La giustizia brasiliana ha detto sì all’estradizione di Battisti. Speriamo che sconti presto la sua pena in Italia
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Giovedì 19 novembre 2009 – Anno 1 – n° 50 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Riaperta d’urgenza la Repubblica di Salò di Marco Travaglio
eri il piccolo duce ha smentito di aver mai pensato alle elezioni. Dunque, vista la sua innata sincerità, ci sta pensando seriamente. Per ora manda avanti l’apposito Schifani, ventriloquo da riporto, per vedere l’effetto che fa. Perché lo faccia, è lampante: come nel 1992 il crollo della Prima Repubblica ne scoperchiò la scatola nera sversando i liquami di Tangentopoli e Mafiopoli, così ora salta il tappo della cloaca politico-affaristico-mafiosa denominata Seconda Repubblica. Le tubature non tengono più, i miasmi si spandono dappertutto. E non passa giorno senza che questa o quella procura s’imbatta, anche involontariamente, in un condotto della Fogna delle Libertà. In Campania l’arresto di Cosentino & C. A Palermo Spatuzza, Grigoli e Ciancimino jr. parlano di Dell’Utri e Berlusconi ai tempi delle stragi e delle trattative. In Puglia c’è Giampi col suo harem di escort bipartisan. A Milano mister Grossi, re delle cosiddette “bonifiche ambientali”, è in carcere con la moglie del vicecoordinatore nazionale del Pdl Abelli, e dietro la porta gli amici Formigoni, Lupi, Gelmini e Berlusconi tremano all’idea che qualcuno parli. Intanto saltan fuori gli altarini della Arner, la banca svizzera usata da noti mafiosi per riciclare soldi sporchi (indovinate di chi è il conto corrente numero 1). Non c’è “dialogo”, riforma della giustizia, processo breve o morto, prescrizione-lampo che sia in grado di fermare l’onda nera. Il dialogo fa le pentole, ma non i coperchi. E non c’è coperchio che possa richiudere il pentolone. Qualcuno a questo punto obietterà che, al ducetto, le elezioni servirebbero a poco: guadagnerebbe un po’ di tempo e, casomai le rivincesse lui, si libererebbe pure di Fini, ennesimo nemico interno dopo il Bossi modello-base, Follini, Casini e Veronica. Peccato che Fini oggi sia popolare almeno quanto lui (infatti i sondaggi sono miracolosamente scomparsi dagli house organ, che fino a due mesi fa ce ne rifilavano tre al giorno). Ma non c’è più nulla di razionale nel disperato agitarsi di questo pover’ometto in perenne fuga dal suo passato. Come Hitler nel bunker e Mussolini a Salò, il ducetto è solo, assediato dai suoi incubi e circondato di servi sciocchi (quelli furbi sono in fuga da un pezzo). Una Salò all’amatriciana, anzi alla puttanesca: al posto dei giovanottoni sadomaso di Pasolini, le girls di Tarantini. Roberto Feltrinacci incita alla pugna finale ripetendo a pappagallo la pietosa bugia: “Il popolo è con Te, o Duce, dall’Alpi al Lilibeo, ma non osa manifestarlo e ti adora in silenzio”. Il feldmaresciallo Alfred Sallusting, cranio lucido e pallore nibelungico, stretto nel suo impermeabile di pelle nera esorta all’estrema resistenza, armi in pugno e baionetta fra i denti. Il principe grigio Junio Valerio Belpietro, pancia in dentro e mento in fuori, invoca lo spirito sansepolcrista e la fucilazione di Galeazzo Fini e degli altri traditori a Verona. Nicola Bombaccicchitto, l’ex socialista passato a destra, lancia il cappuccio oltre l’ostacolo, ma alla fine cade in disgrazia, sospettato di collusioni con la massoneria per via della sua collezione di grembiulini e compassi. Augusto Pavonzolini, dal palazzo dell’Eiar, distrae le masse con culi, tette e balle a volontà. Lo aiuta il figlio segreto del Duce, tale Bruno, che è tutto suo padre e, mentre l’impero crolla, parla a “Lupa a Lupa” delle orecchie dei cani. Claretta Bondi, vinta la concorrenza di Angelica Carfagnanoff, lacrima e si dispera giorno e notte, pronta a tutto pur di fare da scudo all’Amato, anche a intercettare col suo corpo le raffiche partigiane. Intanto il dottor morte Niccolò Ghedini, curvo nel laboratorio dell’impunità su provette, serpentine e alambicchi fumanti, prova e riprova la formula dell’arma segreta, che non arriva mai e, quando arriva, non funziona. Disperso, al momento, il camerata Capezzone. Ma niente paura: non lo cerca nessuno.
I
GLI ULTIMI GIORNI DEL PDL Litigano su tutto: dal processo breve al caso Cosentino Sugli immigrati Fini dice: cittadinanza. Bossi: cacciamoli E Berlusconi pensa solo alla sua impunità
Ricatto del premier per bocca di Schifani sulle elezioni anticipate. Poi come al solito smentisce tutto. Giura che il governo va a gonfie vele ma alla Camera impone il voto di fiducia sulla privatizzazione dell’acqua. Fierro e Marra pag. 2, 3 e 4 z Subito dopo la maggioranza va sei volte sotto.
di Luca Telese
ilvio Berlusconi dice: “Mai SDovrebbe pensato al voto anticipato”. essere una dichiarazione rassicurante, dopo il grande strappo. Invece è una correzione tattica che scongiura momentaneamente la precipitazione di una crisi. pag. 3 z
Udi Lorenza Carlassare CHI PUÒ SCIOGLIERE LE CAMERE del Senato SchifaIto lnichepresidente ha pubblicamente dichiarase la maggioranza non è compatta, si va a nuove elezioni. La stampa è unanime nel riconoscere il mandante delle affermazioni nel presidente del Consiglio. pag. 2 z
Udi Francesco Bonazzi IL FALLIMENTO DEL PRESIDENTE ANTENNISTA che “Presidente OpeAdelleltro raio”, tormentone elettorale politiche 2001. Quello che Artemisia Gentileschi – Salomè con la testa del Battista – interpretazione di Roberto Corradi
BORSELLINO x Prosciolto il colonnello Arcangioli accusato di aver rubato il documento
“L’agenda rossa non esiste” La Cassazione nega tutto di Lo
Bianco e Rizza
agenda rossa di Paolo Borsellino come la mafia di trent’anni fa: non esiste. O meglio, non è mai esistita all’interno della borsa del magistrato, ritrovata il giorno dell’esplosione in via D’Amelio. Lo sostiene la Cassazione, che ha depositato le motivazioni della sentenza con cui conferma il proscioglimento del colonnello Giovanni Arcangioli.
L’
pag. 8 z
nil libro – dvd
ci vorrebbe oggi è un “Presidente Antennista”. Un Unto della Tecnologia capace di trasformare questo inferno di parabole nel paradiso terrestre. pag. 6 z
CATTIVERIE Giustizia, pronta la norma sul processo breve. Poi dicono che Berlusconi non si fa le leggi su misura (www.spinoza.it)
Udi Gianni Barbacetto
Malitalia: radiografia CIVIDALE 3 della mafia CEMENTO che non spara più SUL NORDEST Pagani pag. 14z
nadesso basta El Griso spiega la manifestazione del 5 dicembre Mello pag. 5z
gli estremi confini orientali, Aparano dove le colline friulane si prea diventare Slovenia, sorge Cividale del Friuli, perla medievale, antica capitale longobarda, cittadina con uno dei più vasti e ben conservati centri storici della Penisola. pag. 18 z
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Gli stranieri regolari sono quattro milioni e mezzo, il 7,2% della popolazione
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LITI DI GOVERNO
li stranieri regolari in Italia sono più di 4 milioni e mezzo e ben 862.453 sono bambini. Secondo l’ultimo Dossier immigrazione della Caritas, presentato il 28 ottobre, la popolazione immigrata cresce ogni anno +13,4% rispetto al 2008). E nel 2009 è arrivata a costituire il 7,2% della popolazione italiana. I bambini, poi, costituiscono il 22% della
popolazione immigrata. Dato interessante, visto che il rapporto minorenni-adulti fra gli italiani è fermo al 16,7%. Il livello di fecondità delle donne straniere (2,5 figli per donna) è doppio rispetto a quello delle italiane. E i nati da genitori stranieri sono l'11,4% del totale dei nati in Italia lo scorso anno. Negli ultimi cinque anni gli alunni stranieri presenti nelle scuole sono cresciuti del
139,4%. Chi pensa che il fenomeno si fermerà, ma soprattutto che non avrà conseguenze sul tessuto sociale futuro, si sbaglia quindi di grosso. Anche perchè sono 2 milioni, quasi un decimo degli occupati a livello nazionale, i lavoratori stranieri. Che contribuiscono per 134 miliardi di euro, ovvero circa il 10% del prodotto interno lordo, all’economia italiana.
UMBERTO BOSSI: ”GLI IMMIGRATI TORNINO A CASA” Bindi: “La Lega copre il governo e usa armi di distrazione di massa” di Andrea Gagliarducci
A sinistra,Umberto Bossi
e Wanda Marra oi restiamo della nostra idea: gli immigrati devono essere mandati a casa loro. Non c’è lavoro nemmeno per noi”. Umberto Bossi non si smentisce mai e in una delle giornate più tese e complicate per la maggioranza lancia la sua bomba. L’occasione è la proposta di legge bipartisan presentata con un asse significativo, soprattutto in questo momento, da Walter Veltroni (Pd), Flavia Perina (Pdl), Leoluca Orlando (Idv) e Roberto Rao (Udc), per concedere il diritto di voto alle elezioni comunali e circoscrizionali ai cittadini stranieri non comunitari che risiedono in Italia da più di cinque anni. L’uscita di Bossi non è casuale: nel giorno in cui Berlusconi corregge il tiro e dice che no, non si andrà alle elezioni anticipate, la Lega, alleato più fedele, ha tutto da pretendere. Tanto più che ha dovuto ingoiare il provvedimento sulla privatizzazione dell’acqua, sul quale il governo aveva posto la fiducia (“Non si può – ha sottolineato lo stesso Bossi – far saltare il governo: non si muore per una legge, si muore se salta il governo”). Dunque il leader del Carroccio deve intervenire, anche per rassicurare i suoi. E lo fa usando il suo cavallo di battaglia preferito. Immediata e secca la replica di Fini (che su tutte le altre richieste esplicite e implicite di intervento tace): “Ci può essere un anatema, una battuta liquidatoria, ‘sì lasciamoli a casa loro’, ma non risolve il problema”. Mentre Rosy Bindi, invitando Bossi a smettere di coprire le inadempienze del governo denuncia: “Agita il tema dell’immigrazione come un’arma di di-
(FOTO GUARDARCHIVIO)
A destra, Palasharp; Festa per la fine del Ramadan
“N
strazione di massa”. Ancora una volta la Lega si fa protagonista di una sparata che non solo va in controtendenza rispetto alla realtà (in Italia, secondo i dati ufficiali, gli immigrati sono 4 milioni e mezzo) ma
che confligge praticamente con tutti. Dovrebbe uscire il prossimo lunedì il documento finale del Congresso Internazionale per i Migranti, organizzato dal Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti. Con una li-
nea di fondo molto chiara: la Chiesa deve essere “una voce critica nel difendere la dignità umana e i diritti dei migranti”. Sarà il frutto di un lavoro di cesello, che rappresenterà la sintesi di tre giorni di incontri tra i delegati, sul quale il presidente del dicastero, mons. Vegliò, si è molto impegnato. Ha commentato positivamente le parole del presidente del Senato Schifani all’inizio dell’assise, ha ringraziato il suo “fin troppo attivo” segretario (monsignor Agostino Marchetto, segretario del dicastero vaticano, si è distinto negli ultimi mesi per punte polemiche nei confronti della politica migratoria del governo Berlusconi), ha svolto lavoro di sintesi e di raccordo. La posizione della Santa Sede è quella di “considerare le migrazioni co-
me conseguenza di giustizia e male minore per milioni di donne, uomini, anziani e bambini”, senza però trascurare “l’elemento positivo e previdenziale”. Sono parole che Vegliò ha consegnato all’Osservatore Romano lo scorso 24 settembre. Il giorno prima, Bossi aveva incontrato il cardinal Bertone, e contestualmente il ministro Maroni a Mazzara del Vallo osservava le attività della diocesi a sostegno degli immigrati. Le raccomandazioni del Congresso delineano – secondo le anticipazioni – una presenza ancora maggiore della Chiesa nelle attività di sostegno. La Santa Sede, infatti, si propone di essere “una voce critica per difendere la dignità umana e i diritti dei migranti” e di “assumere un ruolo di mediazione e
advocacy” tra questi e le autorità. E ancora: sottolinea che “i vescovi devono assumere un ruolo anche più forte” nel sottolineare le violazioni dei diritti umani dei migranti”, mentre dichiara che ci si deve “aprire nei loro confronti.
La Chiesa: le migrazioni sono “naturale conseguenza”e “male minore” per milioni di esseri umani
Per sciogliere le Camere non basta un “ricatto” di Lorenza Carlassare
l presidente del Senato Schifani ha pubIranza blicamente dichiarato che se la maggionon è compatta, si va a nuove elezioni. La stampa è unanime nel riconoscere il mandante delle affermazioni nel presidente del Consiglio. Ma la Costituzione cosa dice? Tre punti sono da correggere: 1) che lo scioglimento consegua automaticamente alle dimissioni del governo; 2) che il presidente del Consiglio possa deciderlo da solo; 3) che nel nostro sistema esista un rapporto diretto fra governo e popolo. La maggioran-
il quartier generale comunica "
“Berlusconi deciso: tutti a casa”, titolava il Giornale (ieri prontamente smentito dallo stesso Cavaliere). Mentre Libero puntava su un “Fini: pensioniamo Silvio”
za muove da una premessa sbagliata: che la Costituzione sia cambiata in seguito al mutamento del sistema elettorale che, se può influire sul modo di funzionamento della forma di governo, non può di certo modificarla. Occorre il procedimento dell’art.138 e, dunque, l’approvazione con la maggioranza dei due terzi; altrimenti può esser chiesto un referendum oppositivo, com’è avvenuto nel 2006. 1) Nel sistema parlamentare – che è tuttora il nostro – la crisi di governo non ha lo scioglimento come soluzione obbligata: la diversa idea, costituzionalmente da rifiutare, è sconfessata anche dalla prassi recente. Caduto il primo governo Berlusconi dopo il distacco della Lega, il presidente Scalfaro nominò un governo nuovo lasciando in vita la legislatura, e lo stesso avvenne alla caduta del primo governo Prodi. Lo scioglimento è l’estremo rimedio cui si ricorre quando il Parlamento non riesca a esprimere una maggioranza in grado di sostenere un qualsiasi governo. Non ci sono confini politici precostituiti: il governo si fa in Parlamento. Lo
Alla caduta sia del primo governo Berlusconi sia del primo governo Prodi furono nominati nuovi esecutivi
scioglimento avviene, di solito, fallito ogni tentativo di formare un governo che sia in grado di ottenere la fiducia delle Camere, quando sia dimostrato che non esiste altra soluzione. Era così nella cosiddetta Prima Repubblica (ricordo ad esempio i numerosi e persino inediti tentativi di risolvere la crisi esperiti dal presidente Pertini), è stato così anche di recente. Basta ricordare le travagliate vicende seguite alla caduta del primo governo Prodi che, dopo momenti di grande incertezza e il reincarico allo stesso Prodi, portò al governo D’Alema. 2) Per l’art. 88 della Costituzione il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere sentiti i loro presidenti (il cui parere non è vincolante). Il governo non è menzionato, ma ciò non significa che sia del tutto estraneo alla decisione essendo richiesta la controfirma anche per il decreto di scioglimento come per tutti gli atti del capo dello Stato, pena l’invalidità (art.89). Secondo alcuni, in questo caso la controfirma non potrebbe essere negata trattandosi, eccezionalmente, di un potere esclusivo del presidente della Repubblica. Altri costituzionalisti invece (da Costantino Mortati, che fu membro dell’Assemblea Costituente, a Leopoldo Elia) ritengono che la decisione debba essere di entrambi, concependo lo scioglimento come atto ‘duale’ che richiede l’accordo. È anche la mia opinione. Del tutto fuori luogo pensare che il governo possa decidere da solo uno scioglimento, ma, trattandosi di un atto politico, pericoloso attribuirlo, anche contro la maggioranza, al
solo capo dello Stato che interviene come organo di garanzia del funzionamento del sistema. Anche la maggioranza va difesa da eventuali gesti non giustificati del presidente. Per far comprendere meglio la questione, dirò soltanto che se n’è molto parlato durante la fantasiosa presidenza Cossiga. Quel che è certo e nessuno discute, è che il ruolo dominante sia del presidente della Repubblica al quale spetta il compito di valutare la situazione politica, e che, prima di sciogliere, deve constatare che non esistono altre soluzioni possibili. Senza il suo pieno accordo non si può procedere a nuove elezioni. 3) Spetta al presidente della Repubblica nominare il presidente del Consiglio e, “su proposta di questo, i ministri” (art.92). Il governo, entro dieci giorni, deve ottenere la fiducia delle Camere (art.94 ) altrimenti il capo dello Stato affida a un altro politico (previe consultazioni) la guida del governo. Se la fiducia viene meno, dopo un voto contrario il governo deve dimettersi. Non esiste, da noi, un’investitura popolare diretta; la previa indicazione del premier non cambia la Costituzione. È singolare che, mostrando tanto ossequio per la volontà popolare espressa nelle elezioni (che imporrebbe, in caso di dimissioni, lo scioglimento automatico), la maggioranza dimostri invece un disprezzo totale per il popolo stesso, riproponendo riforme contro le quali si è da poco espresso col referendum del 2006 volendo mantenere la forma parlamentare e rifiutando la pericolosa concentrazione di poteri nel primo ministro.
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Palazzo Chigi vs Montecitorio: cronache quotidiane di un litigio
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LITI DI GOVERNO
ogni scossa coincide una crepa nel rapporto personale e politico tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. L’accordo sul processo breve, sancito dall’incontro di due settimane fa, è caduto per le eccessive pretese del presidente del Consiglio. E dunque il primo allontanamento di Fini, quasi immediato, si è
avuto sulla spinosa vicenda della giustizia. Il numero uno di Montecitorio non accetterà mai la via d’uscita della prescrizione. Nell’intervista all’Annunziata di domenica, Fini aveva lasciato aperte le porte parlamentari per nuovo e diverso lodo Alfano, inserito nel disegno di legge della riforma della giustizia. A una condizione –
come ribadito da Prato – e cioè che le riforme siano condivise. Niente strappi istituzionali, il Colle vigila e stavolta non sarà clemente. Nel frattempo, il sempre logorroico Berlusconi, si trincera in un silenzio anomalo. Ieri torna a parlare e precisa: “Con Fini non c’è nulla da chiarire”. A quando la prossima puntata?
FINI E B. AI MATERASSI
La Camera diventa il teatro della rottura, tra dissensi e voti di fiducia. Governo sotto più volte di Luca Telese
ilvio Berlusconi dice: “Mai pensato al voto anticipato”. Dovrebbe essere una dichiarazione rassicurante, dopo il grande strappo. Invece è una correzione tattica che scongiura momentaneamente la precipitazione di una crisi, ma non seda le polemiche nel centrodestra. Anzi. Mentre il presidente del Consiglio fa retromarcia sull’affondo di Renato Schifani, nella coalizione, su almeno tre diversi fronti, si aprono crepe profonde che evidenziano un malessere ormai strutturale. In serata, dopo un voto di fiducia sulla privatizzazione della gestione delle reti idriche, a cui la maggioranza era stata costretta dai tanti distinguo (soprattutto della Lega) in tutti gli ordini del giorno successivi si è scatenato il cecchinaggio dei dissidenti, e il governo è andato ripetutamente sotto. Qualcosa di più di un campanello d’allarme, un avvertimento. Giri per i corridoi del Parlamento, come se si attraversassero i teatri di posa di un set cinematografico, e ti rendi conto che cambia la scena, ma il copione del Pdl sembra lo stesso ad ogni ciak e su tutti i set: la maggioranza parlamentare più solida dal dopoguerra ad oggi sta implodendo da dentro, entra in fibrillazione da se, come se fosse afflitta da un male occulto. La beffa del mappamondo. Su tutte le altre, una immagine plastica di ieri dava subito l’idea di quello che sta accadendo in queste ore. Al quarto piano della Camera dei deputati c’era Gianfranco Fini che rilanciava ancora una volta la sua piattaforma di nuova cittadinanza per gli immigrati. Al piano terra c’era Umberto Bossi che abbassava il ponte levatoio (vedi articolo di Wanda Marra e Andrea Gagliarducci qui a fianco) e sparava contro a palle incatenate. La Camera, ieri era diventata ancora una
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volta il teatro di un durissimo duello differito tra Berlusconi e Fini. Ma poi anche fra Bossi e Fini, e fra la Lega e Forza Italia. Anche perché, prima dell’acqua, prima dell’immigrazione, e prima del testamento biologico (che arriva tra breve in forma di emendamento a Montecitorio), il vero nodo del contendere resta quello del processo breve. Se c’è un punto su cui Berlusconi non è disposto ad accettare defezioni da parte del suo alleato è quello. E su cosa accadrà in Aula di questo testo (che per il premier rappresenta ormai una questione di vita o di morte, oltre che di immagine), ancora non c’è certezza. Terrà l’accordo? Ci saranno emendamenti dei falchi? Entrambi gli schieramenti ostentano sicurezza. I Berlusconiani continuano a ripetere che Fini è ormai un generale senza truppe e che si piegherà, mentre i finiani ribattono: “E sulle elezioni anticipate chi è che ha fatto un passo indietro?”. Ecco perché ai margini del convegno sull’immigrazione i finiani (quasi tutti presenti) cantavano vittoria: “Le elezioni anticipate – spiega Italo Bocchino – non possono essere una posizione politica: Berlusconi ha dovuto riconoscerlo”. Subito dopo il vicecapogruppo del Pdl aggiungeva: “Il processo breve, così come è stato presentato al Senato lo votiamo”. Entrambi gli schieramenti alternano il bastone e la carota. Ma il vero problema è che troppo spesso, ormai, sia Fini sia il Cavaliere si ritrovano uno di fronte all’altro, con il bastone in pugno. Nella sala del Mappamondo, Fini ieri esibiva un campione del suo nuovo “popolo”, il modo che ha raccolto intorno a sé: invitati stranieri, corrispondenti internazionali, arabi, africani e proposte avanzatissime. Ai piani bassi del Palazzo cova la rabbia dell’anima berlusconiana del Pdl contro le iniziative del presidente della Ca-
LEGITTIMI IMPEDIMENTI
di Carlo Tecce
Processo breve colloquio lungo
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er celebrare il ritorno nell’adorato Palazzo Grazioli, trascorso l’esilio a Piazza Colonna, Silvio Berlusconi ha invitato a colazione l’amico del cuore: il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Un’ora e mezza chiusi in ufficio: un colloquio lungo per il processo breve. Per snellire la giornata, consumato un pasto frugale, B. ha salutato Nicola Cosentino. Sconfitta l’agorafobia, rimosso il tappeto rosso nell’atrio di Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio s’è concesso una ventina di passi all’esterno palesandosi in aula a Montecitorio: una rarità che capita mezza volta su cento votazioni. Per gonfiare la noia, senza proferir barzelletta, Berlusconi ha incontrato i coordinatori del Pdl, i simpatici Denis Verdini e Ignazio La Russa. Per il dolore, l’escluso Sandro Bondi ha aderito al movimento di Cardarelli. Il poeta morente.
Accanto, la composizione di Camera e Senato (INFOGRAFICA DI DIANA PANIO) . Nella foto in basso, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini (FOTO GUARDARCHIVI)
te è no. E infatti la parte finale dell’intervento diventa un j’accuse definitivo: “Non si può condannare qualcuno a non avere una identità”. E infine, rivolgendosi chiaramente alla Lega: “Le chiusure contro l’identità sono contro il buonsenso, contro la logica, contro i valori, contro... la stessa idea di interesse nazionale”. Gli ordini del giorno Scendi di tre piani, nel cuore del Palazzo, e trovi l’Aula incandescente: 180 ordini del giorno da votare, diventano uno sfogatoio del malessere accumulato nelle diverse anime del centrodestra per tutta la giornata, fino a produrre un vero e proprio colpo di scena, nel teatro della rottura. Per un’ora e mezza, dopo la fiducia sull’acqua, la maggioranza tiene di misura: per cinque, per quattro, per tre voti. Poi, improvvisamente, inizia a sfaldarsi: il governo va sotto una prima volta. Poi un’altra. Poi un’altra ancora. Mentre Lupi presiede, i capigruppo di maggioranza provano a richiamare i deputati della coalizione. Ma nulla cambia, e alla fine il governo va sotto per ben sei volte. Sconfitte simboliche, certo. Ma pesanti. Al punto che il ministro Ronchi non deve provare a mettere una pezza. Si alza e dice: “Il governo accetta tutti gli ordini del giorno come raccomandazione”. Un ennesimo colpo di scena. Se non altro perché veniva dallo stesso ministro che poche ore prima aveva dato parere negativo su tutti.
Giornata di guerra tra i due leader. Ma alla fine, retromarcia sul voto anticipato
mera. Effetto Ben Ammar. Ma il vero tocco di “perfidia”, di Fini, è l’esibizione di un relatore di eccezione sull’integrazione multiculturale. Si tratta di Tarak Ben Ammar. Che come è noto (e come ricorda lui stesso) è uno dei migliori amici e soci di Silvio Berlusconi. Ma che ieri era il testimonial convinto della linea dell’ex leader di An sull’integrazione, l’uomo che con la sua storia personale ricordava: “Io sono uno che ha imparato l’italiano a nove anni guardando in tv ‘Non è mai troppo tardi’ del maestro Manzi. Ma che con le leggi di oggi non
sarei potuto venire nel vostro paese. Avete celebrato la caduta del Muro di Berlino. Ma purtroppo – concludeva Ben Ammar – ne avete eretto un altro: il muro del Mediterraneo”. Il successo di Ben Ammar, e gli applausi che lo hanno sommerso ieri, la fila del pubblico per congratularsi con lui, il capannello delle televisioni in coda per una intervista sono il segnale che Fini non è poi così isolato. Il discorso del presidente della Camera, subito dopo, è di grande spessore. E, ovviamente, è tutto centrato su una sfida culturale. E’ il centrodestra, dice il presidente
della Camera, che deve trovare un nuovo modello di convivenza “dopo i fallimenti dell’assimilazionismo francese, che ha prodotto la rivolta dei giovani immigrati di seconda generazione, e quello del Londonistan, che ha covato dentro di se il proselitismo di al Qaeda”. Ma poi, a tratti, il discorso di Fini diventa una vera e propria requisitoria contro le miopie della sua coalizione: “E’ eresia? E’ scandalo pensare che i giovani della generazione Balotelli, che parlano il dialetto meglio dell’italiano debbano essere esclusi dalla cittadinanza?”. La sua risposta ovviamen-
BATTAGLIA QUOTIDIANA
TRA FEDELISSIMI E NEW ENTRY GIANFRANCO CONTA LE TRUPPE a battuta più bella, ieri a MontecitoLFarerio, la fa un giovane intellettuale di Futuro come Angelo Mellone, volto della Rai a Unomattina, ma anche osservatore privilegiato e attento del centrodestra: “Vedo che tutti gli uomini del Cavaliere continuano a dire che i finiani sono rimasti quattro gatti, che si mettono a compilare le liste di chi tradisce e chi no...”. E non sono vere? Mellone sorride e spalanca gli occhi azzurri: “Saranno pure vere le liste, ma vuol dire che ci sono molte cellule in sonno”. Sorride, al suo fianco Adolfo Urso. Se c’è uno su cui l’ex presidente della Camera può contare, ovviamente è lui, l’uomo che ha messo in piedi per primo il laboratorio culturale della fondazione, che della fronda finiana è il vero polmone. Se qualcuno ieri voleva un colpo d’occhio dello stato maggiore che resta fedele al presidente della Camera, ieri, non doveva fare altro che contemplare il parterre du roi che si era raccolto per
l’iniziativa sull’immigrazione. Alla presidenza c’era l’ideatore del convegno, Italo Bocchino il regista; sulla porta c’era il centravanti di sfondamento della squadra - Fabio Granata - e in prima fila due deputati diversissimi, per storia e per cultura, che danno l’idea di come il team finiano sia molto più composito di quanto non si possa immaginare. Il primo, che si fa largo a seminario già iniziato, scortato da un commesso, è un decano come Mirko Tramaglia (ovvero l’ultimo padre del vecchio Msi rimasto in Parlamento). Il secondo è un giovane. Gianfranco Paglia, l’ex parà in sedia a rotelle, vittima della battaglia del check point pasta in Somalia. Paglia è da sempre un pupillo di Fini, uno degli acquisti post- ideologici di An. Così, intorno alle grandi campagne di identità di Fini si aggrega uno spettro articolato. Alle spalle di tutto c’è la pattuglia di quelli che Il Fatto ha definito “i vietcong” dell’ex leader di An: il pen-
satoio di Fare Futuro, la nave corsara de Il Secolo. Velleitari? Testimoniali? Attenzione. Perchè ieri uno dei passaggi del discorso di Ben Ammar ha fatto sussultare sulla sedia i parlamentari del centrodestra: “La mia televisione è diventata in quattro mesi il canale arabo più visto sul satellite. In ogni paese d’europa da cinque a tre milioni di stranieri la guardano o la guarderanno...”. E poi, dopo una pausa sapiente: “Mi pare che in Francia, in Italia o negli altri paesi, siano un milione di voti la differenza fra destra e sinistra, no?”. Applauso. Insomma, anche secondo la battuta il magnate franco-tunisino la scommessa dell’integrazione è anche una grande partita di consenso elettorale. Il sottotesto di tutti i messaggi che Fini catalizza è chiaro: un vero leader è chi guarda al futuro (Cioè lui). E nel presente chi garantisce la tenuta a Montecitorio (sempre lui). lu.te.
