arte contemporanea al femminile
MARINA ABRAMOVIC Marina Abramović è un’artista serba naturalizzata statunitense. Attiva fin dagli anni Sessanta del XX secolo, si è autodefinita la «nonna della performance art»: il suo lavoro esplora le relazioni tra l’artista e il pubblico, e il contrasto tra i limiti del corpo e le possibilità della mente. Esplora elementi di ritualità gestuale e sensoriale.
Sono stati gli anni Settanta quelli che hanno permesso di raggiungere il definitivo riconoscimento della performance all’interno della storia dell’arte ed è proprio in quegli anni che in Europa si sono formati due tra i più importanti performer del ventesimo secolo: Marina Abramović e Ulay.
La performance art, di cui Marina Abramović è un punto di riferimento, è nata ad inizi Novecento, da artisti come pittori, attori e poeti che si esibivano apertamente davanti ad un pubblico. Con il trascorrere degli anni prima John Cage poi Allan Kaprow hanno unito più linguaggi espressivi per creare qualcosa di unico e nuovo. 1
arte contemporanea al femminile Tra le performance più celebri di Marina spiccano le seguenti.
“Relation in Time”, performance realizzata a Bologna, presentava i due artisti influenzati dalle pratiche di meditazione asiatiche. Marina e Ulay sedevano dandosi le spalle, con i capelli intrecciati saldamente tra di loro per sedici ore.
“Balkan Baroque”, presentata alla Biennale di Venezia, in cui l’artista era seduta in una cantina piena di ossa bovine insanguinate. Marina le ha pulite costantemente per giorni, sia dal sangue che dai vermi, cantando litanie e lamenti. Quest’opera aveva un messaggio chiaro; era un riferimento agli orrori perpetuati nella guerra dei Balcani che si stava svolgendo e venne premiata con il Leone D’Oro.
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“Rythm 0” è una delle performance cardine di Marina Abramović, avvenuta a Napoli. Marina era in piedi al centro di una stanza dove erano presenti molti oggetti, come coltelli, corde e piume, e rimase immobile per sei ore, esattamente come un oggetto. Le persone avrebbero potuto fare di lei quello che desideravano, esattamente come lei fosse un altro degli oggetti presenti nella stanza. Dopo le prime due ore, alcuni spettatori iniziarono ad accanirsi su di lei, mentre altri intervennero per proteggerla: la performance era riuscita, mostrando il peggio ed anche il meglio delle persone.
“GrandMother Of Performance” sarà la sua ultima performance: avverrà il giorno del suo funerale. Quel giorno ci saranno tre bare e ciascuna sarà mandata in una delle tre città che hanno segnato la sua vita, quindi Belgrado, Amsterdam, New York. Solo una conterrà il corpo dell’artista, ma nessuno potrà saperlo. Nell’intervista, qui di seguito, dal titolo “Advice to The Young” l’artista parla con il giovane pubblico.
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REBECCA HORN Rebecca Horn nasce in una data funesta, nel 1944, all’acme dell’infuriare della seconda guerra mondiale in Germania, in un paese che proprio in quell’anno stava perdendo la guerra e sperimentando la devastazione dei bombardamenti. Nella sua biografia l’artista confida che negli anni della sua gioventù provò un grave isolamento, sia per ragioni di salute che per un vero e proprio timore ad esprimersi nella sua lingua. Sentiva di essere odiata solo per il fatto di essere tedesca, o almeno la sua sensibilità le faceva avvertire di essere rifiutata.
Spinta anche da queste motivazioni personali si affidò a un altro tipo di comunicazione, all’arte e al corpo. Era la fine degli anni ‘60, gli anni delle arti performative e l’artista provò una grande identificazione nei linguaggi performativi, ma con una sua interpretazione. Ovvero creando comunque opere, oggetti indossabili, una sorta di body-extension, dei prolungamenti del proprio corpo, in tutto simili alle maschere sciamaniche e animistiche, o almeno vicine a quel senso di metamorfosi magica del proprio corpo, tipica prassi degli stregoni del vecchio mondo.
