Non sarà che il premier pensa al voto perché teme brutte notizie dalle inchieste su mafia e dai conti svizzeri? y(7HC0D7*KSTKKQ(
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Mercoledì 18 novembre 2009 – Anno 1 – n° 49 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
IL RICATTO DI BERLUSCONI “ELEZIONI ANTICIPATE”
Manda avanti Schifani, seconda carica dello Stato Istituzioni calpestate di Antonio
Intervento a gamba tesa del presidente del Senato nello scontro interno alla destra: “Maggioranza compatta o si va a
nuove elezioni”. Bersani: “La legislatura non è di loro proprietà”. Per il finiano Granata: “Il clima nella maggioranza è irrespirabile” Marra pag. 5 z
Padellaro
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on si era mai visto il presidente del Senato diventare il portavoce del presidente del Consiglio. Non si era mai visto neppure nei momenti più cupi della lunga anomalia italiana chiamata Berlusconi. Perfino quando a Palazzo Madama sedeva Marcello Pera, che pure di concessioni al capo ne ha fatte tante. Non si era mai vista la seconda carica dello Stato farsi latore di un messaggio politico ricattatorio destinata alla terza carica dello Stato. Perché la frase: “Se la maggioranza non è compatta è meglio andare al voto” è un pizzino dal significato chiarissimo. Schifani fa da postino ma chi parla è Berlusconi. Più o meno così: caro Fini piantala di contraddirmi su tutto, sottoscrivi il processo breve che mi assicura l’impunità, rientra nei ranghi, ubbidisci, altrimenti io butto il tavolo per aria, così la poltrona di Montecitorio te la scordi e di te resterà solo il ricordo del missino che ho miracolato. Non è forse questo il cortese messaggio che viene indirizzato al povero Gianfranco dalle colonne padronali del Giornale di Feltri un giorno sì e l’altro pure? L’uomo di Arcore ci ha abituati a tutto ma che facesse balenare attraverso un suo sottoposto lo scioglimento delle Camere, scavalcando e ignorando il presidente della Repubblica a cui la Costituzione affida esclusivamente questo potere, nessuno davvero poteva immaginarlo. Troppa protervia? O troppa disperazione?
Udi Luca Telese
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“NO-B-DAY”, PD E IDV LITIGANO n un paese normale una Igoverno manifestazione contro il unisce le opposizioni. Nel nostro – invece – Bersani e Di Pietro litigano tutto il giorno: sulla sfiducia a Cosentino e sul “No-B-day”. Bersani: “Non ci vado”. Di Pietro attacca: “Non faccia il bimbo”. pag. 5 z
CATTIVERIE
Il manifesto de “il Fatto Quotidiano” per il corteo del 5 dicembre a Roma
Prossima riforma della Giustizia: nei tribunali verranno appesi crocifissi molto piu grandi, per coprire la scritta “La legge è uguale per tutti” (Bandanas)
GOVERNO x Fiducia sul decreto che privatizza la gestione idrica
VOGLIONO TOGLIERCI ANCHE L’ACQUA di Daniele Martini
iù che una difficile equazione a molte incognite, la faccenda dell’acqua sembra un rompicapo apparentemente irrisolvibile che il governo, però, vorrebbe affrontare per le vie brevi dei colpi di fiducia, come ha deciso ieri. Alla Camera ci sarà il voto di fiducia sul decreto Ronchi, già approvato al Senato, che deve essere convertito in legge entro il 24 novembre. pag. 10 z
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Udi Furio Colombo IL DISASTRO EUTELIA E LA CRISI e vi aggirate in piazza Smattina dell’Esquilino a Roma la di lunedì, tra la folla di uomini e donne che si prepara al corteo con le bandiere sindacali (Cgil, Cisl), i fischietti, il megafono, provate un senso si spaesamento. pag. 9 z
Pm al convegno, imputato innocente di Marco Travaglio
iovanni Floris ha la suina e dunque ieri, come ha spiegato in un comunicato, niente Ballarò: “Meglio seguire le indicazioni del ministero ed evitare di distribuire virus qua e là. Basta che ora non mi chiedano di sostituire Topo Gigio!”. Le pazze risate. Peccato, “la puntata sarebbe stata dedicata alla giustizia”: infatti l’ospite principale era “il ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini”. Che, non capendo nulla di giustizia né d’istruzione, può parlare di entrambe con la stessa enciclopedica incompetenza. Si porta su tutto. Vespa in compenso gode di ottima salute: l’altroieri per parlare di giustizia aveva Nicola Cosentino che, se non fosse in Parlamento e a Porta a Porta, sarebbe in galera per camorra. Era con lui Cicchitto, eccezionalmente in borghese, cioè senza cappuccio. Nick e Cick finalmente insieme, a grande richiesta. L’intenzione dell’insetto era delle migliori: assolvere Nick, “povero disgraziato” e “povero cristo”. Eppure tutto, in studio, cospirava contro il sant’uomo. A partire dalla redazione che, dal maggiordomo ai giornalisti, deve proprio non poterne più del conduttore. Infatti ha confezionato vari servizi con le terrificanti accuse dei camorristi pentiti al viceministro non pentito. Mai sentito nulla di più preciso, circostanziato, credibile. Manca solo il numero esatto dei peli nel naso del viceministro. Un altro servizio avrebbe dovuto provare la “giustizia a orologeria” contro Berlusconi, invece dimostrava l’esatto contrario, citando l’appello di Borrelli nel dicembre ’93: “Chi ha scheletri nell’armadio non si candidi: si faccia da parte prima che arriviamo noi”. La prova provata che le inchieste sul Cavaliere erano iniziate prima, e non dopo la discesa in campo nel ‘94. Fra le vittime della giustizia a orologeria venivano poi citati Mastella e Del Turco, che lungi dall’essere stati assolti, sono ora imputati, uno per concussione l’altro per corruzione. Alle accuse degli amici degli amici, Cosentino replicava con una faccia davvero eloquente e con argomenti decisivi, del tipo: “La Procura non mi ha voluto interrogare” (non sa che gli interrogatori non li fissa l’indagato e, se un magistrato sta per arrestare un presunto camorrista, difficilmente lo convoca prima per avvertirlo). Non bastando gli autogol di Nick ‘o Mericano, ecco l’autodifesa di Mario Landolfi: “Il Vassallo che mi accusa è un noto cocainomane”. E’ lo stesso Vassallo che, interpretato da Toni Servillo in “Gomorra”, ha avvelenato il Casertano interrando rifiuti tossici grazie a politici come questi. Ora, può darsi che sia un tossico: ma peggio ci sentiamo, visto che frequentava loro e organizzava cene elettorali per farli eleggere. Ma ecco il boccoluto Cick correre in soccorso dell’amico Nick in difficoltà. Con l’aria furbetta di Lupo de’ Lupis, il muratorino di Gelli estrae di tasca la pistola fumante, la prova regina dell’innocenza di Cosentino: la locandina di un convegno, forse un fondo di magazzino di Pio Pompa. E, con la faccia da “ora vi sistemo io”, scandisce: “Il pm Narducci che chiede l’arresto di Cosentino ha partecipato a un convegno dei Ds con Travaglio!”. Come direbbe Peppino De Filippo, “e ho detto tutto”. Il caso è chiuso: il pm ha fatto un dibattito con me, ergo Nick è innocente. Infatti, finalmente sollevato, denuncia: “Il giornale di Travaglio preannunciò il mio arresto una settimana prima”. Per la verità Il Fatto ha ricordato la richiesta d’arresto pendente da 9 mesi e già uscita sulla Stampa. E al convegno, organizzato due anni fa dai Ds di Bojano (Molise) su “La scomparsa dell’informazione da Vallettopoli a Calciopoli”, sia Narducci sia io criticammo il centrosinistra per la scalata di Consorte&D’Alema e la legge-bavaglio Mastella. Ora però, per favorire Nick e Cick, vorrei fare una confessione: quel giorno del 2007 il pm, che mai avevo visto prima, mi corse incontro e, prim’ancora di salutarmi, mi preannunciò l’arresto di Cosentino entro il 2009. E io, astuto come una volpe, zitto per due anni. E’ così che si fanno gli scoop.
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Il duello: dai dossier annunciati da Feltri al processo breve
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I GUAI DEL PREMIER
o scontro all’interno del Pdl va avanti ormai da mesi. E gli avvertimenti a Gianfranco Fini a rientrare nei ranghi si sono moltiplicati. Il Giornale di Vittorio Feltri, dopo aver portato il Direttore dell’Avvenire Boffo alle dimissioni aveva avvertito il Presidente della Camera di essere in possesso di non ben specificati fascicoli su di lui. Poi, c’è
stato lo scontro sulla bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale criticato da Berlusconi come una sentenza politica. Non senza lo stop di Fini, che aveva invitato il presidente del Consiglio al rispetto della Consulta e del Quirinale. Sul processo breve, infine, il duello più recente: nell’incontro sulla giustizia i due erano arrivati agli insulti,
senza peraltro trovare una mediazione, tra Fini che si era opposto all’ennesima legge ad personam e Berlusconi che aveva cercato di arrivare a delle conclusioni che lo potessero salvare dai suoi processi. Per giungere a un compromesso non definitivo su un’ipotesi di processo breve, che trova i finiani ancora contrari.
Berlusconi muove Schifani: “Maggioranza unita o si vota” NUOVO AVVISO MANDATO A FINI: IN PARLAMENTO SI RISPETTI IL PATTO ELETTORALE di Wanda Marra
e la maggioranza non è compatta, subito alle elezioni”. Arriva poco prima delle 18 la dichiarazione di Renato Schifani, il presidente del Senato. Ed è dirompente, dopo settimane di tensioni dentro il Pdl. Che si fosse arrivati quasi al punto di rottura si era capito già dopo il vertice sulla Giustizia della settimana scorsa e il mancato accordo sul processo breve. Ma evidentemente a questo punto Berlusconi si è sentito così accerchiato da giocarsi la carta Schifani. Erano giorni che i giornali vicini al Cavaliere lo invitavano a passare all’attacco (“Silvio, chiudi il teatrino”, titolava ieri Libero). Mentre il Giornale, che conduce una campagna contro Fini, lunedì metteva esplicitamente sul tavolo la questione elezioni: “Fini ha paura del voto”, titolava il quotidiano di Paolo Berlusconi, rispondendo alla terza carica dello Stato, che domenica nello studio della Annunziata aveva dichiarato: “Le elezioni anticipate sarebbero un fallimento”. Questo, però, continuando a sostenere che le regole si cambiano con l’opposizione e a portare avanti posizioni diverse dal capo del governo. Alla fine, dunque, quello di Schifani è un avvertimento in piena regola: “Compito della maggioranza è garantire che in Parlamento il programma del governo trovi la compattezza degli eletti per approvarlo. Se questa compattezza viene meno il risultato è il non rispetto del patto elettorale”. D’altra parte, la riforma della giustizia per il premier è vitale. E nessun intesa è stata trovata sul processo breve (Ghedini stava lavorando in questi giorni a un emendamento). Non solo: i finiani hanno presentato un emendamento al testo sul biotestamento, ora all’esame della commissione Affari sociali di Montecitorio, che modifica totalmente il testo Calabrò votato dal Senato. La goccia che ha fatto traboccare il vaso potrebbe essere legata però alla sfiducia a Nicola Cosentino. Da giorni Fini ha chiarito che il sottosegretario per cui è stato richiesto l’arresto non può essere il candidato alla regione Campania (mentre Berlusconi non ha ancora ritirato l’ipotesi di candidatura). E ieri l’Idv ha annunciato l’intenzione di presentare una mozione di sfiducia per chiederne le dimissioni. Incassando l’apertura di Italo Bocchino, tra i fedelissimi di Fini: “Valuteremo. Noi riteniamo sarebbe opportuno un passo indietro”. E la sua personale possibile sfiducia era stata già annunciata da Fabio Granata, anche lui tra i più vicini a Fini. Non a caso a replicare è stato Stracquadanio, l’uomo del Predellino, un berluscones doc: la “causa occasionale” che potrà far scoppiare la guerra nel Pdl è la mozione di sfiducia contro Nicola Cosentino. Ma a questo punto i finiani sembrano spiazzati e non ci stanno a sentirsi stretti da un ultimatum. Che appare anche il tentativo di
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costringere il presidente della Camera a uscire definitivamente allo scoperto e dire la sua, svestendo i panni istituzionali. Come ha fatto il presidente del Senato. “C’è un clima irrespirabile ma non per colpa nostra. Le questioni sopravvenute in seguito alla bocciatura del lodo Alfano non sono ascrivibili come programma di governo”, dichiara Granata. E Della Vedova: “Mi sembra un’esagerazione”. Mentre Briguglio ricorda che il voto è “un azzardo” e che “Berlusconi può anche perdere”. D’altra parte proprio nello studio dell’Annunziata Fini aveva ricordato al Cavaliere che lo sciogli-
mento delle Camere va deciso dal capo dello Stato. E che dunque i suoi potrebbero anche decidere di appoggiare l’ipotesi di un esecutivo istituzionale. L’Udc, con Vietti, si inserisce nel gioco ricordando che c’è la possibilità di una maggioranza diversa. Mentre gli uomini di Berlusconi, da Quagliariello a Capezzone giudicano del
tutto normale l’uscita di Schifani. Così come, con il ministro dell’Interno Maroni, si schiera anche la Lega: “Riforme importanti e impegnative richiedono una maggioranza coesa”. Fotografa la situazione Rosy Bindi: “Dalle leggi ad personam si sta passando alla legislatura ad personam e noi non ci stiamo”. Il premier e il presidente del Senato
I fedelissimi del presidente della Camera fiutano la trappola Bindi (Pd): legislatura ad personam
il quartier generale comunica "
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STRAGI E PENTITI, PIROSO FA IL CENSORE A
La 7 praticano la censura a tappe e rimediano con le toppe. Rima sbagliata. Per tre settimane, montaggio compreso, le scalette hanno previsto l’inchiesta di Silvia Resta all’interno di “Reality” curato da Paola Palombaro. Il telegiornale del mattino - siamo a lunedì - lancia un promo. La direzione annuisce. Tra la pausa pranzo e il pisolino, a poche ore dalla messa in onda, scopre che la Resta aveva confezionato un ricco servizio sulla trattativa tra Stato e mafia del ‘93: interviste esclusive ai protagonisti degli anni stragisti e brani della
deposizione del pentito Gaspare Spatuzza, letti e recitati da un attore. Accade qualcosa di interessante, allora: si mobilita Antonello Piroso, guarda per capire. Il direttore viviseziona la puntata e inorridisce: via la Resta, dentro un pezzo trasmesso il 19 ottobre. Quando la censura aiuta a riciclare. Male. Il comitato di redazione è furioso: “Si tratta di un episodio grave che in un colpo solo arreca danno al lavoro della collega, alla credibilità del settimanale della testata giornalistica e alla nostra immagine”.
DARE LA LINEA? È curioso: il “Giornale” di Feltri, ma soprattutto “Libero” con il fondo di Belpietro, ieri hanno letteralmente dato la linea a Schifani.
Le verità corleonesi fanno tremare Silvio Da Spatuzza ai Graviano, attesa per nuove rivelazioni. Stato-mafia, Martelli contro Mori di Giuseppe Lo Bianco
opo avere ricevuto da Liliana FerDBorsellino, raro l’invito a parlare con Paolo gli ufficiali del Ros Mario Mori e Beppe De Donno tornarono in autunno dal direttore degli Affari penali con altre richieste: l’autorizzazione a compiere “colloqui investigativi’’ con boss mafiosi in carcere, e la restituzione del passaporto a don Vito Ciancimino. Ma ricevettero un fermo rifiuto: quell’attività del Ros, per Claudio Martelli, era ai confini dell’“insubordinazione’’. Mentre dagli interrogatori romani di Liliana Ferraro e dell’ex Guardasigilli Claudio Martelli da parte dei pm di Palermo e Caltanissetta che indagano sulla trattativa mafia-Stato arrivano nuovi dettagli sull’attivismo degli uomini del Ros, impegnati tra piazza di Spagna, dove abitava Ciancimino e i Palazzi dei ministeri romani, negli ambienti del Pdl cresce
l’attesa per l’interrogatorio di Gaspare Spatuzza, il pentito capace di togliere il sonno al presidente Berlusconi, per averlo indicato come il terminale ultimo della trattativa. La data dell’interrogatorio verrà fissata venerdì prossimo e l’attesa cresce in un clima da “partita a scacchi’’ in cui, in molti, nel Pdl, sembrano temere la prossima mossa dei “Corleonesi’’ nei confronti del governo Berlusconi, dopo le dichiarazioni di Salvatore Grigoli e quelle dello stesso Spatuzza depositate nel processo Dell’Utri. È uno dei quotidiani del gruppo Berlusconi, Libero, infatti, a sottolineare che nel carcere di Tolmezzo, nel 2004, Filippo Graviano, fratello di Giuseppe, boss di Brancaccio entrambi protagonisti della stagione stragista del ’93, confidò a Spatuzza che, “se non arriva niente da dove deve arrivare è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati”. Secondo Spatuzza “fino al
L’ex Guardasigilli: nel ’93 i Ros al limite dell’insubordinazione
2003-2004, epoca del colloquio a Tolmezzo con Graviano, era in corso la trattativa”. E sempre Libero, in un altro articolo, rileva la singolarità di una parola dell’altro fratello, Giuseppe Graviano, pronunciata qualche tempo fa durante l’udienza del processo di appello all’ex senatore dc Vincenzo Inzerillo, accusato di mafia: “Lei è mafioso?’’ chiese il pm. “Sono stato condannato per 416 bis’’ – è stata la risposta criptica di Graviano. Che ha aggiunto: “Anche sulla base delle accuse di Gaspare Spatuzza, che rispetto’’. E il boss stragista irriducibile, che dalla cella di un 41 bis esprime “rispetto’’ per un proprio killer, oggi pentito e dunque “infame’’, ha acceso sulla stampa del Cavaliere mille interrogativi sulla volontà di Graviano di aprire anch’egli i rubinetti della memoria. Con conseguenze imprevedibili per i “referenti politici’’ che incontravano i Graviano a Milano nella stagione delle stragi, e cioè gli uomini vicini al gruppo Fininvest, come avrebbe raccontato lo stesso Spatuzza ai magistrati del capoluogo lombardo. Frammenti di una trattativa avviata, secondo le ipotesi investigative, a
cavallo della stagione delle stragi del ’92 sulla quale Liliana Ferraro e Claudio Martelli, hanno sollecitato la propria memoria offrendo ieri nuovi spunti e rivelando un inedito attivismo di Mori e De Donno nell’autunno del ’92, e cioè nella fase più “calda’’ della trattativa mafia-stato. Secondo i due testimoni gli ufficiali del Ros chiesero l’autorizzazione a compiere colloqui investigativi in carcere con boss mafiosi e la restituzione del passaporto a don Vito Ciancimino, con il quale erano già in corso numerosi contatti. Un’attività, ha detto Martelli, ai limiti dell’insubordinazione. Messi a confronto, infine, per alcune divergenze riferite ai magistrati, i due testimoni avrebbero chiarito che durante il primo incontro, nel trigesimo di Capaci (un arco di tempo che va dal 22 al 25 giugno, e comunque prima del 29), De Donno informò la Ferraro soltanto del suo incontro con Massimo, il figlio di don Vito. Secondo i due testimoni, l’ufficiale non disse loro che aveva incontrato Ciancimino. Interrogato ieri, infine, anche l’ex ministro della Difesa nel ’92 Virginio Rognoni.
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Fuga dalle procure, il Csm: 3 chiudono e 14 sono a rischio
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I GUAI DEL PREMIER
re procure (Enna, Mistretta e Sciacca) destinate a chiudere i battenti perché non hanno più nemmeno un magistrato in servizio; altre 14 in tutta Italia sull’ “orlo del fallimento”, visto che restano con un solo sostituto in servizio. E ancora, altre 70 che devono fare i conti con scoperture maggiori o superiori al 20%. Sono più che tragici gli effetti
della fuga dei magistrati dalle procure. E a renderli visibili è il bilancio dell’ultimo concorso bandito dal Csm per la copertura di 197 posti da sostituto in 96 uffici requirenti della penisola: oltre i due terzi (121) sono rimasti scoperti perché nessuno che aveva i titoli ha chiesto di andarci. Così è accaduto persino alla procura di Palermo: lì servono 16 nuovi pm, ma quei posti
resteranno vuoti per mancanza di aspiranti. Stessa sorte per la quasi totalità delle procure siciliane: 13 su 14 (tra di loro Caltanissetta che ha riaperto le indagini sulle stragi mafiose) dovranno forzatamente rinunciare a nuovi sostituti perché non ci sono state domande valide. Con conseguenze facilmente immaginabili sulle loro inchieste che rischiano di essere compromesse.
LA LAVASOLDI B.-BANK
Il rapporto segreto di via Nazionale sull’istituto Arner: clienti fantasma e milioni senza traccia di Francesco Bonazzi
e Peter Gomez carse o inesistenti informazioni sui titolari dei conti. Occhi semichiusi sul fronte del riciclaggio. Girandole di bonifici internazionali dei quali la banca non si curava di conosere i reali beneficiari. E quasi metà del patrimonio dei clienti gestito da una sola persona, l’amministratore delegato, caso unico nel mondo delle banche. È decisamente allarmante il quadro della filiale italiana della Arner Bank che emerge dall’ispezione che la Banca d’Italia ha svolto nei primi quattro mesi del 2008 e che ha poi
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innescato un’inchiesta per riciclaggio da parte della procura di Milano. Nella filiale milanese della banca elvetica, il conto numero uno era intestato a Silvio Berlusconi, che con la sua famiglia vi gestiva un patrimonio da circa 60 milioni di euro. Il Fatto Quotidiano ha ottenuto una copia di questo documento del maggio scorso, definito “riservatissimo” dagli uomini di Via Nazionale. Ecco che cosa contiene. Una banca vetrina La filiale italiana della Arner Bank apre i battenti a Milano nel 2004 con un solo sportello in corso Venezia. Il progetto di aprire un secondo sportello a Roma rimmarrà lettera morta, mentre l’obiettivo
LEGITTIMI IMPEDIMENTI
di Carlo Tecce
Tè e biscotti con il fido Erdogan
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llarme indigestione e rottura dei timpani. Due pranzi e due cene al giorno, due picchetti d’onore (in tenuta vintage) e due concerti della banda dei carabinieri, pur di affollare l’agenda – e tenersi lontano dal tribunale di Milano – Silvio Berlusconi è disposto a dormire sul tappeto rosso steso nell’atrio di Palazzo Chigi. A ricevere ospiti. Così non rimpiange il lettone di Putin. Lunedì di baci e abbracci con il dittatore Gheddafi, il “leader della rivoluzione” per il sito ufficiale del governo; pacche brasiliane con il presidente Lula. Martedì più orientale: colazione con Al Thani, emiro del Qatar; tè e biscottini con il turco Erdogan. E Mercoledì? Carne, pesce e vino bianco. E sentiti ringraziamenti alla Fao per il raduno. La sindrome da bilaterale è pericolosa, ma a Palazzo Chigi sono seri: incontri economici. Come no.
dichiarato di raggiungere i 400 milioni di massa gestita viene più o meno centrato. Nel 2004, si parte con gli 86 milioni che scendono dalla Casa madre svizzera e nel 2006 si tocca quota 393 milioni, per poi scendere a 371 a fine 2007. Secondo quanto hanno modo di ricostruire gl’ispettori di Bankitalia, la decisione di dotarsi di una filiale italiana va inquadrata “nella generale tendenza al rimpatrio degli attivi detenuti all’estero”. Forse, la banca nasce addirittura per approffitare dello scudo del 2004. Ma in Arner c’è subito una stranezza: il 90% dei soldi sono gestiti da quattro persone e il 45% dall’amministratore delegato stesso, Davide Jarach. Segno che la necessità di riservatezza dei clienti ereditati dalla controllante svizzera è tale da imporre un accentramento dei denari amministrati - e soprattutto delle informazioni che li riguardano - che non ha eguali in tutto il panorama creditizio italiano. Tanto per non farsi mancar nulla, poi, visto che siamo nella patria dei conflitti d’interesse, un’altra considereverole fetta del patrimonio gestito (12%) è affidata a Maria Milla, “figlia del consigliere dottor Marco” (come notano gl’ispettori). A presiedere la banca c’è invece Nicola Bravetti, arrestato nel
maggio del 2008 perchè la procura di Palermo sospetta che il suo ruolo fosse quello di far sparire, mediante intestazioni fittizie, i soldi giratigli da Francesco e Ignazio Zummo, imprenditori in odor di mafia. Ignoti a se stessi Se la Banca d’Italia ha commissariato Arner è principalmente perchè l’ha trovata molto carente sulla trasparenza. Il contrattto con i revisori esterni della KPMG ha vita brevissima e l’auditing interno si segnala per “la ridotta e insufficiente attivi-
Qui Berlusconi ha il conto n. 1. Il dossier che ha portato al commissariamento per gravi violazioni di legge
tà”. In materia di rapporti con i clienti, prosegue la relazione ispettiva, non sono stati neppure predisposti “idonei presidi organizzativi per assicurare il rispetto della normativa contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo”. Controlli a campione sulle operazioni di Arner Italia hanno evidenziato che “quasi mai è stata rintracciata documentazione esaustiva in termini di identificazion dei reali beneficiari”. Tradotto dal “bankitaliese”, significa che nel palazzo di Corso Vittorio erano abituati a non farsi troppo domande su chi fossero i destinatari reali di un turbine di giroconti. Alcuni esempi di operazioni sospette aiutano a capire meglio.
Beni sequestrati ai boss: ceduti a “trattativa privata” IL GIUDICE LICATA: LO SCANDALO NON È LA VENDITA IN SÈ, MA LA MANCANZA ASSOLUTA DI TRASPARENZA di Sandra Amurri
endere i beni confiscati alla mafia Vunico per fare cassa e finanziare il fondo giustizia (50% al Ministero dell’Interno e 50% al Ministero della Giustizia) è la sola certezza che emerge dal testo dell’emendamento alla Finanziaria approvato in Senato. È chiara solo la finalità lasciando aperta la porta a qualsiasi abuso. Per il resto è buio fitto. La legge non garantisce nulla, tantomeno la trasparenza dell’azione dello Stato nella lotta alla mafia. L’emendamento approvato al Senato, infatti, cosìcom’è strutturato, con tutta una serie di richiami ad altre di norme di legge, finisce con il rendere normale la procedura della trattativa privata per la vendita dei beni confiscati alla mafia di valore inferiore ai 516 mila euro. Cioè la maggior parte. L’emendamento, infatti, non parla né di asta pubblica né di trattativa privata, ma
richiama le norme già esistenti che prevedono una forma di asta pubblica soltanto qualora i beni superino il milione di euro. Unica novità è la previsione di un altro parere di un nuovo organo, il Commissario straordinario per la gestione dei beni confiscati alle associazioni di tipo mafioso. La legge non è aberrante in sé, come sono in molti a gridare, in quanto prevedere la vendita dei beni che residuano dalle assegnazioni per finalità specifiche agli enti pubblici ed alle associazioni risponde ad una logica condivisibile di valorizzazione del patrimonio pubblico. Aberrante, invece, è non specificare dettagliatamente con quali modalità la vendita dovrà avvenire. Il rischio che i beni, attraverso prestanomi, possano essere acquistati dagli stessi mafiosi, ai quali sono stati confiscati, diviene altissimo proprio perché la vendita avverrà nella maggioranza dei casi a trattativa privata.
