Il Fatto Quotidiano (15 Nov 2009)

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Epifani, segretario della Cgil, dice che il peggio deve ancora arrivare. Triste, ma meglio delle false promesse

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Domenica 15 novembre 2009 – Anno 1 – n° 47 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

DANIELE, DUE ANNI 250 MILA EURO PER SALVARLO Una famiglia scopre che i soldi per la ricerca non ci sono più E ora passano alle vie di fatto di Furio Colombo

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e vi capita di svegliarvi verso le quattro o le cinque del mattino, mentre vi voltate nel letto in cerca di un po’più di sonno, pensate che quella è l’ora dei campi nomadi. A quell’ora centinaia di agenti della polizia di Stato, carabinieri,guardie forestali, militari in tenuta da Afghanistan sono impegnati a smantellare i campi nomadi. Vuol dire sfondare porte, svegliare famiglie di soprassalto, terrorizzare bambini, svuotare casupole, distruggere baracche, rastrellare gli abitanti a volte per trasferirli, a volte per disperderli nelle boscaglie o negli squallidi quartieri vicini, dove si nascondono, come in una guerra. Questa, infatti, è la guerra degli italiani ai rom, 60 milioni di italiani contro 170 milarom per metà donne, per metà bambini, per metà cittadini italiani. Si chiama trasferimento nei campi attrezzati. Vuol dire: ruspe nel primo campo disumano; trasferimento in un secondo campo disumano, lontano, nel cemento, a filo di un autostrada. Le operazioni sono guidate dal prefetto Pecoraro, che è a capo di un quartier generale detto “emergenze rom”. Non c’è alcuna emergenza rom, naturalmente; niente a che fare con la camorra. Ma, attenzione: il prefetto Pecoraro sta scrupolosamente eseguendo ordini. Gli ordini sono politici. È la nuova Italia di Berlusconi-Bossi-Maroni, in cui si aggrediscono dovunque i deboli. Ma la persecuzione degli zingari (specialmente dei bambini zingari) continua. Scrive Repubblica (11 novembre): “I piccoli rom del comune di Roma che non conoscono l’italiano lo impareranno nel loro campo di appartenenza e solo dopo potranno andare a scuola”. Nel ridicolo linguaggio da fureria comunale, il progetto persecutorio è chiaro: apartheid. E’ vietato ai bambini rom l’accesso alla scuola perché non sanno l’italiano. È vietato ai bambini rom di imparare l’italiano, perché non vanno a scuola. Firmato Gianni Alemanno, sindaco di Roma.Ma niente è ragionevole (che non vuol dire buono, ma solo pragmatico e utile) in una infezione di cattivismo che dilaga, porta vendetta e vendetta della vendetta. Per esempio Alba Adriatica. Muore un uomo in una rissa come in tante tragiche risse italiane. Ma questa volta il colpevole è un rom. Dunque distruzione delle case e delle auto rom, dunque tentativo di linciaggio. Le alternative, per gli zingari fuggitivi, sono: fame, schiavitù, arresto, espulsione. È l’Italia del tardo berlusconismo. Dopo molti annunci perversi, ora questa tetra Italia passa alle vie di fatto.

di Luca

Telese

l giorno in cui i medici gli hanno dato la notizia, la prima reazione di Fabio Amanti è stata un gesto. Un movimento quasi automatico. E’ difficile raccontarlo, il dolore dei padri. pag. 3 z

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Un bimbo felice, una corsa contro il tempo. E’ l’unico caso al mondo: due genitori lottano, su Internet, perché viva

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Udi Silvia D’Onghia CUCCHI ANATOMIA DI UN OMICIDIO alche giorno prima di esQCucchi sere arrestato, Stefano aveva mandato un sms alla sorella Ilaria: “Sto ritrovando me stesso”. Sembravano essere alle spalle gli anni della cocaina. pag. 2 z

Udi Nando Dalla Chiesa FARE LA SCORTA IN SICILIA uomo ha una sua eleganza. L’ni hanno Età matura, le lunghe tensioscavato il volto, ma

CORSA CONTRO IL TEMPO. Daniele Amanti, combatte la distrofia

neppure troppo. Arriva sulla sua auto senza strafare. Nell’andatura tra i vicoli nulla lascia immaginare l’abitudine a volare su auto con sirena. pag. 11 z

NO CAV DAY x 260 mila adesioni su Internet

PROCESSO BREVE L’ITALIA SI MOBILITA Cresce l’opposizione contro l’ennesima legge per salvare il premier. Ascanio Celestini: Mello pag. 5 z “In piazza, eversivi e pacifici”

nsoldi sporchi Quello Scudo che aiuta il riciclaggio è contro tutte le direttive europee Scarpinato pag. 10z

CATTIVERIE

Per vincere le prossime elezioni regionali Berlusconi si è apparentato con la Santanchè e Storace: la peggiore nemica di Veronica e il peggior nemico di Fini.

Poveretti, come s’offrono di Marco Travaglio

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uanto manca all’arrivo di uno sherpa del Pd o del duo Casini & Rutelli che, con la benedizione apostolica del Quirinale, si rechi in avanscoperta da Berlusconi per proporgli un bel “tavolo del dialogo”, o almeno un tavolino pieghevole da pic-nic? Non molto. Quando il Pompiere della Sera titolerà “Volano le colombe” e troverà qualche pidino frustrato che, in cambio della sua foto sul giornale, pronunci le paroline magiche “Il problema esiste”, ecco: quello sarà il segnale convenuto. Un tempo le piccole vedette inciuciarde erano Maccanico, Del Turco, Velardi e Boato, che han fatto più danni di Attila. Ora su piazza restano i Latorre, i Polito e i Violante. Sempre a disposizione, Violante brucia tutti sul tempo e rilancia sulla Stampa l’oscena proposta di levare dal Csm un terzo di togati e rimpiazzarli con altrettanti politici nominati dal Quirinale. Come se non bastasse il terzo nominato dal Parlamento. Così l’“autogoverno dei giudici” sarà dominato da due terzi di partitocrati. Non contento, il noto participio presente del verbo violare vuole addirittura levare al Csm i giudizi disciplinari per darli “a un’Alta corte composta come il Csm”: un altro plotone d’esecuzione dei partiti. Anche Casini si propone, anzi si ripropone come la peperonata: finge di fare la faccia feroce sul processo breve anzi morto (“una porcheria”), si offre volontario per una riedizione riveduta e corrotta del lodo Al Fano che, essendo incostituzionale, va infilato in Costituzione. Poveretto, come s’offre. Sul Pompiere della Sera, l’ambasciatore Romano traccia il solco citando il modello francese senza conoscerlo: “In Francia i conti vengono regolati a fine mandato”. Sublime fesseria: la regola, come in Italia, vale per il presidente della Repubblica, non per il premier. Impermeabile ai fatti, l’ambasciatore non si allarma perché la legge cancella migliaia di reati gravissimi, ma perché guasta “il rapporto di Berlusconi col Quirinale e l’opposizione”. Intanto il povero Mavalà Ghedini è barricato da giorni nel laboratorio sotterraneo dell’impunità, come Doc, lo scienziato pazzo di “Ritorno al futuro”, intento a fabbricare marchingegni infernali che regolarmente non funzionano: toglie e aggiunge reati, aggiusta di qua, ripara di là, leva l’immigrazione clandestina per far contento Gasparri, sfila il furto e lo scippo se no si sfila la Lega, infila la bancarotta e l’omicidio colposo se non gli scappano pure la corruzione giudiziaria e la frode fiscale, che sono le specialità della casa, e allora che la fa a fare ‘sta maledetta legge. Insomma, un inferno. Ma presto, a levargli le castagne dal fuoco, arriverà nel laboratorio lo sherpa “de sinistra”. Basta solo aspettare che l’allarme per le centinaia di migliaia di processi morti ammazzati monti ancora un po’ nel paese su su fino al Colle più alto. Angelino Jolie annuncia: “Valuterò l’impatto della legge”, come se fosse un meteorite che gli casca sulla capa e non l’ennesima porcheria commissionata dal capo. Ma sì, verrà il giorno in cui, “per salvare gli altri processi”, qualcuno andrà dal Cavaliere a proporgli l’estremo sacrificio: piccino, non fare così; tu rinunci alla porcata massima e ci lasci processare tutti gli altri; noi in cambio ti diamo una porcatina che blocchi solo i tuoi. Vietato processare gli ominidi brianzoli sotto il metro e 60 con la capa bitumata che abbiano definito “eroe” Vittorio Mangano. Al che lui, con aria dolente, farà il beau geste per il bene della Nazione: e sia, processate pure gli altri, pazienza, vorrà dire che resterò impunito solo io. Gli sherpa canteranno vittoria: evviva, ha ceduto, ci lascia processare tutti gli altri! E’ già accaduto tutto nell’estate 2008, quando il lodo Al Fano fu spacciato da Veltroni e dal Colle per un mirabile rimedio contro la blocca-processi che ne inceneriva 100 mila. Lui, nella migliore tradizione degli amici degli amici, fa sempre così: minaccia la guerra nucleare, finché si fa avanti qualcuno a pagargli il pizzo. Al sud, si chiama racket. A Roma, “dialogo”.


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Domenica 15 novembre 2009

Delitto preterintenzionale e colposo: 6 indagati

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PAESE REALE

arebbero per il momento 6 le persone finite nel mirino degli inquirenti per la fine di Stefano Cucchi. 6 infatti sono gli avvisi di garanzia che la procura di Roma ha notificato nei giorni scorsi: tre, per omicidio preterintenzionale, agli agenti di polizia penitenziaria, Nicola Minichini, 40 anni, Corrado Santantonio, 30 anni, e Antonio Dominici, 42

anni; altri tre, per omicidio colposo, ai dipendenti del nosocomio Aldo Fierro, 60 anni, primario del reparto penitenziario, Stefania Corbi, 42 anni, e Rosita Caponetti, 38 anni (medici). Nei confronti degli agenti, in servizio nelle celle di sicurezza del tribunale ed addetti alla custodia degli arrestati in flagranza, i pm romani

ipotizzano l’accusa di aver colpito Cucchi «con calci e pugni, dopo averlo fatto cadere a terra», cagionandone la «morte avvenuta - si legge nell’avviso di garanzia - presso la struttura protetta del Sandro Pertini». Quanto ai medici, la procura delinea «negligenza, imprudenza ed imperizia» con omissione delle «dovute cure».

Il super testimone trasferito dal carcere per motivi di sicurezza

Stefano, anatomia di un omicidio ora dopo ora

Illustrazione di Luca Zanenga. In basso, il corteo ultras (FOTO GUARDARCHIVIO)

IL PESTAGGIO, GLI AGENTI, LE OMISSIONI MA LE DOMANDE RESTANO TROPPE di Silvia D’Onghia

ualche giorno prima di essere arrestato, Stefano Cucchi aveva mandato un sms alla sorella Ilaria: “Sto ritrovando me stesso”. Sembravano essere alle spalle gli anni della cocaina e i tre passati in comunità. Stefano ne stava uscendo. Aveva iniziato a lavorare. E invece non ce l’ha fatta a ritrovarsi, “si è spento” (come hanno riferito i medici alla famiglia) con le ossa rotte, un occhio rientrato, la mascella fratturata e troppi lividi. E il sospetto di una mancata nutrizione che ha fatto iscrivere nel registro degli indagati tre medici del Pertini, oltre a tre agenti penitenziari. “Siamo ancora all’inizio”, ripetono i pm Barba e Loy. Più passa il tempo, più prende corpo l’ipotesi che Stefano Cucchi sia stato “scaricato” da un soggetto all’altro senza alcuna attenzione, anzi, con “negligenza, imprudenza e imperizia”, come scrivono i pm. L’indagine farà luce sui responsabili, eppure una domanda non ha finora risposta: perché? Perché si dovrebbe “prendere a calci e pugni” un ragazzo epilettico di 50 chili? Perché i medici non dovrebbero provvedere in qualsiasi modo alla sua nutrizione, perché non dovrebbero chiamare la famiglia? La notte tra il 15 e il 16 ottobre Stefano Cucchi viene fermato

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GEOGRAFIE

dai carabinieri e trovato in possesso di una ventina di grammi di hashish e di tre grammi di cocaina. I militari perquisiscono la sua stanza, nella casa dei suoi genitori, e non trovano altro. Stefano viene portato in camera di sicurezza. Lì si sente male, viene chiamata l’ambulanza ma lui rifiuta ogni cura. Il 16 ottobre viene portato in tribunale e staziona nelle celle di sicurezza di piazzale Clodio. Un testimone, un immigrato africano, ha raccontato di aver visto uomini in divisa azzurra colpirlo con calci e pugni, dopo averlo fatto cadere a terra. Stefano era stato in bagno e sarebbe dovuto rientrare in cella. Perché avrebbero dovuto picchiarlo? Gli agenti penitenziari, che si dicono tranquilli, hanno raccontato che, durante l’attesa prima del processo, con loro c’erano anche i carabinieri. Che finora invece sono estranei all’inchiesta. Al termine dell’udienza di convalida, nella quale Stefano è difeso da un avvocato d’ufficio e non dal legale di fiducia, come avrebbe chiesto più volte, il giudice Maria Inzitari dispone la detenzione in carcere, perché l’imputato è senza fissa dimora. Ma non c’era il verbale di perquisizione domiciliare? Stefano abbraccia il padre, ammanettato. Il padre vede i lividi intorno agli occhi, ma non riesce a saperne di più. Anche il pm li ha visti, e per questo ha disposto

di Elisabetta Reguitti

Lega, nordismi di scuola

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opo i presidi nordisti e il dialetto nelle scuole la Lega rilancia con la nuova associazione “per una scuola nostra: regionale e federale”. Una vera chicca presentata in grande stile durante l’assemblea delle associazioni padane organizzata nella sede milanese del Carroccio. Abbasso dunque il tradizionale sistema scolastico spesso impregnato di sentimento antinordista. Spazio a una scuola del nord che preservi le tradizioni del territorio. Da quelle celtiche, magari, alla cultura del lavoro: altro che intellettualismo astratto di insegnanti spesso pure politicizzati (e di sinistra direbbe il senatùr). Sergio Bianchini presidente dell’associazione sintetizza il vero male della scuola: il tempopienismo che sia pur non obbligatorio oggi verrebbe sempre più richiesto a causa del meridionalismo avallato dai suddetti intellettuali.

una visita. Nel referto, il medico del tribunale scrive: afferma di essere caduto dalle scale. Quando sarebbe successo? Su quali scale? Un messaggio in codice? All’arrivo a Regina Coeli, dove vengono scattate le ultime foto di Stefano vivo, la visita medica rileva “dolore alla palpazione addominale, ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del

La ricostruzione di tutti i passaggi che hanno portato alla morte. Come in una macchina cieca, assassina

volto, algia della deambulazione”. I detenuti hanno poi raccontato che il ragazzo è stato trasferito all’ospedale Fatebenefratelli in sedia a rotelle e ne è tornato in barella. Al pronto soccorso, il referto parla di frattura della terza vertebra lombare e della prima coccigea. In tutti i documenti, il detenuto riferisce di essere caduto dalle scale. Perché? Alle 19,45 del 17, Stefano viene accettato al Pertini. Non mangia da due giorni, ma secondo i medici il suo stato di nutrizione è “eccellente”. È “allettato e immobile”. Il 18 ottobre, Stefania Corbi, oncologa, indagata, parla di paziente “molto polemico” e poco “collaborante. Rifiuta di continuare a parlare. Inutile proseguire”. Perché? Passa un giorno e un secondo medico consiglia “una consulenza ortopedica”. A distanza di 24 ore? Per due giorni Stefano “rifiuta la visita” e nessu-

no sembra preoccuparsi di lui. Il 21 la Corbi propone di nuovo la reidratazione endovenosa, ma il paziente rifiuta: “Prima vuole parlare con il suo avvocato”. Perché questa possibilità gli viene negata? In compenso, “si predispone relazione clinica da inviare al magistrato”, documento che non arriverà mai. Stefano sta morendo e lo sa: accetta di bere, ma sostiene di non poter mangiare in quanto celiaco. Gli viene consegnata la lista degli alimenti senza glutine. 12 ore dopo, alle 6,15 del 22 ottobre, il suo cuore si ferma. Intorno, soltanto il “personale infermieristico”. La sorella Ilaria ha un rimorso: “Lui si sarà sentito abbandonato”. Non ha mai saputo, Stefano, che fuori da quella maledetta porta d’ospedale tutti i giorni i suoi genitori avevano chiesto di poterlo vedere. Inutilmente.

IL CORTEO A ROMA

CUCCHI E GABBO “PACIFICANO” GLI ULTRÀ di Malcom Pagani

h bastardò, e nun me saluti?”. “Ciao stronza, “A nun t’avevo vista”. Il clima è questo. Baci, abbracci, cameratismo. Caffè Borghetti, birre, sigarette che passano di mano in mano. La bionda turista che prova a portare oltreconfine un ricordo in movimento, riceve complimenti irriferibili. Diecimila ultras a Roma, contro la tessera del tifoso. Molte sigle, nessun incidente. In un sabato romano distratto, tra il preoccupato cosmopolitismo degli ambulanti in fuga del quartiere Esquilino, le vestigia imperiali e il Colosseo, va in scena un pezzo di paese in esilio permanente. La protesta non traligna. Civile, senza ombra di incidenti o provocazioni, ben gestita dagli stessi ultras, capaci di produrre un servizio d’ordine interno (con fazzoletto rosso al braccio) da far invidia ai Camalli dell’epoca tambroniana. Sanno che non possono sbagliare. Deviazioni dal percorso, non sarebbero perdonate. “Dite a quelli dietro di non fare cazzate che poi ci rimettiamo noi che siamo davanti. C’è chi s’è preso le responsabilità per tutti, qui”. Così, in mancanza di meglio, si graffia con la voce. L’omicida di Sandri, l’agente di Ps Spaccarotella è “un pezzo di merda”, Luciano Liboni un lupo da ricordare benevolmente e il ministro dell’Interno Maroni, evocatissimo, “non ci facciamo dare lezioni da un pregiudicato”, tante cose non tutte riportabili. Il nemico unico, “il basco blu” strumento della “repressione”, rimane in fondo al corteo. Coperto dal fumo delle torce, dall’ironia raggelante: “Se mi fermo all’autogrill/ devo solo pisciareee/ Poliziotto non sparare/ poliziotto non sparare”, da un dialogo costante tra organizzatori e “guardie” mimetizzate, in essenziale funzione di cuscinetto preventivo. Qualche canto mutuato direttamente dai Settanta: “Ce-le-rinoo, il mestiere più infame che c’è”. Laziali, romanisti e juventini e poi un fiume siglato da tutti gli accenti

d’Italia. Fano, Barletta, Siracusa, Rimini, Udine, Varese. Ragazze e ragazzi, padri con figli straniati in braccio, reduci presenti “per nostalgia, perché il movimento ultras, sia chiaro, è morto all’inizio degli anni Novanta”, un paio di politici (l’assessore allo sport del comune di Roma, Cochi, festeggiatissimo e Paolo Cento). La tessera del tifoso, l’ibrido che “ghettizza una comunità”, è il fantasma evocato per oltre quattro ore attraversate sotto un cielo grigio. “Non ci avrete mai/ come volete voi”. Loro e tutto il resto del mondo fuori. Omaggi ripetuti alla memoria di Stefano Cucchi, Gabbo e Federico Aldrovandi, striscioni, urla a squarciagola. Tra le maglie del corteo, si riconoscono i volti di una stagione romana di curva tramontata e poi risorta per mancanza d’alternative. Peppone De Vivo, sopravvissuto all’era Ciarrapico, fende le fila a tappe. Guida la moto, quasi una scampagnata. Il laziale Gianluca Tirone, sfrutta l’esperienza radiofonica per sottolineare che: “Gli ultras hanno molto più cervello di quanto i media non pensino e sono in grado di elaborare proposte”. Intorno, i centurioni osservano dubbiosi. Malinconici. Pochi turisti, nessun incasso. La manifestazione si conclude alla Bocca della Verità per un happening verboso tra oratori che da un camioncino lodano la “maturità complessiva” e appelli al cambio di rotta verso chi è chiamato a legiferare. Ponte Garibaldi, dove nel maggio ‘77, uccisa dallo Stato, Giorgiana Masi “lasciò i suoi vent’anni e qualcosa di più”, è a un passo. Tra i Ray-Ban a goccia e i cappellini a eterno rimpianto di Latina Littoria, nessuno sembra davvero sapere chi sia stata.

di Luca

De Carolis

enerdì scorso l’hanno traVta, sferito in una casa protetagli arresti domiciliari, perché è un testimone a rischio. Il detenuto senegalese che ha visto e sentito il pestaggio ai danni di Stefano Cucchi non è più a Regina Coeli. Troppo pericoloso lasciarlo in carcere, a detta dei pm Vincenzo Barba e Francesca Loj, che per lui hanno chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari. Una misura a sorpresa, visto che il detenuto – arrestato per il possesso di 13 grammi di eroina – non ha il permesso di soggiorno e sui verbali della polizia penitenziaria risulta privo di domicilio (prima dell’arresto, viveva a Roma con dei connazionali). Ma i pm sono riusciti a ovviare, e alle 11.05 di venerdì il testimone ha lasciato il carcere su un’auto della polizia, per essere portato in una casa sicura. “Il detenuto era molto sorpreso, neppure il suo avvocato ne sapeva nulla – spiega il senatore dell’Idv Stefano Pedica, che ieri è stato a Regina Coeli – Il testimone doveva essere processato il 18 dicembre, e non aveva chiesto il patteggiamento, con cui si possono ottenere gli arresti domiciliari. Il suo legale non ha ancora ricevuto comunicazioni ufficiali sul suo trasferimento”. La procura si è mossa in fretta, e in silenzio, perché voleva tenere il detenuto al riparo da eventuali minacce e pressioni. Il timore di una ritrattazione è forte tra i magistrati, per cui la testimonianza dell’extracomunitario è fondamentale. Nel corridoio che ospita le celle del tribunale, dove Stefano sarebbe stato massacrato, non ci sono telecamere. L’unica prova del pestaggio del 16 ottobre, assieme agli esami sul corpo del ragazzo, sono le parole del testimone. Il senatore ha parlato con due dei tre compagni di cella di Cucchi, che gli hanno rivelato di essere stati ascoltati dai pm lo scorso 6 novembre. Non solo. “Uno dei due sostiene che Stefano gli avrebbe detto di essere stato maltrattato anche fuori dal tribunale” spiega Pedica, che lunedì andrà in questura per chiedere dove si trova il testimone.


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Malattie rare: quelle 8000 patologie una galassia oscura

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PAESE REALE

n universo in gran parte sconosciuto quello delle malattie rare. Che però coinvolge una persona ogni duemila abitanti: troppo poche perché diventi un problema nazionale, troppe a fronte delle risorse investite per i farmaci o la creazione di centri di eccellenza. Sono 435 le patologie

ufficialmente censite, contro le circa 8000 esistenti. Una cifra sottostimata, secondo l’Istituto superiore di sanità, anche perché sette regioni italiane non hanno ancora fornito i propri dati. Anche i nomi delle patologie sono per addetti ai lavori: tra quelle censite, le più frequenti per gli adulti sono i difetti ereditari della

coagulazione (6000 casi), le connettività indifferenziate (4000 casi), le anemie ereditarie (3000 circa) e la sclerosi laterale amiotrofica (circa 2.400 casi). Diverso è il caso dei bambini, che sono soggetti per il 27% a malformazioni congenite, per il 22% a patologie ematologiche, e poi ancora a gravi problemi neurocutanei.