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Comunque opere, oggetti indossabili, una sorta di body-extension, dei prolungamenti del proprio corpo, in tutto simili alle maschere sciamaniche e animistiche, o almeno vicine a quel senso di metamorfosi magica del proprio corpo, tipica prassi degli stregoni del vecchio mondo. Indossabili, diventano anche performance.
arte contemporanea al femminile Intento visibile nelle opere di Atsuko Tanaka e di Kazuo Shiraga nel Gutai sul palcoscenico. Particolarmente la prima opera di questo ciclo sembra proprio richiamarle: “Einhorn (Unicorno)”, una delle figure mitologiche più visionarie della cultura occidentale e non solo, realizzata con una lunga estensione conica allacciata sulla testa, e il corpo stesso della performer stretto in molteplici strisce bianche, che ricordavano quelle dei busti dipinti di Frida Khalo, un’altra protagonista con un forte carisma e al di fuori della ristretta area eurocentrica.
Sempre di questo ciclo è “Bleistiftmaske (Pencil Mask)”: anche questa body estension di matite colorate è assimilabile a una maschera che estende i poteri del corpo nell’immaginario e nello spazio. Sei strisce verticali, incrociate con tre verticali che coprono il viso, e in ogni punto di incrocio con le strisce orizzontali è fissata una matita. Un mondo di meridiani e paralleli concreti e non semplicemente virtuali, che segna e traccia i propri movimenti su una superficie verticale, sperimentando tutti quelli che è possibile fare con la testa. 5
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L’artista continua nel suo particolare linguaggio performativo, affidandosi anche al dinamismo artificiale delle macchine che potevano sostituire il performer, e con il suo immaginario mitologico fino agli anni ‘90 e ancora oggi, e realizzando anche la regia di film d’avanguardia. Ad esempio, nella mostra Les Magiciens de La Terre, l’artista realizza “Le baiser du rhinocéros”, due corni di rinoceronte che azionati da un motore elettrico cozzano l’uno contro l’altro, emanando una forte energia. 6
arte contemporanea al femminile “Spiriti di Madreperla” è allestita a Napoli, dove l’autrice dispone 333 capuzzelle di ghisa. La singola “capuzzella” è tratta e ispirata al famoso seicentesco Memento Mori di Spaccanapoli, ovvero una metà teschio con tibie incrociate in bronzo, posto sopra un pilastro di granito in prossimità di quella che viene popolarmente chiamata la Chiesa delle Capuzzelle. Icona e tradizione tipica dell’iconografia barocca napoletana del 1600, serviva a ricordare che la vita era effimera e la fine era purtroppo più vicina di quanto si pensasse. I teschi della Horn, al contrario sembravano emergere dal selciato di piazza Plebiscito, o forse sprofondare come in un girone dantesco, ma sopra di essi, in cielo, vibravano delle ellissi di neon, come aureole sante.
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LOUISE BOURGEOIS Louise Bourgeois, un’artista apolide con un linguaggio artistico che qualsiasi donna al mondo potrebbe condividere, nasce in Francia il 25 dicembre del 1911. Non a tutte le donne sarà capitato di nascere il giorno di Natale, ma è certo che praticamente a tutte è capitato di essere discriminate, di aver vissuto il trauma dell’abbandono, la mancanza di rispetto (nei migliori dei casi). Nel seguente video, “Peeling a Tangerine”, Louise racconta un breve aneddoto legato alla sua storia di vita personale.
Perciò la vita di una donna in genere è indirizzata verso “la riparazione del danno”, e il genere femminile ha sviluppato tutta una cultura, anche medica, con queste prerogative e questo obbiettivo. La riparazione del danno è un modo per preservare la vita. Ma a questo risultato è arrivata in età matura. Tutto ciò ha rappresentato un percorso che ha poi riempito di sale, di significato e di contenuti le sue opere, ciò che a volte manca ai suoi colleghi uomini. E dunque forte di queste esperienze, Louise, a differenza 8
della maggior parte delle donne che si limitano semplicemente a viverle, riesce a trasporre le sue esperienze in arte e a trasformarle in forma, e dunque a comunicarle al mondo. Preoccupandosi poco di relazionare la sua arte e di arrivare a mostrarla solo in età matura, dopo aver perso la bellezza, requisito spesso richiesto alla maggior parte delle donne che vogliono e “pretendono” di dialogare con il mondo diventando personaggi pubblici; la Bourgeois ha la sua prima personale all’età di 44 anni.
