Scoperte 100 società della ‘ndrangheta a Milano, la città dell’Expo. La legalità è ancora possibile?
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Sabato 14 novembre 2009 – Anno 1 – n° 46 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
“MI HANNO MUTILATO IL CORPO E NEANCHE LI PROCESSANO” Le vittime dell’ultima legge per il premier Il popolo che dice basta di Antonio
Padellaro
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residente Napolitano. Presidente Fini. “Adesso basta” è il titolo che abbiamo stampato ieri sulla prima pagina del Fatto Quotidiano. Adesso basta è scritto sulle migliaia di messaggi che giungono al nostro giornale. Tutti indistintamente chiedono di mettere la parola fine allo scandalo che da quindici anni sta sfibrando l’Italia: la produzione incessante di leggi personali per garantire a Silvio Berlusconi la totale immunità e impunità in spregio alla più elementare idea di giustizia. Quello che rivolgiamo a voi che rappresentate la prima e la terza istituzione della Repubblica (sulla seconda, il presidente del Senato Schifani pensiamo di non poter contare) non è un appello ma una richiesta di ascolto che, siamo certi, non andrà delusa. Tutte quelle lettere, e-mail, fax esprimono una protesta e una speranza. Di protesta “contro l’arroganza di un Potere che sembra aver perso ogni senso della misura e anche quello del decoro”, scrisse Indro Montanelli sulla Voce nel 1994, all’epoca del decreto Biondi. Fu il primo tentativo di colpo di spugna al quale ne sarebbero seguiti altri diciotto negli anni a seguire fino all’ultima vergogna chiamata “processo breve”. Allora la battaglia fu vinta. La redazione della Voce fu alluvionata di fax dei lettori disgustati, il decreto fu ritirato e il grande giornalista così rese omaggio allo spirito di lotta dei concittadini: “Fino a quando questo spirito sarà in piedi, indifferente alle seduzioni, alle blandizie e alle minacce, la democrazia in Italia sarà al sicuro”. Malgrado abbia attraversato tante sconfitte e tante delusioni quello spirito non appare per nulla fiaccato e chiede di trovare una risposta capace di dirci che la politica non è solo interesse personale e disprezzo per gli altri. Che le istituzioni sono davvero un baluardo contro le prepotenze del più forte. Questa è la nostra speranza presidente Napolitano e presidente Fini. Per questo vi trasmetteremo i messaggi dei nostri lettori. Tenetene conto.
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Contro l’impunità di B. un fronte sempre più ampio. Casini dice: “È una porcheria”. Bersani: il premier
vada in tribunale. Malumore tra i finiani. Protesta in piazza a Roma il 5 dicembre pag. 2,3 e 4 z
EMERGENZE x Il capoluogo siciliano invaso da tonnellate di spazzatura
Rifiuti, Palermo come Napoli
Lo Bianco pag. 5 z
Rifiuti in una via di Palermo (FOTO ANSA)
UNIVERSITA’ x L’ultimo imbroglio della destra
NON C’È UN EURO PER I PRECARI La Finanziaria 2010 esce dal Senato con due novità: non c’è la Banca del Sud di Tremonti e non vengono sbloccati 80 milioni già stanziati per assumere 4.200 Feltri pag. 10 z ricercatori
Udi Barbara Spinelli
CATTIVERIE Nasce l’albo professionale dei buttafuori: volare fuori dai locali farà tutto un altro effetto. (www.spinoza.it)
Udi Beatrice Borromeo
IL CROCIFISSO SAVIANO NON VA E IL MONDO BANALIZZATO DI COSENTINO aro direttore, Marco Travaurante l’ultima puntata di Cesposto glio ha difeso il crocifisso D “Che tempo che fa”, Ronelle aule della scuo- berto Saviano ha parlato dela pubblica, sul Fatto, in accordo con molti non cattolici contrari all’abbandono del simbolo essenziale del cristianesimo. pag. 13 z
gli scrittori perseguitati per le loro opere. Libri proibiti, come il suo “Gomorra”, che da anni lo costringe a vivere sotto scorta. pag. 6 z
Chi di monnezza ferisce… di Marco Travaglio
a nemesi di Silvio Berlusconi si chiama monnezza. Non bastassero Veronica e i processi, la D’Addario e Fini, per non parlare di Ghedini che gli sta apparecchiando un’altra legge incostituzionale, una marea di spazzatura sta tracimando su Palazzo Grazioli proveniente dalla solita Campania e, adesso, anche da Palermo. Qui ben 65 comuni della cintura sono invasi dalla spazzatura e prendersela con la pesante eredità della sinistra appare arduo anche per un bugiardo come lui, visto che della sinistra in Sicilia si son perse le tracce dai tempi di Francesco Crispi. È il tramonto improvviso, fragoroso e maleodorante del Miracolo Berlusconiano. Solo un anno e mezzo fa il Cavaliere galoppava trionfante sulla Campania ridotta a immensa discarica a cielo aperto da vent’anni di malgoverno e di truffe miliardarie (in euro) bipartisan, al grido di battaglia: “Ghe pensi mi”. Soltanto qualche mese fa tutti i telegiornali e la stampa governativa (cioè quasi tutta) cantavano le gesta del Presidente Taumaturgo che sanava a una a una le piaghe del Malpaese con la sola imposizione delle mani. L’ultimo turiferario è stato Piero Ostellino che poveretto, vivendo all’estero, è sempre un po’ in ritardo: ancora il 5 novembre, sulla prima pagina del Corriere, incensava “il governo che ha gestito bene le ‘emergenze’, la spazzatura in Campania, il terremoto in Abruzzo”. È una fortuna per lui che viva all’estero: dovesse mai transitare per l’Abruzzo o la Campania, glielo farebbero vedere le popolazioni locali come il governo risolve. Decine di migliaia di sfollati nelle tende-freezer in Abruzzo e, quanto alla Campania, la raccolta della spazzatura ha ricominciato a fermarsi a San Giorgio a Cremano, a Quarto e in tutti i comuni-sentinella della penultima catastrofe, come documenta Claudio Pappaianni sull’ultimo Espresso. Con tanti saluti agli annunci del finto-efficiente Bertolaso, che aveva fissato la fine dell’emergenza al 31 dicembre 2009 con uno strepitoso piano a base di discariche a go-go, termovalorizzatori (cinque!) e raccolta differenziata. Risultato: un solo inceneritore, sempre il solito, quello di Acerra, ancora in fase di collaudo, senza bollino blu, con emissioni venefiche fuori norma; e due discariche in provincia di Avellino e di Benevento. Cioè i tre impianti messi in piedi dal piano De Gennaro del governo Prodi, che non fece in tempo a inaugurarli grazie al ribaltone di Mastella & C. Differenziata al palo, nessuna traccia del ciclo integrato dei rifiuti, nemmeno l’ombra del compostaggio e le ecoballe (4.700.000) sempre lì, a piramide, eterno monumento alla politica parolaia e camorrista. Intanto per le strade tornano ad accumularsi sacchi di rifiuti dappertutto, mentre ai cittadini campani il cosiddetto servizio di smaltimento costa 2 milioni di euro al giorno più la Tarsu più cara d’Italia. Una situazione esplosiva che solo la militarizzazione del territorio (2 mila soldati) e la neutralizzazione delle procure territoriali per decreto (incostituzionale) ha impedito che degenerasse di nuovo in rivolta. Dopo un anno e mezzo di Miracolo, si continua a gettare i rifiuti in discarica, grazie anche alla pax mafiosa garantita – se le accuse della procura e del gip sono vere – dal sottosegretario Cosentino, che aveva apparecchiato nel casertano una mirabile società mista fifty fifty: metà Stato, metà Clan dei Casalesi. Risultato: richiesta d’arresto a Cosentino, tre processi a Bassolino (il più fedele alleato di Berlusconi in Campania) e uno a Bertolaso, che ora medita di darsela a gambe per dedicarsi al volontariato. Ecco, bravo. L’avesse fatto prima, non avrebbe pianto nessuno.
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Il ddl della destra: uno scandalo in 3 articoli
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LEGGI PERSONALI
ono 3 gli articoli del ddl “processi brevi”. Nell’articolo 1 si fissano le modalità per la durata “ragionevole” dei processi, oltre la quale, se il ddl diventasse legge, il processo verrà estinto. “Non sono considerati irragionevoli i periodi che non eccedono la durata di due anni per il
primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio. Il giudice, in applicazione dei parametri di cui al comma 2, può aumentare fino alla metà i termini di cui al presente comma”. Se vengono superati i limiti di ragionevole
durata, il processo è estinto (articolo 2), “nei processi per i quali la pena edittale determinata ai sensi dell’art. 157 del Codice penale è inferiore nel massimo ai dieci anni di reclusione”. L’articolo 3 invece contiene “disposizioni relative all’entrata in vigore della legge e all’applicazione delle norme sull’estinzione processuale”.
Per Casini è una porcata, per Bersani pure, per Alfano si vedrà...
IL CHIRURGO-BOIA RESTA INTOCCABILE “MI HANNO TOLTO UN POLMONE SANO, NESSUNO PAGHERÀ” di Antonella Mascali
i ha tolto un pezzo di polmone sano, ho una cicatrice di 20 cm sotto al seno, dopo oltre due anni ho dolori atroci e questo “luminare” potrebbe non andare in galera. Ma che giustizia abbiamo in questo paese?”. La vita di K. B., professionista milanese di 47 anni, è stata segnata per sempre da un medico senza scrupoli, che non ha esitato, per denaro, a operare e provocare danni a pazienti che non avevano bisogno dei suoi interventi. Il professor Pier Paolo Brega Massone l’ha menomata e ora, grazie al ddl “processi brevi”, il macellaio della chirurgia toracica della clinica milanese Santa Rita e gli altri imputati potrebbero farla franca. La signora, che ha accettato di parlare a Il Fatto quotidiano, e le altre vittime di lesioni anche molto gravi, non solo hanno la vita distrutta, ma potrebbero non avere neppure giustizia se la sentenza non arrivasse entro i primi di luglio 2010 - , per una legge ideata esclusivamente per evitare i processi a Berlusconi. Era maggio-giugno del 2007 quando la signora arriva alla Santa Rita per fare degli esami, in vista di un intervento non preoccupante. Per disgrazia le sue analisi sono intercettate dal primario Brega Massone, appunto - anche se l’operazione che doveva fare non aveva nulla a che vedere con i polmoni. È stato l’inizio del calvario di K. B. “Il professore mi ha terrorizzato letteralmente - racconta la signora - mi ha detto che uno dei miei polmoni era messo malissimo, che non avrei potuto affrontare nessun altro intervento se non avessi risolto prima quel problema, che ero a rischio. Ma allo stesso tempo
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aveva un tono convincente”. Vuol dire che era affidabile? “Io gli ho creduto ciecamente perché era un primario molto stimato, veniva dall’istituto dei tumori. Come potevo immaginare che fosse un medico senza scrupoli?”. Le aveva parlato di rischi per l’asportazione di una parte del polmone? “Affatto. Anzi, mi aveva detto che si trattava di un intervento semplice e che nel giro di tre, quattro giorni sarei stata di-
messa. Pochi giorni dopo il colloquio ero già ricoverata e lo stesso professor Brega Massone mi ha operata. È da allora che è cominciato il mio incubo. Sono rimasta in clinica oltre dieci giorni tra sofferenze inenarrabili. Ancora adesso, a distanza di oltre due anni, ho male. Il mio polmone non doveva subire nessuna asportazione e invece mi ritrovo un taglio di 20 cm sotto al seno”. A questo punto la signora si interrompe, non è facile parlare della menomazione che ha subito: “Non ho più sensibilità a un seno e non aggiungo altro... Non sono più la stessa, spesso ho dolori, non riesco più a fare una corsa con i miei figli, a portare i sacchetti della spesa o una
La rabbia della signora K. B., vittima degli orrori alla Santa Rita: “Con la nuova norma li salveranno”
otrebbe suonare come Pespressa un’ammissione quella ieri dall’Avvocatura
Forze dell’ordine davanti alla clinica Santa Rita di Milano (FOTO ANSA)
valigia. La rabbia che ho dentro è indescrivibile, la mia fiducia nei medici non esiste più. Il problema per cui ero andata alla Santa Rita me lo tengo, ormai ho il terrore dei camici bianchi”. La signora K.B. si è costituita parte civile, assistita dall’avvocato Marco Marzari, il rischio che non possa avere giustizia per quanto le è accaduto le provoca sconforto: “Solo l’idea che il processo possa essere prescritto mi fa venire i brividi. Se questa è la giustizia italiana, siamo messi
Vendola: “Asl, pressioni dalla massoneria” INCHIESTA SULLA SANITÀ, INTERCETTAZIONE DEL GOVERNATORE SULLE NOMINE di Antonio Massari
giorni scorsi ha sostenuto che, da questa vicenda giudiziaria, ne uscirà “rafforzaerano le pressioni della “massoneria” to” e più “sereno”. Secondo i carabinieri, sulla sanità pugliese per la nomina di però, avrebbe “imposto”, ai direttori gealcuni primari. È Vendola a parlarne - ma nerali delle Asl e di differenti presidi non è chiaro se si trattasse di un riferi- ospedalieri pugliesi – proprio nel maggio mento specifico o di una illazione - nel 2008 – le nomine di direttori amministra2008, quando viene intercettato mentre tivi e sanitari, nonché di primari. E lo discute con l’ex assessore Alberto Tede- spunto investigativo sulla “massoneria” sco della posizione di un medico barese nasce proprio da un’intercettazione, tra che insegna ad Harvard. E anche su que- Vendola e Tedesco, sulla mancata nomisto la procura di Bari, che indaga sulla na d’un primario all’ospedale “Miulli” di “malasanità”, ha cercato di fare chiarezza Acquaviva delle Fonti. La telefonata risale in questi ultimi mesi. Un’inchiesta che ri- alla primavera del 2008, il periodo indischia di travolgere il presidente Nichi cato dai carabinieri nell’informativa, e il Vendola: pochi giorni fa è stata deposi- primario in questione è Giancarlo Logrotata in procura un’informativa dei cara- scino, esperto di epidemiologia, docente binieri: secondo l’Arma, per il governa- alla Harvard School di Boston. Logroscitore pugliese, sarebbe ipotizzabile il rea- no però non riesce a ottenere la nomina to di “tentata concussione”. Vendola, per al “Miulli”, nonostante sia un professioil momento, non risulta indagato. Nei nista stimato, vanti numerosi titoli accademici, e Vendola ne discute con Tedesco. Quest’ultimo si laBEATITUDINI E BEATIFICAZIONI menta delle pressioni ricevute, da tempo, sul nominativo del medico. Vendola cerca d’informarsi. Pare Ravenna c’erano Massimo dichiarazioni affettuose (e forse un convinto che la manD’Alema, Pier Luigi Bersani, po’ azzardate). “Sarebbe possibile, cata nomina di LogroDario Franceschini, Bruno Tabacci. Al mi chiedo, pensare ad un processo di scino sia dovuta proprio all’intervento di Teatro Rasi, alla presenza di beatificazione per Zaccagnini?”, ha Tedesco: l’ex assessoparlamentari emiliani, del presidente detto Tonini concludendo il convegno re gli avrebbe preferidella Regione Emilia-Romagna Vasco e prendendo di sorpresa pubblico e to un altro primario. Il Errani c’era anche la famiglia relatori. governatore pugliese Zaccagnini (la moglie Anna e i figli “Da vescovo e da cardinale dico che sostiene d’aver sapuLivia e Stefano). Tutti riuniti per la Chiesa ha bisogno di questi santi, to che è stato Tedesco l’incontro, organizzato dalle Acli, in gente che appare normale e a far vincere un conmemoria di Benigno Zaccagnini, a ordinaria, ma in cui lo Spirito Santo corrente. La circostanza, però, viene nevent’anni dalla scomparsa. Ma Ersilio fa dei miracoli. Zaccagnini era una gata: Tedesco argoTonini, 95 anni, che da arcivescovo di creatura santa, dalla coscienza menta l’esclusione di Ravenna fu molto amico di Zac ha nitida. Aveva un rapporto singolare Logroscino con motirubato la scena ai papaveri rossi con con il Signore”. vi prettamente professionali. Da lui nessuna
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TONINI: ZACCAGNINI SANTO SUBITO
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proprio male. Qui siamo di fronte a una persona colpevole, ci sono a suo carico intercettazioni agghiaccianti (“Io pescavo dappertutto, da Lodi, dove tiravo fuori le mammelle, poi ho cominciato a pescare anche pomoni...” ad esempio, ndr). Invece del carcere cosa gli diamo, un monumento? Se non viene punita una persona che mutilato pazienti che Stato abbiamo? Vuol dire che non tutela le vittime, vuol dire che gli slogan sulla sicurezza sono solo pubblicità”.
pressione. Tuttavia, dice d’aver comunque risolto il problema e spiega che Logroscino potrà prendere posto in un altro ospedale, dove potrà occuparsi della Sla. Dal tenore della conversazione, però, emerge che Tedesco ha sopportato molte, troppe pressioni sulla nomina del medico di Harvard. Pressioni poco gradite. Sia dall’ambiente politico, sia da quello sanitario, ed è a quel punto che Vendola rivela: dice d’aver saputo che s’è mossa anche la massoneria. Una frase che ha alimentato molti sospetti in procura: su questa telefonata, già a luglio, Vendola fu chiamato a dare spiegazioni dalla pm Desirèe Digeronimo. Il colloquio durò circa quattro ore. Al momento, l’inchiesta condotta dalla pm barese, e dai carabinieri del Ros, conta 15 indagati, tra i quali Tedesco, con accuse che variano dall’associazione per delinquere alla corruzione, concussione, falso, truffa, illecito finanziamento ai partiti e voto di scambio. Smentite, infine, le voci di uno “scontro” tra il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, e la pm Digeronimo, dopo la pubblicazione da parte di Libero degli stralci dell’informativa dei carabinieri. Laudati s’era detto immediatamente “rammaricato” per l’episodio. Qualcuno aveva ipotizzato persino la revoca dell’inchiesta al pm. La smentita è netta: l’indagine continuerà a essere affidata al pm Digeronimo”, ha detto ieri Laudati, “non ho alcuna intenzione di toglierle la delega”.
Il presidente della Puglia al momento non risulta indagato per aver imposto dirigenti
dello Stato: “Il ddl sul ‘processo breve’ deve essere accompagnato da interventi strutturali e da risorse adeguate, come d’altronde più volte auspicato anche dallo stesso ministro Alfano, altrimenti – spiegava ieri Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’Avvocatura – assisteremo al varo di una riforma che verrebbe giustamente criticata perché parziale, alimentando così il dubbio che sia stata realizzata con finalità diverse da quelle esposte in più occasioni”. “Bisogna fare attenzione – osserva De Tilla – affinché con questo progetto di legge non si producano effetti indesiderati, proprio per le ragioni sopra esposte. Uno dei rischi è che i tribunali, non essendo ancora attrezzati, non riescano a gestire nei tempi previsti i processi, e la conseguenza sarebbe un meccanismo di prescrizione di fatto del reato”. Parole che risuonano nel giorno in cui l’Anm ha continuato a tuonare contro il provvedimento: “Ci saranno effetti devastanti sul processo penale – ha ribadito Palamara – di fatto sarà impossibile celebrare i processi. Quello penale ha bisogno di urgenti riforme e non di essere affossato”. Ma ieri contro il processo breve è arrivato anche l’alt di Casini: “Una porcheria, un provvedimento che dimentica le vittime, sfascia l’ordinamento e abroga la giustizia”. Il leader dell’Udc ieri a Montecitorio ha riferito di una sua conversazione privata avuta con un presidente emerito della Corte Costituzionale: “Mi ha detto che quel provvedimento è un mostro giuridico, palesemente incostituzionale”. Unica via d’uscita per Casini sarebbe la presentazione di un nuovo lodo Alfano, ma questa volta come “legge costituzionale”. “Il premier si faccia processare” taglia corto invece Bersani. Il segretario Pd ha ribadito che il Pd farà un’opposizione molto netta in Aula. “Il nostro obiettivo – ha detto – è fermare queste norme e sottolineare ancora una volta che questo paese è sempre nel tritacarne dei problemi di Berlusconi, e non va bene. Questo paese merita di potersi occupare dei problemi veri”. E ieri sera è arrivata anche la risposta di Alfano: “Il ddl sul processo breve? Valuteremo l’impatto del ddl sui processi”. Una risposta ai distinguo della stessa maggioranza. E Giuseppe Consolo apre alla proposta di Casini sul nuovo lodo: “Mi sembra una strada interessante”.
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Cittadinanza agli immigrati: il testo che rompe gli schieramenti
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LEGGI PERSONALI
a parola chiave della proposta di legge è questa: "cittadinanza breve". Ed è bastata che venisse messa nero su bianco, a Montecitorio, per agitare le acque nella maggioranza. A presentare la proposta sono stati due parlamentari di due schieramenti opposti, il "finiano" Fabio Granata e il cattolico del Pd Andrea Sarubbi. Risulatato: un articolato che porta in calce
il nome di cinquanta parlamentari di tutti i gruppi (nessuno della Lega, ovviamente), e che propone la riduzione da 10 a 5 anni del periodo di tempo necessario a uno straniero per poter chiedere di diventare cittadino italiano e il passaggio dal cosiddetto "ius sanguinis" allo "ius soli" (ovvero la prevalenza del luogo di nascita) per i figli di genitori legalmente soggiornanti e residenti in Italia da 5 anni.
La proposta è stata presentata un mese fa in una conferenza stampa alla Camera con dei testimonial d’eccezione la nazionale italiana under 15 di cricket. Perché? Perchè composta in gran parte da figli di immigrati. La Lega ha aperto il fuoco di sbarramento e il Pdl ha puntualizzato, con il capogruppo Fabrizio Cicchitto: “Su questo tema non si rovesceranno le alleanze». Per ora.
FINI, GUERRIGLIA A PALAZZO La battaglia sul “processo breve” non è ancora finita E se ne prepara un’altra sul testamento biologico L’ASSO DI GIANFRI
di Luca Telese
ultima notizia è questa. I finiani, alla Camera preparano un emendamento alla legge sul testamento biologico. Un emendamento che sarà firmato dai deputati più vicini al presidente della Camera, come Flavia Perina o Fabio Granata, ma anche da qualcuno che viene da un’altra storia, come Benedetto Della Vedova, e si è avvicinato all’area di influenza dell’ex leader Di An. Le conseguenze saranno almeno due. La prima, la più immediata, è che se il colpo riesce, la legge votata al Senato dovrà tornare a Palazzo Madama, certificando un atto di formale sfiducia nei confronti di chi – ad esempio Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello – ha fatto di quella battaglia una bandiera personale e un punto d’onore. La seconda: dopo il conflitto deflagrante tra i due leader antagonisti sul processo breve, una nuova, clamorosa frattura si produrrà dentro il Popolo della libertà e la maggioranza di governo. Una nuova indiretta sfida fra Fini e Silvio Berlusconi. Vietcong finiani. E dire che solo pochi mesi fa, all’atto di nascita del Pdl, nei giorni del doppio congresso alla Fiera di Roma, molti davano per spacciato Fini. Non ha più un partito, dicevano, non ha più le truppe: fa bei discorsi, ma il Cavaliere se lo è cucinato. Nessuno poteva immaginare che Fini si sarebbe costruito una doppia strategia di combattimento, un po’ vietcong, un po’ leader ieratico, ancorato al suo incarico istituzionale. Il più importante banco di prova era stato proprio il tema dei diritti civili, quando sul caso Englaro Fini aveva scagliato il suo primo dardo contro il Cavaliere, solidarizzando con Napolitano. Già fra la primavera e l’estate erano arrivati altri segnali di guerriglia. La Lega prova a far passare la norma dei “medici spia”? Alessandra Mussolini organizza “la carica dei 101” parlamentari per sopprimere la norma. Lo stesso schema si riproduce sulla scuola. La Lega propone vincoli di iscrizione per i figli dei clandestini, i finiani organizzano le barricate e fanno saltare il provvedimento. E che dire dello scudo fiscale? Il giorno del voto finale, il
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Pronto un emendamento dei fedelissimi per il biotestamento: sarà il nuovo fronte anti-B.