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Sono sei i pentiti che accusano “Nick 'o mericano”
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LITI DI GOVERNO
ono sei i pentiti della camorra che accusano Nicola Cosentino. La sua carriera politica è stata segnata dal sostegno dei “Casalesi” fin dagli albori. Ne parlano i pentiti Gaetano Vassallo e Carmine Schiavone in riferimento alle elezioni provinciali casertane del 1990. Vassallo e Michele Orsi (imprenditore del settore rifiuti, pentito e poi
ucciso dalla camorra), si riferiscono invece alle politiche del 2001. “E’ dunque provato – scrive il gip – l’aspetto scambio contro favori. I rapporti di familiarità, comune estrazione territoriale e acclarata confidenza-gratitudine impediscono, allo Stato, di ritenere credibili argomenti difensivi che siano incentrati sul tema dell’inconsapevolezza dell’indagato circa
l’estrazione camorrista dei soggetti con i quali venne di volta in volta a relazionarsi... Non può infine dubitarsi che nell’anno 2000, quando iniziò a patrocinare le iniziative dei fratelli Orsi nel settore rifiuti, Cosentino fosse un politico di caratura medio-alta in costante ascesa”. Insomma: Cosentino sapeva che trattava, chiedeva voti e faceva affari con Gomorra.
COSENTINO PERDE PEZZI ANCHE BERLUSCONI ORA NICCHIA Slitta a mercoledì il voto sull’autorizzazione a procedere
Nicola Cosentino (FOTO GUARDARCHIVIO) di Enrico
Fierro
na difesa lunga, nervosa, a tratti impacciata, ma anche carica di “segnali” per gli ex amici del Pdl che ora ne chiedono la testa. E poi una passeggiata sotto il colonnato della Galleria Sordi prima di incontrare Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Colloquio breve. Parole scarse e poco incoraggianti quelle che il premier ha pronunciato per Nicola Cosentino. “Non interverrò e non intendo intervenire”, ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulla richiesta di dimissioni del sottosegretario all’Economia avanzata da Pd e Idv. Giornata nera, quella di Cosentino, che sperava di chiudere subito, e con un bel “no” votato a maggioranza dalla Giunta per le autorizzazioni, la sua via Crucis. Il “no” all’arresto richiesto dai magistrati di Napoli non è arrivato. Se ne riparlerà mercoledì prossimo. Un’altra settimana di pas-
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sione per “Nick ‘o mericano”. Altre polemiche e nuove voci che si rincorrono dal Palazzo di giustizia di Napoli. Quanto basta per allontanare sempre più la candidatura a governatore della Campania e avvicinare il baratro delle dimissioni da potente sottosegretario all’Economia. In Parlamento arriveranno due mozioni, una dell’Italia dei valori e una del Pd. Due bombe a tempo, se è vero che ancora ieri, importanti deputati “finiani” si sono detti possibilisti su un voto a favore delle dimissioni. A Cosentino è bastato leggere l’intervista rilasciata a Il Mattino da Fabio Granata, membro della Commissione antimafia, per capire l’aria che tira. “Se arriva in Aula la mozione di sfiducia non escludiamo di votarla. E’ bene che Cosentino faccia un passo indietro”. Insomma è lotta senza esclusione di colpi dentro il Pdl. Per questo va letto con particolare attenzione uno dei passaggi della memoria difensiva che il sottosegretario ha
presentato alla Giunta. Nel 1995, dice Cosentino, ero consigliere regionale, mi dimisi dopo sei-sette mesi per candidarmi alla Camera. Ma non nel collegio di Casal di Principe. “A Casal di Principe, in quella tornata, sarà eletto deputato l’onorevole Italo Bocchino”. L'attuale vicepresidente dei deputati Pdl, l’ex amico che più di tutti sta manovrando perché Cosentino non sia candidato alla carica di governatore. Altro che “fumus”, qui siamo in presenza di un “fumone” persecutionis. E’ tutta qui la difesa del sottosegretario che sei pentiti di camorra, in periodi e circostanze diverse, indicano come referente dei clan Casalesi nel business dei rifiuti. “La procura di Napoli, seppure esplicitamente sollecitata, ha omesso di convocarmi e non mi ha consentito il diritto alla difesa, il gip ha sommato a tale inadempienza, la omessa o incompleta valutazione di elementi decisivi a discarico”. Cosentino si ritiene un perseguitato, attacca i pm, “angeli custodi residenti sulle mie spalle”. Se la prende con i giornali e con Il Fatto Quotidiano, in particolare, per un articolo che “anticipava” la richiesta di arresto. Smentisce i pentiti, inattendibili, attacca Gaetano Vassallo, chiamandolo più volte il “re dei rifiuti”. Si difende. “Male, malissimo”, è il giudizio di Federico Palomba, parlamentare Idv e membro della Giunta. “Ero disponibile ad ascoltarlo con obiettività e senza alcun pregiudizio, la sua lunga e affannosa difesa, però, non ha affatto smontato le ipotesi poste a fondamento dell’ordinanza. Ancora meno lo ha fatto la sua imbarazzata risposta sulla fine del pentito di camorra, Mi-
chele Orsi, la cui sentenza di morte per mano camorristica era stata abbondantemente preannunciata. Il richiamo a Bassolino, poi, ben lontano dall`attenuare l’ipotesi dell’ordinanza, dimostra soltanto l’assenza del fumus per-
Presentate due mozioni di sfiducia di Pd e Idv, con “finiani” che pensano di appoggiarle
secutionis da parte di una magistratura napoletana che ha esercitato il proprio ruolo senza discriminazione di ordine politico”. Donatella Ferranti (Pd), si distingue nettamente dal suo collega di partito Maurizio Turco (“non voterò l’arresto, è una proposta suicida”). “Il quadro che esce fuori dall’audizione di Cosentino è molto complesso e gravoso. I rapporti, le influenze e le conoscenze dirette del sottosegretario con esponenti dei clan camorristici e imprenditori a essi legati sono di per sé sufficienti, a prescindere dall’accertamento delle responsabilità penali, a giustificare l’immediata presentazione delle dimissioni dagli incarichi di governo”.
CASALESI
di Antonio Massari
Parlò ad Annozero: poi la vendetta dei boss
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mmazzato perché il figlio aveva parlato ad Annozero. La punizione fu decisa dall’ala stragista dei “Casalesi”, guidata dal boss Setola, che nel 2008 decise di uccidere il padre di Domenico Bidognetti, collaboratore di giustizia. Bidognetti, dinanzi alle telecamere di Santoro, invitò al pentimento i camorristi e Setola decise immediatamente di vendicarsi, eliminando Umberto Bidognetti. “Fu una punizione esemplare”, ha commentato ieri il procuratore aggiunto di Napoli, Federico Cafiero de Raho, che ha coordinato le indagini sul gruppo dei killer arrestati ieri. I carabinieri del comando provinciale di Caserta, guidati dal capitano Costantino Airoldi, hanno arrestato 14 affiliati al clan, accusati di 5 omicidi commessi, in soli sei mesi, nel 2008, inclusa l’esecuzione di Bidognetti. Dopo l’arresto di Setola, si tratta del colpo più duro inflitto all’ala stragista dei “Casalesi” che, in soli sei mesi, quell’anno ammazzò ben 17 persone.
LA FUGA DEI PM: IL FRUTTO AVVELENATO DI CASTELLI & MASTELLA er comprendere la truffa del “proPghicesso breve”, e per smentire i luocomuni sulla giustizia lenta e sulle montagne di prescrizioni a causa dei giudici “fannulloni”, basta raccontare gli effetti semisconosciuti dell’ultima cosiddetta “riforma della giustizia”. Prendiamo ad esempio l’articolo 13 comma 2 del decreto legislativo n. 160/2006, la riforma dell’Ordinamento promulgata quando Mastella era Guardasigilli, scopiazzando quella lasciata in eredità dal predecessore Roberto Castelli. È l’articolo che impedisce ai magistrati di prima nomina di fare i pm, consentendo ai neovincitori del concorso di chiedere il passaggio da funzione giudicante a requirente non prima di due anni di attività e attraverso complesse procedure. Con-
seguenza: gli organici degli uffici giudiziari requirenti si andranno azzerando, e presto non ci sarà più un numero di posti giudicanti pari a quello dei magistrati da collocare. Ecco cosa sta succedendo. Nell’ultimo concorso bandito per la copertura di 197 posti in 96 procure – dati diffusi martedì dal Csm – ben 112 (oltre il 60%) sono rimasti vacanti. Con situazioni molto critiche soprattutto al sud. Perché? Forse perché quello del pubblico ministero è un lavoro troppo difficile? E l’attività di chi giudica non è forse altrettanto importante? E allora perché, sotto il bel viso di una riforma che tutela i giovani, c’è un cattivo gioco che fa sì che al Sud i posti negli uffici requirenti siano gravemente vacanti? Non si poteva immaginare che, lasciando le procure scoperte, si sarebbero legittimati i reati e favorite le mafie? La copertura dei po-
dc
Acqua verde Lega di Stefano Feltri
lla fine, pur senza Avotato entusiasmo, la Lega ha la conversione in legge del decreto che liberalizzerà (almeno in parte) la gestione della rete idrica. Il governo ha chiesto il voto di fiducia e questo ha chiuso ogni dibattito, ma leghisti come Marco Reguzzoni avrebbero avuto molto da dire se il Parlamento avesse potuto discutere e proporre modifiche. “Non si muore per una legge, si muore se salta il governo”, ha detto Umbero Bossi. La questione però è delicata e la Lega aggiungerà anche il provvedimento sull’acqua al conto da presentare a Silvio Berlusconi al momento della scelta dei candidati alle regionali 2010. Perché la norma sull’acqua tocca uno dei nodi del potere leghista: le municipalizzate. icapitolando: adesso sarà Rgarapossibile affidare con una d’appalto la gestione
IL DOSSIER
di Eleonora Bujatti
il fatto politico
sti vacanti è stata per anni risolta dagli uditori, con l’ulteriore vantaggio che i giovani erano pieni di entusiasmo ed energia e i più esperti potevano occuparsi delle investigazioni più complesse. Era proprio necessario mettere mano a un sistema che funzionava? La preoccupazione se l’è posta il nuovo governo, rispondendo con un decreto legge, il 143/2008, che è la più classica delle pezze peggiori del buco. Si prevedono infatti per le sedi disagiate e le sedi a copertura necessaria con oltre il 20% di scopertura di organico, degli incentivi di tipo economico e di carriera, che dovrebbero spingere i magistrati a chiedere il trasferimento. Il problema naturalmente non si è risolto: pochi fanno richiesta, quelli che la fanno dopo due anni hanno diritto a spostarsi nuovamente, e i flussi di mobilità sono in questo senso molto elo-
quenti nel prevedere a breve il totale sfascio delle procure. Insomma, non si fa altro che tirare da nord a sud una coperta troppo corta. Grazie alla riforma di verticizzazione delle procure, infatti, i pm sono già stati resi meno indipendenti. Per non parlare della cancellazione di qualche parola in due articoli del C.p.p. al vaglio del Parlamento, che, nel silenzio delle piazze, sancirebbe l’immediata sottrazione al pm del potere di acquisizione delle notizie di reato e del controllo diretto della polizia giudiziaria, per legarli direttamente all’esecutivo. Inoltre lo Stato spende 1 milione di euro in più all’anno, le sedi rimangono vacanti, i fascicoli continuano ad accumularsi. Non è che continuando a unire i puntini apparirà un’indispensabile separazione delle carriere con nomine di pm “graditi”?
della rete idrica (mentre la proprietà dell’acqua resta pubblica). Gli utenti vedranno salire i prezzi, ora tenuti artificiosamente bassi dalla politica, e forse – se ci saranno i controlli adeguati – migliorare la gestione. Che significa più investimenti e minori sprechi (ora superiori al 30 per cento). Ma per la politica il danno è maggiore: rischia di verificarsi uno degli incubi peggiori degli amministratori locali, i genovesi potrebbero avere la rete gestita dai potenti vicini milanesi (con A2A), la romana Acea potrebbe partecipare alle gare per la gestione di reti fuori dal Lazio e così via. Poi ci sono gli operatori stranieri, come Edf, che avranno la possibilità di complicare la vita non poco anche ai gruppi italiani più potenti, già inquieti per la multa europea da quasi 400 milioni il cui pagamento la Finanziaria in discussione alla Camera vorrebbe far slittare. a Lega è l’unico partito ad Lconsenso avere una base di (e di potere) quasi solo territoriale, il Pd conserva ancora un profilo più nazionale anche dall’opposizione, e quindi è quello che più teme di perdere la presa sulle ex municipalizzate (che si occupano, tra l’altro, di erogare l’acqua). A Brescia i leghisti starebbero addirittura valutando l’ipotesi di entrare nel consiglio di amministrazione di A2A, società quotata in Borsa che un po’ soffre la crisi, per rafforzare il legame. Solo il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, sembra disposto a vendere le quote del comune in Iride, ma per la ragione che ha urgenza di fare cassa. Ma la Lega no.
Giovedì 19 novembre 2009
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Superata quota 290mila iscritti al gruppo su facebook
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OPPOSIZIONI
uperata quota 290 mila. In tanti si sono iscritti su Facebook al gruppo “Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Berlusconi”. Appuntamento il 5 dicembre, ore 14, a Piazza della Repubblica, Roma. Un successo senza precedenti, con un coinvolgimento sempre maggiore della Rete: il tam tam continua, come
“El Griso”: saremo tantissimi in piazza per farlo processare
dimostra anche il “muro” della pagina, continuamente aggiornato e scritto dagli utenti. “Voglio un altro futuro per l’Italia, un paese dove le persone lottano per il bene pubblico e non per l’interesse personale”; “lo ribadisco: crolla lui... cascano tutti e casca anche un modo di far politica becero e mistificatore”; “Non è da molto che frequento qesto gruppo ma già mi
Rosy Bindi
LE VOSTRE ADESIONI Abbiamo superato quota 36.000. Tutti per l’appello “Adesso Basta” su ilfattoquotidiano.it
IL PORTAVOCE DEL NO.B.DAY di Federico Mello
iuseppe Grisorio parla con accento barese, ha la battuta pronta e le idee molto chiare. E’ il portavoce del No Berlusconi Day, l’incredibile mobilitazione nata in Rete per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Per me, ci dice “Berlusconi rappresenta la parte marcia di questo paese. Concepisce la res publica in modo proprietario e, soprattutto, pensa
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Giuseppe Crisorio: fuori le bandiere dal corteo, con noi solo adesioni personali, non dei partiti
che il voto popolare corrisponda a un’assoluzione”. Ma per Giuseppe sbaglia chi dice che odiano Berlusconi. “Non è vero: noi non odiamo nessuno. Ma pretendiamo che risponda alle pesanti accuse che gli vengono rivolte in tribunale, come tutti i cittadini, e non in televisione”. 26 anni, Giuseppe è di Cassano delle Murge, ma vive a Bari. Ha tanti soprannomi: Peppino, Peppe, “el Griso” dal suffisso del suo cognome. Fa l’avvocato praticante e frequenta la scuola di specializzazione per le professioni legali che serve per intraprendere la professione di magistrato. “Ho cominciato proprio oggi [ieri, ndr] il secondo anno. Non so se farò mai il magistrato. So che al corso ho la frequenza obbligatoria ed è un problema tutto il lavoro da fare per il NoBDay”. La prima manifestazione alla quale ha partecipato è “quella contro l’articolo 18 al Circo Massimo, avevo diciott’anni”. Poi qualche esperienza da “manovale con un po’ di testa” per la campagna elettorale di Vendola e la gioia per l’elezione di Nichi alla presidenza. “Lo voterei ancora” ci dice. Ma ora è il momento di pensare al 5 dicembre. “Il popolo ‘viola’ del NoBDay vuole essere il collante di persone che aderiscono a titolo personale. Anche per gli esponenti politici, avremmo preferito adesioni individuali”. Mentre i partiti litigano sulle adesioni, infatti, Giuseppe mette le carte in tavola: “Il comitato promotore l’ha detto fin dall’inizio: non vogliamo bandiere di partito. L’unica bandiera
della manifestazione è il tricolore o il drappo viola, le eventuali bandiere di partito che dovessero essere presenti, andranno in fondo al corteo. E sul palco non parleranno esponenti politici, ma persone comuni, a cominciare dai precari dell’Ilva e dai lavoratori di Eutelia”. Dopo, non un concerto, ma musica e arti varie: “Abbiamo un appello firmato da 4000 artisti. Si stanno occupando loro delle coreografie del corteo e dell’al-
LA CONTROMOSSA
sento più orgoglioso di essere italiano”. Eppoi “NBD è un bel modo di far capire che oltre alle patinate vetrinette televisive esiste qualcosa di più. Esistono persone giovani e meno giovani, che credono nel futuro, che sperano in un altro mondo, possibile anche qui in Italia, che si augurano di potersi svegliare in un paese non più succube del berlusconismo”. E ancora, e ancora.
lestimento palco. E cureranno gli spettacoli alla fine della giornata”. Agli esponenti Pd che cercano di capire cosa succederà in piazza risponde. “Per una volta sarebbe bello che i politici si fidassero dei cittadini, quante volte loro ci hanno chiesto di fidarci di loro?”. Al Pd che teme attacchi al presidente Napolitano, risponde sempre d’istinto, con inconfondibile accento pugliese “Che cosa? Se Napolitano viene gli diamo il posto d’onore”.
di Leo Sisti
Il grande flop di Stracquadanio
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lle 17 di ieri il sito del Club della libertà registrava il 93,5 per cento di voti contrari al “Sì Berlusconi Day”. Insomma, un bel flop per Giorgio Stracquadanio, creatore dell’evento, deputato azzurro dal 2008 e prima senatore. Sfruttando il “discorso del predellino” tenuto da Berlusconi due anni fa a Milano, e divenuto poi il trampolino di lancio del Pdl, Stracquadanio ha dato vita al blog “Il predellino”, dove magnifica le gesta del suo Capo. Però di lui le cronache hanno un altro ricordo. Il 1° novembre del ‘95 si presentò nel carcere di Pianosa come portaborse del parlamentare di Forza Italia Pietro Di Muccio. Ufficialmente, per visitare il mafioso Vittorio Mangano, e constatarne la salute. L'8 novembre Mangano venne poi ricoverato a Pisa, in seguito a una decisione presa 20 giorni prima dal ministero della Giustizia. Ma senza il necessario nulla osta della procura di Palermo.
SE SI VUOLE COINVOLGERE UN PARTITO SI CHIAMA IL LEADER, SI DISCUTE norevole Bindi, perchè il Pd Non tutte le manifestazioni deOro)".non va alla.... "Ahhh...(sospi- vono avere il marchio del Pd... Le parli del no del Pd alla Se si vuole coinvolgere un parmanifestazione e subito si scalda. Ahhh.. Che cosa? Ma possibile porre un problema così in questi termini? È una curiosità legittima. Allora: io sono una piazzaiola, per definizione, e anche per storia personale. Le manifestazioni di opposizione in questi quindici anni me le sono fatte tutte: ma questa volta è diverso. Cosa? Non voglio una sola manifestazione, ne voglio trecento. Addirittura. Certo. Anzi, bisogna andare per casa, e dire che è in atto una grave crisi istituzionale. Ma ci rendiamo conto? Il presidente del Senato che minaccia il Parlamento e la sua maggioranza. Allora, perchè non aderire?
tito si chiama il leader, si discute, mica si fanno annunci su internet o pubblici appelli. Dopodichè, spero riesca. Fassino aderì alla manifestazione di Nanni Moretti che era anche contro i Ds La nostra gente ci sarà, la situazione è grave. Ma noi le manifestazioni le organizzeremo con le nostre parole d’ordine. Così però lasciate campo libero all’Idv... “Siamo sicuri cheora sia l’antiberlusconismoa metterlo in difficoltà? Ci sono i disoccupati, la crisi...Occorre un’opposizione dura che costruisce l’alternativa. In fretta. Stanno venendo giù le istituzioni: quello che ha fatto Schifani è quasi un tentativo di “golpe”. Lo metta tra virgolette, Stefano Ferrante se no…
Giovanna Melandri
SÌ, CON LORO CI SARANNO MOLTI DEMOCRATICI Onorevole Melandri, lei per il NoBerlusconiDay ha coniato un neologismo. Penso infatti che questa sia una “manifestazione 2.0”. Perchè non è promossa né da un partito, nè da un giornale, ma nasce da un appello di blogger democratici. Questo la distingue da altri appuntamenti. Cosa deve fare il Pd? Deve avere un atteggiamento aperto naturalmente verso questo mondo. Sono convintache in quella piazza ci saranno molti democratici. Ma parteciperete? Bisogna capire bene come si svolgerà, quali saranno le parole d'ordine, la gestione dell'evento, gli interventi dal palco. Per noi non è pensabile, ad esempio, stare in una piazza dove non si rispetta il Presidente della Repubblica. Ma se questi aspetti dovessero essere ge-
stiti con rispetto istituzionale, penso che sarebbe opportuno la partecipazione di una delegazione del Pd. Di Pietro vi accusa di fare il gioco di Berlusconi. Di Pietro non perde occasione per usare un linguaggio scomposto ostile nei nostri confronti: così è lui a fare il gioco di Berlusconi. La nostra ostilità a questa porcheria presentata da Gasparri è nota. Sarebbe assai più opportuno che le opposizioni si rispettassero di più. Ma voglio aggiungere una cosa Prego Io non vedo l'ora che si faccia un “No poor family day”, una giornata contro la povertà di tante famiglie italiane. Perchè le misure sulla giustizia messe in campo dal centrodestra per risolvere i problemi del premier, continuano ad oscurare i fed. mel. problemi del paese
IL TRIBUNALE DI MILANO “OSPITA” LA NUOVA PROTESTA DEGLI STUDENTI di Daniele
De Chiara
ppuntamento alle nove davanti al triAdirettissima bunale di Milano. C’è il processo per ai due ragazzi arrestati mar-
I ragazzi ieri davanti al tribunale (FOTO ANSA)
tedì durante la manifestazione contro la Gelmini. Gli studenti arrivano da tutte le scuole, picchettate in mattinata; dal Manzoni, addirittura, in corteo tra le bestemmie degli automobilisti. Altre, invece, preferiscono discutere in assemblea. Tanti i cori contro l’amministrazione comunale, governo e forze dell’ordine. “La prossima volta sparerete sulla folla?” chiedono i manifestanti con uno striscione. Ma nessuna tensione, stavolta. “Mamma vi aspetta a casa”, urlano i ragazzi mentre Matteo e Gianmarco passano in manette tra uno stuolo di giornalisti per entrare nel tribunale. Gli stu-
denti presenti hanno tutti un braccialetto verde: “L’Italia non è l’Iran” si legge su altri cartelli. Il dibattimento dura un’ora. Un “attimo”. E i due ragazzi vengono rilasciati. Rischiano fino a cinque anni di reclusione, ma escono perché “non sono pericolosi”. “Mi hanno preso perché ero quello con il megafono”, si giustifica Gianmarco, incensurato, “è un arresto politico e ingiustificato, le foto dimostrano che eravamo inermi. Alle undici e mezza i manifestanti si spostano in corteo verso piazza Fontana. “Adesso manganellateci tutti” recita lo striscione che precede i dimostranti. Poi i ragazzi si disperdono. In un centinaio si ritrovano qualche ora dopo a stappare spumante e organizzare le prossime iniziative al famigerato “Cantiere”, che ha fissato un enorme ma-
nifesto in memoria di Stefano Cucchi all’esterno dell’edificio. Proprio contro questo centro sociale, occupato da otto anni, si scagliava ieri De Corato: “Quando si tratta del Cantiere ci sono sempre disordini”; denuncia la “scarcerazione facile, come con gli immigrati” dei due studenti non ancora ventenni. Così, mentre il super assessore riesce a non stemperare gli animi, la polizia comincia a fare “repressione preventiva”. Diverse le camionette che stazionano la sera di fronte alle scuole a rischio occupazione, come il Gandhi. “La Digos è addirittura entrata in alcune classi per minacciarci” denunciano gli studenti. Ora si aspetta il processo, mentre venerdì è prevista una nuova manifestazione dell’Onda a Roma. “Non protesta non si arresta” è uno degli slogan previsti.
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Giovedì 19 novembre 2009
La guerra televisiva tra RaiSet e la tv di Murdoch
L
BLACK OUT
a guerra delle televisioni sta definendo i suoi futuri sbocchi in questi giorni. Il digitale terrestre, che ha creato il caos nel Lazio da quando c’è stato lo switch off, interessa soprattutto a Mediaset per il suo segmento Premium, le carte prepagate. Sky, che domina il satellite, ha già lanciato (con notevoli sforzi pubblicitari) una chiavetta USB,
che renderà possibile ai suoi clienti - da inizio dicembre - anche la visione del digitale terrestre senza comprare il decoder. Il gruppo di Murdoch ha già annunciato la nascita del canale Cielo, per insidiare Mediaset e Rai anche in digitale. La Rai in questa fase sembra in ritardo ma per ora non ne risente dal punto di vista degli ascolti, con uno share medio del 42,29 per cento. Segue Mediaset
con il 38,91 per cento, Sky con il 3,50 per cento (dati di ieri). Ormai Sky ha superato Mediaset nei ricavi e, secondo alcune stime potrebbe superare anche la Rai che per ora conservava il primato. Ma molto dipende da quale effetto avrà il digitale sull’andamento della raccolta pubblicitaria. La copertura digitale completa, in Italia, è prevista per il 31 dicembre del 2012.
