Il Fatto Quotidiano (17 Novembre 2009)

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Il vertice della Fao si chiude con un accorato appello contro la fame nel mondo. Di soldi nemmeno l’ombra

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Martedì 17 novembre 2009 – Anno 1 – n° 48 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

LA RICERCA VOLA VIA Fondi per laboratori e scienziati dirottati per il prestito ponte di Alitalia e mai restituiti Daniele e la politica distratta di Antonio

Padellaro

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aturalmente, la speranza di tutti è che il piccolo Daniele Amanti guarisca presto. Che la sua malattia si riveli meno grave perché, chissà, i medici forse si sono sbagliati. Oppure che si trovino i soldi per finanziare la ricerca sulle malattie rare e che il farmaco per curare quella particolare distrofia venga approntato in tempo. Ma si può vivere di speranze e di miracoli? Si può affidare tutto alla disperata lotta dei genitori? Alle collette improvvisate su Internet? Alla solidarietà delle persone che hanno risposto generosamente dopo aver letto il racconto di Luca Telese sul Fatto di domenica? Non che non si può se esiste uno Stato; e se questo Stato si prendesse cura dei cittadini finanziando sul serio la ricerca e non destinando ai laboratori poche briciole: meno della metà della Francia, un quarto della Svezia. Non si tratta di prendersela con questo o con quel governo, ma di accusare una mentalità distorta. Quella che per dare i soldi all’Alitalia, taglia le già scarsissime risorse. Perciò la vicenda di Daniele spiega come peggio non si potrebbe la frase del professor Ignazio Marino al nostro giornale: “L’Italia sta svendendo il suo futuro”. Ciò che accade a Daniele riguarda anche i giornalisti. Sul Giornale un tale scrive che il nostro titolo sul bimbo da salvare è stato un modo per parlare male di Berlusconi. Il tale si tranquillizzi: a squalificare questo governo basta che a parlarne bene sia gente come lui. La domanda seria è un’altra e riguarda l’enorme spazio che l’informazione dedica all’incessante chiacchiericcio della politica, affidando i tanti casi Daniele ai ritagli di cronaca. Troppa attenzione al paese virtuale e troppo poca al paese reale significa distogliere la politica, e i politici, dalle loro vere responsabilità e sminuirne il ruolo. Essi dovrebbero con molta più attenzione occuparsi dei ragazzi ammazzati di botte in qualche cella. O dei piccoli malati abbandonati a se stessi. E non assillarci con gli insopportabili bla bla per strappare un titolo sui giornali o una battutina nei tg.

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Catena di solidarietà per finanziare le cure per il piccolo Daniele Amanti. Ignazio Marino: “All’ultimo posto in Europa per le risorse. Stiamo svendendo il futuro” Ferrucci e Telese pag. 2 e 3 z SALERNO x Il caso la scorsa estate, ora l’inchiesta

Udi Antonio Massari

LEGATO AL LETTO NELL’OSPEDALE MORTO DOPO 80 ORE D’AGONIA

SCHEDE WIND CRIPTATE PER DEPISTARE sistema congegnato Uze nper coprire alcune utentelefoniche, affidate anche a uomini delle istituzioni, e mirato a confondere le indagini delle procure: questo il sospetto degli inquirenti di Crotone. pag. 6 z

Appello a Napolitano e Fini, già raccolte 30.000 firme contro il processo breve su www.antefatto.it pag. 11 z

CATTIVERIE

D’Onghia pag. 7 z

FINANZIARIA x Colpo all’antimafia

I beni dei mafiosi torneranno ai boss Udi Massimo Fini

Paolo Brosio: “La mia vita da Fede alla fede. Addio alle donne e alla cocaina, ora sono il megafono della Madonna”. Dai Paolo, torna da Emilio

Allarme per un emendamento che introduce la vendita all’asta di case, società e terreni requisiti pag. 4 z ai clan

Udi Vauro Senesi

I GARANTISTI IL ROMANZO DALLA DOPPIA DI MADUT, L’UOMO NERO MORALE attraverso il frettoloso ra mattina presto. Madut, Scheancire diktat di un disegno di legge E gli occhi bassi, notò che i il processo penale non possa sampietrini grigi sui quali si durare più di sei anni è pura follia. Per centrare un simile obiettivo occorre una riforma organica che comporta uno studio approfondito. pag. 18 z

alternavano i suoi passi erano bagnati, lucenti di acqua. Scostando il cappuccio dalla fronte alzò la testa a scrutare il cielo. pag. 14 z

2009, fuga dalla Giustizia di Marco Travaglio

i ricomincia: con la scusa della fame nel mondo, di cui non gli è mai importato nulla, tant’è che ha ridotto i contributi alla Fao, Mister B. ha ripreso a fuggire dalla giustizia. Ieri se n’è rimasto barricato per tutta la giornata al summit di Roma raccontando balle e, negli intervalli fra l’una e l’altra, barzellette. La Procura di Milano aveva proposto al Tribunale di non considerare impedimento assoluto quel Vertice, che fra l’altro dura tre giorni, e di tenere in mattinata l’udienza di riapertura del processo Mediaset. Ma i giudici, noti comunisti, han preso sul serio la barzelletta dell’impedimento assoluto rinviando tutto a fra due mesi. “Il 18 gennaio il presidente ci sarà”, ha annunciato l’on. avv. Niccolò Ghedini, sempre spiritoso: “Non vi è alcuna volontà dilatoria”. Deve trattarsi dello stesso Ghedini che sta preparando in tutta fretta una legge per ammazzare quello e altre centinaia di migliaia di processi, da approvarsi – ha ordinato il Capo – “entro Natale, anche col voto di fiducia”. Così il 18 gennaio il processo sarà già morto e sepolto, e il Cavaliere potrà dedicarsi a qualche altro impegno istituzionale, magari con qualche escort, visto che l’allarme terrorismo è passato e lui è tornato a dormire a Palazzo Grazioli nel lettone di Putin. Quanto al processo Mills, ha già fatto sapere di avere tutti i giorni impegnati sino a fine anno. Del resto anche questo è un déjà vu fra il 2001 e il 2003, quando sia Previti sia Berlusconi le tentavano tutte pur di fulminare i loro processi: rogatorie, scudo fiscale-1, falso in bilancio, Cirami, lodo Schifani. Nell’autunno 2001 Previti inviò al Tribunale un certificato di malattia, per via di un’improvvisa operazione all’anca che lo inchiodava al letto rendendolo “intrasportabile”. Senonché un giorno l’intrasportabile fu visto salire con passo garibaldino le scale di Palazzo Grazioli. La Boccassini chiese allora di portare in aula il malato immaginario “anche in barella”. Allora, dopo aver disertato l’80,44% delle sedute alla Camera, divenne un presenzialista da Guinness. E, siccome l’impedimento diventa assoluto se il parlamentare deve parlare, riscoprì pure un’inaspettata vocazione oratoria su qualunque tema dello scibile umano. Eccolo dunque dissertare su temi appassionanti quali l’“adeguamento ambientale della centrale termoelettrica di Polesine Camerini”, l’“impiego delle giacenze del bioetanolo nelle distillerie”, l’“esecuzione dell’inno nazionale prima delle partite del campionato di calcio”, senza dimenticare il “volo diretto Roma-Washington”. Intanto anche Berlusconi era in fuga solitaria. Impegni di governo a ogni ora del giorno e della notte. I giudici scovarono una finestra libera nella fittissima agenda per sabato 24 maggio 2003. Lui s’inventò un’improvvisa visita di Stato in Lussemburgo, suscitando sorpresa e incredulità presso le autorità locali e italiane nel Granducato, ovviamente ignare di tutto. Infatti, a parte un’improvvisata “colazione di lavoro” col premier Juncker, il nostro non aveva nulla da fare e ammazzò il tempo con una lunga passeggiata condita di esternazioni e amenità a beneficio dei giornalisti al seguito. Poi comunicò al Tribunale di non avere più un minuto libero dal 5 maggio all’11 giugno. Senonché il 28 maggio atterrò morbidamente a Manchester, per la finale di Champions League Milan-Juventus, con pranzo assieme alla squadra, ai figli maschi e ai cuochi Michele e Oscar opportunamente aviotrasportati. Poi una puntatina in Medio Oriente per siglare la pace fra Israele e palestinesi (purtroppo sfumata). Poi la campagna elettorale in Friuli e un fondamentale vertice a Venezia su “criminalità e immigrazione clandestina nel mare Adriatico” con i prefetti di Belluno e Verona, note località marinare. E così via fino alle dichiarazioni spontanee del 17 giugno. Un’ora di monologo, poi la fuga: “Mi attende a Roma il premier greco, ma torno il 25 giugno, a disposizione per fissare altre udienze”. Poi però l’indomani, a tradimento, i suoi onorevoli avvocati fecero approvare il lodo Schifani e il processo morì. Ora si ricomincia, in attesa della legge sul processo morto e di nuovi lodi. “Nessun intento dilatorio”. Come no.

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19 febbraio 2008: la famiglia scopre la malattia

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PAESE REALE

l 9 febbraio 2008 i genitori di Daniele, che oggi ha quasi tre anni, hanno scoperto che loro figlio era malato. Affetto da un morbo rarissimo: l’unico caso al mondo di una particolare forma di mutazione che causa la distrofia muscolare di Duchenne. In Italia 5 mila persone combattono contro questa malattia

e la sua forma meno violenta, la distrofia di Becker. I muscoli sono attaccati progressivamente: si cammina con sempre maggiore difficoltà finché – uno ad uno – vengono intaccati gli organismi vitali. L’unico modo per trovare una cura, è un progetto di ricerca finalizzato (anche) alla malattia di Daniele. E visto che in Italia non c’è, i

genitori di Daniele lavorano all’unica soluzione: costruire quel progetto, raggiungendo i 250 mila euro necessari con una colletta. In Italia una persona ogni duemila abitanti soffre di una malattia rara: sono 435 le patologie ufficialmente censite, contro le circa 8000 esistenti.

STIAMO SVENDENDO IL FUTURO Ignazio Marino: “La storia del piccolo Daniele Amanti è uno scempio e rappresenta bene dove va l’Italia”

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Seinei Mi piace questo modo di esercitare il potere dell'informazione. Faccio il tifo (e aggiungo grano) anche io. Un ricercatore precario. Luke Eseguita una piccola donazione! Auguro tutto il bene possibile a questi genitori coraggiosi, e al loro piccolo eroe! nanni64 Già avevo pensato di proporre ai miei, per questo Natale, di regalarci, gli uni agli altri, un contributo economico per qualcuno che ne avesse avuto bisogno. Ora, grazie al FQ, so anche a chi andrà il regalo di Natale che ci scambieremo quest'anno. Io ci sono, bimbo mio. E girerò la mia proposta a tutte le persone che conosco. (Andrew) Daniele, Fabio ed Eliana – ho un figlio di 28 mesi che ride, gioca e vive sereno, leggere di quello che vi sta capitando mi ha fatto letteralmente gelare il sangue. I primi 50 via Paypal ve li ho già mandati, parlerò con tutta la mia famiglia allargata per aiutarvi a passare il Natale più speranzoso che abbiate mai passato, Parola d'onore. Giovanni e Grazia E' una storia di dolore, di emozione e di grande forza! Vi siamo vicini e sosteniamo la vostra iniziativa. Ivo Serenthà Risparmiano sulla ricerca scientifica, sulla pubblica istruzione e parlano di piccolo mondo antico verso chi ha manifestato sabato, denunciando la difficilissima situazione occupazionale e con un futuro ancor più problematico, mentre gli annunci governativi sono degli spot stile pubblicità dell'ottimismo. Seppur sia durissimo affermarlo, la ricerca scientifica dei grandi gruppi farmaceutici, è rivolta verso le malattie più diffuse, loro non investono dove non esiste un ritorno economico. Solo la spontanea umanità potrà portare la speranza per il piccolo Daniele. Anna Anche io ho comprato il libro di Cinzia! Invito tutti i lettori del Fatto a fare questo piccolo gesto, utile e importante per Daniele... In bocca al lupo, piccolo cucciolo meraviglioso!!! Nina Coraggio genitori, faccio il tifo (e caccio il grano) per voi.

di Alessandro

Ferrucci

osa ho pensato appena letto l’articolo su Daniele? Beh, che è uno scempio”. Tono basso, parole scandite, concetti duri. Ignazio Marino, una vita da luminare dei trapianti e ora, anche senatore del Pd, non è una persona portata all’eccesso: ma la vicenda del piccolo malato di distrofia l’ha colpito, molto. “Vede, alcuni pensano che i soldi per la ricerca siano riservati a persone bizzarre che giocano con delle provette. Insomma, fondi buttati. Poi, però...” Si fanno i conti con la realtà... “Esatto. Ed è emblematica proprio la vicenda apparsa domenica sul vostro giornale”. Cosa in particolare? “Vede, ora si parla di cellule staminali, di trapianti, o di

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In alto il senatore Ignazio Marino; qui in basso un laboratorio di ricerca (FOTO ANSA)

tutta l’altra medicina definita moderna: queste tecniche nascono dalla ricerca. Quella che noi facciamo con grande difficoltà e in pochi casi”. Un esempio? “L’università di Pavia sta portando avanti un progetto dedicato a malattie simili a quella di Daniele. Lì hanno realizzato dello scoperte straordinarie iniettando delle staminali a cani affetti da distrofia: ebbene, da claudicanti, hanno ricominciato a camminare. Però, non hanno soldi per andare avanti”. E oltre a Pavia? “Altri esempi? Basta guardare all’Europa: nel 2000 abbiamo firmato un accordo con tutti gli altri paesi per portare i finanziamenti a ‘ricerca, innovazione e sviluppo’ al 3 per cento del Pil (prodotto interno lordo, ndr) entro il 2010. Sa cosa è successo?” È andata peggio? “Molto peggio: allora eravamo all’ 1,2 per cento; ora, con l’ultima finanziaria del governo Berlusconi, siamo passati allo 0,9 per cento: ultimi nel Continente insieme a Grecia e Portogallo”.

“Siamo ultimi in Europa in quanto a fondi per lo sviluppo: solo lo 0,9% del Pil”

Mentre gli altri paesi? “La Francia è al 2,2; la Germania al 2,5; Finlandia al 3,5 e Svezia al 4,2. Ah! Non dimentichiamo gli Stati Uniti: loro sono al 2,8. E la crisi c’è per tutti”. Per quanto riguarda i ricercatori, come siamo messi? “Le offro altri numeri: l’Italia ne ha circa 83 mila; la Francia è a 205 mila, la Germania a 280 mila, gli Usa quasi un milione e 400 mila”. Bene, allora tocchiamo l’argomento business: la ricerca porta guadagno, o è solo un costo? “Allora prendiamo la Finlandia, un paese grande quasi come il nostro, ma con una popolazione di circa 5 milioni di persone: lì hanno investito e, grazie a una serie di brevetti, sono riusciti a

costruire la più grande azienda mondiale di telefonia cellulare. Le basta?”. Quindi, con solo 0,9 per cento di risorse impiegate, anche il prossimo futuro non sarà positivo... “No, per niente. Ogni cinque anni l’Europa lancia un bando per la ricerca, il ‘Programma quadro’, dove vengono stanziati 52 miliardi di euro, da assegnare a vari progetti di ricerca. In questi anni molti paesi hanno lavorato, investito, promosso studi e pubblicazioni per ottenere i soldi. La Francia, in particolare, ha lavorato molto bene sulle malattie neurogenerative, settore simile a quello che interessa Daniele. Noi, invece, siamo indietro quasi su tutto. E con le nostre menti più brillanti che preferiscono andare all’estero perché sanno

di trovare paesi dove il valore viene privilegiato rispetto a logiche nepotistiche”. In sintesi, come giudica l’Italia? “Come una nazione che sta svendendo il suo futuro. Non c’è nessuna strategia. Vede, un individuo, dalle elementari fino all’università, costa allo Stato circa 500mila euro. E noi cosa facciamo? Nel momento in cui diventa produttivo lo lasciamo andare via, con paesi come gli Stati Uniti ben felici di accoglierli nel loro momento migliore. È come una squadra di calcio che cresce un calciatore dai pulcini fino alla prima squadra e al momento del debutto in ‘A’ lo offre, gratis, agli avversari. Le sembra normale?”. Proprio no..

LA ONLUS

DIEGO, GIACOMO, LUCA E GLI ALTRI 5MILA BAMBINI DISTROFICI di Paola Zanca

aniele, la punta dell’iceberg. Sotto, tanti altri, forse cinquemila. Diego, Giacomo, Luca: poco più che bambini, travolti dalla Distrofia Muscolare di Duchenne e Becker. Anche i loro genitori, come quelli di Daniele, si sono accorti di quell’andatura strana. Anche loro, hanno visto i loro figli camminare sulle punte, faticare a rialzarsi, non riuscire a saltare. Se sei da solo, non sai dove sbattere la testa. Per questo almeno cinquecento famiglie si sono messe insieme nella loro battaglia contro la DMD, aiutate da Parent Project, una onlus nata nel 1996. Insieme si fanno forza, consigliano terapie, raccolgono fondi, scambiano idee. Sanno che una cura non esiste, ma non si rassegnano al fatto che sarà così per sempre: sanno che fino a dieci anni fa i ragazzi arrivavano al massimo ai 15 anni. E sanno che oggi possono

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aspettarsi di vivere quasi il doppio. Ma perché la strada della ricerca possa andare avanti è fondamentale che il maggior numero di famiglie si metta in rete: “Se non sai che l’aspettativa di vita è aumentata a 25 anni, è probabile che tuo figlio muoia a quattordici”, spiega il presidente di Parent Project Filippo Buccella. Per la DMD, infatti, non ci sono protocolli terapeutici scritti: deve dirtelo qualcuno che è meglio fare un controllo respiratorio, che devi andare dal cardiologo, altrimenti il decorso della malattia è molto più rapido. È questo che fa Parent Project: dal ’96 a oggi, la onlus è riuscita a finanziare più di 50 progetti di ricerca, ma soprattutto è diventata la centrale operativa dove può trovare risposte chi brancola nel buio. Il Centro di Ascolto Duchenne risponde al numero verde 800 943 333: qui le famiglie possono orientarsi a trovare centri di riferimento vicino a casa loro e mettersi così in contatto

con medici, terapisti e ricercatori. Parent Project forma le famiglie e le orienta, “investe su di loro per salvare i figli”, spiega ancora Buccella. E colma un vuoto del nostro servizio sanitario nazionale: sono loro – e non lo Stato – ad aver messo in piedi il Registro Italiano Pazienti DMD/BMD. In pratica, un enorme database dove c’è tutto quello che ad oggi si sa della Duchenne: i casi clinici, le mutazioni meno comuni, il patrimonio genetico dei malati. Finora, esisteva “un gran numero di piccoli database, circoscritti ai pazienti di uno o più centri clinici – spiegano a Parent Project – Una situazione frammentaria e poco funzionale che rallenta la diffusione delle informazioni e i progressi della ricerca”. Ora, attraverso il Registro nazionale, ogni singolo paziente racconta la sua malattia: in questo modo si facilita la definizione di nuovi approcci terapeutici e si orientano le priorità della ricerca in funzione dei ca-

si prevalenti. Il dramma di Daniele è proprio questo: la sua mutazione, al momento, non è stata studiata, perché è l’unica. Le sperimentazioni si basano su criteri statistici, e lui è fuori da qualsiasi maglia di frequenza. Di storie simili alla sua, però, purtroppo ce ne sono molte: “Unicità che si accomunano ad altre unicità”, le chiama il presidente Buccella. “Se restano da sole, sono destinate alla sofferenza. Insieme, possono provare a ottenere qualcosa”.

La prospettiva di vita era di 15 anni: grazie alle ultime terapie è arrivata a 25


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La burrascosa nascita di Compagnia aerea italiana

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PAESE REALE

a Compagnia aerea italiana viene fondata ufficialmente il 26 agosto 2008 a Milano da una cordata di imprenditori, guidati da Roberto Colaninno (che ne diviene il presidente) e Rocco Sabelli (amministratore delegato), e dall’istituto bancario “Intesa Sanpaolo”. L’obiettivo è quello di rilevare Alitalia. Il clima è però subito burrascoso. I sindacati si mettono di

traverso, chiedendo garanzie occupazionali. L’accordo viene trovato solo il 27 settembre 2008. Dopo aver fissato l’inizio dell’attività al 15 ottobre, Cai è costretta a differire il termine al primo dicembre, anche per assicurare il reperimento di un ulteriore miliardo di euro, operazione delicata per la crisi creditizia. Il 28 ottobre l’assemblea degli azionisti ha approvato la trasformazione della

società da Srl a Spa con una ricapitalizzazione da 1,1 miliardi di euro. Il 12 dicembre Cai acquista parte degli asset, insieme alla titolarità del marchio industriale, per 1.052 milioni di euro di cui solo circa 300 saranno effettivamente versati alla vecchia Alitalia. Il 12 gennaio 2009 Air France-Klm acquista il 25 per cento del capitale della compagnia per una somma vicina ai 322 milioni di euro.

A sinistra il piccolo Daniele Amanti; a destra con i genitori. Al centro i dati necessari per partecipare alla raccolta fondi ()

PER CONTRIBUIRE: POSTA: Fondo Daniele Amanti Istituito presso il Parent project onlus c/c n 94255007 BONIFICO: Banca di Credito Cooperativo di Roma Iban:IT38V0832703219000000005775 (intestato a: Parent Project Onlus. Causale: Fondo Daniele Amanti) CARTA DI CREDITO: www.parentproject.org/italia/index.php ?option=com_content&task=view&id= 276Itemid=168

I SOLDI PER LA RICERCA “D I R O T TAT I ” PER SALVARE ALITALIA Aprile 2008: il governo stanzia 300 milioni di euro per evitare il fallimento della Compagnia di bandiera. In parte arrivano dai progetti scientifici di Luca Telese

na ennesima vergogna italiana. I soldi previsti per la ricerca, improvvisamente “dirottati” per ripianare i debiti di Alitalia. Niente fondi, insomma, per implementare quelli realizzati con Telethon, ma strappati, ufficialmente, per un prestito, il celeberrimo “prestito-ponte”. Ma che adesso, invece, rischiano di diventare l’ennesima sovvenzione a fondo perduto ad una delle tante imprese fallimentari di questo paese. Un finanziamento che quasi sicuramente – a meno che il governo o la società che gestisce la liquidazione della compagnia aerea non intervengano con decisioni straordinarie – non torneranno mai nelle mani dei ricercatori a cui erano stati promessi. Possibile? Purtroppo, nello stato in cui le cose si trovano adesso, e secondo le dichiarazioni del commissario straordinario Augusto Fantozzi, per ora sembra questo l’esito scandaloso e ineluttabile del meccanismo che si è messo in moto. Nessuno ha la responsabilità diretta di questo esito. Tutti hanno fatto un piccolo passo perché questo accadesse: governi di destra e di sinistra, amministratori vecchi è nuovo. La catena dell’irresponsabilità che distrugge il lavoro della catena della solidarietà. E – per un paradosso nel paradosso – man mano che i beni e i patrimoni della vecchia Alitalia vengono dismessi per far cassa di fronte alle richieste dei creditori, una lista di priorità già decisa farà sì che, prima di restituire i soldi, si rimborsino persino – tanto per fare un esempio – i fornitori di cioccolatini dei voli business class. Per ricostruire l’incredibile trama di questo complicato intrigo, che risale all’aprile 2008, molto prima che il nostro quotidiano nascesse e, che allora i giornali tennero (più o meno volontariamente) in ombra, bisogna ritornare agli ultimi giorni del governo Prodi. In quelle ore fu pensato

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e realizzato il cosiddetto “prestito-ponte”, che doveva aiutare l’Alitalia a far fronte alla sua crisi e ai suoi conti in rosso fra la vecchia gestione e la nuova che – fra polemiche di ogni tipo – si preparava. In quelle ore, sul tappeto, c’erano due ipotesi: il fallimento e la rinascita del marchio con la creazione di una nuova società, che venisse liberata grazie alla nascita di una cosiddetta “bad company” che gestisse i vecchi crediti; oppure il salvataggio da parte di un’altra compagnia che rilevasse i crediti e il marchio. Come è noto prevalse la prima opzione, quella sostenuta da Silvio Berlusconi. Ma perché si verificassero entrambi i casi, era necessaria una immediata iniezione di liquidi, che permettesse la prosecuzione dei voli, e il pagamento delle forniture essenziali a partire dal carburante. Il prestito-ponte fu deciso dal governo Prodi per questi obiettivi. Per realizzarlo, il governo fu costretto a raccattare risorse in ogni angolo possibile del bilancio fino a raggiungere quota 300 milioni euro. Una delle scelte più dissennate fu quella di attingere anche ai fondi raccolti per la ricerca; soldi che dovevano implementare quelli raccolti da Telethon. In quei giornidella primavera 2008, con grande fermezza protestarono il responsabile scientifico del programma di solidarietà, Andrea Balabio e la presidente onoraria di Tele-

Lo Stato è l’ultimo a poter rientrare dei fondi impiegati nell’operazione “prestito ponte”

thon, Susanna Agnelli. Tutto inutile. La Agnelli disse sarcastica: “Ci vuole davvero tanta ricerca per salvare l’Alitalia…”. Nessuno, tra coloro che prese la decisione, le rispose. La beffa nella beffa è rappresentata da una promessa che al momento dell’accordo sia il governo (era già in carica Silvio Berlusconi) sia il commissario straordinario Augusto Fantozzi sottoscrissero solennemente: i 300 milioni di euro sarebbero stati restituiti entro il dicembre del 2008. Un bel regalo di Natale. Peccato che

non sia mai stato consegnato. La società liquidatrice, come ha magistralmente raccontato Sergio Rizzo in un illuminante capitolo del suo libro sullo scandalo degli sprechi italiani (“Rapaci”, Rizzoli, che tutti dovrebbero leggere) deve svendere il patrimonio accontentando i cosiddetti “creditori privilegiati”. Il primo è lui stesso, insieme con gli stipendi della struttura che dirige. Il secondo (più di un quarto di milione) sono le liquidazioni degli ex dipendenti Alitalia (ed è sacrosanto che siano onorate, ovviamen-

te, come tutti gli altri scoperti). Il terzo in ordine di priorità sono i fornitori essenziali che hanno mantenuto in vita Alitalia nel periodo di crisi (ad esempio, con le sue forniture, l’Eni). Poi vengono i fornitori abituali (ed ecco ad esempio la ditta dei cioccolatini) e infine, solo per ultimo, c’è lo Stato. Ma questa restituzione non dovrebbe essere una farsa italiana per almeno un buon motivo: l’Europa aprì una infrazione contro il nostro paese ipotizzando che il prestito non fosse un credito a termine ma un aiuto a fondo perso. Che in

questo caso avrebbe violato le regole della concorrenza con le altre compagnie. E’ esattamente quello che sta accadendo. La beffa nella beffa è in quella scala di priorità che vede per ultima la restituzione al Tesoro, cioè anche al Telethon, cioè alla ricerca. Un meccanismo che fa sì che i cittadini italiani paghino due volte, e che i malati paghino carissimo. Una vergogna a cui qualcuno, in questo paese – se fosse ancora un paese civile – dovrebbe subito mettere fine. Lo scandalo Alitelethon.

