Il governatore Lombardo dice che la sua foto sulle macerie è taroccata. Ce ne sono altre, e lui ride sempre
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Venerdì 23 ottobre 2009 – Anno 1 – n° 27 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
“TREMONTI, NON SI SCHERZA CON LE NOSTRE VITE” Posto fisso, centinaia di lettere di precari C
IL CONIGLIO SUPERIORE
di Marco Travaglio
Raccomandati di Oliviero
Beha
dc
icono: di che vi stupite, ve lo deve dire il caso dei coniugi Mastella che è tutta una questione di raccomandazioni? Dicono ancora: ma guardatevi attorno, nella palude italiana, quanti casi vedete di giovani e meno giovani che trovano o difendono il posto di lavoro con merito, perché sanno fare qualcosa e non perché si raccomandano a qualcuno? E il fenomeno non si è esteso anche alle falangi del lavoro precario?E continuando così non ci sarà bisogno di essere raccomandati anche per essere disoccupati sì ma magari in modo meno drammatico e più arrangiaticcio ? È un Paese in ostaggio, ricattato da una realtà antica che però scivola su un piano inclinato e lo fa rotolare.No, non c’era bisogno della Mastella’family (naturalmente vale anche per loro la presunzione di innocenza benché professino l’innocenza dei presuntuosi) per ratificare lo stato (Stato?) delle cose.Ma loro lo evidenziano dall’alto, e in qualche modo danno un contributo pesantissimo alla “normalizzazione” della segnalazione, ultimo stadio del ricatto solitamente elettoralistico.Segnalazione che in sé, se fatta con i criteri del merito, sarebbe addirittura benefica per chi ne gode, chi la fa, chi la riceve.Ma non sembra essere il caso dei 655 eponimi delle truppe mastellate.Il merito è remoto, l’appartenza è indispensabile. La tremenda lettura è quella che “senza” non si può far nulla,al Sud certo ma sempre di più anche al Centro e al Nord. È il sistema, un sistema-Mastella sotto i riflettori della magistratura oggi, ma un sistema-Italia complessivo che ci rende un Paese in recessione integrale sotto gli occhi dell’Europa.Il tuo curriculum non conta niente, nessuno ti misura perché non esistono né si vogliono far esistere autentici metodi di valutazione, la meritocrazia è bandita come un pericoloso diversivo che creerebbe problemi a chi tiene il Paese in ostaggio sotto il suo tallone (i suoi tacchetti… almeno Craxi parlava di stivali…), temo con sempre minor distinzione di colore politico. L’altra faccia di tutto ciò è la crisi del lavoro, l’invidia sociale e il privilegio dei “figli di”, di quella progenie fortunata alla nascita e dei loro corollari per cooptazione che banchettano nel Residence del potere. Dove con gli altri erano (sono?) i Mastella. Almeno consentiteci la sopravvivenza nel disprezzo di tutto ciò, è un minimo antidoto contro la truffaldina normalizzazione del peggio.
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“Ho una figlia che non riesco a mantenere”. “Ho 55 anni e non ricevo il sussidio Inps”. Sul sito del “Fatto” le voci di chi pensa che le parole del ministro siano uno spot. Epifani: “È in buona fede? D’Onghia e Feltri pag. 10 e 11 z Assuma i precari del pubblico impiego”
Udi Enrico Fierro
BANKITALIA x Si sognano pogrom di economisti
BASSOLINO E IL SUO NEMICO
Atto di accusa di Draghi al ministro dell’Economia
di scena Antonio Bassolino. Arriva “'o mericaEno”.sce Crolla il sistema di potere che ha retto le sorti della Campania dal 2000 ad oggi, arriva Nicola Cosentino. Più pentiti lo indicano come il referente della camorra di osservanza casalese. pag. 7 z
Udi Marco Lillo COSENTINO E LA CENTRALE TRASVERSALE è una centrale che permette C’ profitti milionari alla famiglia Cosentino e ai suoi amici ma anche alle municipalizzate dell’Emilia Romagna. La centrale dell’inciucio si trova a Sparanise, paesone dominato con pugno ferreo dal clan Papa. pag. 3 z
Bonazzi pag. 9
Mario Draghi e Giulio Tremonti (FOTO ANSA)
L’IMPERO DEL GAS x La visita a Mosca
BERLUSCONI, PUTIN E L’AMICO DI DELL’UTRI
Antonio Fallico, dal ‘74 a Mosca, “facilita” gli affari degli amici Atella pag. 4 z
ngiochi di potere
nveltroni
Galan e il valzer delle nomine
“Noi” La politica come romanzo
Bonazzi pag. 4z
CATTIVERIE
Colombo pag. 18z
Secondo i Pm la moglie di Mastella deve lasciare la Campania. Ma non si è capito a chi. (www.spinoza.it)
he gioia leggere l’intemerata di Mancino contro il linciaggio del giudice Mesiano e il “clima invivibile” dove “più il potere è forte e più può intimidire”. Che gaudio apprendere che il presidente Napolitano è vigile e “consapevole delle inquietanti connotazioni della vicenda”. Che tripudio le feroci motivazioni con cui il Csm ha approvato la “pratica a tutela” del giudice della causa Mondadori contro attacchi che “possono condizionare ciascun magistrato, in particolar modo allorquando si tratti di decidere su soggetti di rilevanza economica e istituzionale”. Gliele hanno cantate chiare, a Berlusconi e ai suoi killer. E questo giornale, dopo la campagna dei calzini turchesi, sottoscrive parola per parola. Con una postilla, però. Mentre il plenum del Csm apriva la sacrosanta pratica a tutela di Mesiano, la sezione disciplinare condannava i magistrati salernitani Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani alla perdita delle funzioni di pm e dell’anzianità (6 e 4 mesi) e al trasferimento d’ufficio. Trasloco già disposto in sede cautelare all’inizio dell’anno, quando i due reprobi furono cacciati su due piedi da Salerno (insieme al loro capo Luigi Apicella, poi dimessosi dalla magistratura) e scippati dell’inchiesta sulla fogna politico-affaristico-giudiziaria di Catanzaro. I due erano colpevoli di aver trovato le prove di quanto denunciava Luigi De Magistris sulla cupola calabro-lucana che l’aveva estromesso dalle sue indagini: per tre anni era stato attaccato da destra, dal centro e da sinistra, poi era stato isolato dai suoi capi e colleghi, infine il Csm unanime l’aveva espulso da Catanzaro e dalle funzioni di pm. Un anno fa la Procura di Salerno scoprì che aveva ragione lui, andò a sequestrare a Catanzaro le carte delle sue inchieste insabbiate, indagò i magistrati che le stavano insabbiando e si ritrovò tutti contro: capo dello Stato (che incredibilmente chiese gli atti dell’inchiesta in piena perquisizione), Mancino, partiti di destra, centro e sinistra, stampa e tv, Anm e Csm. Tutti a ripetere che l’ordinanza di Salerno era “abnorme” (troppe pagine, non si fa). Poi il Riesame e il Tribunale di Perugia la ritennero doverosa e disposta solo “a fini di giustizia”. Ma chissenefrega: i due pm vengono giustiziati lo stesso, senza nemmeno sentire i loro testimoni. Processo sommario, alle spicce. Anche Clementina Forleo, rea di aver intercettato lo sgovernatore Fazio e i trasversalissimi furbetti del quartierino, e per giunta di aver difeso De Magistris ad Annozero, fu prima aggredita da destra, dal centro, da sinistra, dal basso e dall’alto su su fino al Quirinale, poi isolata, infine fucilata come una mezza matta dal plotone di esecuzione del Csm e trasferita a Cremona (sentenza poi annullata dal Tar perchè illegale). Ce n’era abbastanza perché, anche nei casi Forleo, De Magistris, Nuzzi, Verasani e Apicella, il presidente Napolitano lacrimasse sulle “inquietanti connotazioni della vicenda”, il vicepresidente Mancino denunciasse “il clima invivibile e intimidatorio”, il Csm tuonasse contro “i condizionamenti per ciascun magistrato, in particolar modo allorquando si tratti di decidere su soggetti di rilevanza economica e istituzionale”. Invece, in quei casi, Napolitano, Mancino e il Csm stavano con i soggetti di rilevanza economica e istituzionale, dunque contro i magistrati. Il Csm avrebbe dovuto tutelarli dal Csm. Cioè aprire una pratica a loro tutela contro se stesso. Poi, per fortuna, Berlusconi è tornato ad attaccare un giudice. E il Csm è tornato a fare il Consiglio Superiore della Magistratura. Purtroppo, fino al giorno prima, era l’acronimo di Ciechi Sordi Muti.
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Venerdì 23 ottobre 2009
Pressioni e affari: le indagini sul metodo Ceppaloni
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MAZZETTE E POLITICA
rchiviata Why Not con un decreto tombale emesso a Catanzaro dopo l’avocazione al pm titolare del fascicolo, Luigi De Magistris, Clemente Mastella ha sul capo altre due inchieste piuttosto complesse per reati contro la pubblica amministrazione. Entrambe scandagliano un sistema di nomine e appalti ottenuti grazie a
indebite pressioni politiche. La prima inchiesta è approdata all’udienza preliminare a Napoli: il 26 ottobre il Gup Sergio Marotta deciderà su 22 richieste di rinvio a giudizio. La moglie, Sandra Lonardo, è imputata di tentata concussione. Mastella è stato stralciato su disposizione del pm Francesco Curcio, che ha inviato gli atti a Strasburgo per l’autorizzazione a
procedere dell’Europarlamento. La Procura qui ha escluso l’associazione per delinquere, che invece contesta per la seconda inchiesta, un filone parallelo che si concentra sulla gestione clientelare dell’Arpac. La Lonardo è stata sotto posta al divieto di dimora in Campania, Mastella ha ricevuto un avviso di conclusa indagine.
CLEMENTE AD PERSONAM
Mastella: aiuto la povera gente. Il suo sistema: concorso ad hoc per il dirigente Udeur, appalti per il consuocero di Vincenzo Iurillo
L’EX MINISTRO AL TELEFONO
ostiene Clemente Mastella di aver segnalato soltanto povera gente che aveva bisogno. Sarà. Ma dall’ordinanza firmata dal Gip di Napoli Anna Laura Alfano emerge altro. Emerge un sistema di potere targato Udeur capace di manovrare gare e assunzioni scardinando norme e procedure con un unico scopo: premiare gli esponenti e i familiari della casta politica organica al Campanile. Non “povera gente”, ma professionisti, per i quali si spalancava il mondo dorato di incarichi, appalti e consulenze con cifre a numerosi zeri. L’Arpac, l’Agenzia Regionale dell’Ambiente della Campania, braccio operativo dell’assessorato retto dal mastelliano Luigi Nocera, secondo gli inquirenti era il luogo dove l’Udeur compiva le principali operazioni clientelari. Il dirigente dell’Arpac Prendiamo la vicenda illustrata nel capo d’imputazione numero 20: l’assegnazione dell’incarico di dirigente dell’Unità Operativa Servizi Territoriali del Dipartimento di Napoli dell’Arpac ad Antonio Ramondo, per lungo tempo segretario cittadino dell’Udeur della po-
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L’ex ministro si difende Nell’ordinanza del Gip il quadro sul potere della famiglia
SENTI CHI MENTE AL “FATTO” D
La “difesa” ieri di Mastella nella conferenza stampa a Napoli (FOTO ANSA)
polosa Torre del Greco; nel 2000 vice sindaco di una giunta di centrosinistra e poi ago di una bilancia di una giunta di centrodestra. Secondo l’accusa, il direttore dell’Arpac Luciano Capobianco, in carica dal 2004 fino al luglio 2009, unico indagato agli arresti domiciliari, e il segretario campano dell’Udeur, Antonio Fantini, ex presidente della Campania e per anni plenipotenziario di Mastella a Napoli, in combutta con la commissione esaminatrice avrebbero cucito il concorso sul curriculum di Ramondo, violando alcune disposizioni sulla valutazione delle anzianità di servizio e attribuendogli “un altissimo giudizio di merito”. E ancora il periodico dell’Arpac al fratello del consigliere Udeur: è il bimestrale “Arpacampania Ambiente”. “Rivista di carta platinata” ironizzò il consigliere di opposizione Sal-
vatore Ronghi, denunciandone i notevoli costi. Il direttore è il giornalista Pietro Funaro, fratello di Funaro. La nomina di Pietro Funaro è finita sotto inchiesta perché voluta a tutti i costi da Fantini e perché, scrivono i pm, per dispensargliela sarebbero state commesse almeno tre violazioni di legge. Funaro diventa direttore attraverso un semplice “comando”. Nel frattempo l’Arpac modifica il regolamento e istituisce un incarico dirigenziale apposito per la direzione della rivista, senza l’ok della giunta Bassolino. Quindi dà il via a un concorso dall’esito già scritto. Funaro vince perché la sua laurea triennale in servizi sociali riceve un punteggio maggiore
della laurea quadriennale in Scienze Politiche del suo concorrente, Elio Scribani, storica firma de “Il Mattino”. Perizie variabili L’ingegnere Carlo Camilleri è il papà della moglie di Pellegrino Mastella. È il titolare, insieme ad Antonello Scocca, della General Enginering srl, “studio ingegneristico di riferimento dell’Udeur”, si legge nell’ordinanza che ricostruisce la strana vicenda dell’appalto per la ristrutturazione della sede Arpac di Benevento. Un appalto che fa uno strano giro: viene prima aggiudicato alla Socedim grazie anche a un’auto-attestazione fasulla di incensuratezza dell’amministratore, e grazie al fatto di aver offerto dei
on solo Udeur. Anche iscritti all’Idv coinvolti nell’inchiesta campana legata alla vicenda Mastella-Arpac. Roba da far riaprire anche tra i dipietristi feritoie di questione morale. A poche settimane - tra l’altro dalla querelle rilanciata da Micromega e poi da De Magistris proprio sul “Fatto”. E così ieri Nello Formisano, segretario regionale della Campania, avvertiva: “Invito le persone indicate in quell'elenco ed oggi aderenti all’Idv, a chiarire in tutte le sedi ciò che è necessario chiarire, assumendosi sino in fondo le proprie responsabilità, se ve ne fossero”. E ancora: “Sulla lotta al malcostume politico e sulle battaglie per la questione morale Idv ha fondato e fonda la sua azione politica e solo la capacità di essere chiari non ne intacca la limpidezza”. Meglio vederci chiaro.
lata: il bando di gara vietava la cessione del contratto di appalto. Camilleri, da progettista della Procogest, confeziona una perizia di variante da 323mila euro certificando incrementi di costi sui quali la Procura nutre forti dubbi. Mentre la Procogest sforna per l’Arpac una fattura per “primo stato d’avanzamento lavori” di circa 45mila euro che serve solo per pagare subito Camilleri. Le condizioni del bando vengono violate e la Procura contesta il “danno di rilevante entità” .
LOMBARDO E IL “SISTEMONE” DELLE RACCOMANDAZIONI di Benny Calasanzio
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locali provvisori per il trasloco delle attività dichiarati idonei, ma che in realtà erano privi degli allacci. La Socedim, per aggirare il problema dei requisiti dell’amministratore, cede il ramo di azienda e il relativo appalto alla Logic srl. Per gli inquirenti è solo un paravento dietro il quale continua a operare lo stesso imprenditore. In fine nuova cessione di ramo d’azienda dalla Logic alla Procogest di Bartolomeo Piccolo e Gaetano Criscione. Anche questa cessione sarebbe simu-
REGIONE SICILIA
QUESTIONE MORALE
L’Idv avvia l’indagine interna
ue volte bugiardo, Clemente Mastella. La prima volta, quando finge di essere il suo avvocato, Titta Madia, al cronista de ‘Il Fatto’ che cercava il legale per alcuni ragguagli e compone per sbaglio il numero dell’ex ministro. La seconda volta, quando in conferenza stampa a Napoli insinua che la bufera giudiziaria gli era stata preannunciata il giorno prima da quella telefonata. “Desidero ringraziare il giornalista de 'Il Fatto', così ho saputo le notizie un giorno prima”. Il nostro cronista non ha rivelato nulla in anteprima e nulla peraltro aveva da rivelare: chiedeva solo informazioni sull’udienza preliminare in corso davanti al Gup di Napoli, relativa al primo troncone dell’inchiesta sull’Udeur : quella mattina se n’era svolta una, l’ultima è in calendario lunedì prossimo. Il nostro cronista voleva conferma dello stralcio della posizione di Mastella e il giorno dop o infatti è uscito un articolo su questa notizia. Tutto qui. Il resto sono solo fandonie, e il file audio della conversazione lo dimostra.
rovenzano Calogero, giorno 16/04/2007 Pidoneit; ore 14.00. Dovr sostenere la prova pratica di Bando per lo sviluppo del territorio: Investicatania spa, Zoo agri service srl, Services & trade srl, Sicily food srl. Segn(alatore ndr). Giovanni Longo, Rif(erimento, ndr). Dr Giacalone; Anzalone Marialucia, matr. 641/003279 giorno 07/11/2006 procedura penale, Prof. Rafaraci Tommaso. Questa volta la famiglia Mastella non c'entra nulla. Anzi, con le loro presunte 42 raccomandazioni farebbero una pessima figura. Quelli sopra sono solo alcuni estratti dei circa 2 mila curricula e delle altrettante richieste di raccomandazione inserite nel grosso archivio elettronico, trovato sul sistema di scambio file eMule circa un anno fa, che sarebbe direttamente riconducibile alla segreteria del presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo. Il governatore non ha mai smentito che i documenti provengano dai suoi ambienti, salvo dare mandato al suo legale di querelare il Corriere della Sera e il giornalista Alfio Sciacca per aver raccontato a grandi linee il contenuto del libro mastro. La vulgata comune sostiene che il file sia finito on line per errore e scovato per caso da un settimanale agri-
gentino. In realtà sembrerebbe più la vendetta di un deluso: tra la mole di fogli elettronici ci sono brogliacci di segreteria, bozze di locandine e gli sms firmati Mpa da inviare per le vittorie elettorali. Un vero e proprio "sistemone" con migliaia di numeri di telefono, compreso quello del governatore stesso, centinaia di nominativi con relativa qualifica, aspirazione, segnalatore e riferimento per la "pratica". Ci sono anche universitari che cercano raccomandazioni per esami e militari che "aspirano" al trasferimento o all'avanzamento di carriera; poi semplici aumenti di livello, visite sanitarie per le poste e addirittura una richiesta di iscrizione al secondo anno dell'istituto Galileo da parte di una ragazza nata nel ‘93. Non mancano aziende che devono beneficiare di contributi statali e concorsi medici, come quello per il dirigente di I livello del reparto di Cardiologia dell'Umberto I di Siracusa che vedeva raccomandata tale Dott.ssa Mur Paola, segnalata da Sileci e che poi, certamente per coincidenza, stata l'effettiva vincitrice del concorso. Piccole richieste di attenzione, come la pratica n. 84f del 12/03/2007 sul trasferimento della farmacia di Petitto Domenico di Acireale, o come Maisano Grazia Concetta che,
sempre secondo il documento, chiede un piccolo aiuto per l'abilitazione all'attività forense, tramite tale D'Antonio. Di fronte a tutto ciò, utilizzando gli stessi numeri di telefono trovati negli archivi, abbiamo sentito alcuni dei nominativi. C'è la ragazza che aspira all'abilitazione all'insegnamento che conferma tutto ma non vuole commentare e la madre del medico in carriera che parla di cose che si fanno durante le campagne elettorali. Di fronte a tutto ciò per nessun divieto di dimora, provvedimenti restrittivi o avvisi di garanzia sono stati notificati al presidente della Regione o ai suoi assistenti: la Procura di Catania aveva aperto all'epoca un'indagine conoscitiva di cui oggi si sono perse le tracce.
In un file finito su eMule segnalati e segnalatori “Sparita” l’indagine della procura
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La corsa per la candidatura alla Regione Campania
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MAZZETTE E POLITICA
na carriera che lo ha portato a scalare in pochi anni il vertice del centrodestra campano e nazionale. Ma Nicola Cosentino sottosegretario all’Economia in pole per la corsa alla carica di Presidente della Regione Campania sotto le insegne di Silvio Berlusconi - significa soprattutto “famiglia”.
I COSENTINO E L’INCIUCIO COL PD Business per milioni di euro tra la famiglia del sottosegretario e Hera di Marco Lillo
è una centrale che permette profitti milionari alla famiglia Cosentino e ai suoi amici ma anche alle municipalizzate dell’Emilia Romagna. La centrale dell’inciucio si trova a Sparanise, paesone dominato con pugno ferreo dal clan Papa, legato da vincoli stretti al numero uno dei casalesi, Francesco Schiavone detto Sandokan. La camorra non ha avuto nulla da ridire sulla ciminiera che scarica fumo sui campi di pomodori. Anche perché i subappalti sono finiti alle ditte locali, tra le quali una del fratello del commercialista dei Papa. Ma questa è un’altra storia. A lottare contro il mostro da 800 megawatt c’erano solo agricoltori, giornalisti minacciati dalla camorra, come Enzo Palmesano, un centro sociale e un vescovo. Sì un vescovo, Francesco Tomasiello, di Teano, che però si faceva chiamare solo don Francesco. Don Francesco è morto nell’ottobre del 2005 per un male incurabile. I suoi beni sono andati ai missionari del Burundi e le sue ultime parole dal letto dell’ospedale Gemelli di Roma sono state: “Figli miei, vi sono vicino da padre e pastore in questo momento così drammatico per la nostra amatissima terra. Nessuno potrà mai calpestarci se siamo uniti; nessuno potrà mai toccare il futuro e la salute nostra e dei vostri dolcissimi bambini”. Don Francesco ha perso una partita più grande di lui. La storia della centrale è un perfetto esempio della malapolitica che sacrifica
C’
Il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino
la salute pubblica sull’altare dell’interesse privatissimo dei familiari e degli amici dei politici di destra e di sinistra. Tutto inizia nel giugno del 1999 quando la società Scr, vicina alla famiglia Cosentino, ma di proprietà di una fiduciaria (che ne scherma la proprietà) compra per 3 miliardi e 715 milioni di lire l’area industriale della Pozzi di Sparanise. Quei terreni sono inquinati tanto che l’onorevole Cosentino nel 1997 aveva presentato un’interrogazione sui rischi connessi che non aveva aumentato il valore dei terreni. Poco dopo l’acquisto da parte di Scr, la municipalizzata del comune di Imola, Ami, punta gli occhi su Sparanise e stipula un accordo con la Scr (vicina ai Cosentino) per fare una centrale a turbogas. Occhio alle date: a gennaio del 2001 il comune di Sparanise, diretto da un amico e compagno di partito di Cosentino, il sindaco Antonio Merola, destina proprio quell’area per
una centrale. Due mesi dopo Scr (vicina ai Cosentino) sigla un preliminare di vendita per cedere ad Ami il terreno, pagato 1,9 milioni di euro alla cifra mostruosa di 9,3 milioni di euro. La municipalizzata rossa condiziona però il pagamento al via libera definitivo. Poco dopo Ami si fonde e diventa parte del colosso Hera, quotato in borsa e controllato da un centinaio di comuni emiliani: Bologna, Ferrara, Rimini, e altri, quasi tutte giunte di sinistra. Nel 2002 la società di Scr ed Hera presenta la domanda ma Sparanise insorge. Don Francesco organizza un convegno e implora i politici di non autorizzare le turbine. Nel 2004, la Regione, guidata da Antonio Bassolino, e il Governo Berlusconi danno il via libera. La Scr, vicina ai Cosentino e la Hera dei comuni rossi, passano all’incasso. Già nel 2002 avevano ceduto l’affare su un piatto d’argento alla grande società svizzera EGL,
L’INCHIESTA BLOCCATA
I PALAZZINARI DI PALERMO, BORSELLINO E QUELLA MANI PULITE UCCISA IN CULLA di Peter Gomez
generale Mario Mori, quando ha Izionilpreso la parola per le sue dichiaraspontanee al processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, la ripetuto un’altra volta. Per lui la causa principale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992 va ricercata nelle indagini, condotte un anno prima proprio dai carabinieri, sugli appalti pubblici spartiti in Sicilia con il benestare della mafia. Anche perché, ha sostenuto Mori il 20 ottobre, quelle inchieste furono archiviate in tutta fretta all’indomani dell’omicidio di Paolo Borsellino. La trattativa dello Stato con Cosa Nostra, insomma, non c’entra. E per capire cosa è successo bisogna scavare sul sistema dei lavori pubblici. Come spesso accade nelle vicende di mafia ci troviamo di fronte a due diverse ve-
Quella messa su da papà Silvio. Poi diventata - grazie anche al figlio - la Aversana Petroli: 200 milioni di fatturato e una rete di distributori sparsi per l’Italia. Giovanni in azienda, Nicola in politica. Cosentino durante la prima repubblica entra nel Psdi e poi, dopo qualche tentennamento nella lista civica si schiera
che controlla l’85 per cento della centrale. Quando arrivano le autorizzazioni, Egl paga per i terreni ben 11 milioni e 450 mila euro. La Scr vicina ai Cosentino incassa una plusvalenza di 10 milioni. Ma la torta non finisce qui. Egl cederà il 15 per cento dell’energia prodotta a una società commerciale controllata da Scr e da Hera al 50 per cento. Nel 2008 questa società (Hera Comm Med) che ha la sede nel capannone della Aversana Petroli, società della famiglia Cosentino, ha guadagnato 40 milioni di euro per 6 milioni e mezzo di utile da dividere a metà tra Hera e Scr. Un guadagno perpetuo, come perpetue sono le ricadute ambientali sul Casertano. Chi c’è dietro Scr? Una cosa è certa: una parte dei terreni acquistati nel 1999 da questa società è stata ceduta al prezzo di costo (310 milioni di lire) alla società immobiliare dei Cosentino, la 6C nella quale il sottosegretario vanta una quota del 16,5 per cento. Non solo: nel consiglio didi Hera Comm Med ci sono Giovanni Cosentino e Enrico Reccia, un imprenditore agricolo aversano socio del fratello di Cosentino in altre attività. Reccia ha un precedente poco incoraggiante. Fino al 2002 era presidente del collegio sindacale di una cooperativa, la Europa 2001, nella quale era sindaco anche Salvatore Della Corte, arrestato nel 2006 dal Ros e condannato a due anni e 4 mesi perché aiutava il clan Zagaria nei suoi affari al nord.
con Berlusconi. Ben cinque pentiti hanno raccontato i legami di Cosentino con la criminalità, specie con il clan dei Casalesi. Ed è per questo che anche all’interno del Pdl - specie dalla sponda finiana - la candidatura sta suscitando un vespaio di polemiche e di accuse reciproche. Come al solito, però, alla fine deciderà il capo.