arte contemporanea al femminile Le sue opere raccontano il suo difficile rapporto con il padre, e dunque un rapporto con la prepotenza, con l’imperio del comando, con la mancanza di rispetto e l’orribile e conseguente sensazione di impotenza e di crescita della disistima di se stessa; generando ad esempio un ciclo di opere come “The destruction of The Father”.
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arte contemporanea al femminile Si occupa anche di un’intensa relazione materna, e la sua forte partecipazione e condivisione delle responsabilità che pesano spesso solo sulle madri, della creazione di un nido per riparare in continuazione tutti i “danni” familiari. Per poterlo fare occorre superare i propri “danni”, cancellandoli, facendo anche nascondendo il suo dolore per non creare traumi. L’artista associa la figura materna, e se stessa, all’aracnide, alla tessitrice per eccellenza: Aracne, trasformata in ragno dall’invidia di una dea. L’artista non cede di un passo, ma anzi si fa scudo della bruttezza del ragno e la trasforma in forza. Nelle sue opere si sente incredibilmente la trasformazione del “brutto” in valore, e l’opera diventa espressione e bellezza della forza, della abilità, della generosità e crudeltà coese e unite insieme. La forza di questa condivisione con la figura materna affiora nel suo ciclo di opere
Maman, che si trovano ormai nei maggiori musei del mondo e che comunicano tutta la primordiale forza, terrore, crudeltà, tenerezza e immensa generosità, e infine commistione di vita e morte presente nella maternità e nell’atto di generare. Qui di seguito delle fotografie dei principali luoghi di esposizione dell’ingente capolavoro dell’artista francese. Passare il cursore sopra ad ogni immagine per scoprire dove è installato.
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JENNY HOLZER Molte donne, in controtendenza, non hanno deragliato da quel percorso ideologico e politico segnato dalle Neo-avanguardie. Al contrario, lo hanno perseguito rinnovandolo con le nuove istanze urbanistiche e globalizzanti. Le statunitensi sicuramente hanno un posto preminente in questo settore, tra cui Jenny Holzer. Si forma nella New York neoavanguardista. All’inizio il suo linguaggio trova nello spazio sociale per eccellenza, la strada, il suo luogo di espressione e di interazione con il pubblico, manifestandosi come street art. I suoi primi lavori sono i Truism, un ciclo di poster che raccoglieva quelle massime che, grazie al senso comune, sono maggiormente condivisibili dalla massa. “Collocava” i suoi poster in strada confrontandosi con le poetiche della street art, pur rimanendo nel contesto dell’arte concettuale.
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arte contemporanea al femminile Verso la fine degli anni ‘80 le sue scritte diventano installazioni ambientali in LED, acquisendo così un dinamismo che le colloca direttamente nello spazio-reale, e amplificando efficacemente la consequenzialità temporale del pensiero che il movimento orizzontale delle luci esalta. La sua presenza nel padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1990 gli valse un grande riconoscimento, che la portò a realizzare delle opere in una dimensione sempre più grandiosa, passando da ambienti circoscritti a una scala macro sempre più urbana.
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Fino ad arrivare alle sue proiezioni allo xeno, che hanno coinvolto le piazze principali, gli aeroporti, i palazzi pubblici delle maggiori capitali del mondo (Firenze, Roma, Vienna, Venezia, Oslo, Berlino, Parigi, New York, Washington, Londra, Singapore ecc,.). 13
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Dal canale Art21 della piattaforma YouTube, il seguente video è l’Episodio # 048, nel quale Jenny Holzer discute la programmazione delle sue sculture LED durante l’installazione della mostra “PROTECT PROTECT” al Museum of Contemporary Art, Chicago. Le opere in primo piano includono “MONUMENT” (2008), “Thorax” (2008), “Purple” (2008), “Blue Cross” (2008), “Green Purple Cross” (2008), e “Hand” (2008), tra altri. Jenny Holzer è presente nell’episodio della Stagione 4 (2007) Protest of the Art: 21 — Art in the Twenty-First Century serie televisiva su PBS.