PAPÀ FABIO

“ORA LA SFIDA È DIVENTATA POSSIBILE” i sta avverando “S qualcosa che all’inizio avevamo solo sperato che potesse accadere: un effetto-valanga, in cui il granellino di sabbia sta innescando una reazione a catena”. Fabio ed Eliana Amanti, i genitori di Davide, sono persone normali, gente abituata a restare con i piedi per terra. Eppure in queste ore sono quasi stupiti per la catena di solidarietà che si sta innescando dopo il loro appello su Il Fatto di domenica. Il telefono si è fatto incandescente: il Tg3, Repubblica e il Corriere della Sera hanno rilanciato la notizia, ora stanno arrivando inviti dalle televisioni. Esattamente quello che Fabio si era augurato per raggiungere il suo obiettivo: riuscire a finanziare integralmente un programma di ricerca che possa aiutare Daniele e tanti bambini come lui che combattono contro la distrofia. Fabio, sono arrivate decine di messaggi tramite il vostro sito Internet e dalle pagine di Facebook. “È una sensazione bellissima. Per mesi consideravamo un successo quando dal nostro tam tam in Rete arrivavano cinque o sei mail al giorno. Ieri abbiamo decuplicato questa media”. Avete iniziato tutto da soli, in maniera artigianale. “Sì, è vero. Ma strada facendo abbiamo trovato tanti amici, a partire da Cinzia

Lacalamita (l’autrice del libro qui accanto, ndr)”. Di cosa siete più contenti? “Di non essere crollati nel momento della diagnosi”. Cosa pensate adesso? “Che la nostra corsa contro il tempo è diventata una sfida possibile”. Nei primi mesi avete raccolto 16 mila euro… “Soldo più o soldo meno. In questo weekend, dopo la prima pagina de Il Fatto, dopo tutti gli altri servizi, abbiamo ricevuto 10 mila euro di donazioni. In soli tre giorni! Non solo…”. Che cosa? “Non abbiamo ancora il conto esatto, ma sappiamo che altri 3-4 mila euro sono arrivati dal Pay pall”. Il vostro sogno più grande? “Riuscire a toccare quota 250 mila, e ad avviare il programma di ricerca, prima che la malattia di Daniele si manifesti nella sua forma più virulenta”. Il messaggio più bello di queste ore? “Tutti! Mi scrivono madri, ragazzi, anziani… Quello che mi ha commosso di più, però, è stato il racconto dei genitori di un bambino affetto da una malattia rara: ha cinquanta giorni ed è in terapia intensiva, che lotta contro la morte”. Cosa vi hanno scritto? “Che come noi si sentivano a pezzi. E che adesso vivono ogni giorno per il sorriso di loro figlio. Come noi”. La vostra scelta più difficile fino ad

ora? “Pubblicare su Internet le foto di Daniele. Mi sono chiesto: cosa dirà lui da grande? E mi sono risposto che capirà che stiamo facendo tutto questo non per spettacolarizzare una tragedia, ma per trovare fondi che possano salvare la sua vita e quella di tanti altri bambini. Ma sono scelte che un padre e una madre non vorrebbero mai fare”. Ogni giorno c’è gente che vi scrive su Facebook: “Come sta Daniele?”. Vi preoccupa? “Al contrario è un modo per stargli vicino che ci commuove. La nostra è una battaglia che si combatte ogni giorno, e ogni giorno in cui Daniele vive felice per noi è una vittoria. Sa qual è l’ultima cosa che io ed Eliana vogliamo?”. Me lo dica. “Che qualcuno legga questa storia come un caso pietoso. Noi non metteremo un solo fotogramma di Daniele sofferente in Rete. No, Daniele vuole vivere, noi amiamo la vita, e quello che facciamo avrà un senso finché riusciremo a comunicare questo messaggio”. E’ lei che ci ha dato lo spunto per i nostri articoli sullo scandalo dei soldi del Telethon scippati da Alitalia. “Ho detto quello che pensavo. In questa storia la politica non deve entrare. Ma in un paese civile quei soldi raccolti per la ricerca devono tornare a finanziare la ricerca. Lo dico come padre, prima ancora che come cittadino”. lu.te.


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9mila beni sequestrati: il 36% degli immobili ancora non assegnati

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INGIUSTIZIA

al 1982 al 30 giugno 2009, i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata grazie alla legge Rognoni-La Torre sono 8.933. Il 60,5% di questi (5.407) sono stati destinati allo Stato e ai comuni per finalità istituzionali e sociali secondo quanto stabilito dalla legge 109 del 1996. Il 36%

degli immobili (3.213) sono ancora in attesa di essere assegnati. Solo una minima parte (3,5%) è uscita dalla gestione del Demanio. 1.185, poi, le aziende confiscate alla stessa data, di cui poche decine ancora in attività. L'84% dei beni confiscati si trova in quattro regioni del Sud, con una netta prevalenza della Sicilia (oltre quattromila immobili pari

La guerra ai beni mafiosi diventa un’asta per i boss VENDITA SE QUELLI CONFISCATI NON SI ASSEGNANO ENTRO 90 GIORNI. CIOÈ NEL 90% DEI CASI di Stefano

Caselli

ell’anatomia mafiosa, i punti più sensibili sono sicuramente le tasche. Toccarle infastidisce non poco. È non è un caso che tra i punti del supposto papello, l’elenco delle richieste di Cosa nostra alla base della trattativa con lo Stato per porre fine alla stagione delle stragi dei primi anni 90, figuri in bella evidenza l’abolizione della legge Rognoni-La Torre del 1982. Quel testo, che introduce nell’ordinamento il reato di associazione mafiosa, stabilisce anche l’istituto del sequestro dei beni alle persone indiziate, qualora esista una sproporzione evidente con il reddito dichiarato, fino alla confisca, nel caso in cui l’interessato non sia in grado di dimostrare la provenienza lecita di tale bene. La legge 109 del 1996, che consente l’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alle mafie, ha creato – dalle cooperative di Libera Terra (il

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Un’impresa sequestrata (FOTO ANSA)

marchio che contraddistingue i prodotti biologici coltivati e lavorati sui terreni sottratti alle organizzazioni mafiose) fino alla casa del Jazz di Roma – centinaia di piccoli e grandi capolavori che alle tasche delle mafie hanno fatto molto male. L’emendamento alla Finanziaria approvato dal Senato (che impone la vendita dei beni confiscati in caso di mancata assegnazione entro 90 giorni) ha un deciso sapore di anestetico per quel-

Fondi Ue, inchiesta in Liguria Genova

è anche un assessore della C’ giunta regionale ligure tra le oltre 40 persone - politici, amministratori e imprenditori - indagate nell’ambito dell'inchiesta della Procura di Genova su corruzione, turbativa d’asta, falsa fatturazione e truffa aggravata. Si tratta di Giancarlo Cassini, assessore alla Pesca e all’Agricoltura, esponente del Pd. I consiglieri regionali sono Vito Vattuone, del Pd e Nicola Abbundo, del Pdl. Tutti e tre si dicono estranei ai fatti. Ieri i blitz del Nucleo di polizia tributaria della Finanza di Genova sono stati 40, le istituzioni coinvolte nell’indagine sono i comuni di Recco, Rapallo, Varazze, Albisola Superiore e Sanremo; perquisizioni sono state effettuate in alcuni uffici della provincia e della camera di commercio di Imperia. Tre i filoni d’inchiesta: l’assegnazione da parte della Regione Liguria di 30 milioni di euro comunitari provenienti dal fondo sociale europeo; la gara d'appalto da 8,7 milioni di euro indetta dalla Regione Liguria per i servizi mensa della struttura d'accoglienza per anziani "Emanuele Brignole"; la presunta falsa sponsorizzazione di una società calcistica dilettante genovese.

le tasche, pronte ad alleggerirsi senza grossi problemi per tornare in possesso del “bentolto”. “Nessuna semplificazione – dichiara Luigi Ciotti, presidente di Libera – ma questo emendamento è l’ennesimo segnale che qualcosa non va. Da una parte, oltre al grande lavoro ogni giorno portato avanti da magistratura e forze dell’ordine, assistiamo ad affermazioni di principio di grande valore (e ci sono apprezzabilissime

norme di contrasto alla criminalità organizzata anche in questa Finanziaria), dall’altra registriamo piccoli e grandi sbriciolamenti dell’attività di contrasto alle mafie: lo scudo fiscale, la questione delle intercettazioni, il mancato scioglimento del comune di Fondi, prima vera prova di una normativa più aspra contro le infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni pubbliche, e – infine – questo pessimo emendamento”. “Nessuno nega che ci possano essere eccezioni - prosegue don Ciotti - , ma il principio della legge va salvaguardato, perché il fine principale del riutilizzo a scopo sociale dei beni confiscati è, prima di tutto, l’accompagnamento delle vittime della mafia e dei testimoni di giustizia”. “Fino ad oggi – racconta Davide Pati di Libera – i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata sono quasi novemila. Oltre la metà già destinati a Stato e comuni per essere restituiti al-

al 47% del totale), Calabria e Campania si attestano intorno al 15%, la Puglia al sette. Il restante sedici per cento è concentrato prevalentemente in Lombardia (655 casi), Lazio (358) e Piemonte (121). Ma, con le sole eccezioni di Umbria e Valle d’Aosta, esistono beni confiscati in tutte le regioni italiane.

la cittadinanza sotto varie forme, una piccola parte (313) sono usciti dalla gestione del Demanio per revoca della confisca. Ne rimangono oltre tremila ancora da assegnare”. E su questi – e ovviamente su tutti i casi futuri – cadrebbe la scure dell’emendamento del governo, se la Camera confermerà quanto deciso in Senato: “Non esistono stime precise – ancora Davide – ma, riguardo ai beni già assegnati, posso dichiarare che nel novanta per cento dei casi (se non di più) sono sempre trascorsi ben più di novanta giorni tra la data della confisca e quella dell’assegnazione”. In pratica la legge 109 rischia il totale disinnesco. E nel dimenticatoio del Parlamento giace il testo di un’altra Finanziaria: “Quella del 2006 – ricorda Luigi Ciotti – prevedeva il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai corrotti”. Una norma di cui si sono perse le tracce da oltre tre anni.

L’emendamento che modifica la legge, don Ciotti: sono segnali che non si capiscono

SILVIO IN TRIBUNALE ALMENO DI LUNEDÌ Processo diritti Mediaset. Bocchino (Pdl) attacca: “Basta ghedinate” di Antonella Mascali

zione che “non vi è volontà dilatoria nel processo”. Il legittimo impedimento, uando c’è di mezzo il premier-im- insieme al collega e suo maestro Piero putato, la celebrazione di Longo, l’aveva presentato nelle settimaun’udienza senza codicilli ad per- ne scorse in vista del vertice Fao a Rosonam di traverso è una notizia. ma, nonostante già allora sapesse che Deve esserne convinto anche l’avvoca- quella di ieri sarebbe stata un’udienza to-deputato Niccolò Ghedini, che ieri tecnica. Nel frattempo è stata presenalla ripresa del processo Mediaset, post tata un’altra legge salva-Berlusconi e ielodo Alfano, ha sbandierato la rinuncia ri la difesa del premier, accusato di froal legittimo impedimento “perché c’era de fiscale, ha tenuto un insolito attegsolo attività organizzativa”, a dimostra- giamento, quasi dimesso, per dimostrare che non vuole sfuggire al giudizio. Ma se fuori dall’aula Ghedini di Elisabetta Reguitti MIGRAZIONI LEGHISTE ha architettato i processi “brevi”, in tribunale ha pensato ai rinvii lunghi. Ha depositato una lettera della segreteria generale della Presidenza del Consiglio in l centrodestra nella sanità lombarda decui si dice che Berlucide solo le nomine dei direttori genesconi ha impegni a norali? O indica anche quali sono le strutture vembre e dicembre, ospedaliere private che vanno favorite a sca“presi molto tempo prima”, e che le uniche dapito delle pubbliche? Una bella domanda che te disponibili per preoggi potrebbe turbare il sonno della maggiosenziare al processo, ranza del Pirellone dopo l’annuncio, fatto da Di sono il 18 e il 25 genPietro, del passaggio a Idv di Alessandro Cè: il naio. Il pm Fabio De Pa54 enne bresciano “istrione” leghista ex assessquale ha ritenuto quesore alla Sanità che nel marzo del 2007 rassesta visione del legittignò le dimissioni perché contrario alla pomo impedimento troplitica del Carroccio per lui troppo soft. Dopo di manica larga e in po aver lasciato l’incarico e Bossi, Cè si è aula si è opposto: iscritto al gruppo misto fondando il movi“Quando la Consulta si è espressa” a favore del mento “Cristiani e Federalisti”: esperienza riconoscimento del lemai decollata. Ora la svolta dipietrista che gittimo impedimento, in qualche modo potrebbe sparigliare le “si è riferita a un impecarte della sanità in Lombardia. E creare dimento assoluto, non qualche imbarazzo allo stesso Di Pietro. credo volesse dire che i processi si possono ce-

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Idv in Lombardia: chi c’è, Cè

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lebrare solo nelle giornate libere di un imputato”. Il premier, finora contumace, vuole esserci, ha garantito Ghedini, ogni volta che ci saranno “attività istruttorie rilevanti”. La prima sezione penale del Tribunale, presieduta da Edoardo D’Avossa, gli ha dato ragione e invece di valutare, come avrebbe potuto fare, di volta in volta l’attendibilità del legittimo impedimento, o magari di verificare un sabato libero di Berlusconi da oggi a dicembre, ha ritenuto verosimile che il presidente del Consiglio, avesse preso impegni istituzionali, prima della notizia della ripresa del processo. Il collegio ha quindi dato per buoni i lunedì 18 e il 25 gennaio e di conseguenza ha stabilito che le udienze si terranno solo il primo giorno della settimana. Se però Berlusconi dovesse opporre un legittimo impedimento anche di lunedì, allora si fisserà il processo di sabato. C’è un eccezione, il 30 novembre si terrà udienza per riunire il processo a carico di Fedele Confalonieri, accusato anche lui per i presunti costi gonfiati d’acquisto dei diritti Tv , con quello degli altri imputati. Il 14 dicembre, altra udienza tecnica, durante la quale il pm dovrà comunicare la cronologia dei testimoni. Il 18 gennaio si dovrebbe entrare nel vivo del processo e, ha assicurato Ghedini, in quel caso “il presidente ci sarà”. Berlusconi comunque può stare tranquillo, prescrizione per tutti, senza l’ultima legge in discussione, ma grazie all’ex Cirielli, i primi mesi del 2012. In tempo per evitare una sentenza definitiva della Cassazione ed eventualmente farla franca. Una consolazione a metà per Ghedini, ieri in piena indigestione da insulto del compagno di partito, Italo Bocchino, che ha detto: “Basta con le ghedinate da prendere o lasciare”.

N MEDIASET

“Un neonazi al GF? E allora?”

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am-tam su Internet. Mauro Marin, il salumiere veneto del Gf, sarebbe Atom Takemura, batterista degli zeta zero alfa. Alessandra Corbi di Mediaset: “Abbiamo indagato e non ci risulta. Se poi dovesse rivelarsi tale, la cosa non ci imbarazzerebbe. Nessun precedente penale, nessuna colpa”.

IL CAPOMAFIA RACCUGLIA

Armi e papelli nel covo del boss

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l boss Mimmo Raccuglia, arrestato domenica dopo 13 anni di latitanza e considerato il n.2 di Cosa Nostra dopo Messina Denaro, utilizzava un bloc notes con nomi e cifre della riscossione del pizzo. Ritrovati anche una trentina di pizzini, 130 mila euro, una mitraglietta e due pistole.

TERRORISMO

Minacce a Unità, Rai, Mediaset e Giornale

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n documento che contiene minacce al mondo della politica e dell’informazione è stato recapitato ieri alla redazione di Milano de “L’Unità”, alla sede milanese della Rai, in quella di Mediaset e nella sede del 'Il Giornale”. Si tratta di 4 cartelle firmate dai Nuclei di Azione Territoriale che ricalcano quelle arrivate venerdì alle redazioni di Bologna de “L'Unità”, del “Resto del Carlino” e di altri quotidiani. SALTA LA TRASMISSIONE

Ballarò, Floris: ho la H1N1

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l conduttore lo ha spiegato ieri dal suo sito internet. Per precauzione “Ballarò” stasera dunque salta, si riprenderà martedì 24 novembre.

RAVE A TORINO

Preso il chimico degli speed

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iveva con la madre a Torino e nello scantinato di casa produceva 'speed' e anfetamine destinate ai frequentatori dei rave. Alla fine Paolo Sofi è finito in manette.


Martedì 17 novembre 2009

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Dalla Svizzera a Dubai: investimenti e fondi in totale “riservatezza”

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INGIUSTIZIA

la banca preferita del premier. La Arner, 250 dipendenti, sede centrale a Lugano proprio sul lungolago, offre riservatezza assoluta e rifugi esentasse. Il repertorio della casa comprende fondi d’investimento alle Bahamas e società lussemburghesi. Di recente è stato inaugurato anche un ufficio a Dubai – negli Emirati Arabi –,

l’ultimo grido in fatto di paradisi fiscali e societari. Insomma, le specialità sono quelle classiche delle piccole banche svizzere nate come funghi a Lugano per intercettare i capitali in fuga dal fisco italiano. L’uomo chiave è Paolo Del Bue, classe 1951, figlio di un alto dirigente del gruppo Eni. Romano di nascita, ma svizzero di adozione, Del Bue è uno dei fondatori della Arner di Lugano. Da principio, i

suoi compagni di avventura sono Nicola Bravetti, Giacomo Schraemli e Ivo Sciorilli Borelli. La Arner è finita nel mirino dei magistrati per un’indagine per riciclaggio che solleva dubbi e sospetti pesantissimi sull’attività della filiale italiana di Arner. La Gdf lo scorso giugno ha perquisito il palazzotto di Corso Venezia alla ricerca di documenti utili per l’indagine.

B. E LE VILLE OFF-SHORE Il bonifico partito dalla Arner Bank per una società di Antigua. Le violazioni dell’antiriciclaggio

di Peter Gomez

e Marco Lillo he Antigua fosse destinata a diventare il suo buen retiro lo si era capito già nel 2005. Quattro anni prima, cioè, delle rivelazioni di Report che, domenica sera, ha svelato l’esistenza di un bonifico da 3 milioni 367mila euro partiti da un conto di Silvio Berlusconi alla Arner Bank di Milano e inviati nel maggio 2008 a una misteriosa società off shore, la Flat Point Development Ltd, impegnata nella costruzione di ville da favola nell’isola d\ei Caraibi. Allora, sul sito ufficiale del governo di Antigua e Barbuda era comparso un resoconto dell’incontro bilaterale, avvenuto a New York, tra il Cavaliere e Baldwin Spencer, premier di quel piccolo Stato, incluso nella black list dei paradisi fiscali, dove il primo ministro italiano è proprietario di terreni e immobili. Poche righe da cui traspariva come Berlusconi, durante il faccia a faccia, fosse andato a un passo dal confondere gli affari pubblici con quelli privati. Secondo il governo di Antigua, infatti, Berlusconi aveva promesso a Spencer di parlare “per-

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sonalmente con gli altri capi governo europei per convincerli a condonare” il debito estero dell’isola (più di un miliardo e mezzo di dollari). Inoltre aveva garantito l’interessamento del suo architetto personale Gianni Gamondi (progettista della ristrutturazione di villa La Certosa) per risolvere il problema delle strade dell’isola, brutte e poco illuminate. E aveva preannunciato l’arrivo ad Antigua di una delegazione di uomini d’affari italiani interessati a investire. Poi, continuava il comunicato, Berlusconi “che trascorre regolarmente un periodo di vacanze ad Antigua” aveva parlato di sé stesso annunciando “di avere intenzione di costruire quattro case per i suoi figli nella zona di No such Bay”. Sempre il governo di Antigua informa, infatti, che a risolvere il problema delle strade poco illuminate ci ha alla fine pensato il sindaco di Milano, Letizia Moratti che il 13 marzo del 2008, ha raggiunto un accordo in proposito con l’ambasciatore dell’isola alle Nazioni Unite. Sul numero delle ville possedute dal Cavaliere bisogna invece accontentarsi dei giornali secondo i quali sarebbero addirittura set-

te. Anche se il geometra Giorgio Rivolta che segue il cantiere dell’Emerald Cove Group - Flat Point Development (la società che cura le costruzioni a No such Bay sotto la progettazione di Gamondi) sta più basso. “Sette mi sembrano troppe”, dice al Il Fatto quotidiano, “Io penso che siano solo due. Si tratta d’immobili di grande pregio. Mentre la società Flat Point non so di chi sia, non credo siano italiani. Il presidente è irlandese e io curo la parte tecnica. Seguo i cantieri. Le ville sono un centinaio, tutte hanno la piscina, alcune come quella di Berlusconi due o tre piscine. L'operazione parte nel 2005 e Berlusconi compra sulla carta. Sa, queste non sono ville che si vendono mediante agenzia, ma con il passaparola. Possono valere anche molte decine di milioni di euro”. Non per niente villa Blue Horizons, la villa dove trascorre spesso le sue vacanze Berlusconi (dotata di altre tre grandi case come dependance), viene valutata più di 15 milioni di euro. Nel gennaio del 2008, il cavaliere l’ha mostrata con orgoglio a un giornalista del Corriere. «Guardi qui che spettacolo”, diceva il leader del Pdl, “quell' al-

tra casa su quel promontorio è di Shevchenko. Altri ragazzi del Milan hanno intenzione di investire. Ci sono state praticate ottime condizioni perché i nostri nomi fungono da calamita per il mercato. Ma la decisione finale l’ho presa per dare un sostegno al mio amico Gianni Gamondi che è il regista di tutto l’intervento per la progettazione. Hanno lavorato anche a Natale per consegnarmela». Un racconto che oggi rischia di essere imbarazzante. I rapporti tra la Flat Point e la Banca Arner sono infatti uno dei capitoli dell’indagine anti-riciclaggio avviata dalla procura di Milano sull’istituto di credito. In una relazione del maggio del 2008 gli ispettori di Bankitalia, intervenuti dopo che tra la clientela estera di Arner erano stati trovati personaggi vicini a Cosa Nostra, spiegano come la banca avesse acceso un conto alla Flat Point “senza indentificarne gli amministratori e il beneficiario economico effet-

tivo”. Inoltre il conto risulta aver ricevuto “bonifici disposti da persone fisiche tramite banche italiane e da giroconti di pari importo suI c/c intrattenuto dalla stessa Flat Point presso Arner Bank SA, Lugano”. In totale fanno più di 13 milioni di euro che, tra il marzo 2006 e il dicembre 2007, dall’Italia vanno verso la Svizzera e da qui forse ad Antigua. In maniera irregolare secondo Bankitalia. E ora, forse, pure per il fisco. Lo strano giro dei soldi da Milano a Lugano potrebbe essere servito a nascondere gli acquisti al monitoraggio dell’erario. Se si fa un versamento diretto a una società estera per comprare casa bisogna dichiararlo nel riquadro RW del modello unico. Se il pagamento gira su un conto italiano, tutto passa inosservato.

Gli strani accordi con l’isola caraibica, le scatole cinesi delle imprese immobiliari di Bankomat

INSIDER

ATTENZIONE AL POTENTISSIMO SCIUMÈ anca Arner è commissariata e deve rispondere alla Banca d’Italia di conti correnti e movimenti relativi alla famiglia Zummo, molto vicina alla mafia. Ora, va detto che nelle banche – da Intesa Sanpaolo all’ultimo credito cooperativo – per definizione convivono i soldi di tutti, e i clienti non rispondono della gestione. Gli amministratori sì. Visto dal mondo bancario, il vero scandalo non è che il presidente del Consiglio sia cliente di Banca Arner, anche se tutto questo odore di spiagge finanziarie esotiche non giova certo alla sua immagine, ma che il presidente di Arner, dottor Nicola

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Bravetti, si facesse presentare strani clienti siciliani dall’avvocato Paolo Sciumè e che costui, travolto ma non troppo dallo scandalo Parmalat, abbia un curriculum vistoso di consulente del Vaticano, di uomo di Comunione e liberazione, di consigliere di Mediolanum. Per ora è lui, l'avvocato Sciumè, che dovrebbe attirare le maggiori curiosità. Ma come già ai tempi di Parmalat, temiamo tornerà presto nell’ombra. Vi sembrerà strano: ma visto dal mondo della finanza, Sciumè forse è per certi versi persino più potente del Cavaliere.

MR. DEL BUE, IL FONDATORE CHE C’È MA NON SI VEDE aolo Del Bue – svizzero di adozione – Pda fargli gode della fiducia di Berlusconi tanto gestire i risparmi non proprio freschi di bucato della Fininvest e dei diritti televisivi Mediaset. Del Bue è un nome di spicco del processo Mills (l’avvocato inglese condannato in appello per essersi fatto corrompere dal premier in cambio di falsa testimonianza in processi riguardanti le società off-shore CenturyOne UniversalOne) in quanto gestiva i conti esteri di società fino a prelevare in tre anni 100 miliardi di lire. Quando venne chiamato a testimoniare a Milano, chiese di es-

dc

L’enigma di Fini di Stefano Feltri

on è semplice capire Nsuccedendo quello che sta dentro la maggioranza, soprattutto quali siano gli obiettivi di medio termine di Gianfranco Fini. Dopo le dichiarazioni e le interviste del weekend, il presidente della Camera ha parlato di nuovo pubblicamente ieri, spiegando che “sarebbe un momento difficile per il paese quello in cui dovesse affermarsi il principio che in una democrazia dell’alternanza ogni maggioranza modifica a proprio piacimento quelle che sono regole del vivere civile”. Che tradotto significa: una riforma si può fare, ma solo con un vasto consenso trasversale, perché se si vuole evitare una nuova bocciatura della Consulta serve una modifica costituzionale. E per sottrarsi al referendum popolare – ad alto rischio fallimento – ci vuole la maggioranza qualificata dei due terzi, cioè serve coinvolgere il Pd. Silvio Berlusconi, però, nonostante il rinvio a gennaio del processo Mediaset a Milano, non sembra disposto ad aspettare tanto. entre la maggioranza si M divide e l’opposizione pondera le offerte di dialogo,

DA MEDIASET A LUGANO

di Sandra Amurri

IL FATTO POLITICO

sere ascoltato per rogatoria ma nel giorno fissato a Lugano non c’era. Era in Brasile per motivi personali da dove, come attestato da certificato medico, non poteva muoversi a causa di dolori al petto, in seguito si avvarrà della facoltà di non rispondere. Dal processo Mills emerge che Del Bue gestisce i capitali delle società create da Berlusconi per trasferire una parte del suo patrimonio ai figli di primo letto Piersilvio e Marina, mantenendone il controllo. Del Bue è anche uno dei cofondatori nel 1994 della Banca Arner, sospettata di essere un istituto privato riconducibile a Berlusconi, a disposizione di una cerchia ristretta di amici come Ennio Doris – fon-

datore di Mediolanum – e l’avvocato Giovanni Acampora. Del Bue nel 2005 ha lasciato la carica di ad, ha ridotto il suo capitale a 9,8% e per la legge svizzera non è più azionista qualificato. Seppure, sorpresa, nel rapporto 2008 della Arner – alla voce capitale sociale: 7 milioni e mezzo di franchi, proprietari importanti con diritto di voto – troviamo “Cafmaigil trust” di Maria Cristina Manuela Del Bue (indicata ufficiosamente come madre di Paolo e certamente parente strettissima) con sede in Lichtenstein. Cafmaigil, infatti, non compare nel registro di commercio svizzero. La Banca Arner dal 30 ottobre ha un nuovo presidente, Kurt Schiltknecht, 68

anni, che è stato anche presidente di Nordfinanz di Zurigo (poi venduta all’Opus Dei) di Arthur Wiederkehr, avvocato, ex console di Panama a Zurigo, coinvolto in molti scandali che ha fondato e gestito società off-shore a Panama di Sindona, Calvi, Batliner ecc... Infine una notizia curiosa che riguarda le capacità premonitrici di Ennio Doris. Il 19 luglio, quando lo scudo fiscale era ancora in grembo, ha dichiarato: “Siamo pronti a trarre vantaggio da questa opportunità. Alcuni potrebbero avere timore di tenere i soldi all’estero alla luce di eventuali investigazioni che le banche straniere potrebbero subire”. Compresa la Banca Arner.

il protrarsi dei negoziati evidenzia la differenza di posizione tra i soggetti in campo. Dentro il Pdl convivono posizioni come quella di Maurizio Gasparri (“Sulla durata indeterminata del processo, indietro non si torna”) con quelle di Italo Bocchino (“Basta ghedinate, il disegno di legge va riscritto”). Il caso di Nicola Cosentino, poi, si sovrappone alle fratture sulla giustizia e si annuncia come il vero test per Fini, che si è molto esposto per bloccarne la candidatura alla guida della regione Campania. Cosentino non si arrende, ieri ha vantato i suoi rapporti con don Peppino Diana, prete ucciso da quella camorra che, secondo le accuse, lo avrebbe sostenuto nella sua ascesa politica. l centrosinistra inizia a IBersani, dividersi: Pier Luigi segretario del Pd, conferma la linea di contrarietà netta alle soluzioni politiche delle vicende giudiziarie. Il nuovo partito di Francesco Rutelli si mostra meno ostile, dicendo che sarebbe un errore partecipare alla manifestazione di dicembre contro Berlusconi. Giovedì si deciderà il destino europeo di Massimo D’Alema in corsa per diventare ministro degli Esteri Ue. Qualunque cosa succeda, potrebbe avere delle ricadute sulle altre questioni aperte.