DA OGGI A ROMA
“CONTROMAFIE” SFIDA IL GOVERNO: NON CI SIAMO di Stefano Caselli
on è un papello, di quelli Ndi Paolo che – per usare le parole Borsellino pronunciate poco prima di morire – puzzano “di compromesso morale, di indifferenza, contiguità”. È un Manifesto “dal fresco profumo di libertà”. Esiste dal 2006, magari conservato in qualche cassetto a Montecitorio. È il primo Manifesto finale di Contromafie ovvero “Gli stati generali dell’Antimafia”, che a Roma – da oggi fino a domenica – celebra la sua 2/a edizione. Un elenco di 20 punti che – oltre ad orientamenti per le centinaia di associazioni che lavorano per allontanare l’Italia dalle metastasi mafiose – contiene precise richieste alla politica, perché lo Stato assuma “la lotta alle mafie come priorità nazionale”. Il Manifesto finì nelle mani di Prodi e Bertinotti; e sembra un secolo fa. Che fine hanno fatto quelle proposte? A che punto è la lotta alle ma-
MEDIASET E L’AFFARE MESIANO
Scusate, ma anche voi siete cattivi
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ammina. Guarda avanti. Non si ferma. Prosegue nel suo silenzio, non dà spunto per non alimentare. Gli altri hanno già fatto tanto, troppo. Però ci tiene a fare una precisazione il giudice Mesiano, l’uomo dal calzino “turchese”: “Io sono tranquillo, tranquillissimo”. Così a prendere la parola è il Csm che professa: “Piena e convinta solidarietà dopo i reiterati attacchi”. Poi c’è l’altra sponda, Mediaset. Che in un comunicato del coordinamento dei Cdr ribadisce la sua condanna per il video andato in onda a “Mattino 5”. Con un “però”: giudica “inaccettabile l’opera di linciaggio che non solo all’esterno ma anche all’interno del Gruppo sta avvenendo contro alcuni giornalisti e utilizzando anche programmi come ‘Le Iene’ che nulla hanno a che fare con il giornalismo”. Insomma, i panni sporchi non si lavano in famiglia.
rità. A delle storie parallele che però, un angolo non sono stati i mafiosi. Sonon divergono, ma anzi collimano, no stati alcuni suoi colleghi e soprattra loro. Perché quando Cosa Nostra tutto l’allora procuratore Pietro decide un omicidio eccellente non lo Giammanco. Il rapporto di De Donno fa mai per un unico motivo. è una bomba. Per la prima volta viene È un fatto che le indagine dell’Arma svelato il ruolo di Angelo Siino, l’uofacessero paura a molti. Il giovane ca- mo che per conto di Cosa Nostra cupitano Giuseppe De rava la spartizioDonno ci aveva lavora- 1991: il dossier del ne di lavori e to per più di un anno. mazzette. E vieCosì, il 16 febbraio del capitano De Donno ne anche spiega1991, consegna nelle to quello del sulle speculazioni e mani di Giovanni Falgruppo Ferruzzi cone un rapporto di la fine del giudice di Ravenna, in af900 pagine che, senza fari con la mafia. pentiti, sembra anticiNella relazione pare di più di un anno sono citati i nomi l’inchiesta milanese di Mani Pulite. citati i nomi di aziende come la GrasFalcone però non lo può esaminare. setto di Salvatore Ligresti, la TordivalSta partendo per Roma, dove diven- le di Roma (degli eredi di De Gaspeterà direttore degli affari penali al mi- ri), la Rizzani De Eccher di Udine, le nistero, perchè ormai a Palermo lui imprese dei cavalieri del lavoro di Canon può più lavorare. A metterlo in tania, la SII poi rilevata dall’ex diret-
tore generale della Edilnord di Berlusconi, Antonio D’Adamo, una serie di cooperative rosse, la Impresem, del costruttore agrigentino Filippo Salamone e poi tutte le società che fanno capo a Bernardo Provenzano. Nonostante questo Mani Pulite alla siciliana non parte. Perché la questione degli appalti e del pizzo diviso tra mafiosi e politici arrivi realmente alla ribalta bisogna attendere che a Palermo giunga il procuratore Giancarlo Caselli. Ma c’è di peggio. Il rapporto di De Donno finisce presto in mano ai mafiosi. Chi lo abbia consegnato, le indagini, tutte archiviate, non lo hanno mai stabilito. Restano sul tavolo le accuse: quelle del Ros ai magistrati e quelle dei magistrati ai carabinieri. L’ex braccio destro di Provenzano, il capomafia oggi pentito Nino Giuffrè, è però certo che il contenuto di quel
fie in Italia? “Pur tra mille difficoltà – dichiara Luigi Ciotti, presidente di Libera – non è mai venuto meno l’impegno di magistratura e forze dell’ordine, come dimostrano i numeri dei boss arrestati e dei beni confiscati. Alcune delle richieste formulate nel 2006 sono state recepite, penso all’impegno in favore dei testimoni di giustizia”. Ma le note positive terminano qua: “Basta confrontare – prosegue Ciotti – l’elenco delle proposte con la realtà di oggi per affermare che non ci siamo. Chiedevamo l’introduzione nel codice penale del delitto contro l’ambiente che non è stata ancora approvata, mentre le ecomafie fanno affari d’oro, come dimostra l’affondamento della navi ad opera della ‘ndrangheta. Auspicavamo una nuova legge antidroga e osserviamo l’esplosione del consumo di cocaina, droghe sintetiche e il ritorno dell’eroina. Raccomandavamo una rete di sostegno per le vittime della tratta e ci troviamo di fronte al respingimento di chi fugge e al reato di immigrazione clandestina. Proponevamo norme contro il riciclaggio ed è stata decisa l’ennesima sanatoria per il rientro dei capitali esportati illecitamente”. Più drastico Giuseppe Lumia, ex presidente della Commissione Antimafia: “Si è fatto molto poco in questi tre anni, ci sono cose che la politica continua ostinatamente a respingere”. Gli stati generali dell’Antimafia si aprono all’Auditorium di Roma con il saluto di Napolitano e si concluderanno con un secondo Manifesto. “Il messaggio di Contromafie – dichiara Lorenzo Frigerio, coordinatore dell’evento – è che non basta ribadire una volontà di contrasto al potere mafioso, vanno anche indicate le strade da seguire perché i favori diventino diritti e le illegalità siano vinte dalla legge”.
rapporto impresse un’accelerazione alla decisione, secondo lui già presa, di uccidere sia Falcone che Borsellino. In ballo c’erano infatti più di mille miliardi di lire da spartire tra mafia e politica. È indiscutibile, poi, che anche Borsellino, subito dopo la morte dell’amico, si sia messo a battere pure il fronte dei lavori pubblici. Proprio per questo ebbe allora un incontro con Antonio Di Pietro, all’epoca uomo simbolo di Mani Pulite, e, secondo Mori, il 25 giugno discusse la questione appalti anche con lui e De Donno: un’inchiesta senz’altro rallentata, se non insabbiata, nei mesi successivi. Un’indagine che oltretutto sarà poi falcidiata da prescrizioni e sentenze contraddittorie nei confronti di imprese e politici. Sulla morte di Borsellino, insomma, il rapporto mafia-appalti pesa. E da solo spiega molto. Ma non tutto.
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Giornata d’affari e ritorno a Roma: il tour de force del Cavaliere
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AFFARI PRIVATI
Non solo gas, ma geopolitica e assetti internazionali. La visita privata di Berlusconi a San Pietroburgo, terminata in nottata per il ritorno a Roma in tempo per il consiglio dei ministri (e non certo per presentarsi in Parlamento per spiegare cosa è andato a fare in Russia, come ha chiesto il Pd; anhce perché, come ha spiegato il ministro degli Esteri Frattini, “non c’è alcun mistero,
si tratta di un incontro tra amici”) ha messo insieme temi diversissimi: si è parlato di Afghanistan, Pakistan, Medio Oriente; e poi, quali riforme avviare in Russia e in Italia per fronteggiare la crisi internazionale. Tutto questo tra mercoledì sera e la notte di ieri, tra una videoconferenza con il premier turco Erdogan e incontri con dirigenti d’industria russi. Affari diversi che hanno destato interesse e critiche
a Roma, tra l’altro anche tra chi ha partecipato alla cena dell’Aspen Institute con il ministro Tremonti e l’ambasciatore americano, nella quale si sarebbe respirato, secondo uno dei presenti, un “forte imbarazzo”, che sarebbe ormai - insieme al fastidio per la personalizzazione assoluta della politica di governo - la sensazione dominante anche nella maggioranza.
L’UOMO DEL GAS
Amico di Dell’Utri, a Mosca dal 1974, uomo ponte tra Berlusconi e Putin. Ecco Fallico di Marco Atella
er accordarsi con Gazprom serve un ‘prete’, uno che fa conoscere le persone e le porta al tavolo della trattativa. In maniera serena e ben predisposte”. Lo diceva Massimo Ciancimino, figlio di Don Vito, in un'intervista a RaiNews24 nel giugno del 2006. Ciancimino è uno che di gas se ne intende. Tra il 2002 e il 2005 aveva provato a farlo lui un accordo con Gazprom per portare il gas direttamente in Italia, scavalcando l'Eni. Poi tutto era saltato a causa delle indagini della procura di Palermo e il sequestro della Fingas: la società siciliana che avrebbe dovuto guidare lo sbarco dei russi . Il “prete” però Massimo Ciancimino lo aveva trovato davvero. La persona che gli aveva spiegato a quale porte bussare e soprattutto quanto fosse importante finanziare anche con piccole cifre una fondazione vicina a Vladimir Putin (“era un biglietto da visita, un modo per farsi accettare”, spiega oggi Ciancimino junior al Fatto Quotidiano), si chiama Antonio Fallico, è un'amico d'infanzia di Marcello Dell'Utri e, a partire dalla metà degli anni '80, è stato consulente della Fininvest in Unione sovietica. Così oggi, mentre Silvio Berlusconi e Putin, discutono in segreto di politica, di energia e di affari in una dacia, dietro a loro si allunga l'ombra di quest’uomo piccolo e silenzioso che è presidente di Banca Intesa a Mosca e “ambasciatore” delle imprese italiane in Russia Non è un caso insomma se negli
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ultimi anni molti imprenditori legati a Berlusconi abbiano tentato, con alterne fortune, di entrare nel business del gas. Gli amici di Silvio Prima lo stesso Dell'Utri, poi il banchiere- consigliere di amministrazione della Fininvest, Ubaldo Livosi. E infine, l'ex socio di Berlusconi in Telepiù, Bruno Mentasti. Va male a tutti. Anche a Mentasti che pure vede l’Eni firmare un accordo che permetteva l’ingresso in Italia della Centrex Europe Energy & Gas AG, la società usata da Gazprom per commercializzare il gas in Europa, della quale lui aveva acquistato il 33 per cento. Nel 2006, però, lo scenario cambia. Eni e Gazprom siglano un nuovo accordo. L’Eni promette di far vendere ai russi tre miliardi di metri cubi di gas. Dietro al contratto c’è una strategia più ampia, con forti implicazioni politiche: il progetto per gasdotto Southstream (50% Eni, 50% Gazprom); l'acquisto da parte di Eni (nel 2007) degli asset di Yukos, la società petrolifera smantellata; e infine la partecipazione russa al giacimento libico Elephant dell'Eni. Tocca alle municipalizzate Tre miliardi di metri cubi valgono più o meno 280 milioni di dollari di ricavi. Il boccone è insomma prelibato. Nel settembre del 2008 se ne aggiudica una parte
Plurigas Spa, partecipata al 70% da A2A (Aem Milano e Asm Brescia) e al 30% da Iride (Aem Torino e Amga Genova). Plurigas entra in una joint venture (la A2A Beta SpA) in cui Gazprom partecipa al 50% (attraverso la controllata tedesca ZMB Gmbh). La nuova società permette ai russi di vendere al consorzio di municipalizzate 900 milioni di metri cubi con un'opzione ventennale. L'accordo, siglato a Bergamo, arriva dopo sei anni di trattative, nelle quali ha svolto un ruolo fondamentale Fallico. Il quale è addirittura coinvolto in prima persona in un secondo contratto, firmato da Gazprom nell'agosto di quest'anno, con il consorzio Sinergie Italiane Srl (35% Enia e 23% Ascopiave) per la for-
nitura di un miliardo di metri cubi. Fallico infatti è stato membro del cda di Sinergie dal 4 agosto 2008 (data di costituzione della Srl) all'11 marzo del 2009, quando esce di scena dopo aver tirato la volata al gruppo. Ma chi è davvero Antonio Fallico? Nato a Bronte (Catania), nel 1945, si diploma al liceo classico Capizzi, in cui ha studiato anche Dell'Utri. Dopo la laurea in filologia, sale in cattedra all'Università di Verona, dove lo contatta un funzionario dalla Banca Cattolica del Veneto. Fallico conosce il russo e la banca, che oggi fa parte del gruppo Intesa-San Paolo, gli chiede una mano per sbarcare a Mosca. Un siciliano al Cremlino Così nel 1974 Fallico si trasferi-
sce in Urss. E comincia a fare carriera. Uomo di relazioni, si fa strada nei salotti. Conosce Leonid Brezhnev e i suoi figli, Jurij Andropov, Mikhail Gorbaciov, Boris Eltsin e Putin, già ai tempi in cui era vice-sindaco di San Pietroburgo. Ed è proprio Putin che lo premia, il 22 aprile del 2008, con l'Ordine dell'amicizia, la più alta decorazione riservata a cittadini stranieri. In quello stesso giorno, presso le residenza presidenziale di Novo-Ogaryovo, alle porte di Mosca, Intesa-Sanpaolo sigla un accordo con i russi di Gazprombank (il braccio finanziario di Gazprom) per creare una nuova banca italo-russa. Tra i compiti dell’istituto, dice un comunicato, c’è quello di finanziare “la costruzione del gasdotto intercontinentale South Stream”. Oltre alla benedizione di Putin, c’è quella del Cavaliere. Come racconta lui stesso a periodico Bronte notizie, Fallico, viene contattato da Berlusconi “negli anni ‘86-‘88”. Così diventa un consulente Fininvest a Mosca e pure Publitalia sbarca in Urss. Prospettiva Lenin Oggi Antonio Fallico continua a mietere consensi. Appena nominato console onorario della Federazione Russa a Verona, ha presentato e firmato il suo primo romanzo "Leninsky Prospekt" (Prospettiva Lenin), pubbli-
cato in Russia con lo pseudonimo "Anton Antonov". Il protagonista è un italiano che va a Mosca a lavorare per il Kgb e l'Urss, di cui condivide gli ideali. L'italiano entra in contatto con funzionari comunisti e riesce a relazionarsi con il "cerchio interno" dell'apparato. Lui dice che si tratta di una storia vera, basata sulla conoscenza di un ex spia, che ha incontrato un giorno in una strada di Mosca, mentre chiedeva l'elemosina. “So che è stato consegnato alle autorità italiane e ha trascorso dieci anni in prigione”, spiega ai giornalisti russi. Ma in molti pensano che l'ex uomo del KGB sia proprio lui. Il brontese, amico di Putin e del Cavaliere, che ha studiato filologia ma si è convertito presto agli affari. Perché «il cibo spirituale, purtroppo, non sfama».
Dopo aver attraversato l’era sovietica si è legato alla Fininvest. Ora ha scritto il suo primo romanzo In alto, Antonio Fallico e manifestanti a San Pietroburgo contro il nuovo grattacielo Gazprom (FOTO ANSA)
A fianco, Paolo Scaroni
NOMINE
IL PASSO INDIETRO DI GALAN E LE POLTRONE A INCASTRO di Francesco Bonazzi
osso sempre andare a fare il prePvernato sidente dell’Eni. In fondo ho gouna nazione da 4 milioni di abitanti...” In queste ore, quella vecchia volpe di Giancarlo Galan sta offrendo a caro prezzo quel passo indietro dal suo amato Veneto che Palazzo Grazioli gli chiede. “Sistemare” su una morbida poltrona romana l’autonomista Galan è molto più importante di quanto si creda. Il via libera alle aspirazioni del leghista Luca Zaia, oggi ministro dell’Agricoltura, metterebbe a posto il delicato mosaico delle candidature per le Regionali di marzo. Un rompicapo che al Nord rappre-
senterà la nuova cartina di tornasole dei rapporti di forza tra Lega e Pdl. O meglio, per vederla dal tavolone del Consiglio dei Ministri, tra i vari Letta, Scajola, Brunetta, Sacconi e Fitto da un lato. E il solito Tremonti “Signor No” dall’altro, sostenuto da una Lega che stavolta non ha Bossi malato e difficilmente consentirà un remake del 2005, quando i colonnelli del Carroccio non seppero (o non vollero?) difendere il “costituente di Lorenzago” dall’attacco di Gianfranco Fini. Dall’esito della partita che si sta giocando su questo doppio fronte, candidature-Via XX Settembre, dipende il nervosismo che attraversa i palazzi romani dove hanno sede colossi come Eni, Enel, Terna, Finmeccanica, Poste e, ovviamente, quella Rai che colosso certo non è, ma da sempre funziona come sommo sismografo del potere. Ben prima che per la presidenza dell’Eni, oggi occupata dal commercialista Roberto Poli, circolasse il nome dell’attuale direttore generale di Viale Mazzini, Mauro Masi, gli occhi
La sistemazione del governatore del Veneto può finire per far tremare i vertici Eni, Terna, Finmeccanica
erano puntati sul suo predecessore Flavio Cattaneo. Oggi il manager pubblico guida con mano ferma Terna, la società che gestisce la rete elettrica italiana scorporata dall’Enel. Una rendita di posizione? Mica tanto. Il suo attivismo all’estero e l’ingresso sul mercato della “green economy” hanno dato qualche fastidio all’Enel, della quale Cattaneo in fondo è il mancato amministratore delegato. A maggio 2005, quando il precedente governo Berlusconi promosse il fido Paolo Scaroni dall’Enel all’Eni, Cattaneo fu a un soffio dal diventare capo azienda di Enel in tandem con Fulvio Conti. La spuntò il secondo, ritenuto tecnicamente più preparato, solo perchè i mercati avrebbero mal digerito una diarchia da vecchio parastato. Oggi Conti fila d’amore e d’accordo con Scaroni, dopo una breve parentesi di gelo per colpa della vicenda Wind, e anche questo è un asset. Agli amici e agli stretti collaboratori, Cattaneo nega di mirare all’Eni: “Sto bene dove sto. Anzi, ci sto magnificamente”. Sa che è un po’ presto e sa che Scaroni è il manager più caro a Silvio Berlusconi, al quale risolve volentieri qualun-
que problema, si chiami Russia o Libia. E non inganni il contenzioso obbligato tra l’Eni e l’Agenzia delle Entrate per l’irrituale “tassa Gheddafi” che ha chiuso il contenzioso con Tripoli. Scaroni forse lascerebbe la guida del Cane a sei zampe solo per la presidenza delle Generali in scadenza ad aprile. Per quella poltrona si ricandida l’ottantacinquenne Antoine Bernheim e Cesare Geronzi, che già all’ultima assemblea Mediobanca escluse pubblicamente il proprio interesse per Trieste, medita di ribadire questa posizione all’assemblea di mercoledì prossimo. Chissà se Scaroni farebbe altrettanto. Ma il Bernheim dello Stato padrone è ormai Pierfrancesco Guarguaglini, che l’anno prosssimo compie 72 anni ed è al terzo mandato in Finmeccanica. Proprio in Piazzale Montegrappa potrebbe finire Cattaneo, magari cominciando subito da un posto in cda (cumulabile
con Terna) , per poi assumerne la guida operativa più avanti. Certo, su tutta la partita pesa il destino di Giulio Tremonti, che è azionista di maggioranza di tutto questo ben di dio “privatizzato”. Il titolare dell’Economia, quanto a cordate di fedelissimi, non è certo una macchina da guerra come Letta o Scajola. Però ha un dono per le antipatie e non ama Scaroni dai tempi della discussa vendita di Wind a Sawiris. Oggi coltiva ottimi rapporti con quegli ambienti Usa (ieri ha visto l’ambasciatore Thorne), che sono l’unica preoccupazione del gran capo Eni, esposto su quel fronte dalle imbarazzanti frequentazioni estere di Berlusconi. Gli appetiti comunque sono molti, in ballo c’è anche la poltrona di Sarmi alle Poste, e i pretendenti non avranno tutti la sincerità di Galan, che in un imperdibile libro del 2008, “Il Nordest sono io”, confessava a Paolo Possamai: “Per il futuro mi vedrei bene alla presidenza di una società come l’Enel”. Oggi, in fondo, ha solo aggiustato la mira.
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Non più di tre, disarmati, fuori dai partiti : sono gli “osservatori volontari”
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SICUREZZA
evono indossare un giubbotto senza maniche. Giallo, ben visibile. In cui tenere sempre un telefono cellulare o una radio-trasmittente. Ma soprattutto, chi vuole costituire una ronda deve creare un’associazione di volontariato “con finalità di solidarietà sociale”, come recita il decreto dell’8 agosto firmato dal Ministro Maroni. L’associazione deve essere
registrata in Prefettura, non deve essere riconducibile a partiti, movimenti politici o tifoserie e non è destinataria di risorse economiche. E ancora: i componenti delle cosiddette ronde possono solo “osservare” le aree a rischio. E sono tenuti a chiamare le Forze di polizia, qualora vedano situazioni pericolose. Non possono quindi intervenire direttamente. Tanto che il decreto stesso
li chiama “osservatori volontari”. E, per guardarsi in giro, gli associati devono girare in gruppi composti al massimo di tre persone. Senza armi, ovviamente, e senza alcun mezzo d’offesa. I sindaci che intendano utilizzare i volontari devono poi emanare ordinanze che specifichino gli ambiti di intervento di ogni associazione. Questo dice il decreto attuativo che mette i freni alle tanto sbandierate “ronde”.