Mister Tivù non funziona in digitale il fallimento del presidente antennista 25 ANNI DOPO I PRETORI D’ASSALTO, L’ OSCURAMENTO di Francesco Bonazzi
ltro che “Presidente Operaio”, tormentone elettorale delle Politiche 2001. Quello che ci vorrebbe oggi è un “Presidente Antennista”. Un Unto della Tecnologia capace di trasformare questo inferno di parabole, antenne pencolanti e prese scart tutte maledettamente uguali, nel nuovo Paradiso terrestre. Del digitale terrestre, per l’esattezza. Sì, anche noi che scriviamo e leggiamo il Fatto Quotidiano, che come si vede dalla messe di pubblicità raccolta siamo uno stolto popolo di adoratori del libro, avremmo tanto bisogno di un Silvio-Gesù che ci sollevasse dall’assistenza tecnologica all’anziana zia teledipendente. Un super-eroe dotato di telecomando universale, il solo capace di riportare la pace e l’ordine nei tinelli d’Italia. Perché se la politica di oggi non fosse così colpevolmente sganciata dai “veri bisogni della gente”, vedremmo scorrere in queste ore le immagini di telegiornale di un premier compassionevole, finalmente capace di uscire da Palazzo Grazioli e di spiccare il volo nell’etere saltellando di tetto in tetto per restituire la vista agli oscurati del Lazio, ai pixellati del Piemonte occidentale, agli annebbiati di Lodi, ai dimenticati della Sardegna. Un manipolatore di decoder, più che di codici. Un raddrizzatore di antenne, più che di magistrati. É quello che la patria intera si
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aspettava dal suo ineguagliabile Mister Tivù, fattosi premier fin dal 1994 mettendo una calza di nylon sulla telecamera. E invece niente. Le cronache di queste ore che arrivano da una città pur non esattamente remota come Roma, ci consegnano il grido di dolore di 200 mila cittadini che invidiano ciociari e reatini, gli unici laziali risparmiati dal micidiale “switch-over” di domenica notte. Certo, provincia e regione sono nelle mani di odiose e inefficienti giunte rosse, notoriamente nemiche del progresso tecnologico. Ma che smacco tutti ‘sti romani che non possono più essere informati in modo puntuale e completo dal loro concittadino Augusto Minzolini! E se qualcuno degli oscurati di oggi iniziasse a peregrinare per Internet per scaricarsi da Youtube i programmi preferiti, come già fanno milioni di giovani in tutto il mondo? E se per colpa dei vari Romani (Paolo, il viceministro al progresso catodico) e Calabrò (Corrado, il presidente dell’AgCom con il vezzo delle poesie) si realizzasse il miracolo di una mezza nazione che scopre l’ebbrezza della scelta nel libero caos internettiano? Uno cerca di scaricarsi “Striscia la Notizia” che prende in giro D’Alema, e poi incappa nella Guzzanti che imita Baffino, nel di lei fratello che fa il verso a Tremonti, nel professor Beppe Scienza che spiega le truffe della finanza sul sito di Beppe Grillo. E tutto questo cammino di libera-
TRINCEA RAI
registrare che i disservizi della “svolta digitale” sembrano la vendetta postuma dei Tre Pretori Oscuratori. Chi erano costoro? I loro nomi sono Giuseppe Casalbore (Torino), Eugenio Bettiol (Roma) e Nicola Trifuoggi (Pescara), tre toghe di eccessiva pignoleria che il 16 ottobre 1984 spensero nelle zone di loro competenza i ripetitori delUn Berlusconi d’annata, ovviamente in televisione (F A ) la Fininvest, accusata di zione solo perché qualche stol- di grande speme: “Per la tv il aggirare platealmente il divieto to burocrate fannullone, come 2009 è l'anno della svolta che si di trasmettere in diretta sul terdirebbe Renato Brunetta, ha chiama digitale terrestre. Ci sia- ritorio nazionale. Si scatenò calcolato male i tempi della tra- mo. Il digitale e' una realtà, un una “battaglia di libertà”, con i smigrazione di massa dal segna- cambiamento che coinvolge tre pretori dipinti come nemici tutte le famiglie” (Adn Kronos, del progresso e della libertà, e le analogico. Perché ci dev’essere un qual- 2 luglio 2009). Coinvolgerle le alla fine ci pensò Bettino Craxi che maleficio post-sovietico se ha coinvolte, indubbiamente. a sistemare tutto con il famoso oggi sembrano tanto surreali E visto che a marzo si vota in “decreto Berlusconi”. É passagli annunci di Pier Silvio Berlu- mezza Italia e in tutto il Nord, to un quarto di secolo: Craxi sta sconi su questo “2009 anno forse sarà il caso di sincerarsi dove sta, Berlusconi ne ha predella rivoluzione digitale”. Che che il previsto passaggio al di- so il posto sulla terra e qualche brutta figura gli stanno facendo gitale della Lombardia, ufficial- milione di italiani non vede più fare al povero vicepresidente mente previsto entro la fine del un tubo. E nessuno che si stracdi Mediaset. Questo figlio di primo semestre 2010, avvenga ci le vesti. Neppure gl’inserziopremier che in estate, presen- con molta maggiore efficien- nisti pubblicitari, che da giorni incassano il danno in religioso tando i palinsesti della stagione za. in corso, ebbe a scolpire parole Intanto, oggi siamo costretti a silenzio. OTO
di Carlo Tecce
Masi rivia il cda della verità Il contratto di Vespa non cambia
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agenda di Mauro Masi è piena di asterischi e scarabocchi: prima decide, poi rinvia. Mai scendere in trincea senza l'elmetto e il direttore (quasi) spodestato, annusata l'aria solfurea di viale Mazzini, all'ora della colazione fa annullare il consiglio di amministrazione Rai convocato per oggi. L'ordine dei lavori pesava troppo per reggere sulle esili spalle della maggioranza, già di per sé debilitata, e di resistere alle pressioni dell’opposizione. Sul tavolo c’erano il nuovo contratto di Bruno Vespa e il cambio alla direzione di Rai Tre di Paolo Ruffini. Il conduttore di “Porta a Porta” ha rinegoziato l'ingaggio triennale: una lieve sforbiciata, nient'altro, il minimo garantito – scritto nella bozza – passa da un 1,67 milioni a 1,5 per 100 puntate più extra. Non siamo lontani dai 6 milioni complessivi calcolati un mese fa e rispediti al mittente dal Cda. Masi è irrequieto: vorrebbe scappare via, ma deve sbrigare le ultime
pratiche e poi lascerà il posto alla vice Lorenza Lei. I berlusconiani sono avvisati, martedì pomeriggio – oltre a blindare il testo di Vespa – Antonio Verro (Pdl) ha discusso di Masi con il presidente del Consiglio. Il governo è concentrato sulla Rai – condannata alla bonifica sino all'angolo più oscuro – e l'attenzione si manifesta in piccole e grandi manovre. Ieri Monica Setta, conduttrice de il “Fatto del Giorno”, doveva annunciare l'esito del sondaggio su Berlusconi (deve dimettersi o no?) al ritorno dalla pubblicità. Non le hanno più ridato la linea. Errore tecnico o censura voluta dal direttore Liofredi? Il ministro Claudio Scajola – che deve firmare il contratto di servizio con la Rai – richiama i fantasmi del MinCulPop: “Se vogliamo tutelare la libertà di stampa e di informazione occorre investire sull’equilibrio etico delle notizie”. E benedice l’organismo esterno di valutazione sulla qualità.
NSA
Informazione scontro tra Cisl e Fnsi eri a Roma c’è stato un convegno Isull’infor mazione organizzato dalla Cisl. Le priorità, spiega il segretario confederale Annamaria Furlan, sono “affrontare e regolare il conflitto di interessi, sostenere l’editoria pura, la partecipazione della società civile e dei lavoratori negli organismi di indirizzo e di vigilanza della Rai, tutelare i tanti giovani precari e free-lance che oggi operano nei media”. Quindi, spiega il leader della Cisl Raffaele Bonanni, “C'é bisogno di un sindacato che sappia difendere gli interessi e i diritti dei giornalisti”. L’ipotesi di un sindacato alternativo alla Federazione nazionale della stampa italiana innescano la polemica, anche per le parole della Cisl sulla Fnsi: “In questi giorni la Cgil ha indicato tempi, modi e ritmi dell'agenda della Fnsi. Noi non lo faremo mai”. Immediata la risposta della Fnsi: “Giulio Pastore (fondatore della Cisl) si rivolterà nella tomba. Le parole dette oggi dalla Cisl sulla Fnsi sono quanto meno stupefacenti e irrituali, di chi da l’idea di parlare senza sapere, o, sapendo, ascoltando cattivi consiglieri”. Reagisce la Cigl: “Il sindacato confederale - ha detto il segretario Guglielmo Epifani - ha sempre sostenuto la Federazione nazionale della stampa e credo debba continuare così, come ha sempre fatto, nelle buone e nelle alterne sorti, perché la Fnsi è un sindacato pluralista”.
PASSAGGIO AL DECODER ROMA ANCORA NEL CAOS di Beatrice Borromeo
o switch off televisivo, che segna il passaggio Lrestre, dal segnale analogico a quello del digitale terverrà esteso a tutto il Lazio il 30 novembre. Dopodichè senza decoder non sarà più possibile vedere la televisione. E rischia di essere il caos, come a Roma (e dintorni) da quando il segnale è stato spento, lo scorso lunedì: 16 romani su 100 non sono riusciti a vedere la tv e quasi 100mila persone hanno chiamato il call center per avere assistenza (800-022000). Non basta: lunedì l’Auditel ha registrato un calo degli ascolti di circa 300mila spettatori rispetto allo stesso giorno della settimana precedente. “Se avessero progettato bene il passaggio – spiega il professor Francesco Siliato, analista dei media del Politecnico di Milano – queste difficoltà non ci sarebbero state. Già dal secondo giorno successivo allo swich off però il numero dei ‘dispersi’ a causa della transazione è sceso del 40 per cento. Si è passati da 300mila spettatori mancanti a 160mila”. La questione è considerata seria dagli inserzionisti pubblicitari che iniziano a protestare per il calo d’ascolti, tanto da chiedere di essere rimborsati. Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni, minimizza: “Il calo degli ascolti? Certo, ci sarà, anche se di poco peso. Nei primi giorni è fisiologico. Il digitale o si vede o non si vede, non ci sono vie di mezzo o immagine avvolte nella nebbia”. Siliato aggiunge: “In realtà la pubblicità è in crisi quindi le lamentele degli
inserzionisti vanno lette come un gioco al rialzo per ottenere qualche spot in più”. La situazione comincia a normalizzarsi e i problemi dovrebbero essere completamente risolti entro entro una decina di giorni. Ma il numero verde messo a disposizione dal ministero per lo Sviluppo economico è tutt’ora molto indaffarato: “Da un paio di giorni – racconta Rosa, un’operatrice – riceviamo chiamate di continuo. Ci chiedono come fare a sintonizzare i televisori, come direzionare le antenne perchè si captino le frequenze. Telefonano tanti anziani, ma non solo, che non riescono a usare il telecomando, che non capiscono come impostare il decoder”. Secondo il responsabile per le comunicazioni del Partito democratico, Paolo Gentiloni, “i problemi che ci sono nel passaggio dall’analogico al digitale non vanno sottovalutati”. C’è chi in questa situazione non può resistere a lungo: gli antennisti, che pure hanno fatto affari d’oro con un boom della domanda superiore alle loro capacità. Andrea Gallo, tecnico romano di Sky, racconta le su frenetiche ultime 48 ore: “É un inferno. Lavoro dalle 6 di mattina alle 11 di sera e non mi fermo neanche per pranzo. La gente è impazzita, è pure aggressiva. Quando suono il citofono di un cliente, dico che sono l’antennista a bassa voce perchè se mi sente qualcuno mi trascina con la forza a casa sua. Ho dovuto farmi prestare un motorino per fare più in fretta e il mio cellulare l’ho lasciato a mia moglie che mi tiene l’agenda della giornata, altrimenti starei solo al telefono e non avrei tempo di sintonizzare le tv”.
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Cucchi: trasferiti i medici indagati, sabato il teste chiave davanti al gip
U
GIUSTIZIA
n elemento chiave per l’impianto accusatorio della vicenda di Stefano Cucchi, che ha portato a sei avvisi di garanzia (per tre agenti penitenziari e tre medici dell’ospedale Pertini) è la testimonianza del suo compagno di cella, un detenuto del Gambia. Il teste chiave sarà sentito in sede di incidente probatorio sabato mattina dal gip Luigi Fiasconaro per confermare
le sue dichiarazioni accusatorie. Dal verbale dell’interrogatorio del 5 novembre davanti ai pm, intanto, emergono alcune contraddizioni forse anche a causa delle difficoltà di traduzione incontrate dall’interprete. Il teste conferma gli elementi fondamentali: che erano in tre a picchiare Stefano e che Cucchi gli avrebbe detto di essere stato malmenato mentre lo accompagnavano nelle celle di sicurezza del
tribunale. Ieri, intanto, la commissione del Senato sull’efficienza sanitaria – presieduta da Ignazio Marino – ha effettuato un sopralluogo all’ospedale Pertini, dove Cucchi è morto. I senatori hanno affermato che la struttura non è in grado di gestire situazioni di emergenza anche per ragioni logistiche. Sempre ieri, i tre medici indagati per omicidio colposo sono stati trasferiti dal Pertini.
La perizia: il maestro Franco è morto per negligenza dei medici
SE YASSINE SI SUICIDA NEL CARCERE MINORILE Arrestato per aver tentato un furto, attendeva il processo da più di tre mesi di Giampiero Calapà
ra afflitto da un male oscuro, era depresso, aveva problemi psicologici”. Il direttore del carcere per minori di Firenze, Fiorenzo Cerruto, non si dà pace per quanto accaduto a Yassine El Baghdadi, che avrebbe compiuto 18 anni fra qualche giorno se non avesse deciso di farla finita impiccandosi alle sbarre della finestra del bagno. Arrestato per tentato furto ad agosto era in attesa di giudizio e ieri mattina sarebbe stato trasferito al reparto di neopsichiatria dell’ospedale di Careggi. Il via libera dalla struttura medica fiorentina è arrivato via fax al carcere martedì sera, ma Yassine, che per le sue condizioni avrebbe dovuto essere controllato a vista, non c’era già più. In realtà le sue condizioni sono peggiorate durante i mesi. Quando è stato arrestato, le sue condizioni non erano state valutate come gravi. Ma il 17 novembre, dopo settimane di peggioramento, era arrivata la scelta di condurlo in un reparto psichiatrico. “Paradossalmente questa tragedia – scuote il capo Cerruto – è successa a un ragazzo per il quale era stato fatto tutto il possibile: lo staff che lo se-
“E
guiva e la nostra psichiatra aveva deciso, dopo l’ultimo colloquio col ragazzo martedì mattina, di trasferirlo a Careggi”. Le condizioni di Yassine erano, quindi, giudicate incompatibili con una struttura carceraria minorile. Dove vigono le stesse regole di un carcere per adulti. Dal tentato furto, avvenuto il 3 agosto, al processo è passato molto tempo, visto che l’udienza era fissata per il 23 novembre. Come mai? Perché la posizione di Yassine è stata tenuta tanto a lungo in sospeso? Il direttore Cerruto dà la sua versione: “Non volevamo lasciarlo per strada. Inoltre, il giudice aveva dato massima disponibilità a chiederne l’inserimento in una comunità. Il ragazzo, quindi, non aveva la prospettiva di anni di carcere davanti a sé: è evidente che il suo problema non fosse la detenzione”. Eppure per il garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, “un italiano non sarebbe mai finito in carcere per un tentato furto, mentre la misura detentiva è sempre più utilizzata per i soggetti deboli, per quelli più esposti della società”. Yassine, il 3 agosto stava cercando di rubare degli orologi esposti in vetrina all’ufficio informazioni della stazione ferroviaria
di Mologno, in provincia di Lucca. I carabinieri riuscirono a fermare la sua fuga lungo uno dei binari. Aveva uno zaino con degli attrezzi per lo scasso. Portato all’Istituto penale minorile Meucci di Firenze, si è tolto la vita martedì, nel tardo pomeriggio, dopo la partita di pallone con gli altri detenuti. È andato in bagno alle 17,40, ha legato un lenzuolo alle sbarre della finestra e, dopo aver aperto la doccia, è salito su una scarpiera per lasciarsi andare. È morto sul colpo. I suoi due compagni di stanza, uno italiano e l’altro albanese, aspettavano il turno per la doccia e non vedendolo uscire alle 17,55 hanno chiamato le guardie. Era arrivato in Italia tre anni fa, affidato dai genitori ad uno zio artigiano con casa ad Aulla, vicino a Carrara. Frequentava un istituto tecnico Yassine, ma “aveva cominciato ad accompagnarsi con persone poco raccomandabili”, ha detto lo zio. Disperato durante il colloquio con la direzione del carcere. A lui il compito di informare i genitori, mentre solo qualche giorno prima aveva pensato all’ipotesi di riportare Yassine in Marocco, lontano da quelle persone che lo avevano condotto su una strada pericolosa. Il
pm Tommaso Colletta ha inviato i carabinieri a ispezionare il Meucci, dove sono detenuti 24 ragazzi tra i 14 e i 21 anni, e ha disposto per oggi l’autopsia sul corpo di Yassine. Una mozione sulla “drammatica situazione delle carceri” sarà inviata al governo dai deputati radicali del Pd e Rita Bernardini annuncia di essere “in sciopero della fame per lottare assieme alla comunità penitenziaria: soprattutto extracomunitari e romeni sono troppo spesso abbandonati a loro stessi”. Sono 65 mila i detenuti in Italia (il 37% stranieri) a fronte di una capienza di 43 mila persone. Intanto,
di Vincenzo Iurillo Immagine da un carcere (FOTO ANSA)
la commissione del Senato sull’efficienza del sistema sanitario, presieduta da Ignazio Marino, ha giudicato “inadeguata” la struttura detentiva dell’ospedale Pertini di Roma, dove fu ricoverato Stefano Cucchi. Non solo. Proprio Marino denuncia lo stato di difficoltà “di un altro detenuto al Pertini, che è in sciopero della fame perché non riesce ad avere contatti con il suo avvocato. Decideremo quindi se allargare l’inchiesta della commissione del Senato”.
La radicale Bernardini in sciopero della fame: “Per solidarietà ai detenuti e ai tanti extracomunitari abbandonati nelle galere”
Per aiutare Daniele
PROSEGUE LA RACCOLTA
Svastichella: chiesti 10 anni per l’uomo che odia i gay di Luca De Carolis
n Aula ha chiesto scusa per quello che ha fatto, Iavere assicurando di non odiare gli omosessuali e di anche amici gay. Parole smozzicate con aria dimessa, che non possono cancellare la furia e il sangue di quella notte d’estate, per cui ora rischia dieci anni di carcere. Questa la pena chiesta ieri dalla procura di Roma per Antonio Sardelli, 40 anni, meglio noto come “Svastichella”. L’uomo che il 22 agosto scorso a Roma aggredì due ragazzi gay, ferendone uno gravemente con un vetro e prendendo a bottigliate il suo compagno. “Smettetela di baciarvi” aveva intimato alla coppia, incrociata all’uscita del Gay Village all’Eur. Pochi attimi dopo, l’ex pugile Sardelli infieriva già sui ragazzi. Ieri Giuseppe, il ragazzo di 33 anni colpito in testa con una bottiglia, era nell’aula del tribunale dove è iniziato il processo con rito abbreviato. È tornato appositamente da Barcellona, dove vive, per ascoltare il gup Rosalba Liso mentre ammetteva come parti civili il comune di Roma e, per la prima volta in Italia, l’Arcigay. Ha guardato il suo aggressore, mentre il pm Pietro Pollidori chiedeva per lui dieci anni di reclusione per tentato omicidio, lesioni aggravate e possesso di arma impropria. E forse ha rivisto mille volte le immagini dell’aggressione. Un ricordo troppo pesante, invece, per Dino, 33 anni, che quella notte ebbe un coccio di bottiglia conficcato a pochi centimetri dal polmone. “Dino non ce l’ha fatta a venire, non se la sentiva” spiega Fabrizio Marrazzo, presidente dell’Arcigay Roma. Anche lui seduto a pochi metri da Svastichella che, a dispetto del soprannome, con la politica non c’entra. Il lugubre nomignolo deriva dall’abitudine di disegnare sin da piccolo il simbolo nazista su panchine e muri. “Non conosce
neppure il significato della svastica” sostiene il suo avvocato Riccardo Radi, che in tribunale ha ribadito la versione del suo assistito: “Sardelli è stato insultato davanti alla sua fidanzata, ha reagito alle provocazioni dei due giovani”. Ma nella prossima udienza del 25 novembre Radi dovrebbe chiedere l’infermità mentale e il ricovero in una struttura specializzata per il suo cliente. L’uomo che non capisce il significato della svastica è già stato dichiarato seminfermo di mente nel 2002, mentre pochi mesi fa una perizia l’avrebbe definito “un paranoico con una personalità borderline”. Problemi acuiti da 15 anni di tossicodipendenza. Un macigno per l’ex pugile, figlio d’arte. Anche il padre saliva sul ring per mantenere una numerosa famiglia. Ieri era fuori dell’aula, con lo sguardo di pietra, mentre il figlio giurava di avere amici gay. “Non ce l’ho con loro” ha ripetuto. Nessun cenno diretto all’aggressione e su come si sia svolta. Solo parole di pentimento, che Marrazzo rimanda al mittente: “Sono dichiarazioni inutili, una persona che ha aggredito due uomini solo perché si stavano baciando si smentisce da sola”. Grande soddisfazione invece per la decisione del gup: “Si tratta di un passo storico per le associazioni e la comunità gay, lesbica e trans, che non erano mai state riconosciute come parti civili”. Ieri è stata la prima volta anche per un ente pubblico, mai ammesso come parte civile in processi per reati causati da omofobia. Il Campidoglio ce l’ha fatta, e il sindaco Alemanno promette: “Faremo di tutto per avere una condanna esemplare”. Sardelli, dopo l’aggressione per quattro giorni rimase in libertà, denunciato a piede libero. Poi il gip, dopo un diluvio di polemiche, ne dispose l’arresto e il trasferimento a Regina Coeli, dove è tuttora de-
Per dare a Daniele Amanti la possibilità di essere curato negli Stati Uniti basta un bonifico alla Banca di Credito Cooperativo di Roma Iban: IT 38 V0 8327032 19000000005775 Intestato a Parent Project Onlus. Causale: Fondo Daniele Amanti. Si può donare anche tramite posta al Fondo Daniele Amanti - Istituito presso il Parent project onlus c/c n°94255007.
tenuto. Esultò anche Alemanno, irritato dai tanti che avevano accostato Svastichella agli ambienti della destra romana. L’ennesimo intoppo per il sindaco e la sua giunta, già in vistosa difficoltà per la lunga teoria di aggressioni nei confronti dei gay nella Capitale. Sardelli ha compiuto forse la più grave, con la violenza di chi ha sempre vissuto ai margini. Nel Laurentino 38, periferia difficile, lo conoscevano tutti come un uomo da tenere a distanza. Un colosso di un metro e novanta, che quando non indossava i guantoni compiva furti e rapine. Arrestato più volte per una lunga lista di reati, compresa un’aggressione a suon di pugni a due poliziotti che l’avevano sorpreso in flagrante, nel 2005 era finito in carcere. Ma era presto tornato in libertà per le sue condizioni psichiche. Il certificato medico che lo etichettava come schizofrenico lo portava sempre con sé, come un talismano. E funzionava. “Con questo non mi possono tenere in cella” si vantava. Anche nell’agosto scorso, dopo l’aggressione ai due gay, era convinto di scamparla. Ma è andata in un altro modo, almeno sinora. E così Svastichella ha chiesto scusa. Perché persino lui sa cos’è la paura.
a richiesta di ecocardioLtellagramma è spillata alla carmedica. Risale al momento del ricovero, il 31 luglio. Ma quell’esame a Francesco Mastrogiovanni glielo hanno fatto solo da morto. L’ecocardiogramma viene compiuto circa sette ore dopo il decesso, che sarebbe avvenuto all’1.46 del 4 agosto, e non alle 7.20, come riportato in cartella. È solo una delle anomalie che emerge dall’inchiesta sulla morte del 58enne maestro di Castelnuovo Cilento. Mastrogiovanni è deceduto nel reparto di psichiatria dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania per un edema polmonare acuto dopo 80 ore di degenza coi polsi e le caviglie legate al letto. Secondo le 62 pagine della perizia del medico legale Adamo Maiese, cofirmata dallo psichiatra Giuseppe Ortano, l’edema “è diretta conseguenza della modalità con cui è stata effettuata la contenzione fisica” dal momento del ricovero sino alle 7.20 del 4 agosto, ridefinito come orario in cui i sanitari si sono accorti che il maestro era spirato. I due consulenti della procura sostengono che “il comportamento del personale sanitario che tenne in cura il Mastrogiovanni è stato negligente”. Negligenza consistita “nel mettere in atto la contenzione fisica con le modalità sopra descritte” nel corpo della perizia, che tratteggia una sorta di telecronaca del filmato delle ultime 80 ore di vita del maestro. Una telecamera interna ha infatti registrato l’agonia dell’uomo e i nastri sono stati acquisiti al fascicolo. In tutto il video Mastrogiovanni non mangia, non beve (viene alimentato da un sondino), non è mai controllato né monitorato. E soprattutto, anche se i periti sottolineano che in cartella clinica non si fa cenno della contenzione in atto, non viene mai slegato. “Eppure in cartella si legge con una certa frequenza: non si somministra terapia. Perché dormiva spesso, quindi era tranquillo” afferma l’avvocato della famiglia, Caterina Mastrogiovanni, cugina di Francesco. “Allora perché non gli hanno tolto i legacci ogni tanto? Cambiando posizione avrebbe respirato meglio, si sarebbe salvato”. La perizia è uno dei perni delle accuse mosse dal pm Francesco Rotondo, che ipotizza il reato di omicidio colposo e ha chiesto la sospensione dalla professione per i 7 medici e i 12 infermieri del reparto di psichiatria del San Luca. Il gip Nicola Marrone deciderà sulle misure cautelari dopo aver ascoltato i 19 indagati. Gli interrogatori inizieranno il 4 dicembre.
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Spatuzza, il pentito che fa tremare Berlusconi e Dell’Utri
È
STORIE ITALIANE
Gaspare Spatuzza il pentito che toglie il sonno a Berlusconi e Dell’Utri. Deporrà al processo d'appello al senatore del Pdl imputato a Palermo di concorso esterno in associazione mafiosa. Nel suo interrogatorio reso ai pm di Palermo, Spatuzza ha indicato Dell'Utri e il presidente del consiglio Berlusconi come i referenti politici di
Cosa Nostra dopo le stragi del 1992. Il pentito ha raccontato di avere appreso la circostanza da Giuseppe Graviano, in due diversi incontri a cui avrebbe partecipato anche il boss Cosimo Lo Nigro. Dai colloqui col capomafia, prima col capomafia, poi col fratello Filippo, quest’ultimo visto in carcere nel 2003, Spatuzza dedusse che tra Cosa
nostra e lo Stato era in corso una trattativa e che i referenti politici dei boss fossero proprio Dell’Utri e Berlusconi. La decisione su quando e dove Spatuzza sarà ascoltato verrà presa domani, alla ripresa delle udienze per Dell’Utri. Si attende anche il deposito da parte dei pm di nuovi documenti processuali.
