Tonino Arcadu Bastiano Pugioni Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano Tommaso Sussarello Cristiana Collu Baingio Cuccu Piero Virdis Angelo Regaglia Angelo Malduca Museo Etnografico Galluras Pier Giacomo Pala
Stampa T.A.S. - Sassari DISTRIBUZIONE GRATUITA
rivista disponibile online www.glgeniusloci.com Tutti i diritti riservati - All rights reserved Gl . Genius Loci è una produzione editoriale NON PERIODICA (senza periodicità regolare) pertanto non può considerarsi prodotto editoriale sottoposto alla disciplina di cui all’art. 1 comma III della legge n.62 del 17.03.2001 e leggi successive.
EDITORIALE EDITORIAL Veronica Asara
Sovvengono alla memoria i ritagli degli episodi dell’infanzia. I ricordi sono immagini, suoni, odori e sapori. I miei ricordi di bambina sono popolati di persone ed eventi legati alle usanze e ai rituali scanditi dalle stagioni. Vivere in Sardegna trent’anni fa era avere un contatto costante con il dialetto, con i piatti tipici, con i muretti a secco, con l’arsura estiva e il vento di maestrale. I racconti dei nonni ci riportavano episodi di una fanciullezza aspra, talvolta dolorosa ma sempre accompagnata da quelle tradizioni antiche che fanno di noi ciò che siamo. La modernità ci ha colto di sorpresa. Qualcuno dei nostri nonni ha creduto che in quest’angolo di mondo cosi lontano da tutto, nulla sarebbe mai mutato, che qui il tempo si sarebbe fermato. Invece, noi che siamo la nuova generazione di Sardi, sappiamo quanto la modernità ci abbia cambiato e quanto dobbiamo al progresso. Genius Loci vuole essere un tramite, vuole unire la Sardegna di oggi a quella più antica. Consapevoli della difficoltà di questa scelta, tenteremo di comunicare quello che è racchiuso nella nostra memoria.
Memories from childhood come back to me. Those memories are pictures, sounds, smells, and tastes.
As a little girl, I remember people and Le immagini su Genius Loci non saranno mute. events connected to customs and rituals marked by the seasons. Living in Sardinia thirty years ago meant conVogliamo regalarvi un pezzo della nostra Sardegna. stant contact with dialect, traditional food, rock fences, the parching summer heat and the northwest wind. Grandparents told stories that took us back to when childhood was a harsh time, sometimes painful, but always hand in hand with the ancient traditions that make us what we are. Modern life has caught us by surprise. Some of our grandparents believed that in this faraway corner of the world nothing would have ever changed, that time here would have stood still. Instead, we – the new generation of Sardinians – know how deeply modern times have changed us and how much we owe to progress. Genius Loci wants to be an avenue to unite the Sardinia of today to that of yesterday. Aware of the difficulty of this choice, we will attempt to communicate what our memory holds. The pictures in Genius Loci will not be silent. We want to give you a piece of our Sardinia.
Portiamo l’azienda dal cliente, ogni giorno
www.alimentare.it
CI BVS LOCI
Inserto di gastronomia del territorio
golosità ANDARINOS DE USINI Sapori intensi della tradizione
C
he gli usinesi fossero un popolo di spirito fiero, e spina dorsale ben diritta, se ne dovettero accorgere i feudatari che non sempre governarono con saggezza ed equità. Lo spirito ribelle e rivoluzionario ebbe modo di manifestarsi, in tempi storicamente recenti, quando, nel marzo del 1796, quando venne sottoscritto il grande patto antifeudale, insieme ad altri 32 villaggi del Logudoro. Fu in quel tormentato periodo della storia della Sardegna che i contadini di Usini, stanchi dei soprusi e delle vessazioni del feudatario, si rifiutarono di pagare i tributi. Una rivolta violenta in cui fu dato alle fiamme il palazzo del fattore baronale a Usini, proseguita poi con l’assalto di Sassari il 28 dicembre 1795, guidati da Francesco Cilocco e da Gioachino Mundula, culminato nell’occupazione del palazzo del Duca dell’Asinara (il palazzetto d’Usini nell’ attuale Piazza Tola a Sassari.) Una storia di gente tenace, ma legata al proprio luogo da un amore stemperato attraverso la dolcezza delle colline che lo circondano. Da questa gente nasce quello che Giovanni Fancello, storico e studioso dell’alimentazione tradizionale, defi-
nisce uno stupefacente reperto: sos andarinos, una pasta il cui nome risale ad una leggenda. Pare che il termine andarinos derivi dal movimento del girello (in sardo andarinu, zirellu, girellu) di un bambino che muove i primi passi. La pasta, attraverso il movimento della mano sulla spianatoia, assume la sua forma particolare perché durante la preparazione mima il movimento rotatorio circolare di un bimbo dentro il girello. Sos andarinos, sono preparati esclusivamente a mano, impastando semola di grano duro, acqua di fonte e sale. Gli si da una forma attorcigliata e si fa seccare per alcuni giorni. Di questa pasta se ne parla troppo poco e dobbiamo omaggiare alcuni piccoli produttori appassionati se possiamo inserirla tra le nostre ricchezze alimentari. Un piccolo tesoro che va a far parte di diritto in quella serie di produzioni tipiche che caratterizzavano la storia della nostra cucina e sono scomparse oppure stanno per sparire, patrimonio culturale che rischia di perdersi nell’indifferenza. Nella nostra isola molti importanti prodotti alimentari sono tenuti in vita grazie a “numi” autoproclamatisi tutelari, che con il loro impegno cercano di perpetuarne la memoria. Un lavoro straordinario per il quale non è mai corrisposta ricompensa adeguata. I natali sardi degli andarinos possono essere facilmente documentati, anche se finora spesso si sono ricondotti ad improbabili origini spagnole. La Sardegna, uno dei granai più importanti del bacino del Mediterraneo, è stata storicamente una grande produttrice ed esportatrice di pasta secca di semola di grano duro come fideus, macharons e obra de pasta, con testimonianze già dal periodo di dominazione genovese e pisana. In tempi sucessivi catalani e spagnoli sono stati attivi nel commercio della pasta secca e i mag-
a cura di Tommaso Sussarello
giori centri attestati di produzione di pasta, nel Medioevo, erano la Sardegna e la Sicilia. L’incontro tra l’antica sfoglia di pasta fresca e la medievale pasta secca, ha portato l’Italia meridionale all’elaborazione di una tradizione straordinaria che non ha riscontri in altre regioni mediterranee. Questa evoluzione è avvenuta ancor prima delle scorribande arabe nel Mediterraneo ma non c’è dubbio, che siano stati gli arabi ad aver svolto un ruolo di mediatori e promotori della pasta secca, portandola oltre che nel loro paese, anche in Spagna. L’evoluzione delle forme della pasta secca è solo frutto della fantasia e nel corso del tempo ne sono state realizzate un numero infinito. Tornando brevemente ai nostri andarinos sempre Giovanni Fancello ricorda un padre domenicano francese che percorrendo l’Italia all’inizio del XVIII secolo, scriveva che non tutti i modelli di pasta sono fatti a macchina, alcuni sono fatti a mano. Il sacerdote tra questi cita gli “andarini”. RICETTA Sempre Giovanni Fancello, eccellente gastronomo, oltre che storico, ci propone la ricetta per gli Andarinos furriados. Ingredienti per 4 persone: 400 g di andarinos, 200 g di formaggio fresco vaccino acidulo, non passato in salamoia, 1 cucchiaio di semola,1 bustina di zafferano, sale. In una pentola portate a bollore abbondante acqua salata. Tagliate il formaggio a dadini e raccoglietelo in una capiente ciotola. Tuffate gli andarinos nell’acqua bollente e fateli cuocere. Bagnate il formaggio con un po’ d’acqua di cottura della pasta e mescolate bene unendo anche la semola per evitare che il formaggio si aggrumi. Nella salsa mescolate lo zafferano. Scolate la pasta al dente e conditela con la salsa di formaggio che dovrà filare. Mescolate bene e servite subito.