Il piccolo Daniele Amanti, romano, due anni, appassionato di macchinine

I CENTO PASSI DI DANIELE Ha 2 anni: una distrofia rarissima lo sfiancherà Per salvarlo serve la ricerca. Ma l’Italia è al palo

di Luca Telese

l giorno in cui i medici gli hanno dato la notizia, la prima reazione di Fabio Amanti è stata un gesto. Un movimento quasi automatico. E’ difficile raccontarlo, il dolore dei padri: spesso non ha parole. Lui, quando ha ricevuto la notizia è rimasto impietrito. Poi si è tolto l’orologio, lento, e non se lo è più rimesso: “Da allora il tempo è diventato nemico, e la salvezza di Daniele è una lotta contro il tempo. Ecco perché non potevo più guardare le lancette girare spensierate sul quadrante”. Bambini a passo di danza.Fabio ed Eliana sono i genitori di Daniele. E quella mattina del 9 febbraio 2008 hanno avuto la certezza che loro figlio era malato. Affetto da un male raro: anzi, l’unico caso noto (al mondo) di una particolare forma di mutazione che causa la distrofia muscolare di Duchenne. In Italia 5 mila persone combattono contro questa malattia e la sua forma meno violenta, la distrofia di Becker. I muscoli di questi bambini (i sintomi si manifestano fra i 2 e i 4 anni) sono attaccati progressivamente: si cammina con sempre maggiore difficoltà, prima o poi si finisce in sedia a rotelle, finché – uno ad uno – vengono intaccati gli organismi vitali. Alla fine, quando la distrofia progredisce allo stadio finale, tocca all’apparato respiratorio: diaframma, muscoli intercostali, cuore. La prima cosa che vogliamo raccontarvi, in fondo, è semplice: Daniele non ha ancora 3 anni e ha bisogno di 250 mila euro. Per ora, però cammina sorridente. Solo se lo guardi con attenzione noti un’andatura strana, quasi un passo di danza. E’ un movimento elegante, persino: in realtà Daniele forza i talloni per stare in equilibrio. Ma ha ragione suo padre, è una lotta contro il tempo: in uno qualsiasi di questi giorni, il male potrebbe farlo precipitare nel tunnel della distrofia. Eppure la storia che vi racconto non è una melensa esercitazione, un apologo di buoni e lacrimevoli sentimenti. E’ la storia di una battaglia difficile e bella iniziata proprio davanti a quel verdetto, in quella stanza in cui le lancette hanno smesso di girare, nel punto in

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PER CONTRIBUIRE: POSTA: Fondo Daniele Amanti Istituito presso il Parent project onlus c/c n 94255007 BONIFICO: Banca di Credito Cooperativo di Roma Iban:IT38V0832703219000000005775 (intestato a: Parent Project Onlus. Causale: Fondo Daniele Amanti) CARTA DI CREDITO: www.parentproject.org/italia/index.php ?option=com_content&task=view&id= 276Itemid=168

cui molti altri avrebbero gettato la spugna. E’ la storia di due genitori normali, che vivono del loro stipendio: Fabio ha un negozio di computer, Eliana è architetto, un mutuo. E’ la storia di un bambino biondo, bellissimo e con gli occhi azzurri che è diventato una celebrità su Internet, ed è (anche) la storia di una impresa. Un apologo involontario su un paese in cui spesso chi viene colpito da un destino feroce deve fare tutto da solo, affrontando molte difficoltà in più, invece che qualcuna in meno. Ricerca & brevetti. In Italia, tanto per dire, molti ricercatori di talento si occupano delle sindromi distrofiche. “Ma quando arrivano a qualcosa – racconta Fabio – “sono costretti a vendere i brevetti all’estero, perché nel nostro paese nessuno ha la forza per svilupparli”. Il primo segnale che allarma Fabio ed Eliana, racconta lei “sono dei banalissimi lividi. Solo che Daniele non era mai caduto”. Iniziano le visite, i sospetti, i primi accertamenti al Bambin Gesù di Roma. A luglio la prima analisi del sangue. Quando legge il referto Eliana è stordita: “Due enzimi muscolari, il Cpk e l’Ldh avevano valori fuori dalla norma: da 200 a 7000”. Eliana telefona a Fabio, che in tempo reale, su Google trova la risposta: “L’aumento delle Cpk significa distrofia”. Solo la biopsia muscolare, quando Daniele raggiunge l’età per farla, conferma scientificamente che il peggior sospetto è diventato realtà. Daniele ha una particolare forma della Duchenne. Il danno genetico si è prodotto in uno dei 79 esoni che costituiscono la catena della sua distrofina, esattamente fra l’8 e il 9. Consultando tutte le banche dati note al

mondo, Fabio ed Eliana scoprono che non si conoscono altri casi. L’unico modo per trovare una cura, dunque, è un progetto di ricerca finalizzato (anche) alla sua malattia. E visto che in Italia ovviamente non esiste, i genitori di Daniele lavorano all’unica soluzione, la più difficile: costruire quel progetto, raggiungendo i 250 mila euro necessari con una colletta. Burocrazia nemica. Fabio ha 43 anni, capelli foltissimi, che tendono al grigio, è estroverso, sorriso largo. Eliana ha 34 anni, occhi azzurri e capelli biondi, bella come Daniele, seria e riflessiva. Il giorno in cui quel referto si abbatté sulla loro vita Fabio è disperato: “E ora?”. Lei, come nemmeno nei film, risponde: “Non lo so. Ma qualunque cosa sia la facciamo insieme”. Così è stato. Metà della sua vita Fabio la trascorreva sui computer: il primo bandolo per uscire dal tunnel arriva da lì. Ama giocare a scacchi in rete: una sera vede un banner: ci si può iscrivere a un forum. Inizia così, raccontando la sua storia. Poi costruisce un sito. E poi apre delle pagine su Facebook raccontando la storia di Daniele, giorno dopo giorno. L’unicità di quella malattia lo rende un pioniere: “Avevo bisogno – spiega – di due cose: raccontare e scoprire”. Intanto il mondo non era gentile, con la famiglia Amanti. Quando sono andati a chiedere un permesso invalidi si sono sentiti rispondere: “Lo diamo solo quando il bambino ha tre anni”. Non ha senso questa norma: Daniele e i bambini come lui tendono a stancarsi e hanno un bisogno vitale della car-

rozzina. Ma gli Amanti aspettano: “A gennaio manca poco, in fondo, no?”. Intanto avviano le pratiche per l’invalidità. Hanno fortuna, gliela riconoscono. Ma il giorno in cui l’Inps versa la prima indennità sul conto, di nuovo un pasticcio burocratico. La banca non accredita i 465 euro che lo Stato riconosce loro ogni mese: “Una circolare interna richiede l’apertura di un nuovo conto...”. (E tu vorresti bruciarla). Se entri nel tunnel della malattia sei meno tollerante con le piccole-grandi vergogne di questo paese. Sorride amaro Fabio: “Quando ho saputo che i soldi per l’Alitalia sono stati presi anche dai fondi della ricerca raccolti con Telethon volevo sparare. Mi sono chiesto: ma quanti italiani lo sanno?”. Già. Parent Project. L’incontro che cambia la vita, in un paese in cui le istituzioni spesso latitano è quello con una associazione internazionale, la Parent Project, che assiste le famiglie

Quando l’ha saputo il padre toglie l’orologio: “Lotto contro il tempo” Servono 250mila euro

Due storie un solo libro madre, prima che scrittrice. Cinzia Lacalamita inÈ contra su Internet Daniele, decide di aiutarlo. Ha perso sua figlia Sofia: “Il suo corpicino era perfetto in ogni dettaglio, all’infuori di uno: un piccolo foro sulla schiena, segno di una tremenda malattia”. Si appassiona: scrive un libro, trova l’editore, pubblica Daniele, storia di un bambino che spera (Aliberti, 125 pp. 11.90 euro). I diritti d’autore vanno al Parent project Onlus direttamente sul conto (come i contributi) perché Fabio, Eliana e Cinzia vogliono che nulla passi per le loro mani. “Se attiveremo il fondo abbiamo la speranza che produca risultati per Daniele. E la certezza che aiuterà altri bambini”

dei bimbi malati. Il presidente della rete italiana, Filippo Buccella ha un figlio di 18 anni in sedia a rotelle: “Per fortuna che abbiamo incontrato lui – spiega Fabio – Filippo mi ha comunicato il massimo della lucidità e della speranza: ‘Quando i medici mi diedero la notizia di mio figlio il verdetto era: ‘Potrà vivere al massimo 15 anni. Adesso ne ha 18. E secondo le statistiche di oggi arriverà a 30”’. Intanto, nelle notti insonni che passa su Internet Fabio si costruisce una cultura medica da autodidatta: “I nostri muscoli per funzionare hanno bisogno della distrofina. La distrofina è una ricetta di 79 pagine, e alla ricetta di Daniele è stata strappata una pagina fra la 8 e la 9. Bisogna trovare il modo per ricostruire quella pagina”. Raccontando tutto questo su Facebook Fabio ed Eliana trasformano il loro percorso in una battaglia. Incontrano tantissime persone che vogliono aiutare Daniele e persino qualcuno che vuole speculare. Truffe. Ad esempio un tizio che visto il numero incredibile di visitatori continua a scrivere che lui una cura per Daniele ce l’ha: iniezioni di cellule staminali, in Cina e Thailandia. Il turismo della speranza. Fabio verifica le affermazioni di questo signore, scoprendo che non c’era nessun riscontro scientifico. “L’offerta era un pacchetto da 32 mila euro per 6 iniezioni. Un imbroglio – si arrabbia ancora Eliana – sulle speranze delle persone”. Così Fabio lo ha scritto nero su bianco: “Lei è un truffatore”. Intanto Fabio si accorge che cambia il suo modo di pensare: “Si hanno in testa tanti sogni, sui propri figli... io amo il nuoto, immaginavo che Daniele diventasse sub”. Ma siccome adesso la vita corre contro le lancette, bisogna fare tutto prima. Fabio insegna a Daniele ad andare sott’acqua a due anni; oppure lo porta una giornata a guardare gli aerei atterrare a Ciampino. E una mattina capisce che deve chiudere il suo negozio: “Non è nulla in particolare. Solo che arriva un cliente e ti fa: ‘Mi salvi l’hardware: c’è tutta la mia vita, lì... e tu, irragionevolmente, lo guardi male”. Prima il tempo era amico del suo lavoro: “Adesso odio il mio lavoro perché mi ruba il tempo per Daniele. E allora chiudo”. Anche in

questo Eliana è diversa: “Vado tutti i giorni allo studio, torno alle otto. Poi giochiamo fino a mezzanotte: siccome il tempo di Daniele è prezioso, si è dilatato”. Il 70 per cento delle famiglie possono scoprire con l’esame del Dna se c’è il rischio di procreare bambini affetto da distrofia. Fabio e Eliana non potevano farci nulla. Il loro è un caso per cui, come spiega con una bellissima espressione il presidente di Parent Project“La differenza fra la vita e la morte è la conoscenza”. I tre muri. Su Facebookgli amici sono diventati in un baleno 5000, il massimo. Allora Fabio ha aperto un’altra pagina. E poi un’altra ancora. Ogni giorno 15 mila amici chiedono cose del tipo: “Come sta Daniele?”. Fabio carica notizie, foto, i video girati dal nonno. Aggiorna ogni 15 giorni il contatore della sottoscrizione. Il 28 Aprile di quest’anno solo 9.209 euro, una goccia nell’oceano. Il 21 agosto già 13.849. Il 12 ottobre 15.035 euro. E poi sono arrivati tantissimi amici. Un giorno Gianmarco Tognazzi, con una lunga lettera di solidarietà. Un altro un comico come Enrico Bertolino; e poi un’attrice come Monica Guerritore. E poi il più celebre doppiatore italiano, Luca Ward, “regala” uno spot per Daniele. Scrive persino un ragazzino di 16 anni, che ha visto Fabio in un servizio di Studio Aperto: “Sei un babbo da paura!”: Fabio ed Eliana hanno riso e pianto, quel pomeriggio. L’incontro più bello, che ha prodotto tutti questi, è stato quello con Cinzia Lacalamita, una scrittrice triestina che ha perso sua figlia Sofia per la cosiddetta schiena bifida. Scrive un libro che finanzierà la ricerca. Adesso i 250 mila euro del traguardo sono meno lontani, di quando i genitori di Daniele si emozionavano per una notiziola su un sito Internet. In fondo questa storia si può raccontare anche così: “Ci sono tre muri da scalare – dice Fabio – Il primo è la malattia. Il secondo è la burocrazia. Il terzo è la cura”. In camera sua Daniele ha una collezione di modellini, e nella sua lotta contro le lancette sfoglia Quattroruote: “Per noi – sorride Eliana – è un bambino come gli altri. Può sembrare una piccola cosa. Ma solo quando capisci questo trovi la forza per scalare le montagne”.


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Domenica 15 novembre 2009

Processo Mediaset sui diritti tv: domani Silvio non va in aula

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POTERI FORTI

ui ovviamente non ci sarà. Domani comunque a Milano riprende il processo sui diritti tv Mediaset. I legali del premier Berlusconi hanno presentato un’istanza di legittimo impedimento per il loro assistito per l’udienza di lunedì. Nell’istanza con cui si chiede un rinvio e che è stata presentata alla cancelleria della prima

sezione penale del tribunale di Milano, gli avvocati del premier hanno spiegato che il presidente del Consiglio quel giorno è impegnato nel Vertice mondiale sulla sicurezza alimentare che si terrà a Roma alla presenza di capi di Stato e di governo e dunque non potrà essere presente all’udienza di ripresa del processo che era stato sospeso più di un anno

fa. Il premier per i diritti tv è accusato di frode fiscale. Nell’istanza presentata dagli avvocati Longo e Ghedini si fa riferimento alla sentenza con cui la Corte Costituzionale aveva bocciato il lodo Alfano invitando nello stesso tempo i giudici a tenere conto degli impegni istituzionali del premier nel varare il calendario delle udienze.

Conti e misteri: la banca del cuore di mister B. ALLA ARNER SI AFFIDANO I BIG VICINI AL PREMIER. I PM: È UNA LAVATRICE DI DENARO SPORCO Silvio Berlusconi (FOTO ANSA)

di Peter Gomez

e Sandra Amurri er fotografare la situazione e capire i timori, di giorno in giorno sempre più evidenti, di Silvio Berlusconi per le indagini milanesi e palermitane sulla Arner Bank, basta una frase di David Mills: “Chi è Paolo Del Bue della banca Arner? Se posso usare un'immagine: Del Bue, tra le persone che ruotavano intorno alla famiglia Berlusconi, era certamente nella cerchia più interna. Voglio dire che era tra chi aveva un rapporto personale con la famiglia. Mi sembra significativo che sui conti bancari delle società Cen-

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tury One e Universal One avesse un diretto controllo e poteri di disposizione assoluti”. Era il 18 luglio del 2004 e Mills, oggi condannato in appello a 4 anni e mezzo per corruzione giudiziaria, stava raccontando buona parte di quello che, davanti ai magistrati, aveva taciuto per quasi due lustri: dai soldi ricevuti dal cavaliere, sino alla reale proprietà di Century One e Universal One – due off shore, controllate attraverso dei trust da Marina e Piersilvio Berlusconi – che avevano incassato decine di milioni di dollari di fondi neri provenienti dalla compravendita di diritti televisivi. Tra il 1992 e il 1994, mentre in Italia

il quartier generale comunica "

Lo spettro della separazione (con milioni) con Veronica campeggia. Per Feltri assieme al “consiglio” a Silvio di scassare tutto. Per Belpietro assieme al “cambio di letto”: B. dorme a Palazzo Chigi.

infuriava Mani Pulite, Del Bue quel tesoro lo aveva però fatto sparire. Assieme ad alcuni collaboratori aveva prelevato 103 miliardi di lire in contanti e si era rifugiato in Svizzera dove, con degli amici, gestiva la Arner, una finanziaria trasformata in banca nel maggio del ‘94, non appena Berlusconi era diventato per la prima volta presidente del Consiglio. È rileggendo quel verbale di Mills che i magistrati cominciano a intuire l’importanza della Arner, l’istituto di credito di Lugano che, a partire dal 2004, è autorizzato a operare anche in Italia. La Arner è, infatti, la banca preferita da Berlusconi. È la cassaforte in cui i familiari del Cavaliere e buona parte dei manager posti ai vertici del suo impero economico – dal big boss di Mediolanum, Ennio Doris, sino all’entourage dell’avvocato pregiudicato Cesare Previti – versano le loro fortune personali. Questo almeno è quello che risulta agli investigatori della Dia e della Guardia di finanza che negli ultimi due anni hanno bussato più volte alle porte della sede milanese della banca. Inizialmente per far luce sull’esatto ruolo di Nicola Bravetti, uno dei soci dell’istituto, pizzicato per caso al telefono mentre – con la collaborazione del consigliere di amministrazione Mediolanum, Paolo Sciumè – tentava di evitare il sequestro di 13 milio-

SCHERMAGLIE

PROCESSO BREVE, POLEMICHE INFINITE opo aver lasciato a Libero e a Il Giornale, il compito di dare ai Drezionali lettori buongiorno e consueto carico di informazioni unidisul processo breve, nonostante il sabato festivo, i deputati del Pdl non hanno abbandonato la trincea. Così nel mirino è finita la senatrice Pd Anna Finocchiaro, accusata di aver proposto a suo tempo, in coppia con Massimo Brutti (era il 2006), la medesima soluzione (aggravata dalla prescrizione breve anche per i processi di Mafia) propugnata oggi dai berluscones, con la scusa di alleggerire i tempi di una giustizia elefantiaca. Il coordinatore nazionale del Pdl, Verdini, attacca a testa bassa: ''La nostra osservazione le fa saltare i nervi e i fogli di carta dalle mani”. Per poi procedere al quesito retorico: “Viene il dubbio che tre anni fa Finocchiaro presentò questa proposta di legge non pensando che potesse beneficiarne anche Berlusconi e che adesso la respinga con energia proprio perché ne trarrebbe vantaggio an-

ni di dollari accantonati su un conto Arner alle Bahamas da un presunto colletto bianco di Cosa Nostra: l’imprenditore palermitano Francesco Zummo, considerato prestanome di don Vito Ciancimino e già condannato per favoreggiamento.

Poi, quando Bravetti e Sciumè finiscono agli arresti domiciliari perché accusati di intestazione fittizia di beni, negli uffici della Arner di corso Venezia a Milano, arrivano pure le Fiamme gialle. L’11 giugno i militari perquisiscono l’intero palazzo Arner e notificano due avvisi di garanzia al nuovo amministratore delegato e, fatto quasi senza precedenti, al commissario Mario Marcheselli, piazzato nell’istituto di credito dal ministro dell’Economia, Giulio Tre-

Gestisce i segreti di almeno 3 holding con cui la famiglia Berlusconi controlla Fininvest

monti, su designazione di Banca Italia, dopo l’esplosione del caso Bravetti-Zummo. Entrambi sono accusati di non aver collaborato con gli ispettori del governatore Mario Draghi e di aver così finito per favorire le operazioni di riciclaggio. La procura di Milano, insomma, ipotizza che la banca preferita dal Cavaliere sia una sorta di lavanderia per il denaro sporco. La cosa, ovviamente, preoccupa Palazzo Chigi. Non solo perché Arner Italia custodisce i segreti di almeno tre società (le ormai celebri Holding) attraverso cui Marina e Piersilvio Berlusconi controllano parte del capitale Fininvest. O perché il conto numero uno dell’istituto è intestato al premier. A far paura sono pure le indagini sul ruolo dell’avvocato Giovanni Acampora, già condannato con Previti nei processi “Toghe sporche”. Tra la Arner e Acampora pare esserci un legame antico e mai interrotto. Tanto che Arner è il perno di un business seguito da legale molto da vicino: le operazioni finanziarie per acquistare e ristrutturare il Grand Hotel di via Veneto, a Roma. Un affare misterioso da 50 milioni di euro che solo le eventuali rogatorie estere potranno chiarire. Un bel problema per gli uomini della banca del premier. Dopo l’approvazione dello scudo fiscale la Svizzera e molti altri paesi off-shore sono sul piede di guerra contro il governo italiano. E minacciano ritorsioni. Scoprire la verità, questa volta, potrebbe essere molto più facile del solito.

TUMORI D’IMPRESA

Trieste, fermate quella fabbrica c’è un uomo che ha deciso AlutediTrieste mettere a rischio la propria saper difendere quella dei concittadini. Si chiama Maurizio Fogar, da 30 anni anima il Circolo Miani, fondato con Leo Valiani e altri intellettuali, ospitando uomini di cultura e di giustizia, da Tortora a Caselli, da Colombo a Dalla Chiesa. Il 27 ottobre ha sospeso l’assunzione dei farmaci salvavita che lo accompagnano da anni per chiedere a comune e regione di mantenere gli impegni per la riconversione “ecologica” della Ferriera di Servola. Un impianto siderurgico altamente inquinante che “ha raggiunto record di sforamenti per polveri sottili, benzoApirene (8 volte il limite di legge su base annua, con picchi giornalieri di 80-90 volte superiori), benzene e diossine: inquinanti cancerogeni che provocano mutazioni del Dna”. Nel silenzio di politici e giornali, Fogar chiede che la regione riesamini “l’autorizzazione ambientale illegittimamente rilasciata alla Ferriera” perché “Trieste ha il più

che il presidente del Consiglio? Atteggiamento, peloso e ipocrita, che dimostra quanto il gruppo dirigente del Pd, fingendo di interessarsi a migliaia di processi dei quali in realtà non gli importa nulla, pensi solo ad un processo: quello nei confronti di Berlusconi”. La capogruppo al Senato reagisce: “'Le nostre proposte erano molto diverse da quella del 'salva processi', o non sanno leggere o mentono. Mi sembrano prove generali di una crisi di nervi”. Tutto inutile. Verdini chiama a raccolta anche Maurizio Gasparri. Quest’ultimo, non se lo fa ripetere: “La sinistra prima di noi ha proposto la durata ragionevole dei processi, ma a differenza di noi, che vogliamo tempi più lunghi per stupratori, mafiosi, bancarottieri, responsabili di morti sul lavoro, la Finocchiaro era generosa verso tutti. Anche verso i responsabili dei crimini più efferati e per gli emuli dei capimafia. Così viene smascherata l'ipocrisia ed evidenziato il rigore del centro destra”. È un diluvio.

alto tasso di mortalità da tumori in Italia e il primato europeo per decessi da patologie respiratorie. Le amministrazioni pubbliche lavorano ormai sotto dettatura della multinazionale Lucchini-Severstal, proprietaria della Ferriera. Il capo dello Stato ha fatto Cavaliere della Repubblica il magnate Mordashov a pochi mesi dall’ultimo infortunio mortale nella fabbrica. Le aree pubbliche e demaniali date in gestione alla Lucchini sono state oggetto di un sequestro e di un interramento abusivo pari all’estensione di otto campi di calcio. Eppure gli enti pubblici si avviano a rinnovare la concessione in scadenza a dicembre”. Fogar chiede pure alla regione di restituire i finanziamenti che spettano per legge al Circolo Miani, costretto a chiudere per mancanza di fondi. In attesa di sapere chi abbia ragione, sappiamo per certo che, se un uomo mette in gioco la propria vita per una questione pubblica, merita una risposta. Subito. M. Trav.

Piove Bondi: “Smascherata l'ipocrisia della sinistra'' . Di nuovo la Finocchiaro: "Gasparri e Bondi non sanno leggere e non sanno quello che dicono e, se lo sanno, mentono. Le nostre proposte (presentate durante il secondo governo Prodi, ndr) - sottolinea Anna Finocchiaro - sono molto diverse da quella del 'salva processi' di Gasparri e Quagliariello”. Infine Bassolino: “È una norma assurda, io mi farò processare”.

Il Pdl contro Anna Finocchiaro Lei: “Disonesti”. Bassolino: “Norma assurda, io mi farò processare”


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Come creare un gruppo nella tua città per andare a Roma il 5 dicembre

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LA PROTESTA

rescono ogni giorno, i sostenitori del gruppo di Facebook “Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Berlusconi”. Ieri sera il contatore segnava 259.293 persone. L’appuntamento è, come noto, il 5 dicembre alle 14 in piazza della Repubblica a Roma. Intanto, a supporto della manifestazione stanno sorgendo una miriade di gruppi locale, per

coordinare chi vuole andare a Roma per il corteo. Quasi ogni capoluogo ha già creato un gruppo. Ma per chi volesse crearne uno nella propria città, è possibile farlo inviando una mail a nobdaysupporto@gmail.com, dando nome e cognome e dichiarando che si vuole organizzare il gruppo della propria città. Il coordinatore generale, referente per problemi, chiarimenti ed

PER ARRIVARE

TRA PULLMAN, TRENI E CAR SHARING

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er il NoBDay del 5 dicembre stanno partendo le prenotazioni di pullman, treni, e macchine car sharing. Il punto di riferimento, per tutto, è il sito noberlusconiday.org. Nella sezione trasporti ci sono le liste delle città con le varie opzioni di trasporto. Si può prenotare un posto in autobus, per ora, da Pavia e da Venezia. I veneziani, come al solito, si sono conosciuti sulla pagina Facebook:

osservazioni, risponde all’indirizzo mail noberlusconiday@hotmail.it. Tutte le informazioni, comunque, sono sul sito www.noberlusconiday.org e sul blog http://noberlusconiday.wordpress.com, oltre che ovviamente sulla pagina Facebook. In cui, dettagliatamente, viene spiegato come supportare la manifestazione attraverso la creazione di gruppi locali.

accettano prenotazioni a 30-40 euro. Tutto è autorganizzato. Da Arezzo, invece, sono già pronti tre pullman, riempiti con il passaparola tra amici, ci dice la responsabile locale Franca Corradini. Intanto i gruppi si stanno concentrando sulla diffusione e volantinaggio: nei prossimi weekend si prenderanno le prenotazioni. Da Torino, invece, è già prenotato un treno (con quattrocento manifestanti) che passerà anche da Bologna e altre città. Infine, sempre sul sito, ci sono le indicazioni per il “roadsharing”: ci si organizza tra chi offre e chi cerca passaggi in macchina.

Nessun dorma: Ascanio Celestini (FOTO ANSA)

ANTEFATTO$ .IT

Silvia Bedessi (Firenze): “Io grido con voi” Mi unisco al vostro grido di protesta contro le leggi ad personam! Ho 19 anni e sono già rimasta molto delusa dalla classe politica che dovrebbe rappresentarmi... Non dovrei invece essere ancora un’idealista piena di sogni e speranze? Bè, un’ultima speranza c’è ancora ed è quella di poter cambiare un pochino le cose facendo sentire la nostra voce, scendendo in piazza, smuovendo le coscienze di quelle persone che non si accorgono di quanto vacilli la nostra democrazia. Claudio Giannuzzi (Roma): “Basta favori a B.” Vanno fatte leggi e decreti per chi non ce la fa ad arrivare a fine mese, per chi soffre, chi sta male, abbiamo ospedali e scuole fatiscenti; basta leggi a favore di uno solo. l’Italia è degli Italiani, non di Berlusconi.

Simone Onano (Novara): “Così la democrazia è lontana” Finché un’alta carica avrà la possibilità di fare leggi ad personam la democrazia in Italia sarà un sogno lontano. Nick Sandro Miranda (Trieste): “Povera patria” Propongo un nuovo inno nazionale “Povera patria” di Battiato. Mila Fozzi (Torino): “Uno scandalo per legge” “Adesso basta!” è stata la mia prima reazione alla notizia della scandalosa proposta di legge: “Muoia Sansone con tutti i Filistei!” Perché ancora una volta di questo si tratta. Mandare tutto allo sfascio e chissenefrega delle vittime dei reati! Basta! Basta! Basta! Maria Valentino (Girifalco): “Abbiamo diritto all’onestà” Abbiamo il diritto di essere rappresentati da gente onesta e perbene, che si occupi degli interessi generali, nel rispetto delle Istituzioni e delle leggi!