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Martedì 17 novembre 2009

Salvatore Cirafici e la sua utenza non identificabile

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ILLEGALITÀ

x ufficiale dei carabinieri, Salvatore Cirafici è a capo della sicurezza Wind da molti anni. E’ lui l’uomo che garantisce un uso corretto dei dati personali di 17 milioni di italiani, tanti sono i clienti Wind. Il suo nome emerge anche durante l’inchiesta "Why Not" dell’ex pm Luigi de Magistris, che lo incrocia nell’estate 2007. La scoperta fatta dal pm di

DEPISTAGGIO TARGATO WIND

Il capo della Security dietro un sistema per confondere le indagini di Antonio Massari

n sistema congegnato per coprire alcune utenze telefoniche, affidate anche a uomini delle istituzioni, e mirato a confondere le indagini delle procure: questo il sospetto degli inquirenti di Crotone, supportato dalle dichiarazioni di un maggiore dei carabinieri indagato. È per questo che il pm Pierpaolo Bruni, nei giorni scorsi, ha disposto l’ispezione della Wind. Il principale sospettato, come vedremo, il direttore della Security Wind: Salvatore Cirafici. Parliamo dell’uomo che, come scrive la procura di Crotone, è “responsabile dell’organizzazione, gestione e adempimenti (...) delle richieste di intercettazioni telefoniche, di informazioni e ogni altra prestazione obbligatoria richiesta dall'Autorità Giudiziaria e dalle forze dell'ordine”. Se il sospetto della procura venisse confermato, quindi, saremmo dinanzi al più grande scandalo che abbia mai coinvolto una compagnia telefonica italiana: attraverso le schede Wind, Cirafici avrebbe potuto creare buchi nelle inchieste di tutt’Italia. A partire dall’ormai famosa Why Not. Inclusi i rivoli che, due anni fa, hanno coinvolto il consulente informatico, Gioacchino Genchi. A spiegarlo, interrogato, il maggiore dei Carabinieri Enrico Grazioli. A sua volta indagato, sempre da Bruni, per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento. Dichiarazioni talmente delicate che lo stesso Grazioli, durante l’interrogatorio, fa mettere a verbale: “Adesso temo per la mia incolumità personale”. I timori di Cirafici Genchi avrebbe scoperto, attraverso le sue perizie, fatti inquietanti. Dice Grazioli: “Conoscevo Cirafici sin dal corso nei Carabinieri. Ci siamo persi di vista per più di dieci anni, per poi rincontrarci in occasione della perquisizione disposta dalla Procura Generale di Catanzaro nei confronti di Gioacchino Genchi (...). Fu lui a contattarmi (..) più volte mi manifestò il disappunto e la sua ira, poiché erano emersi dei contatti, nelle consulenze di Genchi, tra lui omissis e altri soggetti - anche Istituzionali dei quali ora non ricordo i nomi (...) Mi lesse qualcosa di scritto (...) dove erano indicate le convergenze investigative tra le utenze di Cirafici e quelli di terzi con lui in contatto telefonico. Cosa temeva Ci-

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Un centro per intercettazioni (FOTO ANSA)

Così si sarebbero creati buchi in una serie di inchieste, a partire da Why Not rafici? Schede coperte e irraggiungibili per i pm. Ecco la versione di Grazioli: “Il timore paventato dal Cirafici era determinato dal fatto che aveva a cagione del suo ruolo presso la Wind la disponibilità di schede telefoniche Wind non intestate e non riconducibili ad alcuno: erano quindi delle schede coperte, pertanto di pressoché impossibile riconducibilità a un soggetto, qualora fosse stata inoltrata specifica richiesta di intestatario da parte dell’Autorità Giudiziaria”. Ma c’è di più. Ed è sempre Grazioli a parlarne. “Ulteriore, e ben più grande timore del Cirafici, sempre verso le indagini di cui alla consulenza di Genchi, era determinato dal fatto che la tipologia di schede Wind di cui sopra, fossero state da lui consegnate e date per l’uso anche a soggetti ricoprenti ruoli istituzionali di primo piano. Quindi temeva che, dagli accertamenti curati dal consulente Genchi, si potessero svelare e far emergere tali gravi circostanze e le sue relative responsabilità”. L’uso strumentale: confondere le procure Il sospetto peggiore, per, il seguente. “Non posso escludere, continua Grazioli, che questo suo sistema (...) di disporre (...) di una serie di SIM cards su

cui attestare numeri telefonici, insomma di renderle fruibili per effettuare chiamate ma non attribuibili a un soggetto, fosse congegnato in modo tale da non solo rendere impossibile di risalire alle utenze ma anche strumentale a confondere eventuali accertamenti disposti dall’Autorità Giudiziaria (...)” Il caso Genchi, Why Not, i contatti con carabinieri e procura di Catanzaro. “Cirafici prosegue Grazioli nel suo interrogatorio - si rivolgeva a me, e talora nel mio ufficio, per avere informazioni sulle attività susseguenti alla perquisizione fatta a Genchi: voleva conoscere le nostre eventuali risultanze delle investigazioni su Genchi e in particolare era preoccupato, e voleva sapere se erano stati acquisiti ulteriori e diversi contatti telefonici tra lui, Cirafici, e

Crotone, Pierpaolo Bruni getta una nuova luce proprio sulle zone oscure di Why Not, come ha raccontato Il Fatto quotidiano. Parlando delle sue indagini, Luigi de Magistris, dichiarava ai pm di Salerno: “Stavamo facendo degli approfondimenti su Salvatore Cirafici (mai indagato, ndr)”. Il nome dell’uomo della security Wind emergeva dai tabulati di alcuni personaggi coinvolti in Why not.

terzi, contatti evidentemente non conosciuti dalla stampa. So che andato anche in Procura a chiedere informazioni, ma non mi ha chiesto di accompagnarlo perché sapeva già a chi rivolgersi. Mi chiedeva inoltre a che punto fosse la denuncia che lui aveva presentato al Pm De Tommasi contro Genchi, e mi rappresentava l’auspicio che la sua denuncia (...) venisse trattata dalla Procura Generale, congiuntamente alla più ampia indagine Why Not”. Ulteriormente inquietante, il quadro delineato dal maggiore Grazioli, poiché fu egli stesso a far visita a Genchi. “Questo desiderio, prosegue Grazioli, me lo espresse subito dopo le perquisizioni fatte a Genchi, in Palermo, ove andai anchio in qualit di Pg delegata. Era chiaro che Cirafici avesse paura di quello che Genchi poteva fare, o meglio che avrebbe potuto disvelare, sul suo conto e sul conto di altri che evidentemente erano a lui collegati”. Non sappiamo quali esiti abbia avuto l’ispezione di Bruni alla Wind, resta il fatto, però, che lo scenario delineato dal maggiore Grazioli davvero inquietante, e potrebbe peggiorare la situazione di Cirafici che, al momento, risulta indagato per aver rivelato, proprio al maggiore Grazioli, che era sottoposto ad attività intercettiva e investigativa da parte della procura di Crotone aiutandolo a eludere le investigazioni. Informazioni che avrebbe ottenuto proprio in qualità di direttore della security Wind. Ma come arriva, il pm Bruni, a Cirafici e a questa mole di sospetti? Il pm crotonese individua, tra le utenze che parlano con Grazioli, e che sono quindi intercettate, un numero Wind. Essendo intercettato, il numero deve essere sicuramente attivo, anche perch la procura sente Grazioli parlare, in diretta, con l’intestatario dell’utenza in questione. Avanzata la richiesta alla Wind e chiedendo a chi fosse intestato quel numero, la risposta della compagnia telefonica, almeno in un primo momento, fu la seguente: “numero disattivo”. Il fatto insospettisce la procura e la polizia giudiziaria che, successivamente, viene a sapere, sempre dalla Wind, che l’utenza è intestata a Cirafici. Scrive Bruni: “Certo che quell’utenza, per cui si chiesto

Ma solo per lui l’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico, da parte del consulente del pm Gioacchino Genchi, era stata particolarmente ardua. Spiegava De Magistris di aver avuto difficoltà enormi ad arrivare all’identificazione di Cirafici perché quando Genchi aveva scritto alla Wind, chiedendo di chi era la sua utenza, Wind aveva risposto che l’utenza non esisteva.

CASO COSENTINO

L’IDV SI SMARCA DA HERA

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ualcosa si muove dopo gli articoli de “Il Fatto Quotidiano” sui rapporti economici tra la società bolognese Hera Spa e la famiglia del sottosegretario Nicola Cosentino. Nel silenzio imbarazzato del Pd e del Pdl, l’Italia dei Valori ha messo il dito sulla piaga dell’accordo trasversale che lega gli interessi della multiutility emiliana controllata da 180 comuni (in gran parte rossi) alla famiglia del politico di destra di Casal di Principe. Già dopo il primo articolo del 23 ottobre 2009 che rivelava la storia della centrale elettrica di Sparanise in provincia di Caserta, sorta grazie a un accordo trasversale, il 3 novembre i senatori Felice Belisario (capogruppo dell’Idv) ed Elio Lannutti avevano presentato un’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio e ai ministeri dello Sviluppo economico e della Salute per sapere quali iniziative intendesse adottare il Governo. L’interrogazione ricordava la plusvalenza di 9,3 milioni di euro incassata dalla società SCR grazie alla vendita dei terreni sui quali è sorta la centrale da 800 megawatt contro la quale si opponeva la popolazione locale. I due parlamentari, dopo aver ipotizzato che dietro SCR ci sia la famiglia Cosentino, ricordano che la centrale di Sparanise “emette più di un milione di metri cubi l’ora di gas inquinanti, causa principale delle piogge acide, responsabili di ingenti danni all’ambiente e ai prodotti agricoli”. La società Hera Comm Mediterranea (50% d Hera e 50% della SCR, vicina ai Cosentino tanto che in consiglio siede il fratello dell’onorevole) è diventata più imbarazzante dopo la richiesta di arresto per il sottosegretario. A Bologna, il capogruppo dell’Idv in provincia, Giuseppe De Biase, ha posto il problema. Anche il capogruppo dell’Idv nel comune di Modena (azionista di Hera) Eugenia Rossi, ha interpellato il Sindaco per sapere se era a conoscenza dell’affaire. E se sia in grado di dire chi sono i padroni della Scr. “Dopo l’interrogazione”, racconta Rossi, “nessun politico né del Pd né del Pdl ha detto una sola parola. Anche i media sono stati in silenzio. E’ un tabù. Ma io non mollo”.

l’intestatario, probabilmente coperta, celata, magari non censita, ovvero non consultabile con i sistemi Wind-Ag, almeno non con quelli gestiti dagli operatori che curano i contatti con la Autorità giudiziaria”. E ancora: “Il dato fornito con la prima risposta inviata via e-mail dalla Wind assolutamente fuorviante, di conse-

guenza falso. (...). Desta preoccupazione ritenere che, senza quell’intercettazione in corso, magari estrapolando quel numero da un’agenda, una rubrica, un vecchio tabulato, ecc., con l’esigenza di addivenirne all’intestatario, ma ottenuto il Disattivo, avrebbe fatto fede questo dato, così da cagionare nocumento alle attività di Giustizia”.

REALTÀ VIRTUALE

NEL SALOTTO DI VESPA COSENTINO È “UN POVERO CRISTO” di Carlo Tecce

e poltrone di Bruno Vespa sono morbide e comode. Il proLgrado cesso è brevissimo, il conduttore corre in fretta sino al terzo di Porta a Porta. Processo mediatico alla magistratura: “Le pare normale – chiede Vespa a Luigi De Magistris – che un povero disgraziato sappia queste notizie dai giornali?”. Il povero disgraziato è Nicola Cosentino, accusato dalla Procura di Napoli - e non dai pentiti come scrive il titolo della puntata - di concorso esterno in associazione mafiosa. Cosentino sospira stringendo le labbra, ruota le orbite, poi si rilassa: “Hanno chiesto un arresto politico, a me che ero e sono il candidato del Pdl per le regionali in Campania. Non mi dimetto da nulla”. Tre, sei, nove minuti, il sottosegretario all’Economia è in discesa libera e Vespa rimuove qualsiasi paletto. Passa una sola versione dei fatti: “Il mio è un esempio che spiega come funziona la giustizia italiana e il suo rapporto con la politica. Apprendo di essere oggetto di indagini attraverso l’Espresso, oltre un anno e mezzo fa. Un collaboratore di giustizia, pazzo e cocainomane, dice qualcosa su di me, chiedo di essere sentito. Presento una memoria difensiva, non ricevo alcuna risposta. Questi magistrati lavorano su di me dal 1990, sono i miei angeli custodi, si palleggiano le carte e continuano.

Questa è un’infamia che cambia la politica in Campania”. Non c’è dibattito, la scena è a telecamera fissa: “Solo barbarie e inciviltà. Sono porcate. Ho scoperto che Don Peppe Diana - ucciso dalla camorra - era mio parente e votava per me. Chi mi massacra? Il pm Narducci ha partecipato a un convegno con Travaglio. E come mai il Fatto Quotidiano ha anticipato la misura cautelare? Alla Procura di Napoli ci sono dieci stalloni che fanno politica”. Vespa è distratto. In un lancio poi tagliato dalla redazione, poiché la trasmissione è registrata, così aveva servito il menù della serata: “Ospitiamo Cosentino e Cicchitto contro De Magistris”. Contro. Non va in onda. Al tribunale di Porta a Porta la realtà viene smontata e ricomposta, per il conduttore Cosentino è un “povero Cristo”. Da imputato a perseguitato. Bianco e lucente come gli studi Rai, il coordinatore del Pdl fa scivolare un criptico segnale politico: “Sono un uomo di Berlusconi, farei un passo indietro solo per lui. Non ho deciso io di candidarmi, sono stato scelto dal territorio: parlamentari, sindaci, presidenti pensano che io sia la persona adatta. Sto ricevendo una gravissima ingiustizia. La verità è che faccio paura come candidato”. Cosentino è a Roma per difendersi in televisione, Maurizio Sacconi è a Napoli per cercare un paracadute: il ministro incontra il deputato Stefano Caldoro e Gianni Lettieri, presidente di Assindustria. Il Pdl guarda altrove.


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Martedì 17 novembre 2009

La rete si mobilita per chiedere verità e giustizia

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CRONACA NERA

ra il maestro più alto del mondo, quasi due metri di anarchia e amore per i libri. Così gli amici ricordano Franco Mastrogiovanni, morto lo scorso 4 agosto nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania durante un Trattamento sanitario obbligatorio. Come accade ormai spesso, è la rete che si fa promotrice di istanze

di verità. Sono tre i gruppi su Facebook che chiedono giustizia per Franco. Il primo ha un nome provocatorio: “Francesco Mastrogiovanni, intollerante ai carabinieri”. Ha oltre mille membri. Tra le testimonianze più forti, quella della nipote del maestro, Grazia, che racconta come - durante quei 4 giorni d’ospedale - un medico continuasse a dirle che

lo zio stava riposando e che bisognava soltanto aspettare. Il secondo gruppo era stato creato per un appuntamento che si è svolto il 9 settembre a Castellabate, “Burroughs, Mastrogiovanni e la violenza psichica”. Il terzo unisce “il maestro più alto del mondo” al “poeta dei folli e dei giusti, Giovanni Marini”.

80 ORE DI AGONIA. FILMATE

La storia di Franco Mastrogiovanni, il maestro anarchico morto dopo essere rimasto legato per 4 giorni in ospedale di Silvia D’Onghia

rancesco Mastrogiovanni, per tutti Franco, era un maestro elementare di 58 anni di Castelnuovo Cilento, provincia di Salerno. Un omone: era alto 197 centimetri. Amava i libri, tanto da tappezzarne la casa di sua madre. Ed era anarchico. Franco Mastrogiovanni è morto il 4 agosto, dopo 80 ore di contenzione in un letto del reparto psichiatrico dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania. 80 ore durante le quali i suoi polsi e le sue caviglie sono rimasti costantemente legati, l’alimentazione resa possibile solo attraverso le flebo. Tutto registrato dai nastri delle telecamere interne all’ospedale: un video definito choccante da chi l’ha visto. Il maestro è morto per edema polmonare: i suoi polmoni non avrebbero retto a quella posizione obbligata per quattro giorni, in un corpo debilitato dalla mancanza di cibo solido e acqua. Una storia agghiacciante, sulla quale il pm Rotondo della Procura di Vallo sta adesso cercando di fare luce. Tutto ha inizio il 31 luglio di quest’anno: Franco viene inseguito da una task force composta da vigili urbani, carabinieri, guardia costiera e personale medico, mentre si trova nella frazione di Acciaroli. Inseguimento terminato sulla spiaggia di un campeggio di San Mauro. Il giorno prima ha avuto un diverbio con suo fratello, non vuole rientrare a ca-

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sa, secondo i famigliari è molto agitato. La sua è la storia di un uomo provato dalle vicende giudiziarie: nel 1972 fu imputato e poi assolto per l’omicidio di Carlo Falvella, il vicepresidente del Fronte universitario d’unione nazionale di Salerno. Nel 1999 fu fermato per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. Tre anni di condanna, un’assoluzione in appello e il risarcimento danni per essere stato detenuto ingiustamente. Da allora, una serie di trattamenti sanitari obbligatori: nel 2002, nel 2004 e nel 2005. “Mastrogiovanni intollerante ai carabi-

Un video mostra come sia stato lasciato con i lacci ai polsi e alle caviglie, e una flebo per alimentarlo nieri”, racconta un gruppo aperto su Facebook dalla famiglia, nel quale si raccontano i rapporti conflittuali del maestro con i militari. Il 31 luglio viene dunque braccato e accompagnato in ospedale. Il sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, che ha disposto il Tso, afferma che il provvedimento si è reso necessario

per gli evidenti segnali di squilibrio: Franco avrebbe guidato l’auto contromano ad alta velocità tamponando altre vetture. Circostanza, questa, smentita dalla famiglia, che ha pubblicato le foto della Punto bianca del maestro, che non presenta segni di incidente. L’uomo finisce nel reparto di psichiatria dell’ospedale San

Un’immagine di Francesco Mastrogiovanni In basso, Stefano Cucchi

Luca. Sono le 13,30 del 31 luglio. Ne uscirà quattro giorni più tardi, il 4 agosto, in una bara. Alla famiglia, accorsa lì alle 8,30 del mattino dopo la telefonata dei medici, viene detto che forse Franco è morto per un infarto. Nessuno

sembra saperne di più. Eppure, quando i famigliari sollevano il lenzuolo che copre il cadavere, la prima cosa che vedono sono gli ematomi intorno ai polsi e intorno alle caviglie. Eppure sulla cartella clinica nessuno ha disposto la contenzione, nessuno l’ha annotata. Quello che è accaduto nel frattempo è stato documentato dalle telecamere interne al reparto, che il pm Francesco Rotondo ha immediatamente fatto sequestrare. L’autopsia sul corpo del maestro viene eseguita una settimana dopo, il 13 agosto. I medici legali dichiarano che l’uomo è morto per edema polmonare. “Secondo i consulenti si sarebbe trattato di una conseguenza della contenzione a letto - spiega l’avvocato Caterina Mastrogiovanni, cugina di Franco - i muscoli del torace si sarebbero bloccati, non consentendo la respirazione e il riciclo dell’aria nei polmoni. Una conseguenza, dunque, non una causa. Da quando è entrato in ospedale, non è mai stato slegato, neanche per andare in bagno. E’ stato alimentato artificialmente e mai sottoposto ad alcun accertamento clinico. Il personale si sarebbe accorto della sua morte solo sei ore dopo il reale decesso”. Nel registro degli indagati adesso la Procura ha iscritto 19 persone, 7 medici e 12 infermieri. Un intero reparto. L’accusa è di omicidio colposo. Imminenti gli avvisi di chiusura indagine, che potrebbero preludere a richieste

di rinvio a giudizio. Il 10 ottobre scorso, il direttore del dipartimento di psichiatria della ex Asl Salerno 3, Michele di Genio è stato sospeso dall’incarico. Ora la famiglia Mastrogiovanni chiede giustizia, anche attraverso un sito, www.giustiziaperfranco.it, che raccoglie testimonianze, interrogativi e rassegna stampa. Del caso si sono occupati i Radicali, in due interrogazioni parlamentari, nelle quali Rita Bernardini, tra gli altri, chiede se il trattamento riservato a Mastrogiovanni non sia stato “lesivo dei suoi diritti e della sua di-

19 gli indagati tra medici e infermieri Sono tutti accusati di omicidio colposo gnità di essere umano”. Sconcertanti le parole riferite dalla titolare del campeggio dove fu portato a termine del “braccaggio”, il 31 luglio, del maestro anarchico. La signora Licia lo avrebbe sentito dire, non appena salito in ambulanza: Aiutatemi! Se mi portano a Vallo della Lucania, non ne esco vivo”.

Cucchi, il mistero della macchia sui jeans LA FAMIGLIA CONSEGNA HASHISH E COCAINA TROVATI IN CASA DI STEFANO. LA SORELLA: NON NE SAPEVAMO NULLA di Luca

De Carolis

nell’armadio di SteRunaovistavano fano, quando hanno trovato busta che conteneva uno strano involucro e una cassettina, piena di polvere bianca. Pochi minuti di stupore, poi hanno avvertito il pm, “perché quello che ci interessa è solo la verità”. Più forte della paura e della sorpresa per i familiari di Cucchi, che lo scorso 6 novembre hanno scoperto della droga nella loro casa di Morena, nella periferia sud di Roma, dove Stefano dormiva quasi ogni notte. Prima della tragedia, di cui forse c’è traccia anche sui jeans del ragazzo. Poche macchie di sangue, che potrebbero dire molto sulla sua morte. L’unica certezza per ora è che nell’armadio di Cucchi c’erano 133 grammi di cocaina e 925 grammi di hashish, come hanno accertato gli agenti della squadra mobile. Nell’appartamentino di due stanze, in ristrutturazione, li ha mandati il pm Vincenzo Barba. Forse stupito, quando la sera

del 6 novembre l’avvocato dei Cucchi, Fabio Anselmo, gli ha telefonato per parlargli di quella “busta sospetta”. Ovvero una busta di carta che avvolgeva un panetto con quasi un chilo di hashish. Pochi centimetri accanto, una cassetta con la cocaina. Nella casa gli agenti hanno trovato anche materiale per confezionare gli stupefacenti e due bilancini di precisione. Niente soldi. “Il nostro scopo era e resta scoprire la verità sulla morte di Stefano, il resto non ci interessa e non conta” ribadisce con voce pacata ma ferma Ilaria, la sorella di Stefano. Che racconta: “Nei primi giorni dopo la morte di Stefano (lo scorso 22 ottobre, ndr) non abbiamo avuto la forza per andare a Morena. Alla fine sono andati i miei. A trovare la droga è stato mio padre, Giovanni. L’ha lasciata lì, senza spostarla, e ha subito chiamato il nostro avvocato. Era l’unica cosa da fare”. Nessun dubbio, nessuna incertezza: ma sconcerto. “Siamo rimasti di sasso, non sapevamo neppure che Stefano fosse

ricaduto nella droga, figuriamoci che ne tenesse così tanta in casa – spiega Ilaria - i soldi per comprarla però non li riceveva da noi. Evidentemente faceva del piccolo spaccio per trovare il denaro necessario, e comunque in casa la polizia non ha trovato soldi”. Solo stupefacenti, l’eterno nemico di Stefano. Il giovane li teneva in quell’appartamentino che stava risistemando da qualche mese, dove andava a dormire solo la sera. Intanto la Procura ha fissato la riesumazione della salma per il 23 novembre, alle 9, e disposto accertamenti su alcune macchie, probabilmente di sangue, trovate sui jeans che Stefano indossava quando fu ricoverato all’ospedale Pertini, il 17 ottobre. “Se il sangue fosse di Stefano, sarebbe un’ulteriore prova della natura violenta dei traumi che ha subito” sostiene Anselmo. Per l’inchiesta sarà fondamentale l’esito degli esami sul corpo del ragazzo, affidati ai consulenti medico legali Paolo Arbarello, Ozrem Carella Prada, Luigi Cipolloni e Dino Tan-

Poche ore prima dell’arresto, il ragazzo si era allenato in palestra credi. Gli inquirenti chiedono loro di “accertare l’eventuale presenza di lesioni sul corpo di Cucchi” e di stabilire quanto abbiano influito sulla morte. I periti dovranno anche valutare se l’assistenza prestata a Cucchi al Pertini sia stata “adeguata e tempestiva”. Ieri Anselmo e l’altro legale dei Cucchi, Dario Piccioni, sono stati chiari: “Stefano era in salute e non aveva lesioni pregresse. Poche ore prima dell’arresto era stato ad allenarsi in una palestra sull’Anagnina”. A provarlo, un tesserino elettronico che testimonia il suo ingresso nel centro sportivo, mentre gli istruttori ricordano Stefano come “magro ma forte”. C’è attesa per l’incidente proba-

torio con il testimone, il detenuto africano che avrebbe visto il pestaggio ai danni del giovane. L’esame potrebbe svolgersi già giovedì: probabile però che slitti alla prossima settimana. Oggi alle 14.30 la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale ascolterà Giovanni Battista Ferri, il medico del tribunale che il 16 ottobre visitò Cucchi. Domani verrà ascoltata un’infermiera di Regina Coeli, mentre un perito nominato dalla commissione parteciperà alla riesumazione della salma di Cucchi.