CI BVS LOCI
Additional pages about local food products
tast y t itbits ANDARINOS DE USINI Intense flavours of our tradition
T
he feudatories, who didn’t always govern with wisdom nor fairly, must have been aware of the fact that the inhabitants of Usini were proud-spirited and with great strength of character. Their rebellious, revolutionary spirit expressed itself in relatively recent times when, in March 1796, the great anti-feudal pact was signed there, including with 32 other villages in the Logudoro region as well. It was in that tormented period of Sardinian history that the farmers of Usini, tired of the abuse of power and oppression from the feudatories, refused to pay taxes. A violent revolt followed, during the course of which fire was set in the baron’s palace in Usini, followed by the assault on Sassari the 28th December, 1795, led by Francesco Cilocco and Gioachino Mundula. It culminated in the occupation of the palace of the Duke of Asinara, (the Usini palace in what is now Piazza Tola in Sassari). The story is one of an enduring people, but bound to their own roots by a love softened by the gentleness of the surrounding hills.
From these people Giovanni Fancello was born: historian and scholar of traditional eating habits. He identified an amazing artifact: the Andarinos typical pasta. The name dates back to a legend. The term “Andarino” apparently comes from the movement of the baby’s walker (in Sardinian language andarinu, zirellu, girellu) as the child begins to take his first steps. “Sos Andarinos” are exclusively handmade, from bran, spring water and salt. They are given a twisted shape and dried for several days. This pasta is not mentioned often enough and we must praise the few enthusiastic local producers if we can still include it among our wealth of food products. This small treasure has a right to a position in the list of typical products that characterise the history of our cuisine and that have disappeared or are about to do so: the cultural patrimony that runs the risk of getting lost due to indifference. On our island, many important food products are kept alive thanks to self-proclaimed “guardian angels” who, thanks to their dedication, try to keep their memory alive. This is an extraordinary work, which is never adequately rewarded. The Sardinian roots of the Andarinos can easily be documented, although up to now they had been attributed to unlikely Spanish origins.
Sardinia, one of the most important granaries of the Mediterranean basin, has been a great producer and exporter of dried bran pasta such as fideus, macharons and obra de pasta, with traces as far back as the domination of the island by the reigns of Genoa and Pisa. In later times, Catalans and Spanish were active in the trade of dry pasta, and the most important recorded centres of pasta production in medieval times
by Tommaso Sussarello
were Sardinia and Sicily. The encounter between the ancient sheet of fresh pasta and the dried pasta of medieval times brought southern Italy to develop an extraordinary tradition which has no comparison in other Mediterranean regions. This evolution came about even before the Arab raids in the Mediterranean but there is no doubt that it was the Arabs who had the role of mediators and promoters of dried pasta, taking it to Spain in addition to their own country. The development of the variety of shapes of dry pasta is due to the spirit of creativity and, in the course of time, an infinite variety have been produced. Returning briefly to our Andarinos, it is Giovanni Fancello who remembers a Domenican father who, travelling through Italy at the start of the XVIII century, wrote that ‘not all shapes of pasta are machinemade; some are hand-made.’ The priest mentions “Andarinos” among the latter. RECIPE Giovanni Fancello, whom we have mentioned, expert gastronomist in addition to his renown as a historian, suggests the recipe for Andarino furriados. Ingredients for 4 people: 400 grams Andarinos, 200 grams fresh cow’s milk cheese (soured, not salt-water treated), 1 tablespoon bran, 1 envelope saffron, salt. Cut the cheese into cubes and put it into a large bowl. In a deep pan, bring a good amount of water to a boil. Put the Andarinos into the boiling water and cook to taste. Put a little boiling water from the pasta into the cheese and mix thoroughly, adding the bran in order to prevent the cheese from forming lumps. Mix the saffron into this sauce. Drain the pasta and season it with the cheese sauce, which will melt. Mix well and serve immediately.
SCRITTO DA BASTIANO PUGIONI
Il Nepente di Oliena
“Che perla collocada in d’un’aneddu de argentu, a tie postu t’ana sutta Corrasi”.