“Non c’era bisogno di un provvedimento tampone quanto di una riconsiderazione del settore della gestione dei beniattraverso la creazione di un’agenzia apposita per la gestione che garantisca efficienza e trasparenza” spiega Fabio Licata, Giudice della sezione misura di prevenzione del Tribunale di Palermo. “Inoltre è un emendamento molto generico. Innanzitutto bisogna fare una valutazione rispetto ai vari beni confiscati, se si tratta di immobili, di aziende, di imprese, di società e stabilire, caso per caso, quali conviene gestire, quali conviene vendere e quali conviene assegnare ad associazioni come Libera, ad esempio, perché voglio dargli anche un alto valore simbolico di recupero civico. Non credo che l’asta pubblica sia uno scandalo di per sé. Il punto è la trasparenza delle procedure per evitare, appunto, che la mafia possa tornare in possesso di quegli stessi be-
ni. Tutto dipende da come lo si fa. Evitare che la mafia li riacquisti è un problema di dignità dello Stato. Uno Stato che non fosse in grado di garantire la trasparenza proprio in questa materia non sarebbe uno Stato serio - insiste Licata -. Il problema è il necessario rispetto delle regole che, una volta stabilite dallo Stato, devono essere fatte rispettare, anche accertando la provenienza dei soldi. Ma voglio dire, le regole ci sono e le procedure anche, a mancare, semmai, è la volontà di farle rispettare”. Non basta quindi limitarsi a dire che i beni debbono essere venduti con buona pace della lotta alla mafia perché dal valore della trasparenza e dal rispetto delle regole non si può prescindere. In conclusione, questa legge, dettata dall’emergenza di fare cassa, resta poco chiara e di difficile applicazione, come quelle ad personam che cadono per fortuna sotto la scure della Corte Costituzionale.
Il grand Hotel Il 21 giugno del 2007, Arner Bank SA, la controllante svizzera, accredita 12,5 milioni sul conto milanese della “Grand Hotel Via Veneto” dell’avvocato Giovanni Acampora, ex socio di Cesare Previti e storico legale Fininvest con una condanna per corruzione in atti giudiziari al processo “Toghe sporche”. Lo stesso giorno, la “Grand Hotel Via Veneto” dispone un bonifico da 10 milioni a favore della “155 Via Veneto Boutique Holding”, anch’essa titolare di un conto presso la Arner di Milano. Il giorno dopo, quest’ultima rimanda 9,7 milioni al punto di partenza: la Arner Bank SA. Il senso dell’operazione sfugge a un comune mortale e anche agli ispettori di Mario Draghi. I quali si arrendono di fronte alla constatazione che non si capisce chi sia “il reale destinatario di quei 9,7 milioni” tornati indietro in 24 ore. Significa che vanno a finire su un conto cifrato? Per dare un senso legale alla quadrangolazione c’è solo un’ipotesi: che i due clienti romani avessero chiesto un finanziamento del quale si sono immediatamente resi conti di non aver bisogno. In generale, Banca d’Italia ricava da questa e altre operazioni simili che in Banca Arner non si curavano d’informarsi sull’identità dei clienti passati dalla Casa madre, e neppure si ponevano il problema di verificare il senso economico e il beneficiario reale dei giroconti più bizzarri. Clienti sconosciuti Come le altre banche, anche Arner si prestava spesso alla girata di titoli azionari relativi a società di capitali che passano di mano. Solo che le banche “normali”,in ossequio alla legge, conoscono sempre i titolari delle azioni perchè sono loro clienti (se non entrambi, almeno il compratore o il venditore). Bankitalia scopre invece una dozzina di operazioni in cui Arner fa da “notaio” senza neppure fingere di verificare chi le si presenta davanti. O perchè sono clienti della controllante svizzera, che tiene riservata la loro documentazione, o perchè sono del tutto sconosciuti. Il mistero di Antigua Molto discreto è anche il rapporto che Arner intrattiene con la misteriosa “Flat Point Limited” di Antigua, impegnata nella costruzione di ville ai Caraibi. La relazione ispettiva osserva che la società è intestaria di un conto in euro come se fosse italiana, grazie alla presenza di una filale torinese che però non sarà mai operativa. Sul conto milanese della Flat Point non risulterà alcuna attività di gestione patrimoniale, ma solo una girandola di bonifici e giroconti con la Svizzera, “disposti da persone fisiche italiane”, e “senza che Arner Italia provveda a identificare nè gli amministratori, nè l’effettivo beneficiario” della movimentazione milionaria.
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Maxi- contratto di Vespa, anche Verro in pellegrinaggio dal capo
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LA VOCE DEL PADRONE
e visite a Palazzo Grazioli hanno anticipato l’ordine del giorno del consiglio di amministrazione Rai di domani. La settimana scorsa era toccato all’indipendente – quota Tesoro – Angelo Maria Petroni, ieri sera ad Antonio Verro (Pdl): “Visita di cortesia, non abbiamo parlato di Rai”. Non è chiaro, sono
indiscrezioni, ma alcuni membri di viale Mazzini sono convinti: sul tavolo ci sarà di nuovo il contratto di Bruno Vespa, rivisto e corretto, e sarà messo ai voti. E stavolta, dopo che al primo tentativo era stato stoppato dal medesimo Petroni e da Nino Rizzo Nervo, il triennale del conduttore dovrebbe passare innocuo. È coperto
dall’alto, dall’intromissione in prima persona di Silvio Berlusconi. Il destino di Paolo Ruffini, direttore di Raitre, sembra slittare di un’altra settimana, e ormai la faccenda assume connotati farseschi: nell’odg di domani c’è il punto nomine ma non è specificato chi e cosa, se si tratta di un cambio o di un nuovo incarico.
RAI, MASI ADDIO
Verso la direzione generale la vice Lorenza Lei, benedetta dal Vaticano. Domani ultimi colpi in Cda di Carlo
Tecce
uomo di Palazzo Chigi e la donna della provvidenza. I riflessi del Vaticano indicano le traiettorie della Rai. La direzione di Mauro Masi è a breve scadenza: un po’ per diverse aspirazioni personali (Eni, Enel, qualche Autorità?), un po’ per la delusione del governo. Non servono sforzi e magie diplomatiche: liberare la strada, prego. C’è una carriera che brucia promozioni aziendali da dodici anni, da un contratto a tempo determinato per Rai International al doppio salto carpiato verso i vertici di viale Mazzini. Il successore di Masi è il vice Lorenza Lei, siede alla sua destra, in un misto di religione e applicazione. Lei è bolognese, laureata in Antropologia filosofica. Era mamma e studiosa e allestiva mostre, poi inizia a collaborare con la Rai e viene assunta nel giro di due anni. Figlia di genitori comunisti, scopre la fede in età adulta: “La folgorazione la colpisce tre giorni prima di partorire”, scrive Denis Pardo sull’Espresso. La ricorrenza è perfetta: giovane e ambiziosa, siamo nel ‘99, viene nominata responsabile dell’immensa struttura Rai che segue il Giubileo. E così fa amicizia con Joaquin Navarro Valls, portavoce della sala stampa vatica-
L’
na con Giovanni Paolo II. I rapporti di fiducia e cordialità con la Santa Sede si rinnovano nel tempo: venerazione per il cardinale Camillo Ruini, poi sintonia con Angelo Bagnasco (presidente della Cei) e Tarcisio Bertone (segretario di Stato). Quando la Rai smistava deleghe e poltrone per scandire il cambio tra Prodi e Berlusconi al governo, e s’allineava il duo Garimberti-Masi, la Lei doveva mediare con i cardinali irritati per le investiture laiche. Un passo indietro, mai avanti. Sempre accanto alle giacche che contano. Lei è invisibile eppure è la donna più potente della Rai: da direttore delle risorse artistiche, nell’anonimato più assoluto, ha gestito centinaia di milioni di euro per i contratti con le case di produzione esterne. Non è attratta dai vizi e lazzi della Capitale, mai
Berlusconi ha deciso, cambia pedine: per l’attuale dg pronto il primo posto libero
riservarle un posto nelle cene mondane, meglio affidarle l’ufficio della direzione generale: scelta da Agostino Saccà, confermata da Alfredo Meocci e Flavio Cattaneo. Per un voto, scatenando la compita Bianchi Clerici (Lega), il Cda di viale Mazzini tre anni fa le ha preferito Claudio Cappon. Durante la campagna di Masi, la Lei ha spento i fari e, con quel suo sguardo severo e rigoroso, s’è promessa di tutelare il nuovo corso e semmai redarguire. Non tradisce. Non dimentica. Nemmeno nel fango più appiccicoso, quando intercettazioni e vallette facevano scandalo, nemmeno nei giorni dell’ignominia, ha smesso di proteggere Saccà. Il suo mentore. Pragmatica, non stringe mani a caso: vicina a Pier Ferdinando Casini, conoscente di Silvio Berlusconi, amica di Gianni Letta. Non soffre di megalomania, in Rai la sua voce è la più ascoltata e influente, ma è la prima candidata a raccogliere l'eredità di Masi, appena a Palazzo
Chigi troveranno un altro incarico per l’attuale dg. Masi è frenetico: per il Cda di domani ha ammucchiato la sostituzione di Paolo Ruffini e il contratto di Bruno Vespa. Ultime scintille. Questioni di settimane o di mesi. Ieri il consigliere Antonio Verro (Pdl) – altro papabile – è stato convocato da Berlusconi. Le pedine sono schierate, vanno soltanto mosse. E la Lei possiede la delicatezza giusta: “Credo nella provvidenza, talvolta va aiutata”.
Lorenza Lei, in pole per la direzione generale Sotto, Piero Grasso (FOTO ANSA)
Despistaggi Wind, si muove l’Antimafia di Antonio
Massari
sulla Wind, condotta dal pm di L’curainchiesta Crotone Pierpaolo Bruni, arriva alla pronazionale antimafia e approderà presto al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir): gli atti sono stati trasmessi ieri al procuratore nazionale dell’Antimafia Piero Grasso. Il sospetto è che la Wind – precisamente: il direttore della “security” Salvatore Cirafici – abbia potuto diffondere sim “coperte” e quindi difficili da individuare per le indagini della magistratura. Il punto è: esiste la possibilità che le istituzioni, inclusi i servizi segreti, possano utilizzare schede telefoniche coperte, e non rintracciabili, persino dalle procure? Come vedremo, secondo membri del Copasir, non è assolutamente possibile. “Non esistono guarentigie per le istituzioni. Neanche per i
L’indagine sulle schede sim schermate Il Copasir: non ci sono guarentigie nemmeno per i Servizi
servizi segreti”, commenta il senatore dell’Idv Giuseppe Caforio, “e quindi: che senso hanno, se esistono, le schede sim emerse in quest’indagine? Quali uomini delle istituzioni le hanno utilizzate? Ne parlerò con il presidente del Copasir, Francesco Rutelli, per affrontare la questione immediatamente”. Bruni sospetta l’esistenza di un sistema, legato all’utilizzo di alcune sim card “coperte”, in grado di danneggiare le inchieste giudiziarie. Alcune di queste schede telefoniche, secondo la versione di un indagato, sarebbero state affidate anche a membri delle istituzioni che negli atti, però, non vengono specificati: i verbali dell’inchiesta sono spesso coperti da omissis. “L’ipotesi che in questa vicenda siano coinvolti membri delle istituzioni, e quindi dello Stato, ci obbliga a comprendere cosa stia accadendo”, conferma Emanuele Fiano (Pd), anch’egli membro del Copasir. A parlare di istituzioni è il maggiore dei Carabinieri, Enrico Grazioli, interrogato da Bruni, quando rivela l’esistenza di sim card “protette”, offerte da Cirafici, ora indagato per favoreggiamento e rivelazione . Quest’ultimo, proprio in virtù del ruolo ricoperto, avrebbe saputo che il telefono di Grazioli era sotto intercettazione. E lo avrebbe invitato a usare un numero sicuro: “Cirafici (…) mi chiedeva telefonicamente di potermi contat-
ORDINE DEI GIORNALISTI
PEDINAMENTO DEL GIUDICE, BRACHINO SOTTO INCHIESTA
I
l pedinamento in video del giudice Raimondo Mesiano ha fatto battere un colpo finalmente all’ordine dei giornalisti. Almeno a quello della Lombardia. Ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti di Claudio Brachino, direttore di Videonews, (testata di Canale 5), e conduttore di Mattino 5. Il giornalista è stato messo sotto accusa per il servizio sul giudice di Milano, trasmesso il 14 ottobre e definito dalla federazione nazionale della stampa un “pestaggio mediatico”. “Il Fatto” ha letto quello che si chiama capo d’incolpazione, con il quale si contesta a Brachino di “essersi reso responsabile di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali” e di aver rotto la doverosa fiducia tra giornalisti e telespettatori, amplificando una notizia che non era tale. Avrebbe così violato l’articolo 137 della legge sulla privacy e l’articolo 6 del codice deontologico dei giornalisti. Per capire meglio di cosa dovrà rispondere Brachino, riassumiamo il contenuto del servizio. Si vede Mesiano che fuma davanti al negozio di un barbiere, fuori campo la giornalista ( precaria con contratto in scadenza), commenta: il giudice è nervoso e “va avanti e indietro, avanti e indietro”. Poi, cambio di scena, Mesiano è seduto su una panchina di un parco, la cronista deride i calzini turchesi. Secondo l’Ordine quel filmato non poteva e non doveva andare in onda perché nulla di quanto trasmesso ha a che vedere con la funzione pubblica di Mesiano, ovvero quella di giudice. Cosa diversa sarebbe stata se Mesiano fosse stato ripreso, per mera ipotesi, mentre brindava alla condanna di un suo imputato, in quel caso sarebbe stato diritto di cronaca. Invece sono stati documentati atteggiamenti di vita del magistrato che attengono strettamente alla sua vita privata. Inoltre per l’Ordine della Lombardia è ancora più grave che il servizio sia andato in onda su una televisione di Berlusconi, proprietario della Fininvest, cioè dell’azienda che in base alla sentenza di Mesiano deve pagare 750 milioni di euro alla Cir di De Benedetti, come risarcimento per la perdita della Mondadori. Nel capo di incolpazione si legge che il servizio aveva come finalità quella di “screditare la reputazione” di Mesiano e “delegittimare”, davanti ai telespettatori, il giudice che “aveva in precedenza emanato (la sentenza, ndr) e che aveva visto soccombente la società Fininvest, persona giuridica cui è riconducibile la rete televisiva per la quale Brachino lavora”. Intorno a metà dicembre il direttore di Videonews dovrà presentarsi a Milano davanti ai nove consiglieri dell’Ordine. Già alla fine di quella audizione potrebbe esserci la decisione. In caso di condanna le sanzioni previste sono avvertimento, censura, sospensione, (da due mesi a un anno), o radiazione dall’albo. Antonella Mascali
tare, ma questa volta per il tramite di un’utenza Wind; utenza che lo stesso Cirafici, circa un anno fa, mi aveva data in uso e che io utilizzavo sistematicamente per navigare in internet. (…).Cirafici mi stimolava a usare questa utenza per “parlare sicuro”, ovvero senza problemi, senza il timore di essere intercettato. La tranquillità nel parlare con quella scheda, derivava dal fatto che fosse un’utenza Wind aziendale, motivo per cui, un’eventuale richiesta di intercettazione, o d’intestatario della medesima, sarebbe stata conosciuta e gestita in anticipo dal Cirafici. Insomma, Cirafici mi sollecitava a utilizzarla poiché sapeva con certezza che non era intercettata o intercettabile senza che lui ne avesse preventiva conoscenza”. Le dichiarazioni rese da Grazioli avrebbero provocato la reazione di Cirafici. Almeno a sentire il maggiore dei carabinieri: “La notte del primo interrogatorio (…) Cirafici mi rag-
giungeva presso la mia abitazione, e mi dava l’ordine perentorio di buttare la scheda Sim (…). Mi chiedeva di ritrattare, ma la sua prima preoccupazione fu quella di dirmi di far sparire subito la Sim card della Wind”. Ma Grazioli aggiunge dell’altro. Menzionando un vecchio incontro spiega che qualcuno, esterno alla procura, poteva acquisire informazioni sulle indagini: il signor Paolo. “Nel corso dell’incontro avuto con Cirafici alla Wind lo stesso mi esortava a non parlare per telefono poiché mi riferiva che ero sottoposto a intercettazione dalla Procura di Crotone, dal dottore Bruni. Mi chiedeva di attivarmi al fine di conoscere il contenuto dell’investigazione di cui lui ed io eravamo oggetto, e mi disse che avrebbe interessato sia (omissis) che Paolo (omissis) per ricevere informazioni tenuto conto che il Cirafici è amico intimo del (omissis) e hanno stretti rapporti”.
Mercoledì 18 novembre 2009
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La paura della sindrome di piazza Navona: scavalcamento a sinistra
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OPPOSIZIONI DIVISE
è c’è un precedente “archeologico” è il ‘77 a Bologna. Ma allora il Pci, l’antenato (ripudiato) del Pd si aprì ai ragazzi del movimento che lo contestavano “da sinistra” e disinnescò la protesta. Finita la Prima Repubblica, la paura dello scavalcamento da sinistra è rimasto uno dei talloni d’achille degli eredi di Berlinguer. Nel 2001 D’Alema e Rutelli furono inseguiti per
tutta la marcia della pace di Assisi. Nel 2002, la celebre contestazione di Nanni Moretti a Fassino e Rutelli (“Con questi qui non vinceremo mai) inaugurò la stagione dei girotondi. Nel 2006, l’anno in cui il movimento per la pace raggiunse il suo punto più alto, Piero Fassino fu contestato, spintonato (e sputacchiato) a Roma, durante un corteo contro la guerra, dalle fasce più radicali del
movimento. Il Pd di Veltroni, l’estate scorsa, convocò una manifestazione contro il governo per il 25 ottobre pur di non essere scavalcato. Il Pci era noto come partito di “lotta e di protesta”, Pds e Pd continuano a mantenere una certa allergia per la piazza, preoccupati per le accuse di “antioberlusconismo pregiudiziale”. Che vengono, come ieri, dai portavoce di Berlusconi.
Il Pd e la manifestazione del 5 dicembre secondo Manolo Fucecchi. Accanto, una protesta contro il Cavaliere
GUERRA SUL NO-B-DAY DI PIETRO: “IL PD VENGA”. BERSANI: “NO” di Luca
Telese
arà pure “La prima manifestazione 2.0 che nasce dal basso”, come spiega con entusiasmo Giovanna Melandri. Ma allora deve essere un software che sul Pd non gira bene, se è vero che la stessa deputata (nello stesso comunicato!) osserva: “Fa bene Bersani a ribadire che il Pd metterà in campo, in Parlamento e nel paese, iniziative per contrastare l’ennesimo deprecabile provvedimento del centrodestra”. Tradotto dal politichese: Pier Luigi Bersani (supportato da Enrico Letta) dice e ripete che il Pd farà altre mobilitazioni perché non intende farsi arruolare nella manifestazione dei cosiddetti “autorganizzati”: ovvero dai blogger che hanno lanciato per primi l’appello per la mobilitazione del 5 dicembre. Nel Pd si registrano un nugolo di adesioni individuali (deputati, dirigenti, singoli militanti) ma Bersani non ha fatto che
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ribadire, per tutto il pomeriggio, che il suo partito non aderirà nè alla manifestazione nè alla mozione di sfiducia dell’Idv contro il sottosegretario Cosentino. Così facendo, però, espone il fianco al cannoneggiamento di Antonio Di Pietro, che invece a quella manifestazione ha aderito con entusiasmo. Il gioco di differenziazione si ripete sulla mozione: L’Italia del valori la promuove, il Pd si distingue, e considera quasi una inaccettabile cessione di sovranità l’adesione a una
L’ex pm attacca: “Non firmano la mozione di sfiducia a Cosentino? E’ roba da bambini”
Sereni: “Non abbiamo ancora deciso” di Federico Mello
arina Sereni, come dirigente democratico e come vicepresidente del partito, M andrà in piazza il 5 dicembre per il No Berlusconi Day? “Non ho ancora deciso. La manifestazione è promossa da una rete di blogger, ma noi dobbiamo ragionare su una manifestazione contro i provvedimenti che questo governo prende, e non contro Berlusconi e basta”. La Piazza chiede le dimissioni di Berlusconi. Il Pd condivide questa richiesta? “Non ho niente contro quella manifestazione, ma non mi può rappresentare pienamente: è molto ristretta e molto limitata. Noi siamo il più grande partito di opposizione italiano e dobbiamo dire qualcosa di più. Dobbiamo parlare an-
iniziativa che non ha promosso. Secco lo scambio di battute che ieri - a mezzo agenzia - i due leader, senza troppi giri di parole si sono rivolti: “Questa insistenza di Bersani a voler fare il primo della classe, altrimenti non partecipa a ciò che l’Italia dei Valori propone attacca Di Pietro - sta diventando ridicola e stucchevole”. Ribatte il leader del Pd: “Noi lezioni di antiberlusconismo non ne prendiamo da nessuno - gli dice perchè il più antiberlusconiano è chi riesce a mandarlo a casa, non quello che urla di più”. Di Pietro non si ferma, e ricorre al sarcasmo per punzecchiare: “Smettiamola di fare i bambini dice beffardo - dobbiamo occuparci delle dimissioni di Cosentino e non di chi firma per primo la mozione”. Se scavi un po’ più a fondo provando a sondare gli umori del principale partito di opposizione scopri che il malumore è forte. Stefano Di Traglia, portavoce
che a quei tanti cittadini che sanno benissimo che la giustizia italiana ha bisogno di una riforma, e che chiedono a una forza riformista come la nostra, di elaborare una piattaforma complessiva della giustizia”. Il Pd cosa deciderà? “Non sono in grado di dirlo. Avremo una nuova direzione martedì prossimo. Ma penso che non dobbiamo aspettare il cinque: dobbiamo prendere una nostra iniziativa tempestiva prima: abbiamo il dovere di raccogliere questo umore, questa indignazione”. Di Pietro vi chiede di non fare i primi della classe. Cosa gli rispondete? “Una volta si diceva ‘ci ha messo il cappello sopra’. Questa è un’iniziativa autonoma della società civile e bisogna averne rispetto. Di Pietro deve sapere che noi siamo alleati di chi condivide un progetto per il paese. Se vogliamo davvero battere Berlusconi il problema non è competere tra noi e Di Pietro, ma convincere gli italiani che la stagione di Berlusconi deve finire”.
del segretario, ce l’ha anche con i giornali: “Non capisco questo atteggiamento dei media, che continuano a domandarci: ma il Pd va o non va?”. Provi a chiedergli cosa ci sia di strano, e lui ti risponde così: “E’ un modo per cercare di tenerci sotto scacco. Noi non sappiamo nemmeno chi ci sarà su quel palco, cosa dirà, se ci saranno sparate, come, faccio solo un esempio, un attacco al capo dello stato”. Morale della favola: “Il partito ci sarà, con molti suoi iscritti, con alcu-
Nel Pd sono tante le adesioni individuali, ma il partito ufficialmente non ci sarà
www.ilfattoquotidiano.it
LE VOSTRE ADESIONI Continuano le adesioni, oltre 33.000, all’appello “Adesso Basta” sul sito del Fatto Quotidiano: ilfattoquotidiano.it. Sul nostro sito, inoltre, il link al No Berlusconi Day
ni suoi dirigenti, ma non aderirà: non esiste nessun obbligo, da parte nostra, di sostenere qualsiasi mobilitazione venga promossa”. Parole che danno il senso esatto di uno stato d’animo. Il sospetto nemmeno troppo recondito, a via del Nazzareno, è che i blogger siano “manovrati” da Antonio Di Pietro, o - peggio - che l’ex pm li cavalchi, pur di mettere in difficoltà Bersa-
Civati: “Voglio andare. Serve il confronto” Civati, coordinatore della mozione Marino alle primarie. Andrai in piazza il 5 Pdicippo embre?
“Sto già andando adesso (ieri, ndr), a Milano. Ho lanciato “Mille piazze per l’Italia” contro la legge salva-premier. Ci sono già una trentina di piazze che si sono mobilitate davvero”. E il No Berlusconi Day? “A questo punto sono per andarci. Però penso che prima sia importante un’interlocuzione con i ragazzi che l’hanno organizzato. Proverò a contattarli su Skype, mi auguro che anche Bersani lo faccia: questo partito si deve confrontare con le persone che hanno da dire qualcosa”. Anche su NoBDay il Pd appare diviso. “Tutto il dibattito tra pro e contro, è falsato. Il tema di questa manifestazione non è l’alleanza con Di Pietro, è Di Pietro piuttosto a salire sul
ni. Non è la prima volta, dunque, che il Pd constata, con disappunto, di essere stato scavalcato dalla piazza,. Ed ecco perchè Bersani studia una contromossa: Il Pd non ‘sta in mezzo’ tra l’Udc e l'Idv - ruggisce il segretario ha una sua idea di come fare l’opposizione a Berlusconi. Ecco perchè - annuncia Bersani a dicembre farà una sua manifestazione che decideremo martedì”.
carro di un’iniziativa assolutamente spontanea”. Un’iniziativa che sfugge agli schemi della politica. “Ormai non ci sono solo i partiti. Quando io mi arrabbio che i big non capiscono la Rete, lo dico anche in termini politici, non basta aprire un blog: ora la gente non aspetta più che gli si dica cosa fare, lo fa e basta. È chiaro che sorgono dei problemi di equilibri, misura, ruoli. Ma ancora di più, per questo, dobbiamo aprire un interlocuzione con questi ragazzi”. Quindi non sono “antipolitici”. “Definire antipolitici quei ragazzi, mi fa sorridere. L’antipolitica se la sono inventata i politici”. Ma il Pd deve andare o no in piazza? “Una delegazione del Pd, nelle forme più simpatiche, meno burocratiche, ci deve essere al No Berlusconi Day. E nel frattempo interrogarsi con gli organizzatori se vogliono sentire la nostra. Quando impareremo a metterci a livello delle persone e non sopra di loro?”. (fed.mel.)
