Il Fatto Quotidiano (29 Ott 2009)

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Berlusconi piomba a Ballarò zittisce tutti e insulta i magistrati. Come se fosse a casa sua. Vero Floris?

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Giovedì 29 ottobre 2009 – Anno 1 – n° 32 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

UNIVERSITÀ PUBBLICA ADDIO NON C’È UN EURO Largo ai privati, puniti ricercatori e studenti S

TV SORRISI E CALZINI

di Marco Travaglio

di Francesco Bonazzi

eno autonomia uguale più merito. E più privato uguale più qualità. Sono queste le equazioni che stanno dietro il provvedimento sull’università approvato ieri da Palazzo Chigi. Era dai tempi del sedicente “pacchetto sicurezza” che il volto ideologico della destra che ci governa non lasciava un’impronta tanto nitida. E lo si deve alla furia riformatrice di una figlia della Bergamasca come Mariastella Gelmini, il ministro dell’Istruzione che per diventare avvocato scese a sostenere l’esame in Calabria, in un’ottica di “istruzione patria” di chiara marca deamicisiana (dalle Alpi all’Appennino e ritorno). La realtà della riforma va oltre gli slogan ed è di volgare concretezza: come per la scuola, non c’è un soldo bucato neppure per gli atenei. Giulio Tremonti non sgancia e la Gelmini, che proprio ieri ha confessato al suo ideologo di riferimento Maurizio Costanzo di voler crivere un libro di “favole regionali” manco fosse Italo Calvino, copre così la sua triste realtà di piccola fiammiferaia di Viale Trastevere. Ci sono meno denari per gli studenti più bravi, ma si racconta che i criteri di attribuzione saranno più severi e meritocratici. Ci sono meno soldi per gli atenei pubblici e si restringe ulteriormente il diritto allo studio sancito dalla Costituzione, ampliando il ricorso agli odiosi test d’ingresso. Si vuole limitare l’offerta formativa delle università statali, limitandone l’autonomia, e si copre il tutto con l’ingresso del famoso “mercato”. Se almeno avessero il coraggio della provocazione culturale, si potrebbe discutere con una certa allegria. Potremmo chiudere gli occhi sugl’interessi dei privati “sussidiati” ai quali abbiamo assistito nella sanità e nei servizi pubblici essenziali. Potremmo berci la storiella che il contributo scientifico e culturale di Sciùr Brambilla e Cumènda vari sia la vera modernità. Potremmo perfino ripescare meravigliose provocazioni liberIllustrazione di Manuela tarie come quelle Nardi. In alto, di Enzensberger libera per un “ritorno al interpretazione precettore”. Poi pedell’ “Allegoria rò uno vede l’omdella menzogna” di bra di Giulietto MaSalvator Rosa, ni di Forbice e capidi Roberto sce che la prima faCorradi vola della Gelmini ha per titolo “L’ateneo dimezzato”. E allora la può raccontare giusto al Costanzo Show.

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Tremonti taglia in cinque anni più di Udi Peter Gomez mille milioni di euro e riduce gli atenei sul lastrico . Poi chiama in aiuto i privati COSA NOSTRA ai quali ne affida di fatto la gestione. TRATTA E i precari sono sempre più a rischio ANCORA Perniconi pag. 10 e 11 z

spettro del grande ricatto a che da mesi si agLgiraoBerlusconi nei palazzi della politica romana, si materializza a Palermo il 6 ottobre. Quel giorno all’improvviso il pentito Spatuzza, l’ex reggente della famiglia mafiosa di Brancaccio, autore materiale delle stragi del ‘93 e killer di don Puglisi, dà un senso alle parole di Bossi e Maroni, che sempre più spesso parlano di uno scontro tra il governo e mafia. pag. 2 z

CATTIVERIE Mariastella Gelmini annuncia al Costanzo Show che nel 2010 scriverà un libro di fiabe . S’intitolerà: come sono diventata avvocato

CASO MARRAZZO x Vortice di voci: altri parlamentari ricattati?

CHI VA CON I TRANS L’ONOREVOLE TREMA Gira una lettera anonima su un esponente della destra. Molti dicono: è saltata ogni protezione sulle nostre vite private. Altri accusano: via Gradoli? lo sapevano tutti. Lillo e Telese pag. 4 e 5 z

nGiornali Redazioni vuote vendite gonfiate Zanca e De Carolis pag. 3z

nil libro Eros Terminal il viagra e il potere Oliviero Beha pag. 14z

e un quisque de populo, parlo per esperienza, perde una causa civile in primo grado, la sentenza è immediatamente esecutiva e, di solito, la richiesta di sospensiva viene respinta: paga subito i danni, dopodiché può ricorrere in secondo e terzo grado: e alla fine, se gli danno ragione in appello e in Cassazione, chiede i soldi indietro. Se invece la causa in primo grado la perde l’azienda del presidente del Consiglio, che è anche l’uomo più ricco d’Italia e il premier più ricco del mondo, la sospensiva scatta in automatico, perché il poverino non ha di che sfamare le sue due famiglie e la numerosa prole, senza contare che ha pure la scarlattina. C’è poi un piccolo dettaglio che, se fossimo come lui, utilizzeremmo a reti ed edicole unificate per screditare il giudice: il presidente della II Corte d’appello civile di Milano che ha deciso la sospensiva si chiama Giacomo Deodato e ha lo stesso cognome e le stesse origini messinesi di un ex deputato di Forza Italia (per due legislature: dal 1996 al 2006): Giovanni Deodato. Ora, pare che i due Deodato da Messina non siano soltanto omonimi e concittadini, ma fratelli. Cioè: il giudice che ha salvato la Fininvest dall’obbligo di pagare subito 750 milioni a De Benedetti per lo scippo Mondadori, è il fratello di un esponente del partito del padrone della Fininvest. Il tipico comunista. Immaginate la stessa notizia a parti invertite: un giudice dà ragione a Di Pietro ed è il fratello di un tizio che fino a tre anni fa era deputato dell’Italia dei Valori. E figuratevi l’uso che ne farebbero i vari Feltri, Belpietro, Vespa, Betulla, Brachino o la voce bianca di Studio Aperto, per non parlare dei berlusconiani travestiti del Pompiere della Sera. Altro che pedinamenti a caccia di calzini turchesi. L’anno scorso, quando una gip di Salerno accolse la richiesta di archiviazione dei pm per un’indagine su De Magistris e si scoprì che era addirittura la cognata di Santoro, la banda del buco inscenò una gazzarra infernale solo perché Santoro aveva invitato due volte De Magistris ad Annozero. Su questo malvezzo di difendersi dai processi screditando i giudici anziché rivendicare la propria innocenza, ha già scritto mirabilmente Massimo Fini sul Fatto. Fino a prova contraria, se il giudice Deodato ha concesso la sospensiva alla Fininvest, non è perché è una toga azzurra: avrà avuto i suoi buoni motivi. E solo un malato di mente può inferire la sua appartenenza a Forza Italia da quella del fratello. E, anche se votasse Forza Italia, bisognerebbe ancora dimostrare che le sue simpatie politiche hanno influenzato la sua decisione. Ciascun giudice ha il sacrosanto diritto di avere le sue idee politiche e di vedersi riconosciuta la buona fede, sempre fino a prova contraria. Purtroppo però è un privilegio che, in questo paese di merda, tocca soltanto al giudice che dà ragione a Berlusconi. Infatti ieri, mentre la Fininvest incassava la sospensiva e risparmiava 750 milioni, l’on. avv. Ghedini così commentava la condanna di Mills: “Si conferma che a Milano non si possono celebrare processi quando vi sia un collegamento col presidente Berlusconi”. Dimenticava di aggiungere: “Salvo quando incontriamo Deodato e le decine di giudici che ci han regalato tre assoluzioni e sei attenuanti generiche con prescrizione incorporata”. Ma dimenticava pure – gliel’ha rammentato Luigi Ferrarella sul Corriere – che due anni fa il giudice che ha ricondannato Mills, Flavio Lapertosa, è lo stesso che aveva assolto il Cavaliere nel processo Sme-Ariosto, con una sentenza che definire stiracchiata è un complimento. Non si ricordano all’epoca tuoni e fulmini ghediniani contro l’intera magistratura milanese. Eppure proprio quella sentenza era l’ennesima “conferma che a Milano non si possono celebrare processi quando vi sia un collegamento col presidente Berlusconi”. Perché, di riffa o di raffa, trovano sempre il modo di dargliela vinta. Preferiscono vivere.


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Giovedì 29 ottobre 2009

I giudici: centinaia di milioni da Fininvest a Cosa nostra

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POTERI OCCULTI

erlusconi? Totò Riina lo vedeva “ come un soggetto che doveva pagare (alla stregua di tanti altri imprenditori), sia come un soggetto che avrebbe potuto aiutare l’organizzazione mafiosa sul piano politico”. La storia del premier, da sempre in trattative con Cosa Nostra, è raccontata nella sentenza di primo grado che ha condannato

Marcello dell’Utri a nove anni di reclusione per fatti mafia. Il tribunale dà per certo il versamento annuale a Cosa Nostra di centinaia di milioni di lire da parte della Fininvest e, in una telefonata intercettata, è lo stesso Berlusconi a dire, dopo un attentato alla sua abitazione milanese, di aver spiegato ai carabinieri che se il boss Vittorio Mangano gli avesse “chiesto 30 milioni” lui “glieli

avrebbe dati”. Per questo adesso i magistrati esaminano con attenzione anche una lettera di Vito Ciancimino indirizzata nel ‘94 al premier, in cui l’ex sindaco mafioso di Palermo, scrive: “Se passa molto tempo e ancora non sarò indiziato d’ingiuria sarò costretto a uscire dal mio riserbo che dura da anni...”. Berlusconi, infatti, almeno di fronte alla mafia, non denuncia. Ma, per i giudici, paga.

LA MAFIA TRATTA ANCORA

Da mesi aleggia lo spettro di un ricatto a Berlusconi da parte di Cosa Nostra di Peter Gomez

el 2004, dopo un colloquio investigativo con i pm della super procura, incontrai nel carcere di Tolmezzo, Filippo Graviano. Gli spiegai che ormai da quattro anni mi ero staccato da Cosa Nostra, ma che non potevo fare il passo finale. Non potevo mettermi a collaborare. Filippo stava veramente male. Aveva appena avuto un infarto, ma mi disse con un filo di voce: ‘a questo punto bisogna far sapere a mio fratello Giuseppe che, se non ar-

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“Sarà un caso che la mafia inizi ad innervosirsi... Abbiamo segnali che alcuni pezzi grossi della mafia in carcere stanno pensando di fare qualcosa. Ma noi andiamo avanti”, aveva detto il 13 settembre l’uomo del Viminale. “Penso che il caso delle escort sia stato messo in piedi dalla mafia: abbiamo fatto leggi pesantissime. L' ho spiegato anche a Berlusconi, chi ha in mano le prostitute è la mafia», gli aveva fatto eco il fondatore del Carroccio. Certo, entrambi i leghisti sostengono che Cosa Nostra reagisce alle (presunte) iniziative dell’esecutivo contro le cosche. Ma, accanto a questa interpretazione, ve ne un’altra, molto più accreditata da investigatori e magistrati. “La trattativa” tra Stato e mafia, proprio come raccontato da Spatuzza, è ancora in corso. E in carcere i boss delle stragi, stanchi di attendere una soluzione politica a lungo promessa, ma non ancora completamente realizzata, adesso minacciano di vendicarsi raccontando cosa è davvero successo nel 1993-94: il periodo in cui, stando alla sua sentenza di condanna in primo grado, Marcello Dell’Utri, allora impegnato nella creazione di Forza Italia, stringeva accordi con gli uomini dei clan. Attenti: non è fantapolitica. Perché i segnali, che dicono come in Cosa Nostra sia in corso un cambiamento epocale, si stanno mol-

Secondo investigatori e magistrati sono vere le rivelazioni di Spatuzza sui nuovi contatti con le istituzioni riva niente da dove deve arrivare, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati’”. Lo spettro del grande ricatto a Silvio Berlusconi che da mesi si aggira nei palazzi della politica romana, si materializza a Palermo il 6 ottobre. Quel giorno all’improvviso il pentito Gaspare Spatuzza, l’ex reggente della famiglia mafiosa di Brancaccio, autore materiale delle stragi del ‘93 e killer di don Pino Puglisi, dà un senso alle parole del leader della Lega Umberto Bossi e a quelle del ministro degli Interni, Roberto Maroni, che sempre più spesso parlano di uno scontro tra il governo e Cosa Nostra.

VOLI DI STATO

di Antonella Mascali

Il Tar chiede conto a B. di Apicella & C

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ilvio Berlusconi deve dare conto al Tar del Lazio di due voli di Stato con a bordo ragazze e il cantastore personale, Mariano Apicella, effettuati nell’estate 2008 per andare da Roma a Villa certosa, in Sardegna. Il tribunale amministrativo si è mosso su ricorso dell’associazione dei consumatori, Codacons, contro la direttiva della presidenza del Consiglio, che il 25 luglio 2008, ha allargato i casi in cui si possono usare i voli di Stato. Berlusconi, secondo un’ordinanza del Tar, ha un mese di tempo per esibire questa direttiva, come chiesto dal Codacons. I voli che il Premier dovrà giustificare, sono gli stessi che il Tribunale dei ministri ha giudicato regolari, archiviando le accuse di abuso d’ufficio e peculato perché, secondo i giudici, su quegli aerei gli ospiti erano sempre accompagnati dal presidente del Consiglio e la materia è "interamente regolata da direttive della presidenza del Consiglio dei ministri".

tiplicando. Ormai molti uomini d’onore non pentiti prendono la parola nei loro processi. E, per la prima volta, lo fanno per difendersi senza però negare la loro appartenenza all’organizzazione. Ha cominciato Salvatore Lo Piccolo, il boss che sperava di succedere a Bernardo Provenzano. Poi è stato il turno di Nicola Mandalà, il ragazzo di Villabate figlio di un dirigente di Forza Italia, che per anni aveva protetto la latitanza di zu’ Bino: “È vero sono mafioso, ma quell’uomo non l’ho ucciso io”, ha detto in aula Nicola lasciando tutti di stucco. Infine, il 28 settembre, a parlare è stato il più importante di tutti: Giuseppe Graviano, 46 anni, 15 dei quali trascorsi in prigione. Durante il processo contro l’ex senatore democristiano Vincenzo Inzerillo - un politico che nel ‘93, secondo l’accusa, sapeva come le stragi fossero opera dei fratelli Graviano, ma che tentò di convincerli a desistere - Graviano è intervenuto in videoconferenza dal carcere milanese di Opera. E quando gli è stato chiesto, “Signor Graviano lei fa parte di Cosa Nostra”, ha risposto secco: “Sono stato condannato per 416 bis (associazione mafiosa ndr)”. Eccola qui, allora, la grande paura di Silvio Berlusconi. Eccola qui, nascosta dietro le facce apparentemente pulite di Filippo e Giuseppe, due capi mafia non ancora cinquantenni, che in carcere indossano giacche all’inglese e golfini di cachemire. E che, nel 1996, sono persino riusciti a far uscire di prigione due provette grazie alle quali le loro mogli hanno avuto un figlio. Dietro le sbarre i Graviano si sono

diplomati. Giuseppe ora spera addirittura di laurearsi in biologia molecolare e intanto conta i giorni che lo separano dalla morte. Sì, la morte. Perché, per quelli come lui, per i mafiosi che da ragazzi davvero pensavano di piegare la politica a colpi di tritolo, sui ruolini delle prigioni sta scritto: “fine pena mai”. Eppure una volta tutto era diverso. Nel gennaio del ‘94, racconta Spatuzza , Giuseppe “era felicissimo, sembrava uno che aveva vinto al superenalotto”. Seduto a Roma, a un tavolino del bar Doney, ripeteva: “Abbiamo chiuso tutto. Abbiamo chiuso tutto”. Sosteneva che con Berlusconi e Dell’Utri era stato raggiunto un accordo: “Il paese è in mano nostra”, diceva prima di ordinare a Spatuzza di “dare il colpo di grazia”. Cioè di uccidere cento carabinieri con un attentato, poi fallito, allo Stadio Olimpico. Come è andata finire è cronaca. Il 27 gennaio i fratelli Graviano vengono arrestati a Milano proprio dai militari dell’Arma e, da quel giorno in poi gli investigatori cominciano a parlare dei loro presunti collegamenti con Dell’Utri e Forza Italia. All’ombra della Madonnina, infatti, i Graviano ci stavano ormai da due mesi. E con loro, negli ultimi giorni, c’erano pure le fidanzate e due uomini, con mogli e figli. Uno era il padre dell’attuale centrocampista dell’Udinese, Gaetano D’Agostino. Le carte processuali raccontano che, prima un commerciante palermitano di vestiti legato a Dell’Utri e alla mafia, e poi forse gli stessi Graviano gli avevano promesso di far giocare il figlio

nei pulcini Milan. “Stai tranquillo vedrai che ti troviamo anche un posto di lavoro a Euromercato (allora gruppo Fininvest ndr), lo rassicuravano i boss. Dell’Utri nega. Ma almeno i rapporti tra i Graviano e la neonata Forza Italia, non possono essere smentiti. Uno dei cellulari usati dai fratelli durante la latitanza, chiamava spesso il presidente del club di azzurro di Misilmeri, Giovanni La Lia, cugino del boss Salvatore Benigno, pure lui condannato per le stragi del ‘93. E sempre La Lia era presente alla prima grande riunio-

ne del movimento di Berlusconi Palermo. Quelli di Forza Italia l’avevano organizzata a Bracaccio, nell’Hotel San Paolo Palace, l’albergo a cinque stelle di un altro importante presidente di club: il costruttore Giovanni Ienna, un imprenditore che investiva i soldi di Filippo e Giuseppe. Per questo oggi, mentre in carcere i due fratelli contano i minuti e pensano il dà farsi, le tracce di quel traffico telefonico a Palazzo Chigi fanno paura. Più dei ricatti delle escort. Più delle indagini dei “pm comunisti”.

Silvio Berlusconi

Il procuratore aggiunto di Milano, Robledo: Toghe rosse? Sì, dal sangue versato da Falcone di Gianni Barbacetto

oghe rosse? Sì: per il sangue ver“T sato”. Alfredo Robledo, procuratore aggiunto a Milano, è abituato a parlar chiaro. Così, quando i cronisti delle agenzie gli hanno chiesto come aveva reagito alle parole di Silvio Berlusconi a “Ballarò” («La vera anomalia italiana sono i pm e i giudici comunisti»), ha risposto così: «Se le nostre toghe sono rosse, lo sono per il sangue versato dai magistrati che hanno pagato con la vita la difesa della legalità e dei valori costituzionali, a cominciare da Falcone e Borsellino», e di tutti gli altri che «hanno perso la vita in nome della difesa della legalità». L’Associazione nazionale magistrati in una nota ha scritto: «Ogni occasione

Dura replica dopo l’attacco del premier alla magistratura durante la puntata di Ballarò

sembra buona per denigrare l’ordine giudiziario e descrivere i palazzi di giustizia come sezioni di partito. Nessun ufficio giudiziario merita queste infondate e ridicole definizioni, tanto meno quello di Milano. Rispondiamo solo alla legge e alla Costituzione: i magistrati non devono essere intimiditi». Ma sono state le parole di Robledo ad avviare una piccola valanga di messaggi di sostegno. Il più vibrante è quello di Giovanni Tamburino, oggi giudice di sorveglianza a Venezia: «Bravo Alfredo Robledo. Bravo perchébastano poche parole. Tre. Rossi per il sangue versato. ROSSI PER IL SANGUE VERSATO. È proprio così. Ricordiamolo. Stavolta davvero tutti. E diciamolo. Ripetiamolo. Scriviamolo a intestazione dei messaggi, delle lettere, delle mailing list. Da oggi. Fino a quando? Fino a quando non ve ne sarà più bisogno». Tamburino è un magistrato che ha visto la nascita del termine «toghe rosse» e che ha memoria delle due stagioni degli attacchi ai magistrati. La seconda, quella in corso, è nata dopo “Mani pulite” come reazione alle indagini (e poi alle sentenze) sulla corruzione degli uomini della politica. Ha in Berlusconi il suo campione assoluto, ma ben anticipato da Bettino Craxi che attaccò

duramente i magistrati di Milano che osarono mettere in carcere Roberto Calvi per la bancarotta dell’Ambrosiano. La prima stagione d’attacchi (oggi ormai dimenticata) nacque invece nel marzo 1972: quando uno sconosciuto giudice istruttore di Treviso, Giancarlo Stiz, con il pm Pietro Calogero, aprì la “pista nera” nelle indagini sulla strage di piazza Fontana: la stampa di destra si scatenò per la prima volta contro i “giudici comunisti”. Non importava che Stiz, uomo d’ordine, provenisse da una famiglia di tradizioni militari. Due anni dopo, fu la volta di un altro uomo d’ordine, Giovanni Tamburino appunto, allora giudice a Padova, a cui fu assegnata per caso un’indagine proveniente da La Spezia: quella sui tentativi golpisti della Rosa dei venti. Poi toccò, a Milano, a Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Alessandrini, che ereditarono l’inchiesta su piazza Fontana proveniente da Treviso. A Bologna, a Libero Mancuso e Claudio Nunziata, che per dieci anni ha dovuto difendersi dalle accuse disciplinari e penali. Poi è stata la volta di Giuliano Turone e Gherardo Colombo a Milano, colpevoli di aver scoperto le liste della P2. Nella prima stagione, almeno, il comunismo esisteva ancora. Oggi di rosso resta proprio solo il sangue versato.


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Giovedì 29 ottobre 2009

Le testate che nessuno ha mai letto ma costano milioni di euro

I

SOLDI BUTTATI

l dibattito sui finanziamenti pubblici all’editoria si è riaperto perché Radio Radicale batte i pugni. All’emittente che da anni trasmette dirette parlamentari, fa rassegne stampa seguitissime, e offre un autentico servizio pubblico - il governo minaccia di non rinnovare la convenzione ministeriale. Lei rischia di chiudere. Altri

navigano nell’oro. Decine e decine di testate che continuano a ricevere soldi dallo Stato, attraverso gli escamotage più bizzarri: testate organo di partito (basta la firma di un paio di parlamentari), cooperative di giornalisti, tirature gonfiate ad arte. Non si tratta solo della stampa nota (Il Foglio, l’Unità, Il Riformista, la Padania, Il Manifesto), ma soprattutto di

realtà sconosciute ai più. Qualche esempio? Notizie Verdi: la società che lo edita becca due milioni e mezzo di euro l’anno. CronacaQui.it: altri tre milioni e sette. La Voce Repubblicanaha preso invece ‘solo’ 624 mila euro nel 2008. Un’enormità per un giornale che nemmeno gli edicolanti hanno mai sentito nominare.

IL MISTERO DEI SOLDI AI GIORNALI REDAZIONI VUOTE VENDITE GONFIATE Nel 2011 sarà applicato il nuovo regolamento all’editoria di Paola

Zanca

iù di duecento milioni in un anno. Sono i contributi pubblici arrivati nelle casse dei giornali solo nel 2008. Anche ai giornali che giornali non sono. Ne abbiamo dato conto ieri, mettendo nero su bianco i numeri di uno sperpero indigeribile. Oggi vi raccontiamo alcune di queste storie. Quella di “Libero”, ad esempio. O quella de “Il Campanile”. O “Sportsman - Cavalli e Corse”. Tutti finanziati dallo Stato per un totale di do-

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dici milioni di euro. Intanto, il Consiglio dei ministri proprio ieri ha approvato il nuovo Regolamento sui contributi pubblici all’editoria. Sarà operativo dal 2011: secondo le nuove norme, il calcolo dei contributi verrà effettuato in base alla vendita effettiva delle copie e non alla semplice diffusione, per evitare il trucchetto delle copie regalate. Inoltre, potranno ricevere il finanziamento pubblico solo le aziende che hanno regolarmente assunto giornalisti e poligrafici. Resta da capire dove si troveranno i soldi. Al

Trovate

Libero grida: “Viva il Re!” ibero” e i monarchici? Una storia che va avanti da anni. Era “L il 2000 quando l’allora direttore Vittorio Feltri fondò il giornale: pensò bene di portare con sé una dote sostanziosa, quella che gli veniva garantita dal “Movimento Monarchico Italiano”, che già lo aveva finanziato durante i suoi anni a “Il Borghese”. Ci si perde nelle variazioni di natura giuridica della società editrice del quotidiano – prima organo dell’MMI, poi cooperativa di giornalisti, oggi società uni-personale – ma quel che rimane solido è il filo diretto con i nostalgici del Re. Ancora nel 2008, come abbiamo ricordato nel giornale di ieri, Libero ha ricevuto un finanziamento pubblico di quasi otto milioni di euro. Come ha fatto? Facile, la testata del quotidiano è ancora di proprietà di “Opinioni Nuove”, guarda caso organo ufficiale dell’MMI. Paradosso vuole, che uno dei più incattiviti nel denunciare il “furbo espediente” di Feltri fu, un anno fa, l’attuale direttore di “Libero”, Maurizio Belpietro, dalle pagine di “Panorama”. Chissà se anche lui, d’ora in avanti dovrà dare prova degli esercizi di stile del suo predecessore. Gli articoli a firma Emanuele Filiberto di Savoia, per esempio. Oppure quei “contenuti divulgati tramite le pagine di Libero” che inorgogliscono il segretario dell’MMI, Alberto Claut. Ma cos’è questo MMI che ha accesso a una parte così cospicua delle finanze pubbliche? Il telefono della sede nazionale, a Padova, squilla a vuoto tutto il giorno. In compenso, abbiamo trovato aperta la sede romana. Peccato sia l’ufficio di un commercialista, il dottor Novellino. Le segretarie nemmeno sapevano che a quell’indirizzo rispondesse pure il coordinamento laziale del movimento. Certo, a lavorare in un ufficio con le pareti tappezzate da gigantografie di reggimenti, ritratti di Umberto II e la bandiera sabauda, qualche dubbio sarebbe dovuto venire. Ma tant’è. Politicamente, l’MMI dal 1999 “è ufficialmente rappresentato in Parlamento, a seguito delle dichiarazioni di appartenenza di alcuni deputati e senatori”. Dieci anni dopo, i monarchici non hanno remore ad ammettere che il programma di governo “che meno si discosta” dalla loro Carta programmatica è quello del Popolo delle Libertà. Nomi? Due sicuri: Giustina Destro, già sindaco di Padova, oggi deputata Pdl, è una dei referenti istituzionali dell’MMI. E Maria Elisabetta Alberti Casellati, eletta al Senato nelle liste del Pdl, e ora nientemeno che Sottosegretario alla Giustizia. A garantire contributi di un certo peso, infine, ci sono le migliaia di copie regalate, come documentò “Report” in un’inchiesta di due anni fa: all’ingresso della metropolitana, negli ospedali, negli alberghi vengono scaricate mazzette di “Libero” in quantità. La tiratura aumenta, e così pure il contributo dello Stato. Repubblicano. pa.za.

momento mancano perfino 70 milioni di euro dei contributi per il 2009, con una serie di testate a rischio chiusura, perché sull’arrivo di quei soldi avevano già fatto affidamento. Se lo chiede la Federazione Nazionale della Stampa: "Se il regolamento innovativo dovesse intervenire di fronte ad una realtà nel frattempo impoverita di testate e occupazione a causa di obblighi finanziari non mantenuti, ogni novità sarebbe inefficace”. “Da settimane - ricorda anche il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti – siamo in attesa di un'audizione del sottosegretario Bonaiuti per chiedergli che fine hanno fatto i 70 milioni per il settore, dei quali il Parlamento ha votato il reintegro nei fondi per il 2009. Non si può esprimere alcun giudizio sul regolamento – conclude – se non si chiarisce prima il mistero dei finanziamenti”.