L’incipit della bella poesia di Montanaru fa da cornice ideale al prodotto della più rinomata uva di Sardegna: Il Nepente di Oliena, figlio del cannonau autoctono del centro barbaricino. Il nome deriva dal greco “ne”-non, e “penthos”- tristezza, nessuna tristezza. Tale taumaturgica caratteristica gli venne attribuita da Gabriele D’Annunzio nel famoso “Elogio al Nepente di Oliena”, lettera scritta dal Vate nel 1909, anni dopo un suo viaggio in Sardegna al suo amico Hans Bart, fine intenditore di vini, per raccontare l’esperienza di una colossale sbronza (questo il termine da lui utilizzato) assieme ad Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella in una visita ad Oliena. Vennero ricevuti dai maggiorenti del paese e “..ciascuno volle farci gli onori della sua soglia, a gara”. Ciascuno dei loro ospiti fece assaggiare il proprio vino, come in una sorta di rito di iniziazione alla cerchia degli amici. La cosa colpì D’Annunzio, tanto da spingerlo ad attribuire a quel vino delle caratteristiche soprannaturali “...Ci parve che l’anima stessa dell’Anacreonte persiano emanasse dalla tazza colma, col colore del fuoco e con l’odore d’un profondo roseto”, per chiudere poi con un proposito che non si presta a interpretazioni: “A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente”. L’invito alla “cantina” di casa, la presentazione e degustazione del proprio vino, tradizione ancora oggi riscontrabile in tanti paesi del nuorese, è fatta di gesti rituali che hanno, per chi li ha potuti provare, un chè di sacro, di antico e iniziatico. Il vino sta alla cantina come il focolare sta alla casa; avvicina le persone, le unisce. Senza voler trascendere o elogiare oltremodo la cultura del bere per alienarsi, o dell’abuso di alcool che porta a incidenti e lutti, un bicchiere di vino in compagnia ridesta sensazioni umane spesso sopite, soffocate da tempi frenetici che privilegiano l’ego e l’egoismo, spostando l’asse dei rapporti sociali dalla condivisione alla sopraffazione. Il vino non è una bevanda usa e getta, da consumare velocemente e poi saltare ad un’altra. Un bicchiere di vino contiene l’amore riposto nella sua lavorazione, la speranza in un clima generoso, il sorriso al pensiero nell’offrirlo, il ricordo di belle chiacchierate in compagnia. Nel caso specifico del Nepente, quasi ogni famiglia del paese ne produce uno proprio, la cosiddetta “provvista”, che spesso si rivela essere insufficiente a coprire l’anno, costringendo gli “sprovvisti” a rivolgersi a chi, in maniera più attenta, aveva calcolato una congrua riserva. Buona parte dell’uva viene infatti conferita alle cantine presenti ad Oliena, ad iniziare dalla Cantina Sociale che, per prima negli anni ‘60, riprese la denominazione di Nepente per il vino locale, ottenendo anche il marchio DOC e le relative specifiche.
The beginning of Montanaru’s lovely poem is the perfect frame for the most famous product of the most famous Sardinian grapes: Nepente of Oliena, offspring of autochthonous “Cannonau” from the central territory known as “Barbagia”. The name comes from the Greek “ne” (not) and “penthos” (sadness): therefore, literally, “no sadness”. This taumaturgical characteristic was first attributed to the wine by Gabriele D’Annunzio in his famous piece, “In Praise of Nepente di Oliena” (“Elogio al Nepente di Oliena”), a letter written by the bard to his friend Hans Bart, a great expert on wine, in 1909, years after a trip to Sardinia. In the letter he tells of a colossal drinking spree with Edoardo Scarfoglio and Cesare Pascarella on a visit to Oliena. They were received by the town’s most important citizens, “… each apparently competing to show us the greatest honours”. Each host had us taste his own wine, in something of an initiation ritual related to that group of friends. D’Annunzio was so impressed that he attributed supernatural characteristics to the wine. It was as though Anacreon’s very soul emanated from the full chalice, with its fiery colour and the perfume of a deep rose garden”, to conclude with a proposal that leaves no room for interpretation: “To you I consecrate, o insular wine, my body and ultimately my spirit”. The invitation to the home’s “wine cellar”, the presentation and tasting of the family’s own production of wine, a tradition to be found even today in the towns around Nuoro, consists in rituals that, for those who have experienced them, have a sacred and esoteric aura. Wine is to the wine cellar as the fireplace is to the house: it draws people together, gives them a sense of unity. With no intention of overstepping boundaries nor of praising the trend of drinking for the purpose of self-alienation, nor the abuse of alcohol which leads to accidents and mourning, a glass of wine with friends awakens emotions that are often dormant, quenched by the hectic pace of a lifestyle that favours the ego and selfcentredness, unbalancing the axis of social relationships from sharing to overpowering. Wine is not a “throw-away” drink, to wash down quickly and then go on to another glass. A glass of wine contains all the love that went into its preparation, the hope of a favourable season, the smiles at the thought of offering it, the memory of friendly conversation. In the specific case of Nepente, almost every family produces its own variety, and has a so-called “stock” which often proves insufficient to cover the year’s need, compelling those who are without to turn to those who were careful enough to set aside a sufficient supply. A good part of the grapes go to the producers in Oliena, starting with the “Cantina Sociale” where, starting in the 60s again started using the name “Nepente” for local wine, obtaining the DOC (Controlled Denomination).
Non può essere infatti definito Nepente un vino che non sia ottenuto da uvaggi provenienti da vigne situate sul territorio comunale, e la percentuale di Cannoanu presente nel vino non deve essere inferiore al 90%. Le caratteristiche organolettiche riportanto un colore rosso rubino più o meno intenso, rosso mattone con l’invecchiamento, odore gradevole, caratteristico, sapore secco e sapido, caratteristico. Dal punto di vista culinario, essendo un vino dalla forte gradazione, oltre i 14°, gli abbinamenti naturali consigliano carni rosse, formaggi stagionati, sughi corposi. Le nuove tendenze, nonchè le personali esperienze, suggeriscono però anche nuovi accostamenti verso pietanze solitamente abbinate a vini meno forti e di carattere. I piatti di mare trovano con un vino come il Nepente una nuova dimensione, non più avvolta dal classico vino bianco, ma esaltata da un sapore deciso che permette alla pietanza di stupire con un nuovo mix di sapori. La Sardegna, spesso identificata con le sue splendide coste, ha tanto da offrire anche nelle zone interne, che, causa il loro naturale e geografico isolamento, hanno conservato un modo di intendere e vivere le tradizioni che non si riscontra più nelle zone turistiche. I paesaggi mozzafiato, la splendida Valle di Lanaitho, il Monte Corrasi, la fonte di Su Gologone, i villaggi nuragici di Sa Sedda ‘e sos Carros e Tiscali, sono la maestosa cartolina che offre Oliena ai propri ospiti. I sapori, i colori, i profumi di questa parte di Mediterraneo si possono ritrovare in un bicchiere di Nepente. Prosit!
The name is reserved to wine produced in vineyards within the local administration boundaries, and the amount of Cannonau contained in it must not be lower than 90%. The organoleptic characteristics consist in a more or less intense ruby red colour, becoming brick red with aging, a pleasant, typical bouquet, with a dry, pungent taste. From the culinary angle, since it is a strong wine, at over 14째, the recommended natural combinations are red meat aged cheese, hearty sauces. New trends, not to mention personal experience, suggest also new matches with dishes generally meeting wines that are not as strong. Fish and seafood find in a wine like Nepente a new dimension, no longer the classical white wine, but highlighted by a determined taste that allows the dish to amaze one with a new combination of flavours. Sardinia, often identified with its splendid coasts, has a great deal to offer inland as well, with landscapes that have been aided by their natural and geographical isolation in preserving a way of thinking and a lifestyle of traditions that are no longer to be found in the areas more frequently a goal of tourism. Breathtaking landscapes, the splendid Valley of Lanaltho, Mount Corrasi, the Su Gologone spring, the nuragical villages of Sa Sedda, Sos Carros and Tiscali are a majestic postcard that Oliena offers its guests. The flavours, the colours, the scents of this are found in a glass of Nepente. Cheers!