GRANATA PER SILVIO vero paradosso ora che Fabio IdolGranata è il principale baluardi Gianfranco Fini, è che nell’ormai storico congresso di Sorrento, quello in cui l’ex leader di An venne incoronato segretario del Msi, lui era “dall’altra parte”. Granata – infatti – nasce come strutturato dirigente Fabio Granata (F A ) rautiano (anzi “niccolaiano”) convinto sostenitore, già negli anni Ottanta del cosiddetto “sfondamento a sinistra”. Ha 48 anni, è nato a Caltanissetta, da sempre naviga controcorrente nel suo schieramento. Tanto per dire: era assessore della giunta Cuffaro, ma diventa il beniamino delle classi dirigenti progressiste per aver fatto approvare il testo unico della “legislazione antimafia”. E a chi gli rimproverava, da destra, di “civettare” con i pm, rispondeva: “Io sono sempre stato, e rimango, con la destra di Paolo Borsellino”. Anche per questo, non da ieri, i dirigenti di An non lo possono vedere. E lui, all’inizio degli anni Novanta, era giunto al punto di passare alla Rete di Leoluca Orlando, per poi tornare suoi passi quando la parabola di quel movimento si era esaurita. E’ sposato con Paola, anche lei ex militate del Fronte della Gioventù: ha una figlia femmina, Andrea. Il suo testimone di nozze è il più eclettico degli intellettuali di destra, Pietrangelo Buttafuoco. Da assessore alla cultura (regionale) arriva alle pagine nazionali quando blocca le trivellazioni (autorizzate) nella Val di Noto. Andrea Camilleri, che lo stima ha firmato la prefazione al suo libro, “L’identità ritrovata”. Ma è in questa legislatura che Granata, da deputato, diventa leader nazionale. Un mese fa, con un collega del Pd – Andrea Sarubbi – presenta una proposta di legge avanzata sulla cittadinanza agli immigrati. “Sono solo peones”, attacca Ignazio La Russa affondando la lama. E Granata, caustico: “Fa sorridere e mette tristezza che un ministro faccia nonnismo chiamando ‘peones’ deputati che fanno il loro dovere. Non so se lo fa da ministro o da colonnello in disarmo”. Ieri ad “Annozero”, ha spiazzato persino Antonio Di Pietro. Che invece di polemizzare ha esclamato: “Viva Granata! Ma a destra chi lo segue?”. OTO
La Cacciata dei mercanti dal Tempio, Cecco del Caravaggio – interpretazione di Roberto Corradi
testo passa per soli venti voti. Molti degli assenti (e dei deputati in missione), guarda caso, sono vicini al presidente della Camera. Il ministro La Russa, in pieno Transatlantico, mangia la foglia: “Qui bisognerà verificare le assenze!”. Neomovimentismo. Il caso Englaro segna uno strappo quasi definitivo tra i ministri che vengono da An (tutti schierati con Berlusconi) e i loro ex leader. Ma Fini, con abilità rara è riuscito a cambiare le ruote in corsa, a costruire una nuova classe dirigente. L’intellettuale di riferimento è un professore universalmente apprezzato come Alessandro Campi. I guerriglieri più spericolati sono la banda di FareFuturo capitanata da Filippo Rossi. Il vascello corsaro da cui partoto i colpi di colubrina è Il Secolo di Flavia Perina e Luciano Lanna. Gli ingegneri in parlamento Italo Bocchino (più istituzionale) e Fabio Granata (totalmente smarcato). E poi, quando, serve, è Fini a dettare le accelerazioni e a scandire il metronomo. Pubblica un libretto azzurro sorprendente (Il futuro delle libertà), incontra le associazioni dei gay nel pieno dell’offensiva omofoba, elogia Il Secolo inaugurando il sito internet, e rivendicando una destra laica e ghibellina. Sta di fatto che domani il giornale di via della Scrofa sparerà un’altra bordata, presentando un intrigante supplemento sui diritti. Titolo, che è tutto un programma: “Il nostro garantismo”. Già. Perchè mentre il Giornale di Feltri lo cannoneggia un giorno sì e l’altro pure, Fini si impegna nel duello con Berlusconi sul testo breve. Mentre i vietcong finiani lavorano ai fianchi il copaccione pi-
diellino con la guerriglia, infatti, il leader istituzionale ottiene due risultati importanti: inchiodare il premier ad un accordo, e rendere plateale il dissenso. Chi ci guadagna? Lui ovviamente. Maramaldeggia uno dei parlamentari più arguti del pacchetto di mischia: “Mica veniamo da Publitalia, noi.... Siamo gente che trent’anni fa organizzava un campo hobbit con una penna, una matita e 50 lire. Figurati se ci spaventiamo: il movimentismo è la nostra autobiografia”. Destra Ghibellina. Già, perchè questo è l’ultimo paradosso del Fini che dà filo da torcere a Berlusconi, l’ultima stupefacente metamorfosi. Nella sua terza vita politica Fini riscopre e raccoglie intorno a se quelli che un tempo eranosuoi avversari politici. La Perina e Umberto Croppi (“il Nicolini di An”) erano rautiani. Filippo Rossi e Luciano Lanna (autori del libro cult della post-identità, Fascisti immaginari) hanno ascendenze dirette e indirette con Beppe Niccolai, l’eretico che beffò il comitato centrale missino facendo approvare (con uno strategemma) un documento del comitato centrale del Pci sul la-
Il presidente della Camera non molla I suoi si organizzano: “Mica veniamo da Publitalia”
voro. Campi invece ha una provenienza del tutto laica. Insomma, Fini sta riscoprendo anche la destra ghibellina che per una vita aveva combattuto, da custode del’ortodossia almirantiana. “E condivisibile ma non è credibile”, ha scritto di lui con severità Pietrangelo Buttafuoco. Il che può essere vero. Ma passa in secondo piano, se, come adesso, questo Fini inedito, guerrigliero istituzionale e ghibellino, continua a vincere.
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Lu.Tel.
ONOREVOLI AVVOCATI
PECORELLA-GHEDINI, TANGO DELLA GELOSIA di Peter
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battuta, feroLnelace,pomeriggio è arrivata di martedì 10 novembre, mentre la maggioranza tenNiccolò Ghedini (F A ) tava di abborracciare il testo della legge sul processo breve. “Ghedini? Come al solito perde i dibattimenti in tribunale e poi prova a vincerli in Parlamento. Restando sconfitto di nuovo”. Parola di Gaetano Pecorella, 71 anni, ex militante di Potere operaio e di Democrazia proletaria, poi avvocato di Soccorso rosso e infine passato, negli anni Novanta, alla corte di Silvio Berlusconi. Più che una critica all’operato del ben più giovane collega (di partito e di toga) Niccolò Ghedini, l’uscita di Pecorella – anch’egli autore nella passata legislatura di una serie impressionante di norme ad personam – era però una sorta di segnale. Era una frase per sancire ufficialmente come ormai tra lui e Ghedini il fossato fosse incolmabile. Tutta colpa del loro più danaroso cliente, l’umorale presidente del Consiglio, che già un paio d’anni fa, sembrava aver fatto una scelta precisa: fuori Pecorella e avanti, nei OTO
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processi milanesi, solo con la difesa di Ghedini e del suo gran maestro (di diritto) Piero Longo. Poi però è scoppiato a Bari lo scandalo delle escort. Ghedini, simpatico e disponibile con la stampa, si lasciato andare a dichiarazioni destinate a fare se non la storia, almeno la cronaca. E il Cavaliere, per sempre bollato come “l’utilizzatore finale”, ha cominciato ad avere qualche dubbio. Prima lo ha convinto a cambiare numero di cellulare. Poi, forse presagendo il disastro davanti alla Corte Costituzionale, a difendere il lodo Alfano (legge made in Ghedini), ci ha mandato pure Pecorella. Anche perché del “professore” – così chiamano Gaetano gli amici –, tutto si può dire tranne che sia tecnicamente impreparato. Così all’ombra dell’imperatore di Arcore, si assiste a uno scontro tra avvocati. Reso ancor più vivo dalle storie personali dei due contendenti. Rossa, quella di Pecorella, quasi nera quella di Ghedini che, da adolescente prima di militare nella gioventù liberale, era di estrema destra, tanto da essere poi chiamato a testimoniare su alcuni conoscenti sfiorati dalle indagini sulla strage di Bologna. Certe cose nei rapporti tra persone alla lunga pesano. Anche se oggi, in fondo, il problema non è più il rosso o il nero, ma il rosa. Il colore dei soldi.
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Sabato 14 novembre 2009
Prime voci dal Pd: Civati invita i circoli alla mobilitazione
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INDIGNATI
utto è partito dal Web, per l’esattezza da Facebook, dove all’indomani della bocciatura del lodo Alfano si è formato il gruppo “Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi”. E non era uno scherzo, visto che il gruppo ha proposto una data per scendere in piazza: il 5 dicembre. Le iscrizioni oggi sono oltre 250.000,
grazie al tam tam fatto di blogger, reti di precari, giovani e frequentatori del social network. Il 27 ottobre l’Idv di Antonio Di Pietro abbraccia l’iniziativa. Pdci e Rifondazione comunista fanno sapere che saranno in piazza. Iniziano ad arrivare anche le adesioni di associazioni, come Libertà e Giustizia. Mentre dal fronte del principale partito di opposizione, il Pd, per il momento ancora
tutto tace. Nonostante Di Pietro abbia chiesto a Bersani di partecipare, di portare il popolo dei democratici. Per il momento, però, nessuna risposta. Iniziano però ad arrivare le prime voci per caldeggiare la partecipazione del Pd. Come quella deI coordinatore nazionale della campagna di Marino, Giuseppe Civati. Che invita i circoli del Pd a fare qualcosa.
NOI, I DON CHISCIOTTE
Giustizia: il gruppo di Facebook che ha organizzato il No Cav Day per chiedere le dimissioni del premier
di Federico Mello
asta guardare la loro pagina Facebook “No Berlusconi Day”. Ieri alle 13:20 erano 247.563 iscritti. Dopo due ore se n’erano aggiunti altri 2.000; alle 17:21 il giro di boa: 250.025. Un quarto di milione. È una manifestazione che sfugge da ogni definizione questa nata su Facebook, migliaia di piccoli Don Chisciotte provano a sfidare Berlusconi con una richiesta molto chiara: “Devi dimetterti e difenderti, come ogni cittadino, davanti ai tribunali della Repubblica”. Appuntamento a Roma, sabato 5 dicem-
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bre, in Piazza della Repubblica, a Roma. Per capire come nasce una mobilitazione ai tempi di Internet, ci siamo fatti raccontare la genesi del NoBDay da Giuseppe Grisorio, uno degli organizzatori. La storia che ci racconta si dimostra sorprendente ad ogni passo, lontana anni luce dai riti e dalle lungaggini della politica come la conosciamo. Lasciamo a lui la parola. “Era l’otto ottobre, il giorno dopo la bocciatura del lodo Alfano. All’ora di pranzo stavo monitorando Facebook, dove ho mille amici. Tra questi c’è anche San Precario. Non so chi sia, ma lo seguo perché per me rappresenta una
maschera dietro la quale ci sono delle idee simili alle mie, un’altra chiave di lettura della società. San Precario mi dice che in tanti gli stanno scrivendo la loro soddisfazione per la bocciatura del lodo, ma anche il loro disagio, la voglia di impegnarsi contro la brutta deriva padronale che ha preso il nostro paese. Il giorno dopo mi arriva una notifica: ‘San Precario ti ha nominato amministratore della pagina -Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Berlusconi-’, un messaggio diretto anche ad altre persone, le stesse che costituiranno il nucleo organizzativo del NoBDay. Siamo rimasti un po’ spaesati: nessuno di noi aveva mai organizzato una manifestazione. Ma ci siamo messi subito al lavoro, coinvolgendo i nostri amici virtuali. Non potevano prevedere come la rete avrebbe risposto, ma è stato chiaro fin dal primo giorno che il nostro gruppo su Facebook era diverso: forse poteva riuscire a spostare la mobilitazione sul piano reale. La pagina, in effetti, si è diffusa come un virus: dopo qualche giorno, a cominciato regolarmente ad avere un iscritto ogni otto secondi, per un totale di 11-12 mila ogni giorno. Ma la vera svolta è arrivata quando un iscritto ci ha chiesto: “a Catania state organizzando qualcosa?”. Non ce lo sia-
mo fatti ripetere due volte: sono nati così i gruppi di coordinamento locale, ognuno con le stesse linee guida (bisogna creare una pagina specifica su Fb, pubblicare l’appello, comunicare con gli iscritti in modo partecipativo e informare tutti sui risultati raggiunti). Poi abbiamo lavorato alle traduzioni. Tramite le persone che si sono offerte nella nostra pagina, nel giro di una settimana abbiamo l'appello in dieci lingue. Quindi abbiamo aperto il sito, noberlusconiday.org che ora è il collettore di tutto le informazioni sulla manifestazione. A fine ottobre si sono fatti avanti Di Pietro, Ferrero e il Pdci; anche se c’è stato bisogno di qualche chiarimento, queste adesioni hanno rappresentato un riconoscimento del lavoro svolto dalla rete. Intanto
“Non potevamo prevedere la risposta della Rete, ma subito è accaduto qualcosa di sorprendente”
“Chi non si schiera è complice”: i lettori aderiscono all’appello Ecco un’altra tranche di commenti arrivati in queste ore sul nostro sito www.ilfattoquotidiano.it. Anticipando l’iniziativa del nostro giornale, in molti si rivolgono già al presidente Napolitano come ultimo baluardo “tra la dignità di un popolo e il ridicolo della nazione”. È quasi unanime il coro di voci che si associano a questo “Adesso basta”. Per dargli un senso, però, bisogna passare all’azione, scendere in piazza, partecipare. Nel frattempo, continuate a scriverci.
Marco Ma dove sta questo benedetto fondo da toccare prima di cominciare a risalire? Ogni volta sembra di arrivarci e invece si scopre che no, ancora è possibile scendere un po’ più in basso. E poi, oltre a tutte le mascalzonate fatte da B. e dai suoi lacché, la cosa che più mi rattrista (e mi preoccupa) è l’indifferenza con cui queste invenzioni legislative vengono accolte dalla cittadinanza. Mi pare che ormai tutto si giustifichi con le celebri frasi “tanto sono tutti uguali”, “e che ci possiamo fare?”, “tanto sono tutti ladri” e via dicendo. Ma dove andremo a finire? Cosa deve succedere per far sì che il bisogno di legalità e giustizia sentito oggi da pochi diventi un’esigenza della collettività? mardok82 È davvero giunta l'ora si scendere in piazza. Attualmente nessun partito politico ci rappresenta. La porcata dello scudo fiscale è passata grazie all'assenteismo del Pd nel momento del voto e chi prima era leader di questo partito ora scende a compromessi con Berlu-
sconi. Senza aspettare il 5 dicembre scendiamo in piazza e abbattiamo questa classe dirigente. Il fondo si è già toccato, ci si può solo rialzare. CoB Caro Padellaro, è finito da un pezzo il momento di sperare, come è finita l’ora del terzismo: chi non si schiera è complice. Oltre che informarsi e incazzarsi bisogna muoversi, rimboccarsi le maniche, e subito. È falso pensare che non ci sia altra scelta che subire. Sarei curioso di sapere quanti, fra quelli che scrivono qui, hanno partecipato alla manifestazione a difesa della libertà di stampa, a quella contro il razzismo, ai V-day, alle manifestazioni di Piazza Navona e Piazza Farnese, alla fiaccolata seguita all’affossamento della legge Concia. La libertà va sempre difesa e sempre riconquistata. Nicola Se avessero proposto una legge del tipo: “Berlusconi non può essere processato per nessun motivo”, avrebbero fatto meno danni. Cosa dovrà succedere ancora per smuovere le coscienze? Grazia Mi associo a tutti i basta di Antonio Padellaro moniflor Mobilitazione in tutte le piazze subito, senza aspettare il 5 dicembre. Dove sono i partiti dell’opposizione? Bersani, sveglia! Convoca tutti i portavoce dei tuoi circoli e invita tutti gli iscritti al tuo partito a scendere in piazza
era arrivato il momento di guardarci negli occhi : con i social network, puoi abbattere le distanze, ma non puoi eliminarle. Fin dall'inizio avevamo fatto dei briefing su Skype: ci conoscevamo per voce, via chat, ma nessuna aveva mai visto gli altri in faccia. La riunione è stata sabato scorso, in un bottega del commercio equo e solidale, a Roma. Abbiamo dato dei ruoli di riferimento stabili: portavoce, addetto stampa, logistica territoriale. Ora, sui territori, ci stiamo concentrando sulla logistica: pianificare il corteo, il palco a Piazza San Giovanni, sempre continuando a diffondere l’appello. I
numeri sono dalla nostra parte: finora si sono svolti una quarantina di volantinaggi in tutta Italia, abbiamo oltre cento comitati locali e 12 comitati all'estero”. La pagina Fb in queste ore esplode di adesioni. Come mi immagino il 5 dicembre? Un'enorme piazza viola. Con tantissime persone e che sono lì per costruire qualcosa . Abbiamo scelto il viola perché è il colore della mestizia e della rinascita. È il colore che viene utilizzato di più dai bambini nei loro disegni perché esprime una voglia di visibilità e un istinto di comunicare. Se sarà un successo? Speriamo, per questo paese malandato”.
Prima pagina
PROCESSO BREVE: IL FATTO PROTESTA (E VOI CON NOI)
“Il Fatto quotidiano” ieri intitolava “Adesso basta” in prima pagina. Un grido di protesta contro la legge sul processo breve e un appello al Capo dello Stato. Sostenuto dal vostro appoggio.
in ogni città: basta dire dove andare e a che ora, e i tre milioni di elettori delle primarie ti seguiranno. Cosa stai aspettando? Gerritt Azione: le parole vanno bene ma il 5 dicembre, per cortesia, tutti in piazza altrimenti tutte le vostre/nostre belle parole rimangono qui. Pure Minzolini dovrà dirlo se in piazza ci saranno 300.000 persone, no ? Renzo Signor presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano: Lei rimane l’unico baluardo che può frapporsi tra l’ignominia e la Costituzione italiana. La Costituzione e Lei siete l’anima del popolo Italiano. Abbia, per favore, il coraggio di salvarci da questo mare di melma che nulla rispetta e tutto deteriora. Lei ha il dovere di proteggere anche coloro che, accecati dal perenne insulto mediatico, hanno perso la dignità e l’orgoglio. Se anche la sua figura istituzionale verrà macchiata con l’approvazione di questo intruglio barbarico, la gente onesta si riterrà libera, io mi riterrò libero, di interpretare la legge pro domo sua. In questo momento mi vergogno d’essere italiano. Non lo credevo possibile. Si ricordi: “Ultimo baluardo tra la dignità di un popolo e il ridicolo della nazione”. jcaro Il 5 dicembre dobbiamo essere tutti in piazza. tosijoe Quello che sta accadendo è la peggiore infamia nei confronti della democrazia. Anche se le tv di stato e Mediaset raccontano positivamente il ddl sull’accorciamento dei processi,
mi meraviglia che parte dei cittadini rimangano assenti a questo ennesimo attacco alla Costituzione. Migliorare il sistema giudiziario è un obiettivo comune, ma ridurre i tempi per i processi senza aver messo in essere opportune azioni è quanto di peggio possa legiferare la maggioranza esistente in Parlamento. Spero nella neutralità del capo dello Stato quando gli giungerà il testo in questione. Luigi Rizzi Vorrei associarmi al coro di proteste per quest’altra porcata che stanno preparando sulla giustizia. Bisogna assolutamente far sentire la voce di quanti hanno capito (ma non ci vuole molto) che si tratta di un’altra legge ad personam camuffata. E poi vorrei chiedere a questi signori come si fa ad accorciare i tempi dei processi dopo aver tagliato i fondi alla giustizia? Dopo aver ingolfato i tribunali con un reato assurdo come quello di clandestinità? Italiani svegliatevi, documentatevi, non prendete per oro colato ciò che vi propinano le tv di stato e quelle di Berlusconi.
Centinaia di messaggi arrivati sul nostro sito: “Il 5 dicembre dobbiamo essere tutti in piazza”
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ETERNA EMERGENZA
PERCHÉ PALERMO STA AFFOGANDO NELLA SPAZZATURA Si ferma una discarica e la città diventa un’altra Napoli di Giuseppe Lo Bianco Palermo
colori di Baarìa, la Bagheria del regista Giuseppe Tornatore, sono il rosso delle fiamme sui cassonetti, il bianco delle montagne di sacchetti scalate dai ragazzini che giocano in mezzo ai rifiuti e il grigio indistinto dell’immondizia sparsa per le strade di una città in ginocchio immersa in un fetore nauseabondo. Bagheria come Misilmeri, come Altavilla Milicia, come Villabate, come Palermo, sommerse dai rifiuti. Gettati in mezzo alle strade, davanti ai portoni delle case, degli ospedali, nelle piazze, straripanti dai cassonetti saturi di puzza e di rifiuti di ogni tipo. Mentre sui termovalorizzatori si gioca il futuro della giunta Lombardo, la provincia di Palermo ripiomba nell’eterna emergenza immondizia: affogata dai debiti, ma con 60 milioni di euro di crediti non riscossi, l’azienda per la raccolta dei rifiuti chiude la discarica di Bellolampo ai comuni inadempienti. I sacchetti dell’immondizia invadono strade e piazze, ostruiscono le vetrine dei negozi e gli ingressi di edifici e scuole che, in dieci comuni, sono state chiuse. La rabbia dei cittadini è esplosa a Bagheria e Misilmeri, dove decine di cumuli di immondizia sono stati dati al-
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Raffaele Lombardo: “L’effetto positivo di Baarìa di Tornatore è stato annullato dai rifiuti nelle strade”
le fiamme in strada. A Palermo la disperazione dei lavoratori è esplosa in rissa, tra gli operai dell’Amia Essemme, promotori di una protesta, e gli autisti degli autocompattatori, invitati a scioperare: qualche contuso e sette denunciati per minacce e interruzione di pubblico servizio. Non è ancora l’emergenza napoletana, ma ci somiglia molto. “Siamo alla resa dei conti – denuncia il presidente regionale di Lega ambiente Mimmo Fontana – è ora che le forze politiche intervengano per salvare Palermo e tutta la Sicilia che rischia di essere sommersa dai rifiuti”. La spazzatura non viene raccolta da una settimana circa perché non ci sono luoghi dove scaricarla. Il servizio è affidato al consorzio Coinres che non paga i netturbini, sempre in sciopero; gli autocompattatori funzionano a singhiozzo, ma la mazzata finale l’ha data l’Amia, che vantando un credito di 60 milioni di euro nei confronti dei comuni, da un paio di settimane ha chiuso la discarica di Bellolampo. I sessanta sindaci della provincia, con tanto di fascia tricolore, e accompagnati dal presidente della provincia Giovanni Avanti, dopo aver occupato nei giorni scorsi il Palazzo della regione e ottenuta la nomina di un commissario per il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti ieri si sono radunati a Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della regione, dove ieri sera hanno incontrato il governatore Raffaele Lombardo. Tra questi il sindaco di Bagheria, Biagio Sciortino: “Mi assumo le mie responsabilità, abbiamo massacrato l’immagine di una città che era tornata sotto i riflettori della cultura con il film di Tornatore. Due anni di lavoro vanificati dalla spazzatura”. Lombardo fotografa una si-
Immagini di Palermo, dove scuole e uffici pubblici sono chiusi per ragioni sanitarie a causa dell’immondizia nelle strade (FOTO ANSA)
tuazione al collasso, dove centinaia di assunzioni clientelari e una gestione amministrativa allegra hanno condotto gli Ato sul lastrico: il problema dei rifiuti, dice Lombardo, è legato al “costo eccessivo dei consorzi che gestiscono la raccolta, i quali hanno assunto centinaia di persone. Oggi non riescono a pagare né gli stipendi ai lavoratori né le discariche dove conferiscono i rifiuti”. Carrozzoni clientelari ormai alla bancarotta, con centinaia di milioni di euro di buco nei bilanci, per la Corte dei Conti esclusivo strumento di “governance di scelte politiche”, gli Ato attendono una soluzione politica che li rilanci: ma nessuno sembra per ora in grado di intervenire. Lo ha fatto la magistratura, mettendo sotto inchiesta la gestione dell’Amia guidata dall’ex coordinatore di Forza Italia Enzo Galioto, che ha accumulato 180 milioni di deficit. E i milioni potrebbero essere 230, come denuncia il consigliere comunale Pd Davide Faraone che ha spulciato le carte contabili sco-
prendo nuovi sprechi, come 3 milioni di euro di soli interessi passivi sul conto corrente, o 20 milioni registrati come prestazioni di “servizi diversi”’ e oltre 4 milioni di euro per lo straordinario ad un personale che il sindaco Cammarata indica continuamente in consistente esubero. Dopo avere evitato di querelare gli amministratori dell’Amia, impedendo alla procura di procedere penalmente, il sindaco ha tentato (invano, perché bocciato dal Tar) di portare al 75 per cento la tassa per i cittadini sulla raccolta dell’immondizia;
“HANNO SOPRAVVALUTATO I PALERMITANI” è lo specchio dell’imbarbarimento della popolazione’’. Parola di Franco Maresco, il regista forse più trasgressivo del cinema italiano, che nel capoluogo siciliano è nato e vive da 52 anni. Maresco, da sempre Palermo convive con l’immondizia. E le immagini in bianco e nero dei rifiuti sono finiti spesso nelle sua produzione filmata. Che c’è oggi di nuovo? Ricordo un intervallo realizzato con un lungo camera car su cumuli di spazzatura, giravamo spesso in discarica e il sindaco Orlando si arrabbiava perchè proiettavamo un’immagine di Palermo che contrastava con il suo risanamento. Da bambino sono cresciuto con i palermitani che dicevano che la statua di Carlo V, con il braccio aperto e la mano tesa, indicava il livello di immondizia della città. Ricordo ancora il netturbino della mia infanzia, con il berretto ed il fischietto, che saliva fin dentro casa con un grande sacco sulle spalle per recuperare i rifiuti. Quella, paradossalmente, era una Palermo più
POLTRONE
Scaroni, niente Generali
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aolo Scaroni, ad dell’Eni, smentisce da Trieste la candidatura alla presidenza delle Generali al posto di Antoine Bernheim: “Qui è pieno di persone delle Generali, chiedetelo a loro”, ha detto ai giornalisti che domandavano.