EPURATI GRATIS

“ROMA” SECONDO BOCCHINO N

el caso spulciando la lista dei giornali finanziati dai contribuenti vi sia caduto l’occhio sul “Roma”, sappiate che è il quotidiano edito da Italo Bocchino, ex di An ora rampante deputato Pdl. A Napoli e in alcune edicole intorno ai palazzi romani pare si trovi ancora. Il primo direttore di quel giornale, nel 1996, fu Enzo Palmesano. Il 15 dicembre del 1996 viene licenziato, punizione per essersi opposto al licenziamento di un altro giornalista. Tredici anni dopo Palmesano sta ancora aspettando i soldi della liquidazione e gli stipendi arretrati. Non sono serviti avvocati e sentenze favorevoli. Il kafkiano meccanismo di erogazione dei sussidi ai giornali ha determinato intrecci di cooperative e società editoriali che si passano tra loro la testata del giornale (da cui dipendono i contributi). Risultato: nessuno vuole pagare il dovuto a Palmesano, che da tredici anni non si rassegna. Per la cronaca: Bocchino non ha mai dato spiegazioni e “Il Roma” continua a incassare denari pubblici: nel 2008 ha avuto 2.530.638 euro.

Il Campanile

2007. Enormi, per un quotidiano con una tiratura dichiarata di 5000 copie, di cui solo 1500 distribuite nelle edicole, e una redazione con sette giornalisti professionisti. I soldi dei contribuenti non sono bastati. Il “Campanile”, fondato nel 2000, non esiste più, anche se la pagina su Internet è ancora attiva. Un sorridente Mastella chiede di abbonarsi con bonifico bancario “per dare forza alle ragioni del Centro”. Ma i numeri di telefono per ulteriori contatti sono staccati o inesistenti. L’Udeur ha smobilitato, e il giornale non poteva sopravvivergli, nonostante i milioni di euro ottenuti. Una delle ragioni sociali tramite cui, grazie alle leggi sull’editoria, si possono ricevere i finanziamenti statali. “Trotto e Turf”, quotidiano di “politica e cultura ippica”, li prende perché edito da una cooperativa di giornalisti. Ovvero “La Verità”, creatura di Giuseppe Tatarella, cugino del co-fondatore di An, vicepremier nel primo governo Berlusconi. In origine “La Verità” era anche il nome di un quotidiano napoletano, poi diventato “Napolipiù – La Verità”. Ma il giornale è fallito nel 2008, nonostante contributi statali per un milione e 700mila euro. Tatarella, nato a Milano ma con origini pugliesi, si è tenuto testata e cooperativa, e con nuovi soci ha fondato a Milano “Trotto e Turf”, specializzato in puntate su cavalli. Un settore che Tatarella conosce bene, visto era uno dei soci di un’altra cooperativa, la Coedip, che faceva uscire il quotidiano “Sportsman - Cavalli e corse”. Anche questo fallito, nonostante il diluvio di soldi pubblici del 2008: due milioni e 530mila euro. Nel gioco di incastri e finanziamenti incrociati, “Trotto” ha preso il posto di “Sportsman”. Il direttore responsabile di “Trotto”, Marco Trentini, conferma: “Più o meno i giornalisti sono gli stessi di Sportsman”. Resuscitato, grazie ai contributi statali. Trentini, gentilissimo, non si scompone: “Non abbiamo nulla di cui vergognarci. È giusto che lo Stato ci aiuti, perché ‘Trotto’ è un giornale vero, non una pubblicazione finta”. Il direttore snocciola numeri: il quotidiano ha una tiratura tra le 25 e le 40mila copie, e vi lavorano 30 giornalisti, di cui 12 con contratto a tempo indeterminato, più collaboratori. “Lo Stato fa bene a dare una mano” conclude Trentini. Trasparente.

I “fantasmi” di Clemente di Luca De Carolis

giornalisti sono spariti, assieme alle bandiere Ial citofono, di partito e alle auto blu. “È inutile che suona qui non c’è più nessuno da almeno tre mesi” spiega un condomino. Inutile cercare: de “Il Campanile Nuovo”, il quotidiano di Clemente Mastella e dell’Udeur. È rimasta solo la targhetta sul citofono. La sede al quarto piano di una palazzina in largo Arenula, nel centro di Roma, è vuota. Sgombri anche gli uffici dei Popolari - Udeur, due piani sotto. Al loro posto, solo il rumore per i contributi pubblici al “Campanile”. Un milione e 150mila euro, ricevuti nel 2008 dallo Stato per le spese di gestione del

Fine-vita, il Pdl punta sul testo del Senato. Pd e Idv insorgono discussione sul testaLmeraamento biologico alla Caripartirà dal testo sul fine vita uscito dal Senato. In questo senso ha votato la commissione Affari sociali, provocando l’insurrezione di Pd e Idv. Mentre per una volta la Binetti e i teodem hanno votato compatti con la loro maggioranza. A favore della proposta del relatore Di Virgilio (Pdl) di ripresentare il contestatissimo testo Calabrò licenziato dal Senato hanno votato a favore, in commissione Affari sociali, 24 esponenti della maggioranza con l'Udc, mentre i contrari sono stati 18. Il relatore Di Virgilio ha illustrato la sua proposta dicendosi pronto a prendere in considerazioni modifiche nel corso dell'iter del provvedimento alla Camera. Voto contrario della pattuglia dei 'teodem' guidati da Paola Binetti. "Ho votato contro pur condividendo il testo dell'impianto - ha spiegato la Binetti - perché mi sarebbe sembrato piu' corretto, da parte del relatore, dire subito che si intendeva ripartire da lì senza tenerci in sospeso, in una sorta di 'suspence' per tutto questo tempo". Il relatore, Giuseppe Di Virgilio, dal canto suo si dice "negativamente sorpreso dalla votazione contraria dei teodem, perché siamo nel bicameralismo, non si può ignorare il lavoro di un ramo del Parlamento, che ha registrato ben settanta votazioni in un iter del provvedimento che è durato mesi. Mi sono anche detto pronto - ha sottolineato Di Virgilio - a migliorare il testo e a fare tutto il possibile per renderlo più vicino ai bisogni delle persone”. rispetto a questa scelta Efanno del Pdl, sia il Pd che l’Idv muro. "Di Virgilio e il Pdl parlano di dialogo ma ripropongono lo scontro. Dopo tre mesi di approfondito dibattito, a fronte di una opposizione che ha dimostrato tutta la volontà di dialogare e dopo oltre trenta audizioni che hanno suggerito cambiamenti al testo Calabrò, il relatore Di Virgilio, anziché presentare un nuovo testo base o fare un comitato ristretto, ha scelto di ripresentare il testo dello scontro”, attacca Livia Turco. Mentre Silvana Mura e Antonio Palagiano (Idv) spiegano: "La scelta di adottare come testo base il ddl Calabrò è un atto di arroganza e al tempo stesso dimostra che sul testamento biologico si vuole seguire una linea di chiusura, volta a confermare quanto approvato dal Senato".


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Berlusconi: le elezioni del Lazio si possono tenere nella data stabilita

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VELENI

e dimissioni di Marrazzo hanno aperto ufficialmente la corsa per le elezioni Regionali del Lazio. Infatti, sono sciolti sia la Giunta (in carica solo per l’ordinaria amministrazione) che il Consiglio. E ad affermare che si può ragionare sull’ipotesi di tenerle nella data prevista, il 28 e il 29 marzo, è anche il presidente del Consiglio, Silvio

Berlusconi: "Credo che le elezioni per il rinnovo del Consiglio Nazionale del Lazio debbano tenersi alla data stabilita insieme con quelle delle altre regioni. Anticiparle non avrebbe senso". Novanta giorni sono il tempo massimo per indire i comizi elettorali, dopodiché la campagna elettorale dura 45 giorni. Se i comizi fossero

indetti oggi, il Lazio potrebbe andare alle elezioni il 13 dicembre. Se invece si avvalesse dei 90 giorni per indire i comizi, si arriverebbe al 7-8 marzo. Ma la maggioranza in Regione sta lavorando per trovare un’intesa con il centrodestra in modo di arrivare comunque alla data già prevista per le elezioni, il 28 e il 29 marzo.

il fatto politico

Caso Marrazzo: tutti temono le tante verità di Natalie

dc

Il Cavaliere incorporeo di Stefano

senza apparire in Acasanche corpo, chiuso nella sua di Arcore

ANCHE DUE EX MINISTRI AVREBBERO AVUTO FREQUENTAZIONI A VIA GRADOLI di Marco Lillo

utti pendono dalle labbra di Natalie. Il travestito brasiliano di via Gradoli con i suoi silenzi e le sue mezze verità è l’ago della bilancia. Le sue parole possono condannare i carabinieri arrestati o inguaiare Marrazzo. Mentre si diffondono voci incontrollate su due ex ministri che avrebbero avuto relazioni con i trans di via Gradoli (uno dei due, di centrodestra, sarebbe stato anche fermato nel 1996 in una retata di travestiti) i Carabinieri si dedicano a cose più serie. Cercano in uno dei pc sequestrati agli indagati traccia di un video più lungo di quello noto. E provano a convincere Natalie a dire tutta la verità. Anche gli inviati della trasmissione di Michele Santoro la cercano per un’intervista. Ma Natalie fa la difficile. E, quando parla sembra una sfinge. Subito dopo gli arresti, alla stampa ha confermato il suo rapporto, risalente al passato, con Marrazzo ma ha negato di essere stata ripresa nel video del ricatto. Con i Carabinieri, invece, è stata più possibilista. I militari hanno pensato di risentire Natalie con calma. Intanto sono state avviate le pratiche per il permesso di soggiorno temporaneo in qualità di testimone. Per ora, anche se irregolare, grazie al caso Marrazzo, resterà in Italia. Sono troppi i punti oscuri nella scena del delitto e solo Natalie può illuminarli. Piero Marrazzo ha raccontato di essere arrivato nel suo appartamento in via Gradoli, in un pomeriggio di luglio, per consumare un rapporto sessuale a pagamento con il travestito. Il Presidente però ha aggiunto che la cocaina abbondante ripresa nel filmino se-

T

questrato appare sulla scena insieme ai Carabinieri ricattatori e sparisce con loro. La sua tesi, condivisa dai magistrati romani, è che la sostanza ripresa nel video accanto al suo tesserino della Regione, faceva parte di una messa in scena per spillargli assegni per 20 mila euro e 5 mila euro in contanti. Proprio sulla base delle parole di Marrazzo i due carabinieri che sono entrati in via Gradoli quel giorno sono stati arrestati per concussione, rapina e intrusione nella sua vita privata. Secondo i pm i carabinieri avrebbero fatto irruzione e poi girato il video del Governatore con il trans e con la cocaina proprio con il fine di ricattarlo. Nei loro interrogatori in carcere i carabinieri si sono difesi sostenendo che Marrazzo mente. La cocaina era presente al momento della loro irruzione. Non solo: sarebbe stato Marrazzo a proporre loro di non verbalizzare nulla in cambio di una promessa di future ricompense. Nessuna minaccia e nessun ricatto. Avrebbero solo chiuso un occhio sperando di guadagnarci qualcosa e sareb-

bero usciti dalla stanza dopo avere preso il telefono della segreteria del Governatore per ricontattarlo. Le conseguenze penali di un simile scenario sono ovviamente molto diverse. Se la cocaina era presente in via Gradoli prima dell’arrivo dei carabinieri e se davvero Marrazzo ha pagato per evitare che la circostanza fosse verbalizzata, l’ex presidente potrebbe essere indagato per corruzione e segnalato per uso o addirittura cessione di sostanze stupefacenti. Un’ipotesi fantascientifica allo stato degli atti. La Procura predilige la versione di Marrazzo e non vede all’orizzonte una sua iscrizione sul registro degli indagati. Natalie però potrebbe ribaltare tutto. Se confermasse la versione dei carabinieri sulla presenza della cocaina, la situazione di Marrazzo cambierebbe. Una cosa è certa: a Natalie conviene dire che Marrazzo dice la verità. In quel caso sarebbe parte lesa di un’invasione di domicilio e di una rapina. Se confermasse la versione dei carabinieri, invece, si potrebbe ritrovare indagata per la cocaina. Per ora la

procura non ha iscritto il suo nome sul registro degli indagati. Un esperto del ramo come Fabrizio Corona dice: “Secondo me a organizzare tutto è stato il trans”. Ma Nata-

lie è l’unico protagonista che potrebbe potrebbe uscirne con un guadagno: un bel permesso di soggiorno e magari un cachet per un’intervista.

CORONA E LE SUE REALTÀ PARALLELE. RISCHIA 7 ANNI

ley Davidson, risse, ricatti, donne. Tutto in prima pagina, tutto sovraesposto, come una fotografia ritoccata, un paradiso impossibile, una realtà parallela nella quale calarsi per cancellare il presente. In un aula del tribunale di Milano, ieri, per il reporter d'assalto che terrorizzò mezza città con i suoi paparazzi sguinzagliati nella notte tra luci e volti glabri, è stato un giorno cupo. Il Pm Frank Di Maio in una requisitoria durissima e a tratti enfatica e con qualche licenza grammaticale, ha chiesto per Corona sette anni e due di Sandra Amurri È LA STAMPA BELLEZZA mesi di reclusione, oltre a una multa di 1.200 euro. Accusato di estorsione e tentata estorsione in relazione ai presunti ricatti a persoessuna remora nel rubare una lacrima, una parola, naggi famosi, Corona si è dila stanchezza di un volto come ha fatto Alessandra feso esplorando la tattica Paolini ieri su Repubblica con la collega del Tg3, Roberta che meglio conosce. Contropiede e accuse urlate Serdoz, moglie di Piero Marrazzo che ha moderato ”a ai microfoni dei numerosi testa alta” il dibattito alla presentazione di “Valore D le cronisti che lo attendevano. donne al vertice” con i “tacchi alti tailleur pantalone "Una buffonata. nero, top verde come gli occhi” e il ”viso più stanco di L'agenzia fotografica di Micome siamo abituati a vederla”. Di Roberta non una sola lano (La Photo Masi, coinparola. E così i lettori di Repubblica hanno appreso volta nel caso Marrazzo ndr) appreso che Roberta non ha avuto dubbi “ad accettare ha utilizzato le mie stesse di condurre il dibattito e a tornare al suo lavoro”, che sul modalità di vendita, solo che io ho fatto 130 giorni di palco “si assesta la giacca nera, si sistema il top e carcere, mentre l'agenzia giocherella col cuoricino che penzola giù dal braccialetto non è nemmeno indagata" e Tiffany”. Nella pagina accanto scopriamo che i suoi poi, con la stessa aggressicolleghi raccontano che è una donna follemente vità dimostrata all'uscita del innamorata di Piero. È ancora così unita a lui che non se Carcere di Potenza, dove l’è sentita di lasciarlo”. Straordinaria invasione a piedi l'inchiesta del Pm Woodpari nell’animo e nel cuore di una donna. Un giornalismo cock lo aveva confinato: "So qualcosa di più di questa stoprivo di delicatezza che amalgama ciò che è politico e ria, ma non lo vengo a dire a ciò che di politico non ha nulla. voi - ha proseguito - Chi ha un'agenzia viene sempre

SCUSALI ROBERTA

N

Manolo Fucecchi

VALLETTOPOLI

descrivere la parabola di Fabrizio Corona, ci vorPfuorierrebbe la penna di Honorè De Balzac. Dentro e fuori, e dentro. Carcere, minacce, estorsioni, gite in Har-

Feltri

sollecitato e ti arrivano delle notizie in continuazione. Sono certo che è stato il trans ad organizzare la cosa, perchè fa notizia e se lo avessi intercettato io poi con me avrebbe guadagnato almeno 50 mila euro". L'ex amico fraterno dell'agente nostalgico del ventennio Lele Mora, il ragazzo che nel suo ufficio aveva incorniciato la gigantografia della fattura intestata a Silvio Berlusconi (pagata dal Premier per evitare che le istantanee della figlia Barbara rubate fuori dall'Hollywood, discoteca del rutilante triangolo di Corso Como, occupassero i settimanali specializzati) Fabrizio Corona figlio di Vittorio, giornalista di valore, importante collaboratore de “La Voce” di Indro Montanelli e inventore di mensili che fecero la (breve) ma intensa storia degli anni '80, si è poi dileguato insieme alla compagna Belèn. Il proscenio è toccato allora alle considerazioni del Pm Di Maio. "Un uomo accecato dalla bramosia di denaro che lo ha fatto delirare, spingendolo a un sistema illecito e vanificando un progetto originario in se valido, come quello dello sfruttamento del gossip”. Opinabile la liceità o la validità del progetto originario, certa la volontà di punizione, che a detta di Di Maio, deve essere esemplare. Di Maio ha definito “abbietto” il comportamento del fotografo e "molto grave" il reato contestato, sostenendo che l'imputato nel processo “ si è difeso calunniando i testimoni”. Poi ha ammonito i giudici a non concedere all'imputato le attenuanti generiche dato che “ha già due sentenze passate in giudicato tra cui la spendita (diffusione ndr) di monete false”. Secondo Di Maio, i 'fotoricatti' che l'agente fotografico siciliano avrebbe compiuto somiglierebbero a "estorsioni di tipo mafioso". Tra l'ex calciatore di Milan e Inter Francesco Coco e Corona, ha esemplificato Di Maio: "non si è verificata una libera contrattazione. Corona ha accompagnato la trattativa con minacce e ha insistito sul carattere scabroso delle foto per realizzare il suo ingiusto profitto". Pesanti valutazioni anche sul caso di Lapo Elkann. L'agente fece sapere ai responsabili comunicazione della Fiat che aveva in mano "materiale scandalistico" sulla notte trascorsa da Elkann in compagnia di un transessuale. Usò, secondo il pm, "una minaccia seria, grave e intimidatoria, intuendo in quel frangente lo stato d'ansia della Fiat e facendole capire che capacità di dominio avesse” (M.P.)

convalescente per la scarlattina (così ha detto), Silvio Berlusconi riesce però a manifestarsi nella politica italiana senza risentire della provvisoria assenza fisica. Prima interviene a “Ballarò”, nell’ultima di una serie di chiamate televisive, per attaccare i magistrati e annunciare un mini-taglio dell’Irap poi ufficializzato e subito smentito in giornata. Sempre al telefono, informa i suoi ministri che archiviato il caso Tremonti (non sarà vicepremier e verrà ingabbiato in un comitato di politica economica), ora si può andare avanti. Mentre il Pd, come sempre dopo un’esperienza elettorale, si ripiega nel dibattito interno per valutare le conseguenze della (annunciata) uscita di Francesco Rutelli, Berlusconi pensa al dopo-Marrazzo. Con un duplice colpo di scena: il Lazio, annuncia, voterà lo stesso giorno delle altre regioni, per evitare il rischio di un risultato che potrebbe condizionare quelli successivi. E il candidato, lascia intendere il presidente del Consiglio, sarà Renata Polverini, la sindacalista dell’Ugl, creata televisivamente proprio nel salotto di “Ballarò” dove è intervenuto Berlusconi l’altra sera. osì il Cavaliere chiude Cimprenditore il cerchio: da a politico vero che può perfino andare oltre il suo mondo di riferimento, candidando la Polverini al posto dell’imprenditrice Luisa Todini. E il Pd? Mistero su quale candidato sceglierà. Per ora discute soprattutto del dialogo (possibile o impossibile?) con Antonio Di Pietro. Mentre nell’assalto ormai ufficialmente iniziato alla Finanziaria che fu blindata, il Pd si limita a riproporre ricette che un anno fa contestava dall’opposizione. Come la detassazione delle tredicesime, utile nei sondaggi ma poco comprensibile in un momento in cui chi soffre davvero sono le imprese che producono beni intermedi e ai piccoli imprenditori Bersani ha già fatto promesse. E Tremonti? Questa è la vera incognita, si capirà cosa è cambiato nel suo status oggi alla Giornata del Risparmio, quando ricomparirà in pubblico a fianco del governatore Mario Draghi.


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In principio fu Coco: così il foto-ricatto è entrato nel sistema

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SESSO E IL POTERE

n principio c’è il caso di Francesco Coco. Nel 2006 l’allora terzino dell’Inter finì nel tritacarne di vallettopoli per certe foto che lo ritraevano in compagnia di un trans. Foto finite nelle mani dell’agenzia di Fabrizio Corona, foto proposte e ricattate all’interessato. Fantascienza, si disse allora: sembrava che in Italia il ricatto sessuale non potesse diventare una

minaccia mediatica. Si pensava che i dossier potessero essere minacciati in privato, ma mai emergere sui rotocalchi. E quando lo scandalo emerse si disse: era un calciatore. La politica italiana, dai tempi dello scandalo Montesi, sembrava essere diventata immune. Era l’America il paese dei sex gate, il paese che aveva affondato l’ultimo dei grandi Kennedy a

Chappaquiddick. Poi, dal calcio si è passati al giornalismo con il caso Boffo, e il disvelamento di una sospetta omosessualità del direttore di Avvenire. Era un tabù che veniva infranto. A luglio i quattro carabinieri irrompono a via Gradoli, soprendendo il governatore del Lazio Marrazzo in un festino con dei trans e della coca. Infranto l’ultimo tabù. nulla è stato come prima.

MONTECITORIO TSUNAMI TRANS: A CHI TOCCA? Grillini: “Deputati a viagra”, Concia: “Hanno tutti paura” di Luca Telese

un certo punto, mentre discute seduta sull'ultimo divanetto del Transatlantico prima della buvette, Paola Concia allarga le mani per racchiudere metaforicamente i deputati che entrano in Aula mentre trilla il cicalino della chiamata al voto: “Li vedi? Qui da due giorni si stanno tutti, diciamolo in modo accademico, cagando sotto dalla paura”. Ex ministri? Per capire bene quanto sia profonda l'onda d'urto dello Tsunami del caso Marrazzo bisogna partire da qui. Il Palazzo, i parlamentari, quella notizia che rimbalza dalle cronache come una minaccia: “Ci sono i nomi di altri due ex ministri implicati in una storia di trans”. Roberto Giachetti, deputato Pd quasi sbotta: “Inutile girarci intorno: siamo davvero, letteralmente, sputtanati. Passa tra la gente l'idea che in Parlamento ci siano solo sesso, droga e prostituzione. Mi chiedo: a chi serve, chi ci guadagna? Tutto questo distrugge il nostro lavoro, la nostra credibilità”. La riflessione di Giachetti va ascoltata perché non proviene da un moralista o un bacchettone: “Se andassi a trans non avrei problemi, lo direi. Il nesso trans-politica è un problema per tutti”. “Banalmente etero”. Mentre parla Paola Concia si avvicina il ministro Giorgia Meloni: “Ahò – sorride - ma qui se uno è banalmente etero che deve fare? La mia carriera – scherza – è finita”. Lei che è il ministro dei giovani dovrebbe essere portavoce di nuove tendenze.. La Meloni sgrana gli occhi: “Dovrete ammettere che, dopo quel che è successo, il buon vecchio Silvio, e le sue frequentazioni femminili, saranno retrò, ma ritornano un valore di riferimento”.