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Con la nuovissima ristrutturazione, l’Hotel La Corte ha trasformato la propria immagine ed è diventato:
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Posizionato in una delle vie più note di Olbia, Viale Aldo Moro, a pochi minuti dal porto ed aeroporto, dispone di un ampio parcheggio interno gratuito. Le camere, luminose e confortevoli, sono di due tipologie: Superior e Standard.
In un’ ottica di sviluppo delle proprie attività legate al mondo della moda, l’Hotel è personalizzato, camere comprese, con vetrine espositive e spazi dedicati ai brand commercializzati nei punti vendita di Olbia, Porto Cervo e Porto Rotondo. La struttura, dotata di copertura wireless, dispone di un’ampia sala, wine bar ristoro, destinata alla presentazione di nuove collezioni, lanci pubblicitari di articoli ed esposizione di prodotti. Punto d’incontro della clientela, la sala, è utilizzabile a richiesta, anche per ricorrenze o piccole cerimonie. Il wine bar ristoro offre ai propri ospiti la possibilità di piccola ristorazione, degustazione di vini e serate musicali. E’ garantita un’atmosfera cordiale e raffinata.
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VINI DI OLIENA
L’azienda Gostolai concepisce il vino come un prodotto legato alla tradizione, alla storia, al territorio ed alla sua cultura. La cantina si propone di valorizzare il più possibile le peculiarità del frutto di origine, che dipendono non solo dal vitigno, ma anche dal territorio in cui queste uve crescono, e ottenere così un vino con forte personalità, riconoscibile ed unico. Il nome Gostolai deriva dalla località omonima dove sono situati i vigneti di famiglia, che hanno fornito le uve dei nostri primi vini. Nel corso degli anni l’azienda ha aumentato e diversificato la sua produzione, acquisendo le uve di altri viticoltori. Attualmente si producono cinque vini DOC e sette vini IGT, oltre a tre tipologie di grappa. Nel 2007 l’azienda Gostolai ha conseguito la “Certificazione di prodotto ottenuto con quantità controllate di anidride solforosa” e la “Certificazione di rintracciabilità nelle aziende agroalimentari”.
Siamo vinificatori ad Oliena, in Sardegna.
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Il Pecorino Romano Un grande patrimonio naturale A great natural heritage
Pochi formaggi al mondo vantano origini così antiche come il Pecorino Romano. Da più di duemila anni le greggi di pecore che pascolano liberamente nelle campagne del Lazio e della Sardegna, producono il latte da cui viene ricavato questo formaggio. Già gli antichi romani apprezzavano il Pecorino Romano. Nei alazzi imperiali era considerato il giusto condimento durante i banchetti mentre la sua capacità di lunga conservazione ne faceva un alimento base delle razioni durante i viaggi delle legioni romane. Questo formaggio ridava forza e vigore ai soldati stanchi e oggi sappiamo perché: il Pecorino Romano è una iniezione di energia e anche di facile digestione. Oggi il Pecorino Romano viene prodotto nelle stesse, esclusive zone d’origine e con lo stesso, naturale procedimento di secoli fa. L’unica differenza rispetto al passato consiste nel fatto che le operazioni di cagliatura, salatura e stagionatura avvengono in modernissimi caseifici, tecnologicamente all’avanguardia sotto il profilo igienico-sanitario, per garantire ai consumatori i necessari requisiti di salubrità del prodotto. L’esistenza di un forte legame tra un prodotto agro-alimentare e le caratteristiche agronomiche, ambientali e culturali del territorio in cui esso è ottenuto è l’ elemento che più di ogni altro ne definisce la tipicità e, quindi, l’unicità.
Few cheeses in the world can boast of origins as old as those of Pecorino Romano. For over 100 years, the flocks of sheep grazing freely in the countryside in the Latium region and Sardinia have given the milk used to produce this cheese. Even the ancient Romans appreciated Pecorino Romano. In the imperial palaces, it was considered just the right seasoning for banquets, while the fact that it kept well made it a staple in the rations for long journeys of the Roman legions. This cheese restored the strength and energy of the tired soldiers, and today we know why: Pecorino Romano is an energy booster and in addition, it is easy to digest. Today, Pecorino Romano is produced exclusively in the areas where it originated and with the same natural process as centuries ago. The only difference between now and the past is in the fact that the operations of curdling, salting and seasoning take place in modern production centres, technologically avant-garde from the hygienic point of view, in order to ensure consumers the healthiness of the product. The strong tie between an agricultural and food product and the agronomical, environmental, and cultural characteristics of the territory in which it originates is the element which more than any other determines its typical, and therefore unique, nature.
Romano o Sardo? Pecorino Romano, l’aggettivo ha una sua legittimità storica, che ha visto la produzione passare nell’arco di 30 anni dal 35% laziale fino, a tutt’oggi, al 95% di produzione Sarda. Dunque un’origine laziale che si è consolidata in Sardegna, mantenendo l’originalità del nome ma spostando la sua origine geografica per la gran parte della produzione. La ragione è sia culturale che ambientale. Mentre negli anni ‘60 e ‘70 nel Lazio la tendenza era quella di abbandonare le attività legate alla pastorizia, la Sardegna tendeva a confermare la sua vocazione principale. La Sardegna è poi un territorio di sterminati pascoli, oltre il 60% del territorio è costituito di spazi aperti e che tendevano a ridursi invece nell’area laziale.
Roman or Sardinian? Pecorino Romano – the adjective is legitimate from the historical point of view. In the course of the past 30 years, the production has gone from 35% in Latium to 95% Sardinian. The origins are in Latium but have been consolidated in Sardinia. The original name has been maintained, although the geographical origin for most of the production has moved. The reason for this is both cultural and environmental. While in the 60s and 70s the tendency in Latium was to abandon shepherding, Sardinia tended to confirm this main vocation. Sardinia is a land of endless pasturelands, besides the fact that 60% of the territory consists in open spaces. These open spaces were dwindling in Latium.
Il marchio DOP il Pecorino Romano è stato uno dei primi formaggi che ha ottenuto prima il riconoscimento della denominazione di origine tutelata e poi, nel 1996, la denominazione di origine protetta (DOP). Nel 1979 viene costituito il Consorzio per la Tutela che ha sede a Macomer, in provincia di Nuoro. Il disciplinare di produzione consente al consorzio ed ai consorziati di avere delle chiare linee guida per la produzione, consentendo una tutela maggiore dell’origine e dell’originalità del prodotto.