RISSE SINISTRE
I socialisti oscurano il sito
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FRANCO MARESCO
alermo? Ho amato e amo questa “P città, ma ormai è diventata una discarica a cielo aperto. E l’immondizia
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pulita. Oggi vedo i sacchetti volare via dalle finestre, i cassonetti che bruciano e i topi grossi come gatti correre sotto i marciapiedi. La situazione è parecchio peggiorata, l’immondizia è una forma di violenza, è una realtà che impressiona. E di chi è la colpa? Di chi ha sopravvalutato il cittadino palermitano, che non possiede nel suo dna il senso della comunità, dello stare insieme. Intendiamoci, gli amministratori dovrebbero essere presi a schiaffi o a calci per quello che fanno, ma da sempre i palermitani scelgono la clientela come strumento di soluzione dei problemi propri e della propria famiglia. Prima Cuffaro, poi Cammarata, prevale sempre una visione clientelare della politica e dell’esistenza. E questi sono i risultati. Che cosa l’impressiona di più? L’abbattimento dei limiti. Vedo bottiglie gettate fuori dalle macchine in corsa, sacchi della spazzatura sparsi apposta per la strada. Palermo è una discarica a cielo aperto dove non ci sono più confini, sono caduti tutti i limiti. C’è un’immondizia di comportamenti, accanto a quella dei rifiuti. Per-
una beffa che costa al comune di Palermo oltre 150 milioni di euro, spingendolo decisamente verso il baratro del dissesto economico. Una tassa già pressoché raddoppiata qualche anno fa, in considerazione della clausola con cui la regione presieduta da Totò Cuffaro “regalò” al comune di Palermo un terreno nella zona di Boccadifalco, nel luglio 2001, un mese dopo la sua elezione, perché lo desse all’Amia per impiantarvi uno dei quattro termovalorizzatori siciliani, la nuova frontiera, mai decollata, dello smaltimento dei rifiuti. Una scelta preveggente, visto che l’anno successivo il bando di gara, poi vinto dall’Amia, previde come conditio sine qua non per vincere il possesso da parte della società aggiudicatrice di un terreno utile. Condizione che consentì alla municipalizzata di vincere la gara. Su cui, anche per questa ragione, la procura di Palermo ha aperto un’inchiesta.
PD A CASTELLAMMARE
No alla camorra, c’è da giurarci
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i fidarsi e basta con gli scritti il Pd a Castellammare non è più tempo. Sicuramente dopo l’omicidio del consigliere comunale Luigi Tommasino, il cui sicario era un iscritto ai democratici. E così ieri il partito ha deciso che per aderire bisognerà giurare contro la camorra e dare disponibilità a essere inseriti in un elenco dei tesserati che sarà reso pubblico, assieme ai bilanci e ai rendiconti delle campagne elettorali del Pd cittadino. Ma quella delle promesse solenni negli ultimi giorni sembra essere una smania bipartisan: l’altroieri ai dirigenti scolastici si chiedeva “fedeltà alla Nazione” – con qualche eco da Ventennio, per il vero – , 24 ore prima Brunetta aveva lanciato l’atto di fedeltà alla Pubblica amministrazione per i neoassunti... Strani tempi, c’è da giurarci.
fino i vampiri, simboli del male, avevano l’orizzonte del sacro, con cui confrontarsi. Qui è diventata una Bellolampo infinita in cui non si distingue più l’anima. Lo dico con dolore perchè Palermo la conosco e l’ho amata. É una situazione senza speranza? Parafrasando Pasolini, speranza è una parola che ho cancellato dal mio vocabolario. Dopo le stragi questa città ha avuto la possibilità di cambiare, ma non ha fatto nulla. Le iniziative di cambiamento hanno solo una funzione di facciata, un valore mediatico. Non fanno più paura a nessuno, sono un giochino che dura lo spazio di un apparizione in tv o di un pezzo sui giornali. E se le speranze sono riposte in questa nuova sinistra, stiamo freschi.
(G. L. B.)
inistra e libertà nella bufera: i socialisti votano contro il nuovo partito e mettono l’ipoteca sul simbolo. “Nessuno lo può utilizzare senza di noi”, hanno detto. Intanto oscurano il sito del movimento: Marco Fredda e Marco Lion, tesorieri della formazione, scrivono al coordinatore di Sl, Antonello Falomi: “Ti comunichiamo la nostra decisione di sospendere l’aggiornamento del sito compreso i blog.”
SANITÀ E TAGLI
San Raffaele, licenziati in 500
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sindacati hanno comunicato in una nota che “i vertici della San Raffaele Spa hanno incontrato ieri le organizzazioni sindacali regionali per comunicare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo di circa 500 lavoratori delle proprie strutture sanitarie a causa del declassamento delle prestazioni sanitarie e della loro riduzione”. I sindacati denunciano anche che l’azienda non ha rispettato l’impegno di fissare un tavolo, e chiedono un immediato confronto con la regione.
SICUREZZA
Morti sospette in carcere E’ morto ieri, nel carcere di Vercelli, Massimo Gallo, 43enne calabrese, recluso per una condanna per tentato furto. Sarebbe dovuto uscire nel 2011. Per le sue modalità (Gallo si sarebbe impiccato, fuori dalla cella, di giorno), c’è il dubbio che sia un omicidio mascherato da suicidio, al punto che la deputata radicale Rita Bernardini ha presentato una interrogazione al ministro della Giustizia. L’autopsia, che chiarirà molti dubbi, è prevista per domani.
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Dai temi letterari a Gomorra: “Re” di ascolti sulla terza rete
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MEZZOGIORNO DI FUOCO
ultima puntata di “Che tempo che fa”, la trasmissione di Raitre condotta da Fabio Fazio, ha ospitato l’autore di “Gomorra” Roberto Saviano. Lo scrittore ha parlato della “bellezza e dell’inferno”, del potere della letteratura, dei rischi che si corrono a svelare certe verità. La puntata è stata vista da 2 milioni e 320 mila spettatori, con uno share dell’11,45
per cento. Il precedente, stessa rete e stessi protagonisti, risale allo scorso marzo: Fazio aveva invitato Saviano in occasione di una puntata speciale a lui dedicata. In quel caso, “Che tempo che fa” ha totalizzato 4 milioni e mezzo di spettatori, con uno share del 19 per cento, di molto superiore all’ultimo riscontro. Ci sono delle differenze, però: innanzitutto il tema. Saviano
COSENTINO FIGLIO DI QUESTA CAMPANIA Saviano parla della Russia, della legalità difesa dai poliziotti e di una terra sconfitta. “Per la Regione scelgo Don Nogaro o il pm Cantone” di Beatrice
Borromeo
urante l’ultima puntata di “Che tempo che fa”, Roberto Saviano ha parlato degli scrittori perseguitati per le loro opere. Libri proibiti che fanno paura al potere, come il suo “Gomorra”, che da anni lo costringe a vivere sotto scorta. Si è visibilmente emozionato parlando di Anna Politkovskaya. Il pubblico l’ha letto come una sorta d’identificazione. Per lui non è così. “Quando penso a lei – racconta Saviano al Fatto Quotidiano – mi viene solo in mente come sarebbe potuta essere la sua vita se avesse avuto più visibilità, se le sue parole avessero avuto la possibilità di viaggiare, come accade soltanto ora che lei è morta. Probabilmente qualcosa sarebbe cambiato nella politica interna russa, probabilmente ne avremmo sentito anche noi gli effetti benefici in Occidente e probabilmente lei non sarebbe morta”. Forse, se gli spettatori hanno visto in Saviano la scrittrice uccisa, è perchè a molti la Russia non sembra poi così lontana dall’Italia di oggi: “Il nostro paese – spiega Saviano – ha preso una deriva pericolosa. Si ragiona per logiche di parte e questo oltre a inficiare profondamente la
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possibilità di intavolare dialoghi, rende anche lo scontro più violento. La logica che si afferma è quel ‘con noi o contro di noi’ che svilisce il ragionamento politico a dinamiche da stadio. Si fa il tifo per una parte o per l’altra e non si è più in grado di scorgere alcun discrimine tra quelle che dovrebbero essere valutazioni politiche che si sovrappongono, sempre più pericolosamente e a scapito di un’informazione corretta, con valutazioni di carattere giuridico. Oggi a vincere è il pensiero di Guiccardini quello del paese diviso per ‘contrade’”. In questi giorni Saviano è stato nuovamente attaccato da più parti. L’argomento è sempre lo stesso: la scorta che gli è stata assegnata. A torto, secondo i suoi nemici. Il primo a sollevare la polemica è stato il poliziotto Vittorio Pisani, capo della squadra mobile di Napoli, dalle colonne del Magazine del Corriere della Sera. Ieri si sono aggiunte le critiche del Sap, uno dei sindacati della polizia: “Non è un eroe”, dicono. Saviano risponde così: “Non credo di dare fastidio. Ad alcuni sono antipatico forse per la luce che ho acceso su certe cose. A Pisani non ho risposto io ma il capo della Polizia Antonio Manganelli con cui ho un ottimo rapporto e che ha smentito
le cose che erano state dette dal funzionario. Quello che avverto, invece, è un grande disagio nell'affrontare una situazione che sembra sfuggire di mano e che non può trovare come unico argine il lavoro delle forze dell'ordine, in strada. Quello che polizia, carabinieri e Guardia di Finanza fanno è cruciale, ma serve un appoggio politico costante e concreto. Ciò che mi dispiacerebbe è se queste polemiche dovessero portare alla frammentazione di un fronte, quello della lotta alla criminalità organizzata che deve, invece, restare coeso.” Poi aggiunge: “La legalità e la lotta alla camorra sono la premessa di tutto. Mi accusano spesso di sovrappormi al lavoro delle forze dell'ordine. Ma svolgiamo mestieri diversi. Io faccio da megafono a quello che antimafia e polizie fanno. Sono grato alle forze dell'ordine, e soprattutto ai carabinieri che mi scortano da tre anni e mi difendono in ogni situazione e durante ogni tipo di tensione politica e spesso mi danno coraggio quando arrivano accuse cattive e basse”. Lo scrittore dice ovviamente la sua anche sul tentativo del sottosegretario all’economia, Nicola Cosentino – destinatario di una richiesta di arresto da parte della procura di Napoli al parlamento –di appropriarsi della memo-
ria di don Peppino Diana, il prete antimafia ucciso sul sagrato della sua chiesa. “Cosentino non ha mai fatto antimafia, non è mai stato presente in prima linea nelle battaglie contro le organizzazioni criminali. E se vieni da quella realtà è necessario prendere parte e prenderla in maniera inequivocabile, soprattutto se sei sottosegretario di Stato all’Economia e finanze, nonché cognato di un boss della camorra. Nessuno chiede a Cosentino di decidere con chi i suoi familiari debbano contrarre legami, ma credo che sia doveroso pretendere da lui una presa di distanze pubblica e netta. Fare appello alla memoria di Don Peppe Diana credo sia un tentativo di riabilitarsi di fronte all'o-
ha parlato di libri, è intervenuto su argomenti poco popolari e, anzi, impegnati. In secondo luogo, lo scrittore era stato ospite dell’“Era Glaciale” alcune settimane fa mentre, solitamente, passa molto tempo (e cresce l’attesa) tra le sue apparizioni televisive. Lo share di “Che tempo che fa” è stato comunque superiore a “ X Factor”, uno dei programmi di punta di Raidue.
pinione pubblica. Leggere l'ordinanza di cattura su Cosentino permette di capire: come si vive in Campania; come si trova lavoro; come sopravvivono le persone. Sembra un trattato di antropologia e sociologia, non solo un documento giudiziario: è una lettura fondamentale per tutti a prescindere dall’esito della vicenda Cosentino”. Quella da cui viene Saviano sembra una terra senza pace, senza speranza: “Ci sono tante, tantissime realtà di tutte le parti politiche, oneste, che ora sono ridotte al silenzio. Che sono nell'ombra. Spero che si dia loro lo spazio e la visibilità che meritano”. E, a quelli che lo vorrebbero candidato alla regione Campania, Saviano risponde: “Ringrazio per la proposta, ma per fare il mio lavoro ho bisogno di autonomia, di indipendenza. Ho bisogno di rimanere super partes. Io voglio essere uno scrittore. Se dovessi candidare qualcuno a presidente della regione? Farei un nome, e una provocazione: l'ex vescovo Raffaele Nogaro oppure Raffaele Cantone. Gli unici che potrebbe davvero cambiare le cose. Ma forse anche loro non vogliono intraprendere il mestiere politico. Bisognerebbe cambiare la dialettica politica e permettere che questa attiri i più talentuosi, non i più scaltri e furbi. Ma questo è un altro discorso”.
Roberto Saviano (FOTO ANSA)
Mi chiamo Simeon, profumo d’incenso e profumo di soldi VICINO AL CARDINALE BAGNASCO, ASSUNTO PER L’UFFICIO RELAZIONI, NONOSTANTE LA CRISI AZIENDALE di Carlo
Tecce
a bambino attaccava i manifesti Dspargere della Dc, aveva capito dove la colla. Da giovane scriveva una tesi sul ruolo della segreteria di Stato della Città del Vaticano, aveva previsto un percorso efficace e rapido. Giocava nell’oratorio di Sanremo e dialogava con l’arcivescovo Mauro Piacenza: aveva trovato la chiave, anzi le due chiavi decussate che simboleggiano e spalancano le porte della Santa Sede. A trentadue anni, viso paffuto e bargia rassicurante, Marco Simeon è un collezionista di poltrone. Tra soldi e castità, tra il banchiere Cesare Geronzi e il cardinale Angelo Bagnasco. Referenze. E leggende: il lobbista di Dio inviato in Rai. Mauro Masi l’ha scelto per le relazioni istituzionali e internazionali, una nomina fugace – a carte coperte – per un contratto a tempo indeterminato che costerà all’azienda circa 500 mila euro lor-
di l’anno. Nonostante la voragine in bilancio di 600 milioni, nonostante i 254 dirigenti in organico e tre direttori di testata a spasso ben retribuiti: Antonio Di Bella, Marcello Del Bosco e Angela Buttiglione. Le proteste del consiglio di amministrazione della Rai, il voto contrario del presidente Paolo Garimberti e i comunicati di protesta: niente e nessuno, insomma, poteva fermare Masi. L’umile esecutore finale arruolato per l’occasione da quei poteri che, se non forti, sono divini perché in equilibrio tra affari, religione e politica. Su Simeon c’è un mistero avvolto da un catalizzatore seriale di misteri: l’avvocato è soltanto un sostenitore o è un soprannumeraio dell’Opus Dei? Silenzio ecclesiastico, codici alla Dan Brown: macché, Simeon nega per confermare: “Ogni giorno porta la sua croce”. Per un convegno della sua associazione “Leonardo da Vinci”, il governo ombra di Sanremo, aveva invitato Giulio An-
dreotti. E del senatore a vita ripete un motto: “Purché se ne parli”. Bene o male. Volontario e cantante per diletto, mai per caso. Conviene mischiare sacro e profano. La gavetta in Capitalia è un’autostrada da bruciare, Geronzi adora premiare i suoi pupilli: così viene designato ambasciatore di Mediobanca in Vaticano. Mediare per credere. “Report” di Milena Gabanelli mostra alle telecamere il contratto della società Lamaro dei fratelli Toti che affida a Simeon un preciso mandato: convincere il Vaticano e le suore dell’Assunzione a vendere il complesso di viale Romania. Il fastidio è coperto da una parcella di un milione e 300 mila euro. Un normale compenso per chi ha l’intelligenza e la disinvoltura per sedere ovunque: ligio alla carriera, ma senza dimenticare l’affetto di sacerdoti e vescovi. E’ facile curare rapporti intensi con la chiesa se le riunioni sono convocate da Bagnasco: Simeon e il presidente della
Cei potrebbero incontrarsi per discutere sull’ospedale Galliera oppure sulla Fondazione Magistrato di Misericordia di Genova. Consigliere di qua, pretore di là. Per fondere i due incarichi ne serviva un terzo: una poltrona nel Cda della Fondazione Carige. Per raccogliere le offerte per Magistrato di Misericordia – l’ente religioso che gestisce i lasciti di sei secoli e un patrimonio immobiliare di 30 milioni – Simeon si è inventato il “Cardinal’s dinner”: una cena a pagamento con Bagnasco, fotografato sul sito con il ministro Andrea Ronchi. Dove finisce la solidarietà, iniziano i finanziamenti di Carige. Nella Cassa di risparmio condivide il tavolo con Pierluigi Vinai, vicepresidente, figura di riferimento dell’Opus Dei ligure. Entrambi sono stati ricevuti in privato da Papa Ratzinger, in una pausa della visita pastorale a Savona. Il segreto? “Le persone che ho conosciuto”. E sono tante.
IL FATTO POLITICO dc
Governo in sospeso di Stefano Feltri
a settimana politica Lgoverno finisce senza che il sia riuscito a chiudere nessuno dei tre dossier più delicati. La Banca del Mezzogiorno, progetto molto caro a Giulio Tremonti ma poco amato da altri ministri, è stato bloccato per una questione procedurale. Non si tratta di una vera bocciatura, ma per Tremonti sarebbe stato tutto più semplice se la banca fosse entrata ora nella Finanziaria (dovrebbe rimediare alla Camera), anche perché ieri lo aveva già annunciato in conferenza stampa. Lo slittamento permetterà agli oppositori del progetto – da Raffaele Fitto a Stefania Prestigiacomo alle perplessità della Banca d’Italia – di organizzarsi meglio. econdo tavolo dove la Sla giustizia. partita è ancora in corso: É ormai chiaro che tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini è in corso una trattativa sul teso del disegno di legge che dovrebbe risolvere i problemi giudiziari del presidente del Consiglio, su tutti il processo Mills. Il testo diffuso dai senatori del Pdl è diverso da quello concordato da Berlusconi e Fini nel loro vertice a due e ora i berlusconiani vogliono capire quanto è davvero forte l’opposizione dei finiani e quali sono i punti su cui si può trattare, tenendo conto anche dei rischi di incostituzionalità sollevati anche da giuristi vicini al centrodestra. Il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, ha detto ieri che il progetto di intervento per garantire il cosiddetto processo breve è “una vera porcheria”. l messaggio di Casini va Idell’altro letto anche alla luce negoziato ancora aperto, quello sulle candidature per le elezioni regionali del 2010, nel quale l’Udc può avere un ruolo decisivo in molte regioni. Il vertice a tre Fini-Berlusconi-Bossi saltato nei giorni scorsi non è ancora stato riconvocato. Il nome più delicato è quello di Nicola Cosentino che, formalmente, resta ancora in corsa per la guida della Campania. I finiani vorrebbero le sue dimissioni, altri, come il ministro Altero Matteoli, invece gli chiedono di restare al suo posto. La candidatura campana si inserisce nel risiko che riguarda anche la scelta dei nomi per Veneto, Lombardia e Piemonte, le tre regioni che interessano alla Lega. E dove ancora nulla è definito.
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“Controproducente”: l’opinione del Premier su Montecitorio
“I
ONOREVOLI
nutile”, “pletorico” e “addirittura controproducente”. Solo tre parole per capire che ne pensa il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, del ruolo del Parlamento. E basta qualche numero a dimostrare come lo abbia tradotto nei fatti. Da quando ha vinto le elezioni, il governo ha preso
in mano l’iniziativa legislativa in tutto e per tutto: 30 decreti nel 2008, “solo” 13 quest’anno. Camera e Senato, così, passano gran parte del loro tempo ad approvare decisioni già prese. E nemmeno possono sbizzarrirsi in modifiche visto che il governo per venti volte ha chiesto loro la fiducia. Per il resto, il Parlamento in questo anno e mezzo ha votato una lista infinita
di ratifiche di accordi e convenzioni e due leggi delega al governo. Poco spazio e poco tempo per l’iniziativa parlamentare: tra le leggi approvate di recente non si ricorda molto di più del “Distacco dei comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello dalla regione Marche e la loro aggregazione alla regione Emilia Romagna”.
Il Parlamento è salvo Grazie alle orecchie e alla coda dei cani DUE GIORNI DI DISCUSSIONE, BASTAVANO CINQUE MINUTI n commissione ci hanno lavorato perfino di sabato. Poi, il ddl 2836 è passato in Aula. Due sedute per ratificare (e non riuscirci) la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, approvata a Strasburgo nel 1987. Una legge sacrosanta che elimina “il requisito della crudeltà nell’uccisione” degli animali e istituisce “il delitto di maltrattamento anche quando l’animale è sottoposto ad interventi”, come “il taglio o l’amputazione della coda o delle orecchie, la recisione delle corde vocali, l’asportazione delle unghie o dei denti”. Per dire sì, servivano cinque minuti. Non sono bastati due giorni. Roberto Antonione, relatore del ddl in commissione Affari esteri, spiega ai colleghi che “questo provvedimento si inscrive tra quelli che misurano il grado di civiltà di una società”, visto che “per alcuni addirittura la parola ‘animale’ risulta in qualche modo offensiva”. L’Aula applaude. Il sottosegretario Fazio, bontà sua, rinuncia a parlare. L'onorevole Borghesi dell’Idv, invece, ricorda che “il grado di civiltà del nostro paese è abbastanza modesto, se ci sono voluti ventidue anni per ratificare una Convenzione come questa”. Dopo che l’onorevole Giammanco (Pdl) ha ricordato come “ogni anno, centinaia di migliaia di cuccioli (…) vengono introdotti nel nostro paese (…) in piena clandestinità senza documentazione di viaggio”, la seduta viene sospesa e rimandata a due giorni dopo. Alle 10.10 di giovedì sono tutti di nuovo al lavoro. Si votano i primi due articoli, approvati all’unanimità. Tutto sembra scorrere veloce quando un emendamento dell’on. leghista Stefano Stefani manda tutto a rotoli. Stefani sostiene che “quella che può sem-
SETTE GIORNI ALLA CAMERA
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“ALMENO ABBIAMO LAVORATO, MENTRE LA SETTIMANA SCORSA...” di Paola Zanca
e non fosse stato per il progetto di legge sulla contabilità e finanza pubblica, questa settimana i deputati italiani avrebbero potuto restarsene a casa. I lavori della Camera nei giorni che vanno dal 9 al 13 novembre sembrano scritti per un altro paese. Forse i cittadini italiani non se ne sono accorti, ma la ratifica della Convenzione europea per la Protezione degli animali da compagnia, è un’emergenza nazionale. Per questo Montecitorio ne ha discusso per due giorni, senza nemmeno arrivare a una conclusione. Allo stesso modo, i cittadini non potevano più tollerare che mancasse il sì del Parlamento italiano agli accordi marittimi con l’Egitto e alla convezione di estradizione Italia-Argentina, due degli altri argomenti su cui si sono impegnati nei giorni scorsi i nostri rappresentanti. Di cose serie se n’è parlato, per carità. Peccato che parlarne non serva a nulla. Questa settimana alla Camera è stata presentata una mozione sulla presenza di navi con carichi di rifiuti tossici affondate al largo delle nostre coste. Ma le mozioni, per usare le parole del deputato Pd Furio Colombo, sono più che altro “espressioni di buona volontà”, esortazioni al governo, a cui comunque il Consiglio dei ministri non è obbligato a rispondere. Alle navi dei veleni, le mozioni fanno un baffo. Così come ai respingimenti, ai cambiamenti climatici e alla riduzione dei carichi fiscali sui redditi da lavoro e da pensione, argomenti di altre tre mozioni presentate in Aula venerdì. Questa settimana, comunque, non è stata delle peggiori. Quella precedente, giusto per intenderci, la Camera è stata proprio chiusa. Lo aveva deciso il presidente Fini: era inutile discutere progetti di legge di cui non si conosceva la copertura finanziaria. Nei venti giorni prima, si sono votate solo mozioni e un decreto. Per questo, i tre progetti di legge esaminati in questi giorni sembrano chissà che: oltre alla norma sulla contabilità si sono votati infatti lo scorporo del ministero della Salute (e l’incremento dei sottosegretari) e anche un provvedimento sulla competitività agricola. Secondo l’onorevole Luca Volontè dell’Udc “si sono fatti passi in avanti” e anche per il deputato Pd Roberto Giachetti “rispetto al calendario degli ultimi tempi, è una delle settimane più piene. Ci sono state tre leggi da esaminare – ricorda Giachetti – non capita tutti i giorni”.