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Pecore. Prova a scherzare Giovanni Lolli, unico deputato terremotato (fa su e giù con l’Aquila, eroico, tutte le sere): “Che devo fa? Sarò di montagna, arretrato, inibito, ma io alla curiosità per i trans non ho mai ceduto: da noi è più facile accettare l'idea che si faccia sesso con le pecore che con gli uomini”. Eppure, giri per il Transatlantico, nel giorno in cui si vota per Matteoli, e capisci che che il tam tam della paura, il meccanismo Dieci piccoli indiani è entrato nelle vene del Palazzo. A chi tocca? Chi è il prossimo? Scherza Gianni Cuperlo, ciuffo biondo, notoria fama di rubacuori (etero): “Non io: purtroppo vengo da zone sessualmente arretrate. Mi torna in mente una meravigliosa battuta di Altan: 'Quando al nord erano ancora barbari, noi romani eravamo già froci'”. Ancora Giachetti: “Il problema è l'insospettabilità. Chi poteva ipotizzare che Marrazzo andava a trans? Il prossimo potrebbe essere chiunque”. Simone Baldelli, segretario d'aula del Pdl è garantista: “Se Marrazzo avesse detto: 'Non mi dimetto', lo

“LA BRENDONA”. E’ Branda il trans simbolo della comunità brasiliana di via Gradoli (FOTO ANSA)

avrei sostenuto, giuro. Il problema è enorme: è saltata la barriera di protezione sulle nostre vite private, pagheremo tutti un prezzo molto alto”. Annagrazia Calabria, la deputata che ha aperto il congresso del Pdl, una delle più giovani, non ha tabù: “Maddài... Qui tutti cascano dalle nuvole: ma l'hanno scoperto oggi cosa accadeva a via Gradoli? Se lo sapevo io che sono una donna! C'è tanta ipocrisia. E tanta paura”. Dago-shock. Già, la paura. I nomi. Il nome. Alle 18.45, come se suonasse un gong, Dagospia mette in rete una lettera anonima che fa accapponare la pelle di molti: “Caro Dago, come al solito ci hai preso. Al tuo riferimento ai politici di un noto ex grande partito di centrodestra che farebbero meglio a stare zitti sul caso Marrazzo, aggiungo una data: 29 aprile 1996. E' in quel giorno (anzi, quella sera) – scrive l'anonimo che un notissimo esponente di quel partito finì in una retata di clienti di travestiti a Roma e riuscì a salvarsi grazie al 'lei non sa chi sono io' e all'indulgenza di troppi giornalisti che da allora sanno

tutto ma sono rimasti muti”. La lettera è stata appena linkata. Titolo: “M'arrazzo non è solo”. Firmasibillina: “Protosardo che quella sera c'era”. In mano ai deputati spuntano i palmari, per leggere di corsa su internet. C'è chi si avvicina al giardino, dove prende meglio. “Allora è lui!”, sussurrano altri. Lui chi? Visto che in quel momento si trova a Milano, il telefono di Franco Grillini si arroventa. Franco sorride: “Quel nome lo so bene. Ma non lo faccio: primo, non voglio querele. E non voglio sembrare uno che sputtana un altro perché è un dirigente del centrodestra”. Grillini: archetipi sessuali. Molto più interessante, la riflessione del presidente onorario Arcigay sul rapporto tra politica e universo trans: “In un paese sessuofobico come il nostro un maschio al potere è costretto in un parte precisa: mostrarsi eterossessuale e cazzuto”. Perché? “La sessualità maschile è ancora l’unico l'archetipo simbolico del potere nella nostra società”. Grillini sospira: “I trans, lo dicono le ricerche, in Italia sono più di

15mila. I transgender, meno do 8mila. Ma la domanda di sessualità ha plasmato un mercato di prostituzione che arriva da fuori per due motivi”. Quali? “In primo luogo c'è chi va a trans perché non ammette una omosessualità latente: la parvenza femminile lo aiuta a superare il suo tabù. Poi ci sono quelli che cercano la complicità furtiva delle prostitute anni ‘50: è un maschio italiano che si eccita ancora per i labbroni rossi, il trucco, l'estetica giunonica del trans-corazziere... una donna che nella realtà non esiste più. Se a Bologna vai con le prostitute austriache, 300 euro a botta, scopri che non hanno un filo di trucco”. Ma perché i politici dovrebbero essere più vulnerabili degli altri alla trans-manìa? “Lavorano col potere e la sua rappresentazione: quindi vivono i problemi della sessualità con un conflitto maggiore”. Terzo motivo? “Ragazzi, per il cazzo!”. Come lo sa Grillini che tanti vanno con i trans in Parlamento? “Semplice: quando ero a Montecitorio venivano in tantissimi a confidarsi”. Tutti dicevano: Grillini esagera. Adesso inve-

ce... “E' semplice: con il finocchio si parla dei problemi sessuali perchè non c’è il problema del confronto”. Si fidano? “Sanno che non tradirò. Nel centrodestra, ovviamente, vivono un conflitto grande: una volta uno di loro mi chiede di comprargli il viagra perché si vergogna. La volta dopo si aggiunge un altro: ‘Già che ci sei...’ Poi un altro ancora e...”. Grillini sorride: “Sono diventato spacciatore. Un giorno vado nella farmacia più vicina a Montecitorio: avevo ricette per 500 euro. Al farmacista stupito scappa la domanda: 'Tutto per lei? Complimenti'”. Concia e l’omofobia. Di nuovo bisogna tornare a Paola Concia: “A me che sono omosessuale un trans non mi attrae. E io in questo momento voglio difendere la dignità dei trans, che hanno diritto a vivere come vogliono, ma devo anche ricordare che c'è un rapporto di mercificazione per cui molti uomini tendono a fare dei trans degli oggetti. Ci sono trans che non si operano perché perderebbero clienti. Ci sono trans costretti ad essere quello che gli uomini vogliono”. La deputata del Pd sospira: “A questo paese serve un politico che dica: 'Sì, mi piacciono i trans, votatemi'. Invece gli omosessuali nel paese sono il 10% e in tutto il parlamento ci sono solo io”. Grillini: “Pochi ci riflettono: il ricatto a Marrazzo non sarebbe stato possibile senza il senso di colpa. Nei clienti dei trans c'è una sindrome, detta del ‘carabiniere in testa’. E' la certezza di essere scoperto. Per Marrazzo si è quadruplicato. Ma il carabiniere c'era già”. Prende un respiro amaro la Concia, si alza per andare a votare: “Quando è stata bocciata la mia legge contro l'omofobia dicevano: i problemi veri sono altri: lavoro, economia... Quante persone riguardano questa legge? Beh - sorride amaro – la risposta oggi è molto più facile di prima”.

Berlusconi stravolge Floris “Non sono l’anomalia italiana”. Il premier alla cornetta fa il boom di ascolti di Carlo

Tecce

pezzi scelti per l’incursione a BalItorio: larò sono i più antichi del repergiudici comunisti, i cento procedimenti, interpretazioni strumentali. Scontato. Come il desiderio (ormai risaputo) di Silvio Berlusconi: sostituire Paolo Ruffini alla direzione di Rai Tre per zittire il suo pupillo Floris e, di riflesso, soffo-

care l’autonomia dei vari Fabio Fazio, Serena Dandini e Lucia Annunziata. La terza rete è un’enclave televisiva perché scampata alla bonifica governativa. Nonostante le nomine aziendali siano quasi complete, presto Ruffini tornerà sull’agenda del consiglio di amministrazione. Le truppe aspettavano un segnale, adesso sono pronte a riaprire una questione sospesa. Il mirino di Berlusconi indica Floris per stringere su Rai Tre: “Lei fa dei processi pubblici nei miei confronti e senza contraddittorio nella tv pagata da tutti i cittadini. Le ricordo che la televisione non è sua. Ho assistito agli interventi degli esponenti della sinistra, ho assistito al festival delle falsità e della calunnia. La tv pubblica italiana ha una prevalenza assoluta di giornalisti di sinistra e di programmi di sinistra e

Stasera Santoro parla del caso Marrazzo: arriverà un’altra telefonata?

attacca il governo”. La telefonata da Arcore irrompe in diretta a venti minuti dalla chiusura, non sconvolge più di tanto Giovanni Floris, abituato - siamo al quarto intervento in tre anni - a sedare la foga di Berlusconi in collegamento da casa. Il presidente del Consiglio è furente perché i consoli in studio, i ministri La Russa e Alfano, non l’hanno blindato con cura nel giorno della conferma in Appello della condanna di David Mills. Berlusconi stravolge la scaletta: via il dibattito sulla crisi economica, ecco la giustizia rossa. Floris cammina nervoso e tergiversa, lascia libero sfogo all’ospite da Arcore che, con piglio da consumato conduttore, rifiuta le domande e gestisce il tempo a sua discrezione: “Non sono l’anomalia italiana, ma lo sono i pm e i giudici comunisti di Milano che da quando sono sceso in politica mi hanno aggredito in tutti i modi. I pm sono la vera opposizione nel nostro Paese”. Floris si sveglia felice e con un meraviglioso bottino di ascolti (quasi 5 milioni di spettatori con picchi di 6 con il premier alla cornetta) e poi esamina la serata sul proprio sito: “Noi facciamo giornalismo, non siamo faziosi, esercitiamo il diritto di critica verso tutto e

tutti. L’importante è non cedere, mantenere la calma e tenersi lucidi pensando alla domanda che vuoi fare. Insomma, mentre il presidente del Consiglio parlava di faziosità io pensavo all'Irap!''. E forse Berlusconi pensava come insidiare Ballarò. Stasera tocca ad Annozero (Marco Travaglio ha firmato il contratto di 4 mesi). Nella trasmissione di Michele Santoro si discuterà di “ricatti” e del caso Marrazzo per capire se “dossier, veline e filmati siano diventate le armi della politica”. E già s’avvertono i fumi della polemica. Chissà se stavolta, con la scarlattina che inchioda davanti alla tv, il presidente del Consiglio chiamerà Annozero: ci aveva provato due settimane fa da Sofia - la città dell’editto - ma aveva inutilmente allertato e scosso il direttore di Rai Due, Massimo Liofredi. Non è da escludere un’invasione telefonica di Berlusconi, due in tre giorni: il 7 ottobre - la sera della bocciatura del Lodo Alfano - è intervenuto quasi in contemporanea a Matrix e Porta a Por ta. I precedenti sono una decina. Il più pittoresco al Processo di Biscardi: “Parola d’onore: non lascio Kakà al Manchester City”. Vero. L’ha venduto a giugno al Real Madrid.


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Giovedì 29 ottobre 2009

LAVORO IN CRISI

BERSANI PARTE DA DI PIETRO E CERCA DI FERMARE RUTELLI Il neosegretario alle prese con le alleanze interne ed esterne di Stefano Ferrante

avanti ai giornalisti, nell’atrio della sede del Pd, alla fine del faccia a faccia, Bersani e Di Pietro vanno via insieme. È l’istantanea che consacra l’alleanza. Perché aspettando le intese che verranno il neosegretario riparte da chi già con il Pd si è presentato alle elezioni. Le distanze – quelle stesse che Bersani accentuava durante il congresso per smarcarsi dalla gestione Veltroni-Franceschini – restano, a cominciare dai rapporti con il Quirinale, ma adesso finiscono in secondo piano. D’altra parte bisogna “costruire l’alternativa al governo” per il leader del Pd, occorre “liberarsi della cappa berlusconiana” per quello dell’Idv. “L’analisi della situazione economica e sociale è condivisa, c’è la volontà di convergere, alle regionali vedremo caso per caso, faremo incontri periodici”, dice Bersani, che precisa: “ciascuno manterrà le sue individualità, ci sono modi diversi di fare opposizione su temi diversi”. E Di Pietro: “Ognuno ha il suo modo di essere e di fare, Bersani è pragmatico, a me mi conoscete”. Differenze che a tutti e due i leader conviene comunque rimarcare. Ma il mes-

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saggio è chiaro e forte: il Partito democratico del nuovo corso non pensa a sostituire un alleato con un altro, l’Italia dei valori con l’evoluzione dell’Udc - tutta da costruire - ma piuttosto ad allargare il centrosinistra. La spiegazione è in bersanese puro: “Il mio messaggio è largo, la politica non è un lenzuolo che lo puoi tirare da una parte e dall’altra, se noi siamo il baricentro le convergenze arriveranno da tutti i lati”. Di Pietro dal canto suo non rivendica candidati governatori: “Facciamo un passo indietro, ma vogliamo che ci sia il rinnovamento della classe dirigente, soprattutto dove c’è stata cattiva amministrazione”. Ovvero, non si confermino i presidenti uscenti nelle regioni

Gli uomini di Franceschini sono in preallarme ma avvertono: “Ci siamo anche noi”

squassate dalle inchieste. Il caso più spinoso è quello della Calabria. L’Idv non vuole la ricandidatura del governatore Loiero, che però è un grande elettore di Bersani. Il neosegretario ha chiesto tempo. Prematuro parlarne ora, visto che ben sei segretari regionali del Pd devono ancora essere scelti al ballottaggio. Ma prima della grana delle candidature c’è quella del nuovo organigramma del partito. Per questo Bersani ha visto Franceschini. Il primo nodo è quello dei capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama, dopo le dimissioni di Soro e Finocchiaro. “Una scelta che Bersani dovrà fare tenendo conto di tutti, non possono pensare di imporli, deputati e senatori non sono in maggioranza bersaniani, sono stati eletti quando segretario era Veltroni, ma lui deve accontentare troppi dei suoi, Enrico Letta, la Bindi…”, dicono dallo staff di Franceschini. Quelli di Area democratica, la corrente battezzata dal segretario uscente all’indomani della sconfitta alle primarie, sono in preallarme, vedono con sospetto l’ultimo tentativo affidato a D’Alema, di trattenere Rutelli, temono che alla fine pur di tenerlo nel Pd possano offrirgli un ruolo visi-

Antonio Di Pietro e Pier Luigi Bersani. In basso a sinistra, Mario Baldassarri (FOTO ANSA)

bile da capofila degli oppositori interni proprio a scapito degli ex popolari e dei veltroniani. Anche per questo l’anticipazione dell’intervista rilasciata da Veltroni a Bruno Vespa per il suo prossimo libro, suona quasi come un avvertimento: “Se il Pd rifluisce sulle posizioni della sinistra socialista o punta alla grande coalizione si suicida”- dice Veltroni. Bersani non crede a un esodo degli ex dc, però ha tranquillizzato Franceschini: “Non

ci saranno epurazioni, lavoreremo insieme”. Ma la ricaduta dello strappo di Rutelli è tutta da vedere. L’ex leader della Margherita tace. Ma prima, a palazzo Ruspoli, tiene a battesimo la nuova Associazione del Buon Governo, embrione del nuovo centro che “ vuole costruire una nuova offerta politica”, con un manifesto, una pagina sottoscritta da 11 big, dal sindaco di Venezia Cacciari, al presidente trentino Dellai, all’ex ministro

Lanzillotta, a Bruno Tabacci, poi va a fare visita al leader dell’Udc Casini, che “manifesta rispetto e apprezzamento“ per l’iniziativa. “Così si costruisce un nuovo centro – spiega Tabacci - il Pd guarda a sinistra, lo spazio c’è, il bipolarismo ha fallito. Questo è l’unico modo possibile per traghettare gli scontenti del Pd, che non sarebbero mai entrati nell’Udc”. Anche per questo, i centristi sono decisi ad andare ovunque da soli alle regionali.

FINANZIARIA

IRAP: I SOLDI NON CI SONO soldi per ridurre l’Irap non ci sono, neppure per un Iministro taglio da due miliardi. Lo dice Giuseppe Vegas, vice dell’Economia, che rimanda al futuro l’ipotesi di quella riduzione dell’imposta promessa da Silvio Berlusconi una settimana fa: “É interessante, ma al momento non c’è la copertura finanziaria”. Ricapitolando: l’Irap è un’imposta pagata dalle aziende, vale circa 38 miliardi di euro e serve a finanziare il servizio sanitario nazionale.

CONTI PUBBLICI

di Superbonus

ULTIMA CHIAMATA PER IL MAGO GIULIO orse ci aveva provato a copre solo un triennio, ma almeno un nascondere la Finanziaria, manco decennio. Se la ripresa ci sarà, fosse il mago Copperfield. Giulio saliranno anche i tassi d’interesse e Tremonti. Aveva avvolto la legge di con loro il costo del debito. E il Paese bilancio nel mantello e non aveva dovrà fare costantemente i conti con permesso a nessuno, ministri piani di rientro. Significa che il compresi, di discuterla. Però il gioco “tiriamo a campare” di oggi funziona se non si tocca niente, se condizionerà la politica economica l’oggetto nascosto riappare uguale a dei prossimi due lustri. Ma anche quello sparito. E così è stato. I ministri questo conto salato non basta agli Primo Maggio. spettatori non hanno potuto La manifestazione orfanidel dell’assalto alla diligenza che si OTO ANSA) l’emendamento Sotto, lavoratori della Fiat (Fdietro protestare apertamente perché lain una fabbrica sono coalizzati legge mantiene invariate le spesee al “meno tasse per tutti” presentato al presentatore dello spettacolo, il Senato, non da un peone qualsiasi, ma presidente del Consiglio, è bastato dal presidente della commissione dire: “Non ci saranno nuove tasse”. Bilancio Mario Baldassarri. Ma come per tutti gli spettacoli che si Anche per Copperfield-Tremonti il rispettino, il biglietto è caro e lo limite dei giochi di prestigio era stato pagheremo a rate nei prossimi anni. toccato e in un impeto di realismo Il debito pubblico è schizzato dal 104% contabile era pronto a dimettersi del Pil al 115% questo anno, e al difeso dall’inseparabile Umberto 117,3% nel 2010. Sempre che i Bossi. Ora ci dicono che tutto è cartomanti del Ministero abbiano rientrato e però Copperfield non avrà azzeccato le previsioni, perché in caso più il Senatùr al suo fianco, distratto contrario si procederà ad dalle presidenze di Piemonte e Veneto, aggiustamenti, ovvero a nuovi ma una tribù di economisti di partito e condoni, scudi e tagli orizzontali senza una “cabina di regia” di stampo un piano di politica economica. Così doroteo. Chiunque abbia vinto, in la Finanziaria proposta in realtà non realtà è un nuovo Pirro.

F

Ma è questa l’ambizione di una persona di spessore come Tremonti? Passare alla storia come un cogestore dello sfascio dei conti pubblici? Da uno che prevede le crisi mondiali e consiglia il Papa sull’economia, ci si aspettava che mantenesse la barra dritta delle liberalizzazioni e dei tagli alle spese inutili. Che realizzasse la promessa abolizione delle Province anche di fronte alle resistenze di Gianni Letta e Umberto Bossi. Che di fronte allo sfascio fisico e contabile della sanità in Lazio e Campania nominasse commissari capaci e severi, invece di privilegiare lo status quo facendo fare a Bassolino e Marrazzo la ridicola parte di commissari di se stessi. Che di fronte al fallimento di Catania e di Palermo, non aprisse i cordoni della borsa ma avesse il coraggio di mandare i suoi tecnici a spazzar via una classe politica locale inetta e spendacciona. Con un sussulto di orgoglio, Copperfield-Tremonti potrebbe sempre guardarsi nello specchio della sua storia, togliersi il mantello e il cappello a cilindro e stracciare la tessera del partito trasversale di Letta, silenzioso e inconsapevole sabotatore dei conti pubblici.

Berlusconi vorrebbe ridurla, il senatore Mario Baldassarri (Pdl) che ha proposto un emendamento alla Finanziaria in discussione, ha delineato l’ipotesi di un primo taglio da 12 miliardi. Ieri le ambizioni si sono ridotte ancora: il relatore di maggioranza (cioè di centrodestra) alla legge di Bilancio, Maurizio Saia, ha spiegato che c’è allo studio “un alleggerimento dell'Irap per le piccole e medie imprese con meno di 50 addetti e che potrebbe essere legato al mantenimento dei lavoratori in azienda”, un’operazione che potrebbe costare tra i due e i quattro miliardi. Ma, come ha detto Vegas in serata, i soldi non ci sono. La discussione di ieri conferma che le uniche risorse da spendere sono quelle dello scudo fiscale, forse cinque miliardi, che però ancora non sono arrivate (bisognerà aspettare la chiusura della finestra per il rientro dei capitali dall’estero, a metà dicembre). E proprio lo scudo si sta trasformando in un caso diplomatico, con la Svizzera che ha convocato a Berna l’ambasciatore italiano come protesta per i controlli nelle filiali italiane delle banche svizzere. Intanto il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola ha presentato le 22 zone franche (quasi tutte nel Mezzogiorno) dove agevolazioni fiscali dovrebbero favorire le imprese, al costo complessivo di 100 milioni di euro. L’opposizione prova a modificare l’impianto della Finanziaria con un pacchetto di emendamenti già ora al Senato anche se è sempre più chiaro che la vera battaglia sarà alla Camera. Tra le proposte c’è quella della detassazione delle tredicesime, di cui si discusse a lungo anche un anno fa (all’epoca la sosteneva Silvio Berlusconi che dovette arrendersi al rigorismo contabile di Tremonti) con un costo stimato di sei miliardi che - oggi più di allora - sono quasi impossibili da trovare. Le prime stime, molto provvisorie, dell’Istat sui comportamenti delle famiglie italiane indicano una riduzione della propensione al risparmio e una reiduzione del potere d’acquisto dell’uno per cento nell’ultimo anno (nonostante un’inf lazione molto bassa). Sempre ieri, però, l’Acri (associazione di casse di risparmio e fondazioni) diffondeva un rapporto secondo cui il 54 per cento degli intervistati si dichiara soddisfatto della propria situazione economica.