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Mercoledì 18 novembre 2009
Per Daniele la raccolta fondi ha superato quota 50mila euro
È
PAESE REALE
un moto perpetuo. Emozionante. Telefonate, e-mail, lettere e tutto il possibile per arrivare a Daniele e trasmettere partecipazione. Sono tanti, tantissimi. Lo raccontano i genitori: “Siamo felici e sbalorditi”; lo “testimonia” il conto aperto per offrire al piccolo una possibilità di cura negli Stati Uniti: “Alle cinque di ieri
pomeriggio, abbiamo superato i 50mila euro”, il doppio rispetto a quando il Fatto ha lanciato la campagna. E ancora i messaggi sul sito antefatto.it, come quello di Andrea: “Non ho molti soldi da donarvi...ma comprerò il libro...è già qualcosa...un bacio a Daniele”; o di Gianni Gherardi: “Ieri ho fatto una piccola donazione on line. Spero con
tutto il cuore che Daniele ce la possa fare. E grazie a Il Fatto che lo ha segnalato”. E ancora Carmine: Chiunque passa "di qua" non può far finta di niente! DEVE donare. Fosse pure solo un euro! Io ho dato il mio piccolo contributo ... e solo Dio sa quanto avrei voluto dare di più!!!!! Un abbraccio a Daniele e ai suoi genitori”.
COSÌ PAGHIAMO I TAGLI DI TREMONTI Un miliardo e mezzo in meno: non si fa più ricerca di Caterina Perniconi
are ricerca in Italia è un’impresa sempre più difficile. Il caso di Daniele Amanti è solo uno dei molti che non riescono a trovare una cura nel nostro paese. Perché mancano i fondi, e anche l’organizzazione. “Il caso di questo bambino con una malattia rarissima non è un fatto clamoroso e isolato - spiega Fabio Mussi, ex ministro dell’Università e della Ricerca - perché non mancano solo soldi per studi specifici ma quelli per il mantenimento delle attività di base della ricerca. Anche in tempi di crisi nessun paese nel mondo ha ridotto gli investimenti. Questo governo ha fatto il più grande definanziamento del sistema universitario: un suicidio programmato della nazione”.
F
PER CONTRIBUIRE: POSTA: Fondo Daniele Amanti Istituito presso il Parent project onlus c/c n 94255007 BONIFICO: Banca di Credito Cooperativo di Roma Iban:IT38V0832703219000000005775 (intestato a: Parent Project Onlus. Causale: Fondo Daniele Amanti) CARTA DI CREDITO: www.parentproject.org/italia/index.php ?option=com_content&task=view&id= 276Itemid=168
Ieri anche gli studenti sono scesi in piazza per manifestare contro la riforma dell’università firmata da Mariastella Gelmini e i tagli previsti da Giulio Tremonti: un miliardo e mezzo in cinque anni dal Fondo di Finanziamento ordinario (legge 133/08), più qualche sforbicia-
Il piccolo Daniele Amanti
ta qua e là. Come quella che hanno tentato di dare agli 80 milioni stanziati dal governo Prodi per il reclutamento dei ricercatori. Dopo aver trasformato un emendamento della Finanziaria, che prevedeva lo sblocco di queste risorse, in un ordine del giorno, è scoppiata la protesta. Ma il ministro Gelmini si è subito premurata di smentire: “E’ falso che ci sia stato un simile taglio. Forse tutto nasce dal fatto che il presidente della Commissione cultura e scuola del Senato aveva presentato un emendamento per ripristinare un vecchio taglio che era contenuto nella precedente Finan-
ziaria. Invece non c’é nessun taglio aggiuntivo”. In realtà Guido Possa è il primo firmatario dell’emendamento 2.381 che “tratta del recupero di circa 40 milioni di euro già stanziati a favore dei ricercatori”, come si legge nel resoconto della seduta del 12 novembre, e non di un ulteriore taglio. Il ministro non ha quindi le idee chiare sui fondi previsti da Mussi che erano 20 milioni nel 2007, 40 nel 2008 e 80 nel 2009. O forse erano semplicemente troppi ed è stato studiato un escamotage: il ministero, infatti, ha poi precisato che l’emendamento si limitava a definire uno spostamen-
non sono stati certo persi - ha fatto sapere il ministero - entro due settimane sarà emanato un decreto ministeriale che trasferirà l’intera cifra alle università per consentire l’assunzione dei giovani ricercatori». A questo punto i diretti interessati hanno sentito odore di fregatura: l’intera cifra significherà 80 milioni o 20 subito e 60 l’anno prossimo (cioè 80 milioni in due anni), esattamente la metà del previsto? “In Italia c’è bisogno di più chiarezza per fare ricerca, oltre ai soldi. Le università e gli enti sono continuamente in riforma. Non c’è trasparenza istituzionale né economica su quel che sarà l’anno successivo di un progetto se non si trovano fondi esterni”. E’ il parere del professor Francesco Clementi, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, direttore della sezione di Farmacologia cellulare e molecolare dell’Istituto di Neuroscienza del Cnr. La sua ricerca è finanziata per un terzo con fondi pubblici, il resto viene integrato con fondi europei e con Telethon. “Per non parlare dei ritardi - spiega Clementi - per esempio non ci sono ancora i risultati del bando per i programmi di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN) del 2008. I progetti andavano consegnati entro febbraio e ormai un progetto scritto un anno fa è vecchissimo”.
“Non ci sono ancora i risultati dei progetti di interesse nazionale del 2008. Che, oramai, sono vecchi” to dell’erogazione di circa 60 milioni di euro dal 2009 al 2010 affinché i soldi fossero assegnati con i nuovi criteri. Cioè 20 subito e 60 l’anno prossimo. «Il Senato non ha approvato questo slittamento, ma i finanziamenti
LE “PICCOLE” STORIE RACCONTANO L’ITALIA di Oliviero Beha
fitta l’ho provata Llo”aneldeiprima gennaio 2008: il “gialsemafori photored sulle foto e le multe ai semafori dilagato in tutta Italia. Ma non me ne ero occupato nel 2004 con una campagna informativa durata settimane? La seconda è del giugno successivo: lo scandalo della Santa Rita, ”la clinica degli orrori”. Questo nome non mi era nuovo… Già nello stesso 2004 l’avevo trattata alla radio nell’ultima stagione prima della censura totale Rai. La terza nel settembre scorso, quando in un convegno a Castrolibero (Cosenza) davanti a Loiero e company si alza un amministratore locale e dice all’incirca indicandomi “devo ringraziare Beha che alcuni anni fa cominciò a parlare alla radio delle navi dei veleni”. La quarta fitta è di queste settimane in cui il Virus A H1N1 miete vittime, panico, titoli e trasmissioni televisive: nel 2001 tentai una ripetuta rassegna di informazione sui vaccini in generale, e la comunicazione su di essi in particolare, a “Radio a colori”. La quinta… Potrei continuare, naturalmente. Fino alla vicenda segnalatami via Internet ieri mentre scrivevo questo articolo: “…a Niscemi, in provincia di Caltanissetta nella contrada ‘Ulmo’, un’area boschiva sottoposta a vincolo S.I.C. (Sito
d’interesse comunitario), ad appena tre chilometri dal centro abitato si vuole costruire un’antenna ‘MUOS’ (Mobile User Obiect System) ad altissime frequenze UHF (parte del sistema militare statunitense di comunicazioni satellitari). L’antenna dovrebbe essere attivata nel 2011. Una volta messa in funzione, produrrà onde elettromagnetiche con effetti devastanti per la salute: rischi di tumore, leucemie, malformazioni genetiche, anche a distanza di decenni. Nello stesso sito esistono già dal 1991 oltre 40 (quaranta!) trasmettitori a sistema elicoidale UHF di varia grandezza e potenza…”. Tante storie, troppe storie che non vengono raccontate, la realtà italiana che invece dovrebbe essere indagata, verificata, discussa e tradotta in modo comprensibile per un’opinione pubblica ormai
L’esperienza di chi ha condotto popolari trasmissioni d’inchiesta come Radio Zorro e Radioacolori
quasi completamente imbalsamata cui è stato fatto credere che le storie non contino. Non conti la storia del piccolo Daniele, anche se appassiona tutti gli italiani di buona volontà, che siano genitori oppure no, non contino la sfilza di vicende che ho appena accennato e che hanno riempito dodici anni della mia attività professionale quotidiana alla radio. Da quando nel 1992 mi ritrovai a fare indagini su un cerotto ritrovato nel pane da un ascoltatore – un’inezia che permetteva però di discutere della panificazione in questo paese –, per finire con campagne che negli ultimi anni, fino alla chiusura-clausura-censura del 2004 hanno costretto Tronchetti Provera a presentarsi in Senato per rendere conto dello “scandalo 709”, “Trojan Horse” e varia disumanità telefonica. Ma le fitte cui mi riferivo non riguardano soltanto il mio dispiacere per non poter essere più utile in quel modo. Succede… Per esempio confido molto in questo giornale e nella sua sensibilità e capacità del tutto “politiche” nel senso migliore, etimologico del termine, di riannodare la realtà dal basso, appunto a partire da “queste storie”. Come si dice, non c’è solo Zorro… Le fitte sono piuttosto i sintomi di disagio nell’aver seguito in questi anni il precipizio di un’informazione che sembra-
va aver rovesciato la piramide. Per terra, a stretto contatto dei media meglio se offerta in pasto come bocconcini succulenti e pepati, spessissimo finti, la cuspide della politica, dell’economia, della finanza, di un vippume da pescheria ma senza il pesce fresco. Il tutto quasi sempre irrelato dalle storie, lasciate invece in alto, praticamente invisibili e comunque sospese, quasi che le storie, i fatti, le vicende fossero un fastidio insopportabile per i gestori del paese. L’importante era non parlarne, non dare troppo spazio, troppa evidenza, troppa comprensibilità al quotidiano, alla vita della vita se mi si passa questo slogan, ossia esattamente il contrario di ciò che sarebbe alla base di un’informazione degna di questo nome. Certo, Cogne ed Erba si vendono bene, meglio di un’informazione preventiva
Si parla solo di Cogne o di Erba, mentre i morti sul lavoro non trovano mai spazio
sulle antenne di Niscemi, ma Cogne ed Erba sono assurti a simbolo dell’unica cronaca possibile o quasi, quella appetibile una volta “cinematografica” e oggi squallidamente “televisiva”. I morti sul lavoro per esempio non sono televisivi e costituiscono un impiccio, una chiamata di correo o almeno di responsabilità su un piano pragmatico che non si vuole di solito affrontare. Meglio una tabella di vittime da aggiornare. E, invece, modi per parlarne ce ne sono, se solo si vuole. Certo, non è possibile per tutto ciò fissare un colpevole a priori. E’ impensabile partire con il pregiudizio che “sia tutta colpa di Berlusconi” anche quando, magari stranamente, non c’entra. La realtà delle storie se ne fotte della politica e arriva a colorarsi di politica solo nelle sue interpretazioni. Ma il punto è che oggi sul tavolo dell’informazione ci sono rimaste quasi soltanto le interpretazioni. Nelle mie trasmissioni radiofoniche per tutti questi anni ho privilegiato segnalazioni dal basso, indagini giornalistiche preventive, chiamate di responsabilità presunta senza guardare in faccia nessuno, né governo né opposizione né amministratori locali di qualunque parrocchia. La diretta si incaricava di mostrare delle parti come in un teatro radiofonico, dal suddito-citta-
dino in balìa dei soprusi all’eventuale identificazione del responsabile. Una drammaturgia semplice: chi ti raccontava la sua storia cercando giustizia o almeno informazione pubblica su qualche “delitto”, chi veniva chiamato direttamente in causa, la mediazione giornalistica della radio, di una redazione che non parteggiava per nessuno, di un conduttore che si assumeva tutti gli oneri del maggior equilibrio possibile. Intanto, “fuori”, montava l’onda del cicisbeo subpolitico, della recita di attori spesso neppure protagonisti della politica politicante avulsi dalla platea, di un teatro che rischiava sempre di più di andare a fuoco. A proposito, mi sono occupato anche del Petruzzelli di Bari… L’ultima fitta, la più intensa, è per i destinatari di questo tipo di lavoro, gli ascoltatori-telespettatori-lettori che cominciano a pensare che con questa politica e con questa informazione non ci sia più niente da fare e tanto vale fregarsene nella rassegnazione complice. Sbagliano, forse la teoria si è ormai definitivamente impantanata, ma le storie sono capaci per loro vigore intrinseco di uscir fuori dalla melma. Basta prestare loro attenzione “pulita”, non tarata pregiudizialmente dall’uso che se ne intende fare speculandoci sopra.
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Sindacati, precari, genitori e alunni: un anno e mezzo di lotta
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PAESE REALE
sindacati non l'hanno mai amata. Gran parte degli studenti la considera peggio della Moratti. I docenti, primi destinatari dei tagli all'istruzione, la contestano apertamente. Molti genitori sono spaventati da grembiulini e maestro unico, suoi cavalli di battaglia. In un anno e mezzo la ministra Gelmini è riuscita ad inimicarsi mezzo “mondo scuola”. L'autunno scorso è stata
in grado di far nascere un movimento studentesco come non se ne vedevano da decenni; la cosidetta “Onda” ha monopolizzato le proteste di un autunno più che caldo: mai così tante le manifestazioni e le occupazioni. In pochi hanno aderito alla sua guerra aperta per la meritocrazia, vista come una fumosa scusa per accontentare Tremonti (e tagliare il tagliabile e il non tagliabile).
Mariastella ha sempre stigmatizzato la protesta. “Sono piccole frange”, dichiarava a fronte delle decine di migliaia di manifestanti del NoGelminiday. L'anno scorso fece un clamoroso passo indietro quando si trattava di ridurre i finanziamenti alle scuole “paritarie”. Presto sarà mamma, e nessuno la potrà più accusare di essere un'aliena di questo mondo imbufalito.
GLI STUDENTI TORNANO IN PIAZZA SCONTRI PER LE STRADE DI MILANO Oltre 50 manifestazioni in tutta Italia per il “No Gelmini day” di Daniele De Chiara
iprendiamoci il futuro”, era scritto su uno striscione che apriva il corteo di Milano. A tenerlo, ragazzi e ragazze in piazza in occasione della “Giornata universale per il diritto allo studio”. Sì, un diritto. Tutto mentre il ministro Mariastella Gelmini, minimizzava le iniziative e “bocciava” le oltre 50 manifestazioni, sparse per l’Italia, con un semplice: “Sono quasi tutti legati al mondo dei centri sociali”. Non sembrava. A Milano ci sono state forti ten-
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sioni con le forze dell'ordine, che in seguito a scontri con i manifestanti hanno operato fermi, arresti e denunce. Mentre, nell’aria, si sentiva il grido: “Noi la crisi non la paghiamo!”. In mancanza della consueta scorta della polizia, gli studenti si sono mossi liberamente per le vie del centro. Il corteo, tra fumogeni colorati e megafoni che deridevano ministro, sindaco e assessore, ha creato disagi al traffico mentre venivano rovesciati cassonetti. Quindi un blitz negli uffici dell'assessorato: “Hanno provato a bloccarci - racconta una ragazza del quarto ginnasio -: mentre scappavo avevo paura di cadere, lo zaino mi appesantiva”. Nell'inseguimento sono state danneggiate alcune auto (“siete solo teppisti!” gridava un agente), e i ca-
Il ministro dell’Istruzione attacca: sono solo persone legate ai centri sociali
rabinieri hanno fatto un largo uso di manganelli e scudi. In piazza dei Mercanti si è assistito ad un ulteriore scontro che ha portato al fermo di quattro ragazzi, due dei quali arrestati, e ad alcune denunce. “È per questo che non risulto come contuso o ferito”, commenta un liceale con grossi lividi, “non voglio mica farmi identificare, sono una vittima”. Dopo una trattativa con alcuni funzionari della Digos, è stato permesso agli studenti di muoversi in corteo verso piazza Fontana. La giornata si è chiusa con un presidio in piazza San Babila, solidale con i ragazzi portati in questura. Ma, a Milano, sono giorni “particolari”; giorni in cui la tensione si sente. La Moratti ha fatto sgomberare del liceo Gandhi: dopo una notte di occupazione, la polizia è intervenuta con una fiamma ossidrica. Sempre nei giorni scorsi sono stati arrestati cinque militanti dei collettivi che avevano fatto un'irruzione in una sede
Scontri ieri a Milano. In basso il neo segretario dei radicali, Mario Staderini (FOTO ANSA)
di Silvia D’Onghia
POLTRONE
GUIDI: CHIANCIANO TI AMO i vuole coraggio per invertire la rotta”. E’ stata la promessa dell’ex ministro Antonio Guidi a fine aprile, quando ha accettato di candidarsi sindaco a Chianciano Terme. Una campagna elettorale, tesa a promuovere il rilancio della cittadina toscana, che lo ha visto impegnato quotidianamente con promesse e iniziative in grande stile. Non premiate però dagli elettori, che per 176 voti a lui hanno preferito la candidata del centro sinistra Gabriella Ferranti. E allora Guidi ha pensato bene di rinnovare le promesse a fine giugno, annunciando (durante il consiglio comunale di nomina della Giunta, al quale è arrivato in ritardo) un’opposizione “dura, leale, ma senza sconti”. Quello che ci si aspetta da un candidato sconfitto ma innamorato del suo territorio. E invece sono passati solo pochi mesi e l’opposizione ha perso il suo principale leader. Con un fax pervenuto in Comune, l’onorevole Guidi la settimana scorsa ha annunciato le sue dimissioni, senza neanche specificarne il motivo.
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milanese degli studenti cattolici di CL. Quindi ieri... Nel resto di Italia, invece, le manifestazioni si sono svolte pacificamente. A Catania e Palermo il traffico è andato in tilt. “Cani sciolti”, nella maggioranza dei casi. A Torino e a Bari gli universitari hanno occupato il rettorato in seguito a manifestazioni a cui hanno partecipato in migliaia. Nel capoluogo piemontese si è assistito a un innocuo lancio di uova contro la sede regionale del ministero, mentre i manifestanti esponevano un enorme profilattico finto con la scritta “preserviamo l'università”. A Firenze gli studenti hanno occupato i binari della stazione S.M. Novella. A Napoli hanno sfilato in cinquemila, mentre a Roma sono
state distribuite banane come denuncia dello stato della nostra Repubblica. Tutti dei centri sociali come dice la Gelmini? Risponde Luca, un quindicenne di Milano: “Siamo nati quasi tutti dopo la caduta del muro, il ministro tenta di delegittimarci, ma non risponde alla domanda di soldi senza i quali la scuola pubblica è spacciata”. “E' vero che vado al centro sociale,” continua, “ma proprio per questo le iniziative le organizziamo autonomamente, senza partiti o sindacati che ci dicano che fare o ci finanzino”. L'(ex?)Onda intanto si prepara per le prossime mobilitazioni, in attesa che qualcuno provi a mettersi alla testa di questa rabbia senza leadership.
“Noi, mai con la destra. Ma che fatica con questa opposizione” MARIO STADERINI, NEO SEGRETARIO DI RADICALI ITALIANI, SPIEGA LE STRATEGIE FUTURE DEL SUO PARTITO di Giampiero Calapà
ario Staderini, 36 anni, è iscritto ai Radicali dal 1992 e da qualche giorno ne è il segretario: “Il primo obiettivo per le regionali è presentare ovunque le liste Bonino-Pannella. Allo stesso tempo facciamo appello a Verdi e socialisti per coalizioni anche autonome, se ci stanno noi ci siamo. Il rapporto con il Pd è obbligato: l’ostacolo, però, è rappresentato dall’asse Berlusconi-D’Alema”. Al congresso che l’ha eletta segretario ci sono state due parole d’ordine: rivolta e regime. “E’ un problema che non riguarda solo l’Italia e ne parleremo al consiglio generale del Partito radicale transnazionale (a Roma dal 20 al 22 novembre, ndr). Perseguiamo una rivolta non violenta, gandhiana: sui grandi temi, come l’eutanasia o l’abolizione del finan-
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ziamento pubblico ai partiti, gli italiani sono con noi. Un atto di rivolta è quello della famiglia di Stefano Cucchi che mostra le foto del figlio. O Maria Coscioni in queste ore in sciopero della fame, insieme ad altre quattrocento persone, per denunciare lo Stato che abbandona a loro stessi i malati di sla. Vogliamo moltiplicare le fonti di rivolta”. Parteciperete al No-B. Day? “Capisco le buone intenzioni dei promotori, ma eviterei di ridurre la piazza a piazzate. Come mai neppure Tonino Di Pietro si oppone alla candidatura di D’Alema, avanzata da Berlusconi, al ministero degli esteri europeo? Ecco, se fosse un No B. e D’Alema Day scenderemmo in piazza anche noi”. Tendete la mano a Bersani, ma non a D’Alema quindi? “D’Alema in quel ruolo sarebbe un problema. Con Berlusconi è in completa
sintonia in politica estera: i loro punti di riferimento sono Putin e Gheddafi, i nostri no. In più Berlusconi-D’Alema è l’asse antiradicale dalla mancata riconferma di Emma Bonino a commissario europeo nel 2005 alla mozione Pd-Pdl che chiede all’Europa la libertà di esposizione di simboli religiosi in tutti i luoghi pubblici, non solo nelle scuole. Passando per i nostri otto senatori eletti ed esclusi dal Parlamento nel 2006, con i quali oggi avremmo ancora il governo Prodi. Detto questo il Pd è un interlocutore obbligato, perché non siamo mai stati identitari o autoescludenti”. Vi rivolgete anche a Verdi e Psi, non a Sinistra e Libertà. “Se il futuro del socialismo è rappresentato da Sinistra e Libertà abbiamo grossi dubbi sul socialismo”. A destra mai? “Con questa destra “Dio, patria, fami-
glia” mai. Apprezziamo il percorso di evoluzione di Gianfranco Fini, ma il presidente della Camera non è questa destra”. Non è che fra qualche tempo ritroviamo anche lei nel Pdl, come Daniele Capezzone? “Il nostro è un partito libertario. Certo, lui ha avuto un’evoluzione anomala. Quanto a me lo escludo, in assoluto”.
A Roma, sale in cattedra Grillo: c’è lezione d’ambiente di Luca De Carolis
lezione di ambiente, con il “professor” Grillo. Non ha titoli accademici, ma ieri il comico genovese è ugualmente riuscito a trasmettere nozioni importanti a tanti ragazzi. Gli spettatori di “Terra Reloaded”, un documentario girato da Grillo, in collaborazione con i creatori del suo blog e con Greenpeace, che lo stesso comico ieri ha mostrato a studenti di terza media a Roma, nella sala consiliare del Municipio XI. Per il suo debutto da documentarista, l’artista ha intervistato personaggi come l’americano Jeremy Rifkin, economista e fautore delle energie alternative, e Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute, l’istituto che studia soluzioni per uno sviluppo sostenibile. Due tra i tanti esperti che nel filmato formulano proposte su come proteggere l’ambiente e coniugare progresso e qualità della vita. Argomenti importanti e complessi, che avrebbero potuto annoiare alcuni dei ragazzi di 13 anni che affollavano la sala consiliare. E invece il giovanissimo pubblico ha seguito senza fiatare, partecipando con grande passione e interesse al dibattito che ha seguito la proiezione. Merito anche delle spiegazioni di Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, e di Grillo, logico mattatore della discussione. “Grazie alla sua verve, il dibattito è stato divertente e piacevole” spiega Andrea Catarci, presidente del Municipio XI. Consapevole che Grillo poteva riuscire nell’impresa di rendere più stimolanti temi come lo scioglimento dei ghiacciai, l’esaurimento del petrolio o le guerre per l’acqua. “Grillo - continua Catarci ha ribadito come la migliore politica energetica consista nel ridurre il nostro fabbisogno di energia e rivedere i nostri stili di vita”. Il comico insomma ha invitato i ragazzi a rendersi protagonisti nella tutela per l’ambiente. “Dobbiamo cambiare per salvare la Terra, li avete sentiti gli esperti” ha ripetuto più volte. Grillo ha provato ad abbattere generazioni di distanza. E ce l’ha fatta, riuscendo a parlare a ragazzi di 13 anni, che probabilmente non sanno nulla della sua storia di irregolare, bandito dalla televisione perché irrideva il potere. Un guastatore che racconta sempre una storia diversa da quelle più in voga.