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Qui al centro il Parlamento italiano; in alto Stefano Stefani, Lega, tra i più attivi sulla questione (FOTO ANSA)
brare una crudeltà nei confronti degli animali (...) è in realtà un atto di amore per gli animali”. Parla dell’amputazione della coda, riferita ai cani da caccia: “Molto spesso (...) si feriscono proprio alla coda, che poi va in cancrena. Intervenire, amputando la coda (…) è quindi nell’esclusivo interesse degli animali”. L’onorevole Cimadoro (Idv) gli dà ragione: “Allevo cani da 35 anni, cani da caccia in particolare”. Stefani: “Non lo sapevo!”. Cimadoro: “Adesso lo sai. (…) Credo che se il problema è la coda, se il problema è l’età, considerato che oggi siamo nell’epoca della chirurgia plastica, che le donne si sottopongono a interventi chirurgici e gli uomini si fanno tagliare il naso e si fanno togliere di tutto, noi non consentiamo quello che quasi naturalmente accade presso gli allevatori o negli allevamenti”. “Non
credo che sia più drammatico o più cruento il fatto che un animale venga castrato piuttosto che gli venga tagliata la coda. La sensibilità femminile su questo dovrebbe essere la prima ad essere d’accordo con noi”. Nessuna donna risponde, ma Mancuso (Pdl) ribatte che solo vietare l’amputazione ci permetterebbe di “entrare nel club dei paesi civili”. Il dibattito si infervora, con interventi a sostegno dell’una e dell’altra tesi. La mediazione sembra impossibile. Antonione chiede a Stefani di ritirare il suo emendamento, altrimenti “l’Aula si troverà ad avere quelle due posizioni inconciliabili”. Di Pietro e Volonté propongono di tornare in commissione per “ridiscuterne serenamente”. Il Pd Maran concorda, ma rileva che “alla questione della cooperazione internazionale per combattere la fame nel mon-
do abbiamo dedicato cinque minuti complessivi”. Della coda dei cani, solo quel giorno, i deputati ne hanno discusso due ore. Il leghista Cota chiede di votare subito la ratifica, perché “la questione non ha una valenza politica”. Invece, si mette ai voti il rinvio del ddl in commissione. pa.za. La Camera approva.
La ratifica di una Convenzione europea del ’87 diventa il perno del dibattito frutto di alleanze trasversali
LA CARTA IGIENICA GRIGIA PREOCCUPA IL MINISTRO PRESTIGIACOMO Dalla nomina di commissioni, poi annullate dal Tar, alle decisioni “bizzare” sul colore della cellulosa: storia di una parlamentare in carriera di Sandra Amurri
Prestigiacomo la miniSglia,tefania stra che una ne fa e due ne sbaappena insediata ha mandato a casa la commissione superqualificata Ippc, nominata da Prodi, che in meno di un anno aveva chiuso 78 istruttorie. La nuova commissione è presieduta dall’ingegnere Dario Ticali, trentatré anni, siciliano, ricercatore all’Università privata Ko-
A Parigi ha costretto il suo omologo ad aspettarla delle ore perché doveva fare shopping
re di Enna, con pubblicazioni sul comportamento delle pavimentazioni stradali. Come primo atto, quest’ultimo, ha scelto da referente per la questione più spinosa – l’istruttoria per l’Aia all’Ilva di Taranto –, l’ingegnere Bonaventura Lamacchia (con un curriculum giudiziario di tutto rispetto) costretto a sostituirlo successivamente, dopo la denuncia dell’autrice di questo articolo sull’Espresso. Tra i candidati c’era anche la giurista Cinzia Albertazzi, dirigente Enel, azienda in attesa di almeno 50 Aia, in quanto l’Ippc è la commissione che attraverso l’autorizzazione integrata ambientale decide il destino delle 200 più grandi aziende italiane, tra cui l’Ilva e l’Eni, che si occupa dei limiti alle emissioni di gas serra in base al protocollo di Kyoto, e di quelle di biossido di carbonio previste dal pacchetto “clima-energia”
del Consiglio d’Europa. Il Tar del Lazio con una sentenza durissima ha annullato il decreto e ha ordinato il reintegro, entro 45 giorni, della vecchia commissione, annullando gli eventuali provvedimenti assunti e obbligando al pagamento del compenso ai membri rimossi illegalmente. Conclusione: stipendi per 46 membri di due commissioni. Senza contare i danni arrecati ai cittadini di Taranto, costretti ad ammalarsi e a morire per lavorare, visto che per i prossimi anni non verranno fissati i criteri e i limiti di emissione per l’Ilva in quanto le istruttorie iniziate dalla vecchia commissione sono state annullate dalla nuova commissione con grande gioia del patron dell’Ilva, Emilio Riva uno dei salvatori dell’Alitalia. Inoltre la Prestigiacomo, che alla legge antidiossina della regione Puglia che fissa il limite consentito di
emissione a 0,4 ng/Nmcche, si è opposta minacciando di ricorrere alla Corte Costituzionale, è stata sconfessata dal sottosegretario Letta che ha confermato il limite della regione Puglia. A gennaio, invece, la ministra sotto la spinta estetica, con un ordine di servizio ha comunicato che il ministero dell’Ambiente, promotore degli acquisti verdi per la Pubblica amministrazione, non si servirà più di carta riciclata bensì di carta 100 per cento cellulosa, spiegando ai sindacalisti attoniti: “È grigia me ne vergogno”, mentre aggiungeva che non si sarebbe fatta intimorire dalle loro spiritosaggini. Ma quando ha annusato che l’incredibile notizia sarebbe trapelata ha cambiato idea con grande rammarico, visto che, lei la carta l’avrebbe preferita firmata Hermes, negozio dove durante una missione a Parigi si è recata... allo
shopping non si comanda, costringendo il suo omologo francese ad attenderla fino alle 15 per il pranzo in ambasciata. L’archivio delle sue perfomance racconta inoltre che alla richiesta del sindacato di istituire un asilo interno ha risposto: “Ma c’è già, no?”. E dov’è? “Nella stanza accanto”. Quella che aveva fatto ristrutturare trasformandola in nursery per il figlio della sua segretaria personale, mandando un’auto di servizio per portare a casa la babysitter filippina che passeggiava con la carrozzina per i corridoi del ministero. Altra performance: senza avvisare, la ministra non si è recata al convegno “aree marine protette e nautica di diporto” al salone di Genova per presentarsi però la settimana successiva per acquistare un gommone, non per il ministero utile in caso di alluvione, ma per sé.
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CRONACHE
“Pestato in tribunale, non curato dai medici” CUCCHI: INDAGATI TRE AGENTI DELLA PENITENZIARIA, UN PRIMARIO E DUE COLLEGHI di Luca De Carolis
li agenti l’avrebbero gettato in terra e poi massacrato con calci e pugni in un corridoio del tribunale, sotto gli occhi di un altro detenuto. Ma a dargli il colpo mortale sarebbero stati i medici del Pertini, “omettendo le cure necessarie e provocandone così la morte”. Dopo giorni di indiscrezioni, la Procura di Roma ha diffuso la sua verità sulla morte di Stefano Cucchi. Una verità contenuta negli avvisi di garanzia emessi ieri, a carico di tre agenti di polizia penitenziaria e di tre medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini. Secondo i pm Vincenzo Barba e Francesca Loj, i responsabili del pestaggio di Stefano sarebbero gli agenti Nicola Minichini, 40 anni, Corrado Santantonio, 30, e Antonio Dominici, 42, tutti accusati di omicidio preterintenzionale. Sono invece indagati per omicidio colposo il primario del reparto per i detenuti del Pertini, Aldo Fierro, 60 anni, e altri due medici: la 42enne Stefania Corbi e Rosita Caponetti, 38. Per la Pro-
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Nessuna accusa a carico dei Carabinieri, il Ministro La Russa si rallegra A sinistra, Stefano Cucchi; sopra uno scatto della manifestazione del 7 novembre (FOTO ANSA)
cura, sono i responsabili dal calvario di Stefano, morto il 22 ottobre scorso in un letto del Pertini tra atroci sofferenze. “Non ci sono elementi concreti contro i carabinieri” scrivono invece i pm. Parole importanti, perché tra polizia penitenziaria e militari era in corso da giorni una sfida indiretta a base di comunicati, in cui si precisavano i rispettivi compiti e si respingevano
i sospetti. Un confronto che, stando a quanto filtrato da piazzale Clodio, sarebbe sfociato anche in accuse reciproche. Ad accusare i tre agenti indagati, le consulenze dei medici legali che hanno compiuto l’autopsia sul corpo di Stefano, i referti medici pieni di contraddizioni e, soprattutto, un testimone: il detenuto africano che la mattina del 16 era in una cella del tribunale.
“Il testimone - scrivono i pm avrebbe udito e visto agenti in divisa mentre colpivano con calci e pugni Cucchi nel corridoio davanti alle celle, dopo averlo scaraventato a terra. Dopo l’aggressione, ne raccolse le confidenze”. Stefano gli avrebbe raccontato delle botte e delle minacce sul cellulare che, poche ore dopo, li portò entrambi al carcere di Regina Coeli. Ma il detenuto,
dallo spioncino dalla sua cella, aveva già visto Stefano cadere a terra, e poi subire colpi da tre agenti. Pochi istanti dopo, avrebbe sentito dei tonfi sordi: i calci che avrebbero devastato la schiena del ragazzo. Una testimonianza fondamentale, visto anche che nel corridoio delle 15 celle, tutte poste da un lato, non ci sono telecamere. L’extracomunitario, tuttora detenuto a Regina Coeli, verrà sottoposto a incidente probatorio, esame che vale come prova in un eventuale processo. Un modo per cautelarsi da parte dei pm: l’uomo, privo del permesso di soggiorno, potrebbe essere introvabile dopo il rilascio dal carcere. Per l’extracomunitario ora scatteranno misure di protezione particolari. Per verificare la sua versione, ieri i pm hanno compiuto un sopralluogo nella sua cella a piazzale Clodio. Secondo il testimone, Stefano sarebbe stato colpito prima dell’udienza di convalida dell’arresto. Ma l’ipotesi di un secondo pestaggio non è stata scartata. Gli inquirenti hanno già ascoltato il pm Emanuele Di Salvo e il giudice unico Maria Inzitari, che quella mattina in aula si occuparono del caso di Cucchi. I due magistrati hanno spiegato di non avere notato segni di lesioni sul ragazzo e di non avere sentito lamentele o accenni alle botte subite. Lunedì la Procura affiderà l’incarico ai periti per la riesumazione della salma di Stefano, chiesta dalla famiglia. Un esame importante anche per valutare le responsabilità dei medici del Pertini. Secondo la Procura, avrebbero agito “con negli-
genza”, lasciando Cucchi senza cibo e acqua e favorendone così la morte. Fierro ha più volte risposto che era stato il ragazzo a rifiutare il cibo e che i medici non potevano alimentarlo contro la sua volontà. Mentre Antonio D’Urso, direttore della Asl Roma B (competente sul Pertini) aveva parlato di “scarsa collaborazione alle cure” da parte di Cucchi, difendendo i sanitari “che l’hanno curato con attenzione e professionalità”. Un intervento a cui Ilaria Cucchi aveva replicato annunciando una querela contro i medici. Raggiunti da avvisi di garanzia che pesano come macigni sul reparto per i detenuti del Pertini. “Gli avvisi rappresentano un eccesso di garanzia, per consentire ai medici di nominare periti di parte in vista della riesumazione” spiegano a piazzale Clodio. Ma l’avvocato dei Cucchi, Fabio Anselmo, è duro: “I medici hanno responsabilità precise, non si può morire come è morto Stefano”. Anselmo e l’altro legale della famiglia, Dario Piccioni, esprimono inoltre “prudente soddisfazione per i risultati delle indagini”. Il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria, replica: “La polizia ha fatto il proprio dovere e uscirà fuori senza addebiti dalla vicenda”. Esulta invece Ignazio La Russa: “Mi rallegro del fatto che non ci sono carabinieri indagati o imputati, feci bene a esprimere la mia stima ai militari all’inizio del caso”. Parole che hanno provocato le reazioni di Pd e l’Idv, concordi nel definire “fuori luogo” e “imbarazzante” il sollievo espresso dal ministro della Difesa.
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CRIMINI E POLITICA
Cento società della ‘ndrangheta business milionario nel cuore di Milano
ma, che quelle cooperative non servono solo da appoggio logistico ai clan. La palla passa al commercialista Bellavia che prima legge, poi cataloga e alla fine divide per singole società la montagna di carte sequestrate. Il risultato è sconvolgente. Perché il giro di fatture false aumenta vorticosamente nei periodi a ridosso dell’acquisto di droga in Sudamerica.
IL CLAN MORABITO E LA MUNICIPALIZZATA SOGEMI di Davide Milosa
AL PALAZZO DELL’UMANITARIA
cusi quante? “Cento società gestite dalla ‘ndrangheta a Milano”. Gian Gaetano Bellavia, commercialista e consulente della Procura lo ripete due volte. La cifra è impressionante. Come il denaro forse riciclato: “Quasi 9 milioni di euro in poco meno di 3 anni”. Numeri da capogiro che emergono dal processo sulle infiltrazioni del clan Morabito all’Ortomercato. L’inchiesta, chiusa nel 2007 con il sequestro di 250 chili di coca, solo oggi, nel dibattimento in aula, mostra il vero volto di un castello societario che, all’ombra della Madonnina, gestisce gli affari della mafia calabrese e salda gli interessi tra ‘ndrangheta e Cosa nostra.
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“IN MENO DI UN ANNO” racconta Bellavia che ha lavorato fianco a fianco del pm Laura Barbaini, titolare dell’indagine, “abbiamo ricostruito un risiko economico giocato su tre livelli”. La piramide societaria, emersa dalle 8 relazioni del commercialista, è costituita da cooperative di facchinaggio e semplici srl, tutte riconducibili a un certo Antonio Paolo, calabrese di Melicuccia, ex facchino e sindacalista Cgil, reinventatosi imprenditore di successo. È lui, secondo Bellavia, lo strumento attraverso il quale la ‘ndrangheta entra nell’imprenditoria legale. Fin dal 2007 al centro del binomio mafia-Ortomercato c’è la cosca calabrese di Africo capeggiata da Salvatore Morabito. Quasi subito, però, ci si accorge che tutta l’inchiesta ruota esclusivamente attorno al maxi-sequestro di droga. Ci sono sì delle cooperative in via Lombroso 54, incredibilmente ospitate nel palazzo sede di Sogemi, la municipalizzata che gestisce l’ortomercato. Ma allora tutti pensano che siano servite solo da appoggio logistico per gli uomini del clan. E così, dopo gli arresti del maggio 2007, Paolo torna libero. In quel periodo sull’Ortomercato i giornali scrivono ancora qualcosa grazie all’esuberante eloquio del nuovo presidente Sogemi Roberto Predolin (An), che, il 4 maggio, dopo il blitz antimafia, dice: “Hanno fat-
TRE GIORNI ANTI-MAFIA
È
iniziata ieri la tre giorni anti-mafia “Milano dice no”, organizzata da un gruppo di consiglieri comunali dopo che Palazzo Marino aveva bocciato la creazione Commissione contro il crimine organizzato. Oggi in via Daverio, nel palazzo dell’Umanitaria, si susseguiranno incontri e i dibattiti dedicati alle cosche al nord e ai tentativi di infiltrarsi nei lavori per l’Expo 2015. Sono previsti, tra gli altri, gli interventi dei pm Alberto Nobili e Laura Barbaini, di consiglieri di destra e sinistra, di parlamentari dei vertici di Assimpredil, di Unioncamere e Sogemi, del numero uno di Expo, Lucio Stanca, e di giornalisti, tra cui Gianni Barbacetto e Peter Gomez.
Il centro di Milano Sotto, la franadi Sarno (FOTO ANSA)
to un po’ di cinema”. Poi più nulla. Anche se, nel febbraio 2008, Bellavia inizia a individuare quelle cento società. “Mai prima di adesso” dice il consulente, “avevamo visto la mafia utilizzare l’economia legale per finanziare i propri affari illeciti”. Eccolo il sistema, destinato a fare storia e decifrato per Il Fatto dallo stesso Bellavia. “Al primo livello ci sono 5 consorzi di cooperative, tra cui il Nuovo Coseli di Paolo. Questi prendono gli appalti milionari per il facchinaggio da società come Sda (Poste italiane), Dhl, Tnt. Le commesse vengono, poi, subappaltate alle cooperative di secondo livello”. Circa una quarantina di società che vivono 5 anni e messe poi in liquidazione in Sicilia. “E sfido chiunque - dice Bellavia – a fare notifiche di accertamenti in quartieri come lo Zen di Palermo”. Il secondo livello è inserito nel circuito legale. Da un lato ci sono i committenti, dall’altro i loro appalti milionari. In mezzo un guadagno astronomico per Paolo e soci. Incassato il denaro di Sda, Tnt, Dhl, però, si pone un problema: evadere le tasse e allo stesso tempo
creare fondi neri che, secondo l’accusa, servono al clan per comprare la droga. Qui entrano in gioco le società di terzo livello. “PREVALENTEMENTE”, spiega Bellavia, “ si tratta di cartiere che emettono fatture false per cifre identiche al valore di produzione delle cooperative di secondo livello, portando a zero il guadagno effettivo”. Sembra complicato. In realtà è semplice: grazie alle spese inesistenti, gli imprenditori vicini alle cosche, con la compiacenza di alcune banche, monetizzano quasi 9 milioni di euro, che in teoria servirebbero a pagare le società di terzo livello, ma che in realtà vanno direttamente nelle tasche dei soci di Paolo. Eppure oggi, l’uomo di Melicuccia è accusato di traffico di droga, ma non di mafia, o riciclaggio. Paradossalmente quei 250 chili di droga, scoperti nel 2007, hanno troncato a metà una delle più importanti inchieste contro l’imprenditoria criminale degli ultimi anni. Torniamo allora ai giorni successivi agli arresti del 2007.
Una piramide di aziende e tre livelli, illegali e poi legali, per riciclare il denaro delle cosche sporco di droga
Spenti i riflettori, iniziano i processi con rito abbreviato. Strada scelta dai 14 uomini del clan coinvolti nella droga. Salvatore Morabito si prende 13 anni. Poi, in appello, entra in scena il procuratore generale Felice Insnardi che scopre intercettazioni inedite. Quasi contemporaneamente parte il dibattimento di primo grado con Paolo alla sbarra. In aula salta fuori anche una lettera, spedita da Paolo a Sogemi, che apre la porta a molti interrogativi sui controlli effettuati dalla società del comune di Milano sulle cooperative ospitate nella propria sede. Siamo nel 2003 e il consorzio, Nuova Coseli, ha debiti per 700.000 euro. Dice Isnardi nella sua requisitoria: “C’è una lettera del 5 giugno 2003 del Nuovo Coseli, a firma Paolo Antonio e diretta a Soge-
mi, che promette il risanamento dei debiti grazie all’apporto di un nuovo socio”. Il nuovo socio è Salvatore Morabito. Un nome che da solo dovrebbe far fare un salto sulla sedia. Ma Sogemi, all’epoca diretta da Serena Manzin (An), non se ne rende conto. Un peccato perché all’Ortomercato la mafia sta facendo affari in grande stile. In uno dei brogliacci, citati da Isnardi, si legge: “Paolo informa Morabito su un appalto della Tnt, dice che il responsabile di altra società è stato bravo e corretto, perché ha chiesto a Paolo la sua offerta e si è proposto di farne una maggiore allo scopo di escludersi”. È chiaro, insom-
IL PG ISNARDI segnala, a esempio, che dal 18 aprile al 19 ottobre 2005, epoca in cui Morabito è libero e attivo nel traffico, la New Coop (una delle società di terzo livello) monetizza, attraverso una testa di legno, 530.000 euro. Prelievi che si riducono sensibilmente dopo l’arresto di Morabito il 23 ottobre. Il denaro riprende a uscire dalla New Coop nel giugno 2006 in concomitanza con la chiusura dell’affare dei 250 chili. “Questo è il vero riciclaggio”, dice il pm Laura Barbaini, “il denaro sporco entra nel 2003 nelle casse della Nuova Coseli per finanziare operazioni in apparenza pulite, dopodiché, attraverso i fondi neri, torna a disposizione della cosca”. Tra le carte di Bellavia, salta fuori pure il nome di Giovanni Falzea, titolare di due società e soprattutto parente di Morabito. “Gestiva”, ricorda Isnardi, “alcuni conti correnti di Unicredit”. Denaro che poi passava ai luogotenenti del boss, coinvolti nel traffico di droga. Ma c’è di più: Falzea fa anche da trait d’union con Cosa nostra. “Tiene i rapporti”, si legge in una relazione della Squadra mobile, “con Giuseppe Porto vicino al latitante Gianni Nicchi capo della famiglia mafiosa palermitana di Pagliarelli”. Un’alleanza confermata quando in aula viene sentito Ruggero Riolo, teste della difesa e parente di Giuseppe Porto. Interrogato Riolo risponde: “Attualmente lavoro per la cooperativa Cgs”. Non un nome a caso. La Cgs è la cooperativa di Cinzia e Loredana Mangano, figlie di Vittorio Mangano, l’ex fattore di Silvio Berlusconi. E con le sorelle Mangano proprio Pino Porto oggi condivide diversi interessi.
LE FERITE APERTE DI SARNO E QUINDICI MORTI SENZA COLPEVOLI di Vincenzo Iurillo
capitale dell’abusiviCco,ampania, smo e del dissesto idrogeologiterra di frane e di stragi che restano impunite. I 148 morti di Sarno e Quindici, un numero che fa tremare i polsi, sono ancora senza un colpevole. Mentre sono trascorsi più di undici anni dalla terribile giornata di pioggia e fango del 5 maggio ’98 che sconvolse i due
Il processo di appello annulla le condanne del primo grado. Assoluzione per politici e tecnici
paesi delle province di Salerno e Avellino. È fresca di pronuncia la sentenza della Prima Sezione della Corte d’Appello di Napoli, presieduta da Matteo Zarrella, che ribaltando le condanne inflitte dal giudice monocratico di Avellino Stefania Amodeo ha assolto “perché il fatto non sussiste” i sei imputati per le 11 vittime della colata di melma che precipitò dalla montagna di Pizzo d’Alvano e distrusse il centro storico di Quindici. In primo grado gli ex presidenti della Provincia di Avellino Luigi Anzalone (consigliere regionale Pd) e Rosanna Recale, l’ex assessore regionale alla Protezione Civile Domenico Zinzi (parlamentare Udc) e i tecnici regionali Ettore Zucaro, Giovanni Cantone e Bruno Anzevino, erano stati condannati a 3 anni di reclusione e al risarcimento delle parti civili. L’assoluzione
per politici e funzionari arriva un anno dopo l’analoga decisione della Corte d’Appello di Salerno per l’ex sindaco di Sarno Gerardo Basile e l’ex assessore Ferdinando Crescenzi, imputati per i 137 morti provocati nel loro comune dalla frana del monte Saro, e riconosciuti innocenti con motivazioni che puntano il dito sulle presunte responsabilità del prefetto di Salerno Natale D’Agostino, che non è stato mai indagato ed è deceduto pochi mesi dopo la tragedia. In attesa delle motivazioni dell’ultima sentenza, ci sono numeri, carte e fatti che già ora ci dicono molte cose. Ci dicono, ad esempio, che il processo per la frana di Pizzo d’Alvano è costato circa 500mila euro in consulenze. Ci dicono che i pericoli da dissesto idrogeologico a Quindici erano evidenti già un anno e mezzo prima della tragedia
nella relazione Budetta-Cascini (due studiosi del Cnr), allegata a un verbale della commissione Grandi Rischi della Protezione Civile datato febbraio 1997. Ci dicono che questo paese era stato colpito da cinque episodi franosi negli otto anni precedenti. Ci dicono anche che in Campania, secondo l’ordine dei geologi, i comuni a rischio dissesto sono 210 su 552, di cui 120 a rischio colate rapide di fango, e che la percentuale di territorio sottoposto al pericolo di alluvioni è del 17%, quando in Italia la media è del 12%. Numeri, carte e fatti che, indipendentemente dalle sentenze, ci dicono che in Campania le vicende del passato non sono state di lezione per il presente. Quattro giorni fa a Ischia una ragazzina di 15 anni, Anna De Felice, è morta annegata in mare dopo essere stata travolta
dal fango staccatosi dal monte Epomeo. Il 30 aprile 2006 sempre Ischia subì quattro morti per il crollo di un costone del monte Vezzi. “Non è colpa della pioggia o del destino cinico e baro – commenta il presidente campano di Legambiente, Michele Buonomo - per troppi anni nella nostra regione dissesto idrogeologico, incendi, scarsa manutenzione, cementificazione selvaggia spesso abusiva hanno rappresentato il modello di sviluppo del territorio”. Intanto, ci sarà mai giustizia per tutto questo sangue? L’avvocato Teodoro Russo, parte civile nel processo per i morti di Quindici, teme di no. Quel giorno perse la madre e la suocera: “La sentenza è un’offesa gravissima alla memoria delle vittime, perché quella formula, ‘il fatto non sussiste’, sembra dirci che abbiamo assistito a un fatto inesistente”.