Il viceministro Vegas ribadisce che non c’è la copertura neppure per una riduzione da 2 miliardi


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STORIE ITALIANE

Una buchetta della posta: sempre meno utilizzata dai cittadini (FOTO ANSA)

Fermi tutti: qui comandano le Poste

Sgambetti ai concorrenti e meno pezzi lavorati di Daniele Martini

a Posta come l’Iri. Lanciata all’inseguimento di business lontani mille miglia dal recapito delle lettere, l’azienda guidata da Massimo Sarmi somiglia sempre più al vecchio gigante delle partecipazioni statali che, dopo aver accompagnato nel dopoguerra la rinascita dell’Italia, si era perso per strada fino a perdere l’anima e la missione originaria finendo poi per lenta consunzione insieme alla Prima Repubblica. Attenti studiosi del fenomeno postale, come Ugo Arrigo, professore della Bicocca di Milano e animatore del centro di ispirazione liberale Bruno Leoni, e il suo collaboratore, Massimiliano Trovato, parlano apertamente di irizzazione dell’azienda postale mettendo in guardia dalle possibili conseguenze delle scelte effettuate dall’attuale management. Temono che le Poste, azienda pubblica posseduta al 65 per cento dal ministero dell’Economia e al 35 da Cassa depositi e prestiti, finiscano per trascurare la loro ragione sociale considerandola una specie di fastidioso residuato storico impedendo nello stesso tempo ad altri di farsi avanti strangolando in culla la poca concorrenza nata. Sarebbe un guaio, non solo per i cittadini-clienti, ma anche per le imprese per le quali le Poste sono un elemento imprescindibile per reggere le sfide della concorrenza internazionale. Secondo Arrigo e Trovato, rispetto all’Iri che viveva e lasciava vivere, le Poste, forti di una presenza sul mercato di oltre il 90 per cento, avrebbero imboccato una strada aggressiva sia nei confronti delle grandi imprese multinazionali concorrenti come l’olandese Tnt sia verso le domestiche tipo

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Uniposta e Defendini. L’Antitrust, del resto, proprio alcuni giorni fa ha avviato un’istruttoria nei confronti delle Poste sospettando che abbiano compiuto azioni anticoncorrenziali assai gravi, in particolare contro Tnt. Secondo il relatore del provvedimento, il professor Piero Barucci, ex presidente dell’associazione dei banchieri (Abi) ed ex ministro, le Poste sarebbero entrate a gamba tesa nel settore degli invii Tnt chiamati Formula Certa con i quali è possibile verificare per via elettronica l’ora e il luogo del recapito. Di più: a Formula certa le Poste hanno contrapposto un loro servizio, chiamato Posta Time, «a prezzi sensibilmente bassi», scrive l’Antitrust, praticabili perché sorretti dalla rete integrata postale che in teoria dovrebbe servire solo all’esplicazione del servizio universale. In pratica le Poste starebbero lavorando in dumping per impedire alla concorrenza di farsi largo. L’Antitrust sospetta inoltre che l’azienda di Sarmi abbia usato gli stessi metodi scorretti anche per vincere le gare con i clienti pubblici, in particolare il comune di Milano e la società di riscossione Equitalia. Le aziende concorrenti ritengono, però, che le pratiche borde line di Poste si estendano anche ad altri servizi oltre a quelli ufficialmente messi sotto la lente dall’Autorità di tutela del mercato. Per esempio il direct mail dove ai grandi clienti sono state riservate tariffe personalizzate e inoltre il segmento della cosiddetta posta massiva, cioè le comunicazioni alla clientela dei big delle spedizioni, dalle banche a Telecom alle assicurazioni. Fino a qualche tempo fa il settore era regolato da un prezzo unico di posta ibrida a 0,37 euro; poi il mercato è stato diviso in

tre fasce: le aree metropolitane, le zone provinciali e quelle extraprovinciali. Nelle aree metropolitane, quelle più interessanti perché proprio lì si concentra il grosso dei destinatari, l’azienda di Sarmi ha fissato il prezzo a 0,28 euro al pezzo, un livello così basso che taglia le gambe ai concorrenti i quali su ogni invio devono, oltretutto, pagare anche il 20 per cento di Iva, a differenza di Poste che sono esenti. Intanto la qualità del servizio postale soffre. Le rubriche delle lettere dei giornali sono piene di segnalazioni di inconvenienti più o meno gravi e ogni tanto si scopre qualche caso scandaloso. Come quello del grande ufficio smistamento di Milano Roserio, dove a febbraio di un anno fa furono mandate al macero tonnellate di corrispondenza perché la distribuzione si era talmente ingolfata che l’unica soluzione praticabile apparve quella di buttar via tutto. Il Fatto Quotidiano nel frattempo si è imbattuto nel caso della sede centrale Unicoop Tirreno di Vignale-Riotorto in Toscana, una delle più grandi d’Italia, al cui ufficio soci solo ora stanno tornando indietro lettere inviate addirittura nel 2008, non consegnate per i motivi più diversi e rispedite al mittente. Nel settore specifico dei servizi postali l’azienda di Sarmi, inoltre, non cresce, anzi, a stento tiene le posizioni. C’è un dato molto indicativo: nel 2005 i pezzi postali trattati erano 7 miliardi, nel primo semestre 2009 sono stati solo 3 e quindi c’è da ritenere che a fi-

L’Italia agli ultimi posti in Europa per le quantità trattate Tre aumenti tariffari in due anni

IMMIGRAZIONE

RAPPORTO CARITAS: GLI STRANIERI PRODUCONO IL DIECI PER CENTO DEL PIL di Giampiero Calapà

regolari in Italia sono più Gropealidistranieri 4 milioni e mezzo. E la media euin rapporto ai cittadini residenti (6,2%) è stata superata per la prima volta, addirittura di un punto percentuale ora al 7,2%. Così cambia l’Italia, con un ritmo che nell’ultimo anno si è attestato a un +13,4% di nuovi immigrati. Il Dossier 2009 Caritas Migrantes svela un paese in cui 862.453 di bambini sono stranieri. Ovvero il 22% della popolazione immigrate. Una percentuale che supera di molto il rapporto minorenni-adulti fra gli italiani, il cui dato si ferma al 16,7%. Nonostante la crisi, crescono i lavoratori immigrati che

oggi sono 2 milioni, quasi un decimo degli occupati a livello nazionale. Inoltre, gli stranieri contribuiscono all'economia della penisola per 134 miliardi di euro, ovvero circa il 10% del prodotto interno lordo. Per quanto riguarda l’immigrazione irregolare, il rapporto Caritas spiega che “non si tratta neppure di un cinquantesimo rispetto alla presenza di immigrati regolari in Italia”. E non basta. Il curatore del Dossier, Franco Pittau ha ammonito: “Non esiste in Italia un’emergenza criminalità dovuta agli stranieri. Il livello attuale, che si attesta a poco più di due milioni e mezzo di denunce, è pari a quello dei primi anni ’90, quando l’immigrazione di massa era all’inizio”. Gli stranieri, dice Pittau, non so-

ne anno il consuntivo registri una flessione. Uno studio dell’Unione europea certifica che l’Italia è agli ultimi posti per quanto riguarda i recapiti postali, superata perfino dalla Slovenia, con appena 100 pezzi in media a testa, contro i 250-350 degli altri grandi paesi. I ricavi postali, invece, restano costanti, intorno ai 5 miliardi di euro. I due dati (flessione della quantità e ricavi costanti) sono in contraddizione solo in apparenza, perché c’è un terzo elemento da tenere presente, e cioè gli aumenti tariffari. In questi anni le Poste ne hanno decisi tre. Il primo è del 2007, con la soppressione della posta ordinaria trasformata

REGIONE CAMPANIA

in prioritaria. Fino a quel momento per l’ordinaria si pagava un’affrancatura di 0,45 euro, da quell’istante in poi fu introdotta la tariffa unica di 0,60, con un aumento mascherato di 0,15 euro, cioè di un terzo. Qualche tempo dopo toccò ai bollettini di conto corrente, portati da 1 euro a 1,10 euro, con un beneficio per il bilancio delle Poste di 60 milioni di euro di ricavi dal momento che ogni anno si effettuano in media circa 600 milioni di operazioni di versamento. Quest’anno è stata la volta delle raccomandate da 2,80 euro a 3,30, con un incremento che sul bilancio postale peserà positivamente per circa 100 milioni di euro considerato che le raccomandate sono 200 milioni all’anno. Insomma, i cittadini pagano sempre di più per un servizio postale dalla qualità incerta, che non cresce in quantità e viene trattato dalle Poste come una specie di zavorra. Ma forse anche questo è un primato. (Fine-Il precedente articolo è stato pubblicato martedì 27 ottobre)

di Vincenzo Iurillo

Lunga vita al fax di Lady Mastella

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imissioni? Giammai. Nonostante il divieto di dimora in Campania, Sandra Lonardo Mastella continua a esercitare anche da Roma i poteri di presidente dell’assemblea legislativa della sua Regione. “Il Fatto Quotidiano” ha copia del documento di convocazione della seduta che si è svolta ieri. Cinque punti all’ordine del giorno, tra cui il prosieguo della discussione sul piano casa. La convocazione è siglata “D’Ordine del Presidente Alessandrina Lonardo”. Data e luogo: Napoli, 22 ottobre 2009. Ovvero il giorno dopo la notifica del provvedimento giudiziario che ha costretto Lady Mastella a fare le valigie e lasciare Ceppaloni. Come sarà arrivato “l’Ordine” nel Palazzo del Centro Direzionale di Napoli? Per e-mail? Via fax? E comunque, anche se formalmente corretta, la procedura è “politicamente” opportuna?

no una comunità con un tasso di criminalità alta: la percentuale delle denuncie è la stessa degli italiani. La Caritas cerca di abbattere i luoghi comuni, tra cui l’equiparazione tra irregolare e delinquente “come dimostra il fatto che la metà degli attuali quattro milioni di residenti sono stati irregolari, come lo erano, fino al mese di agosto 2009, le 300.000 collaboratrici familiari prima della domanda di emersione”. Il presidente della Camera Gianfranco Fini, durante la presentazione del Dossier, ha rilasciato dichiarazioni che lo dipingono, ancora una volta, lontano anni luce da colui che firmò, insieme a Umberto Bossi, la legge sull’immigrazione del 2002. “Non si può continua-

re - ha detto ieri - a chiedere agli stranieri di pagare le tasse senza dargli il diritto di scegliere i propri rappresentanti”. E ancora, il presidente della Camera invoca “un pacchetto-integrazione. Perché sono sbagliate le scelte politiche che sottolineano soltanto l’aspetto della sicurezza: l’Italia non è razzista. Ma la xenofobia è l’anticamera del razzismo. E purtroppo ne abbiamo tanta”. S’illumina, alle parole di Fini, monsignor Schettino, che ribadisce la posizione della Cei: “la sicurezza nasce dall’integrazione”. E Fini va oltre, auspicando un accordo tra le forze politiche per la cittadinanza “almeno ai minori, non solo quelli nati qui. Msa anche ai bambini che ci vivono fin da quando erano piccolissimi”.

N ROMA

Poliziotti in piazza contro i tagli

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n busto in cartapesta dedicato a Silvio Berlusconi: “Papi, come ci hai cucinato bene”. E ancora: “Le ronde sono vergognose”. Sono solo due degli slogan della manifestazione delle forze dell’ordine contro i tagli alla sicurezza decisi dal Governo. Tretamila in piazza, ieri a Roma, per denunciare la riduzione di 40.000 operatori in servizio e del 44% delle risorse. I poliziotti criticano inoltre la decisione “di rinviare di tre anni il rinnovo del contratto di lavoro. E ancora: “Queste scelte smentiscono gli impegni assunti in campagna elettorale”.

LODO CONSOLO

Non processate il ministro Matteoli

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uello che non ha potuto il lodo Alfano, ha potuto il lodo Consolo che ieri ha salvato il ministro delle infrastrutture, Altero Matteoli, ex An, da un’indagine per favoreggiamento di un prefetto. Giuseppe Consolo, deputato An e vice presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, è l’avvocato di Matteoli. Berlusconi, che ha fatto eleggere parlamentari i suoi avvocati, insegna. Secondo quest’altro lodo-immunità, non spetta al tribunale dei ministri, come dice la legge, ma al Parlamento, stabilire se un reato sia commesso nelle funzioni ministeriali o meno. Così ieri alla Camera, a scrutinio segreto, maggioranza e Udc hanno votato il salvataggio di Matteoli. Contrari Pd e Idv. Montecitorio ha accolto la relazione della Giunta per le autorizzazioni con la quale si è stabilita la natura ministeriale del reato contestato a Matteoli nel 2005. Mentre era ministro dell’Ambiente avrebbe avvertito il prefetto di Livorno, Gallitto, di un’indagine a suo carico per abusi edilizi. La Camera ha votato anche contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteoli senza che la magistratura l’avesse ancora chiesta. Quattro anni fa il tribunale dei ministri di Firenze si è dichiarato incompetente e ha trasmesso gli atti al Tribunale di Livorno. La Camera ha sollevato un conflitto alla Consulta e invece di aspettare, come da sentenza, che gli atti dal procuratore generale arrivassero alla Giunta, ha deciso tutto da sola.


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CAPITALISMO ALL’ITALIANA

LA PAX GUZZETTIANA

Tra Draghi e Tremonti, il presidente della Cariplo celebra il suo trionfo da banchiere mediatore di Francesco Bonazzi

ono solo un avvocato di provincia. Questa battuta che il Giuseppe Guzzetti da Turate ripete puntualmente da trent’anni dopo ogni successo - l’ha detta anche lunedì, dopo aver messo a segno l’impresa di portare Corrado Passera e Alessandro Profumo a pranzo da Giulio Tremonti non è solo un capolavoro di understatement. É la chiave per aprire le porte che possono spiegare il segreto di un banchiere dalle sette vite. Un democristiano di 75 anni, partito mezzo secolo fa dalla sinistra di base di Giovanni “Albertino” Marcora e che oggi sarà il sommo celebrante della nuova “Pax bancaria” con il governo Berlusconi. Perchè quando l’avvocato con le sopracciglia nere e il pizzetto candido inforcherà gli occhialoni e inizierà a leggere la propria relazione da presidente dell’Acri, nel salone romano della Cancelleria avrà al suo fianco Tremonti, il governatore Mario Draghi e l’esangue presidente dell’Abi, quel Corrado Faissola che politicamente pesa un decimo di lui. E sarà evidente a tutti che il Grande Vecchio delle banche del Nord è lui, almeno quanto Cesare Geronzi lo è di tutto il resto. Sono tredici anni che Guzzetti è il presidente della “Commissione centrale di beneficenza della Cariplo”, un ente che a dispetto del nome da filantropia sovietica gestisce un patrimonio di 10 miliardi d e un pacchetto del 4,68% di Intesa Sanpaolo (la prima banca del paese, guidata dall’amico fraterno Giovanni Bazoli). E sono solo nove anni che ha assunto la presidenza dell’Acri: l’associazione delle casse di risparmio che ai tempi della Prima Repubblica “era sinonimo di Dc e oggi è sinonimo del solo Guzzetti”, come dice un banchiere piemontese. Il suo curriculum di potere è impressionante e serve a capire perchè l’avvocato comasco sia un monumento vivente al rapporto banca-politica. Consigliere regionale in Lombardia dal 1970 a il 1987; presidente del Pirellone dal 1979 al 1987; senatore dal 1987 al 1994. Già dagli anni Settanta, per conto di Marcora, era il commissario politico della Dc per le nomine in Cariplo. Poi, quando Silvio Berlusconi entra in politica nel ‘94, Guzzetti ne esce in punta di piedi scuotendo la testa, ma in religioso silenzio e facendo attenzione a cooptare anche gente come Bruno Ermolli, gran consigliere di Arcore e vicepresidente Cariplo. Del cenacolo di banchieri cattolici del “Gruppo cultura etica e finanza”, raccontato da Giancarlo Galli nel saggio “Finanza Bianca” (Mondadori, 2005), Guzzetti è “magna pars” insieme a Bazoli e a Roberto Mazzotta. Non è un consesso dove si parli bene del Cavaliere, ma a differenza del presidente di Intesa, Guzzetti non mostrerà mai alcun antiberlusconismo. Non credeva più di tanto alle analisi di Be-

Il presidente dell’Acri e Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, potente azionista di Intesa Sanpaolo visto da Manolo Fucecchi

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BANCHE E CRISI

ALLA GIORNATA DEL RISPARMIO C’È POCO DA CELEBRARE n anno vissuto pericolosamente e il peggio deve ancora venire. Se il 31 ottobre 2008, all’appuntamento annuale della Giornata mondiale del risparmio, i principali banchieri di casa nostra avevano potuto magnificare “la miglior tenuta del sistema creditizio italiano rispetto a quello anglosassone”, nonostante la capitalizzazione di Borsa delle varie Intesa e Unicredit si stesse dimezzando, ora l’onda lunga della crisi economica e l’incancrenirsi di problemi irrisolti con i grandi debitori industriali rischia di esplodere entro fine anno. Ecco allora, al di là delle parole di circostanza e degli slogan da convegno, che cosa bolle davvero nelle cucine del credito all’italiana. INCUBO ZUNINO. Se il Tribunale ascolterà la richiesta della procura milanese, la Risanamento del costruttore Luigi Zunino sarà dichiarata fallita entro novembre. Risanamento ha immobili per circa tre miliardi - ammesso che siano vendibili - e debiti bancari per identica cifra. I pm ritengono le banche “ammini-

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niamino Andreatta, consigliere e méntore di Bazoli come di Romano Prodi, ma neppure appoggiava la “destra” cattolica degli Angelo Caloia (per quasi vent’anni alla guida dello Ior). Per descrivere il tipo, in Cariplo è stato proprio il cattolicissimo Guzzetti a stoppare la carriera di Caloia. E se oggi Corrado Passera rischia di vedere assediata la propria poltrona di amministratore delegato dalle fondazioni azioniste, a cominciare da quella Compagnia di San Paolo che di Intesa ha un bel pacchetto del 10%, è anche perchè Guzzetti ha saputo guadagnarsi la fiducia del collega Angelo Benessia, che della fondazione torinese è il laicissimo presidente (il sindaco di Torino Sergio Chiamparino non fa un passo senza consigliarsi con Benessia, ex vicepresidente di Rizzoli in quota Fiat). Ma Guzzetti è stimato e appoggiato oltre ogni immaginazione anche dalla Lega Nord, ancora in debito di personaggi di un certo “standing” nell’alta finanza, atteso che l’unica volta che in Via Bellerio si sono occupati direttamente di banca, con la Credieuronord, c’è mancato poco che finissero tutti al fresco e si sono dovuti far salvare dalla Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani. Ebbene, in Cariplo Guzzetti garantisce anche i seguaci di Umberto Bossi e il suo capolavoro è stata la nomina di Marcello Sala nel cda di Intesa senza dire che era in quota Lega, ma presentandolo come uomo proprio. L’altro capolavoro, quello più noto, è l’aver negoziato nel ‘96, con un laico come Carlo Azeglio Ciampi, la legge che ha dato vi-

ta alle fondazioni di origine bancaria. Una legge che nel 2004 il “solito” Tremonti, da bisognoso ministro dell’Economia, provò ad aggirare tentando di mettere le mani sul tesoro delle fondazioni. Ne scaturì una battaglia legale durata un paio d’anni due, naturalmente stravinta per conto delle fondazioni dall’avvocato Guzzetti fino in Cassazione. Ora, un altro, al suo posto, si sarebbe vendicato. Invece l’avvocato di Turate, che lavora ogni giorno dalle 7 alle 21 e il sabato aiuta il figlio nello studio di Como, è un buon conoscitore della storia romana e sa che per durare non bisogna stravincere. Così ha teso la mano a Tremonti già da due anni e ben prima che questi tornasse al ministero. E se oggi Guzzetti è lo scudo delle banche è anche per questa sapienza longobarda degna di re Liutprando, che nel 712 regalò Turate ai monaci pavesi di San Pietro in Ciel d’oro. In quel monastero Tremonti ogni tanto va a messa e prima o poi rischia di dovervisi rinchiudere, se non imparerà la prudenza (demo)cristiana dall’immarcescibile Guzzetti

L’inamovibile Guzzetti è il vero pontiere tra Lega, Berlusconi, Tremonti e banche

stratori di fatto” della società e vogliono farla fallire per meglio tutelare i creditori non bancari, che sono decine di fornitori e migliaia di obbligazionisti. Intesa rischia sul crack Zunino 650 milioni di crediti allegramente concessi; Banco Popolare è fuori di 300 milioni, Unicredit di 267, Popopolare Milano di 77 e la piccola Meliorbanca di un’altra quarantina. Nel disperato tentativo di evitare che si vada nel penale, le banche creditrici stanno mettendo sul piatto altri 800 milioni. Comunque finisca la vicenda giudiziaria, c’è una semplice e grande verità che nessuno dice apertamente: per sviluppare le aree di Santa Giulia e dell’ex Falck di Sesto San Giovanni servono altri miliardi. E come si fa a gettare altri soldi nel pozzo zuniano in tempi di “stretta creditizia” alle imprese? Sarebbe leggermente impopolare. SUPERDEBITO TELECOM. Non è colpa di Franco Bernabè, ma della sistematica spoliazione messa in atto dalle gestioni passate, se la Telecom di oggi è schiacciata dai debiti e i suoi azionisti bancari tremano all’idea di dover rifi-

Ci sono bilanci ancora da ripulire e due bombe innescate: Risanamento di Zunino e la Telecom di Franco Bernabé

L’immobiliarista Luigi Zunino (FOTO ANSA)

nanziare a gennaio la bellezza di 2,7 miliardi di prestiti. In Telco, la cassaforte che custodisce il pacchetto di controllo della società, Generali, Intesa e Mediobanca sono alle prese con un mezzo incubo finanziario e un socio “liquido” ma ingombrante come gli spagnoli di Telefonica. Come non bastasse, ci si mette di mezzo la politica e un governo sempre più ostile e ostaggio del conflitto d’interessi berlusconiano. I Benetton, grandi con-

cessionari autostradali di Stato e soci della famiglia Berlusconi in mille avventure finanziarie, stanno uscendo da Telco e non cacciano più un euro per Telecom. Il governo non vede di buon occhio Telefonica e preme perchè le banche italiane si facciano carico perfino della sua quota. Insomma, per le nostre “banche di sistema”, come direbbe Corrado Passera, si preannunciano nuovi sacrifici “patriottici”. PULIZIE RINVIATE. Nell’ansia di non farsi “commissariare” dal Tesoro, le principali banche italiane hanno respinto i “Tremonti bond” il 29 settembre scorso, con un atto di insubordinazione politica che ha mandato di traverso lo spumante al presidente del Consiglio proprio nel giorno del suo genetliaco. A parte il Banco Popolare, che aveva da coprire il buco dello scandalo Italease, e la Popolare di Milano, che da quando è guidata da Massimo Ponzellini è la banca più amata da Bossi e Tremonti, nessuno è passato dallo sportello di Stato. Ora però sono stati messi in cantiere aumenti di capitale (Unicredit) e prestiti obbligazionari (Intesa) che il mercato potrebbe assorbire con qualche difficoltà. Non solo, ma la politica non sta dando una mano agli istituti di credito schiacciati dall’esplodere delle sofferenze bancarie. Secondo una stima del Boston Consulting Group, quest’anno le banche italiane dovranno rinunciare a 8 miliardi di euro di utili per effetto dei maggiori accantonamenti sui crediti a rischio. I crediti dubbi sono aumentati del 20%, ma il Fisco italiano non detassa le “sofferenze” e la lobby europea delle banche non riesce a farle levare dai bilanci consolidati. In più, la moratoria sui mutui concessa da Roma sposta la polvere sotto il tappeto delle banche solo di un anno. Poi, bisognerà ripulirli davvero i bilanci. (Fra. Bon.)

di F. B.

SCHERMAGLIE

L’AMMUINA SULLE BANCHE CATTIVE e non fosse un valtellinese fiero di esserlo, verrebbe da dire che la guerra di Tremonti sia una delle migliori “ammuine” dai tempi dei Borbone. Come definire diversamente una congerie di sparate contro le banche che strangolano le imprese, i banchieri avidi e immorali e gl’istituti antipatriottici, solo perchè non baciano la pantofola di Via XX Settembre facendo incetta di “Tremonti bond”? Eppure, al netto della propaganda, per le banche c’è molta ciccia buona nei provvedimenti di Tremonti. Lo scudo è una manna di commissioni e patrimoni

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da gestire, ben testimoniata dalle paginate di pubblicità che le banche stanno riversando sui giornali (non quello che avete in mano e ne facciamo un punto di onore). La moratoria sui debiti fa bene alle pmi e a chi non riesce a pagarsi il mutuo. Ma fa ancor meglio alle banche, che spostano di un anno l’onere di far pulizia a bilancio. Dal loro punto di vista, è il delitto perfetto. Poi ci sono le amorose “cointeressenze” nella Casa depositi e prestiti, unico vero centro di spesa pubblica. Il resto sono battute per un titolo in più al telegiornale della sera.


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MINISTRI

Perché Zaia può avere il Veneto CONTRO GALAN di Erminia della Frattina

uando c’è stata la rivolta dei pescatori a Chioggia, si è ficcato nel primo aereo Roma-Venezia, e dopo qualche ora era sul posto. Tutti i Tg hanno mandato in onda le prime immagini “nazionali” del neo-ministro all’agricoltura Luca Zaia, che ammoniva i pescatori: «Tosi, ste’ boni». Il rischio macchietta era altissimo, ma Zaia, classe 1968, gioca tutte le sue partite così. Preferisce essere giudicato “ruspante” (“Tutti abbiamo un nonno o un bisnonno contadino, anche voi”), per poi rimontare in fretta: è molto preparato, studia, ha uno staff di giornalisti-addetti stampa-curatori d’immagine di tutto rispetto. E poi ha buone doti relazionali, lavora molto, è un organizzatore instancabile di feste, dall’uva alla salamella, sagre, serate a tema, inaugurazioni. Ora il Veneto rischia alle regionali 2010 una partita doppia con Giancarlo Galan e Zaia, indicato come potenziale vincitore in tutti i sondaggi. Il mi-

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nistro dell’Agricoltura è appena rientrato dagli Usa, dove ha vinto la battaglia per le importazioni del Brunello di Montalcino. Sarà andato altrettanto bene l’incontro con Ban Kimoon, segretario dell’Onu, sulla sicurezza alimentare mondiale? Sì perché Luca Zaia di Conegliano, figlio di un meccanico ed ex pr delle discoteche più cool di Treviso, ha organizzato il primo G8 dell’agricoltura. “A Roma - ha raccontato al suo amico Massimo Colomban, a capo della società che gestisce il castello Brandolini – facevano a gara a proporre possibili sedi. Allora ho tirato fuori il depliant del castello Brandolini a Cison di Valmarino. Tutti i cinesi, i giapponesi, hanno urlato di gioia: “ooohhhhh, è bellissimo, meravaglia”. Quando divenne ministro in molti ipotizzarono che Galan l’aveva “fatto fuori” perché calasse la sua notorietà in terra veneta e stesse lontano dai giochi locali. Oggi Zaia incassa consensi forti e trasversali, a cominciare da quel settore primario

di cui occupa il dicastero. “Al ministro Zaia – dice Giorgio Piazza, presidente di Coldiretti del Veneto – riconosciamo, come forza sociale autonoma che difende gli interessi degli imprenditori agricoli, il suo impegno per la tutela e la valorizzazione del Made in Italy, come dimostra il recente decreto per l’obbligo di indicare l’origine del latte utilizzato nei prodotti lattiero-caseari. Intervento sostenuto da anni da Coldiretti ma osteggiato dai poteri forti dell’agroalimentare”. E quando è stato vicepresidente di Regione e assessore al turismo si è conquistato un’altra “fetta” di consensi, dagli imprenditori alberghieri agli operatori del settore turistico (un comparto che fattura tre volte l’agricoltura in Veneto) dando nuova linfa al settore. E proponendo un progetto di legge rivoluzionario (oggi arenato in Consiglio), il Pdl 135, che riscriveva le regole del turismo accontentando i desiderata degli operatori. «A lui dobbiamo una massiccia promozione turistica del Vene-

Insulti

IL VIZIETTO DEL MINISTRO SCAJOLA Napoli

laudio Scajola perde il Cessere pelo, ma non il vizio di sboccato.