Il Protagonista. Il Pecorino Romano è un formaggio a pasta dura, cotta, prodotto con latte fresco di pecora, intero, proveniente esclusivamente dagli allevamenti della zona di produzione. Si presenta con una crosta sottile di colore avorio chiaro o paglierino naturale, La pasta del formaggio è compatta o leggermente occhiata e il suo colore può variare dal bianco al paglierino più o meno intenso, in rapporto alle condizioni tecniche di produzione. Il gusto del formaggio è aromatico, lievemente piccante e sapido nel formaggio da tavola, piccante intenso nel foraggio da grattugia. Le forme sono cilindriche a facce piane, con un altezza dello scalzo compresa fra i 25 e i 40 cm. E il diametro del piatto fra i 25 e i 35 cm. Il peso delle forme può variare tra i 20 e i 35 Kg e riportano impresso su tutto lo scalzo il marchio all’origine (un rombo con angoli arrotondati e contenente al suo interno la testa stilizzata di una pecora) con la dicitura Pecorino Romano.
The PDO certification Pecorino Romano was one of the first cheeses to obtain recognition of supervised origin, and then in 1996 the Protected Denomination of Origin (PDO) certification. In 1979 the Consortium for Supervision was established, Â with its seat in Macomer in the province of Nuoro. The oversight of production allows the consortium and its members to have clear guidelines for the production, making it easier to protect the origin and authenticity of the product.
The Star of the show. Pecorino Romano is a hard cheese, cooked, produced with whole fresh sheep milk, exclusively from local farms. It has a thin ivory or light yellow crust. Inside, the cheese itself is compact or with tiny eyes. The colour goes from ivory to yellow, depending on technical production conditions. The softer kind is aromatic, slightly sharp and salty, while the harder kind for grating is decidedly sharp. The forms are cylindrical with flat faces, varying in height from 25 to 40 centimetres. The diameter varies from 25 to 35 centimetres. The form weighs between 20 and 35 kilograms. The rind bears the brand, clearly and repeatedly pressed into it at its origin: a diamond-shaped figure with the words Pecorino Romano.
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Foto: Max Solinas
Il MAN sin dalla sua apertura, condividendo e riconoscendovisi pienamente, ha fatto propria la definizione dell’ICOM (International Council of Museums), secondo cui il museo è una istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricer-
che sulle testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, di educazione e di diletto. Attraverso diverse proposte culturali, il MAN cerca di illustrare dibattiti artistici e proporre alcuni spaccati dell’epoca attuale, interrogarsi sulle
nuove tendenze contemporanee, offrendo gli strumenti per instaurare una relazione con l’arte che permetta il confronto tra le testimonianze e moltiplichi i punti di vista, costruendo attorno a ogni mostra un programma di avvenimenti: conferenze, seminari, dibattiti, ricerche e studi per una comprensione ap-
profondita delle proposte espositive senza aver paura del confronto. È l’idea di museo come laboratorio permanente con la vocazione all’interdisciplinarità e alla multidisciplinarità.
M.A.N. since it was first opened, M.A.N. has fully acknowledged the pertinence of the ICOM (International Council of Museums) definition of “museum” and identified with it. The definition states that the museum is a permanent institution, non-profit making, at the service of society and its development, open to the public, which carries out research on the material artefacts left by man and his environment. It acquires them, preserves them, transmits them and above all displays them for the purposes of study, instruction and pleasure. Through a variety of cultural proposals, the M.A.N. tries to illustrate artistic debates and propose cross-sections of the current epoch, questioning itself regarding new contemporaneous tendencies, offering instruments to establish a relationship with art that allow a comparison of various artefacts and points of view, building around each exhibition a programme of events: conferences, symposiums, debates, research and studies for an in-depth comprehension of the proposals of the exhibition with no fear of the comparison. This is the idea of a museum as a permanent laboratory with a mission for an interdisciplinary and multidisciplinary profile.
L’intensa attività espositiva ha avuto la finalità di offrire al pubblico un programma equilibrato nel quale sia possibile trovare riferimenti alle tendenze storiche internazionali così come al percorso italiano del XX e XXI secolo, unitamente a mostre personali di prestigiose e rappresentative figure dell’arte del Novecento e a mostre tematiche che cercano di dare una lettura ad alcune idee che preoccupano o imperniano il nostro contemporaneo. Il MAN si impegna nell’organizzazione della collezione d’arte sarda (acquisizione, incremento, inventario, catalogazione, ordinamento, restauro, documentazione, ricerca e studio), nella promozione e diffusione dell’arte contemporanea nelle sue diverse forme, nella realizzazione e cura di mostre antologiche monografiche e a tema, producendo progetti concreti affinché, negli stessi spazi del museo, si realizzi il divenire della storia artistica attuale. In pochi anni di attività il MAN è riuscito a proporsi come luogo di ricerca e comunicazione dei fenomeni più innovativi della creatività, coniugando l’attenzione sempre costante alla contemporaneità con la valorizzazione delle espressioni più rappresentative della storia dell’arte. In una prospettiva culturale dinamica, l’identità locale coesiste e si rafforza nel confronto con la globalità del circuito
artistico, anche grazie agli scambi con le collezioni di altri musei nazionali ed internazionali. La scelta di potenziare gli spazi museali dislocandoli nelle immediate vicinanze rientra in un progetto più ampio di programmazione integrata e di riqualificazione del tessuto urbano. L’idea è quella di continuare a ridisegnare e arricchire il concetto di museo in un territorio difficile, ricco di identità e forte senso di appartenenza. Coniugare tradizione e innovazione, caratterizzarci anche dal punto di vista tecnologico come esempio di rispetto per la cultura nella quale il museo affonda le sue radici e la sua ragione d’essere è uno dei mandati del museo.