LE FAMOSE RONDE, E CHI LE HA VISTE? I Volontari Verdi e Borghezio sperano in una modifica del regolamento di Elisa Battistini
guerrieri delle ronde? Non ci sono. Chi voleva andare in giro a controllare i quartieri ‘difficili’ delle città si è trovato a bocca asciutta. E chi temeva l’ondata di volontari arrabbiati, politicizzati e desiderosi di sostituirsi alle forze dell’ordine può dormire sonni tranquilli. Le ronde, grazie al regolamento voluto dal Viminale in agosto, oggi non esistono. A Milano, in Prefettura, è arrivata solo la richiesta dell’Associazione poliziotti italiani, formata da ex forze dell’ordine in congedo. A Bologna e Firenze non ci sono richieste. A Roma soltanto due. A Bolzano, forse, la prima domanda sarà presentata dai ‘Rangers’ a giorni. E addirittura a Treviso, città di Gentilini, c’è solo una richiesta. Com’è possibile? Che fine hanno fatto i ‘rondisti’? Esistono. Ma sono delusi dal risultato ottenuto. Tra questi c’è Massimiliano Bastoni, uno dei fondatori dei Volontari Verdi per la Sicurezza. L’associazione - creata dall’eurodeputato leghista Mario Borghezio, che oggi è Presidente onorario - a luglio aveva addirittura annunciato la creazione di una scuola per formare i volontari. Bastoni, prima del decreto attuativo, le ronde le faceva. Oggi non può più farle. Un bel paradosso. Anche perchè, a ‘tradirlo’ è stato un Ministro leghista, Maroni. “La legge non funziona - dice chiaramente Bastoni - è stata impostata male e va modificata. Non è possibile che la nostra associazione sia tagliata fuori”. Già, perchè un’associazione riconducibile chiaramente al Carroccio non può essere ammessa. “Noi ci saremmo iscritti subito, ma la legge ha messo paletti troppo rigidi, tanto da impedirci di portare avanti le nostre attività”. Chi voleva davvero le ronde, “è proprio chi oggi non può farle”, dice sconsolato Bastoni. Così, un po’ mestamente, i Volontari Verdi che prima andavano in via Padova o alla Stazione Centrale a Milano, chiamavando le forze dell’ordine quando qualcosa andava storto, oggi devono ‘stare in casa’. Limitandosi a organizzare dibattiti nei circoli meneghini. Sbagliato, secondo Bastoni, tagliare fuori le associazioni vicine ai partiti. Inutile il limite delle tre persone. Deludente l’intero pacchetto. “Ma la colpa - dice il volontario - non è di Maroni. Ci sono state troppe pressioni, anche da dentro la maggioranza, per paura che con le ronde si vedesse quanto la Lega è forte sui territori. Più forte degli altri partiti. Poi ci sono state troppe polemiche, che Maroni ha dovuto mediare, creando regole poco soddisfacenti per un fenomeno sentito e importan-
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te. Noi siamo un po’ arrabbiati. Alla fine, per accontentare tutti, hanno azzerato le ronde”. Mario Borghezio, il Presidente onorario, è più ottimista: “era necessario organizzare le iniziative spontaneistiche. Purtroppo è stato fatto in modo burocratico, con modalità che prevedono adempimenti e lungaggini che tolgono entusiasmo a chi vorrebbe agire. Ma è ancora presto per fare un bilancio”. E Borghezio pensa a una ‘fase b’: “il Viminale è stato costretto a mettere le mani avanti. Confido che, dopo un primo periodo di rigidità eccessiva, arriveranno modifiche al regolamento. Nella fase iniziale era opportuno un certo rigore. Ma poi, è necessario un approccio più adeguato al fenomeno. Per ora non sono contento, ma mi adeguo”. Borghezio non nasconde di sperare in un cambiamento del decreto attuativo. E non nasconde neppure una certa “nostalgia per la fase più vera: quella spontanea, quando i nostri volontari andavano in giro per le città”. Leghisti a parte, c’è chi invece è felice e rasserenato per il fatto che le ronde non sono decollate. In testa i sindacati di Polizia. “I cittadini - dice il segretario generale del Siulp, Felice Romano - hanno capito che la sicurezza è una cosa seria, richiede formazione e professionisti. Noi siamo stati sempre contro le ronde perchè non deve passare il prin-
I numeri del flop: a Milano solo una richiesta, due a Roma, nessuna a Bologna e Firenze. cipio che la sicurezza sia un terreno in cui vige il ‘fai da te’. Inoltre, presentare le ronde assieme al Pacchetto sicurezza è stata una mossa politicamente sbagliata. Una mossa propagandistica per appagare le promesse fatte in campagna elettorale, continuando ad alimentare l’idea che le forze dell’ordine non tutelino a sufficienza i cittadini”. Per accontentare l’elettorato il Governo ha quindi presentato le ronde come una grande iniziativa, ma alla fine ha realizzato un regolamento che ha imbrigliato il ‘vigore’ e l’azione di marca leghista. Il classico colpo al cerchio e alla botte. Il classico proclama smentito dai fatti. Mentre, invece, è sul terreno dei tagli alle forze dell’ordine, che i problemi sono veri: 1 miliardo di euro in meno in tre anni. Nessuna ronda potrà a rimpiazzarli.
Uno scatto della guardia nazionale padana (FOTO ANSA)
L’INTERVENTO
GIOCHIAMO A GUARDIA E LADRI Da oggi è in libreria il nuovo numero della rivista bimestrale “Il Mulino”. Pubblichiamo un breve stralcio dell’articolo non firmato “Tutti in strada, si gioca a guardie e ladri”, relativo alle ronde.
pensarci bene quella delle ronde è un’idea talmente geniale che andrebbe estesa al di là della sicurezza urbana. Un bel gruppo di osservatori volontari, ad esempio, potrebbe trovarsi ogni mattina alle cinque in Stazione centrale per controllare che i neri che vengono pagati per pulire i bagni lo stiano facendo come si deve, senza tralasciare i water. Una bella ronda potrebbe dare una mano ai pensionati che non ce la fanno più ad andare da soli a fare la spesa al supermercato. Un’altra, fatta con i membri più istruiti, potrebbe mettersi a dare qualche lezione agli alunni più somari: matematica, italiano, inglese. E lo sporco ai giardinetti? Tutti con la ramazza in mano e tempo qualche settimana saranno irriconoscibili. Gli alberi di parco Sempione, poi, avrebbero proprio bisogno di una bella controllatina e potremmo segnare con un po’ di vernice quelli
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pericolosi, anche perché l’articolo 2 del decreto 8 agosto 2009 non considera i pennelli tra gli strumenti atti a offendere, e dunque non dovrebbero esserci problemi. Certo, c’è la questione dei finanziamenti per sostenere tutto questo fiorire di iniziative. Anche perché a furia di giocate al SuperEnalotto e Pay-tv a noi osservatori volontari non è rimasta una lira. Tra l’altro, con grande intuito, il legislatore ha previsto anche la possibilità di corsi di formazione e aggiornamento da parte di regioni e enti pubblici. Se il denaro sarà pubblico, allora perché non investirlo meglio nelle strutture esistenti, potrebbe dire qualche dietrologo. Se invece si tratterà di denaro proveniente da associazioni private, ecco qualche malalingua come il segretario dell’Associazione nazionale dei funzionari di polizia, tale Enzo Maria Letizia pronta a sostenere il rischio delle ‘ronde fai da te’ […] una concorrenza con derive imprevedibili e pericolose. Le solite Cassandre. Le ronde invece funzioneranno, eccome. E grazie a quelli come noi, finalmente in giro ci saranno meno delinquenti, soprattutto meno delinquenti neri.
Lombardo smentisce e il fotografo mostra altre immagini Il Governatore sostiene che lo scatto di Messina è falso, ma il reporter risponde: “valuterà l’autorità giudiziaria” on gli è proprio andata giù a Lombardo. Già, quelNto che lo scatto in prima pagina lo ha fatto infuriare. Tanmercoledì a tarda sera ha mandato alle agenzie
Altri scatti di Enrico Di Giacomo che ritraggono il presidente della Regione Sicilia a Giampilieri. Nella foto grande, quella che ha scatenato la polemica, anche il sindaco di Messina Buzzanca
un comunicato stampa concordato con i legali. “È l'evidente frutto di un fotomontaggio” tuonano. Insomma, secondo gli avvocati del governatore della Sicilia, l'immagine pubblicata da Il Fatto Quotidiano sarebbe taroccata. “Nell’interesse dell’on. Raffaele Lombardo e in relazione alla pubblicazione della foto che ritrarrebbe il presidente e il sindaco di Messina, Buzzanca, dinnanzi alle rovine di Giampilieri, si rappresenta come l’immagine pubblicata sia evidentemente frutto di un fotomontaggio e si diffida da qualsiasi ulteriore utilizzo diffamante della stessa, riservando di valutare gli eventuali profili di responsabilità penale della vicenda”. Intanto, risponde lo stesso autore dello scatto: “Il governatore Lombardo ed i suoi legali - spiega Enrico Di Giacomo - con l’incredibile menzogna secondo cui la fotografia sarebbe un fotomontaggio, sono riusciti a superare gli indecenti sorrisi rivolti al disastro di Giampilieri”. E continua: “Ho scattato io quella fotografia. Sarò io a consegnare l’originale all’Autorità giudiziaria, insieme alla querela per diffamazione, e chiederò l’accertamento tecnico sulla genuinità dell’immagine”. Così “quando sarà accertato anche in sede giudiziaria che non si tratta di fotomontaggio, mi auguro che Lombardo, oltre a chiedermi scusa, abbia la dignità minima di ritirarsi dalla politica”. In attesa di sviluppi giudiziari, noi de Il Fatto Quotidiano pubblichiamo le altre immagini di quel (ameno?) pomeriggio.
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PD VERSO IL VOTO
MARINO: “PRIMARIE, NON SI TORNI PIÙ INDIETRO” Le dieci risposte alle domande di Parisi sul Fatto Ignazio Marino aro Parisi, non ho alcuna nostalgia dei governi fatti e disfatti dalle segreterie di partito, come al tempo della Prima Repubblica, né di governi tecnici o istituzionali: se chi ha vinto le elezioni non ha più la maggioranza, la parola torna agli elettori. Di conseguenza anche le proposte politiche devono essere chiare: io ho sempre detto che le alleanze si fanno sui programmi e tenendo conto dei territori. Pochi ed essenziali punti. Le riforme economiche necessarie per rimettere in moto un Paese bloccato da corporazioni e clientele; risorse ingenti su ricerca, scuola e cultura; riforma della pubblica amministrazione fondata sul merito e sull’innovazione tecnologica; tutela e rafforzamento dei diritti civili; investimenti nelle energie alternative e no al nucleare, un welfare più equo e sostenibile che punti seriamente a includere le fasce di nuove e vecchia emarginazione e povertà. Su questo chi ci sta? Stringiamo un patto serio e vincolante con tutte le forze che vogliono impegnarsi in questa azione di governo. Difendiamo con energia la Costituzione e le prerogative del Parlamento che è il luogo per eccellenza dove si produce la vita normativa del Paese e il controllo dell’operato del governo e non uno strumento di mera ratifica delle decisioni dell’esecutivo come avviene oggi. Certo, deve essere un Parlamento che funzioni meglio, con meno parlamentari e più trasparente, in cui i parlamentari rendano conto delle loro attività, con un regolamento riformato, più efficace e adatto a rispondere alle esigenze di dibattito democratico e di decisioni tempestive. Per quanto riguarda il sistema elettorale, il proporzionale puro, con o senza preferenze, ha prodotto in passato molti danni: instabilità dei governi, voto di scambio, strapotere di partiti e gruppi di potere, distacco tra cittadini ed eletti. Grazie ai referendum, gli italiani hanno avuto voce in capitolo e hanno scelto con nettezza il sistema maggioritario e il bipolarismo. Tornare indietro sarebbe una sconfitta enorme. Miglioriamo e rafforziamo invece il maggioritario, con collegi piccoli e
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uninominali, dove il candidato sia conosciuto dall’elettore e nel corso del mandato sia valutato in base a merito, impegno e onestà. Un altro tema importante: le primarie. Su questo non ho alcun dubbio, manteniamo il voto diretto di tutti gli elettori. Ci sono tantissime persone che non possono o non vogliono iscriversi ad un partito per le ragioni più varie, ma considerano la politica importante. Perché non dobbiamo considerarle una risorsa fondamentale non solo per i dibattiti nei circoli, ma anche per i percorsi decisionali che arrivano alla scelta della dirigenza? È un’apertura che testimonia democraticità, confronto con la società civile, capacità di ascolto, interlocuzione con l’elettorato, pluralismo, laicità di metodo e di merito. È una sfida che stiamo percorrendo con coraggio ed entusiasmo (e darà i suoi frutti): perché tornare indietro? Sulla RAI io penso dobbiamo
tornare ad un vero servizio pubblico, che svolga al meglio il suo ruolo di informare ed intrattenere i cittadini. Ma dobbiamo prima di tutto rompere il rapporto malsano tra politica e informazione, soprattutto pubblica. La RAI va sottratta al dominio della politica, istituendo una Fondazione pubblica che ne governi le cariche dirigenziali, svincolata dai partiti e dalle logiche lottizzatrici. Sia chiaro: l’obiettivo è di creare finalmente un sistema mediatico che garantisca vero pluralismo e libertà dell’informazione: oggi in Italia non abbiamo né l’una né l’altra. Discorso Lega: è distante mille miglia dai valori sui quali si fonda il PD. Mentre io considero importante portare a termine il processo di riforma federale dello Stato, per aumentare la capacità di rappresentanza e gestione degli interessi locali, responsabilizzare i politici locali, premiare i buoni amministratori e sanzionare gli incapaci, e quindi contribuire a mi-
Il terzo candidato: “I governi non si fanno nelle segreterie dei partiti” Ignazio Marino
gliorare la politica, l’amministrazione e l’azione economica e sociale. L’ideologia della Padania è puro fumo negli occhi, e se il PS inseguisse la Lega su questo terreno avrebbe solo contraccolpi negativi. Infine l’Europa. Dobbiamo senz’altro promuovere nuove alleanze su grandi priorità comuni per l’Europa: la nuova “Alleanza Progressista dei Democratici e dei Socialisti” a cui il PD ha dato vita al Parlamento Europeo è un punto di parten-
za per costruire un nuovo schieramento progressista e democratico in Europa e una nuova internazionale democratica, nel mondo. Purtroppo, la prima prova politica, il voto su Barroso, è stato deludente: anziché lavorare per convincere le altre delegazioni dell’ASDE a votare contro la conferma di Barroso alla presidenza della commissione europea e costruire un’alternativa politica di centrosinistra, magari attorno al nome di Guy
Verhofstadt, la delegazione del PD si è astenuta. Il nostro ruolo deve essere di portare ad una progressiva convergenza le forme riformiste che oggi si trovano sparse tra liberaldemocratici, verdi, regionalisti e socialdemocratici, in Europa, e a costruire una nuova internazionale democratica guardando innanzitutto ai democratici americani e giapponesi, al partito del congresso indiano e alle forze di centrosinistra latinoamericane
SPESE ELETTORALI
DALLE CASSE DEL PD MEZZO MILIONE DI EURO PER LE TRE CAMPAGNE di Carlo Tecce
lettori e simpatizzanti del Partito EunDemocratico: fate presto, inviate sms per i tre candidati. Il servizio di “3 Italia” è attivo sino a stasera: da uno a cinque euro, scegliete il vostro segretario e l’obolo sarà versato al rispettivo comitato. Ballano equilibri già precari. Dario Franceschini ha scritto una lettera ai due sfidanti: “Sobrietà, per favore”. Pier Luigi Bersani e Ignazio Marino hanno replicato piccati: altre accuse, altri sospetti. Nel Pd litigano per i costi della campagna elettorale, eppure per evitare stracci volanti avevano chiesto e ricevuto dall’apposita Commissione di garanzia quattro pagine di regolamento. Sei articoli, tanti numeri, un tetto per ciascuno: 250mila euro per le nazionali, 50mila per le regionali, 25mila per le province autonome di Trento e Bolzano. Le casse del Pd contribuiscono con 150mila euro, dunque quasi mezzo milione per i tre pretendenti alla scrivania di largo del Nazzareno. La Commissione è intransigente, aspetta il bilancio entro il prossimo 30 novembre, nessuna eccezione per vincitori o vinti: chi sfora è multato, o peggio. E chi raccoglie
sottoscrizioni private superiori ai 5mila euro deve dichiararlo: nome, cognome e ricevuta. Le norme sono restrittive, ma l’inganno è sempre pronto, riesce a insinuarsi dentro le maglie più strette. Ecco l’espediente del forfettario, già ribattezzato “forfettone”, giungere in soccorso nella foresta dei commi: “Le spese relative ai locali per le sedi, quelle di viaggio e soggiorno, telefoniche e postali, nonché oneri passivi, sono calcolati in misura forfettaria, in percentuale fissa del 30 per cento dell’ammontare complessivo”. Tradotto: fate come potete, noi vi abbiamo aiutato. Conti in tasca, manifesti tre per sei, autostrade e conferenze: temi sensibili, per dirla democraticamente. I responsabili parlano con diffidenza: lunghe attese, strani incroci telefonici, preoccupanti amnesie. L’ufficio stampa di Marino è gentile a posteriori: prima ci sbattano il telefono, poi ci ri-
chiamano per rassicurarsi: “Gli altri due vi hanno risposto?”. Certo. Luigi Telesca è il referente principale, e protesta con garbo. All’inizio ci consigliavano di parlare con “Mario”. Insomma: “Mario chi?”. E cadeva la linea. Telesca è disponibile: “Non siamo presenti nell’apparato politico, non abbiamo amici o fiduciari, noi. Abbiamo rimediato con le cene e le sottoscrizioni, medici in maggioranza. Come sa, Marino è dell’ambiente. E ancora: avvocati, dentisti, professionisti, non un imprenditore. Noi, sia chiaro”. Nemmeno una follia, loro sono rigidi: “Abbiamo inserito del materiale scaricabile su internet, chi vuole può riprodurlo. Siamo diversi. Pensi che abbiamo scelto solo volontari e abbiamo fatto il contrattino persino alla donna delle pulizie, noi”. A Roma lenzuoli di carta sono ammassati sui muri, affissioni legali o pressappoco così. Ettore Rosato
Tetto massimo stabilito: 250mila euro a concorrente, ma con il “forfettario” si può aggirare
(Franceschini) è ferrato sui conti: “Deputati e senatori schierati con Dario hanno versato una quota spontanea”. E la pubblicità? “Che abbiamo fatto? Due uscite con i manifesti, e ci hanno pure coperto”. Chi? “Loro”. Marino o Bersani? “Loro, loro”. Rivolgiamoci a loro, ai bersaniani stipati al primo piano di Santi Apostoli, ex casa dell’Ulivo. Il portavoce Stefano Di Traglia è scrupoloso: “Non siamo particolari. Paghiamo l’affitto da luglio: che so, facciamo 6mila euro al mese. Abbiamo organizzato due comizi”. Luciano Pazzetta possiede i calcoli esatti, compare dopo due giorni di ricerca (“Non riusciamo a trovarlo”) e vuoti di memoria (“Chi? Non lo conosciamo”). Invece esiste: “Abbiamo il chiodo fisso di 250mila spiega Pazzetta - e ci comportiamo di conseguenza. Chi va oltre rischia sanzioni, ricorsi, problemi seri”. La camicia di forza regge a fatica. Soltanto un buon ragioniere potrà assottigliare le uscite dei tre contendenti. Per tappezzare Roma di facce sorridenti - una sola volta - occorrono 10mila stampe: 25 centesimi cadauna, più 300 euro di lastre e altri 3mila per l’affissione. Sono le primarie, bellezza.
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FACCE NUOVE?
CROLLA BASSOLINO, ARRIVA DE LUCA Finiscono 20 anni di potere, speranze e disillusioni Il Pd candida il Sindaco di Salerno in Campania di Enrico Fierro
sce di scena Antonio Bassolino. Arriva “'o mericano”. Crolla il sistema di potere che ha retto le sorti della Campania dal 2000 ad oggi, arriva Nicola Cosentino. Più pentiti lo indicano come il referente della camorra di osservanza casalese, i magistrati di Napoli ne hanno chiesto l'arresto. Lui va avanti. Sicuro di vincere. E' triste la parabola di Antonio Bassolino, l'uomo che nel 1993 conquistò una Napoli devastata dal ceto politico di pentapartito, piegata dalla corruzione, avvelenata dai patti scellerati tra politica e camorra. La sua non è una normale sconfitta elettorale. Troppo banale. Ma il declino rovinoso di un uomo e della
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classe politica che lo ha affiancato. La fine di una storia. Vent'anni di potere costruiti su promesse tradite: il rinascimento, la fine dei vecchi sistemi di potere, la cacciata dai palazzi di boss e mammasantissima. Tutto cancellato. Napoli e la Campania tornano indietro e non hanno molte scelte. “Noi siamo la locomotiva del Pdl in Italia. Alle politiche abbiamo preso il 49,4%, il 44 alle europee, nove punti in più della media nazionale. Governiamo 130 comuni, tre province su cinque...”. Questo è il potere di Cosentino in Campania, raccontato da lui stesso in una intervista. Dicono che a leggerla Bassolino si sia intristito assai. E forse ha ricordato una giornata lontanissima. Venticinque aprile 1992, sezio-
POLITICALLY CORRECT
di Luca Telese
IL PICCOLO OBAMA NO on una mossa fantasticamente veltrona, Dario Franceschini è riuscito a stupirci ancora. Tutti a chiedersi quando e come avrebbe nominato Debora Serrachiani vice per dare un forte segnale di rinnovamento, si capisce. Ed ecco che il segretario del Pd spiazza tutti, e alla vigilia delle primarie, tira fuori il nome di Jean Leonard Touadì simpatica creatura politica cresciuta fra gli studi televisivi, il campidoglio di Walter, e l'Idv. In tutti i paesi del mondo sarebbe difficile nominare vicesegretario uno che fino a pochi mesi prima stava in un altro partito (l'Idv, che a Jean Luc ha regalato un seggio a Montecitorio). Ma nella sinistra dei post, poter esibire un eletto nato a Mbanza Ganga (Congo Brazzaville) è un quarto di nobiltà. L'unica regola del nuovismo è che si può fare tutto. E poi, chi mai si può mettere a sollevare obiezioni su un extracomunitario che fa così “politically correct”? Ma ci dovrebbe essere una via di mezzo, in questo tormentato Pd, tra vecchie nomenklature e piccoli Obama.
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ne del Pci di Casal di Principe, lui giovane segretario regionale del Pci campano che parla contro la camorra. Entra il padre di Francesco Schiavone, Sandokan, e alza la voce. Circondato da una ventina di comparielli minaccia. Il giovane segretario del Pci, vezzeggiato da Pietro Ingrao, adorato dagli operai di Pomigliano, stimato da Enrico Berlinguer, continua a parlare. Lo accompagnano a Napoli con la scorta, ma lui, dopo pochi giorni, torna a Casale. I compagni apprezzano. E' passato un secolo da allora. Le speranze sono evaporate. Il Bassolino di Casal di Principe è una sbiadita nostalgia. Il sistema è crollato, avvelenato dai compromessi, squassato dalla crisi dei rifiuti, devastato da scandali, inchieste e arresti. Arriva “'o mericano”. “Non ce l'abbiamo fatta a far vincere un modello alternativo alle pratiche discrezionali di governo, relegando le clientele ad una eccezione e non a una prassi corrente e abituale”, riconosce Isaia Sales, una volta consigliere (inascoltato) di Bassolino. Ma il declino dell'uomo che nel 1993 entusiasmò Giampaolo Pansa (“L'immagine che Bassolino dà è quella di una persona che ha salvato Napoli da un'esplosione di dimensioni superiori all'eruzione del Vesuvio, che le ha ridato il ruolo che merita di grande capitale”) è raccontato anche dalla candidatura che il Pd ha scelto per arginare Cosentino. Vincenzo De Luca, il sindaco di Salerno. Un misto di populismo ed efficientismo, manganello ai vigili e archistar a gogò per ridisegnare la città. Due vite incrociate, quelle di Antonio e Vincenzo. Da giovani entrambi funzionari del Pci. Tutti e due ingraiani. Mai amici. Nemici giurati da maturi governanti della Campania. Alla Regione scoppiava lo scandalo
Antonio Bassolino e Vincenzo De Luca nella visione di Manolo Fucecchi
Il successore del Governatore ha due rinvii a giudizio sulle spalle delle consulenze facili, De Luca rispondeva: “I consulenti? Parassiti”. Napoli era quotidianamente bloccata dalle manifestazioni. “I cortei dei disoccupati? A Salerno li abbiamo presi a calci nei denti”. Perché “io sono la destra”, parola di don Vincenzo. E i dirigenti del Pd sono “tutte anime morte”. Sindaco, poi deputato, alle ultime comunali si è ricandidato, anche contro una lista del Pd. All'inizio della sua terza legislatura, De Luca è il ve-
La Russa contro Bossi: sul Veneto nessun accordo Regionali: continua il conflitto nella maggioranza. Il Pd: non soccorreremo Galan di Wanda Marra
l nodo regionali continua a tenere Itrodestra. banco nell’agenda politica del cenIeri a distanza di un’ora Bossi e La Russa hanno detto due cose diametralmente opposte. Al centro dello scontro, il Veneto: la Lega ne pretende la presidenza, per la quale è pronta a schierare il Ministro Zaia, ma il governatore in carica, Galan, non ha alcuna intenzione di lasciare. "Il Veneto è già chiuso, non esiste un caso Veneto", dichiara in mattinata Bossi. Poi incontra Fini alla Camera. E un’ora dopo La Russa interviene a smentire: "Sul Veneto, nessun accordo”. Così circostanzia la questione: "Ancora non c'è un accordo. Per il momento ci sono rose di candidati". E poi spiega: "Le decisioni sono prese dall’ufficio di presidenza dopo aver ascoltato i vari coordinatori regionali". L’istruttoria per la scelta dei nomi, aggiunge, è affidata ai coordinatori del Pdl che, precisa, "hanno ascoltato prima il parere di Berlusconi e poi quello di Fini". Dal canto suo, Gianfranco Fini non rilascia dichiarazioni ufficiali, ma è evidente che le posizioni di La Russa sono anche le sue. D’altra parte Fini, che si sta impegnando in prima persona anche in questa partita, aveva già chiesto a Bossi di scegliere, spiegandogli che la doppia candidatura richiesta dalla Le-
ga (che oltre al Veneto vuole il Piemonte) crea qualche problema. Al momento, però, il leader del Carroccio non sceglie e forse studia qualche contropartita politica per allettare il Cavaliere, che d’altra parte sarebbe già òpronto a cedere il Veneto ai leghisti. A ribadire e rafforzare il concetto espresso dal Senatùr arrivano i suoi: “Bossi non è stato smentito da La Russa. Ha sempre ragione e non ha mai sbagliato un colpo", dichiara Roberto Cota, capogruppo leghista alla Camera. E va oltre: "Penso che le prossime elezioni regionali rappresenteranno una svolta per la Lega, perché andremo a governare le regioni. Il più possibile". Una, il Piemonte, potrebbe riguardarlo direttamente: "In Piemonte vinceremo noi". Con Cota candidato presidente? "A tempo debito". Dal canto suo Galan non molla: “Bossi non mi rovina la giornata”, dichiara. E ribadisce le sue posizioni: "Qualcuno mi deve spiegare perché il governo migliore d’Italia in questi ultimi anni dovrebbe cambiare". E ancora: “Zaia si prepara? Auguri, anch'io mi sto preparando, da 15 anni". Il ministro dell’Agricoltura dal canto suo si limita a dire: “Nulla di nuovo”. Ma per comporre lo scacchiere veneto va tenuta presente anche l’Udc. Ad agosto Piero Fassino aveva aperto alla possibilità di sostenere Galan insieme ai centristi. Ma ieri dal Pd - nelle vesti di
entrambi i candidati segretari - arriva lo stop: il Pd sosterrebbe una lista civica con l'Udc per Galan in Veneto? "No", è la risposta secca di Dario Franceschini. E Bersani: "Sono stupito di sentire una discussione in cui si chiede a un partito come il nostro di fare il supporter di tizio o di caio". Altro caso incandescente, quello della Campania, dove Fini ha fermato il candidato preferito di Berlusconi, il Sottosegretario Cosentino, coinvolto in un’indagine per mafia: per le regionali candidature limpide. Ma Cicchitto avverte: "Che Berlusconi e il Pdl scelgano liberamente il candidato presidente per le regionali in Campania. Quello che è inaccettabile è questo gioco di congetture sulle intenzioni della procura. Se fondiamo la scelta dei nostri candidati sulla base delle congetture sulle intenzioni delle procure, l’autonomia della politica è finita".