“IN PIAZZA CONTRO SILVIO? SÌ, EVERSIVI E PACIFICI” Ascanio Celestini con i Don Chisciotte del Web: “Ma si deve lottare ogni giorno” di Federico Mello

scanio Celestini, narratore del popolo, è sempre attento a quello che si muove dal basso. È stato contattato dai Don Chisciotte del NoBerlusconiDay in tempi non sospetti, e ha dato la sua adesione mentre la mobilitazione ancora covava in Rete. Lo contattiamo mentre sta tornando da Giano dell’Umbria, in provincia di Perugia: “Sono andato a salutare gli amici della rivista Frigidaire – ci dice – nonostante la loro storia, sono a rischio sfratto da un sindaco di centrosinistra”. Tu hai aderito subito al NoBday del 5 dicembre. Ho dato subito la mia adesione. Aveva l’aria di essere un’iniziativa piccola, invece ho visto che è cresciuta moltissimo: penso che sia una delle prime volte che una manifestazione viene organizzata così tanto “dal basso”. Che ruolo ha giocato la Rete nel lancio di questa giornata? Io non ho grande fiducia nella Rete: in Rete si trova di tutto, e in più si è sempre riconoscibili e raggiungibili. La Rete convince le persone che c’è una possibilità, ma dobbiamo dirlo, la possibilità non sta nella Rete, ma nelle persone. Ha ancora senso andare in piazza? Da sempre le manifestazioni non sono un momento di lotta, ma un momento di ritualità, servono per contarsi. E neanche più per quello: oggi una manifestazione è partecipata quando chi la organizza ha i mezzi per renderla tale. Gli dai il cestino, gli paghi l’autobus, per cui se c’è un milione di

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“C’è bisogno di giornali e partiti che facciano paura al sistema, perché è il sistema a fare paura”

www.ilfattoquotidiano.it

GIÀ 10MILA FIRME SUL NOSTRO SITO Da ieri mattina, sul sito del “Fatto Quotidiano” (www.ilfattoquotidiano.it) è possibile firmare l’appello per dire basta alle leggi ad personam. In meno di 24 ore sono già migliaia (più di diecimila) le adesioni. Per “mettere la parola fine -

persone in piazza sembra che un milione di persone si stanno davvero muovendo. Ma l’impegno politico è un’altra cosa: è quello che tu porti avanti ogni giorno nella scuola dove porti tuo figlio, in tutti i posti di lavoro, nel bar dove prendi il caffè, dall’ortolano dove compri la frutta. È lì che fai politica realmente. Mobilitare un milione di persone che il giorno dopo tornano a chinare la testa, non serve a niente. Questo NoBerlusconiDay nasce dal basso invece. Anche questa, come tutte le manifestazioni, sarà una rito. Ma è un rito importante perché non è stata lanciata e organizzata da qualche grosso partito, da qualche grosso giornale, da un sindaco: è fuori dalle istituzioni dalla politica e dai centri di potere che gestiscono le comunicazioni da massa. E perciò, ancora di più, dopo il 5 dicembre, è fondamentale che si continui a mettere in atto un impegno politico che sia forte, capace di mostrarsi. Qual è l’obiettivo? Se questo sistema non ci piace,

scrive il direttore Padellaro - allo scandalo che da quindici anni sta sfibrando l’Italia: la produzione incessante di leggi personali per garantire a Silvio Berlusconi la totale immunità e impunità in spregio alla più elementare idea di giustizia”. I messaggi che ci arrivano testimoniano tutta la desolazione di chi non si sente più rappresentato da un governo che continua a legiferare anteponendo l’interesse di pochi, o di uno, a quello di tutti i cittadini. Ecco perchè è necessario mobilitarsi, ecco perchè occorrono risposte: “Che le istituzioni sono davvero un baluardo contro le prepotenze del più forte. Questa è la nostra speranza presidente Napolitano e presidente Fini. Per questo conclude Padellaro - vi trasmetteremo i messaggi dei nostri lettori. Tenetene conto”.

dobbiamo essere eversivi. Uso una parola forte, ma quando Marx ed Engels parlavano dello “Spettro che si aggira per l’Europa”, facevano circolare un messaggio che faceva paura al capitalismo dell’epoca. E oggi? Io voglio giornali, partiti e sindacati che facciano paura. Paura, naturalmente, non significa diventare terroristi; ma a me questo sistema fa paura, allora c’è bisogno di qualcuno che faccia paura a questo sistema, che dica cose diverse da tutto ciò è discorso dominante. Perciò, dal 5 dicembre, il giorno dopo, la settimana dopo, il mese dopo, l’anno dopo, bisogna diventare tutti pacificamente eversivi. È Berlusconi il problema? È importante chiedergli le dimissioni. Ma bisogna fare anche un passo avanti. Perché il berlusconismo è entrato nelle ossa di tutta la politica italiana: così come ci sono sindaci di sinistra che sfrattano un rivista ricca di storia e di cultura, così ci sono sindaci di centrosinistra che tirano su muri, che vietano di bere una birra

alle tre di notte, che chiudono i locali. Per cambiare le cose dobbiamo tornare a una prospettiva profondamente ideologica, dobbiamo ritrovare una Weltanschauung, una visione del mondo senza la quale non riusciamo neanche a tornare a casa. Dobbiamo recuperare il significato del nostro essere individui in questo paese: se l’obiettivo di qualsiasi protesta è solo quella di avere lo stesso mondo che abbiamo, migliorato solo un po’, allora non ne vale la pena.

“Manifestare è un atto rituale, ma è dopo che bisogna mettere in atto un impegno politico forte”

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Riccardo Tomasi (Torino): “La legalità non ha più senso” Vorrei vivere in un paese dove le parole giustizia e libertà avessero ancora un significato.

Marco Salerno (S. Giorgio del Sannio): “Breve è la resa” È breve un processo che giunge alla sentenza brevemente. Un processo che viene costretto ad estinguersi per prescrizione in modo breve è una resa dello Stato. Daniele Fersurella ( Reggio Emilia): “Dico: bastaaaaa!” Grazie, per l’oppurtunità di gridare BASTAAAAAAAA. Francesca Brusa Pasquè (Malnate): “Per i miei figli” Aderisco a questo appello perché voglio ancora poter spiegare ai miei figli qual è la differenza tra bene e male, voglio ancora sostenere l’importanza di un comportamento morale, nel senso alto del termine. Voglio poter parlare loro di impegno, di dedizione, di cosa significhi prendere in mano la “Cosa pubblica” e averne cura, farla evolvere, farla crescere nell’interesse collettivo. Sottoscrivo questo appello perché voglio fare sentire la mia voce, voglio partecipare, voglio lottare per un paese libero, sano, per un paese in cui regni la giustizia e in cui la legge sia davvero uguale per tutti. Grazie per il vostro impegno e coraggio. Vittorio Contiello (Napoli): “Pdl? Partito dell’immunità” Berlusconi governa soltanto per il suo bene e la sua immunità. Dovrebbe rinominare il partito “Popolo della libertà... di Berlusconi” mariledi tempo (Trieste): “È la legge dell’ingiustizia” Credo nell’uguaglianza degli uomini, e questo basta per dire che questa non può essere legge ma ingiustizia Walter Brivio (Parigi): “Che lacrime anche da qui” Guardando il mio paese dall’estero, mi vien solo da piangere!


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Domenica 15 novembre 2009

CASO CAMPANIA

UN’INDAGINE ANCHE SU CESARO, IL “VICE-COSENTINO” Voci di arresto per il presidente della provincia di Napoli di Marco Lillo

rmai i quotidiani lo scrivono apertamente. Ha cominciato venerdì scorso Guido Ruotolo su “La Stampa” e poi ieri ha continuato “Libero”. Secondo i rumors, i pm di Napoli avrebbero chiesto al gip Egle Pilla l’arresto del presidente della Provincia di Napoli eletto con il 52 per cento dei voti a giugno. Se le voci fossero confermate, Berlusconi perderebbe i suoi dioscuri. I successi mediatici nell’emergenza rifiuti sono farina del loro sacco. E se, dopo Cosentino, anche Cesaro rischiasse l’arresto, il premier sarebbe costretto a fare i conti con il doppio fondo di quel sacco: i legami con la criminalità. A “Il Fatto Quotidiano” risulta l’esistenza di un’indagine della Dda sugli affari della famiglia del presidente Cesaro ma al momento in Procura non c’è traccia dell’accelerazione brusca preconizzata dai boatos. Come per Cosentino, il grande accusatore è Gaetano Vassallo, il “ministro dei rifiuti dei casalesi” ha messo a verbale: “Cesaro è un fiduciario del clan Bidognetti”. Parole che gettano una luce sinistra su questo avvocato che fatica a mettere in fila un discorso in italiano (imperdibile la presentazione del suo programma su Youtube). Vassallo ha raccontato gli affari di famiglia dell’ex socialista che ha conquistato Berlusconi a suon di pacchetti di voti e pacchi di mozzarelle di bufala (una cassa da venti chili ogni due mesi). Due gli affari nel mirino dei pm: il Pip (Piano Insediamenti Produttivi) del comune di Lusciano e la riconversione industriale della Texas Instruments ad Aversa. “Mi spiegarono che Luigi Cesaro doveva iniziare i lavori presso la Texas e che in quell'occasione si era quantificata la mazzetta che il Cesaro doveva pagare al clan. Inoltre gli stessi avevano parlato con il Cesaro per la spartizione degli utili e dei capannoni che si dovevano costruire a Lusciano attraverso la ditta del Cesaro sponsorizzata dal clan Bidognetti”. Il pentito va oltre e sostiene di aver partecipato all’incontro tra il boss, Luigi Guida, detto

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o’drink, e Cesaro. Ora, a parte il soprannome, che fa riferimento alla sua passione per gli aperitivi, “Giggino o’ drink” non è un colletto bianco. I pm imputano a Guida sette omicidi e l’incontro li lascia perplessi. Vassallo infatti aggiunge: “mi meravigliai che il Cesaro avesse a che fare con Guida”. Stiamo parlando del rampollo di una famiglia ricchissima anche se chiacchierata. Nella relazione che portò allo scioglimento del comune nel 1991, si citavano i rapporti tra il clan Puca e una società, la Raggio di sole, nella quale erano azionisti i fratelli Cesaro: Antimo, Luigi e Aniello, allora consigliere comunale. Anche un libro dell’ex sindaco Ds, Arcan-

gelo Cappuccio, edito dalla “Libreria Dante e Descartes”, raccontava i rapporti pericolosi e la malapolitica dei Cesaro. Il libro è scomparso dalla circolazione e l’autore oggi è passato dall’altra parte: è un dirigente del comune, guidato prima da Luigi Cesaro e ora un suo fedelissimo. Difficile resistere a “Cesaropoli”. Luigi sta attento a non mischiare affari e politica. Ma Aniello e i suoi fratelli sono titolari di uno dei più grandi laboratori diagnostici della zona e della polisportiva Sant’Antimo titolare di una squadra di basket di serie B e di un impianto avveniristico, nel quale si allena addirittura il Milan di Berlusconi. L’area era in disuso e il comune l’ha data in concessione proprio a Aniello Cesaro. Inutile dire che quando la Texas finisce a una società di Bologna dietro la quale c’è un parlamentare siciliano di Forza Italia, Ila-

rio Floresta, qualcuno si stupisce. I Cesaro però non restano fuori. La società bolognese cede subito alla Esseci Immobiliare del fratello di Luigi Cesaro, Aniello. Solo per l’opposizione della popolazione Esseci non è ancora riuscita a costruire su quel suolo. Poco male. L’affare più importante è quello di Lusciano. Racconta Vassallo: “il boss Guida ‘o drink interveniva sul sindaco e sull'ingegnere dell'ufficio tecnico di Lusciano per superare i vari ostacoli. Chiaramente molti terreni agricoli prima di essere inseriti nel nuovo piano regolatore venivano acquistati dal gruppo Bidognetti a basso prezzo dai coloni e intestati a prestanome (...) una volta divenuti edificabili, i lotti venivano assegnati a ditte di persone collegate al clan, quali l'azienda di Cesaro, che in cambio dell'assegnazione versava una percentuale al clan. (...) Luigi Cesaro era stato scelto dal gruppo Bidognetti quale fiduciario e gestore dell'operazione”. Cesaro, quando i verbali uscirono su “L’espresso” replicò: “Non conosco Vassallo né nessun camorrista e non ho mai partecipato ad alcun incontro”. A settembre però si è pentito Luigi Guida. I magistrati hanno già sentito Giggino e i titolari delle imprese concorrenti interessate all’affare. Vogliono capire se davvero hanno abbandonato lasciando via libera a Aniello Cesaro dopo le minacce dei clan.

Solidarietà preventiva dal Pd Benincasa di Vincenzo Iurillo

na grande sorpresa”. Così Nicola Cosentino, il can“U didato governatore della Campania del Pdl fermo ai box causa ordinanza di arresto in discussione alla Camera, ha definito la solidarietà espressagli da Fabio Benincasa, capogruppo del Pd al comune di Napoli. Solidarietà davvero sorprendente, in effetti. Dettata dalla cultura garantista del 43enne avvocato che in una nota diffusa due giorni prima della firma del gip sul provvedimento afferma: “Nessuno si chiede se per caso Cosentino non sia innocente a quanto gli viene contestato solo a mezzo stampa e soprattutto chi dovrà risarcirlo in tale ipotesi”. Prosegue Benincasa: “Nel recente passato ho visto troppi uomini distrutti politicamente e messi al pubblico ludibrio dal clamore massmediologico di inchieste che poi si sono rivelate inconsistenti e la triste scomparsa di Nugnes (ex assessore di Napoli suicidatosi un anno fa, poche settimane prima degli arresti per l’affaire Romeo, ndr) ha costituito un precedente sul quale tutti i garantisti dovrebbero riflettere”. Il comunicato forse non sarà piaciuto al neosegretario regionale del Pd Enzo Amendola, che da tempo chiede le dimissioni di Cosentino dal governo per il suo fardello di presunte collusioni con la camorra, e ha in agenda un incontro con Roberto Saviano per coinvolgerlo nella partita delle elezioni regionali. Benincasa nel 2006 è stato eletto in quota Margherita con 2523 preferenze ed è diventato capogruppo il 31 marzo scorso, defenestrando il bassoliniano Antonio Borriello al termine di un durissimo scontro interno tra ex Dl ed ex Ds. Il suo nome ricorre tra le indiscrezioni sulla nuova giunta che il sindaco Iervolino si accinge a varare. Ha emesso il comunicato pro Cosentino il giorno dopo il titolo del Roma, edito dal pidiellino Italo Bocchino, che sparava in prima pagina la richiesta di arresto del sottosegretario all’Economia. Una forma di solidarietà preventiva del nemico, mentre Cosentino doveva guardarsi dal fuoco amico.

La mafia potrà ricomprarsi i beni confiscati IL “REGALO” IN UN EMENDAMENTO ALLA FINANZIARIA di Stefano Caselli

i scrive articolo 18-sexiesvicies proS1790posta di modifica n. 2.3000 Ddl n. e si legge regalo alla mafia. Gli emendamenti alla Finanziaria – si sa – spesso assomigliano ai temuti cartoncini arancioni del Monopoli, gli “imprevisti”, e in questo caso c’è davvero da mettersi le mani nei capelli. Su proposta del relatore del Pdl Maurizio Saia, il Senato ha approvato una norma che consente la vendita al pubblico dei beni confiscati alle mafie, nel caso in cui non vengano assegnati entro 90 giorni dalla confisca. In pratica le cosche, di certo non sprovviste di liquidità, potranno più o meno agevolmente rientrare in possesso di terreni e immobili che – in base alla legge 109 del 1996 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati – vengono da anni assegnati ad associazioni e cooperative, con risultati spesso straordinari.

ALBA ADRIATICA

Arrestato il terzo rom

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i nascondeva a poca distanza dal luogo del funerale di Emanuele Fadani, il commerciante di 37 anni ucciso di botte da tre zingari. Elvis Levakovich, 21 anni di Alba Adriatica, indicato finora come colui che avrebbe colpito a morte più di altri la vittima, era latitante da martedì notte.

INFLUENZA A/H1N1

Luigi Cesaro, presidente della provincia di Napoli (FOTO ANSA)

Il grande accusatore è Gaetano Vassallo, “il ministro dei rifiuti dei Casalesi”

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Per la verità, l’emendamento tenta di scongiurare l’infausta eventualità, stabilendo che il competente dirigente dell’Agenzia del Demanio (cui viene affidato il compito di vendere entro sei mesi) “richieda al Prefetto della Provincia interessata ogni informazione utile affinché i beni non siano acquistati, anche per interposta persona, dai soggetti cui furono confiscati, o da soggetti altrimenti riconducibili alla criminalità organizzata”. Nobile intento, solletico per la mafia: “Vendere – dichiara Luigi Ciotti, presidente di Libera – è un tragico errore. Si tradisce l’impegno assunto con il milione di cittadini che nel 1996 firmarono la proposta di legge sull’uso sociale dei beni e si corre il rischio di restituirli, di fatto, alle organizzazioni criminali, capaci di mettere in campo ingegnosi sistemi di intermediari e prestanome, come già risulta da molti segnali arrivati dai territori più esposti all’influenza dei clan”.

I boss, dal Piemonte alla Sicilia, mal tollerano che qualcuno – magari cooperative di giovani cui viene garantito un lavoro vero e non nero – bazzichino su case e terreni un tempo di loro proprietà: “Gli esempi non mancano – racconta Davide Pati, responsabile beni confiscati di Libera – basti pensare ai recenti casi in provincia di Caserta, Palermo e Crotone, dove tentativi per tornare in possesso di case e terreni tramite prestanome sono accertati. Senza dimenticare i decreti di scioglimento per infiltrazione mafiosa di alcuni comuni del Sud, dove espressamente si indicava la gestione non corretta dei beni confiscati tra le cause del provvedimento”. Ora basterà aspettare novanta giorni, evitando di sprecare energie in intimidazioni varie: è noto infatti come molti bandi vadano spesso deserti: “Cooperative e associazioni – racconta Walter Molino, animatore del blog LiberaMen-

te – anche con progetti interessanti, hanno paura a candidarsi per l’assegnazione di un bene confiscato a mafiosi ancora a piede libero. Figuriamoci adesso che bastano tre mesi per rimettere tutto in vendita”. Novanta giorni assomiglia molto a un termine capestro, ed è un pericolo che incombe su oltre tremila immobili sparsi per l’Italia: “I beni – prosegue Davide Pati – spesso sono occupati, gravati da ipoteche, bisognosi di interventi di ristrutturazione. Sforare i 90 giorni è un attimo. Con questo emendamento lo Stato si arrende alla sua inefficienza, invece di trovare soluzioni adeguate, come l’Agenzia Nazionale per i beni confiscati che gli addetti ai lavori chiedono da anni”. Un maldestro tentativo di fare cassa (il ricavato della vendita dovrebbe finire ai ministeri dell’Economia e della Giustizia) che la Camera ha comunque ancora tempo per correggere.

Arriva il vaccino a tutte le Regioni

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omani sarà completata la distribuzione alle Regioni del vaccino contro l'influenza A/H1N1. La distribuzione dei vaccini alle Regioni, iniziata il 12 ottobre, è stata completata al 13 novembre in 16 tra Regioni e Province Autonome. Quella in atto è la "quarta distribuzione di vaccini, per un totale di 649.256 dosi informa il ministero del Welfare - che permetterà di raggiungere la quota complessiva di circa 3 milioni di dosi".

INCHIESTE

In onda su La7 “La trattativa”

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a in onda “La trattativa” di Silvia Resta all’interno di Reality, domani sera alle 23 e 30 su La7. L’inchiesta riguarda la trattativa Stato-mafia del ‘92, con interviste a Salvatore Borsellino, Luigi Li Gotti, Gaspare Mutolo e Giovanni Brusca. Oltre a Giancarlo Caselli, Nando Dalla Chiesa, Attilio Bolzoni, Vincenzo Scotti e Nicola Mancino.

EMERGENZE

Buon bilancio genovese contro l’alcool

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rande successo a Genova, per la due giorni contro l’alcool. Distribuzione gratuita di 600 mila copie (prima tiratura) di un book a fumetti destinato a tutti i 16enni iscritti alle scuole superiori sul territorio nazionale e raccolta di firme inerente la proposta di legge con due articoli: l’ alcol tax e la dicitura “l'alcol uccide” scritta su tutti i prodotti alcolici, come sulle sigarette.


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PARTITI VECCHI E NUOVI

“DE MAGISTRIS E DONADI SONO L’IDV”

Tra le due anime Di Pietro non si schiera: “Al congresso ognuno dirà la sua” di Wanda Marra

aremo un congresso vero, in cui ciascuno potrà presentare le sue mozioni. Sarà questa la prova della democrazia nel partito, che tutti ci chiedono”. Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei valori, risponde alle varie questioni che riguardano il suo partito. Dal ruolo sempre più ingombrante di De Magistris, all’ultimo attacco frontale di Donadi all’ex magistrato (“O rispetta le regole o se ne va”), dalla questione morale sollevata da MicroMega, alla fronda interna e ai continui esodi. Onorevole Di Pietro, in un’intervista al Corriere della Sera, Donadi è stato durissimo contro De Magistris, chiedendone un ridimensionamento e un bagno di umiltà, e arrivando a esigere una retromarcia ufficiale all’esecutivo nazionale di lunedì, oppure l’uscita dal partito. Lei cosa ne pensa? Innanzitutto, De Magistris è stato votato da quasi un milione di cittadini ed è questa la sua legittimazione. È una risorsa non solo per l’Idv, ma per tutto il paese, come Sonia Alfano e gli altri eletti al Parlamento europeo e italiano. So bene che il partito è una realtà importante, nato anche dal sacrificio di persone come Donadi e Silvana Mura, che hanno dato lacrime e sangue per 10 anni, ma dobbiamo evitare la guerra tra poveri per non dare uno strumento a coloro che vorrebbero fermare l’azione di rinnovamento dell’Idv. E per bloccare la deriva illegale che sta portando avanti Berlusconi. In questo senso, le differenziazioni che stanno emergendo dentro l’Idv sono un’occasione e la dimostrazione che

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stiamo passando dalla fase del pensiero unico a quella della democrazia partecipata. Per questo, ho indetto il congresso nazionale e poi i congressi locali. De Magistris però sta prendendo sempre più importanza all’interno dell’Idv. In un’intervista all’Espresso lo ha dichiarato esplicitamente “chi pensava che me ne sarei stato buono buono al Parlamento europeo sbagliava...” Se dovesse scegliere tra lui e Donadi cosa farebbe? Questa è una stupidaggine mostruosa. De Magistris è il partito come lo è Donadi. Magari ci fossero 1000 De Magistris e 1000 Donadi o 1000 Silvana Mura, che si esponessero come loro per la difesa della Costituzione. Molti però dicono che De Magistris sta guidando la fronda verso di lei, attraverso gli incontri degli “autoconvocati” per protestare contro la poco democrazia nel partito... Non si sente minacciato? Non strumentalizziamo De Magistris mischiandolo a personaggi che vogliono solo la notorietà. Lui, Donadi e tutti gli altri sono una risorsa. De Magistris fa il suo dovere come Donadi e tutti gli altri parlamentari. Secondo lei perché sono in uscita dal partito personaggi come Pisicchio, Misiti e Astore? Oltre ad alcuni fedelissimi molisani? Le uscite sono fisiologiche nel momento in cui c’è una risistemazione politica nel Parlamento, una ricollocazione che riguarda l’intero quadro, con spostamenti dal Pd, dall’Idv, dal Pdl. E per quel che riguarda il Molise, perché tutti parlano dei 9 usciti, tra cui ci sono alcuni di quelli segnalati da Micromega, e non dei 220 che invece sono en-

trati? Tra le critiche che vi vengono poste più di frequente c’è quella di un partito monocratico e autoritario. Cosa risponde? Abbiamo aperto il congresso e ognuno potrà presentare le sue mozioni. Ma chi sta fuori dal partito solo per criticare non può pensare di dettare legge. MicroMega ha sollevato la questione morale all’interno dell’Idv. State provvedendo? Ne abbiamo preso atto e abbiamo messo fuori dalla porta alcuni personaggi, con altri lo faremo. Il partito dev’essere un mezzo e non un fine, che è creare l’alternativa a Berlusconi.