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ECONOMIA REALE
NIENTE BANCA DEL SUD ZERO FONDI AI RICERCATORI PRECARI Le sorprese della Finanziaria che esce dal Senato lla fine la Finanziaria 2010 esce dal Senato e si prepara ad andare alla Camera non molto diversa da come ci era entrata. Ma ci sono almeno due aspetti da rilevare. Non c’è la Banca del Sud, perché il presidente Renato Schifani ha dovuto “a malincuore” giudicare inammissibile l’emendamento che la introduceva. E salta anche l’emendamento che doveva sbloccare 80 milioni di euro già stanziati dal precedente governo e destinati all’assunzione di 4.200 ricercatori precari. La Banca del Sud. Due giorni fa il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ne è il principale promotore, aveva annunciato in conferenza stampa che la banca creata dal governo per dare credito agevolato alle imprese che
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operano nel Mezzogiorno era pronta. “Mi hanno chiesto – aveva detto il ministro – se sul progetto della Banca del Mezzogiorno ci sono problemi: la risposta a una domanda così pessimista è invece molto ottimista, non ci sono problemi”. Invece i problemi ci sono stati: il Partito democratico ha contestato l’ammissibilità dell’emendamento con la banca, l’obiettivo non era di farlo saltare ma di avviare la trattativa per ottenere l’approvazione di qualcuno degli emendamenti proposti dall’opposizione. Non ha funzionato. E’ una questione procedurale ma con un evidente risvolto politico: Schifani era pronto a concedere una deroga e consentire l’approvazione dell’emendamento anche senza il passaggio in commissione, ma serviva il consenso del Pd. Che non c’è stato. E adesso la Banca tremontiana resterà nel limbo finché la maggioranza non riproverà a introdurla, sempre con un
In 4.200 aspettavano l’assunzione: se entro dicembre 80 milioni non vengono sbloccati resteranno precari
dimento ulteriore entro dicembre 2009, altrimenti torneranno nelle disponibilità del ministero del Tesoro. Cioè di Tremonti. Un senatore del Pdl, Guido Possa, ha presentato un emendamento che poi ha ritirato. Il Pd lo ha ripresentato, ma ieri è stato ridotto a ordine del giorno, cioè privo di ogni efficacia. I ricercatori precari che aspettavano quelle risorse per essere assunti a tempo indeterminato, ora non hanno più certezze. Ci sono tre scenari possibili: l’emendamento vie-
ne riproposto alla Camera e approvato prima della scadenza del fondo (cioè entro dicembre); quelle risorse vengono sbloccate dal disegno di legge del ministro Mariastella Gelmini sull’università; la scadenza passa senza provvedimenti e quindi i soldi tornano a Tremonti che, come ha dimostrato la cancellazione anche del 5 per mille, in questa fase ha bisogno di ogni centesimo. E se si verifica il terzo scenario, i ricercatori restano precari. (Ste. Fel.)
La Cgil torna in piazza per dire che la crisi continua IL SINDACATO A ROMA: “PER I LAVORATORI IL PEGGIO DEVE ANCORA ARRIVARE” la Cgil torna in piazza, a Roma. Odeiggi Non è uno sciopero, perché molti suoi iscritti già lavorano a orario ridotto o sono in cassa integrazione e quindi non si potevano chiedere altri sacrifici di stipendio. “Vogliamo riportare al centro del dibattito le conseguenze della crisi e fare le nostre proposte per uscire dalla recessione”, spiega al Fatto Carlo Podda, segretario dei dipendenti pubblici della Cgil. Lo slogan della manifestazione, infatti, è “Il lavoro e la crisi, esigiamo le risposte”. A Roma, nella città della politica e dei ministeri, anche Podda ammette che la crisi si vede meno che altrove: “Per questo la Cgil ha organizzato tre settimane di presidi in vari punti della città con operai delle imprese in crisi. La politica ci propina dati con cui cerca di dimostrare che la crisi sta per finire o che è finita e non ce ne siamo accorti, ma noi siamo convinti che il peggio debba ancora arrivare”. Anche la Banca centrale europea, due giorni fa, ha certificato le preoccupazioni della Cgil. Nel suo bollettino mensile ha parlato di “graduale ripresa” ma con “un’elevata incertezza” che richiede politiche per “favorire la crescita sostenibile e l'occupazione”. Un po’ per i dati non negativi sulla congiuntura economica che continuano ad arrivare (si veda il colonnino a destra) e un po’ perché c’è un clima diverso dallo scorso dicembre, quando la Cgil organizzò un grande sciopero che era anche contro il governo, il segretario generale Guglielmo Epifani ha detto che la manifestazione “non vuole essere oceanica” e si attende, con una stima assai prudente, circa 100 mila persone. La manifestazione di oggi arriva in un momento in cui la Cgil si avvia a un congresso combattuto, dove l’egemonia di Epifani è stata messa in discussione da una mozione alternativa che fa capo a uno schieramento trasversale, dai duri della Fiom, ai bancari agli statali di Podda. “Non siamo divisi – ci
tiene a precisare Podda – stiamo dialogando come prevede lo statuto”. Sulle premesse della manifestazione le due fazioni sono in sintonia: il governo cerca di archiviare la crisi mentre le fabbriche continuano a chiudere. Mentre di soldi per la cassa integrazione ce ne sono sempre meno e centinaia di migliaia di precari non riescono ad accedere ad alcun ammortizzatore sociale. Sulle ricette da adottare nel medio periodo, “la strategia”, come la chiama Podda, le sfumature sono diverse. La fronda anti Epifani vuole rafforzare il contratto del lavoro nazionale, perché non si fida di quelli
integrativi a livello aziendale. Le nuove regole per scrivere i contratti collettivi, approvate senza la firma della Cgil complicano la situazione, perché molto si sposta a livello aziendale. Le tensioni sul rinnovo dei contratti di categoria dei metalmeccanici, il primo tra quelli principali negoziato con le nuove regole, stanno continuando: dopo lo sciopero nazionale di ottobre a Milano, anche ieri ci sono state proteste a Palermo e ad Ancona, dove 300 operai hanno chiuso con lucchetti le porte di Federmeccanica (la federazione delle industrie meccaniche) e hanno bloccato il traffico.
di Stefano Feltri
ENTUSIASMI
NON TUTTO È ORO IL PIL CHE LUCCICA e celebrazioni sono cominciate ieri e continueranno oggi: l’Istat ha calcolato che nell’ultimo trimestre (luglio-settembre) il Pil italiano è cresciuto dello 0,6 per cento rispetto al trimestre precedente. “Si tratta di un segnale importante, è il primo segnale positivo”: un più 0,6 dopo cinque trimestri consecutivi. E’ un dato significativo”, ha detto il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola. Per capire quanto ci sia da festeggiare, però servono un paio di precisazioni. Primo punto: a ottobre anche la Banca d’Italia aveva detto che la recessione era finita (cioè il Pil tornava a crescere), ma aveva stimato che nei tre mesi estivi l’aumento era stato dell’1 per cento. L’Istat si ferma allo 0,6 e, trattandosi di una stima
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preliminare, è un dato da prendere con cautela, quello definitivo potrebbe anche essere più basso (come di solito accade). Secondo: il dato sul trimestre estivo è un po’ drogato. Non solo perché d’estate perfino Alitalia riesce a chiudere i conti in pareggio, ma soprattutto perché le imprese che nei mesi scorsi hanno consumato tutto quello che avevano in magazzino, sono state costrette a ricostituire le scorte di materie prime o prodotti intermedi. Lo dimostra l’andamento della produzione industriale: dopo mesi nerissimi, ad agosto il dato ha registrato un boom, +5,8 per cento. Poi, a settembre, il contraccolpo: -5,3. Il risultato netto resta comunque positivo, ma è utile tenere presente l’andamento straordinario della produzione
dc
Berlusconi e i costruttori diDaniele Martini
ilvio Berlusconi, SMilano l’illuminato edificatore di 2, può tollerare che
Tremonti, il presidente di Federcasse Alessandro Azzi e quello di Confcooperative Luigi Marino presentano due giorni fa la Banca del Sud (FOTO ANSA)
emendamento alla Finanziaria, quando la legge di bilancio per il 2010 arriverà alla Camera. Anche l’emendamento voluto dalla Lega per introdurre sgravi all’acquisto dei tartufi è stato giudicato inammissibile. I fondi per i ricercatori. Il governo Prodi, con il ministro per l’Università e la ricerca Fabio Mussi, aveva creato un fondo da 80 milioni di euro per assumere 4.200 ricercatori universitari. Per sbloccare i soldi, però, serve un provve-
Reazioni
industriale per valutare il dato sul Pil. Terzo punto: la previsione su base annua, quella che conta davvero al netto delle oscillazioni mensili, è praticamente invariata rispetto alle stime di sei mesi fa: rispetto al 2008, il Pil al 31 dicembre sarà più basso di circa il 5 per cento. Il dato acquisito, cioè la contrazione registrata da gennaio ad ora, è del 4,8 per cento. Se le cose continueranno a migliorare negli ultimi due mesi, l’anno si chiuderà a -4,7, come dice la Commissione europea nelle sue stime. La Banca d’Italia, poi, ieri ha aggiunto un ulteriore invito alla prudenza: mentre il Pil si riduce, il debito pubblico continua ad aumentare e le entrate si riducono: nei primi nove mesi dell’anno sono calate del 3,2 per cento.
perfino i colleghi costruttori, pupilla dei suoi occhi, gli voltino le spalle? No, non può. E infatti, letta sul Fatto Quotidiano la notizia che gli imprenditori edili, delusi ed esasperati, si erano riuniti addirittura in “assemblea permanente” contro il governo, da Palazzo Chigi è partita di prima mattina una telefonata per Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance (associazione nazionale dei costruttori). Scopo della conversazione: capire i motivi di tanta scontentezza per prendere adeguati provvedimenti. Come se in tutti questi mesi il governo non avesse intuito che, dopo gli annunci dell’avvio di tanti progetti edilizi, dal social housing (costruzione di 100 mila alloggi) al piano casa 2 (possibilità di ampliamento della cubatura), nemmeno un cantiere era stato aperto e neanche un mattone posato. E che quindi molti costruttori, soprattutto i medi e i piccoli, non solo ora sono con l’acqua alla gola, ma si sentono anche presi in giro. In appena 9 mesi hanno dovuto mandare a casa 74 mila dipendenti, mentre gli investimenti totali nel settore si riducevano del 20 per cento. non si è lasciato Bd’orouzzetti sfuggire l’occasione e, considerando che in fondo la sua è un’associazione sindacale di imprese, ha annunciato che farà pervenire a Berlusconi le sue richieste condensate in una piattaforma che con ogni probabilità verrà consegnata lunedì a Palazzo Chigi. Date le circostanze, riuscirà ad ottenere qualcosa. Perché Berlusconi non si può permettere il lusso di perdere i favori di una categoria imprenditoriale che considera naturalmente dalla sua parte e quindi almeno a parole sarà prodigo di rassicurazioni. La piattaforma che i costruttori stanno preparando si basa su due punti: un decreto per la semplificazione delle norme sulle autorizzazioni edilizie e sgravi fiscali per facilitare l’acquisto della prima casa. Per quanto riguarda la semplificazione, più che una rivendicazione, per i costruttori si tratta di un semplice richiamo al rispetto di una promessa che ormai risale alla primavera. Già allora Berlusconi assicurò che ci avrebbe pensato lui con un immediato decreto a creare le condizioni perché i piani casa decollassero, strappando ai 1.200 rappresentanti del settore riuniti a Roma più di un applauso convinto. Disse che il suo governo avrebbe approvato a tambur battente un testo unico sull’edilizia per eliminare la pletora di norme e codicilli che spesso rallenta la possibilità di edificare. Per evitare l’accusa di cementificazione selvaggia, l’Ance chiede anche più controlli sui cantieri.
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I FATTI DELLA VITA
Tendenza Israele Guerre e pace sul grande schermo I MOTIVI DI UN SUCCESSO INTERNAZIONALE di Alon Altaras Tel Aviv
ino ad alcuni anni fa, quando in Italia o in generale in Europa si parlava di cinema israeliano, compariva il solo nome di Amos Gitai. Ma ora la scena viene occupata, anche a livello internazionale, da un gruppo di giovani registi che nessuno conosceva prima. E il nome di Gitai sembra appartenere al passato. Ari Folman (Valzer con Bashir), Edgard Keret e Shira Geffen (Meduse), Shmulik Maoz (Lebanon), Eran Kolirin (La banda) si sono aggiudicati premi importanti ai maggiori festival di cinema (Leone di Venezia, César francese, Golden Globe Usa). Questi registi, alcuni alla loro opera prima, si sono occupati dei traumi personali legati alla situazione israeliana: la prima guerra del Libano, del 1982, ha fatto nascere Valzer con Bashir, Lebanon e Beaufor t, che nel 2007 ha vinto il Festival di Berlino come miglior regia (Josef Sider), ma non ha trovato una distribuzione in Italia. Qual è il segreto dell’exploit del cinema che si aggiunge e quasi supera quello della letteratura israeliana? Le risposte sono diverse. La prima è che il loro cinema si occupa di temi di grande attualità: il conflitto israeliano-palestinese, le conseguenze della guerra nella vita delle persone in medioriente. La seconda è il grande interesse che l’Europa e il mon-
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do dimostrano verso Israele e la sua particolare situazione culturale, un paese mediorientale ma con profondi tratti europei. E infatti questo cinema appartiene chiaramente alla tradizione cinematografica europea più che a quella mediorientale, come quella egiziana o siriana. La terza è la pianificazione economica dei governi israeliani nell’ultimo decennio. In questo lasso di tempo in Israele è stata varata una legge sul cinema che per un quinquennio stanzia, senza tagli e modifiche, la stessa cifra ogni anno. Una cifra modesta, in termini europei: 68 milioni di shekel, 12 milioni di euro. Ma in un paese di 7 milioni di abitanti essa basta ad assicurare certezza e continuità e a portare una crescente presenza dei registi israeliani nell’attività cinematografica mondiale. Non è un caso che questi film siano anche frutto di coproduzioni con paesi europei come Francia e Germania. L’Italia, in questo campo, non figura all’avanguardia. Nonostante molti di questi film siano critici verso la politica israeliana, l’occupazione, le due guerre in Libano, tuttavia hanno goduto dei soldi statali e dei finanziamenti governativi. Ciò in parte spie-
ga la buona accoglienza che essi riscuotono anche in ambiti europei molto critici verso la politica del governo israeliano e la posizione di questo paese nel conflitto con i palestinesi. Questi nuovi registi, di età fra 35 e 50 anni, hanno scelto di non basare le loro sceneggiature sulla narrativa israeliana degli ultimi decenni. Romanzieri come Yehoshua, Oz, Grossman, Shalev, Kenaz non hanno contribuito a tale rinascita, il successo dei loro romanzi non si è tradotto in successo cinematografico. In questi giorni un nuovo film
Oltre agli autori ormai affermati, la nuova generazione racconta la convivenza con gli arabi e i problemi sociali
IL FANTASMA DI GUANTANAMO ARRIVA A GROUND ZERO Vitaliano New York
ella sua trasferta asiatica, lontaNshington, no almeno fisicamente da WaBarack Obama non sembra aver molta voglia di lasciarsi trascinare in una faccenda spinosa come quella della chiusura di Guantanamo Bay, la prima azione annunciata all’indomani dell’inizio della sua presidenza. Un anno. Quello il tempo che il neo-presidente aveva chiesto per dimostrare al mondo che l’America non era più la stessa e soprattutto non era più la stessa degli ultimi otto anni in cui la lotta al terrorismo era divenuto il facile
Il processo all’ideatore dell’11 settembre si terrà a New York. Ma la base delle torture non chiude ancora
me, il più importante in Israele. Ha avuto inoltre una menzione speciale all’ultimo festival di Cannes ed è stato scelto per rappresentare Israele all’Oscar come film straniero. La realtà di Ajami è crudele, violenta. Non si tratta di un racconto di pacifica convivenza fra religioni ed etnie diverse. Se qualcosa lo rende un messaggio ottimista è il fatto d’essere frutto di una collaborazione fra un israeliano e un arabo, figli di diverse religioni, che si sono uniti per fare un autentico capolavoro. E sarà il prossimo successo mondiale del cinema israeliano.
appiglio al quale aggrapparsi per giustificare persino la tortura. Guantanamo, però, è diventata, giorno per giorno, materia difficilissima da gestire senza il rischio di suscitare polemiche su tutti i fronti. Proprio come è accaduto ieri, quando Eric Holder, ministro della Giustizia, in conferenza stampa, ha annunciato che il processo a Khalid Shaih Mohammed, ideatore degli attacchi dell’11 settembre e di altri quattro uomini coinvolti nella strage, si svolgerà presso la corte federale di New York, a pochi passi dal “recinto” dove un tempo svettavano le Torri Gemelle. Con loro, l’amministrazione processerà anche un altro detenuto della base cubana, Abd al-Rahim al-Nashiri, ritenuto responsabile dell’attentato del 2000 alla nave da Guerra Cole, in Yemen, e quattro suoi complici. Per la prima volta, dunque, dei detenuti di Guantanamo verranno processati in territorio americano e, soprattutto, per quanto riguarda gli imputati della strage dell’11 settembre, di fronte a una corte civile.
FRANCIA
Gli amici di Sarko: censurati sul web
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ridano alla censura gli amici di Facebook del presidente francese Nicolas Sarkozy indignati per l'eliminazione dal social network di alcuni messaggi considerati dall’Eliseo, “violenti” o “offensivi”. Si tratta solo di “filtrare” i messaggi eccessivi sul blog presidenziale, ha detto a “Le Parisien” Nicolas Princen, capo della Cellula Internet dell’Eliseo, che ha il compito di "moderare" la 'bachecà di Sarkozy (nella foto). “Eliminiamo solo i messaggi ingiuriosi, astiosi, volgari, o con carattere antisemita o omofobo - ha spiegato Princen - I messaggi critici o negativi li lasciamo”. Tra i messaggi più polemicii ci sono i commenti al post sulla dubbia presenza di Sarkò il 9 novembre 1989 alla caduta del muro di Berlino: "Mitomane", scrive qualcuno, oppure “super bugiardo”.
Luna
LA NASA: “C’È TANTA ACQUA GHIACCIATA”
ha avuto ottima accoglienza in Israele: Ajami, realizzato da due registi, Scandar Copti e Yaron Shani, uno arabo-israeliano e uno israeliano d’origine ebraica. Racconta la storia di un quartiere di Tel Aviv dove vivono insieme arabi musulmani, cristiani ed ebrei. Questa miscela sociale e politica ha luogo a pochi chilometri dal centro di Tel Aviv. I due registi rendono questo
GUERRA AL TERRORISMO
di Angela
piccolo quartiere una metafora di tutta l’interculturalità israeliana, simile a quella che condiziona grandi metropoli europee come Parigi e Londra. Questo film ha, per la cultura israeliana, il ruolo che Accattone di Pasolini ha avuto per quella italiana, quella cioè di raccontare alla borghesia delle grandi metropoli il dramma che si svolge non lontano dalle loro case. Aiami è un film che parla arabo per la maggior parte del tempo e ben poco ebraico, ma ciò non ha ostacolato il suo successo al festival di Gerusalem-
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PAKISTAN
Venti morti in due attentati
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ono almeno 20 le vittime di due attentati suicidi che hanno avuto ieri come bersaglio i servizi segreti dell’Isi e la polizia pachistani nell’area di Peshawar, capoluogo della regione nord-occidentale del Pakistan che confina con l’Afghanistan e teatro di almeno cinque attentati nell’ultimo mese.
GERMANIA La Nasa ha rilevato “importanti quantità d’acqua” sulla Luna. Scoperta fatta dalla sonda inviata per la missione L-Cross (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite), primo passo del programma per riportare l’uomo sul satellite entro il 2020.
Decisione quest’ultima che ha suscitato le reazioni immediate delle associazioni dei parenti delle vittime che trovano sbagliato che i terroristi possano beneficiare degli stessi diritti costituzionali dei cittadini americani. Holder, tuttavia, ha garantito che nei confronti degli imputati sarà applicata la massima severità e che l’amministrazione intende spingere per la condanna a morte. Holder ha anche escluso che il fatto che molte confessioni siano state ottenute con la tortura possa inficiare una sentenza di condanna perché ci sono molti altri atti che confermano le accuse a carico degli imputati. Vale la pena ricordare che Mohammed fu sottoposto a “waterboarding” (forma di annegamento simulato e ripetuto) per ben 183 volte solo nel marzo del 2003. Una delle maggiori difficoltà che il presidente si è trovato a gestire all’indomani stesso della sua decisione relativa a Guantanamo è stata, fra l’altro, proprio quella di poter individuare dei luoghi alternativi dove svolgere i processi. Ovunque, infatti, si sono inne-
scate forti preoccupazioni circa la possibilità che la presenza dei prigionieri avrebbe potuto trasformare le città ospiti in obiettivi terroristici. Preoccupazione che New York, forse perché sempre fuori dagli schematismi o perché già colpita e sopravvissuta, non ha condiviso. Un primo passo verso la chiusura, dunque, ma non abbastanza per sperare che la data di gennaio possa essere rispettata. “L’ho già detto in altre occasioni e lo confermo oggi: Guantanamo non chiuderà nei tempi annunciati”, ha ribadito Holder ai giornalisti presenti. Quando allora? Difficile dirlo dati gli innumerevoli ostacoli ancora da superare. Tanto che Greg Craine, legale della Casa Bianca, confermando voci in circolazione da mesi, si è dimesso ieri per essere sostituito da Bob Bauer, da anni legale di Obama. Fra le responsabilità (mancate) di Craine, che ne spiegherebbero le dimissioni, la risoluzione dei problemi legali relativi alla chiusura di Guantanamo. Compito evidentemente non assolto.
Nuovo segretario dell’Spd
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socialdemocratici tedeschi hanno un nuovo leader: quasi due mesi dopo la débacle delle legislative, la Spd nel suo congresso nazionale ha eletto alla presidenza - con il 94 per cento dei consensi - l’ex ministro dell’Ambiente, Sigmar Gabriel, che sostituisce Franz Muentefering.
TURCHIA
“L’uranio iraniano depositato da noi”
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a Turchia non dirà di no alla richiesta di tenere in deposito l’uranio arricchito dell’Iran”: lo ha dichiarato ieri il ministro dell’energia turco Taner Yildiz il quale ha affermato che sinora non ci sono state richieste in tal senso avanzate dall’Onu né da Teheran.