Cicchitto interviene sulle candidature in Campania: non decida la Procura
ro padrone di Salerno. Qui ha costruito una macchina di potere da far invidia ai vecchi capataz della Dc. Due rinvii a giudizio, uno per concorso in truffa per questioni di localizzazioni di fabbriche e uso di suoli. Che non lo hanno smosso più di tanto. “ Vado avanti, a Salerno si lavora”. E giù ad elencare opere. “Ogni anno ne appaltiamo 230”. Il Prg affidato all'architetto Bohigas, la stazione marittima disegnata da Zaha Hadid, la cittadella giudiziaria a Chipperfield, il porto turistico a Calatrava. E poi il sogno, la madre di tutte le opere pubbliche. “La più grande piazza d'Europa, più grande finanche di piazza Plebiscito”, dice orgoglioso De Luca. Che non nasconde la sua ambizione: deporre (quando sarà) le sue ceneri in una teca al centro dell'opera che alla fine costerà quasi 30 milioni di euro. A futura memoria. Perché i salernitani
possano dimenticare il resto: la città che scivola al 98esimo posto della classifica sulla vivibilità e sale al 41esimo per il costo della vita. “Le opere incompiute e la penetrazione della camorra”, denuncia Fausto Morrone, ex Pci, elettore del Pd alle primarie, ma consiglere comunale d'opposizione. “In una lettera inviata al Presidente Napolitano ho denunciato che una delle ditte che stavano costruendo la strada di accesso all'inceneritore di Salerno faceva riferimento alla camorra dei casalesi”. Accuse che non scalfiscono don Vincenzo. Ha il sostegno dei tre candidati alla segreteria del Pd, Franceschini, Bersani e Marino. Parlerà con Ciriaco De Mita, il padrone dell'Udc, per ottenere un parola buona e i voti. La corsa è aperta. Da una parte De Luca, dall'altra Cosentino “'o mericano”. L'epoca di Bassolino è finita. Tristemente.
Quirinale
La mozione Pd
NAPOLITANO: RIFORME SENZA SCONTRI riforme istituzionali sono Lnoeormai inderogabili e devoessere affrontate senza far-
“BASTA STRAPPI ALLA COSTITUZIONE” la Costituzione. Il DPd alifendere presidente del gruppo del Senato Anna Finocchiaro,
ne materia di scontro politico”. Nuovo appello, ieri, del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ricevendoli al Quirinale, il capo dello Stato ha invitato i rappresentanti dell’Anci (Associazione nazionale Comuni d’Italia) a mettere gli enti locali al servizio di questa causa. Napolitano si è soffermato in particolare sulla riforma del Senato: “Vorrei che non sottovalutasse l’importanza del ruolo che si è immaginato per esso, quale Camera di rappresentanza delle autonomie. Non è un declassamento”. Occorre, secondo il presidente, ragionare anche sul “sovraccarico” a livelli rappresentativi e decisionali, una volta che dal potere centrale e dalle Regioni si scende “alle Province, ai Comuni” ed anche più giù: “Ai quartieri e alle circoscrizioni”. La semplificazione si rende necessaria perchè “nel campo normativo c’è del confuso”.
i vicepresidenti Luigi Zanda, Nicola Latorre e 80 senatori democrat hanno presentato una mozione in difesa della Costituzione e dei suoi valori fondativi. La mozione impegna il governo "a mantenere la sua azione nei confini dell’ordinamento costituzionale, a cominciare dal rispetto del Parlamento cui spetta il potere legislativo e che invece, in questa legislatura, è per lo più chiamato a votare i numerosi decreti legge governativi. Ad abbandonare il continuo ricorso al potere di ordinanza di protezione civile il cui campo d’azione e la frequenza sono lievitati a dismisura". La mozione chiede poi al governo di "osservare, anche nelle esternazioni del premier, il più assoluto rispetto dei ruoli e dei compiti di garanzia attribuiti dalla Costituzione al presidente della Repubblica, alla Corte Costituzionale, all’ordine giudiziario e agli organi di informazione".
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INFORMAZIONE Emittenti storiche
6 milioni e spiccioli: li vuole Bruno Vespa È il rinnovo contrattuale per tre stagioni Il Cda l’ha bloccato. Presto ci sarà l’ok di Carlo
Tecce
uesta volta il din don di “Porta a porta” suona stonato: per un respiro storto e una defezione, sfuma l’ingaggio da sei milioni di euro per tre anni. Piano piano, zitto zitto, a nove mesi dalla scadenza, Bruno Vespa aveva negoziato il rinnovo del contratto con il direttore generale della Rai, Mauro Masi: un aumento qui e un altro lì, un regale triennale per il giornalista esterno (da otto anni) all’azienda. Un giovedì qualsiasi di un consiglio di amministrazione: numeri a favore, maggioranza blindata. Masi è puntuale, fogli in mano, votazione pronta, poi s’accorge dell’assenza di Giovanna Bianchi Clerici (Lega Nord) e ripete i conti sottraendo uno: rischio di pareggio, tre a tre, o disfatta totale. Urge controffensiva. Per lucidare la sua fama di tecnico indipendente, Angelo Maria Petroni - nominato dal ministro Tremonti - propone il rin-
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vio per maggiori approfondimenti: un colpo per due, un segnale politico e un merito personale. I consiglieri di minoranza - Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten - saltano di slancio: viva Petroni, la pratica si chiude (male) in cinque minuti. Clamoroso: il Cda respinge Vespa, e il conduttore, che non si fa respingere mai, prende la parola e sciorina codicilli economici. “Il nuovo accordo entrerà in vigore l’anno prossimo e l’inflazione del decennio sarà in-
Il conduttore attacca: mi dispiace non si pubblichino i contratti del compianto Enzo Biagi
torno al 22%”. Per non sbagliare, il 22% è diventato quasi il 40%: il “minimo garantito” per 100 puntate - per il quinquennio 2004/09 – era di un milione e 187mila euro, ritoccato con un altro 5% dal 2008. Per non farsi travolgere da un’improvvisa svalutazione dell’euro, Vespa aveva previsto per il futuro quasi un milione e 700mila euro di base. E non solo: più 30% per le prime serate (30mila euro), lieve rifinitura per l’extra (12mila euro). “Porta a porta” va in onda quattro volte a settimana da settembre a giugno, non occorre scomodare i matematici coreani per pronosticare, al netto delle 100 puntate, un consistente straordinario (ben retribuito). Vespa è furioso, mezza dozzina di milioni sono in bilico: tremano i soldi, cade il rispetto. Anche Enzo Biagi è chiamato in mischia dall’anfitrione della terza Camera: “Mi dispiace che le fughe di notizie riguardino sempre e solo me. Mi dispiace che si
EMENDAMENTO BIPARTISAN: RADIO RADICALE NON DEVE CHIUDERE l tavolo era lungo e Istric’erano decine di minie sottosegretari, un
Bruno Vespa
dimentichi che nel 2001 il direttore generale Cappon stabilì la cifra calcolando il 15% in meno di quanto offerto a Gad Lerner e Fabio Fazio. Mi dispiace che non si pubblichino i contratti del compianto Enzo Biagi, quelli attuali di Fabio Fazio e Daria Bignardi”. “Biagi non aveva nulla da nascondere. Che vergogna, prendersela con chi è morto, con chi era un esempio del giornalismo. L’ultima volta - risponde Loris Mazzetti, dirigente Rai - percepiva 250mila euro. Siamo lontani dai capitali di Porta a porta”. Vespa è al sicuro, non perderà un euro: anzi, la mossa di Masi è un inno alla protezione, alla premura. Antonio Verro è perentorio: “Io l’avrei votato subito”. E anche Alessio Gorla e l’intera truppa del Pdl, e forse Rodolfo De Laurentiis (Udc). Nel giro di due settimane, insieme a questioni ben più intricate, ammassato e quindi inosservato, il contratto sarà approvato a furor di Cda.
conclave di clausura in quel di Caserta per salvare il governo di Romano Prodi: fuori tutti, dentro Radio Radicale che, in collegamento via cellulare con Marco Pannella, per mezz’ora trasmise il consiglio dei ministri in diretta. Un particolare curioso, soltanto un pezzetto dei 33 anni esemplari di Radio Radicale che, per l’indugiare del governo sulla “convenzione”, rischia di chiudere. Emma Bonino ha annunciato l’emendamento alla Finanziaria presentato al Senato - e controfirmato già da 202 senatori - per garantire il rinnovo dell’accordo con il ministero dello Sviluppo economico che dovrà stanzierà 10 milioni di euro lordi in tre anni. Non ci sono pregiudizi, i Radicali si fidano del governo, ma temono dannose lungaggini: “Ci auguriamo che nel clima già teso per quanto riguarda il pluralismo dell'informazione - spiega la Bonino - questa nuova 'non iniziativa' del governo non aggravi la situazione”. Il ministro Claudio Scajola ha rassicurato il partito, il sostegno è tra-
sversale. Anche Domenico Nania (Pdl) si schiera con i Radicali, insieme a decine di colleghi, ai senatori a vita: “Sono con loro. Ho firmato perché ho sempre apprezzato l’apertura verso tutte le forze politiche. Non c'è dubbio che il servizio reso da Radio Radicale sia tra i più obiettivi e completi”. I vertici della segreteria radicale hanno deciso di dimezzarsi i compensi degli ultimi quattro mesi. Contributi da parte di Bonino e Pannella, e poi dei parlamentari, degli iscritti, dei simpatizzanti. Sottoscrizione straordinaria, solidarietà e tanta riconoscenza al servizio pubblico della radio. Buoni segnali da destra e sinistra, fin quando Alessio Butti – capogruppo del Pdl in Vigilanza Rai – inter viene con durezza: “Chiedo agli amici radicali il rispetto della legge. Dal 2 febbraio 1998, data di inizio dei programmi di GR Parlamento, Radio Radicale risulta un doppione e come tale viene meno la necessità del suo finanziamento da parte dello Stato, cioè dei cittadini”. Ecco puntuale, il macabro segnale che la Bonino voleva scongiurare. ca.te .
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CAPITALISMO ALL’ITALIANA
IL FATTO POLITICO
DRAGHI DIFENDE GLI ECONOMISTI DAL POGROM DI TREMONTI La replica agli attacchi del ministro dell’Economia
dc
Divergenze da fine crisi di Stefano Feltri
n fondo è poco Iveroimportante quanto c’è di nella presunta congiura
in una disputa non solo accademica di Francesco Bonazzi
a scelto la platea che dopo i banchieri è forse in questo momento la più ostile a Giulio Tremonti, ovvero la società degli economisti, per lanciare il suo ennesimo affondo alle sortite del ministro dell’Economia. Parlando a suocera perché nuora intenda, Mario Draghi ha smontato con chirurgica precisione tutti le ultime profezie del tributarista di Sondrio. E lo ha fatto nel giorno in cui l’assedio a Tremonti, nel suo stesso governo e nella maggioranza, è sembrato stringersi con la stessa intensità del maggio 2005, quando Gianfranco Fini chiese e ottenne la testa del superministro portando a casa perfino lo sberleffo di farlo sostituire con il suo direttore generale Domenico Siniscalco. Il ministro più amato dalla Lega dice che “il peggio della crisi è passato”. E ieri il governatore di Bankitalia ha scandito: “Nuovi problemi sono all’orizzonte”. Bruxelles fa uscire dati che attribuiscono a Roma il poco invidiabile primato del maggior rapporto deficit-Pil (oltre il 105 per cento), proprio mentre mezzo governo attacca il collega di Via XX Settembre perché stringe i cordoni della spesa pubblica e “si fa la Finanziaria da solo”. E uno storico custode dell’equilibrio della finanza pubblica, come il governatore, anziché giocare di sponda con “Mister No” rigira il coltello nella piaga: “Bisogna uscire dalle misure eccezionali di sostegno alle economie di molti Paesi e rientrare da tendenze di debiti pubblici alla lunga insostenibili”. Una botta mica male se si pensa che perfino il suo predecessore Antonio Fazio, quando c’era da difendere la linea rigorista del Tesoro dall’assalto alla diligenza degli altri ministri, era capace di trovare perfino negli scritti di san Tommaso una qualche citazione che potesse aiutare i commentatori a dire: Bankitalia chiede rigore sulla Finanziaria. Le dispute apparentemente accademiche, del resto, sono la palestra preferita delle mo-
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derne sibille cumane che di solito siedono tra Via XX Settembre e Via Nazionale. Tremonti attacca fin da quest’estate, al Meeting di Rimini, gli economisti di casa nostra. Basta che qualcuno sollevi un sopracciglio sulle sue arditezze economiche, dai prefetti in banca allo scudo fiscale, passando per la Banca del Sud e l’elogio del posto fisso, che Tremonti prende cappello e rinfaccia a tutti di aver previsto la crisi mondiale con un anno d’anticipo. Aver scritto un libro dal titolo “Rischi fatali” (più un affascinante pamphlet anti-globalizzazione che un saggio economico, in realtà) lo ha fatto sentire legittimato a bollare come “inutili” tutti gli altri economisti. Bene. Draghi ieri si è presentato di fronte a questa massa di “stregoni falliti”, per usare una battuta tipicamente tremontiana, per tesserne l’elogio. “Si sono sognati pogrom di economisti, si è aperta una caccia ai colpevoli della crisi”, ha detto il governatore con la sua voce apparentemente impersonale e monotona. Poi si è fermato un attimo, come per essere sicuro che tutti avevano ben capito con chi ce l’avesse, e ha ripreso il suo ragionamento con gesuitica pazienza (passa per gran laico, ma ha studiato al Massimo) per infliggere la stoccata finale. É merito degli economisti “aver determinato la dimensione e la natura della crisi di fronte al disorientamento generale e all’incapacitá diffusa di fornire una terapia adatta”. I professori presenti in sala quasi non credevano all’autorevole riabilitazione. Anche perché se c’è un Paese in cui nessun economista di vaglia è stato chiamato dal governo a dare una mano, questo è proprio l’Italia. Tanto è vero che il controcanto al ministro del Tesoro, da noi, lo fa Renato Brunetta. Non esattamente la versione italiana di Paul Krugman.
DIETRO LO SPORTELLO
contro il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Quello che conta è che, forse perché la crisi è percepita come meno grave o quasi finita, dentro il governo stanno emergendo chiaramente due linee di politica economica. Da alcuni giorni “Libero” attacca Tremonti, sostenendo che dentro il Pdl ci sono in lavorazione programmi economici “non tremontiani”. Mercoledì è circolato anche un documento, diffuso on-line dal sito notapolitica.it, con il decalogo delle cose da fare. Al primo punto c’è la riduzione delle tasse, a partire dall’imposta sul reddito delle persone fisiche. Ed è questo il nodo principale: finora Tremonti ha imposto una linea di prudenza sull’uso della spesa pubblica contro la crisi, soffocando l’anima più liberista della coalizione che continua a credere nella riduzione delle imposte per dare carburante alla ripresa. E contendo anche quella più statalista che avrebbe voluto una maggiore spesa pubblica di tipo assistenziale.
Secondo il governatore gli economisti hanno affrontato in modo adeguato la crisi
Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia (FOTO ANSA)
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COSA CI ASPETTIAMO DAGLI ESPERTI DELLA SCIENZA TRISTE quando la regina Elisabetta si è rivolta ai Dmicsaprofessori della London School of Econochiedendo “Perché non ci avete avver-
cità di individuare tempestivamente le linee di tensione”. Cioè segnalare i punti critici, gli squilibri, in una “valutazione statistico-probatito?”, tutti si sono sentiti legittimati ad attac- bilistica e non di predizione divinatoria”. E care la categoria. Gli economisti non hanno questo gli economisti l’hanno fatto. Come ricapito, non sapevano, hanno peccato di ar- corda anche Draghi, le principali criticità eraroganza, sono stati travolti. Mario Draghi, da no note da tempo: la bolla immobiliare ameeconomista che ha studiato con un Nobel co- ricana era evidente da anni, economisti come me Franco Modigliani, affronta la questione Robert Reich denunciavano i disastri struttunel merito. Non da profano, come ha fatto la rali causati dalla finanziarizzazione dell’ecoregina. “Non è la capacità di prevedere il sin- nomia, ex banchieri tipo Charles Morris avegolo evento ciò che si può chiedere a un serio vano ben chiaro che le banche stavano divenanalista, men che meno di prevedere un even- tando un po’ troppo disinvolte e i monetaristi to di carattere straordinario per dimensione, (in Italia Franco Bruni, tra gli altri) si aspetdiffusione e profondità. Piuttosto è la capa- tavano uno shock valutario che avrebbe coinvolto il dollaro. Certo, nessuno è stato in grado di cogliere il nesso tra questi fenomeni e prevedere di Bankomat la successione del contagio, dal mercato immobiliare alla finanNovara e Lodi (le tre capitali dell’impero za all’economia reale per finire Bpi). Parliamo di normale attività alle monete. Ma c’è stato chi, cocreditizia. me l’ex economista del Fondo Più avanti, nella lettera presidenziale, si monetario Raghuram Rajan citasemestrale “dopo che l'esercizio 2008 si trova un’altra bizzarra rilettura dei fatti to da Draghi, c’era andato molto era chiuso con una perdita riconducibile bancari e si apprende che l'emissione dei vicino, cogliendo con anni di in massima parte a rettifiche e anticipo il problema alla base di Tremonti bond “costituisce un ulteriore accantonamenti straordinari molto tutto: l’incapacità del mercato e traguardo positivo raggiunto”. ingenti”. Fermiamoci un attimo e dei soggetti che vi operano di vaPraticamente è come dicessero che se lutare correttamente il rischio. riflettiamo. Dobbiamo ricavare da questa uno si indebita per mettere una pezza Il discorso di Draghi è anche un splendida circonlocuzione che per i due allo scarso capitale è come se vincesse atto di umiltà. Ammette quello Signori Presidenti gli accantonamenti su qualcosa e quindi il passaggio allo che - dai titoli dei giornali in cui crediti e le perdite su partecipazioni sono sportello della “Caritas” tremontiana si si leggono previsioni annuncia“fatti straordinari” per una banca? chiama "traguardo". te come certezze - spesso viene Contabilmente è forse così, ma nella In conclusione la lettera afferma che “la dimenticato. Cioè che l’econosostanza invece no, perché un istituto di nostra fiducia non è mai venuta mia resta una scienza empirica credito di mestiere fa proprio quello e le meno”.Ma forse più della fiduciadei che vorrebbe assomigliare alla rettifiche “ingenti” su crediti e presidenti, a essere rilevante è quella dei fisica ma sarà sempre diversa. partecipazioni sono il segno che quella soci. Anche i modelli econometrici banca negli anni precedenti ha fatto male Però è anche vero che nel meraviglioso più sofisticati servono a poco se il suo mestiere. Non parliamo di attività mondo del credito popolare tutto va letto i bilanci delle banche sono trucstrane o meteoriti cadute su Verona, un po’ all’incontrario. cati e se gli investitori non si muovono in modo razionale.
IL FANTASTICO MONDO DELLE POPOLARI o, non è proprio vero che le banche non sappiano parlare a clienti e azionisti e siano un muro impenetrabile. Almeno le popolari sono diverse ed eccone una prova raccolta nientemeno che nella più grande di esse, il Banco Popolare. Proprio in questi giorni, i suoi azionisti stanno ricevendo una lettera del presidente Carlo Fratta Pasini, co-firmata dal presidente del Consiglio di gestione, Vittorio Coda. Ad aprile i “signori soci” dovranno - eventualmente - riconfermare alcuni consiglieri della “loro” banca, compreso Fratta Pasini. Sicché è bene parlarsi con franchezza tutta popolare. Il passaggio più tecnico è quello dove si sottolinea il ritorno all'utile nella
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(Ste. Fel.)
alle interviste un po’ Otutti:sultreClaudio tutti i giornali - uno per Scajola, capofila dei non tremontiani sul “Corriere” - ieri sono arrivate anche le parole di Silvio Berlusconi a certificare l’inizio di una nuova fase. Il presidente del Consiglio ha detto che “il governo ha allo studio interventi per ridurre la pressione fiscale, aumentare i consumi e agevolare gli investimenti: tra questi il taglio graduale dell’Irap fino alla sua soppressione”. Niente di nuovo, l’abolizione dell’Irap è presente da sempre nei programmi elettorali, l’Europa l’ha chiesta, Confindustria la reclama da anni. Ma il problema è sempre lo stesso: come si finanzia la sanità senza i 38 miliardi dell’Irap? La risposta, ovviamente, non c’è. I leghisti direbbero che la soluzione di tutto è nel federalismo fiscale. Ma non c’è ancora neppure quello. a rilevanza delle parole di Ldi merito, Berlusconi non è quindi ma di agenda setting. Con poche parole Berlusconi liquida un dibatitto che stava diventando difficile da gestire, quello seguito all’elogio del posto fisso fatto da Tremonti. Dibattito che lo aveva costretto a una pubblica dichiarazione di concordia con il suo ministro dell’Economia che viene parzialmente stemperata proprio dall’intervento sull’Irap. Rimettere al centro del confronto politico il tema del taglio delle tasse - a cui anche il Pd (lato Pierluigi Bersani) sembra ora sensibile - significa sconfessare il rigorismo tributario di Tremonti. Almeno a parole. Nei fatti si vedrà.