Chiede al Pd di ripensare le sue posizioni per Calabria, Campania e Puglia Alcuni vi accusano di essere diventati troppo di sinistra... Non intendo essere etichettato né di destra né di sinistra. Però, è un fatto che avete preso lo spazio lasciato libero dalla sinistra radicale.. Per alcune questioni abbiamo occupato questo spazio, per altre, per esempio sulla legalità, abbiamo occupato lo spazio lasciato libero dalla destra. Non trova che ci sia un effettivo dualismo tra l’Idv della piazza e della società civile rappresentato da Flores

Alleanza per l’Italia: cercansi 3 milioni di euro di Stefano Ferrante

e loft i Rutelli boys ne hanno già visti DPerchéiunaappartamenti ventina, in zone centrali e semicentrali di Roma. sarà pure “un partito iPhone” come dice l’immaginifico assessore alla cultura di Firenze Giuliano Da Empoli, ma anche Alleanza per l’Italia ha bisogno di una sede. Missione da portare a termine in pochi giorni e affidata a Donato Mosella deputato ex Pd, una vita da organizzatore nell’associazionismo cattolico, dal Centro sportivo italiano alla gestione dell’accoglienza del Giubileo. E’ lui “l’uomo macchina”, fedelissimo di Rutelli, l’unico del team dei

Rutelli & co. cominciano da Andrea Mondello, ma guardano a Confindustria e al salotto buono della finanza

tempi del Campidoglio, insieme con Linda Lanzillotta, che lo ha seguito nella nuova avventura. Si punta sul partito leggero messo a fuoco in uno studio commissionato da Rutelli qualche settimana fa: tanto Internet (per “raggiungere i giovani e chi non ha tempo per leggere il giornale”), poco personale, volontariato sul territorio. Per il sito Web, tramite il quale i sostenitori dovrebbero scegliere il simbolo, i lavori sono in corso. Per ora all’indirizzo www.Alleanzaperlitalia.it c’è il documento Cambiamento e buongoverno, il manifesto dei fondatori, con video della conferenza stampa di presentazione. Ma la madre di tutte le questioni è quella del finanziamento perché tutti i partiti, anche quelli “iPhone”, hanno bisogno di soldi, almeno tre milioni di euro per una struttura leggera. Rutelli ha sperato fino alla fine che lo seguisse fuori dal Pd il tesoriere della Margherita Luigi Lusi, cosa che avrebbe reso certamente più semplice una trattativa con il Pd per avere una parte dei contributi elettorali (circa 25 milioni di euro in tutto per la Margherita solo per il 2007) e della struttura organizzativa del Nazzareno. Non è andata così. I rutel-

d’Arcais e da MicroMega e la vecchia guardia? La prima e la seconda Idv attraverso il congresso dovranno trovare una sintesi programmatica, organizzativa e di collocazione politica. Chiunque può partecipare alle fase congressuale, con la sua mozione e chiedere il consenso. Questa è la democrazia che tutti hanno chiesto. Alle prossime regionali, quali alleanze stringerete? Spero che si trovi un accordo con il centrosinistra, riconoscendo al Pd il ruolo più importante e lavorando con Radicali, Sinistra e libertà, Rifondazione. E in certe zone con l’Udc. Il Pd

Di Pietro e De Magistris secondo Manolo Fucecchi

ci deve spiegare se è interessato al cambiamento, o se prosegue con il berlusconismo. Mi riferisco in particolare a Campania, Calabria e Puglia. In Calabria, io e De Magistris abbiamo lanciato la candidatura di Callipo e ribadiamo la proposta al Pd di appoggiarlo. È l’unico modo per dare una spallata al sistema di potere. La stessa cosa vale per la Campania dove tra i bassoliniani e De Luca sembra che si tratti di scegliere il meno peggio in quanto a rinvii a giudizio. In Puglia, dietro il paravento di Vendola, che è una brava persona, c’è una classe politica del Pd che ha bisogno di rinnovamento totale.

CONGRESSO

I RADICALI CHIAMANO BERSANI

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i sono stati momenti in cui soltanto qui si usava il termine compagno senza imbarazzo”. Il ciclone Marco Pannella, in oltre due ore di discorso al congresso dei Radicali italiani, ha teso la mano al segretario del Pd Pier Luigi Bersani. “Voglio una grande alleanza: è un appuntamento storico”, ha detto il padre nobile dei radicali. Nel farlo, però, non ha rinunciato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa: “Bersani qui è diventato un eroe soltanto per aver pronunciato la parola ‘radicali’. Lui è davvero di stoffa diversa, non come chi quella parola non la pronuncia”. Il riferimento è al “gruppo del loft”: “Dario Franceschini, Walter Veltroni, Goffredo Bettini ci ricevevano nel loft come fossero degli aristocratici, ma con un grado di cafonaggine che il Pci non avrebbe mai avuto, nel volerci imporre le loro condizioni”. Botte anche per Massimo D'Alema: “La sua candidatura da parte di Berlusconi a ministro degli Esteri dell’Ue è infausta e svergognata” Dal congresso è emersa la chiara

liani considererebbero giusta una buonuscita: la stessa sede del Pd del Nazzareno – ragionano – è un’invenzione di Rutelli, il contratto di affitto è intestato e pagato dalla Margherita, e il Pd sta lì “a scrocco”. “Qui non c’è trippa per gatti” fanno sapere però senza mezzi termini dal Pd: nessuna norma dello statuto della Margherita e nessun accordo depositato dal notaio danno un qualche diritto a Rutelli, al massimo per un po’ sarà possibile la coabitazione senza troppe frizioni. “I soldi saranno l’ultimo dei problemi di Rutelli e Tabacci, di amici imprenditori ne hanno tanti” ghignano gli ex compagni di strada del Pd, che alla storia del fund raising, la raccolta di fondi capillare tra i militanti tipica delle associazioni no profit, non credono più di tanto, soprattutto se il partito si strutturerà per partecipare alle elezioni e ci vorranno risorse consistenti. Che al nuovo centro, in attesa del “dopo Berlusconi”, guardino con interesse settori di Confindustria e pezzi del salotto buono della finanza non è un mistero. I rapporti di Rutelli con De Benedetti e Montezemolo sono buoni, così co-

Cosa ne pensa del processo breve? Raccoglieremo le firme per abrogare la legge. Vorrei segnalare che riguarda solo i reati contro la Pubblica amministrazione, i reati societari e i reati fiscali. Ciò a dimostrazione che a questo governo interessano solo i colletti bianchi, oltre agli interessi di Berlusconi. A quante adesioni pensate di arrivare per il No Cav Day? Certamente supereremo le 250 mila. Io faccio un appello al Pd e a Bersani perché partecipi anche lui e dica a tutti gli elettori di partecipare. Corre il rischio di essere l’unico del Pd a mancare.

intenzione di cercare un’intesa più ampia a sinistra, non solo con i socialisti, ma soprattutto con i Verdi. “La possibilità di stringere un accordo politico con Bersani – ha spiegato Marco Cappato – non deve essere subordinata all’altra ipotesi”. Anche Emma Bonino ha ribadito la necessità del dialogo con il Pd, “ma deve essere subito chiaro che dovranno condividere la battaglia gandhiana sui temi della libertà democratica e della cultura liberale. A noi non interessano accordi sui nomi per questa o quella regione se non c’è l’intenzione di rimettere il paese su un cammino più dignitoso e su questo il nostro nome non è biodegradabile”. Ospite d’onore il segretario generale dell’Ugl, Renata Polverini, accolta dagli applausi: “Il mio nome è entrato in un dibattito mediatico di una certa rilevanza (per l’eventuale candidatura nel Pdl alla presidenza della regione Lazio, ndr), ma sono contenta di esser stata invitata qui da voi senza esser tirata per la giacchetta su questo tema. Se si arrivasse a un confronto per quella competizione elettorale tra me e la Bonino, si potrebbe ritornare a parlare di politica”. Giampiero Calapà

Il fondatore di Api Francesco Rutelli (FOTO GUARDARCHIVIO)

me quelli con la famiglia Romiti e con Giancarlo Elia Valori. E Tabacci ha solide relazioni con l’universo bancario. Ma ora non è tempo di endorsement, di grandi sostenitori ingombranti. Così per mettere in piedi l’armatura leggera del partito i rutelliani puntano sul territorio. Il ruolo chiave a Roma è quello di Andrea Mondello, presidente della Camera di Commercio di Roma e dell’Unioncamere, uno che è stimato a destra e sinistra, che tratta con i commercianti e con le imprese elettroniche della Tiburtina Valley. E anche la scelta della sede del debutto il 12 dicembre non è solo politica o nostalgica: è vero che a Parma nacque la Margherita e c’è uno dei fondatori dell’Alleanza, Elvio Ubaldi, il sindaco che lanciò l’esperimento della lista civica centrista vittoriosa nell’Emilia rossa, ma, soprattutto, c’è una delle Unioni industriali più potenti d’Italia, una vetrina importante anche per gli sponsor.


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CRONACHE

A CASOLE UN’ALTRA MONTICCHIELLO DI ABUSI EDILIZI In provincia di Siena scoppia la guerra degli ecomostri di Giampiero

Calapà Siena

ai più un caso Monticchiello. In Toscana non sarà più possibile vedere sorgere seconde case in un territorio che l’Unesco considera patrimonio dell’umanità”. Era il 2006 quando il governatore della regione Toscana Claudio Martini pronunciava queste parole. Eppure non lontano dalla Valdorcia, altre splendide campagne meta di turisti da tutto il mondo, sono state violate da amministratori e costruttori. A Casole d’Elsa, in provincia di Siena, già dal 2007 cominciano a piovere avvisi di garanzia per abusi edilizi e inquinamento, uno di questi arriva al sindaco e un altro alla direttrice dell’ufficio tecnico del comune. L’associazione Italia Nostra ha presentato un ricorso al Tar contro una variante al piano di recupero di San Severo, località nel comune di Casole, approvata dal consiglio comunale lo scorso giugno: “Si tratta di un vero scempio ambientalista, con un agglomerato di villette, per un totale di 55 appartamenti, ricavati dove sorgeva un antico podere di pregio”, denuncia l’associazione. La procura di Siena ha già stabilito la demolizione di cinquemila metri cubi del complesso edilizio e le ruspe hanno cominciato il lavoro da pochi giorni. Sparirà anche un laghetto abusivo, ma se il ricorso di Italia Nostra andasse a buon fine ci sareb-

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bero altri settemila metri cubi da distruggere. E non è tutto. Perché in quella pioggia di avvisi di garanzia, ben quattro cantieri sequestrati sulle colline senesi, ce n’è anche uno per per il sindaco Piero Pii, alla guida di Casole per ben dieci anni. Nel 2007, quando la procura di Siena comincia a muoversi, il primo cittadino è cambiato: il sindaco è Valentina Fe-

Il sindaco della città, consulente di uno dei costruttori, si è astenuto al voto sul piano ti, anche lei ex Ds poi entrata nel Pd, per tutti a Casole il “delfino” di Pii. La Feti non è stata ricandidata dal partito lo scorso giugno e il Pd ha perso, seppur per una manciata di voti. Una cosa strana in provincia di Siena. Eppure succede. A vincere con una lista civica alleata al centrodestra è stato, colpo di scena, il vecchio sindaco comunista Piero Pii. E ora dovrà risolvere i problemi urbanistici di Casole, proprio lui che ha ammesso in Consiglio comunale di aver lavorato da consulente per una delle ditte impegnate nel “recupero” di San Severo, uno dei cantiere finiti

sotto la lente di ingrandimento della magistratura, quello dei 55 appartamenti nel podere di pregio. Per salvare almeno le apparenza, Pii ha deciso di non partecipare al voto mentre l’assemblea impegnava il Comune (con il “no” del Pd) a farsi economicamente garante con la ditta per la demolizione dei metri cubi in eccesso. Con il ricorso Italia Nostra chiede l’annullamento del piano di recupero perché “la responsabile dell’ufficio urbanistica ha tenuto una condotta chiaramente volta ad agevolare la definizione del procedimento in termini favorevoli alla società Toscana Real Estate, proprietaria dell’area e committente dei lavori”. Per il legale dell’associazione Gianluigi Ceruti “si tratta di gravi illeciti e presto ci sarà qualche rinvio a giudizio: qui abbiamo un problema di cementificazione addirittura superiore allo scandalo di Monticchiello”. Italia Nostra attacca anche la giunta regionale: “Mentre questi scempi venivano costruiti dov’era la Toscana per non accorgersi di nulla”. Intanto Martini, come il suo predecessore Vannino Chiti, si è sicuramente accorto dei danni ambientali causati dai lavori dell’Alta velocità nel Mugello, perché la Corte dei Conti ha inviato degli inviti a dedurre ai due politici e a tutti i membri delle giunte dal 1990 al 2000. Gli inviti a dedurre non sono avvisi di garanzia ma segnalano la fase preliminare di un proce-

Abuso edilizio a Casole d’Elsa, in provincia di Siena, sotto un trans in attesa di clienti (FOTO ANSA)

Secondo l’associazione Italia Nostra in Toscana c’è una vera emergenza urbanistica

dimento in corso. Non c’è pace urbanistica in Toscana. Sono recenti i casi di Firenze, prima l’affaire Castello e poi la vicenda Quadra, che sono seguiti a quello ancora più inquietante di Campi Bisenzio, la cosiddetta Appaltopoli con un “cartello d’imprese” e i suoi 27 imprenditori imputati per associazione a delinquere, turbata libertà degli incanti e truffa. Dalle trecento

rifiuti

RACCOLTA STRAORDINARIA A PALERMO In alcune zone della provincia di Palermo è ricominciata la raccolta dei rifiuti dopo la decisione della regione di destinare 4 milioni di euro per affrontare l’emergenza. I netturbini hanno ricominciato a portare spazzatura nella discarica di Bellocampo. A Bagheria il sindaco Biagio Sciortino, annuncia che gli uffici pubblici non chiuderanno e le scuole riapriranno martedì prossimo dopo le operazioni di disinfestazione delle strade.

Altro che via Gradoli è Lido di Classe il paradiso dei trans di Chiara Paolin

i questi tempi Lido di Classe, due Dro refugium passi da Ravenna, è diventato il vetrans, ben più delle strade di Roma frequentate dall’ex governatore del Lazio Piero Marrazzo. “Da via Gradoli (dove risiedevano i trans di Marrazzo) ne sono arrivati diversi. Dicono che lì tira una brutta aria, i clienti sono spariti”. Giuliano gestisce il sexy shop Cactus di viale Da Verazzano, conosce bene i transessuali di quella che anche il quotidiano inglese Independent ha definito la capitale italiana dei trans. E spiega: “Sono brave ragazze, gente che lavora. Vestono eccentriche, ma neanche troppo rispetto a quei turisti che vengono qua in vacanza e vogliono trovare l'idillio, il mondo perfetto. A Lido Adriano, dove le infiltrazioni malavitose fanno davvero paura, ci sono pistolettate ogni giorno. Ma lì nessuno protesta”. D’inverno a Lido di Classe abitano poco più di duecento persone, i viados sono un numero variabile tra cento e

intercettazioni telefoniche di Appaltopoli emersero anche riferimenti a “un fatto di sangue” avvenuto in Calabria e legato alla ‘ndrangheta. Non sono più in pochi, qui tra le curve dove fu girato “il Sorpasso” di Dino Risi ad essere d’accordo con Italia Nostra, convinta che “che ci sia davvero un’emergenza urbanistica, anzi di mal urbanistica in Toscana”.

duecento. La comunità è ormai stabile dagli anni Novanta, la convivenza non sempre pacifica. Il comitato “Amici di Lido” segnala degrado e difficoltà etico-estetiche nella vita quotidiana. Il problema, in sintesi, è che non sta bene vedere questi stangoni circolare con forme prosperose al vento mentre salgono sulle auto dei clienti o aprono il portone di casa. Per altri aspetti, invece, i trans piacciono, molto. Perché gli appartamenti che occupano rendono almeno 2000 euro al mese, bilocali qualsiasi che a pochi chilometri da lì non valgono nulla. L’estate scorsa un operaio è finito in arresto: concedeva il suo appartamento a tre viados per 2500 euro. È così che l’assessore al decentramento Silvia Lameri, repubblicana in giunta Pd, ha proposto ai cittadini della frazione ravennate una soluzione: se non volete i trans, non affittate loro le case. Apriti cielo, accuse di razzismo dall'estrema sinistra e parole definitive del romagnolo Roberto Petri, capo segreteria del ministro La Russa: “Qui ci vuole l'esercito”.

“Il tema è certamente complesso – spiega il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci – e ho emanato un’ordinanza contro la prostituzione di strada che prevede sanzioni a carico di clienti ed esercenti. In sei mesi abbiamo fatto multe per un milione di euro. Poi facciamo controlli sui clandestini, ma la Bossi-Fini non funziona praticamente mai. L'unica vera svolta è consentire un sistema regolare. Esclusi i fenomeni violenti, lo sfruttamento e i problemi di ordine pubblico, vedo con favore l'autogestione della prostituzione, formule come le cooperative. Solo che poi Giovanardi comincerebbe a dire che le coop rosse sono una iattura. Intanto offriamo percorsi per favorire l'abbandono del marciapiede, il reintegro sociale, i corsi di formazione”. Come quello per diventare badanti: Il Pdl chiese lumi in regione per sapere quant’era costato trasformare una manciata di trans in colf e aiuto anziani, garantendo anche il permesso di soggiorno, col dubbio che in pochi

avessero davvero cambiato vita. “Ma loro s'organizzano da soli, soldi ne hanno, e quasi mai sono gestiti dai papponi – dicono al Blue Bar, ritrovo consueto di trans –. Una ha aperto un negozio di estetica, un’altra sta cercando di avviare uno studio fotografico, molte preferiscono il lavoro col sesso e basta”. Forse ad avere le idee più chiare sono gli otto giovani artisti che lo scorso gennaio hanno realizzato una serie di ritratti ai trans di Lido, un’iniziativa del comune per tentare un approccio diverso alla questione. Le foto, esposte in una galleria e poi al teatro Rasi, ritraevano persone impegnate nella loro vita quotidiana, nelle emozioni e nella noia. L’iniziativa venne finanziata dalla Cgil. E da quella parte di città che vuole capire prima di giudicare. “Qui il caso Marrazzo è tutti i giorni – dice il sindaco Matteucci – spero che stavolta, passato il prurito, resti qualcosa di serio. Se governo e parlamento si impegneranno, il più contento sarò io”.


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ECONOMIA

LA CGIL CONTRO GLI IMPRENDITORI “FURBETTI” Il sindacato in piazza a Roma Epifani sostiene che il peggio non è ancora passato di Stefano Feltri

nizia subito il gioco delle cifre (50 o 100 mila?), ma l’obiettivo della manifestazione della Cgil di ieri a Roma non era soltanto fare massa ma, come ha detto il segretario generale Guglielmo Epifani, ribadire “che il peggio della crisi non è alle spalle e sta arrivando una nuova valanga di licenziamenti”. Un anno fa, quando la Cgil scendeva in piazza nel suo sciopero generale di dicembre, la preoccupazione era che il collasso della finanza e delle banche si trasferisse all’economia reale. Ora che è successo, dice Epifani, non è più tempo di cassa integrazione (che comunque è privilegio di una frazione di lavoratori), ma di “mobilità, chiusure di aziende, precari che restano senza nulla”. Non è una manifestazione che mira a sostenere proposte precise: il governo sta discutendo una finanziaria blindata in cui le uniche novità sembrano poter riguardare l’Irap (cioè le imposte pagate dalle imprese). “Questa giornata serve a compattare, a evitare che il movimento si sfaldi”, dicono dalla Cgil. Ma è soprattutto una manifestazione nel senso etimologico, che vuole mostrare cosa sta succedendo al tessuto produttivo italiano nella convinzione che – per dirla con Epifani – “se i media e la politica continuano a raccontare e seguire la crisi, forse invece di 100 aziende ne chiuderanno 80 e alla fine si potrà ripartire”. La novità della manifestazione

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sta però proprio nel non parlare solo della crisi. Perché le storie industriali denunciate, che fanno urlare “vergogna, vergogna” alla piazza, non sono quelle di recessione ma esempi del fenomeno che Epifani riassume così: “Troppi imprenditori stanno facendo i furbetti, stanno intervenendo per rilevare, chiudere, rivendere e naturalmente licenziare i lavoratori”. Il caso più citato, dagli striscioni che aprono il corteo come dagli interventi dal palco, è quello Eutelia-Omega. Duemila dipendenti trasferiti da un’azienda all’altra che ora aspettano il licenziamento senza ricevere lo stipendio da mesi, e altri 8.000 dipendenti del gruppo Omega (che ha inglobato i 2.000 di Eutelia) che temono di seguire lo stesso destino. Si veda, qui sotto, l’intervista a Samuele Landi, ex amministratore delegato di Eutelia, che ha fatto irruzione nello stabilimento occupato con 15 vigilantes. Anche la storia della Selfin, prima dell’Ibm ora dell’italiana Comdata, è una vicenda di cattiva gestione e, sospettano i dipendenti, malaffare. Ma con la crisi non c’entra. Quella della Cgil sembra essere una denuncia, più che una protesta. La rappresentazione condensata di tutte le difficoltà di un paese. Piazza del Popolo è piena di pensionati avvolti nelle bandiere, i precari licenziati non ci sono, gli striscioni più grandi sono di aziende con i giorni contati, come la compagnia di navigazione dello Stato Tirrenia schiacciata da debiti che le lasciano poche spe-

ranze o lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco appeso alle decisioni dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, ormai prossimo a passare dalla cassa integrazione ordinaria a quella straordinaria (cui possono accedere le aziende in crisi più grave). “Non va bene dare risorse alla Fiat o ad altri settori per avere in cambio la chiusura degli stabilimenti nel Mezzo-

giorno come a Termini Imerese o Napoli”, dice Epifani. Ci sono striscioni per ribadire che “Prato non deve chiudere”, perché ormai sono a rischio interi distretti industriali. Il Partito democratico c’è ma si vede poco. Mentre parla Epifani in piazza del Popolo sventola una sola bandiera del Pd. Dietro il palco c’è Enrico Letta, vicesegretario del Pd, numero due di

“Sta arrivando una valanga di licenziamenti” ma non tutti sono colpa della recessione

Pier Luigi Bersani, che giustifica così il basso profilo: “In fondo è una manifestazione della Cgil”. Invece Antonio Di Pietro ha scelto di farsi notare: le bandiere dell’Italia dei valori sono tante e tutte concentrate sotto il palco. Di Pietro sfila in corteo con il cappellino rosso della Cgil e, arrivato in piazza, stringe le mani alle prime file. In sottofondo continua la dialettica tra le due anime della Cgil in vista del congresso 2010: Giorgio Cremaschii della Fiom, esponente dell’ala più dura, promette che ci sarà uno sciopero generale entro la fine dell’anno. Il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani e sotto Samuele Landi (FOTO GUARDARCHIVIO)

PARLA SAMUELE LANDI, L’EX MANAGER DI EUTELIA, CACCIATO DALL’AZIENDA DOPO IL RAID ROMANO Borromeo

a quando ha fatto irruzioDEutelia ne nella sede occupata di assieme a 15 vigilantes, per sgomberarla (con i ‘piedi di porco’), di Samuele Landi parlano tutti: “Ora sono famoso”, ammette lui stesso. Ma questa pubblicità il manager aretino comincia a scontarla: “Ieri ho dato le dimissioni dal cda Eutelia”, racconta al Fatto Quotidiano. Il motivo? “La mia famiglia crede che io sia pazzo. Mi ha detto di andarmene dall’azienda. Io credo che i matti siano loro. O me ne andavo dalla società o mi sbattevano fuori casa”. Non è solo la famiglia a spingere perché Landi venga allontanato dalla società: “L’eco negativa di queste vicende sui giornali di sinistra, come il vostro –

si sfoga al telefono – è arrivata alla Monte dei Paschi di Siena, la maggiore creditrice di Eutelia. Ed essendo una banca di sinistra non ha preso bene questa storia”. Samuele Landi, 45 anni, sposato e con 4 figli dice che Eutelia – la società quotata in Borsa, ora coinvolta nello scandalo di una cessione (o licenziamento mascherato) di 2.000 dipendenti – l’ha fondata lui. Studi da ragioniere, passione per gli sport estremi, ha prestato servizio militare nei bersaglieri: “L’ha letto ‘L’arte della guerra’? E’ la mia filosofia di vita. Anche Donald Trump lo consiglia a tutti. Gran libro”. Questo seguace di Sun Tzu viene descritto dai lavoratori come un picchiatore, un fascista che ama farsi giustizia da solo: “Macché raid, io sto dalla parte della gente. Con l’irruzione ho fatto un atto coraggioso, un regalo ai dipendenti che volevano lavorare e non potevano per via dell’occupazione. Sono entrato in Eutelia con i miei amici perché, alle 5 del mattino, sapevo che erano in pochi a presidiare, e pensavo di liberare in fretta la sede illegalmente occupata. Un paio d’anni fa avevo fatto un ‘atto dimostrativo’ a Pregnana Milanese, sempre con quei miei amici. Ma anche in quel caso i dipendenti se l’erano cercata”.

dc

Cattive abitudini di Edgar Galli

ualcuno dovrà spiegare Qamericani agli investitori rovinati dalla crisi finanziaria, ma soprattutto ai contribuenti chiamati a sopportare un salasso per salvare il salvabile e rianimare l'economia, che qualcosa è cambiato a Wall Street. Ma non nel senso in cui si aspettavano. Dalle foto di gruppo del G20 ai forum dei banchieri non sono arrivate che proposte di riformare i mercati, introducendo controlli più stretti e misure per limitare la spericolatezza delle operazioni finanziarie. Ma in questi giorni sembra svaporare rapidamente le possibilità di questa svolta virtuosa. Gli ultimi segnali dagli Stati Uniti, l’epicentro della crisi, indicano piuttosto una voglia di controriforma: l’argine dei buoni propositi si sgretola di fronte al ritorno delle vecchie abitudini. l primo segnale arriva IAmerican dalla board room di International

“Adesso fondo il mio partito contro i lavoratori” di Beatrice

Wall Street

Landi ha la passione per il paracadutismo, per le corse in moto e per il kick boxing: “La maggior parte dei manager di Eutelia li ho scelti in palestra. Li conoscevo sul ring. Full contact. Li ho messi nei posti chiave dell’azienda perché è gente seria, di cui ci si può fidare”. Landi è indagato dalla procura di Arezzo, insieme con il fratello Raimondo, per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita. Di lui i sindacalisti – ascoltati sul caso Eutelia a Montecitorio pochi giorni fa – dicono che

è un massone: “No, mi piacerebbe ma non lo sono. E comunque, se lo fossi, non lo direi”. Politicamente si dichiara di centro, sforzandosi di apparire meno estremista (e di destra) di quanto viene descritto, anche in vista dei suoi piani per il futuro: “Pensano di avermi fregato. Invece io vedo tutto questo come un fantastico trampolino di lancio. Voglio creare un partito. Penso in grande”. Ecco le analisi e la strategia alla base delle sue prossime mosse: “Oggi tutti si occupano dei lavoratori e nessuno degli

I CONTI DI UNICREDIT

imprenditori. Confindustria, che dovrebbe farlo, non ha più alcuna voce in capitolo. Io creerò un grande movimento politico per difendere i diritti di noi manager contro i lavoratori, che le hanno sempre tutte vinte”. Ha già pronto anche lo slogan: “Dalla parte degli imprenditori contro le angherie dello Stato”. Nel caso questo ambizioso progetto non si concretizzi, ha sempre pronto un piano B: “A creare un’altra società come Eutelia ci metto due minuti”.

di Bankomat

VIVA IL MERCATO FAVOREVOLE ei giorni scorsi sono usciti i conti di Unicredit. Sul Sole 24 Ore online si leggeva: “Una mano alla marginalità è arrivata dal trading: il risultato netto della negoziazione è stato pari a 1,651 miliardi, in forte miglioramento rispetto alla perdita di 730 milioni dello stesso periodo del 2008”. Una mano? E’ un valore superiore al profitto netto totale di gruppo. “L’utile netto di pertinenza del gruppo si attesta nei primi nove mesi del 2009 a euro 1.331 milioni rispetto a euro 3.507 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente, che beneficiava, soprattutto nei primi due trimestri, di un contesto

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macroeconomico marcatamente più favorevole.” Cosìil comunicato della banca di Alessandro Profumo. Chissà se le fondazioni azioniste se ne ricorderanno nel decidere i premi dei manager: i profitti dipendono dal mercato favorevole! I crediti alla clientela sono scesi del 7,7 per cento mentre quelli verso banche sono saliti del 20 per cento. Nei 9 mesi, Unicredit ha perso 1.586 posti di lavoro e sulle spese del personale ha risparmiato oltre 500 milioni. Più di un terzo dell’utile netto. L’utile è quindi figlio di risparmi sul personale e di guadagni finanziari. E i soldi si prestano più volentieri alle altre banche. Basta saperlo.