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IDEE
BANALIZZARE DIO È PEGGIO CHE NASCONDERLO
tempo, davvero, di togliere la croce dalle di unità italiana) ma diventa progetto poclassi, al più presto. Difficile concepire litico nella seconda metà del Novecento, un’offesa più grande a quello che la cro- dopo due guerre mondiali che hanno rice dice, questo considerarla nella miglio- velato quel che le forti identità nazionali, re delle ipotesi qualcosa di innocuo, nel- eredi delle cinquecentesche identità rela peggiore qualcosa che esula dalla re- ligiose, hanno prodotto: sangue, cataligione. Le parole di Natalia Ginzburg strofi, annientamento di intere comunità (sull’Unità del 22-3-1988) hanno peso se a cominciare da quella ebraica e Rom. Alla conversazione cittadina è grave e il le spalle, il nostro continente ha guerre simbolo non degenera in pretesto. Poi- di religione e poi di pseudo-religioni poché è vero quello che la scrittrice sugge- litiche. L’Europa che non vuol perdersi risce: “Il crocifisso è il segno del dolore dopo secoli di megalomanie identitarie umano. La corona di spine, i chiodi, evo- non può che essere laica, proprio perché cano le sue sofferenze. La croce che pen- nasce come superamento delle identità, siamo alta in cima al monte, è il segno delle guerre di religioni e di culture. Essa della solitudine nella morte. Non cono- mette fine al messianesimo comunista e sco altri segni che diano con tanta forza il all’idolatrico culto nazifascista delle rasenso del nostro umano destino.” Ma se dici e della stirpe, della terra e del sangue, viene staccata dalla religione cui appar- del Blut und Boden. tiene e diventa cultura generale o nazion altre parole, se oggi una sua cittanale, o se diviene gadget che non posdina ricorre a un tribunale europeo siede neanche una scintilla perturbante, meglio salvarla trasferendola – come il perché non giudica compatibile con la Duomo nelle Elegie Duinesi di Rilke– propria libertà l’esposizione del crocifisnell’invisibile. Meglio il Dio nascosto, so nella scuola pubblica, la Corte euroche la sua totale banalizzazione. D’al- pea non può che rispondere con questa tronde la Ginzburg dice una cosa tre- sentenza, a meno di non tradire se stessa menda, nello stesso articolo, general- e la storia d’un continente. Allo stesso mente taciuta dai cattolici che ne tesso- modo l’Unione europea, quando discusno le lodi: “Per i veri cat- se il trattato costituzionale, non poté che tolici, deve essere arduo e rinunciare alla menzione delle radici crite perché, non essendolo, doloroso muoversi nel stiane. Non perché la Francia si opponesnon dà fastidio a nessuno. cattolicesimo quale è og- se, ma perché la laicità è un patrimonio Come tutte le sentenze, gi, muoversi in questa pol- comune, e non poteva esser negata a uno anche quella di Strasburtiglia schiumosa che è di- solo degli Stati per il solo fatto che la rego va letta attentamente, e ventato il cattolicesimo, ligione o Dio sono menzionati nella magsi vedrà tutta la miseria di dove politica e religione gioranza delle costituzioni nazionali. chi ha creduto di difendesono sinistramente mi- Lo Stato non è neutrale, non oppone inre il crocifisso avvicinanschiate. Deve essere ar- differenza assoluta al fenomeno religiodosi a esso con furba disinduo e doloroso, per loro, so e al suo crescente diversificarsi –lo ha voltura. In sostanza, i due districare da questa polti- spiegato bene il giudice Marco Bignami rappresentanti del goverglia l'integrità e la sinceri- in un recente convegno a Lipsia – ma non per questo professa una fede, neppure no –Ersiliagrazia Spatafora tà della propria fede”. e il suo assistente, Nicola Penso che la descrizione culturale: esso è chiamato difendere sia Lettieri– sostengono che non religiosa del crocifis- le libertà positive sia quelle negative del la croce non ha nulla di so sia un’immensa trappo- singolo – la sentenza lo ricorda– dunque sovversivo e tanto meno la, per i laici come per i ve- l’equidistanza laica dalle più diverse evoca scandalo. In fondo, ri cattolici. Per i laici con- identità religiose e non religiose. Lo Stato i due rappresentanti dangiunge abusivamente reli- non usa la religione come instrumentum no ragione a Pedro Almogione, cultura, politica. regni, contrariamente a quello che hanno dovar: la croce è “un’icoPer i cattolici e cristiani è fatto nel dibattimento gli avvocati del gonografia pop”. Sta lì per un furto: la religione, verno. Così si è pronunciata la Corte altre non esser guardata, e ansciolta nell’acqua della volte. Così ha statuito la Corte costituziocor meno pensata: “Il crocultura, svanisce. È vero, nale tedesca, dando ragione a due cittacifisso è esposto nelle aule chi legge il Nuovo Testa- dini che avevano fatto ricorso in Baviera scolastiche ma non viene mento troverà valori uma- nel 1995: lo stato bavarese rifiutò il verin alcun modo chiesto agli nistici, ma Gesù non è un detto, ma a partire dal 2002 consente agli insegnanti o agli allievi di umanista. Il cristianesimo insegnanti di allontanare la croce se la rifare il segno della croce, separa quel che spetta a tengono lesiva delle proprie intime conné di omaggiarlo in alcun Cesare da quel che spetta vinzioni. La Francia tolse la croce molto modo (...) In realtà, non è a Dio, ma questo non lo prima, nel 1886, e non potrebbe stare in neppure richiesto loro di prerende un militante della Europa se la sua tradizione venisse ignostare alcuna attenzione al crocultura, molto posteriore, rata. La Spagna sta discutendo la sua ricifisso” (paragrafo 36 della della laicità. Troppo mo- mozione, dopo una sentenza che nel sentenza, i corsivi sono derni sono questi termini, gennaio 2009 ha ordinato di allontanare Il Crocifisso di Giotto nella chiesa di Santa Maria Novella (F A ) per una fede antichissima il simbolo da una scuola a Valladolid. Memiei). Non è che una macchia sulla parete: comune – su questi punti– labi- glio sarebbe se anche l’Italia affrontasse il que, è un’immagine “non paragonabile mento religioso di quest’ultima”. In fin rintica. Si è parlato molto di identità ita- tema con le proprie forze: togliere simall’impatto di un comportamento attivo, dei conti, la croce non ha nulla a vedere liana o europea, in questi giorni, ma la boli di tanto peso è strappo vissuto come quotidiano e prolungato nel tempo co- con la religione, ma molto, se non tutto, nozione di identità è estranea al cristia- ingiusto, se imposto dall’esterno. me l’insegnamento” (paragrafo 37). Il si- con la politica e perfino i partiti. Non sen- nesimo, che è una religione al tempo In ogni caso, la lezione di questo episolenzio del Cristo in croce non dice alcun- za ironia, la Corte osserva, nel paragrafo stesso mite e molto severa, aperta al di- dio è che abbiamo due patrie e forse anché: non ha impatto, garantiscono gli av- 46, che se il governo davvero ritiene che verso e esigente. Se ci sono parole che il che tre: l’Italia, l’Europa, il mondo. E che vocati del governo. Leggendo la senten- “l’esposizione del crocifisso non richie- Cristo avversa sono proprio queste: l’Italia non è più il paese a stragrande za mi è tornato in mente un negoziante da alcun omaggio né alcuna attenzione, identità, gruppo, famiglia, nazione, et- maggioranza cattolica come ai tempi delche vendeva ciondolini a croce, un gior- c’è da domandarsi come mai il crocifisso nia. Nel Vangelo di Luca (14,26), quel le circolari che imposero i crocifissi a no a Londra. Un cliente si ferma, osserva venga esposto. L’esposizione di tale sim- che dice è sovversivo. Lo citiamo non scuola: prima tramite un decreto regio e chiede: “Ma perché le croci a destra co- bolo potrebbe essere percepita come nella traduzione Cei ma in quella greca e nel 1860 (quando ancora non esisteva stano una sterlina e tutte le altre 30 pen- ‘venerazione istituzionale’ di quest’ulti- latina: “Se uno viene a me e non odia suo l’unità) poi durante il fascismo tramite le ny?”. Al che il negoziante, indicando mo”. padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, circolari del 1922, 1926, 1928. A partire quelle da una sterlina: “Perché su queste le sorelle e perfino la propria vita (psyche dal concordato dell’84, il cattolicesimo leggendo la sentenza che mi sono do- in greco), non può essere mio discepolo” non è più religione di Stato. Sono date da c’è un ometto!” Ther’s a a little man on mandata se la posizione di Travaglio (allo stesso modo traducono Lutero e meditare. Brandire la croce davanti alle them! telecamere per rivendicare le radici criMa il paragrafo che più crudamente svela fosse giusta. Se non convenga piuttosto, King James). lo squallore della difesa governativa è il alla luce delle miserie che si dicono e C’è poi un altro aspetto della sentenza, stiane d’Europa, come ha fatto il Presinr. 42: “Il governo non sostiene che sia dell’uso politicante che viene fatto della secondo me trascurato. Essa viene emes- dente del Consiglio, è qualcosa che agli necessario, opportuno o auspicabile croce, desiderare in maniera intensa sa non in Italia sull’Italia, ma in Europa in italiani forse piace, ma di cui l’Europa difmantenere il crocifisso nelle sale di clas- tutt’altra soluzione. Se la natura religiosa nome dell’Europa, facendo una sintesi fida. Ha le sue buone ragioni, e una lunga se, ma semplicemente sostiene che la d’un simbolo sbiadisce, sommersa da del vissuto di tutti i suoi paesi. L’idea di memoria, che la spinge a diffidare con scelta di mantenerlo o no dipende dalla po- cultura e politica, allora sarebbe gran Europa è antica (un po’ come lo è l’idea tanta forza. litica e risponde dunque a criteri di opportunità, e non di BUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline legalità. Nell’evoluzione storica del diritto nazionale descritta dalla ricorMilioni di vite salvate internazionale ha raggiunto l'anno rente, che il goverL'International Campaign to Ban scorso un record: i donatori hanno no non contesta, Landmines (Icbl) ha presentato il investito un totale di 518 milioni di occorre tuttavia caLandmine Monitor Report 2009, dollari. Nonostante il trend pire che la Repubannuale rapporto sulle mine antiuomo positivo, rimane ancora molto blica italiana, bennel mondo e sulla lotta per eliminarle. lavoro: sono più di 70 i Paesi del ché laica, ha deciso In questa edizione si traccia il bilancio mondo contaminati da mine e liberamente di condei 10 anni di attività dall’entrata in ordigni inesplosi. servare il crocifisso vigore del Trattato di Ottawa sulla Mandela forever nelle aule per varie messa al bando delle mine. Nel mondo All'unanimità i 192 Paesi ragioni, fra cui la nesono stati bonificati oltre 3.000 kmq, dell'Assemblea Generale dell'Onu cessità di trovare un pari a due volte la superficie di una hanno istituito una giornata, il 18 compromesso con i città come Londra, 86 Paesi hanno luglio, dedicata a Nelson Mandela, partiti di ispirazione distrutto 44 milioni di mine nei loro per il suo contributo alla Pace. cristiana che rappre(di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria arsenali e milioni di vite sono state sentano una parte Cristina Dalbosco, Gabriella Canova) salvate. Anche il sostegno economico essenziale della popolazione e il senti-
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Parole leggere fino all’inconsistenza o toni aggressivi: quando il discorso pubblico sminuisce il valore e il senso del crocifisso Dopo la sentenza della Corte di Strasburgo, “Il Fatto Quotidiano” ha accolto molti pareri sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche e nei luoghi pubblici. Continuiamo a seguire il tema – dopo gli interventi di Marco Travaglio, Marco Politi, Piergiogio Odifreddi, Lorenza Carlassare e Paolo Flores d’Arcais – con l’intervento di Barbara Spinelli. di Barbara Spinelli
aro direttore, Marco Travaglio ha difeso il crocifisso esposto nelle aule della scuola pubblica, sul Fatto, in accordo con molti non cattolici contrari all’abbandono del simbolo essenziale del cristianesimo. Qualche giorno prima, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva emesso una sentenza favorevole al ricorso di una cittadina, Soile Lautsi, che in nome della laicità, della Costituzione e della Convenzione europea di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, aveva chiesto l’allontanamento della croce dall’aula frequentata a Abano Terme dai propri figli, rispettivamente di 11 e 13 anni. Sono duemila anni, scrive Travaglio nell’editoriale del 5 novembre, che il simbolo cristiano fa scandalo, e non solo per chi crede nella resurrezione: perché la croce non è lotta e conquista, ma rammenta un dolore che accomuna ed è “l’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia”. Perché, soprattutto, è “immagine di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”)”. Sono parole forti e profonde, che ricordano argomenti usati in passato da Natalia Ginzburg, che Travaglio cita, e anche da Miguel de Unamuno, quando il governo del Fronte Popolare in Spagna proibì i crocifissi nelle scuole statali: “Cosa metterete nel vuoto lasciato dalla croce? La falce e il martello? La squadra e il compasso?” chiese il filosofo, criticando marxisti e massoni. E disse che tanti simboli, nella nostra cultura, hanno origine nel cristianesimo: a cominciare dalle campane.
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e parole profonde non sono tuttavia Lblico,quelle che dominano il discorso pubda quando la Corte ha parlato. Le più usate hanno ben altro timbro: o sono leggere fino all’inconsistenza, o sono aggressive, e del tutto sorde alla cultura –non meno legittima, nobile, rappresentativa dell’Europa– che pervade l’analisi fatta dai giudici di Strasburgo. I più aggressivi hanno accusato la Corte di ideologia anticristiana, di smemoratezza storica: come se non fosse la storia, e più precisamente l’uso che in passato è stato fatto di religioni e pseudo-religioni totalitarie, a spiegare la nascita dell’unità europea dopo la guerra, e sentenze come quella appena pronunciata sul crocifisso. Quanto ai leggeri, la reazione è stata di fastidio, di volontaria ignoranza dei simboli e della loro essenza. Particolarmente significativo lo stupore di Pierluigi Bersani, nuovo segretario del Pd: “Io penso che un'antica tradizione come il crocifisso non sia offensiva per nessuno”. Dunque lasciamo la croce dov'è, senza farci troppe domande: non perché il simbolo sia importante ma giustamen-
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“Difficile concepire offesa più grande a ciò che la Croce dice del considerarla qualcosa di innocuo o qualcosa che esula dalla religione”
LA LOTTA CONTRO LE MINE, NEL SEGNO DELLA PACE
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Sabato 14 novembre 2009
SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
DIARIO POSTUMO
ENZO BIAGI 14 MESI PARTIGIANI
Jacko This is it raggiunge quota 200 milioni di euro
Bolton Sarà la guest star del Festival musica di Mantova
Travolta Per la prima volta parla del figlio morto in tv e si commuove
Gaynor I will survive compie 30 anni ed è sempre una hit Enzo Biagi (FOTO ANSA)
In libreria le memorie di guerra del giornalista E’ in libreria “I 14 mesi – La mia resistenza”, di Enzo Biagi a cura di Loris Mazzetti (Rizzoli, 270 pagg-18,5 euro). Qui di seguito, uno stralcio del secondo capitolo. di Enzo Biagi
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ono tanti i ricordi di quei quattordici mesi. Fu una scelta che ognuno di noi partigiani fece a seconda delle sue condizioni o della sua mentalità. Ognuno, a seconda dell’idea che aveva della vita e della libertà, sceglieva la sua parte. Non ho fatto niente di eroico. Sapevo muovermi benissimo nei boschi, quello sì, e in certi momenti ci è servito. Se non ci vedessi più, in quei luoghi potrei determinare ancora le ore dai profumi e dall’aria attraverso il loro cambiamento nell’arco della giornata. Mi sono portato dietro l’odore del panno delle divise dei tedeschi. I loro pastrani sapevano di terra, di foglie di bosco, di bagnato, di grasso di maiale e di cuoio. Mi rendevo conto del loro passaggio prima del nostro arrivo. Una notte, una pattuglia comandata da Gigino tornò indietro con un tedesco e una Ss italiana. L’italiano era giovanissimo, diciotto anni, credo. Mi fissava con insistenza. “È un infante” disse Gigino sghignazzando. “È mezzo di qua e mezzo di là. Sua madre si chiama
Ognuno, a seconda dell’idea di vita e libertà, sceglieva la sua parte. Non ho fatto niente di eroico
Monika Bauer, c’è scritto nel libretto, e lui Ludovico o Ludwig Casadei”. “Bisognerebbe, allora, farlo fuori due volte” disse Mirko. “È un fregnone come te” intervenne Sandro. “Tu che cosa capisci?”. “Lo conosco” dissi. “Non ne ha colpa. Tu stavi in Sant’Isaia, vero?”. “Sì, ma ne ho colpa. Nessuno mi ha costretto. Faccio la terza liceo, so leggere”. “Allora sei un coglione istruito” disse Gigino. “Vieni” concluse Checco “che ti portiamo a finire gli studi”. Non era una minaccia. Sbiancò, ma senza buttarsi via. Il tedesco lo pregava: “Ludwig, bitte, ein moment. Friede, was ist Friede? Ja, pace”. “Io credo che loro abbiano ragione” disse Ludwig. “Lo dico da italiano. Nel momento più brutto, li abbiamo mollati”. “Portiamoli dagli americani”, fu la conclusione di Sandro. “Ludwig e loro si capiranno. Io non ce la faccio”. “Se vuoi...” disse Mirko. Salii anch’io sulla jeep che andava verso Porretta. Sentii che Ludwig rabbrividiva, ma non so se per il freddo o l’emozione. Quando entrò nel comando Usa e lo lasciammo non disse nulla. La sentinella americana gli offrì le sigarette. Ne accese subito una e respirò avidamente. Tra le carte del tedesco trovarono un foglietto gualcito; una canzone della fanteria, parole disperate: “Dove il Duce governa senza paese e senza potere, dove i partigiani non danno pace, dove la notte in ogni angolo si spara e si grida, e saltano le rotaie, e il treno va per aria, dove le lettere ci arrivano dopo molte settimane, non è questa la nostra patria, al diavolo questo maledetto paese”. capitò da noi per portarPavevaitagora mi la notizia che la banda di Urio preso lo zio Gigi, il fratello di mia madre. Lo zio Gigi non aveva mai fatto male a nessuno, era fiero di aver partecipato alla marcia su Roma, per questo era considerato il fascista della zona. Pitagora mi raccontò che mio zio era legato a un palo e aveva capito cosa lo aspettava. Da lassù vedeva la sua casa. “Se non siete capaci” gridava “datemi una pistola che faccio da solo; ho una medaglia dell’altra guerra”. Nell’attesa dell’esecuzione aveva scritto una lettera con la matita da far recapitare alle sorelle Enrica e Bice: “Sono stato condannato a morte per tante imputazioni false, i miei figli pensino che muoio innocente. A voi tutti il mio ultimo pensiero.
Pregate per me e recuperate il mio cadavere”. Quella lettera la consegnai io. Lo zio Gigi aveva scritto anche il nome di chi lo aveva denunciato. Quel nome lo cancellai: non volevo alimentare rancori. Pensai a mia madre e a come è facile morire. Con Pitagora, non parlai più. Anche noi uccidemmo un fascista. Era altissimo e per questo tutti lo chiamavano “Il Piccolo”, un fotografo informatore delle Ss che girava per le strade di Bologna a fare foto a tutto quello che riteneva sospetto. Lo avevano preso sempre quelli della banda di Urio e se lo portavano dietro da giorni. L’incontrammo sui Monti Grossi. Il Piccolo era un pericolo costante, conosceva tutte le nostre postazioni e se fosse riuscito a fuggire per noi sarebbe stata la fine. Il capitano Pietro disse: “Questo lo dobbiamo far fuori per la nostra sicurezza”. Se lo fece consegnare dagli uomini di Urio, fu un nostro partigiano a fucilarlo. Un romano, arrivato da poco. Era stato catturato dai tedeschi durante un rastrellamento, ma era riuscito a fuggire dal treno che lo trasportava in Germania. Il Piccolo aspettava con la testa china tra i pugni, rassegnato. In quegli stessi giorni si preparava l’offensiva di aprile. Ogni tanto, grazie a dei piccioni viaggiatori, comunicavamo agli uomini dell’Office of strategic service le coordinate delle postazioni nemiche. Una volta eravamo nascosti nel bosco, vicini agli ar-
gini del Silla. Davanti a noi scorgemmo una batteria di tedeschi che faceva il bagno nel fiume. Alcuni lavavano le maglie, scherzavano, si gettavano addosso l’acqua. Noi stavamo a guardarli, trattenendo il respiro. Lasciammo volare il piccione col rotolino del messaggio legato alla zampa. Poco dopo ci fu un tiro concentrico di mortai e tre di quei tedeschi rimasero con la faccia immersa nella corrente. Checco fu il primo della brigata che conobbi, legammo subito; mi diede la sua pistola. Era uno dei più giovani, ma non aveva la crudeltà dei ragazzi che non capiscono neppure cos’è la morte; era uno che pensava parecchio. Tommaso, da Bologna, portò degli stampati sul Partito d’Azione, e con Checco leggevamo la vita dei fratelli Rosselli. Mi piac-
Francia
oggi editrice di Proust, Faulkner, Camus, Sartre, Tabucchi, i grandi romanzi del Novecento. Titolo della lettera “Per Antonio Tabucchi”, messaggio di solidarietà al narratore italiano chiamato in giudizio dal presidente del Senato Renato Schifani: chiede un milione e 250 mila euro per un commento scritto da Tabucchi sull’Unità di Padellaro, maggio 2008. Qual è l’offesa? Lo scrittore riprendeva dalla stampa e dagli ascolti tv la biografia
arlo Rosselli nel 1936 andò in Cte internazionali; Spagna a combattere nelle Brigada Barcellona il 13 novembre 1936 fece un discorso
che precede la grande politica dell’avvocato siciliano. Collabora ed è consigliere di società più tardi smascherate per le radici mafiose. Ma Schifani si era allontanato da tempo: insomma, nessuna colpa. “Indagato e assolto”, scriveva un anno fa Tabucchi, confermandone l’estraneità. E il presidente resta testimone lontano dai sospetti dei giudici. Eppure la denuncia. Strana perché colpisce solo Tabucchi e non la casa editrice che ha ospitato il commento, come impone la normativa europea. Strana perché arriva con mesi di ritardo. Strana perché i giornali francesi ne hanno dato notizia in febbraio mentre gli italiani fanno finta di niente. “In Francia non succede perché si difende la libertà di guardare e mette
TABUCCHI, APPELLO DEGLI INTELLETTUALI CONTRO SCHIFANI unedì Le Monde pubblicherà un apLtorepello di Antoine Gallimard, diretdella casa di famiglia: dal 1911 ad
quero molto quei borghesi ricchi che avevano saputo rinunciare a tutto, senza compromessi. Carlo Rosselli fu il fondatore di Giustizia e Libertà con Emilio Lussu, Fausto Nitti, Salvemini, Cianca, Tarchiani, Rossetti, Battistelli, Schiavetti, Trentin, Jacchia e Venturi, un gruppo che aveva come scopo di riunire in Italia e all’estero tutti quelli che volevano combattere il regime fascista per creare una società libera e civile. La bozza dello statuto fu stesa da Gaetano Salvemini, il motto era “Insorgere per risorgere” e per simbolo fu adottata la spada di fiamma.
via radio che rimase storico: “Compagni, fratelli, italiani, ascoltate. Un volontario italiano vi parla dalla radio di Barcellona per portarvi il saluto delle migliaia di italiani antifascisti esuli che si battono nelle file dell’Armata rivoluzionaria per l’ideale di un popolo intero che lotta per la sua libertà. Vi chiedono che l’Italia proletaria si risvegli. Che la vergogna cessi. Dalle fabbriche, dai porti italiani non debbono più partire le armi omicide. Dove non sia possibile il boicottaggio aperto, si ricorra al boicottaggio segreto. Il popolo italiano non deve diventare il poliziotto d’Europa. Quanto più presto vincerà la Spagna proletaria, e tanto più presto sorgerà per il popolo italiano il tempo della riscossa”. Copyright Rizzoli
in guardia sulle opacità, le menzogne e le imposture dei poteri – protesta Gallimard –. Davanti alle persecuzioni alla stampa di opposizione e a questo processo ad uno scrittore europeo, non possiamo restare indifferenti e passivi assistendo all’offensiva del governo italiano contro la libertà di giudizio, di critica e di interpretazione”. Gallimard invita gli intellettuali ad unirsi alla protesta. Ed è una valanga. Le Monde è costretto a rimandarne la pubblicazione: serve un’intera pagina dopo le prime adesioni: premi Nobel (Pamuk e altri), scrittori americani (Philip Roth), il regista Costa Gravas, Mario Soares, già presidente del Portogallo, Camilleri, Dacia Maraini, Claudio Magris e intellettuali e poeti francesi. “Vi invitiamo ad unirvi alla nostra testimonianza e alla nostra protesta”. Parole che a Parigi suonano come ammonimento per le istituzioni romane.
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SECONDO TEMPO
il disco di dente
WEEKEND manuale di sopravvivenza
di Biondi, Colasanti, Collo, Pagani, Pontiggia
IL RAGAZZINO E IL PUGILE
¸CINEMA da vedere èèè
Good Morning Aman Italia 2009, di Claudio Noce
Due storie uguali e contrarie, quelle di Aman (Said Sabrie), teenager di origine somala, e del romano Teodoro (Valerio Mastandrea), ex pugile 40enne, unite dalla ricerca dell’identità, un’identità trasversale. Per entrambi, un romanzo di formazione: crescita verso la vita per Aman, crescita verso la morte per Teddy, in un intreccio di esistenze, corpi e parole supportato da una palese, e ambiziosa, volontà di stile. Immigrazione senza “sfiga”, insonnia multiculturale e una nausea che, decenni dopo Sartre, è ancora più invasiva e nonsense: tutto questo, incredibile e vero, in un film italiano, l’opera prima del premiato cortista Claudio Noce, “Good Morning Aman”, già in concorso alla Settimana della Critica di Venezia. Radicalizzando la poetica di Vicari sotto il faro intimista di Cassavetes, il 34enne regista costruisce un viaggio al termine della notte nei dintorni di Piazza Vittorio, incrociando le derive di Mastandrea – mai così bravo – e del somalo di Roma, Sabrie. Pur concedendosi qualche sbavatura, Noce non si nasconde, osa e ritrae il malessere senza “se” razziali e senza “ma” generazionali. Firmando uno degli esordi tricolori più importanti degli ultimi anni. (Fed.Pont.) èèèè
Segreti di famiglia Usa 2009, di Francis Ford Coppola con Klaus Maria Brandauer
Che gioia il nuovo film di Francis Ford Coppola “Segreti di famiglia”, in anteprima al Festival di Torino il 18 novembre e dal 20 in sala con Bim. Dopo il deludente “Youth without Youth”, torna regista-Padrino, ci illumina con un fascinoso bianco e nero stile Nouvelle Vague, e si (ri)trova fresco, ottimista e vitale come nel saggio di diploma di un grande talento. Utilizzando all’inverso il colore – saturo – per i flashback, Coppola e il suo notevole direttore della fotografia Mihai Malaimare ci regalano uno straordinario crash automobilisti-
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LIBRI
co, che evoca potenzialità, se solo Francis volesse, da mago dell’action-movie, alla faccia dei registi ipervitaminizzati della “New Hollywood” contemporanea. Poi, c’è la storia, in cui complessi edipici e riflessi autobiografici la fanno da padrone, con un figlio artista (Vincent Gallo, bravo) costretto ad andarsene perché il padre (Klaus Maria Brandauer), egocentrico direttore d’orchestra, decide che in famiglia c’è spazio per un solo genio. Girato nella Boca di Buenos Aires, nel cast Maribel Verdù e l’esordiente Alden Ehrenreich, un melodramma totalizzante, famelico (da Godard e Welles fino a Powell e Pressburger), colto e indipendente. Baciamo le mani (Fed. Pont.) èèèè
Gli abbracci spezzati Spagna 2008, di Pedro Almodóvar con Penelope Cruz
Quali segreti nasconde l’esistenza di Harry Caine, ex regista divenuto cieco, ora sceneggiatore accudito dalla fida Judit e da suo figlio Diego, che alla sua vita al buio, chiede solo “la possibilità di sfruttarne il bello fino in fondo”? Suggestioni di Hitchcock, Carnè e Rivette, in un grande, complesso, commovente affresco di Almodóvar, qui alla sua prova meno almodovariana di sempre. Noir e melò, rimandi a Rossellini e Antonioni, foto fatte a pezzi, isole vulcaniche, amori asimmetrici, servi sciocchi, colpi di scena. Pedro il manchego, mantiene, superata la boa dei 60, uno sguardo lungimirante e rivelatorio su ciò che lo circonda. In questo caso una società liquida in cui i natali possono più del talento e il potere “che manca di fantasia” si illude di manovrare contesto e comprimari. Le donne, come di consueto, sono il motore della cosmogonìa di Almodóvar. Intorno nuotano in superficie figure generose capaci di mantenere il silenzio, abbandonarsi senza riserve, inseguire l’attimo consapevoli che una seconda chiamata, potrebbe non arrivare mai. Due ore di viaggio su ciò che siamo stati e diificil-
mente torneremo ad essere, una dichiarazione di resa ai mestieri del circo e agli strumenti di un’archeologia industriale spazzata in cantina senza riguardi dai digitali più vari, a un cinema che conosceva il piacere di raccontare storie per il solo gusto di farsi cullare, a tutto quello che va finito, percorso, affrontato senza timori di rimanere al buio o sentirsi alternativamente, Sancho Panza o Don Chisciotte. ( (Ma. Pa.) èè
2012 Usa 2008, di Roland Emmerich
Casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra! Probabilmente, era la filastrocca preferita dal bambino Roland Emmerich: non esiste oggi un regista più indissolubilmente votato alla fine, perché per lui la fine è l’inizio. Tedesco trapiantato ad Hollywood, di tragedie su scala kolossal (da “Independence Day” a “The Day after Tomorrow”) ne sa
Valerio Mastandrea (FOTO ANSA)
come nessun altro, e qui torna a fare il film-maker del malaugurio: calendario alla mano, quello maya, che si conclude il 21-12-2012. E così, lo scrittore sci-fi John Cusack cerca scampo per l’ex moglie (Amanda Peet) e pargoli, l’hippie Woody Harrelson fa la radiocronaca dell’apocalisse, mentre il consigliere scientifico Chiwetel Ejiofor nutre dubbi sul mutismo del presidente (Danny Glover, nero come Obama: script preveggente) a beneficio degli happy few, che si
salveranno su futuristiche arche di Noè. Tra questi, i membri del G8, eccetto il premier Usa e quello italiano, che preferisce pregare in Piazza San Pietro: ovviamente, dice Cusack, “non è Berlusconi: lui il biglietto per la salvezza l’avrebbe comprato con largo anticipo!”. Complici green-blue screen, dunque, il mondo va a rotoli: il film cerca di non fare la stessa fine, ma il divertimento più che altro è involontario. (Fed Pont.)