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LAVORO
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MINISTRO TREMONTI NOI, PRECARI UMILIATI E OFFESI Dopo l’elogio del posto fisso centinaia di lettori hanno scritto al Fatto Quotidiano per raccontare le loro vite di Silvia D’Onghia
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ARO MINISTRO, abbiamo appreso con stupore l’elogio che Lei ha fatto lunedì scorso del posto fisso. In un momento di gravissima crisi per il Paese (crisi che il Suo governo un giorno smentisce, il giorno dopo giudica superata), abbiamo nutrito la speranza che la frase da Lei pronunciata potesse costituire l’avvio di una profonda revisione del mercato del lavoro. Purtroppo, in breve tempo, ci siamo resi conto che tutto ciò non sarebbe avvenuto. La sua dichiarazione ha scatenato le inevitabili polemiche politiche (che si trascinano anche in queste ore), tra chi sostiene che il posto fisso è anacronistico e chi è convinto che occorra tornare indietro. Parole inutili, perchè si scontrano con una realtà che la grande maggioranza delle forze politiche probabilmente ignora. È la realtà di quasi quattro milioni di persone, che vivono senza sapere se domani potranno ancora recarsi al lavoro. Parliamo di donne e uomini cui non vengono rinnovati i contratti e si ritrovano senza lavoro, senza soldi e, spesso, con una famiglia sulle spalle. Sono donne e uomini (come leggerà nelle lettere giunte in questi giorni a Il Fatto Quotidiano), che si accontenterebbero persino di lavori precari ma continuativi. Perchè vede, signor Ministro, tutti vorrebbero iniziare a lavorare a 20 anni e finire a 65. Il punto non è questo. Il punto è che servirebbero politiche mirate a incentivare le aziende nella promozione della stabilità occupazionale, servizi per l’impiego efficienti, (che garantiscano ai lavoratori una formazione adeguata alla continuità lavorativa), e il sostegno al reddito, quando l’impiego viene a mancare. Senza tutto questo, ogni parola si trasforma in uno spot elettorale. Che a queste persone, in questo momento, non interessa.
PERCHÈ NON MI CEDE IL SUO POSTO ALL’UNIVERSITÀ?
Ecco alcune delle lettere pervenute a postofisso@ilfattoquotidiano.it. Continuate a scriverci.
DOV’ERA QUANDO CANCELLAVANO LA LEGGE PRODI? Egregio Signor Ministro, la presente per ricordarLe che uno dei primi provvedimenti dell’ultimo governo Berlusconi è stato la cancellazione della legge Prodi che fissava il tetto di 3 anni al lavoro precario. Lei dov’era? A.D.
INVALIDO CIVILE MA NESSUNO SE NE ACCORGE Salve, scrivo dalla provincia di Bari, sono invalido civile con regolare iscrizione alle liste delle categorie protette (e qui mi verrebbe da ridere se la cosa non fosse tragica) e a 44 anni non ho avuto il piacere di essere stato mai chiamato dall’ufficio preposto per un solo giorno di lavoro, in questi anni sono andato avanti o lavorando a nero (Oops! Cosa ho detto mai) e quando ho trovato lavoro ho dovuto svolgere mansioni di cui non avevo i requisiti fisici andando ad aggravare la mia situazione fisica. La mia ultima occupazione è stata con una cooperativa locale che mi ha dato la possibilità di lavorare in fabbrica, ovviamente con contratto a termine. Purtroppo con la crisi scoppiata tutti a casa, ho usufruito della disoccupazione, la quale è finita già da un bel po’, mi chiedo: “Avrò mai il famoso “posto fisso”? Ora come ora mi basterebbe anche un posticino. Grazie per la Sua attenzione, ministro, attendo fiducioso di avere quel posto che mi dovrebbe spettare di diritto. N.P.
Caro (si fa per dire) Compagno (si fa per dire) Ministro Tremonti, sono un precario da ormai quasi 10 anni. Non potendo fare a meno di notare il suo elogio all’agognato posto fisso, mi chiedevo se gentilmente me ne concederebbe uno, magari quello che Lei lascia inoccupabile presso l'Università di Pavia dove ha una cattedra che non utilizza e dove insegna anche sua moglie, ovviamente senza nessuna insinuazione di nepotismo. Immagino avrà delle remore a fronte di questa informazioni, ma la voglio rassicurare, io ai ministri Gelmini e e Brunetta non dirò mai nulla. Ringraziandola per la gentile attenzione, la saluto a pugno chiuso. M.B.
UNA FIGLIA EMIGRATA CHE NON RIESCO A MANTENERE Gentile ministro, la sua recente presa di posizione sul “posto fisso”mi ha favorevolmente impressionato, lasciandomi, al tempo stesso, interdetto: questo per il semplice fatto che, a mio avviso, il governo di cui lei fa parte non mi pare abbia mai messo in campo (nè oggi, nè in passato) delle politiche finalizzate al raggiungimento di questo scopo. Due parole sulla mia storia personale. Sono un ragazzo palermitano di 27 anni, laureato da tre, che dal febbraio 2009 è entrato nel mondo del lavoro, ovviamente precario. Percepisco un netto mensile di 600 euro (e devo ritenermi fortunato). All'età di 24 anni sono diventato padre. Una gravidanza non programmata, ma portata avanti dalla mia compagna, e dal sottoscritto, con grande amore, dignità e impegno, l’impegno di chi crede nel-
LE SCELTE
UN FRUTTIVENDOLO FORTUNATO CON DUE LAUREE
Spettabile Ministro del Tesoro, pur condividendo la sua oramai celeberrima affermazione sul posto fisso, io penso che in cuor vostro abbiate capito di averla fatta davvero grossa, vero? Sì, perchè non si spiega come sia possibile il vostro cambio di posizione, o meglio, si spiega solo per un motivo: avete capito di aver distrutto i sogni e le speranze di più generazioni nel nome della flessibilità più tremenda e nauseabonda, abbandonando sin dall’inizio la strada della cosiddetta “f lexicurity” che a voi piaceva così tanto... Di sicurity per coloro che son “f lessibili” oggi non prendere la maternità facoltativa.. Non ho ve ne è traccia, ma di flexity ce mia mamma che mi aiuta e mio padre n’è molta, troppa rispetto ad lavora, la bambina fino al sesto mese non una flessibilità che in molti capuò andare al nido, quindi pago mia sorella. si sarebbe giusta e pure utile; Essendo down mi viene accettata la perchè tutto questo? Anche rischiesta di agevolazioni previste dalla un bambino capirebbe che legge 104, ma io non faccio domanda al lavoro per non un’azienda posta fra il prendericevere discriminazioni e perdere il posto (il mio re una persona a tempo indecontratto sarebbe scaduto il 30 settembre 2009). terminato ad un costo magRientro al lavoro, faccio 6 degli 8 turni standard e giore e un’altra a tempo deterlavoro normalmente dal lunedì alla domenica con i minato e a costo minore, riposi infrasettimanali, partecipo alle riunioni serali avrebbe scelto la seconda, senza percepire lo straordinario. L'11 settembre specie in un sistema come vengo convoncata dalla responsabile che mi dice che, l’attuale che nonostante tutto essendo io una madre, sono un problema per l'azienda. vede nel profitto l’unico dio Ovviamente inizio a cercare un nuovo lavoro, ho fatto senza altri dei all'orizzonte... qualche colloquio, ma essendo mamma... Quindi sono Almeno potevate rendere il laa casa. Ovviamente ho fatto richiesta dell'indennità di voro flessibile più costoso, disoccupazione e della pensione di invalidità, ma oltre così da disincentivarlo, o al fatto che la disoccupazione ha un termine oltre il quello stabile più economico, quale non si percepiscono soldi e che la pensione di così da incentivarlo... e inveinvalidità è di poco superiore a 200, non può essere una ce, niente di tutto questo, ma soluzione se non per tamponare qualche mese. E, solo una babele di contrattini ribadisco, io voglio solo poter lavorare per mantenere usa e getta per lavori anch’essi me e la mia bambina come qualsiasi madre sull Terra, usa e getta (altro che seguire la non sto cercando soldi per vivere a dipendenza dello strategia di Lisbona sulla quaStato, sto solo cercando un lavoro! lit del lavoro e la formazione continua). (...) Si parla tanto, e
MATERNITÀ PUNITA Mi chiamo Valentina e ho 28 anni. Fino a poco tempo fa, lavoravo presso l'ente che gestisce il turismo della città di Torino e di tutta la Provincia. Il 5 luglio 2008 scopro di essere incinta. Decido subito che la tengo (è un femmina), lo dico a lui premettendo che è libero di fare la sua scelta. Lui dice di non voler stare con me, ma che vuole essere il padre della bambina. Ad agosto ho delle minacce di aborto, così a settembre l'azienda mi COSTRINGE alla maternità anticipata. A settembre, scopro di avere un rischio molto aumentato per trisomia 21 e prenoto l'amniocentesi, dopo la quale mi confermano che è down. Penso all’itg, poi decido di tenerla. Dopo 40 giorni lui mi scrive per dirmi che non vuole più riconoscerla. Richiedo di poter conservare privatamente il cordone ombelicale, ma mi viene detto che in caso di trisomia nessuno vuole prendere il cordone.. Ovvero è un mostro chi rifiuta un figlio down, ma quel figlio, se dovesse mai ammalarsi, non ha il diritto di essere curato con le proprie cellule staminali. Il 26 marzo 2009 nasce Marlene, mia figlia. Io non ho un compagno accanto e quindi non posso
la vita. Oggi questo mio posto di lavoro non mi permette di mantenere la famiglia, così mia figlia, la madre e la nonna materna sono state costrette a emigrare in Irlanda, un paese che, seppur divorato dalla crisi, mantiene ancora oggi delle qualità da vero Stato sociale. Io resto invece qui, nel profondo Sud, perchè voglio fare di tutto per creare le condizioni per un ritorno della mia famiglia. Fino a quando non sarò costretto a mollare pure io e a fare le valigie. E intanto vedo crescere mia figlia su Skype. Ministro, il suo appello sul “posto fisso” non può che trovarmi d'accordo. Spero soltanto che non si tratti di uno spot elettorale in vista delle prossime Regionali. R.R.
Venerdì 23 ottobre 2009
Performance teatrale con le camice di forza per i precari della scuola contro la riforma Gelmini
LA SINISTRA TORNI IN FABBRICA Parla Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil
a sproposito, di riforma - intesa come prolungamento dell’attività lavorativa - delle pensioni, che porterà ad un ulteriore blocco del turnover per le professioni pi appetibili, mentre prolungherà l’agonia sul lavoro per quelle più dure, tipo catena di montaggio, dove dovrebbero andare a farvi un bello stage i cari - inteso come costi per noi contribuenti -Draghi, Dini, Brunetta, Sacconi e tutti coloro che predicano bene perchè tanto razzolano male, molto male! (...) Vabbè, fortunato chi ha il posto fisso, vuoi perchè onesto, pochissimi, vuoi perchè capace, pochi, vuoi perchè “consigliato”, molti, vuoi perchè raccomandato, i più... Saluti da un trentaduenne che, bene o male, ha due stracci di laurea magistrale/specialistica e - “fortunatamente” - fa il fruttivendolo part-time in un supermercato. M.M.
A 53 ANNI NEANCHE IL SUSSIDIO INPS Gentilissimo Signor ministro, sono un ex impiegato della Pfizer, sono stato ceduto, insieme ad altri 450 lavoratori, ad una azienda contenitore che dopo alcuni mesi ci ha collocati in cassa integrazione straordinaria a zero ore. Ho 53 anni, monoreddito e con un
figlio di 12 anni. La cosa grave che da tre mesi non percepiamo neanche il lauto sussidio INPS di 600 euro (seicento). Ho iniziato a lavorare 25 anni fa, nell’industria farmaceutica, con il classico posto fisso, mi ritrovo a 53 anni, praticamente disoccupato con figlio e moglie a carico e senza alcun ammortizzatore sociale. Sopravvivo, grazie all’aiuto economico della mia famiglia d’origine. Grazie per la cortese attenzione, colgo l’occasione per porgere i miei pi distinti saluti. Carmine
CARRIERA: DA PRECARIA A DISOCCUPATA Egregio Signor Ministro, sono 0288, si ricorda di me? Come no?! Sono quella precaria della scuola che a causa della Sua politica di tagli da quest’anno non può più vantare neanche il titolo di precaria! Si chiama avanzamento di carriera: da precaria a disoccupata. Non vorrei tediarla molto, ma siccome noi due lo sappiamo che la riforma della scuola non è una riforma pedagogica ma prettamente economica (...) e visto che adesso siamo pure d’accordo sul fatto che il “posto fisso”è meglio del precariato (...), non è che avrebbe un posticino fisso anche per me? L.P.
IL PENSIONATO
IO, L’AMMORTIZZATORE S ignor ministro, vorrei unirmi ai tanti precari che le scriveranno, pur non avendone titolo. Sono un AMMORTIZZATORE SOCIALE. Nel senso che sono un pensionato che non può godere a pieno la sua pensione, poiché deve fronteggiare le carenze economiche di due figlie (34-32 anni) laureate, che a singhiozzo riescono a trovare precarie occupazioni. Spesso sopportando pesanti umiliazioni. Io so bene che la sua è una “sparata” (ormai siamo abituati alla sua “finanza creativa”) quindi non entro nel merito più di tanto. Ma come ex lavoratore dipendente e come attuale somaro legato ancora al carro, le vorrei suggerire (visto che ne avete la forza parlamentare) un abbozzo di riforma che vada veramente nella direzione di chi vuole vivere onestamente traendo il proprio sostentamento dal lavoro. Lasci perdere la “panzana” del posto fisso, che forse è sparito con la globalizzazione (panacèa a tutte le odierne difficoltà)... può andar bene anche la flessibilità, a patto che vengano riconosciuti i diritti e la dignità del lavoratore (previdenza per il periodo lavorativo anche per tempi brevi ed il rispetto delle norme di igiene e sicurezza) e soprattutto che vengano attivati i veri ammortizzatori sociali (...). In alternativa ai giovani (e non) senza occupazione basta la sofferenza, la prostrazione di tutti i giorni risparmiategli la presa per il culo!
di Stefano Feltri
“I
n Italia c'è una generazione che ha conosciuto solo il lavoro precario. Il problema vero è che adesso non ha più neppure quello. I precari sono stati i primi a sparire, i più esposti insieme ai lavoratori di 40-45 anni che perdono il lavoro e hanno grandi difficoltà a essere reimpiegati”, Guglielmo Epifani incontra “Il Fatto” nella sede centrale della Cgil, a Roma, per discutere dell'uscita di Giulio Tremonti sul posto fisso, quando pochi giorni fa il ministro ha detto che “la precarietà in sé non è un valore”. Segretario, che idea si è fatto del dibattito seguito all'elogio da parte di Tremonti del posto fisso? Si è espresso con parole un po' desuete. Oggi si parla di “posto sicuro”, di lavoro “a tempo indeterminato”, non di “posto fisso”. Il ministro ha comunque una sua fisionomia ormai abbastanza definita, teorizza il primato del pubblico sul privato in campo economico e difende un'idea forte economia sociale e di mercato. In questo quadro ha inserito le parole sulla stabilità del lavoro e sulla qualità della vita, con un riferimento all'enciclica del Papa che pochi hanno notato. Il punto è che non c'è un rapporto tra le parole e i fatti. L'esempio più evidente è la vicenda dei precari nel settore pubblico: Tremonti poteva trovare quelle - poche - risorse che servivano a stabilizzarli, ma non l'ha fatto. Dopo il suo intervento, ho chiesto al governo di aprire un tavolo. Ma subito il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha detto di no. Ma proviamo a prendere sul serio le parole di Tremonti. C'è qualcosa che si può fare, qui e ora, nel mezzo della crisi, per intervenire a favore dei precari? La prima cosa sarebbe appunto stabilizzare i precari della pubblica amministrazione, perché è un'idea di risparmio molto singolare quella che prevede di lasciare disoccupate migliaia di persone a cui lo Stato paga però l'indennità di disoccupazione, come nel caso della scuola: con gradualità si potevano stabilizzare tutti, visto che c’è un ampio turn over per l’età media elevata. Invece questa volontà non c'è perché l'idea è quella di
una riduzione strutturale dell'organico. Poi si dovrebbero riformare gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro e ridurre il numero di contratti di lavoro atipici, ce ne sono più di trenta. Da questo punto di vista siamo davvero un Paese impresentabile. Di questo avremmo voluto parlare al tavolo, ma il governo non è interessato. Forse perché non ha molto da dire. Ieri Berlusconi ha promesso di nuovo l'abolizione dell'Irap, un'imposta che vale 38 miliardi. Una proposta che, insieme all'elogio del posto fisso, sembra un tentativo di impostare un dibattito da “dopo crisi”. Sacconi ha già detto che non ci sono i soldi. C'è una strategia di comunicazione dietro queste uscita. Il governo si sta segnalando per dire cose che poi non fa, come il ponte sullo Stretto: non stanno partendo i lavori ma si sta solo completando un collegamento ferroviario che andava comunque fatto. Prima hanno detto per mesi che l'Italia sarebbe uscita dalla crisi meglio degli altri, poi hanno spiegato che il problema era solo di fiducia, ma al G20 di Pittsburgh si sono smentiti, sottoscrivendo un documento in cui si diceva che non è ancora tempo di exit strategy perché la crisi occupazionale più grave arriva adesso. L'autunno, dal punto di vista della disoccupazione, si sta rivelando così duro come si temeva? Mentre le Borse ritrovano l'euforia e il sistema bancario italiano si riassesta, nell'economia reale la situazione è sempre più grave. E questo è colpa della lunghezza della crisi: anche chi ha resistito finora senza tagliare i posti di lavoro, ora lo fa. O perché non riesce più a resistere e deve ridurre i costi o addirittura chiudere, oppure perché ne approfitta per ristrutturarsi in modo da essere pronto ad agganciare la ripresa. La Confindustria prima ha approvato la Finanziaria, poi ha iniziato a dire che non era sufficiente. Ed è abbastanza chiara la ragione: le imprese hanno fatto capire che non ce la fanno più. Nel settore metalmeccanico siamo al 72-73 per cento della produzione dello scorso anno e questo non può che avere ripercussioni pesanti sul lavoro. Il 14 novembre la Cgil sarà in piazza a Roma, con una manifestazione. Qual è il vostro obiettivo? Cosa chiedete? E' una manifestazione nel senso etimologico del termine: manifestare la permanenza della crisi. Vogliamo riportare l'attenzione sulla crisi e questa esigenza è tanto più forte ora che si assiste ai diversi tentativi del governo di parlare d'altro. Poi ci sono situazioni riguardo alle quali il governo deve dare una risposta chiara. Prendiamo il settore dell'auto: serve politica industriale, se il governo decide di investire, anche attraverso gli incentivi, qualcosa in un settore lo può fare, ma deve ottenere garanzie occupazionali dalla Fiat, soprattutto ora che ha presentato dei buoni conti trimestrali. Domenica ci sono le primarie del Partito democratico. Dopo, forse, il partito sarà in grado di occuparsi meglio di questioni diverse dagli equilibri interni. Cosa può fare, sulla crisi, l'opposizione? Finora ha fatto qualche battaglia, anche con noi. Ma deve ritrovare un legame con il territorio, deve andare nelle fabbriche che chiudono. Se non lo fa e gli unici gazebo che gli operai vedono sono quelli della Lega, non ci si può stupire se poi votano da quella parte. In questo momento non si può fare un partito leggero o si consumerà il divorzio definitivo tra sinistra e mondo del lavoro. E questo sarebbe contrario alla sua essenza e tradizione.
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Venerdì 23 ottobre 2009
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“Lezione” di giornalismo dell’ambasciatore statunitense a Roma
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DAL MONDO
n quanto giornalista ed editore credo profondamente nella libertà di stampa e la considero un assetto fondamentale della democrazia”. È il concetto espresso nel suo primo discorso dal neo ambasciatore americano a Roma, David Thorne, ai giornalisti italiani invitati a Villa Taverna. “Ma credo anche - ha aggiunto il diplomatico scelto da Barack Obama - che tutti
noi dovremmo riflettere di più su cosa significhi veramente ‘libertà di stampa’ nell’era di Internet e dell’elettronica”. Dopo aver premesso che "in più di un’occasione" gli è stato chiesto quale fosse il suo pensiero sulla libertà di stampa in Italia, l’ambasciatore Thorne ha tenuto a precisare che il suo ruolo non è quello di “dare lezioni agli italiani”. Al contrario, il suo desiderio è di “avere
scambi d’opinioni e conversazioni con il governo italiano, con i politici, con la gente comune e con tutti voi per poter condividere idee e sviluppare una partnership che divenga ancor più cordiale ed efficace di quella già esistente”. Thorne, 65 anni, newyorchese, con legami di parentela con il leader democratico John Kerry, è editore del Daily American.
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BARACK, MICHELLE E IL NUOVO POTERE DELLA CASA ROSA
PAKISTAN
“Uccisi 150 Taliban”
C
ontinua l'offensiva dell’esercito pachistano contro i talebani in Sud Waziristan, ai confini con l’Afghanistan, che ha fatto almeno 150 morti da sabato. L'esercito aveva previsto di concludere l’operazione in due mesi, ma già da ora, ad una settimana dall’inizio, la stima pare non realista.
Il presidente Usa: le donne sono meglio. E l’America è d’accordo di Angela
Vitaliano
New York
ome donna Michelle ha dovuto fare dei sacrifici che io ho potuto evitare e anche se oggi la nostra famiglia è diversa dalle altre, perché viviamo alla Casa Bianca, fino a qualche anno fa c’erano sempre molte ‘trattative’ per l’organizzazione familiare”. Non ci pensa troppo, Barack Obama, prima di ammettere, nel corso di un’intervista alla Nbc, che all’interno della famiglia, lui è un uomo come tutti gli altri. “Su certe questioni continuiamo ad essere ottusi – ha detto il presidente – e abbiamo bisogno che di tanto in tanto ci si dia un colpetto sulla testa per capire come comportarci”. Non è la prima volta che il presidente parla apertamente delle sue “mancanze” riconoscendo a sua moglie un ruolo fondamentale: “Michelle resta la mia più fidata consigliera e grazie a lei sono migliorato diventando più introspettivo e premuroso, così ora non c’è sempre la necessità di sottolinearmi le cose giuste e quelle sbagliate”. Stavolta, però, le dichiarazioni “femministe” di Obama ar-
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rivano in un momento molto importante per le donne americane che, come emerge da una ricerca della rivista Times, ricoprono oggi un ruolo dominante. Nel passaggio fra una generazione e l’altra, le americane sono arrivate a rappresentare la maggioranza della forza lavoro, a conseguire il 57% dei titoli di studio universitari e, nello stesso tempo, ad essere, nel 75% dei casi, decisionali all’interno della famiglia. D’altro canto, Barack Obama, con la sua storia personale (ma anche politica) sembra essere l’esempio più calzante a conferma del nuovo potere rosa: figlio di una madre single, allevato dalla nonna (una delle prime vice presidenti di banca in Hawaii) e sposato con la donna che è stata il suo capo. “Rosa” anche la sua scalata alla Casa Bianca, sia per le rivali (Hillary Clinton e Sarah Palin) che per le sostenitrici (Caroline Kennedy, Ophra Winfrey, Maria Shriver). Nessuna sorpresa dunque, se il paese, sondaggi alla mano, oggi gli preferisca proprio il segretario di stato Clinton e la moglie Michelle. Il fatto è che queste donne, con la loro storia, confermano di aver contribuito al 100% alla rivo-
luzione di cui parla il Time e di non aver nessuna intenzione di vivere all’ombra di mariti famosi. Hillary Clinton, anzi, deve parte della sua sconfitta elettorale proprio alle ingerenze del marito Bill. Se da qualche parte, l’endorsement familiare funziona per essere eletti in Parlamento, qui sicuramente può trasformarsi in un pericolosissimo boomerang. Tanto che i guru della campagna elettorale della Clinton, negli ultimi mesi, obbligarono l’ex presidente, a mettersi in pantofole e mangiare pop corn davanti al televisore. Michelle, dal canto suo, è stata sempre il braccio destro di Obama, intervenendo su tematiche importanti come la riforma sanitaria e l’educazione e guadagnandosi il rispetto e l’attenzione anche di chi le rimproverava un carattere un po’ troppo spigoloso. “Quando è nata Malia – ha detto Michelle in un’intervista – ero irritata dal fatto che
La famiglia Obama sul palco (FOTO ANSA)
Barack non avesse cambiato le sue abitudini. Allora mi sono decisa a svegliarmi alle 4.30 e andare in palestra così che fosse lui ad occupasi della prima poppata. Facendo una cosa che mi faceva piacere, ho contribuito a rendere più serena la famiglia”. Se la politica, dunque, conferma il pieno compimento della rivoluzione rosa, Maria Shiver, leader della Conferenza delle Donne che si terrà la prossima settimana in California, ricorda però come la sua sia ora una “Squizeed Generation”, troppo spesso “schiacciata” tra la cura dei genitori anziani e quella dei figli. “Mia madre (Eunice Kennedy, ndr) mi ha cresciuta nella convinzione che don-
Negli ultimi sondaggi sia la moglie che il segretario di Stato, Hillary, più popolari di Obama
ne e uomini, in eguale maniera, potessero cambiare il mondo. Oggi, però le gli stipendi degli uomini sono ancora superiori, gli Stati Uniti sono l’unico paese industrializzato senza un’adeguata politica per l’infanzia e le donne sono spesso colpite dalla mancanza di servizi sanitari e dalla violenza”. “La violenza contro le donne non è perseguita adeguatamente perché non è una priorità nell’agenda del governo” ha detto Nicole Kidman intervenendo martedì al Congresso come ambasciatrice dellUnifem (United Nation Development Fund for Women). “Le donne hanno bisogno e meritano il nostro sostegno. Ma non offrendo loro una scatola di cerotti, bensì puntando a un approccio strutturato che riconosca che i diritti delle donne sono parte dei diritti umani”. Emblematico, fra l’altro, il caso di Christina Turner che si è vista rifiutare la copertura sanitaria perché potrebbe aver contratto l’Aids durante una violenza sessuale.