Group, il ciclope assicurativo salvato dal fallimento con una trasfusione da 180 miliardi di dollari di denaro pubblico. In quella stanza, martedì, il chief executive Robert Benmosche ha detto ai suoi che intende lasciare: non sopporta i vincoli che lo Stato americano, proprietario dell’80 per cento di Aig in seguito al salvataggio, impone ai nuovi manager. Soprattutto, a Benmosche vanno di traverso i limiti alle retribuzioni voluti da Kenneth Fainberg, l’uomo di Barack Obama sul fronte di stipendi e bonus delle società nazionalizzate. Il capo ha accettato di tenere per il momento nel cassetto la lettera di dimissioni e rifletterci sopra solo dopo le suppliche del board. l secondo segnale arriva IYork, dal tribunale di New che ha assolto pochi giorni fa gli imputati Ralph Cioffi e Matthew Tannin, manager della Bear Stearns, una delle banche d’investimento travolte dal picco della crisi. Sono i primi pezzi grossi di Wall Street processati con l’accusa di aver ingannato gli investitori. Rischiavano 20 anni di carcere per aver rassicurato i clienti mentre i loro fondi, trascinati dai famigerati mutui subprime, colavano a picco. Ma una giuria popolare di New York, fatta di comuni cittadini (non di avidi broker), li ha assolti. Forse incapaci come manager, è il senso del verdetto, ma non si può provare che fossero in mala fede: nei mercati finanziari, rassicurare gli investitori è un modo di evitare che il panico peggiori le cose. I prossimi a passare dal tribunale saranno i manager di altre società fallite o salvate in extremis: Lehman Brothers, Fannie Mae, Freddie Mac, la stessa Aig. Tutti candidati al ruolo di terzo indizio, quello che manca per avere la prova.


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Domenica 15 novembre 2009

NORME SBAGLIATE

SOLDI SPORCHI

dimostrare che a un certo punto della vita dell’azienda sono stati immessi capitali che non trovano giustificazione nei profitti di impresa e nei redditi personali dei soci. Grazie a tale complessa e difficile attività di indagine, che si avvale spesso di perizie contabili, è stato possibile confiscare centinaia di imprese appartenenti ad imprenditori insospettabili, dotati di solida reputazione nel mercato. Avvalendosi dello scudo fiscale, l’imprenditore colluso avrà ora una duplice arma per paralizzare le indagini. In primo luogo potrà opporre lo scudo fiscale, sostenendo che i nuovi capitali, immessi nel circuito produttivo, sono frutto di evasione fiscale già sanata. In secondo luogo, ai magistrati che volessero comunque verificare, analizzando i libri contabili, se effettivamente i capitali scudati siano compatibili con i redditi di impresa e con il volume di affari, potrà opporre che ha distrutto i libri contabili e le scritture societarie. Naturalmente a costo penale zero, perché – come ho accennato prima – lo scudo estingue persino il reaRoberto Scarpinato to (punito sino a 5 anni (F A ) di reclusione) di occultamento o distruzione di scritture contabili per evadere le imposte sui redditi e l’Iva, o per impedire la ricostruzione dei redditi e dei volumi di affari. Quello citato è solo uno tra i tanti esempi di una casistica quanto mai ricca di opportunità di riciclaggio apertesi con lo scudo fiscale, ma, per ovvi motivi, non pare sia il caso di proseguire con altre esemplificazioni. Come se non bastasse avere eliminato l’obbligo di segnalare le operazioni sospette in tutti i casi sopra specificati, si è ritenuto di dover affievolire tale obbligo anche nei residui casi in cui è stato mantenuto in vita. Si tratta dei casi nei quali l’operatore bancario ha il sospetto che i capitali scudati schio che le imprese a partecipa- non siano frutto di reati tributari, ma zione mafiosa, rifornite di capitali di altri ben più gravi reati, come illegali freschi a costo penale zero, estorsioni, traffico di stupefacenti e vengano a trovarsi in grado di sgo- via elencando. minare la concorrenza, creando o Infatti, con la circolare emanata irrobustendo indebite posizioni di dall’Agenzia delle Entrate conteoligopolio, con buona pace di tut- nente le istruzioni per lo scudo fite le prediche sulle virtù della libe- scale, si è precisato testualmente: ra concorrenza. “Si ricorda che gli intermediari non Si è obiettato che le mafie non sareb- sono tenuti a verificare la congruità bero interessate a fare rientrare ca- delle informazioni contenute nelle pitali dall’estero. Ma l’obiezione dichiarazioni riservate, relativanon tiene conto della realtà mente agli importi delle attività ogdell’economia mafiosa nazionale, getto di rimpatrio, né la sussistenza della possibilità di spacciare capitali dei requisiti oggettivi richiesti dalla detenuti in Italia come esteri, del ri- norma per accedere alle operazioni ciclaggio operato in Italia dalle ma- di emersione delle attività detenute fie straniere che da anni investono all’estero, né sono obbligati a vericapitali sporchi in varie attività, ficare i criteri utilizzati dal soggetto nonché della concreta esperienza interessato per valorizzare le mededel precedente scudo fiscale. Per li- sime attività nella dichiarazione mitarci solo alla dinamiche di rici- stessa”. claggio delle mafie nazionali, va infatti considerato che le imprese a L’entità dei soldi partecipazione mafiosa si trovano rientrati non è motivo sempre esposte al rischio di dovere di sospetto spiegare, se individuate, l’origine dei loro capitali. Attraverso un’accurata analisi dei libri contabili, la er coloro che non avessero famagistratura può essere in grado di miliarità con il giuridichese, in sostanza è stato ricordato agli intermediari che l’entità della somma scudata non costituisce di per sè motivo di sospetto. La segnalazione dovrà dunque essere effettuata solo se gli importi risultassero notevolmente sproporzionati rispetto al profilo economico-professionale del soggetto che intende accedere allo scudo fiscale (per esempio un artigiano a basso reddito che fa rientrare un milione di euro) o se sussistono altri e diversi motivi di sospetto. Si è così aperta un’altra significativa falla. Infatti le operazioni relative allo scudo possono essere effettuate anche allo sportello da persone che non sono clienti delle banche e di cui esse ignorano pertanto il profilo economico. Poiché l’entità della somma

Come riciclare con l’aiuto dello Scudo Una legge a ‘maglie larghe’ che aggira le norme sulla trasparenza, va contro le direttive europee e aiuta le associazioni criminali Roberto Scarpinato è magistrato, sostituto procuratore presso la Procura antimafia di Palermo, autore assieme a Saverio Lodato de “Il Ritorno del Principe” per le edizioni Chiarelettere. di Roberto

OTO

Scarpinato

er comprendere le falle aperte dal recente scudo fiscale nel sistema di antiriciclaggio italiano, è bene avere presente il contesto in cui viene a incidere.

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Sarà pù difficile rilevare possibili reati dei punti cardine della legiUbligono slazione antiriciclaggio è l’obimposto a tutti gli intermediari finanziari e ai professionisti di segnalare le operazioni sospette all’Uif (Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia), quando si hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. La Banca d’Italia elabora, aggiornandoli continuamente, gli indici di anomalia ai quali gli operatori finanziari devono attenersi nel valutare la natura sospetta di un’operazione. Taluni indicatori vengono inseriti anche nei sistemi informatici delle banche, in modo da attivare un rilevamento automatico delle operazioni sospette. Ove necessario, la Banca d’Italia può disporre la sospensione per cinque giorni delle operazioni sospette segnalate, in modo da consentire alla magistratura, prontamente allertata, di intervenire con tempestività. L’esperienza ha dimostrato come nella prassi operativa tale sistema sia carente, soprattutto nelle regioni meridionali, a causa dell’inquietante infiltrazione della criminalità mafiosa in vari punti nel circuito bancario. In alcuni casi è stato accertato che funzionari bancari avevano omesso di segnalare le operazioni sospette, perché complici o intimiditi. In altri è stato accertato che avevano addirittura manipolato il sistema informatico di rilevazione automatica, cancellando le tracce delle operazioni segnalate. Pur con tali limiti, quando le segnalazioni sono state effettuate, si sono spesso rivelate preziose per dare corso a indagini che si sono concluse con l’arresto di numerosi criminali e la confisca di ingenti capitali illegali. In questo difficile contesto, il recente scudo fiscale ha in parte cancellato e in parte affievolito l’obbligo di segnalare le operazioni sospette, rendendo così cieco –o gravemente ipovedente – il sistema di rilevamento dei possibili casi di riciclaggio. Infatti l’art. 13 bis, comma 3, del Dl n. 78 del 2009 ha disposto che non si applica l’obbligo della segnalazione delle operazioni sospette per tutti i casi i cui i capitali rimpa-

triati o regolarizzati derivino da una serie di reati sottostanti che vengono estinti dallo scudo fiscale: i reati tributari di omessa dichiarazione dei redditi o di dichiarazione fraudolenta e infedele. Vengono inoltre estinti una lunga serie di reati quando siano stati commessi per eseguire od occultare i reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto: alcuni reati di falso previsti dal codice penale (articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491 bis e 492), di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri, nonchè dei reati di false comunicazioni sociali previste dal codice civile (articoli 2621 e 2622).

Capitali di origine illegale immessi nel mercato seguito di tale normazione e del Aai capitali regime di invisibilità assicurato ‘scudati’, si è venuta a determinare per il vastissimo popolo degli imprenditori collusi l’opportunità di fare rientrare dall’estero capitali sporchi dei loro soci mafiosi occulti, spacciandoli falsamente come frutto di evasione fiscale per poi immetterli nel circuito produttivo. Si è aperta anche la possibilità di impiegare nell’attività economica capitali illegali in realtà detenuti in Italia, che possono essere fatti figurare come rientrati dall’estero. A tal fine è sufficiente infatti limitarsi a inviare per via telematica una semplice dichiarazione di rientro all’agenzia delle Dogane, senza alcuna possibilità di serio controllo, o ricorrere ad altri trucchi elementari. In una fase storica quale quella attuale, nella quale le banche hanno chiuso i rubinetti del credito e migliaia di imprese operanti nella legalità sono boccheggianti, è dunque elevato il ri-

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Così la mafia può tranquillamente far emergere il denaro, spacciandolo come frutto di evasione fiscale

NSA

scudata non è da considerarsi motivo di sospetto e poiché non è possibile valutare se sussiste la sproporzione di cui si è detto, si è in sostanza conseguito l’effetto di depotenziare in modo indiscriminato e incontrollato l’obbligo della segnalazione per tutte le operazioni effettuate allo sportello anche per cifre rilevantissime. Infine, per chiudere il cerchio, va considerato che la legge ha stabilito che le operazioni in questione sono coperte da assoluta riservatezza e non devono essere comunicate all’Amministrazione finanziaria; sicché neppure per tale via è possibile rilevare, a posteriori e in tempo utile, l’incongruità tra gli importi scudati ed il profilo economico del soggetto che ha fatto rientrare capitali dall’estero

Non c’è alcuna tracciabilità delle operazioni ‘scudate’ i si chiede perché mai non si è Cesigenze ritenuto di dovere coniugare le di liquidità di cassa dello Stato con l’esigenza di impedire l’indebita strumentalizzazione delle norme sullo scudo fiscale per riciclare capitali sporchi che, una volta immessi nel circuito economico, alterano la regole del libero mercato a discapito degli imprenditori onesti, già fortemente penalizzati dalla crisi economica. Eppure sarebbe stato sufficiente garantire la tracciabilità delle operazioni scudate e la loro visibilità agli organi competenti (Amministrazione finanziaria e Magistratura), mantenendo inoltre fermo l’obbligo di segnalare tutte le operazioni sospette senza eccezioni di sorta. I cittadini intenzionati a regolarizzare capitali frutto di evasione fiscale non avrebbero avuto nulla da temere, in quanto lo Stato garantisce loro l’immunità fiscale e penale. Gli altri – i mafiosi ed criminali – avrebbero capito che “non era aria”. Resta infine da chiedersi se l’abolizione dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette previsto dallo scudo fiscale non costituisca una violazione della direttiva europea anti-riciclaggio (n. 60 del 2005) che ha imposto agli stati membri della Comunità europea di prevedere nei loro ordinamenti l’obbligo della segnalazione di tutte le operazioni sospette. Il decreto legislativo antiriciclaggio italiano n. 231 del 2007 che prevede tale obbligo, è stato approvato proprio per dare esecuzione alla suddetta direttiva europea. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia europea, non solo qualsiasi giudice, ma – come è stato osservato – anche qualsiasi autorità pubblica è tenuta a disapplicare una norma interna (e tanto più una semplice circolare) contraria alla disposizione di una direttiva europea, applicando invece quest’ultima. Tra le pubbliche autorità rientra la Banca d’Italia. Sarebbe sperare troppo se almeno la Banca d’Italia, deputata a indicare agli intermediari finanziari i criteri ai quali attenersi per la segnalazione delle operazioni sospette, trovasse il modo di ricordare che la normativa europea è sovraordinata a quella nazionale e non prevede deroghe all’obbligo di segnalare le operazioni sospette?

Perchè non si è coniugata l’esigenza di liquidità di cassa con il rigore nelle verifiche sui beni rientrati in Italia?


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STORIE ITALIANE

L’UOMO DI SCORTA

Rischia la vita per lo Stato, ma a 17 anni dalle stragi di mafia deve proteggere anche chi si fa “baciare le mani” di Nando

Dalla Chiesa

uomo ha una sua eleganza. Età matura, le lunghe tensioni hanno scavato il volto, ma neppure troppo. Arriva sulla sua auto senza strafare. Nell’andatura tra i vicoli nulla lascia immaginare l’abitudine a volare su auto con sirena per tutelare l’incolumità di obiettivi sensibili, come personalità dello Stato impegnate nella lotta a Cosa Nostra. Appuntamento nel cuore del centro storico di Palermo e poi tranquilla passeggiata verso Mondello. Avere raccontato in teatro le avventure e il coraggio dei poliziotti (e delle poliziotte) delle scorte palermitane aiuta a ricevere qualche confidenza. Con che occhi vedono oggi da questa città la lotta alla mafia gli uomini che per scelta e per mestiere si trovano più esposti agli attacchi di Cosa Nostra? “Dicono che la mafia si sia mimetizzata – dice l’uomo della scorta – ‘Inabbisata’ è il termine più in voga. Io non lo so se sia vero. Finora forse è stato davvero così. Ma nessuno può sapere se e quanto durerà. La storia della mafia è stata sempre capita dopo. Noi dobbiamo essere sempre preparati al peggio. Alla moto che spunta d’improvviso accanto al finestrino perché si è rotto qualche equilibrio senza che tu ne sappia nulla. O all’autobomba che ti fa a pezzi perché qualcosa in alto è stato deciso. E allora non dipende neanche dai tuoi nervi, dalla tua prontezza di riflessi. Salti in aria e basta. Senza accorgertene. Magari perché qualcuno ha fatto degli errori”. Quali errori? “Per esempio quello che fecero in via D’Amelio con Paolo Borsellino. Che costò la vita al giudice. Ma costò la vita anche a cinque nostri colleghi, come sa. Ma possibile che non avessero bonificato la zona? Che a chiunque fosse consentito di posteggiare di fronte alla casa della madre? Tutti sapevano che ci andava ogni domenica pomeriggio. Un po’ di professionalità in più, mica tanta, avrebbe richiesto una tutela ferrea di quel tratto di strada. Magari l’istituzione di una zona rimozione. Morì anche quella povera ragazza, Emanuela Loi”. Una pausa, lo sguardo vaga da un’altra parte. “Sì – dice – l’ho conosciuta Emanuela. Era una novità per noi avere una ragazza in mezzo alle nostre paure e frenesie quotidiane. Eravamo sempre stati quasi tutti uomini, era il più maschile dei reparti. Occorre destrezza, forza, abitudine a sentirsi le armi addosso in qualsiasi momento. Ad avere le giacche e le camicie, anche d’estate, adatte alla pistola, mica è un giocattolo. Quando l’ho vista mi è sembrato che qualcuno portasse un po’ di allegria nel nostro lavoro. Non era come la battuta per sdrammatizzare che si fa tra colleghi nei momenti di tensione. Era un’altra cosa. Era solare, Emanuela. Rideva con gli occhi quando restituiva le mitragliette dopo il servizio. Avevo paura per lei. Che so, era una questione

L’

istintiva. Mi sembrava che fosse in pericolo, mi pareva troppo fragile per fare il nostro mestiere. Poi seppi che aveva come capopattuglia Agostino”. Qui di nuovo l’uomo delle scorte inghiotte qualcosa. Memorie di fumi infernali e rischi solitari, dolori, vittorie e delusioni. Agostino è Agostino Catalano, uno dei cinque agenti (gli altri si chiamavano Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina) fatti in pezzi dal tritolo di quella domenica di luglio. “Agostino era bravo, era preparato, era esperto. Perciò pensai che Emanuela fosse al sicuro. Invece tutti in aria. Perché in questi casi la tua bravura e il tuo sangue freddo non c’entrano più niente. Quando mi dissero che li avevano uccisi andai direttamente sul posto, perché non ci credevo, parola mia che non ci credevo. Dovevo vederlo”. Guida tranquillo, l’uomo delle scorte, ogni tanto mette la mano su una pistola alla sua destra, sottratta alla vista del passeggero. “Lei vuol sapere qual è la situazione oggi? Le rispondo con i dati raccolti dai nostri sindacati. Alla questura di Palermo, dicono, mancano circa trecento uomini rispetto agli organici, che sono quelli fissati nell’89, prima delle stragi. E delle 540

auto assegnate alla questura, ben 190 sono praticamente fuori uso. Un terzo delle auto fuori uso. Rendo l'idea? Non so se sia vero, ma non ho motivo di dubitare delle cifre raccolte dai nostri colleghi. Quanto alle auto delle scorte, abbiamo venti blindate con

Questura di Palermo: sotto organico di 300 uomini, con auto blindate vecchie e molte fuori uso

Emanuela Loi, rimasta uccisa nella strage di via D’Amelio, di cui uno scatto è nella foto in basso (FOTO ANSA)

fa un rumore spaventoso e allora per la vergogna mi volto dall’altra parte per non incrociare lo sguardo dei cittadini fermi sul marciapiede”. Eppure, lui continua a sentirsi molto legato a questo lavoro. “Non solo perché mi sento utile allo Stato, ma anche perché nella maggior parte dei casi serve a proteggere persone che stimo moltissimo per quel che fanno. Sarei potuto tornare nella mia regione, andare a vivere a duecento metri dalla casa dei miei ma sono rimasto qui. Anche se devo mandar giù palate di indignazione. Immagina che cosa provo quando vedo decine di persone mettersi in fila per baciare le mani a persone a cui sono costretto a fare la scorta? Immagina cosa provo io quando sento dire da certi pulpiti che Vittorio Mangano era un eroe? Ho fatto cose da rischiare la vita, non solo scortare giudici e investigatori. Ho svolto indagini che nessuno sa, se non una o due per-

sone. Ma proprio perché certe cose non sono note ed è bene non le si divulghi, nessuno mi ha mai detto grazie”. L’uomo fa una pausa, guarda il mare alla sua destra. “Ma non è questo che mi interessa. A me importa solo una cosa. Che noi delle scorte non veniamo visti come gorilla. Vede, a noi viene richiesta una professionalità altissima e siamo orgogliosi di averla. Così come siamo orgogliosi della nostra disciplina. Per questo mi disturba che ancora oggi si dica che noi uomini delle scorte ci ribellammo alle autorità dello Stato dopo le stragi. Questo non è vero. Facemmo solo una legittima manifestazione sindacale. Non ci siamo ribellati. Non c’è mai stata insubordinazione. Anche se si saltava per aria. Noi sappiamo bene che cos’è la disciplina. Lo faccia sapere, per favore”. Il sole è alto su Mondello. Questo è uno dei volti dello Stato nell'Italia senza bussola.