The M.A.N. cultural project is tinged with the desire to give a stable institutional foundation to cultural life in the territory on which it focuses, bringing to an end the notions of temporariness, irregularity, and cultural alienation. The intense expositional activity has had the goal of offering to the public a balanced programme in which it is possible to find references to international historical trends, for example in the Italian journey between the twentieth and twenty-first centuries, along with personal exhibitions of prestigious and representative figures of the world of art from the 1900s and thematic presentations that attempt to give a reading to some of the ideas that concern or are central to our contemporary society. M.A.N. is dedicated to the organisation of collections of Sardinian art (purchase, growth, inventory, cataloguing, ordering, res-
toration, documentation, research and study), the promotion and diffusion of contemporaneous art in its various forms, the realisation and oversight of theme-based anthological monographic exhibitions, producing concrete projects so that in the museum’s own spaces the future of current art may become reality. In the few years of its activity, M.A.N. has been able to put itself forward as a place of research and communication of the most innovative phenomena of creativity, joining the ever-constant attention to the contemporaneousness with the development of the most representative expressions of art history. In a dynamic cultural perspective, local identity co-exists and is enhanced in the comparison with the global aspect of the artistic
circuit, thanks also to exchanges with collections from other national and international museums. The decision to extend the museum’s spaces by dislocating to the immediate vicinity is part of a broader project of integrated planning and requalification of the urban territory. The idea is to continue to redesign and enrich the museum concept in a difficult territory, with its rich identity and strong sense of belonging. Conjugating tradition and innovation, making it known also from the technological point of view as an example of respect for the culture in which the museum extends its roots and its reason for being is one of the museum’s missions.
La Collezione e le Acquisizioni DNA. Dal Novecento Ad Oggi. La collezione d’arte sarda del MAN è il risultato della accurata selezione di opere dal principio del ‘900 sino ai nostri giorni, annoverando opere rappresentative dei più grandi e prestigiosi nomi dei maestri di quel periodo quali, per citarne solo alcuni, Ballero, Biasi, Ciusa, Floris, Ciusa Romagna, Delitala, Nivola, l’unica raccolta di disegni e ceramiche di Fancello e un grande corpus grafico dell’opera di Pintori. Uno dei principale obiettivi del MAN è l’incremento della collezione attraverso don-
The collection and the purchases DNA. From 1900 up to the present. M.A.N.’s collection of Sardinian art is the result of an accurate selection of works from the start of the twentieth century up to our days, counting representative works from the greatest and most prestigious names of the masters of that period, such as Ballero, Biasi, Ciusa, Floris, Ciusa Romagna, Delitala, Nivola, the only collection of drawings and ceramics of Fancello, and an impressive graphic corpus of Pintori, to mention only a few. One of the main objectives of m.a.n. is the increase of the collection through donations, loan, purchases,
azioni, comodati, acquisti, e depositi, in modo da arricchire non solo il numero di artisti rappresentati ma, soprattutto, la qualità delle opere che, in modo significativo, documentino le diverse e più importanti fasi del percorso artistico di ciascuno degli autori. Tale incremento è orientato all’acquisizione di opere dalla fine ‘800 a tutto il ‘900 fino ai nostri giorni per una visione attuale e aggiornata dell’arte in Sardegna, ma anche all’acquisizione di opere che documentino l’attività espositiva segnando quindi un’apertura della collezione anche a altre tipologie, diverse ma connesse ai programmi del museo.
and deposits, in order to build up not only the number of artists represented but above all the quality of the works that significantly document the various and most important phases of the artistic itinerary of each of the authors. This enhancement is orientated towards the purchase of works from the end of the nineteenth century to include all of the twentieth up to our day for an up-to-date vision of art in Sardinia, but also the purchase of works that document the exhibition activity showing therefore an extension of the collection also to other categories, diverse but related to the museum programmes.
MOSTRE IN PROGRAMMA: dal 18 Giugno al 11 Luglio “In the middle” Una mostra di sei artisti sardi a cura di Ivo Serafino Fenu e Roberta Vanali
dal 29 luglio al 3 ottobre “Il cimitero della ragione” di Ed Templeton a cura di Thomas Caron;
UPCOMING EXHIBITIONS 18 th june to 11 th july “In the middle” A exhibition of six Sardinian artists by Ivo Serafino Fenu and Roberta Vanali
29th july to 3rd october “Il cimitero della ragione” Ed Templeton by Thomas Caron;
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I liutai di Pattada
Lute Building of Pattada
La liuteria è l’arte della costruzione e del restauro di strumenti a corda ad arco (quali violini, violoncelli, viole, contrabbassi, ecc.) e a pizzico (chitarre, bassi, mandolini, ecc.). Il nome deriva dal liuto, strumento a pizzico molto usato fino all’epoca barocca. È un’arte e tecnica artigianale che, dall’epoca classica della liuteria (XVII, XVIII secolo), è giunta fino ai giorni nostri quasi immutata. Non è una produzione artigianale tipicamente Sarda, tuttavia nel nostro territorio si sviluppa e si afferma nell’opera di tre giovani di Pattada conosciuti oltre i confini regionali e nazionali. Nel 1995 l’amministrazione comunale di Pattada promuove un laboratorio di liuteria guidato dal grande maestro Francesco Bissolotti, erede della liuteria classica cremonese, che scuote la tranquillità della cittadina e accende in Angelo Regaglia, Piero Virdis e Angelo Malduca questa passione. L’arte di costruire strumenti musicali di tale fattura affascina il visitatore ed entusiasma il musicista affermato. La bottega del liutaio è un affollarsi di minuscoli strumenti di precisione, di legni pregiati, di profumi di tinte naturali. La manualità è fatta di atti antichi e immutati. Il tempo scorre lento nel gesto che si fa minuzioso e preciso. Pervade un senso di fascinazione più vicina a quella artistica che a quella artigianale.
Lutherie is the art of building and restoring string instruments played with a bow (such as violins, violoncello, viola, double bass, etc.) or plucked (guitars, bass, mandolins, etc.). The name comes from the lute, an instrument that is plucked and which was very widespread until the baroque age. Lutherie is an art and requires a specific handcrafting technique which has reached our days virtually unchanged from the classical times of lutes (XVII, XVIII centuries). It is not a typical Sardinian handcraft, but throughout our territory it has developed and established its place through the work of three young people from Pattada who have become well-known beyond regional and national boundaries. In 1995 the Pattada city administration promotes a lutherie laboratory, overseen by the great maestro Francesco Bissolotti, heir to Cremona’s classical lute production. The innovation shakes the town’s tranquillity and gives rise to this passion in Angelo Regaglia and Piero Virdis. The art of building musical instruments of such fine craftsmanship fascinates any visitor and leaves the accomplished musician enthusiastic. The workshop of the luthier is crowded with tiny precision tools and quality wood, and the air bears the fragrance of wood and natural dyes. The craftsmanship is based on time-proven and unchanged motions. Time flows slowly as meticulous and precious movements are carried out. Fascination permeates the atmosphere: the observer’s attention is typical of the appreciation of an artist’s work rather than that of a handcraftsman.
Angelo Regaglia da piÚ di dieci anni realizza strumenti ad Arco nel suo piccolo laboratorio nel cuore di Pattada. Dal 1995 la bottega di Angelo Regaglia non si è ancora fermata e non accenna a fermarsi. Attraverso i preziosi e costanti consigli del maestro, la realizzazione del piano armonico in abete rosso della Val di Fiemme, il fondo, la fascia e la testa ricavati dall’acero marezzato della Slovenia, vernici rigorosamente naturali ricavate dalla resina tanninica degli alberi, gli strumenti di Angelo Regaglia sono oggi richiesti ed ambiti in tutto il mondo.