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VIOLENZE
A RISCHIO IL REPARTO PSICHIATRICO CHE “HA LASCIATO MORIRE” FRANCO Sono 19 i medici e gli infermieri coinvolti nella morte del maestro, legato per 4 giorni in ospedale di Vincenzo Iurillo Vallo della Lucania
iciannove misure cautelari di sospensione temporanea dalla professione per 7 medici e 12 infermieri, in pratica l’intero reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania, dove si è spento Francesco Mastrogiovanni. Le ha chieste il pm Francesco Rotondo nell’ambito di un’indagine che ipotizza il reato di omicidio colposo. Il Gip Nicola Marrone ha fissato al prossimo 4 dicembre gli interrogatori di garanzia, obbligatori per le misure interdittive quando gli indagati sono pubblici ufficiali, al termine dei quali decreterà se eseguire o meno i provvedimenti sollecitati dalla Procura. C’è una svolta nell’inchiesta sulla morte del maestro elementare 58enne di Castelnuovo Cilento, deceduto in circostanze tutte da chiarire il 4 agosto scorso dopo 80 ore consecutive di ricovero coi polsi e le caviglie legate in un letto del “San Luca”, dove era stato ricoverato il 31 luglio in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio disposto dal sindaco di Pollica Angelo Vassallo. La consulenza del perito del pm, il medico legale Adamo Maiese, è stata depositata ed è a disposizione delle parti. Dalla perizia emergerebbero le presunte responsabilità del personale medico e paramedico che hanno indotto il pm a inoltrare la richiesta cautelare. Sono stati iscritti nel registro degli indagati tutti i medici e gli infermieri che hanno avuto in cura il maestro cilentano negli ultimi giorni della sua difficile esistenza, trascorsa tra il lavoro precario tra il Cilento e Bergamo, la passione per i libri, i suoi ideali anarchici, i processi dai quali è sempre uscito as-
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solto e un dolore esistenziale dal quale invece non è mai uscito del tutto. Francesco Mastrogiovanni, per tutti Franco, è morto coi polsi e le caviglie legate da strumenti di contenzione medica. La sua morte è stata filmata dalle telecamere dell’ospedale. Un documento agghiacciante, allegato al fascicolo giudiziario, che per il momento oltre ai nastri comprende le cartelle cliniche, la documentazione sanitario-amministrativa, la perizia del dottor Maiese, alcune deposizioni di persone informate sui fatti (tra cui i familiari di Mastrogiovanni), le carte del Tso. La causa della morte, come stabilito dall’autopsia, è stata un edema polmonare. L’edema sarebbe stato provocato dalla posizione innaturale dell’uomo, costretto a stare per quattro giorni coi polsi e le caviglie strette dai legacci sanitari mentre veniva alimentato solo attraverso le flebo. “Legacci del tipo consentito, strumenti forniti dalle Asl che se li procurano attraverso ditte specializzate” spiega l’avvocato di uno degli indagati. Per il resto bocche cucite, almeno per ora, dal versante dei difensori, che affermano di non aver ancora letto gli atti e di voler prima studiare con attenzione la perizia del medico legale. “Franco, a dispetto dei suoi quasi due metri e della sua robustezza fisica, era una persona fragile – sostiene il cognato Vincenzo Serra, segretario amministrativo di un istituto tecnico di Vallo della Lucania – una persona segnata da esperienze dolorose: l’accusa di omici-
dio di Falvella (il vice presidente del Fuan di Salerno, ndr) nel 1972, i tredici mesi in prigione, altri sette mesi tra carcere e domiciliari nel ’99 quando finì sotto processo per resistenza e oltraggio ai carabinieri della caserma di Vallo Scalo. I suoi rapporti con l’Arma sono stati sempre conflittuali, si sentiva perseguitato ingiustamente. Le assoluzioni non gli hanno restituito la serenità perduta”. Uno stato d’animo tormentato anche dalla morte del padre, a cui era legatissimo, e dalla conclusione di una storia d’amore a Bergamo, dove ha trascorso oltre dieci anni a fare l’insegnante fino alla fine degli anni ’90. Quindi, tre Tso tra il 2002 e il 2005. Mastrogiovanni ha trascorso gli ultimi giorni da ‘uomo libero’, prima dell’ultimo ricovero
Saranno interrogati il 4 dicembre, poi il Gip deciderà se eseguire i provvedimenti sollecitati dalla Procura
coatto, dormendo lontano da casa e frequentando un campeggio di San Mauro Cilento. La titolare ha ricordato che l’uomo non gli pareva afflitto da particolari turbe, tanto che si prendeva cura dei figli della cognata. Eppure proprio in quel periodo maturava la decisione di sottoporlo a un nuovo Tso “per evidenti segnali di squilibrio”: avrebbe guidato l’auto contromano ad alta velocità, scontrandosi con altre vetture. La famiglia smentisce questa circostanza e diffonde una foto della Fiat Punto del maestro, priva di ammaccature. Le sue analisi del sangue al momento del ricovero, acquisite all’inchiesta, hanno rilevato tracce dell’assunzione di cannabis. Giuseppe Tarallo, ex sindaco di Montecorice ed ex presidente del Parco Nazionale del
Cilento, è uno dei membri più autorevoli del comitato spontaneo “Verità e Giustizia per Franco”. Non nasconde perplessità e inquietudine per quello che ritiene “un Tso effettuato con procedure e modalità che, anche sulla base delle mie esperienze da primo cittadino che ha avuto a che fare con questi problemi, mi sono apparse sproporzionate rispetto alla effettiva gravità della situazione di Franco”. Mastrogiovanni è stato inseguito ad Acciaroli da carabinieri, vigili urbani, guardia costiera e medici. Stanato su una spiaggia di San Mauro, ha tentato l’ultima fuga gettandosi in mare. Quindi il ricovero, i lacci ai polsi e alle caviglie, la morte per edema polmonare, l’autopsia. E un’inchiesta aperta per chiarire i lati oscuri di questa storia.
Chiari e diretti è lo stile del clan
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Maddaloni, in provincia di Caserta, sembrano tramontati i tempi del vecchio linguaggio mafioso. Quello della famosa “offerta” che il malcapitato “non potrà rifiutare”. Massima trasparenza: è questo lo stile del clan Farina-Martino-Micillo, scoperto dalle indagini della Dda di Napoli e dai carabinieri di Caserta, guidati dal capitano Costantino Airoldi, che ieri hanno arrestato cinque affiliati. Gli uomini di Vincenzo Ferraro, detto “Sartana”, per esempio, convocavano il sindaco di Maddaloni, Michele Farina, nel bel mezzo della riunione del consiglio comunale. A sindaco e assessori venivano chieste, con annesse minacce, direttamente l’assunzione di familiari del clan, l’elargizione di contributi pubblici, informazioni su appalti e concessioni. (a.m.)
UNA TESTIMONE: ALCUNI POLIZIOTTI PICCHIANO PER DIMOSTRARE IL PROPRIO POTERE
l minimo che può capitare è uno schiaffone, quando va male sono lividi o commozioni cerebrali. E’ una legge non scritta, ma esiste. Coperta da un assoluto velo di omertà. Tutti sanno, ma nessuno ha il coraggio di parlare”. E invece lei l’ha trovato il coraggio di denunciare al Fatto Quotidiano ciò che accade oltre quei muri. Premessa d’obbligo: quanto stiamo per raccontare è sicuramente estraneo al più generale modus operandi della polizia penitenziaria, che lavora ogni giorno in situazioni difficili e con organici sottostimati. Ma crediamo sia interesse dello stesso corpo fare luce su questi episodi e isolare gli eventuali responsabili. S.C. (le iniziali sono di fantasia) lavora in uno dei centri italiani di prima accoglienza per i minori. Lì finiscono i ragazzi tra i 12 e i 18 anni in attesa di giudizio. L’obiettivo del Cpa, istituito con un decreto legislativo nel 1989, è quello di creare una zona di filtro tra il minore e il carcere. Avvenuto l’arresto o il fermo, l’attesa delle decisioni del giudice sulla libertà personale e sulle eventuali misure cautelari non
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avviene più in carcere, ma in una zona neutra, appunto il Cpa, che si caratterizza come struttura di tipo carcerario. I minori vengono processati per direttissima dopo 72 ore, è il giudice stesso a recarsi nella struttura. Ai ragazzi viene data la possibilità di vedere i genitori. All’interno ci sono medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali ed educatori. “La maggior parte delle volte hanno compiuto piccoli furti, e in questi casi si tratta spesso di rom e stranieri. Ma ci sono anche molti italiani, che hanno problemi di droga. Quasi tutti loro non hanno alle spalle alcun terreno sociale o culturale. Sono davvero in pochi i ‘figli di papà’, i cui genitori sono completamente all’oscuro dei problemi”. Sono ragazzi complicati, spesso insolenti, che rispondono e provocano. “Quando arrivano, noi li facciamo lavare. Molti sono pieni di pidocchi, ma eviterebbero persino lo shampoo”. La legge mira ad evitare il fenomeno della cosiddetta punizione anticipata e della detenzione preventiva, mostrando attenzione al momento del primo contatto fra il minore e il sistema della giustizia penale. E invece spesso i maltrattamenti cominciano
CUCCHI
Trasferiti tre agenti
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ono stati trasferiti Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici, i tre agenti della polizia penitenziaria indagati per la morte di Stefano Cucchi. Avrebbero chiesto loro stessi di essere distaccati per ragioni di opportunità. Intanto è stata fissata per sabato prossimo, in sede di incidente probatorio, la testimonianza del detenuto senegalese che avrebbe assistito al pestaggio nei corridoi del Tribunale di piazzale Clodio. Continuano anche le audizioni nella commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino. Oggi sarà la volta di un’infermiera del Regina Coeli.
CAMORRA
Schiaffi e calci, benvenuti nei centri di accoglienza per minori di Silvia D’Onghia
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già all’ufficio matricole, dove vengono prese le impronte, fatte le foto, eseguite le perquisizioni. “Quando arrivano da noi, i loro corpi già parlano: lividi, tumefazioni, in alcuni casi addirittura commozioni cerebrali. Alcuni di loro ci raccontano quanto accaduto per mano della polizia penitenziaria. I medici possono prendere appunti. Poi, però, non possiamo fare nulla”. L’impotenza e la totale omertà sono dovute al clima di intimidazione: nessuno si mette contro la legge, anche se la legge – oltre il muro – è quella della violenza. “Io credo che la polizia penitenziaria sia un corpo di pari livello con quello della polizia di Stato, il problema è
“Quando arrivano da noi, i loro corpi già parlano di lividi e tumefazioni. Non possiamo fare nulla”
che si sentono frustrati, non hanno lo stesso riconoscimento dei ‘cugini celerini’. E questo li rende aggressivi. E’ come se avessero in mano il potere su una parte malsana della società che sentono di dover redimere, a prescindere dalle reali ‘colpe’ di questi giovani. Un punto fermo iniziale: io rappresento l’autorità, tu quello che ha sbagliato. E allora fai quello che voglio”. Secondo S., una buona metà delle persone che entrano nel centro, prima o poi uno schiaffone lo prende. “Spesso usano anche le botte in testa, come si fa con i bambini piccoli. Oppure i calci. Comunque, atteggiamenti aggressivi. Non si fermano neanche davanti alle ragazze”. Solo a pensarlo, viene la pelle d’oca. “Noi con gli agenti parliamo, naturalmente, dobbiamo convivere in una realtà difficile come questa. Ma certi argomenti sono assolutamente tabù. Nessuno di noi si è mai azzardato a dire nulla ai responsabili di queste violenze. Tutto accade nel silenzio assoluto. In ogni caso, quello cui assistiamo non è nulla rispetto a quello che accade nelle carceri, dove la violenza è davvero all’ordine del giorno”.
TERRORISMO
Maroni: Nat simili alle Br
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i sono dei contenuti che stiamo verificando, delle forti analogie con il sistema delle Br ma anche delle differenze importanti”. Lo ha detto ieri il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, a proposito dei volantini dei Nuclei armati territoriali recapitati alla Rai, a Mediaset e alla redazione milanese dell’Unità e del Giornale. Secondo il titolare del Viminale, non si tratta di un gesto “della mente di un matto”.
ROMA
Pestaggio ripreso in video
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n pestaggio documentato da un video, che ha reso possibile la cattura dei presunti responsabili. Scena del crimine: il piazzale antistante la stazione Termini di Roma. Due persone picchiano un passeggero e gli rubano il cellulare. Il tutto nell’indifferenza del passanti. Grazie alla denuncia della vittima e al filmato, la polizia ferroviaria ha fermato due romeni.
THYSSENKRUPP
Altri tre indagati al processo
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a Procura di Torino sta indagando tre persone - due operai e un dirigente - per falsa testimonianza al processo Thyssenkrupp: lo si è appreso in ambienti giudiziari. Ieri il dibattimento è ripreso con la deposizione di atri sei testi della difesa.
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ECONOMIA REALE
COSÌ EUTELIA RIESCE A STANARE PALAZZO CHIGI Parte la trattativa con Gianni Letta Bersani e Di Pietro nel corteo di Beatrice Borromeo
eri è arrivata la prima buona notizia per i diecimila lavoratori di Eutelia che sono scesi in piazza per protestare contro i licenziamenti: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta ha ricevuto una delegazione a Palazzo Chigi e ha fissato per il 27 novembre un incontro con azienda, sindacati e dipendenti per cercare di risolvere la crisi. Con la manifestazione romana di ieri (8-10 mila lavoratori del gruppo Omega in corteo) e quella della Cgil di sabato scorso, la vicenda di Eutelia è diventata un caso nazionale. “Si sono accorti di noi, speriamo che non sia troppo tardi”, dice Mirco, che al collo ha un cartello con su scritto “Omega, licenziato numero 192”. Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, condivide la preoccupazione: “Queste persone sono nelle mani di imprenditori che stanno rubando i soldi lasciando l’azienda spolpata. Presto non resterà più nulla da salvare”. I fatti ormai sono noti: secondo le accuse dei sindacati e dei dipendenti, Omega è un’azienda “killer” che acquisisce personale per tenerlo fermo mirando a fallire per non pagare le liquidazioni. Del gruppo fanno parte oltre diecimila operatori, la maggior parte dei quali non riceve lo stipendio da agosto. Tutti rischiano il posto e 1192 di loro hanno ricevuto la lettera di licenziamento (a soli cinque mesi dall’acquisizione da parte di Omega del loro ramo di azienda). Ha sfilato in corteo anche il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani: “La vicenda Eutelia è inaccettabile. Si tratta di un settore (quello dell’informatica) in espansione. Invece oscuri meccanismi e scatole cinesi mettono in pericolo il posto di lavoro di queste persone”. La soluzione? Per Bersani è indispensabile che il governo “prenda in mano la situazione e imponga, al più presto, l’amministrazione controllata”. Lo stesso chiedono i dipendenti, che non vogliono più sentire parlare della proprietà né di Eutelia (la famiglia Landi), né di Omega, che secondo loro sono complici. I contatti con Letta li stabilisce il leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro, alle 9 e 30 di ieri mattina, telefonan-
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Circa 10mila lavoratori sfilano a Roma per denunciare lo scandalo dei licenziamenti mascherati
dogli in viva voce dal centro del presidio. I lavoratori, raccolti attorno all’obelisco di piazza Esquilino, cominciano la marcia verso Palazzo Chigi. Ci sono i dipendenti di Agile, di Phonemedia, di Eutelia. Tutti acquisiti da Omega e lasciati senza stipendio. “Stiamo così da tre mesi” – dice una donna ai politici presenti nel corteo – “voi dove eravate?”. Ci sono anche l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano e la deputata Pd Marianna Madia. Ad attirare l’interesse nazionale sullo scandalo dei licenziamenti mascherati è stata l’irruzione di Samuele Landi, ex amministratore delegato di Eutelia, nello stabilimento occupato. Armato di ‘piedi di porco’ e guardie private, Landi (il suo soprannome è “Capitan Uncino”) ha cercato – come ha spiegato al Fatto –, di “sgomberare Eutelia per difendere i diritti degli imprenditori contro i lavoratori”, e con questo obiettivo è intenzionato a scendere in politica. “Landi – commenta Bersani – ha un bel coraggio. Fa paura pensare che una realtà aziendale così importante finisca in mano a queste persone”. Dalla piazza ci tengono a chiarire che quella di Eutelia non è la storia di una crisi, ma di uno scandalo, di una truffa. Di Pietro: “Questa è un’appropriazione truffaldina dei vostri Tfr e delle vostre vite”. 54 milioni di euro è la cifra cui ammontano i trattamenti di fine rapporto che Eutelia avrebbe dovuto pagare ai suoi lavoratori, se li avesse licenziati. Vendendo il ramo d’azienda Agile a Omega in cambio di un prezzo – come dice Landi – “simbolico”, Eutelia ha evitato di pagare. La regia, secondo la piazza, è della banca Monte de’ Paschi di Siena: “Questo istituto – spiega Gianni Seccia della Fiom – è il principale creditore di Eutelia, che è esposta nei confronti di Monte de’ Paschi, guarda che coincidenza, proprio per 54 milioni di euro”. La Monte de’ Paschi, in un comunicato, contesta l’entità del credito (dicendo che ammonta a 27 milioni) e ribadisce l’assoluta estraneità alle scelte aziendali di Eutelia, specificando di essere solamente un suo finanziatore. Così lo striscione in testa al corteo, stretto nelle mani di sole donne: “Eutelia, Monte dei Paschi, Mediaset, loschi affari sulla pelle dei lavoratori”. Il sindacalista Fabrizio Potetti spiega la protesta contro Mediaset: “Eutelia entra nella battaglia sulle televisioni tra Berlusconi e Murdoch. Mediaset, per competere con Sky, vuole accelera-
NON É LA CRISI CHE HA PRODOTTO IL DISASTRO di Furio Colombo
vi aggirate in piazza Stinaedell’Esquilino a Roma la matdi lunedì, tra la folla di uo-
Un dipendente Eutelia mostra la foto dell’ex ad Samuele Landi. Sopra la manifestazione (GUARDARCHIVIO)
re lo sviluppo dell’Internet tv. Quindi le serve l’infrastruttura. Eutelia possiede circa 13 mila chilometri di fibra ottica che Mediaset potrebbe utilizzare per far viaggiare i propri contenuti. Ora, con duemila dipendenti in meno, Eutelia è molto più appetibile perché ha bilanci più leggeri”. Di Pietro spiega così la pigrizia del governo nell’affrontare lo scandalo Eutelia: “Berlusconi ha un forte interesse nell’informatica. Ecco perché Palazzo Chigi non si muove. É l’ennesima conseguenza del conflitto d’interessi del presidente del Consiglio”.
mini e donne che si prepara al corteo con le bandiere sindacali (Cgil, Cisl), i fischietti, il megafono, provate un senso si spaesamento. Dove siamo? Chi sono queste persone? Di quale parte o episodio della crisi stiamo parlando? Questa infatti è una folla diversa. C’è un aria di buoni studi, di competenza professionale, ti raccontano fatti e cifre, non lamentele. Molti, scherzosamente, si salutano in inglese. Ma non come parodia di un film. Piuttosto, sembra di capire, come pratica quotidiana. Questi uomini e queste donne con le bandiere e i fischietti che stanno per iniziare una delle tante marce sindacali, ovvero difesa estrema del lavoro, per le strade di Roma, sono ciò che resta di un personale di alto livello, invidiato dall’Europa, selezionato con cura presso buone scuole anche all’estero. Sono i tecnici formati da quel persona-
BABILONIA AEREA
le nel clima libero e intelligente della competenza. Non ti parlano del lavoro che facevano. Ti parlano del lavoro che fanno. Informatica e gestione di sistemi di programmazione fondati su preparazione, esperienza, tempi lunghi. Ti raccontano che questo lavoro ha come committenti (committenti del presente, non del passato, clienti che aspettano mentre i lavoratori marciano), lo Stato, la polizia, la Camera e il Senato, il comune di Roma, amministrazioni regionali, privati di grandi dimensioni, le cooperative. Ti parlano del loro lavoro che, tranne questa mattina, continuano a fare come se la loro fosse un’azienda normale, in un paese normale, dove il governo tutela le imprese di valore, invece di fare la reclame a se stesso. Serve se vi dico che l’azienda si chiama Eutelia, che discende dalla Bull, che discende dalla Olivetti, che è un ramo dismesso di un grande centro di eccellenza che era tutto il settore elettronico e informatico di Adriano e di Roberto Olivetti? Serve perché è giusto ri-
ronista suo malgrado, il vostro Bankomat era a Fiumicino lunedì sera. Ecco cosa è successo, in presa diretta. Devo rientrare a Milano. Fiumicino è notoriamente uno scalo di provincia e verso le 22 si chiudono negozi e bar. Normale no? Peccato che decine di voli questa sera debbano ancora partire, centinaia di persone vagano per lo scalo, sarcasmo e rabbia contro Alitalia e il suo personale in assemblea “a sorpresa” dalla mattina. Anzi, “nostro personale”, visti i soldi pubblici donati alla nuova Cai. Verso le 20 le agenzie di stampa dicono che il prefetto è deciso a precettarli. Ma il prefetto forse a Fiumicino poi non ci è venuto. Avrebbe visto quanto lo prendono sul serio. O forse il personale di AZ non legge le agenzie. Una hostess alla quale un passeggero fin troppo gentile chiede informazioni sul volo in ritardo di ore ha il coraggio di mandarlo all’ufficio informazioni. Dove il personale Alitalia non si vede da ore. Nessun dirigente ci mette la faccia, non un annuncio, non un crisis manager con un banco per il pubblico. La sensazione è che a questi signori, che la gente sia sequestrata da ore in aeroporto, non importi molto.
Restano il prestigio, il lavoro, i clienti, il personale, ma non c’è più l’azienda
di Bankomat
UNA NOTTE CON ALITALIA
C
cordare quel tempo in cui imprenditori come Adriano Olivetti lavoravano per approntare un futuro italiano di qualità mondiale. É nata allora, in quell’ azienda l’informatica italiana e una costellazione di aziende con personale di livello internazionale. Dunque perché questa crisi? Perché aziende specialistiche come Eutelia vengono impunemente vendute e svuotate da proprietari sempre più opachi, coperti da prestanome, senza che si possa controllare il senso di ciò che accade, senza che nessuno voglia saperlo. E ciò produce il disastro. Restano il prestigio, il lavoro, i clienti, il personale specializzato di alto valore. Ma non c’è più l’azienda. Ecco un delitto tra i più gravi di Berlusconi, dei suoi ministri, della loro vuota politica della pubblicità di se stessi. É un governo che ha trasformato il futuro italiano in un incubo.
Questo disastro è, come si suol dire, annunciato. L’amministratore delegato Rocco Sabelli non trova il tempo di venire a Fiumicino fra i suoi dipendenti. Ma ne ha invece per partecipare ai consigli di amministrazione di Vitrociset. Della nota azienda di telecomunicazioni, fornitrice di Alitalia, Sabelli è consigliere non si sa a che titolo. Forse per calmierare i prezzi e ottimizzarne il servizio per il bene degli azionisti e clienti di Alitalia? Farebbe bene, Vitrociset è anche azionista di Alitalia. Certo i dipendenti Alitalia con il loro provocatorio accento romano (ma qualcuno glielo fa notare che non aiuta? Non è un accento che sa di efficienza), non hanno tutti i torti. Non si sono scelti loro questa dirigenza chiaramente inadeguata. Epperò. Se tutti i lavoratori dipendenti con i capi si comportassero così l’Italia sarebbe anche peggio. Verso mezzanotte fra lazzi e fischi verso i pochi dipendenti Alitalia che si fan vedere – di manager neppure l’ombra – qualche volo parte. Tranne quegli sfigati per Lamezia Terme ai quali dopo ore, alle 23, gli hanno annullato il volo e non gli pagano neanche l’albergo. Leggermente irritati, vanno in massa
alla polizia. Il vostro improvvisato cronista, abituato a sbeffeggiare con calma dal suo pc banchieri veri o presunti, si sente sbeffeggiato. Doveva partire tre ore fa ma alle 24 ancora non sanno nulla. Alle 24 e 10 un addetto con il senso del ridicolo in qualche ufficio prende l’iniziativa e cambia l’orario previsto sul monitor del nostro gate. Partiremo all’una. Uno si chiede: “Ma se un addetto da qualche parte esiste e modifica il monitor perché non dirci anche qualcosa all’altoparlante?”. Allora mi rivolgo a un banco vicino, non sanno nulla, poi un funzionario di polizia mi indica il capo scalo pochi metri più in là e poi mi segue per accertarsi che mi rispondano. Dicono che forse partiremo. A 20 minuti dall’una, scopro che al capo scalo stesso dicono – dall’altra parte del telefono – “forse”. Alle 1 e 30 nella totale mancanza di informazioni Bankomat si arrende e va a dormire in albergo. Manderò il conto a Sabelli e Colaninno, ma direttamente, con lettera, perché chiedermi di fare la coda con trecento persone a quest’ora a un desk Alitalia con due addette per avere un voucher hotel è davvero troppo. Mi faccio lo stesso trenta minuti di attesa per il taxi e vado a dormire. Nessuno ha pensato che a Fiumicino, in una notte così, servivano anche i taxi. Il prefetto è sicuramente già a nanna sereno.