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FINANZA

IL FUTURO DELL’IMPERO DI CEMENTO DI “MARCELLO PANE E CASELLO” Muore Gavio, l’imprenditore che non andava in vacanza di Francesco Bonazzi

a sua frase preferita, quando incontrava qualche costruttore, era sempre la stessa: “Voi siete grandi, io sono piccolino”. La diceva anche a chi fatturava un decimo di lui ed era pieno di debiti. Marcellino Gavio, il signore delle autostrade morto ieri a 77 anni nella sua casa di Tortona. Era un uomo che amava la riservatezza e l’understatement. Figlio di cavatori di ghiaia, nella Prima Repubblica era diventato il re delle costruzioni crescendo all’ombra del Psdi, della Dc e di qualunque altro partito gli tornasse utile, comunisti compresi. Poi, scampato a Tangentopoli con astuzia (latitanza) e fortuna (prescrizione), aveva saputo approfittare delle privatizzazioni diventando il secondo operatore autostradale d’Italia (oltre mille chilometri gestiti). Oggi lascia un impero che vale tra i 6 e i 7 miliardi nei settori delle costruzioni civili, della logistica (porti, interporti, aeroporti, e qualunque altra infrastruttura finisca per “porto”), delle energie rinnovabili, delle banche e delle assicurazioni. Ieri la Borsa, dove sono quotate società controllate o partecipate come Sias, Autostrade To-Mi e Impregilo, ha festeggiato perché prevede pacchetti azionari in vorticoso traffico. PANE E CASELLO. “Marcellino pane e casello”, come lo chiamavo dalle sue parti, da qualche mese era cambiato. La morte del fratello Pietro lo aveva colpito e aveva iniziato a coinvolgere di più il figlio Mino e il nipote Marcello. Si erano infittite le voci di una sua volontà di vendere il ramo autostradale e forse perfino le costruzioni (con Benetton e Ligresti controlla Impregilo), per ritagliarsi una quarta età da banchiere, arrotondando i pacchetti posseduti in Unicredit, Carige, Mediobanca e Generali. Un mez-

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zo proposito che aveva confidato a pochi amici e pare avesse creato qualche incomprensione con il suo pupillo Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, gran capo di Aeroporti di Roma, dell’Aiscat e di un’altra mezza dozzina di entità. Ma ancora un mese fa, in una di quelle rare occasioni pubbliche alle quali Gavio partecipava, i rapporti con Palenzona erano di nuovo apparsi cordiali e oggi c’è da giurare che i consigli del banchiere alessandrino saranno molto ascoltati degli eredi Gavio. “Ci univa una gran passione per il territorio e l’amore per l’operare tacendo”, spiegava ieri Palenzona a chi gli chiedeva di parlare dell’amico di una vita. Oddio, a tacere era più che altro il caro estinto, ma sono sottigliezze. L’altro “amico di una vita” era Giancarlo Elia Valori, potente oggi in lieve discesa, ma uomo dalle impareggiabili relazioni e massone talmente intraprendente da esser buttato fuori dalla P2 perché Licio Gelli ne temeva l’operosità eccessiva. A differenza di Valori, però, Gavio non amava apparire e al massimo si concedeva qualche crociera sulle navi di Manfredi Lefebvre. Anzi, una sola, in cui doveva investire 7 dei 20 giorni di vacanza chesi è concesso in vita sua. Dopo 4 giorni chiese di rientrare al lavoro, non ce la faceva proprio. POTERE, NON SALOTTI. Ancora la settimana scorsa, nel consueto soggiorno romano al Grand Hotel, “don Marcello” ave-

va tenuto la solita agenda di incontri riservati: qualche deputato piemontese o ligure, manager di altre aziende e personaggi sempre poco famosi. Mai sorpreso in un salotto, mai accompagnato da gente vistosa, mai a una prima in teatri dove si viene fotografati e neppure sedi sfarzose a Milano o a Roma. Insomma, zero mondanità e uffici unicamente nel suo quartier generale di Tortona. Il manager di fiducia era rimasto lo stesso dai tempi di Tangentopoli, Bruno Binasco, piccolo recordman di arresti. C’è che nella Prima Repubblica, Gavio era stato grande amico e finanziatore del mitico Nicolazzi e del Psdi tutto, ma non aveva lesinato “contributi” al Psi di Bettino Craxi, alla Dc di Gava e Forlani, al Pci del famoso compagno “G”, quel Primo Greganti che si fece la sua brava galera senza tradire i “danti causa” del Bottegone. Tra i furboni dell’epoca, l’unico con il quale Gavio non era in buoni rapporti era Vito Bonsignore, uomo forte di Giulio Andreotti in Piemonte, poi riemerso da Mani Pulite con svariati miliardi da investire in autostrade e dintorni. Insomma, uno troppo simile e ingombrante per il sedicente “piccolino” di Tortona. A far traboccare il vaso della proverbiale pazienza di Gavio, nei mesi scorsi, era stato il tentativo di Bonsignore (eurodeputato della Pdl) di sostituirsi allo scomparso Martinat nel ruolo di “garante” dei

rapporti tra politica e affari nel nord-ovest. L’ex camerata Martinat, legatissimo a Gavio non meno di Enzo Ghigo e di tutta l’area centrista del Pd, aveva fama di uomo personalmente disinteressato. E La recente “opa” sul Pdl ligure-piemontese lanciata da Bonsignore non lasciava tranquillo Gavio. Che però aveva in tasca un asso tale da poter arrivare ad Arcore in qualunque momento: alle elezioni politiche del 2008, dalle sue società erano usciti 600 mila euro per il Pdl, tanto da esserne il primo elemosiniere su scala nazionale. Per dare meno nell’occhio, il reuccio del basso Piemonte aveva staccato assegni da 50 mila euro a una dozzina di proprie società, scegliendole tra le meno note (Appia, Autosped, Codelfa, Eurimpianti, Gavio spa, Interstrade, Itinera, Microlux, Sea Segnaletica, Sina, Sinelec, Transider). E se ieri perfino un politico lontano dagli affari come Roberto

Cota ha sentito il bisogno di rendere omaggio “all’uomo che aveva molte marce in più”, forse è anche perché Gavio aveva regalato 10 mila euro anche alla federazione novarese dei seguaci di Bossi. L’IMPERO. Oggi non è facile azzardare previsioni sul futuro del neo-impero alessandrino. Qualche voce tortonese indica nel figlio Mino, più che nel nipote Marcello, il probabile leader del gruppo e in Borsa si fanno i conti con le uniche due informazioni che girano sul suo conto: non avrebbe un gran rapporto con Binasco e preferirebbe concentrarsi su Impregilo. Non è un caso, forse, che ieri il primo manager a indicare Mino come garante della continuità aziendale non sia stato Binasco, ma Riccardo Formica, presidente della Torino-Milano. E se davvero Gavio Senior sognava un futuro da banchiere, non è escluso che sia il figlio a realizzare l’ultimo sogno paterno. Nell’Italia degli Zunino e dei Ligresti, i Gavio hanno una caratteristica quasi unica: zero debiti con le banche. Insomma, possono scegliere. Marcellino Gavio in una illustrazione di Emanuele Fucecchi

Sognava una quarta età da banchiere, ora spetta forse al figlio Mino realizzare quell’ambizione

Yuan: la battaglia che Obama non vincerà LA VISITA DEL PRESIDENTE HA UN OBIETTIVO IMPOSSIBILE: CONVINCERE PECHINO A RIVALUTARE LA MONETA di Stefano Feltri

la Cina non risente della crisi Ppererché economica? Ci sono molte ragioni cui, anche nel 2009, il suo prodotto interno lordo crescerà del 9 per cento mentre il resto del mondo è in recessione. Ma solo una è in cima all’agenda di Barack Obama che è a Pechino per incontrare il presidente Hu Jintao: lo yuan, la moneta cinese. “Mantendo il cambio a 6,83 (gli yuan necessari per avere un dollaro), Pechino sta esportando la sua disoccupazione all’estero e, come dice Paul Krugman, rubando i posti di lavoro americani”, ha scritto l’Independent, vicino ai laburisti inglesi. La tesi del complotto cinese, sostenuta anche da molti dentro il governo americano, si fonda su queste ipotesi: la Cina ha un eccesso di capacità produttiva e quindi è costretta ad avere un modello di sviluppo trainato dalle esportazioni e non può permettere che la crisi economica riduca il suo commercio internazionale. Gran parte delle misure straordinarie di intervento contro la recessione varate dal governo sono state investite in infrastrutture e impianti industriali, mettendo in condizione il paese di produrre ed esportare ancora di più. A questo si aggiunge la famosa teoria, mai davvero dimostrata,

dell’eccesso di risparmio dei cinesi che consumano troppo poco e costringono le loro aziende a concentrarsi sull’export. “Prendiamo atto con soddisfazione dei recenti comunicati del segretario americano al Tesoro, Timothy Geithner, il quale sostiene che la sua Amministrazione appoggia un dollaro forte”, ha detto ieri il commissario europeo agli Affari monetari Joaquin Almunia. E le preoccupazioni dell’Europa sono comprensibili, visto quello che sta succedendo al dollaro, ormai assestato intorno a quota 1,50 sull’euro. Ricapitolando: lo yuan è agganciato al dollaro con una sorta di cambio fisso, il dollaro è sempre più debole rispetto all’euro, quindi le merci cinesi (che hanno un prezzo in yuan) sono sempre più competitive. Sia in America che, soprattutto, in Europa. E mentre Obama può provare a fare pressioni, l’Unione europea resta a guardare sperando che le cose migliorino, perché con l’euro forte e il mercato invaso di prodotti cinesi la situazione delle imprese europee è sempre più difficile. Secondo RGE, la società di consulenza dell’economista Nouriel Roubini, i paesi asiatici dipendenti dalle esportazioni ritarderanno il più possibile un aumento dei tassi di interesse (per contenere l’inflazione e ridurre il ri-

schio di bolle azionarie e immobiliari), sfruttando il momento favorevole per chi ha monete deprezzate. Prima ancora che Obama atterrasse a Pechino, il governo cinese ha esplicitato la sua posizione, rispondendo agli auspici del Fondo monetario internazionale che vorrebbe uno yuan più forte. “Sia riguardo alla prospettiva di promuovere uno sviluppo stabile dell’economia globale, sia nella prospettiva di promuovere la ripresa dell’export cinese, noi dobbiamo puntare a una situazione stabile e prevedibile delle nostre imprese”, ha fatto sapere il ministero del Commercio cinese. Tradotto: lo yuan resta com’è, nonostante le banche americane abbiano anche calcolato il valore desiderato (6,15 invece di 6,83) e nonostante Pechino già nel 2005 abbia formalmente abbandonato il cambio fisso, promettendo più volte di agganciare la moneta a un paniere di valute in quella americana dovrebbe avere un valore via via minore. Oltre a sostenere le esportazioni, la Cina ha altre due ottime ragioni per non lasciar rivalutare lo yuan. La prima è che ha investito la gran parte dei suoi surplus commerciali in buoni del Tesoro americani, oltre mille miliardi di dollari, che hanno un prezzo in dollari. Finché lo yuan resta agganciato al

dollaro il loro valore non viene troppo scalfito. La seconda ragione, però, è più rilevante: Pechino non è in grado di controllare bene la sua politica monetaria. Lo scrive Takeshi Jingu, economista della banca giapponese Nomura, in un paper da poco pubblicato: “La Cina deve lavorare ancora molto prima di riuscire ad avere un impatto sul mercato interbancario e sui tassi di interesse interbancari che a loro volta hanno un impatto sugli altri tassi di interesse che, alla fine, condizionano l’attività economica”. La Banca centrale guidata del sempre più potente Zhou Xiaochuan, in pratica, non è in grado di innescare quelle reazioni a catena che le Banche centrali occidentali hanno imparato a gestire, a fatica, in secoli di tentativi. E questo è un problema che Obama non può risolvere con le pressioni diplomatiche.

La moneta debole dei cinesi è un problema per le imprese europee che scontano il super euro

Un disastro digitale: in milioni senza televisione di Rosaria Talarico

iuto! Non riesco a vedere ‘Beautiful’!”. Il dramma del passaggio al digitale terrestre sta tutto in questa frase. Il numero verde (800.022.000) e i centralini delle associazioni dei consumatori sono stati tempestati di chiamate di telespettatori in crisi per lo switch off (cioè lo spegnimento del sistema analogico per passare al più moderno digitale) a Roma e in quasi tutto il Lazio. “Sono arrivate telefonate disperate di gente che non riusciva più a vedere “Beautiful” e “il Grande Fratello” raccontano da Adiconsum, l’associazione dei consumatori a cui il Consorzio LazioDigitale ha affidato il progetto DigitaleChiaro per aiutare gli utenti più inesperti. Mentre nella postazione Help Decoderallestita a Roma nella Stazione Termini si sono presentati tantissimi pensionati in cerca di consigli. Perché la campagna di informazione sarà anche stata massiccia, ma il telespettatore più pigro o distratto ha preso consapevolezza soltanto quando al posto dei programmi abituali ha trovato una schermata nera. Anche a Palazzo Chigi ieri hanno sperimentato il black out video. I dati del ministero delle Comunicazioni mostrano una valanga di telefonate al numero verde (oltre 46 mila), in maggioranza richieste di assistenza per la sintonizzazione. Nel 2009 a livello nazionale sono stati 16.711 i decoder venduti con il contributo statale. Il call center del ministero rimarrà aperto dalle 8.00 alle 23.00 per i prossimi due giorni. Nel Lazio i comuni coinvolti sono stati 280, per un totale di 4 milioni di abitanti. Mentre sono in 130 mila i cittadini che hanno diritto ad avere il contributo. “Il passaggio al digitale è una grande opportunità per l’Italia, che la pone allo stesso livello degli altri paesi europei “ spiega Luigi Pugliese della società di consulenza Booz & Company, che per anni ha seguito diversi progetti sul digitale terrestre “è un grande salto in avanti, come passare dal Tacs al Gsm o dal bianco e nero al colore. A breve saranno disponibili più di 60 canali e sarà un bene per tutti. Per i cittadini che avranno un’offerta più vasta, per il pluralismo perché nuovi operatori potranno entrare nel mercato e per gli investitori pubblicitari che avranno a disposizione molti più canali con target specifici”. In quest’ottica sarebbero Rai e Mediaset a subire eventualmente un’erosione di pubblico. Secondo il calendario messo a punto dall’associazione Dgtvi la prossima regione ad essere interessata al passaggio al digitale terrestre sarà la Campania.

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Martedì 17 novembre 2009

MORTI DI LAVORO

PARTE IL PROCESSO A ROVESCIO PER LA STRAGE DELL’UMBRIA OLII L’IMPRENDITORE CHIEDE I DANNI AGLI OPERAI MORTI TARANTO

di Elisabetta Reguitti Campello sul Clitunno (Perugia)

entre l’Italia politica si divide sulla proposta di processo breve, le storie di ordinaria giustizia (o meno) raccontano che in questo paese vige una regola non scritta: chi ha soldi da spendere può contare su eccezioni e rinvii e agli altri non resta che aspettare. Come nel caso delle famiglie delle vittime della Umbria Olii di Campello sul Clitunno in provincia di Perugia. Era sabato 25 novembre 2006 quando Maurizio Manili (42 anni), Giuseppe Coletti (48 anni), Tullio Mottini (46 anni) e Vladimir Todher (32 anni) vennero travolti dal fuoco e dalle fiamme scaturiti dallo scoppio del silos nel quale stavano lavorando. Una morte tanto atroce quanto crudele aggravata dal fatto che ad oggi le famiglie ancora aspettano un processo a lungo posticipato e che prenderà il via martedì 24 novembre al tribunale di Spoleto. Esattamente tre anni dopo. Ci sono voluti due anni e mezzo per arrivare al rinvio a giudizio (avvenuto nell’udienza a porte chiuse del 18 marzo) per l'amministratore delegato della Umbria Olii, Giorgio Del Papa, accusato di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e violazione a norme per la sicurezza del lavoro con l'aggravante della colpa con previsione dell'evento e disastro ambientale. Ma su questa vicenda è bene ricordare anche il fatto che lo stesso Del Papa, a sua volta, ha avanzato ai familiari degli operai morti una enorme richiesta di risarcimento danni: 35 milioni di euro. A Campello sul Clitunno quindi si sta verificando un rovesciamento delle responsabilità perché non è prassi (e forse neppure umano) consegnare degli atti di notifica a mogli e madri, a figli poco più che adolescenti ma soprattutto a bambini di 7 e 9 anni. Eppure così è stato. A tutto ciò è giusto aggiungere che inizialmente il titolare della Umbria Olii aveva ricusato il giudice per le indagini preliminari, denunciato i periti del tribunale che avevano redatto una perizia a lui avversa oltre all’assicurazione che ha liquidato i quattro lavoratori morti carbonizzati assolvendoli da qualsiasi responsabilità. “E ci vengono a parlare di processo breve? Ma siamo forse impazziti?” urla Lorena Coletti che chiede giustizia per il fratello Giuseppe e per gli altri tre compagni di lavoro e di sventura. Lorena chiede anche di poter parlare con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che più volte ha denunciato la strage silenziosa delle morti sul lavoro. Vuole spiegare al capo dello Stato cosa significhi trascorrere il tempo nel ricordo di una persona uscita di casa la mattina e mai più rientrata. Ma Lorena teme anche per il

ILVA E DIOSSINA: TUTTI SAPEVANO, NESSUNO SI È MOSSO

M

di Valentina d’Amico

L’Ilva di Taranto (FOTO ANSA)

della città che lo ospita. Gioia e dolore dei tarantini, 13mila occupati nello stabilimento, 20mila con l’indotto. Il ricatto occupaultimo intervento della magistratura zionale tiene sotto scacco da sempre la citè del 3 novembre scorso quando. Su tà, paralizza le istituzioni, spesso non ostili mandato della Procura di Taranto, la o addirittura complici. “Occorreva inforguardia di finanza ha sequestrato mare gli abitanti – dice Alessandro Marequattro pontili nello scalo portuale utilizza- scotti, presidente dell’associazione – ma ti dall’acciaieria più grande d’Italia per lo nulla è stato fatto. Anzi, si facevano pascosbarco delle materie prime e l’imbarco dei lare le pecore attorno all’impianto e i conprodotti finiti. Si contestano violazioni in sumatori, ignari, consumavano prodotti materia ambientale, tra cui lo stoccaggio di contaminati da diossine, furani e PCB”. rifiuti speciali. L’Ilva avrebbe operato senza Un mese fa la Asl di Taranto ha riscontrato la autorizzazioni. Tra i denunciati, Luigi Capo- contaminazione anche nelle uova dei pollai Il silos dell’Umbria Olii (F E R ) grosso, direttore dello stabilimento. È l’en- di Martina Franca, 20 chilometri a nord di nesimo colpo su una città martoriata dall’in- Taranto. “La diossina – dice Marescotti – quinamento, la “Seveso del sud” l’hanno ri- può avere un impatto sulla salute di chi conprocesso che sta per comin- Giorgio del Papa, non aveva battezzata gli ambientalisti. Con la differen- suma ma anche di chi non è ancora nato. Le ciare. “In tre anni – afferma – dichiarato che nei silos oltre za che se a Seveso, nel 1976, l’inquinamen- donne in età fertile o in stato di gravidanza hanno fatto di tutto per rin- all’olio d’oliva c’era anche to da diossina fu un fatto repentino (un gua- dovrebbero essere tutelate”. In due anni già viarlo, e ci sono riusciti. Del etanolo: un componente sto a un reattore provocò lo sprigionarsi di due mamme hanno scritto a Peacelink dePapa è un uomo molto po- chimico che a contatto con una nube tossica che avvelenò la popola- nunciando la malattia dei figli. Un ventenne tente. Un giorno si è presen- il calore derivante dalla salzione, inquinò l’ambiente), a Taranto la colpito da linfoma linfoblastico (la denuntato insieme ad altri operai. datura ha provocato il rogo. diossina sparge morte lenta “da 45 anni” de- cia è del settembre scorso) e l’altro, un bamVoleva dimostrarci che lui è Nonostante queste responnuncia Peacelink, l’associazione che ha bino nato con la labiopalatoschisi, una malun bravo datore di lavoro. sabilità evidenti, secondo le smascherato lo stato dei fatti nel 2005. Da formazione della bocca. Daniela, sua mamUn uomo che continua ad acccuse dele vittime e non allora sappiamo che a Taranto si produce il ma, due anni fa raccontò: “Nello stesso meaccusare noi di avergli rovi- solo, dunque , il titolare 90 per cento della diossina italiana, l’8,8 per se, nello stesso ospedale di Taranto si sono nato la reputazione di im- dell’impresa ha intrapreso la cento del totale europeo e che il formaggio avuti 4 casi simili”. prenditore”. Qui il tono del- sua difesa cercando di roveprodotto a Taranto è contaminato e per “L’unico atto concreto finora – afferma l’inla voce si alza, rotto dall’ sciare la colpa sulle vittime questo oltre mille capi di bestiame l’anno gegnere Biagio De Marzo, ex capoufficio emozione e dalla rabbia: dell’incidente e chiedendo scorso sono stati abbattuti, con grave dan- tecnico all’Ilva, componente di Peacelink e “Vorrei che Del Papa parlas- ai superstiti di pagare il maxi no per le aziende zootecniche della zona. dell’Ail, associazione italiana contro le leuse con mia cognata, lei gli risarcimento. Eppure i dati sulla diossina erano pubblici, cemie – è stata la legge regionale che nel potrebbe spiegare che sen- Ma il timore di Lorena, la sobastava leggere il registro Ines, inventario 2008 ha imposto alle industrie pugliesi il liso ha la sua vita oggi dopo rella di Giuseppe, è che nazionale delle emissioni e delle loro sor- mite europeo di 0,4 nanogrammi per metro aver perso il marito sul la- adesso nessuno si occupi di genti. In città si chiedono dove fossero gli cubo di tossicità equivalente per le emissiovoro. Senza parlare dei figli ciò che sta accadendo. Che i organi di controllo, le istituzioni, cosa face- ni di diossina. Una legge purtroppo depodelle altre vittime. Esiste una giornali e le televisioni – arva la politica locale, nazionale. Gli europar- tenziata dal compromesso firmato nel febgiustizia per queste mor- rivarono in tanti subito dopo lo scoppio del silos, aflamentari, anche quelli italiani, già dal 2001 braio scorso tra Governo e Regione Puglia, ti?”. conoscevano il pericolo. Gliene dava conto con la regia del sottosegretario Gianni LetMartedì 24 davanti al tribu- follando per alcuni giorni il la Commissione europea nel promemoria ta”. La legge imponeva all’Ilva una riduzionale di Spoleto, dalle 10 del piccolo paese di Campello – “Strategia comunitaria sulle diossine, i fu- ne progressiva della diossina entro date premattino, ci saranno i familia- oggi dimentichino di racrani e i bifenili policlorurati”. La notizia la stabilite. “Il compromesso istituzionale – ri, il comitato degli amici contare l’epilogo di questa dà, di nuovo, Peacelink. Con quella nota la spiega De Marzo - ha fatto slittare il primo delle vittime, l’associazione tragedia. Commissione spiegava che “le autorità di termine da aprile 2009 a giugno 2009, e Articolo21, la Camera del laregolamentazione hanno esternato timori quindi via via tutti gli altri. Di questo passo voro di Spoleto e i numerosi per gli effetti negativi che l’esposizione a come si farà a rispettare la data del 2010?”. sostenitori anche tra istitulungo termine a quantità anche infinitesi- Rimane il paradosso che mentre la Regione, zioni locali, di questa defimali di diossine e PCB (i bifenili policloru- proprio perché spinta dalle pressioni degli nita a tutti gli effetti una batrati, ndr) può produrre sulla salute umana e ambientalisti sul caso IIva, è riuscita a unitaglia di civiltà. Nel pomesull’ambiente” . Esortando a “informare formarsi agli standar del resto dei paesi euriggio, poi, Lorena e gli altri l’opinione pubblica”, avvertiva che “la sin- ropei, l’Italia ancora non lo fa. Il decreto leandranno davanti ai cancelli terizzazione dei minerali ferrosi potrebbe gislativo 152/2006 prevede infatti un limite dell’azienda perché lì intendiventare in futuro la fonte principale di alle emissioni di diossina molto superiore, dono appendere una catena emissioni industriali”. Gli europarlamenta- “pari a 10 mila nanogrammi in concentracon dei lucchetti sui quali ri italiani avrebbero dovuto sapere che pro- zione totale, e 333 per tossicità equivalenverranno scritti i nomi delle prio in Italia, a Taranto è ubicato l’impianto te!” spiega De Marzo. Secondo Peacelink il vittime di quel sabato 25 nodi sinterizzazione di minerali ferrosi più decreto sarebbe peraltro viziato da incostivembre 2006 che nessuno di grande d’Europa. Un colosso che si estende tuzionalità perché avrebbe dovuto attenerloro può dimenticare. I faper una superficie che è il doppio di quella si a quanto prescritto dalla legge delega (la miliari di Tullio Mottini, tra308 del 2004) che sanciva mite i propri legali, hanno il rispetto dei principi e chiesto di trasformare l'acdelle norme comunitarie cusa a Del Papa da omicidio BUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline “e palesemente non lo ho colposo a omicidio doloso: fa fatto”. una posizione presa alla luce Taranto intanto è spaccata della linea tenuta dal pubblitra quanti hanno proposto co ministero torinese Rafdistribuzione e a bloccare il prezzo L’acqua di Parigi torna pubblica un referendum popolare faele Guariniello rispetto in dell’acqua a 2,77 euro al metro Come già annunciato in campagna per la chiusura dello stabiun’altra tragica vicenda: cubo fino al 2014. elettorale, il sindaco Bertrand Delanoë limento e quanti invece ne quella del rogo alla Thyssen Amazzonia non rinnoverà i contratti di difendono la vita in nome Krupp. Dall’agosto 2008 al luglio 2009 il distribuzione e gestione della rete dell’occupazione. Per ora La dinamica dell’incidente a ritmo di deforestazione idrica con le multinazionali Veolia e ci ha pensato il consiglio Campello ha diversi punti in dell’Amazzonia è diminuito del 45 Suez, in scadenza il 31 dicembre. Da comunale a sbloccare il dicomune. I lavoratori della per cento. E’ il dato più gennaio l’acqua di Parigi verrà gestita lemma. Il referendum ditta artigiana appaltatrice incoraggiante mai registrato dal da un ente pubblico, che si chiamerà avrebbe dovuto tenersi in stavano facendo manuten1988, anno di inizio delle Eau de Paris e che si occuperà di ogni primavera, in concomitanzione al silos dell’oleificio. rilevazioni. Nel periodo preso in singola fase del processo: dalla za delle elezioni regionali. Gli accertamenti dei periti, considerazione l’area disboscata è captazione delle fonti alla Troppo scomodo. E con i come ricostruisce Mario stata di circa 7.008 chilometri fatturazione. soli voti dei consiglieri di Bravi, segretario provinciale quadrati, contro i 12.911 del 2008. Grazie alla rimunicipalizzazione maggioranza si approva della Cgil di Perugia, hanno (di Jacopo Fo, Simone Canova, dell’acqua, il comune risparmierà una modifica al regolaampiamente dimostrato che Maria Cristina Dalbosco, Gabriella circa 30 milioni di euro all’anno, che mento sul referendum la causa scatenante dell’inCanova) serviranno a migliorare la rete di consultivo che fa slittare il cidente fu dovuta al fatto tutto. che il titolare dell’impresa, Taranto

L’

OTO DI

LISABETTA

EGUITT

Dopo tre anni le famiglie dei lavoratori che morirono nel rogo di un silos sperano di avere giustizia

L’ACQUA FRANCESE AI FRANCESI


Martedì 17 novembre 2009

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IL LIBRO

Il ritorno de “L’odore dei soldi” QUELLA PUNTATA DI “SATYRICON” E L’EDITTO BULGARO Torna in libreria, con tutti gli aggiornamenti rispetto agli ultimi processi e alle ultime sentenze, “L’odore dei soldi”, di Elio Veltri e Marco Travaglio (Editori Riuniti), il bestseller che nel 2001 ha venduto 350 mila copie, provocando, pochi mesi dopo, l’epurazione dalla Rai di Biagi, Santoro e Luttazzi. Pubblichiamo uno stralcio della prefazione. di Marco

Travaglio

elle prime due settimane “L’odore dei soldi” ha venduto 18 mila copie (merito anche di misteriosi personaggi che si presentano nelle librerie più in vista, come quella dell’aeroporto di Fiumicino, a fare incetta di tutte le copie disponibili, come mi viene riferito dal mio direttore di allora, Ezio Mauro, che l’ha saputo dall’editore Carlo De Benedetti). Della presentazione alla Camera, riferiscono soltanto la Lucca sul “Manifesto” e un articolo di “Liberazione”. Ma la recensione del Manifesto viene notata da Daniele Luttazzi, attore satirico che lavora per Raidue diretta da Carlo Freccero. Luttazzi si procura “L’odore dei soldi” e comincia a leggerlo. Resta colpito dall’ultima vera intervista di Paolo Borsellino prima di morire (rifiutata da tutti i tg Rai e trasmessa nottetempo da RaiNews24 il 19 settembre 2000), in cui il giudice antimafia parla di indagini sui rapporti fra Berlusconi, Marcello Dell’Utri e il cosiddetto “stalliere di Arcore”, il boss mafioso Vittorio Mangano. Scorre gli stralci della requisitoria del pm di Caltanissetta Luca Tescaroli, che parla anche delle indagini in corso su Berlusconi e Dell’Utri come possibili “mandanti a volto coperto” delle stragi politico-mafiose del 1992-‘93 (indagini all’epoca ancora aperte: saranno archiviate fra mille polemiche soltanto nel 2002). Legge le sintesi dei rapporti dei consulenti tecnici della procura di Palermo sui finanziamenti alle società – le “Holding Italiane” numerate dalla 1 alla 37 – che controllano la Fininvest, imbottite fra il 1978 e il 1983 di oltre 500 miliardi di lire al valore attuale di origine misteriosa e mai spiegata. Non crede ai suoi occhi dinanzi agli esilaranti interrogatori di Berlusconi e Dell’Utri nel processo Publitalia, in cui Dell’Utri è stato appena condannato in via definitiva a 2 anni di carcere per false fatture e frode fiscale. Luttazzi divora il libro in un paio di giorni. Trova strano che nessuno ne parli: il materiale è incandescente.