LA BBC SDOGANA I FASCISTI IN TV Polemiche per la presenza in un dibattito del leader dei nazionalisti britannici. La rete di Stato: è informazione di Andrea Valdambrini
Londra
è sempre una prima volta in tv. Anche per C’ chi proclama “la superiorità della razza bianca caucasica sui popoli non europei”. La Bbc, tv di stato britannica, ha comunque difeso la decisione di ospitare il leader dei neofascisti inglesi, Nick Griffin, nel programma di punta del giovedì sera, Question Time, nonostante le polemiche e le manifestazioni di piazza. Nella trasmissione si confrontano due politici dell’opposizione e due della maggioranza e il pubblico può intervenire facendo domande. Ieri sera, per la prima volta nella storia mediatica del Regno Unito, un negazionista dell’olocausto e ammiratore di Hitler ha dunque avuto diritto di parola di fronte a milioni di telespettatori. La polemica sull’opportunità della presenza di Griffin infuria da quando i dirigenti della tv di Stato hanno reso nota la decisione di invitare il leader del partito nazionalista britannico (Bnp) a prendere parte alla puntata del 22 ottobre. Nonostante l’intervento di un membro del governo, il ministro Peter Hain, che ha ammonito sui rischi della diffusione del messaggio razzista, il direttore della Bbc Mark Thompson ha difeso la scelta con una lettera indirizzata al quotidiano progressista The Guardian.
La Bbc, ha sostenuto Thompson, ha il dovere di rappresentare le preferenze degli elettori, e il leader del Bnp è invitato alla trasmissione proprio in quanto esponente di un partito che ha eletto due deputati al Parlamento europeo a giugno (lo stesso Griffin e Andrew Brons, già esponente del movimento nazional-socialista inglese). Il giudizio morale sui politici ha aggiunto, spetta non alla stampa ma al governo. Il partito nazionalista britannico ha radici profonde. Sciolta d’autorità nel 1940 la Britsh Union of Fascists guidata da Oswald Molsley, il movimento rinasce come National Front negli anni ’80, ma viene presto rinnovato con il nome di British National Party, proprio dal giovane Nick Griffin Nello statuto del partito si legge: “Il Bnp combatte per preservare il carattere nazionale ed etnico del popolo britannico e si oppone fermamente ad ogni forma di integrazione razziale”. Griffin è poiconvinto sostenitore della teoria della cospirazione ebraica, buon amico del Ku Klux Klan, del leader iraniano Ahmadinejad, e ammiratore di Roberto Fiore, leader di Forza Nuova. Grande affabulatore si muove sempre sul filo della provocazione come quando ieri, in una lunga intervista al quotidiano conservatore The Times, ha ringraziato i suoi detrattori e ha aggiunto che l’unico rischio di partecipare a Question Time è quello, per lui, di prendersi una pallottola in testa.
NEGAZIONISMO
Il docente della vergogna
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probabile che nei confronti di Antonio Caracciolo verranno presi provvedimenti disciplinari. Le parole del professore negazionista, però, rimarranno. Il suo “sospendere il processo” nei confronti della volontà di sterminio di ebrei, zingari, omosessuali, disadattati e oppositori politici mediante camere a gas, sarà già stato trasmesso a qualcuno dei suoi studenti del corso di filosofia del diritto all’Università La Sapienza di Roma. Così come le sue affermazioni nei confronti degli ebrei romani (“Che cosa sarebbero senza i Priebke?”) avranno già contribuito ad alimentare il mai sopito odio razziale. E non bastano certo la presa di posizione del Rettore Frati o delle istituzioni locali (dal sindaco Alemanno al presidente della Provincia Zingaretti) a cancellare la vergogna. Perchè di vergogna, e solo di quello, si tratta. (s.d.)
FRANCIA
Sarkozy jr. rinuncia
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e sarò eletto amministratore dell’Epad non mi candiderò alla presidenza, non voglio una vittoria macchiata dal dubbio”: lo ha detto in diretta tv ieri sera Jean Sarkozy (nella foto), figlio del presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, che avrebbe dovuto candidarsi alla guida dell’ente pubblico gestore de La Defense, alle porte di Parigi.
IRAN-ISRAELE
Contatto dopo trent’anni
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n forum internazionale sulla non proliferazione, tenuto a porte chiuse dietro i paraventi di una delle sale di un albergo di lusso al Cairo e destinato a rimanere riservato. È stata questa, secondo rivelazioni emerse a un mese di distanza, l’occasione del primo, inatteso incontro tra funzionari governativi in carica di Israele e Iran dall’epoca della caduta dello scià, 30 anni fa.
STATI UNITI
Il vaccino non piace
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e autorità sanitarie americane, ora che il vaccino contro la influenza A sta cominciando a essere disponibile, sono alle prese con un nuovo problema: convincere i genitori che il vaccino non fa male. Campagne lanciate su Internet, e amplificate dai talk show radiofonici, circa la presunta pericolosità del nuovo vaccino stanno lasciando il segno: circa un terzo dei genitori non desiderano vaccinare i figli per timore delle conseguenze.
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Venerdì 23 ottobre 2009
SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
CINEMA
IL BUIO INGLESE ILLUMINA UNA FESTA MINORE
Streep La Loren non mi odia: l'ho appena vista e mi ha abbracciata
X Factor Morgan: con Simona Ventura mi divertivo di più
Wilcox Addio a Colin, interprete de Il buio oltre la siepe
Asterix Il 29 ottobre compirà 50 anni: un fumetto lo celebra
Al termine di una manifestazione deludente, la migliore sezione, “Extra”, fa arrivare sugli schermi la trilogia capolavoro “Red Riding”
di Federico Pontiggia
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hi ha paura del Lupo cattivo? Cappuccetto rosso, ovviamente, che Oltremanica si chiama Red Riding. 1974, 1980, 1983: i tre anni del Lupo come furono I tre giorni del Condor, perché dice il regista Julian Jarrold: “Abbiamo cercato di unire la tradizione inglese a quella del noir americano anni '70: thriller come La conversazione, Perché un assassinio e il Condor di Pollack, in cui non c’è happy ending e il male continua…". Il risultato è non solo un Evento speciale di Extra, che si conferma la sezione clou, ed Anteprima, ma il piatto forte della quarta, deludente, edizione del Festival del Film di Roma: la mini-serie televisiva made in the UK The Red Riding Trilogy, tratta dai fortunati romanzi criminali di David Peace (editi in Italia da Tropea), prodotta dalla Revolution Films di Michael Win-
terbottom per Channel 4, sceneggiata da Tony Grisoni e diretta da tre differenti registi: Julian Jarrold, appunto, per 1974, James Marsh (Man on Wire) per 1980 e Anand Tucker con 1983. Incredibile ma vero, c’è una volta, questa, in cui il piccolo schermo azzanna quello grande, lasciando gli spettatori felici e contenti: “Solo cinque anni fa anche da noi un’operazione del genere non sarebbe stata possibile. Ma ora – rileva Jarrold - il panorama produttivo e distributivo sta cambiando, e non escludo che presto la sinergia tra televisione e cinema possa partorire altri prodotti del genere”. Mandata in onda dall’emittente pubblica Channel 4 nel marzo scorso, la serie ha avuto anche un passaggio in sala al National Film Theatre di Londra e ora arriverà nei cinema Usa e di altri Paesi euro-
pei, tra cui speriamo pure l’Italia. Nel frattempo, uno che vede lungo, Ridley Scott, ha acquisito i diritti per condensare i tre capitoli in un remake cinematografico. Sostanzialmente indipendenti l'uno dall'altro, ma legati da ossessioni e personaggi ricorrenti, i tre episodi sono ambientati in altrettanti anni cardinali: nello sviluppo delle indagini sul Lu-
lo cieco morale in cui si è infilato: pensava che una piccola corruzione si potesse giustificare, ma è come essere incinta: o lo sei o non lo sei. I poliziotti in servizio con cui ho parlato mi dicono che ora è tutto diverso, chissà”, dice l’attore David Morrissey, l’unico a comparire in tutti e tre i film. Con lui a Roma, Jarrold e la produttrice Anita Overland,
Una scena da 1974 di Julian Jarrold
La mini-serie televisiva è tratta dai romanzi criminali dello scrittore David Peace
L’OCCHIO SUL FESTIVAL
po, ovvero lo Squartatore dello Yorkshire Peter William Sutcliffe che negli anni '70 uccise 13 giovani donne, ma soprattutto nello svelamento della corruzione in seno alla polizia inglese. “Il mio Maurice Jobson è un poliziotto di carriera: ha cuore, ci tiene, ma si corrompe presto, perché il suo capo, che ammira moltissimo, è un corrotto. E lui lo segue. Verrà sopraffatto dai sensi di colpa, quando capisce il vico-
di Anna Maria Pasetti
COEN, LA FATICA DI ESSERE EBREO “P
er favore accettate il mistero”. D’altra parte non ci sono alternative. Joel & Ethan Coen, leggiadri sollevatori di macigni, l’hanno capito da un pezzo ma ancora si dilettano a sussurrarlo all’universo passando per i piccoli mondi. Con un nota bene: “nessun ebreo è stato maltrattato sul set”. E per fortuna, altrimenti non esisterebbe “A Serious Man”, gioiello tragicomico della geniale fratellanza. Nonché l’atteso diamante estratto dallo scrigno il penultimo giorno di un festival boccheggiante. Ambientato in una comunità ebraica della Minneapolis degli anni ’60, A Serious Man è la drammatica storia raccontata su registro comico di Larry, un professore di fisica la cui persistente tolleranza nell’accettazione dell’Imprevisto lo assimila alla biblica figura di Giobbe. Con la differenza che l’antieroe del Midwest non è sostenuto dalla fede, benché sia docile all’ascolto degli inutili consigli dei Rabbini. “Chissà” è il loro mantra. E mentre il figlio celebra il suo Bar mitzvah, la (mala)sorte scherza impietosa con la vita di quest’uomo serio, costretto addirittura a pagare il funerale dell’amante della moglie, che da lui esige un divorzio “Gett”, ovvero “punito dalla religione, con la
che ritorna alla genesi del progetto: “Andrew Eaton, che gestisce la Revolution Films, conosceva Peace, e ha chiamato Grisoni a scrivere quattro sceneggiature distinte, poi condensate in trilogia per i tagli al budget. E' stata ancora un'idea di Andrew quella di realizzare tre film separati con tre differenti registi, ognuno con il proprio stile e il proprio modo di intendere il lavoro". Se Red Riding passa dalla tv al cinema,
rischiando di essere la cosa migliore del Festival capitolino, da noi Romanzo criminale finisce “spacchettato” su Sky e qualcuno grida al miracolo: vedesse questo trittico, tornerebbe scettico. Nel cast anche Paddy Considine, Peter Mullan e Rebecca Hall, fondamentale è stata l'attenzione nel dare omogeneità alla trilogia: "C'è un'unità nella serie, anche se ogni regista l'ha cercata secondo un percorso diverso,
punizione di risposarsi”. Esilarante. Le risposte, per i sarcastici e sulfurei fratelli Coen, sono sempre legate all’uomo e alla sua condizione esistenziale. E il loro interesse va ovviamente oltre le religioni, benché abbiano ammesso che un film come A Serious Man “nasce in quanto legato all’ebraismo, altrimenti sarebbe un film diverso”. Dichiarazione manifesta nel surreale prologo di reminescenze brookiane (non a caso..) ambientato in una cittadina ebrea della Polonia nell’800. “Accogli con semplicità tutto ciò che ti succede” recitava il saggio Rashi. L’atteggiamento dell’Attesa giudaica su cui l’ironia deve pungere per sopravvivenza è il nucleo di uno sguardo qui assurto a meta-ebraico e che per questo si fa indice di naturale critica: il 12enne Danny assiste alle lezioni di aramaico ascoltando i Jefferson Airplane con il walkman mentre c’è chi, durante la celebrazione in sinagoga, non trattiene un “Jesus Christ!” a mo’ di intercalare. Tradizioni e rituali non cambieranno, ma è chiaro che la Torah delle nuove generazioni è dettata dalla coscienza. A Serious Man non è un capolavoro, ma di certo quale film di “tragico divertimento” mantiene l’altezza dell’opus della premiata ditta Coen. Medusa lo distribuirà il 4 dicembre nelle sale come film pre-natalizio.
per supporto e poetica", dice Jarrold, che ispirandosi agli scatti anni ’70 del fotografo americano William Eggleston – “ grandi spazi aperti, brulli, ritratti in maniera sgranata, con colore marroncino e punto d’interesse laterale” - ha scelto il 16mm e le spoglie costruzioni dell’epoca per “schiacciare i personaggi e riprenderli in maniera sporca, attraverso fumo, pioggia e vetri appannati, sotto un’incombente minaccia”. “Perché prosegue il regista di Becoming Jane, che presto girerà a Venezia il nuovo film, una commedia - se il punto di partenza dei romanzi e dei tre film è una serie di reati, la corruzione è il Leitmotiv: come Peace, ero interessato all'atmosfera, all'influenza del contesto su quegli eventi terribili”. E il contesto, effettivamente, non è dei migliori: pioggia e fango, in cui (ci) marciano un omicida seriale, poliziotti corrotti, giornalisti senza macchia e il Potere. Un potere invasivo e occulto, fatto di losche alleanze, intrighi insospettabili, concorsi di colpa e omissioni di soccorso: tra ambiguità politiche e connivenze economiche, cigni mutilati e gypos - traduzione imperfetta: povericristi proletari - sul banco degli imputati, fortunatamente il solito manicheismo tra buoni e cattivi finisce nel fuoricampo. Confidando nella vostra visione, non è opportuno aggiungere altro sulla trama, se non che la storia è appunto back in the days, nei tormentati anni ’70 del Regno Unito quando "la degenerazione era pervasiva: parliamo – dice Morrissey - dell’Inghilterra settentrionale, dove il marcio si attaccava alla speculazione edilizia, e il crollo delle banche finanziarie aveva gettato tutti nel fango. Serpeggiava allora una grande incertezza per il futuro, anche a causa dei continui scioperi, i governi che cadevano e la sfiducia nelle istituzioni: sembra che oggi stiamo vivendo un periodo simile, e quelle paure riaffiorano”. Non solo, “ai connazionali che hanno visto Red Riding sarà venuta l’orticaria, perché quella lezione non l’abbiamo imparata: cercare il profitto senza alcuna coscienza sociale genera mostri”, conclude Morrissey. E ovviamente non sta parlando del Lupo cattivo.
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SECONDO TEMPO
PERS ONAGGI
LOTITO, VIA COL VANTO
Il presidente della Lazio voleva cambiare il calcio Cinque anni dopo, il calcio sta cambiando lui di Malcom Pagani
laudio ascolta tutti. Una buona idea è sempre un affare. Poi decide da solo. Si muove felice tra gli interstizi, un po’ Seneca, un po’ Aldo Fabrizi, un po’ Mario Brega, l’attore cult di Carlo Verdone. “Perchè devi sposà l’idea, devi sposà l’attaccamento, sennò che cazzo de laziale sei?”. Sono passati cinque anni. Cinque circumnavigazioni del grande raccordo che abbraccia la capitale, tra contestazioni, minacce, citazioni in latino, moralizzazioni, allenatori allontanati, litigi. Comparve all’improvviso. La Lazio, il suo sogno. Cosa sua, indiscutibilmente. “Da quando l’ho presa, dormo tre ore a notte per risanarla. Me sò invecchiato de vent’anni”. Come Gaucci, iniziò nelle pulizie. Nel 1987, molte vite fa. Metafora e sintesi di quanto si apprestava a fare nel pallone. Nettare, togliere la polvere, riformare. Snam Lazio Sud, Linda, Aurora, Bona dea. Straccio e scopa, migliaia di dipendenti, appalti come gocce di pioggia in un temporale. A fine agosto, quello ottenuto per complessivi 22 milioni di euro all’aeroporto di Fiumicino, è stato solo l’ultimo della serie e in qualche modo, ha chiuso il cerchio. Quasi la stessa cifra che versò per evitare, nel 2004, la prematura scomparsa della Lazio accerchiata da debiti e creditori, prima della rateizzazione monstre che ogni 12 mesi, come una tassa, paga in buon ordine. Il genero di Mezzaroma, Lotito Claudio non recede. “Io mi confronto. Io ascolto. Io non mi lascio prevaricare”. Io, io, io. Agisce, arringa, lavora, prorompe. L’ultima volta, una settimana fa, al funerale di Gianni Elsner, segnale spento dopo trent’anni di dirette radiofoniche a tema e bandiera della Nord fin dai tempi di Maestrelli. All’esterno della chiesa, Claudio “faccio tutto io”, ha regalato solo l’ultimo degli show che la gente aspetta ormai con la stessa puntualità del Natale. Battute, parolacce, imitazioni. I moralisti si sono indignati, Elsner non avrebbe disapprovato. Claudio conosce l’alto e il basso. “Non nego che il latino e il greco possano essere utilizzati per stor-
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con Dio e nelle tue giovanili giocano i raccomandati di papà”, con Lotito pompieristico, “Tuo figlio lo fanno giocare nei play off ”.
dire l’interlocutore. Ma lo sport non può essere disgiunto dalla cultura. Nel calcio ce so’ troppi analfabeti”. Quindi Pascoli, Manzoni, Heiddeger. E poi il volgo. Equilibrio perfetto. Interpolazione costante. Sa come miscelare i generi e animare un racconto, inseguendo il filo dell’altrui stupore. “Semo scesi a Pechino, ahò, ce stavano tremila cinesi. Devi vedè che tifo”. Pausa, voce in falsetto, pubblico in delirio, imitazione: ‘Folza Lazio, folza Lazio’ . E intorno la folla che ondeggia, si muove al ritmo dello spettacolo, gli passa telefoni, biglietti, bambini, laicissime preghiere, richieste di aiuto. “Ledesma? Sta male”. Voce dal gruppo: “E’ ammalato de paraculite, presidè”, Claudio annuisce e prosegue: “Bonetto? M’ha rotto i coglioni per andà a Livorno e poi m’ha chiesto quattrocentomila euro”. Il teatro è lui, l’uno, nessuno e centomila che accentra su di sè le cariche, scivola abile tra cinque telefonini, combatte in prima linea i tifosi violenti e un giorno, chissà, sbarcherà anche in politica: “Per rilanciare l’Alitalia c’è bisogno di gente come me, se me la danno, la rimetto in sesto in cinque anni”. Per poi saltare all’immediata conseguenza. “Con me al governo, in dieci anni si risolvono i problemi”. vecchia storia. PesLqualeasimipolitica, rapporti con Veltroni, col un giorno, ebbe un epico corpo a corpo via radio: “Caro Veltroni, hai commesso sette peccati capitali: ti piace l’Africa e hai trasformato Roma in una città africana; hai triplicato il debito del Comune; hai fatto un sacco urbanistico che non si ricordava dai tempi dell’Impero romano: 70 milioni di metri cubi". Relazioni più strette ancorchè ondivaghe con Fini, Storace e Previti. Chi gli spalancò l’autostrada verso la squadra più antica della capitale, in ogni caso, si illudeva di manovrarlo. Dopo poche settimane, l’intento era già evaporato. Di sinistra, Lotito non è mai stato. Anarchico, piuttosto. Refrattario all’essere comandato. Quando il Pdl lo estromise dalle liste nel 2008, si sfogò profetico. “A me non interessa entrare in Parlamento a spingere i bottoni. Mi
non presiede, si induQvo.uando stria per non rimanere inattiLa casa di Cortina, 1.600 metri quadri di arabeschi sul legno e spazi visivi sulle montagne del bellunese, li ha arredati lui. “Ho scelto stoffe e piastrelle dei bagni, sono andato dal tappezziere. A mia moglie l’ho consegnata chiavi in mano. Io sono fatto così”. Da sempre. A scuola, era tra i migliori. I compagni, invidiosi, lo volevano pestare. Nel riaggiornare il passato, Claudio gonfia la notizia. I biografi lo davano miglior studente del centrosud. Poco, per Lotito il latinista. “Non ero il migliore del centrosud, ma di tutta
Claudio Lotito cammina per le strade di Roma (FOTO ANSA)
secca che sulla mia candidatura avrebbe detto la sua uno come Fabrizio Cicchitto che non ha mai contato niente né in passato, né ora. La verità è che bisogna cambiare questo sistema. Senza le preferenze non si selezionano le classi dirigenti ma dentro le liste ci finiscono solo le zoccole, i prenditori e i magnager”. Qualcuno pensò al lapsus, lui ribadì’. “Quelli che pensano solo al binomio "F&S": figa-soldi. Non uno come me che è un monogamo convinto, piace in Vaticano e ha ritirato su una società come la Lazio che aveva 1070 miliardi di debiti”. Senza platea, Claudio non sa vivere. Lui, telecamera e folla: una trinità. E’ un magnetismo reciproco, la chiave di volta che ha fatto dell’oscuro imprenditore di un tempo, un protagonista assoluto
delle domeniche. Lo share si alza, i siparietti fanno il giro del mondo. “Mi comporto sempre nella stessa maniera, non guardo in faccia a nessuno. Credo che tutti abbiano capito chi sia Lotito. Io sono io. Slegato da qualsiasi centro di potere, fuori dalle mischie, estraneo ai condizionamenti”. Disgiunto, ma ancorato alle amicizie di un’epoca lontana. Quella con Cesare Previti, prese una mesta piega quando Umberto, il figlio dell’ex deputato di Forza Italia condannato nelle vicende Imi-Sir e Lodo Mondadori, portiere della primavera della Lazio, si vide preferire un omologo di ruolo. Cesare alzò la cornetta: “Mio figlio viene mortificato ormai da un anno e io mi sono rotto il cazzo. Te lo dico molto su di giri, sono laziale come patto d’onore
Comprò la Lazio nel 2004, da allora litigi, neologismi, crociate. E la battaglia per il “pallone pulito” si è incagliata Italia. La miglior pagella: la media del 9, ahò!”. Padre poliziotto, madre casalinga di Amatrice. Per Lotito studi classici e laurea in Pedagogia. Pazienza se i mezzi di informazione diventano neologismi: missmidia perchè come sostiene Claudio, le invidie passano e quelli come lui, rimangono. Sobrio, elegiaco, pudìco. “Mi sono ispirato a Dante Alighieri: ‘Non ti curar di loro ma guarda e passa’” . Quando si intenerisce, Lotito scivola nel melenso. E’ allora che il mondo diventa biancoazzurro e il passato, un angolo da ornare con ricordi ad uso e consumo del sostenitore ingenuo: “Ho cominciato a tifare Lazio all’età di cinque anni, per merito del fidanzato della mia tata. L’amore per il calcio, però, è arrivato dopo. Ho anche giocato: facevo il portiere, il mio idolo era
Yashin”. Così, come faceva il leggendario Lev, il presidente para i colpi della vita. Se gli storpiano il cognome, si incazza. Lotirchio non si riconosce nella descrizione. “E’ una bufala. Però non lascio avanzi nel piatto. Nella mia attività applico dettami morali ed etici”. Ai tempi di Calciopoli, il vernacolo lotitiano finì nei tabulati degli investigatori. Lui e Innocenzo Mazzini, vicepresidente della Figc, in amorosa e prolungata conversazione sul campionato della Lazio impegnata a Bologna in uno scontro chiave: “Domenica è importante perchè quel pezzo di merda di... (Gazzoni Frascara ndr) lo sai che mi ha fatto, quel cesso? ‘Domenica vieni da me? Io ti faccio una dichiarazione al vetriolo’. Dico vabbè, te fai la dichiarazione, noi ci prendiamo i punti”. Il 16 aprile 2005, nonostante la grama accoglienza della tifoseria bolognese: “Lotito mago del pulito e di colpo il debito è sparito” La Lazio vinse per 2-1. l’inibizione, L’arbitrato Dlità.opo del Coni riaggiustò l’onorabiTanto, per emendarsi, si può sempre guardare in alto. “Vengo da una famiglia molto religiosa: in tasca ho il vangelo e il rosario. Li porto sempre con me. Quel che ho fatto l’ho costruito con le mie mani, ma è stata la divina provvidenza a mettermi sulla strada giusta”. Oggi, il progetto originario si è smarrito per strada. La Lazio arranca, gli alterchi con Mancini e Di Canio e le accuse di “romanismo” sono alle spalle, come il grande futuro preconizzato da un’estate di vittorie bruciata troppo in fretta. Sui terreni di sua proprietà, vorrebbe costruire un nuovo stadio. Un classico. “Come imprenditore ho ricevuto tanto dal territorio in cui opero. Ho ritenuto che fosse giunto il momento di ricambiare”. Forse, abbattute le resistenze ambientaliste, ce la farà. Pazienza per buchi neri, dubbi, domande disfattismi. A chi insinua manovre poco chiare, Lotito oppone gli avvocati. Minacce di querela. “Ci vediamo in tribunale”. Diverbi a mezzo stampa con chi le notizie, prova a scriverle. Con Mario Sconcerti, in diretta: “Lei non può fare affermazioni che contrastano con il vero, la devo richiamare”. L’altro pronto: “Stia tranquillo” e Lotito ancor più lesto: “Lo sa che fine ha fatto tranquillo?”. In fondo c’è qualcosa di più importante. Sempre che al termine della parabola, non finisca come in quel film del 1970, con Alberto Sordi presidente del Borgorosso Football Club. Assediato e in disperato comizio finale per sedare la rabbia dei tifosi: “Un gruppo di traditori vuole impadronirsi della squadra. Manderò via chiunque: allenatore e giocatori. Voglio rinnovare tutto”. Sindrome e sinistra somiglianza con l’originale. Alle rate e al fisco, penserebbe allora qualcun altro e Claudio tornerebbe a uno sconvolgente, silenzioso, insopportabile anonimato.