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POLITICA ECONOMICA
IL FATTO POLITICO
Quelli che vogliono l’acqua privata
dc
La Finanziaria dimenticata di Stefano
iovedì comincerà alla Gdiscussione Camera la sulla
Il governo pone la fiducia sul provvedimento per liberalizzare (e privatizzare) il settore idrico di Daniele Martini
Qui accanto una tabella elaborata su dati di CittadinanzaAttiva che indica la variazione del costo dell’acqua nelle regioni italiane che indica le differenza tra i diversi territori. Con la privatizzazione i prezzi di distribuzione aumenteranno
iù che una difficile equazioPcenda ne a molte incognite, la facdell’acqua sembra un rompicapo apparentemente irrisolvibile che il governo, però, vorrebbe affrontare per le vie brevi dei colpi di fiducia, come ha deciso ieri. Alla Camera ci sarà il voto di fiducia sul decreto Ronchi, già approvato al Senato, che deve essere convertito in legge entro il 24 novembre. Il Pd replica che “questa fiducia non è certo motivata dall’ostruzionismo dell'opposizione ma dalla mancanza di fiducia del governo rispetto ai propri deputati”, anche la Lega si oppone. In teoria l’acqua è un bene pubblico, e tranne alcuni talebani del privato, nessuno mette in dubbio il principio. Ma qui finisce la parte facile e cominciano i problemi. Il suo consumo, infatti, non può essere gratis perché portarla fino al rubinetto costa, e parecchio. L’acqua deve essere prelevata, analizzata, controllata, in alcuni casi opportunamente trattata per renderla bevibile. Poi va trasportata per chilometri e chilometri con acquedotti che devono essere mantenuti, sistemi di pompaggio e distribuzione che consumano energia e che a loro volta costano. Costa perfino farsela pagare l’acqua, perché ci vogliono i contatori, una struttura per la fatturazione dei consumi e un sistema di riscossione. Una volta utilizzata per bere, per far da mangiare, per le pulizie o per tutti gli altri usi consentiti, l’acqua deve essere se possibile recuperata, di nuovo trattata e poi ancora distribuita alle industrie. E chi paga? I cittadini-contribuenti-consumatori con una tariffa che in teoria dovrebbe coprire i costi di gestione. Ma siccome spesso i gestori dell’acqua sono soggetti pubblici, comuni in particolare, assai riluttanti ad adeguare (leggi: aumen-
tare) le tariffe per rapportarle ai costi, in quanto si tratta di un’operazione assai poco popolare, ecco che l’affare si complica. Ma senza tariffe adeguate non ci sono quattrini a sufficienza per gli investimenti, e senza investimenti gli acquedotti e le strutture per distribuire l’acqua si deteriorano. I cittadini-clienti rischiano di subirne le conseguenze: la qualità dell’acqua comincia a peggiorare e scarseggia addirittura la disponibilità perché gli acquedotti maltenuti si bucano e perdono a fiumi. Sapete quanti soldi servirebbero per adeguare gli acquedotti e i servizi idrici (fogne e depurazione) alle esigenze di una clientela moderna? Più di 60 miliardi di euro in 30 anni secondo la valutazione del Blue Book 2009, uno studio sull’acqua eseguito dal centro di ricerca Utilitatis di Federutility e da Anea, l’associazione che raggruppa i gestori degli Ato (Ambiti territoriali ottimali), specie di enti locali istituiti una quindicina d’anni fa in seguito alla di-
visione del territorio dal punto di vista idrico. I comuni e gli Ato, che ne sono una filiazione, quei soldi non solo non li hanno, ma difficilmente li avranno in futuro. Per loro stessa ammissione sono in grado di finanziare investimenti per poco più di un decimo di quella cifra. I PRIVATI. A questo punto si fanno avanti i privati che, però, ovviamente guardano all’acqua soprattutto come ad un affare; in genere rispetto ai gestori pubblici arrivano con capitali ingenti e la promessa di investimenti, ma come contropartita vogliono mano libera per aumentare le tariffe. I cittadini
INFORTUNI IN CALO DEL 10,6 PER CENTO RISPETTO AL 2008 on la recessione (il Pil dell’Italia scenderà Cmeno. di quasi il 5 per cento nel 2009), si lavora E se le imprese vanno in crisi e licenziano c’è almeno un effetto collaterale positivo: scende il numero delle morti sul lavoro. Lo certifica l’Inail, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, che ieri ha diffuso i dati sul primo semestre 2009. Gli infortuni sui posti di lavoro sono diminuiti del 10,6 per cento rispetto al 2008. Le morti del 12,2 per cento. Secondo l’Inail almeno metà di questa riduzione (tra il 5 e il 6 per cento) è “accidentale”, cioè dipende dalla riduzione dell’attività economica. A livello assoluto i numeri restano però alti: 397.980 infortuni contro i 444.958 del 2008, quelli mortali sono stati 490 in-
consumatori a quel punto cosa dicono? Preferiscono continuare a pagare poco per un bene che in prospettiva rischia di diventare scarso e di qualità peggiore oppure sono disposti ad affidarsi ai privati con i rischi del caso? Rischi che però non sarebbero ineliminabili se la faccenda dell’acqua fosse affrontata dal governo con un approccio meno drastico. La discussione in Parlamento della riforma dei servizi pubblici locali e di recepimento di una direttiva europea si inserisce proprio nel cuore della questione. La linea del governo in pratica ribalta l’impostazione precedente del verde Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell’Ambiente, che aveva riproposto la pubblicizzazione totale del servizio idrico. LA LEGGE. La legge approvata al Senato e ora all’esame della Camera spinge l’acceleratore sulla privatizzazione. Se passerà nella forma attuale, nel giro di pochi anni tutto il settore della gestione e distribuzione dell’acqua cambierà fisionomia. Le 8 grandi società quotate in Borsa con capitale in prevalenza pubblico e le altre aziende collegate ai comuni e agli enti locali dovranno, in pratica, farsi da parte per lasciare spazio ai privati. Si tratta di un ribaltone notevole. I meccanismi della norma sono chiari: se entro il 2013 le società pubbliche non saranno scese sotto il 40 per cento del capitale ed entro il 2015 addirittura sotto il 30, perderanno ipso facto la concessione. In pratica dovranno fare harakiri a vantaggio di nuovi soci. Ma chi sono questi pretendenti privati? A livello nazionale i più attenti sono i costruttori degli impianti idrici associati nell’Ance (Confindustria) che da anni hanno messo gli occhi sulla gestione degli acquedotti. A livello internazionale i soggetti interessati hanno le spalle ancora più larghe. In prima fila ci sono i francesi di Suez (gestori di acquedotti nell’aretino) e Veolia (ex General des Eaux), già presente in Calabria e in Sicilia. Poi ci sono le 10 sorelle private inglesi che si erano affacciate al-
Il Pd e la Lega si oppongono ma il tempo è poco: il decreto decade entro una settimana
Solo la crisi ferma le morti bianche vece di 558. A dimostrare che il merito è della crisi, lo dimostra l’analisi dei tipi di infortuni: sono diminuiti soprattutto quelli capitati a lavoratori nell’esercizio della loro attività, -11 per cento (-13,1 per quello mortali). L’altra grande categoria, i cosiddetti incidenti “in itinere”, di cui è vittima chi si sta recando al lavoro o sta rientrando a casa, ha registrato variazioni molto minori. Incidenti in calo del 5,8 per cento, quelli mortali -9,2 per cento. Considerando i settori di attività non stupisce trovare al primo posto dei cali l’industria: la produzione industriale nel 2009 è crollata del 20 per cento, e gli incidenti l’hanno seguita: -21,5 per cento (-18,7 quelli mortali). Al secondo posto le costruzioni (-15,8 e -3,9) e i servizi, da sempre meno pericolosi (incidenti ridotti del 2,2).
Feltri
cuni anni fa sul mercato italiano salvo poi ritrarsene in fretta di fronte allo stop and go delle leggi in materia. Tra esse spiccano l’azienda che distribuisce le acque del Tamigi e la Severn Trent che capta le acque del fiume Trent presso Nottingham. LE TARIFFE. Queste aziende per sviluppare il business dovranno mettere mano alle tariffe. E qui cominciano i guai, perché se da una parte tutti riconoscono che il prezzo dell’acqua in Italia è tra i più bassi d’Europa, dall’altra c’è il rischio che se lasciati a briglia sciolta i privati impongano aumenti consistenti e socialmente poco gestibili. I margini per i rincari ci sono tutti considerando che appena il 4 per cento della popolazione italiana paga tariffe in linea con quelle europee. La legge in discussione non prevede, però, la costituzione di un’autorità terza che vigili proprio sull’andamento delle tariffe. Ed è un guaio. In teoria un’autorità ci sarebbe e si chiama Conviri, ma è come se non ci fosse, mentre invece dovrebbe stare con gli occhi bene aperti perché quello dell’acqua è un monopolio naturale, nel senso che non può esserci concorrenza tra diversi soggetti se non nella fase di aggiudicazione della concessione. In questo l’acqua è diversa sia dal gas sia dall’elettricità sia dalle telecomunicazioni dove le liberalizzazioni sono possibili. I governi che in passato hanno privatizzato e liberalizzato si sono sempre preoccupati di istituire delle agenzie di controllo per impedire o almeno limitare gli abusi, soprattutto sulle tariffe. L’esperienza e la storia insegnano, inoltre, che affidare un monopolio naturale ai privati non è una bella trovata, anzi. All’inizio del secolo passato fu proprio per reagire alle soverchierie dei gestori privati nei confronti dei cittadini che fu approvata una legge per affidare il servizio a soggetti pubblici, e così nacquero le municipalizzate. Quell’esperienza ha fatto il suo tempo ed è nella logica delle cose che si ricerchino nuove forme di gestione. Ma passare di colpo e senza precauzioni da un oligopolio pubblico temperato dalla preoccupazione politica di non aumentare le tariffe, ad un oligopolio privato senza regole, sarebbe come saltare da una gora immobile ad un Far West ingestibile.
Finanziaria. Ma la legge di bilancio 2010 sembra passata in secondo piano, con la maggioranza occupata dal tema giustizia e dalle sue ricadute nei rapporti interni. Eppure restano molte questioni aperte, a cominciare dalla definizione di una precisa strategia di politica economica che prevede di finanziare con i soldi dello scudo fiscale il taglio degli acconti sull’Irpef (per aiutare soprattutto le partite Iva) e poi giocarsi nel 2010 le maggiori entrate che, di conseguenza, il tesoro registrerà per finanziare i provvedimenti anticrisi da introdurre in Finanziaria. A cominciare dalla Banca del Sud, il progetto del ministro Giulio Tremonti, scomparsa durante la discussione al Senato dopo l’opposizione del Pd. eri il presidente del ISchifani, Senato Renato seconda carica dello Stato, ha detto che “se la maggioranza non è compatta, allora si deve andare ad elezioni anticipate”. Parole che possono essere lette come un posizionamento negli schieramenti che si stanno delineando (Gianfranco Fini contro i berlusconiani) ma anche come una pressione preventiva sul capo dello Stato perché sciolga le camere in caso di crisi di governo, invece che affidarsi a un governo tecnico di cui non parla più nessuno. Se davvero nella maggioranza dovesse determinarsi una prevalenza dei sostenitori del voto subito, ci sarebbero conseguenze anche sulla politica economica. La Finanziaria 2010 diventerebbe una legge di bilancio pre elettorale. E, nell’ipotesi di un election day che accorpasse elezioni regionali e politiche, dovrebbe quindi esercitare la gran parte dei suoi effetti redistributivi nei primi mesi dell’anno. er ora i toni stanno Psoprattutto crescendo on line, nelle schermaglie tra la fondazione finiana Fare Futuro e il sito berlusconiano Predellino.it di Giorgio Stracquadanio. Ma la Camera potrebbe essere il primo termometro per verificare se davvero ci saranno elezioni: basta vedere se misure a breve termine (come il taglio dell’Irap che sembra per ora abbandonato) sostituiranno interventi dagli effetti più dilatati nel tempo come la Banca del Sud.
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DAL MONDO
TIBET MODELLO ALTO ADIGE Il Dalai Lama a Bolzano: sogno un’autonomia come la vostra, senza scontri con Pechino
di Francesco
Comina Bolzano
l Dalai Lama si considera oramai di casa in Trentino Alto Adige. Ogni anno che passa si rafforza in lui la convinzione che per il suo Tibet sia impraticabile una lotta per la secessione ma, al contrario, sia vincente il modello di autonomia provinciale che ha permesso all’Alto Adige di evitare una guerra civile dopo gli attentati degli anni Sessanta e il proclama del presidente Magnago del “Los von Rom” (via da Roma): “Quello che ho imparato in Alto Adige in tutti questi anni di relazioni umane e diplomatiche – ha spiegato il Dalai Lama – è che una forma di autonomia che permetta ai popoli di preservare i propri diritti culturali, religiosi, linguistici sia vantaggiosa se si attua dentro una nazione florida come è l’Italia e come è la Cina che si avvia a essere una superpotenza mondiale. A noi tibetani, dunque, conviene lavorare per un modello di autonomia simile, non credo sia possibile riprodurlo identico ma quello di Bolzano potrebbe essere un esempio da imitare”. Il Dalai Lama è convinto che prima o poi Pechino si aprirà ad una proposta del genere: “È passato mezzo secolo dall’invasione cinese del Tibet. Sono ancora intenzionato a vivere a lungo e posso aspettare ancora 15 anni per vedere realizzato il sogno di un Tibet autonomo”. Fra il Dalai lama e il presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, c’è una solida amicizia. Questa è la terza volta che la guida spirituale
I
dei tibetani viene in visita ufficiale in Alto Adige mentre Durnwalder si è recato due volte a Dharamsala. I due si tengono stretti nella mano come a dire, con le parole di Durnwalder, che “le battaglie (nonviolente) autonomiste del Tibet sono le nostre battaglie”. Il presidente ha consegnato al leader tibetano la copia firmata della convenzione con cui la Provincia si impegna a costruire 22 sale di riunione per i tibetani in esilio: “Abbiamo già finanziato 17 progetti per 650mila euro”, ha spiegato Durnwalder. A Trento poi il Dalai Lama ha partecipato, insieme al presidente Lorenzo Dellai, al convegno sulle autonomie regionali in cui è stata firmata la “Carta di Trento per l’autonomia del Tibet” a sostegno del memorandum del 2008 che chiede solidarietà internazio-
nale per la salvaguardia dei diritti dei tibetani nel rispetto della sovranità cinese: “Confidiamo che il memorandum venga firmato da tutte le regioni autonome del mondo”, ha spiegato Dellai. Prima di partire per Roma il Dalai Lama si è rivolto ai giovani tibetani perché abbiano ancora un po’ di pazienza: “So che il 99% crede nella nonviolenza attiva come ha insegnato il Mahatma Gandhi ma so anche che ci sono alcuni che vogliono vedere una soluzione subito. Dobbiamo guardare ai cambiamenti che pure ci sono anche nella Repubblica cinese. Apprezzo le parole di Obama sul Tibet e confido nella sua saggezza per trovare un solido sostegno alla nostra causa”. Poi gli inchini, i sorrisi, le strette di mano alla folla che lo salutava ancora una volta.
YUAN&COMMERCIO
OBAMA SORRIDE MA LA CINA RESTA LONTANA
USA
Washington torna all’Aja
N
uova svolta dell'amministrazione di Barack Obama sul fronte Onu: per la prima volta dopo 8 anni di presidenza Bush, gli Stati Uniti parteciperanno da oggi all’Aja ad una conferenza della Corte Penale Internazionale (Cpi). Lo riferisce il Washington Post.
di Stefano Feltri
lla fine tutto è andato come previsto: Barack Obama ha inAscusso contrato a Pechino il presidente cinese Hu Jintao, hanno didi vari dossier (dall’Iran alla Corea del Nord), ma su quelli
economici non si sono registrati passi avanti. Ieri il dollaro è salito a 1,48 sull’euro, segnale che i mercati hanno provato a dare fiducia ai proclami americani sul dollaro forte. Che, con l’eccezione di ieri, è sempre più debole. Nonostante gli auspici del Fondo monetario e l’intervento di Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve americana, l’intesa sulla rivalutazione dello yuan non c’è stata. E senza è impossibile parlare di quel G2, la formula di governance in cui decidono solo Pechino e Washington, che gli analisti intravedono da anni. Hu non poteva essere più esplicito: “Dobbiamo opporci al protezionismo in tutte le sue manifestazioni”. Ovvero: l’America non può chiederci di rafforzare la nostra moneta perché ha paura di essere invasa dalle nostre merci a basso costo e teme che guadagnamo un eccessivo peso internazionale conquistando i mercati emergenti. Sono le regole della globalizzazione. Hu ricambierà la visita ufficiale nel 2010. Quando il presidente cinese volerà a Washington, molte cose saranno diverse: la bolla azionaria sul listino di Shangai, alimentata dal denaro a basso costo messo in circolo dalle banche centrali per contrastare la crisi, forse sarà scoppiata; gli Stati Uniti saranno in piena ripresa, o almeno così sperano, e l’inflazione sarà diventata un problema tale che anche a Pechino converrà iniziare a pensare a come contenere i prezzi. E rafforzare la moneta potrebbe essere una soluzione dai costi accettabili, anche se non semplice da realizzare visti i problemi operativi della banca centrale cinese a dominare le variabili monetarie. La collaborazione auspicata da Obama sembra iniziare dal fare fronte comune alla conferenza di Copenhagen, che si aprirà a dicembre, dove la discussione del futuro del protocollo di Kyoto vede Pechino e Washington su posizioni molto prudenti. Il timore – non infondato – è che le nuove regole sul clima e le emissioni di anidride carbonica possano essere usate da europei e giapponesi per limitare la competitività delle loro aziende. La tensione tra i due paesi non è destinata ad allentarsi, dopo la visita di Obama, perché il presidente americano ha realizzato le previsioni di chi vedeva in lui un protezionista mascherato. Prima la clausola del buy american inserita nel piano di spesa sostegno dell’economia, clausola poi molto ammorbidita che vinIl Dalai Lama al suo arrivo a Roma (F A ) colava le aziende beneficiarie di aiuti pubblici a comprare prodotti americani. Poi le numerose guerre commerciali combattute davvero (gli italiani ricordano quella sulle acque minerali): l’ultima è proprio con la Cina, dazi del 35 per cento sugli pneumaRADIO, INTERNET E ASSOCIAZIONI CHE DIFENDONO DIRITTI E AMBIENTE DEL PAESE HIMALAYANO tici per auto esportati da Pechino negli Stati Uniti, poi un rincadi Raffaela Scaglietta con le macchine, le industrie del turi- que mettendo a rischio l'ecosistema delro del 99 per cento sulle imporsmo, le trivelle nelle miniere . Fermando le montagne più alte del mondo, senza tazioni di acciaio, su richiesta dei hi non vorrebbe vivere in un mon- la distruzione, lo sfruttamento, l'inqui- seguire nessuna regola. produttori americani che dedo migliore? Chi non vorrebbe namento delle acque. nunciavano pratiche di dum“È importante educare il popolo tibetacamminare per un po' sulle mon- Il Tibet officialmente è una regione au- no, proteggere le sue ricchezze naturali ping (vendita sottocosto) difficitagne del Tetto del mondo, respi- tonoma. Nel 1912 fu Regno indipenden- e la sua cultura”, racconta Tsultrim li da provare ma che permettono rare aria pura, fermarsi accanto a un lago te, ma da allora è stato sempre control- Gyatso, uno dei fondatori dell’organizritorsioni dagli effetti immediati. incontaminato e ritrovare spicchi di lato strategicamente dalle autorità cine- zazione ambientalistica Tibetan ecology, Visto che l’Unione europea resta questa ricchezza universale a pochi pas- si. Nel 1950 fu invaso dall’esercito cine- che ora vive nello stato del New Mexico, molto diffidente su tutte le iposi da casa propria? Chi non vorrebbe se. Nel 1959 il Dalai Lama fuggì in India, a Santa Fé e ha realizzato un documentesi di intese sinoamericane (anproteggere le acque pure che scendono a Dharmsala. Dal 1960 al 1970 la repres- tario sul fiume Colorado dal titolo ‘Il sanche perché l’euro è sempre più dalla catena dell'Himalaya? sione maoista ha distrutto quasi tutti i gue della terra’ proprio per raccontare forte), ieri ha chiesto chiarimenPersino il Presidente americano Oba- suoi monasteri. Tesori che conservava- le storie di vita di chi vive accanto al fiuti alla Russia sul suo possibile inma, il Nobel della Pace e paladino sulla no innumerevoli storie e scritti univer- me “rosso”. gresso nella Wto, l’Organizzacarta di uno sviluppo ecosostenibile sali sulla medicina, sulla scienza, sulla Tsultrim viene da Xiahe, la città del mozione mondiale del commercio. mondiale, in visita per la prima volta in filosofia, geografia e sulla religione. Se le attuali guerre doganali e nastero di Labrang Si. Una città della reCina potrebbe anche sognare di andare Nel 2008 è stato di nuovo teatro di mas- gione Gansu, confinante con il Tibet e monetarie tra Cina e Stati Uniti un bel di' lassù, oltre i 4.000 metri sfi- sacri e aggressioni. Il Dalai Lama riba- guarda caso proprio vicina al luogo dodovessero finire, meglio avere dando le vertigini d'alta montagna. disce che dal 1950 a oggi sono morte o ve nacque il Dalai Lama. Da qualche anun partner di peso su cui contare Ma per il momento e' chiuso nei palazzi scomparse oltre un milione e duecento no ha creato una fondazione negli Usa, per formare un asse alternativo. di Pechino. Anche se un pensiero per il persone. studia e osserva l'ambiente americano Dalai Lama e il Tibet, nel corso di questa Alla vigilia delle Olimpiadi il governo ci- per insegnare al popolo tibetano come prima vista strategica in Oriente, ce l'ha nese ha ridotto la sua morsa. gestire le risorse naturali. avuto. Proprio ieri ha chiesto al suo in- Adesso le cose vanno forse un po' me- “La salvaguardia dell'ambiente è una reterlocutore cinese, il Presidente Hu Jin- glio, ma chi lo sa che succede veramen- sponsabilità di tutti, la nostra associaziotao di riprendere il dialogo con il Dalai te lassù? La situazione è sempre difficile ne non ha un obiettivo politico ma è soLama, che in tibetano significa Oceano per i tibetani. I mass media, internet so- lo ambientalista”, dice Tsultrim che da di saggezza. no controllati dalle autorità cinesi. L'u- un anno circa insieme a un antropologo, Chissà forse per preparare un terreno nico mezzo che funziona è la radio. C’è esperto di risorse d'acqua e persino and'intesa sulle questioni ambientali che una radio Voice of Tibet gestita per l'ap- che di religione segue le comunità agrisaranno studiate nuovamente al vertice punto da un'organizzazione norvegese cole americane. di dicembre a Copenaghen e che me- e un’altra radio Free Asia che trasmette “La terra deve essere nel cuore, nelle atritano d’urgenza un’azione globale. dagli Stati Uniti. tenzioni di tutta l'umanità; dall'uomo Coerenza oblige e dunque perché non Mentre la voglia del business, ben nota senza dimora ai leaders del mondo”, diiniziare a parlare del Tibet. Perché non della macchina economica cinese, con- ce Tsultrim che un giorno vorrebbe toraprire di nuovo la Porta sul tetto del tinua ad andar veloce e a far danno in- nare a casa e portare avanti un programmondo senza però invadere la regione quinando, smuovendo le terre e le ac- ma di sviluppo regionale in Cina. OTO
N
NSA
Libertà sul Tetto del mondo
C
Pechino non rivaluterà la moneta e le guerre commerciali tra i due giganti continueranno
BRASILE
Oggi udienza su Battisti
O
ggi la Corte suprema federale (nella foto l’aula di Brasilia) del Brasile si riunisce per quella che potrebbe essere l’udienza decisiva sull’estradizione dell’ex terrorista Cesare Battisti. Intanto l’italiano, che in patria deve finire di scontare la pena per quattro omicidi, continua lo sciopero della fame iniziato venerdì. Chi lo ha visitato in carcere lo ha trovato relativamente bene: “Ho molta fiducia in Lula” (il presidente brasiliano, ndr), ha detto Battisti.
ISRAELE
Usa contro nuovi insediamenti
G
li Stati Uniti si sono detti “costernati” dalla decisione israeliana di procedere all’ampliamento del quartiere di Ghilo a Gerusalemme est. Lo indica il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs.
REPUBBLICA CECA
Anniversario rivoluzione Velluto
P
raga ha ricordato ieri con i suoi eroi e i suoi miti, e con azioni di disturbo di neonazisti, il 20° anniversario della rivoluzione di Velluto, cominciata con la storica dimostrazione studentesca repressa nel sangue dalla polizia il 17 novembre 1989, che accese la scintilla che portò poi il crollo del regime comunista in Cecoslovacchia.
UNIONE EUROPEA
Solana promuove D’Alema
P
Massimo D'Alema potrebbe essere “un eccellente” ministro degli Esteri Ue: lo ha detto a Bruxelles l’attuale Alto rappresentante per la politica estera europea (Mr Pesc), lo spagnolo Javier Solana.
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Mercoledì 18 novembre 2009
DAL MONDO
SI FA PRESTO A DIRE AIUTI
Dalla Fao alle Ong, l’Italia (ma non solo) continua a fornire meno fondi umanitari di quanto promesso di Emanuele
Piano
a cooperazione allo sviluppo (assieme alle missioni militari all’estero) è la misura del peso politico internazionale di un paese. Per l’Italia è allora sufficiente un dato: il taglio del 54 per cento delle risorse destinate alla cooperazione nel 2009 rispetto al 2008. Nell’anno della presidenza del G8, il terzo per Silvio Berlusconi premier, il nostro paese è riuscito anche ad essere moroso nei confronti del Fondo Globale per la lotta all’Aids, Tubercolosi e Malaria: mancano all’appello 130 milioni di dollari che dovevano essere versati entro fine anno. Secondo i dati dell’Ocse, l’Italia nel 2008 è stata penultima fra i paesi del G7 nel rapporto fra Aiuti allo Sviluppo e Pil attestandosi allo 0,2 per cento. Fanalino di coda gli Stati Uniti che però, in termini assoluti, spendono in cooperazione cinque volte più dell’Italia: 26 miliardi di dollari contro i nostri 4,4. Si dirà che è colpa della crisi, ma quello del non rispettare gli impegni presi a livello internazionale è un malcostume comune a tutti gli schieramenti, destra o sinistra che siano. In principio vi fu la Risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu del 1970 che indicava nello 0,7% del Pil l’obiettivo (minimo) per la quota di aiuti che i paesi sviluppati dovevano devolvere alla cooperazione. L’Ue a Barcellona nel 2002 aveva posto come obiettivo comunitario lo 0,33% entro il 2006 e il Vertice del G8 di Gleneagles del 2005 quello dello 0,51 entro il 2010. Detto fatto? Macché. L’Italia dal 1994, anno del primo governo Berlusconi, al 2008 ha oscillato fra lo 0,1% allo 0,29% del Pil nel 2005. Nello stesso periodo, fra i paesi del G7 abbiamo occupato stabilmente la penulti-
L
ma posizione e nessuno fra loro ha mai raggiunto l’agognato 0,7%. L’annuncio del G8 de L’Aquila di stanziare, in tre anni, 20 miliardi di dollari nella lotta alla fame è il classico fumo negli occhi. Di quei soldi, infatti, solo tre sono pari a nuovi stanziamenti. Ci sono poi le promesse e i fatti. Nelle assise di cooperazione internazionale si annuncia che si daranno dei soldi che poi si devono sborsare. Dal 1994 al 2007 per ben 12 volte l’Italia ha stanziato meno denaro di quanto annunciato. Un deficit in media pari a 380 milioni di dollari, con picchi di un miliardo nel 1995 e nel 2003. Un ammontare non indifferente se è misura della nostra credibilità internazionale. Non sempre poi il denaro conteggiato negli aiuti è reale. Nei fondi della cooperazione sono finiti anche i debiti cancellati ai paesi in via di sviluppo: 3,18 miliardi di euro dal 2001 a oggi. I due miliardi di debito condonati all’Iraq, ad esempio, hanno permesso il picco (fittizio) negli aiuti allo sviluppo del 2005. C’è infine un termine di paragone: le spese militari. Negli ultimi 20 anni l’Italia ha destinato mediamente il 2% del Prodotto interno lordo ad armamenti, esercito e carabinieri. Nel 2008 la spesa è stata di quasi 28 miliardi di euro contro i 4,4 destinati alla cooperazione allo sviluppo. A questo ammontare vanno aggiunte le spese per le missioni militari all’estero. Nel quadriennio 2006-2010 sono costate e costeranno circa un miliardo di euro all’anno. Inoltre, l’Italia è anche un paese esportatore di armi. L’ultimo dato disponibile è quello del 2006 quando abbiamo venduto nel mondo 2 miliardi di euro di armamenti. In Italia la legge 49 del 1987 regola la cooperazione e attende ancora di essere riformata. Ci aveva
provato l’ultimo governo Prodi con un disegno di legge delega licenziato dal Consiglio dei ministri nell’aprile del 2008. Il governo cadde e non se ne fece più nulla. Oggi di quel disegno di legge non si parla più. La riforma della cooperazione non è una priorità. Questo è tempo di vacche magre e di annunci pomposi.