‘NDRANGHETA

LA NOTTE CHE I BOSS SE LA PRESERO CON I DISABILI di Elisabetta Reguitti

'ndrangheta, a Lamezia Terme, colpisce i disabili. Quando le miLvoluti, nacce di morte a un prete non riescono ad ottenere i risultati passa alle vie di fatto cercando di fare piazza pulita intorno a lui oppure, che è anche peggio, mettendo a repentaglio la vita di persone diversamente abili. Ci vuole davvero coraggio per fare un'azione così vile, ma questo è accaduto nella comunità Progetto Sud fondata 33 anni fa – e ancora guidata – da don Giacomo Panizza. Stiamo parlando di una realtà che fa riferimento al Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza) impegnata nell'inserimento lavorativo di tossicodipendenti, nomadi, malati mentali e in prima linea sul fronte della legalità e della lotta alla mafia Ma torniamo al fatto. Pioveva quella notte. Su Lamezia si era scatenato il temporale: nel cielo bagliori di lampi e nell'aria fragorosi tuoni che hanno permesso a qualcuno, in modo del tutto indisturbato, di manomettere le auto di due persone portatrici di handicap dipendenti della comunità. Sono stati tagliati i cavi dei freni e manomesso il sistema Abs. Lo hanno confermato i meccanici il giorno seguente quando uno dei proprietari dopo aver acceso l’auto si è reso conto subito che qualcosa non andava. È riuscito a mantenere il controllo dell’auto con il freno a mano andando solo a sbattere. Ma le cose potevano davvero andare peggio perché, come spiega lo stesso don Giacomo, la sede di Progetto Sud si trova in cima a via Conforti: una percorso stretto ripidissimo con due curve a gomito e

CLAN AL NORD

CONVEGNO A MILANO, PENSANDO ALL’EXPO

R

più di duecentomila chilometri addosso. Sarà ovunque così, forse. Ma noi siamo in una situazione di frontiera. Sa, ricordo bene il ministro Scotti quando era agli Interni e diceva ‘mai più senza blindate’. Come a dire, adesso vi daremo auto adatte alla missione che lo Stato vi ha affidato. E invece siamo di nuovo a terra. Certe volte mi capita di passare davanti alle fermate degli autobus con la marmitta che

ischio Expo. Ma anche usura, droga, racket, omicidi. Milano dice no alla mafia. “E alla volontà del governo di mettere all'asta i beni dei clan, dando la possibilità ai mafiosi di riprenderseli” ha detto Francesco Forgione, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, riferendosi a un emandamento approvato pochi giorni fa dal Senato. Se ne è parlato ieri in un affollato convegno organizzato dal Pd milanese e impreziosito da una lettera di Saviano. “In vista di Expo, ma anche sull'oggi”, questo il punto fissato da David Gentili consigliere del Pd e membro del Comitato antimafia, nato dopo la bocciatura da parte della giunta Moratti della Commissione d'inchiesta sulla mafia. Ieri ha parlato il procuratore Alberto Nobili, memoria storica della lotta ai clan sotto la

Madonnina: “Il rischio vero sono i collegamenti, qui al nord, tra mafia e politica locale”. Oggi sempre più stretti. Il controllo del territorio, sempre più forte da parte dei clan e sempre meno da parte delle forze dell’ordine, è stato sottolineato invece da Gabriele Ghezzi del Siulp. Decisivo l'intervento del magistrato milanese Laura Barbaini, da sempre in prima linea nella lotta alle cosche. “Oggi le leggi per combattere la mafia ci sono basta applicarle”. Anche se poi “l'infiltrazione dei clan è sempre più difficile da scovare, visto che spesso il denaro delle cosche si nasconde dietro gli aumenti di capitale di società apparentemente pulite”. Imprese e appalti sono stati un punto nodale del dibattito. Su questo è intervenuto anche Lucio Stanca, amministratore delegato di Expo 2015 Spa, promettendo maggiore controllo nel “movimento terra” settore da sempre monopolio della 'ndrangheta. Davide Milosa

termina su di una strada molto trafficata. L’intenzione quindi era fare davvero male questa volta. Pensare che il sacerdote, nato a Pontoglio (in provincia di Brescia) e trasferito ormai da anni in Calabria c’era quasi abituato a queste cose: ruote tagliate, ritorsioni, avvertimenti e perfino una minaccia di morte davanti alle forze dell’ordine approdata poi in tribunale. Ma lui non si era mai lasciato intimidire. Figuriamoci: uno che prima di prendere i voti aveva fatto l'operaio metalmeccanico in fabbrica è abituato a lavorare e a guardare avanti. Nel 2001 però don Giacomo è stato obbligato ad accettare ‘una protezione’ (non vuole parlare di scorta) e l’ultimo episodio, lo ammette, ha davvero lasciato il segno in tutti. “Un gesto malvagio di chiaro stampo mafioso. E ciò che è peggio, compiuto non contro la mia persona bensì contro a quanti lavorano con me. Brutto. Davvero brutto. Ora siamo davvero preoccupati”. Il sindaco Gianni Speranza attacca: “Una vera vigliaccheria. Prendersela con persone disabili è davvero sinonimo di miseria umana”. La città secondo il primo cittadino è divisa tra l’indignazione di chi condanna e la volontà di quanti invece stanno cercando di organizzare un fronte sociale e politico contro la legalità. In vista delle prossime elezioni comunali. Ma tornando al grave fatto avvenuto ai danni dei ragazzi di Progetto Sud è bene ricordare che a don Giacomo, in tutti questi anni, non hanno mai perdonato il fatto di essere riuscito a “rompere l'immaginario della paura”: ad aprire una breccia tra chi preferisce non fare evitando così di dare fastidio. Di essere a fianco degli imprenditori antiracket come Rocco Mangiardi che ha avuto il coraggio di denunciare e indicare, in tribunale, i suoi estorsori della cosca dei Giampà. Don Giacomo e i suoi 140 ragazzi (per 500 persone assistite) hanno dimostrato che una comunità di assistenza ha ragione di esistere nella società, aprendosi alla vita di tutti i giorni e non chiudendosi in se stessa come, al contrario, avrebbero preferito coloro che hanno agito quella notte. E va aggiunto che, nel 2002, la comunità ha voluto prendere in gestione un palazzo nel quartiere Capizzaglie confiscato alla potente cosca dei Torcasio. Un edificio-simbolo che nessuno aveva avuto il coraggio di mettere a ‘buon frutto’ anzi alcuni ricordano che pure i vigili urbani scesero in piazza manifestando contro l'intenzione di trasformare quella grande costruzione nel nuovo comando. Fu una sfida che invece don Giacomo accettò. Il Prefetto di allora gli disse che se avessero accettato, anche altri si sarebbero fatti avanti e fu davvero così perché in poco tempo molte altre associazioni occuparono altri edifici della mafia. Attualmente nel palazzo è attivo un servizio autogestito dai ragazzi diversamente abili, c’è poi il gruppo dei giovani senza genitori, ha aperto anche la sede regionale di Banca Etica e all’ultimo piano quella dell'associazione Re-evolution legalità. Troppe attività libere per chi, al contrario, vuole il controllo del territorio e soprattutto delle persone. Troppo lavoro pulito per chi vive del lavoro sporco dell'estorsione ma anche della disponibilità data da giovani che vogliono guadagnare qualche soldo senza troppa difficoltà. Ed è proprio a loro che don Giacomo, pur manifestando tutta la preoccupazione per le persone che operano nella sua comunità, rivolge un pensiero. Ai giovani ingaggiati per mettere ko le auto immaginandoli sdraiati per terra, con la schiena inzuppata nel lago d'acqua, mentre si accaniscono sull'Abs: vittime anche loro di persone pronte ad usarli per poi gettarli. L’augurio del prete è che si fermino a riflettere, a pensare che la loro libertà non è essere bassa manovalanza di cosiddetti ‘boss. Che se la prendono con persone disabili.


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DAL MONDO

AMERICA LATINA MOLTI VOTI E TANTE ARMI Nell’anno elettorale, il boom delle spese militari inquieta gli Usa di Maurizio Chierici

America latina riprende il fucile. Quando Obama torna dall’Asia deve chiudere un’altra ferita dell’Amministrazione Bush, quel continente condiviso e abbandonato: si riarma alla vigilia di elezioni che potrebbero retrodatarne la storia. Nei paesi grandi e piccoli provano a tornare le destre di vecchia memoria. Finora Obama se l’è sbrigata da lontano. Un solo viaggio, due ore di chiacchiere, amicizia di routine nella conferenza interamericana di Trinidad e Tobago. Troppo poco. Lula se ne lamenta: non può trascurarci così. Il Brasile non è d’accordo sulle 7 basi militari americane che la Colombia ha domiciliato nelle caserme dell’esercito nazionale: 600 assistenti di bandiera stelle e strisce più un numero indefinito di contractors, mercenari della Global Cst israeliana proprietà del generale in pensione Israel Baruck Ziv. Guidano le truppe antiguerriglia e allargano l’addestramento ad aviazione e marina non proprio strategiche nella caccia a chi si nasconde nella foresta. Allora, a cosa servono? Piani segreti nei quali è incluso il Perù. Sempre il generale Baruck Ziv ha firmato un contratto da 9 milioni di dollari che è un tesoro nella Lima dall’emigrazione disperata. Attorno alle Ande fioriscono poligoni e campi di guerra simulata. Fernando Lugo, vescovo dei poveri che ha pregato il Papa di scioglierlo dagli obblighi dell’unzione per diventare presidente dei contadini soffocati dall’invasione delle multinazionali della soia; Lugo lancia l’allarme per l’imponenza delle truppe seminato da Evo Morales non

L’

solo a ridosso della frontiera Paraguay ma lungo il confine col Brasile. Bush aveva rinvigorito la base aerea paraguaiana a lungo dimenticata. Pista allungata per aerei militari pesanti. Bombardieri, insomma. Occhi aperti e interventi rapidi Onu se i tre paesi attorno alzano la voce con arsenali ben forniti. La Paz sta accumulando missili e carri russi che Chávez concede. Più cannoni e carri armati cinesi e istruttori che dovrebbero essere venezuelani ma è probabile arrivino da Cuba. Può il Cile guardare senza alzare un dito? Con Brasile, Colombia e Venezuela appartiene al jet set delle potenze in riarmo. L’America latina ha speso 74 miliardi di dollari in due anni, l’80 per cento sborsati da quattro presidenti che si attrezzano a esorcizzare paure al momento immaginarie. L’ultima guerra (“del pallone”, Salvador-Honduras) risale agli anni Cinquanta. E nella scuola de Las Americas aperta a Panama fino a 9 anni fa, reduci dal Vietnam insegnavano a contenere “turbolenze” interne, mai violazione di confini. Insomma, repressioni. Tecniche applicate sul campo dal generale Pinochet. La casta militare cilena non comprende solo divise e occhiali neri: è una struttura con banche e industrie belliche. Perfino un vescovo e la sua cattedrale. Ma con la Bachelet presidente le ali si abbassano. Meno libertà di spesa e produzione, più controlli politici che ne limitano l’indipendenza e sorvegliano la fabbricazione degli arnesi da guerra. Eppure negli ultimi 20 mesi Santiago ha comperato 18 aerei da combattimento, cannoni a lunga gittata, missili e radar che in-

tercettano: sempre di fabbricazione Usa. Il Brasile non bada a spese e a fornitori: 36 caccia bombardieri, 5 sottomarini, 250 carri armati, 50 elicotteri da combattimento. Francia e Usa le botteghe. Dalle officine brasiliane escono aerei che il Pentagono ha comperato pochi mesi fa, soprattutto ammassati negli hangar di casa. “Vogliamo solo attrezzarci e mostrare i denti per scoraggiare ogni tentazione esterna”. Lula risponde così annunciando il primo sommergibile nucleare fabbricato in America latina. Quale tentazione? Le tentazioni suscitate da un paese saudita: giganteschi giacimenti di gas e petrolio. Meglio essere pronti. Tentazioni di chi? Risposte che sfumano. Lo scandalo resta il Venezuela. Chávez torna da Mosca con contratti per missili Sam 300 terra-aria, missili Sukhoi Su-24 e missili a lungo raggio: possono arrivare nel Texas. Armi leggere e radar antiaerei, 100 carriarmati T-72. Il Pentagono insegue tracce di altre spese in Siria e Iran. Ed è nata una milizia popolare che moltiplica 13 volte il numero dei venezuelani in divisa: sono 78 mila, contro i 230 mila della Colombia, rapporti di vecchio amore e nuovo odio per le basi Usa accolte da Bogotà. La milizia popolare venezuelana allarga le file degli uomini in armi con un milione di giovani che non obbediscono alle gerarchie tradizionali: direttamente al presidente. Argentina, Uruguay,

Una parata dei soldati dell’esercito brasiliano. Sotto, Cesare Battisti (FOTO ANSA)

Paraguay e i paesini centroamericani si accontentano degli spiccioli, anche se Cina e Iran aprono crediti per restaurare gli arsenali del Nicaragua. Da Honduras e Paraguay sintomi inquietanti della divisione che resiste tra i superstiti dell’Amministrazione Bush e gli uomini di Obama. Gli Stati Uniti sono impegnati a restituire la normalità democrati-

ca al paesino travolto 5 mesi fa dal golpe che ha detronizzato il presidente latifondista Zelaya e insediato il presidente latifondista Micheletti. Ma a Tegucigalpa arrivano contractors israeliani e paramilitari colombiani. L’impegno di Hillary Clinton impone accordi che tutti firmano, ma che tutti tradiscono. L’Honduras voterà a fine mese sapendo che nessun paese riconoscerà il risultato elettorale. Eppure il caos va avanti, protetto da quali anime di Washington? L’altro posto dalla pancia molle è il Paraguay. Negli ultimi 13 mesi, il presidente Lugo ha cambiato 5 volte la cupola militare denunciando cospirazioni golpiste. Curiosamente le insurrezioni del vecchi poteri crescono sempre attorno a basi Usa, al nord e al sud del continente. Le spiegazioni del riarmo so-

no tante. Difesa delle risorse energetiche, difesa dell’integrità dei territori nazionali minacciati dalle guerriglie. Altre ipotesi scavano nella corruzione endemica: i mercanti di armi pagano provvigioni nere che triplicano il valore della merce. E le nuove borghesie politiche ingrassano come le famiglie rovesciate nel nome della democrazia trasparente. Morale amara: le agenzie Onu fanno sapere che per restituire dignità e strappare alla miseria il 40 per cento della popolazione latina, servono 43 miliardi di dollari, 31 in meno delle spese che ingrassano gli arsenali. Basterebbe rivedere gli acquisti, anche se il sospetto non cambia negli anni: la disperazione può essere l’arma segreta coltivata dalle furbizie del colonialismo economico. Obama non dovrebbe voltare la testa.

Il Brasile vuole difendere le sue ricchezze, il Venezuela ai ferri corti con la Colombia per “colpa”degli Yankee. Ognuno ha i suoi motivi per prendere il fucile

Mendes, il giudice di ferro è la chiave della libertà di Battisti SARÀ IL PRESIDENTE DELLA CORTE DI BRASILIA A DECIDERE L’ESTRADIZIONE DELL’EX TERRORISTA, CHE HA INIZIATO LO SCIOPERO DELLA FAME di Piero Armenti

esare Battisti ha iniziato lo sciopero della fame Cfinale, per evitare di essere estradato in Italia. Un colpo per riportare l’affaire dal piano giudiziario a quello politico, intenerire l’opinione pubblica, e spingere il presidente brasiliano Lula a confermare l’asilo anche contro un eventuale verdetto negativo del Supremo tribunale federale. Che la partita giudiziaria Battisti l’abbia persa lo pensano un po’ tutti: manca il voto del presidente del Tsf Gilmar Mendes, ma nessuno dubita delle sue intenzioni contro Battisti. A rivelarsi fu egli stesso con alcune dichiarazioni pubblicate su Folha, principale quotidiano brasiliano, in cui sosteneva che la decisione del Tsf doveva essere rispettata dall’esecutivo: per molti una implicita dichiarazione di voto a favore dell’estradizione. Si preannuncia così la classica lotta tra potere giudiziario ed esecutivo in una materia che lascia spazio alle più diverse interpretazioni, c'è poi l'Italia che fa la voce grossa proprio mentre The Economist celebra in copertina i fasti del Brasile. Ma si possono trovare nella biografia di Mendes le ragioni di un eventuale voto contro Battisti. Appassionato studente di giurisprudenza, dottorato in Germania, professore a Brasilia di Diritto costitu-

zionale, dopo una brillante carriera giuridica nel 2002 è approdato al Supremo tribunale federale (di cui è diventato presidente nel 2008), indicato dall’allora capo di Stato Henrique Cardoso. Dopo la nomina Mendes doveva essere confermato dal Senato federale. Di solito una passeggiata, non per lui. Riuscì a passare grazie al voto compatto del partito di governo, i socialdemocratici di Cardoso (opposti al Partito dei lavoratori di Lula), ma ottenne anche il record storico di voti contrari. Qual era il problema? “È un conservatore” sintetizzò il senatore Edoardo Suplicy. Da un conservatore nessuno si aspetta simpatia verso un rivoluzionario stile Battisti, né pare possa lasciarsi commuovere dallo sciopero della fame. Quando si pronuncia, Mendes, ha la fama di duro che guarda solo al diritto. Lo ha dimostrato nel caso del banchiere Daniel Dantas, implicato in scandali di corruzione. Venne arrestato nel luglio 2008, poche ore dopo Mendes ne decretò la liberazione per questioni procedurali, proprio mentre l’opinione pubblica ne chiedeva la forca. Molti dubitarono della sua onestà, si guadagnò una richiesta d’impeachment, ma è ancora al suo posto, ago di una bilancia che forse non servirà a niente: per il giornale O Estado Lula (che domani incontrerà a Roma Berlusconi) avrebbe già deciso di tenere Battisti in Brasile.

BUONE NOTIZIE

a cura della redazione di Cacaonline

L’EOLICO CHE NON ROMPE LE PALE Tornado buono. Potrebbero entrare in funzione già dalla fine di quest’anno le nuove turbine “Tornado Like”, progettate da ingegneri russi e realizzate in Italia dalla “Western Co. snc”, società di San Benedetto del Tronto. Il nuovo impianto eolico non prevede le classiche pale bensì un cono, in grado di generare una sorta di vortice d’aria potentissimo, che aziona le turbine. I normali aerogeneratori raggiungono i 20-30 metri di altezza, questo non supera i due-tre metri e produce energia anche con venti deboli, fino a 2 metri al secondo (meno di uno starnuto).

Infine costa il 30 per cento in meno alle macchine tradizionali. Un primo impianto sperimentale sarà installato nel Parco dei Monti Sibillini. Un altro esempio di turbina eolica senza pale è il Power Air Rotor System, una micromongolfiera, gonfiata con elio, che una volta fatta salire in quota (120-300 metri) gira orizzontalmente alimentando un rotore, il quale produce energia rinnovabile. Il tutto al costo di un palloncino. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)


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DAL MONDO

Che state a Fao?

N IRAQ

“Un’Abu Ghraib britannica”

I

l quotidiano The Independent rivela casi di torture dei militari (anche donne) del contingente britannico in Iraq con torture e umiliazioni, anche sessuali, contro prigionieri iracheni in uno scandalo dalle forme assai simili al famigerato carcere usato dagli americani.

VERTICE A ROMA, ASSENZE E RISCHIO-FLOP La sede della Fao a Roma (FOTO ANSA) di Stefano Citati

essanta capi di Stato, forse altrettanti capi di governo, una manciata di ministri e sottosegretari per parlare di un miliardo di persone e trovare loro risorse e strategie per farle arretrare dall’orlo della fame. È l’assemblea generale della Fao, l’agenzia alimentare dell’Onu,

S

con sede a Roma, accanto al Circo Massimo, off limits da domani a mercoledì. Entrano solo delegati, leader, addetti ai lavori, ma la lista ufficiale subisce continue modifiche per disdette (nessun leader del G8 se non il premier italiano) e nuove adesioni. Nella sala nella quale riecheggeranno ancora gli applausi che avvolsero in passato Fìdel Castro e altri co-

Visti a Roma/1

siddetti dittatori - questa volta ci saranno Gheddafi, Mugabe e pochi altri - il Papa, Berlusconi, il segretario generale delle Nazioni Unite, il segretario della Fao Diouf (gli ultimi due pannellianamente in sciopero della fame - da venerdì - in sostegno delle popolazioni del Terzo Mondo, come il sindaco Alemanno) discuteranno di azioni globali per la sicurez-

Visti a Roma/2

Gheddafi, l’eterno colonnello ora è anche utile

Mugabe, il satrapo che si fa chiamare “compagno”

Giancesare Flesca

el suo ultimo libro di racconti, Muhammar GhedNsperduto dafi si presenta così: “Sono un povero beduino senza neppure un atto di nascita”. Ma il beduino della tribù Ghedafah ha celebrato poche settimane fa il 40° anniversario dell’ascesa al potere, con un colpo di stato militare quasi del tutto incruento. Tutto l’occidente, che lo odiava, ha partecipato in spirito o di persona ai festeggiamenti, perché il colonnello di Tripoli è riuscito in qualche anno a chiudere il contenzioso che lo separava dal resto del mondo a suon di dollari, restituendo un pizzico di verginità politica al suo regime, che in questo periodo ha attraversato diverse fasi, alcune delle quali anche nel segno di un terrorismo spietato e militante. Adesso invece l’80enne rais conserva del suo passato solo alcune eccentricità, come quella di portarsi all’estero la tenda beduina obbligando diplomazie e servizi segreti alle capriole più rischiose: dopotutto nella sua carriera Gheddafi ha subito almeno una quindicina di attentati. Lo protegge una guardia del corpo formata da sole donne, quasi tutte provenienti dalla sua tribù. Ma perché nonostante tutto è stato riammesso nel salotto buono dell’Occidente? Semplice. La Libia laica rappresenta un solido bastione contro l’avanzata fondamentalista nel Maghreb. In quarant’anni, il signore di Tripoli ha fatto costruire 103 ospedali, 11 università, 8 aeroporti, 25mila chilometri di strade. E le moschee? Ne son state inaugurate solo tre.

in una sventurata regione dove hanno goCda,erto, vernato personaggi come Bokassa o Idi Amin Daperfino Robert Mugabe può apparire quasi un umanista. Dei suoi colleghi condivide il gusto per lo sfarzo e per la corruzione. Come loro ha ingannato, tradito, usato il suo popolo, come loro ha vissuto i suoi rapporti con i bianchi a corrente alternata. A differenza degli altri, Mugabe, che si definiva cattolico e marxista, è stato democraticamente eletto 5 volte, con le buone o con le cattive, dai suoi sudditi, gli abitanti di quella che un tempo era la Rhodesia felix di Ian Smith e oggi invece è lo Zimbabwe. Un paese devastato dalla crisi economica, dalle malattie (un cittadino su 4 è malato di Aids), da un regime poliziesco feroce e violento, contro il quale oggi è schierata più della metà della popolazione che stavolta Mugabe non pensa proprio di chiamare al voto. A differenza degli altri due compari centroafricani, Mugabe non viene dalla caserma ma da una scuola di gesuiti, non è analfabeta ma sette volte laureato. Quarant’anni fa quale terzomondista occidentale, quale uomo di sinistra, avrebbe potuto credere che il compagno Robert Mugabe, l'eroe dello Zapu che combatteva in armi contro l’arroganza dei coloni bianchi di Rhodesia, che entrava e usciva dalle prigioni di Salisbury, che dirigeva carismaticamente la sua prima e la seconda chimurenga la guerra sacra, proprio lui, una volta al potere, sarebbe divenuto un decrepito satrapo cinico e avido, che del tempo andato avrebbe conservato solo il vezzo di farsi chiamare “compagno”? (G.F.)

La ricetta di Küng: il Papa dica sì alla pillola di Francesco Comina Brunico

nche per Hans Küng è venuto il moAottant’anni mento di raccontarsi. Superati gli il grande teologo tedesco ha deciso di uscire nelle librerie con un testo autobiografico. Was ich glaube, “In cosa credo” (per ora solo in edizione tedesca) è stato presentato a Brunico in una sala affollatissima. Lo incontriamo poco prima della conferenza. “Scrivo per tutti quelli che sono in ricerca, che non sono soddisfatti dal modo tradizionale di professare la fede sia romana che protestante. Scrivo per chi non si sente a proprio agio in una spiritualità in stile wellness o in una semplice fede intesa come balsamo per la vita. E per rispondere alla domanda che dà il titolo al libro, frutto delle lezioni all’Università di Tubinga (dove è stato collega e amico di Ratzinger, ndr), dove a migliaia sono venuti per sentire il racconto di una visione di

fede libera, gioiosa, aperta. Non bastano più i catechismi, non sono sufficienti i libri di religione, i corsi di formazione e nemmeno la Bibbia presa solo come libro di studio. Tanti cercano una fede comprensiva di tutto, che si combina con un’etica adeguata al Terzo millennio. Negli ultimi anni si è assistito a un irrigidimento di posizioni del dialogo interreligioso. “Ho protestato fortemente contro la dichiarazione Dominus Jesus sulla unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa come se l’unica chiesa perfetta fosse la cattolica. Critico il tentativo di restaurazione in atto, specialmente il Concilio Vaticano II. Su questioni fondamentali come il ruolo della donna, quello dei laici, il celibato dei preti la chiesa ha un atteggiamento di difesa dello status quo. Mi viene da pensare che Gesù avrebbe serie difficoltà a capire l’apparato ecclesiastico di oggi”.

za alimentare. E tutti i partecipanti saranno forniti di kit per rilevare l’influenza suina. Possibile un flop annunciato - come scritto dall’Avvenire che ha recensito la bozza finale, già preparata - dei “5 Principi di Roma”: investire nei programmi di sviluppo rurale dei singoli governi (ovvero, più microprogetti e meno indistinti aiuti “a pioggia”), rete di coordinamento per evitare sprechi eccessivi (come in passato), risolvere non solo le emergenze croniche ma programmi a medio e lungo termine per sradicare le cause di fondo, migliore collaborazione tra agenzie mondiali e infine vigilare affinché le promesse si realizzino. Tanto buon senso si scontra con i fondi e la volontà: secondo i calcoli servono 44 miliardi di dollari

l’anno per gli aiuti agricoli, legati ai Millennium Goals lanciati dall’Onu nel 2000 e teoricamente in scadenza nel 2015 per dimezzare la fame nel mondo. Ci credono ormai poco gli esperti: meglio rimandare tutto al 2040, e forse i leader ancor meno, anche se ne discuteranno nel palazzo d’epoca fascista, dove Gheddafi ha fatto sistemare una tenda beduina e dove il brasiliano Lula chiederà la prossima presidenza Fao e i russi si affacceranno per la prima volta, visto che sono divenuti membri solo un paio di anni fa. Il carrozzone del bene, che tenterà di dimostrare la sua necessità e un po’ di efficenza ha già almeno risparmiato sull’organizzazione: l’Arabia Saudita ha versato 2,5 milioni di euro per le spese.

FUGA NEL TERZO MONDO

Dissidenti arrestati prima di Obama

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umerosi dissidenti cinesi sono stati arrestati alla vigilia dell’arrivo del presidente americano Barack Obama (qui sopra con il premier di Singapore al vertice dell’Apec) per la prima visita ufficiale in Cina. Lo affermano gruppi umanitari internazionali.

di Belfagor

Anche B. ha fame Di impunità

A

chi chiama la Fao per conoscere l’agenda del Vertice, capita di sentirsi rispondere: “È probabile che Berlusconi sia qui dalle 8 a mezzanotte, altrimenti dovrebbe andare al tribunale di Milano...”. Ma che domani il Cavaliere presenzi alla Conferenza Fao per sottrarsi all’udienza del processo Mediaset è un’infame insinuazione. È nota la dolente passione del nostro premier per il Terzo mondo, come dimostrano il taglio dei fondi alla cooperazione e la sua memorabile performance al vertice Fao del giugno 2002. Esordio: “Un saluto a tutti voi, ma in particolare alle belle delegate”. Brusìo fra le signore. Poi intervenne il direttore Fao, il senegalese Jacques Diouf, e il Cavaliere lo apostrofò spiritosamente: “Dovresti dimagrire un po’”. Altro brusìo. Il presidente del Togo Gnassingbè Eyadéma stava raccontando la tragedia del Malawi, dove stavano morendo di fame 13 milioni di persone. Sconvolto dalla commozione, Berlusconi lo interruppe: “Bisogna accorciare i tempi degli interventi perché la nostra non sarà una tragedia, ma anche noi abbiamo fame… Grazie di essere stati con noi, il pranzo è pronto, spero che il menu sia totalmente italiano, così sarete soddisfatti”.