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JUDY CHICAGO Non è casuale che le artiste donne in particolare siano rimaste fedeli alle tematiche sociali: ciò è dovuto all’impatto del contesto sociale su qualsiasi donna, nel quotidiano, che normalmente investe ancora oggi più la donna che l’uomo, e alle differenze culturali millenarie che definiscono, e probabilmente ancora nel futuro, una diversità marcata tra i due sessi riguardo al loro approccio al mondo, in qualsiasi contesto questo si manifesti. Dinner
Party
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A fianco di Jenny Holzer troviamo Judy Chicago; tra tutte una sua opera che è rimasta memorabile come “Dinner Party” del 1979. L’opera consiste in una colossale “cena” imbandita e a forma di triangolo trinitario, simbolo dal quale la figura della donna era esclusa, ma il pasto e il cibo sono il mezzo stesso di cui la donna è la principale artefice. Tutto ciò stava a significare come la forma sia contraddetta dalla sostanza.
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arte contemporanea al femminile Sei striscioni intrecciati (5’ 6” x 3’ 6” ciascuno) sono appesi in processione, dando il benvenuto ai visitatori di “The Dinner Party”. Progettati da Chicago, gli arazzi ripetono i toni rossi, neri e dorati associati a The Dinner Party e incorporano motivi che si trovano in tutto il pezzo, come forme di farfalle triangolari, floreali e astratte. Dopo aver dipinto le immagini su carta e selezionato i colori del filo, Chicago ha trasferito i suoi disegni su carta millimetrata, creando cartoni animati (modelli usati dai tessitori), che sono stati poi attaccati al retro dei telai deformati. Gli striscioni d’ingresso sono stati tessuti al San Francisco Tapestry Workshop, il primo laboratorio in America a fornire formazione nella tecnica degli arazzi di Aubusson, una tessitura ad alto ordito (o verticale) popolare durante il Rinascimento. Judy Chicago è stata ispirata a utilizzare la tessitura pittorica rinasci18
arte contemporanea al femminile mentale quando ha scoperto che alle donne era proibito lavorare sui telai ad alta curvatura. I telai su misura sono stati progettati da Jean Pierre Larochette, direttore del Laboratorio di arazzi di San Francisco, e costruiti da Ken Gilliam. Questi telai consentivano ai tessitori The Dinner Party, che erano tutti formati al Workshop, di vedere i disegni mentre funzionavano, un metodo non consentito ai primi tessitori Aubusson che lavoravano da dietro i telai. Questo cambiamento era in linea con i principi femministi di Chicago, che prevedevano il rispetto per l’agenzia dei tessitori nel tradurre le immagini dell’artista in filo. Intrecciate negli stendardi ci sono una serie di frasi intese che trasmettono la visione di Chicago di un mondo equo, in cui la storia e le prospettive delle donne sono pienamente riconosciute e integrate in tutti gli aspetti della civiltà umana. 19
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CINDY SHERMAN E ancora Cindy Sherman con i suoi autoritratti fotografici che la ritraggono nei panni di diversi ruoli sociali, alti o bassi che siano (donna elegante, semplice casalinga ecc..). I ritratti si svelano come vere e proprie maschere, che immortalano più che la soggettività, la diversità dei ruoli, che le differenze sociali e culturali impongono alla donna.
Interview Magazine: Cindy Sherman
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arte contemporanea al femminile Nei suoi film tutto ciò appare ancora più approfonditamente, ma la sua soggettività, paradossalmente, riesce comunque a sopravvivere, nonostante la “maschera” imposta dal ruolo sociale. O sarebbe preferibile dire che tali ruoli riportano più che altro il punto di vista maschile appartenente alla fascia sociale volta per volta espressa, e che la maschera rappresenta. Ovvero come l’operaio ad esempio immagina e desidera che una donna o la propria donna si vesta, e così via.