Angelo Regaglia has been making bowed instruments in his small laboratory in the heart of Pattada for over ten years.His shop has not stopped work since 1995 and shows no sign of doing so. Following precious and constant advice from the maestro, the instruments come into being: the belly in red pine from Val di Fiemme, the under-side, the ribs and the scroll, made from veined maple from Slovenia, exclusively natural varnishes obtained from the tannic resin of the trees. Angelo Regaglia’s instruments are sought-after and cherished all over the world.
Piero Virdis, leva 1971, vive a lavora a Pattada. Negli anni novanta conosce il Maestro Liutaio Cremonese Francesco Bissolotti (già allievo del grande liutaio e restauratore italo-americano Simone Fernando Sacconi) con il quale ha iniziato e continua un proficuo rapporto di apprendistato lavorativo . Ha cosi approfondito la metodologia costruttiva denominata “Metodo Classico Cremonese”, di cui Bissolotti è a tutt’oggi uno dei massimi interpreti. Dotato di talento e di ottima manualità, costruisce violini, viole e violoncelli ispirandosi a modelli classici cremonesi, come Stradivari e Guarnieri del Gesù. I suoi strumenti sono eleganti e ben curati, la liuteria di Piero Virdis è ricca di qualità sia nella ricercatezza dei materiali sia nella freschezza lavorativa tipica dello stile italiano. Piero Virdis, born in 1971, lives and works in Pattada. In the 90s he meets the Maestro luthier Francesco Bissolotti from Cremona, (who in turn was a student of the great Italo-American luthier Simone Fernando Sacconi) with whom he began and still continues a profitable relationship of apprenticeship in the field. He thus learnt more about the building methodology called “Classical Cremona Method”, of which Bossolotti is still one of the greatest interpreters. Virdis, a gifted luthier and excellent craftsman, makes violins, violas and cellos, following his inspiration from Cremona’s artists, such as Stradivari and Guarnieri del Gesù. His instruments are elegant and detailed. Piero Virdis’s production is rich due to both the choice of materials and the typically Italian novelty of style.
Angelo Malduca, è socio dal 1995 dell’associazione la bottega del Liutaio. Ha conseguito la sua formazione nella costruzione di strumenti ad arco dal 1998 al 2000 sotto la disciplina del maestro Francesco Bissolotti e dei suoi figli apprendendo il metodo di costruzione classico Cremonese. Attraverso i preziosi consigli del maestro, e ispirandosi ai modelli di Antonio Stradivari e Guarnieri Del Gesù costruisce con passione violini , viole e violoncelli mettendo a frutto ogni segreto trasmesso dal maestro. Angelo Malduca has been a partner in the Luthiers organisation since 1995. He studied lutherie from 1998 to 2000 under the discipline of Maestro Francesco Bissolotti and his sons, learning the classical Cremona method. Thanks to the maestro’s precious advice, and following the inspiration of examples of the work of Antonio Stradivari and Guarnieri del Gesù, he passionately makes violins, violas and cellos, getting the most of every secret handed down.
Il nostro territorio ci regala produzioni artigianali di alto livello in svariati campi merceologici. La liuteria, trapiantata in terra di Sardegna, arricchisce di fascino e talento la già pregevole opera artigiana. Lo strumento ad arco racchiude un fascino romantico ed antico, la lavorazione del legno in maniera minuziosa e precisa trasmette la poesia del più alto gesto umano. La Sardegna accoglie ed integra una tradizione non sua che si lega però al territorio in maniera indissolubile. Our territory gives us high quality hand made articles in a variety of fields. Lutherie, transplanted to Sardinia from the continent, enriches the already greatly appreciated field of handcrafting with its particular fascination and talent. Bowed instruments imply ancient and romantic attraction; working with wood in such a detailed way conveys the poetry of man’s most refined motions. Sardinia welcomes and integrates this novelty into its own traditions, inseparably binding the “new” art to the territory.
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Femina Agabbadòra
The “Agabbadòra” woman
La femmina della buona morte. La donna agabbadòra e il suo mito. “Arrivata nella casa dove la malattia stava irrimediabilmente consumando qualcuno, con un colpo preciso di martello al capo poneva fine a tutte le sofferenze.“ Ai giorni nostri ferve il dibattito sulla questione etica legata all’eutanasia. Lo scontro assume talvolta i contorni di una guerra ideologica che nessuno lascia indenne. Nella storia della Sardegna la vita e la morte erano gestite e governate da un misto di leggi ed usanze religiose e pagane. La morte, quando corredata di lunghe sofferenze, veniva considerata come espiazione dei gravi peccati. Tanto gravi erano i peccati tanto più era lunga l’agonia. Tuttavia le lunghe malattie mal si accordavano con l’esigenza di sopravvivenza delle famiglie che non avevano tempo e forze da dedicare al moribondo, forze che non si potevano sottrarre al lavoro nei campi. Dunque più per un’esigenza pratica che per vera “pietas” esisteva nella società isolana arcaica, una figura alla quale era stato affidato l’incarico di donare la buona morte.
The woman who brings good death. The “agabbadòra” woman and her myth. “When she arrived at the house where illness was hopelessly eating away at someone, with a sharp, precise blow of her hammer on the patient’s head she put an end to all his suffering.” In our day and age there is an ongoing debate about the issue of euthanasia. At times it reaches the dimensions of an ideological war that leaves no one out. In the history of Sardinia, life and death were managed and governed by a combination of both religious and pagan laws and customs. Death, when accompanied by long-term suffering, was considered to be the expiation for dark sins. The more serious the sins, the longer the agony. All the same, the long illnesses were a heavy challenge for families who had neither time nor energy to dedicate to the moribund, energy that couldn’t be taken away from the work in the fields. Therefore, more to meet practical needs than out of true “pietas”, in the archaic island society the responsibility of granting ‘good death’ had been assigned to a particular figure.