VIERI SPIATO: “21 MILIONI DA TELECOM” Caso Tavaroli, l’ex bomber nerazzurro in Tribunale per la causa contro l’Inter e la società di telecomunicazioni di Gianni
Barbacetto
o, non andrò all’Isola dei famosi”. Bobo “N Vieri, giacca gessata su jeans strappati, esce dall’aula del tribunale di Milano che sono quasi le due del pomeriggio, dopo un’interminabile udienza per la causa civile da lui promossa contro Telecom e contro la sua ex squadra, l’Inter. Ha chiesto un risarcimento di 21 milioni di euro per essere stato spiato ai bei tempi in cui giocava in maglia nerazzurra e in cui la security Telecom, diretta da Giuliano Tavaroli, sfornava migliaia di dossier illegali. Vieri, a parte la smentita della sua partecipazione all’Isola e qualche altra battuta («Non ho più voglia di giocare a calcio e non sono tentato nemmeno dall’estero», «No, io non gioco a poker»), ha tenuto la bocca cucita, lasciando la parola al suo avvocato, Danilo Buongiorno, che si è detto molto soddisfatto dell’anda-
mento del processo: «Abbiamo avuto la conferma delle nostre indicazioni al giudice. Sono stati confermati fatti gravi che hanno enormemente limitato i diritti del mio assistito. Il caso non cadrà in prescrizione, dunque riusciremo ad avere soddisfazione. Non solo: chiederemo anche l’apertura di un procedimento disciplinare in sede sportiva». Contro chi? Evidentemente contro l’Inter e contro il suo presidente, Massimo Moratti, che secondo Vieri è all’origine della vicenda. Moratti avrebbe infatti chiesto all’amico Marco Tronchetti Provera di tenergli sotto controllo il suo calciatore, Tronchetti avrebbe girato la richiesta al suo uomo della security, Tavaroli, il quale avrebbe incaricato del dossieraggio uno dei professionisti che lavoravano per lui, Emanuele Cipriani. «Dovremo valutare attentamente gli atti penali sul dossieraggio Telecom, che sono stati acquisiti in questa causa», ha con-
cluso l’avvocato Buongiorno. Ma la piccola folla di cronisti e curiosi che ha aspettato per ore Vieri nel corridoio al sesto piano del palazzo di giustizia milanese era divisa in tre parti. C’era chi era lì per lui, Vieri; chi era lì per la sua fidanzata, Melissa Satta, che ha testimoniato prima di lui; e chi era lì per il giudice: sì, perché la causa era stata assegnata a Raimondo Mesiano, il magistrato che ha condannato Fininvest a pagare 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti per risarcirlo della perdita della Mondadori, finita sotto il controllo di Silvio Berlusconi dopo una sentenza comprata e venduta. Avrebbe potuto essere la prima udienza di Mesiano dopo gli attacchi subiti. Ma Mesiano non c’era: ormai
passato alla corte d’appello, la causa è stata trattata da un altro giudice, Sara Silvestro, che ieri ha ascoltato anche la testimonianza della madre di Vieri. L’avvocato dell’ex bomber ha chiesto che nelle prossime udienze siano sentiti anche Moratti e Tronchetti, oltre a Tavaroli. Poi, mentre i carabinieri bloccavano cronisti e telecamere, Bobo Vieri è scomparso nell’ascensore.
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SECONDO TEMPO
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IL PEGGIO DELLA DIRETTA
TELE COMANDO TG PAPI
L’Irap col colbacco di Paolo Ojetti
g1 T Qualche avvisaglia già c’era stata e ieri, finalmente, il Tg1 ha aperto con la “promessa moscovita” di Berlusconi, un papello spedito dalla dacia di Putin che Gianni Letta ha letto davanti all’assemblea annuale della Cna: meno tasse per tutti, a cominciare dall’Irap. E dunque, con l’edizione delle 13,30 del Tg1 si è ufficialmente aperta la campagna elettorale per le prossime regionali. Subito dopo le promesse, le premesse: il caso Mastella-Lonardo sarebbe solo l’inizio di una nuova tangentopoli campana. Certo, fa effetto vedere Mastella che da Napoli, con accenti sinceri, difende la sua trentennale e onorevole vita politica, ma come giustificare consuoceri con consulenze milionarie (in euro), ville simil-berlusconiane e Porsche? In ogni caso, a macinare tutto ci pensa poi il “dibattito politico” affidato a Ida Peritore, dove spicca la singolare tesi di Cicchitto: la politica non può selezionare il proprio personale tenendo conto delle indagini giudiziarie. E’ proprio così: datemi un indagato, ve ne farò un formidabile uomo politico.
g2 T Dopo il Mastella d’obbligo, ecco la notizia, la
prima, su Facebook e il sito “Uccidiamo Berlusconi” (19.000 aderenti): sarà chiuso e “gli utenti denunciati”. La sede legale di Facebook è a Palo Alto, in California e si pensa a una rogatoria internazionale per verificare chi e cosa c’è dietro il sito incriminato. Quale tipo di reato si possa ipotizzare non è cosa semplice, e il Tg2 non azzarda alcuna ipotesi. Nell’attesa, una cosa è certa: “Uccidiamo Berlusconi” ha ottenuto già un risultato, aiutare coloro che non aspettavano altro per dare una prima picconata alla rete, dove (escludendo siti simili) si esercitano molte delle libertà d’opinione che suppliscono alle scarse libertà informative del sistema radiotelevisivo.
g3 T Nessuna esitazione: la notizia del giorno è l’attacco di Draghi alla politica economica di Tremonti. E, ad ascoltare il governatore, le sue parole hanno un peso inconsueto e spazzano via gli ottimismi di maniera, tanto funzionali alle elezioni regionali e amministrative del prossimo anno: la crisi ha provocato un generale “azzardo morale”, la “sofferenza del mercato del lavoro”, la frettolosa liquidazione degli economisti, paragonati a tanti “maghi otelma”, la crescita inutile “del debito pubblico”. Dopo la nota politica consueta, un doppio servizio ha poi mostrato loi scontro fra Lega e Berluscones per la conquista della regione Veneto e i guai del Pd, alla ricerca di una candidatura accettabile per la Campania: par condicio perfetta.
di Nanni
Il lettino va in tv Delbecchi
li psichiatri vanno forte, e Gno certo basta guardarsi attorper capire che il lavoro non gli manca; dentro, fuori e durante la tv. Su Cult (canale 319 di Sky) è tornato il terapeuta Paul Weston (Gabriel Byrne), pensoso eroe della serie “In treatment”, con cui la Hbo ha sdoganato anche sul piccolo schermo il fascino della psicanalisi. Certo, da Woody Allen in poi gli strizzacervelli si vedono molto al cinema; ma sulla nostra tv non si è mai andati oltre i maglioni triplo cachemire di Paolo Crepet o il look total black, stile Emporio Armani, di Massimo Picozzi. Al massimo, per chi ama le esperienze estreme, ci sono i drammi familiari disposti da Maria De Filippi sul tavolo anatomico del sabato sera a “C’è posta per te”. Il dottor Weston è un’altra cosa, rappresenta una figura di medico televisivo effettivamente inedita. Né geniale ma arcigno come House, né affannato e con la lettiga incorporata come quelli di “E.R.”, né belloccio e lumacone come quelli di “Grey’s Anatomy”. Byrne interpreta con sobrietà il classico psicanalista che riceve i pazienti a casa
propria, uno per ogni giorno della settimana (dal lunedì al venerdì, ore 21), e poi tutti assieme, in sequenza, la domenica; giorno in cui anche egli stesso, esausto, va a farsi analizzare dalla collega Gina Toll (Dianne West). Un punto a favore di chi sostiene che la psicanalisi aiuta solo se stessa. casi sono drammatici e in Iturecostante evoluzione; rotamorose, figli perduti, traumi infantili, divorzi, separazioni; e tutto è evocato nell’intimità dello studio perché chiunque abbia un po’ di esperienza in materia sa che ogni analisi della psiche, per simulare un minimo di serietà, si deve svolgere nella privacy più assoluta piuttosto che dagli studi di Cinecittà. Tra l’intrattenimento e il trattamento il passo è breve come l’abisso. Ecco dunque una circostanza in cui solo la fiction può, in teoria, avvicinarsi al vero. E dove l’aspetto sicuramente geniale è quello produttivo; tutti i casini che una telenovela qualsiasi sarebbe costretta a mostrare, qui li sentiamo raccontare e Gabriel Byrne interpreta il dottor Paul Weston nella serie “In treatment”
basta, in un gioco infinito di primi piani in poltrona. Più i complessi di colpa lievitano, più i costi di produzione si azzerano. a verosimiglianza però fiLza nisce qui. Chi ha esperienin materia conosce bene anche i silenzi, gli imbarazzi, le frustrazioni estenuanti su cui si fonda il rapporto tra terapeuta e i suoi pazienti. Invece il dottor Weston esibisce un carisma vagamente depresso ma infallibile, parla a voce bassa come Marlon Brando nel “Padrino” e in 25 minuti sbroglia più misteri di Sherlock Holmes senza perdere mai “la forza dei nervi distesi”, come diceva il carosello di una vecchia marca di tè. Ma quando emette sentenze come “Ognuno merita quello che ha”, oppure “Lei preferirebbe morire piuttosto che essere debole”, il vantaggio, rispetto ai maglioni di Crepet, è sempre lo stesso: che almeno le sue sentenze sono finte. Certo, se un secolo fa Sigmund Freud avesse saputo che la sua intuizione avrebbe prodotto delle serie televisive come “In treatment”, probabilmente sarebbe corso dallo psicanalista; ma tanto non lo avrebbe trovato.
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MONDO
WEB
di Federico
Mello
“Uccidere Travaglio” Diritto all’idiozia i appello alla magistratura romana e al Ministro della Giustizia (ma credo non ce ne sia bisogno) affinché non facciano assolutamente nulla contro il gruppo 'A morte Marco Travaglio'. Il diritto all'idiozia è sacro e va garantito a tutti”. Con queste parole Marco Travaglio commenta il gruppo Facebook che si augura la sua morte. Diversa la reazione della politica che in questi giorni è insorta per le minacce al premier del gruppo “Uccidiamo Berlusconi”. Anche ieri non sono mancate le polemiche e le prese di posizione. Si è fatto sentire il ministro Rotondi “Le campagne di odio portano alle campagne di morte”, e il ministro Frattini “Il rischio è quello degli anni Settanta, quando la violenza delle parole si è poi tragicamente trasformata nella violenza delle armi”. Neanche il PD è rimasto a guardare: “É giusto che ci sia il massimo livello di attenzione” ha detto Enrico Letta; “Al gruppo ‘Sopprimiamo Franceschini’ sono iscritti in 2500” fanno notare dallo staff del segretario Pd. Eppure in questi ore si ha notizia di
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gruppi su Facebook che vogliono uccidere tutto e tutti. Citiamo solo alcuni obiettivi: Bassolino, Capezzone, Gelmini, ma anche Federico Moccia, Giampiero Mughini, il Papa, la cantante Arisa, il pilota Hamilton, il giornalista Enrico Varriale, Anna Tatangelo, Britney Spears, Josè Altafini, il gruppo “emo” i Dari e anche quel vecchio arnese di Topo Gigio. Insomma, le minacce Facebook appaiono cretinerie belle e buone. Eppure, tutti coloro che fomentano e alimentano questo tipo di campagne stanno facendo un pessimo servizio alla rete. Non a caso, proprio ieri, Gabriella Carlucci, già autrice di una legge che intende vietare “la pubblicazione in maniera anonima in rete di contenuti in qualsiasi forma” (quindi anche banali commenti) ha lanciato un allarme: “coprendosi dietro l'anoni-
mato molti utenti commettono reati gravissimi” ha dichiarato senza aggiungere ulteriori spiegazioni. Non solo. É tornato a farsi sentire anche il senatore Udc D'Alia, già conosciuto per la sua proposta di equiparare ogni pubblicazione su Internet a delle testate giornalistiche. Ieri ha rilanciato la sua proposta: “bisogna mettere mano a un provvedimento organico di disciplina della rete”. Ma il protagonista della giornata è stato Totò Cuffaro, ex governatore della Regione Sicilia dimessosi dopo la condanna in primo grado per favoreggiamento ad alcuni mafiosi. Cuffaro ha sparato nel mucchio: ha denunciato tutti coloro che avevano commentato un video su YouTube. Il video, uno del più visti in lingua italiana, è uno spezzone del famoso “ponte
feedback$
GRILLO DOCET JU TARRAMUTU
Il blog beppegrillo.it e il terremoto sono stati compagni di viaggio da subito con la testimonianza via Skype di Samanta Di Persio, l’autrice di “La vera storia del terremoto in Abruzzo”, che vive all’Aquila e fu tra gli sfollati di quella notte. Il blog ha pubblicato decine di post, centinaia di video della Rete (alcuni censurati), migliaia di commenti di abruzzesi e non. Chi ha seguito il blog sa che il terremoto non c’entra nulla con i morti. Se fosse avvenuto in Giappone, dove le case antisimiche sono la normalità, non sarebbe morto nessuno. Se fosse stato ascoltato il ricercatore Giuliani dalla Protezione Civile non sarebbe morto nessuno. Molte case sono state costruite con la sabbia, gli edifici pubblici sono stati tra i primi a crollare. La Procura sta indagando e il blog ne seguirà gli sviluppi. Il libro: “Ju Tarramutu” è un viaggio nell’incuria, nell’AntiStato. Il racconto di una tragedia che è solo civile, Non naturale.
televisivo” tra Michele Santoro e Maurizio Costanzo nel 1991. In studio era presente contro Giovanni Falcone contro il quale l'allora democristiano Cuffaro si scagliò violentemente: “Avete dimenticato di dire che un giudice corrotto ha costruito un'intera storia su un pentito volgare solo perchè serve al Nord” il suo antico sfogo tra i fischi. Ora Cuffaro dice che in quella puntata “rivolse una critica verso l’operato di un singolo magistrato, persona diversa da Giovanni Falcone”. Non la pensa così il milione di cittadini che ha visto il video su YouTube e il vasto popolo
che ha lasciato quattromila commenti. Al loro fianco scende Antonio Di Pietro: “L'Italia dei Valori – scrive sul suo blog – mette a disposizione dei commentatori denunciati da Cuffaro un pool di avvocati, una sorta di class action”. Ma nonostante prese di posizioni come quelle di Di Pietro, tira una brutta aria sulla libertà in rete. Il web si è popolato molto negli ultimi anni: i più giovani, ma non solo, hanno trovato uno spazio di espressione e di informazione indipendente. Non possono i deliri di alcune decine di cretini minacciare la libertà di tutti. E lo dicono chiaramente molti utenti che stanno ripubblicando ovunque il video di Cuffaro: la rete non si tocca.
DAGOSPIA
I NUMERI DI MARPIONNE
Questa volta la grancassa dei giornali che si mettono in ginocchio davanti alla Fiat ha dovuto arrendersi davanti ai numeri. E i numeri li hanno dati ieri Luchino di Montezemolo e Sergio Marpionne quando hanno detto che gli utili dell'auto sono scesi in picchiata anche se "ben al di sopra delle aspettative". Il mercato non ci ha creduto e il titolo è arrivato a perdere in Borsa fino al 6,5% per poi recuperare sull'onda di Wall Street. Ma i numeri più importanti li ha dati Marpionne quando ha parlato della produzione in Italia e della forza lavoro impiegata in cinque stabilimenti. Così si è capito che sono 21.900 i dipendenti nel nostro Paese e 645mila le auto prodotte. In Polonia lavorano 5.800 unità, mentre in Brasile 8.700 operai sono impiegati nello stabilimento di Betim. Il commento di Marpionne è stato lapidario ed è destinato a sollevare un polverone. "Questa è una realtà industriale non sostenibile" e senza mezzi termini ha fatto capire ancora una volta che dopo gli incentivi le fabbriche del Sud si dovranno fermare. Poi il manager dal pullover sgualcito ha lamentato il ritardo dei crediti nei confronti dello Stato che arrivano a poco meno di 1 miliardo, ma nelle orecchie è rimasto il filo del suo ragionamento Il gruppo "A morte Toto Gigio", il Linux Day, che suona come uno spezzone del video denunciato da Cuffaro, è “TUTTI GIÙ PER ARIA” un diktat nei confronti IL VIDEOCLIP CHE NON VA IN ONDA il videoclip “Tutti giù per aria” del governo: se gli Dario Fo, premio nobel per la letteratura, incentivi dovessero non “è competente” a parlare di Alitalia. fermarsi il crollo Con questa singolare motivazione il è SABATO IL LINUX DAY dell'occupazione sarà rettore dell'Università Bicocca di Milano IN 120 CITTÀ ITALIANE inevitabile. il 12 ottobre aveva negato un'aula Sabato 24 ottobre si svolgerà Vogliamo chiamarlo dell'Ateneo per la proiezione del in tutta Italia il Linux Day. ricatto? docu-film “Tutti giù per aria. L'aereo di Linux è il sistema operativo carta” autoprodotto interamente dagli ex libero, ideato nel 1991 dallo lavoratori Alitalia. Alla presentazione era svedese Linus Torvalds e prevista anche la proiezione di un implementato negli anni su Internet da migliaia di videoclip di Luca Bussoletti, curatore sviluppatori e appassionati. Il Linux day, ha delle musiche del film e, insieme ad l'obiettivo di promuovere l'uso e la conoscenza del Ascanio Celestini e allo stesso Fo, sistema operativo Linux e dei vari software liberi consulente artistico del film. La (da Firefox ad OpenOffice) affidabili e liberamente presentazione del film, verrà scaricabili in rete. “recuperata” il 29 ottobre all'università Per il Linux Day sono previste iniziative nelle statale di Milano. Il videoclip, invece, ci fa scuole, nelle università e nelle piazze di 120 città sapere Bussoletti, non verrà trasmesso italiane: incontri, dibattiti e degli “help desk” per chi dalle emittenti musicali. E non perchè vorrà installare un sistema operativo Linux e non sia piaciuto ma perchè, come ci dice ricevere supporto sul posto. Tutti gli appuntamenti Luca, “alcuni canali non vogliono su linuxday.it. compromettere i loro rapporti con Alitalia”. Non rimane che Internet: il video e su Youtube e su tuttigiuperaria.it.
è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “Governati dal malaffare” di Antonio Padellaro
Quando il malaffare diventa così pervasivo, temo che si debba parlare di una "anormale normalità". Il problema non lo si può risolvere alla radice semplicemente perchè questo sistema si basa su un meccanismo simile a quello della "mesata" descritto nel film Gomorra, da lei citato. (Paul ) Sig. Direttore, il vostro è sempre un lavoro preziosissimo che facciamo fatica a trovare in altri organi di informazione. Informateci per favore, non vi chiediamo altro, altrimenti ci obbligate a prendere le lamentele del povero onorevole Mastella per vere. (Ale) Dopo il danno la beffa: «Uno schifo - racconta Clemente Mastella -. Mi sono fatto passare i carabinieri e gli ho detto che non si dovevano permettere, che sono un parlamentare europeo, che stavano violando i miei privilegi». Capito come funziona? Lui ha i privilegi. (CoB) Vorrei domandare in particolare all'onorevole Mastella, come mai stavolta non si dimette come lo scorso anno (“Di fronte agli attacchi a mia moglie getto la spugna.Mi dimetto perché tra l’amore della mia famiglia e il potere scelgo il primo"). Stavolta la "spugna" se la tiene. (Paola) I soldi uniscono colori politici e posizione geografiche diverse. Io mi domando : ma tangentopoli è davvero morta nel 1994 ??? (Robs) Vorrei chiedere all'On. Mastella come mai, invece di stare a Strasburgo a lavorare, si è assentato venendo in Italia per tenere una conferenza stampa in difesa di sua moglie?Ma, gli affari privato non dovrebbero non essere conflittuali rispetto alla propria funzione pubblica? (Alessio Viscardi) Riflettendoci, solo in Italia la parola "giustizialista" (cioè 'colui che vuole giustizia') poteva essere usata come un insulto, o un'infrazione al galateo politico .. (Pier Papi) Sono così corrotti che per loro la corruzione è la norma. Si giustificano dicendo di non aver preso soldi, loro hanno "solo" raccomandato poveracci. Fingono di scordare quello che hanno negato a chi aveva merito ma non raccomandazioni, un lavoro a cui questi ultimi erano qualificati. Dobbiamo distruggere e annientare questa mentalità, altrimenti l'Italia non avrà speranze. (Federica) Diciamo che la raccomandazione in sè non'è reato ma quando i raccomandati sono più di seicento e magari in mezzo ci sono anche mazzette allora il discorso cambia. (Mimmo)
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Venerdì 23 ottobre 2009
SECONDO TEMPO
PIAZZA GRANDE Articolo 5: l’Italia può restare unita? di Lorenza
Carlassare
articolo 5 recita: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.” La Repubblica delle autonomie: un regionalismo forte nell’unità. Tocca nodi sensibili questa disposizione, una vera rivoluzione rispetto alle esperienze del passato. Inizia con due affermazioni legate fra loro; l’unità e indivisibilità della Repubblica è proclamata ad evitare che il riconoscimento solenne delle autonomie locali e gli ampi poteri legislativi attribuiti alle Regioni (art.117) mettano a rischio l’unità italiana. Abbandonato il modello di Stato unitario fortemente accentrato si vuole che nella ripartizione di poteri e competenze tra i diversi enti territoriali di cui la Repubblica si compone (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato : art.114) non vada perduta l’unità politica. La norma, collocata tra i principi fondamentali della Costituzione, segna una soglia invalicabile per gli stessi organi legislativi che intendano procedere a modifiche della Costituzione. L’unità è un limite al principio delle autonomie: sono due valori che devono comporsi non contrapporsi. La scelta della Costituzione è il pluralismo. Si cambia finalmente il volto dello Stato ponendo un principio nuovo contrario alla scelta accentratrice compiuta nell’800 e rafforzata poi
L’
dal fascismo. La trasformazione riguarda sia l’ordinamento della Repubblica - costituito da una pluralità di centri autonomi (regioni, province, comuni) e non più da un unico ente, lo stato -, sia la struttura dello Stato , non più verticistica ma decentrata, con organi periferici dotati di reali poteri. La carica rivoluzionaria di questa disposizione ha stentato molto a tradursi in un reale mutamento del sistema e ancora stenta. Non è facile rompere lo schema del passato, l’abitudine a un unico centro di comando, le resistenze dell’apparato burocratico , la mentalità consolidata. disposizioni su regioni, Lnuteeprovince e comuni contenella seconda parte della Costituzione (titolo V) trovano nell’art.5 un’anticipazione significativa: la collocazione del principio delle autonomie locali tra i principi fondamentali sottolinea il valore politico-costituzionale delle autonomie, strumenti di libertà e democrazia e non soltanto di buona legislazione e amministrazione: garantendo il diritto a partecipare attivamente alla vita degli enti territoriali (scriveva Esposito) costituiscono per i cittadini “esercizio, espressione, modo di essere, garanzia di democrazia e di libertà”. Autonomie territoriali e decentramento insieme dovrebbero evitare, attraverso un sistema complesso, che tutto si concentri nello Stato e che, entro lo Stato, tutto si concentri in pochi organi. Anche il “decentramento”, infatti, come principio fondamentale, implica un radicale rinnovamento dell’apparato statale. Esso in sostanza vuole che alla pluralità degli uffici statuali “corrisponda, nella più ampia misura, la indipendenza di decisione”; che gli organi periferici ”siano vincolati alle regole di diritto, ma non agli or-
IL FATTO di ENZO
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Berlusconi mi accusa di aver fatto un uso criminoso della tv. Quale sarebbe il reato? Stupro, assassinio, rapina, incitamento alla delinquenza, falso e diffamazione? Denunci. Il Fatto 18 aprile 2002
dini, alle direttive, all’influenza degli organi centrali”; che lo Stato, da meccanismo mosso dal centro, si muti “in organismo vivente, composto da parti viventi”. Un progetto difficile da realizzare, tanto lontano da una prassi vecchia e consolidata dalle origini dello Stato italiano. La valorizzazione delle autonomie, nella profonda differenza delle molte parti di un’Italia lungamente divisa in Stati diversi con norme, tradizione giuridica e cultura diverse (basta pensare alla civiltà del Granducato di Toscana il primo ad abolire la pena di morte), dovette cedere di fronte alle istanze di una rigida unificazione. Eppure - oltre ai progetti federalistici o autonomistici precedenti all’unificazione e al dibattito sempre vivo fino agli anni del fascismo - vale la pena ricordare che lo stesso governo Cavour presentò un disegno, steso da Farini e Minghetti succedutisi nella carica di Ministro dell’interno (1860-61), che mirava a conciliare l’esistente “varietà regolamentare delle parti d’Italia all’unità legislativa di tutta la nazione” creando un consorzio interprovinciale denominato Regione. Un disegno subito respinto benché molto cauto. L’unico ente con qualche autonomia a livello amministrativo fu il Comune, finché il fascismo non la compresse.