N

attore conduce su Raidue un proL’mente gramma “Satyricon”, dichiarataispirato al “David Letterman Show” e di grande successo, vicino al 15 per cento di share, con un pubblico (sopra i 2 milioni di persone) addirittura superiore alla “Piovra 10” e a “Porta a Porta”, ma soprattutto alla concorrenza di Mediaset, che in prima serata strapazza la Rai col “Grande Fratello”. Ogni settimana Luttazzi intervista personaggi della politica, della cultura, dello spettacolo, dello sport. Decide di invitarmi per parlare de “L’odore dei soldi”, che intanto sta scalando le classifiche (il 10 marzo, la settimana precedente la trasmissione, è secondo nella saggistica davanti a “L’Italia che ho in mente”, cioè alla raccolta dei discorsi di Silvio Berlusconi pubblicata da Mondadori). Il suo accordo con Carlo Freccero, direttore di Raidue, gli permette la più ampia libertà nella scelta degli ospiti e degli argomenti. L’addetta al casting Raffaella Fioretta mi telefona per concordare la data della registrazione: sarà il martedì 13 marzo, la puntata andrà in onda l’indomani, cioè mercoledì 14. Chiedo di poter incontrare Luttazzi qualche

minuto prima della registrazione. Non ci siamo mai visti né conosciuti, e, vista la delicatezza e la complessità dei temi trattati nel libro, voglio capire fin dove Daniele intende spingersi con le domande. Mi dicono di presentarmi in studio alle 20, un’ora prima della registrazione. Lì, nel backstage, incontro David Zard, il produttore che è venuto ad accompagnare un altro ospite, Riccardo Cocciante. Conosco Freccero e la sua assistente Enza Gentile. I ragazzi della produzione Ballandi mi sottopongono al rito che tocca a tutti gli ospiti di “Satyricon”: devo posare per una Polaroid istantanea, sulla quale mi viene chiesto di scrivere a pennarello una dedica al conduttore. La mia, improvvisata sul momento in preda all’emozione, è questa: “Ecco un teppista (quasi) paragonabile a te. Uno che, con quel che dirà, anticiperà la chiusura di Satyricon”. Ancora non posso credere che Luttazzi vorrà rovinarsi la carriera facendomi parlare di un libro del genere in un momento del genere. Lui intanto, bloccato nel traffico romano, non si vede. Io intanto vengo presentato al-

di merda”. Io ricambio: “Sai chi mi ricordi? Quel governatore della Pennsylvania che un giorno si presentò in televisione, si infilò la canna di una pistola in bocca, e si sparò”. Mentre torno dietro le quinte, mi viene incontro un Freccero molto emozionato: “Sei stato efficacissimo. Se potessi, ti darei subito un programma. Ma, da domani sera, non avrò più una rete...”. La registrazione con gli altri ospiti va a rilento, e a un certo punto lascio gli studi Rai per andare a cena. Ho appuntamento al ristorante con Curzio Maltese e il giovane regista Paolo Sorrentino, che diverrà celebre per “Il Divo”. Racconto quel che è appena successo, ci domandiamo se la Rai oserà mai trasmettere quell’intervista. Luttazzi mi racconterà che, finita la registrazione, domandò a Freccero: “L’intervista a Travaglio può andare in onda?”. E il direttore lo rassicurò: “Certamente. Travaglio non ha fatto altro che raccontare i documenti del suo libro”. Luttazzi è un sorvegliato speciale da un bel po’. In quell’edizione di “Satyricon” ne ha già combinate di tutti i colori. Ha annusato

Freccero gli aveva opposto un cortese, ma netto rifiuto di ogni censura preventiva. Giocandosi, così, la carriera. La sera della messa in onda, mercoledì 14 marzo 2001, me la ricorderò finché campo. Rientrato a Torino (dove lavoro nella redazione di Repubblica), ho tenuto d’occhio le agenzie di stampa per tutto il giorno, nell’attesa dell’annuncio che do per scontato: i vertici Rai hanno visto la registrazione e hanno cancellato “Satyricon”. Invece le ore passano e non accade nulla. Alle 22.30 o giù di lì parte regolarmente la sigla del programma luttazziano. Poi, a un certo punto, parte la mia intervista. Integrale. Nemmeno un secondo tagliato. Il primo a chiamarmi è Curzio Maltese: ci domandiamo quale sarà la reazione di Berlusconi & C, conveniamo che forse, furbi ed esperti in comunicazione come sono, abbozzeranno per non amplificare le notizie contenute nella mia intervista. Non sappiamo che, in quegli stessi minuti, Maurizio Gasparri è negli studi di Raitre per partecipare a una puntata di “Mediamente”, il pro-

un attacco proditorio, vergognoso, senza precedenti contro il presidente Berlusconi sul servizio pubblico. Richiediamo una riunione immediata della commissione di Vigilanza per chiedere le dimissioni dell’attuale vertice Rai e dei suoi direttori. Un’azienda totalmente allo sbando non è più in grado di gestire il servizio pubblico nella prossima campagna elettorale”. Tra i tanti amici che mi telefonano eccitatissimi, c’è Franca Rame, con la solita voce da moribonda: “Marco, era da non so quanti anni che non avevo un orgasmo…”. Alle due del mattino, mi chiama Freccero con voce cavernosa e vagamente cospiratoria: “Ho riacceso ora il cellulare che avevo spento all’inizio di ‘Satyricon’. Meglio che non ti dica chi mi ha lasciato messaggi sulla segreteria telefonica e cosa ha lasciato detto…”. Freccero e Zaccaria (che non sapeva nulla della mia intervista) difenderanno a spada tratta la libertà di “Satyricon”. E pagheranno prezzi altissimi per averlo fatto. Così come Franza Di Rosa, la regista, che verrà letteralmente ostracizzata dalla Rai. Quella sera – racconterà Bruno Vespa, sempre molto informato sul ménage di casa Berlusconi, in uno dei suoi libri-marchetta – il Cavaliere è nella sua villa di Macherio, appena rientrato dopo una riunione ad Arcore. Un suo vecchio collaboratore lo chiama al telefono: “Dottore, guardi Raidue”. “Accesi e vidi quello spettacolo che ci portava ai limiti della convivenza democratica”, piagnucolerà il Cavaliere sulla spalla del fido Bruno, che troverà disdicevole l’assenza di “contraddittorio” a “Satyricon”, lui che da anni lascia parlare Berlusconi per due o tre ore a sera in beata solitudine. “Satyricon” lo vede una media Qtori:diueldata 2 milioni 332 mila telespettal’ora, un esercito, pari a

L’intervista di Daniele Luttazzi a Marco Travaglio durante la trasmissione “Satyricon” (FOTO ANSA)

le ragazze della scuderia di Schicchi, che “assistono” Luttazzi in studio. Una, Edelweiss, è vestita (si fa per dire) con un paio di francobolli di carta stagnola. Mentre sto per perdere i sensi, arriva Daniele. Qualche minuto dopo le 20,30. Appena in tempo per cambiarsi, incontrare la regista Franza Di Rosa per gli ultimi dettagli, salutare di corsa noi ospiti e infilarsi in studio. Mi sfreccia davanti alla velocità della luce, riesco a malapena a stringergli la mano, senza poter concordare nulla. “Ci vediamo dentro”, mi sibila parlando più veloce di quanto cammini. Quando tocca a me, dunque, non ho la più pallida idea di quel che mi chiederà. Nessuna prova, nessuna domanda concordata, tutto improvvisato, senza rete. Anche il distacco improvviso di un pezzo di scenografia che provoca un botto in studio, facendo sussultare tutti visto che in quel momento stiamo parlando delle bombe del 1992-’93. Luttazzi mi fa domande su tutto quanto ha letto nel libro: la mafia, le stragi, lo “stalliere” mafioso, i soldi di dubbia origine, la nascita di Forza Italia. Il pubblico ascolta ammutolito i 26 minuti dell’intervista, interrompendo più volte con applausi. Alla fine Daniele mi dice: “A questo punto mi chiedo in che paese viviamo. Comunque volevo ringraziarti perché, scrivendo questo libro e parlando come fai, dimostri di essere un uomo libero. E non è facile trovare uomini liberi in quest’Italia

L’intervista andata in onda il 14 marzo 2001 su Raidue scatenò le reazioni del centrodestra e costò a Luttazzi il programma

gli slip rossi di Anna Falchi infilandoseli nel taschino come pochette. Ha mangiato una finta cacca di cioccolato in risposta al consigliere Rai Alberto Contri che gliel’aveva suggerita come l’ultima cosa disgustosa che gli restava da fare. Ha intervistato Marco Pannella che ha attaccato la Chiesa per la sua posizione sulla droga, la pillola del giorno dopo e il preservativo (“un brutale attacco al Papa”, per l’Osservatore Romano). E poi il direttore di MicroMega, Paolo Flores d’Arcais, che ha rincarato la dose sul cardinale Camillo Ruini e su Massimo D’Alema. Visti i precedenti, ogni mercoledì mattina il consiglio d’amministrazione Rai convoca Freccero per conoscere in anticipo il menu di “Satyricon”. del 14 marzo il direttore Iseralhamattino rassicurato i consiglieri: “Staniente sesso né coprofagia”.

Quelli, visibilmente sollevati, si sono dimenticati di informarsi su cos’era invece previsto. Saprò più tardi che Silvio Berlusconi era stato informato in extremis da qualche spia interna a Raidue di ciò che quella sera sarebbe stato mandato in onda, e che aveva telefonato personalmente a Freccero per chiedergli di non farlo. Ma

gramma di Carlo Massarini sulle nuove tecnologie informatiche. In attesa di andare in onda, fa zapping e s’imbatte in “Satyricon”. Pochi minuti dopo, quando Massarini comincia a interrogarlo sui problemi di Internet, il deputato ex missino esplode: “Ma quale Internet, su Raidue stanno dando del mafioso a Berlusconi! Questa Rai è una vergogna!”. Altro che incassare in silenzio: la sparata di Gasparri innesca la corsa allo stracciamento di vesti, la gara alla dichiarazione più indignata nella cosiddetta Casa delle libertà. Alle 23,57 l’Ansa dirama quella di Mario Landolfi (An pure lui), presidente della commissione di Vigilanza: “La misura è colma. Quello che è andato in onda stasera non ha precedenti nella storia della tv. Il programma di Luttazzi va chiuso e Freccero deve essere allontanato. Zaccaria e tutto il vertice Rai devono dare le dimissioni”. Gli fa eco, per non esser da meno, Paolo Romani, responsabile per l’informazione di Forza Italia: “È stato

uno share del 16,92 per cento (contro il 15,66 della settimana precedente). Ma la mia intervista parte sotto i 3 milioni e finisce con un picco di 3 milioni e mezzo. L’indomani si scatena il putiferio. Nei Palazzi della politica e dell’informazione non si parla d’altro. Berlusconi parte per Roma all’alba e alle 9 già incontra il suo portavoce Paolo Bonaiuti nella reggia-ufficio di via del Plebiscito. Chiama Fini e Bossi, trovandoli – riferisce sempre Vespa – “entrambi indignati. Il Senatùr in particolare usò espressioni più forti dello stesso Berlusconi”. (...) Il Cavaliere riunisce a pranzo il consiglio di guerra: Casini, Letta, Bonaiuti, Buttiglione, Pisanu, La Loggia, Scajola e Tremonti. Casini lancia l’idea che gli uomini della Cdl disertino i programmi della Rai. Tutti accettano entusiasti l’Aventino (un paio di giorni, non di più). Poi, mentre Landolfi si appella nientemeno che al capo dello Stato e Francesco Cossiga parla di “crimine politico alla Rai”, Berlusconi incontra con Pisanu il presidente della Camera Violante. Annuncia azioni legali pesantissime, manipolando a suo piacimento le cose scritte nel libro e dette a “Satyricon”: “Davanti all’accusa di essere tra i mandanti occulti delle stragi di Capaci, di via d’Amelio, degli Uffizi, non mi abbasso a rispondere. Dovranno invece renderne conto l’autore del libercolo, il conduttore della trasmissione e i vertici della Rai”. Berlusconi e i suoi cari presenteranno otto denunce in altrettante cause civili per 140 miliardi di lire di danni. E le perderanno tutte e otto.


Martedì 17 novembre 2009

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LA PROTESTA

I BERLUSCONES LANCIANO IL SÌ CAV DAY Cercano di creare tensione in vista del 5 dicembre di Federico Mello

’onorevole Mario Valducci, non vuole parlarci del Sì Berlusconi Day, l'iniziativa lanciata dai suoi Club della Libertà “per far sentire il nostro affetto al Presidente Silvio Berlusconi”. Eppure molti aspetti della sua iniziativa appaiono ancora poco chiari. L'appuntamento è stata promosso da Valducci, ora presidente della commissione Trasporti della Camera, e Giorgio Stracquadanio, onorevole Pdl direttore della testata online “Il Predellino”. L'invito sul sito sìberlusconiday.it è chiarissimo: “Il 5 dicembre ci vedremo tutti a Roma”. Appuntamento in Piazza della Repubblica, ribadiscono dalla segretaria di Valducci. Come noto, però, lo stesso giorno, alla stessa ora, sempre a piazza della Repubblica, è previsto da oltre un mese - e regolarmente autorizzato dalla Questura di Roma - il NoBerlusconiDay nato su Internet e organizzato dal popolo della rete per chiedere le dimissioni di Berlusconi (hanno aderito Italia dei Valori, Pdci, Rifondazione). Fonti della polizia dicono che è pressoché impossibile che due manifestazione uguali e contrarie vengano auto-

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rizzate. Eppure Valducci, domenica, aveva dichiarato a Libero: “Non vediamo perchè ci dovrebbe essere impedito di manifestare” nello stesso articolo in cui il giornale di Belpietro descriveva la manifestazione pro-premier come una “controffensiva azzurra” che però “potrebbe essere addirittura annullata per motivi di ordine pubblico dalla questura, alla prese con due eventi concomitanti”. Dalla segreteria di Valducci negano che il SìBerlusconiDay abbia intenti provocatori, ma confermano la richiesta di Piazza della Repubblica. Paolo Ferrero attacca: “L'idea – dice il segretario di Rifondazione - che la maggioranza

Sulla manifestazione il Pd si divide. Bersani: “Partecipazione graduale”

ESECUTIVO IDV

DE MAGISTRIS: “STO CON DI PIETRO”

P

ace fatta nell’Idv. Le tensioni che negli ultimi tempi hanno attraversato il partito sembrano essersi ricomposte. Ieri all’esecutivo nazionale, Luigi De Magistris ha chiarito: “Sto con Di Pietro”. Cogliendo così l’occasione per smentire l’accusa di star lavorando sottobanco contro il leader per sostituirsi a lui alla guida del partito. Negli scorsi giorni, d’altra parte, il capogruppo alla Camera, Massimo Donadi, era andato all’attacco diretto: “O De Magistris rispetta le regole, oppure deve uscire dal partito”. E ieri durante la direzione è tornato a chiedere all’ex Pm “maggior rispetto e coinvolgimento nella vita del partito”. Una posizione sostenuta e appoggiata praticamente da tutti quelli che sono intervenuti. Ma De Magistris ha replicato in maniera chiara e serena: "Basta con la storia che De Magistris avrebbe lanciato un’Opa su Di Pietro. Io sono per l’idea di stroncare, da qui a febbraio, quando si terrà il congresso, ogni ulteriore dibattito sul tema". Anzi, per fugare ogni dubbio, dice "che prenderà la tessera dell’Italia dei valori" in modo da poter partecipare al congresso "e sottoscrivere una mozione proprio assieme a Di Pietro". Il congresso, che si terrà il 5, 6 e 7 febbraio prossimo, dovrà decidere la leadership del partito. E Di Pietro ha fatto sapere che l'Idv non farà le le primarie: "Le primarie aperte ai non iscritti lascerebbero spazi a gruppi organizzati provenienti da altri partiti. I dirigenti verranno scelti solo da chi è tesserato". Però, “chiunque potrà candidarsi alla segreteria purché sia iscritto”. Donadi dal canto suo si è detto soddisfatto dall’esito del dibattito. wa.ma.

di governo convochi una 'contro-manifestazione' per impedire la democratica e legittima espressione di chi al governo Berlusconi si oppone, è un'idea che sta alla base del fascismo e del nazionalismo di massa”. Sull'adesione alla manifestazione contro Berlusconi, intanto, continua il dibattito all'interno del Pd. Per l'occasione il neosegretario Pierluigi Bersani ha coniato una nuova formula: “Partecipazione graduata” ovvero “Il Pd, prima di decidere se appoggiare o meno una manifestazione, guarda le sue parole d'ordine. Mi rifiuto di mettermi in un tormentone ogni volta che c'è una manifestazione promossa da altri: se le parole d'ordine sono compatibili con la nostra posizione ci potrà essere la presenza di dirigenti e cittadini, ma occorre prima conoscere queste parole d'ordine”. Le parole d'ordine del NoBerlusconiDay, in realtà, sono molto chiare: “Berlusconi deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte” si legge nell'appello tradotto in oltre dieci lingue. E in casa Pd, il “tormentone” temuto da Bersani, in puro stile morettiano, (“mi si nota più se vado o se non vado”) appare già in atto. “Molte volte abbiamo partecipato a manifestazioni organizzate da altri” dice Luigi Zanda, vicecapogruppo al Senato; “La nostra gente ha deciso di andare”, dichiara Felice Casson; “ Se la piattaforma è sul tema della giustizia, che è la vera emergenza

Una manifestazione contro il presidente del Consiglio

www.ilfattoquotidiano.it

30MILA FIRME SUL NOSTRO SITO Sono a quota 30mila le adesioni all’appello lanciato del “Fatto Quotidiano” per dire basta alle leggi ad personam. L’appello, online da sabato mattina, si può sottoscrivere sul nostro sito www.ilfattoquotidiano.it. “Bisogna dire basta - il testo del direttore Padellaro - allo scandalo che da quindici anni sta sfibrando l’Italia: la produzione incessante di leggi personali per garantire a Silvio Berlusconi la totale immunità e impunità in spregio alla più elementare giustizia”.

democratica, allora sono d’accordo" chiosa Debora Serracchiani. Parole opposte da Franco Marini: “Si può passare partecipazioni a titolo personale, ma sarebbe un errore per il Pd partecipare alla manifestazione del 5 dicembre". Le paturnie del

Pd, comunque, non turbano gli organizzatori del NBD. Forti delle 270.000 adesioni raggiunte sulla loro pagina Facebook ieri hanno pubblicato un banner piuttosto esplicito: “Il Pd non partecipa? E sti cazzi” scrivono su sfondo viola (il colore scelto

dai manifestanti). Ostentano sicurezza anche sulla “contro-manifestazione”: “Valducci e Straquadanio non mobilitano nemmeno i propri nuclei familiari” scrivono. Il tutto, aspettando la decisione della questura di Roma.

GIUSTIZIA E PDL

FINI: “LE RIFORME NON SI FANNO A MAGGIORANZA di Stefano Ferrante

l tono è istituzionale, il luogo – la lignea sala Ibradel consiglio comunale di Prato che celei 720 anni dalla sua costruzione - austero: Fini questa volta non si impegna a smentire complotti antipremier o a bocciare la legge abbrevia-processi di Ghedini, parla di riforme, di regole. Ma il suo è un nuovo siluro politico calibrato sui falchi del Pdl. “Sarebbe certamente un momento difficile per il nostro paese- dice il presidente della Camera quello in cui dovesse affermarsi il principio che in una democrazia dell’alternanza ogni maggioranza modifica a proprio piacimento quelle che sono le regole del vivere civile, le regole che devono impegnare tutti gli italiani”. Non solo. Fini avverte chi pensa di fare riforme costituzionali, come un nuovo Lodo Alfano o la reintroduzione dell’immunità parlamentare, senza la maggioranza dei due terzi in parlamento: “E’ proprio la Costituzione a indicare con chiarezza le modalità attraverso le quali è possibile modificare la Costituzione. E’ certamente possibile farlo avvalendosi di maggioranze ordinarie, ma in quel caso si è sottoposti all’assenso dell’unico soggetto che in una democrazia è sovrano: il corpo

elettorale”. Risposta chiara e forte a Berlusconi che fa balenare la minaccia di elezioni anticipate: il giudizio degli elettori- avverte Fini - non è scontato. Il premier, stretto tra il cerimoniale e gli incontri collaterali del vertice Fao, si consulta con i fedelissimi: è irritato e crucciato. La via del nuovo lodo o dell’immunità, proposta dall’Udc e rilanciata da Fini, non lo mette a riparo dalle insidie immediate del processo Mills. I tempi sono lunghi, c’è l’insidia del referendum confermativo, e soprattutto il rischio che il processo per la corruzione dell’avvocato britannico vada a sentenza. Il premier sa che per puntare alla prescrizione non basterà di fronte al collegio di Milano il legittimo impedimento a partecipare alle udienze. Così Berlusconi è deciso a non mollare la legge abbrevia-processi, per tamponare le emergenze immediate. Il mandato al team Ghedini è chiaro: preparare un emendamento che renda impossi-

Il premier pensa a un emendamento al processo breve per “tenere” l’alleato

bile a Fini sfilarsi, mettere a punto un testo che Napolitano non potrebbe non controfirmare. Quindi: via l’esclusione dai benefici della legge dei non incensurati e di chi commette reati legati all’immigrazione, dentro i fondi per i tribunali chiesti da Fini e dai magistrati. Quanto al nuovo Lodo il ministro della giustizia Alfano lo ha ripetuto: “ che lo presenti chi lo propone”. Berlusconi considera la via costituzionale alla salvezza giudiziaria un trappolone, ma se Casini- che ha fatto un nuovo appello al dialogo al Pd - riuscisse a giocare da play maker le cose potrebbero cambiare. Intanto, i centristi si sono ritagliati un ruolo da mediatori. Oggi Casini e Vietti vedranno una delegazione della giunta dell’Associazione nazionale magistrati. Il segretario Palamara ha già fatto sapere che il testo abbrevia-processi non è emendabile, va buttato via, e che le toghe sono pronte a scioperi senza precedenti. Da notare che sul diritto di cittadinanza – tema che fa venire l’orticaria alla Lega – Fini non è così isolato nel Pdl. E anche sul testamento biologico i laici del centrodestra battono un colpo: Benedetto Della Vedova e altri 40 del Pdl hanno presentato un emendamento per riscrivere il testo della legge approvato al Senato.


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Martedì 17 novembre 2009

Sul clima i grandi prendono ancora tempo

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DAL MONDO

l futuro prossimo della fame è legato al clima. Cambiare il secondo per ridurre la prima. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon (parlando al vertice Fao di Roma) è tornato a collegare la sicurezza alimentare a quella climatica, rispondendo così indirettamente all’accordo al ribasso che Obama e il governo di Pechino si sono trovati d’accordo nel proporre al prossimo vertice di Copenaghen.

Un’intesa che dilaziona l’entrata in vigore dei meccanismi con i quali le economie dei paesi sviluppati o in via di sviluppo dovrebbero ridurre le emissioni di anidride carbonica prodotte proprio dalla produzione industriale e in qualche modo dal benessere. Troppo rischioso al momento - giudicano gli Usa e la Cina, i due maggiori produttori, anche di inquinamento, mondiale - applicare regole rigide che rischierebbero

di minare le economie in via di guarigione dopo la lunga crisi. Ok dunque a un accordo politico, sulle intenzioni, ma nulla di preciso e deciso sull’applicazione di “accordi vincolanti”, come chiesto da Ban, sulle emissioni di gas-serra. Una questione legata anche ai fondi da immettere nelle nuove tecnologie pulite, visto che il pacchetto generale anti-inquinamento globale vale 100 miliardi di euro.

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LE ETERNE PROMESSE CONTRO LA FAME “È ora di agire”,oggi come dieci anni fa il vertice Fao

BELGIO

“È morta la regina” Ma non è vero

B

produce appelli senza soluzione. “Mancano 44 miliardi” di Emanuele

Piano

l tempo delle parole è finito. Ora è il momento di agire”. Era il 1996 e il mondo si riuniva per la prima volta alla Fao per combattere la fame nel mondo e per affermare un obiettivo concreto: dimezzare entro il 2015 le persone che vivono in condizioni di estrema povertà e rendere il diritto all’alimentazione un diritto umano fondamentale, che è l’impegno preso nel 2000 dalle Nazioni Unite sotto il titolo Millennium Goals.. Da quel primo summit sono passati ben tredici anni e, a intervalli più o meno regolari – nel 2002, nel 2006, nel 2008 e in questi giorni a Roma – i paesi del sistema delle Nazioni Unite si sono incontrati per ribadire “l’inaccettabile e intollerabile” condizione in cui vive oramai oltre un miliardo di persone nel mondo. Oggi il tempo dell’ottimismo è finito e le frasi ad effetto e gli impegni – puntualmente disattesi – non entrano nemmeno più nelle labili dichiarazioni finali. I dati sono allarmanti: entro il 2050 la popolazione del mondo aumenterà del 34% arrivando alla cifra record di oltre 9 miliardi di persone. Per sfamarle, la Terra dovrà produrre il 70% in più di risorse alimentari. L’incremento produttivo dovrà venire, ci dicono gli studi della Fao, al 90 per cento da un aumento dei rendimenti delle coltivazioni e solo nel 10% dei casi da un’espansione delle ter-

I

re coltivate. Il segretario generale Fao, il senegalese Jacques Diouf, chiede un investimento di 44 miliardi di dollari l’anno per raggiungere l’obiettivo. Il problema è, come al solito, di risorse perché in questi anni il numero di persone che soffrono la fame, anziché diminuire, è aumentato. Ogni mese 7 milioni di individui non riescono a reperire cibo a sufficienza. Il numero degli affamati è passato in un decennio da 800 a un miliardo di persone ed è aumentato del 9% nel corso dell’ultimo anno nonostante il 2008 abbia avuto dei raccolti record. Già nel 2002 Diouf denunciava la mancanza di progressi, oggi pur dicendosi “soddisfatto” critica come – ancora una volta – non venga indicato un “quando”, un orizzonte temporale sull’efficacia dei programmi varati. I suoi appelli per i finanziamenti all’agricoltura sono passati inosservati, oltre a essere aumentati dai 24 miliardi annui di 7 anni fa ai 44 attuali. Il paragone è deprimente: 365 miliardi annui in sussidi all’agricoltura nel nord del mondo, 1340 miliardi di dollari spesi in armamenti, 20 miliardi di dollari (in tre anni e di cui solo 3 pari a nuovi stanziamenti) offerti dal G8 de L’Aquila. Ma “è bene non guardare solo a cosa devono fare i grandi della terra per combattere la fame - ha sostenuto poi il presidente Ifad (il braccio “tecnico” della

VERTICISMI

LA POLITICA DEL CUCÙ na barzelletta su Marx, un invito all’ospite di casa Fao a dimettersi, una boutade al Colonnello, un fuoriprogramma lungo mezzo giorno, fino a spararla tanto grossa che neanche i compassati funzionari Onu sono riusciti a tacere. Berlusconi arriva di buon ora al vertice Fao nell’ex palazzo delle colonie fascista e annuncia che è, infine, giunta l’ora di mantenere le promesse e usare i fondi che il mondo ricco ha messo a disposizione e trovare il mondo migliore per farlo. Miliardi di dollari, garantiti e assicurati - grazie alla sua mediazione - al vertice del G8 dell’Aquila. Ma le cifre snocciolate dal presidente del Consiglio non convincono e alla Fao c’è chi si affretta a far sapere che i fondi globali (in attesa di essere utilizzati) sono stati ridotti rispetto agli impegni precedenti. È anche questa la cifra della “politica del cucù”, quando Berlusconi apparve d’improvviso al Cancelliere tedesco Merkel, facendogli appunto cucù.