Lei affronta questioni spinose come il rapporto fra il vivere e il morire. “C’è una responsabilità individuale che bisogna tenere presente anche in quella che chiamo la ‘dignità del morire’. È una questione delicata perché s’intreccia con un elemento esistenziale, profondo sintetizzabile con queste domande: ‘Come voglio morire io? Come è morto mio fratello?’. Mors certa, hora incerta. Siamo coscienti che la morte arriverà, ma non sappiamo l’ora. Su questi temi le ideologie sono perniciose”. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sancito che la croce è un simbolo che non si può imporre. “La croce è essenziale per il cristiano. È un messaggio di vita, di speranza, di gioia. Nella storia però la croce è stata brandita come un’arma, è stata utilizzata come strumento di condanna degli eretici. Non è sempre stata un segno di benedizione. Capisco che ci siano

CINA-USA

delle persone che manifestano dubbi o avversioni nei confronti della croce appesa nelle scuole, però non credo che il radicalismo laicista sia la soluzione al problema. La Corte europea non può legiferare su tali questioni ma sono gli Stati a dover disciplinare la materia. Sono uno strenuo difensore della libertà religiosa ma anche convinto che per la maggior parte delle scuole italiane o tedesche la croce non sia un’offesa, semmai è la mancanza di dialogo e ascolto alla base di molti conflitti. Papa Benedetto XVI aprirà i lavori al vertice della Fao sulla sicurezza alimentare. Cosa si aspetta dica il Pontefice? “Qualcosa sull’esplosione demografica inaccettabile. Il problema della fame si combatte con una politica di controllo delle nascite. La pillola è uno strumento efficace per evitare il collasso della popolazione. La chiesa non può continuare a demonizzare i metodi contraccettivi”.

KOSOVO

Prime elezioni democratiche

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iglia di silenzio elettorale in Kosovo in vista delle elezioni municipali di oggi, le prime dalla proclamazione di indipendenza dalla Serbia nel febbraio del 2008. Il presidente del Kosovo Fatmir Sejdiu e il premier Hashim Thaci hanno auspicato che il voto avvenga in modo democratico e senza incidenti.

ETIOPIA

Avanzata dei ribelli dell’Ogaden”

I

ribelli del Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden che combattono dal 1984 contro il governo di Addis Abeba per l’indipendenza hanno affermato di aver conquistato sette cittadine della regione ricca di petrolio al confine con la Somalia.

IRAQ

“Falluja città di tumori”

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Falluja è emergenza tumori: nella città nel centro dell’Iraq dove nel 2004 le forze Usa usarono munizioni al fosforo bianco, si registra un aumento di casi - fino a 15 volte rispetto al normale di bimbi nati deformi o affetti da gravi forme di tumore, denuncia il quotidiano britannico The Guardian.


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

Mesina L’ex bandito sardo non andrà all’Isola dei famosi

Er patata L’attore di Romanzo criminale trovato con hashish

Cage Nei guai con il fisco: all’asta due ville di Los Angeles

Mingardi Per Sanremo in dialetto pronto un brano rock in bolognese

PREMIO VOLPONI

AMBROSOLI Scegliere si può sempre Il libro di Umberto, figlio del banchiere assassinato Umberto Ambrosoli (FOTO ANSA) di Sandra

Amurri

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arlo Azeglio Ciampi, nella prefazione, definisce “militante” l’impegno di Umberto Ambrosoli, autore di “Qualunque cosa succeda” (Sironi editore), avvocato penalista, figlio di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona, ucciso da un sicario nella notte tra l’11 e il 12 luglio del 1979. Libro che oggi alle 17.30, sarà presentato a Porto Sant’Elpidio a Villa Baruchello nella VI edizione del Premio letterario nazionale “Paolo Volponi”: “Letteratura e impegno civile” iniziato ieri a Urbino, sua città natale, che si svolgerà fino al 17 in diversi luoghi della provincia di Fermo e che vede tra i finalisti “Lotta di classe” (Einaudi) di Ascanio Celestini, “Cristi polverizzati” (Le lettere) di Luigi Di Ruscio e “Il contagio” (Mondadori) di Walter Siti. Storie,

quelle di Ambrosoli e Volponi, di uomini incollati al presente e uniti da una visione ideale molto forte. Persone che hanno affermato, in ambiti e con modalità diverse, la propria libertà con se stessi restando ciò che erano, e con gli altri rifiutando i compromessi, i ricatti della politica. La scelta, dunque, di presentare al Premio Volponi, un libro di rara intensità, convincente e commovente, scritto da un figlio affinché i suoi figli comprendano “quale esperienza eccezionale sia essere uomini, cittadini, genitori e costruire con la propria vita la società in cui si desidera vivere”, rafforza quella definizione di “militanza”. ilitanza che per UmberM to è vivere “sentendosi parte di un bene comune facendo il proprio dovere” sottolineando, senza mai scadere nella retorica, che “Altri avevano rifiutato quell’incarico come una grana da schivare” che suo padre “accettò con senso di responsabilità senza combattere nessuna guerra santa” perché “ciascuno di noi ha la possibilità di dare il meglio… Che si tratti della famiglia, della propria città, dell’azienda nella quale lavora o dell’interesse generale del paese è solo una questione di opportunità di scelte”. “E che ritroviamo

negli scritti di Volponi in quel rispetto del paesaggio che si fa abitare, nella descrizione della fabbrica come luogo disumano denso di umanità, che nasce dalla passione per l’umanità anche un po’ folle di cui i suoi personaggi sono densi. E nella sua consapevolezza che non tutto è perduto: “Il nostro è un paese sgangherato ma non è ancora morto. E anche nella cultura, nella letteratura, perché non siamo tutto e soltanto nella te-

levisione, tutto e soltanto nella plastica. C’è ancora molto che freme, frigge, farnetica”. E’ il credere che l’esempio educhi e che di esempi l’oggi, così ricco e diseguale, sia maledettamente povero. “Muovendo lo sguardo da quei giorni all’oggi, mi sembra che l’unica vera differenza stia in una maggiore sfrontatezza” osserva Umberto Ambrosoli nel praticare un’illegalità diffusa a cui c’è un solo rimedio: “Il rispetto delle

regole, che vuol dire che la collettività ci sta a cuore, che riconosciamo la sua supremazia, anche rispetto a ciascuno di noi. La storia di papà dimostra che una scelta c’è sempre. E’ l’essere soli che può renderla tragica, ma certo non impraticabile né errata”. Il suo libro è una lezione civica di alto valore, ci insegna a recuperare il significato delle parole che restituisce autenticità ai sentimenti: “Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai

L’APPELLO Una statua per Pinelli are un luogo anche anche fisico alla memoria di «una vittima del terDGiorgio rorismo», come ha dichiarato pubblicamente il presidente della repubblica Napolitano. Con questo intento il documento redatto dal Centro studi libertari/Archivio Giuseppe Pinelli di Milano è stato approvato dal congresso della Cub Trasporti e dall'Unione sindacale italiana. “È alla memoria attiva, la memoria come somma delle esperienze che hanno segnato la personalità individuale o l’immaginazione collettiva e che continuano perciò a influenzare i comportamenti dei singoli e dei gruppi sociali, la memoria che presiede alla prassi, la memoria come funzione vitale, è a questa memoria che ci riferiamo quando diciamo che Giuseppe Pinelli e Piazza Fontana sono e devono restare nella memoria di un’epoca e di un paese. È a questo tipo di memoria che pensiamo quando promuoviamo iniziative come quella di installare in stazione Garibaldi a Milano e in altre stazioni italiane una scultura per ricordare Pino Pinelli. Non intendiamo commemorare Pino come si ricorda con tristezza un amico morto quasi quarant’anni fa. Intendiamo invece rafforzare la memoria attiva di un episodio esemplare della violenza di Stato. Con rabbia e con lucidità. Non commemoriamo l’amico e neppure santifichiamo il martire: non amiamo il martirio, non coltiviamo masochisticamente o furbescamente il culto dei martiri. Tuttavia vi sono episodi e figure che assumono un’importanza particolare nella memoria collettiva, che segnano un’impronta particolare nell’immaginazione sociale e il cui ricordo contribuisce alla coscienza delle persone libere”.

cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo” scrive Ambrosoli alla moglie con consapevolezza di ciò che lo attende. Madre che Umberto ringrazia per aver permesso al padre “di essere se stesso fino in fondo, che è stata, ed è, capace di essere sempre al suo fianco”. In quell’eroismo straordinariamente normale: “Siamo abituati a un’immagine di eroismo fatta di persone che gridano, che si mettono alla guida di un plotone o che compiono cose mirabolanti. Mio padre, invece, è la dimostrazione che anche nella tranquillità della vita borghese si può essere chiamati ad essere eroi “imparando ad essere liberi senza prevedere deroghe per se stessi, a non essere moralisti che dicono di no agli altri”, per dirla con Pasolini a cui Volponi scrive dal 1954 al 1975 (lettere raccolte nel volume inedito “Scrivo a te come guardandomi allo specchio” a cura di Daniele Fioretti, presentato ieri ad Urbino), ma donne e uomini morali che dicono no solo a se stessi. Riassunto nello struggente augurio che Umberto rivolge a Giorgio, Annina e Martino: “Ai miei figli che nel sangue hanno una ragione in più per fermarsi innanzi ai bivi che li attendono: che vivano fino in fondo la libertà di decidere chi essere”.


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SECONDO TEMPO

RUGBY

LA METÀ DI UNA META

Davanti a un pubblico in delirio, l’Italia perde Al di là del risultato, una bellissima atmosfera di Giuseppe

Caruso

inque metri. Una distanza insignificante per molti, la differenza tra inferno e paradiso per un rugbista. Ieri gli ottantamila di San Siro lo hanno capito bene, quando per dieci interminabili minuti i due pacchetti di mischia si sono affrontati a cinque metri dalla linea di meta neozelandese. Da una parte c’erano gli All blacks, ormai sicuri della vittoria sul venti a sei. Dall’altra gli azzurri, ormai certi della sconfitta. Ne è venuta fuori la battaglia più bella di tutto

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l’incontro, un perfetto manuale per spiegare che cosa sia il rugby, quanto conti ogni singolo centimetro guadagnato, figuriamoci una meta in più o in meno. Il pubblico, un muro umano impressionante che a San Siro si è visto soltanto per i grandissimi appuntamenti del calcio, ha capito e apprezzato. Il più grande successo per il rugby italiano, che in appena quindici anni ha fatto, in termini di consenso e proselitismo, quello che altri sport non riusciranno mai ad ottenere. E anche se alla fine i neo-

zelandesi si sono salvati e la meta che avrebbe fatto esplodere lo stadio non è arrivata, nessuno si è lamentato. La battaglia era valsa abbondantemente il prezzo del biglietto. Molti applausi e pochi fischi. Gli unici se li è presi (meritatamente) il pessimo arbitro australiano Stuart Dickinson. Il politically correct del rugby insegna che del direttore di gara non si parla, ma la prestazione del signor Dickinson val bene una deroga. Due pesi e due misure per tutto il match e quei dieci minuti finali in cui ha permesso alla mi-

schia All blacks di salvarsi con mezzucci e falli di vario genere che non hanno portato a una sacrosanta meta tecnica, come sottolineato da tutti gli azzurri in coro a fine partita. Al contrario, Dickinson ha punito con ferocia il tentativo di “sporcare” palloni da parte degli italiani nei raggruppamenti, per togliere ritmo ad avversari che se trovano i tempi giusti diventano devastanti. La partita non è stata bella, ma nervosa e combattuta, condizionata da una pioggerellina che è caduta su Milano nelle dodici ore pre-

cedenti il match, rendendo il campo e la palla molto scivolosi. Bellissimo è stato il contorno, con un pubblico che già da mezzogiorno aveva preso possesso delle zone esterne allo stadio. Canti, birre e salamelle, con haka improvvisate da tifosi italiani e neozelandesi accomunati da uno stato etilico di tutto rispetto. E poi le facce. Nei soliti luoghi di ritrovo degli ultrà milanesi fuori dallo stadio, non si vedevano quei volti che sarebbero piaciuti molto a Cesare Lombroso, sostituiti soprattutto da donne e bambini, che ieri rap-

Un arbitro pessimo impedisce agli azzurri di cogliere un risultato storico presentavano almeno un terzo del pubblico presente. Spettatori appassionati e quasi intimoriti dall’“etichetta” di uno sport pieno di regole non scritte, ma da

PALLONATE di Pippo Russo

LA TELA DI PENELOPE E L’ODISSEA

nsomma, Penelope aveva un motivo. Ma la Juve?” . Minchia! Pensavamo di leggere nulla più che la cronaca di una partita a pagina 2 di Tuttosport. E invece Piero Guerrini, domenica 8 novembre, ci è balzato addosso brandendo come una clava l’interrogativo esistenziale. Ma perché l’hai fatto, Pierino? Per fortuna lui non ha perso tempo a spiegare: “Ecco, la Juve tesse la tela in attacco, laddove mostra cinismo e creatività, quanto poi la disfa in difesa”. Era solo un Atalanta-Juventus, mica l’Odissea. E noi che per un attimo ci avevamo creduto. Del resto, da un Piero a un altro, nelle pagine di Tuttosport gli incipit alati sono un marchio di fabbrica. Tanto più se c’è da celebrare una vittoria storica come quella della Nazionale italiana femminile di tennis in Federation Cup. In casi del genere, un attacco di pezzo val bene la citazione musicale come quella sfoggiata da Piero Valesio nell’edizione del 9 novembre: “Prendi una donna, falla allenare e in Fed Cup falla giocare. Se sarà di azzurro vestita vincerà”. Sistemato Ferradini, Valesio sfoggia alcuni passaggi di limpida prosa: “E soprattutto l’Italia del tennis diventa, dopo il weekend di Reggio, il paradigma della squa-

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dra perfetta. Una griglia umana sulla quale, qualunque agglomerato sportivo di buona volontà può collocare i propri membri per mutuarne atteggiamenti e metodi. L’Italia del tennis femminile non è più solo una squadra vincente, attualmente la più forte del mondo; ma è qualcosa che, quasi evangelicamente, si consegna allo sport italiano (tutto) per diventare esempio e fertilizzante di chiunque voglia approfittarne”. Evangelicamente fertilizzante. Furio Zara, cronista del Corriere dello Sport-Stadio, ha un serio problema. Si è convinto d’essere una penna frizzante, capace di produrre spiritosi frammenti di narrazione sportiva quotidiana. Non è dato sapere se sia stato a causa di un trauma o perché qualcuno, per celia, gliel’ha fatto credere. Fatto sta che è successo. E allora capita di leggere a sua firma frammenti come quelli pubblicati nell’edizione del 9 novembre. Commentando la partita fra Bologna e Palermo, così Zara ha presentato il comportamento post partita del tecnico rossoblu Franco Colomba: “In un mondo di decibel dopati come quello di questo calcio sguaiato, la normalità di chi ha buon senso viene confusa per mancanza di coraggio quando in realtà si trat-

L’INQUIETANTE PROSA DEL CRITICO TELEVISIVO E L’IMMAGINIFICO AEDO DEL PALLONE

ta di una inclinazione poco comune, e proprio per questo meritevole di essere studiata, magari anche apprezzata. Si chiama stile”. Dopo essersi attorcigliato, come i tubi colorati del vostro salvaschermo, per esprimere un concetto banalissimo, Zara ha sparato i fuochi d’artificio in un pezzo su Zalayeta: “E poi si sveglia lui. Dalla tribuna al campo, dal Tortellon al Panteron, da uno che sembrava girare con un motore scarburato al brum-brum per novanta minuti, dal girovagare fumoso in area avversaria fino alle zampate che l’hanno reso famoso: è Marcelo Zalayeta, l’hombre del partido, il coniglio che sbuca dal cilindro, oplà”. Aiutatelo, ne ha bisogno. Che succede se persino un Francesco Bramardo si sente autorizzato a gigioneggiare? Succede di leggere incipit come quello del pezzo dedicato a Rolando Bianchi, attaccante del Torino, pubblicato sulla Gazzetta dello Sport di mercoledì 11 novembre: “Bianchi, il geometra Bianchi come il signor Rossi aveva bisogno di qualcosa di speciale per uscire dall’anonimato di un cognome insignificante”. Tutti i Bianchi d’Italia ringraziano sentitamente Bramardo per essersi sentiti giudicare insignificanti. A cominciare dal suo collega di testata, Fabio. Il cui cognome è la cosa meno insignificante che possiate trovare nei suoi pezzi. pallonate@yahoo.it

osservare rigidamente, e che per non sbagliarsi applaudivano tutto e tutti. In modo particolare l’Italia del secondo tempo, eccezionale dal punto di vista del temperamento, ottima tatticamente e sfortunata, dopo un buon primo tempo però condito da troppi errori nelle scelte di gioco e da una qualità dei placcaggi non sempre adeguata. E’ nella prima frazione di gioco che i “Tutti neri” gettavano le basi della vittoria, approfittando dei problemi azzurri di cui sopra e riuscendo a mascherare, con un possesso intelligente dell’ovale, i limiti in mischia chiusa, dove la prima linea azzurra ha sovrastato con continuità impressionante gli avversari. Martin Castrogiovanni, da molti considerato il miglior pilone al mondo in questo momento (e nominato man of the match a fine incontro) ha rappresentato il meglio degli Azzurri, assieme a un Sergio Parisse ormai talmente forte da riuscire a tirare fuori un’ottima partita anche da un pomeriggio in cui gli Dei del rugby non lo guardavano con occhio benevolo. Corsa, placcaggi, presenza nelle fasi calde del gioco, il capitano Parisse ha voluto e costruito la sua ennesima grande prova. Tra gli All blacks in pochi hanno brillato. La mischia ha vissuto sul mestiere e sulla connivenza arbitrale, è uscita sconfitta dal confronto con il pack azzurro, ma ha avuto il merito di limitare i danni. Un minimo sindacale garantito (di alto livello) che ha reso possibile la vittoria degli ospiti. Non eccelsa nemmeno la prova della linea tre-quarti dei “Tutti neri”, che comunque rimaneva di un altro livello tecnico rispetto ai dirimpettai azzurri, ammirevoli nel loro continuo sacrificarsi in uno sfiancante lavoro di contenimento, condito però da rarissimi guizzi offensivi. Il pubblico apprezzava e anche a fine partita c’erano applausi per tutti. Anche perché in tutti si faceva largo l’idea fissa che prima o poi, presto o tardi, l’Italia riuscirà a battere anche i maestri della palla ovale. Magari già a Udine, sabato prossimo, quando gli Azzurri si troveranno di fronte i campioni del mondo, gli Springboks (gazzelle) del Sudafrica. Dal confronto con i più famosi (gli All blacks), a quello con i più forti del momento. La festa sugli spalti sarà ancora una volta garantita. Nella speranza che in campo, prima o poi...


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SECONDO TEMPO

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TELE COMANDO TG PAPI

L’indomita Sonia Sarno di Paolo

Ojetti

g1 T Una finanziaria piccola piccola, che nega anche la creazione della famosa “banca per il Sud” passa sul Tg1 come la più bella manovra di sempre: ci viene ficcata dentro persino la Gelmini che “promette” (si badi bene: promette) di restituire 80 milioni alle università con un decreto ministeriale, provvedimento che con la Finanziaria non c’entra proprio nulla. Non poteva mancare il “centro del confronto politico” sulla riforma della giustizia. Ci pensa Sonia Sarno ad annunciare che “il Pd continua ad attaccare”, per poi squadernare le solite figurine di Gasparri, Bocchino, Capezzone e persino Rotondi con dichiarazioni ovvie e patetiche sulle quali però svetta quella del ministro Alfano: “Non si può fermare una riforma solo perché interessa il

premier”. A Sonia Sarno piace anche Casini. La cronista sembra ignorare che Casini è il più furbo del pollaio: un “lodo Alfano” costituzionale non passerebbe mai o impegnerebbe tempi così lunghi da vedere Berlusconi processato fino al terzo grado. Unico servizio degno, gli All Blacks in visita a Santa Maria delle Grazie: mai visti tanti cristoni attoniti davanti all’ultima cena di Leonardo. g2 T Edizione pomeridiana del Tg2 inutile perché va a scontrarsi a distanza di un pugno di minuti con Studio Aperto e perde. Questo tg alternativo, ieri presentava un servizio completo sul giovane cantante Salvatore Barbaro, ucciso a Ercolano per errore da killer camorristi solo perché era al volante di un’auto sbagliata, uguale a quella di un boss. Poi, certo, questo telegiornale scivola nel grotte-

sco quando informa che al “centro del confronto” (anche qui) nella casa del Grande Fratello c’è il problema dell’ospite gay che vuole diventare donna. Emilio Fede ha avuto una bella idea: come salutarsi ai tempi dell’inf luenza? La scelta cade sul saluto romano, le mani giunte alla nipponica, mano su fronte-bocca-cuore all’islamica, saluto militare con mano alla fronte e sbattere di tacchi. Escluso il pugno sollevato e chiuso. g3 T Emilio Fede (che si è occupato anche degli acquisti natalizi e dell’economia berlusconiana florida) direbbe che il Tg3 obbedisce al richiamo delle foresta. Ma è solo il Tg3 che dà voce agli invisibili, a quella parte d’Italia che non ha diritto di parola, che non compare più in video, che è sgradita al regime di centrodestra, che è testimonianza vivente di un paese disastrato: la Cgil raduna in Piazza del popolo 100.000 lavoratori, questi paria dei nostri tempi che campano con indennità di cassa integrazione da 700 euro al mese. Un albero di Natale con luci e addobbi ne costa 100: facciamoci due conti e apriamo gli occhi.

di Fulvio

Abbate

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Essere Hugh Efner

gni uomo, anzi, ogni maschio irreprenOalmeno sibilmente eterosessuale, ha desiderato una volta nella vita d’essere titolare della vita pubblica e privata di Hugh Efner, l’uomo in perenne vestaglia, l’inventore di Playboy (che nel suo caso è anche un titolo onorifico), il collaudatore di bellezze da copertina o paginone centrale, e da lì nelle sale da barba o negli armadietti dei militari, Marylin Monroe o una semplice Dorothy non cambia il mito. Così almeno un tempo, quando Playboy e il suo inventore erano appunto vessilli viventi di una rivoluzione lubrificante del costume sessuale nelle edicole. Altrimenti Hugh, berretto da yacht mal avvitato di sbieco sul capo, non sarebbe l’essere invidiabile planetario che sappiamo. Né avrebbe diritto a vivere, come si è detto, sempre in vestaglia come un tenutario: uomo pronto per l’uso. Circondato dal suo vivaio-harem ufficiale e legale di “conigliette”, ragazze che vedono in lui, nella sua istituzione la West Point del successo, del sesso, della rendita spettacolare presente e futura. All’accademia militare ti fanno “cadetto”, Lo storico fondatore di da Hugh diventi inPlayboy, il magnate vece “playmate”. Rostatunitense Hugh Efner ba che se accadesse qui da noi si chiamerebbe, nel migliore dei casi, “Nunziatella”. Sia nel senso dell’accademia sia in quello del nome proprio di squinzia. Laggiù da Hefner invece, nella sua reggia di Beverly Hills, poco dietro Hol-

lywood, c’è modo invece di imbattersi in Kendra, Holly, Bridget, corpi sinonimi di biondo, d’oro colato di bellezza, polpa erotica, e poco importa se al momento della cultura generale ti viene il dubbio che si tratti di capre, zappe. Da qualche tempo c’è perfino modo d’assistere da vicino alla vita della lussuosissima garçonnière del mito in vestaglia non stop (da noi, più prosaicamente, si direbbe “scannatoio” e sentiremmo a distanza le sirene della “buoncostume” pronta a rastrellare i guardoni) accade su E! (al tasto 124 della piattaforma Sky), canale-dépliant dove certuni vanno a scrutare le meravigliose porche figure della bella gente di Hollywood, fra “red carpet” (da noi tappeto rosso) e agenzie immobiliari che assomigliano a succursali di Fort Knox. Uno spettacolo in assenza del quale non avremmo forse il box office, non ci sarebbe neppure bisogno della stessa Hollywood. Tuttavia, ciò che rapisce della vita di Hugh e la rende assai invidiabile è la sensazione di una vita da peluche domiciliato nel paese delle meraviglie, insomma. Banale sì, ma anche un invidiabile ansiolitico esistenziale. Facendo ritorno alle nostre circoscrizioni, roba più alla buona, ci sembra di intuire che il corrispettivo della reggia di Hugh sembra essere piuttosto una palazzina sita a Roma in via Gradoli 96, in zona Cassia, e al posto delle gemelle diciannovenni Karissa e Kristina Shannon, attuali fidanzate ufficiali del magnate in vestaglia per la soddisfazione di entrambe le famiglie e soprattutto dei responsabili del format “Le ragazze di Playboy”, c’è modo di intuire ben altra verità, ben altra sincerità, ben altra polpa, diciamo più esotica, più pop. Natalie in luogo del Mago di Oz. www.teledurruti.it


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SECONDO TEMPO Disegni - rubrica.sandokan@gmail.com

SATIREu & SATIRIASI Ascolti tv, Pinocchio batte il Grande Fratello. La notizia ci lascia indifferenti, anche perché in Italia Pinocchio e il Grande Fratello sono la stessa persona.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso, via i crocifissi dalle aule. I precari esultano: dopo anni, si libera un posto nelle scuole italiane. Giulio Lo Iacono

Storia dell’arte di Roberto Corradi

a cura di Stefano

Hijo de Puta (scuola catalana, sec. XVII) “El cetriolo” Mirabile esempio di pittura protoparaculista. Pur nella povertà del tratto, emerge forte la soddisfazione di chi sta fuori, mentre i colori caldi narrano il frullar di testicoli di chi sta dentro.