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BARBARA KRUGER Barbara Kruger come Jenny Holzer si avvarrà dell’arte concettuale nel suo linguaggio espressivo, ma unendolo alla fotografia. Distaccandosi così dal tipo di arte concettuale americana per accogliere la scelta europea di non escludere l’immagine.
Le sue frasi campeggiano in installazioni fotografiche che si ispirano ai colori bianco-nero-rosso, tipici della grafica costruttivista russa di Rodchenko. Notevole fu il suo poster realizzato a sostegno della marcia sull‘aborto: “Women’s March on Washington” del 1989, dove campeggiava la frase “Your body is a battleground”. 22
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KIKI SMITH Potremmo citare tante altre artiste e solo per la scelta di una rigorosa sintesi ne possiamo offrire un incompleto accenno. Un accenno che non può escludere Louise Bourgeois, a cavallo tra la cultura europea e quella statunitense di adozione, e di cui si è ampiamente parlato nel capitolo dedicato all’Europa. Inoltre si deve accennare alla visionarietà di Kiki Smith, che coglie come la fragilità dell’immagine femminile sia legata alla commistione tra il naturale e l’umano, sorto dall’emarginazione della donna e del suo immaginario femminile.
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Nel video Kiki Smith: Printmaking | Art21 “Extended Play” del 2002 sulla piattaforma YouTube, girato presso il laboratorio di incisione Harlan & Weaver, l’artista Kiki Smith discute le sfide e i piaceri della stampa. Mostrata mentre lavora su un ritratto intitolato “Two” (2002), Smith e gli stampatori del laboratorio fanno numerose prove e revisioni fino a quando non è soddisfatta dell’immagine. Usando inchiostro su carta, Smith combina tecniche di incisione tradizionali e autodidatte nei suoi tentativi di rappresentare le sottigliezze della carne umana.
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FAITH RINGGOLD Un altro punto di riferimento, per questo stesso immaginario femminile che si trasforma in lotta per i diritti, educazione, sogno e racconto a disposizione delle nuove generazioni, è Faith Ringgold. Un artista “educata” nel quartiere di Harlem, le cui opere, pachwork di tessuti, sono un inno al “saper fare” femminile, e volutamente raccolgono storie e colori che esaltano l’appartenenza al contesto afro-americano, trasformandola in un umile mosaico di tessuto, come tante donne hanno fatto nel corso del tempo, sottolineando come queste ultime lo abbiano fatto in un completo anonimato.
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LAURA OWENS Tra la nuova generazione che emerge nel terzo millennio, importante soprattutto ai fini di questo confronto culturale tra le due macroculture che nel corso dei millenni hanno avuto maggior confronto (Est ed Ovest), è l’artista Laura Owens. L’artista si esprime spesso e soprattutto nella tecnica a inchiostro in grande formato, prendendo dei pattern iconografici orientali come ad esempio la luna tra i rami, ma facendoli propri. Ovvero arricchendo questi modelli tipici orientali con il proprio immaginario e con la propria cultura visiva astratta occidentale. I risultati sono di grande originalità e poeticità, una perfetta simbiosi culturale e altrettanto perfetta fusione tra astrazione e figurazione. 28
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Nel video “Laura Owens: The Materiality of Abstraction” del Getty Conservation Institute dalla piattaforma YouTube approcciamo con il la vita e l’approccio artistico di Laura Owens. Le sue opere esplorano con metodo e passione tutte le qualità espressive della pittura. Mentre accetta che debba avvenire un certo invecchiamento, Owens ritiene che i cambiamenti che alterano l’equilibrio del colore o influenzino i contrasti nella trama e nella lucentezza snaturano il suo lavoro e lo privano del suo significato.
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Dipartimento di Progettazione Arti Applicate Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa Corso di Grafica Multimediale STUDENTESSA Silvia Pesci - Matricola 15157 RELATRICE Prof.ssa Tiziana Maria Contino A.A. 2020/2021