Luca Zaia è stato abile, da ministro dell’Agricoltura, a conservare legami con il territorio (FOTO ANSA)

Dal turismo all’artigianato agli operai: il ministro ha costruito una solida base di consenso to, a cominciare dalle grandi mostre di Treviso, che hanno triplicato l’affluenza – racconta Marco Michielli, presidente di Federalberghi e di Confturismo – ha lasciato un ottimo segno, è vero. Ma mai come questa volta i veneti vogliono vedere i programmi, e poi decideranno”. I veneti voteranno con il portafoglio, per chi garantirà maggiori sicurezze economiche, assicura Michielli. Se il candidato leghista sarà Zaia, allora dovrà conquistare un pezzo alla volta i possibili elettori, cittadini comuni ma anche piccole e medie imprese. A partire dal suo feudo, Treviso e la Marca, dove è stato il più giovane presidente di Provincia d’Italia, a 29 anni, e dove il consenso è plebiscitario (“Il Carroccio sfiora il 35-40% dei consensi nel Trevigiano e nel Veronese” conferma Massi-

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mo Bitonci, leghista doc e sindaco di Cittadella). “Il ministro è sicuramente molto popolare nel Trevigiano – conferma Alessandro Vardanega, presidente di Unindustria Treviso – tra i cittadini e gli imprenditori, grazie alla sua attiva e costante presenza nel territorio. Questo suo mantenere il contatto coi cittadini, la forte attenzione a uno stile di comunicazione diretto e l’interesse per le tematiche di interesse sociale, rappresentano le ragioni del grande consenso che riscuote qui, e dei risultati che ha finora raggiunto nelle competizioni elettorali”. «Lo voterebbero non solo artigiani e piccoli imprenditori – chiosano a Confindustria Treviso – ma anche gli operai, nella Marca come nelle fabbriche di Marghera». Bersani e compagnia, siete avvertiti.

Il ministro dello Sviluppo economico l’altro ieri a Napoli ha dato dello “stronzo” a un dipendente dell’Atitech, ex gruppo Alitalia, colpevole di aver contestato l’accordo che ne ha scongiurato il fallimento. L’epiteto è stato marginalizzato in qualche riga dei quotidiani locali. Ben altro rilievo, invece, ottenne il “rompicoglioni” che il 29 giugno 2002 Scajola affibbiò a Marco Biagi, il giuslavorista ucciso tre mesi prima dalle Brigate Rosse. Per quella frase, pronunciata durante dei colloqui informali a margine di una missione a Cipro, Scajola dovette dimettersi dal governo. Per poi dichiararsi “vittima di un’imboscata”. C’è da chiedersi adesso se Scajola non sia solta nto vittima di una predisposizione all’ingiuria. E perché, sia detto col massimo rispetto, uno “stronzo” a un operaio vivo debba valere così poco rispetto a un “rompicoglioni” dato a un professore defunto. Vincenzo Iurillo


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ISTRUZIONE

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L’UNIVERSITÀ PRIVATA DI TUTTO: RESTA IL BUSINESS

Il Governo conferma la riforma e i tagli di Tremonti: 1000 milioni in meno in 5 anni. I manager guideranno gli atenei di Caterina Perniconi

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a fine di un'epoca. Con la riforma dell'Università approvata ieri dal Consiglio dei ministri, sostanzialmente si chiude il capitolo ‘Università pubblica’ in Italia. Il nostro paese non è più in grado di sostenere il sistema e garantirne l'eccellenza. Perciò apre ai privati, che presiederanno i Consigli d'amministrazione e, inevitabilmente, influiranno sull'autonomia degli atenei. DERIVA AZIENDALISTICA. Il progetto del ministro Gelmini prevede che il 40% dei membri dei Cda provengano dall'esterno (compreso, al bisogno, il presidente) e l'introduzione di un manager al posto del direttore amministrativo. Su questo aspetto si è mostrato contrario anche il capogruppo dei senatori del Pdl Gasparri: “Personalmente - ha detto - ritengo sbagliato far eleggere il presidente del Cda dai componenti piuttosto che dal rettore. L'Università ha una sua specificità

che va mantenuta”. I Consigli di amministrazione assorbiranno gran parte dei poteri del senato accademico e saranno composti dal rettore, da uno studente e da, massimo, altri nove componenti. Dunque sarà diminuita la rappresentanza e il pluralismo di opinioni, proprio nel momento in cui arrivano i privati. Del resto già l'anno scorso era stata inserita, nella legge per lo sviluppo economico, la trasformazione degli atenei in fondazioni. “Siamo molto preoccupati da questa deriva aziendalistica - spiega Claudio Riccio del Link studenti universitari - con l’alibi della situazione economica sono previsti ovunque aumenti delle tasse. Tasse alte ed esterni negli organismi decisionali sono le principali caratteristiche degli atenei privati. Ciò vuol dire che entro nove mesi dall'approvazione (tempo previsto dalla riforma per essere recepita, ndr) tutte le università statali diventeranno di fatto private”. CONFERMA DEI TAGLI. Ma questo è solo uno dei temi affrontati nel disegno di legge. Di sicuro quello più caro a Tremonti, che vuole alleggerire il

LA PROTESTA A TORINO

finanziamento pubblico agli atenei. In 5 anni, infatti, saranno tagliati dal Fondo di finanziamento ordinario più di 1000 milioni, pari al 15% del totale. E, nonostante i proclami che anche ieri il titolare di via XX Settembre ha ribadito in conferenza stampa sul recupero dei soldi con lo scudo fiscale, il taglio non è mai stato rettificato. “La proposta del ministro Gelmini - ha dichiarato la Conferenza dei Rettori - rappresenta un’occasione fondamentale. Ma ora è indispensabile, e per più aspetti pregiudiziale, che all'avvio del processo riformatore e a garanzia della sua credibilità, corrisponda una disponibilità adeguata di risorse. A partire da quanto sarà garantito al finanziamento degli atenei per il 2010. Se il taglio fosse confermato provocherebbe il crollo di buona parte del sistema universitario". REGOLE SUPERFICIALI. Le università saranno rese più autonome nella gestione dei fondi, e verranno valutate dall'Anvur (Agenzia nazionale della valutazione dell'Università e della Ricerca introdotta nella precedente legislatura). I meritevoli avranno più soldi, gli altri li perderanno. Un metodo esistente anche all'estero, che però ha bisogno di essere regolato. “Oggi - racconta Michele Cascella, professore emigrato in Svizzera - si valutano le università nel loro complesso e questo è sbagliato. Perché se un ateneo ha un dipartimento eccellente e cinque scadenti, anche chi ha lavorato virtuosamente verrà spazzato via. Servono regole più precise e non così superficiali”. SORTEGGI INFINITI. La riforma prevede anche l'introduzione dell’abilitazione nazionale per l’accesso di associati e ordinari. “L’abilitazione - ha spiegato il Ministro - è attribuita da una commissione nazionale, anche con membri stranieri, che saranno sorteggiati”. Già, il sorteggio: un metodo che, come il Fatto Quotidiano ha raccontato con il bando “Futuro in ricerca”, non funziona (in 6 mesi il Ministero dell’università e della ricerca non è riuscito a scegliere 20 nomi in una rosa di 60). Adesso la Gelmini vuole riproporlo e istituzionalizzarlo per una commissione che avrà potere sul futuro degli studenti. Il Ministro, in conferenza stampa, non risponde alle domande. Resta aperta la questione: non esiste altro metodo? PRECARI SENZA BORSA. Arriveranno all'a-

del collettivo Studenti indipendenti: “dopo i tagli all’Università del ministro Gelmini - dichiara - potrebbe nascere a Torino un altro Norberto Bobbio?”. Un interrogativo in sospeso, che a leggere i dieci articoli della “Costituzione della Repubblica delle Banane”, distribuita ai manifestanti, sembra lasciare pochi dubbi sulla risposta. “La Repubblica – per il secondo principio fondamentale del pamphlet – promuove la distruzione della cultura, della ricerca scientifica e tecnica, dell’educazione scolastica e universitaria (specialmente se pubblica), promuove l’ignoranza, il rincoglionimento mediatico e la fuga di cervelli”. Continua Luca Spadon, con un elmetto da cantiere in testa (questa è la città di Vito Scafidi, giovane studente morto a Rivoli lo scorso 22 novembre a causa del crollo del soffitto di un’aula del Liceo Darwin), indossato per esorcizzare la rabbia attraverso l’ironia: “da oggi ci prepariamo al 17 novembre, quando scenderemo in piazza per lo ‘sciopero delle conoscenze’. Studenti medi, universitari, dottorandi, ricercatori e personale delle Accademie. Tutti insieme, per urlare ancora una volta che questo modello di scuola e di università non ci piace affatto”.

BOBBIO NON ABITA PIÙ QUI “Cento anni di Bobbio cancellati da un anno di Gelmini. Complimenti”. Uno slogan efficace, che strappa un sorriso decisamente malinconico, accoglie in piazza Castello un centinaio di studenti, radunati sotto la Prefettura di Torino per la “Giornata nazionale di Assedio al Governo Berlusconi”. Uno slogan efficace anche perché davvero molto torinese. Si può raggiungere piazza Castello camminando sotto i portici settecenteschi di via Po, dove in questi giorni una mostra a cielo aperto commemora i cento anni dalla nascita del grande filosofo, Norberto Bobbio, che proprio in via Po - nell’attuale sede del Rettorato - tenne molte delle sue lezioni. Il senso malinconico di questo slogan, lo sintetizza efficacemente Luca Spadon, studente universitario di Lettere e Filosofia, membro

(ste. cas,)

bilitazione i ricercatori che saranno stati contrattualizzati a tempo determinato per 6 anni (3+3). Quindi non c'è più la terza fascia docente e non è chiaro chi li sceglierà e con quale metodo. Al termine dei 6 anni il ricercatore, se abilitato, sarà confermato a tempo indeterminato come associato. Soldi permettendo. Che per il momento le università non hanno. “Noi studenti non siamo contrari ai metodi di valutazione - spiega Lorenzo Zamponi, dottorando di Padova - ne vorremmo anche di più selettivi. Ma purtroppo non si possono valutare gli studenti sulla base di una ricerca che non possono fare perché non ci sono soldi. In più questa riforma prevede che in quei 6 anni i ricercatori si dedichino alla didattica, cioè insegnino abusivamente”. Tra le novità, inoltre, quella che preoccupa di più gli studenti è l’abolizione delle borse post-dottorali. “Ammetto che non è dignitoso trovarsi a più di 30 anni dopo aver studiato per almeno 10, con una borsa di studio - dice Francesca , ricercatrice romana - e che sarebbe auspicabile che queste fossero davvero sostituite da contratti seri. Ma il mio dubbio è: tutte le persone che sopravvivevano con la borsa di studio che faranno? Avranno un contratto o andranno a casa”? DIRITTO PER DELEGA. È prevista inoltre la delega al governo per cambiare la legge sul diritto allo studio. Ciò significa che la riforma non sarà discussa in Parlamento. L'obiettivo è quello di versare altre borse ai più meritevoli. Ma ogni anno molti ‘idonei’, cioè bisognosi di contributo per studiare, non ricevono i soldi per mancanza di fondi. Sarà difficile coprire quella spesa e averne altri per i più bravi. E poi: aumento del ‘prestito d'onore’, fondato anche questo sull'intervento dei privati (è un metodo usato all'estero dagli studenti che chiedono soldi alle banche per studiare e li restituiscono con gli stipendi). Ma l'Italia non è l'America, i ricercatori restano precari a lungo e senza regole rischiano di trasformarsi in un esercito di indebitati cronici. LE REAZIONI. Ieri gli studenti hanno manifestato in tutt'Italia contro la riforma. A Roma gli universitari di Link hanno occupato per qualche minuto alcuni uffici del ministero. Sit-in di protesta davanti alle prefetture fino a notte fonda a Torino, Genova, Napoli, Lecce, Siena, Taranto e Bari. Per la Cgil la riforma “è un’operazione scopertamente autoritaria, una netta invasione di campo nei confronti dell’autonomia universitaria”. Per la Cisl “manca una concreta soluzione alla situazione dei ricercatori ai quali si continua a negare lo status della docenza introducendo ambiti di precarietà che ne indeboliscono ulteriormente il ruolo”. Secondo il Partito democratico “la Gelmini tradisce completamente i propri impegni e non fornisce risorse aggiuntive. Aveva detto che le riforme sarebbero state scambiate con le risorse ma nel ddl non c'è n’è traccia”. “La riforma dell'università non è stata concertata con i diretti interessati – dichiara l'Italia dei Valori - i quali saranno costretti a subire le scelte di un governo irresponsabile che sbarra l'accesso agli atenei e che ragiona con la sola logica dei costi”. Forse si ritroveranno tutti in piazza il 17 novembre, giorno fissato dagli studenti per la manifestazione nazionale.


Giovedì 29 ottobre 2009

“E il Ministero? Pagherà mai per i suoi ritardi e le scadenze non rispettate?” Il ministro Gelmini nell’illustrazione di Marilena Nardi. Nella pagina a fianco l’immagine di una protesta organizzata mesi fa dai ricercatori precari dell’università di Bologna. Che misero le loro foto, pronte ad essere ‘calpestate’, sulla pavimentazione di piazza Maggiore. (FOTO ANSA)

Pubblichiamo di seguito tre delle e-mail che ci avete inviato all’indirizzo ricercatori@ilfattoquotidiano.it. Continuate ad inviarci le vostre segnalazioni e le vostre storie. LAURA, UNA FATICA PER NULLA Sono un’assegnista di ricerca in Statistica, ma a partire dal 1° novembre sarò una disoccupata. Anch’io a febbraio del 2009 ho presentato un progetto di ricerca rispondendo al bando Firb “Futuro in ricerca” bandito dal Miur di cui vi siete occupati. Io e i miei colleghi (in tutto 5 giovani ricercatori non strutturati e tutti sotto i 32 anni) abbiamo lavorato per settimane giorno e notte per preparare il progetto e spedirlo in tempo per la data di chiusura del bando (il 27 febbraio del 2009, ndr). Come voi avete scritto, non si avranno notizie prima di gennaio. E nel frattempo? Io la mia strada l'ho scelta: a gennaio partirò per Parigi, due anni di contratto post-dottorato e poi si vedrà. Tanto all'estero un lavoro a tempo è sinonimo di flessibilità non di precariato. A febbraio anche uno degli altri 4 ricercatori andrà all'estero in cerca di una borsa post-dottorato. La scuola e l'università italiana continuano a sfornare talenti che il resto del mondo usa. Ma se io ed i miei colleghi non avessimo lavorato tanto per presentare il progetto entro la data stabilita dal bando, cosa sarebbe successo? Facile: saremmo stati esclusi dalla partecipazione al bando. E se il Ministero non rispetta i 180 giorni stabiliti dal bando per concludere la procedura di valutazione cosa succede? A quanto pare niente! Non sarebbe possibile immaginare un mega ricorso (o una class-action) da parte di tutti coloro che hanno presentato un progetto di ricerca rispondendo al bando Firb "Futuro in ricerca"? Magari cosi al Ministero imparano. E la prossima volta capiscono che le regole valgono per tutti. Laura Trinchera CHARLOTTE, LETTRICE BOCCIATA Dal 1980 insegno inglese all’Università di Padova presso la facoltà di Lettere, fipartimento di Lingue e Letterature Anglo-Germaniche e Slave. Siamo sempre di meno a insegnare una lingua straniera nelle università italiane. Perché non assumono più lettori-Cel, cioè insegnanti di lingua. Ora li chiamano tecnici linguistici, ma è tutt’altra cosa. Sono insegnante, anche se ufficialmente non è questo il termine che si usa oggi. Negli anni mi hanno chiamato: lettore, pretorile, ex-lettore e, più recentemente (dal 1994) Cel (collaboratore ed esperto linguistico). Comunque, insegno inglese o, come preferiscono dire, ‘addestro’. Come al circo. Altro termine offensivo, non tanto per me e i miei

La Gelmini, bocciata Da Presidente dal Comune del consiglio di Elisabetta

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Reguitti

L MINISTRO MARIASTELLA GELMINI nel 2000 venne sfiduciata dall’incarico di Presidente del Consiglio comunale di Desenzano del Garda per “inoperosità”. La Giunta comunale era guidata, allora come oggi, dal sindaco Felice Anelli (Pdl). L’incarico venne allora affidato alla senatrice Maria Ida Germontani (allora in quota An), mentre la Gelmini rimase come semplice consigliere comunale di maggioranza. “Forse era troppo acerba per il ruolo di presidente” commenta il professor Fiorenzo Pienazza oggi consigliere di minoranza del Pd. Insegnante di latino e greco al liceo di Bagatta di Desenzano, Pienazza fu anche docente della Gelmini da metà settembre agli inizi dei novembre del 1981. “Proveniva dal liceo di Cremona, se non ricordo male - spiega Pienazza - Rimase da noi per quel periodo per poi trasferirsi al liceo Arici di Brescia”. Ma tornando al passato amministrativo dell’onorevole Gelmini, lo stesso Pienazza (che nel frattempo è stato sindaco della città dal 2002 al 2007) rammenta come negli ultimi due anni del suo mandato (dal 2005 al 2007) l’allora consigliere Gelmini

di Desenzano, fu sfiduciata per inoperosità

“praticamente non si vedesse mai. Fu il periodo della sua nomina a coordinatore regionale di Forza Italia. Aumentarono gli incarichi e le sue cariche. Dunque, in consiglio a Desenzano non ci veniva. Avvisava ma non si vedeva. Non mancò, al contrario, all’ultima seduta di consiglio durante la quale venne approvato il piano regolatore di Desenzano”. Insomma il ministro Brunetta non sarebbe stato troppo contento dell’ assenteismo, sia pur giustificato, della collega Gelmini. Che, tra l’altro, durante le poche sedute “aveva con sé sempre due telefonini e più di una volta la richiamai per farle interrompere le conversazioni e porre la giusta attenzione alle discussioni in corso durante il consiglio” afferma Pienazza. Secondo i bene informati, la sfiducia della Gelmini fu motivata soprattutto da “lotte intestine” a Forza

colleghi, ma per gli studenti. Sono plurilaureata: in Italia, negli Stati Uniti ed in Inghilterra. E pluribocciata, ma solo in Italia. Non sono mai riuscita a superare un concorso, sia a livello delle scuole medie inferiori e superiori sia a livello universitario. Eppure sono anni che preparo con successo gli insegnanti delle scuole italiane. E loro sì che vincono! Infatti, alcuni dei miei ex studenti sono docenti nelle scuole medie inferiori e superiori e udite udite!!! - alcuni sono docenti universitari: ricercatori e professori associati. Cioè i miei nuovi capi. Charlotte Whigham FRANCESCA, LA FIDUCIA È FINITA Innanzi tutto sono quasi commossa nel vedere che su Il Fatto Quotidiano c'è un filo diretto per dialogare con i ricercatori. Normalmente, è meglio non parlare di questi lavoratori di “serie B”. Forse è per questo che in Italia il termine ricercatore non evoca l'immagine di un novello Prometeo che brandisce la fiaccola della scienza, ma piuttosto quella di uno sfigato occhialuto vestito fuori moda, che fa battute autoreferenziali per addetti ai lavori e manca totalmente di una vita sociale. Certo, non è così semplice fare shopping quando sopravvivi a un dottorato con 1000 euro al mese, pagandoti tutte le spese. Non hai molto tempo per coltivare passioni alternative quando lavori spesso più di 8 ore al giorno e normalmente anche i week end (per me che lavoravo nell'ambito della biologia la frase ricorrente era questa: "le cellule sono come le mucche, devono mangiare tutti i giorni"). Forse sono stata codarda, non ho avuto il coraggio di lanciarmi in una nuova avventura e continuare il mio percorso andando a specializzarmi all'estero. Ma ci dovrebbe essere una seconda possibilità, che qui in Italia non è contemplata, né forse contemplabile. Cioè che un ricercatore voglia (o per motivi contingenti debba) rimanere in Italia e mettere il suo sapere al servizio della comunità, creando qualcosa di concreto, di direttamente fruibile, sia esso un prodotto materiale o un servizio. Ho peccato anche di fiducia, speravo che ci fosse più spazio sul mercato. Ma le aziende che possono accogliere un profilo come il mio sono poche. Di solito sono richiesti profili da tecnico, per i quali sono "troppo qualificata" (cioè ambisco ad un livello, quindi ad una paga, superiore). Ci sono poi le piccole aziende che possono usufruire delle agevolazioni per la "formazione-lavoro" che ti accolgono a braccia aperte ma poi non sono in grado di assumere. Io non so quale sia la soluzione. Ma se penso che ho 31 anni e sono donna, questa precarietà mi fa ancora più paura. Francesca Tocco A cura di Caterina Perniconi

Italia. Da un lato, la corrente dell’onorevole Giuseppe Romele (oggi vice presidente della provincia di Brescia) e dall’altra quella di Franco Nicoli Cristiani (attuale assessore regionale all’Ambiente). Ma tralasciando il discorso politico e rimanendo in ambito scolastico, il professor Fiorenzo Pienazza - in qualità di docente alla soglia della pensione - non condivide una virgola della politica attuata in materia di istruzione. “Il Ministro è un’ottima esecutrice. Non intravedo nessuna progettualità sulla scuola. È chiaro, piuttosto, che sul sistema scolastico sono in atto politiche rivolte, unicamente, alle esigenze di cassa del Governo. Ma che si stia costruendo la scuola del futuro, questo proprio no”. E non si pensi che l’opinione del professor Pienazza sia motivata solo da un diverso orientamento politico. Perché con la stessa fermezza dice che la riforma Moratti, al contrario, qualcosa di buono lo aveva fatto. Prima di salutare il professore viene spontaneo chiedere: scusi, ma Maria Stella Gelmini, da studente, com’era? “Senta - rispode - a me piace condurre la mia battaglia politica non sulle questioni personali ma sui fatti. Dal punto di vista del merito scolastico, non posso dire molto. È stata nostra allieva per troppi pochi mesi, quindi non ho dati di valutazione sufficienti. Il nostro è un liceo pubblico. Il liceo dove la Gelmini si trasferì successivamente è privato. Ma è una scuola seria, dove si studia. Tanto per intenderci, non è un diplomificio. Altra cosa certa è che il ministro ha poi sostenuto l’esame di stato come avvocato a Catanzaro. E questo, invece, forse non depone proprio a favore di chi parla di meritocrazia”.


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«Un set di quattro proposte per rendere il nostro Paese più ricco e più giusto.» Franco Locatelli, Il Sole 24 Ore

«Una profezia inquietante per i capi del Pd: il dramma personale di Prodi è finito, ma quello politico del centrosinistra, forse, è appena all’inizio.» Marco Damilano, L’Espresso

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IL TEMA FONDAMENTALE DEL NOSTRO SECOLO

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«Ricostruisce esemplarmente un pezzo di storia italiana.» Simonetta Fiori, la Repubblica

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«Una storia narrata della nostra finanza... Una giungla di ambizioni, traguardi ed errori.» Sergio Bocconi, Corriere della Sera

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DAL PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA 2008


Giovedì 29 ottobre 2009

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DAL MONDO

BLAIR E LA VENDETTA DELL’EUROPA FLOP DEL GRANDE COMUNICATORE L’ex premier inglese vuole diventare il primo presidente della Ue di Gianni Marsilli

parte Silvio Berlusconi, non lo vuole più nessuno. Da grande risorsa europea a grande ex candidato, o comunque improprio, inopportuno, se non abusivo. Eppure ancora qualche mese fa lo voleva gente del calibro di Nicolas Sarkozy, e il presidente della Commissione Barroso, e neanche Merkel storceva il naso. Si parla di Tony Blair, e della prospettiva che diventi il primo “presidente” di lungo termine (due anni e mezzo, al posto degli attuali 6 mesi per ciascuno dei 27 membri) dell’Unione europea. Si voleva un uomo dotato di carisma ed esperienza, in grado di costruire il difficile consenso comunitario e di rappresentarlo davanti al mondo. Si diceva quindi che Blair era l’uomo giusto per l’europeismo da sempre proclamato, e nello stesso tempo per la vicinanza con l’altra sponda dell’Atlantico. Ma soprattutto per l’indubbia aitanza personale e politica, testimoniata da dieci anni di ininterrotto governo alla testa del New Labour. È l’uomo giusto, si diceva, per ridare vigore e colori a un’Unione obesa, loffia, sfibrata. L’ha rappresentato così, nelle vesti di principe azzurro, una recente copertina dell’Economist, tra i suoi sponsor più accesi. Cos’è accaduto, nel frattempo, che ha raffreddato tanto entusiasmo? Una cosa su tutte, oramai palese. Accade che Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, dopo un difficile periodo di rodaggio, s’intendano a meraviglia. Più che un idillio si tratta di un matrimonio d’interessi. Parigi e Berlino riscoprono i vantaggi (politici, industriali, commerciali) di una comune leadership

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europea. La cancelliera nutre l’ambizione di far definitivamente scordare la condizione di “nano politico” della Germania, assicurandole il primato europeo. Per questo non le va bene Tony Blair. Ha chiesto esplicitamente a Sarkozy di sostenerla nella ricerca di una figura molto più low profile. Dignitosa, certo, ma non un moschettiere. Un tessitore di consenso, piuttosto, che è poi il vero ruolo del futuro presidente europeo (l’ha spiegato Giuliano Amato sul Sole 24 Ore del 18 ottobre). E Sarkozy, che era stato tra i primi sponsor di Blair, s’è adeguato. Intervistato dal Figaro, si è mostrato molto prudente: “Il fatto che la Gran Bretagna non sia nell’euro rimane un problema”. Blair non è più nel suo cuore. È accaduto anche che la parte politica che dovrebbe “indicare” Blair non ne vuol sentir parlare. I socialisti europei, che restano pur sempre la famiglia di appartenenza dell’ex premier inglese, puntano piuttosto a esprimere l’Alto rappresentante, vale a dire il futuro ministro

degli Esteri europeo, dotato, lui sì, di competenze specifiche e di apparato diplomatico. L’ha detto chiaro Martin Schulz, che presiede il gruppo parlamentare europeo. Nei corridoi di Bruxelles si sussurra il nome di Hubert Vedrine, ex ministro degli Esteri di Mitterrand, gradito anche a Sarkozy che lo corteggia da tempo. I socialisti non vogliono saperne, inoltre, della ricostituzione della coppia Barroso-Blair, che evoca cupamente il disastro iracheno. Ritrovarseli l’uno alla testa del Consiglio e l’altro della Commissione? No grazie, nein danke, non merci. Piacerebbe solo a Berlusconi, ai polacchi e al ceco Vaclav Klaus. Accade anche che, una volta lasciata Downing Street, Blair

Dalla straordinaria abilità mediatica come leader laburista alla candidatura un po’ logora (e che non convince i big dell’Unione)

non abbia brillato nei suoi nuovi compiti di rappresentante del Quartetto (Usa, Russia, Ue, Onu) per il Medio Oriente. A dire il vero, su questo gli si fa un’ingiustizia: non è stato incaricato di sovrintendere al processo di pace, ma di promuovere la ricostruzione dei territori palestinesi. Lui vanta una politica di “piccoli passi”, come il fatto di aver ottenuto da Netanjahu l’abolizione delle difficoltà amministrative per le zone industriali di Gerico e Betlemme. Ma non è tipo da “piccoli passi”: di lui si ricorda soprattutto l’affitto annuale di lussuose stanze all’American Colony di Gerusalemme, o gli insulti (“lei è un terrorista”) ricevuti a Hebron (“no problem: ci sono abituato”). Cose di forte impatto mediatico,

Blair, il ministro francese Besson, Merkel e Sarkozy (FOTO ANSA ) Sotto, Federico Garcia Lorca (FOTO ANSA)

come sempre nel suo caso. In sintesi, i suoi viaggi da non hanno lasciato tracce positive. Accade inoltre che il suo sponsor più acceso sia Gordon Brown, ma che Brown abbia ormai un piede dentro e uno fuori dal suo ufficio di premier. Il Labour s’avvia a una storica sconfitta nella prossima primavera. Gli succederà il tory David Cameron. Il quale personalmente, potrebbe anche appoggiare la candidatura Blair. Ma gli sarà molto difficile farlo sul piano politico. Gli si oppone ferocemente William Hague, ministro degli Esteri ombra: “Una candidatura Blair dovrà passare sul mio cadavere”. Nei giorni scorsi, dopo aver incontrato Hillary Clinton, è andato a cena con i 26 ambasciatori dei paesi membri dell’Ue: “Gli elettori britannici, sul punto di rimuovere il governo laburista, considererebbero la riapparizione di Blair come un atto ostile”. Un “atto ostile”, come si dice in gergo militare. Anche in patria a Blair manca il suolo sotto i piedi. Di tutto ciò si parlerà da oggi al Consiglio d’Europa, ma non è detto che si dica l’ultima parola. S’attende sempre la firma di Klaus al Trattato di Lisbona, perché un presidente dell’Europa possa insediarsi dal gennaio 2010. Sarà pieno inverno, forse per questo si staglia già la simpatica figura di Paavo Lipponen, socialdemocratico, già premier finlandese ed europeista convinto. Altro nordico l’ex presidente finlandese e Nobel per la Pace Martti Ahtisaari. Poi c’è l’autocandidatura del lussemburghese Juncker. E fa capolino anche l’olandese Jan Peter Balkenende, calvinista devoto e democratico cristiano. Il primo e il terzo piacciono ad Angela Merkel.