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fatti di vita

PIAZZA GRANDE on un disegno di legge di venticinque articoli e quasi diecimila parole il ministro Gelmini si è prefisso di introdurre d’autorità meritocrazia ed efficienza nei recalcitranti atenei italiani. Purtroppo per lei non vi sono precedenti di organizzazioni pubbliche divenute efficienti semplicemente perché una legge ha ordinato loro di farlo. Il progetto incorre in quattro difetti, tre dei quali tipici dei tentativi di riforma adottati nel nostro paese e uno specifico. In primo luogo adotta un approccio statalista-dirigista: se i 63 mila docenti non riescono a far funzionare gli atenei e neppure i 67 rettori che stanno sopra di loro, allora vi riuscirà il ministro che sta sopra i 67 rettori. Lecito dubitarne, comunque, ma a maggior ragione se si considera che il suo curriculum non è comparabile con quelli di predecessori che si chiamano De Sanctis, Correnti, Scialoja, Villari, Croce, Gentile, Arangio Ruiz e, in tempi più recenti Spadolini, Berlinguer e De Mauro. Il secondo difetto è lo strumento: nuove norme chiamate a rimediare alle inefficienze create o permesse dalle vecchie norme. Non viene mai il dubbio che sia sbagliato lo strumento e che sarebbe preferibile un insieme di incentivi e disincentivi, opportunamente calibrati, rispetto a un insieme di comandi e divieti. Cambiare le regole non significa infatti garantire anche mutamenti coerenti nei comportamenti dei soggetti che quelle norme vorrebbero regolare: quando i generali spostano le bandierine sulle carte geografiche non sempre le truppe si spostano sul terreno esattamente nel senso auspicato dalle bandiere. Il terzo difetto è di non aver fatto precedere la riforma da una seria riflessione preliminare, da studi di fattibilità affidati ad esperti, da una discussione con i destinatari delle riforme. In Francia, ogni scelta pubblica di rilievo è supportata da seri studi, resi pubblici e sottoposti alla discussione, e se digitiamo la parola chiave “université” su www.ladocumentationfrancaise.fr, ecco emergere circa 1100 tra libri, riviste e documenti di analisi ad accesso libero. Nel modello italiano, al contrario, le riforme non si studiano, non si discutono, non si criticano e di solito neppure si applicano. L’ultimo e anche maggiore difetto consiste nel fatto che i burocrati che hanno esteso il provvedimento (qui non possiamo colpevolizzare il ministro) non sembrano molto consapevoli del “prodotto” degli atenei, la produzione e diffusione del sapere, e delle sue specificità: la parola “sapere” non compare mai al singolare, ed è presente una sola volta al plurale, tra le 9769 utilizzate nel testo. L’effetto che si ha nell’esaminarlo è lo stesso che si avrebbe nel leggere un piano industriale Fiat e scoprire che non parla mai di auto. Non convince, in assenza di adeguati riferimenti al prodot-

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Un disegno di legge di diecimila parole non basta: l’efficienza e la meritocrazia non si introducono d’autorità negli Atenei per via legislativa to senza i quali non ha senso neppure parlare di qualità, l’eccessiva enfasi attribuita nella prima parte del provvedimento alla governance degli atenei e, nella terza parte, alle regole di reclutamento e progressione di carriera del personale docente. Se le università dovessero, come le organizzazioni private operanti in sistemi concorrenziali, garantire la loro sostenibilità e sopravvivenza nel tempo attraverso la performance, sarebbero incentivate sia a evitare gestioni monarchiche di rettori a vita sia a reclutare gli studiosi migliori. Invece, appartenendo gli atenei al settore pubblico, le conseguenze di scelte gestionali e di reclutamento inadeguate non ricadono su chi le adotta ma sono poste a carico della collettività, sono “socializzate”. L’errore maggiore è pertanto nel modello di ateneo di stato, dal quale sistema di governance e di reclutamento si limitano a discendere. L’unico intervento in grado di ottenere effetti rilevanti si attua se il settore pubblico smette di finanziare i costi, di pagare i fattori produttivi, e quindi le inefficienze, e passa invece a pagare gli specifici prodotti che essi rea-

lizzano: progetti e risultati della ricerca scientifica da un lato, studenti che vengono formati dall’altro. In tal modo, si può lasciare tranquillamente agli atenei libertà di non reclutare i docenti migliori, e anche di reclutare i peggiori, purché le università (e al loro interno le facoltà e i dipartimenti) siano chiamate ad affrontare tutte le conseguenze delle loro scelte. gli studenti insoddisfatti Sdi escappano altrove, se i fondi ricerca non arrivano, l’ateneo che ha fatto cattive scelte non riuscirà più a sostenere i suoi costi e dovrà essere accorpato o messo in liquidazione. Affinché meccanismi di questo tipo possano funzionare occorre, tuttavia, introdurre competizione tra gli atenei per attirare studenti e risorse finanziarie per la ricerca e smettere di assicurarne per legge l’esistenza. Non serve una riforma complicata, basta un provvedimento che stabilisca le forme giuridiche (Enti di diritto pubblico? Fondazioni? Cooperative di professori?) con le quali gli atenei ora pubblici possano autorganizzarsi al di fuori del recinto della Pubblica amministrazione. Bisogna in sostanza passare da un modello di università di Stato, gestita tramite strumenti gerarchici inadatti di comando e controllo, a un modello di università libera, non più organizzata entro il recinto del settore pubblico e che sia condizionata nei comportamenti solo da rapporti volontari tra domanda e offerta. Ai singoli atenei si affidi piena responsabilità sull’offerta, per la cui validità è evidente che avranno tutto l’interesse a reclutare i docenti più validi, mentre lo Stato presidi esclusivamente il lato della domanda: in via diretta per quanto riguarda la ri-

cerca e in via indiretta per la didattica, attraverso borse differenziate conferite agli studenti meritevoli e con reddito e patrimonio familiare inferiore alla media. Essi avranno tutto l’interesse a spendere la borsa negli atenei migliori, iscrivendosi al corso di laurea più idoneo sulla base delle loro inclinazioni personali e ambizioni professionali. (*) Università di Milano-Bicocca

IL FATTO di ENZO

di Silvia

Truzzi

TROPPO GEORGE W

Riforma Gelmini, quattro difetti di Ugo Arrigo (*)

É

l

Forse è vero che tutto arriva troppo tardi: e a Silvio Berlusconi l’occasione di conquistare Roma, e tutti gli italiani, nel nome della libertà, è capitata quando, secondo me, nessuno la stava minacciando. Per quanto uno si sforzi, non può riuscire a immaginare i baffetti di Massimo D’Alema incombenti come i baffoni di Stalin. (1995)

George Clooney (FOTO ANSA)

hat else? Niente. Davvero, basta lo sguardo. Quella foto – George gorgeous Clooney che sorseggia un espresso solo accennando un sorriso che è una promessa di felicità – ha un effetto più o meno alla “Natural Woman”. Perfino nella pubblicità degli orologi, dove la faccia è deformata dal monocolo, G. ha il suo perché. Altro spot, entrato nell’immaginario collettivo: “No Martini, no par ty”, dove lui, sbattuto fuori da una festa, si ripresenta alla porta con svariate casse di vino. Alzi la mano chi non avrebbe voluto essere la fortunata (e non per la fornitura di aperitivi) padrona di casa. E come le abbiamo divorate le immagini “rubate” della love story con la Canalis? Se ne parla ovunque: dal parrucchiere alle riunioni di redazione. Tra quelli che dicono che, sì, stanno bene insieme ma forse lui è gay, forse lei non è intelligente quanto bella, sarà che si parlano poco per via della lingua (cattiveria: Elisabetta parla bene l’inglese, è sempre a Los Angeles). Dopo aver a lungo disquisito sulla natura reale o a fini promozionali della favola bella tra i due divi, i giornali hanno aperto un interessante dibattito sul contenuto delle presunte foto rubate: sembrano intimi, ma lo saranno? Se sì, perché non si baciano? Così siamo stati accontentati ed è arrivata anche l’istantanea del bacio al sapore di mare, in un sushi bar romano. È bello come lo era Cary Grant: stesso fascino, stessa classe, stessa allure. Ma non è solo questo, e infatti piace anche ai maschi eterosessuali. È simpatico, ironico, ha il coraggio di bersi un caffè (ovviamente) con Walter Veltroni, scherza sugli acciacchi dell’età, veste bene. È uno che per 18 anni si è tenuto in casa un maiale (Max, scomparso nel 2006), ha venduto polizze e scarpe da donna. Ha sostenuto con passione Obama, è impegnato per il Darfur, l’Onu l’ha nominato ambasciatore della Pace. Ha perfino aderito al comitato per la difesa delle rive del Lago di Como. Se non bastasse, fa (anche) buoni film: “Good night, and good luck” o “Michael Clayton”. nsomma, zero difetti (a parte la moto: una Harley Davidson un po’ troppo tamarra). Però, però: ci si abitua a tutto e ci si stanca anche delle cose belle. Non è tanto un fatto di vanità (anche se, con de La Rochefoucauld, ciò che rende insopportabile la vanità altrui è che offende la nostra). Molti attori si sono bruciati per eccesso di sé: Al Pacino, De Niro. Alcuni hanno fatto della riservatezza la chiave per diventare mito: Greta Garbo, Marlon Brando, Mina. Salinger l’ha teorizzato: “Il desiderio che uno scrittore ha di anonimato-oscurità è la seconda dote più importante che gli sia stata affidata”. Troppa esposizione fa rima con poca selezione. Soprattutto: essere dappertutto è come non essere da nessuna parte. E che peccato sarebbe, mr gorgeous.

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Decrescita, non medioevo di Maurizio Pallante

l periodo che stiamo vivendo è caratterizzato da diverse forme di crisi: economica, ambientale, sociale, finanziaria, spirituale. I rimedi che si propongono sono però sempre gli stessi, a partire da un improbabile rilancio dei consumi. Oggi tutti parlano di crisi, ma nessuno si prende la responsabilità di affermare che, ormai, l’unica via per uscirne è modificare l’approccio che noi tutti stiamo avendo non solo con l’economia, ma anche con la realtà. Nessuno si prende la briga di dimostrare che la soluzione sta nel cambiare l’uso che si fa della tecnologia, il tipo di partecipazione politica e i propri stili di vita. Il termine “decrescita” nasce in ambito economico, come ferma contestazione al concetto di crescita economica illimitata (impossibile in un ambiente limitato) ed al Pil come metro di misura del benessere (il Prodotto interno lordo, infatti, cresce anche quando si comprano armi o psicofarmaci, o semplicemente quando si resta imbottigliati per ore nel traffico a respirare gas di scarico), per poi passare in ambito filosofico, come proposta di un nuovo paradigma culturale che ci liberi dalla schiavitù del produttivismo forsennato che ci ha attanagliati in particoNon vuol dire lare negli ultimi decenni. E che ci ha portato all’atritorno tuale situazione di “crisi” (economica, occupazioal carro e alla nale, ambientale, sociale, candela, né ripudio climatica) causata dal mito della crescita economiper la tecnologia. ca e dell’aumento del Pil.

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Vuole dire rallentare questa corsa impazzita

l Movimento per la DeIquindi crescita Felice si pone lo scopo di introdurre nel dibattito politi-

co il tema, appunto, della decrescita economica. Attenzione: decrescita non vuol dire ritorno al carro e alla candela, né tanto meno ripudio per la tecnologia. Vuole semplicemente dire rallentare questa corsa impazzita che ci sta portando (se non lo ha già fatto) al punto di non ritorno. Vuole tornare a parlare di qualità, piuttosto che di quantità, a dare valore a cose che ne hanno perso troppo negli ultimi tempi, a partire dall’ambiente fino ad arrivare alle relazioni umane. Felice perché unire l’attuale livello culturale a certi usi imprudentemente abbandonati ci potrebbe portare a migliorare notevolmente la qualità della nostra vita. Addirittura diminuendo la quantità di denaro necessaria a farlo. Decrescita non è sinonimo di recessione, ma una presa di coscienza e, conseguentemente, una scelta di vita. È un ritorno alla semplicità, da non confondere appunto con il dramma di chi, all’improvviso e senza nessun mezzo per farvi fronte, si trova disoccupato a causa della famigerata crisi occupazionale dovuta alla succitata recessione. La decrescita è come mettersi a dieta per motivi di salute, la recessione è morire di fame perché non si dispone più di cibo. La felicità dovrebbe essere intrinseca al discorso della decrescita, perché da sempre le cose più semplici e più genuine sono quelle che danno più gioia. Anche a coloro i quali si sono ormai convinti che non sia così. Il Movimento per la Decrescita Felice, per quanto riguarda la tecnologia si fa promotore di ogni tipo di soluzione che porti a un risparmio di energia, a un ridotto uso di risorse, a un allungamento della vita utile di ogni tipo di oggetto e, ovviamente, a una riduzione della produzione di rifiuti. A livello politico collabora con enti locali e liste civiche in tutto il paese, fornendo “linee guida” che possano aiutare ad orientarsi meglio tutti coloro che hanno a cuore la gestione del proprio territorio, ma che vogliono fare politica al di fuori delle istituzioni esistenti. Riguardo agli stili di vita, invece, la migliore risposta alla crisi arriva dalla nascita, sempre al suo interno, dell’Università del Saper Fare, primo grande collettore italiano di conoscenza e scambio per l’autoproduzione. È chiaro che ci sono beni che non si possono né autoprodurre né scambiare (occhiali, com-

puter, visite mediche specialistiche etc, da procurarsi sottoforma di merci), ma appunto capiamo che la sfera mercantile è sì necessaria, ma non “necessariamente” invasiva e totalizzante come la nostra società, che si basa sul mito della crescita, ci ha praticamente costretto a credere. Ciò può essere un rimedio all’attuale crisi economica, sociale e ambientale, perché risparmiare energia e risorse, o smettere di acquistare merci (spesso dalla dubbia utilità) che finiscono in tempi sempre più brevi nella spazzatura, vuole dire risparmiare denaro. Aumentare la nostra capacità di badare a noi stessi, sia attraverso l’autoproduzione della maggior quantità possibile di beni, sia grazie alla riscoperta del dono e della reciprocità (e quindi della convivialità), può non solo emanciparci dall’economia di mercato evitandoci di dover lavorare sempre di più per guadagnare sempre di più per consumare sempre di più, ma può anche portarci ad avere di meglio con molto meno. La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio. Perché tutto è possibile: una nuova economia, un nuovo approccio con la realtà, un rinnovamento delle classi dirigenti. L’unica cosa che non è possibile continuare a fare, per quanto a molti possa dispiacere, è crescere all’infinito, o anche www.decrescitafelice.it solo pensare di poterlo fare.


Domenica 15 novembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL Altro che immunità, serve legalità Berlusconi ha detto che “l’anomalia in Italia è rappresentata dai giudici comunisti”, ma io credo che l’anomalia in Italia sia sentire l’ennesima notizia di un possibile futuro governatore di regione indagato per camorra, senza che si sollevi un coro unanime di indignazione e di schifo, come se ciò fosse la normalità. Credo che l’anomalia sia quando di fronte a tale notizia un giornalista direttore di tg, anziché andare a fondo sulla questione e informare ulteriormente i cittadini dica “torniamo all’immunità”. Ma dico, siamo impazziti? Che fine hanno fatto la legalità, la giustizia? L’anomalia italiana è che sta prendendo sempre più piede l’idea che l’illegalità sia legale, che sia normale! Siamo a un punto tale che noi, come cittadini, anziché indignarci di fronte a tali notizie, non ci scandalizziamo quasi più, rimaniamo indifferenti e accettiamo qualsiasi cosa ci propini la classe politica. E’ come se, a piccole dosi quotidiane (attraverso decreti, leggine fatte su misura per nascondere le magagne), abituassero le nostre menti che quella è la cosa giusta, assuefacendole così all’illegalità. Per questa classe dirigente chi sbaglia non deve pagare. E quando qualche politico, genuinamente, si appassiona alla legalità e alla giustizia, viene considerato sia da destra sia da sinistra come un pazzo. Già, perché in Italia chi crede ancora nella legalità e nel-

BOX A DOMANDA RISPONDO CHI SI SCORDA DI MANI PULITE

Furio Colombo

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aro Colombo, l’on. D’Alema, parlando a Roma in Campidoglio nell’anniversario della caduta del Muro, ha detto che: “E’ stato un errore cavalcare l’antipolitica durante Tangentopoli. Lo abbiamo fatto senza capire che c’era qualcuno più attrezzato di noi. Infatti vinse lui, Silvio Berlusconi”. Non dirò che mi meraviglio. Domando: quale vantaggio politico vede D’Alema svalutando e anzi ridicolizzando ogni forma di opposizione sia civile sia politica al mondo di Berlusconi? Perché, nella sua immaginazione, Berlusconi è sempre il più grande? Donatella

C

LA DOMANDA è fondata. Il caso si ripete identico da quindici anni. Mai lasciare spazio a quella parte di italiani che, dentro e fuori dalla politica, si oppongono e si sono sempre opposti a Berlusconi come portatore di una vita e di una cultura corrotta, centrata sul conflitto di interessi. Fra la crescita di un forte impeto di rivolta contro la corruzione e il radicamento di nuovi personaggi con cui trattare tra politici le questioni della politica, si è scelta la seconda strada, mostrando fastidio per il volontarismo civico, che pure è apparso molto grande e diffuso. Dunque niente ostacoli tipo una legge sul conflitto di interessi; e “storica” apertura ad una vasta riforma “insieme”, pensata forse come una legittimazione reciproca fra “vecchi” e “nuovi” politici. Come

se non vi fossero differenze piuttosto marcate, storiche, politiche, morali. Ma c’è un curioso flash di memoria che appare alterato come in certi film, in cui i colpi di scena avvengono con effetti speciali. Qui D’Alema sembra ricordare Tangentopoli come un vivace cane di famiglia che per esuberanza fa qualche danno. Ma quel buon bestione si ferma o si siede a comando, e si calma se non lo incoraggi. Tutti gli altri di noi, amici e nemici di “Mani Pulite” ricordano quegli anni come segnati da una incontenibile rivolta contro la corruzione. Ne fa prova la stampa italiana non di sinistra di allora. E la stampa e l’opinione pubblica del mondo, soprattutto Europa e Stati Uniti, dove Tangentopoli è stata una vicenda notata e ammirata anche per il vasto coinvolgimento dei cittadini. Seguendo gli eventi del leader dell’ex Pci dall’origine ai giorni nostri, sembra di capire che perdere il controllo professionale della politica è sempre apparso un pericolo ben più grande del conflitto di interessi. Di qui la storia italiana negli ultimi quindici anni, dai giorni della “questione morale” allo sbarco in Europa. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

IL FATTO di ieri15 Novembre 1966

cora una volta, che in tanti gli credono.

Negli anni della post escalation in Vietnam e nel pieno della presidenza Johnson, nasce a Londra, il 15 novembre 1966, il Tribunale Russell, voluto dallo stesso Bertrand Russell con l’obiettivo di giudicare i crimini commessi dagli Stati Uniti durante il conflitto vietnamita. L’anno è quello dell’incremento di 500.000 marines inviati dal Pentagono nel sud-est asiatico, della nuova strategia militare basata sull’“air war”, dei fallimentari tentativi diplomatici di pacificazione. Ed è anche l’anno delle grandi mobilitazioni pacifiste in tutto il mondo, della rivolta degli intellettuali contro la politica della Casa Bianca, delle prime immagini inedite sull’uso del napalm. Ispirato a Norimberga, il Tribunale Russell, presieduto da Russell, Jean Paul Sartre e Vladimir Dedijer, oltre a indagare sugli illeciti della condotta militare Usa, intende colpire l’opinione internazionale, in particolare quella americana. Nelle sedi di Stoccolma e Copenaghen, uniche città europee disposte ad accogliere le sessioni giudicanti, Russell, dopo due anni di inchieste e centinaia di immagini e testimonianze fornite dalla sinistra americana, giudicherà ufficialmente “genocida” la politica degli Stati Uniti.

Filippo Pagano

Giovanna Gabrielli

la giustizia può essere solo un povero pazzo. Perciò facciamo sentire la nostra potente voce di elettori per dire “basta con questo schifo”! Azzeriamo tutta la classe politica e ricominciamo. Una cittadina schifata dalla politica, e come me, credetemi, ce ne sono veramente tanti altri. Sandra Torchia

Il disegno di legge che non risolve niente Dopo il disegno di legge sul processo breve chissà se l’intrepido

Gasparri avrà un’altra geniale trovata, ad esempio un ddl sul mese breve. Gli italiani non arrivano alla quarta settimana a causa della crisi? Presto fatto, le settimane del mese passeranno da quattro a tre. Così anche questo problema sarà risolto. E’ un modo di risolvere i problemi che ricorda il detto: “Lo stupido guarda il dito quando gli si indica la luna”. In questo caso, forse, è il furbo che sposta appositamente l’attenzione sul dito, perché non vuole che si veda la luna. Ma il vero problema è, an-

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IL FATTO QUOTIDIANO non usufruisce di alcun finanziamento pubblico

Claudio Zanin

Cosentino, o in Parlamento o a rischio galera Certo che il paradosso è proprio grosso: parlo dell’ordinanza di custodia cautelare di Cosentino. Un normale cittadino cui venisse notificato un atto del genere verrebbe mandato in carcere. Siccome Cosentino è deputato serve l’autorizzazione del Parlamento. Supponendo che questa autorizzazione non venga concessa, Cosentino potrebbe candidarsi, vincere le elezioni e diventare governatore della Campania. Poi però, per legge, dovrebbe dimettersi da parlamentare e a quel punto potrebbe veramente finire in galera! La realtà italiana supera ogni fantasia. Speriamo si candidi! Antonio Sagliocco

LA VIGNETTA

Le leggi insopportabili di Berlusconi

Alessandra

Grazie Saviano, continua a lottare

FEDERICA E GIAMBATTISTA Federica è sarda, Giambattista è lucano. Oggi vivono a Bologna e ci scrivono: “Facciamo un lavoro part time che nulla ha a che vedere con quello che abbiamo studiato (Giurisprudenza e Matematica). Abbiamo studiato per migliorarci la vita, invece non riusciamo più a sognare. L’Italia e il suo malgoverno ci hanno tolto la forza di farlo. Probabilmente tra qualche anno andremo in Norvegia!” Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

Re con disprezzo totale della nostra democrazia, mi chiedo se il cittadino elettore, vero sovrano di questa forma parlamentare, si renda davvero conto del significato di questo pericolo. Nella storia i conquistatori hanno fatto scempio dei nostri territori: sempre servi e sottomessi. Poi , dopo secoli, la riunione politica dell’Italia. Il Regno, il fascismo, una contrapposizione politica che, pur nell’ambito democratico, ha bloccato di fatto l’alternanza dei governi e la contrapposizione liberale delle idee. Poi ecco arrivare Berlusconi. Ma gli italiani hanno capito che la democrazia vera, quella che dice che il governo del paese appartiene completamente al popolo, non c’è mai stata? Non capisco se siamo incoscienti, stupidi, immorali o cosa. Di fatto non facciamo niente per venirne fuori. E io ci sto male.

Chi ha votato B. se lo tenga A Stefano che ha scritto ieri al Fatto: ben ti sta. Non perché hai avuto fiducia in Berlusconi, ma per ciò che pensi. Gli imprenditori dovrebbero stare con i lavoratori, non fare i furbi come B. e poi lamentarsi perché lui non li tutela. lucidità, si conferma una grande persona, adulta, consapevole, che non abbandona la sua lotta e la sua gente. Complimenti a voi e a Saviano.

Nicola Tanzi dice: “Saviano non è un eroe; è un simbolo, pubblicizza la sua attività. Un libro non combatte la camorra, i poliziotti invece stanno in prima linea tutto il giorno”. Ma che discorsi sono? Ognuno fa il suo lavoro: loro non saprebbero scrivere un libro; Saviano non saprebbe fare il poliziotto; ognuno fa quello che sa fare in campi diversi. Anche voi del Fatto siete in prima linea, per una corretta informazione. E’ stato bello leggere ieri sul Fatto la posizione conciliante di Saviano, che ribadisce l’importanza di fare un fronte comune contro la mafia. Lo scrittore, con forza e

Franca.

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L’abbonato del giorno

Tommaso Vannini

Gentile redazione del Fatto, non ne posso più: questa ennesima porcata del processo breve non è più sopportabile. Sono stanca di dover subire questa continua umiliazione che dura ormai da 15 anni. Non è più possibile accettare che per una sola persona questo paese venga ridotto ad una dittatura sudamericana. Basta! Vi prego, trasmettete questo mio urlo di dolore. Siete unici

Il lavoro di Alessandra Mussolini L’on. Mussolini, nella trasmissione “Il caffè” su Raitre del 13 novembre, ha dichiarato, a fronte della richiesta di arresto presentata alla Camera nei confronti del sottosegretario Nicola Cosentino a causa di un pentito che lo accusa di essere un referente della camorra, che questi ha fatto bene a non rinunciare alla sua candidatura alla presidenza della regione Campania, dimostrando così la sua tenacia contro la vera casta,

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).

rappresentata dalla magistratura (e non dai politici). Su Berlusconi poi ha detto: “Lo lascino governare e poi giudicheremo il suo operato”. Quanto alle frizioni tra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera Fini, per lei non ce ne sono. A parte il fatto che i testimoni a sfavore dell’on. Cosentino sono sicuramente di più (nove?) e che il presidente del Consiglio si vuole avvalere della legge riduci-processi, in quanto utilizzatore finale, mi chiedo se l’on. Mussolini – anche alla luce delle sue ultime apparizioni televisive – non potrebbe utilmente e onorevolmente tornare a fare quello che faceva prima di entrare in politica.

* attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano

Vogliamo la democrazia o la monarchia? In questi giorni sciagurati nei quali stiamo assistendo all’arroganza di chi vuol proclamarsi

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Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centro stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: poster@poster-pr.it Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599


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Novembre 2009 - PubblicitĂ


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