Caduto il regime la questione delle autonomie, in particolare delle Regioni, ripresa già con il governo Badoglio fu affrontata fin dall’inizio in Assemblea Costituente. Ma in questa parte la Costituzione rimase a lungo inattuata ; troppi interessi, troppe resistenze hanno ostacolato il cammino delle regioni che solo dal 1970 prende faticosamente avvio. La composizione tra i due principi fondamentali dell’art.5 – autonomie territoriali e unità dello Stato - non si è rivelata agevole. Ora si pensa a nuove modifiche del titolo V, s’intende, entro i limiti insuperabili dell’art.5: l’unità politica della Repubblica esige coordinamento, armonia e integrazione fra i vari livelli di governo, non contrapposizione politica; l’indivisibilità rende illegittima la divisione della Repubblica in più stati o la separazione di una parte del territorio. È possibile parlare di federalismo? Dipende da come lo si intende; la Costituzione disegna uno Stato regionale, o meglio, uno Stato delle autonomie tutte egualmente tutelate, non uno Stato federale. Se è vero che la differenza fra i due è solo quantitativa, si tratterebbe di comprenderne la misura per non infrangere l’unità. Non bastano i nomi a modificare le cose.
È possibile parlare di federalismo? Dipende da come lo si intende La Costituzione disegna uno Stato delle autonomie tutte egualmente tutelate, non uno Stato federale
giustamente
É
di Bruno Tinti
GLI INCUBI DI ALFANO N
ella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia, Alfano ha detto che aveva un incubo: la lunghezza dei processi. È intollerabile, ha detto, e la riforma che sto preparando vi porrà fine. Poi i progetti di riforma sono venuti fuori: separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati (che è già prevista), no alle intercettazioni, no alla Polizia giudiziaria nelle procure, divieto di utilizzare le sentenze definitive in altri processi per gli stessi fatti e furbate del genere. Queste riforme non accorciano i processi, li allungano. Per far capire quello che servirebbe davvero, racconto un processo che si è tenuto qualche giorno fa ad Ivrea, cittadina a 36 km da Torino, dove c’è un Tribunale, una Procura, un ufficio Giudici di pace e una Corte d’Assise. Qui è stato condannato all’ergastolo Domenico Agresta per l’omicidio di Giuseppe Trapasso; una storia di traffico di stupefacenti e di concorrenza tra bande rivali. Con Agresta erano processati Vincenzo Solli e Maxwell Caratti, tutti accusati di omicidio, porto d’arma e distruzione di cadavere perché, dopo aver sparato a Trapasso, lo hanno bruciato. Perché questi due non sono stati processati? Agresta ha chiesto un processo abbreviato, sperando in una diminuzione di pena: in effetti l’abbreviato è un po’ più rapido e semplice perché il giudice può utilizzare le prove raccolte dal pm senza rifarle tutte, come invece succede nel processo normale. Gli altri invece hanno deciso per il processo normale; e quindi il lavoro è raddoppiato. Ma la parte drammatica arriva adesso. Agresta, nel suo processo, ha depositato un memoriale in cui racconta che lui ha sparato a Trapasso, che Solli gli ha procurato l’arma ed era con lui quando questi è stato ucciso e che Caratti è arrivato dopo e li ha aiutati a bruciare il cadavere. Se tutti e tre fossero stati processati insieme, Agresta e Solli si sarebbero presi l’ergastolo e Caratti sarebbe stato condannato agli anni di galera che gli toccavano. Ma ora per Solli e Caratti si deve fare un altro processo con altre regole. E queste prevedono che Agresta, che dovrebbe raccontare quello che ha scritto nel suo memoriale, possa rifiutarsi di rispondere: il nostro geniale legislatore, ha inventato una figura particolare, l’imputato testimone (in gergo: impumone) che ha, sì, l’obbligo di testimoniare sugli altri imputati ma solo se il suo processo si è concluso con sentenza definitiva; se no, può dire “mi avvalgo della facoltà di non rispondere. ome ho detto, Agresta è stato condannato, però ci sono ancora Appello e Cassazione (e c’è da giurare che ci andrà, visto che si è beccato l’ergastolo); dunque la sua sentenza di condanna non è definitiva; e quindi è ovvio che non accuserà i suoi complici (che sempre fieri delinquenti sono e gliela farebbero pagare): se ne starà zitto e nessuno potrà farci nulla. Ma c’è il memoriale, in cui Agresta ha raccontato come si sono svolte le cose; quello si può acquisire. Si, ma solo con “il consenso delle parti” (così dice la legge). E, secondo voi, gli avvocati di Solli e Caratti daranno il consenso per l‘acquisizione di una prova che li incastra? Adesso, visto che Alfano ha il diritto di dormire in pace, gli suggerisco alcune riforme vere. Prima di tutto abolire i tribunali piccoli e trasferire tutte le loro risorse nei tribunali grandi. Si chiama riforma delle circoscrizioni giudiziarie, da 30 anni si dice che si deve fare ma, chissà perché (e gli avvocati che hanno i loro studi nelle città piccoline? e i magistrati capi degli uffici soppressi?), non se ne fa niente. Poi stabilire che tutti i processi si facciano come si fa il processo abbreviato, quello che ha permesso di dare presto e bene l’ergastolo ad Agresta. Poi abolire tutte le norme che vietano di utilizzare prove che permetterebbero di condannare un sacco di delinquenti. Solo che così Berlusconi sarebbe stato già condannato per corruzione dell’avvocato Mills … Capisco che Alfano preferisca tenersi i suoi incubi.
C
“Noi”, la politica come romanzo Walter Veltroni
di Furio Colombo
oi è un concetto estraneo alla psicoanalisi e alla psichiatria (eccetto che nei casi di personalità multipla), entra nella psicologia solo come identità di gruppo, fa parte del linguaggio familiare solo nei casi non frequenti e non tipici dell'autoriconoscimento di qualcosa di particolare a un clan o a un cognome ("Noi De Biase siamo sempre stati ostinati"), altrimenti il bello e il brutto della vita di famiglia è tutto un districarsi nella fitta vegetazione dell'amore, della protezione, dell'altruismo, dell'egoismo, dell'antagoni-
“N
smo, della negazione. “Noi” è il riferimento della sociologia che guarda ai comportamenti collettivi. “Noi” è il materiale da costruzione della politica, che non conosce (o deliberatamente ignora) “io” non perché rifletta un mondo generoso fondato sulla condivisione, ma perché la politica raccomanda sempre un comportamento comune, e anzi vorrebbe una partecipazione sempre più grande. “Noi” è il territorio che Walter Veltroni ha scelto per impiantare, sviluppare, espandere una storia-matrioska di situazioni private, vicende intime, grandi eventi pubblici e generazioni che si susseguono.
Con questa scelta, Veltroni ha introdotto qualcosa di radicalmente nuovo nel genere narrativo. Non il romanzo-saga degli antenati e dei discendenti. Piuttosto il romanzo della politica. O meglio, la politica come romanzo. Tipicamente il recensore letterario resta lontano dalla vita dell'autore e fedele al testo. E si pone le principali domande sull'impianto, la scrittura, l'evoluzione del testo. In questo senso, e da parte di quel che resta della grande critica, il libro di Veltroni meritava di più. In quattro scenari fondamentali della vita italiana i personaggi – specialmente i figli di ciascuna generazione – sono figure che esistono e restano in questo scorcio di letteratura italiana. Il racconto è spinto da un'ansiosa voglia, ma anche vocazione di raccontare che, almeno in tre parti su quattro (la
narrazione di ciò che è accaduto, più della narrazione di ciò che accadrà) incalza il lettore e lo tiene agganciato alla vicenda. Se fosse un film, le figure dei figli, dei più giovani che vivono soprattutto di attese e domande, sarebbero più nitide, più forti, più a fuoco delle figure degli adulti. Resta ai padri – ed è un importante riflesso autobiografico – la funzione di voce-guida, di figura attesa e desiderata piuttosto che fotografia di quel sognare mitico di stare insieme. Forse sono quattro importanti racconti immersi in un prologo che lambisce tutte le pagine e tutte le storie, più che un romanzo. Un prologo che racconta ancora una volta la parte non detta di questa narrazione: l'attesa del padre. “Noi” ha molte qualità della buona narrativa: il ricordo, la nostalgia, le variazioni del do-
lore, gli scatti di piccola felicità. Indica tempi, luoghi, una serie di eventi, di testimonianze, di parti di vita, in un territorio assiduamente e ansiosamente controllato da uno sguardo politico. È uno sguardo ampio e tollerante, che non taglia, include. È il suo modo di essere politico, ma anche di sorvegliare che niente di ciò che conta nella vita pubblica, e che diventa la Storia, vada perduto nella vita privata. L'intimità di ciascuno dei racconti-dialoghi che formano i capitoli successivi del libro, contiene un progetto. Dopo la guerra del Vietnam si diceva, negli Usa, che la vera divisione non era fra i sostenitori di guerra o di pace, ma fra coloro che – per o contro quel conflitto – si erano battuti, e coloro che avevano lasciato perdere. “Noi” è il romanzo in cui nessuno lascia perdere: ciascuno
vede, ricorda, racconta e passa il messaggio. Forse non avviene così nella vita dove – avvertono gli studiosi della mente – siamo tutti manipolatori selettivi della nostra memoria e – se ne abbiamo l'autorità – della memoria degli altri. “Noi” è un manifesto di vite semplici, che però sanno in tempo reale il senso di ciò che vivono e che raccontano. Rileggi “Noi” e scopri che il libro, che mostra le buone qualità del romanzo, è in realtà il saggio politico che in tanti si aspettavano da Veltroni. Per questo tutti gli eventi pubblici sono visti, raccolti, censiti, secondo l'importanza della Storia. Non sono la percezione e l'emozione dei fatti in tempo reale. In comune letteratura e politica hanno questo: ti indicano un lieto fine (benché lontano) che in realtà si raggiunge di rado.
Venerdì 23 ottobre 2009
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SECONDO TEMPO
MAIL Cosa dico alle mie figlie se chiedono della politica?
BOX
LA VIGNETTA
É con grande tristezza che scrivo queste righe. Ho letto del coinvolgimento del presidente del Consiglio della Regione Campania, alias lady Mastella, in una torbida vicenda. E il conseguente divieto di dimora che le è stato imposto. La mia famiglia ed io vorremmo fuggire da tutta questa immondizia morale, contro la quale è inutile ormai combattere, perché sembra siano state definitivamente sovvertite le categorie dell'etica: i delinquenti sono considerati persone per bene e gli onesti dei "farabutti". Penso allora che bisogna venire a patti con la delinquenza: se ci forniscono i mezzi per andare via, noi saremo ben lieti di lasciare al proprio de-
Alessandro
IL FATTO di ieri23 Ottobre 1376 Donne che hanno lasciato tracce preziose nella storia del mondo. Donne antiche, antichissime, spesso dimenticate. Come Eleonora d’Arborea, sovrana e legislatrice di Sardegna, giudicessa, condottiera e diplomatica, eroica reggente del regno giudicale di Arborea, ultimo a cadere in mano straniera. E madre e moglie carismatica. Entrata nella leggenda anche per quel sontuoso matrimonio del 1376 con Brancaleone d’Oria,descritto nelle cronache come evento epocale, per sfarzo e rilievo politico. Protagonista del medioevo giudicale, Eleonora passerà alla storia per la celebre “Carta de logu” del 1392,uno dei primi esempi di costituzione al mondo, distillato di modernità e saggezza legislativa emessa in un angolo del Mediterraneo già all’avanguardia nell’attuazione dello stato di diritto. Comprensiva di un codice civile, penale e rurale e articolato in 198 capitoli, la Carta de logu anticipa principi giuridici impensabili nell’Europa feudale del tempo. Come la comunione dei beni nel matrimonio,la libertà della donna di accettare o rifiutare il matrimonio riparatore, la difesa dell’ambiente, la personalità giuridica dei “ser vi”. Sintesi evoluta della scienza giuridica medioevale. Elaborata da una donna. Giovanna Gabrielli
stino questa terra martoriata dalle mafie. Il nostro impegno ormai non basta più, se si è costretti a scavare, per cercare il marcio, anche nelle alte istituzioni locali.
Diritto di Replica
Roberto De Luca
Non voglio farlo diventare un serial ma se Vincenzo Vasile replica alla mia replica mettendo altra carne al fuoco io non posso non difendere la verità dei fatti, che è l’unica in gioco e che riguarda non tanto la mia onorabilità, ma quella del Parlamento repubblicano e di un suo organismo bicamerale nato da una legge approvata dopo un anno di discussioni e votazioni parlamentari e cioè la Commissione bicamerale Mitrokhin composta di 20 deputati e 20 senatori. Vasile seguita a usare con me un tono puerile e, solo nelle sue intenzioni, sarcastico, e mi dichiaro pronto ad aiutarlo per migliorare. Stiamo ai fatti, peraltro tutti consultabili ne “Il mio agente Sasha”, mai smentito. Vasile dice di ricordare che Scaramella disse da Ve-
Cari politici, andatevene: ce la caveremo lo stesso Perchè le persone di cultura non lanciano un forte messaggio? Ad esempio: quando un politico di vecchia data è implicato in vicende giudiziarie molto gravi (si veda il caso Mastella), deve lasciare gli incarichi pubblici. Non perchè sia colpevole, ma semplicemente perchè la collettività, dopo essere stata governata dal personaggio
IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma lettere@ilfattoquotidiano.it
Paolo Guzzanti e la Commissione Mitrokhin
A DOMANDA RISPONDO SILVIO IN RUSSIA MA L’ITALIA È SNOBBATA
aro Colombo, Berlusconi è a Mosca per tre giorni. La sua agenda è segreta, le ragioni non dette, ma il segnale è clamoroso. L’Italia è nell’orbita della Russia-Kgb di Putin e non più in quella americana presieduta da Premio Nobel per la pace Barack Obama. Non è ora di calcolare le conseguenze di un cambiamento così rilevante? Eduardo
Mar y
in questione per anni, è capace di andare avanti anche senza di lui, e soprattutto senza il peso del sospetto di illegalità. Noi cittadini comprendiamo tutto l’impegno e la fatica che questi uomini fanno per tutelare i nostri interessi, al punto da non mollare mai la poltrona, neanche quando sono indagati o condannati. Capiamo, apprezziamo, rinunciamo volentieri. Stessa cosa per il cittadino Silvio Berlusconi: lui è un ometto di 74 anni, come tanti altri, che potrebbe (dovrebbe) benissimo ritirarsi e godersi la vecchiaia con i suoi nipotini e le nipotine. Non insisteremmo troppo per trattenerlo. Gli italiani, tutti insieme, saranno pur capaci di difendersi dai comunisti e dai giudici, grazie.
7 C
Ho due figlie che mi chiedono se "certe scelte" degli attuali politici sono di destra o di sinistra. Onestamente non so più cosa rispondere. Dico loro che la divisione non si può più fare da quando è iniziata la seconda Repubblica, anche se (spero in cuor mio) i valori fondanti della sinistra storica ci sono ancora: aiuto ai più deboli, tolleranza, senso dello Stato, legalità, diritti primari per tutti. Da un po' di tempo diversi rappresentanti della maggioranza dichiarano la loro appartenenza al socialismo, anzi tengono a sottolineare che sono sempre stati "socialisti". Cosa posso dire alle mie figlie? L'unica cosa che mi viene in mente è che nel 1919 un socialista fondò un movimento che divenne il partito fascista nel 1921.
Lady Mastella e la miseria morale
Furio Colombo
L’abbonato del giorno PIETRO GUERRA Il nostro abbonato del giorno, Pietro, è il ragazzo al centro della foto. Ci scrive: “Mi sono abbonato sulla fiducia il luglio scorso. La mia mamma Michela (insegnante precaria) vi legge ogni giorno ai suoi studenti e il mio papà Ivan (geologo in fuga in Svizzera) legge il "pdf" perché è sempre via in settimana. Pensiamo che un’informazione libera sia indispensabile per una società migliore. grazie, amici!” Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
spa di essere in possesso di videoregistrazioni di Litvinenko che riguardano politici italiani. Ebbene, punto primo, ciò che dice Scaramella non mi coinvolge: io rispondo della Commissione, dei suoi lavori, delle sue relazioni, punto e basta. Non rispondo della vita privata e pubblica degli oltre 60 collaboratori della Commissione, tutti indicati dai singoli partiti del Parlamento e tutti retribuiti secondo la tariffa stabilita dal Senato, vale a dire 1300 euro mensili lordi (Scaramella fu consulente soltanto per due anni). Ma, volendo e potendo entrare nel merito, posso rivelare che Litvinenko ha lasciato, prima che gli chiudessero la bocca col Polonio 210, circa un centinaio di ore di audio (non video) registrazione su cassette non violabili e non manipolabili, rese nel tempo a Scaramella (Litvinenko non aveva infatti con me e la Commissione alcun rapporto formale) e che io, in quanto Presidente della Commissione Mitrokhin non ammisi come materiale idoneo all¹archivio della Mitrokhin per il semplice fatto che Litvinenko forniva informazioni (mai su politici italiani) relativi al periodo successivo alla guerra fredda, e cioè estraneo a quello
CIÒ che sta accadendo nella politica estera italiana cambia le carte in tavola in modo clamoroso e introduce un evidente squilibrio. L’Italia di Berlusconi è un paese che confina a sud con la Libia e a nord con la Russia. Un paese membro della Nato divide i suoi segreti o ciò che apprende nella sua principale alleanza, con Gheddafi e con Putin. Il trattato di integrazione militare votato da tutto il parlamento italiano con una incomprensibile unanimità, prevede esplicitamente “lo scambio di tecnologie e di informazioni militari con la Libia”. Il rapporto con Putin, data la scarsa vocazione missionaria del primo ministro che governa la Russia, deve essere per forza basato su un dare-avere. Esempio: Berlusconi torna con utili faldoni già del Kgb, quei faldoni “dalla A alla Z” che sono stati pronunciati dal “Giornale” di famiglia contro i Bolscevichi di opposizione che hanno infiltrato le istituzioni italiane. E Putin, che a differenza del
che la legge 90 del 2002 poneva come limite temporale d¹indagine alla Commissione Parlamentare. La Commissione dunque non è mai stata in possesso di questo materiale, che è di proprietà del dottor Scaramella e ignoro che cosa lui ne faccia, né mi riguarda, se non dal punto di vista storico. Ma posso testimoniare per conoscenza diretta che non contiene nomi di politici italiani in quanto agenti del Kgb, servizio che cessò di esistere nel 1991. Naturalmente questo lo posso affermare con certezza perché all¹epoca conoscevo tutto ciò che Litvinenko mi faceva sapere attraverso il suo debriefing e fu proprio sulla base della conoscenza di quel materiale che potei decidere di escluderlo dall¹inchiesta perché irrilevante rispetto alla legge istituiva. Vasile seguita poi a ripetere come un disco rotto che il consulente Scaramella era mio uomo di fiducia il che è tanto vero quanto falso, dal momento che era un consulente esattamente come tutti gli altri (io avevo rapporti molto più frequenti e intensi con altri consulenti, anche della minoranza) e che ricevette i suoi incarichi non da me ma dal plenum della Commissione dopo ampia discussione e dopo voto palese, tutto a verbale, tutto consultabile. Il consulente Scaramella, poi, non frequentò alcun sottobosco ma si rivolse al più noto e antico transfuga ex sovietico Viktor Suvorv, che ha scritto e sul quale sono stati scritti decine di saggi storici; all’intellettuale ex dissidente (e non ex spia) e storico Vladimir Bukovsky e ad Oleg Gordievsky, ufficiale britannico di fama mondiale ed ex colonnello del Kgb, personaggio di primissimo ordine la cui storia fa parte della storia del Novecento, altro che sottobosco. Il sarcasmo sulla mia perfetta lealtà repubblicana nel mettere sotto chiave un documento che poteva turbare, e non turbò, la campagna elettorale del 2006, mi sembra tristissimo e polveroso ciarpame retorico, tipico di chi non ha nulla da dire e che infatti nulla dice. Paolo Guzzanti
Dall'intenso epistolario di questi giorni tra Guzzanti e il Fatto quotidiano, si ricava: 1) che Mario
Berlusconi, occupato con vendette contro i giudici, è un vero governante, chiede in cambio atti politici ed economici che mettono l’Italia fuori dall’Europa e lontano dall’America. L’asse Mosca-Tripoli fondato sulla giostra italiana, toglie faccia e reputazione al paese Italia. Del resto siamo lo stesso paese in cui il primo ministro ha definito “abbronzato” il nuovo presidente afro-americano degli Stati Uniti, forse ignorando che, nel tempo del razzismo americano, la parola scelta da Berlusconi era l’insulto peggiore. Ma poi Berlusconi è tornato da un suo viaggio americano senza gloria, senza una riga di notizia, senza tre o quattro secondi di televisione (all’Onu ha parlato alla sala vuota) e ha fatto sapere ai suoi concittadini che “anche la signora è abbronzata”. E tutto ciò pur avendo saputo dai giornali italiani e stranieri che quella parola era certamente un affronto. L’Italia è dunque un paese isolato, che fa con la Russia accordi estranei e contrari all’Europa. Dall’America è visto con sospetto come confidente di Putin e Ghedaffi. Ovviamente questa irrilevanza si riversa tra i paesi dell’Asia e ha già svuotato ogni credibile ruolo nella pace in Medio Oriente, dove la Russia sostiene Hamas, Hezbollah e Ahmadinejad. Dunque Italia mai così in basso. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
Scaramella, indicato finora da tutti come l'uomo di fiducia cui il presidente della Commissione Mitrokhin Paolo Guzzanti assegnava gli incarichi più delicati di indagine nel mondo delle spie dell'ex-Urss era solo per metà "metà vero e metà falso" - legato allo stesso Guzzanti. 2) Scaramella, sì, annunciò a Porta a Porta di avere raccolto dossier su uomini politici italiani in rapporto con i servizi sovietici, ma Guzzanti non ne sa nulla, e niente vuol sapere. 3) E per il "rispetto" che è dovuto al Parlamento repubblicano è meglio non parlarne più - siamo d'accordo - di questa Commissione che non riuscì - unica nella storia assieme all'analogo organismo bicamerale disastrosamente presieduto dall'avvocato Taormina sull'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - ad approvare uno straccio di relazione conclusiva, quella proposta dal presidente (per mancanza di numero legale, vale a dire perché, oltre ai parlamentari di minoranza, gli allora colleghi dello schieramento di destra cui Guzzanti apparteneva non se la sentirono di metterci la firma). Infine: che la "Mitrokhin", assieme alla contemporanea "commissione
Telekom Serbia" (ricordate Mortadella, Cicogna e Ranocchio e il faccendiere Igor Marini?) sia stata usata dalla Destra come un'arma di ricatto puntata alla tempia del governo Prodi per anni e anni, ormai non ha più alcuna importanza, sostiene sostanzialmente Guzzanti, se non per noi, topi d'archivio, ed è meglio leggere il suo recente libro, che ovviamente leggeremo. Non ne parliamo più, d'accordo, della "Mitrokhin". Questo perché, per dirla con Nietzsche, l'oblio dei ricrdi spiacevoli e imbarazzanti è fondamentale per la vita degli uomini, li distingue dagli animali. Eppure noi rimaniamo convinti che è pur vero che "...la serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto". E siccome sembra tornata, se si sfoglia il Giornale con cui Guzzanti collaborava fino a qualche tempo fa, la stagione dei ricatti e dei veleni, qualche vecchia storia della Commissione da lui presieduta - ci perdoni - ma ci sembra riacquistare una certa attualità. (V. Va.)
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