Gli alberi custodiscono l’ultimo mistero di Garcia Lorca

N USA

Giallo su video con Bin Laden

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egli Usa sono stati diffusi fotogrammi di un video che confermerebbero l’ipotesi che Bin Laden sia ancora vivo: il filmato, trasmesso via internet dal gruppo as-Sahab, sarebbe stato girato durante la festa islamica dell’Eid Al Fitr (che quest’anno cadeva tra il 20 e il 21 settembre).

AFGHANISTAN

Serie di attacchi kamikaze

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n commando di Taliban suicidi ha dato l’assalto a una foresteria dell’Onu a Kabul, utilizzando cinture esplosive, bombe a mano e fucili kalashnikov e uccidendo 6 funzionari Onu e ne hanno feriti altri 9. “È solo l’inizio” ha fatto sapere il portavoce Zabihullah Mujahid: vi saranno altri attacchi contro il ballottaggio presidenziale del 7 novembre.

MOZAMBICO

Elezioni presidenziali

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perti i seggi per le elezioni generali in Mozambico: presidenziali, politiche e provinciali: 11 milioni gli elettori. Scontata la conferma alla presidenza di Armando Guebuza, ricco uomo d’affari ed esponente del Frelimo (che in Parlamento ha 160 dei 250 seggi) e che ha rilanciato l’economia del Paese.

PAKISTAN

Attentato a Peshawar

INIZIANO GLI SCAVI NEL LUOGO DOVE SI CREDE SIANO I RESTI DEL POETA SPAGNOLO UCCISO DAI FRANCHISTI di Paolo Collo

circa 3 chilometri dal villaggio, sotto la cresta più alta della montagna (“la Cruz de Víznar”), hanno fatto fermare l’auto e abbiamo cominciato a scendere lungo i pendii fino a un luogo dove in quel deserto senz’alberi crescevano rigogliosamente 4 o 5 giovani pini. ‘Là’, dissero i due ragazzi e fecero il gesto di tirare il grilletto. Secondo loro suo fratello (Federico García Lorca) è sepolto sotto quei pini assieme ad altre 5 persone (…) ’Gli alberi crescono in fretta nei cimiteri’, ha commentato una delle nostre guide”. Così scriveva Marguerite Yourcenar, il 10 maggio 1960, a Isabel García Lorca, sorella del poeta. Ora infine iniziano i lavori di scavo e di esumazione nel Parque Federico García Lorca di Alfacar (Granada), nel luogo ove si presume giacciano i resti del poeta di Fuente Vaqueros. Federico García Lorca, venne ucciso nella notte del 18 o del 19 agosto (la sollevazione golpista contro la Repubblica era iniziata il 17 luglio) insieme al maestro di scuola Dióscuro Galindo e ai banderilleros anarchici Joaquín Arcollas Cabezas e Francisco Galadí per ordine del governatore Valdés e del generale Queipo de Llano, comandante delle forze nazionaliste in Andalusia. Ora il giudice Garzón ha proposto, assieme all’Asociación para la Recuperación de la Memoria Histórica, all’Università di

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Granada e a un gruppo di genetisti, archeologi, geofisici di dare un nome e un cognome alle migliaia di repubblicani – e non solo - vittime delle vendette franchiste. Le famiglie di Galindo e Galadí hanno deciso di presentare una petizione per il recupero dei cadaveri dei familiari. E Laura García Lorca, nipote del poeta e presidente della Fondazione che porta il suo nome, ha detto di non voler più ostacolare il lavoro della commissione d’inchiesta. In quei luoghi pare possano essere state sepolte oltre 2.500 persone (nella provincia di Granada la repressione fece circa 12.500 morti, tutti, naturalmente, desaparecidos; mentre il numero degli spagnoli uccisi dopo la vittoria di Franco sembra ammontare a 130.000). Il luogo esatto non è ancora certo. Ma potrebbe essere proprio dove oggi si trova il Parque, così come indicato dall’irlandese Ian Gibson, massimo biografo del poeta. Ad ogni modo, la morte dell’artista eclettico, amico di Antonio Machado, Dalí, Buñuel, Manuel de Falla, Rafael Alberti, Neruda, Guillén, Cernuda si ritorcerà fin da subito contro i suoi carnefici, poiché in pochi mesi diventerà – come scrisse Gibson -

“il maggior simbolo di cui era capace il nuovo regime spagnolo”, un regime che starà al potere per quasi quarant’anni e farà di tutto per nascondere “il sacrificio del genio grandino”. Sacrificio – martirio – che Antonio Machado così descrisse: “Fu visto, camminando tra fucili / in una lunga strada, / uscire ai freddi campi, / ancora con le stelle, del mattino. / Uccisero Federico / quando la luce spuntava. / Il plotone dei carnefici non osò guardargli la faccia…” Ma se lì sotto, Federico non ci fosse? Già perché, come per molti altri mitici personaggi – dal portoghese Dom Sebastião, ucciso in Africa, ma che prima o poi ritornerà in Portogallo, a Ernesto “Che” Guevara, a Antonio Gardel, che, come dicono i tassisti di Buenos Aires, “cada día canta mejor” -, anche la morte

Da 70 anni leggende e ipotesi sulla fine del simbolo della resistenza alla dittatura

di Lorca è avvolta nel mito e nel dubbio: e se non fosse stato ucciso ma graziato all’ultimo momento? se fosse riuscito a mettersi in salvo un attimo prima? se la famiglia fosse invece riuscita a recuperare il cadavere e l’avesse poi sepolto in un luogo noto solo a loro? se fosse stato colpito, sì, ma non a morte? Riguardo a questo è uscito anni fa in Spagna un libro dei bilbaini Fernando Marías (quello del crudelissimo Esta noche moriré) e Juan Bas (quello del sulfureo-gastronomico Scorpioni in guazzetto), dal significativo titolo Páginas ocultas de la historia. In un capitolo raccontano una storia che invece di terminare con gli spari che uccidono il poeta, inizia proprio da essi. Perché, secondo questa versione, il poeta è stato ferito da una pallottola sul lato sinistro della fronte e da altre due al fianco e alla spalla: ma è ancora vivo. Viene raccolto e portato in un convento di monache, che non lo riconoscono, e lo curano, ma resta semiparalizzato e idiota, fino a morire molti anni dopo, ignoto al mondo. Queste sono storielle. Aneddoti. La verità è che dopo oltre settant’anni dall’inizio della Guerra civile si continua a indagare, a scrivere su quel periodo. E, al di là di qualsiasi motivazione storica, o politica, o legale, forse, per Federico García Lorca, non c’e monumento migliore di quei “4 o 5 giovani pini”, di quegli alberi che “crescono in fretta”.

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erzo attacco suicida in un mese a Peshawar, al confine con l’Afghanistan, causando cento vittime, gran parte donne e bambini. La carneficina poche ore dopo l’arrivo del segretario di Stato Usa Hillary Clinton a Islamabad per una visita che ribadisce l’alleanza tra i due Paesi.

FRANCIA

Il ritorno di de Villepin

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l ritorno di Dominique de Villepin sulla scena politica irrita l’Ump, il partito di destra al potere, ma piace all’opposizione. A pochi giorni dalla chiusura del processo Clearstream, in cui è imputato per un complotto contro l’attuale presidente Nicolas Sarkozy, Villepin si è proposto come un’“alternativa repubblicana” a Sarkozy, in vista delle presidenziali del 2012.


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Giovedì 29 ottobre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

Eros Terminal IL VIAGRA & IL POTERE Il nuovo romanzo di Oliviero Beha, storia di un uomo oltre la soglia della maturità È in libreria da oggi “Eros terminal-Il sesso, l'età, il potere) di Oliviero Beha (Garzanti, pagg. 270 pagg, 16.60 euro). Eccone un’anticipazione. di Oliviero Beha

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ada, dopo, se lo rimirava con interesse, come se lo vedesse per la prima volta invece di conoscerlo a fondo da un paio d’ore. Lui era piacevole, ma veramente piacevole, con quell’aria armoniosa degli attori di una volta, quei caratteristi che facevano la fortuna di certe commedie cinematografiche ormai sostituite dalla tragedia quotidiana di un’era geologica soltanto violenta. Gli occhi erano quelli giusti per quello sguardo avvolgente insieme liquido e solido, in grado di entrare nelle persone, di starci un po’, di solidificare se necessario o voluto, e di uscire di nuovo liquido. Non era uno sguardo, era un mercurio con tutti gli effetti ipnotici di un mercurio. La differenza con prima, con sempre, era l’egopirite, e la sua condizione terminale che aveva bisogno di onorare il principio di necessità, di sfoltire il superfluo, i rapporti, le azioni. E se ci fosse riuscito anche con i pensieri? «A che stai pensando?» chiese lei passandogli la mano sul torace. «Siamo già al massaggio cardiaco? Ti ho fatto quest’impressione?» sorrise benevolo. «Ma no, anzi… prendi qualche prodotto? Ma sì, per la virilità?» Non aveva mai preso nulla in vita sua, e il vocabolo «virilità» gli era sempre suonato, fin dal liceo classico ormai remotissimo, come una tela esile e facile da strappare. Virilità… Non poteva reggere. Invece vis, forza, e non vir, uomo, poi peggiorato cacofonicamente in virilità… vis era tutta un’altra cosa. «Sì, un combinato disposto fortissimo, insomma un cocktail che si chiama, si chiama…» fece per guardarsi l’uccello in quiete, l’uccellino tra la peluria ingrigita che lo faceva pensare a quelle foreste

pietrificate dei film in costume… come se intendesse leggere la dizione del farmaco tatuata dove non si dovrebbe. «Non si legge adesso, ma mi pare di ricordare che si chiami Glandex.» Lei rimase per un attimo instupidita. Glielo prese in mano, facilmente, meccanicamente, poi quasi immediatamente capì. Chiese: «Glandex? Mai sentito... È come la faccenda dell’investimento, immagino, vero?» e si rilassò. «Quella dell’investimento temo sia vera… anche se mi ero fermato e non ho potuto far nulla… Questa del Glandex no… Sono come mi hai sentito. E adesso eccolo qua, barzotto.» «Come barzotto? Che vuol dire?» domandò la donna delle steppe. «Hai presente le statue, i nudi?» fece lui brandendo non senza un briciolo di simpatia quella piccola cosa. «Nel mio paese ero laureata in storia dell’arte, e poi in audiovisivi», commentò lei quasi burocraticamente. «Barzotto è un po’ dialettale, sta a significare qualcosa tra il sodo e il tenero… e il membro delle statue è così, sodo per la materia di cui è fatto, tenero perché a riposo. Hai visto molte statue con l’uccello dritto, perfetti marchingegni idraulici quasi fossero dei fontanazzi, delle pompe…?» «No, certo, sono membri non proprio molli ma…» «Barzotti, appunto. Come il mio adesso. Naturalmente e originariamente barzotto, senza aiuti chimici, dico.» «E per quanto tempo rimane barzotto?» domandò lei cercando con le labbra di giocarci. Le labbra di sopra, quelle che completavano le foglie nell’ovale oriental-occidentale. «Ancora per un po’, credo, temo…» risorrise lui tuttavia benevolo, carezzandole i capelli scuri cortissimi. «E perché così corti?» chiese infatti. «È un voto… Quando mi sono prostituita, per un breve periodo fortunatamente, ho fatto il voto che li avrei portati cortissimi per tutta la vita non appena fossi riuscita a cavarmela in altro modo. Prima avevo dei capelli ricciuti, molto particolari», e cavò dal cassetto del comodino una foto a testimoniarlo. Pareva un’attrice del cinema muto, assai espressiva. «Stavi benissimo», declinò lui. «Stavo malissimo», rispose lei. Lui tacque per un po’, per capire se lei voleva raccontare oppure no. Voleva raccontare. «Per carità, c’è

di peggio nella vita. Ma avevo una figlia, e una madre, e insomma è capitato. Come se tu mi dessi del denaro, adesso, o qualcosa del genere… Mi pagarono una volta, lo rifeci in un giro abbastanza privato, finì quasi subito perché un tale, un cliente diciamo, si innamorò di me e mi trovò presto un lavoro molto periferico nella televisione, qualcosa di appena superiore alla donna delle pulizie, e di lì abbastanza in fretta feci altre cose fino a fare il lavoro che sto facendo, e per il quale almeno in parte avevo studiato. Mia madre nel frattempo è morta, te l’ho detto, mia figlia studia in un convitto. Il resto del mondo continua a prostituirsi.» «Questo lo so», fece lui. E per un po’ elencarono le varie forme di prostituzione di cui quella sessuale era forse la meno ignobile, se slegata dal mondo dei «magnaccia», degli sfruttatori. «Anche se è solo e sempre un problema di parole», stava dicendo lui, «perché lo sfruttamento del sesso è da sempre coinciso con il potere, in tutte le forme, e il potere e ancora di più il sottopotere è fatto di sfruttatori. È un mercato non dichiarato, o non dichiarato abbastanza, di cui si conoscono le regole che ipocritamente vengono

U2 Bono e gli altri agli Mtv Europe Award di Berlino

Clooney “Il mio incubo? Essere accarezzato da un uomo”

tenute da parte quando è il momento di negoziare. Che cosa vuoi che sia una prostituta che te lo prende in bocca per denaro? Un caso, un accidente, un negozio…?» concluse irrigidendosi appena perché lei non voleva che un signore ancora piacevole si smarrisse nel fogliame della teoria. C’erano le foglie della pratica, e Rada lo sapeva quanto lui. Entrambi erano di buon umore, anche se diversi in tutto. Miracoli della storia dell’arte. rima che lui le imponesse con affettuosa fermezza di interrompere la storia della sua vita, Rada, ergendosi nuda come una sirena dal pulpito delle lenzuola, fece in tempo a tracciare lo scenario di quegli anni, esagerato e insieme statisticamente rappresentativo. Per cercare di convivere con la prostituzione, non intesa come dimensione dello spirito e della mente come accadeva ormai con grande frequenza, bensì banalmente con lo spogliarsi a comando e prendere uccelli di varia dimensione, vivacità e humour in molteplici cavità del suo corpo allungato e allora lungocrinito, il salice, che all’epoca non aveva nulla di allegro da sfrondare, si dette allo yoga. Erano tempi in cui la prostituibilità lasciava comunque dei buchi da riempire e la meditazione orientale in varie forme pareva essere oltreché di moda anche d’aiuto. Era in fondo assai schematicamente il polo opposto di un paio di mutande strappate, e

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Inter Mourinho: “Zenga sarebbe il mio erede perfetto”

anzi le rimuoveva dall’orizzonte psichico. Forse, si disse Zelig in una delle sue passeggiate per i giardini delle tempie altrui, c’era persino chi riusciva a dare contemporaneamente il culo a qualcuno e il corpo mistico a qualcun altro, una divinità, una figura convenzionale o sé stesso. Comunque fosse, il degrado esterno costringeva quasi a una forma di compensazione interiore più o meno sentita. E in un mondo decisamente vecchio e longevo, quindi con più anni davanti per prefigurare la dipartita, c’era anche chi aveva pensato bene di trasformare in business dei corsi cosiddetti «preparatori al passaggio», una specie di Divina Commedia scritta con i piedi. Come un carciofo con le sue foglie strappate via via, o gli stadi di un missile: dallo yoga ai corsi preparatori, alla voglia di vita che qualcuno tirava fuori neppure troppo imprevedibilmente proprio dal contrappasso di quella speciale e ultimativa preparazione. Dallo yoga, infatti, Rada ne era uscita serena nello sguardo e placidamente autunnale nell’erotismo che effondeva come in quel caso, nella chiesa della sua casa; dai corsi paraccademici eutanasici i vecchi pronti ad andarsene ne erano invece sortiti spesso – più spesso di quel che si sarebbe immaginato nello sconforto circostante – prontissimi a restare, perinde ac cadaver, davvero fino alla morte gesuiticamente intesa, cioè al contrario. Altro che preparazioGli amanti di Renée Magritte

Baseball Tifosa Usa offre sesso in cambio dei biglietti di una partita

ne, non se ne volevano proprio andare e i corsi li spingevano ad attaccarsi all’osso come se ci fosse intorno ancora della carne esistenziale da digerire. Scherzi della natura, quella umana compresa. Del resto questa voglia di sopravvivenza in uno scenario mutato, molto più povero, per alcuni misero ma appunto per questo essenziale, era un po’ quello che stava accadendo nella routine di tutti i giorni, di giorni nuovi e di nuovo pieni di bisogni necessari, a partire dall’uso a ritroso di un tempo che fino a non tanto prima si era impadronito di te senza particolari riguardi. La catarsi stracciona di una tecnologia regressiva aveva per esempio diradato di parecchio gli uomini-telefono mobile, quell’umanità filante come mostriciattoli da cellulare abituata ormai a parlare da sola, in un autismo giustificato soltanto da un auricolare e gratificato da bizzarri accessori da E.T. mal riusciti. Se ne vedevano in giro sempre meno, la crisi essendosi portata via la più parte dei ripetitori in un deserto di installazioni che rendeva praticamente inutili quegli apparecchietti morti o agonizzanti a intermittenza. Pensare che allora, quando ognuno era più o meno un portatore insano di telefonino, il tempo mentale si era ovviamente ridotto ai minimi termini pur costituendo di suo in teoria (ma quale?) una porzione forse non del tutto ininfluente del tempo in sé, del tempo in generale, del generale Tempo. Che era stato degradato dalle circostanze e dallo stile di vita senza stile a un modesto sottufficiale nella caserma delle priorità. Eppure, sostenevano i più lucidi esegeti della telefonia mobile, altro non era che il prezzo pagato se non al progresso almeno allo sviluppo della comodità. Adesso che si era invertita o almeno convertita la rotta, il tempo si era vendicato, ridilatandosi, tornando sé stesso, rimettendo gli umani in condizioni e nella responsabilità di governarlo, di nuovo al timone anche in epoca di tempeste travestite da bonaccia. Soprattutto il Generale aveva ripreso a imporre loro di misurarsi con il famigerato tempo per pensare, quello per qualche generazione conservato nell’umido delle cantine affinché non andasse a male del tutto. E questo era avvenuto rallentando i ritmi delle macchine, dei bipedi, del loro apparato temporale, cioè la strada che passa tra una tempia e l’altra. Almeno così rimuginava lui, tirando su senza sforzo apparente la cerniera dei pantaloni e lasciando la sacerdotessa e il luogo di culto dove avevano praticato un convincente catechismo reciproco. Non senza averla prima carezzata con lo sguardo. Sarebbe presto venuto l’autunno, gli dicevano quegli occhi gentili.


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SECONDO TEMPO

IL COLLOQUIO

HANEKE, PALME E MISTERI

Incontro con il vincitore di Cannes “Il Nastro bianco”: apologo sull’oggi di Malcom Pagani

a barba bianca scende come un laico saio sul vestito nero. Le mani roteano alla ricerca di un’impossibile gestualità che aiuti a dipanare l’alone di mistero che circonda ogni suo film. I sessantasette anni di Micheal Haneke si sono imbarcati da Vienna alla volta di Roma. “Il nastro bianco”, già vincitore all’ultimo Festival di Cannes, è un viaggio alle radici del male. In una sala laterale della Casa del cinema, coadiuvato da un’interprete che traduce le sue cacofonìe, Haneke è solo. Stringe la mano con forza, alterna risposte esaurienti a monosillabi. Se la domanda lo accende, dà respiro al dialogo. Se lo annoia o lo delude, si limita a un sorriso. Come sempre, non c’è niente da spiegare. La verità è intangibile e la ricomposizione del passato, se osservata a distanza di tempo, rimane un esercizio soggettivo. La voce fuoricampo che guida alla scoperta degli strani avvenimenti che sconvolsero la vita di un piccolo villaggio protestante nella Germania alla vigilia del primo conflitto mondiale, lo premette. Tutta la sua filmografia pare dimostrarlo. Come sempre, non c’è niente da spiegare, nè colpevoli da indicare. “Non diversamente dalla vita reale. Non si sa mai chi dice la bugia di fondo, altrimenti la menzogna si rivelerebbe inutile. Quando vedo un film, leggo un libro o tento di ampliare la mia visione, non voglio che mi si presentino riferimenti che già conosco o tesi preconfezionate. Solo attraverso le domande si può migliorare, precisare o scoprire il lato oscuro dell’esistente e d’altronde, trasformarsi in colpevoli non è prerogativa esclusiva dei cattivi. Basta esserci, camminare, esistere. Fa parte del nostro quotidiano”.