BORSELLINO, L’IRA DELLA FAMIGLIA: ”DALLA CASSAZIONE PIETRA TOMBALE” La sentenza: “L’agenda rossa mai stata a via D’Amelio” Stragi del ‘92, i pm negli uffici del Servizi segreti di Giuseppe
Lo Bianco e Sandra Rizza agenda rossa di Paolo Borsellino come la mafia di trent'anni fa: non esiste. O meglio, non è mai esistita all'interno della borsa del magistrato, ritrovata il giorno dell'esplosione in via D'Amelio. Lo sostiene la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha depositato le motivazioni della sentenza con cui conferma il proscioglimento del colonnello Giovanni Arcangioli dall'accusa di aver rubato e fatto sparire il documento. Per la Cassazione ''gli unici accertamenti compiuti in epoca prossima ai fatti portavano ad escludere addirittura che la borsa presa in consegna da Arcangioli contenesse un'agenda, come da quest'ultimo sempre sostenuto''. Agnese e Manfredi Borsellino, la vedova e il figlio del magistrato ucciso, non nascondono la propria amarezza: ''Possiamo solo ribadire che quel giorno Paolo Borsellino si è recato in via D'Amelio portando l'agen-
L’
da con sè''. Quella domenica 19 luglio del 1992, infatti, Agnese si trovava con il marito e alcuni amici nel villino di famiglia e appena un'ora prima dell'esplosione vide il marito con l'agenda. Nei mesi scorsi, la vedova Borsellino ha ribadito ancora una volta questa circostanza ai pm di Caltanissetta. Oggi la Cassazione sembra cancellare la sua testimonianza. Rita Borsellino, eurodeputato del Pd, dichiara: “Incredibile. Quell’agenda allora ci dicano dov'è finita''. “Adesso - dice con ironica amarezza Salvatore Borsellino - bisognerebbe incriminare la vedova per aver dichiarato il falso. Come si fa a prendere per buona la testimonianza di una persona, peraltro imputata, che ha dato tre o quattro versioni diverse dello stesso fatto?''. Il riferimento è allo stesso Arcangioli, che dopo aver chiamato in causa due magistrati (Alberto Di Pisa e Vittorio Teresi) che non erano presenti in via D'Amelio nell'immediatezza della strage, ha cambiato versione sui suoi
movimenti attorno a quella borsa sostenendo alla fine di averla aperta alla presenza dell' ex pm Giuseppe Ayala, e di non avervi trovato l'agenda. Circostanza che Ayala ha poi negato. La Cassazione adesso da' credito all'ufficiale e fa calare una pietra tombale sulla sparizione del documento che secondo numerosi magistrati e investigatori antimafia racchiude il mistero dell'uccisione di Borsellino. L'agenda rossa, infatti, col suo potenziale di segreti, è considerata la ''scatola nera'' della Seconda Repubblica. Per il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, che indaga sulla trattativa Stato-mafia, in quell'agenda ''c'è la chiave della strage di via D'Amelio. È improbabile che sia andata distrutta, più logico pensare che sia in mano a qualcuno che la possa usare come arma di ricatto''. Secondo il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari ''non è una possibilità fantascientifica che dentro quell'agenda ci fossero degli appunti di Borsellino su un possibile nego-
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anno 9 anni, sono una italiana e una marocchina. I genitori non hanno più trovato le due bimbe quando sono andate a prenderle fuori dalla scuola elementare. Intorno alle 14 sono uscite dall’aula per andare in bagno. Da quel momento nessuno le ha più viste.
L Uno striscione per la verità su Borsellino (FOTO ANSA)
ziato tra lo Stato e le cosche, perchè si ponesse fine alle stragi''. E intanto proprio riguardo alle stragi i pm di Palermo e Caltanissetta - Messineo e Lari stanno esaminando una serie di documenti riservati su via D’Amelio e Capaci contenuti
sembra ricordarsi del cosiddetto fine vita solo quando si trova di fronte all’Eluana di turno. Salvo poi far rimilio Coveri combatte per una guerra che il suo piombare tutto nel dimenticatoio. «Sono un amico di amico Indro Montanelli definì «impossibile da vin- Beppino Englaro da tanti anni - spiega Coveri - e so cere. Non ce la faremo mai in questo Paese codardo e quanto è stato costretto a soffrire solo perché manipocrita. Ma è una guerra che qualcuno doveva pur cava un foglio con sopra scritte le volontà della figlia: cominciare». Coveri, a capo dell’associazione Exit Ita- ho visto la gente sotto la clinica agitare bottigliette lia, si batte da anni perché anche nel nostro Paese ven- d’acqua gridandogli ‘Boia, fai morire tua figlia di sete’. ga permessa «l’interruzione volontaria della propria È stata una vergogna. Beppino aveva invitato Naposopravvivenza in condizioni fisiche terminali». Que- litano e Berlusconi a venire di persona per rendersi sto il titolo del progetto di legge che più volte ha ten- davvero conto di chi fosse Eluana, nessuno dei due ha tato di proporre al nostro Parlamento. Ma la politica accettato». Nel 1997 l’Italia è stata uno dei firmatari della Convenzione di Oviedo che contiene norme fondamentali, come il riconoscimento del testamento biologico, il no aldi Paola Zanca BIOTESTAMENTO l'accanimento terapeutico e la regolamentazione del consenso informato. Sono trascorsi 11 anni ma nessuno ha mai emanato i decreti attuativi per recepire i nuovi canoni su questioni tanto delicate. Per questo Coveri a combattere la sua guerra sui due versanti delle Alpi: a sud lo chiamano “disarmo”. L'emendatentando di animare un dibattito sui temi mento del deputato Pdl Benedetto etici narcotizzato ad arte; a nord aiutando Della Vedova al ddl sul testamento biologico tanti italiani a mettersi in contatto con le doveva distendere gli animi: una “soft law”, cliniche svizzere in cui il suicidio assistito è consentito dal 1942. Molti italiani avvercon un doppio “no” all'eutanasia e all'actono la necessità di porre fine alcanimento terapeutico, sottoscritta da una la propria vita quando non hancinquantina di deputati del Pdl. Nemmeno no altre aspettative se non quelquarant’otto ore dalla presentazione dell'ele di soffrire inchiodati a un letmendamento in commissione Affari Sociato. Coveri riceve telefonate quoli, però, almeno dieci di quelle firme sono tidianamente da ogni parte sparite. “Prendo atto – dice Della Vedova d’Italia, circa 40 alla settimana. – che su un tema su cui si dichiara libertà «A tutti dico un’unica cosa: non di coscienza, il capogruppo abbia ritedovete perdere tempo. Per nuto di fare pressioni per il ritiro delle compiere il percorso che ha scelto, il malato terminale deve firme”. Il capogruppo è Fabrizio Cicchitessere lucido e in grado di somto: per lui si è trattato di una svista, i ministrarsi da solo il farmaco». colleghi hanno firmato senza essere Se manca una delle due condiben informati. Possibile? “Li chiami e zioni tutto si blocca, gli svizzeri chieda se sono stati torturati”. sono inflessibili. L’iter precedente il suicidio assistito è inte-
Quelle firme scomparse
Sparite due bimbe da scuola
Rudy: non ho ucciso Meredith
negli archivi dei servizi segreti. I magistrati - come scrive oggi L’espresso - hanno notificato ieri al prefetto Gianni De Gennaro, direttore del Dis (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) un ordine di esibizione degli atti finora rimasti top secret.
EMILIO COVERI DI “EXIT”: IN ITALIA SOLO IPOCRISIE, BASTA SOFFERENZE DISUMANE PER I MALATI TERMINALI
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CASSOLNOVO (PAVIA)
PROCESSO DI PERUGIA
“Io, Montanelli e la battaglia per il suicidio assistito” di Alessandro Ancarani
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ramente proteso a far desistere il paziente dalle proprie intenzioni. «Il protocollo svizzero è molto rigido – continua Coveri – Anzitutto una commissione medica ministeriale accerta tramite le cartelle cliniche se esistano le effettive condizioni di malattia terminale. Tanti malati di mente chiedono di poter morire, ma le patologie mentali, anche giudicate incurabili, non vengono comprese». Una volta avuto il via libera dalla commissione medica, il malato sceglie la data e quindi si reca in clinica. «Il medico per legge deve chiedere reiteratamente di desistere. E non lo fa con formule di circostanza, ma con appelli accorati. Il 30% dei pazienti desiste o decide di rimandare, l’altro 70% invece assume due pillole antiemetiche. Trascorrono altri dieci minuti mentre il medico avverte ancora: se cambi idea adesso sei ancora in tempo, ma dopo che avrai bevuto il medicinale non potrò più fare niente per te». Il pentobarbital viene preparato in un bicchiere e va bevuto. Entro un minuto e mezzo la persona cade in un sonno profondo. Qualche minuto più tardi insorge l’arresto cardiaco. Il suicidio assistito si differenzia dall’eutanasia perché in nessun caso a dare la morte può essere un soggetto diverso da colui che muore: se non si è in grado di bere da soli nessuno può fornire un aiuto, se non incorrendo nelle pene della dura legge svizzera. Dura è anche la legislazione nostrana che, non potendo impedire a chi vuol morire di recarsi in Svizzera, minaccia coloro che accompagnano il parente verso il fine vita. Il rischio è quello di essere accusati di concorso in omicidio volontario una volta rientrati a casa. Coveri guarda all’Italia: “Quella che si sta per approvare è solo una legge anti-Eluana. C’è chi pensa che la vita è sacra, io penso che la vita è mia. Dunque se credo non abbia senso soffrire oltre misura senza nessuna possibilità di guarigione, devo poter porre fine a quella che non è più un’esistenza dignitosa”.
In Svizzera una legge chiara e rigida per i tanti casi di condizioni senza via d’uscita
a conferma della condanna a 30 anni inflitta in primo grado a Rudy Guede per l’omicidio di Meredith Kercher: è la richiesta della procura generale nel processo con il rito abbreviato in corso davanti alla Corte d'assise d'appello di Perugia. Il giovane ivoriano: “Voglio far sapere alla famiglia Kercher che non ho ucciso né violentato la loro figliola. Non sono quello che le ha tolto la vita”.
’NDRANGHETA
Vietati i funerali pubblici del boss
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a decisione è stata presa dal questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona, a garanzia dell’ordine e della sicurezza pubblica. Il boss Pietro Costa era considerato uno dei capi dell’omomina cosca di Siderno della ’ndrangheta.
LA GIORNALISTA PAPI
“Voglio sposare Izzo del Circeo”
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a giornalista Donatella Papi vuole sposare il pluriassassino Angelo Izzo, condannato all’ergastolo per la strage del Circeo e per quella di Ferrazzano (nel 2005 uccise una donna e sua figlia, mentre era in regime di semilibertà dal carcere di Campobasso). “Tra noi è nato un rapporto epistolare e abbiamo scoperto tante affinità» dice Izzo. La Papi è stata inviato speciale per “Il Giornale” di Montanelli, ha lavorato sempre nel quotidiano milanese con Feltri e poi con Silvana Giacobini a “Gioia”.
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Una rete indipendente per il “potere agli under 30”
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NUOVE GENERAZIONI
.e.na. è la Rete per l’Eccellenza Nazionale. Un progetto indipendente che mira a mobilitare idee e persone al fine di concepire, diffondere e sperimentare azioni e politiche per la promozione e l’aggregazione dell’eccellenza italiana, in ogni sua forma. Nell’ambito dei loro percorsi personali e
professionali, giovani ricercatori e professionisti italiani si confrontano con realtà dinamiche, maturano idee, familiarizzano con metodologie, modi di pensare e di agire differenti. L’associazione offre a queste risorse un’occasione per mettere in Rete competenze diverse, con l’intento di condividere le migliori esperienze, locali e nazionali quanto europee e
internazionali, in modo da rafforzare e radicare in Italia una cultura dell’innovazione pubblica. La prima assemblea risale al 2006 e si svolse a Rieti, l’ultima un mese fa a Bruxelles. I soci possono essere fondatori, sostenitori, ordinari o soci-corporate, cioè aziende che contribuiscono al lavoro dell’associazione aderendo allo statuto e condividendone i valori.
I GIOVANI CERVELLI E LA LOBBY DEL MERITO Funzionari Onu, ricercatori, economisti: un’associazione per “sbloccare” l’Italia di Caterina
Perniconi
Economist ha pubblicato un editoriale denunciando un problema d’inserimento dei giovani in Inghilterra. Come nel nostro paese, viene subito da pensare. E invece Oltremanica la questione è esattamente opposta: gli under 30 sono troppo introdotti nelle posizioni che contano, e il paese si interroga su quest’opportunità. Che in Italia non ha quasi nessuno. Forse adesso tocca a noi chiederci quale dei due paesi funzioni meglio. La domanda se la sono posta i giovani di R.e.na., la Rete per l’Eccellenza Nazionale. Un’associazione nata tre anni fa con l’intento di promuovere le iniziative di ragazzi meritevoli che si sono distinti in Italia e all’estero. E pensano che un impiego più am-
L’
pio dei giovani non sia solo auspicabile, ma soprattutto necessario. “R.e.na prende forma dall’idea di alcuni amici che hanno deciso di mettere intorno a un tavolo delle persone brillanti – racconta Davide Rubini, socio fondatore – e di fare un tipo di associazionismo diverso. In Italia esistono solo associazioni cattoliche o ambientaliste ma nessuna che si occupi specificamente della cosa pubblica e di come possano migliorarla i giovani”. Nello statuto di cui si sono dotati, si legge che R.e.na. vuole contribuire a rinnovare la res publica italiana, stimolandone l’eccellenza attraverso la ricerca, la proposizione e la promozione di politiche sul territorio. “Ormai parlare di giovani è diventato un concetto generico – spiega il presidente Ales-
sandro Fusacchia – perché si è giovani dai 15 ai 40 anni e anche dopo. Ma tutte queste generazioni non hanno la possibilità di mettersi in gioco e spesso se ne vanno dall’Italia. Anche perché non è responsabilità del singolo individuo cambiare il sistema, ed è per questo che noi abbiamo sentito la necessità di fondare R.e.na.”. Dal giornalista emigrato in India, alla presidentessa di una Ong, da un funzionario delle Nazioni Unite a una ricercatrice che ha scelto di restare nel Belpaese, l’associazione riunisce una folta schiera di ragazzi che si distinguono nelle loro professioni e per le loro idee politiche assolutamente bipartisan. “Siamo totalmente apolitici – chiarisce Fusacchia - e abbiamo finalità esclusivamente di solidarietà sociale. Vogliamo
Un girotondo di giovani italiani disegnati da Marilena Nardi
provare a smuovere le acque, a dimostrare che in Italia ci sono anche giovani con coscienza civica attiva che vogliono smettere di aspettare Godot
JAMES FONTANELLA
ELENA FENILI
“IN INDIA DIRIGO IL FINANCIAL TIMES ONLINE”
“HO RISCHIATO TUTTO PER TORNARE QUI”
ames Fontanella-Khan deve il Jmoglie suo cognome alla giovane pachistana. Ventisette anni, di origine pavese, James è il direttore della versione online del Financial Times indiano. Ha rischiato di diventare un calciatore professionista quando giocava nelle giovanili del Piacenza, ed era nella rosa del Pavia calcio quando la squadra è passata dalla Serie D alla Serie C. Poi James, padre italiano e madre sudafricana, ha deciso di sfruttare la sua conoscenza dell’inglese fin da bambino per laurearsi in Economia alla Royal Holloway University of London. “Il giorno in cui sono partito per l’Inghilterra ho comprato 50 mila lire di giornali locali e riviste secondarie italiane – racconta James – perché sognavo di fare il giornalista da grande e volevo provare a corrispondere dall’Inghilterra e dai viaggi che facevo. Scrissi decine di mail ma non mi rispose nessuno. Dopo qualche mese mi chiamarono dalla rivista Avvenimenti (oggi esce con il titolo di Left, ndr) e mi proposero di collaborare. Scrivevo per loro e per il Manifesto con cui mi misero in contatto, ma era una collaborazione non retribuita e non mi aiutava a crescere. Scrissi poi un libro con Diego Novelli per Edi-
tori Riuniti, ma quando Diego si ammalò la casa editrice non mi ricontattò mai per portare avanti il progetto. Quindi tagliai tutti i ponti con l’Italia e decisi di fare sul serio”. Dopo un Master in Scienze politiche europee a Parigi e un primo lavoro in un sito coreano di giornalismo partecipativo, James inizia a leggere e scrivere solo in inglese e si iscrive alla Scuola di giornalismo della City University di Londra. Grazie a loro ottiene uno stage al Financial Times, “e lì successero una serie di cose a mio favore: in Italia scoppiò il caso Fazio e io cominciai a raccontarlo. Poi trovai una storia che fu la mia vera svolta: un ragazzo americano che non aveva soldi per studiare aprì una pagina ‘Million dollar home page’ dove vendeva ogni pixel a un dollaro per raggiungere il milione e pagarsi gli studi. Mentre ci lavoravo il sito fu attaccato da un hacker e intervennero i Servizi segreti. Fu la storia più letta del sito del FT e lì il direttore mi notò e volle continuare a lavorare con me. Dopo due anni di gavetta mi hanno proposto di partire e io ho subito accettato. L’Inghilterra è un paese dove il merito viene immediatamente premiato. Spero che R.e.na. apra gli occhi c .pe. a molti italiani”.
lena Fenili è la responsabiEStudies” le della sezione “Political della divisione “Institutional & International Affairs” del gruppo Unicredit. Trentenne, laureata in Economia e commercio all’Università di Pisa e specializzata in Banca e Finanza, ha scelto di tornare in Italia dopo un’esperienza negli Stati Uniti, dove lo stipendio era 4 volte più alto e le prospettive di crescita esponenziali. “Scegliere l’Italia non è stata una decisione a cuor leggero”, racconta Elena. “In America ti propongono carriere sicure e dopo 18 mesi sai già quale sarà la tua prospettiva. Ma io non volevo accettare che nel mio paese non ci fosse una strada da percorrere e allora ci ho provato”. Elena ha scelto le materie internazionali dopo uno stage al ministero degli Esteri nel 2002. Alla Farnesina ha lavorato nella direzione generale per la Cooperazione economica e finanziaria, occupandosi del supporto pubblico all’internazionalizzazione delle imprese italiane. Poi è partita per New York dove ha lavorato alla Rappresentanza italiana presso le Nazioni Unite partecipando alle negozia-
e imparare ad aprirsi le porte da soli”. Molti i progetti realizzati in questi tre anni, tra i quali una convenzione con l’Unione delle province italiane per favorire la colla-
borazione di giovani professionisti sul territorio che elaborano e promuovono idee e riflessioni su politiche pubbliche e private di eccellenza, per migliorare in questo modo il servizio delle province ai territori e la loro capacità di innovazione. “Questo paese è totalmente ingessato – insiste il presidente Fusacchia – e anche se arrivasse il nostro Obama si ritroverebbe invischiato in decine di veti. Gli ultimi 20 anni hanno prodotto una totale disillusione in un sistema che invece può cambiare. Noi vogliamo cominciare dal basso a disincrostare gli ingranaggi”. La denuncia di R.e.na. è sociale e culturale: “In Italia – conclude Fusacchia – tutti i giorni c’è uno scandalo che che copre quello del giorno prima. Dalla politica a Calciopoli a Vallettopoli non cambia mai niente. Gli altri paesi, dopo uno scandalo, rivedono il loro sistema e mutano culturalmente”. Quello a cui lavorano i professionisti di R.e.na è un ampio progetto di cambiamento del paese. Si riuniscono in assemblea due volte l’anno per scambiarsi idee e valutazioni sul lavoro fatto. Una “lobby meritocratica” che conta già un centinaio di iscritti ma che non vuole diventare un movimento troppo ampio. “Non saremo mai più di 200 – spiegano i soci – perché il nostro progetto deve aiutare davvero i partecipanti e non fare politica senza risultati”. L’unica cosa di cui questo paese non ha davvero bisogno.
FRANCESCO GALTIERI
zioni comunitarie sulle questioni umanitarie e sui conflitti africani, fino a trovare un lavoro in una banca collegata all’Italia. Un filo che non si è mai spezzato. “La prima volta che mi hanno chiamato da Unicredit era per uno stage. Ma in quel momento, con un lavoro in America, non potevo accettare. La seconda volta c’era un contratto di consulenza per un anno. Ero preoccupata, ma ci ho creduto e sono tornata”. A Roma conosce Alessandro Fusacchia, il presidente di R.e.na., e decide di avvicinarsi all’associazione. “È stato un processo lento, ho letto lo statuto, ho partecipato a qualche riunione e mi sono subito convinta. Finalmente incontravo persone come me, ho realizzato che non ero da sola. Io odio chi si lamenta, anche quando le lamentele sono giuste. E in R.e.na. ho trovato persone positive, che fanno proposte. Non siamo dei geni, nessuno ha un quoziente intellettivo superiore alla media, siamo solo dei trentenni che non vogliono essere categorizzati come ‘rincoglioniti’ e fare qualcosa, se pur poco, per cambiare c .pe. le cose”.
“SONO SOCIO FONDATORE PORTO IDEE NUOVE” rancesco Galtieri è uno dei Ftadue soci fondatori di R.e.na. Trenanni, lavora a New York per lo United Nations Development Operations Coordination Office come Policy Specialist in materia di riforma delle attività umanitarie e di sviluppo dei Programmi, Fondi e Agenzie specializzate dell’Onu. È responsabile di sette paesi africani e coordinatore di altri sei. Laureato in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia, dottore di ricerca in Sistemi politici e sociali dell’Africa contemporanea all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, conserva un legame con l’Italia e il mondo accademico. È cultore della materia in Diritto internazionale, Organizzazione internazionale e Diritto degli Scambi internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Trieste e dal prossimo semestre insegnerà anche a Napoli. “È un investimento solo accademico – spiega Francesco – perché l’Onu non mi permette di aggiungere entrate economiche al loro stipendio. Ma per me è importante restare collegato all’università”. Ha insegnato anche all’Institut Superieur pour l’Informatique et la Gestion di Ouagadougou in
Burkina Faso ed è stato lecturer all’Essec Business School di Parigi. È partito con un programma dell’Onu per volontari in Burkina Faso ed è rimasto lì per quattro anni e mezzo, prima come responsabile dei volontari, poi come capo dell’ufficio del coordinatore residente dell’Onu. “Il mio interesse a partecipare attivamente a R.e.na. si ricongiunge in parte alle finalità che dò anche al mio impegno accademico – dice Francesco – ossia aggiungere un contributo intellettuale alla riflessione su questioni di politiche pubbliche che possano aiutare a migliorare il nostro paese, di cui mi rattrista assistere ad un declino della cosa pubblica che non mi pare abbia eguali in Europa occidentale in questo momento. Alla promozione di idee e pratiche nuove per la vita pubblica del nostro paese, associo naturalmente il potenziale che giovani professionisti italiani, che lavorino in Italia e all’estero, possono apportare. Purtroppo – conclude – non credo che il rinnovamento possa venire da coloro che hanno condotto l’Italia a questo stadio e che cercano di convincere il paese che troveranno le soluzioni da soli”. c .pe.
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Giovedì 19 novembre 2009
RISORSE
LA GUERRA PER LE MULTE
C’è un tesoretto da 1,2 miliardi di euro all’anno conteso da ministeri, comuni e autostrade di Daniele Martini
icordate il “tesoretto”? Fu croce e delizia del passato governo di centrosinistra. Ecco, ora di nuovo c’è un tesoretto che si aggira per l’Italia con annesso assalto alla baionetta. Questa volta il gruzzolo è costituito dai soldi raccolti con le multe stradali. Le analogie sono tante, anche se ci sono pure le differenze. La prima è he rispetto all’altro tesoretto, di cui in qualche momento appariva incerta addirittura l’esistenza, questa volta la certezza che i soldi ci siano, e tanti, è indiscutibile. Le somiglianze più forti riguardano, invece, la pletora dei pretendenti. In prima linea ci sono i comuni, ovviamente, che fino ad ora hanno utilizzato i soldi delle contravvenzioni come una specie di fondo di compensazione per i trasferimenti sempre più esigui dallo Stato centrale e per la perdita dell’Ici, poi c’è il ministero delle Infrastrutture guidato da Altero Matteoli, la società Autostrade controllata dal-
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BANCHIERI
la famiglia Benetton, l’Anas di Pietro Ciucci. E infine le circa 5 mila aziende specializzate nella manutenzione stradale che fanno capo in particolare alla confindustriale Finco (filiera strade) e all’Aises, associazione delle imprese per le dotazioni di sicurezza (segnaletica e barriere), aziende da mesi in attesa di poter attingere al tesoretto per avviare i lavori per la cura delle vie. AI COMUNI NIENTE. Fino a oggi la materia delle contravvenzioni e dell’utilizzo dei soldi era regolata in maniera assai approssimativa. Quando nel 1992 fu varato il nuovo Codice della strada, furono introdotti due articoli, il 14 e il 208, in cui si parlava di contravvenzioni e manutenzione delle strade. Il 208 stabiliva che metà delle multe locali fosse utilizzata per la cura e il miglioramento delle vie, mentre per le contravvenzioni di polizia stradale, carabinieri e guardia di finanza la quota scendeva al 20 per cento. L’articolo 14, in-
di Sandra Amurri
SILENZIO, PARLA DORIS M
onica Setta, giornalista in cerca della verità, ieri a Il Fatto del Giorno ha parlato della Banca Arner con Ennio Doris, ad di Mediolanum. Come ha conosciuto Berlusconi? “A Portofino. L’ho visto, gli ho lanciato un’idea, è nato Programma Italia poi Mediolanum”. Banca Arner. Lei non ha risposto a Report. “Le rivelo un segreto: ho aperto il conto per catturare investimenti da un milione di euro, ma è di gestione”. Cos’è una banca etica? “Una che sta vicino alla gente anche quando comporta dei costi. Abbiamo tagliato i tassi rinunciando a 65 milioni di ricavi, la gente ci ringraziava piangendo”. Quanto siete amici con Berlusconi? “Ho realizzato tutto questo grazie a lui, mi ha mandato una foto: lui, io e mio figlio con dedica: ti voglio tanto tanto bene. Ho pianto”. Si può diventare ricchi restando onesti? “Sa, per Berlusconi c’è la presunzione di colpevolezza non di innocenza. Essere vicini alla gente anche quando costa fa diventare più ricchi”. Fine dello spot: Pinocchio in gita al Mulino Bianco.
vece, imponeva agli enti proprietari, in particolare comuni, province e regioni, di tenere in ordine la rete di loro spettanza. Ma siccome il legislatore si era dimenticato il piccolo particolare di prevedere anche una sanzione per gli inadempienti, nell’Italia dei furbi la svista si è trasformata in una specie di implicito invito alla trasgressione. In questi anni gli enti interessati hanno così incassato miliardi con le contravvenzioni dimenticando poi di reinvestirli sulle strade. I risultati si vedono: le vie italiane sono ridotte in uno stato pietoso. Lo scippo ai danni della collettività e in particolare dei cittadini automobilisti è di proporzioni gigantesche. Quanto gigantesche? Qui si entra nel difficile: le stime più accreditate parlano di 1,2 miliardi di euro all’anno che secondo altri sarebbero, invece, 1,6 se non di più. Di sicuro le multe, soprattutto quelle locali, crescono a ritmi vertiginosi, in particolare per eccesso di velocità, telefonino, semaforo rosso, Ztl, sosta. Così come risulta da un’indagine dell’Automobile club (Aci) i verbali nel 2008 sono stati 12,6 milioni, con un aumento di circa l’8 per cento rispetto all’anno precedente. Il calcolo del gettito non è semplice per almeno due motivi. Il primo è che gli enti locali non hanno appostato quegli introiti con chiarezza in bilancio, sotto una voce specifica e univoca. Spesso sono stati contabilizzati, per esempio, assieme alle multe ai bar che occupano indebitamente il suolo pubblico, oppure, a quelle ai furbetti delle violazioni urbanistiche. L’altro motivo che rende difficili i calcoli discende dalla quantità di ricorsi degli automobilisti e di pagamenti differiti oltre i 60 giorni previsti. Secondo il Rapporto annuale 2009 sulla polizia locale curato dalla Fondazione Filippo Caracciolo, mentre a Bolzano vengono contestati solo 7 verbali su 1.000, a Reggio Calabria i contestatori salgono a 150, e mentre a Catanzaro meno del 10 per cento dei trasgressori paga la multa entro due mesi, a Pavia quasi nessuno
si sottrae all’obbligo del versamento nei tempi canonici. Insomma, una babele. Ora tutta la faccenda delle multe e della manutenzione potrebbe cambiare per effetto di una legge in discussione in Parlamento. In prima lettura alla Camera è stato approvato praticamente all’unanimità un testo che rende vincolanti le vecchie norme del Codice della strada su contravvenzioni e manutenzione prevedendo sanzioni per gli inadempienti. C’è, però, chi non è affatto contento della novità e al Senato sta lavorando per affossarla. Qualche giorno fa, per esempio, nel corso di un’audizione parlamentare, il capo dipartimento, il direttore della Motorizzazione e il direttore della Sicurezza stradale, hanno chiesto sia riservata al loro ministero (Trasporti e Infrastrutture) una quota maggiore di quattrini derivanti dalle multe. Aggiungendo di non avere alcuna intenzione di girare poi neanche un euro agli enti proprietari di strade perché procedano agli interventi sulla segnaletica e l’asfalto. “Che se la sbrighino da soli”, hanno detto in sostanza i tre alti dirigenti statali.