ARTE
L’ITALIA A BRANDELLI DA METTERE ALL’ASTA Italia è a brandelli. Lo raccontano anche L’immagini gli artisti, a cui è permesso tradurre in e suoni uno smarrimento cieco, da cui sembra impossibile sottrarsi. I tredici artisti invitati da Fabio Cavallucci per “Viva l’Italia”, che inaugura il progetto bolognese Astuni Public Studio, disegnano, con tagliente ironia, l’atmosfera incerta e sospesa del nostro paese, evocato attraverso le sue simbologie, i suoi miti, le sue paure, tra segni di decadenza e sentimenti di nostalgia. A partire dall’Italia di Luciano Fabro a testa in giù, pronta per essere venduta all’asta e dal suo simbolo per eccellenza, la bandiera, tradotta da Costa Vece in tragico emblema ridotto a tre consunti cenci sdruciti. Un sal-
to in un passato ancora da rielaborare lo evoca Maurizio Cattelan, con un neon che trasforma il simbolo delle Brigate rosse in una stella cometa, mentre Sislej Xhafa, artista kosovaro da tempo in Italia, fa cantare l’inno nazionale italiano a una ragazza maghrebina. Infine il caustico Cesare Pietroiusti, per il quale “l’artista è proprio colui che, in virtù di pratiche di esplorazione del rimosso, rende praticabili pensieri e azioni altrimenti precluse” che si esibisce, ipnoticamente, in una cantilena ossessiva di inni Claudia Colasanti fascisti. Galleria Enrico Astuni, via Iacopo Barozzi 3, Bologna. Orario: mart_ saba 10-13, 15-19. Fino al 9 gennaio 2010
QUANDO FINISCE UN MONDO
Da leggere
èè Racconti
Da rileggere
èèè Romanzo
C’è di mezzo il mare
èèè Romanzo
La ragazza senza volto Jo Nesbø, trad. di G. Puleo, Piemme
Jo Nesbø è uno scrittore norvegese, pluripremiato all’estero, per ora, ma anche calciatore, giornalista, chitarrista rock. Di lui Piemme ha già pubblicato “Il pettirosso”, “Nemesi”, “La stella del diavolo”, e ora ci serve questo thriller – decisamente “tosto” – che vede ancora una volta il detective Harry Hole – tutore dell’ordine sui generis, e con una smodata passione per il whisky – alle prese con un atroce delitto commesso proprio alla vigilia di Natale. Una storia decisamente tenebrosa e dai risvolti inaspettati.
Riccardo Finelli, Incontri
Finelli (giornalista modenese del 1973), con questo libro ci accompagna in un viaggio tra alcune delle piccole isole “fuori rotta” del nostro paese: Capraia, Ginostra, Alicudi, Santa Maria, Tavolara, San Lazzaro degli Armeni, Isola Maggiore, Gorgona, Marettimo, Levanzo e Linosa. Ma attenzione: questo libro non è e non vuole essere una guida turistica. E’ – come dice l’autore – solo un pretesto “per seguire le onde e raccontare storie di donne e uomini che ogni giorno s’inventano l’esistenza con un mare in mezzo”.
IL MONOLOGO ALLUCINATO E SPETTRALE DI LLAMAZARES RACCONTA I FANTASMI DEL PASSATO
La pioggia gialla Julio Llamazares, trad. di P.L. Crovetto, Passigli
Pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1993, ritorna finalmente in libreria questo breve capolavoro di Julio Llamazares (León, 1955): è la storia dell’ultimo abitante di un paese abbandonato dei Pirenei aragonesi. Una sorta di monologo allucinato e spettrale per raccontare la fine di un uomo – Andrés de Casas Sosas, l’unico protagonista “vivo” di questa storia – ma anche del suo mondo, della sua memoria, dei fantasmi del suo passato. Un romanzo indimenticabile – considerato un classico dalla critica contemporanea – così come, del resto, l’altro suo imperdibile testo, “Luna da lupi” (sempre edito da Passigli). Ma di quest’ultimo ne riparleremo. (P.C .)
è BRUNORI S.A.S. Vol. 1 2009 - Pippola Music Dario Brunori ha fatto un disco semplicemente delizioso, è un piccolo diario di ricordi di chi ha avuto quegli anni in quegli anni, di chi oggi ne ha accumulati pressappoco trenta e ha un’infanzia e un’adolescenza da riesumare. La ruvidezza della voce piacevolmente sguaiata, fatta di rabbia e malinconia, e la semplicità degli arrangiamenti, fatti di chitarra acustica, piccole batterie e strumenti a fiato nei punti giusti, trasportano testi che rapiscono l’attenzione per la loro intelligenza e schiettezza. Pesca a piene mani dalla tradizione della musica Italiana, più o meno conosciuta e più meno inconscia, da Rino Gaetano ai coretti uacciualiuali, ma lo fa con personalità ed eleganza. Un disco che suona come un classico del periodo d’oro del cantautorato, ma è attuale e moderno perché riesce ad essere comunque originale. Consiglio “Vol.1” a chi ama la musica genuina e l’Italia che fu, e crede che oggi in discografia non si combini più niente di buono. Sul suo sito si legge: Denominazione sociale: Brunori Sas di Dario Brunori & c. – Oggetto sociale: ginocchia sbucciate, palloni bucati e ragazzi di provincia, il mare d’inverno e le cotte d’agosto, pugili e fiorellini stracciati. Di più che cosa vuoi che dica? Se non che questa sera, durante la quindicesima edizione del premio Ciampi, al teatro Goldoni di Livorno, riceverà il premio come miglior album d’esordio. Bravo, dico.
CD in uscita
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è INNERES AUGE Franco Battiato (Mercur y) In un periodo di grande disimpegno per i cantautori esce un disco intrigante e potente come un urlo. Battiato si riferisce al presente, come nel brano che dà il titolo all’album: “Uno dice che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare primari e servitori dello Stato?”. Ci sono vecchie incisioni rielaborate e altri due inediti: “’U Cantu” (in siciliano e latino) e la cover di “Inverno” di De André. Nel silenzio delle voci quella di Battiato si sente, eccome. è CASA DEL VENTO Articolo Uno (Mescal) Decimo disco per la band aretina che ha stregato Patti Smith: con loro ha registrato due brani che usciranno nel suo prossimo album. Articolo Uno è un cd impegnato fino all’ultima traccia: il tema è quello del lavoro, le conquiste e la progressiva perdita dei diritti acquisiti. “7” è dedicata ai morti della Thyssen Krupp di Torino.
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TELE COMANDO TG PAPI
“Porcherie” a confronto di Paolo
Ojetti
g1 T Nicoletta Manzione di mattina, Susanna Petruni di sera, cambiano le garrule conduttrici, ma non la musica. Questa porcheria (parole di Casini) che è la finta riforma del processo viene propinata sempre come cosa buona e giusta che – certo – si trova al “centro di un confronto politico acceso”. Bastano queste magiche parole per dare l’impressione – visto che il “confronto” viene presentato come tutto interno alla casta – che le leggi ad personam per Berlusconi non avranno riflessi perversi sulla società civile. Si avverte soprattutto in occasioni così importanti quanto il Tg1 sia autoreferenziale: parla ai Palazzi e non ai cittadini ai quali non si deve alcuna spiegazione. Se poi la cronaca del giorno viene affidata a Ida Peritore,
allora si può anche cadere in improvvisa depressione. Ida Peritore, da anni, riesce a liquidare le notizie come la recita del rosario: cantilene che non variano sia che si tratti della devastazione della magistratura sia che si dibatta il finanziamento ai raccoglitori di carote del comune di Paperopoli. g2 T Dopo l’apertura sul caso di Stefano Cucchi (guardie carcerarie e medici indagati), anche il Tg2 passa alla “porcheria” che punta a salvare Berlusconi, infischiandosene della conseguente devastazione del sistema processuale italiano. Si avverte che le truppe berlusconiane stanno serrando le fila. In prima linea – nella cronaca – uno dei fedelissimi, l’onorevole poeta Sandro Bondi. Non potendo entrare – per scarsa qualifica
professionale – in medias res, si limita a lanciare previsioni orrende, come il coro delle tragedie greche: “Si rischia l’ingovernabilità”. Che, visto come vanno le cose, sarebbe forse una auspicabile eventualità. g3 T Stefano Cucchi in primissimo piano. Le indagini portano a una ricostruzione orribile: ucciso a pugni e calci dalle guardie carcerarie nella camera di sicurezza del Tribunale di Roma. Intervistato il presidente di Antigone, l’associazione che si occupa dei diritti civili dei detenuti, conferma quello che tutti sanno: la violenza come normalità. Dov’è l’errore? Che Stefano Cucchi non era il solito tossico senza famiglia e senza passato da pestare a piacimento: la famiglia c’era e adesso si arriverà alla resa dei conti. Il testimone, un detenuto nordafricano, è stato sottoposto al regime di protezione: chi lo minaccia? Ci sarebbe piaciuto leggere già ieri sera i giornali di regime di questa mattina, Padania compresa. Possiamo solo immaginarli. Sulla riforma-porcheria, il Tg3 dà spazio a Bersani: “Berlusconi si faccia processare”. Eh già, sarà facile.
di Nanni Delbecchi
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Che noia i serial killer
on è un soggetto particolarmente origiNniserie nale quello del “Mostro di Firenze”, la miin sei puntate che giovedì ha debuttato su Foxcrime (canale 154 della piattaforma Sky). Non lo è, purtroppo, anche se nell’Italia dei primi anni Ottanta quegli otto duplici omicidi anticiparono dal vero la scia sanguinosa dei serial killer. Ormai non c’è thriller americano che non ne preveda almeno uno; lì, però i feroci psicopatici vengono identificati e puniti assieme alla loro follia solitaria. In Italia, il paese felliniano dove l’immaginazione è sempre superiore alla realtà, si cerca ancora di far luce sulla catena di connivenze e sui responsabili finali dei delitti del cosiddetto mostro di Firenze. Una riprova tra tante di come sia opportuno abbreviare i processi. Insomma, il regista Antonello Grimaldi e gli sceneggiatori Daniele Cesarano, Barbara Petronio e Leonardo Valenti (gli stessi di “Romanzo criminale-La serie”) non si sono messi su una strada facile; anzi, la prima puntata avanza con una certa fatica tra i viottoli di campagna dove le coppiette vengono Ennio Fantastichini sorprese nella notte interpreta la fiction e massacrate nelle lo“Il mostro di firenze” ro utilitarie. I serial killer non sono solo incredibilmente efferati; sono anche terribilmente noiosi. Indagano i sostituti del procuratore capo Pierluigi Vigna, e si riaprono casi insoluti di molti anni prima; ma ogni volta il magistrato Silvia Del-
la Monica (Nicole Grimaudo) si accorge che, come nelle scatole cinesi, ogni ipotesi ne nasconde un’altra. Più grande e più angosciosa. La chiave narrativa alterna due piani paralleli; quello delle indagini ufficiali e quello del privatissimo punto di vista di Renzo Rontini, padre di Pia: una delle ultime vittime del mostro. Chiave provvidenziale sul piano del ritmo ed efficace nella sostanza, perché mostra l’incontro tra un uomo normale, che tutto vorrebbe essere meno che un eroe, con il male assoluto. E scopre la banalità del male, ma anche la cecità e l’inafferrabilità del male. C’è qualcosa di tragico in senso assoluto nella scena in cui Renzo Rontini scopre che sua figlia è morta ammazzata; e ci voleva un attore come Ennio Fantastichini, una vera faccia da cinema e un vero corpo da teatro, per esserne all’altezza. L’interpretazione di Fantastichini, capace di farsi fiorentino non solo nell’accento ma anche nei lineamenti del viso, è il miglior segno stilistico di un lavoro che, pur con qualche limite produttivo, sta agli antipodi dalle serial fiction di Canale5 e Raiuno; dagli allegri chirurghi, dagli ispettori infallibili, dai santini oleosi e dai mafiosi che non devono chiedere mai. Quelle serial fiction raccontano un paese che non c’è; “Il mostro di Firenze”, invece, tenta di ricostruire uno degli enigmi più terribili della nostra storia recente; e insieme, di tracciare l’identikit del paese in cui quell’enigma è ancora aperto. Un paese diviso tra vittime ignare di tutto, incredibili compagni di merenda e innominabili mandanti di morte. Soprattutto in questo “Il mostro di Firenze” è una serie esemplarmente italiana: non per le domande che cerca, ma per le risposte che non trova.
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MONDO Tasse: i “regalini” dei media di B. k notizie, è un sito di social neOsemplice: ws. Il suo funzionamento è ci si iscrive e si segnala una notizia pubblicando un link. I lettori, poi, possono votare le notizie: basta cliccare sull’apposito bottone “Ok”. Questo meccanismo fa in modo che le notizie più votate, “emergano” e siano più visibili rispetto a tutte le altre. Vari siti nel mondo funzionano con questo meccanismo, a cominciare dal cliccatissimo digg.com – il precursore – che funziona da amplificatore di curiosità e notizie tecnologiche nella netsfera americana. Ieri, su Ok Notizie, l’articolo più votato in assoluto era di Giornalettismo.com, uno dei portali d’informazione più letti e più aggiornati in rete: “Il Tg5, il Giornale e la bufala del taglio delle tasse” il titolo dell’articolo. Viene citato un servizio del Tg5 (il telegiornale del gruppo Berlusconi) andato in onda la sera prima: “Primo taglio per le tasse. A novembre meno tasse per artigiani e partite Iva, I’obiettivo primario del decreto è sostenere i bilanci delle famiglie per aiutare i consumi e la ripresa economica”, il ser-
vizio del tg diretto da Mimun. Naturalmente, non poteva dare interpretazioni diverse il Giornale (della famiglia Berlusconi): “Tasse, sconti per le famiglie. Regalino di Natale per gli italiani” titolava ieri. A Giornalettismo, per smentire la corazzata mediatica di mister B. basta citare Chicago-Blog, il blog di Oscar Giannino, un giornalista che ha certo visionianti-italiane: “Non è un taglio delle tasse, né per dritto né per rovescio. E’ un mero spostamento in avanti della somma dovuta allo Stato” scrive. Inoltre “Tonnellate di studi e verifiche empiriche comprovano che queste misure hanno un effetto trascurabile sui consumi”. Il taglio dell’acconto Irpef, aggiungiamo noi, riguarda piccole imprese e partite Iva. Per le famiglie e lavoratori dipendenti non cambia proprio niente. Ma non ditelo al Giornale e al Tg5.
WEB
è LA POLIZIA IRANIANA CONTRO I “DELITTI POLITICI SUL WEB”
Ancora non siamo alla psicopolizia raccontata da Orwell in “1984”, ma poco ci manca. La polizia iraniana ha istituto un comitato speciale per sorvegliare Internet e contrastare i “delitti politici” commessi sul di Federico Mello Web. “Un comitato speciale di 12 membri è stato creato per sorvegliare Internet e interverrà contro i tentativi di frode, le pubblicità illegali, gli insulti e le affermazioni false”, è MILANO DICE NO ALLE MAFIE ha dichiarato il responsabile del UNA TRE GIORNI DI MOBILITAZIONE nuovo organismo, il generale La commissione antimafia del comune di Milano ha Omidi. Un altro duro colpo avuto solo due mesi di vita: da aprile a maggio, poi alle libertà civili. è stata sciolta dal Pdl. Un nutrito gruppo di consiglieri di opposizione ha così deciso di dare vita ad un “Comitato Antimafia” con una consapevolezza: “A Milano le mafie esistono e vanno tempestivamente contrastate dalle istituzioni, dalla politica, dalla società civile”. Hanno organizzato una tre giorni “Milano dice no” che si concluderà domenica. Info su comitatoantimafiamilano.splinder.com
sarx88
Giornalettismo, Milano dice No, il blog di Enzo di Frenna, il ragazzo scagionato da FB
GRILLO DOCET
feedback$ è COMMENTI AL POST: “OLTRE OGNI LIMITE” DI ANTONIO PADELLARO
Basta, veramente, BASTA! Oltre al senso di impotenza che provo di fronte alle decisioni di un governo che non mi rappresenta, provo tristezza, incredulità e paura di fronte ai sondaggi, che, se reali, danno il 50 per cento degli italiani silenziosi complici delle barbarie legislative e non, che tutti i giorni vengono imposte dall’utilizzatore finale. Aiuto! (Cleo) Veronica pensaci tu, facci sognare! (Zuzù) Ma dove sta questo benedetto fondo da toccare prima di cominciare a risalire? Ogni volta sembra di arrivarci, e invece si scopre che no, ancora è possibile scendere un po’ più in basso. E poi, oltre a tutte le mascalzonate fatte da B. e dai suoi lacché, la cosa che più mi rattrista (e mi preoccupa) è l’indifferenza con cui queste invenzioni legislative vengono accolte dalla cittadinanza. Mi pare che ormai tutto si giustifichi con le celebri frasi “tanto sono tutti uguali”, “e che ci possiamo fare?”, “tanto sono tutti ladri”… Ma dove andremo a finire? Cosa deve succedere per far sì che il bisogno di legalità e giustizia sentito oggi da pochi diventi un’esigenza della collettività? (Marco) Gli italiani ormai sono ammalati e difficilmente guariranno (Francesco)
NOBDAY
“Mi sono rotto i coglioni di Berlusconi”. Ditelo in pubblico, al bar, al ristorante. Gridatelo in radio, ai semafori, scrivetelo ai giornali, inviate e-mail ai siti italiani e internazionali, alle caselle di posta dei deputati, dei senatori. “Mi sono rotto i coglioni di Berlusconi”. Non voglio passare la mia vita a inseguire l’ultimo lodo Alfano, l’ultima ghedinata, l’ultima assoluzione per legge di un corruttore. Non voglio mettermi a discutere sull’ennesima legge ad personam. Non sopporto più i servi che blaterano di riforma della giustizia nei programmi televisivi. Lo psiconano è un uomo in fuga, una vita in fuga dai processi, uno che ha sempre pronto un piano B per sfuggire alla giustizia, e poi un altro piano B e un altro ancora. Milioni di piani B, fino alla consunzione del paese. Un signore che ha permesso che Veronica Lario, madre di tre dei suoi figli, venisse messa con le tette al vento su Libero per averlo criticato. Che usa l’informazione come un ventilatore sparamerda su chiunque gli sia d’ostacolo. L’Italia merita di meglio, siamo diventati lo zimbello del mondo. Il 5 dicembre a Roma in piazza della Repubblica è stato organizzato dalla Rete un giorno di caloroso commiato allo psiconano: il “No B day”. Io ci sarò. 250.000 persone hanno già dato la loro adesione. Il PDmenoELLE ha rifiutato, alla è “DOVE SONO LE MIE FRITTELLE?” piazza preferisce AGGIORNA LO STATUS SU FB: SCAGIONATO l’inciucio. Invito i Meet Un ladro di Roma, durante un furto, up a partecipare e a aggiornò il proprio status su Facebook diffondere l’iniziativa. dall’abitazione che stava svaligiando. Venne è UN’INCHIESTA Loro non si arrestato e del suo caso si parlò in tutto il SULLO “SCIAMANO” arrenderanno mai (ma mondo. A New York, invece, come racconta IL BLOGGER: È UNA TRUFFA gli conviene?). Noi il New York Times, è successo l’esatto Enzo di Frenna è un blogger neppure. contrario: grazie a Facebook un ragazzo di molto seguito. Su 19 anno è stato scagionato dall’accusa di enzodifrennablog.it pubblica furto. Rodney Bradford, questo il nome del inchieste e approfondimenti, giovane, viene arrestato per un furto nel con lo scopo di mostrare “come la Rete può palazzo in cui vive con la matrigna, a aiutare a smontare i castelli d’informazione”. Brooklyn. Ma lui presenta subito un alibi di L’ultima sua inchiesta è dedicata a Juan Ruiz ferro: all’ora incriminata (le 11:49), si trovava Figueroa, psicologo e “sciamano” peruviano che a casa del padre, ad Harlem, dall’altra parte organizza particolari cerimonie “dove si della città. A dimostrarlo un aggiornamento incontrano presunti maestri extraterrestri”. sul suo status: “Dove sono i miei pancakes”, Insomma, una truffa in stile Wanna Marchi che le frittelle alimento base del breakfast Usa, genera lauti guadagni per lo sciamano. Enzo, però, aveva scritto. Fatte le dovute verifiche, la è stato raggiunto dall’avvocato di Ruiz che gli Corte non ha esitato a scagionarlo. Ma chiede la rimozione totale di post e video inerenti Joseph Pollini, un criminologo, mette in gli affari del peruviano. Il blogger rilancia, e guardia: “Bastano user e password per continua la sua inchiesta, “i blog, quando fanno aggiornare Facebook al posto di un’altra inchiesta, danno fastidio” la sua risposta. persona”. Comunque questo è il primo caso di un imputato scagionato grazie a Facebook.