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Nel “Nastro bianco”, nessuno conserva l’innocenza. Non gli adulti, schiacciati dal peso di dogmi, brutalità, fallimenti e ipocrisie, non i bambini, pronti a introiettare la violenza stessa di una rigidità calata dall’alto. In una società in cui il rapporto gerarchico è l’unica espressione accettata, il dolore è dietro l’angolo e lo spazio per la cultura tollerata, è veicolato tra le incombenti arcate di una chiesa. Esiste Dio, solo Dio, nient’altro cheil suo mònito severo. “Ogni società ha purtroppo la propria gerarchia e poi credo che in assoluto, l’innocenza infantile rappresenti soltanto una proiezione dei genitori. Cercano nei loro bambini un’improbabile purezza. Per capire l’incongruità di una prefigurazione simile, basta osservarli giocare in un parco, in una qualsiasi città

“Berlusconi? Una vicenda seria e comica al tempo stesso. Come fate ancora a votarlo?” europea”. Nell’affresco dreyeriano di Haneke, l’anaffettività è una dolorosa costante. Difficile dire se sia la mancanza d’amore a generare poi eventi mostruosi e far deflagrare il senso di rèvanche insito in ogni essere umano. “E’ possibile. La freddezza è una delle componenti che disabitua alla comprensione dell’altro. Se si considera sacrale un princìpio

politico o religioso e da parte di chi ascolta, non si hanno gli strumenti per dominare la materia, non è difficile precipitare nel terrorismo. Nella società patriarcale che descrivo, le donne sono schiacciate e l’emancipazione da regole e consuetudini, somiglia a un’utopia”. Nei cupi interni interni familiari, venati dal senso di colpa e dall’impossibile condivisione di un passato necessariamente personale, i bambini parlano di morte. La normalità, in Haneke, è solo l’opzione più ingannevole tra quelle possibili. “Nei lavori trascino il senso di colpa di derivazione giudaico-cristiana come un bagaglio non eliminabile. Ovviamente desideravo mostrare il funzionamento di una società d’epoca, edificata su fatica, comando e sottomissione. Trasporre questo quadro nella società contemporanea sarebbe disonesto, ma i meccanismi alla radice della manipolazione di stati d’animo deboli e disposti ad essere attirati nella rete di chi propugna una promessa di salvezza, hanno una loro feroce attualità e uno stretto legame con il presente. Oggi le coscienze sono piegate da un altro tipo di indottrinamento. Quello dei media e delle loro infinite derivazioni. Anche se con sfaccettature e differenti gradi di alienazione, i pericoli non sono dissimili”. n “Niente da Nascondere”, Gran Premio della Giuria a Cannes nel 2005 e magnifica istantanea del nostro presente sgranato ed effimero, Daniel Auteil e Juliette Binoche, noti e affermati professionisti in carriera, ricevono video anonimi e disegni infantili. Filmati che destabilizzano la coppia, ricatti che minacciano ricchezze acquisite e posizione sociale e sembrano suggerire come per ogni nucleo ampiamente al di sopra della so-

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sti a concedergli fiducia. Lei mi chiede come la situazione italiana si riverbera all’estero. Da fuori sembra uno spettacolo comico se non grottesco ma mi rendo conto che per un cittadino del vostro paese, la vicenda abbia perso qualunque elemento di ilarità”. Definità la divagazione come “frivola”, Haneke ritorna ai suoi personaggi. Allle settemila facce osservate prima di scegliere i volti adatti a dispiegare perfidie e non detti. Ai provini infiniti, a una scalata decennale. Ne “Il nastro bianco”, la condizione sociale sembra uno scafandro troppo pesante per essere sostituito da una foggia più leggera. Chi cerca vendetta o semplice emancipazione nei confronti del potente di turno, come il figlio del contadino che serve fedelmente il barone da decenni, troverà op-

Il regista Micheal Haneke (FOTO ANSA)

glia di sussistenza, corrisponda una sofferenza strozzata e speculare. l tema, l’intrusione nella vita Ini,degli altri, per mezzo di veledossier e frammenti personali estrapolati dal reale, in Italia, è attualissimo. “Non conosco i dettagli degli ultimi scandali ma come tutti, non ignoro Berlusconi e i riflessi della sua parabola sulla vita politica italiana. Mi chiedo come una persona che da quasi un ventennio ha una posizione predominante nei mezzi di informazione, sia poi riuscito a utilizzare questo vantaggio per assurgere a Primo Ministro”. Pausa. “E soprattutto, come nonostante gli scandali di questi mesi trovi ancora elettori dispo-

posizione, riprovazione e morte all’interno del suo stesso contesto. “Quando i tempi della rivoluzione non sono maturi, qualunque testa che provi ad alzare cuore, tono e coraggio, è destinata a rotolare. Chi immagina il sommovimento, a essere falciato”. E lo dice serio, questo enigmatico cantastorie del ‘42, cresciuto tra gli artisti (madre attrice, padre regista) che all’università di Vienna, ai tanti studenti che intabarrati nelle sciarpe nere sognano di emularlo, mostra “Germania Anno Zero” e mentre arabesca cattivissime favole nordiche o dipinge piani sequenza da Louvre, nel chiuso di casa propria, anela la grazia sghemba di Aki Kaurismaki e le sue storie disperate, ellittiche, refrattarie a

confini o recinti. Dopo aver conquistato a Cannes l’approvazione di Isabelle Huppert, musa e presidente di una giuria che alle spighe di grano e alla povertà di un’umanità dolente, aveva concesso il primo premio senza tentennare, Haneke pensa al prossimo film. Un viaggio dolente nelle pieghe della vecchiaia (protagonisti Huppert medesima e Trintignan) della sua improcrastinabile degenerazione, degli inconfessabili rimpianti che si manifestano nella curva conclusiva. Prima di allora però, Haneke continuerà ad ammonire gli esegeti che della semplificazione hanno fatto bandiera e tutti quelli che nella metafora de “Il Nastro bianco”, hanno codificato la genesi del Nazismo. Un’illusione ingannevole o forse solo una delle risposte che il suo cinema, in sinergia costante con dubbi e curiosità dello spettatore, si rifiuta di dare. “Sotto al titolo, ho fatto apporre un sottotitolo in tedesco”. Indica il poster, stringe gli occhi. Rivela l’arcano: “Ascolti: ‘Una storia di bambini tedesca’. Ho preteso non venisse tradotto perchè voglio che i tedeschi lo vedano come un film sulla Germania, gli italiani sull’Italia, gli americani sugli Stati Uniti”. Poi si alza di scatto. Il tempo dell’intervista, come tutto il resto, è parso un’astrazione. Se suggerisci che “Il Nastro bianco” sia la sua creazione più riuscita, perchè in omaggio alla sua visione, “l’opera perfetta è quella il cui inquietante malessere accompagna a lungo” Haneke scioglie la diffidenza: “i film sono come figli, è difficile dire se uno sia migliore dell’altro, ma per deformazione professionale, mi interessano soprattutto gli errori. Spero di averne commessi pochi ma non

“Il mio film migliore? Non so, lo spero. In generale, amo concentrarmi soprattutto sugli errori” sta a me valutare”. Comunque vada (Lucky Red distribuisce il film da Venerdì), Haneke non defletterà dal percorso intrapreso. “Essere un intellettuale non mi ha aiutato nella vita privata”. Sapere più degli altri complica dunque la salita? Si gira, si ferma, torna indietro. “Non so se ho appreso davvero di più e anche se fosse, mi scusi, rispetto a chi?”. Sipario. Applausi. Cinema.


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Giovedì 29 ottobre 2009

SECONDO TEMPO

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

I soliti comunisti di Paolo Ojetti

g1 T La giornata telegiornalistica è attraversata dal solito pensiero unico: quello di Berlusconi a Ballarò è stato un “intervento a tutto campo”. Lo squillo parte da Arcore e la voce del premier scende per le valli e marcia su Roma (a proposito, ieri 87 anni dall’evento) con il consueto grido di battaglia: i giudici che mi processano sono 109 e sono comunisti, i giornalisti Rai sono comunisti e le trasmissioni di approfondimento sono comuniste, con conduttori e ospiti comunisti, nessuno che mi difenda veramente in questo mondo mediatico comunista che mi attaccava anche quando ero all’opposizione, e così via. Questa orda di comunisti è stata evocata per ore nelle case degli italiani, trascinando con sé uomini e cose. L’alluvione berlusconiana conteneva una sola cosa divertente: a Floris che chiedeva “Come va la scarlattina?”, il presidente del consiglio ha replicato: “Bene, venga a trovarmi, così sarò felice di attaccargliela”. Nel Tg1, la nota cabarettistica è scomparsa: anche lì si annidano zelanti censori, comunisti e antemarcia.

g2 T All’assalto di Berlusconi risponde (ed è la prima

notizia del tg2) l’Associazione nazionale magistrati, che sta pensando a uno sciopero. La risposta è dura: “Se le nostre toghe sono rosse, lo sono per il sangue versato in difesa della legalità”. Roba da brividi, che infastidisce il ministro Alfano che, di ora in ora (a Ballarò e in varie e successive dichiarazioni) sta scalzando Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto nel ruolo di primo difensore di Berlusconi (“è grazie a lui e al suo lavoro instancabile che possiamo riformare la giustizia civile” e via di questo passo). Seconda notizia (si fa per dire) la riforma universitaria targata Gelmini. Sarà emendata a mani basse (si spera), ma l’unica cosa che si capisce è il suo obiettivo occulto: come per la magistratura e con la scusa del “rigore”, il governo vuole mettere sotto tutela anche le libertà della docenza.

g3 T La pagina politica è ovviamente dominata dal nuovo attacco di Berlusconi alla magistratura. “Sarà la scarlattina, sarà la sentenza di appello sul caso Mills – ha detto Pierluca Terzulli – ma è certo che questi toni non favoriscono certo un eventuale dialogo sulla riforma della Giustizia”. Dialogo che – come si racconta nel servizio successivo – sul cosiddetto testamento biologico è finito prima di cominciare: la maggioranza ha riproposto la legge approvata dal Senato e addio. In evidenza anche le proteste e i cortei dei sindacati di polizia (slogan contro Berlusconi, annuncia Giuliano Giubilei) e le famiglie italiane, che analisi fresche fotografano come sempre più povere.

di Nanni

L’impero di Manfredi Delbecchi

territorio della divulgaNcunielzione di prima serata, alinnovativi personaggi si muovono nel solco tracciato da Piero Angela. Ognuno tenta di portare in video una botta di cultura; e, già che c’è, porta anche se stesso. Su Raidue ha appena chiuso i battenti “Voyager”, dove il giornalista Roberto Giacobbo ha fatto fortuna interrogandosi sui misteri insoluti dell’umanità, (per intenderci, dalla piramide di Cheope a Mara Carfagna ministro); e soprattutto mettendoci in guardia sulla fine del mondo, prevista dagli astronomi Maya per il 21 dicembre 2012, verso mezzogiorno. Per ingannare l’attesa ci si può sintonizzare su La 7, dove da martedì va in onda “Impero”, una serie storica condotta da Valerio Massimo Manfredi. Doppio nome, e doppia qualifica, come si evince dal possente sottotitolo che lo accompagna; archeologo e scrittore. L’archeologo, almeno nella prima puntata dedicata alla Russia, è rimasto un po’ in ombra. Non così lo scrittore, che affronta la materia sterminata a mani nude e la plasma con il piglio dell’autore di bestseller.

Nella storia ci sono attimi che valgono secoli; Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore, ha messo in fila in un paio d’ore il declino e la caduta degli Zar, la rivoluzione bolscevica, l’ascesa al potere di Lenin, poi l’avvento di Stalin, poi l’uccisione di Trozckij, poi lo scontro finale tra Stalin e Hitler. Non male. Ma il lato più strabiliante è che per fare tutto questo ha avuto bisogno solo di qualche spezzone d’epoca e un paio di biglietti aerei. Per prima cosa se n’è andato di persona a San Pietroburgo, per l’esattezza a Palazzo d’Inverno. Eccolo salire la celebre scala d’Ottobre a passi lenti, forte di un naturale magnetismo; viso da imperatore romano, incorniciato da chioma e barba d’argento; indosso, una camicia bianca e un cappottone di pelle nera. Bello; ma, tra una camminata e l’altra, non un’intervista, non un incontro, non un contributo girato sul posto. A dire il vero, nemmeno un passante o un custode del palazzo; e dire che le sale sono migliaia. A un certo punto, tra le statue di marmo, ci è parso di intravedere Lo scrittore Valerio Massimo Manfredi conduce “Impero” su La7

un altro essere vivente; ma era solo l’immagine di Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore, riflessa in una delle tante specchiere. Gli eventi incalzano, la capitale della Russia si sposta da San Pietroburgo a Mosca. Valerio Massimo Manfredi non perde tempo: parte subito per Mosca anche lui. Ora si aggira, sempre con il cappotto di pelle nera, nei pressi di San Basilio, della Piazza Rossa e del Cremlino. Scorrono le immagini d’archivio della repressione, il dittatore fa il vuoto attorno a sé. L’archeologo e scrittore però si salva anche dalle purghe staliniane, e lo ritroviamo nei pressi della trincea dove furono respinte le truppe naziste a riepilogare la seconda guerra mondiale, la cosa più raccontata in tv dopo le barzellette di Pippo Franco. La storia è piena di piccoli e grandi enigmi. Da ieri, ne abbiamo uno in più; perché Valerio Massimo Manfredi, per raccontarci con le stesse cose che si possono leggere su un libro di testo per le scuole secondarie, ha dovuto scorazzare in lungo e in largo per la Russia? Quanto è dura, alle volte, la vita degli archeologi e scrittori. Dura; ma soprattutto misteriosa.


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SECONDO TEMPO

MONDO

WEB

di Federico

Mello

Internet spegne quaranta candeline rriverà un futuro in cui, “A grazie soprattutto alle possibilità offerte dai computer, la maggior parte dei cittadini saranno informati, interessati e coinvolti nel processo decisionale della politica”. Queste parole, del 1960, sono le parole di un visionario: Joseph Licklider, uno dei padri dell'informatica. Lick scrisse questa profezia nel suo “Simbiosi tra uomo e computer”. Il suo sogno era chiaro: “un universo di computer collegati tra loro attraverso i quali tutti possano inviare due righe a qualcun’altro”. Riportiamo queste frasi, perché, anche grazie all'impulso che proprio Licklider diede alle ricerche “per far parlare tra loro i computer”, oggi festeggiamo il quarantesimo anniversario della nascita di Internet. Il 29 ottobre 1969, alle dieci e mezzo di sera sul fuso orario di Los Angeles, per la prima volta in assoluto, due computer riuscirono a parlare tra loro: era la prima mail. A scriverla Charley Kline, uno

SKF=Cinema Family SKM=Cinema Max

18.55 21 SKM 18.55 FBI: Protezione testimoni 2 SKF 19.10 Piacere Dave SK1 19.12 War, Inc. - La fabbrica della guerra SKMa 19.35 La famiglia Addams SKH 21.02 Questa notte ancora nostra SKF 21.03 Dante 01 SKM 21.03 Prima visione High School Musical 3 SK1 21.05 3ciento - Chi l ha duro... la vince! SKMa 21.18 La famiglia Addams 2 SKH 22.33 Frankenstein Junior SKMa 22.35 Living Hell SKM 22.50 Jersey Girl SKF 23.00 Disturbia SKH 23.00 Suburban Girl SK1 0.20 Once Were Warriors 2 Cinque anni dopo SKMa 0.25 The Kovak Box - Controllo Mentale SKM 0.35 Striscia, una zebra alla riscossa SKF

SP1=Sport 1 SP2=Sport 2 SP3=Sport 3

17.30 Serie A 2009/2010 Anticipo 8a gior Genoa - Inter (Sint) SP1 18.00 Basket, Serie A maschile 2009/2010 3a giornata Cant Montegranaro (Sintesi) SP2 18.30 Calcio, Carling Cup 2009/2010 Barnsley - MancheSP3 ster United (Replica) 20.00 Baseball, Major League 2009 World Series Gara 1 New York Yankees - Philadelphia SP2 Phillies (Replica) 20.41 erie A 2009/2010 Post 10a gior Inter - Palermo (Di)SP1 21.00 Golf,Volvo World Match Play Championship 2009 Malaga (Spagna): 1a giornata (R SP3 22.00 Basket, NBA 09/10 San Antonio - New Orleans (R) SP2 23.00 Rugby, Guinness Premiership 2009/2010 London Irish SP3 Leicester Tigers (Sintesi) 24.00 Poker, La Notte del Poker 2009 Episodio 3 (Re) SP2 0.30 Calcio, Serie A 2009/2010 10a giornata Napoli - Milan (Sintesi) SP1

RADIO A Radio3Mondo Hamas e Fatah divisi verso il voto Il 2010 inizierà con un importante appuntamento elettorale annunciato alla fine della scorsa settimana dal presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen. Nei Territori attualmente serragliati da attentati terrorristici, e politiche antidemocratiche, dove l’intera popolazione vive nella miserie e nel terrore si tornerà a votare il 24 gennaio. Sarà l’inizio di un percorso molto aspro con diversi scenari possibili.Andrà in porto il tentativo di ridare unità all’entità palestinese? O si assisterà a una spaccatura totale tra Hamas e Al Fatah? E quali saranno le conseguenze che poterbbero riversarsi sullè popolazioni Palestinesi e sulla comunità Europea? a “Radio3 Mondo”,Anna Maria Giordano ne parlerà con Claudia De Martino, ricercatrice presso l’Unimed e dottoranda in Storia Sociale del Mediterraneo all’università Ca’ Foscari di Venezia.

Radiotre 11,30

puter ad un altro proprio perchè tutti e due i mainframe avevano un modem, grande quanto un frigorifero, che traduce i due linguaggi. Da quel momento eroico, del quale oggi festeggiamo i quarant’anni, siamo arrivati fino a noi. La rete è oggi una ricchezza di tutti: il quaranta per cento degli italiani si informa attraverso siti web e proprio Internet, in Italia, è considerata la fonte più indipendente e libera d’informazione. Forse non ancora uno strumento che permette a tutti “i cittadini di essere informati, interessati e coinvolti nel processo decisionale della politica”. Ma già qualcosa che gli può somigliare.

TESTIMONIANZE DIRETTE

1) Caro Dago, come al solito ci hai preso. Al tuo riferimento ai politici di un noto ex grande partito di centrodestra che farebbero meglio a stare zitti sul caso Marrazzo, aggiungo una data: 29 aprile 1996. E' in quel giorno (anzi, quella sera) che un notissimo esponente di quel partito finì in una retata di clienti di travestiti a Roma e riuscì a salvarsi grazie al "lei non sa chi sono io" e all'indulgenza di troppi giornalisti della capitale che da allora sanno tutto ma sono rimasti muti. Protosardo (che quella sera era in servizio) 2) Dal "Corriere della Sera" - Svelato in diretta a «Le Iene» ieri sera lo svenimento dell'altro giorno di Ilary Blasi a Campo dei Fiori a Roma: era tutta una «bufala». Il falso mancamento è stato orchestrato ad arte proprio dalle Iene per far terminare il ritornello continuo che vuole la moglie di Francesco Totti incinta del loro terzo figlio. Una delle Iene ha convinto la showgirl a «pompare» la notizia anziché smentirla e le ha insegnato come si fa a svenire in maniera credibile. Nel corso del servizio la moglie del calciatore giallorosso ha fatto anche il test di gravidanza, che è risultato negativo.

è FACEBOOK E LA PACE MONDIALE UN’APPLICAZIONE CON LUCI E OMBRE

Chissà cosa direbbe John Lennon della nuova applicazione lanciata da Facebook: peace.Facebook.com. L’applicazione intende “promuovere la pace nel mondo con una tecnologia che può aiutare le persone a capirsi l’un l’altro”. Per ora il tutto consiste in una serie di grafici che tracciano le amicizie su Facebook “mostrando quanti membri di gruppi tra loro ostili diventano amici su Facebook”. I grafici mostrano, per esempio, il numero di amicizie tra palestinesi e israeliani, o tra conservatori e progressisti. “Se Facebook volesse impegnarsi davvero su questo versante - scrive RedWriteWeb - potrebbe svelare connessioni più interessanti. Come quelle tra i militanti delle Farc e agenti della polizia colombiana”. Licklider, lo spot di Bellocchio su YouTube, Facebook "peace", un'immagine presa da Facebook

LO SPORT

I FILM SK1= Cinema 1 SKH=Cinema Hits SKMa=Cinema Mania

studente dell'università di Los Angeles. Ma se nel 1844 Samuel Morse scrisse “Cosa ha fatto Dio!” nel suo primo messaggio in alfabeto morse tra Baltimore e Washington; Charley Kline nella prima mail scrisse “Lo”: avrebbe voluto scrivere “Login” ma il collegamento con un altro computer dell'Univesità di Menlo Park, in California, saltò prima che riuscisse a scrivere la “G”. È una storia incredibile quella che ha portato alla nascita di Internet. Se la leggenda popolare vuole che la rete non nasce come mezzo di difesa degli Stati Uniti per difendersi da un attacco nucleare, è vero invece che Internet nacque da esigenze scientifiche: gli scienziati avevano bisogno di uno strumento per far sì che ogni computer, allora ingombrante e dai costi proibitivi, fosse a disposizione di tutta la comunità scientifica. Il problema era far parlare tra loro le macchine, allora tutte programmate in un linguaggio diverso. La prima mail del 1969 riuscì ad arrivare da un com-

DAGOSPIA

è BELLOCCHIO GIRA GLI SPOT MPS C’È ANCHE UN CANALE YOUTUBE

Il Montepaschi va a cercarsi i clienti sul web. E' stato presentato ieri a Milano il nuovo spot della banca senese che andrà in onda, dal 1 novembre, alla radio e sulle reti televisive. Ma da quest'anno c'è una news: la banca avrà anche un canale su Youtube. E non è solo questa la novità: Montepaschi, che l'anno scorso aveva affidato lo spot a Giuseppe Tornatore, quest'anno si affida alla regia di Marco Bellocchio. Il regista emiliano, con un leggero imbarazzo, spiega di non aver mai girato uno spot pubblicitario prima d'ora. "Noi di sinistra - dice - guardavamo a queste cose con diffidenza". Ma ora s può. Anche Montepaschi è una banca "di sinistra", e allora via con i filmati, uno da 30, uno da 60 e l'altro da 95 secondi. Montepaschi non nasconde le proprie ambizioni. "In Italia ci sono 23 milioni di utenti in Internet, ben il 48% della popolazione e la pubblicità on line sta crescendo velocemente. Noi cerchiamo di catturare questo pubblico. Un esperimento simile, con uno spot su Youtube, è già stato fatto in Francia. "Si pensava di arrivare a 2 milioni di contatti e ne sono arrivati 48 milioni", dice il responsabile italiano della società. Bellocchio ha scelto “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano per accompagnare le sue immagini. Il video si trova all’indirizzo youtube.com/Bancamps ed è uno dei video più visti di ieri è IL TITANIC E L’AREOPLANO (Gigi Furini). LA METAFORA DELL’EDITORE NYT SUL FUTURO DEI GIORNALI è FACEBOOK E L’ONOREVOLE REALACCI: ALLA CAMERA NON FUNZIONA. MA SONO “RALLENTAMENTI TEMPORANEI”

Nessuno tocchi Facebook al deputato: questo l’appello di Ermete Realacci, parlamentare del Pd. "L'accesso a Facebook dalla Camera è lento in questi giorni" denuncia. Interessanti le motivazioni: "Per molti deputati Facebok è uno strumento fondamentale per tenersi in contatto con gli elettori, la sua importanza ormai è pari a quella della televisioni o dei notiziari delle agenzie di stampa. Non potervi accedere sarebbe, dunque, un grave danno". L’ufficio stampa di Montecitorio tranquillizza: “ci sono solo rallentamenti temporanei”. È comunque encomiabile l’attenzione di Realacci al social network: non è il suo caso, ma basta che i deputati, per taggare le foto degli elettori, non si assentino a votazioni fondamentali come quelle sullo scudo fiscale.

É infinito il dibattito sul futuro dei giornali nell’epoca di Internet. L’ultimo intervento è di Arthur Sulzberger, editore del New York Times: “I giornali a stampa continueranno a esistere ‘per decenni’ - ha dichiarato - ma in formato diverso da quelli di oggi”. Sulzeberger lancia una metafora suggestiva: "La migliore analogia che mi viene in mente è quella del Titanic: se anche fosse approdato sano e salvo nel porto di New York senza urtare l’iceberg, sarebbe stato ugualmente spacciato: dodici anni prima i fratelli Wright avevano inventato l'aeroplano". Se questo è il rischio c’è però una ciambella di salvataggio: "Dobbiamo trasformare le navi in aeroplani. Stesso business: trasportare passeggeri sani e salvi attraverso l’oceano”. La stampa, insomma, continuerà ad esistere, ma con un ruolo più di nicchia rispetto al web: "Oggi ci sono ancora navi passeggeri ma non trasportano più le masse attraverso l'Atlantico”.

feedbac$ k è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “Quei fogli ‘politici’ mai arrivati in edicola” di Stefano Feltri

Gentile sig. Feltri, leggendo il suo articolo dico una volta in più che i fondi all'editoria sono una cosa sacrosanta. Per una ragione semplice: si fa, come sempre, del populismo gratuito. Ovvero: soldi a giornali che non arrivano in edicola? allora via tutti... mi permetta, non è così, non può essere così... altrimenti si cade nel grillismo e nella demagogia e non si distingue più... lavoro da anni in un giornale edito da una cooperativa (pura) di giornalisti, cooperativa nata 25 anni fa. (Fulvio) Fulvio: non penso che la conseguenza dell'articolo fosse "leviamo i soldi a tutti", bensì un "rivediamo la distribuzione di questi fondi". Il problema delle sovvenzioni non è un problema da poco: se la sopravvivenza di un giornale dipende dai soldi in mano al "Potere", qual è la vera libertà d'azione del suddetto giornale? (Alberto M) Ma come molte cose in itaGlia, nascono da buoni/ottimi propositi, ma alla fine vanno a pu**ane allegramente tra ruberie e trucchi vari. (Massimo C) Non capisco perché dare questi soldi, secondo me creano anche una distorsione nel mercato, ho letto l'elenco giornali sconosciutissimi a me. (Robs) Mi piacerebbe sapere in base a quali parametri vieni distribuito il finanziamento ai giornali. La semplice tiratura? In ogni caso ci sono disparità enormi tra una testata e l'altra Il mio sospetto è che il parametro fondamentale sia quello "all'italiana" , cioè più hai un partito politico vicino e più si può incrementare il finanziamento. (Kirby) Sfatiamo un mito: i soldi pubblici non sono da demonizzare in un settore importante come quello informativo, e non sono automaticamente un guinzaglio. Certo non si possono dare soldi a casaccio, e allora i criteri sarebbero materia da discutere, ma paradossalmente più selettività farebbe passare tra le maglie della selezione quel guinzaglio di cui tanto si parla. Ok, togliamo i finanziamenti. Chi resterebbe? Il Fatto che è evidentemente un quotidiano con una sua funzione ben precisa, ma mandate un paio di giornalisti a fare le corrispondenze dall'estero, seguire le vicende a 360 gradi (o 160, come dice Gentilini) ed è chiaro che non ci starebbe dentro, pur essendo un esempio difficilmente imitabile di iniziativa editoriale per partecipazione. Resterebbero quei pochi editori che possono permetterselo, e ne hanno interesse. (Editorialando)


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Giovedì 29 ottobre 2009

SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE Voodoo economics e Tremonti di Tito

Boeri Fausto Panunzi remonti fa bene a puntare i piedi quando ricorda che l'Europa ci chiede di avere conti pubblici in ordine. L'oggetto del contendere all'interno del governo è l'abolizione dell'Irap e, più in generale, la riduzione della pressione fiscale. Per compensare la perdita di introiti Irap, si parla di possibili riduzioni di spesa, ma di tagli ai cosiddetti consumi intermedi sono lastricate le strade di molte Finanziarie. E l'illusione più pericolosa è quella secondo cui i tagli fiscali non avrebbero conseguenze sul debito o addirittura potrebbero migliorare i conti pubblici.