I comuni sono già pronti a trovare nuove risorse, con i Tutor, versione più sofisticata degli Autovelox
Anche i comuni riuniti nell’Anci tentano di frenare la legge spingendo, però, in direzione opposta. Spaventati dall’idea di perdere i quattrini, sollevano una questione di principio: non ci pare giusto, dicono, che nell’era del federalismo, qualcuno dal centro ci venga a dire come dobbiamo utilizzare le nostre risorse, multe stradali comprese. PIÙ TUTOR PER TUTTI. All’orizzonte degli enti locali si affaccia una soluzione provvidenziale che non solo consentirebbe loro di non mollare i soldi, ma di utilizzarne una parte per continuare a fare cassa con le strade, moltiplicando gli introiti. Si chiama Tutor, una specie di Autovelox raffinato, anche se tutto interno a un approccio alla sicurezza meramente repressivo. I Tutor sono stati pensati, sviluppati e in fase di brevetto da parte della società Autostrade che, dopo averli piazzati con successo su un terzo della rete (2.220 chilometri), ora si è dotata di una struttura ad hoc per commercializzarli, spingendo a più non posso per la vendita e poi per assicurarsi la manutenzione. Bersagliati dalle critiche per gli Autovelox truffaldini, i comuni, a cominciare
da quello di Roma, sono molto interessati all’acquisto dei Tutor e idem l’Anas. Tutor sono già stati installati sulla via del Mare a Roma, a Torino in corso Regina Margherita e in corso Moncalieri, e a Cesena. L’Anas li installerà sulla Salerno-Reggio Calabria (quando sarà finita) e ha avviato una gara per piazzarli sulle statali Romea, Domiziana e Pontina. Ma da soli i Tutor non migliorano le condizioni delle strade. Le 5 mila aziende della manutenzione stradale assistono alla piega che sta prendendo la faccenda delle multe e cominciano addirittura a temere che l’idea lanciata proprio dalla loro lobby di modifica del Codice stradale per rendere obbligatoria la cura delle strade con i quattrini delle contravvenzioni possa tramutarsi in un boomerang. Cominciano a pensare, insomma, che il tesoretto delle contravvenzioni vada a finire per l’ennesima volta nelle tasche sbagliate, di chi è più svelto nell’assalto alla diligenza che interessato a risolvere la faccenda delle vie malmesse. Per quelle aziende, già falcidiate da una crisi di lungo periodo, sarebbe un colpo durissimo. Ma il colpo sarebbe duro soprattutto per gli automobilisti e le strade italiane.
Gazprom avanza, l’Unione europea negozia A STOCCOLMA PARTONO I NEGOZIATI SULL’ENERGIA MENTRE SI CONSOLIDA IL PROGETTO DELL’OLEODOTTO SOUTH STREAM di Giorgio Arbatov
azprom aggiunge un altro tassello a South Gai grandi Stream, il gasdotto che collegherà l’Europa giacimenti russi della Siberia. Negli ultimi sette giorni, il premier russo Vladimir Putin ha chiuso una serie di accordi decisivi con i paesi che saranno attraversati da questa opera gigantesca. L’ultimo ad accettare le offerte del Cremlino è stato il premier sloveno, Borut Pahor. Prima di Lubljana, avevano ceduto i governi di Austria e Serbia. Battuti sul tempo i rivali di Nabucco, un progetto parallelo che ha il sostegno dell’Ue. South Stream vale quindici miliardi di euro, è la mossa scelta dal Cremlino per arrivare in Europa senza passare in Ucraina. Per il momento, la joint venture comprende soltanto gli italiani di Eni, ma presto anche Électricité de France (Edf) potrebbe entrare nel consorzio. Paolo Scaroni, amministratore delegato del Cane a sei zampe, ha spiegato che le trattative “non sono ancora iniziate. Credo che Putin andrà a Parigi nelle prossime settimane e penso che quello sarà un momento di chiarimento”. South Stream non è un semplice tubo: è una vera e propria operazione geopolitica. Per rag-
giungere gli accordi necessari, il Cremlino ha messo a punto una strategia silenziosa e spietata in Europa. La scorsa settimana ha ottenuto il via libera da Svezia, Finlandia, e Danimarca per costruire il gemello di South Stream, Nord Stream, che collegherà Russia e Germania attraverso il Baltico. Com’è possibile che il Cremlino sia riuscito a battere l’Unione europea sul suo territorio? L’influenza di Gazprom sull’Unione europea cresce grazie a un gruppo di pressione che comprende capi di governo, diplomatici e volti noti della politica internazionale. Si dice che a Bruxelles abbiano coniato un nuovo termine per definire la categoria: “Gazpromiens”. Questa lobby potente e ben organizzata è guidata dall’ex cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, che ha accettato di presiedere il consorzio Nord Stream poche settimane dopo aver lasciato il governo di Berlino. La poltrona più importante di South Stream era stata offerta a Romano Prodi, che ha rifiutato. Schröder resta comunque in buona compagnia. Con lui ci sarebbe il premier italiano, Silvio Berlusconi, ma anche un insospettabile come Andris Piebalgs, l’attuale commissario europeo per l’Energia. Piebalgs proviene dal-
la Lettonia, un paese che non può certo essere tacciato di appartenere alla schiera dei filorussi. Gazprom, però, intende costruire a Riga uno dei grandi depositi che segneranno il tracciato di Nord Stream. Sarebbe una vera manna per la Lettonia piegata dalla crisi peggiore degli ultimi dieci anni. Gli interessi dei gazpromiens non riguardano soltanto il gas: pare che molti abbiano sostenuto con forza il pacchetto sul clima proposto a Bruxelles. Questo insieme di proposte ambientaliste destinate a ridurre le emissioni di anidride carbonica è una benedizione per l’industria russa. Fra le risorse candidate a sostituire il carbone, il gas naturale rappresenta la strada meno cara e più facile da perseguire. Le due parti si sono incontrate ieri a Stoccolma, la sede scelta per il nuovo round di negoziati Russia-Ue. “Abbiamo bisogno di lavorare insieme – ha detto il ministro degli Esteri finlandese, Alexander Stubb – Tra noi e loro c’è dipendenza reciproca: noi abbiamo bisogno dell’energia russa, ma il Cremlino sa che l’Europa è il suo migliore cliente”. I 27 paesi dell’Ue, con 500 milioni di abitanti, assorbono quasi la metà delle esportazioni russe. “Osserviamo dei segnali di pragmatismo
Un gasdotto (FOTO ANSA)
nella leadership europea e speriamo che il vertice sia costruttivo”, ha risposto Sergei Prikhodko, il primo consigliere per la politica estera del presidente russo, Dmitri Medvedev. Ma in agenda non c’è soltanto il tema dell’energia: a Stoccolma si parlerà anche di diritti umani e 130 eurodeputati hanno già presentato una lettera aperta a Medvedev per esprimere “gravi preoccupazioni sul partner con cui stiamo stringendo dei legami più forti”.
Giovedì 19 novembre 2009
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INDUSTRIA
INVECE DI FABBRICARE ALFA ROMEO AD ARESE SI SMISTANO RIFIUTI A Termini Imerese gli operai Fiat occupano il municipio di Gigi Furini Arese (Milano)
a Fiat conferma: gli ultimi 232 operai dell’Alfa di Arese vengono trasferiti a Torino, anticamera del licenziamento, temono gli interessati. I loro colleghi di Termini Imerese temo di fare la stessa fine e da ieri occupano il municipio della città in protesta contro la decisione di smettere la produzione automobilistica nello stabilimento. Intanto l’enorme area dell’Alfa di Arese si adegua al suo presente post-industriale: dove si producevano le auto, ora i cinesi dividono le bottiglie di plastica dalla carta, gli animali morti dall’alluminio. Con turni di 16 ore al giorno, a volte 24. “Adesso le cose stanno un po’ migliorando”, dice Renato Parimbelli, delegato dei Cobas. Il paesaggio è desolante e nei piazzali dove le bisarche caricavano le auto, ora cresce la boscaglia. Anche lo stemma dell’Alfa quasi non si vede. In questo paesaggio spettrale trovano lavoro an-
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Ogni giorno i camion scaricano tonnellate di spazzatura milanese e le auto non si fabbricano più
cora duemila persone. Mille sono dipendenti di Fiat Auto mentre l’altro migliaio è diviso in mille rivoli, da una piccola fabbrica di figurine per gli album dei bambini a una ditta che insacchetta abiti provenienti dalla Cina. Qui basta seguire l’enorme via vai di camion della spazzatura per arrivare alla cooperativa Mosaico, già coop. Arciere, già coop Cla, già tanti altri nomi, perché i nomi cambiano ma gli addetti restano. E svolgono un lavoro che quasi nessuno vuole fare. La dicitura esatta è questa: “Cernita manuale di materie plastiche, carta e cartone, alluminio e ferro”. “Fare la cernita manuale – dice Corrado Delle Donne, storico leader dei Cobas all’Alfa – vuol dire mettere le mani nella merda per tutte le otto ore del turno”. Funziona così. I camion scaricano tutti i giorni 60 tonnellate di rifiuti urbani sotto i capannoni. Qui c’è il “ragno”, una gru che prende i rifiuti e li deposita su un nastro trasportatore. E, ai lati del nastro, gli operai. “Trenta per turno – ci spiega un delegato, uno dei pochi italiani – anche se adesso il lavoro è un po’ calato perché hanno messo macchine più moderne che riducono il nostro intervento”. L’80 per cento dei lavoratori, in questa cooperativa, sono cinesi. Uomini e donne di mezza età reclutati in via Paolo Sarpi, la Chinatown milanese. Sono gli ultimi arrivati, non trovano di meglio. E vengono qui. Facevano anche due turni di fila, cioè
la manifestazione Dtoriopo dell’altroieri dei lavoradi Eutelia, la situazione
Le immagini di quello che si vede oggi nelle aree dove un tempo si fabbricavano le Alfa Romeo ad Arese
16 ore. Ma in alcuni casi sono arrivati a tre turni, cioè dalle 6 del mattino alle 6 del giorno dopo. La paga? Cinque euro lordi all’ora per le otto ore regolari e lo straordinario in nero. Alcuni erano assunti come CoCoPro, cioè lavoratori a progetto. Altri addirittura come soci-collaboratori. Non c’erano pause, neanche per il pranzo, perché il nastro deve girare, perché i rifiuti arrivano sempre, Natale e Ferragosto compresi. E se non sono quelli di Milano, sono quelli di Napoli nei giorni dell’emergenza. Le cooperative fanno gli appalti con i comuni che poi mandano qui i camion della spazzatura. Un giorno, però, si sono presentati i carabinieri. Erano in 70, hanno
circondato l’edificio e controllato chi c’era dentro. Oltre ai cinesi, anche indiani, senegalesi, egiziani, marocchini. Operai, compagni di lavoro che non riuscivano neanche a parlarsi perché si sa, gli ultimi arrivati l’italiano non lo sanno. Sono scattate le multe per la coop. Che ha cessato e passato la mano. “Siamo intervenuti – dice Parimbelli – e adesso certe situazioni scandalose non si vedono più. I rappresentanti sindacali sono tre, un italiano, un cinese
e un egiziano, soprattutto per una questione di lingua, in modo che i lavoratori possano parlare e incontrare il loro delegato. Siamo riusciti a ottenere una maggiorazione per il lavoro notturno e a riportare l’orario settimanale a 40 ore, perché in passato c’erano cinesi che erano arrivati anche a 240-250 ore al mese, uno scandalo. E abbiamo ottenuto un aumento della paga oraria da 5 a 6,30 euro l’ora, oltre a 30 minuti per la pausa mensa”. Ma anche qui non tutto fila liscio. L’arrivo di un impianto semiautomatico stava per portare a una riduzione degli addetti, da 95 a 60. “Abbiamo applicato un vecchio motto, lavorare meno per lavorare tutti e ora, in base al nuovo accodo, i turni sono solo di 6 ore, ma l’azienda non ha licenziato e i 95 operai sono ancora al loro posto”.
Modena
MADE IN ITALY / I GRANDI MARCHI NELLA CRISI
di Giampiero Calapà
La Piaggio resiste alla recessione ma sogna la Cina a Piaggio di Pontedera, nonostante la crisi, Ldellanon si ferma, per merito in gran parte Vespa e anche grazie agli incentivi governativi. Tanto da continuare a crescere, anche nei primi dieci mesi del 2009, raggiungendo il 30 per cento sul mercato italiano delle due ruote, con un incremento dell’1,7 per cento rispetto al periodo gennaio-ottobre 2008. Il gruppo passa, però, da un utile netto di 62 milioni di euro nel 2008 al 40,1 di oggi e pur guadagnando sulla quota di mercato la Piaggio deve fare i conti con una flessione della domanda anche in Italia (-6,1 per cento). I dati di settore (Confindustria Ancma) rivelano che l’ottimo andamento del marchio Piaggio in Italia è dovuto soprattutto al segmento degli scooter over 50 Cc, nel quale l’azienda di Pontedera si è attestata al 33,7 per cento del mercato italiano nei primi dieci mesi dell’anno (+2,2
Di Pietro all’ Eutelia occupata offre il pranzo ai lavoratori
Emilia-Romagna
nam, Cina e India, mentre qui si azzera il confronto sindacaLivorno Toscana le”. Tre settimane di cassa per cento rispetto al 2008). integrazione ordinaNon solo, perché il gruppo ria toccano anche a Piaggio, che non è solo 490 lavoratori delle Pontedera, riesce a crescere, officine meccaniche seppure lievemente, anche di Pontedera. “Non a nel difficile settore delle causa della crisi genemoto over 50 Cc, pur rale come vogliono scontando un contesto far credere – accusagenerale di forte flessione; infatti con i no le rappresentanze sindacali unitarie – ma marchi Aprilia e Moto Guzzi lo 0,3 per cento perché con l’arrivo di decine di migliaia di in più porta la quota al 5,4 per cento del motori Made in China l’azienda sta di fatto mercato. rinunciando alla centralità dello stabilimento Ma negli stabilimenti Aprilia di Noale (Vene- di Pontedera”. Dall’Asia gioie e dolori: rispetto zia) e Guzzi di Mondello del Lario (Lecco) si fa al 2008 il marchio Piaggio registra un boom, ricorso spesso alla cassa integrazione e il grup- con un +24,8 per cento della domanda propo vorrebbe addirittura tagliare 50 dei 150 prio in quella parte del mondo (in controposti di lavoro attuali alla Guzzi. Replica la tendenza rispetto al -17,3 per cento in Europa Fiom: “Una posizione grave, sbagliata e inac- e addirittura al -43,7 per cento negli Stati Unicettabile. Dal mese di luglio chiediamo la con- ti). Da quando al vertice c’è Colaninno l’azienvocazione di un confronto a livello di gruppo da ricorre alla cassa integrazione a Pontedera sulle scelte e sulle strategie produttive di in- per la seconda volta, la prima era stata lo scorvestimento dell’azienda in tutti i suoi stabi- so anno, in questo stesso periodo, sempre per limenti. Tuttavia, nessun incontro è stato an- poche settimane. Invece, attorno a Pontedera cora fissato. Se la Piaggio di Roberto Cola- sono in difficoltà diverse ditte dell’indotto, ninno pensa di poter ridurre il confronto sin- con ricorsi massicci alla cassa integrazione, dacale a ratifica di decisioni aziendali già as- che attualmente riguarda circa 800 lavoratori. sunte, deve sapere che ciò costituisce un atto Intanto, sul fronte innovazione il dipartimendi arroganza verso i lavoratori di tutto il grup- to chimica applicata dell’Università di Pisa sta po”. I tagli allo stabilimento di Mondello fa- studiando il sistema per realizzare componenrebbero sparire “progettazione e ricerca di un ti per gli scooter della Piaggio con plastiche marchio prestigioso come quello della Moto riciclate e alla Fiera delle due ruote Eicma di Guzzi, riducendo quella fabbrica al solo as- Milano, la Piaggio presenta una serie di prosemblaggio delle moto”. L’azienda, sempre se- totipi come il primo scooter ibrido al mondo, condo la Fiom, “continua a investire nei paesi che per l’azienda di Pontedera “prefigurano il asiatici – accusa il segretario nazionale Mau- futuro di una mobilità urbana sempre più ecorizio Landini – aprendo stabilimenti in Viet- compatibile”.
pare cominciare a sbloccarsi. Oggi l’Italia dei valori offre un pranzo ai lavoratori ex Eutelia nella sede occupata di via Bona, la prima ad essere stata presidiata. “Viene anche Di Pietro”, dicono i dipendenti felici che i politici si siano accorti di loro. Anche la provincia ha deciso di spostare i lavori previsti per la mattinata nella sede di via Bona, in segno di solidarietà. Si tratta dello stesso stabilimento in cui l’ex amministratore delegato di Eutelia, Samuele Landi, ha fatto irruzione con quindici vigilantes per sgomberarla (ma ha ottenuto invece di essere portato in questura da una volante e di catalizzare l’interesse dei media sulla vicenda). Erano più di 8 mila, a Roma, a protestare contro la cessione dei lavoratori a Omega, l’azienda che li tiene fermi da mesi perdendo commesse e non pagando gli stipendi a molti dallo scorso agosto. Una delegazione, composta da dipendenti e sindacalisti, ha strappato al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta un incontro, previsto per venerdì 27 novembre, coi vertici aziendali. Nel frattempo, i manifestanti hanno occupato piazza Colonna, davanti a Palazzo Chigi, con un sit-in durato tutto il pomeriggio di martedì. L’obiettivo degli operatori del call center è quello di arrivare all’amministrazione straordinaria, così da sollevare la proprietà di Omega dalla gestione degli oltre diecimila dipendenti del gruppo. La stessa richiesta è stata avallata dal segretario del Pd Pier Luigi Bersani. I lavoratori riferiscono che, durante l’incontro, Letta abbia parlato con Claudio Marcello Massa, amministratore unico di Omega, che avrebbe smentito di essere in ritardo nel pagamento degli stipendi: “E’una bugia, detta sapendo di mentire – dicono dal presidio – ora Letta non deve lasciarci soli”. Nonostante l’impegno del governo a supervisionare le trattative, restano occupate le sedi di Omega (oltre a quella romana) di Ivrea, Torino, Milano, Padova, Bari e Reggio Calabria. Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, sostiene che “i problemi cominciano ora”, perché quella di Omega “è una vertenza particolarmente difficile ed è bene che si svolga a Palazzo Chigi per il numero dei lavoratori coinvolti, e il tipo di commesse che il gruppo ha”. I lavoratori ex Eutelia hanno un sito, www.eulav.net, in cui comunicano le iniziative in programma e dove hanno aperto una raccolta di fondi per sostenere le famiglie dei colleghi in maggiori difficoltà economiche. (Bea. Bor.)
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Giovedì 19 novembre 2009
Processo-rappresaglia Tripoli giudica due uomini d’affari svizzeri
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DAL MONDO
due uomini d'affari svizzeri trattenuti in Libia saranno accusati e processati entro la fine dell’anno per evasione fiscale e per mancanze nel rispetto della regolamentazione sui visti. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri libico. “Saranno processati e accusati per non aver rispettato le procedure per il visto di soggiorno e per evasione fiscale”. Il regime ha poi invitato i due uomini a lasciare
l’ambasciata svizzera a Tripoli, dove si trovano da tre giorni, perché “secondo la legge devono avere un indirizzo affinché la giustizia segua il suo corso”. I due cittadini svizzeri sono trattenuti in Libia da oltre un anno, in seguito alla crisi scatenata tra Berna e Tripoli dal breve arresto nel luglio 2008 a Ginevra di Hannibal Gheddafi, figlio del presidente libico Muammar Gheddafi, accusato assieme alla moglie di
maltrattamenti nei confronti di due domestici. Malgrado le umilianti scuse pronunciate in agosto a Tripoli dal presidente svizzero Hans Rudolph Merz, il 18 settembre i due cittadini svizzeri sono stati trasferiti dai libici in un luogo segreto: mossa che ha spinto Berna ad alzare i toni e parlare di “sequestro”, poi i due sono stati riconsegnati all’ambasciata svizzera a Tripoli.
GHEDDAFEIDE ITALIANA
Le 250 hostess e le lezioni di Islam. Ma lui gioca su business e immigrati e fa quello che vuole di Stefano Citati
ortesie per gli ospiti. Invitando (a pagamento, ma a costi modici) giovani ragazze, scelte tutte con fattezze simili - ma neanche troppo, visto che non erano soltanto bionde ed europee - per ascoltare il verbo islamico, Gheddafi ha forse voluto mostrare di sapersi adeguare alle tendenze del costume del paese ospitante. Dopo aver dato ai paesi ricchi dalla tribuna della Fao dei “colonialisti sfruttatori” le notti del colonnello eterno hanno preso il titolo di un film: “mes nuits son plus belles que vos jours”; sotto la tenda beduina d’ordinanza montata ancora una volta nel verde di Roma, ha intrattenuto schiere di giovani pagate per ascoltarlo, tenute su da quel che è stato scritto - a caffé (niente alcolici come da precetto islamico). Il crocifisso - “non va imposto come noi non imponiamo la mezzaluna” - e il ruolo delle donne gli argomenti più cari e insistiti.
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Mostrando forme di pubbliche virtù e vizi privati la Guida della rivoluzione verde (come il colore del libretto da lui redatto e regalato alle partecipanti, 250 in tutto, degli incontri sotto la tenda), ha voluto probabilmente svolgere un ruolo pedagogico. E non solo per le hostess che lo hanno ascoltato (per 60 euro) ma per mostrare che è facile, non solo per i leader dell’Occidente, organizzare intrattenimenti di tal fatta. La motivazione catechizzatrice potrebbe essere più forte e credibile di quella dell’harem adorante che chi conosce modi e gesta del dittatore libico tende a escludere. Un ennesimo gesto eclatante, come Gheddafi ama fare - ricordarsi dei missili lanciati contro Lampedusa, primavera 1986 - nella terra degli scandali più o meno piccanti. Gheddafi ama circondarsi di donne, spacciando spesso la sua passione per convincimento sulla superiorità femminile, tanto che la sua guardia del corpo - più mitica che reale - è composta da amaz-
zoni in divisa militare. Centinaia di ragazze che a turno seguono le lezioni moraleggianti dell’ufficiale rivoluzionario possono banalmente venire rubricate come folklore locale etnico-culturale da esportazione, tanto il padre-padrone (siamo tutti suoi figli, si dice che dicano i libici di lui) è abituato e ha abituato il mondo alle sue megalomani eccentricità. E poi ormai, anche se il leader dell’Ua (l’organizzazione che riunisce i paesi africani) esagera i to-
Le eccentricità e le esagerazioni dell’ex “bestia nera” degli americani ora sono accettate per realpolitik
Silvio&Muhammar Gli affari insabbiati in Libia di Stefano
Feltri
con lo stile informale e personale GLibiaestita tipico di Berlusconi, l’amicizia con la e con Muhammar Gheddafi si configura sempre di più come una strategia di politica industriale, più che diplomatica. L’ultima conferma è arrivata a luglio 2009, poco prima della famosa visita della Guida della rivoluzione a Roma con tanto di tenda nel parco di villa Pamphilii. “Abbiamo un'assicurazione da un uomo che sara' pure originale, ma ci ha dato la sua parola di dare precedenza alle aziende italiane negli appalti in Libia”, spiegava Berlusconi in quei giorni. La prova era l’appalto ottenuto da Ansaldo Breda per una parte dei componenti dei treni ad alta velocità per le città libiche”. In quei giorni Berlusconi sosteneva anche di aver strappato anche un incontro trilaterale con Enel ed Eni, per il rinnovo delle concessioni. Ma il gruppo petrolifero di Paolo Scaroni aveva già chiuso la sua partita più importante nel 2007, con il rinnovo degli accordi con il gruppo libico Noc, da cui è derivato il diritto rimanere nel paese fino al 2047 (per il petrolio) e fino al 2042 per il gas. Nel momento più difficile per le banche, ottobre 2008, i fondi sovrani libici sono corsi in aiuto della più traballante delle banche italiane, cioè Unicredit. Con Alessandro Profumo sull’orlo delle dimissioni e le azioni in caduta libera, la banca centrale libica annuncia di aumentare la sua partecipazione al 4,2 per cento. Un segna-
Dalla Fiat a Unicredit, Tripoli affianca gli affari italiani da trent’anni. Solo che oggi lo fa meno di quanto aveva promesso
le che i vecchi legami di amicizia consolidati con la Capitalia di Cesare Geronzi rimanevano in vigore dopo la fusione con Unicredit. Quella su Unicredit è un’operazione non dissimile da quelle a cui il Colonnello ha abituato la finanza italiana, come il suo investimento del 1977 in Fiat, durato fino al 1986, accompagnato da una lunga presenza nella rete di distribuzione carburanti con la Tamoil, diventata poi sponsor della Juventus (nella cui società la Libia aveva un’altra partecipazione). Come ha scritto il quotidiano britannico The Guardian, risulta ormai evidente una “Berlusconi-Gheddafi connection” che è qualcosa di diverso dai rapporti pregressi – e altalenanti – tra Italia e Libia. Lo dimostra l’ambizione del trattato di amicizia, celebrato dal viaggio a Tripoli dell’agosto 2008, che pone le basi dei futuri rapporti economici: 5 miliardi di euro da versare in 20 anni, cioè 250 milioni all’anno. Che, nelle intenzioni italiane, dovrebbero tradursi in una partita di giro, destinati a rientrare con appalti affidati in modo prioritario alle aziende italiane partecipate dallo Stato. Il trattato doveva essere l’inizio di una nuova fase di rapporti, invece, più di un anno dopo, restano molte attese non confermate. I soldi libici hanno smesso di affluire in Italia, l’interessamento per Telecom non si è mai concretizzato, nonostante un assetto societario sempre più debole. L’Eni ha protestato perché, in qualità di beneficiario delle relazioni rafforzate tra i due paesi, è stato chiamato a contribuire con un’addizionale dell’Ires (cioè un supplemento di imposte) che non ha gradito. Non si è neppure mai verificato l’aumento della quota che il governo libico detiene proprio in Eni: “passeremo dall’uno al dieci per cento”, avevano detto. Non è successo. Perché? Gheddafi ha meno liquidità e più problemi interni rispetto a qualche anno fa ma, soprattutto, a gennaio ha incassato la ratifica del trattato di amicizia. E quindi, ora, sembra avere meno bisogno di offrire contropartite.
ni e i modi, non è più il criminale che attentava alla pace mondiale da stigmatizzare comunque; gli americani lo hanno “sdoganato”, gli europei ci fanno affari, gli italiani anche di più e gli viene lasciato fare il lavoro sporco, quello di barriera oltremare delle ondate di migranti che muovo verso la ricca sponda mediterranea, e dei modi non deve importare tanto. E difatti in Libia avvengono crimini e maltrattamenti senza troppo clamore, da utili carnefici e risolutori delle inquietudini altrui. La stessa assenza di reazioni e indignazione che si è avuta per la vicenda delle ancelle indottrinate e islamizzate (pare anche con successo, per alcune) per una notte. Adesso che le esagerazioni comportamentali manifestate ormai da quaranta anni da Gheddafi hanno raggiunto un nuovo livello, facendo ancora una volta l’Italia terra di conquista e colonia dei suoi atteggiamenti e lezioni di stile, soltanto il piccolo mausoleo-cimitero a strapiombo sul mare delle isole Tremiti - dove riposano centinaia di prigionieri libici morti di epidemia a San Nicola tra il 1911 e il 1912 - pare esser rimasto quasi indenne dal tocco propagandistico del Colonnello.