Quello che sicuramente risolverebbe il problema, rimettendo tutto “a posto”, è una sommossa popolare come quella che avvenne in Francia alla fine del 1700. Sì, non sono ebbro, penso proprio che una rivoluzione “aggiusterebbe”le cose (Peppe) Ogni popolo si merita il governo che ha!!!! Motto che qualcuno ogni tanto dovrebbe ricordarsi. Scusate l’arroganza ma non credo che finisca qui... ne vedremo ancora delle belle (a parte le escort) (Voltaire) Non è possibile che in questa nazione debbo vergognarmi con mia figlia per essere una persona onesta ed averle insegnato altrettanto. Ora basta!!! Prima che si debba passare alle “Vie di Fatto”. Indignamoci, indignamoci!!! Riempiamo le piazza!!!! (Francesca Bellangino) Non capisco perché il presidente della Repubblica non scioglie le Camere, visto che con il loro operato non fanno gli interessi del paese ma solo i propri. E’ mai accaduto nella storia repubblicana? (Gustavo) Magistratura e sindacati devono proclamare uno sciopero generale a oltranza, quando il provvedimento sarà approvato in uno dei due rami del Parlamento. Non dopo! Confido infine nel presidente Napolitano, che almeno può rinviare questo schifo alle Camere, anche se soltanto una volta. Ex elettore del Pdl, sic... (Alex)
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battibecco
PIAZZA GRANDE Grasso denuncia, il Fatto risponde Qui di seguito pubblichiamo la nota inviata dal procuratore nazionale antimafia all’Ordine nazionale dei giornalisti e le risposte di Marco Travaglio e del direttore del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro
l presidente dell’Ordine dei AGentile giornalisti presidente, come forse Lei saprà, non è mia abitudine mantenere un regime di conflittualità coi giornalisti, anche perché sono consapevole delle difficoltà insite nel mestiere di cronista. Per questo motivo mi sono sempre astenuto dalle querele o da altre iniziative giudiziarie, nella presunzione che gli errori commessi dai cronisti fossero, come dire “assolvibili” per assenza di malafede. Rimango sconcertato, però, nel verificare come talvolta questa “assenza di malafede” possa essere messa in dubbio dallo stesso evolversi dei fatti. L’edizione del Fatto Quotidiano di martedì 10 novembre ha pubblicato, a firma di Marco Travaglio, un articolo, dal titolo “Un giudice stritolato dalla trattativa”, che riguardava, fra l’altro, i tentativi di far passare provvedimenti legislativi in favore di una presunta “dissociazione” dalla mafia di alcuni detenuti al 41 bis. La fonte di tale articolo, – una fonte dichiarata –, era l’ex pm Alfonso Sabella. Tra le tante notizie e interpretazioni di fatti accaduti in tempi non recentissimi, l’articolo riportava una frase secondo cui, pur conoscendo tali tentativi, non avrei mai informato né consultato i miei sostituti (allora ero procuratore a Palermo), e avrei – invece – pubblicamente manifestato la mia contrarietà solo perché costretto dai colleghi, che intanto avevano scoperto il tutto ed erano entrati in “subbuglio”. Il tenore della frase lasciava, quindi, chiaramente intendere al lettore che io sarei stato nascostamente favorevole a tale “dissociazione”. Della mia pronta reazione, manifestatasi con due note Ansa delle 14:30 e delle 14:33 dello stesso giorno (Grasso, sempre contrario a qualsiasi ipotesi di dissociazione), il giornale, mercoledì 11 novembre, dava con-
tezza ai suoi lettori, attribuendo, però, la responsabilità della frase al magistrato Alfonso Sabella (anche se contenuta in parti non in corsivo né virgolettate) e sminuendone il senso e la portata solo al fatto che io, al corrente della trattativa sulla dissociazione, non ne avessi informato i sostituti del mio ufficio. Tale ricostruzione veniva smentita, non da me, ma dallo stesso Alfonso Sabella, che aveva invece chiaramente testimoniato la mia avversione alla “dissociazione sin dal primo momento”. Mi sarei aspettato dal Fatto Quotidiano una leale smentita con una evidenza proporzionata alle due pagine del giorno 10. Oggi, invece, leggo la seconda pun-
ultimo film di Michael Moore, “Capitalism: a love stor y”, sostiene e fa sostenere da uomini della Chiesa cattolica americana che è assolutamente anticristiano il capitalismo sfrenato della nostra epoca, la nuova età del ferro, l’era del feroce conflitto che disgrega ogni ordine, della lotta egocentrica e spietata di tutti contro tutti. Vengono citati passi del Vangelo stravolti dall’ironia che li fa giungere agli orecchi degli spettatori come un’eco rovesciata. Vale forse la pena passare in rassegna e commentare alcune frasi dei testi sacri ai
L’
Insomma un pasticcio che non rende giustizia alla verità dei fatti. Perché sottopongo tutto ciò al presidente dell’Ordine dei giornalisti? Perché non è la prima volta che vengo sottoposto ad attacchi personali – sempre dallo stesso giornalista – senza nessun intervento ragionevole, per esempio dei direttori che hanno pubblicato e pubblicano senza esercitare alcun controllo. Mi rivolgo a Lei che, nell’esercizio delle sue funzioni di garante e tutore della deontologia professionale dei suoi iscritti, certamente saprà trovare il modo di trasferire ai suoi colleghi i motivi del mio disagio. La ringrazio per l’attenzione Pietro Grasso
Un intervento sproporzionato
Ma la smentita dov’è?
Al presidente dell’Ordine dei giornalisti Gentile presidente, la “nota” del Procuratore Grasso è per noi motivo di vivo e sincero stupore. Infatti, al “Fatto Quotidiano” tutto si può rimproverare tranne che la mancata registrazione delle precisazioni del procuratore antimafia. Sul merito delle questioni contestate dal dottor Grasso risponde il collega Marco Travaglio. Come Direttore del giornale mi dolgo di una frase profondamente offensiva laddove lo scrivente afferma di sentirsi “sottoposto ad attacchi personali – sempre dello stesso giornalista”, e poi aggiunge: “Senza nessun intervento ragionevole, per esempio dei direttori che hanno pubblicato e pubblicano senza esercitare alcun controllo”. Queste sì che sono affermazioni gravi anche perché non suffragate da elementi di fatto. Non voglio tuttavia alimentare ulteriori polemiche e mi limito a sottolineare quanto segue. Primo. La “reazione” del dottor Grasso all’intervista dell’ex pm Sabella si è manifestata con i due lanci Ansa citati nella “nota”. Lo stesso scrivente ammette come “Il Fatto Quotidiano” ne abbia dato “contezza” ai suoi lettori, con un errore di merito che abbiamo prontamente segnalato il giorno successivo nella rubrica, non a caso intitolata “I nostri errori”. Che poi neanche questa successiva precisazione sia stata sufficiente a soddisfare le esigenze del Signor Procuratore può darsi. Certo è che, alla luce di quanto sopra, la buona fede e la correttezza del nostro giornale non possono essere minimamente messe in discussione. Secondo. Perché mai il dottor Grasso avendo la possibilità di precisare il suo pensiero con una lettera o con una nota che il nostro giornale avrebbe volentieri pubblicato vi ha rinunciato? E perché mai prendendo spunto da due nostre rettifiche il dottor Grasso si rivolge all’Ordine dei giornalisti invocando non meglio precisati provvedimenti nei confronti dei giornalisti del “Fatto Quotidiano” come se ci fossimo macchiati di chissà quale terribile colpa? Ci sembra sinceramente un intervento sproporzionato ferma restando la nostra offerta al dottor Grasso di esprimere il proprio “disagio” sulle pagine del nostro giornale e non attraverso una denuncia francamente sconcertante.
l dottor Grasso si rivolge all’Ordine Iquanto senza avere smentito una sillaba di ho scritto. E cioè che nel 2000
Antonio Padellaro
Marco Travaglio
Il capitalismo secondo Moore di Giovanni Ghiselli
tata dell'inchiesta senza nessun riferimento alle modifiche – sostanziali – dichiarate dallo stesso Alfonso Sabella. In fondo al giornale, tra le lettere, ho poi scorto una confusa smentita sotto il titolo “I nostri errori” che precisa: “Sono state attribuite al dott. Sabella parole ascrivibili invece all’autore dell’articolo”. Parole ascrivibili? Ma le parole dell’autore non erano forse notizie date per certe? E se è così, qual era stata la fonte dell’autore, visto che non si trattava di Sabella? Le poche righe pubblicate, inoltre, ancora una volta, limitano la smentita all’aspetto che riguarda la presunta mia conoscenza dei fatti e non già la assodata contrarietà alla “dissociazione”.
credenti cristiani, per mostrare come le vite e le parole di molti che si dicono seguaci di Cristo siano di fatto antitetiche all’essenza di una religione malamente usurpata e sbandierata da tanti adoratori del denaro. A proposito di questo feticcio, artiamo dall’antico Testamento: “Gli idoli dei popoli sono argento e oro; opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c’è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (Salmi, 135). Gli idolatri moderni sono ingannati dalla più potente e implacabile delle propa-
lui sapeva delle avances di alcuni boss mafiosi al procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, ma non aveva informato i suoi colleghi del pool Antimafia di Palermo. Solo quando ne parlarono le agenzie e i giornali, in seguito a una burrascosa riunione del pool tenutasi alla procura di Palermo il 7 giugno 2000 e a una vibrante richiesta di spiegazioni dei suoi sostituti e aggiunti che minacciavano le dimissioni in massa, nonché del procuratore generale Vincenzo Rovello, l’allora procuratore Grasso fece proprie le ragioni della protesta in due interviste a Repubblica e alla Stampa. Solo in quella sede ammise di aver saputo di quei contatti nelle carceri per la dissociazione dei boss e disse pubblicamente di esserne rimasto perplesso: “Avevo subito manifestato tutte le mie perplessità, pur sapendo che una mera dichiarazione di resa senza contropartita non avrebbe danneggiato nessuno”. Poi confermò di non aver informato i colleghi perché quella gli pareva “una normale attività della Direzione nazionale antimafia”. Intanto l’assemblea del pool si era chiusa con una richiesta di garanzie al procuratore Grasso per la circolazione delle informazioni su eventi di quella portata, onde evitare che la cosa si ripetesse in futuro. Questi sono i fatti che siamo pronti a confermare in ogni sede con dovizia di testimoni.
gande: la pubblicità. Ha avuto la forza di abbattere il Muro di Berlino e l’Impero sovietico. Ma passiamo al Vangelo e alle parole del Cristo, così perfida mente usato, ripetutamente sbeffeggiato e deriso da tanti personaggi di potere che si proclamano suoi discepoli, ma se tornasse sulla terra lo condannerebbero un’altra volta, come il Grande Inquisitore spagnolo dei Fratelli Karamazov che “per la gloria di Dio, ordinava grandiosi autodafé e spettacolari roghi dove ardevano eretici malvagi”. Cristo dunque insegnava a non accumulare tesori sulla terra (Matteo, 6,19), a non servire due padroni, Dio e Mammona, il demone della ricchezza; a non affannarsi per il cibo, le bevande, il vestiario. L’onesto Giovanni Battista aveva una cintura di pelle intorno ai fianchi, mangiava locuste e miele selvatico. A chi aveva due tuniche raccomandava di darne una in carità, ai militari di non opprimere nessuno. Fu Praecursor Domini, come Francesco, l’amante della
povertà, ne sarà imitatore. “Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista”, disse il figlio di Maria. Bisognerebbe ripeterlo ai nostri giovani che si dannano, letteralmente, per avere abiti costosi o addirittura nasi, seni e culi rifatti. ragazzi dovrebbero amare il Ial compimento bello con semplicità, tendere di sé, a diventare di fatto quello che sono in potenza, a realizzare i propri sogni, non i fuorvianti dogmi inculcati dalla pubblicità astuta e pervasiva. Oscar Wilde commenta così le parole di Cristo: “Gesù ha capito che gli uomini non devono prendere troppo sul serio gli interessi materiali, quotidiani; che non essere pratici è una gran cosa; e che non occorre angustiarsi eccessivamente per gli affari. Gli uccelli non lo fanno, perché dovrebbero farlo gli uomini? E’ incantevole quando dice: ‘Non datevi pensiero del domani: l’anima non conta più del cibo? Non conta il corpo più delle
É
di Massimo Fini
L’IMMUNITÀ PER L’IMPUNITÀ M
argherita Boniver, ex protagonista dei salotti della Milano-bene, ex craxiana di ferro, che sotto le bandiere del Garofano fece una fulminante carriera politica (ministro per l’Immigrazione, 1991, ministro per il Turismo, 1992 (senza avere particolari titoli se non la sua avvenenza (allora era una novità), poi riciclatasi con Berlusconi per il quale è stata sottosegretario agli Esteri, ma passata alla storia perché una volta, a Pontida, Umberto Bossi, quando era ancora lui, la apostrofò così: “E io dico alla bonazza: ehi, biondazza, pigliati questo manico!”, ha presentato una proposta di legge per reintrodurre l’immunità parlamentare, abolita nel 1993 nel pieno della bufera di Mani Pulite. Per la verità residui di quei privilegi esistono ancora: per arrestare o perquisire un parlamentare ci vuole l’autorizzazione delle Camere. Altri ne sono stati aggiunti: l’autorizzazione ci vuole anche per le intercettazioni telefoniche del parlamentare, norma ridicola se ce n’è una (è come avvertire il ladro che si sta arrivando per arrestarlo). Però oggi il parlamentare può essere indagato senza che ci sia la preventiva autorizzazione delle Camere, processato ed eventualmente condannato. Il punto forte di chi chiede il ritorno integrale dell’immunità (la Boniver è solo l’apripista) è che era prevista dalla Costituzione, all’articolo 68. Ma quando nel 1948 i Padri costituenti decisero a favore dell’immunità, per garantire ai rappresentanti del popolo il sereno e libero esercizio delle loro funzioni, avevano in mente una classe politica molto diversa, di moralità ottocentesca, dei tempi in cui un ministro si suicidava per la vergogna perché accusato di aver portato via un po’ di cancelleria dal suo ufficio. Allora aveva senso tutelare il parlamentare da iniziative avventate della magistratura. Ma con una classe dirigente corrotta come l’attuale, che pratica sistematicamente, sia a livello di singoli sia di partito, la tangente, il “pizzo”, la concussione, il ricatto, il clientelismo più spudorato in cambio di assoggettamenti di tipo feudale, che è abbondantemente collusa con le varie mafie, la reintroduzione integrale dell’articolo 68, che prevedeva, oltre a tutto il resto, che anche per mettere in gattabuia il parlamentare condannato con sentenza definitiva fosse necessario il consenso dei suoi colleghi, si risolverebbe in una sorta di autorizzazione a delinquere. Dell’articolo 68 va ripristinato solo il primo capoverso: “I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Oggi un’immunità generalizzata, estesa a tutti i reati, servirebbe infatti a scopi ben diversi da quelli per cui era stata concepita. Servirebbe a garantire non la funzione del rappresentante del popolo, ma la sua personale corruzione assicurandogli un’impunità inammissibile, iniqua e insultante per gli altri cittadini che devono rispettare quelle leggi che costoro si ritengono in diritto di violare senza rischi. www.massimofini.it Margherita Boniver (FOTO ANSA)
vesti?’. L’ultima frase può stare in bocca a un greco” (De Profundis). Il Vangelo e la cultura greca infatti non si contraddicono “in quanto il cristianesimo è un platonismo per il popolo”, come ha compreso Nietzsche, e le nostre radici sono greco-latine oltre che cristiane. Ma torniamo alle parole del Nazareno che ribaltavano sul serio e per l’eternità, non in maniera carnevalesca, le gerarchie di questo mondo. Infatti Gesù proclama beati gli ultimi: gli oltraggiati, i perseguitati, gli affamati e assetati di giustizia. E chiama a sé gli affaticati e gli oppressi con la promessa di ristorarli. Penso a Stefano Cucchi, a Federico Aldrovandi e a tutti quelli che subiscono ingiustizie e calunnie. Perfino da morti. Infine: qual è la considerazione che Cristo ha dei ricchi, i quali ora vengono reputati il sale della terra, e costituiscono l’agognato modello dei più che sono totalmente scristianizzati? Il figlio di Dio diceva: “Difficilmente un ric-
co entrerà nel Regno dei Cieli. Chi vuole essere perfetto deve vendere quello che ha e darlo ai poveri”. Ambrogio, il grande vescovo di Milano, del quale la curia milanese, dal cardinal Martini in avanti, ha ritrovato le orme, condanna i facoltosi insensibili alle richieste di aiuto e ai precetti della chiesa: “Appena qualcuno, stretto dalla necessità, comincia a chiedere, subito il ricco gira il viso dall’altra parte, non riconosce la comune natura, non prova misericordia per l’umiltà del supplice, non considera la fragilità di tutti, rimane inflessibile, non viene piegato dalle preghiere, non commosso dalle lacrime, non mitigato dai lamenti, e giura che non ha niente” (De Tobia, 3). Senza saperlo, giura il vero: un personaggio del genere non ha niente di umano. g.ghiselli@tin.it
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MAIL Le vicende giudiziarie del sindaco De Luca
BOX A DOMANDA RISPONDO TESTAMENTO BIOLOGICO, CHIESA E POLITICA
Furio Colombo
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Ritengo opportuno un chiarimento sulle due vicende giudiziarie che mi riguardano, e che nascono dal tentativo di salvare 400 posti di lavoro di operai ex Ideal Standard ed Mcm. Su richiesta dei sindacati, si sono adottate varianti urbanistiche per consentire investimenti sostitutivi. Nel primo caso (Standard), la variante è di 11 anni fa (1998), e non si è alla fine neanche concretizzata. L’ipotesi di “associazione a delinquere” mi vede imputato, con una cinquantina di operai, sindacalisti e pubblici funzionari ministeriali e del comune, per aver sollecitato la concessione di cassa integrazione “non dovuta” dallo Stato. L’ipotesi di “concussione” riguarda una richiesta, giudicata troppo onerosa, al nuovo investitore, di opere pubbliche (viabilità e parcheggi) per l’urbanizzazione dell’area, a esclusivo vantaggio del comune di Salerno. Quanto alla Mcm non ho firmato nessun atto, non essendo all’epoca (2001-2006) neanche consi-
aro Furio, ma quando il testamento biologico, nella umiliante versione approvata dal Senato arriverà alla Camera, che cosa farà il nuovo Pd presieduto da Rosy Bindi? Non credo che sarà deciso: farà probabilmente un passo indietro, un passo avanti, oppure, come accade spesso, un passo a lato, per lasciar passare tranquillamente il carico di “valori cristiani”? Letizia
C
POSSO unirmi alla previsione che il
finale sarà imbarazzante. Ma non credo che vi si arriverà senza un lavoro molto più intenso e prese di posizione molto più nette di quanto sia avvenuto al Senato. In questo senso il lungo e travagliato congresso a qualcosa è servito. Troppe cose erano implicite, non dette o date per scontate o decise da disciplina esterna o inutili perché impossibili. Dal congresso è emersa la posizione di Franceschini, che, comunque la si valuti, è priva di debiti col passato. E
LA VIGNETTA
soprattutto risaltano le argomentazioni di Ignazio Marino. D’ora in poi non sarà possibile far finta che non ci siano (in alcune città Marino ha raggiunto il 30 per cento di consenso) o che non contino a fronte delle intimazioni papali. Queste argomentazioni sono, forse, il vero frutto del congresso e delle primarie, materiale da costruzione del partito che prima esisteva soltanto come un patto fra gentiluomini. D’accordo, non vinceranno. La probabilità che il Pd, con persuasione interna più o meno vera e probabilmente molto politica, se ne vada dove dice la chiesa, sono molto alte. Ma con meno finzione, questa volta, e con un po’ più di trasparenza. In Italia, e nel Pd, sappiamo bene, non c’è nessun Zapatero. Ma se accadesse qualcosa di nuovo a destra sarà interessante vedere come si riorganizzano e si motivano e quali bandiere sventolano le forza vaticane dislocate nei diversi settori della Camera dei deputati. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
zione? O la notizia non è più tale perché sgradita? Mi spieghi lei. Luigi Anzalone
La spiegazione l’ha data già lei. Abbiamo pubblicato la notizia che la riguarda prima che venisse pronunciata la sentenza del tribunale.
Ho votato Berlusconi ma adesso basta
gliere comunale. In questo caso sono chiamato a rispondere per una sorta di “responsabilità morale”, avendo promosso un investimento sostitutivo, nella mia qualità di parlamentare della città. Tutti gli atti saranno pubblicati integralmente sul sito del comune di Salerno. Vincenzo De Luca
Sindaco di Salerno
Luigi Anzalone assolto in appello Ieri 12 novembre il Fatto ha inserito il mio nome come primo (in ordine alfabetico) in quella specie di “Colonna Infame” della pagina degli “Indagati e condannati” della regione Campania, perché in primo grado ero stato condannato da un giudice monocratico del tribunale di Avellino a tre anni
di reclusione per omicidio colposo plurimo per i morti della frana di Quindici del 1998. Detto in breve, non avrei fatto niente per prevenire con i “potenti” mezzi della provincia, di cui ero presidente, il disastro. Ma proprio ieri, il tribunale di Napoli – ovvero un collegio giudicante di tre magistrati – mi ha assolto in appello con formula piena perché il fatto non sussiste. In serata ho mandato, via e-mail e fax, un comunicato al vostro giornale, che l’ha regolarmente ricevuto. Peraltro, l’autore del succitato articolo aveva informato i lettori dell’appello. Perché mai questa omissione? Prescindiamo pure dai miei diritti, ma i vostri lettori non hanno il diritto, pagando il giornale, di essere informati delle notizie che proprio il Fatto ha portato alla loro atten-
Sono un elettore del Pdl. Ho votato Berlusconi alle ultime politiche perché, nonostante ne riconosca i difetti, non c’è veramente nulla di meglio in giro. Ho pensato a me, imprenditore, padre di famiglia. Ho creduto che il presidente potesse garantire una politica per il mio bene. Per lasciare che le nostre aziende si sviluppino, che il successo non sia una colpa, e che non lo sia il guadagno, come invece capita spesso di sentire, in Italia. L’ho votato e non me ne pento, perché credo che la gestione personalistica non sia peggio che la gestione imbranata della sinistra. Però oggi sono costretto a dire che non ne posso più: non una delle promesse di Berlusconi è stata mantenuta, non è più semplice lavorare, non è possibile fare causa a un cliente che non ti paga perché la giustizia non funziona. E il presidente ora fa il processo breve? Se voleva rovinare completamente il paese doveva dirlo prima. Stefano
E’ ora di reagire a questa vergogna Non mi capacito. Mi sforzo, faccio appello a tutti i miei
neuroni ancora in attività ma non ce la faccio. La mia capacità di comprensione, seppur a lungo esercitata, non è in grado di spiegare come alla maggior parte degli italiani, quelli che hanno voluto e continuano a volere Berlusconi alla guida del governo, non importi un fico secco di essere così platealmente presi per i fondelli da un personaggio e dalla sua corte dei miracoli, che tenta di farci credere che Cristo è morto di freddo. Continuiamo (noi che non lo abbiamo votato) a consentirgli di umiliare l’intelligenza collettiva o vogliamo veramente mettere fine alla deriva di illegalità, personalismi e deliri di onnipotenza di un ometto convinto di averci messo tutti nel sacco vita (la sua) natural durante? A cosa dobbiamo appellarci per recuperare quel tanto di autostima che ci consenta di stoppare quest’ultima vergogna del processo breve? B. Rossi
Leggi ad personam, una storia senza fine Ho aspettato prima di scrivere al Fatto Quotidiano perché si sentiva dire in giro che il presidente della Camera Gianfranco Fini sarebbe stato l’uomo nuovo nel panorama desolante di questo nostro paese alla disperata ricerca di un’alternativa. Forse sbaglio. Io che sono rimasto uno dei pochi comunisti ancora in giro, e non mi vergogno di dirlo in ogni circostanza (non avendo nulla da rimproverarmi), pensavo che non si sarebbero varate mai più leggi salva Berlusconi dopo la figuraccia del lodo Alfano. Ma non c’è limite alla ver-
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IL FATTO di ieri14 Novembre 1929 Insolente, perfido “Canard enchainé”, anatra velenosa e ficcanaso, da quasi un secolo mito della stampa satirica di Francia oltre che spauracchio di intere generazioni di politici e vip. Mix impertinente di rubriche al vetriolo, caricature devastanti, dossier di denuncia. Slogan d’apertura “…la libertà di stampa va usata quando non ser ve…”. Tutto un programma per questo settimanale del mercoledì di otto pagine, pacifista, anticlericale, gauchista ma non troppo, in edicola dal 1915 senza un filo di pubblicità, con la vocazione assoluta di smascherare pastette, intrighi e scandali pubblici. Senza pietà da sempre, come nel clamoroso caso dell’affaire Oustrich del novembre ‘29, storia di un banchiere corrotto e colluso col potere centrale, che l’anatra impicciona seguì passo passo fino a far dimettere il ministro della Giustizia, prossimo alla presidenza della Repubblica, e a far cadere il governo. Nel palmarès dell’hebdomadaire più temuto di Francia, inchieste urticanti, a partire dalla denuncia degli orrrori in Algeria, fino ai contatti segreti tra Giscard e Bokassa, alle megalomanie di De Gaulle, ai redditi nascosti del primo ministro Chaban-Delmas. Tutto nel nome di una indipendenza ineccepibile. Giovanna Gabrielli
L’abbonato del giorno GIOVANNI VACCA Ci scrive Giovanni: “Cara redazione, grazie a tutti coloro che direttamente o indirettamente contribuiscono alla vita del Fatto. Credo che questo giornale abbia colmato un vuoto: dare una voce “istituzionale” (perché un quotidiano in Italia ha ancora un peso maggiore rispetto ai blog e ai siti Internet) a tutti coloro che non si riconoscono in questa Italia allo sfascio. Continuate così”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
gogna. Un uomo può fare pure i pellegrinaggi in Israele, o alle Fosse Ardeatine per far credere che la propria conversione sia vera, ma non c’è nulla da fare. Se uno nasce fascista, non cambia. Io, almeno, non ci credo. Il futuro non è roseo. Nino Terracina
L’amore per la poltrona dell’on. Rutelli Faccio per prima cosa i complimenti a tutta la redazione de Il Fatto Quotidiano, il giornale che aspettavo da anni. Vi chiedo se non è un’azione politica poco democratica che un se-
natore o un deputato possano cambiare partito in piena legislatura o inventarsene addirittura uno nuovo, come nel caso di Francesco Rutelli, e mantenere la poltrona. Questo dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che la legge elettorale vigente è da rivedere, e per rivedere intendo cancellare e riscrivere. Ma a nessuno dei nostri parlamentari ormai, sembra più interessare questo argomento passato di moda come il conflitto di interessi. O è una mia impressione? Buon lavoro a tutta la redazione. Cesare Baldassari
I sindacati in piazza e i precari a casa Sono un giovane precario, ho letto che oggi la Cgil sarà in piazza. Andrà a manifestare per i diritti dei lavoratori. Ma difenderà anche me e tutti quelli che sono nella mia stessa posizione e che non si sentono rappresentati da nessuno? Tra le conseguenze della precarietà c’è che chi oggi, laureato, vive di contratti mensili, considera privilegiato anche un metalmeccanico in cassa integrazione. Gianluigi
I nostri errori Per un disguido tecnico nella prima pagina di ieri del Fatto Quotidiano è apparso, sotto il titolo “Centomila processi in fumo” a firma di Gomez, Barbacetto e Mascali, un testo di prova. Ce ne scusiamo con i lettori e con gli interessati.
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