Roma nel 2008 è stata penultima fra i paesi ricchi nel rapporto fra stanziamenti per lo sviluppo e Pil Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe durante il suo intervento alla Fao (FOTO ANSA)
I CONTI IN TASCA
MOLTI FUNZIONARI, MOLTO BUSINESS (CLASS) di Alessandro
Ferrucci
signo’, e che devo fa’: c’è la “A Fao...”, si giustifica un vigile. Già, Roma è blindata. Intorno al Circo Massimo, dove ha sede la Food and Agriculture Organization, è stata istituita una “red zone” invalicabile. Chi capita presso, è finito: ore e ore di traffico, insulti e mal di pancia. Sì, ma per chi, per cosa? Sul Fatto Quotidiano domenica abbiamo titolato “Che state a Fao?” per analizzare obiettivi e risultati; oggi raccontiamo cos’è questa “appendice” dell’Onu. Fondata il 16 ottobre 1945 a Città del Québec, Québec, Canada, dal 1951 la sua sede è stata trasferita da Washington, nella capitale italiana. Obiettivo: aiutare ad accrescere i livelli di nutrizione, aumentare la produttività agricola, migliorare la vita delle popolazioni rurali e contribuire alla crescita economica mondiale. Insomma, un lavoro di consulenza. Spesso “strozzato” dai pochi fondi, dicono. E quando c’è crisi, tocca a tutti. Eppure la struttura è possibile inserirla sotto la categoria “molossi” per numeri e costi: all’apri-
le di quest’anno conta 1.641 funzionari e 1.894 impiegati. I due terzi del personale lavorano nella sede centrale di Roma, gli altri negli uffici di tutto il mondo. Budget importante: nel 2007, un aumento del 13,3 per cento ha portato l’agenzia a ottenere 867,7 milioni di euro per il biennio successivo. Nessun’altra organizzazione dell’Onu può contare su una cifra del genere. Ma, a quanto pare, non basta: c’è sempre qualche dirigente pronto a denunciare l’impossibilità di un intervento a causa degli scarsi fondi. Per forza, quasi il 70 per cento della cifra totale, ottenuta dai contributi degli Stati membri, finisce per la gestione ordinaria. Qualche esempio: per la sicurezza alimentare, la Fao prevede uno stanziamento di 59 milioni di euro; per l’“ufficio del direttore generale” 41,5 milioni di euro. La struttura che lavora a stretto contatto con il direttore Jacques Diouf costa più di 9 milioni. E ancora: l’ufficio legale, 5,3 milioni di euro, l’ufficio del programma e della gestione del budget, altri 11. Eppoi, i voli aerei: secondo documenti inediti da noi tro-
vati, la spesa di quest’anno per la sola biglietteria si aggira attorno ai 13 milioni di euro. La maggior parte sono per voli extraeuropei, verso le zone del Terzo mondo dove, secondo una circolare interna, è possibile usufruire della categoria business per tragitti superiori alle otto ore. Non sempre è così, c’è “qualche” deroga. E ancora: chi è in missione non prende mai in considerazione la miglior offerta, ma solo la miglior opportunità. Vuol dire non valutare il costo, a prescindere. In questo modo le spese perdono il controllo. Altra voce: chi è dipendente Fao ha la possibilità di ottenere alcuni importanti benefits, come buoni carburante, uno spaccio dedicato e con prezzi inferiori. Oltre che a Roma, l’organizzazione è presente in più di 130 paesi. La rete decentralizzata comprende 5 uffici regionali, 10 uffici subregionali, 73 uffici di rappresentanza, nove uffici con personale tecnico trasferito e un certo numero di uffici con accreditamento multiplo. Altri viaggi, altri costi.
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IL LIBRO
Il suicidio di un democratico tradito dalla politica ADOLFO PARMALIANA, DOCENTE SICILIANO INASCOLTATO UOMO DELLA QUESTIONE MORALE
Adolfo Parmaliana di Alfio Caruso
dolfo Parmaliana adorava la famiglia, la Juve, Berlinguer, l’idrogeno, il risotto di mare, gli studenti, Benigni. Voleva una vita d’impegno, di battaglie, di polemiche, di arrivi in salita. A poco più di cinquant’anni Adolfo Parmaliana si è dimesso dalla vita dopo essersi dimesso dall’essere prima italiano e poi siciliano. L’ottobre di un anno addietro si è lanciato dal viadotto di Patti Marina lasciando dietro di sé una terribile lettera d’accusa e lo sgomento
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dei tanti increduli che a compiere un simile atto fosse stato il cantore della gioia di vivere. E anche se in questa storia ufficialmente non esistono colpevoli, il suicidio del professore di Chimica industriale, molto più apprezzato e amato all’estero che nella sua terra, pesa peggio di un omicidio sulle coscienze di coloro che l’hanno perseguitato. Ma costoro ce l’hanno una coscienza? Adolfo Parmaliana credeva nell’onestà dei siciliani, credeva che gli amministratori pubblici avessero quale scopo primario
il benessere dei cittadini, credeva che i magistrati e i giudici vincessero il concorso per contrastare il Male e far trionfare il Bene. Adolfo Parmaliana credeva che fosse importante combattere per le proprie idee. Nel messaggio d’addio ha scritto: “Ho trascorso trent’anni bellissimi dentro l’università innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore. I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti ricordi. Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti. Mi sento un uomo finito, distrutto”. Il clan che l’ha chiuso nell’angolo, che l’ha condotto alla disperazione non è un clan mafioso. E’ peggio. E’ il Pus, il Partito unico siciliano, in grado di amalgamare gli interessi più disparati dalla destra alla sinistra. Lo compongono i cinquanta cognomi e i dieci nomi, che attraverso i secoli hanno sempre mirato al tornaconto personale, agghindato
da nobili propositi. Per raggiungerlo hanno baciato ogni culo disponibile, hanno tradito ogni causa, hanno calpestato ogni ideale. Il Pus vince sempre. Sotto le ali della massoneria e della mafia mette insieme e amalgama politici all’apparenza inappuntabili, imprenditori arricchitisi con le concessioni statali e regionali, giudici e magistrati addobbati da sacerdoti del Diritto, eleganti amministratori delegati di banche. I nemici definivano Parmaliana un pericoloso eversore, ma lui si faceva fotografare con il libro di Alberoni tra le mani, lui per trent’anni si è presentato ogni giorno all’università in giacca e cravatta. Parmaliana era un borghese imbottito di belle letture e di preziosi insegnamenti. Si era acceso prima per il Pci, poi per il Pds, infine per i Ds. Quando è nato il Pd se n’è andato in punta di piedi, stanco di esser ignorato, deriso, umiliato. Le sue lettere a Fassino, a Veltroni mai hanno ricevuto una risposta. I settori della sinistra siciliana l’hanno avversato come mai si sono sognati di fare con Cuffaro e con Lombar-
do. Nel suo studio ha, però, continuato a campeggiare la gigantografia di Enrico Berlinguer. A rovinare Parmaliana è stato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose della giunta del suo comune, Terme Vigliatore, a uno sputo da Barcellona Pozzo di Gotto, non a caso definita la Corleone del nuovo millennio, zeppa di logge ufficiali e coperte. Il provvedimento assunto da Ciampi e Pisanu nel dicembre 2005 fu la conseguenza delle decine di denunce formulate negli anni da Parmaliana. Gliel’hanno giurata. Nel grotte-
A rovinarlo, lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del suo comune, Terme Vigliatore
sco silenzio delle Procure l’unico a rimediare una denuncia è stato Parmaliana, imputato di aver diffamato il vicesindaco di Terme mandato a casa assieme agli altri da Ciampi e Pisanu. Ecco, allora, il tremendo atto d’accusa di Parmaliana: “La magistratura barcellonese-messinese vorrebbe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario… Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi”. E attualmente i tre personaggi più rappresentativi di Messina sono di Barcellona e tutti e tre iscritti alla stessa associazione, Corda Fratres: il sindaco Peppino Buzzanca, il procuratore generale Franco Cassata, il vicepresidente del Senato Domenico Nania.
La denuncia Pubblichiamo uno stralcio del Capitolo 9, “Soffia il vento”, del libro di Alfio Caruso su Adolfo Parmaliana, in uscita domani (Longanesi)
on solo tutto rimane come prima, senza nemmeno far lo sforzo di fingere che sia stata avviata una nuova stagione, ma addirittura Parmaliana accerta a proprie spese che l’essersi battuti per il Bene è considerata la peggiore delle offese. Il 3 febbraio 2006 il professore partecipa alla direzione messinese dei Democratici di sinistra da qualche mese al governo della città con la sindacatura Genovese, eletto dopo la forzata rinuncia di Buzzanca. La riunione è da subito incandescente. Così la ricostruisce il professor Nino Mantineo, docente di Diritto ecclesiastico all’Università di Catanzaro: “Il vero argomento di discussione riguardava la spartizione degli incarichi, nella fattispecie un fedelissimo da piazzare all’Ato, l’ente che in ogni provincia si occupa di rifiuti, acqua, fogne, depurazione. Il vecchio gruppo dirigente, incarnato da Gioacchino Silvestro e Angela Bottari, marito e moglie, incontrastati primattori fin dai tempi del Pci, ambiva alla riconferma dei propri uomini. Il segretario del momento, l’avvocato Marcello Scurria, sembrava abbastanza in sintonia. (...) Dopo di me prese la parola Parmaliana. (...) Attaccò le complicità del partito nelle logiche affaristiche, nell’alleanza con gruppi mafiosi. Fece riferimento al progetto d’insediamento artigianale e industriale di Terme Vigliatore, al quale erano interessati diversi dirigenti ds. (...) Fu subito circondato da un gruppetto di maggiorenti: Scurria, il deputato regionale Panarello, Silvestro e suo figlio. Lo sfidarono fisicamente, lui non cadde nel tranello, tuttavia venne ricoperto d’insulti sanguinosi, di epiteti violentissimi. Lo minacciarono pesantemente. Mi sembrò una vittima predestinata. (...)”. Parmaliana informa immediatamente i vertici del partito. Spedisce una lettera a Fassino, il segretario dell’epoca, e per conoscenza a Claudio Fava, a
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IO CHE DA MORTO VI PARLO Beppe Lumia, al segretario regionale, Capodicasa, a quello messinese, Santagati. “Cari compagni, venerdì 3 febbraio 2006, nel corso della riunione della direzione della federazione dei Democratici di sinistra di Messina, sono stato oggetto di intimidazioni e minacce da parte di taluni membri della direzione in riferimento a un articolo pubblicato lo stesso giorno dal settimanale Centonove, che riferisce della compartecipazione di alcuni iscritti e dirigenti del nostro partito in una vicenda riguardante la realizzazione dell’area artigianale nel comune di Terme Vigliatore (Me). Gli organi amministrativi del comune di Terme Vigliatore sono stati sciolti con decreto del presidente della Repubblica del 23/12/05 per accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata. Nelle motivazioni dello scioglimento si fa esplicito riferimento alla succitata vicenda della realizzazione dell’area artigianale nei termini ‘... iniziative spregiudicate intraprese... per condurre in porto rilevanti operazioni economiche... la vicenda è stata connotata da maldestri tentativi messi in atto per avvantaggiare economicamente... i soggetti cointeressati all’operazione’ e si evidenzia peraltro che ‘tra i soci del Consorzio vi sono amministratori locali e soggetti collegati a esponenti mafiosi’. I fatti riportati nell’arti-
colo risultano essere veri e documentati. In particolare, nel corso della riunione della direzione, Scurria, indicato nell’articolo come consulente legale del Consorzio, che avrebbe dovuto realizzare l’area artigianale, e Crisafulli Luigi Bruno, presidente del Consorzio, ripetutamente e congiuntamente mi hanno rivolto minacce, violenze verbali, offese e istigazioni. Panarello mi ha indicato come ispiratore dell’articolo e con fare veemente e toni violenti ha interrotto più volte il mio intervento alla direzione; a ciò si sono associati Silvestro e Bottari, quest’ultima chiedendo la convocazione immediata della commissione di garanzia probabilmente per adottare qualche provvedimento nei miei confronti, reo forse di aver condotto battaglie per la legalità e contro il malaffare. Sono stato avvicinato e circondato in maniera minacciosa da Crisafulli, Scurria e altri, e ho temuto per la mia incolumità personale. Il segretario della fe-
“Lo minacciarono pesantemente. Mi sembrò una vittima predestinata”
BUONE NOTIZIE
derazione e il presidente della direzione, visto il clima che si era creato e la sua possibile evoluzione, hanno deciso di sospendere e rinviare i lavori della direzione. Sono preoccupato per questa aggressione e ho avvertito la necessità di tutelare la mia incolumità personale, anche in considerazione della condizione di isolamento che tale vicenda potrebbe generare. Per contestualizzare la vicenda è opportuno richiamare alla vostra attenzione che: a) l’unità di base ‘M. D’Antona’, d’intesa con il segretario della federazione e con i dirigenti nazionali del partito (Violante, Lumia, Fava), ha condotto una straordinaria iniziativa politica per la legalità contro il malaffare e l’infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione amministrativa del comune di Terme Vigliatore contribuendo in maniera determinante all’emanazione del succitato provvedimento di scioglimento da parte del Presidente della Repubblica.
Questa attività politica, sebbene abbia caratterizzato l’unità di base sin dalla sua costituzione (1999), è stata particolarmente intensa e determinata dal 2003; b) in occasione dell’ultimo congresso di federazione (gennaio 2005) l’unità di base ‘M. D’Antona’ ha rivolto al partito un appello affinchè le questioni della legalità e della lotta alla mafia caratterizzassero la nostra iniziativa politica a livello provinciale. In considerazione di quanto esposto, vi chiedo di voler esprimere le vostre valutazioni su tali fatti e di adottare le necessarie determinazioni”. “Ho bisogno di conoscere se la lotta per la legalità, la trasparenza e la democrazia e contro il malaffare, il consociativismo e la mafia e la questione morale sono temi centrali dell’impegno politico dei Ds, in particolare in Sicilia, o se piuttosto siano temi da utilizzare in termini virtuali ed effimeri per la propaganda elettorale o per il proselitismo che potrebbero diventare ‘scomodi’ quando vengono assunti come pratica, strumento e fine della nostra azione politica (...)”. Non arrivano risposte né tanto meno solidarietà altolocate. Ormai Parmaliana c’è abituato. Probabilmente neanche ci bada”.
a cura della redazione di Cacaonline
IMPARARE DAGLI SPRECHI La palazzina più ecologica d’Italia Si trova ad Albenga (Savona) ed è ormai in fase di ultimazione: è composta da 24 alloggi e 800 mq di uffici ad altissima efficienza energetica. In ogni locale vi sono 60 “accorgimenti ecologici”, dall’energia elettrica prodotta con celle fotovoltaiche, al riscaldamento e raffrescamento geotermico, dagli impianti di riciclo dell’acqua ai materiali riciclati e isolanti utilizzati nella costruzione. Per progettare la struttura l’architetto Giorgio Mallarino ha analizzato in modo scientifico tutti gli sprechi di una casa, dalla ventilazione dei locali agli
elettrodomestici, scegliendo per ognuno l’ecotecnologia più efficiente. Il risultato è una costruzione che è anche una centrale energetica in grado di sfruttare tutte le fonti rinnovabili. Baciati dalla fortuna Eugene e Adeline Angelo sono una coppia felice di New York. Qualche settimana fa hanno vinto per la seconda volta alla Lotteria: 5 milioni di dollari, che si aggiungono ai 2,5 vinti nel 1996. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
Winehouse Il padre di Amy: mia figlia guarita da ogni dipendenza
Jackie O All’asta le foto della ex signora Kennedy nuda
Barenboim Finché c’è affetto, resterò alla Scala: parola di Daniel
Angiolini Lo spogliarello di Ce n’è per tutti? Un po’ imbarazzante
TEATR O
LE IENE DI DIO Luca e Paolo, aspettando Gesù Da domani a Genova in scena la “Passione” di Silvia
Truzzi
S
i può ridere con Dio? Forse sì. Alla domanda “Che faceva Dio prima di creare il cielo e la terra?”, Agostino risponde: “Preparava l’inferno per quelli che fanno domande così”. E nelle Confessioni supplica: “Signore rendimi casto, ma non subito”. Una quindicina di secoli dopo due uomini, in un teatro genovese, si esercitano sul tema della religione e della morte aspettando Gesù come Godot. Hanno parlato a lungo di passione e spiritualità: decisamente, sono buoni compagni di viaggio. I due ladroni hanno un sacco di cose da domandare e su cui lasciarsi andare. L’attesa di Cristo è il tempo che serve a Paolo Kessisoglu e Luca Bizzarri per mettere in scena la loro personalissima Passione (Al Politeama genovese, da domani: www.politeamagenovese.it). Non un requiem, certamente uno spiritual che
assomiglia a un pezzo jazz dove si rincorrono malinconia, paura, sorrisi. C’è la morte in questo spettacolo vivo – scritto assieme a Martino Clericetti e Michele Serra – e qualche altro demone in sottofondo. Un Dio che metaforicamente è altrove e contemporaneamente in tutte le cose. Soprattutto, ci sono domande.
gato tantissimo, sempre per chiedere qualcosa, ovviamente. Gesù dice che si può pregare anche nella propria stanza e io lo faccio. Non vado a messa perché non mi piacciono le manifestazioni che la fede ha nella società. Ma non è colpa mia, è colpa della Santa Romana Chiesa”. E sembra un po’ la maestra vecchia di Guareschi: mentre Don Camillo sta per darle
l’estrema unzione, candidamente gli spiega che lei sarebbe andata in Paradiso, dritta dritta senza passare dal via. Ne era assolutamente certa e all’imbarazzato confessore che obiettava il peccato di superbia risponde: “Stanotte ho ricevuto in sogno la visita di Gesù e mi ha detto che sarei andata in paradiso. Il signor curato vuol saperne più di Gesù Cri-
er esempio: che succede Psponde: dopo? Luca (23, 43) ri“Sarai con me in paradiso”. Un meno evangelico omonimo, ha troppi dubbi per dare risposte. Anche perché dei due ladroni – entrambi colpevoli ma diversissimi nell’accogliere la sorte e Gesù morente – Luca interpreta il cattivo. Di sicuro il più arrabbiato. Il gioco delle parti non è un caso: “Con Dio ho un rapporto violento. Non è mia la relazione subordinata imposta dalla Santa Romana Chiesa. Abramo, credo sia lui, gli si rivolge così: io sono tuo figlio, ma tu sei mio padre. Traduzione: hai diritti, ma anche doveri”. Luca parla di Dio senza timore e con Dio dandogli, disarmante disinvoltura, del tu. “Della lezione di Cristo mi piacciono due cose. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. E porgi l’altra guancia, anche se tutte le volte che vorrei farlo, non ci riesco. Ma io sono un uomo. Però prego. In alcuni periodi della mia vita ho pre-
Wiener Philharmoniker
NOTE SACRE IN BASILICA proposte musicali d’alto rilievo artistico, nella Ocali:tto suggestiva cornice delle quattro basiliche patriarè il programma del Festival Internazionale di Musica Sacra (www.festivalmusicaeartesacra.net), appuntamento di richiamo dell’autunno romano giunto all’ottava edizione. Protagonisti del Festival, che si apre oggi nella Basilica Lateranense col concerto del Coro Polifonico fondato e diretto da Domenico Bartolucci, sono quest’anno la polifonia della scuola romana e l’organo, strumento principe della liturgia. Ma l’evento maggiormente atteso è quello di venerdì sera con i Wiener Philharmoniker, orchestra in residence del Festival, una delle rare occasioni per ascoltare in Italia lo storico e prestigioso complesso, famoso anche per il celebre Concerto di Capodanno. Nella Basilica di Santa Maria Maggiore, presenti con la loro formazione da camera, i Wiener eseguiranno due raffinate pagine del classicismo viennese: il Quintetto per clarinetto e archi di Mozart e l’Ottetto di Schubert. Giorgio Cerasoli
sto?”. Nella Passione di Luca e Paolo invece c’è spazio solo per le ipotesi. E per il paradosso di Pascal: la fede si fonda non sulla ragione, ma nell’ammettere il suo fallimento, dentro un caos infinito. In questo caos i due ladroni genovesi si danno alla pazza gioia parlando di confine, di dopo, di morte. “Io non credo”, dice Paolo in una pausa delle prove, “che abbiamo rimosso l’idea della morte. Forse l’informazione ci vuole depistare su altro. Ma a chi ha dubbi sulla vita consiglio di andare su YouTube e ascoltare il discorso di Steve Jobs agli studenti di Stanford. Dice che la morte è la più grande invenzione della vita. È l’agente del cambiamento, spazza via il vecchio per fare posto al nuovo. Il cambiamento è il nodo centrale. Anche della mia esistenza. In quattro mesi io mi sono sposato e ho fatto una figlia. È stato un cambiamento in meglio. Molto in meglio”. E Luca: “Vorrei, davvero, vorrei avere rimosso la morte. Ma non ci sono mai riuscito. Ci penso tanto e spesso. Vorrei essere come Margherita Hack. Una volta l’ho sentita parlare di cosa c’è dopo la morte. E lei ha risposto: niente. Io non so stare in quel niente, so stare solo dentro il punto interrogativo”. Va in scena anche un quiz, Dio è il concorrente. Intanto
due scarafaggi osservano. E glossano, indulgenti, le peripezie di due poveri cristi mentre si affannano nell’attesa - ansiosa e curiosa - dell’uomo che verrà, non conoscendo affatto la statura di Dio. Poi c’è il tempo. Che passa e avvicina alla fine. Paolo - voce artica, a una distanza siderale dall’interlocutore - non ha dubbi sul tempo: “Il tempo è poco, se sei consapevole che devi morire capisci che bisogna usarlo bene e fare delle cose. Assolutamente”. ndrà di moda la consapeAlocità, volezza al tempo della vedell’anestesia permanente, del non penso dunque sono? Si va per tentativi. Dopotutto se la vita è il sentimento dell’esistenza, la morte è l’unica cosa che non si deve accettare. È, semplicemente, data. Questo spettacolo – “frutto della nostra maturazione”, come spiega Paolo - dieci anni fa non ci sarebbe stato. Per fortuna: si può decidere di crescere (da Le iene fin qui) e di vivere. Nel mezzo inquietudini, scelte, cambiamenti, compromessi, passioni diverse dalla Via crucis, successi, preghiere, abbagli, solitudini cloroformizzate alla meglio, traguardi, cazzate assortite. E silenzi da riempire - in modulazione di frequenza con Radio Radicale - aspettando Gesù, il sonno e una temporanea tregua (Luca, non l’Evangelista).
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SECONDO TEMPO
TENSIONI
PISTOLE E PALLONI
Algeria-Egitto: Il calcio come una guerra Nel ‘69, tra El Salvador e Honduras, 6.000 morti di Malcom Pagani
ll’improvviso, il vento smise di suonare la sua armonica. Il colpo secco spaventò vicini, gatti e senzatetto. Poi si alimentò e diventò guerra. Ieri come oggi. Ascoltare significa sapere, ma intuire ciò che sta per accadere, non sempre salva dalle conseguenze. Stasera, in una delle nazioni più disperate del pianeta, dove la sharìa è realtà e ai calciatori sorpresi a bere alcool vengono comminate decine di frustate (è accaduto una settimana fa a Stephen Worgu, nigeriano, ventenne in forza all’Inter locale, l’Al-Merreikh), si gioca a calcio. Algeria ed Egitto, l’una contro l’altra, a Khartoum, Sudan, per poter precipitare con glorie e onori, migliaia di chilometri più a sud, a Johannesburg, per la prima Coppa del Mondo africana nell’estate 2010. Se il Panarabismo è morto con Nasser, l’eco della follia reciproca, dei pullman assaltati a pietrate, dei giocatori bendati che scendono in campo menomati, portando sul volto l’iconografia del martirio sportivo, diventano strumento e braccio inconsapevole di un potere cinico, che dimèntico di problemi e concessioni di diritti elementari, lascia scientemente allo stadio e alle sue pulsioni ancestrali, lo spazio della manifestazione rivoltosa e trascina le folle all’assalto di banche e agenzie aeree. Solo l’altro ieri, ad Algeri, dopo i colpi proibiti a Marsiglia e a Parigi, dalle banlieue ai Campi Elisi, cinque milioni di euro di danni. Qui De Gaulle, i pieds-noirs, le colonie e i film di Gillo Pontecorvo non c’entrano. Dopo centottanta minuti di fuoco, stasera, non senza prevedibili strascichi di violenza, fuoco e polvere da sparo, l’incontro decisivo. Le rabbie nazionalmunicipalistiche hanno coinvolto i governi. Rapporti gelidi tra le rappresentanze diplomatiche e nazioni che mettono mano al portafogli per offrire ai cittadini in cattività, l’ora e mezza d’aria propedeutica al mantenimento dell’esistente. Lo Stato algerino ha contribuito finanziariamente al trasporto dei tifosi, con la compagnia Air Algerie e in caso di necessità ha deciso “di mobilitare gli aerei da trasporto dell’esercito algerino”. Khartoum teme. L’esercito è in allerta. Per chiunque vinca, ci sarà un pedaggio. Sangue e arena. Pistole e palloni. La storia si ripete ma non si fa “imparare”. C’era un silenzio senza redenzione in quella notte di mezza estate del 1969. Dallo schermo bianco del suo televi-
A
sore, i diciott’anni di Amelia Bolanos, sembravano possedere un’eco millenaria.
lo, consigliò ai suoi una condotta urbana. “Per fortuna abbiamo perso” disse.