U

Fao) Kanayo Nwanze - ma anche cosa possono fare gli stessi Paesi poveri e da parte loro un contributo, seppure piccolo, è fondamentale”. Intanto nella sfilata dei buoni di cuore il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi – presente al Vertice Fao anche per evitare l’udienza che lo riguarda nel processo Mediaset a Milano e che puntualmente è stata aggiornata al prossimo 18 gennaio per “impegni istituzionali” – rivendica il proprio successo e dichiara vicino “il momento della svolta”. Finisce quasi per fare tenerezza il segretario generale dell’Onu, il coreano Ban Ki-moon, quando chiede che il prossimo meeting di Copenaghen sui cambiamenti climatici “raggiunga un accordo con dei criteri vincolanti per la riduzione delle emissioni”. Ban Ki-moon pare non sapere che Barack Obama e il presidente cinese Hu Jintao si sono già messi d’accordo per derubricare l’incontro di dicembre in Danimarca a poco più di una gita fuori porta. Così come sembra lontano dalla realtà l’appello del

Santo Padre, Benedetto XVI, affinché i grandi del mondo guardino nel proprio cuore (e non al portafoglio) quando decidono delle sorti di miliardi di persone. Fuori dal coro un inedito duo: il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e il presidente libico, Muammar Gheddafi. Se il primo cittadino ha criticato la mancanza di impegni concreti nella dichiarazione finale e ha chiesto la non-brevettibilità del vivente, la Suprema guida della Rivoluzione ha puntato il dito contro gli assenti. Dei membri del G8 soltanto Berlusconi e l’Italia erano presenti con i capi di governo indice, ha detto Gheddafi, di quanto gli importi della povertà. “Tutte le decisioni, le promesse e gli impegni sono stati vani. Spendono triliardi di dollari per armarsi quando potrebbero destinare quelle risorse agli aiuti allo sviluppo”, ha affermato Gheddafi che passerà agli annali per aver tenuto un discor-

so nel tempo allocato. La domanda che ricorre è quindi sempre la stessa: a cosa servono questi meeting pomposi (costo circa 2,5 milioni di dollari finanziati dall’Arabia Saudita) se poi non indicano obiettivi e strategie concrete? La risposta ce la dà Florence Chenoweth, ministro dell’Agricoltura della Liberia, paese che milita agli ultimi posti nelle classifiche Onu. “Così funziona il mondo e non è colpa di nessuno. Non dovrebbe essere così, ma il meccanismo mediatico impone che di certe cose si parli solo in corrispondenza di grandi eventi come questo. Altrimenti nessuno si mobilita”, dice Florence che in questi anni sta lavorando per riportare nei campi una nazione scossa da 25 anni di guerra civile. Questo sì un impegno concreto.

“Il cibo viene considerato alla stregua delle altre merci. C’è il rischio che la fame venga ritenuta strutturale, oggetto di un rassegnato sconforto se non di indifferenza”

nizzazione contadina brasiliana e oggi transnazionale, presente al contro vertice alla Città dell’Altra Economia. Perché siete qui? “Siamo qui al forum parallelo della società civile per parlare di sovranità alimentare e di come raggiungerla. Sono più di 10 anni che dalla Fao offrono promesse senza effetti concreti. Siamo qui ancora una volta per una proposta contro la crisi finanziaria e alimentare”.

Qual è la vostra proposta? “Dall'America Latina chiediamo una profonda riforma agraria per risolvere la questione della sicurezza alimentare non solo nella distribuzione delle terre, ma anche nell’elargizione di crediti, scuole di formazione, infrastrutture per i contadini e nella produzione di prodotti sani senza agenti tossici. Chiediamo alla Fao di far entrare la società civile nel Comitato di Sicurezza Alimentare e di far uscire il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondia-

CUBA

Juanita Castro “Il Che fu un male”

E

rnesto ‘Che’ Guevara è stato “il peggio che potesse capitare” a Cuba: ad affermarlo Juanita Castro, 76 anni, sorella dei presidenti cubani Fidel e Raul Castro, che a Miami ha presentato il suo libro di memorie dal titolo “Fidel Y Raul, Mis Hermanos - La Historia Secreta” (I miei fratelli Fidel e Raul: La storia segreta). “A lui non interessavano i giudizi o le accuse e cominciò a fucilare senza coscienza” ha affermato Juanita. Secondo la sorella dei Castro, il Che “era un uomo senza cuore” e, inoltre, “fu un disastro in tutti gli incarichi”.

BIRMANIA

Aung San Suu Kyi colloqui col regime

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“Meno programmi e meno Stato lasciate fare a noi contadini” bbiamo incontrato AntoAVianio Neto, esponente di Campesina, storica orga-

elga, l'agenzia di stampa nazionale del Belgio, ha annunciato per errore la morte della regina Fabiola, vedova del re Baldovino. L’incidente è avvenuto in occasione del lancio di una nuova piattaforma che, sul modello di Twitter, doveva consentire a tutti di poter pubblicare informazioni dal sito ihavenews.be.

le”. Se l’Onu sbaglia, nemmeno le Ong sono esenti da colpe… “I contadini storicamente hanno sempre lavorato la terra senza lo Stato e senza aiuti. Le Ong possono essere utili a trovarci le risorse, nonostante spesso i loro progetti siano troppo brevi e errati nell’approccio nei confronti dei nostri bisogni, soprattutto formativi. Se lo Stato avesse assolto i propri impegni non ci sarebbe stato bisogno di cooperazione e nemmeno di Ong”. (E.P.)

ell’ambito del nuovo clima di dialogo tra il regime, gli Usa e l’opposizione democratica, il premio Nobel per la Pace e leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi chiede direttamente al generale Than Shwe un colloquio privato, “per lavorare nell’interesse del Paese”..

FRANCIA

Si consegna ‘Arsenio Lupin’

È

durata 11 giorni la fuga del malfattore-eroe autore del furto di oltre 11 milioni di euro e che aveva fatto appassionare tante persone diventate suoi fan su Internet. Tutto è finito ieri in un commissariato del principato di Monaco. Toni Musulin, 39 anni, si è costituito ed è stato consegnato alla polizia francese.


Martedì 17 novembre 2009

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Una grande muraglia di fuoco da Pechino a Teheran

I

DAL MONDO

l presidente Obama, in visita ufficiale in Cina, si è trovato ad affrontare anche il tema dei diritti umani e della libertà di stampa e di espressione a Pechino. Obama ha affrontato l’argomento durante un incontro con gli studenti cinesi al Museo della Tecnologia di Shanghai. Una platea di studenti selezionati dal governo – molti ammettono di essere passati attraverso dei “colloqui

di ammissione” – ha posto le sue domande al presidente americano: sulla questione libertà, Obama, ha parlato molto chiaramente: “Più informazione circola – le sue parole – più una società diventa forte. Perciò sono contrario alla censura, anche quella che riguarda Internet”. Ma le sue affermazioni di principio non aiutano molto a risolvere il problema: il regime di Pechino è leader mondiale nella censura di Internet.

Oltre alla ‘grande muraglia di fuoco’ che vieta di cercare parole ritenute “scomode” dal governo, sono decine i blogger che hanno subito perquisizioni e arresti per aver espresso il loro pensiero sul Web. Il sito Threatened Voices, voci sotto minaccia, tiene conto dei blogger minacciati e intimiditi nel mondo. La Cina, con i 34 casi di cui si ha notizia, si conferma alla guida della poco onorevole classifica.

Impossibile tagliare la rete dei blogger CHI COMBATTE LA BATTAGLIA DELLA LIBERTÀ SU INTERNET di Alessandro

Oppes

ll’inizio, quando il fenomeno cominciava appena a prendere piede, alcuni regimi dittatoriali – forse per il loro carattere gerontocratico – stentavano ancora a comprenderne la portata. Ora no. Ormai è chiaro a tutti che blog è sinonimo di libertà. Una forma di espressione persino più insidiosa dei media tradizionali per i go-

A

Birmania

Ciclone sovversivo

Iran

La città delle donne

verni autoritari. Perché sfugge a ogni controllo, ai filtri dei gruppi editoriali, alle varie forme di censura o di autocensura che a volte caratterizzano il lavoro dei giornalisti professionisti. Le dittature si organizzano, con leggi severe o con nuove forme di repressione tecnologica. Ma la Rete, per fortuna, ha maglie larghe che lasciano aperto lo spazio alla speranza.

il regime birmano, parPralierlare delle catastrofi natuè un’attività sovversiva. Il popolarissimo attore comico Maung Thura, nome d’arte Zarganar, è stato condannato a 59 anni di carcere (pena poi ridotta a 35 anni) in applicazione dell’ Electronic Act, per aver diffuso su Internet articoli in cui si criticava la gestione da parte del governo degli aiuti umanitari inviati dalla comunità internaziona-

le per i disastri provocati dal ciclone Nargis. Il suo blog era uno dei siti birmani più consultati. In un paese di 51 milioni di abitanti, gli utenti della Rete sono appena 40 mila. Ma nonostante ciò, i militari al potere vedono l’attività dei pochi bloggers esistenti come un pericolo per il regime: i circa 200 cybercafè funzionanti a Rangoon sono sottoposti a una stretta censura.

regime degli ayatollah è in testa alla lista dei “nemici di ITublInter net” di Reporters sans Frontières. Siti come Facebook, Youe e Orkut sono dichiarati illegali. La legge punisce con la pena di morte la creazione di blog che “promuovano la corruzione, la prostituzione e l’apostasia”. Nel mirino delle autorità ci sono, sempre più spesso, le organizzazioni femminili, perseguitate per il loro impegno in difesa dei diritti civili. Parvin Ardalan, Jelveh Javaheri, Maryam Hosseinkhah e Nahid Keshavarz sono state condannate quest’anno a sei mesi di carcere per “pubblicazione di informazioni contro il regime”. La loro colpa è quella di collaborare ai blog Zanestan (la città delle donne) http://herlandmag.net e Tagir Bary Barbary (cambiamento per l’uguaglianza) http://wechange .org, bloccato una ventina di volte in due anni.

CINA

u Shuli ha lasciato la direHcazione zione di Caijing, la pubblieconomica più influente della Cina. Dopo un mese di indiscrezioni e voci, che hanno spinto i due terzi della redazione a rassegnare le dimissioni. La Cina rischia così di perdere una delle voci più libere nel suo panorama editoriale. Fondata nel 1998 dalla stessa Hu Shili e dal banchiere Wang Boming, Caijing (tradotto economia e finanza) si è da subito caratterizzata per la sua indipendenza e per la volontà di portare avanti un giornalismo investigativo e di denuncia, che ha fatto guadagnare alla sua 56enne direttrice, l’appellativo di “donna più pericolosa della Cina”, e che le è valso il 7° posto nella classifica delle 10 persone più potenti della Cina redatta da Forbes. Titoli conquistati sul campo, grazie a inchieste e scoop esplosivi. Nel 2000 fu proprio Caijing a denunciare alcuni ca-

Egitto

Il prezzo dell’on line

Zimbabwe

Coraggio “Ora basta”

areem el-Behirey decise di aprire il suo blog il giorno che Klavorava, lo espulsero per una settimana dalla fabbrica tessile dove per aver partecipato a uno sciopero. Nato in una famiglia umile della periferia del Cairo, a 26 anni Kareem è costretto a un faticosissimo pluri-impiego per arrivare, a stento, alla fine del mese. L’hanno scorso lo arrestarono per 73 giorni, e la polizia lo torturò con scariche elettriche in tutto il corpo. Quando tornò in libertà, fece uno sciopero della fame per protestare contro i maltrattamenti subiti. Ogni sera, anche se è sfinito da una giornata di lavoro, non rinuncia mai ad aggiornare il blog (http://www.egyworkers .blogspot.com), che è diventato ormai un punto di riferimento imprescindibile per i movimenti sociali egiziani. vuole coraggio. Creare Cuniunpaese blog pro-democrazia in governato da un tiranno è una scelta che potrebbe sembrare avventata. Ma nello Zimbabwe di Robert Mugabe i gruppi per la difesa dei diritti civili si sono riuniti all’insegna della nonviolenza per svolgere un’attenta azione di controllo sul regime. This is Zimbabwe, il blog del movimento Sokwanele (“ora basta” in lingua Nde-

bele), denuncia costantemente le violazioni dei diritti umani e i casi di corruzione che coinvolgono il potere. Una sezione del sito, Zig watch, è destinata a monitorare giorno per giorno il rispetto dei fragili accordi presi all’inizio dell’anno dal partito di Mugabe con la creazione del governo di unità nazionale con le due formazioni del Movimento per il cambiamento democratico.

CUBA

MISS HU, LA SPINA DEL POTERE di Andrea Pira

Yoani Sanchez, la blogger cubana minacciata dalle forze di sicurezza cubane (FOTO ANSA)

si di insider trading a opera di alcuni potenti uomini d’affari del paese. E fu ancora la sua rivista a condurre una serie di inchieste sull’inf luenza Sars nel 2003 e a investigare sulle ragioni del crollo di numerose scuole – causa della morte di migliaia di bambini – in seguito al devastante terremoto che ha colpito la provincia del Sichuan nel maggio 2008. Inchieste scomode, ma gradite al pubblico, che hanno fatto diventare Caijing magazine la rivista economica più venduta del paese. Un successo che non ha impedito il sorgere di contrasti tra Hu e la proprietà del giornale, il colosso di Hong Kong Stock Exchange Executive Council (Seec). Contrasti che Hu avrebbe voluto appianare allargando la compagine azionaria e favorendo l’ingresso di nuovi investitori, così da limitare il potere di controllo della Seec. Un progetto poco gradito all’attuale maggioranza, che preferirebbe una linea meno combatti-

va e più incline alle esigenze dell'establishment. Per far valere la propria posizione, la Seec ha fatto pressione su uno dei punti vitali dell’editoria, la pubblicità, sottraendo alla rivista la maggior parte degli introiti pubblicitari. Troppo per la combattiva Hu Shuli, un passato da Guardia rossa durante la Rivoluzione culturale e da simpatizzante degli studenti che manifestavano a Piazza Tien an men nel giugno 1989. Con lei sono pronti a lasciare Caijing almeno 70 giornalisti che potrebbero dar vita a una nuova pubblicazione chiamata Caixin (nuova economia). Le dimissioni di Hu sono state definite “un disastro” da David Bandurski, direttore del China Media Project dell’Università di Hong Kong, che ha visto tra i suoi ricercatori anche Hu, mentre il responsabile della propaganda del Partito, Li Changchun, ha di recente esortato i cronisti a rafforzare il controllo del Partito sull’informazione.

CALVARIO.COM E L’ISOLA DEI BLOG alario medio: 20 dollari al mese. Prezzo medio Sgamento di un computer: 800 dollari. Un’ora di colleInternet: 6 dollari. Ce ne sarebbe abbastanza per far desistere anche i più entusiasti e volenterosi. Ma il discorso non vale per i cubani, forgiati da decenni di ristrettezze nell’arte di arrangiarsi. Non si spiegherebbe altrimenti la febbre bloguera esplosa da un anno a questa parte, dal momento della timida apertura all’utilizzo della Rete decisa da Raul Castro poco dopo il suo insediamento al vertice del regime. Yoani e il suo Generacion Y non sono un caso isolato. Secondo i calcoli del Cpj (Committee to Protect Journalists), ci sono già almeno 25 blog indipendenti, “giornalistici e aggiornati regolarmente, prodotti da scrittori cubani”. A questi bisogna aggiungerne altri 75 dedicati soprattutto “a notizie e reportage che rispondono a interessi più personali o familiari”. Senza contare gli altri 200 che godono dell’approvazione ufficiale perché redatti da giornalisti che lavorano per i media di regime. Non è un movimento di opposizione organizzato, in molti casi i bloggers si interessano solo marginalmente di politica, tanto da definirsi “post-rivoluzionari”: vogliono solo esprimersi senza censure. “Grido, quindi esisto”, dice Lia Villares, 25 anni, musicista, citando Reinaldo Arenas. “Creare è resistere”, sentenzia nel suo Hananemia. Come dice Ivan Garcia Quintero, nel suo blog Penultimos Dias (creato in Spagna da Ernesto Hernandez Busto, che abbandonò l’isola 18 anni fa), l’accesso a Internet a Cuba “è spesso

un percorso kafkiano”. Lui stesso, quando riesce a far uscire i suoi articoli, trasmettendoli via e-mail o scaricandoli da un pen-drive in un cybercafé, poi non è in grado di sapere se sono arrivati a destinazione. Quintero è una vecchia conoscenza della Seguridad del Estado già dai tempi in cui lavorava nella tv ufficiale TeleRebelde. Lo accusarono di “propaganda nemica” e finì 15 giorni in carcere. Poi fu tra i pionieri del giornalismo indipendente, nell’agenzia CubaPress di Raul Rivero (lo scrittore condannato a 20 anni di carcere ma rilasciato grazie all’intervento del premier spagnolo Zapatero che gli ha concesso lo status di rifugiato politico). Ora Quintero cerca nel blog un nuovo spazio di libertà. Proprio come Laritza Diversent, 29 anni, un lavoro da avvocata ottenuto con enormi sacrifici, che però non le ha consentito di uscire dalla sua condizione di miseria. “Non posso aspirare di avere una casa dignitosa dove vivere con mio figlio e mio marito. Non ho l’opportunità di realizzarmi, né come persona né come professionista”. E allora, non potendo aiutare se stessa, ha deciso di fare qualcosa per gli altri: redige la sezione giuridica del blog Desde La Habana, e ne cura altri due, Las leyes de Laritza e Calvario.com, dal nome della borgata dove vive in una baracca, senza acqua corrente. “Però mi sento libera – dice – perché dico quello che penso, così come lo sento. E soprattutto, non ho bisogno di essere ipocrita, né di mantenere una doppia morale”. (A.O.)


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Martedì 17 novembre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

IL ROMANZO DI VAURO

STORIA DI MADUT L’uomo nero e la pioggia italiana che non ha odore Esce oggi “La scatola dei calzini perduti”, ultimo romanzo di Vauro (Piemme, 325 pagg.17,50 euro). Il libro sarà presentato martedì 24 novembre, alle 18,30 alla libreria Feltrinelli di Piazza Colonna. Assieme all’autore interverranno Oliviero Beha e Valentino Parlato. di Vauro Senesi

E

ra mattina presto. Madut, gli occhi bassi, notò che i sampietrini grigi sui quali si alternavano i suoi passi erano bagnati, lucenti di acqua. Scostando il cappuccio dalla fronte alzò la testa a scrutare il cielo.

Era annuvolato e compatto, le nubi spesse rendevano più incerta la luce già opaca di quel primo mattino invernale. “Pioverà ancora” si disse distrattamente. “Dengdit manderà altra pioggia a bagnare la terra” pensò con un accenno di sorriso, e l’immagine di grosse gocce d’acqua che, cadendo verticali, disegnavano sulla terra crepata e riarsa cerchi scuri sempre più fitti gli attraversò la mente. “Qui la pioggia non ha odore” rifletté. Mille altre volte aveva fatto la stessa riflessione. Se la ripeteva quasi ogni volta che pioveva, perché in fondo non riusciva a capacitarsi di come la pioggia, qui, potesse essere un evento così banale da non risvegliare nemmeno gli umori della terra. E da non produrre altro che rivoli di acqua sporca che scorrevano inutili lungo i marciapiedi, sino a essere risucchiati dai tombini. (...) Le serrande dei negozi erano perlopiù chiuse, eccetto quella del bar-tabacchi a metà della salita. Dalla porta a vetri del locale proveniva una luce piatta, senza colore. Colorate erano invece le lampadine dei festoni

POLTRONE, GIORNALI E DINTORNI

che, appesi da un palazzo all’altro, si incrociavano a mezz’aria sulla via. Mancava poco a Natale. “Natale, il giorno in cui si ricorda la nascita di Gesù.” Madut pensò quella frase come chi recita una lezione imparata a memoria per non dimenticarsela. Era cristiano, e anche nella sua terra gli era capitato di festeggiare il Natale. Padre Carlo diceva messa di notte e a volte avevano acceso dei fuochi, cantato e danzato. Fu in una di quelle occasioni che Madut si era ubriacato. “E dire che non ero mica più un bambino, avevo già cessato di mungere, ero un aparak” ricordò. Non sorrise, non era un bel ricordo. Aveva bevuto troppa merissa e, vergognandosi del suo stato, si era nascosto in chiesa e aveva vomitato sulle panche di legno. Padre Carlo si era arrabbiato moltissimo. “Le prime parolacce in italiano me le ha insegnate proprio padre Carlo” pensò tra sé, rievocando l’immagine del prete, alto e robusto, sempre sorridente. “Sorrideva per tenere stretta tra i denti la coda della collera, e quando gli sfuggiva saltava fuori come una

iccardo Chiaberge, torinese, 62 anni, intellettuale liberale, già giornalista della Stampa e de Il Mondo, già caporedattore Cultura del Corriere della Sera, non è più il responsabile del “Domenicale”, cioè del supplemento culturale settimanale del Sole 24 Ore. Al suo posto, arriva Giovanni Santambrogio, finora caporedattore della pagina dei commenti e dei dibattiti, considerato molto vicino a Comunione e liberazione. L’ha comunicato ieri mattina alla redazione il direttore Gianni Riotta, con un ordine di servizio in cui il nome del curatore uscente non è nemmeno citato: “Con decorrenza primo dicembre c.a. Giovanni Santambrogio assumerà l’incarico di caporedattore dell’inser to Domenicale. Auguri di buon lavoro…”. Nel pomeriggio, di fronte allo sconcerto di una parte della redazione per le modalità vagamente staliniane della rimozione e dell’annuncio, Riotta tenta di rimediare con una seconda comunicazione: “Con decorrenza 1° dicembre c.a., Riccardo Chiaberge

assumerà l’incarico di editorialista e inviato. Personalmente e a nome di tutti i colleghi, desidero ringraziare Riccardo per il grande contributo personale e professionale dato allo sviluppo e alla crescita del Domenicale”. Si dirà: normali avvicendamenti redazionali, anche in considerazione della crisi dei giornali, costretti a pensionare e prepensionare i giornalisti in esubero. Mica tanto: fra i giornalisti del quotidiano della Confindustria, sono in età da pensione, oltre a Chiaberge, anche il vicedirettore Elia Zamboni e il notista politico Stefano Folli, quest’ultimo molto gradito a Berlusconi, che si è spesso profuso in pubblici elogi al suo “equilibrio”. Bene, i due suddetti in pensione non vanno. Chiaberge invece sì. Da noi interpellato, non ha voluto polemizzare né rilasciare dichiarazioni. Resta il fatto che il Domenicale è l’inserto culturale più prestigioso, elegante e apprezzato d’Italia. Ora pare che verrà ridotto a formato tabloid, tipo free press. Il problema, più che il Domenicale, pare

Prima linea La commissione ministeriale: film d’interesse

Clerici A Sanremo con la bimba il compagno Eddy (e il cane)

De Sio “Dittatura della bellezza nel cinema e nella tv” (FOTO FONDAZIONE PAOLO CRESCI)

leonessa dai cespugli”. Se si lasciava assalire dall’ira, allora padre Carlo diventava paonazzo e gridava ogni sorta di mala parola. “Quando vide come avevo insozzato la sua chiesa, mi prese per un braccio e mi buttò fuori dalla porta con uno spintone. ‘Vaffanculo Gennarino!’ urlò.” Gennarino era

di Belfagor

FUORI CHIABERGE, ARRIVA UN CIELLINO

R

Battiato Io ospite a X Factor? Nemmeno se mi mandano la polizia

essere proprio Chiaberge, ultimamente nel mirino dei berluscones e dei teocon, anzi degli ateocon, per il saggio “Lo scisma” appena pubblicato da Longanesi sui “cattolici senza Papa”, i “disobbedienti” che dissentono dalla restaurazione teologica, dottrinale e politica della Chiesa in materia di fecondazione assistita, morale familiare, testamento biologico, diritti degli omosessuali e delle coppie di fatto. Basta leggere gli attacchi a Chiaberge del Foglio di Giuliano Ferrara, house organ dell’ateoclericalismo berlusconiano e mondadoriano, per rendersi conto della posta in gioco. Il fatto poi che i colossi Mondadori e Rizzoli temano la concorrenza del gruppo indipendente Gems (Garzanti, Longanesi ecc.) è un’altra singolare coincidenza. Ma è curioso che proprio il quotidiano della Confindustria, sempre pronto a suonare le trombe per il libero mercato e la libera concorrenza, decida di rimuovere dal suo posto un intellettuale del calibro di Chiaberge, che aveva portato il Domenicale ad altissimi livelli di prestigio e di vendite. Squadra che vince si cambia.

il nome di battesimo di Madut. Ne aveva anche un altro: Machar, in onore dello splendido manto nero del toro più bello della mandria di suo padre. Machar era il suo nome più intimo, quello che teneva stretto nel cuore. Mentre Gennarino... Bè, quando era arrivato in Italia era convinto che quel nome italiano gli sarebbe stato di aiuto, e invece... ancora non aveva capito perché tutti, nel sentirlo, sgranavano gli occhi, increduli, e si mettevano a ridere. volta addirittura aveva riUtempinaschiato le botte. Erano i primi che stava qui. Era seduto su una panchina, vicino alla stazione, ad ascoltare lo strepitio degli storni sulle chiome degli alberi. Si stavano posando sui rami al calar della sera. Era rimasto incantato a guardare le incredibili figure che gli uccelli disegnavano nel cielo prima di andare a dormire tra le foglie. “Bello, eh?” aveva detto un ragazzone dalla faccia rossastra sedendoglisi accanto. Lui aveva risposto con un cenno del capo. Non sapeva cosa volesse il ragazzone e perché stesse tentando di attaccare discorso. “Vabbè”, aveva insistito quello “facciamola breve. C’hai un po’ di roba buona da vendermi? E quanto vuoi?” Madut non riusciva a capire perché potesse pensare che avesse qualcosa da vendere. Mica erano al mercato. “Dev’essere pazzo” si era detto, e non gli aveva risposto, sforzandosi di fissare lo sguardo nel nulla, come se l’altro non ci fosse. Forse così il pazzo se ne sarebbe andato, sarebbe sparito come spariscono le cose che non si guardano. “Ehi” aveva insistito l’altro. “Sei sordo? Non capisci l’italiano?

O hai paura che sia uno sbirro? Non sono un poliziotto, non ti preoccupare, mi chiamo Fabio”. Il ragazzone gli aveva teso la mano per vincere le sue diffidenze. “E tu?” aveva continuato. “Ce l’hai un nome?” Madut si era sentito punto nell’orgoglio. Quello aveva insinuato che avesse paura, e lui non aveva paura di nessuno, o perlomeno non riteneva dignitoso mostrarla. Si era girato a guardare negli occhi il ragazzone e, senza stringere la mano che quello continuava a porgergli, aveva dichiarato, tentando di conferire al tono della sua voce il massimo della solennità: “Il mio nome è Gennarino”. Per un attimo il ragazzone lo aveva fissato con aria perplessa, poi era scoppiato in una fragorosa risata. “Tu Gennarino? E come no! E io mi chiamo Bingo Bongo!” e aveva continuato a ridere, sguaiatamente. Era stato allora che l’eco delle parole che padre Carlo gli aveva rivolto quando aveva insozzato la chiesa gli era affiorata sulle labbra: “Vaffanculo” aveva detto al ragazzone. Quello aveva smesso immediatamente di ridere, come se la parola fosse stata un sasso che lo aveva colpito di sorpresa, proprio in mezzo alla fronte. In un istante la sua espressione ilare si era trasformata in una smorfia rabbiosa. “Cos’hai detto?”. Ma Madut non aveva colto la minacciosa espressione dell’altro. Aveva pensato che davvero non avesse sentito bene. “Vaffanculo” aveva ripetuto allora, a voce più alta. Il ragazzone allora lo aveva afferrato per il collo della maglietta, ma lui era stato pronto a divincolarsi, e a mettersi a correre. “Tornatene da dove cazzo sei venuto, stronzo”. Copyright Piemme


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SECONDO TEMPO

OGNI MALEDETTA D OMENICA

QUANTE STORIE SE IL CALCIO RIPOSA La diatriba tra Pazzini e Amauri, il rugby e il “suicidio” di Bergamini

(Mal. Pag.)