Questa era la femina agabbadòra, cioè colei che aveva il compito, oltre che l’onere, di arrivare in ultimo soccorso al malato senza speranza, e di intervenire rendendo il trapasso più veloce e indolore possibile. La decisione di ricorrere alla femina agabbadòra era l’ultima ratio di una serie di fasi precedenti fatte di azioni che dovevano aiutare il malato ad avvicinarsi al trapasso. Si procedeva ad una serie di rituali tra religione e superstizione. Cominciando con l’estrema unzione da parte del sacerdote e la remissione dei peccati; si riteneva infatti che i peccati non rimessi trattenessero l’anima e la sofferenza. Si proseguiva toglievano dalla stanza immagini sacre o eventuali amuleti a cui il malato era legato. Emblematico e pieno di significato era l’uso del giogo. Si riteneva che il protrarsi delle sofferenze fosse causato dal fatto che il moribondo aveva, nel corso della sua vita, distrutto o bruciato un giogo che era il simbolo della fertilità dei campi, del duro lavoro che produceva il cibo, dunque distruggerne uno era considerato un gravissimo peccato. Si nascondeva sotto il cuscino del malato un piccolo modello di giogo nella speranza che tale grave peccato fosse perdonato. Se ancora la morte non sopraggiungeva, si arrivava ad avvolgerlo denudato in un lenzuolo bagnato che spesso causava una polmonite fulminate. Ma se nessuno di questi interventi era stato efficace, non restava che chiedere l’intervento della donna terminatrice. La femmina agabbadora agiva di notte, entrando nella stanza del malato, dopo aver raccomandato l’anima a Dio e dopo brevi preghiere insieme alla famiglia, congedava gli astanti e rimasta sola con il malato agiva
con l’ausilio di “lu malteddhu” cioè un massiccio martello in legno d’olivastro a forma di “T” con il quale colpiva il moribondo all’osso parietale con un colpo secco e preciso. Alcuni racconti tramandati ci riportano dell’uso di cuscini per provocare la morte per soffocamento. Esaurito il suo compito andava via in silenzio e non riceveva denaro ma solo zucchero, sale o pane. Un esemplare di “lu malteddhu”” è visibile al museo etnografico Galluras di Luras.
This was the agabbadora woman, the one with the task and duty of arriving as final aid to the hopelessly ill, to intervene by speeding up the passage and making it as painless as possible. It was believed that the unforgiven sins clung to the soul and prolonged the suffering. The decision to resort to the agabbadora woman was the last step in a series of attempts to help the patient and draw near to the final passage. There was a series of
rituals combining religion and superstition, starting with the extreme unction from the priest and remission of sins. The next step was to remove from the room holy images or amulets the patient was fond of. The yoke, for example, was highly symbolic. Common belief held that the prolongation of suffering was due to the fact that the moribund had, in the course of his life, destroyed or burnt a yoke that was the symbol of the fertility of the fields, of the hard labour that produced food: therefore to destroy a yoke was considered an extremely serious sin. A small wooden yoke was hidden under the patient’s pillow in the hope that this sin would be forgiven. If death still did not arrive, they wrapped the patient in a wet sheet: this often brought on fulminating pneumonia. But if none of these operations was effective the last resort was to seek the intervention of the terminating woman. The agabbadora woman acted by night, entering the patient’s room, after having recommended the soul to God and praying with the family, she asked those present to leave the room. Alone with the patient, she took action with the help of “lu malteddhu”, a heavy T-shaped hammer made of wild olive wood. A sharp, precise blow on the parietal bone and the job was done. Other accounts handed down tell of the use of pillows to cause death by suffocation. The woman then left in silence and received no money, but only sugar, salt or bread in return for her services. An example of “lu malteddhu” can be seen at the ethnographic museum of Gallura di Luras.
Il peccato e il mito La figura della femina agabbadòra era diffusa su tutta l’isola, le testimonianze più recenti parlano di due accadimenti a Luras, in Gallura nel 1929 e a Orgosolo nel 1952. L’alone di mito e mistero che circonda questa figura femminile attrae, negli ultimi decenni, l’attenzione di storici e romanzieri. Eppure questo compito, socialmente rilevante, era per la donna agabbadòra e per la sua famiglia un pesante fardello. Questa pratica, cosi necessaria per le circostanze difficili di molte famiglie , non era esente dal marchio di “peccato mortale”. Dunque da una parte c’era l’ossequioso atteggiamento della comunità che faceva di questa figura un elemento cardine e di riferimento, dall’altro c’era l’accusa di omicidio e di peccato mossa in maniera velata dalla comunità stessa. A dare enfasi all’atteggiamento inquisitorio partecipava la Chiesa che, seppur tollerando la sua opera, condannava l’atto eutanasico. Per questo accade sovente di incontrare racconti storici che parlano di questa figura in modo dispregiativo, appellandola spesso con il termine di”stria” cioè “strega”. La femina agabbadòra non si occupava solo di donare la buona morte ma anche di benedizioni, malocchio e della preparazione di unguenti vari. Era insomma una specie di indovina e divinatrice alla quale tutti si rivolgevano come ad uno sciamano. Faceva anche da ostetrica e cosi come era pratica nel far venire al mondo i bambini lo era altrettanto nel far morire i moribondi. A noi sardi moderni, arriva solo l’eco di questa figura cosi controversa, si tramanda l’immagine su cui si concentrano identità, sacralità e ritualità di una terra antica e unica, feroce e calorosa, madre e matrigna.
Sin and myth The figure of the agabbadora woman was widespread throughout the island. The most recent testimonies report two episodes at Luras, in the Gallura area, in 1929 and at Orgosolo, near Nuoro, in 1952. The mythological and mysterious aura surrounding this feminine figure has attracted the attention of historians and novelists in recent years. This socially relevant task was, however, a heavy burden for the agabbadora woman and her family. The practice, so necessary under the difficult circumstances of many families, was not exempted from the label of “mortal sin”. On one hand, the community was obsequious towards her; she was a cardinal element, a point of reference. On the other, she was subject to the same community’s veiled accusation of murder, and pointed out as a sinner. The Church highlighted the inquisitorial attitude, tolerating her work but condemning euthanasia. Thus historical accounts often have a disparaging tone, referring to her as a witch or “stria”. The agabbadora woman was not only concerned with dealing out good death but also bestowing blessings, casting the evil eye and preparing assorted unguents. She had the characteristics of seer and diviner to whom people turned as they would to a witch doctor. She was also a midwife, bringing new babies into the world just as she saw out the death bound. Only the echo of this controversial figure reaches us modern Sardinians: in it are concentrated the identity, holiness and rituality of an ancient and unique land, with its fierceness and its warmth, and its attitudes of mother and stepmother.
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This isn’t the last you’ll see of Genius Loci. We wanted you to have a present: we hope you have enjoyed it. Sardinia isn’t only sea and glossy pages: it’s people, places, colours and traditional songs. This small publishing company wants to suggest that there’s more to Sardinia than candid beaches, crystal-clear water and places dedicated to the jet set. We don’t know when the second issue of Genius Loci will be published. We hope to be here next summer, to tell you more about ourselves and our land. Best wishes for a great holiday!
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