CONTROVERTICE
TRE IN PAGELLA LE ONG BOCCIANO IL SUMMIT FAO n vertice vuoto, disertato dai potenti, che ha sostanzialUbattere mente sprecato una buona occasione per aiutare a comla fame nel mondo. Questi i commenti che arrivano dalle Organizzazioni non governative e dalla società civile al termine del summit sulla sicurezza alimentare ospitato alla Fao. Per Oxfam e Ucodep, il vertice ha fortemente deluso le attese e non si merita più di un tre in pagella, ActionAid parla di occasione buttata via e l’associazione Ong italiane definisce il vertice “"”un nulla di fatto”. Oxfam e Ucodep osservano che la risposta dei governi riuniti alla Fao “non è stata adeguata al problema della fame. La quasi totale assenza dei leader dei Paesi ricchi, inoltre, ha mandato un messaggio di sfiducia già dall’inizio e il vertice ha raggiunto pochi apprezzabili risultati”. Oxfam e Ucodep si dicono deluse su tutti i principali temi affrontati dal vertice, ovvero coordinamento aiuti, stanziamento fondi, piani specifici e annesse risorse finanziarie, cambiamenti climatici e agricoltura sostenibile. “Tuttavia - osservano le due ong - la decisione di rafforzare il Comitato per la sicurezza alimentare mondiale della Fao potrebbe rivelarsi un risultato importante. Ma c’è ancora molto da fare”. Sull’agricoltura sostenibile, in particolare, secondo le organizzazioni -, si è avuto “il peggiore fallimento, perché non si è visto nulla”. L’organizzazione del commercio equo e solidale Fair si dice dal canto suo “delusa per un vertice privo di contenuti e preoccupata per l’assenza nella dichiarazione finale di una condanna esplicita alle speculazioni sui prezzi nell’agroalimentare”, soprattutto in vista del prossimo vertice Wto di Ginevra. Per Fair, il Wto “continua a privilegiare gli interessi commerciali di pochi” e perciò annuncia che parteciperà alla giornata di mobilitazione per un commercio più giusto organizzata in tutto il mondo sabato 28 novembre. ActionAid parla di “occasione buttata via” e critica il fatto che dal vertice Fao non sia partito nessun segnale verso il prossimo summit sul clima a Copenaghen al fine di “assicurare ulteriori risorse a sostegno dell’adattamento dei piccoli agricoltori dei Paesi sottosviluppati alle sfide proposte dal cambiamento climatico”. Rispetto al documento del vertice Fao, Sergio Marelli, presidente dell’associazione Ong italiane, sottolinea “i contenuti concreti” della dichiarazione che ha concluso il Forum della società civile svoltosi in parallelo al vertice Fao. Le decisioni finali, commenta inoltre Marelli, “sono state adottate con un vero dibattito, anche quando si è dovuto mediare tra diverse opinioni”.
Gheddafi a passeggio lunedì sera a Roma (FOTO ANSA)
PALLONI BELLICI
di M.P.
ALGERIA AI MONDIALI, SEGNA UN FRANCESE A lla fine, dopo settimane di tensioni, fratture diplomatiche, scontri armati, spranghe e bastoni, a fare gol, ha pensato Antar Yahia. Nome da asceta, professione difensore. Così la storia ribalta le prospettive e nella rete del calciatore del Bochum (Bundesliga tedesca), non è difficile intravedere uno scherzo del destino. Yahia è nato in Francia, con i blues si fa valere e arriva fino all’under 18. Poi, crescendo, ricorda le origini algerine. Del resto, si incaricano burocrazie flessibili e richiami sentimentali. Così Antar scala le posizioni e alla 35esima presenza in nazionale, trascorsi quaranta minuti di
tifo sudato e tensione, a Khartoum, Sudan, dove il pallone africano da prima pagina, non albeggiava dal 1970, spinge in rete la sfera che trascina un paese intero nei meandri del delirio. Gara durissima, frotte di ammoniti, parate miracolose del portiere algerino, lettore, forse, dell’omologo di ruolo Camus. Lo straniero, stavolta, è il favoritissimo Egitto. Provano in ogni modo ad allontanare l’incubo di un ritorno in patria che alla mestizia, promette di aggiungere altra violenza e discredito. Rien à faire. Ad Algeri si fa festa. All’ombra delle piramidi, espressioni da sfingi. Volti pietrificati. Incredulità.
Giovedì 19 novembre 2009
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Quattro omicidi, 28 anni di fuga, bestseller e sciopero della fame
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DAL MONDO
ura da 28 anni la fuga di Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo. Fuga iniziata a Frosinone, nel 1981, quando evade dal carcere dove è rinchiuso con l’accusa di aver commesso 4 omicidi. Battisti si rifugia in Francia, poi si trasferisce con la moglie in Messico, dove inizia una nuova attività: scrittore di romanzi noir. Già dal 1990, l’ormai affermato romanziere Battisti è
Battisti riesce a fuggire in tempo, destinazione Fortaleza, Brasile. La sua latitanza termina il 18 marzo 2007, quando l’ex terrorista di Sermoneta (Latina) viene arrestato a Rio de Janeiro in seguito a un’operazione congiunta dell’Interpol e della polizia francese, italiana e brasiliana. Battisti chiede l’asilo politico, ma il 28 novembre 2008 il Comitato per i rifugiati rifiuta.
tornato in Francia, dove, complice lo scudo della “dottrina Mitterand”, è a riparo dall’estradizione. Ma nel 2004, viene arrestato a Parigi in seguito a una nuova richiesta da parte di un tribunale italiano. Un mese dopo l’ex leader dei Pac viene rimesso in libertà, ma con l’obbligo della firma. Il 30 giugno 2004 però, le autorità francesi (all’Eliseo è subentrato Jacques Chirac) concedono l’estradizione in Italia.
Il Tibet, la Cina e il crocifisso del Dalai Lama romano
BATTISTI, LA FINE È IGNOTA SÌ ALL’ESTR ADIZIONE MA DECIDERÀ ANCHE LULA di Piero Armenti
l finale dell’affaire Battisti non è un vero finale, anche se è stata concessa infine l’estradizione, Battisti dovrebbe rimanere almeno un altro anno in Brasile, per rispondere dei reati in loco, tra cui detenzione di passaporto e visto falsi. Il presidente del tTribunal federal Gilmar Mendes ha votato per l’estradizione. Le votazioni si sono chiuse 5 a 4 contro l’ex proletario armato, ma
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BUONE NOTIZIE
subito dopo il massimo organo giudiziario ha iniziato la discussione per decidere se la propria pronuncia è definitiva (il presidente Lula ha fatto sapere che accetterebbe il verdetto), o se l’ultima parola spetta al capo dello Stato. Nel secondo caso Lula si troverebbe dinanzi ad un bivio: sconfessare il proprio ministro della Giustizia Tanrso Genro e concedere l’estradizione, o scontentare l’amico Massimo D’Alema e lasciare Battisti libero sulla
spiaggia di Copacabana. Tanto è vero che la prima reazione del governo italiano è stata che “la sentenza sia vincolante”, come detto dal ministro degli Esteri Frattini. Durante l’udienza per il secondo verdetto gli occhi saranno puntati su Carlos Ayres Britto. Ha votato a favore dell’estradizione, ma potrebbe decidere nel secondo caso di votare affinché l’ultima parola spetti a comunque a Lula, e sostenere così la supremazia dell’esecutivo sul potere giu-
a cura della redazione di Cacaonline
VETTE DI PIANURA La comunità montana più pianeggiante d’Italia Si tratta della Comunità montana Murgia Tarantina, 40 metri sul livello del mare. Il governo Prodi ne aveva decretato la liquidazione, ma gli 11 impiegati e i 34 tra assessori e consiglieri non si sono mossi di un passo. Prima hanno creato l’Unione dei Comuni della Murgia Tarantina, poi nel 2009 la legge regionale che scioglieva gli enti inutili venne giudicata incostituzionale. “La comunità così com’è non è una cosa bella – ha dichiarato il presidente Arcangelo Rizzi – Io non ho mai condiviso l’impianto che le è stato
dato”. Perché allora non si è dimesso dalla carica? “Sarebbe stato troppo comodo”. Ha usato una metafora? Medaglia di bronzo della geotermia Il Gestore per i servizi energetici (Gse) ha pubblicato l’annuale Rapporto sulla produzione di energia da fonte geotermica in Italia. I 31 impianti esistenti registrano una produzione complessiva annuale attorno ai 5.520 GWh, con una capacità installata di 711 MW. Siamo al terzo posto nel mondo, dopo Usa e Islanda. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
Italia ha un retroterra cattoL’mantenere lico ed è molto importante questa tradizione”.
Il presidente Lula e il premier Berlusconi (FOTO ANSA)
diziario. Vi sarebbe un nuovo 4 a 5 (chi ha votato contro Battisti vota anche per rendere il verdetto vincolante per il presidente), che questa volta sposterebbe i riflettori su Lula, e lascerebbe acceso un lumicino per il detenuto. La posizione del giudice Britto non è tra le più semplici, la stampa brasiliana ha rivelato che avrebbe ricevuto pressioni per spostare il proprio voto a favore di Battisti. A fare sentire il proprio peso è stato il professore Celso De Mello, a cui Britto deve la propria nomina al Tsf. De Mello sarebbe stato assoldato dal collegio difensivo dell’imputato proprio nella speranza che potesse condizionare il proprio discepolo. De Mello ha negato tutto, ma la querelle è spia del nervosismo che in Brasile monta su un caso preso all’inizio sottogamba, come fosse normale amministrazione. Battisti ha aspettato il verdetto in carcere. “È magro, pallido e debilitato dallo sciopero della fa-
me”, così è stato descritto dal senatore brasiliano José Nery, che l’ha incontrato ieri mattina assieme a dodici parlamentari. La strada verso la libertà si fa più stretta. Battisti non perde il sorriso, lo mostra nella foto con i suoi sostenitori, ma è poco ottimista, e tranne i suoi amici, sembra che della sua libertà interessi solo ai brasiliani, mentre in Italia è un coro unanime contro lui e il suo passato da combattente armato. Ancora meno ottimista la giallista Fred Vargas, amica da una vita, che ha perorato in questi anni in Brasile la causa di Battisti, imparando per l’occasione il portoghese, e presentando un libro a favore dell’amico. È stata proprio la Vargas a intuire che le pressioni italiane potevano fare la differenza, ha cercato così di minimizzare le minacce provenienti da lontano. Ma per la vedova Olga D’Antona la sentenza Battisti “è stata una vittoria per l’Italia e per il suo sistema giudiziario”.
Il lungo giorno della nuova Europa SUMMIT PER LE CARICHE UE, TUTTO DA DECIDERE: ATTESA PER D’ALEMA. COSA SI VINCE NEL RUOLO DI MR PESC di Gianni Marsilli
igilia d’ingorghi alla porta dell’Unione europea. VturiUna dozzina i presidenti virtuali, almeno 4 o 5 i furesponsabili della politica estera. Di che far venire l’emicrania alla presidenza svedese, che continua a nutrire la sperticata ambizione di presentarsi al Vertice di Bruxelles, avendo in tasca le scelte definitive: un solo nome per la presidenza, un solo nome per gli Esteri, un solo nome per la segreteria generale del Consiglio. Anche se ieri Fredrik Reinfeldt ammetteva che “ancora siamo lontani dall’accordo” e che il vertice “potrebbe durare un po’ di più (di un giorno, ndr)”, ma sarà decisivo, perchè “la decisione sulle nomine può avvenire anche a maggioranza qualificata”, senza l’unanimità dei 27 membri. Massimo D’Alema è più che mai in corsa per diventare l’Alto rappresentante, malgrado qualche tentativo di abbatterlo in volo. Dopo i mugugni dell’est (smentiti, in particolare quelli polacchi), è arrivato il Financial Times, per la firma di Tony Barber, editorialista e corrispondente da Bruxelles. Dice di esser rimasto “sorpreso” dalla candidatura di D’Alema. A suo avviso, sarebbe sprezzante verso gli Stati Uniti, come possono esserlo gli “intellettuali di sinistra” della vecchia Europa. Avrebbe anche qualche altro difetto. “Ferrato negli intrighi”, avrebbe “cospirato” per far cadere il governo Prodi nel 1998. Di grande esperienza però ex comunista, anzi “il premier più di sinistra che l’Italia abbia mai avuto dal 1945”. Per finire, parlerebbe maluccio l’inglese. Decisamente D’Alema non gli piace. Al punto da scordare allegramente i legami stretti e la reciproca fiducia con l’Amministrazione Clinton, della quale l’attuale Amministrazione Obama porta più di qualche traccia, a partire dal suo segretario di Stato. E
anche l’inglese di D’Alema, francamente, non ci pare così malvagio. Comunque Barber ha dedicato a D’Alema un ritratto, non un editoriale. Per dire che sono opinioni sue, che non riflettono necessariamente quelle degli ambienti economici e finanziari dei quali il FT è un po’ l’house organ. Questi ultimi, in teoria, saranno più attenti al nome del futuro commissario al Commercio internazionale, o alla Concorrenza, o a quello del successore di Jean Claude Trichet alla testa della Bce. Se la lotta è così serrata sul nome del futuro ministro degli Esteri è perché il suo sarà il ruolo più politico. L’uomo che verrà scelto dai 27 capi di Stato e di governo riassumerà in sé le funzioni che oggi sono distribuite tra l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune (Javier Solana) e il Commissario alle relazioni esterne (l’austriaca Benita Ferrero-Waldner, anche lei in corsa). Il Trattato di Lisbona prevede che rappresenti l’Unione al di fuori dei suoi confini e che presieda il Consiglio per gli Affari esteri, e a questo doppio fine gli attribuisce anche un servizio diplomatico europeo. Insomma avrà una sua autonomia e i mezzi per agire, contrariamente al presidente dell’Unione, più tessitore di consenso che protagonista operativo. In sintesi, se si attiverà il famoso “numero di telefono” dell’Europa agognato da Henry Kissinger, sarà quello del responsabile Esteri, non del suo presidente. Il Trattato di Lisbona gli conferisce il quadro di quella che sarà la sua missione, starà a lui (o a lei) fornirle consistenza politica, fino all’obiettivo massimo: coerenza e unità d’azione sullo scacchiere mondiale. Cacofonia anche sull’altro fronte, quello del presidente. Le donne europee si sono accorte di essere in infima minoranza nei posti che contano, e sono passate
Così ha risposto il Dalai Lama, leader spirituale tibetano, alla domanda se sia giusto togliere il crocifisso dalle scuole e dai luoghi pubblici. E ha aggiunto: “Quando visito i Paesi stranieri sottolineo sempre quanto sia importante per ognuno di essi mantenere le sue tradizioni”. Nella sua giornata romana, il Dalai Lama ha avuto un incontro privato con il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha manifestato “solidarietà e vicinanza alla sua persona e al popolo tibetano”, e ha poi tenuto una relazione alla Camera nel quinto Congresso mondiale dei parlamentari Pro-Tibet, con 146 parlamentari italiani di tutti gli schieramenti - tra cui Matteo Mecacci (Radicali-Pd), presidente dell’Intergruppo parlamentare per il Tibet, Gianni Vernetti (Misto), Benedetto della Vedova (Pdl), Paola Binetti (Pd) - che hanno sottoscritto una lettera di benvenuto al leader tibetano. “In Cina si è detto che ero malato di cancro e che sarei presto morto, invece sono qui vivo e vegeto”, ha poi scherzato in conferenza stampa Dalai Lama. Accompagnato da alcuni monaci e dalle autorità del governo tibetano in esilio, il premio Nobel per la Pace ha parlato soprattutto degli “effetti devastanti della propaganda di regime e della censura in Cina”, invitando la comunità internazionale ma soprattutto gli stessi cinesi a visitare il Tibet “in libertà, senza spie” per vedere con i propri occhi come stanno le cose e rendersi conto che una società chiusa dove manca la libera informazione è “immorale e nociva”.
all’attacco. Lo stesso Barroso ha espresso il timore di dover presiedere un “gabinetto saudita”, parlando della prossima Commissione. Vero è che in quella uscente la presenza femminile era di un terzo del totale, mentre quella entrante rischia di asGRILLO’S WAR somigliare a uno spogliatoio di rugby. I nuovi componenti della Commissione dovranno passare al vaglio del Parlamento, che a sua volta conta un terzo di deputate, che potrebbero essere molto in o a D’Alema ministro degli Esteri collera per questa “nuova” Ue. Proprio sul filo di lana della gaEuropa tutta al maschile, fino ra per le cariche della nuova Europa il blog a bocciare qualche pretendente al seggio di Commissadi Beppe Grillo lancia la campagna per frerio. Ecco allora, per cominnare la corsa di Massimo D’Alema. Il blog ciare, avanzare a grandi passi più seguito d’Italia (e uno dei più popolari al la candidatura alla presidenmondo come numero di contatti), mette in za dell’Ue di Vaira Vike-Freigrande evidenza la pagina del Financial Tiberga, già molto stimata premes nel quale si sollevano dubbi sulle casidente della Lettonia. Ha ripacità e le opportunità del candidato italiacevuto l’appoggio autorevole di Simone Veil, che del Parno al ruolo di Mr Pesc, il ministro degli lamento europeo fu la prima esteri comune dei 27 paesi dell’Unione donna presidente. Le manca europea. Una decisione che prende la però, che si sappia, l’assenso forma del mail bombing, ovvero intapiù importante, quello di Ansare di mail l’indirizzo dell’Unione e gela Merkel. La cancelliera dell’attuale presidente Barroso con una ha detto che il sesso “non depetizione contro l’ex ministro degli ve giocare alcun ruolo” nella Esteri italiano. scelta dei responsabili europei, quel che conta è la competenza.
Massimo mail bombing
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
L’INCHIESTA
MALITALIA La mafia che non spara
Coppola Sbagliano quelli che credono nel futuro del cinema 3D
Johnny Depp Secondo People, è lui l’uomo più sexy del mondo
Balotelli Mario aveva detto: “Tifo Milan”. La sorella nega: “Scherzava”
Ibrahimovic L’agente non esclude un pronto ritorno in Italia
Enrico Fierro e Laura Aprati firmano un libro e un documentario sulla criminalità dimenticata e l’Italia da non dimenticare
di Malcom Pagani
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avanti al piccolo ingresso, tra i fichi in lontananza e il profumo d’Africa, il cimitero sembra qualcosa d’altro. Il luogo di un riposo più lieve di un’eterna sosta, un filare di viti sotto il quale riprendere forza, riflettere scossi dal vento, attendere in quiete il succedersi delle stagioni. Leonardo Sciascia se ne andò vent’anni fa. Il 20 novembre, dopo aver discusso con i nipoti di Stevenson e Allan Poe, lasciando spazio e vittoria alla malattia, osservando la pioggia obliqua scendere per l’ultima volta prima di chiudere gli occhi. Sulla lapide, a Racalmuto, la frase di un aristocratico francese: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. A futura memoria, a patto che, come ricordava Sciascia stesso, la memoria (e non era scontato) possedesse davvero un orizzonte. Con “Malitalia” (Rubbettino, 15 euro, libro più dvd) Laura Aprati ed Enrico Fierro non si concedono il lusso di dubitare e scendono con occhi, voce e curiosità, alle radici evolutive di una mafia che Sciascia, nonostante intuito e lungimiranza gli fossero amici non meno della scrittura, non aveva fatto in tempo a prevedere. Una criminalità dove come spiega con tono lontano dall’enfasi, un potenziale eroe sciasciano, un letterato con pistola e distintivo, il capo della squadra mobile di Trapani Giuseppe Linares: “Ogni raro spargimento di sangue, negli ultimi anni, è stato mirato”. Sparare non serve più. La storia sembra più semplice, ma in realtà si complica, con l’abbandono della ormai rassicurante e ingannevole iconografia coppola e lupara. A ciascuno il suo e ai nuovi padroni, un controllo del territorio cui per esercitarsi non serve il piombo. In doppio petto, come un iguana pronto alla mimesi e all’evoluzione (anche tecnologi-
ca) davanti al nemico, il mafioso del nuovo millennio manda i figli all’università e penetra nella falda della società in modo invisibile. Giorno dopo giorno, stando ben attenti a terrorizzare senza abbaiare alla luna. Andando dritti alla radice del dominio, vivendo alternativamente da uomini d’onore e topi pronti a nascondersi in tane sotto terra, bunker che puntellano l’Aspromonte, nascosti dall’impenetrabile vegetazione, come nell’Albania a sinistra della Cina di Enver Hoxha. er poter trionfare tra istituzioPconclamata ni sonnolente: “O vicine a una negligenza non distante dal dolo” come sottolinea Alberto Cisterna, magistrato della Direzione distrettuale antimafia, i nuovi mafiosi viaggiano, stringono alleanze, cercano sponde politiche, brandendo il potere economico come una clava e l’estorsione, “Il principale serbatoio di Camorra, Mafie e‘Ndrangheta” come afferma al di là di ogni ragionevole supposizione Rodolfo Ruperti, dirigente della mobile di Caserta, al pari di un ricatto costante che rade al suolo esistenze in gabbia, società malformate senza spazi di redenzione, comunità in ostaggio permanente. Il pizzo crea investimenti e il circolo poco virtuoso, nella terra shakespeariana dei Bidognetti e degli Schiavone, quasi non conosce interruzioni. E’ un documentario prezioso, “Malitalia”. Gemma non verbosa, movimento nell’azione, odore della paura e dell’impunità tra i rovi inestricabili di un paese in decadenza e i nodi gordiani di una nazione che da Gobetti a oggi, si è inutilmente arrovellata su una coesione improbabile. Ci sono volti e urla, donne di boss pronte ad aggredire operatori e giornalisti, soldati straniati che cresciuti con la televisione non capiscono dialetti, nessi e circostanze di una tradizione arcaica che mantiene origini e patti di sangue dalla notte dei tempi, pentiti e collaboratori di giustizia emarginati, impavidi “no” che si pagano con l’esclusione e la vendetta. C’è soprattutto il mestiere di giornalista capace di tornare alle motivazioni nobili, sfrondato da orpelli, vaniloqui e vanità, l’odore del pistard che fiuta il filone giusto e ci si butta senza calcoli, al riparo di macchine sporche, piene di cartoni di cibo rubato al mestiere, rese irrespirabili dai chilometri e dal fumo. Siani, Noz-
za, Fierro. Figli sparsi per il mondo come pezzi di carta, pacchetti con dromedari da decrittare come compagni di viaggio, centinaia di sigarette, barba incolta, impermeabili da noir, occhiali da sole, battuta fulminante, cinismo per proteggersi dalle emozioni e cuore grande, da far pulsare fuori dal taschino, all’occorrenza, perché dietro gli specchi, la vita è dura. In trent’anni a contatto col malaffare, dalla Campania di Cutolo al presente non meno fosco, Fierro ha raccontato l’Italia. Quella stanziale e quella agognata dai disperati in esilio verso le
coste pugliesi. Il terremoto irpino e quello abruzzese, la politica, i ministri compromessi e la caduta di un sistema abile e svelto nel cancellare la palingenesi e riformarsi indossando fogge nuove di taglio antico. Dalla lezione superba di don Ciotti mutuata da Rosario Livatino: “Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma credibili”, alle parole di Dacia Maraini e dei tanti cacciatori con la divisa, in costante battuta contro indifferenza e silenzio, “Malitalia” accompagna (con una musica adeguata a scandirne la progressiva discesa negli inferi), lo
spettatore oltre i lustrini di un’epoca narcotizzata. Tra i tassi di usura al dieci per cento mensile, “il monolite indissolubile” (sempre Linares) perpetua se stesso. Lega per sempre destini e disperazioni, offre protezione pelosa, minaccia. Non diversamente dall’immortale epopea mafiosa, da Ellis Island a Corleone, perché in fondo, al di là del linguaggio frammentato utilizzato per non farsi intercettare, Calabria, Sicilia e Campania, soffrono di un’affezione dalle ascendenze primordiali. Un dolore che non si lava, anche se i figli cresco-
no e le mamme imbiancano. i un’ortodossia che legando Dsi, nuovi uomini di malavita e borghericchi e apparati della macchina amministrativa, proclama una resa fittizia e intanto continua a fare affari. Sempre più ricchi, sempre più “raffinati”. Nascono nuovi sottoinsiemi e poteri rimodellati, figure venerate dai piccoli boss di provincia, come quella impalpabile del presunto neo capo di “Cosa Nostra”, il trapanese Matteo Messina Denaro, “l’ultimo”, come scritto da un ammirato writer sui muri della città siciliana, e politiche neokeynesiane in cui i soldi devono esserci e fluttuare al riparo da lacci e restrizioni, a prescindere dalla provenienza, senza alcuno scrupolo morale sull’inquinamento complessivo di un sistema drogato alla nascita. Così, mentre si piange Fortugno e i ragazzi di Locri e dei 42 comuni della zona, impegnati a chiedere una prospettiva diversa, “non vengono fatti lavorare”, gli sforzi e il desiderio di riemergere della parte sana della comunità, somigliano a una “gurfata”. Sbuffi di vento incapaci di far crollare le connivenze. Chi nel potere politico prova a ribellarsi, sa dopo l’omicidio di Francesco il medico, che la regola d’ingaggio è cambiata. Chi si mette in mezzo muore e forse, nella constatazione laconica, il ritorno al passato è più evidente di qualunque immagine. Una veduta del paesaggio calabrese L’Aspromonte: impenetrabile, per definizione (FOTO EMBLEMA)
Il premio a Porto Sant’Elpidio la lotta di classe viene descritta non come una lotta cosciente ma il momento in cui si prende coscienza del vero conflitto che non è quello tra una nazione e l’altra ma tra ciò che si vive quotidianamente quando per una visita si debbono fare liste di mesi mentre il Papa va subito al Gemelli o Berlusconi va in America. Come dire: a me non interessa se sono buone o cattive persone ma che hanno ciò che io non ho. Un premio inaspettato per Ascanio Celestini che spiega: “Non ho dimestichezza con i premi, in genere non partecipo, non per snobismo, è solo che non mi viene in mente e aggiunge: “Credo che la giuria popolare, seppure voti i libri, sia influenzata dalla persona conosciuta in un epoca in cui sono tutte rockstar mentre c’è bisogno di quello che Gramsci chiama l’intellettuale organico che non è il grande scrittore ma
C’È ANCORA “LOTTA DI CLASSE”: IL “VOLPONI” A CELESTINI Premio letterario Nazionale “Paolo VolpoIdanilMarco Letteratura e impegno civile” coordinato Marchetti, conclusosi al Teatro delle Api di Porto Sant’Elpidio, direttore artistico Neri Marcorè, di fronte ad una affollatissima platea, è andato ad Ascanio Celestini con “Lotta di classe”, Einaudi . Quattro storie di vite arrangiate fra centri commerciali e giganteschi Call Center. La perseveranza del mondo contadino dentro allo stupro urbanistico palazzinaro. Il call center è il condominio che racchiude vite che non escono mai dal privato per entrare nella sfera pubblica. Un libro in cui
il medico, l’insegnante, quelli con cui ci confrontiamo quotidianamente. Oggi l’intellettuale organico è profondamente di destra anche quando vota a sinistra, è inserito in una cultura capitalista senza scrupoli , è fatalista, è contro lo schiavismo ma dice: anch’io sarei per non regalare a mio figlio il pallone cucito a mano dai bimbi brasiliani ma questa è la legge di mercato che ci vuoi fare?” Il premio alla carriera “Lettere ed Arti” è andato a Mario Dondero, il fotografo, milanese di nascita e fermano di adozione, che per prima cosa ha voluto ricordare Enzo Biagi dicendo: “Il primo contratto me lo ha fatto lui. Ironico, scanzonato, un galantuomo di altri tempi, allievo di Robert Capa ci ha raccontato l’umanità dilaniata dalle guerre, mostrato il primo pezzo di muro crollato a Berlino nell’89, donato memorabili ritratti di scrittori ed intellettuali . Pasolini,Beckett, Volponi, Bianciardi, di cui era fraterno amico come racconta Pino Corrias nel libro: “Vita Agra di un anarchico”. Sandra Amurri
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SECONDO TEMPO
AR TE / BIENNALE
zysztof Wodiczko, polacco, con il suo video sonoro che circonda lo spettatore coinvolgendolo in conversazioni bisbigliate a tema sociale; Lucas Samaras, greco, che lavora con gli specchi (ancora sul narcisismo?). Alla Punta della Dogana invece sbocciano interpretazioni straordinarie della vita, della morte e del sesso, e non solo con evidenti citazioni dalla Young British Art (Cattelan per primo, certamente, coi suoi cavalli massacrati, o le scioccanti installazioni di Jake e Dinos Chapman, serie di vetrine con visioni apocalittiche ispirate da Böcklin e da “I disastri della guerra” di Goya che ha impegnato gli artisti per due anni in un lavoro certosino con centinaia di miniature di soldati nazisti, mutoidi, uomini, brandelli, cadaveri, scheletri, teschi…). E’ forse Mike Kelley, con “Kandor’s full set” a parlare per tutti: Kandor era la capitale di Krypton rimpicciolita e rubata dal supercriminale Brainiac, poi liberata da Superman. Da guardare e basta, al buio, vagando tra miriadi di microcittà fatte di luce. Insomma, se la Biennale si riconferma L’opera di Giacomo Costa “Private Garden” un’officina in piena attività si inchina (giustamente) a Yo- perfino in chiusura, capace di ko Ono e John Baldessari op- continuare a cucinare sempre pure del mecenatismo inna- nuovi immaginari e di mettermorato di un arzillo settanten- li a disposizione del mondo in ne che si espande colonizzan- modo spontaneo e collaborado Venezia con le sue opere tivo, Punta alla Dogana, Mecd’arte? Di sicuro di noi stessi: ca chic per maniaci del conlasciarsi guidare dal fiume temporaneo, si afferma come massificato di visitatori alla nuovo spazio di discussione e Biennale ma anche dallo sno- riflessione internazionale sui bismo di un collezionista vi- grandi temi della vita. Un apsionario, appassionato quan- plauso, dunque, a questa città to astuto, vale in ogni caso la capace di conservarsi e rinnopena: alla 53esima edizione si varsi come solo gli dei sanno scopriranno interessanti lavo- fare ma anche l’augurio di imri come quello del bravo fio- parare presto ad aprirsi alla rentino Giacomo Costa, le in- condivisione delle risorse artelligenze di curatori come tistiche che per sua stessa naLuca Beatrice, e, soprattutto, i tura prevede la rinuncia etica nuovi mondi dell’est: Péter a qualsiasi proprietà verso un Forgàs, ungherese, coi suoi copy left in purezza: arte realvolti traslati in espressioni di- mente capace di generare ligitali (Bill Viola docet); Kr- bera cultura.