(Federico Pontiggia)

Alcuni giocatori dell’Italia durante la gara con l’Olanda e sotto, i giocatori dello Stromboli, a Lipari, in gommone (FOTO ANSA)

Cassano per motivi tecnici, e nient’altro, dando la sua parola viareggina. Il sodale sampdoriano di Cassano, Pazzini, nel frattempo dice cose che in molti pensano ma che lui toscanamente accenna: “Amauri non è come Camoranesi, con sangue italiano, Amauri è un brasiliano che ha sposato un’italiana, quindi non mi pare opportuno”. Penserete che è in conflitto di interessi. Può darsi. Penserete che ha ragione Abete, la cittadinanza ottenuta con le nozze è oggi comunque italiana (ma se lo convocava Dunga avreb-

be risposto al richiamo brasiliano d’origine avendo mantenuto anche quella). Rimane il fatto che Amauri mezzo brasiliano sì, e Cassano tutto barese e tutto brasiliano nell’istinto calcistico no. E’ logico? E Pazzini è forse “antipatico” ma almeno parla chiaro. Il periodo degli oriundi, fascismo a parte, non ha portato troppa gloria negli anni Cinquanta e Sessanta. Per rivederci vincere abbiamo dovuto aspettare Rivera e Mazzola. Sul suicidio di Enke, solo dolore e 45 mila ai funerali “calcistici” nello stadio di Han-

La storia

Stromboli, calcio e gommone l comandante non è andato fuori a pranINiente zo. Cibo da asporto, rotta mantenuta. sconfinamenti nelle acque maltesi, nessuna traduzione forzata in Libia, solo quaranta miglia in gommone, tra Stromboli e il west, con borsoni, scarpini e sciabordii come compagni di viaggio, per far rotolare un pallone in Terza categoria, ultima stazione del dilettantismo, dove la pinguedine è la regola e il bel gioco, l’eccezione. “Quando il mare è mosso, l’aliscafo non arriva. Quando è calmo, idem. Siamo dimenticati su un lembo di terra battuto dal vento, questa è la verità”. Il sindaco calciatore ha 38 anni. Assieme alla sua squadra, lo Scirocco Stromboli, Carlo Lanza (vaga e non disprezzata somiglianza con William Dafoe) cerca nell’orizzonte una ragione per sorridere. Domenica scorsa, da capitano risoluto, ha riunito i suoi ventidue ammutinati: “Sull’isola non c’è ragazzo dai 13 ai 45 anni che non faccia parte del nostro gruppo”, e ha messo in mare un Bounty adeguato all’epoca cor-

rente. Tempi per pirati. Imbarco immediato a spese proprie su un mezzo privato, per essere a Messina, in vista di una partita, cui nessuno, lì nel piccolo porto, aveva intenzione di rinunciare. “La Siremar, il vettore di Stato, ha regalato agli abitanti di Stromboli l’ennesima vergogna senza spiegazioni. Scirocco, Ponente, avarie non meglio precisate. Ogni scusa è buona, tanto poi, nessuno controlla. Abbiamo due sole opportunità di essere collegati alla terraferma. Un aliscafo di mattina, l’altro di sera. D’inverno, ogni giorno, salta un collegamento e il calcio, nella noia apatica che solo le stagioni fredde sanno regalare, è l’unica ancora cui aggrapparsi per uno sfogo che esuli dal lavoro”. Pur di non abdicare, ricadendo in una realtà identica a se stessa, si sono stretti fino a Lipari. “Poi abbiamo preso un traghetto per Milazzo e da lì un pullmann”. Il due a due finale li ha ripagati. Lanza però è amareggiato. “Ci sono molte Italie. Quella rappresentata dalle Eolie, è la più disagiata. Ci mancano i più elementari diritti civili e costituzionali. L’istruzione e la salute. L’altro ieri, per paradosso, è stato violato anche quello sportivo”. Anni fa, nel 2003, quando gli autoctoni videro sgretolarsi un costone dell’isola e i telegiornali piombare su una delle mete estive più

Domenica scorsa, lo Scirocco Stromboli ha affrontato il mare in barca pur di giocare

e macerie del Novecen“L to, portate via dal mare”. Sono i residui umani e am-

ambite, per raccontarne brevemente i quotidiani inferni, sembrò per un lampo effimero e ingannevole, che le cose potessero cambiare davvero: “Guido Bertolaso e la Protezione civile, per le particolarissime condizioni morfologiche di Stromboli, avevano qualificato l’isola come zona a rischio e in costante emergenza. Tutto dimenticato. Mi chiedo cosa succederebbe se ci fosse un’eruzione o le persone dovessero essere evacuate all’improvviso”. Così per trasformare un presente abusato e irreale, Lanza e i suoi hanno indossato i pantaloni corti. “La squadra è nata per scommessa. Per far vedere al resto della Sicilia, che c’eravamo anche noi. Sentirsi uguali agli altri, è un trapasso che non si risolve in una definizione”. C’è anche un campo. “Regolamentare. Novanta metri di terra battuta dinanzi al mare. Alle spalle abbiamo il Vulcano”. Minaccia e condizione esistenziale permanente. Per evadere, una barca di ferro che spesso rimane lontana. Non è più l’avamposto lunare di case rosa pastello, donne nerovestite, senza alberghi né telefoni, degli affreschi rosselliniani, ma a Stromboli, anche Dio sembra essersi preso una vacanza. Se tutta la consapevolezza di un uomo non è sufficiente a saper morire con dignita, a Stromboli, in mezzo al campo di pallone, scosso da terra e polvere che tira vento, sopravvive qualcosa di prezioso. Le possibilità di un’isola, un confronto con l’esterno: “Nelle ultime due stagioni abbiamo sfiorato la vittoria incampionato”. Poi saluta. Domenica prossima, si gioca in casa.

C

co brasiliano di cui disponiamo è Cassano, non Amauri... Ebbene, si disse che Lippi aveva escluso Panucci dalla missione in Germania, per motivi non tecnici ma interpersonali. Hanno vinto i Mondiali e Zambrotta è bastato e avanzato. Qui mi si dice che i motivi per l’esclusione di Cassano pur oggi “raziocinante e maturato” alla Samp, siano comunque extratecnici. Non vorrei che lo dovessimo rimpiangere in Sudafrica. Nel frattempo mi basterebbe che Lippi, uomo d’onore come Bruto, dicesse urbi et orbi che non convoca

CINEMA Festival di Torino: Novecento, quanta nostalgia bientali de “La bocca del lupo”, “uno strano film ibrido su Genova: il compromesso tra un piccolo melò, quello del carcerato Enzo e della trans Mary, e una grande storia, quella della nostalgia per il Novecento, raccontata dalle immagini d’archivio dei cineamatori”. Primo italiano in competizione al 27° Festival di Torino, è il nuovo documentario di Pietro Marcello, che sceso dai treni de Il passaggio della linea ci porta nel capoluogo ligure, di cui rintraccia “il tessuto sociale che non c’è più: negli anni Cinquanta i caruggi erano vissuti dai camalli, poi sono subentrati i meridionali come Enzo, oggi gli immigrati. Come Napoli e Marsiglia, quella Genova è scomparsa: non c’è Fabrizio De André, e non ci sono le sue canzoni nel film, ma la memoria, impressa nelle pietre di Sottoripa”, dice il regista, chiamato dai gesuiti della Fondazione San Marcellino a realizzare un film non sulla loro attività assistenziale, ma sulla marginalità sociale: quella di Enzo, volto d’attore, corpo bucato dai proiettili e da 20 anni di galera, e la sua Mary. Sin dal primo incontro dietro le sbarre, si sono voluti e aspettati, nell’attesa di coronare il sogno condiviso: una casetta in campagna, con cui il film coraggiosamente si chiude. “Una grande storia d’amore, l’amore che nasce nella diversità: che Mary sia una trans non è mai stato un problema per Enzo, la sola domanda lo farebbe incazzare. L’amore non è qualcosa per cui redimersi: Marrazzo avrebbe dovuto dire solo ‘Mi piacciono i trans’, anziché andare in convento a espiare”, sostiene il regista, che dopo “La bocca del lupo” potrebbe esordire alla fiction, sempre sostenuto dalla Indigo di Nicola Giuliano e Francesca Cima, che commenta: “Strano siano stati i gesuiti, e non Rai Cinema né la tv, a riportarlo dietro la macchina da presa”. Sebbene “non abbia una visione epicurea del futuro, e il nostro presente – prendete un Suv e paragonatelo a una Topolino – è sicuramente più brutto del passato”, Marcello non lascia mai che la nostalgia abbia il sopravvento sulla speranza: “Sono confuso, e non credo si possa essere altrimenti: ma dopo la grande storia del Novecento, bisogna andare avanti, partire dalla realtà per modificarla, come fa il cinema”. Umanissima alchimia di oggi e ieri (il titolo viene dal romanzo di Remigio Zena), senza ricatti consolatori né estorsioni emotive, La bocca del lupo apre la strada-doc che a Torino sta garantendo gli incontri migliori tra schermo e vita, come il Giallo a Milano con cui Sergio Basso indaga la Chinatown più antica e grande d’Europa e Radio Singer di Pietro Balla, che ritorna al ‘77, quando la multinazionale Usa Singer chiudeva la fabbrica di Leinì nel torinese.

di Oliviero Beha

ome spesso, lo sport contiene tutto e di tutto. Volete una grande dimostrazione di agonismo rude e pulito? Forza con gli All Blacks e la leggenda anche un po’ azzurrina del rugby, finito a sorpresa persino in “Report” come buona notizia “ovale”. Volete polemiche intorno e dentro la Nazionale pre Mondiale e già Mondiale di Lippi? Ecco servita sul vassoio la testa di Cassano-Oloferne e la diatriba Pazzini-Amauri su italiani sì, italiani no. Volete un riferimento alla tragedia di Robert Enke, il portiere dell’Hannover e della Nazionale tedesca che si è tolto la vita? Ebbene, per associazione di idee parliamo un poco dopo vent’anni della morte “gialla” di “Denis”- Donato Bergamini, il calciatore “suicidato”. Avete bisogno di un esempio di “processo breve”, l’ennesima manovra per diradare un nodo politico-giudiziario che nemmeno Gordio? Ve lo fornisco su misura: se parla qualche lodicino Alfano sub specie riforma dei processi vi saluto Calciopoli, il processo di Napoli e la verità o il tentativo di accertamento della verità in chiarissima rotta di prescrizione. E sì, c’è proprio tutto in un weekend di sport considerato monco dal popolo tifoso perché orfano della Serie A. Andiamo per ordine. E’ vero, calcio e rugby sono due mondi separati: il primo è fatto di rotondolatria (il tifo), di rotondolalia (la stampa di settore e di nuovo il tifo travestito da lettori/ascoltatori/telespettatori), di rotondocrazia (il potere calcistico sportivo assimilato a quello politico tout court, dal Berlusca in giù). Il secondo, sempre la battaglia sublimata delle origini, il fair play del terzo tempo, l’aggressività mascherata “solo” di cattiveria competitiva. Le regole, qui, sono le regole. Il calcio deforma, il rugby forma. Dunque sono chiaramente incompatibili? Errore: da noi, sono incompatibili. Altrove,nella perfida Albione o nella Francia transalpina, rotondo e ovale sono due forme di un gioco che è spettacolo sportivo ma convive negli stessi confini. Da noi no, e Dio sa quanto avremmo bisogno di cultura sportiva e cultura delle regole. Per la Nazionale, nemmeno troppo “accia” compatibilmente con gli olandesi, lo spirito amichevole, il debutto di giovani nostrani di nascita e cittadinanza italiana, si è subito riposto il “caso Cassano”. Non c’è bisogno di esegeti straordinari del pallone per ammettere che il genio di Cassano potrebbe far decollare una squadra buona ma poco fantasiosa. Con tutto il rispetto per il fronte offensivo, l’uni-

nover. Come scrive Wittgenstein, mezz’ala austriaca di contenimento, “di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”. Invece bisogna urlare per far riaprire il caso di Donato Bergamini, ucciso nella notte tra il 17 e il 18 novembre di vent’anni fa, giocatore ventisettenne del Cosenza capitato in una storiacca malavitosa di ‘ndrangheta senza responsabilità e tanta ingenuità. L’hanno fatto passare per suicida sotto un camion, offendendo la logica, la ricostruzione, la tempistica, le testimonianze. Se riprendiamo in esame la vicenda non si sa se questa storia del suicidio offende più la ragione o l’etica. Di sicuro ne esce a pezzi la giustizia. E la magistratura ha chiuso l’inchiesta con la pietra tombale ignominiosa del “suicidio”, più o meno come accadde per Roberto Calvi “suicidato” dalla mafia per conto terzi sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra, lui impiccato che soffriva di vertigini... Così hanno suicidato Bergamini: vogliamo parlarne? Dobbiamo parlarne. Ne ho scritto dove ho potuto nei primi anni, ne ha scritto Carlo Petrini ne “Il calciatore suicidato”, ne ha parlato “Chi l’ha visto?”. E’ una vergogna che Cosenza, il Cosenza, la Lega (era in Serie B vent’anni fa), la Federcalcio non sentano l’urgenza di dare risposte a una famiglia distrutta e a un’opinione pubblica distratta. Quanto al “processo breve”, la farsa qui toccherebbe Calciopoli, al di là delle letture politiche di Berlusconi e di Fini, di Casini e Bersani ecc. Chiedete agli imputati se davvero vogliono la prescrizione che per l’opinione pubblica fomentata dai media unidirezionali significherebbe essere bollati come colpevoli a vita, o se in realtà la prescrizione sarebbe piuttosto una mano santa per chi se n’è tirato fuori in qualche modo e per un’inchiesta che le testimonianze stanno smontando (o se preferite stanno assimilando a “tutto il circo”, dalla Sensi a Moratti, da Galliani a Collina ecc.). Quante cose nel contenitore dello sport in un paese così poco sportivo e così tifoso anche in Parlamento...


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Martedì 17 novembre 2009

SECONDO TEMPO

+

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

Un Premier da barzelletta di Paolo

Ojetti

g1 T Avere giornate come quella di ieri è in cima alla lista dei desideri del Tg1. Ecco, la fame nel mondo, tutti attorno a un tavolo a piangere su un miliardo di esseri umani affamati, sui bambini che muoiono d’inedia al ritmo di uno ogni 5 secondi, quale migliore occasione per una passerella di bontà? A cantare le lodi di Berlusconi, di nuovo Sonia Sarno che riesce, in un crescendo incontenibile, a far apparire Berlusconi come colui che ha trovato i soldi, ha in mano l’Organizzazione e nel cuore la salda volontà capace di nutrire il mondo: è una specie di chef planetario che, al confronto, il miracolo dei pani e dei pesci di Gesù è roba buona per la Charitas. Oltre a tutto, Sonia Sarno ci rivela – senti senti – che con

Gheddafi il nostro premier riesce a “trovare a tratti un tono giocoso”. Ovvio, dunque, che fra una risata e l’altra abbia dovuto rinviare la prima udienza del primo processo che è ripreso dopo la caduta del lodo Alfano: guida il catering globale, può distrarsi con simili piccolezze? g2 T Non per malignare, ma “il positivo inizio del digitale terrestre a Roma” (ordine di servizio della Rai) è stato una catastrofe tale che, probabilmente, nella Capitale pochissimi (forse solo i tipi astutamente tecnologici) hanno visto i telegiornali. Comunque, la Fao lascia il primo posto a Gianfranco Fini che chiede “condivisione” nelle riforme perché “le regole sono di tutti”, compreso il lodo Alfano-bis. Segue Berlusconi. Ida Coluc-

ci sceglie i passaggi del Vertice Fao nei quali il premier racconta barzellette su Marx (quella, vecchissima, “proletari di tutto il mondo, scusatemi”) raggelando la sala. Non gli ha reso un buon servizio: qualche altro migliaio di italiani avrà provato una pena profonda e si sarà messo a piangere sia per la fame nel mondo sia per Berlusconi in Italia. g3 T E la politica spadroneggia nel Tg3. Nei servizi congiunti di Pierluca Terzulli e Nadia Zicoschi si leggono le prossime mosse: Fini che avverte Berlusconi, i finiani del Pdl che frenano sul processo breve (“Una pagliacciata”, parola di Bocchino) che serve solo a Berlusconi e che – ormai è il segreto di Pulcinella – i pretoriani del premier vorrebbero approvare a colpi di fiducia. Ma anche nell’opposizione non tutto fila liscio: il no a farsi complici della “riforma-porcheria” è unanime, le divisioni arrivano sulla manifestazione dipietrista, si partecipa o no? Arriva anche una parola chiara sul Vertice Fao. E’ un “fallimento”: non ci sono i soldi e i veri grandi della terra non sono assenti per caso.

di Fulvio

Imperdibili figurine Abbate

n televisione, parlare di stoIscrittori ria, memoria e perfino di e dintorni infuocati, è, o almeno così sembra, un gesto ormai eroico. Un po’ perché questo genere di occhio è andato via via svanendo nel tempo delle idee, della riflessione e dello stesso impegno, e un po’ perché manca il clima giusto, manca davvero la voglia di aderire a ciò che affermava uno scrittore del secolo scorso, Tommaso Landolfi, cioè che “non si è letterati con la letteratura, non si è artisti con l’arte, non si diventa pittori con la pittura…”, e così via. Proprio ieri, visitando il mercato romano di Porta Portese con il mio vecchio amico Dario, lettore forte e mio compagno di euforie culturali e politiche autentiche ormai datate, davanti a un banco di cose usate, planando con lo sguardo su un bosco di copertine e figurine tutte lì come battistiane braccia tese, da un vecchio manifesto del Psi di Almirante con i baffetti di Hitler a un “Tutto Marlowe” di Chandler in versione Omnibus Gialli Mondadori al volto del “sovversivo” Franco Serantini ritratto da Bruno Caruso sul pamphlet di Corrado Stajano,

osservando appunto icone, grafica e copertine, mi sono ricordato di com’era straordinariamente bello, e che splendore per lo sguardo, un tempo, andare per libri di storia, farli propri, leggerli: davvero una sensazione precedente iltempo della moda culturale, roba che invece ti fa sognare d’essere semmai un King Kong carnivoro, altro che appello alla lettura in mezzo a facce penitenziali di scrittori e scrittrici fra il biochimico e la supplente di matematica e fisica. tutta questa ispirata Ore ra,premessa serve a introdurla rivelazione di ieri mattina: è stato su Raitre, per puro caso, visto che il meglio della programmazione è piazzato in orari che solitamente sono gli stessi in cui si va tassativamente a portare le urine in laboratorio, che mi sono imbattuto in Figu – Album di persone notevoli, un programma di Alessandro Robecchi e Peter Freeman in onda dal 12 ottobre 2009, su Raitre, appunto, alle 9.10. Si parlava di Emilio Salgàri, lo scrittore, quello de “Le tigri di MompraAlessandro Robecchi conduce Figu su RaiTre con Peter Freeman

cem”, e c’era subito modo, come in un classico album di figurine, di intuire un mondo, volti, cimeli, reliquie, tempo, memoria, perfino memoria successiva, pop, con le foto d’epoca che si sovrapponevano al faccione di Kabir Bedi-Sandokan che, pugnale in pugno, sventra la tigre in pieno volo. Roba che non si dimentica facilmente, così come, grattando ancora un po’ in archivio, è stato altrettanto rassicurante trovare un’altra figurina – 5 minuti in tutto, intendiamoci – dedicata a Malcolm X: bianco e nero ferroso d’archivio (immagini del tempo di Abraham Zapruder, l’uomo di passaggio cui dobbiamo il filmato 8mm. della morte di Kennedy a Dallas), tempo delle rivolte. E poi Peppino Impastato, il militante di Democrazia proletaria ucciso da mafiosi in Sicilia, nel 1978, e pure lì, accanto ai fotogrammi del film “I cento passi”, la sensazione di una persistenza della memoria “civile”, o forse di ciò che Pier Paolo Pasolini chiamava “il germe della storia antica”, iconografia della coscienza d’esserci nel mondo e, ovvio, nella storia. Un unico appunto agli autori: il paese di Impastato si dice Cìnisi e non Cinìsi. www.teledurruti.it


Martedì 17 novembre 2009

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SECONDO TEMPO

MONDO Poliziotti on line contro Mediaset chiamano colleSsonoughiFacebook e simpatizzanti a raccolta: “I poliziotti che non guarderanno più i tg Mediaset”. Hanno già aderito 1.000 persone: “Dopo il minuscolo spazio” scrivono “dedicato alla nostra manifestazione nazionale da parte delle reti Mediaset, non guardiamo più il Tg5, il Tg4 e Studio Aperto. Facciamo sentire il nostro dissenso. Anche per difendere la libertà d’informazione”. Il 28 ottobre i poliziotti sono scesi in piazza dinanzi Palazzo Chigi. Erano in quarantamila (su un totale di 110.000 agenti italiani) per chiedere mezzi e risorse. Sandro Chiaravalloti, il segretario del Siap-Piacenza che ha lanciato l’appello su Facebook, ci dice che le loro rivendicazioni riguardano le buste paga (proposti 40 euro lordi di aumento, nonostante il contratto sia scaduto da due anni), ma soprattutto mezzi e risorse: “Non stiamo lavorando – ci dice Sandro – non ci sono neanche i soldi per la carta, ci sono colleghi che comprano di tasca loro i toner e le cartucce per poter lavorare. E questa è una situazione comune in tutta Italia”. La

manifestazione del 28 ottobre venne oscurata dai tg Mediaset: “Non è andato in onda niente. Zero”, ci dice ancora Chiaravalloti “eppure quando manifestammo contro Prodi, nel 2007 – anche se in piazza eravamo meno – i telegiornali Mediaset diedero all’evento una copertura totale, il Tg4 mandò in onda la manifestazione per una settimana intera”. Così nasce l’idea di una pagina Facebook “ed è bello che anche persone comuni, non solo colleghi, abbiano aderito”. Tra i messaggi di solidarietà, c’è anche spazio per i complimenti ai colleghi di Palermo per l’arresto del boss Raccuglia. “C’è qualcosa di magico in tutto questo”, scrive il Siap “una volta quando si catturava un boss mafioso, sotto la questura venivano parenti e amici dei boss per insultare e minacciare. Oggi questi fantastici ragazzi. Grazie”.

WEB

è GOOGLE PER IPOVEDENTI SI CHIAMA GOOGLE ACCESSIBILE SEARCH

Sono tantissime le persone ipovedenti che utilizzano la Rete. Grazie a dei software appositi, le pagine Web possono essere lette a chi naviga, e allo stesso modo si possono leggere e scrivere e-mail. Adesso arriva uno strumento in più, sviluppato da Google di Federico Mello Labs, la directory degli esperimenti del motore di ricerca: all’indirizzo http://labs.google.com/accessible viene data priorità ai risultati è ATTACCO AL SITO DI BRUNETTA di ricerca più semplici e ERA STATO LANCIATO QUALCHE ORA PRIMA chiari e pagine Web più Il portale della Riforma della Pubblica amministrazione semplici da fruire per chi ha (www.riformabrunetta.it), presentato questa mattina a questo tipo di difficoltà. Palazzo Chigi da Brunetta, era online da poche ore quando è stato assaltato dai “cracker” (quella particolare categoria di hacker che mira a distruggere o comunque a rendere inagibile un determinato sito Internet). Non si è trattato di un episodio di slashdotting (la non funzionalità di un sito dovuta ai troppi contatti), ma di un vero e proprio attacco. Il ministro ha annunciato una denuncia alla polizia postale.

sarx88

feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post “La Cgil in piazza per raccontare la Crisi” di Stefano Feltri, Paolo Dimalio e Irene Buscemi

Il sindacato è in ritardo mostruoso, fantozziano. La stampa, il famoso Quarto potere che dovrebbe controllare gli altri 3 non lavora molto bene, è evidente. Ogni cambiamento reale parte dalla base, non dal vertice… (Max) Sono il primo a criticare la Cgil (altri sindacati, soprattutto a livello nazionale, non ne vedo), ma sono anche il primo a fare autocritica, perché il sindacato fa soprattutto, come ormai sanno anche i sassi, gli interessi degli iscritti, che in larga parte sono pensionati. Perché la gente non si è più iscritta al sindacato? (Mario Pellacani) Mi dicono che sono in molti nelle mie condizioni, con diplomi, lauree, attestati regionali. Ultimamente me ne hanno riproposto un altro e per poco non mi sono incazzato malamente. Speravo fosse una bufala questa storia della crisi e invece per i soliti noti è più che reale. Ditemi: c’è una soluzione? (The Cube Zero)

Il gruppo Fb dei poliziotti, Google accessible search, Waze, il logo di Google in braile

DAGOSPIA

CHI VA ALLA PROTEZIONE CIVILE?

1) Dopo dieci anni alla guida del miglior inserto letterario – “Il Domenicale” del Sole 24 Ore – Riotta ha riottamato Riccardino Chiaberge. E dal 1 dicembre l’autore delle puntute “Vespe”, che hanno reso furioso mezzo “mondo intello”, sarà sostituito da Giovanni Santambrogio (area cielle), ora responsabile della pagina dei commenti (che tra due anni dovrebbe andare in pensione). Chiaberge passa a fare l’inviato-editorialista. 2)Veltroni si agita per mettere Gerardo Greco a RaiNews. 3) Al posto di Bertolaso alla Protezione civile andrebbe Gianni De Gennaro aprendo così il risiko delle nomine al suo posto al Dis, Dipartimento delle Iinformazioni per la sicurezza. 4) Il giorno del vis-à-vis tra Ignazio La Russa e Laura Ravetto – occasione nella quale il ministro della Difesa ha pensato bene di ironizzare sulle misure non certo procaci della bionda pidiellina – il Transatlantico ha ospitato un altro gustoso siparietto. Durante il quale il vatusso Renato Brunetta se l’è presa con le scarpe da night milanese della rossa Michela Brambilla. Beghe fra ministri, insomma. Con Brunetta che non ha mandato è SOLDI GRATIS: FINISCE IN RISSA giù il “rialzo” SCONTRI CON LA POLIZIA E NOVE ARRESTI è IL NAVIGATORE UGC della rossa. “Sette Si temeva il peggio e il peggio è arrivato. A BREVE, PER IPHONE centimetri di suola e Come annunciato anche su questa rubrica, Ugc sono gli User Generated tredici di tacco, in l’evento si sarebbe dovuto svolgere a Parigi: Conten: i contenuti generati totale fanno venti! giovani ragazze da sopra un autobus dagli utenti (il classico esempio No, così non vale”, ha avrebbero dovuto distribuire denaro sonante è quello di Wikipedia, sbottato più serio che per le strade di Parigi, nei pressi della Tour l’enciclopedia, appunto, faceto Renatino... Eiffel. L’iniziativa di marketing lanciata dal sito realizzata in Rete dagli utenti). Mailorama.fr, si era già svolta a New York: Arriva a breve anche in Italia un prevista la distribuzione di 500 borsellini con navigatore satellitare gratuito dentro banconote dai 5 ai 500 euro. Ma – per iPhone – con strade e percorsi generati dagli mentre a New York, lo scorso febbraio una utenti: si chiama Waze (world.waze.com) e a simile iniziativa si era svolta senza problemi, a segnalarlo è il blog webeconoscenza.net. Su Waze le Parigi fin da subito la gendarmeria ha mappe vengono perennemente aggiornate: ogni volta espresso i suoi dubbi legati all’ordine che si utilizza l’applicazione, Waze registra il pubblico, ma non ha bloccato l’evento. Vista percorso tramite Gps (si può anche rimanere la folla che si è radunata fin dalle prime ore anonimi). In questo modo il navigatore è in grado di del mattino (quasi 7000 persone), le forze di fornire informazioni in tempo reale su traffico, polizia hanno bloccato in estremis l’iniziativa, incidenti, percorsi. Come tutti i contenuti Ugc, più ma il divieto si è trasformato in un utenti lo utilizzeranno, maggiore sarà il suo grado di boomerang: infatti sono scoppiate le violenze completezza e affidabilità. e le proteste, con auto distrutte, un fotografo malmenato e scontri tra manifestanti e polizia (quest’ultima bersagliata da mele e arance). Nove arresti, il bilancio finale.