spareggio mondiale tra Honduue morti sugli spalti, duecento Lunaoraspartita ed El Salvador era molto più di D auto bruciate, paura, frontiere di calcio tra due dittature, chiuse la sera stessa. Così le deleinfinitamente più importante di una gara volta a designare quale tra le due piccole nazioni in odio permanente, avrebbe raggiunto le nuvole messicane del 1970. Due partite, andata e ritorno. Il Salvador cominciò a perdere la prima molto prima che si scendesse in campo. Assediati nel proprio albergo, tenuti surrettiziamente in piedi con un concerto di pentole e tamburi, poi stravolti, tra un’intimidazione e una minaccia e battuti a un minuto dalla fine, da un gol in coabitazione tra l’attaccante Cardona e il difensore Leonard Wells. Amelia lasciò il raziocinio in un angolo, raggiunse la scrivania del padre, osservò la pistola, strinse la canna tra le mani e puntò dritto al cuore. Un colpo, solo uno, sufficiente a “El Nacional”, il giornale di San Salvador, per spiegare agli abitanti, nessi e ragioni alla base del gesto: “La giovane non ha retto al dolore di vedere la sua patria messa in ginocchio”. Così piovvero funerali di Stato, ministri e presidenti della Repubblica al seguito del feretro, santificazioni capziose, gogne pubbliche (gli undici “indegni” che avevano osato perdere a Tegucigalpa, sfilarono durante le esequie tra insulti e sputi) e propositi di vendetta. Nei giorni in cui in Italia nasceva “il Manifesto”, Neil Armstrong preparava la sua missione sulla Luna e i Rolling Stones si accingevano a rendere Hyde Park, un’irrinunciabile tappa londinese per generazioni di nostalgici, la nazionale dell’Honduras rese visita ai rivali. Il 15 giugno, andò anche peggio. Albergo assediato, vetri rotti, fumogeni e topi morti lanciati con le balaustre nelle camere di Varela e compagni. Scortati dai carriarmati dell’esercito salvadoregno, mentre ai bordi delle strade, una folla spiritata sventolava urlando le foto di Amelia “maldidos” “hijos de puta”, gli honduregni arrivarono frastornati allo stadio “Flor Blanca” e presero tre gol. Griffin, l’allenatore, dopo aver visto la bandiera nazionale bruciata e il sabba di popo-
gazioni survoltate ebbero una cornice apparentemente neutra e finale, all’Atzeca di Città del Messico, accompagnate da canzoni parabelliche: “Su compagni/ l’ora è questa/ all’aggressore taglieremo la testa” o anche, sul tema, “qualche botta/ due bu-bu/ e l’Honduras non c’è più”. Il 26 giugno, un anno prima di osservare Pelé lasciare sulle gambe Albertosi e trascinare la Rimet a Rio, venne l’ora della gara decisiva. Cinquemila agenti in assetto antisommossa, inutili come l’ombrello in una tempesta. Ore di battaglia senza esclusione di colpi, pistolettate e bastoni nelle vie circostanti. Ogni barlume di diplomazia venne a cadere e gli scontri, il 14 luglio, ebbero il via. Senza dichiarazioni, proclami, annunci. Sporca, come
lasciare spazio all’orgoglio nazionale. Ferito, in cerca di riscatto e dominato dal protofascismo di gente senza scrupoli come Arellano, Sanchez Hernandez o Ramirez Ortega. se i caudilli di ogni natura, dall’arEKempes gentino Jorge Videla cui Mario (capelli lunghi, dolore nel petto) rifiutò di stringere la mano, nel Mondiale insanguinato dei mille “Garage Olimpo”, quello del 1978, ad Ahmadinejad che detesta lo sport ma seppe aprire gli stadi alla presenza femminile, hanno sempre sfruttato l’evento per fini politici, il pallone, come sosteneva Bill Shankly, coach di uno storico Liverpool, “E’ molto più importante della vita o della morte”. Scatena conflitti, libera odii sottotraccia che deflagrano per un fuorigioco, una rete sospetta o persino una gara mai disputata. Pretesto e fondamento, ossimoro vivente. La mano di Maradona, un pugno al cielo librato per punire insieme a Peter Shilton, la sanguinaria Maggie Thatcher (sulla definizione, gli argentini di ogni credo,
censo o inclinazione, non hanno mai dubitato) e gli incrociatori inglesi in schiacciante predominio nelle acque gelide delle Falkland- Malvinas, i cori dei messicani: “Osama, Osama”, le ragazzine iraniane del regista Jafar Panahi che in “Offside” beffano il regime e una volta scoperte, implorano la polizia islamica: “Almeno offriteci una radiolina, diteci, quanto stiamo?”. l debole che in quel recinto franco, Ipraffazione senza altre armi, sperimenta la soverbale o pedatoria, inganna, sovverte i rapporti di forza, fa incontrare individui reciprocamente abituati al silenzio. E’ il pallone, la sua equivoca magia. L’architrave del conflitto nell’ex Jugoslavia, prende forma tra le linee illusoriamente perfette di un campo di pallone. Zagabria, 13 maggio 1990. Una settimana dopo le elezioni che avevano visto trionfare Tudjman, tra Dinamo e Stella Rossa, sugli spalti del “Maksimir”, tra i 20.000 spettatori accade di tutto. Colpi, botte, spranghe brandite, coltellate, cori. “Zagabria è serba/ uccidere-
mo Tudjman). Croati contro serbi, i primi favorevoli a una confederazione, i secondi, guidati da Slobodan Miloševic e con i sodali della tigre criminale Arkan scatenati dentro e fuori lo stadio, ben oltre la contrarietà. La polizia (in prevalenza serba) caricò i croati, la partita non si disputò mai e nel caos, Boban, colpì un poliziotto con un calcio che fece storia. I sei mesi di squalifica della federazione jugoslava, non spinsero Zvone al pentimento: "Ho reagito a una grande ingiustizia”. In molti (senza soffrire di visioni) lessero gli episodi di Zagabria come l’ouverture della mattanza balcanica. A Khartoum, non si aspettano un quadro dalle tinte differenti. Anche se i rapporti tra egiziani e algerini, non soffrono neanche del nervosimo da confine e come insegna Orwell, “il calcio non è solo colpire un pallone. E’ lottare”. Durò una vita intera l’ultimo minuto e non trascorse mai davvero, il tempo che passò. Oltre il fischio finale, c’è sempre un’appendice. Migliore di un romanzo, peggiore della realtà. Palla al centro. Come sempre, ma non in eterno, zero a zero.
Nel maggio 1990, un calcio di Boban scatenò le pulsioni già presenti alla vigilia del conflitto jugoslavo ogni guerra e combattuta con residuati del Secondo conflitto mondiale, fucili di terza mano, torture di ogni genere, convenzioni di Ginevra dimenticate nell’angolo delle regole trascurabili. Sei giorni, lampi di orrore e nessuna poesia, come ai tempi del Kippur, nel ‘73. 6000 morti, 50.000 sfollati, relazioni che rimasero inaffrontabili sino alla (semi) tregua del 1980. Le reali ragioni del dissidio (politica latifondista, povertà, mancanza di sbocchi economici e commerciali sull’Oceano Atlantico, arretratezza complessiva, emigrazione, accusa di castrismo rivolta al Salvador dall’Honduras e viceversa), sparirono per Le tensioni tra Algeria ed Egitto viste dal vignettista Mario Natangelo
Il mondo (magico) di Oshima di Anna Maria Pasetti
invito è alla rinuncia. Il mondo L’completo interiore di Nagisa Oshima è un mistero. Almeno sul piano della comprensione che voglia escludere le passioni. I critici più raffinati l’hanno capito da tempo, Charlotte Rampling, sua musa nell’ultimo film europeo del maestro giapponese, l’ha dichiarato con l’apparente semplicità di sempre. È arrivata a Torino a testimoniare la sua esperienza in Max, mon amour (1986) che ha presentato a una platea dalle generazioni trasversali. Sotto la Mole, al 27° Festival nonché il primo diretto da Gianni Amelio, si sta consumando un evento cine-culturale che è già storia: la
più completa retrospettiva dedicata all’artista, oggi gravemente malato e per questo assente. La cura della rassegna, totale e commossa, è di Stefano Francia di Celle che si è occupato anche del libro pubblicato da Il Castoro, Nagisa Oshima (238 pag, 105 foto, 26 euro) presentato qui al festival. Perché Oshima? Senza troppi pleonasmi, l’ha sintetizzato il neo direttore artistico: “Ha inciso la carne e lo spirito di una generazione di registi, specialmente la mia e io ne sono tra i più colpiti”. In cartellone non solo tutti i film, ma anche i lavori che il regista realizzò per la tv giapponese, che emanano di eterogeneo quanto l’incontenibile curiosità di Nagisa verso l’universo che lo circondava. Tali documen-
tari sono inediti perfino fuori dal Giappone e la notizia – buona, anzi eccellente – è che la Rai ne ha acquisito i diritti per la programmazione, probabilmente nell’ambito delle notti di Fuori Orario. Abituati a connotare Oshima con la sua straordinaria e prolifica produzione cinematografica, specie quella che lo rese il censurato per eccellenza, il poeta dell’erotismo che non si finirebbe mai di gustare, il supremo iconoclasta indie dal momento in cui si auto-produsse i film, la sorpresa viene tutta da questo patrimonio mai visto, che va a sondare temi difficilmente riconducibili alle memorie occidentali. Nel doc di 25’ Hankotsu no toride – A Rebel’s Fortress del 1964 racconta nel vivido
bianco e nero di allora l’incredibile resistenza degli abitanti della regione giapponese Kiuschiu, presso una fortezza, alla costruzione di una diga. Si forma un comitato di protesta, un sit-in eroico: Oshima riprende i primi piani dei volti scavati, mai rassegnati dei resistenti. Sono anziani, giovani, famiglie. La diga, si sente dichiarare, è un atto violento contro i diritti umani, data l’evacuazione comportata. Con panoramiche meditate, la poesia si fa immagine di resistenza. Altrettanto toccante è Seishun no hi – The Tomb of Youth dello stesso anno. I giovani perseguitati sono i coreani post guerra del 1950, che comportò 520mila morti e 50mila orfani. I miserabili di Nagisa, piccoli e indi-
fesi, sono raccolti in campi-orfanotrofio, si cibano di zuppa che da noi neppure i cani annuserebbero. E anche qui, con tocco di personalità che permette la ricognizione del dolore oltre la maschera, Oshima rappresenta la perfetta tristezza di questa gioventù. Che non è la “crudele” raccontata nel 1960. Ed è del 1976 lo straordinario documento su Mao Tse-Tung: Denki Motokuto – La vita di Mao. Un filmato teso, sincopato e che va subito al punto. Non manca nulla, Mao è visto come “l’uomo della lotta”, il rivoluzionario “la cui priorità fu sempre la riorganizzazione delle masse contadine”, ma che si trovò negli ultimi anni a stringere le mani di tutti i capi mondiali. E Oshima li mostrò tutti.
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SECONDO TEMPO
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TELE COMANDO TG PAPI
La realpolitik del Tg1 di Paolo
Ojetti
g1 T Dato che Berlusconi non è più “presidente” inaugurante e quindi non è più possibile incensarlo, la Fao e la fame nel mondo precipitano al quinto posto del notiziario del Tg1. I bambini continuano a morire di fame uno ogni 5 secondi, ma pazienza, cose che capitano. Meglio assai riprendere il “premier” che mangia: a cena con Gheddafi, l’amicone della quarta sponda e a pranzo con Erdogan, l’altro amicone del Bosforo che ci garantisce il passaggio del gas russo. Nei servizi politici, anche il refrattario Tg1 fa finalmente balenare un pizzico di realpolitik, nel senso di politica reale: Berlusconi e i suoi fedelissimi stanno facendo i conti se convenga o meno andare alle elezioni politiche anticipate o se – sondag-
gi sfavorevoli in agguato – sia preferibile affrontare un logorante iter parlamentare sul “processo breve” salva premier. Nell’attesa, Schifani vorrebbe tenere separate “le riforme costituzionali” dalle scorciatoie giudiziarie su misura. Idea che è “irrealpolitik”, ma Simona Sala garantisce che Anna Finocchiaro è d’accordo. Il Tg1 delle 8,00 avvertiva: pedagoghi scoprono che è meglio non sculacciare i bambini, ne risentono da grandi. g2 T Nell’intervallo dell’orrorifica partita dell’under 21, un Tg2 sogliola, schiacciato e brevilineo. Dario Laruffa anticipa l’edizione serale, spiegando che la politica è tornata di prepotenza in primo piano. Vero. Schifani chiama a raccolta la maggioranza, altrimenti ci sono le elezioni anticipate. Anna Finocchiaro accetta la
sfida della maggioranza: bene, facciamo le riforme costituzionali, partendo dalla riduzione dei parlamentari e dal Senato federale. Silenzio degli altri: ci parliamo solo se cessano gli attacchi a Berlusconi. Tutto sommato, non sembrano nemmeno grandi manovre, ma piccole, come il Tg2. g3 T E la predominanza della politica è un invito a nozze per il telegiornale più politico che ci sia. E spiega con chiarezza: “Schifani chiede coesione alla maggioranza, oppure meglio le elezioni anticipate. E quella di Schifani – postilla Pierluca Terzulli – non è mica un’opinione qualunque, è un uomo che è in perfetta sintonia con Berlusconi”. Appaiono le prime pagine del Giornale e di Libero: basta con il doppio gioco di Fini, Silvio butta giù il teatrino. Ma non basta: i finiani del Pdl (tranne Gasparri e i berlusconizzati a 18 carati) voteranno per la sfiducia a Cosentino, una spaccatura verticale. Il Tg3 mostra anche le crepe fra Bersani e Di Pietro, ma snobba Maroni e l’allarme terrorismo. Sia detto per inciso, sembra davvero un allarme a orologeria.
di Luigi
Galella
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Didascalie a un reality
del “Grande Fratello” non INelprotagonisti hanno niente a che fare con la “realtà”. senso che di essa non testimoniano né la normalità né l’eccezione. Sembrano partoriti dalla mente di un divertito demiurgo, che sovrintende e governa l’universo dei media. Né pessimi, né eccellenti. Ma piuttosto alieni, precipitati sulla terra a intrattenerci in questa nuova, moderna versione del vecchio varietà. Bizzarre figure, strane parti dell’umana specie che la Gialappa’s (“Mai dire Grande Fratello”, lunedì, Canale 5, 1,10) attraverso il filtro dell’ironia, rende sopportabili e anzi addirittura simpatici. L’esibizione del grottesco involontario li umanizza e contribuisce ad allargare il mercato del prodotto a un pubblico più ampio, che ride degli errori linguistici e delle logiche sconnessioni di cui sono protagonisti. Da sempre, il principale strumento operativo della Gialappa’s è la didascalia. Basta sottotitolare il discorso di un personaggio televisivo per metterne in evidenza spesso le elementari infrazioni “Mai dire Grande Fratello” alla logica e alla il lunedì grammatica. La disu Canale 5 dascalia è la lente d’ingrandimento dello strafalcione, che lo denuda e amplifica. un Ubelloncertoesempio: George, il del gruppo, sedicente leader dello stesso, all’indirizzo di Veronica:
“Questo è un pul parler. Cioè proprio vedi che tu un altro attac tutututu… mi ricordo proprio che tu m’hai detto: trrutrutrutru, sei partita… fuuuuuuuu, poi fuuuuuuuu”. Le onomatopee sono della Gialappa’s e tentano in fondo di nobilitare l’informe aggregato di parole. Torna dunque il vecchio interrogativo: ma questi ci sono o ci fanno? puntata del programma i tre fustigatori – di cui conosciamo la voce Ne cheell’ultima solo di rado mostrano i volti – hanno seguito fra gli altri l’emergente del gruppo, Mauro, capelli lunghi neri e basettoni, che nel confessionale rivela uno scherzo che intende mettere in atto: dirà a George di essere bisex. Lo vediamo quindi mentre pronuncia il finto coming out, prima accolto dal compagno della casa, che gli mostra solidarietà e che presto però sarà in difficoltà perché Mauro inizia a rivolgergli delle attenzioni: gli tocca il viso, lo accarezza, gli palpa perfino il sedere. E mentre lo abbraccia fa le linguacce rivolte alla telecamera. Rivelando in questo modo una potenzialità “pirandelliana”, che nessun personaggio del Grande Fratello aveva finora utilizzato: l’uso della telecamera in funzione di doppia consapevolezza, di fronte al pubblico di casa e di fronte agli altri compagni. Dimostrando di poter interpretare il ruolo di chi infine si prende gioco degli uni e degli altri. Al punto che la Gialappa’s che finora aveva messo in evidenza la stranezza e frivolezza del personaggio è costretta a chiosare: “Un genio travestito da imbecille”. Alieni sì, che un po’ ci sono un po’ ci fanno, ma qualche volta geniali imbecilli.
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SECONDO TEMPO
MONDO Il Nobel 2010? A Internet annuncio è arrivato ieri durante la presentazione della conferenza “Science for peace”, ideata da Umberto Veronesi (in programma il 20 e il 21 novembre all’Univesità Bocconi): Internet verrà candidato al Nobel per la Pace 2010 dalla rivista Wired Italia. Ad annunciarlo è stato Riccardo Luna, direttore della rivista di cultura digitale Wired, che in America fin dal 1993 ha raccontato e accompagnato la rivoluzione della Rete, e che dalla scorsa primavera è sbarcata anche in Italia. Su Facebook circolano le anticipazioni sulla proposta di candidatura. Si legge: “Abbiamo finalmente capito che Internet non è una rete di computer ma un intreccio infinito di persone. Uomini e donne, a tutte le latitudini, si connettono tra loro, attraverso la più grande piattaforma di relazione che l’umanità abbia mai avuto. La cultura digitale ha creato le fondamenta per una nuova civiltà. Da sempre la democrazia germoglia dove c’è accoglienza, ascolto, scambio e condivisione. E da sempre l’incontro con l’altro è l’antidoto
L’
SKF=Cinema Family SKM=Cinema Max
17.50 Le morti di Ian Stone SKM 19.05 P.S. I Love You SKH 19.10 Zoolander SKMa 19.20 Storm Cell - Pericolo SKM dal cielo 19.20 Daddy Cool - Non rompere papà SK1 19.30 Dragon - La storia di Bruce Lee SKF 21.02 Un amore di testimone SKF 21.02 Cuba Libre - La notte del giudizio SKM 21.03 Prima visione Il mio sogno più grande SK1 21.07 Pa-ra-da SKMa 21.17 L’ultimo dei Mohicani SKH 22.45 Il ritorno di Mr. Ripley SK1 22.50 Big trouble - Una valigia piena di guai SKF 22.55 Good Morning Vientnam SKMa 23.00 Wolf SKM 23.15 I Tenenbaum SKH 0.35 Un giorno perfetto SK1 0.40 Insonnia d’amore SKF 0.55 Il fiore del mio segreto SKMa 1.05 L’ultima missione SKM
SP1=Sport 1 SP2=Sport 2 SP3=Sport 3
18.00 Basket, Serie A maschile 2009/2010 6a giornata Avellino Ferrara (Sintesi) SP2 18.33 Calcio, UEFA Champions League 2009/2010 Fase a gironi 4a giornata Atletico Madrid Chelsea (Replica) SP3 20.30 Rugby, Test Match 2009 Italia - Nuova Zelanda (Sin) SP2 21.00 Basket, Serie A maschile 2009/2010 6a giornata Varese Virtus Bologna (Replica) SP3 21.00 Calcio, Serie A 2009/2010 12a giornata Lazio - Milan (Replica) SP1 22.00 Football, NCAA 2009 Big Ten Conference Michigan State - Gonzaga (Replica) SP2 23.00 Rugby, Test Match 2009 Francia - Sud Africa (Re) SP3 0.00 Poker, Poker World Series 2005 Episodio 17 (Replica) SP2 0.47 UEFA Champions League 09/10 Fase a gironi 4a giornata Maccabi Haifa - Juventus (Replica) SP3
RADIO A “28Minuti” Paolo Crepet l’amico di “Sfamiglia” Torniamo ad occuparci di disagio giovanile. Oggi Barbara Palombelli ospita lo psichiatra Paolo Crepet che presenta il suo ultimo libro “Sfamiglie. Vademecum per un genitore che non si vuole rassegnare” : un importante, meditato, utilissimo abbecedario dove ogni parola chiave è l’occasione per raccontare una storia vera, che ci riguarda e che fa riflettere su quei comportamenti che possono ifluenzare la crescita dei nostri ragazzi.Attraverso l’esperienza decennale di incontri con le famiglie nelle diverse province italiane, Crepet parte dai nostri gesti quotidiani per ragionare sulle famiglie di oggi.
Radiodue 13,00
di Federico
Mello
è MTV METTE TUTTO ONLINE 25.000 VIDEO GRATUITI
Insediata da YouTube e dalla diffusione di musica sul Web, Mtv si lancia su Internet: è online Mtvmusic.com. La rete musicale trasforma così i suoi contenuti fatti di concerti esclusivi, interviste, videoclip, show musicali in file digitali gratuiti. Gli utenti hanno accesso a circa 25 mila video: dagli Mtv Unplugged, agli speciali Divas di VH1, dalle divertenti ospitate di artisti nei programmi più noti, alle esibizioni più famose dei Vmas e degli Emas e tutti i grandi eventi italiani, dall’Mtv Day ai Trl Awards.
Per il New Oxford American Dictionary, “Unfriend” è un verbo transitivo che, tradotto dal linguaggio del social network, vuol dire “Rimuovere qualcuno dalla lista degli amicì” (p.e.: “Ho deciso ‘unfriend’ una mia amica dopo che abbiamo litigato”). La voce, addirittura, si è aggiudicata il titolo di “parola dell’anno 2009”. Anche nella lingua italiana alcuni neologismi arrivano direttamente da Internet (uno per tutti “googolare”, cercare su Google). Tradurre “unfriend” sarà più difficile.
DAGOSPIA
feedback$ è ANTEFATTO SU FACEBOOK Commenti allo status: “Il Vertice della Fao si chiude con un accorato appello contro la fame nel mondo. Di soldi nemmeno l’ombra”.
C’era da aspettarsi diversamente? (Edoardo L.) L’appello rivolto a chi? Non dovrebbero essere loro (i capi di Stato) a decidere se attuare politiche di aiuto? (Alessandro F.)
CHI VA AD AVVENIRE?
Ancora non è deciso chi sarà il prossimo direttore di Avvenire, ma certamente non sarà Gianfranco Fabi. La rosa dei candidati, che Bagnasco ha finalmente comunicato una settimana fa alla presidenza della Cei dopo lunga riflessione, è ormai ristretta a due soli nomi: uno è quello dell’attuale reggente Marco Tarquinio, l’altro dell’inviato e capo del servizio vaticano Salvatore Mazza. Il primo è il candidato “naturale” di Bagnasco, ma alcuni vescovi lo considerano un po’ troppo la fotocopia di Boffo senza, però, la curialità del predecessore. Il secondo è ovviamente conosciutissimo in Vaticano, ha meno esperienza di desk ma potrebbe avere l’ok automatico da Oltretevere, cosa che risparmierebbe a Bagnasco possibili lunghe trattative con Bertone, col quale fino a oggi ha evitato ogni contatto sulla vicenda. Bagnasco nel presentare i nomi ha chiesto ai membri della presidenza di fargli avere rapidamente un loro parere, perché vuole chiudere la faccenda entro il 30 novembre.
L'appello di Wired Italia, la priam copertina di Wired Usa, Mtvmusic, Colpo di spugna.
Speriamo che almeno ‘sta volta si siano risparmiati la battuta Berlusconi style alla fine del Vertice (Giampietro B.) Basterebbe finirla di sfruttare e vendere armi ai paesi in via di sviluppo, se solo il nord del mondo fosse meno ipocrita e colonizzatore... (Arianna M.) Hahaha no no, ha raccontato la barzelletta su Marx... meglio se si addormenta... (Ruggero C.) Ragli d’asino non arrivano in cielo... e neanche in Africa... anche perché i paesi più disagiati son quelli più intrisi e illusi di chiesa. La spiritualità non ha religione, così come la legge non ha partito (Zio Vania) Mi sarei stupito del contrario... (David C.)
LO SPORT
I FILM SK1= Cinema 1 SKH=Cinema Hits SKMa=Cinema Mania
più efficace all’odio e al conflitto. Ecco perché Internet è strumento di pace. Ecco perché la Rete merita il prossimo Nobel per la Pace. E sarà un Nobel dato anche a ciascuno di noi”. Anche Veronesi, presente alla conferenza, ha espresso parole di apprezzamento: “Internet è un grande strumento di pace – le parole dello scienziato – perché i ragazzi comunicano in tutto il mondo ignorando confini, religioni, gruppi etnici cui appartengono. E questa è un’enorme base di partenza per costruire una pace universale”. Wired Italia, oltre a lanciare una campagna online, metterà in campo anche il mensile sulla candidatura: già dal prossimo numero saranno coinvolti numerosi ambasciatori e supporters, primi fra tutti il premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi e lo stesso Veronesi.
WEB
è NEGLI USA “UNFRIEND” È UN VERBO QUANDO SI CANCELLA UN AMICO SU FACEBOOK
GRILLO DOCET CHE NOIA QUI
al bar... Ogni tanto ho un dubbio. Ma i diversi siamo noi o sono loro? Poi guardo Gasparri e mi passa ogni incertezza. “Ciao a tutti, oggi mi è capitata una cosa incredibile, ero nel bar della zona dove abito e a un tratto si e incominciato a parlare di politica (solo per questo mi sono meravigliato). Io, essendo un lettore del Fatto Quotidiano e seguendo un po’ di blogger, credo di essere un po’ informato. Mi sono reso conto che la gente è veramente disinformata ed è talmente manipolata che parlano come i vari Cicchitto, Lupi, La Russa e chi piu ne ha più ne metta. Quando cercavo di dialogare su qualche quesito mi si rivoltavano addosso urlando in modo che mi coprissero la voce, dicendomi che non capivo un cazzo e che i vari Travaglio, Santoro e Beppe Grillo mi avevano plagiato. Capite dove stiamo arrivando, noi della Rete siamo quelli plagiati, siamo i disinformati. Io volevo ringraziare di cuore (lo dico con sincerità) i Travaglio, i Santoro e i vari Beppe Grillo che continuano a informarci e a lottare contro questa massa di ignoranti e di vecchi rincoglioniti. Io mi sono sentito piccolo, mi è IL 71% DEI RAGAZZI SU FB sono sentito in LA PRIVACY? “NON È UN PROBLEMA” quel momento un Il 71 per cento degli adolescenti ha un è “COLPO DI SPUGNA” alieno, mi sono profilo su Facebook, a rivelarlo è una CONTRO IL “LODO GHEDINI” chiesto come fate a ricerca Eurispes-Telefono Azzurro. Tra L’iniziativa l’ha lanciata sopportare tutto questi il 28,7 per cento ritiene i social Gianfranco Mascia, il questo? Di nuovo network strumenti utili per rimanere in creatore, nel 1994, dei Bo-Bi, un grazie di cuore”. contatto con gli amici, e il 14,9 per cento i comitati “Boicotta il Ciro Tarallo dice di essersi affacciato sul Web per fare biscione”. “Colpo di Spugna” nuove conoscenze. Interessante il è un presidio contro il lodo comportamento, su privacy e informazioni Ghedini sensibili: solo il 5 per cento ritiene i social previsto per giovedì 19 novembre a Roma, in Largo network un rischio per la privacy e molti Argentina. L’appuntamento è stata lanciato su sembrano avere gli anticorpi per non Facebook, anche come iniziativa di avvicinamento subire molestie. La maggioranza degli al “No Berlusconi Day”. “Noi – scrivono sul intervistati ha un atteggiamento di gruppo – diciamo basta a norme come il lodo chiusura nei confronti di chi li infastidisce: Ghedini: una legge che premia i potenti e massacra il 31,6 per cento non risponde a richieste i più deboli e che, per consentire a Berlusconi di di amicizia da sconosciuti, e il 24,7 le rifiuta non essere processato, cancellerà anche altri apertamente. In alcuni casi, però, i processi importanti come quelli Cirio e Parmalat”. ricercatori, presentandosi come over 40, Si invita la cittadinanza a partecipare portando una hanno provato a contattare su Facebook spugna (possibilmente viola, il colore del NoBDay). alcuni minori: il risultato è “sbalorditivo”: nelle bacheche sono spesso presenti foto “riguardanti la sfera della sessualità” e nelle chat il discorso diventa subito esplicito.