VENEZIA CONTRO VENEZIA Bilancio della kermesse alla vigilia della chiusura
di Eugenia Romanelli
entre il consiglio di amministrazione nomina Kazuyo Sejima direttore (prima donna) della 12esima Mostra Internazionale d’Architettura (agosto-novembre 2010), si annuncia il primo Festival Internazionale della Performance (maggio, bando aperto da dicembre, la biennale.org). Stiamo parlando della Biennale che, nonostante domenica chiuderà i battenti dopo ben 5 mesi di esposizione, continua a tentacolarizzare Venezia offrendo orge d’arte in tutte le forme. E fa bene, visto l’entusiasmo: la folla non si è arresa mai, nemmeno in questi ultimi scampoli prima della chiusura, facendo registrare in media oltre 2000 presenze al giorno (la stagione vanta un bel 13 per cento di affluenza in più rispetto al passato). Intanto, mentre la Biennale si trasforma in una gigantesca macchina pop che assembla attività d’avanguardia come un apparato in continua digestione, sulla riva opposta della laguna spunta un nuovo fenomeno da tenere d’occhio: a Punta della Dogana, il nuovo spazio espositivo di Palazzo Grassi inaugurato il 6 giugno dopo 20 milioni di euro di lavori, vengono mappati in media 1600 visitatori al giorno. Eppure, due opposti in tutto, come opposti sono pop e élite. Ci chiediamo, qual è l’avanguardia? Quali sono gli artisti che si esprimono svincolati dai condizionamenti del mercato dell’arte? I giovanissimi (ormai non soltanto) dell’Arsenale o i provocatori della collezione François Pinault Foundation? L’esercito dei protagonisti interglobali viviselezionati dai curatori di una esposizione ormai popolare, anche se cult, plurideco-
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Kazuyo Sejima è la prima donna alla guida della Mostra Internazionale d’Architettura rata e competitivissima a livelli planetari, oppure i guru delle sperimentazioni ‘00, postpostpost moderni, strapagati e ospitati in uno dei più innovativi progetti architettonici della città (firmato Tadao Ando)? Chi rappresenta davvero il mondo in cui viviamo? Il cinese Chu Yun, classe ’77, che al padiglione del suo paese ragiona sull’inquinamento luminoso (“Constellation n. 3”) con un impeto un po’ politico, un po’ scenografico, un po’ visual, un po’ sensoriale, sicuramente critico e per niente ruffiano? Oppure è lo sperma del grande maestro Takashi Murakami schizzato in aria da una scultura-cartone animato fino a diventare aureola o lazo, proprio davanti al getto di latte – hula hoop dalle tette (non rotanti) della sua dirimpettaia, tra mega pannelli di altri schizzi rosa e azzurro allestiti su masegni veneziani autentici e mura a vista con vetrate mozzafiato sul canale? Quale delle due esperienze artistiche che hanno caratterizzato questi mesi veneziani possiamo eleggere come evento culturalmente evolutivo per il momento che stiamo vivendo? Una manifestazione secolare che premia con Leoni d’Oro e d’Argento le nuove promesse mondiali scegliendole tra oltre 90 artisti che
Provocazioni
espongono in (un record) 77 partecipazioni internazionali, oppure un mastodontico progetto da 300 mila ore lavorate che raccoglie contributi tra i più importanti e potenti del mondo? Chi sono gli innovatori, l’Oro statunitense Bruce Nauman o tedesco Tobias Rehberger? O l’argento svedese Nathalie Djurberg? Oppure i ricercati animatori dell’antica dogana veneziana, personaggi trascurati (ingiustamente) dalla scena artistica internazionale come Lee Lozano o emergenti come Adel Abdessemed, Matthew Day Jackson, Wilhelm Sasnal, Mark Grotjahn? Di chi ci fidiamo, di una giuria del calibro di Angela Vettese & Co. che scopre talenti a Singapore e in Brasile e
TELEVISIONE Sintonia Latina (ad Abbiategrasso) l suo nome è Sintonia Latina TeInalelevisiòn e presto debutterà sul ca863 di Sky. È stata presentata
ieri, patrocinata dal Consolato generale argentino, dal Consiglio regionale della Lombardia e dal Comune di Abbiategrasso, in provincia di Milano. Nata l'8 dicembre 2008 per volere di Juan Carrera, lo scopo di Sintonia Latina Teledo: “Il cortocircuito dell’informazione visiòn è migliosupera i confini dell’immaginazione. Ci rare l'integraziosi parla addosso, stando attenti a girare ne del popolo larigorosamente a vuoto. I contenitori potino americano meridiani ormai esistono solo per nain Italia, contriscondere verità e notizie”. Ne consegue buendo a far coil terzo emendamento frecceriano. Last noscere usi, cobut not least. “Da mesi si parla soltanto di stumi, tradizioescort e trans. Viviamo immersi in una ni, ideali e desibolla. Tutti a inseguire affannosamente il deri comuni, folklore, nessuno i dati di fatto. Allora si per giungere indiscute più o meno seriosamente delle sieme a un futuinclinazioni sessuali delle persone, ma ro prosperoso e non delle responsabilità dei carabinieri promettente. coinvolti nell’affaire Marrazzo. Giochiamo con la realtà, come altri fanno con la verità”. Guy Debord, sentitamente, rin(M.P.) grazia.
FRE CCERO, SU RAI 4 CON I TRANS per indole e non per calSceroituazionista colo. Divertirsi, bisogna. Carlo Frecda Savona. Invenzione, sovversione, francese che sovrasta l’italiano, citazioni, voli senza rete, commistione costante. Per il lancio di Sugo su Rai 4 “magazine che parla dei media e del loro consumo del presente, vampirizzante e autoreferenziale”, Freccero appare in un bagno pubblico. Con lui, ma in momenti diversi (accennare, suggerire, indurre è sempre meglio che mostrare), due trans. “Tre motivi. Il primo: non abbiamo una lira. Così la comunicazione virale (e non quella ufficiale), che ben conosce chi frequenta il Web, è occasione e boa cui lo spettatore può aggrapparsi per ribaltare il quadro delle aspettative”. Secon-
Con la programmazione fissata per un'ora, ogni mercoledì pomeriggio, due saranno i segmenti che comporranno questa nuova tv. Il primo, intitolato Escalon a la Fama sarà un programma simile alla nostrana Corrida, dove si cercherà di offrire un'opportunità a talenti anonimi, che non hanno ancora avuto l'occasione di dimostrare o conoscere fino in fondo le proprie capacità, facendoli gareggiare tra loro. Il secondo segmento sarà rappresentato dalla trasmissione Verso il domani, in cui si proporranno temi di informazione, comunicazione e cultura, corredati da interviste e curiosità, per dare spazio e valorizzare le diverse realtà all’interno delle comunità latine, costruire e rafforzare l'avvicinamento tra istituzioni e pubblico e permettere il flusso di informazioni utili al processo e dinamiche d’ integrazione. Intenzione di Sintonia Latina Televisiòn è, infatti, proporsi come nuovo spazio e alternativa di comunicazione integrata aperti a tutti, per costruire ogni giorno un futuro più condiviso. Francesca Pannone
Vietato guardarmi: la versione di Pedro e il mistero di Cruise di Elisa Battistini
scena: il regista, dopo Ptra rima una giornata di riprese, ennel camerino della sua attrice. Sta ore e ore a guardarla mentre si strucca, si veste, si toglie la maschera da star. Il regista ama violare l’intimità della sua musa. Che, in un contratto non scritto, asseconda il naturale voyerismo di lui. Seconda scena: un attore si muove algido in uno spazio che nessuno deve contaminare. Due agenti della Pinkerton piantonano le porte che attraversa, proteggono il suo corpo dalle intrusioni. Gli estranei non possono avvicinarlo. Nessuno può entrare nella stanza in cui si trova senza il suo permesso. Ma soprattutto a nessuno, neppure a chi lavora con lui, è concesso parlagli e guardarlo negli occhi. L’attore lo ha fatto scrivere nero su bianco sul contratto con la produzione. I suoi occhi restano un segreto. Se fosse l’inizio di un film, sarebbe la presentazione dei due personaggi principali. Che, nel seguito del plot, sarebbero destinati a scontrarsi. Ma non è un film. L’uomo di cui nessuno può incrociare lo sguardo è Tom Cruise. Il regista che racconta di averlo avvistato (senza poterlo guardare) negli studi di Pinewood, a Londra, è Pedro Almodóvar. Lo spagnolo lo ha detto durante l’intervista a Che tempo che fa, domenica scorsa, ricordando un episodio che risale al 1996. Almodóvar stava lavorando al mixaggio di Carne Tremula negli stessi studi in cui il divo di Top Gun stava girando Mission: Impossible di De Palma. Almodóvar racconta che due agenti della storica agenzia di investigazione e sicurezza (la Pinkerton per cui lavorava Dashiell Hammett) blindavano sistematicamente le porte da cui passava Cruise. E afferma che il divo, per contratto, aveva chiesto che nessuno della troupe potesse guardarlo negli occhi. Vero o falso che sia (c’è da dubitare che De Palma non potesse guardare in faccia il suo attore e pare impossibile che Kubrick e Spielberg, in seguito, si siano attenuti al maniacale protocollo) ha poca importanza. Ciò che conta è la verosimiglianza. E nel romanzo del cinema, fatto di aneddoti e scene emblematiche, la descrizione di Almodóvar calza perfettamente su Cruise. E disegna due personaggi più che due persone. Almodóvar rimarca il suo rapporto carnale, vivo con le attrici. Narrando se stesso come il regista (europeo) per cui il cinema si mischia con la vita e le relazioni. Cruise è la polarità opposta: il professionismo metodologico (in odore di Scientology) tipico del cinema americano. Le parole di Almodóvar disegnano una sequenza in cui si consolida un’immagine-verità già consegnata alla fantasia degli spettatori. Quella del regista tutto passione da una parte e dell’attore tutto ossessione dall’altra. La vita e il cinema si mischiano senza soluzione di continuità. Negli aneddoti, nelle vite, nei racconti. Almodóvar riflette il suo cinema e vince uno a zero. Chissà quale sarebbe la versione di Tom.
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SECONDO TEMPO IL PEGGIO DELLA DIRETTA
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TELE COMANDO TG PAPI
Fiducia sull’acqua di Paolo Ojetti
g1 La sorpresa di Berlusconi (“Non ho mai pensato alle elezioni anticipate”) smentisce e sconvolge sia gli ultimatum di Schifani sia i piani di chi immaginava un imminente futuro con il “premier” ad Antigua. Ma ha sconvolto anche il Tg1 delle 13,30, dimostrandone la rigidità praticamente cadaverica. Filippo Gaudenzi, conducator del notiziario, non prende la palla la balzo e passa subito ai “servizi”. Il primo dei quali parla di nuovo di Schifani, delle reazioni, di quello che faranno le opposizioni: un “secondo” servizio, passato in prima linea. Perché, ogni tanto, i vertici dell’informazione raitivvù non si aggiornano per imparare come si fa a “improvvisare” di fronte a una notizia che ti capovolge la scaletta del notiziario? Per-
T
ché non copiano la leggera capacità dei colleghi anglosassoni (e anche francesi) nel pilotare il nuovo? Segnaliamo anche una intervista di Simona Sala a Fitto: come mai chiedete la fiducia sull’acqua? “Perché siamo coesi”, ha risposto senza ridere il giovane governante. g2 T Passa il tempo e la “nota” di Palazzo Chigi si trasforma in dichiarazioni spot e battute al volo: “Elezioni? Non ci ho mai pensato” e così Berlusconi distribuisce perle di politica. Insomma – anche nel servizio di Bruno Princiotta – risulta che Schifani deve aver scherzato dato che il “premier” sostiene che “la maggioranza è salda, questa è solo dialettica interna, con Fini non c’è nulla da chiarire”. Dunque, deve aver ragione Casini quando afferma (anche il Tg2 lo riprende),
che Schifani “è stato inopportuno”. Ma ciò che più pesa sull’intera vicenda e che è rimasto sullo sfondo è il silenzio: il silenzio di Napolitano che, in Turchia, ha assistito attonito a un’altra giornata di ordinaria follia politica. g3 T Se due terzi dell’informazione Rai intreccia balletti fra reticenze e ufficialità, l’ultimo terzo, il Tg3, spicca per aver ricostruito la “vera” e convulsa giornata di ieri. Se Berlusconi parla di “maggioranza compatta”, ecco che subito il Tg3 piazza due servizi che dimostrano il contrario. Primo, l’iniziativa bipartisan (anzi, quadripartizan) fra Pd, Udc, finiani, Idv sul voto agli immigrati, che sembra una prova generale di maggioranze possibili, maledetta da Bossi e benedetta da Fini. Secondo, se la maggioranza era così compatta, come mai sul decreto che privatizza l’acqua e che si vota oggi si è posta la fiducia? Senza fiducia il governo Berlusconi rischiava davvero di annegare? E se avesse ragione Maroni (in bella evidenza) che la paralisi del governo “è solo colpa nostra” e “se continua così, meglio andare alle urne, come dice Schifani”?
di Nanni
L’economia per tutti Delbecchi
economia è di grande atL’ti fanno tualità, lo sappiamo. Tuteconomie dappertutto, dalle grandi aziende alle umili famiglie. Strano che in tv se ne parli così poco in modo specifico. Da domenica scorsa però la lacuna è stata colmata da La7 con il programma “Effetto domino”. Una trasmissione che ha il pregio di una notevole coerenza tra forma e contenuto. Il contenuto è, appunto, l’economia; e il contenitore è altrettanto economico. Uno studio, una conduttrice, un tema specifico, tre ospiti. Poche cose, ma scelte con l’oculatezza della massaia al mercato. La massaia in questione si chiama Myrta Merlino e nonostante la bella presenza, che potrebbe far sospettare un passato nell’informazione-intrattenimento, è una giornalista che si muove da anni nella materia con competenza e con lo stesso cipiglio che Ilaria D’Amico sfodera tra i mezzibusti dello sport. Tutto qui? Quasi. Non c’è il vignettista in studio, un lusso che si paga a caro prezzo come ha dimostrato Vauro; c’è però un fulminante contributo di Altan
(“Aboliamo l’Irap”. “Giusto. E’ così complicata da evadere”). E c’è anche un contributo del sorridente guru della globalizzazione Jacques Attali, che nel suo primo editoriale ci ha rassicurati sulla possibilità di prevedere le grandi tendenze economiche del futuro (chissà se gli ex dipendenti della Lehman Brothers sono d’accordo). Come si diceva, gli ospiti di “Effetto domino” sono ridotti, ma mirati. L’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco e il presidente della Piccola industria Giuseppe Morandini si sono confrontati su quali interventi possano consentire agli imprenditori di uscire dalla crisi. Incredibilmente, per mezz’ora i due non si sono dati sulla voce, non si sono interrotti, e non hanno nemmeno fatto le controscene goldoniane arricciando il naso o torcendo la bocca mentre parlava il loro antagonista. Ultimo e solitario ospite della serata, l’ad di Trenitalia, Mauro Moretti. Il manager che è riuscito a varare l’Alta velocità e a fare concorrenza ad aerei e auMyrta Merlino conduce “Effetto domino” su La7
tomobili con i treni in un paese come l’Italia. Una promessa che nemmeno Giucas Casella si sentirebbe di fare in tv; Moretti l’ha mantenuta senza farla, e infatti ora pensano di sostituirlo. Nell’ascoltarlo, pensavamo che è un vero peccato che si parli così poco di treni in tv, forse per ragioni edipiche. La televisione non discende dalla radio, né dal cinema: il vero padre della tv è il treno, il primo vero mezzo di comunicazione di massa. Quello che trasporta fisicamente le persone e (almeno una volta) le faceva conoscere, laddove la tv ci lascia immobili ad affollare la nostra solitudine. Di questo, ma anche delle relazioni tra conti dello Stato, politica fiscale e qualità dei servizi pubblici si è parlato nel lungo botta e risposta tra Mauro Moretti e Myrta Merlino. Chiacchierata economica nei mezzi, istruttiva nella sostanza. Purtroppo abbiamo dovuto rinunciare al punto di vista di Alba Parietti, ai ricordi d’infanzia di Lory Del Santo e perfino alle scenografiche sfuriate di Vittorio Sgarbi; ma niente paura, le potremo sempre intercettare in un prossimo “Porta a Porta”.
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SECONDO TEMPO
MONDO
WEB
Arriva la Libera Università Web metà tra un doposcuola Arealizzata amatoriale e un’università dagli utenti del Web: è la “Luw, Libera Università Web”. Si trova all’indirizzo .liberauniversitadelweb.it e, basandosi sullo stesso principio di Wikipedia, offre lezioni di matematica, filosofia, lettere e economia agli studenti che zoppicano e non possono permettersi lezioni private, a studenti-lavoratori o semplicemente a chi ha voglia di imparare. “L’idea – spiega Aleandro Volpi che ha lanciato il sito lo scorso febbraio – è quella di una piattaforma su YouTube dove si tengono in video tutti i corsi. I nostri insegnanti, attualmente, sono tutti youtubers ed è possibile leggere nelle loro pagine personali i curriculum professionali e di studio”. Per ora i corsi organizzati sono 13, suddivisi in sei facoltà: filosofia, studi sociali ed economici, scienze tecnologiche, scienze matematiche, lettere e “sicurologia”, ovvero le “scienze dei molteplici aspetti della sicurezza”. La Luw non ha intenti accademici: “Il principio è che se qualcuno possiede una competenza, può
condividerla con tutti, mentre chi è in cerca di conoscenza, ha uno spazio pensato appositamente per lui”. Non è previsto un controllo di autorevolezza dei contenuti: “Organizziamo tutto in modo che gli utenti possano far emergere i contenuti migliori. Anche contattando i docenti via chat e scambiandosi informazioni sui forum”. Le facoltà saranno organizzate con piani di studio che hanno una logica formativa, e troveranno spazio lezioni su discipline che solitamente non lo hanno nel circuito accademico: “Vogliamo andare oltre l’università normale: pensiamo anche a corsi di cucito o di cultura popolare: il nostro obiettivo è mettere a disposizione tutto ciò che è patrimonio collettivo”. Libero spazio alla fantasia, insomma. Un corso per aprire un blog? “Ottima idea – risponde Volpi – aspettiamo candidature”.
è YOUTUBE E IL CITIZEN JOURNALISM UNA PIATTAFORMA PER MEDIA E UTENTI
“YouTube ha connesso una nuova generazione di ‘creatori di contenuti’ con milioni di spettatori”. Con queste parole YouTube annuncia la creazione di YouDirect, una piattaforma che fornisce a portali e siti d’informazione, la di Federico Mello tecnologia per far caricare video ai propri utenti, direttamente sull’home page. Se ben sfruttata da siti e giornali, è una grande occasione per il “Citizen Journalism”: gli utenti è FANNULLONI EVERYWHERE potranno facilmente ANCHE I “PIRATI INFORMATICI” contribuire con i loro Forse ha ragione Brunetta: i fannulloni sono dappertutto. video arricchendo così Anche i “cracker”, i pirati informatici che hanno attaccato il suo l’informazione. nuovo sito riformabrunetta.it; “Abbiamo vinto noi, come sempre, gli hacker sono fannulloni e quindi perdono” le sue parole. Tutto questo parlare di fannulloni, però, non lascia indifferente i lavoratori pubblici: “Sono una dipendente statale – ci scrive una lettrice – e lavoro come una matta dalla mattina alla sera. Mio marito Idem. Fateci un regalo (oggi sono 14 anni che siamo sposati) pubblicate la foto allegata”. Li accontentiamo qua sotto.
feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post “Pedinamento del giudice, Brachino sotto inchiesta” di Antonella Mascali
Speriamo che sia condannato in modo esemplare! (Francesco V.) Cosa volete che gli facciano, al massimo gli daranno una nota di biasimo; spiegatemi a cosa servono gli Ordini professionali, residuati fascisti che ci costano, direttamente e indirettamente (soprattutto), un sacco di soldi (Enrico A. V.) Ma che “radiazione dall’Albo” : abolizione dell’albo! (Marco R.) E Feltri? Aspetto ancora un provvedimento per Feltri... (Pietro Pier M.) Gli Ordini professionali sono istituzioni arcaiche che vanno abolite (Stefano C.) Era ora che l’Ordine si facesse sentire. Sembravano imbalsamati... (Alfredo C.) Gli diranno che è stato un birichino e niente più (Walter A.)
Libera Università del Web, la foto di Brunetta inviataci da una lettrice, l'home page Micromega, YouTube direct
DAGOSPIA
L’ACQUA DI CALTAGIRONE
La tenaglia in cui Caltagirone si trova in questo momento è di natura politica e industriale. Per quanto riguarda la politica basta leggere il Messaggero per capire come il “famiglio” Casini stia giocando una partita micidiale dai contorni ancora incerti, ma dall’esito scontato. Prima o poi Pierfurby, che oggi incontra Cicciobello Rutelli, dovrà apparentarsi con chi considera finita l’era del Cavaliere, e in questa situazione il Calta dovrà destreggiarsi perché sa benissimo che il “più grande statista della storia” uscirà dalla ribalta con terribili colpi di coda. E qui la partita per il Calta si gioca sulla piazza romana nei rapporti con il sindaco dalle scarpe ortopediche, Gianni Alemanno, che oggi si è schierato con un’intervista a ILGiornale contro Fini dicendo che “mollare Silvio è un suicidio politico”. L'uomo del Campidoglio controlla il 51% di Acea, l’utility che oltre al gas e all’elettricità, gestisce il business dell’acqua. Da ieri, “sora acqua” non è soltanto il bene prezioso declamato da San Francesco d’Assisi, ma anche da Caltagirone che su Acea ha investito molte speranze per tenere le mani ferme sui rubinetti delle risorse idriche. Il governo con un decreto dell’ex pubblicitario Ronchi ha deciso la privatizzazione dell’acqua prevedendo che la quota di capitale in mano pubblica scenda sotto il 30% per lasciare spazio ai privati. Tra questi in prima linea, oltre all’imprenditore-editore, ci sono i francesi di Gdf Suez che in Acea hanno il 10%, e è UN BANNER DELLA POLIZIA SU FB quell’Alemanno LA PROPOSTA DELLA MUSSOLINI che digiuna per i “Un banner della polizia postale sui siti e su è MICROMEGA bambini della Fao, ma Facebook contro la pedofilia per informarsi e IL NO-B-DAY non pensa di dimagrire chiedere aiuto”. A lanciare la proposta è GLI APPELLI AL PD SUL SITO dentro l’utility stata Alessandra Mussolini, presidente della MicroMega ha aderito al No capitolina. Per il 66enne Commissione parlamentare per l’infanzia e Berlusconi Day del 5 dicembre e vitalissimo Caltagirone l’adolescenza. “I social network – aggiunge – il direttore Flores d’Arcais ha arrivano mesi difficili. non sono ambienti chiusi. E’ possibile violarli, invitato i direttori dei giornali i dati infatti parlano di 30.000 minori adescati italiani a dare visibilità alla in rete”. Gli abusi sui bambini, non è mai manifestazione. Su inutile ripeterlo, sono crimini indegni che micromega.net, inoltre, sono stati pubblicati i vanno contrastati in ogni modo. Chi si video-appelli di Lidia Ravera, Moni Ovadia e Furio occupa di un tema come la pedofilia online, Colombo, per chiedere a Pier Luigi Bersani e Partito però, dovrebbe avere le competenze per democratico di aderire al “No Berlusconi Day” che affrontarlo al meglio. La Mussolini, come chiede le dimissioni di Berlusconi. “Caro Bersani, non emerso da alcune ospitate televisive, non è snobbare il grido di dolore di tanti cittadini” le parole un’esperta in materia. E alcune dichiarazioni, della Ravera, “E’ in gioco la democrazia” ribadisce come quella di ieri: “Chiunque di voi mette i Moni Ovadia. Per Furio Colombo “Il momento è propri dati e le proprie fotografie nella Rete, drammatico: e il Partito democratico non può avere sarà schedato per sempre” appaiono quanto esitazioni”. meno imprecise. Un banner della polizia postale su 12 milioni di account Facebook in Italia, risolverebbe il problema pedofilia? Forse, rispetto a misure-spot, sarebbe meglio mettere al lavoro degli esperti.