T

iamo al di sopra di ogni Stemente sospetto. Abbiamo pesancriticato il ministro Tremonti nelle ultime settimane per la costituzione della Banca del Mezzogiorno e per il suo demagogico elogio del posto fisso. In precedenza lo avevamo criticato per le sue idee sul maestro unico, per la sua assurda battaglia contro gli economisti, il suo stare immobile di fronte alla crisi e, più in generale, il suo culto del bel mondo antico. Avevamo anche previsto che la sua Finanziaria light di 3 articoli si sarebbe prestata all'assalto alla diligenza. Ma oggi Tremonti fa bene a puntare i piedi. Non certo quando chiede di diventare vicepremier. Ma quando ricorda che l'Europa ci chiede di avere conti pubblici in ordine mentre l'Italia ha già così, a bocce ferme, battuto ogni record per quello che riguarda il rapporto debito pubblico/Pil. L’oggetto del contendere è l'abolizione dell'Irap e, più in generale, la riduzione della pressione fiscale. Berlusconi ha annunciato una progressiva riduzione, fino alla sua eliminazione, dell'Irap. Si tratta di 38 miliardi in meno nelle casse delle Regioni. Su cosa conta Berlusconi nel sostituire queste entrate? Circola un piano, opera del Centro Studi Economia Reale guidato da Mario Baldassarri, che fantastica di riduzioni immediate di 20 miliardi della spesa per acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche e di 15 miliardi dei trasferimenti a fondo perduto alle imprese. Di tagli ai cosiddetti consumi intermedi sono lastricate le strade di molte Finanziarie. Questi tagli durano al massimo lo spazio … di un esercizio di bilancio: le spese immancabilmente rimbalzano l’anno dopo. Quasi il 70% di queste spese è di competenza delle Regioni. La quota dello Stato finanzia il piano straordinario per l’edilizia scolastica che serve ad evitare che i nostri figli rischino la vita andando a scuola . E non pare facile tagliare neanche i trasferimenti alle imprese, altra proposta di cui si parla da anni, in una congiuntura come quella attuale.Sono in pochi in questo momento a restare coi piedi per terra. Non manca la contabilità creativa: ad

L'illusione più pericolosa è quella secondo cui i tagli fiscali non avrebbero conseguenze sul debito o addirittura potrebbero migliorare i conti pubblici esempio, non è vero che saldare subito tutti i debiti dello Stato verso le imprese (60 miliardi) non avrebbe effetti sul debito pubblico. Purtroppo non è così: il debito aumenterebbe di ben 4 punti sul Pil. Potrebbe forse non aumentare di pari misura il deficit se queste spese sono già state iscritte a bilancio. Ma per il debito conta la cassa, l’esborso effettivo. rima che qualcuno lo diPcampo ca, è bene sgombrare il da un’altra illusione

che il caso italiano è diverso perché la pressione fiscale è più elevata che negli USA. E, in effetti, per l'Europa, le stime che conosciamo sono più elevate (si arriva fino all'84%) ma non portano in ogni caso alla conclusione che i conti pubblici miglioreranno. Ci sono ottime ragioni, a nostro avviso, per ridurre la pressione fiscale. Non solo l'Irap, di cui oggi tutti parlano, ma anche le aliquote Irpef, data l'enorme pressione fiscale che ricade in particolare sui lavoratori dipendenti, quelli che non possono evadere. Ma all’immobilismo di Tremonti non si possono contrapporre i piani avventurosi. Bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che alla riduzione delle tasse seguirà probabilmente un peggioramento più o meno pronunciato dei conti pubblici, in assenza di azioni di riduzione effettiva della spesa pubblica. Si può ritenere che questo sia un prezzo che vale la pena di pagare oggi, data la gravità della crisi. A nostro giudizio, ad esempio, valeva la pena di

pericolosa, quella secondo cui i tagli fiscali non avrebbero conseguenze sul debito o addirittura potrebbero migliorare i conti pubblici. Questa idea, che non è che una riedizione della vecchia curva di Laffer, non ha ricevuto alcuna solida conferma empirica. Per quello che riguarda gli Stati Uniti, Greg Mankiw, economista conservatore di Harvard, capo del Council of Economic Advisors durante il primo mandato di Bush junior, ha stimato che la maggior crescita e quindi le entrate extra ad essa associata, riesca a compensare - considerando anche gli effetti dinamici - al massimo il 50% della riduzione delle entrate. Si obietterà

LA STECCA di INDROl L´assassinio del generale Dalla Chiesa e di sua moglie è stato così commentato da gran parte degli uomini politici e dei giornali: “La mafia sfida lo Stato”. No, confida nello Stato 5 settembre 1982, da Il meglio di Controcorrente, Rizzoli

intervenire in disavanzo soprattutto all’inizio della crisi, per evitare una caduta così pronunciata della domanda. Si può oggi anche ritenere che occorra prevedere degli (inevitabilmente impopolari) tagli delle spese per non peggiorare i conti pubblici. Ma non si può fare finta che il problema non esista. Altrimenti si fa solo demagogia o, con un termine inventato da Bush senior, voodoo economics. Testo tratto dal sito www.lavoce .info

Il ministro Giulio Tremonti (FOTO GUARDARCHIVIO)

nordisti

É

di Gianni Barbacetto

TUTTI DA LETIZIA QUESTA SERA L

e decisioni sul futuro di Milano? Si prendono a casa del sindaco Letizia Moratti (che poi è anche la casa del petroliere Gianmarco Moratti, suo marito). In un paese normale sarebbe da non crederci. Ma siamo in Italia, paese in cui il presidente del Consiglio riunisce la corte nella reggia di Arcore e prende decisioni a Palazzo Grazioli, magari nel lettone di Putin. Un paese in cui il Parlamento è considerato un ente inutile e le istituzioni (dalla magistratura alla Corte costituzionale, fino alla presidenza della Repubblica) sono svillaneggiate e offese. Che sarà mai, allora, una mancanza di rispetto al Consiglio comunale, alla Giunta, a Palazzo Marino? Il potere è roba personale, da manovrare a casa (anche perché a Palazzo Marino potrebbe esserci nascosta qualche microspia: è già successo). Dunque, per risolvere la faida che si è aperta dentro il centrodestra milanese sugli affari urbanistici e immobiliari, riunione a casa Moratti, venerdì 16 ottobre. Presenti, oltre alla padrona di casa (Pdl-area Moratti), l’assessore all’urbanistica Carlo Masseroli (Pdl-area Cl), il presidente della Provincia Guido Podestà (Pdl-area laica) e Ignazio La Russa (Pdl-area ex An). Che ci fa La Russa a casa Moratti? Che un ministro della Repubblica – e ministro della Difesa, non della Semplificazione dei Bruscolini – trovi il tempo e la voglia di partecipare alle riunioni di Donna Mestizia, la dice lunga sull’importanza degli affari trattati in quegli incontri. E della necessità per La Russa di essere presente di persona. Perché? I maligni hanno una spiegazione maliziosa: che ha a che fare con il rapporto che lega indissolubilmente tre generazioni di La Russa a un costruttore, immobiliarista e finanziere particolarmente attivo sulla piazza di Milano: Salvatore Ligresti da Paternò. Il padre di Ignazio, il patriarca Antonino La Russa (anch’egli di Paternò), è anche padre finanziario di don Salvatore, avendo pilotato nelle sue mani le eredità del vecchio ras Michelangelo Virgillito (da Paternò) e del suo discepolo Raffaele Ursini. Il figlio d’Ignazio, Geronimo, siede nei board delle società ligrestiane, a cominciare dalla holding Premafin in cui è entrato a 25 anni. ì, Salvatore Ligresti: un nome che è anche l’ordine del giorno segreto della riunione a casa Moratti di venerdì 16 ottobre. Don Salvatore si era accorto, qualche settimana fa, che tre sue pratiche urbanistiche, ferme da quasi tre decenni, erano diventate di colpo urgenti: aveva allora chiesto a Podestà nientemeno che di commissariare il Comune. Era seguito un braccio di ferro tra Podestà e La Russa da una parte, Moratti e Masseroli dall’altra. Ora la situazione si è sbloccata e nessuno vuole più commissariare nessuno. Quale soluzione è stata trovata? Quale papello è stato discusso? Quale trattativa è stata conclusa? Quale scambio è stato pattuito (a spese della città)? Non lo sappiamo: è un segreto chiuso nelle mura di casa Moratti. Sappiamo però che il futuro urbanistico di Milano non sarà più tutto nelle mani del sindaco e del suo assessore (che sta distillando il nuovo Piano di governo del territorio): al tavolo delle decisioni – e degli affari – ora si sono accomodati ufficialmente anche La Russa e Podestà (che da qui in poi ha mano libera per i suoi Piani di cintura, relativi ad aree preziose attorno a Milano, tra le quali il Parco sud). Buone notizie in arrivo per Ligresti, statene cer ti.

S

Lo specchio di Calamandrei di Gian

Carlo Caselli

el notissimo libro di Piero Calamandrei “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” si legge: “Chi entra in Tribunale, portando nel suo fascicolo, in luogo di buone e oneste ragioni, secrete inframmettenze, occulte sollecitazioni, sospetti sulla corruttibilità dei giudici e speranze sulla loro parzialità, non si meravigli se, invece che nel severo tempio della giustizia, si accorgerà di trovarsi in un allucinante baraccone da fiera, in cui da ogni parete uno specchio gli restituirà, moltipli“Chi entra in cati e deformati, i suoi intrighi”. SoTribunale, portando no passati più di cinquant’anni, ma nel suo fascicolo, in le parole di Calaconservaluogo di buone ragioni mandrei no pieno vigore. occulte sollecitazioni, Certi protagonisti dell’attuale stagionon si meravigli se, ne italiana sembrano infatti puntare invece che nel severo tutto, in tema di su intempio della giustizia, giustizia, frammettenze si accorgerà di trovarsi nemmeno troppo occulte. Per esemin un allucinante pio, c’è chi dimentica che i giudici baraccone da fiera” sono soggetti sol-

N

tanto alla legge (art. 101 Costituzione), per pretendere invece che accettino dipendenze – dirette o indirette – da qualcosa che non è legge ma altro: palazzo, contingenti maggioranze o sondaggi, potentati economici o culturali. Oppure accusa quegli “impudenti” di magistrati che si ostinano a fare il loro dovere di essere “politicizzati”, prevenuti e faziosi: capaci persino di trasformare i Tribunali in luoghi dove si consumano vendette politiche, mentre in realtà si tratta semplicemente di non essere disposti a rinnegare la giustizia per fare la volontà di qualcuno. ischia l’effetto “specchio deformante”, Rdell’intervento poi, chi usa come metro di valutazione giudiziario l’utilità, sostituendo (con effetti devastanti) i tradizionali criteri di correttezza e rigore. Oppure chi gestisce il processo come momento di contestazione e rottura, con strategie finalizzate a condizionarne pesantemente lo svolgimento o svalutarne l’esito, strategie che nulla hanno a che vedere con un sistema di stretta legalità. Ancora. Si colloca fuori del “severo tempio della giustizia” chi pensa che l’investitura popolare conferisca il diritto di attaccare ingiustamente chi fa semplicemente il suo dovere istituzionale. O proclama che le sentenze ( ovviamente quelle sgradite a certi interessi) non possono valere più del voto di milioni di italiani. O decreta che determinati interventi giudiziari sono…. eversione della

democrazia. Anche oltrepassando la soglia della giurisdizione ordinaria per entrare a piedi giunti nel campo di quella costituzionale, accusando la Consulta di intrighi o lesa maestà per non aver sentenziato come certi ambienti speravano. si sconfina nel “baraccone” se si punta ad Egistratura, una sorta di “redde rationem” con la maprefigurando riforme della giustizia che sembrano ispirarsi a logiche di amico/nemico poco compatibili con una buona qualità di democrazia. Con tutto un “battage” di zelanti epigoni che si attaccano persino al colore dei calzini di un giudice, o alle sue passeggiate in attesa del proprio turno dal barbiere. Gli effetti sarebbero comici se non ci fossero ( nel tentativo di imbrattare l’immagine di un magistrato in quanto “reo” di aver preso una decisione contraria a certe aspettative) anche forti elementi di intimidazione, capaci di sovvertire le regole fondamentali della giurisdizione e di incidere sulla serenità dei giudizi. Scriveva Alessandro Galante Garrone che “a volte non basta, per un giudice, essere onesto e professionalmente preparato; in certe situazioni storiche , per potere ricercare e affermare la verità, con onestà intellettuale, bisogna essere combattivi e coraggiosi”. Il nostro Paese sta attraversando una tale situazione? Se così è, riesce difficile parlare di democrazia in salute.


Giovedì 29 ottobre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL Ho 21 anni mai più Pd Da ieri il Partito democratico ha perso un elettore. Certo non un elettore di lunga data visti i miei 21 anni, ma non è questo che importa. Premetto che non ho mai preso la tessera del Pd per due ragioni: per il mio carattere sostanzialmente indipendente (tutto merito di Silone) e perché ritengo che il partito costruito sui tesserati abbia storicamente finito il suo ciclo. Chi mi conosce sa che, nonostante le normali perplessità, ho sempre appoggiato questo partito. La sua carica innovatrice, il suo progetto originario mi avevano affascinato così come il primo segretario, Veltroni. Con l’elezione di Bersani questo progetto è stato definitivamente affossato, ripudiato. Ieri non è stato semplicemente eletto un nuovo segretario: il partito ha scelto di fare un passo indietro. Alessio Baldaccini

Io, ragazza madre senza aiuti dallo Stato Visti i secchi no ricevuti alle mie richieste di aiuto (non economico, ho sempre lavorato addattandomi a tutto) rivolti alle istituzioni mi domando.... E' normale in Italia che una ragazza-madre (ho

Furio Colombo

7

A DOMANDA RISPONDO POLITICI, L’ETÀ DELL’INNOCENZA

aro Colombo, persino la Germania conservatrice di Angela Merkel ha un ministro (il ministro della Salute) di 36 anni, per giunta non tedesco di origine, ma vietnamita. Possibile che l’Italia resti l’ultima e l’unica gerontocrazia del mondo libero? Vincenzo

C

IL LETTORE compie un gesto

particolarmente gentile nel rivolgere a me questa domanda. Di solito l’argomento si discute fittamente tra “giovani” (in Italia appena sotto i cinquanta) e si abbandona subito non appena si accosta il giovane e baldanzoso cinquantanovenne in grado di cooptare "i giovani” per il famoso “salto di generazione”. Ma di solito il “giovane” cinquantanovenne gioca una carta in più: coopta i giovani-giovani (in Italia: 30 anni), li raccomanda e li celebra molto. E li mette in lista d’attesa. Insieme diranno basta! al matusalemme. Ma, nelle loro carriere politiche, il giovanile e il giovane co-optato, restano separati (o separate) da un intervallo di 30 anni che garantisce un lungo periodo di controllo nelle mani dei “circa

IL FATTO di ieri29 ottobre 1964 Arrestato a Roma in una sera di marzo, destinazione Regina Coeli. Era nato così, nella primavera 1964, “il caso Felice Ippolito”, una delle storie giudiziarie più inquietanti degli Anni ’60 legata al nome del potente segretario del Cnen, pioniere della politica energetica, protagonista e vittima della tormentata avventura del nucleare italiano. Un grand commis, fautore di un’energia di Stato, con molti nemici. Il Psdi di Saragat, la corrente fanfaniana della Dc, le lobby del petrolio e dell’energia elettrica contro cui, in nome della nazionalizzazione, Ippolito si era battuto. Troppi per non cadere nella trappola di uno scandalo pilotato, con lo scienziato alla sbarra, accusato, tra l’altro, di malversazione, peculato, falso in bilancio. Un processo con 66 capi d’imputazione, finito, il 29 ottobre ’64, con una condanna a 11 anni, nonostante le testimonianze di scienziati del calibro di Amaldi, Caglioti e Buzzati Traverso. Condanna choc, ridotta a 5 anni in appello e risolta, dopo 24 mesi di carcere, con la grazia concessa da Saragat, diventato nel frattempo presidente della Repubblica. Per il “Mattei atomico”, un affaire oscuro conclusosi con una tardiva riabilitazione totale. Giovanna Gabrielli

avuto mia figlia a 17 anni lottando contro tutti quelli che mi dicevano di non farlo) non debba avere un minimo di aiuto per farsi una vita propria con la figlia ma debba sempre e comunque convivere con i propri genitori? Negli anni passati non conoscevo ancora l'adorabile persona che si prenderà cura di noi, seppur precario. L'amore non guarda il conto in banca e, nonostante il consiglio dato qualche anno fa dal nostro premier, non ho sposato un milionario ma ho seguito il cuore. Se non avessi conosciuto lui, o qualcuno che conviva precariamente con me e la mia bimba di 9 anni, con i miei quasi 600 euro al mese, avremmo dovuto trascorrere la vita con i miei genitori dormendo nella stessa stanza io e la mia bambina che cresce (ora col mio compagno si è aggiunto pure lui a dor-

BOX

mire li'), in una i miei genitori e nell'altra mio fratello e sua figlia? Discutendo ogni giorno con mia madre per cosa è giusto oppure no per mia figlia? E quando loro non ci saranno piu' chi aiuterà questa generazione anni '80, illusa dal mito del posto fisso. “Mai in fabbrica, studiando si ottiene molto di più”, dicevano. Sara Tocco

Niente flop alle primarie, una bella notizia Ho seguito con interesse le primarie del Pd, confesso che ho temuto nel flop di partecipanti, se non altro perchè avrebbe fornito al signor B. l'ennesima prova che il popolo era tutto con lui. Adesso che si impone al partito una scelta identitaria mi chiedo: ma una for-

sessanta”. Ecco, vorrei far notare che è lì il blocco nella vita politica italiana, certo a sinistra. Infatti la organizzazione partitica del nostro paese contiene più persone giovani di quella americana (la Camera dei deputati Usa è di alcuni anni più anziana di quella italiana) e meno persone “over seventy”. In Usa il Senatore Thurmond è morto, non tanto tempo fa, a cent’anni, in Senato. L’ottantenne Senatore Kennedy è stato il vero sostenitore e vincitore della candidatura di Obama prima di morire. Riassumendo: I favolosi grandi vecchi della politica italiana o non ci sono o non contano nulla. I giovani, benché arruolati con molta fanfara, sostano in più o meno confortevoli recinti. Il potere è a sessanta, solido, ben radicato, molto giovanilistico, e con tutta l’intenzione di durare. Quanto al giovane ministro tedesco, occhio al curriculum professionale e politico. Si vede anche da lontano che il suo capolavoro non è l’età ma ciò che ha già fatto con successo a quella età. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

za politica, presumibilmente ispirata da ideali di eguaglianza, che identità può mai avere in un mondo dominato dall'individualismo più sfrenato? Popolo, sinistra ed eguaglianza un tempo erano quasi sinonimi; adesso sembra invece che il popolo cerchi solo la libertà di potere allegramente arraffare e sopraffare il prossimo. Cosa significa allora "riagganciare il contatto con la gente"? Adeguarsi all'andazzo generale? Oppure avere la presunzione di recuperare le menti rimbecillite da 20 anni di telequiz e reality show? Che forse la sinistra, chiusa nei salotti intellettuali come panda in gabbia con gravi difficoltà riproduttive, stia solo cantando il suo requiem d'addio?

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IL FATTO QUOTIDIANO non usufruisce di alcun finanziamento pubblico

I politici rispettino le istituzioni È mai possibile che non ci sia il minimo rispetto da parte di nessuno (o quasi) per la carica rivestita? Sarò una bacchettona, ma sono dell'opinione che come le massime cariche dello Stato, anche i presidenti di Regione, Province, sindaci e altre persone che ricoprono cariche pubbliche devono comportarsi in modo così cristallino da non dover mai invocare alcun tipo di privacy, almeno finché

Riccardo Suizzo

È grave che Berlusconi sapesse di Marrazzo La notizia sull'avvertimento di Berlusconi a Marrazzo, riguardo al suo video giunto in Mondadori, mi ha oltremodo scandalizzato. Per due motivi: 1. Ha reso palese, se ce n'era ancora bisogno, che questo potere mediatico permette a B. di avere accesso a materiale ricattatorio sui proprio oppositori e di decidere (ancora più grave!) di pubblicarlo oppure no, tenendosi da parte un dossier da utilizzare quando vuole. Che autonomia poteva avere Marrazzo in questo contesto? A questo punto mi chiedo, quanti politici italiani sono sotto ricatto senza che l'opinione pubblica ne sia a conoscenza. 2. Si prospetta l’ipotesi che il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, fosse a conoscenza del ricatto dei carabinieri al governatore del Lazio, e non abbia

fatto nulla per impederlo, ad esempio denunciarli. Éimprobabile che B. abbia avuto in mano tale informazione e non l’abbia fatta approfondire. Ed è davvero sconvoilgente che il capo del Governo non sia intervenuto. Questa cosa mi spaventa molto.

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L’abbonato del giorno ELEONORA TABACCHIONI La nostra abbonata di oggi ha 29 anni e si chiama Eleonora. Scrive: “Ho il posto fisso da 8 anni, al contrario di altri ragazzi della mia età mi sono potuta comprare la casa, alla faccia di Padoa Schioppa che ci chiamava “bamboccioni”. E aggiunge: “Sono più che felice di questo giornale perché è esattamente quello che cercavo, ho abbandonato Repubblica!!! Ciao a tutta la redazione e buon lavoro!”

Stefano Giustii

LA VIGNETTA

sono in carica. Marrazzo non è meglio di Berlusconi, almeno per le questioni per cui viene ora crocifisso. E' solo molto meno furbo! Insomma, un po’ pervertito, molto pavido e molto poco intelligente: deve dimettersi e sparire!

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Inoltre, adesso grairei che la satira si rivolgesse anche a lui. Una cittadina di sinistra. Mariella

Elettori democratici, il degrado non conta? Tre milioni di Italiani hanno votato alle primarie del partito democratico e. giustamente, vengono considerati rappresentanti dell' Opposizione. Quindi sono persone informate dei fatti che riguardano il proprio paese e la politica. Sono, almeno minimamente, consapevoli del degrado bipartizan ormai decennale delle istituzioni? Oppure sono simpatizzanti storici ? O inguaribili romantici? E gli altri milioni di potenziali elettori della Repubblica, cosa pensano? Forse, se Berlusconi, nonostante ciò che e' e da sempre ha dimostrato di essere, ha così seguito e consenso, è perché rappresenta al meglio l'anima dell'italiano medio, che lo invidia perché vorrebbe essere al suo posto e ritiene che una dose massiccia di "egoismo scaltro e furfante" sia una virtù e non un vizio. L'italiano si lamenta solo quando le cose vanno male a lui. Non crede, forse, che la scusa della disinformazione ormai non regga piu' fino in fondo? E che, individualmente, dobbiamo cominciare a chiederci cosa siamo? Roberto Giuliano

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Alessio Fattorin

Il posto fisso e l’indennità L'articolo di Stefano Sacchi "Il posto fisso non esiste" di martedì 27 è in gran parte condivisibile, ma sinceramente mi rimane oscuro il passo in cui si afferma che l'introduzione dell' "indennità di terminazione" metterebbe un freno ai contratti a termine. Perchè mai ciò dovrebbe avvenire? Per la semplice paura da parte degli imprenditori di scucire un indenniz-

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).

zo da riconoscere al lavoratore, magari commisurato alla retribuzione? Chi frequenta il mondo dei contratti brevi e a termine, sa benissimo che questi spesso hanno retribuzioni molto basse e che quasi sempre l'assunzione di personale tramite questi contratti rientra in una strategia predeterminata A quel punto se ci fosse questa indennità, basterebbe farsi due conti e sottrarre all'importo y che ho deciso di stanziare la somma x da destinare all'indennità e saremmo da capo a dodici. Continuo a sostenere che, in attesa di un cambiamento della cultura del lavoro che rivaluti le persone e il loro apporto non solo economico sul lavoro, l'unica maniera per affrontare la "flex insecurity" italiana sia quella di estendere a tutti, indistintamente, quegli ammortizzatori sociali a cui oggi solo il 35% dei lavoratori accede. Altrimenti continueremo ad avere la doppia velocità: flessibilità in uscita, rigidità per rientare.

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Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centro stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: poster@poster-pr.it Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599


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