Te pareva... come diceva Kennedy, il mestiere del politico è parlare non fare fatti... purtroppo (Ezio G.) Basterebbe devolvere ai paesi poveri i soldi che spendono per organizzare questi meeting che non servono a niente. Compresi G8-G20 e tutto il resto. Senza parlare delle spese belliche, compresi i soldi dati ai talebani per farli passare dalla parte propria, come stanno dimostrando i fatti in questi giorni... (Elio) E dopo l’accorato appello tutti a cena! (Ma quanto è costato il Vertice?) (Mariatolmina) Ma se tanto i soldi non gli arrivano! (Mara) Ke schifo... Forse i soldi erano destinati per pagare gli sfarzi dei capi di Stato per questo incontro, no? (Cristian) Perché la chiesa non ha ceduto l’8 per mille preso dallo Stato a questo scopo??? (Maria Teresa) Da come se li tengono stretti, sembrerebbero soldi loro... perché non ci chiedono cosa farne visto che sono i nostri? (Valerio B.) C’erano dubbi forse? Qualcuno si aspettava qualcosa? (Eleonora) Non capisco perché anche in questo caso si tira in ballo la Chiesa: in un incontro tra i vertici del mondo logica vuole che i capi di Stato prendano decisioni e dedichino le loro risorse alla soluzione del problema Tommaso
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SECONDO TEMPO
battibecco
PIAZZA GRANDE
É
BANDITI DALLA BANDA V
Malcostume al pesto di Pierfranco
Pellizzetti
ome se niente fosse. All’alba di lunedì scorso sono scattate le perquisizioni della Guardia di finanza nelle case di una quarantina di politici e funzionari di regione Liguria per una brutta faccenda riguardante la spartizione di fondi europei, appalti truccati per case di riposo pubbliche e false sponsorizzazioni sportive; la cui cifra totale si aggirerebbe sui trenta milioni di euro. In almeno due abitazioni risultano essere state rinvenute “stecche” riconducibili a quei finanziamenti erogati. Un’inchiesta, condotta dai pm Paola Calleri e Francesco Pinto, che ripete copioni stranoti in materia di malaffare pubblico, rinnovati soltanto dalle fantasiose innovazioni linguistiche emerse dalle intercettazioni: “Bottiglie piene” per dire mazzette, “bottiglie vuote” per false fatturazioni.
C
indagine prosegue, nella L’valente sensazione – ad oggi pre– di una robusta “ditata” nel vasetto della marmellata da parte di qualche dirigente infedele, con la copertura di politicanti di medio livello. Quanto sino ad ora colpisce è il silenzio della politica locale, interessata soltanto a sopire e troncare. Appunto, come se niente fosse. Difatti tutti i consiglieri protagonisti della vicenda si sono presentati martedì in regione Liguria ostentando indifferenza. Visto che i personaggi pubblici coinvolti appartengono a entrambi gli schieramenti: Nicola Abbundo e Stefano Bersanetti per il Pdl, Vito Vattuone e l’assessore all’agricoltura Giancarlo Cassini per il Pd. Insomma, a pochi mesi dalla scadenza elettorale, in Liguria regge l’accordo sottobanco bipartisan; qualcosa ben più del classico patto di non aggressione. In un primo momento pare-
La Finanza ha perquisito una quarantina di politici e funzionari della regione Liguria: spartizione di fondi europei, appalti truccati e false sponsorizzazioni sportive va che la faccenda potesse fungere da siluro contro la corsa alla riconferma di Claudio Burlando, impegnato già da inizio anno in una campagna elettorale spasmodica per catturare ad ogni costo il voto di destra (nella presunzione che quello di sinistra risulterebbe embedded per mancanza di alternative, stante la malleabile flebilità della sinistra “rosso antico” e verde): dagli spot (ora lo chiamano “il governatore-spot”) con il cardinal Bagnasco e ogni altra tonaca gli passasse vicino, ai manifesti in puro stile berlusconiano-cacciaballe (“La regione ha ridotto le tasse all’85% dei liguri”, remake del celeberrimo “Meno tasse per tutti” di berlusconiana memoria). Spot e manifesti – notare il rigore inflessibile del pubblico amministratore – a carico dell’ente da lui presieduto. Lo faceva presupporre il diretto coinvolgimento dell’assessore Cassini, a suo tempo eletto nel listino degli “amici di Burlando”. Poi, a smentire tale impressione, sono saltati fuori – come detto – i nomi di personaggi del fronte contrapposto, in particolare quello di Bersanetti, uno dei dieci esperti (?) incaricati di redigere il programma della destra per le regionali. Da qui il ribalta-
Lo Struzzo Caimano di Marco Travaglio
rutta bestia, l’invidia. E anche la cattiva coscienza. Il mese scorso Francesco Piccolo, bravo scrittore e sceneggiatore nonché autore Einaudi, stroncava sull’Unità il “Quaderno” di José Saramago, rifiutato dalla mondadoriana Einaudi perché parla male di Berlusconi e pubblicato da Bollati Boringhieri (gruppo Garzanti). Ora, a stroncare Saramago provvede sul Corriere della Sera un altro autore Einaudi, lo storico torinese Sergio Luzzatto. A suo dire, quella dell’Einaudi contro Saramago non è stata censura, anzi: “C’è piuttosto da chiedersi se non abbia ecceduto in coraggio la Bollati Boringhieri, pubblican-
B
do un volume tanto superficiale e tanto ovvio. Una collezione di luoghi comuni gauchistes in forma di blog, non soltanto su Berlusconi ‘capo mafia’, ma su George W. Bush ‘bugiardo emerito’, sulla ‘povera Francia’ nelle mani del ‘signor Sarkozy’, sulla ‘rivoluzione morale’ necessaria a Israele, sulle ‘vaticanate’ di Papa Ratzinger e la Chiesa cattolica come il Titanic, su Roberto Saviano ‘maestro di vita’, sullo ‘tsunami benevolo’ di Obama eccetera”. Purtroppo, incuranti degli sconsigli per gli acquisti di Piccolo e Luzzatto, i lettori continuano ad acquistare in massa il “Quaderno” di Saramago, che da due mesi troneggia in vetta alle classifiche dei libri più venduti. E forse è proprio questo il proble-
mento del giudizio sulla vicenda: ossia, l’ennesima presa d’atto della totale omologazione di un ceto politico che trova negli affari il comune punto di convergenza. Vogliamo chiamarla berlusconizzazione della politica? Certo è che – al di fuori delle teatralizzazioni a uso e consumo degli ingenui – “cane non mangia cane”. Anzi. a Liguria ne è riprova paLClaudio” lese sull’asse dei “due (Burlando e Scajola). L’asse, cementato da interessi convergenti, che rese possibile l’elezione dell’ex comunista a governatore grazie al fatto che quattro anni, fa nei feudi dell’ex tavianeo, venne casualmente (?) a mancare quel 6% di voti della destra che avrebbe ribaltato il risultato; a vantaggio del candidato avversario Sandro Biasotti, che allora insidiava il ruolo di Scajola quale leader regionale. Nasce così l’operosa intesa dei “due Claudio” sulla cementificazione della costa di Ponente e della sanità ligure (reparti dei più importanti ospedali destinati a villette). Quella sensazione di intoccabilità che scende giù fino ai funzionari infedeli e ai politicanti minori che arraffano fondi europei. Che diventa malcostume interiorizzato e diffuso. L’Italia dei valori locale non ha niente da dire al riguardo? Anche in questo caso va-
IL FATTO di ENZO
le la regola del “come se niente fosse”. Infatti, incurante dell’indagine pubblicata da MicroMega e ampiamente ripresa da Il Fatto Quotidiano, nella formazione dipietrista ligure si continua a praticare la politica politicante della più bell’acqua e il suo country-boss, l’onorevole Paladini, è pronto a fornire ogni puntello al regime vigente; a patto che gli si assicuri un’adeguata collocazione nei prossimi vertici regionali della sua protetta, la signorina Marylin Fusco (colei che nella campagna per le europee denunciava l’aggressione mediatica contro Berlusconi). “come niente fosse” che Ineldetermina disconnessiodella politica dal giudizio dei cittadini, obnubilati dagli effetti speciali della propaganda menzognera. In Liguria come in Abruzzo, Puglia, Campania, Lombardia, Calabria. Dove cresce il contagio dell’idea che la politica si rivolge a un pubblico di ragazzini, per di più scemi. Silvio Berlusconi dixit. José Saramago
l
Stiamo vivendo in un clima da delirio, e non escludo che tra poco sui muri ricompaia, con versione al plurale, la leggendaria: “Aridatece i puzzoni”. (1994)
Sergio Luzzatto (autore Einaudi) stronca Saramago (rifiutato da Einaudi) sul Corriere: ma i lettori continuano ad acquistare il “Quaderno”, che troneggia in vetta alle classifiche ma dei suoi detrattori einaudiani in conflitto d’interessi. Luzzatto non spiega perché mai Saramago, premio Nobel per la Letteratura 1998, non abbia il diritto di scrivere dove gli pare quel che pensa di Berlusconi, Sarkozy, Bush jr, Saviano, Ratzinger e Obama. Spiega invece che i suoi pensieri non vanno pubblicati. Dunque bene ha fatto l’Einaudi a ri-
di Massimo Fini
fiutare il libro a uno dei suoi autori più noti e apprezzati. La censura non c’entra, per carità, e nemmeno il desiderio di compiacere a padron Silvio. E’ che “gli ottantasette anni di Saramago sono troppi per un blogger”. Ecco finalmente spiegato il gran rifiuto dello Struzzo incrociato col Caimano: avendo 87 anni, Saramago è rincoglionito. Pubblicare ancora i suoi scritti è “eccesso di coraggio”. E il coraggio, come insegna don Abbondio, “se uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Resta da capire come mai gli editori tedesco e spagnolo di Saramago, Rowohlt e Alfaguara, abbiano pubblicato il “Quaderno” senza tante storie: forse non prevedevano che il Luzzatto non avrebbe gradito. La prossima volta, prima di osare tanto, sarà il caso che lo interpellino: “Scusi, dottor Luzzatto, lei avrebbe qualcosa in contrario se noi pubblicassimo un premio Nobel?”. Prima di Saramago, Einaudi aveva già rifiutato le “Poesie” politiche postume di Giovanni Raboni (che non era soltanto anziano: era addirittura morto), il “Duca
ogliamo parlare della Fao, del miliardo di umani che non mangia, dell’olocausto dei bambini e delle promesse senza investimenti? No, siamo seri. Vogliamo parlare del clima, la più importante questione del pianeta con Usa e Cina che semplicemente la “astraggono”? No, neppure questo è serio. Allora il digitale tv nel Lazio? Dal Messaggero di ieri in prima pagina: “Caos digitale a Roma: televisori al buio, assalto ai call center” con occhiello epico: “La Rivoluzione tecnologica. Il ministero: record di impianti convertiti”. Siamo alla pura pochade. E allora? Ci rimarrebbe la storia della banda larga, cioè della facilità e rapidità d’accesso a Internet con relativo flusso ampio di dati da parte di un paese all’ultimo posto sul Web in Europa (39 italiani sui 100 che “navigano” non hanno Internet veloce) mentre il governo straparla di “modernizzazioni” a capocchia. Ecco, questa è una bella storia. Come sapete dieci giorni fa gli 800 milioni destinati agli investimenti per la “banda larga” sono stati banditi. Niente soldi, niente banda. Così almeno ha detto il sottosegretario Letta. Vaghe proteste, Scajola e Brunetta che si sono un po’ dimenati, la proposta/promessa (del marinaio, visto che si naviga?) di recuperare del denaro ma non subito, a rate. Prima 200 milioni ma non si sa esattamente da quando (cfr. il discorso “Fao e buoni propositi”), poi il resto. Forse. Magari. Approfittano anche dell’ignoranza che c’è ancora in molta parte della popolazione, che non ne afferra bene il concetto e la gravità. Sono dei “banditi” che mistificano una questione di “bande” e bandiscono una popolazione da uno sviluppo tecnologico indispensabile, il famigerato “digital divide”, il fossato dell’avvenire: su poche cose si possono infatti mettere le mani sul fuoco per il futuro come per Internet, qualunque cosa accada. Stanno facendo di noi una sorta di “lumpen proletariato sub tecnologico” per parafrasare Marx. La vicenda ha almeno due aspetti, uno teorico e uno pratico. Mi piacerebbe che dal balcone di Palazzo Venezia qualcuno spiegasse al popolino, quello che clicca e quello che non clicca ancora. L’aspetto teorico è evidente: un popolo tenuto lontano dallo sviluppo tecnologico e dalla possibilità di informarsi (o deformarsi per carità, si può discuterne…) senza controlli ufficiali o comunque di documentarsi indipendentemente dai media tradizionali e super condizionati, è un popolo meglio governabile. Pascoliamo igitur… Il secondo aspetto rimanda al denaro: il denaro su Internet sarà sempre più la pubblicità, sia per il commercio sia per ogni genere di siti, blog eccetera, pubblicità che infatti si sta diffondendo rapidamente negli Usa, in Europa ecc. in una rete virtuale che sta sostituendo da questo punto di vista la rete mediatica tradizionale. Ogni giorno c’è una novità americana in tal senso. Ma l’adver tising invece stenta ancora in Italia. Perché? E che attinenza ha il ritardo della banda larga con la faccenda della pubblicità in Rete? Dove vanno a finire attualmente gli investimenti pubblicitari? Soprattutto in tv, e poi di rincorsa in radio e carta stampata. Chi avrebbe da perdere da un trasferimento di gettiti pubblicitari dalle tv a Internet? Bè, per forza, fin qui ci arrivate da soli… Basterebbe un discorso da bar come questo per sollevare almeno quella parte di giovani che affida alla modernizzazione uno straccio di quel futuro scempiato che hanno davanti, nel senso di didietro… Ma mentre si manifesta per la libertà di stampa, per questa “banda” tradita non si leva più di qualche voce. Perché tocca interessi di tutti. E neppure puoi dire oggi alla Totò “e poi dice che uno si butta a sinistra”… La banda è sempre più stretta.
di Mantova” di Franco Cordelli (poi uscito da Rizzoli) e “Il corpo del Capo” di Marco Belpoliti (poi pubblicato da Guanda). Belpoliti, per la verità, ha appena 55 anni e Cordelli 66, ma lo Struzzo ha fatto lo struzzo pure con loro: forse perché anche i loro libri criticavano Berlusconi. O forse si tratta soltanto di coincidenze. Chissà che cosa scriverà lo storico Sergio Luzzatto quando farà la storia dell’Italia di questi anni, alla voce “censura”. Chissà se parlerà dei tanti intellettuali servili e frustrati che fingevano di non vederla, la chiamavano con un altro nome e, in pieno conflitto d’interessi, difendevano il loro editore-premier dipingendolo come un campione di tolleranza e liberalismo. Non c’è soltanto Luzzatto. Impossibile dimenticare il dalemiano Andrea Romano, allora editor della saggistica einaudiana, che il 1° maggio 2006, in pieno caso Raboni, dichiarò al Corriere: “L’Einaudi è molto più a sinistra di me, che provengo dalla Fondazione ItalianiEuropei di Amato e D’Alema. Anzi, è più a sinistra di buona
parte della sinistra. Conta la cultura manageriale della Mondadori: ma direi che il Caimano, se avesse agito diversamente, sarebbe stato autolesionista”. Oggi Romano, dopo due anni di Riformista, cioè di clandestinità, è approdato al Sole 24 Ore. Due anni fa il Corriere sentì anche Luzzatto. Il quale giurò che l’Einaudi era un paradiso di libertà, anzi un covo di antiberlusconiani: “C’è un pregiudizio ideologico di un sistema culturale contro la Einaudi. Lo Struzzo non ha mai rinunciato a fare un discorso culturale antiberlusconiano, indipendentemente dalla proprietà”. Mai avuto problemi?, gli domandò l’intervistatore. E Luzzatto, restando serio: “No, salvo un caso: per l’uscita de ‘La crisi dell’antifascismo’, scritto senza che nessuno storcesse il naso, mi hanno chiesto di non menzionare l’affiliazione di Berlusconi alla P2, con tanto del suo numero di tessera”. Ecco, se parli del sole e della pioggia, nessun problema. Se citi Berlusconi e la P2, te li fanno togliere. Ma non sono censori. Sono diversamente liberali.
Mercoledì 18 novembre 2009
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SECONDO TEMPO
MAIL All’Alitalia i soldi destinati alla ricerca
A DOMANDA RISPONDO PERCHÈ NON SI ESCE DALLA CRISI
Furio Colombo
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Sono vostra lettrice perché voglio sapere la verità, voglio essere consapevole di tutto quello che stanno facendo i nostri dirigenti e purtroppo perché, se non li fermiamo, Dio solo sa cosa saranno capaci di fare. Ma la cosa che proprio mi ha scandalizzata è stato apprendere dal padre di Daniele Amanti che per l’Alitalia sono stati presi soldi anche dai fondi della ricerca raccolti con Telethon. Mi sembra allucinante. Come ha potuto lo Stato prendere una parte di quei soldi? Mi piacerebbe sapere come girano questi fondi, perché oltre alle tasse non posso pensare di ingrassare questo Stato anche con la mia beneficenza. Grazie per non prenderci in giro.
aro Colombo, stando ai titoli dei grandi quotidiani italiani (vedi il Corriere della Sera) e all’apertura di alcuni nostri telegiornali, l’Italia ogni due giorni esce dalla crisi, è più forte degli altri, ha patito meno danni, ha battuto vari paesi (ultimo, non più di una settimana fa, l’Inghilterra) e alla fine sarà una sorta di vincitore di una gara mai dichiarata. Nella realtà (e negli stessi telegiornali) sono tutti sui tetti delle fabbriche chiuse. Come lo spieghi? Salvatore
C
LO SPIEGO con il controllo, diretto o indotto attraverso intimidazione e come merce di scambio (non tanto con la carriera di qualche giornalista quanto con gli affari degli editori) che il molto onorevole Silvio Berlusconi e i suoi dipendenti ministri hanno sui media italiani. In tutte le crisi economiche, come in tutte le malattie gravi, ci sono momenti in cui dati parziali che non cambiano il quadro e non lo rovesciano, indicano un rallentamento del peggio o spostamenti che, però, portando una minima frazione di numero dal sotto zero al sopra lo zero, non si prestano a feste, celebrazioni e concitate profezie di
Graziella Cardinali
Machiavelli e l’imperatore Berlusconi si lamenta perché è odiato. Purtroppo l’odio che una parte degli italiani nutre verso Berlusconi è tutto meritato. Machiavelli ci aiuta a capire il perché. Infatti Machiavelli raccomandava al Principe (Berlusconi è definito monarca assoluto da Fini) di non essere solo temuto, ma anche amato perché il solo timore
LA VIGNETTA
porta alla frustrazione che porta all’odio che porta al sabotaggio, la violenza dei giorni nostri. E’ compito della maggioranza, non dell’opposizione, gestire il livello di frustrazione. Berlusconi calpesta i diritti delle minoranze, quindi le minoranze lo ripagano con l’odio. L’odio non è un peccato, ma è una malattia. Questa malattia è provocata dall’arroganza della maggioranza. Più la maggioranza diventa arrogante più aumenta la frustrazione che genera odio che genera violenza. Questa è una legge naturale, e neanche Berlusconi con tutti i suoi soldi e con
BOX
tutti i suoi servi può cambiarla. Per fortuna Fini lo ha capito! Speriamo che ora lo capiscano anche i vescovi e magari il Papa. Il Papa dovrebbe capire che l’odio per un non religioso non è un peccato, ma una malattia. A nessuno piace avere una malattia e quindi a nessuno piace odiare, ma se ti infettano questa malattia non è solo colpa tua! Tanti saluti Benedetto Altieri
Le battaglie del Fatto sono anche le mie Grazie per le iniziative che portate avanti: la battaglia per
immediato benessere, come accade in questa Italia. Per uscire dalla crisi bisognerebbe esserci entrati, come tutti i paesi normali. L’Italia non è mai entrata nella crisi, non per i nostri giornalisti economici, non per i nostri editorialisti, non per le nostre tv e i nostri talk show, Qualcuno ha sentito dire, presso il gran guru Vespa: “Ecco, adesso stiamo entrando, siamo entrati, siamo nel pieno della tempesta”? Qualcuno ha mai visto annunciare percorsi di salvezza, misure di soccorso e di sostegno, a parte una minima rete di “ammortizzatori sociali” di cui, comunque, moltissimi sono tutt’ora privi? Qualcuno ha ascoltato discorsi gravi come quelli di Barack Obama alla sua gente, di Angela Merkel alla Germania? Improvvisamente, in questo paese in cui tutto è virtuale perché mediatico, si è cominciato a dire “il peggio è alle spalle”. Le spalle di chi? Della folla dei senza lavoro che aumenta ogni giorno, delle piccole imprese che chiudono a diecimila per volta, della esportazione che si scoglie come i ghiacciai, della grande impresa senza ordini? Urge chiarezza, almeno dall’opposizione . Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
Daniele Amanti, la difesa della blogger cubana, la raccolta firme per la Piazza. Ricordo anche la richiesta a Napolitano di bloccare lo scudo fiscale. Siamo in tanti a seguirvi e si sentiva proprio il bisogno del ritorno della resistenza civile, contro un’Italia che non ci piace più, in cui nessuno di noi si riconosce più. Io aderisco, e lo faccio con la mia firma e con il mio cuore. Sono contenta che siate portavoce delle nostre cause, dei principi e dei deboli che vengono dimenticati o, peggio, ignorati consapevolmente. Seguirò la vicenda del piccolo Daniele fino a che non si troverà una soluzione. Voglio dire ai suoi genitori che non sono soli, che siamo indignati con loro e soffriamo con loro. E faremo quadrato attorno a quella famiglia per non lasciarli mai più soli. Coi fatti, non con le parole. Grazie di cuore. Guya
Duecento donne per Gheddafi Certo che l’Italia ha scelto una maniera un po’ strana di salvare l’immagine delle donne dopo le figuracce del Cavaliere: chiamarne a raccolta 200 per una lezione sul Corano fatta niente meno che da Gheddafi in persona, che invita le donne a “tornarsene al posto loro” visto che il dopoguerra è finito e non c’è più bisogno di donne che assumano il ruolo degli uomini. Ci mancava giusto questa per
buttare ancora più in basso Italia e italiane. Maria De Monte
L’obbligo di mettere il crocifisso a scuola Ho letto sui giornali che il sindaco di Besana, in Brianza, ha sanzionato i presidi delle scuole che non affiggono il crocifisso. Mi sembra un’imposizione assurda, che mina fortemente la democrazia. Credo che anche il Papa, come cittadino di un paese democratico, debba condannare questo comportamento. Mi ripugna pure l’uso strumentale e politico fatto da un bossiano che ha sempre criticato la Chiesa. Enr y
Parlamento: due pesi e due misure Il decreto Brunetta è legge. Da oggi un dirigente della Pubblica amministrazione potrà, motivando, licenziare un dipendente. Una volta, a fronte di un provvedimento disciplinare, si apriva un percorso di contestazione (eventualmente assistito dal sindacato). Oggi, con il decreto, si passa direttamente al licenziamento. Solo dopo si potrà ricorrere contro il provvedimento al Tar ed essere eventualmente reintegrati. Il Parlamento ha due pesi e due misure: per Berlusconi e per i vari corrotti ci sono le leggi ad personam, le modifiche (tentate) della Costituzione, le immunità e così via. Per i
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IL FATTO di ieri18 novembre 1793 Oggi Bicêtre è un grande centro medico universitario alle porte di Parigi. Ai tempi della Rivoluzione francese, l’antica Rocca di Luigi XIII era diventata un ospizio in cui, confusamente mischiati, convivevano alienati mentali, criminali, vagabondi, sifilitici, prigionieri e indigenti. Un luogo dannato in cui, in pieno Terreur, era approdato, come direttore, l’alienista Philippe Pinel, autore, nel novembre 1783, di un gesto esemplare, considerato l’atto costitutivo della psichiatria manicomiale. La liberazione dei folli costretti fino ad allora in catene e la loro separazione dai disadattati e delinquenti comuni. Per la prima volta, sotto l’influenza dei Lumi e di una nuova laicità, i sintomi dell’alienazione mentale, considerati per secoli frutto di stregoneria o di possessione, venivano trattati in termini scientifici e i pazzi trattati secondo umanità. Un progresso della psichiatria illuminista che non impedirà ai futuri storici di ridimensionare la piccola, grande rivoluzione di Pinel, accusato di non aver comunque eliminato il concetto di segregazione. “Pinel – dirà Basaglia – fu un utopista perché il folle, liberato dalle catene, fu subito rinchiuso in un’altra prigione che si chiamava manicomio”. Giovanna Gabrielli
L’abbonato del giorno
ni culturali è gravissimo. Che futuro può avere un paese che dileggia con tali bassezze l’uso dell’intelletto? Franco
GINO Gino è pensionato, ha 45 anni e lavora tra fabbrica e ospedale. Ci scrive: “Sono veneto e ateo ma rispetto chi ha fede in un dio. Amo Eugenia, il mare, la libertà, la legalità e l’amicizia. Vi ringrazio del vostro lavoro e impegno, mancava uno strumento come il Fatto Quotidiano, fantastico mezzo di vera informazione. Buon lavoro e cacciamoli quasi tutti! Ps. Ho dimenticato di dirvi che sono un grillino. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
Berlusconi insofferente fugge dai processi Dopo la bocciatura del lodo Alfano, Berlusconi disse: “Mi difenderò come un leone”. Ora vedo invece che fugge come un coniglio dai processi che lo riguardano. Aveva ragione il dottor Borrelli, ai tempi di Mani Pulite, quando diceva “non si presenti in politica chi ha scheletri nell’armadio”, nell’interesse del paese. Mani Pulite già conosceva i problemi giudiziari dell’attuale presidente del Consiglio? Sarebbe anche il caso che nelle trasmissioni tv i rappresentanti del centrosinistra parlino delle perquisizioni della guardia di finanza alle aziende di Berlusconi (ancora non eletto), e che nel 1994 non è stata la magistratura a far cadere il governo, ma il signor Bossi, che venne definito “Giuda”. Erano i tempi in cui Bossi chiamava Berlusconi “il mafioso di Arcore”. Roberto Ghisotti
lavoratori c’è la cassa integrazione, la mobilità e, come in questo caso, il licenziamento. Amedeo Regini
Il mio cane si chiama “Fatto”
Il ministro Bondi contro gli intellettuali
Ho preso un golden retriver e l’ho chiamato “Fatto”! E’ bellissimo, e soprattutto rompe le scatole!!!
Sandro Bondi, durante la trasmissione “l’Infedele”, ha dichiarato che gli intellettuali fanno schifo. Che ad usare una simile espressione di spregio nei confronti dei rappresentanti del mondo scientifico e culturale sia il ministro dei Be-
Cinzia
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