Lo stesso servizio è stato trasmesso anche dal Tg5, e non solo da “Mattino 5” (Wickley) L’Ordine dei giornalisti fa sapere che esiste ancora... E’ stato creato dalla dittatura scorsa, quella vera. (Roberto) Bene, la mia mail di protesta è servita a qualcosa, allora: vediamo, però, come andrà a finire e non sono ottimista (Die Hexe) Speriamo che lo condannino a portare calzini turchesi per tutta la vita... una vita stravagante!!! (Rastelli G.) Feltri era già stato radiato nel 2000, quando era a Libero, per aver pubblicato immagini pedopornografiche. Poi mi sa che come al solito è rientrato tutto, chissà perché... (Irene C.M.) La radiazione dall’Albo dei giornalisti e l’allontanamento dalla tv per un anno, sarebbe il massimo (Loris C.) Finalmente una buona notizia... sinceramente di certa informazione pretestuosa e legata al solito carro del potente non se ne può più (Lorenzo) Quando aboliranno l’Ordine dei giornalisti in questo paese sarà sempre e comunque troppo tardi (Roberto) Ma a Minzolini invece è permesso tutto? (Francy) Io due calzini azzurri li ho appesi in macchina bene in vista! Speriamo che ci sia una presa di coscienza anche da parte dell’opinione pubblica che di solito trangugia tutto come acqua minerale... (Paul)
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Giovedì 19 novembre 2009
SECONDO TEMPO
nordisti
PIAZZA GRANDE Mazzetti
hi non ricorda quel film di Mario Monicelli, “Il marchese del Grillo”, interpretato da un magistrale Alberto Sordi? Probabilmente chi si sta occupando del digitale terrestre nel Lazio. La pellicola inizia con una lunga panoramica sui tetti di Roma dove si scopre che quei tetti sono coperti da migliaia di antenne tv. Dall’inizio degli anni Ottanta (periodo in cui fu realizzata quella ripresa) a Roma nulla è cambiato, non vi è stata una politica di centralizzazione delle antenne (una per condominio per intenderci), quindi, se quei responsabili avessero visto il film avrebbero intuito che molti impianti, vecchi anzi stravecchi, sarebbero risultati inadeguati ad affrontare il passaggio tecnologico. La comunicazione che il digitale terrestre si sarebbe potuto vedere, aggiungendo un semplice decoder, senza intervenire sull’impianto, è falsa. Infatti migliaia di famiglie il 16 novembre scorso, quando è avvenuto nel Lazio il passaggio dall’analogico al digitale, sono rimaste al buio. La Rai ha la responsabilità tecnica, cioè la gestione del passaggio alla nuova tecnologia. Dal punto di vista informativo i responsabili dell’azienda pensano di avere la coscienza a posto per aver mandato a tutti gli abbonati una lettera-avviso, invece, la Rai non si è fatta carico, se non attraverso semplici annunci nei telegiornali, di realizzare spot tecnici-informativi da mandare in onda nelle trasmissioni di maggior successo, e negli spazi regionali, cosa che invece hanno fatto molte tv private. Negli altri paesi europei, le tv di Stato hanno, prima di tutto, monitorato il territorio dal punto di vista della trasmissione e ricezione del segnale. Da noi, basti pensare a quello che è accaduto in Piemonte (lo switch off è del 9 ottobre), a distanza di oltre un mese ci sono ancora migliaia di famiglie, che vivono nelle valli alpine, al posto del segnale ricevono il buio e dovranno attendere ancora alcuni mesi per avere l’immagine, nel frattempo o mettono la parabola per il satellite oppure, per essere informati, accendono la radio. Quando l’esperienza non insegna. In Emilia Romagna il tutto accadrà nel secondo semestre del 2010. In parecchie zone il telegiornale regionale non si vede perché le antenne non sono predisposte per ricevere il segnale della regione di appartenenza e quindi gli utenti vedono il tg della Lombardia, del Veneto o delle Marche. Oggi bisognerebbe intervenire per fare in modo che i condomini abbiano il tempo per modificare l’impianto, così, quando accadrà lo switch off, ogni famiglia dovrà solo decidere se acquistare un decoder o cambiare la televisione. Ho saputo che un diligente dipendente della Rai, informato del problema, ha prima avvisato la struttura tecnica dell’azienda, poi ha mandato una mail
C
Migliaia di famiglie lunedì scorso sono rimaste al buio: negli altri paesi europei le tv di Stato hanno, prima di tutto, monitorato il territorio dal punto di vista della trasmissione e ricezione del segnale alla regione Emilia Romagna auspicando un intervento istituzionale. Morale: il bravo dipendente ha ricevuto un lettera dalla Rai dove in sostanza gli si dice di farsi i fatti suoi. In questi giorni sono apparsi servizi ai telegiornali assai contraddittori: quelli della Rai hanno raccontato che a Roma e nel Lazio tutto è stato regolare, con interviste ad anziani che dicevano che non avevano nessuna difficoltà a sintonizzare la loro tv; La7 e alcune tv private hanno detto esattamente il contrario, le persone anziane denunciavano la scarsa informazione. La realtà è una sola: tutto è partito in ritardo, tutto all’ultimo momento. Cominciando dal ministero dello Sviluppo econo-
mico che solo alcuni giorni prima dello switch off ha ultimato le procedure di assegnazione “dei diritti d’uso temporaneo delle frequenze”, informando sui tempi tecnici le emittenti stesse a ridosso del passaggio da analogico a digitale. Le regioni hanno il compito istituzionale di predisporre politiche a sostegno delle famiglie. Nel Lazio è ancora in distribuzione il manuale con le istruzioni per le procedure di sincronizzazione del segnale, nonostante il passaggio sia avvenuto alcuni giorni fa. Per dimostrare che l’esperienza non serve, un esempio positivo c’è, riguarda il Trentino Alto Adige che ha distribuito agli utenti alcuni mesi prima dello switch off il libretto con le istruzioni, inoltre a ogni famiglia, al cui interno c’era la presenza di un settantacinquenne, ha predisposto l’arrivo di un giovane tecnico a domicilio. A metà dicembre lo switch off riguarderà la Campania. Recentemente le associazioni che aderiscono al digitale terrestre hanno denunciato che
di Gianni Barbacetto
E ORA, CIVIDALE 3 A
Rai, digitale rupestre di Loris
É
LA STECCA di INDRO l “Se questa destra vince, la parola destra, in Italia, diventerà impronunciabile per almeno un cinquantennio per ragioni di decenza. Ecco contro cosa voto. (...) Credo di aver fatto, per la mia destra, ciò che potevo. Nel bordello non posso seguirla. Ma di redimerla, non ho più la forza Corriere della Sera, 13 aprile 1996
in questa regione le frequenze previste sono 55 mentre le emittenti sono ben 81. Quali sono i criteri che definiscono se un’emittente ha le caratteristiche per entrare nel digitale terrestre? Che tipo di controllo viene eseguito? Sappiamo per certo che alcune di queste, direttamente o indirettamente, sono in mano a clan camorristici. E’ l’ennesima beffa del marchese Onofrio del Grillo? (FOTO ANSA)
gli estremi confini orientali, dove le colline friulane si preparano a diventare Slovenia, sorge Cividale del Friuli, perla medievale, antica capitale patriarcale e longobarda, cittadina con uno dei più vasti e ben conservati centri storici della Penisola, tanto da essere candidata italiana a ottenere il riconoscimento dell’Unesco di patrimonio dell’umanità. Su tanta bellezza sta per abbattersi la sciagura del nord-est, la furia edificatrice: un bel conglomerato urbano a cui hanno dato il nome di Cividale 3 (saltando, per fortuna, Cividale 2). L’ideona è della banca del posto, la Popolare di Cividale, l’unico istituto di credito locale rimasto solo, ricco e felice dopo la grande stagione delle concentrazioni bancarie. Il suo presidente, Lorenzo Pelizzo, è da 40 anni padre padrone della banca. Il mondo è cambiato, sono caduti il Muro, la Prima Repubblica, la frontiera con l’Est, ma lui è restato saldamente alla guida del suo istituto, vera macchina del consenso locale, passando dalla vecchia Dc ai nuovi umori berlusconian-leghisti, più longevo di Fidel Castro e in gara con Kim Il-sung. Ora Pelizzo ha deciso di vincerla, la gara, preparando il mausoleo, o la piramide, che lo renderà immortale: Cividale 3, con la nuova sede della banca e tutt’attorno una città, un grande centro commerciale, uffici, abitazioni. Un’operazione da 80 milioni di euro da realizzare sull’area della Italcementi, vecchia fabbrica chiusa da tempo, struggente monumento di archeologia industriale. Quando la banca padrona comanda, la giunta di centrodestra obbedisce. E così l’ideona di Pelizzo è diventata progetto del sindaco Attilio Vuga e della maggioranza che governa Cividale del Friuli. Pelizzo ha deciso senza consultare nessuno e l’amministrazione comunale ha ratificato. Ha scelto lui, senza alcun concorso, il progettista: non un professionista di fama internazionale, ma l’architetto Francesco Morena, che si è fatto le ossa con qualche centro commerciale in Cina e ora s’appresta a stravolgere la cittadina del Friuli con linee e volumi che s’ispirano – dice – a “Guerre stellari” e a “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, non senza una spruzzata di reminescenze celtico-longobarde (vedere per credere: http://europaconcorsi.com). Ha scelto, senza gara, anche l’imprenditore che ha realizzato la bonifica dell’area: guarda caso il vicepresidente della banca, Adriano Luci che, con qualche conflitto d’interessi, è anche presidente dell’Associazione industriali di Udine. L’opposizione ha tentato di fermare il progetto. Agli inizi, da solo, Domenico Pinto (Rifondazione comunista). Poi un comitato di cittadini e intellettuali animato dall’avvocato di Cividale Rino Battocletti che ha raccolto le adesioni, tra gli altri, del poeta Andrea Zanzotto, dell’urbanista Leonardo Benevolo, dello scrittore Giorgio Pressburger, dell’artista Renato Calligaro, dell’ex direttore artistico del Mittelfest Moni Ovadia... E di Altan, che ha disegnato la vignetta-manifesto del comitato contro l’abbattimento della ciminiera Italcementi: un simbolico azzeramento della memoria ripreso, messo su YouTube e trasformato dalla giunta in una festa notturna di dubbio gusto, genere catastrofico. La fase uno ora è terminata: l’Italcementi è stata completamente rasa al suolo. Ma manca ancora l’operatore immobiliare che, in tempi di crisi, s’imbarchi nell’avventura di costruire.
Perché le merci passano da Francoforte? di Ugo Arrigo *
isogna utilizzare l’esempio dell’aeroporto di Francoforte, il grande hub tedesco, per dimostrare in un solo colpo come sia sbagliata in Italia sia la politica della riforma burocratica sia quella delle grandi opere infrastrutturali. E’ infatti noto agli addetti ai lavori che l’aeroporto con più traffico cargo in arrivo e partenza dall’Italia è quello di Francoforte. Le ragioni di questa superiorità rispetto a Malpensa, infrastruttura molto più vicina al cuore delle nostre attività economiche, non erano tuttavia molto chiare neppure agli esperti sino a un recente convegno sul trasporto aereo all’Università Statale I carichi di Milano. Il rappresentante di Anama, che arrivano l’associazione degli spedizionieri di merin Italia ci aeree, ci ha spiegato l’arcano: signori, è non transitano la potenza della burocrazia! Riporto il suo da Malpensa: esempio. Immaginiasarebbero mo che una merce destinata a Pavia arricostretti vi per via area a Malpensa in un certo oraad affrontare rio: considerando che la burocrazia dole lungaggini ganale rilascia quella delle dogane merce 24 ore dopo, essa arriverà a Pavia italiane 26-27 ore dopo lo
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sbarco. Immaginiamo che una merce sempre destinata a Pavia arrivi invece a Francoforte allo stesso orario: qui i tempi della burocrazia sono di sole quattro ore; aggiungendo 15 ore di viaggio, tempo ragionevole per la meta finale, essa arriverà a Pavia dopo circa 20 ore, battendo nettamente, nonostante i 700 chilometri di viaggio, la sua consimile atterrata nell’aeroporto che è a soli 90 chilometri. Sarà consapevole il ministro Brunetta del fatto che la burocrazia italiana riesce persino a rendere competitivo l’aeroporto di Francoforte? Se consideriamo che per lui la causa degli insufficienti esiti della burocrazia è la scarsa voglia di lavorare dei dipendenti pubblici e si risolve con tornelli, emoticon e giuramento di fedeltà, temiamo davvero di no. Cosa succederà dopo che Brunetta sarà riuscito a far lavorare di più, a parità di norme, gli sfaticati doganieri di Malpensa? Che non ci metteranno solo 24 ore a rilasciare le merci in arrivo ma magari 36. Così, anche quelle che si ostinano ancora a passare da Malpensa si sposteranno definitivamente a Francoforte. Il problema vero non è quello degli impiegati pubblici ma dell’esistenza di apparati burocratici chiamati ad applicare regole e norme la cui ricaduta nessun ministro si è mai premurato di valutare. Ma l’esempio dell’aeroporto di Francoforte dimostra anche come sia sbagliata la politica attuale delle grandi opere: se a Malpensa aggiungiamo una terza pista, che è nei progetti del gestore, non siamo in grado di aumentarne la competitività sui traffici internazionali di merci se rimane invariata la burocrazia. Quando i doganieri di Malpensa faranno tutto in 4 ore, come i loro colleghi di Francoforte, allora arriveranno anche le merci e sarà più giustificato costruire anche la terza pista. Il destino delle grandi opere in Italia è quello di es-
sere o inutili, economicamente ingiustificate per scarsità di domanda, oppure, nei casi in cui la domanda è consistente, di essere vincolate a un sottoutilizzo da ostacoli normativi e burocratici. Due esempi per la prima categoria, la Tav ferroviaria e il Ponte sullo Stretto. Per la seconda: l’aeroporto di Linate e quello di Ciampino. L’Alta velocità ferroviaria non si giustifica sulle lunghe distanze: perché prendere il treno a 300 chilometri orari se prendere l’aereo a 800 chilometri orari ha costi al chilometro più bassi e anche prezzi più bassi, dopo che la liberalizzazione europea ha prodotto i vettori low cost? Perché prendere l’auto, attraversare la penisola e lo stupefacente (per idea architettonica e irrazionalità economica) Ponte sullo Stretto quando ci possiamo imbarcare su EasyJet a Malpensa o Ryanair a Orio e atterrare a Palermo o Catania dopo solo un’ora e mezza e avendo speso poco più (ma spesso anche meno) di un taxi su una tratta urbana? Gli aeroporti di Linate e Ciampino godono invece di un’elevata domanda. Linate era arrivato nel 1997 a superare i 14 milioni di passeggeri ma nel 2009 farà solo 8,3 milioni perché dal 2001 la sua capacità è stata vincolata, per aiutare inutilmente Alitalia a Malpensa, a un massimo di 18 movimenti orari (atterraggi e decolli) a fronte di una capacità tecnica di 32 movimenti, accertata dall’Unione europea. Anche Ciampino è divenuto un aeroporto di successo grazie ai traffici low cost, e da meno di un milione di passeggeri prima del 2003 è cresciuto a 5,3 milioni nel 2007. Così lo si vuole chiudere per costruirne uno tutto nuovo a Viterbo e aggiungere una pista a Fiumicino sui terreni di Maccarese. Questa è la politica dei trasporti e delle infrastrutture adottata negli ultimi 15 anni. *Università di Milano-Bicocca
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SECONDO TEMPO
MAIL Mio figlio, disabile, ignorato dallo Stato
Furio Colombo
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Mi meraviglio che la vicenda di Daniele, povero bimbo, susciti stupore. O forse è usata ad arte. Tempo fa scrissi alla redazione del Fatto per dire che nell’ultima Conferenza per i disabili, lo Stato ha comunicato il taglio dei fondi per questa parte d’Italia che andrebbe difesa con le unghie e con i denti... e pensare che è proprio dal rispetto e aiuto offerto ai più deboli che si vede la vera civiltà di un popolo. Nessuno mi rispose, scrissi anche ad altre redazioni, con lo stesso risultato, il nulla. Io come molti altri genitori, ho un bimbo di 14 mesi disabile, nato sano e quasi “ammazzato” (da chi non posso dirlo fino a sentenza) in sala parto. Anzi peggio, perché invece di una fine indegna, gli hanno dato una vita molto peggio che indegna, eppure i problemi che ha il piccolo e amatissimo Daniele, non sono diversi da quelli che hanno i nostri bimbi. Il risultato è sempre lo stesso: siamo ignorati, siamo un peso, un dolore immenso per chi ci guarda, per chi ci commisera, per chi ci legge e cestina tutta le nostre richieste, per chi non dà mai voce ai più deboli ma solo alle vicende dei più forti. Noi non facciamo notizia se non in qualche servizio da 30 secondi utile per la lacrimuccia che fa audience. Ma se vai in tv, allora, come diceva un tale, “esisti”. Peccato però che quando poi si spengono le telecamere resti tu, da solo, nella
BOX A DOMANDA RISPONDO LA FOLLIA DELLA COMMISSIONE BRUNETTA
aro Furio Colombo, ora il ministro della Funzione pubblica Brunetta, tramite lo scrupoloso Corriere della Sera (15 novembre) fa sapere che il giudizio universale cadrà sui reietti fannulloni da lui identificati come il cancro dell’opinione pubblica. Sanzioni da galera per i reietti, meriti riconosciuti sul campo per i valorosi (come si conquista merito ripetendo un’identica routine? Con la velocità dei timbri? Con il sorriso?). E arriva un carico di burocrati che hanno il potere e il diritto di giudicare altri burocrati. Che roba è? Che Italia è? Davide
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L’ANNUNCIO di Brunetta, infatti,
è così descritto a pag. 8 del Corriere citato dal lettore: “Nasce la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche. Definirà i modelli e le linee guida su obiettivi e risultati”. Sarà una commissione immensa, a stento si troverà un palazzo per ospitala, data la vastità della Pubblica amministrazione. I famosi settemila processi che giacciono in attesa sul tavolo dei pm, intasando la giustizia, di cui tanto si discute, saranno poca cosa a confronto con la “commissione”. Essa infatti deve valutare il “prima” (“le linee guida, i modelli”) di ciascun settore, di ciascun nucleo operativo, di ciascun impiegato (perché la mannaia cade sugli individui) e dovrà giudicare il “dopo”. Come lo farà? Con il sistema del controllo statistico (una pratica
LA VIGNETTA
su dieci, su cento, su mille)? Con il controllo di ciascun impiegato in ogni momento di lavoro? O con l’uso della “bocca della verità” in cui chi può imbuca le denunce? Ma sulle denunce si dovrà indagare. Se sono false? Se fossi l’opposizione (sto scherzando, sono l’opposizione, e proverò in tutti i modi a farla) mi concentrerei sul capitolo “verifica delle ricette mediche”, quelle che autorizzano i fannulloni a stare a casa o descrivono fatui congiunti disabili con sedia a rotelle a carico. Quattro anni di carcere per il medico che esagera. E poi radiazione dalla professione medica. D’ora in poi è molto più facile per il medico esposto a un simile pericolo degradare sintomi anche pericolosi a un lieve mal di testa e dichiarare il figlio disabile come uno che con la sua carrozzella può andare dove vuole e non c’è bisogno che il padre sottragga ore pagate dallo Stato per accudire sbrigativamente una o due volte al giorno. Se fossi l’opposizione farei notare che i medici chiamati a controllare le condizioni di Stefano Cucchi devono avere annusato l’aria. Se certifico tutte quelle lesioni sono in pericolo. Se non vedo niente sono a posto. Chi poteva immaginare che la sorella di Cucchi, un ignoto ragazzo tossicodipendente come tanti altri pestati, non avrebbe ceduto? Brunetta rivela una cultura di regime che merita “rivolta”. (Uso la parola nel senso usato da Pannella al congresso Radicale, appena pochi giorni fa). Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
spazzatura come “Mattino 5” o come i vari contenitori domenicali su Raiuno e Canale5 pieni di grida e insulti gratuiti verso tutto e tutti. Tutto ciò è sconsolante, mi sento un extraterrestre. Ho persino litigato con mia moglie perché non metta più Studio Aperto in mia presenza, esagero? Comunque non mollo, e non mollate neanche voi. Massimo Paglino
Gli studenti in Piazza picchiati davanti a me
tua stanza, a guardare tuo figlio e a piangere, perché è bellissimo anche se disteso in un letto. Adriano Kapelj
Da quando leggo il Fatto non mi accontento più Già da tempo mi informavo in Rete tramite Travaglio, Grillo, Sabina Guzzanti, tanto per rendere l’idea; cioè avevo già chiaro il concetto dell’informazione manipolata in tv e sui giornali.
Ma da quando sono vostro abbonato mi sono reso conto che giorno per giorno la mia formazione culturale si è ulteriormente estremizzata sui fatti reali di contro alle bugie che viaggiano in tv. Il risultato è che ormai a fatica riesco a parlare con la gente, con i colleghi di lavoro e con gli amici senza dover discutere animatamente; si perché mi rendo conto che ho a che fare con persone che loro malgrado formano la loro opinione guardando programmi
Scrivo oggi spinta da una gran rabbia che dev’essere sfogata in qualche modo. Da singola cittadina non è facile capire in che direzione è utile urlare il mio sdegno. L’argomento in questione è la completa impossibilità di far valere un minimo di buon senso, il caso scatenante è la manifestazione degli studenti svoltasi a Milano e i “tafferugli”. A mio parere non è stato dato il giusto peso alla notizia. Stamattina sono stati selvaggiamente picchiati ragazzi, studenti per la maggior parte minorenni, che manifestavano contro le riforme in atto formulate dalla Gelmini. A detta di molti studenti sconvolti dall’accaduto, la polizia, già in assetto antisommossa, era come impazzita. Le dichiarazioni della Gelmini giustificano l’accaduto perché i ra-
gazzi, secondo il ministro dell’Istruzione, in realtà non erano studenti ma partecipanti dei centri sociali. Ma che cosa stiamo dicendo? Un ragazzo non può essere picchiato in quel modo perché sta manifestando. Meno che mai perché un ministro sospetta a caso, senza neanche conoscere le persone presenti, che frequentino un centro sociale. In una foto quattro poliziotti picchiano un ragazzo solo che sta sdraiato a terra. Siamo tornati ai metodi selvaggi di Genova? Qui però c’è una differenza: sono stati malmenati perlopiù minorenni che manifestavano per la libertà di studio. Questo in un paese serio e civile dovrebbe essere un reato. Sono scandalizzata dal modo in cui la politica attuale continua a giustificare le peggiori ingiustizie. Ormai si può riassumere il progetto del governo in poche parole: volgarità, sesso, violenza e prevaricazione. Juanna Rosa
Ho vissuto il nazifascismo, oggi torno ad avere paura Ho 76 anni compiuti e tre fratelli fucilati dai nazisti. La mia infanzia l’ho vissuta nel terrore degli squadristi con i manganelli e l’olio di ricino. Nella paura dei bombardamenti. Oggi l’Italia torna a farmi paura. Ci mancava
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IL FATTO di ieri19 Novembre 1919 Chi, vagabondando per Parigi, tra le strade della Rive Gauche, si imbattesse, come Hemingway ai primi degli anni Venti, nella piccola libreria “Shakespeare & Company”, troverebbe ancor oggi quella magica atmosfera evocata in “The moveable feast”. Aria vagamente fanée, odore di scaffali polverosi zeppi di tutto, libri, foto ingiallite, giornali d’epoca. Al 37 di rue de la Boucherie, il tempo sembra essersi fermato a quel 19 novembre 1919, quando, in rue de l’Odéon, Sylvia Beach, timida americana di Princeton, approdata a Parigi tre anni prima e folgorata dall’eccitante milieu intellettuale della Ville Lumière, decise di dar vita, insieme con Adrienne Monnier, libraia parigina e futura compagna di vita, al suo mitico foyer letterario. Crocevia di quella “lost generation”di Gertrud Stein che vide affiancati giganti come Picasso, Fitzgerald, Benjamin, Cocteau, Joyce. Tutti legati da una miracolosa contemporaneità, calamitati dal fascino discreto di quell’angolo molto british e dalla sua volitiva proprietaria, prima editrice assoluta dell’“Ulisse” joyciano, capace di trasformare la sua bottega di libri in un luogo di culto. Paradiso di pellegrini letterari nel cuore di una città “ideale per vivere da geni”. Giovanna Gabrielli
L’abbonato del giorno LORENZO AMODIO Ci scrive Lorenzo, un ragazzo romano che si è abbonato al Fatto Quotidiano: “Ciao a tutti mi chiamo Lorenzo, sono nato a Roma, ho diciotto anni e frequento l’ultimo anno di liceo scientifico”. Lorenzo ci manda saluti e ringraziamenti per il giornale: “Finalmente, grazie a voi, sono riuscito a trovare una fonte di informazione attendibile e sicura in un’Italia malata. Grazie e continuate così”! Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
prova. Troppe cose sono diventate incomprensibili. Melania Brusa
Un commento alla rubrica di Giovanna Gabrielli Vi scrivo perché vorrei darvi la mia interpretazione su una traduzione apparsa nella rubrica “il Fatto di ieri” (del 14 novembre) a cura di Giovanna Gabrielli. Lo slogan del magnifico settimanale francese “le Canard enchainé” dice : “La liberté de la presse s’use-t-elle quand on s’en sert ou quand on ne s’en sert pas”. Mi permetto di suggerirvi questa traduzione: “La libertà di stampa non si consuma che quando non la si utilizza”. Ma tralasciando questa sottigliezza volevo aggiungere che mi fa molto piacere che di tanto in tanto citiate questo giornale indescrivibile. E complimenti per la rubrica “il Fatto di ieri”, che riporta spesso la mente ai tanti eventi che hanno segnato la storia e che è bello ricordare. Bello e importante. Vi auguro un cammino altrettanto lungo e illuminante. Grazie. Daniele
I nostri errori solo questo presidente, rifiutato dagli onesti, ma amato, servito, idolatrato dai furbi. La nuova legge sul processo breve bloccherà questo paese. Sapere che i mafiosi forse ricattavano Berlusconi mi fa orrore. Perché la gente non si ribella? Dio, non farmi ancora rivivere una parte della mia vita che desidero solo dimenticare. Lui e la sua corte non mi faranno rimpiangere la mia onestà. Mi sento umiliata e offesa dalla mia amata Italia, perché non mi sento più italiana. Quando sento che si insultano le persone che dissentono, dicendo che sono anti italiane, vorrei spiegare il dolore che si
L’articolo di sergio Luzzatto contro Josè Saramago, che ho commentato ieri a pagina 18, non è uscito sul Corriere della sera, ma sul Sole 24 ore. Marco Travaglio
A pagina 18 del Fatto di ieri la rubrica Il badante di Oliviero Beha è uscita con la testatina Battibecco, rubrica di Massimo Fini. Ce ne scusiamo con i lettori e con gli interessati.
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Giovedì 19 novembre 2009
Andrea Occhipinti Jean-Pierre e Luc Dardenne presentano
Renato De Maria costruisce un thriller forte di altissimo livello. Variety
Eccellente. Fa riflettere su una storia vera. La Prima Linea è un film magnifico, uno dei migliori nel suo genere. Hollywood Reporter
CON FABRIZIO RONGIONE DARIO AITA, MICHELE ALHAIQUE, JACOPO MARIA BICOCCHI, PIERO CARDANO, CLAUDIA COLI, FRANCESCA CUTTICA, MARCO IERMANÒ, ANITA KRAVOS, LUCIA MASCINO, CRISTINA PASINO, UMBERTO PETRANCA, UGO PIVA, MAURIZIO POMPELLA, GIORGIO SANGATI CON LA PARTECIPAZIONE DI DUCCIO CAMERINI E CON LINO GUANCIALE NEL RUOLO DI PIERO CASTING FRANCESCO VEDOVATI AIUTO REGISTA GIANLUCA MAZZELLA MONTAGGIO DEL SUONO MARC BASTIEN, MARTA BILLINGSLEY FONICO DI MIX THOMAS GAUDER SUONO MARIO IAQUONE COSTUMI NICOLETTA TARANTA SCENOGRAFIA IGOR GABRIEL, ALESSANDRA MURA OPERATORE BENOIT DERVAUX FOTOGRAFIA GIAN FILIPPO CORTICELLI MONTAGGIO MARCO SPOLETINI A.M.C. MUSICA MAX RICHTER ED. MUSICALI CAM DIRETTORE DI PRODUZIONE MICHELA ROSSI PRODUTTORE ESECUTIVO GIANLUCA ARCOPINTO, DELPHINE TOMSON PRODUTTORI ASSOCIATI STEFANO MASSENZI, CARL CLIFTON, JAN PACE, JAMES ATHERTON COPRODUTTORE ARLETTE ZYLBERBERG UNA PRODUZIONE LUCKY RED IN COPRODUZIONE CON LES FILMS DU FLEUVE E RTBF (TÉLÉVISION BELGE) IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA E CON SKY CON IL SOSTEGNO FILM COMMISSION TORINO PIEMONTE UNA COPRODUZIONE ITALIA BELGIO REALIZZATA CON IL SOSTEGNO DI EURIMAGES CON IL SOSTEGNO DELLA VALLONIA CON IL SOSTEGNO DEL CENTRE DU CINÉMA ET DE L’AUDIOVISUEL DE LA COMMUNAUTÉ FRANÇAISE DE BELGIQUE ET DES TÉLÉDISTRIBUTEURS WALLONS CON IL SOSTEGNO DEL TAX SHELTER DU GOUVERNEMENT FÉDÉRAL BELGE CON IL SOSTEGNO DI TAX SHELTER ING INVEST DE TAX SHELTER PRODUCTIONS, INVER INVEST LIBERAMENTE ISPIRATO AL LIBRO DI SERGIO SEGIO “MICCIA CORTA” EDIZIONI DERIVEAPPRODI SOGGETTO SANDRO PETRAGLIA, IVAN COTRONEO, FIDEL SIGNORILE, RENATO DE MARIA SCENEGGIATURA SANDRO PETRAGLIA, IVAN COTRONEO, FIDEL SIGNORILE REGIA RENATO DE MARIA PRODOTTO DA ANDREA OCCHIPINTI, JEAN-PIERRE E LUC DARDENNE VENDITE INTERNAZIONALI THE WORKS
DA DOMANI AL CINEMA