Per troppi imprenditori “disinvolti” la crisi è stata un espediente molto opportuno per disfarsi di personale, che appunto come un arredo un po’ logoro, è stato buttato via senza nessun rispetto. Ormai i lavoratori non sono più risorse umane in senso lato, ma oggetti da sfruttare e da abbandonare senza remore in nome del dio profitto. Non esiste un’economia sana quando il numero dei disoccupati sale, anche se i bilanci delle aziende e le azioni in Borsa sono positivi o il Pil è in crescita (Cassandra) Leggo che non si tratta di una crisi passeggera dell’economia, ma del collasso del Sistema paese. Si è fatto un passo avanti, ma il quadro della situazione non è ancora chiaro (1870) Che cosa hanno fatto i sindacati fino ad oggi? (Sarib) Io non so cosa dire... ho perso la speranza in questo paese. Il problema non sono i sindacati o i politici. Il problema siamo noi italiani che ci accorgiamo dei problemi solo quando ci riguardano in prima persona. E lo vedo quando parlo di politica anche con persone che io reputo oneste e corrette. Le menti sono annebbiate; siamo trincerati dietro un tifo di stampo calcistico; chi sta bene chiude gli occhi alla realtà, mentre chi sta male si rassegna. Farei carte false per andarmene da questo paese che giorno dopo giorno imparo a odiare. Stiamo affondando. Scusate lo sfogo (Simone) Se si guardava all’età media dei manifestanti veniva la pelle d'oca... hallo! Se mancano i giovani lavoratori (la maggior parte dei nuovi disoccupati) le manifestazioni sono inutili. Invito a una riflessione sui motivi per cui mancavano... (Francesco)


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SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE I garantisti dalla doppia morale di Massimo

Fini

ancire attraverso il frettoloSlegge so diktat di un disegno di che il processo penale non possa durare più di sei anni è pura follia. Per centrare un simile obiettivo occorre una riforma organica che comporta uno studio approfondito (per sostituire il vecchio Codice di procedura penale uno stuolo di giuristi, capitanati da Gian Domenico Pisapia, ci lavorò per due lustri), perché non si tratta semplicemente di dare maggiori risorse finanziarie all’Ordine giudiziario, di organizzare meglio gli uffici, di informatizzarli, ma è essenziale snellire e smagrire drasticamente il processo che attualmente prevede possibilità pressoché infinite di ricorsi, di controricorsi, di impugnazioni, di eccezioni, di rinvii, di incompetenze (per territorio, materia, funzione), molto spesso di valore puramente formale, il tutto spalmato su tre gradi di giudizio dove anche l’ultimo, quello della Cassazione, che dovrebbe limitarsi a un mero controllo di legalità, è diventato anch’esso, attraverso il grimaldello della coerenza della motivazione col dispositivo, un giudizio di merito. Tutti gli altri paesi hanno un solo grado di merito. Noi, in pratica, ne abbiamo tre. La presunzione di innocenza dovrebbe fermarsi al primo grado, o quantomeno al secondo, per diventare poi una più ragionevole presunzione di colpevolezza, altrimenti il sacrosanto principio della presunzione di innocenza “fino a condanna definitiva” si trasforma, come è avvenuto tante volte in questi anni attraverso la prescrizione, in una sostanziale impunità.

Ormai il diritto penale è doppio: uno è per i reati da strada, quelli commessi dai poveracci, e un altro per i reati finanziari, che sono quelli commessi dai politici e dai “colletti bianchi” enorme e inutile di energie, economiche e personali. Scardinare, in nome del “processo breve”, un intero impianto penale, senza aver prima apprestato le misure necessarie a renderlo tale, per le esigenze di una sola persona che, in contrasto col principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, pretende di sottrarsi ai processi che lo riguardano, raddoppia questa follia. Il disegno di legge è infatti tagliato su misura per i reati imputati a Berlusconi. Così reati gravi e gravissimi come la corruzione, la frode fiscale, gli omicidi colposi dei medici, l’aggiotaggio, le truffe ai servizi sanitari e, naturalmente, la corruzione in atti giudiziari (che è al centro del processo per cui è stato condannato Mills) cadranno sotto la mannaia dell’impossibilità pratica di esaurirli in sei anni. Mentre per il borseggio su un autobus, per una truffa di pochi euro sul “gratta e sosta”, per il reato contravvenzionale di immigrazione clandestina, si potrà andare avanti a oltranza.

enza questo repulisti prea in realtà il disegno di legScesso ventivo non si avrà il “pro- M ge sul “processo breve” breve”, si avrà un pro- non fa che accentuare, e rencesso che non potrà mai arrivare a definizione, un processo nullo senza per questo essere inesistente perché comporterà un dispendio

dere per così dire ufficiale, una tendenza in atto da quindici anni, da quando, dopo la bufera di Mani Pulite, ebbe inizio la “restaurazione”. La

Brutto tempo a Copenaghen di Jean Tirole*

a conferenza di Copenaghen di dicembre sarà fondamentale per il futuro della lotta ai cambiamenti climatici. Detto con una battuta, il risultato sarà “troppo poco, troppo costoso”. Il protocollo di Kyoto è stato un passo importante sotto il profilo simbolico, ma non è riuscito a promuovere uno sforzo maggiore nella riduzione dei gas a effetto serra. E senza un cambiamento di mentalità, il protocollo di Copenaghen ci regalerà ancora 11 anni di rinvii: i paesi continueranno nei loro comportamenti predatori e si rafforzerà la convinzione che rimanendo carbon-intensive

L

[cioè molto inquinanti] saranno in una posizione di forza per chiedere compensazioni in cambio dell’adesione a un accordo nel 2020. Ma qualche passo avanti si farà. I mercati dei crediti di anidride carbonica esistono o saranno creati in Europa, Stati Uniti e Giappone. Anche i paesi emergenti hanno intrapreso alcune azioni. La combinazione di danni collaterali, di effetti diretti del proprio inquinamento da CO2 in grandi paesi come la Cina, di desiderio di placare l’opinione pubblica interna e di sottrarsi alle pressioni della comunità internazionale porterà a qualche forma di controllo dell’anidride carbonica. Ma non sarà sufficiente, come rive-

tendenza cioè a instaurare in Italia un doppio diritto penale: uno per i reati da strada, che sono quelli commessi dai poveracci, e un altro per i reati finanziari, per la corruzione, per la concussione, che sono quelli commessi dai politici e dai “colletti bianchi”. Per questo secondo tipo di reati, il cui accertamento è già di per sé molto complesso, si è inzeppato il codice di un tale numero di norme cosiddette “garantiste” da rendere il processo ancora più lungo di quanto lo sia normalmente in modo da essere pressoché certi di arrivare alla prescrizione i cui termini sono già stati dimezzati dalla legge detta ex Cirielli. In pratica si è garantita a “lorsignori” l’impunità. Per i reati da strada invece non solo le pene si sono fatte sempre più dure, ma queste facce da culo del centrodestra, così “garantiste” con i colletti bianchi, pretendono che gli autori vadano in galera subito, prima del processo, attraverso la carcerazione preventiva. Dimenticando disinvoltamente, i “garantisti” dalla doppia morale, che la carcerazione preventiva, proprio in base al principio della presunzione di innocenza, non è un anticipo di pena, ma può essere disposta solo in presenza di precise esi-

genze: 1)Pericolo di fuga; 2) Pericolo di reiterazione del reato; 3) Pericolo di inquinamento delle prove. Questa disparità di trattamento viene giustificata col fatto che i reati da strada creano un particolare “allarme sociale”. Ma qui bisogna intendersi sul concetto di “allarme sociale”. Lo scippo a una vecchietta è certamente odioso e crea allarme sociale. Ma una bancarotta può mettere sul lastrico cento vecchiette. La vera differenza è che i reati da strada sono solo più evidenti, mentre quelli dei “colletti bianchi” sono più nascosti, più subdoli e anche più facili e più vili, ma non sono per questo meno gravi, anzi spesso lo sono di più anche perché, essendo sistematici, inquinano e corrodono la legalità di un intero paese. In realtà questa doppia legislazione che si sta affermando in Italia, che si è anzi già affermata anche se il progetto del “processo breve” non andasse in porto, non ha giustificazione né legittimazione alcuna. È solo la vecchia, cara, infame giustizia di classe. www.massimofini.it

LA STECCA di INDRO l Là dove non c’è dialogo, cioè la disposizione di ognuno ad ascoltare le ragioni dell’“altro”, non ci può essere democrazia. E mi chiedo se la vera riforma della televisione, se vuole davvero assolvere i compiti di un servizio pubblico, non dovrebb’essere proprio questa: insegnare agli utenti non soltanto a parlare, ma anche ad ascoltare Corriere della Sera, 11 maggio 2001

Clima. Le premesse del Vertice di dicembre non sono buone: si deve decidere il futuro del Protocollo di Kyoto e il compromesso rischia di essere troppo costoso la la stessa riluttanza dei paesi a sottoscrivere accordi vincolanti. L’accordo che uscirà da Copenaghen sarà anche troppo costoso perché il riscaldamento globale continuerà a essere affrontato utilizzando le stesse soluzioni di ripiego, del tutto inefficaci alle quali ci hanno abituato sia le lobby industriali sia Kyoto.

Non è facile raggiungere un accordo internazionale soddisfacente. Ma resta comunque stupefacente quanti pochi progressi siano stati fatti dopo Kyoto. I negoziati non hanno affrontato direttamente il problema delle compensazioni. La proposta del G77 che chiede ai paesi sviluppati di trasferire fino all'1 per cento del loro Pil (e di impegnarsi unilateralmente a più rigidi obiettivi di abbattimento) ha il merito di aver messo la questione sul tavolo del negoziato, ma non tutela gli interessi dei paesi emergenti. I paesi ricchi non hanno rispettato le loro promesse sugli aiuti allo sviluppo e sull'Aids. E ogni ipotesi di aumento degli aiuti si deve misurare con la scarsa tolleranza dell'opinione pubblica verso i trasferimenti finanziari a paesi stranieri e con le attuali ristrettezze finanziarie. Quasi all'unanimità gli economisti raccomandano che il prezzo dell’anidride carbonica sia lo stesso per tutti i paesi, tutti i settori e tutti gli attori: è necessario affrontare i problemi

noi&loro

É

di Maurizio Chierici

FAME E BRIOCHES L

a concretezza delle assemblee Fao, G8, G20, ammazziamo il clima a Copenaghen, l’agricoltura la sistemiamo a Seattle e ci troviamo a Nairobi per capire se l’Africa resta com’è, sono teatrini della forma che escludono la sostanza. Presidenti e ministri di cento paesi chiacchierano a Roma per decidere ciò che è già stato deciso da esperti accapigliati da mesi nel limare documenti di compromesso per salvare le foreste ma non danneggiare gli affari; “riconoscere il prezzo dovuto alle materie prime” senza toccare le tasche dei satrapi che fino a ieri potevano e adesso non possono. La crisi fa piangere anche le capitali delle diete. Se qualcosa cambia dopo appelli strappalacrime e bei discorsi romani, il passo sarà da lumaca: 2020, troppo presto. 2050, più ragionevole. Intanto ogni 6 secondi un bambino muore di fame e dall’ultimo Vertice “costruttivo” della Fao, cento milioni e 200 mila pance vuote in più. Devono avere pazienza: appena il mercato tira il fiato qualcosa arriverà nei loro piatti. Eppure basta controllare cerimonie, cene d’ambasciata, alberghi affollati, prime colazioni e lo shopping di delegazioni mai così numerose; basta fare quattro conti per capire che con i milioni dilapidati nella messa cantata Fao è possibile salvare una generazione di bambini rubati dalla malaria. Una zanzariera e le aspirine costano meno di 3 dollari. Dove trovarli? Lamento dei governi che fabbricano e comprano armi. A dire il vero hanno snobbato forse per vergogna l’appuntamento romano lasciando a mogli e consiglieri la declamazione dei discorsi precotti. Vorrei sapere, per esempio, quanti rappresentanti del Ghana sono sbarcati in Italia. Il liberismo ne ha stravolto l’agricoltura. Niente grano e patate dolci ma soia e canna da zucchero per etanolo: le automobili lo pretendono. La popolazione del Ghana non cresce e di figli ne fanno tanti, ma i figli se ne vanno subito: denutrizione e ancora malaria. Metà finisce in ospedali che sembrano lazzaretti. Chi arriva a 5 anni è a prova di pallottola. Diouf, presidente della Fao (15 mila dollari al mese), e Ban-Ki moon, segretario Onu, da qualche giorno digiunano per protestare contro la disattenzione. Alla vigilia del volo per Roma si sono improvvisamente accorti che i grandi paesi hanno tagliato la cooperazione. Le promesse sono rimaste parole. Anche il sindaco Alemanno accende il Campidoglio e non mangia più. Non è male condividere (per un attimo) la fame degli altri sapendo che nel frigo c’è ogni ben di Dio. L’Italia di Berlusconi ha ridotto a niente la così detta cooperazione: milioni dirottati alle truppe in Afghanistan. E si parla di riformare le Nazioni Unite. A partire dai costi dell’organizzazione, speriamo. Le spese interne di Fao, Unicef e Acnur (che assiste milioni di profughi), come ogni altra struttura del Palazzo di Vetro, assorbono il 70 per cento delle disponibilità e delle offerte raccolte nelle campagne “aiutiamo i bambini affamati”. La rete Internet ci avvolge e le teleconferenze sono entrate nelle abitudini di manager e diplomazia, perché non approfittarne per risparmiare i milioni bruciati nei teatrini inutili come quello di Roma? La diseguaglianza si sta trasformando in una forma occulta di terrorismo, dall’alto al basso e i diseredati arrivano e reagiscono. Chissà perché così impazienti. mchierci2@libero.it

distributivi attraverso l'allocazione dei permessi, non rendendo eccessivamente costoso l'abbattimento. Semplice? Forse, ma perché rendere semplici le cose, quando si può renderle complicate? In che direzione dovrebbero muoversi dunque i negoziati di Copenhagen? Dovrebbero puntare a un'intesa su una tabella di marcia verso un accordo nel 2015-2016. Un obiettivo globale sulle emissioni per il 2050; l'installazione rapida di un sistema satellitare capace di misurare le emissioni a livello di singolo paese; un sistema di tipo cap-and-trade [commercio delle quote di inquinamento] mondiale e di lungo periodo, che porti a un prezzo unico dell’anidride carbonica e sia perciò coerente con la minimizzazione dei costi di abbattimento. Il sistema dovrebbe rendere sostenibile l'accordo e denunciare chi ha remore all'utilizzo di dispositivi “verdi”, prevedere regole di partecipazione che diano incentivi a sottoscrivere e rispettare l'accor-

do. Per esempio considerare i debiti ambientali che ne derivano come un debito sovrano (monitorato dal Fondo monetario internazionale), sottoscrivere un patto globale commercio-ambiente (coinvolgendo il Wto), prevedere un parziale ritiro dei permessi accordati ai paesi, denunciando quelli riottosi a rispettare le regole. I negoziati per il 2015 potrebbero concentrarsi su un'unica questione: l'allocazione dei permessi gratuiti ai paesi per far sì che tutti siano coinvolti. Ciò dovrebbe implicare, per esempio, una dotazione generosa ai paesi emergenti. Per quanto sia complesso, il negoziato sarebbe comunque più semplice di quello su più fronti nel quale siamo impegnati oggi, e anche il costo globale dell'abbattimento si abbasserebbe in modo significativo. In queste condizioni riaffermare e impegnarci per una buona governance rappresenterebbe un significativo passo avanti. *il testo integrale è pubblicato dal sito www.lavoce.info


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SECONDO TEMPO

MAIL Cosa posso fare per aiutare il mio paese? Quando, ormai da anni, sotto i miei occhi si consuma questo scempio che passerà alla storia come il ventennio berlusconiano, viene sempre da chiedersi, con la rabbia che ti monta dentro giorno dopo giorno, cosa si possa fare? Parlare? Sì, lo faccio con tutti ma mi rendo spesso conto dell’inutilità di ciò. Soprattutto quando l’indomani vedo che c’è un nuovo argomento e una nuova porcata della quale parlare e per la quale infervorarsi. E così via, giorno dopo giorno, da anni. Un senso di resa si impradonisce di te e dici: “Ok finirà anche questo”. Ma il fondo non arriva mai. Leggo decine di blog tutti i giorni e trovo le notizie, le vere notizie, poi guardo la televisione, vedo le trasmissioni e c’è un altro mondo parallelo, che non esiste, fatto di bugie e delle quali sento la gente parlare e prendere posizione pro o contro in ufficio, nei pullman, per strada e nei bar. Parlano di cose che non esistono o quanto meno, ad essere di bocca buona, non sono proprio così. Ma non posso fare niente. Arrivo anche a ipotizzare cose tipo: “Cavolo vorrei vincere al Superenalotto e finanziare un giornale” con dentro tutti quelli che mi informano davvero tutti i giorni e che mi danno la speranza che non tutto è perduto. Ma in effetti continuo a sentirmi impotente. Tutti i giorni cerco video e notizie fondamentalmente in Rete. Vedo gli incontri di Marco Travaglio in giro per l’Italia. Poi vengo a sapere che state facendo un giornale. Voi. Quelli che avrei finanziato se avessi vinto al Superenalotto. Meno male, penso subito. Ho subito prenotato l’abbonamento, ed è stato bello il giorno in cui ho pagato con carta di credito. Mi son sentito meno solo. E per la prima volta in tanti anni mi è sembrato finalmente di aver fatto qualcosa di concreto (una bella responsabilità vi siete presi). Fabrizio Bruera

I nostri anziani senza niente da mangiare Sto pensando che mi vergogno di questo paese, che non sa reagire ai bocconi amari che come cittadini ci viene imposto di ingoiare in silenzio ogni giorno, in cambio di una pseudo libertà. Quale libertà? Quella di non poter vedere per i propri figli un barlume di futuro sereno (a meno di non essere figlio di qualcuno appartenente alla “casta”); oppure la libertà di vedere i nostri vecchi aggirarsi per i dintorni dei mercati all’ora di chiusura per cercare di racimolare qualche avanzo per poter tirare avanti; o quella di vedere ogni giorno centinaia di persone giovani e vigorose perdere con il posto di lavoro anche la casa, la famiglia e la dignità. Ma che importa! Tanto abbiamo “il Grande Fratello”, una partita di calcio almeno una volta a settimana, il telefonino di ultima generazione e finalmente il decoder digitale per l’acquisto del quale abbiamo fatto pure la fila. Poi se vengono prese a calci le più elementari norme costituzionali, ossia quelle che distinguono una Re-

BOX

LA VIGNETTA

pubblica democratica da una dittatura o pseudo tale, non ci importa. L’Europa non dovrebbe servire soltanto da vaselina da invocare per rendere meno dolorosi i provvedimenti difficili da ingoiare, ma come occasione di viaggi e confronti per misurarci sullo stato di libertà e democrazia, anche se al momento, da questa comparazione, ne usciremmo con le ossa rotte. Pietro Nannuzzi

I reati dell’immigrazione esclusi dal processo breve Non pensate anche voi che il cerchio ormai si stia chiudendo? Mister B. si è finalmente messo a giocare a carte scoperte e gli unici a non essersene accorti (no, non fanno finta) sono Gasparri e Capezzone. La Lega, per non perdere la faccia e i favori dei suoi “cattolicissimi” votanti, si è appigliata disperatamente all’inclusione della clandestinità tra i reati di allarme sociale. Fini, per tentare di conservare un’apparente distanza dal premier e raccoglierne gli eventuali cocci, si è “duramente” opposto alla prescrizione breve, salvo poi avallare il processo breve che, per quel che interessa al cliente di Ghedini, è praticamente la stessa cosa. Non so come andrà a finire, non so se stavolta i parlamentari del Pdl e della Lega avranno un sussulto di orgoglio e lo abbandoneranno alle sue farneticazioni sui comunisti e sulle toghe rosse, non so se il supremo garante della Costituzione fermerà questo scempio, ma quel che è certo è che, dopo l’approvazione dello scudo fiscale e della fiducia, avvenuta solo grazie ai banchi vuoti dell’opposizione, se dovesse ancora mancare qualcuno tra i banchi della sinistra, allora sapremo finalmente da che parte stanno questi nostri parlamentari, liberamente eletti dal popolo italiano. Dark Angel

Vivo all’estero e soffro per l’italia Vi scrivo perché mi trovo ormai in una situazione di disagio costante: soffro profondamente da troppo tempo per il disastro italiano. E non so come porre rimedio a que-

Furio Colombo

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aro Furio, ci sono cose misteriose in questo paese, anche quando non si tratta di poteri oscuri. Perché questo governo sta creando così tante barriere e ostacoli al rinnovo della convenzione con Radio Radicale? Anche se alcuni radicali sono stati eletti con il Pd alla Camera e al Senato, non si potrà certo dire che appartengono alla sinistra che Berlusconi giura di aver sbaragliato liberando l’Italia e che Brunetta si augura che “vadano a morire ammazzati”. Inoltre Radio Radicale fa un servizio pubblico che la Rai non fa. E allora? Maria Teresa

C

L’abbonato del giorno UMBERTO DE LUCA Ci scrive Umberto: “Sono un pensionato di 60 anni e vivo a Capo D’Orlando, in Sicilia. Sì, voglio essere io l’abbonato del giorno, me lo dovete: ho pagato l’abbonamento nel mese di maggio, ero in Australia e vi ho fatto un bonifico bancario. Vi leggo scaricando il pdf e sono contento di poter contribuire all’uscita di un giornale veramente libero. Grazie per quello che fate e buon lavoro. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

sta mia sofferenza. Vivo all’estero, non solo per lavoro ma anche per scelta, da pochi anni. Quando sono arrivato qui pensavo di riuscire a “distaccarmi” dall’Italia. E non vedevo l’ora di farlo. Credevo fosse possibile, evitando di accendere la tv, riuscire a prendere una certa distanza di sicurezza dalle notizie italiane, così da soffrire di meno. Ma pian piano mi sono accorto che qui si soffre anche più di prima. Per due semplici ragioni: da qui riesco a gestire al meglio la ricerca di notizie, di risposte. Vado oltre, supero la nebbia che quei “giornalisti” affiliati al potere riescono sempre a depositare tra il cittadino e la notizia nuda e cruda. La seconda ragione è quella che mi dà il colpo di grazia: il confronto tra l’immagine che ho dell’Italia e quella della società in cui vivo. Pur essendo parte importante dell’Unione europea, la nostra nazione si è ormai trasformata in un inqualificabile derivato amorfo e puzzolente di società incivile.

NON È un grande mistero, l’ostilità che Radio Radicale incontra in una parte del centrodestra. Radio Radicale è libera. E se questo fatto è di grande aiuto per una vasta clientela di destra e di sinistra, che dispone continuamente di una fonte certa e di un luogo di verifica, non è l’ideale per il nucleo legale-politico-finanziario-mediatico che fa capo a Berlusconi e ai suoi avvocati e che

Mentre qui, nel cuore dell'Unione europea, considerando tutti i pregi e i difetti (perché anche questi, ci sono) ho quotidianamente l’esempio di come dovrebbe essere anche in Italia. Vi assicuro che è molto doloroso pensare di non voler ritornare più in patria. Mi chiedo come si fa ad andare avanti così, ormai da anni. Mi chiedo dov’è il fondo. Mi chiedo come fanno milioni di persone a sopportare, tollerare e addirittura appoggiare, col loro voto, i responsabili di uno sfascio di tali proporzioni. Non so se mi sento più italiano perché vorrei un’Italia migliore o meno italiano perché distante da quella maggioranza di italiani di cui ho appena parlato. Non riesco a capire se, in fondo, la maggior parte degli italiani è così, quindi c’è solo da rassegnarsi. Penso a come la società civile sia stata capace di organizzarsi in paesi come la Thailandia; e mi domando se ci sarà mai una società civile capace di alzare la voce anche in Italia. So che questo messaggio è molto triste e deprimente, ma sono sicuro che solo voi, che lottate in prima linea per stimolare una tale società civile ad uscire fuori dal guscio, possiate regalarmi almeno due parole di conforto (anche se solo temporaneo). Avete tutta la mia stima. Saluti. Silvio M.

In piazza con il Fatto Complimenti ragazzi! Grazie al Fatto Quotidiano presumo che il 5 dicembre intaseremo Roma. Buon lavoro Giorgio

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preferisce i coni d’ombra da ricoprire con riflettori di spettacolo e con trucchi di illusionismo. Altre radio, molte tv si prestano. Radio Radicale no. E nonostante ciò pensa di avere diritto al sostegno pubblico. Importa poco al clan Berlusconi che il costo sia modesto e il risultato ammonti a una vera e propria certificazione notarile degli eventi pubblici italiani. Meglio guardare altrove. E benché questa irresistibile vocazione non sia affatto esclusiva del centrodestra, è giusto dire che il centrodestra di Berlusconi ha fatto del possesso esclusivo delle notizie una bandiera. Per questo Radio Radicale dà noia. Per il momento l’inclinazione di questo governo sembra sia di evitare lo scandalo dando alla radio di Pannella qualcosa ma non tutto. Progetto utile per continuare ma che rivela una visione modesta e vagamente ricattatoria del potere verso una radio a cui ognuno si affaccia liberamente. Progetto piccolo di un governo grande solo nella sua vanagloria. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

IL FATTO di ieri17 Novembre 1967 A Milano il Sessantotto scoppiò nel ’67. In quel piovoso 17 novembre e nel luogo più inatteso, l’Università Cattolica. Da due giorni gli studenti sono sul piede di guerra. Contestano l’avvilente “riforma Gui”, l’arroganza dei baroni in ermellino, l’aumento delle tasse. Chiedono la trasparenza dei bilanci universitari, la democrazia interna, la partecipazione degli studenti ai piani di studio. Nella grande Aula Gemelli, dopo ore di dibattito, più di mille studenti dichiarano l’occupazione a tempo indeterminato. “Lo studente è un sacco vuoto da riempire, dall’alto di una cattedra, di nozioni già confezionate”, recita un volantino, mentre in altri manifesti si legge “Il Concilio ha detto, Chiesa dei poveri. La Cattolica ha detto, Università dei ricchi”. La protesta è compatta, ma l’occupazione dura poco. Alle tre di notte, su richiesta del rettore Franceschini, la polizia, in omaggio alla circolare Taviani, irrompe nell’ateneo. Centinaia di ragazzi, bollati come “estremisti facinorosi” vengono portati fuori di peso. L’università è serrata per dieci giorni. La “sacralità” della Cattolica violata, fa scalpore. E’ l’alba del ’68 e l’inizio di un cortocircuito che infiammerà gli atenei di mezza Italia. Giovanna Gabrielli

Inkarri, ho mai usato il termine “truffa”. Come è noto ad ogni cronista di giudiziaria, stabilire il reato di truffa (art. 640 Codice Penale) spetta al giudice di un tribunale, non al giornalista. Nel video segnalato nel box - “Inkarri e Juan Ruiz: il bavaglio a Enzodifrennablog.it” - riporto unicamente il documento ufficiale del Ministero dell’Istruzione, che attesta la non

registrazione ai sensi di legge della Università Pneuma creata dai dirigenti di Inkarri. Enzo Di Frenna

IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma lettere@ilfattoquotidiano.it

Direttore responsabile Antonio Padellaro

Diritto di Replica Sul Fatto del 14 novembre, a pag. 17, è stato pubblicato un box dal titolo: “Inchiesta sullo sciamano. Il blogger: è una truffa”. E poi all’interno è scritto: ”...insomma, una truffa in stile Wanna Marchi...”. Specifico che in nessun video della mia inchiesta relativa a Juan Ruiz Figueroa e alla sua associazione

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