Il Fatto Quotidiano (24 Nnovembre 2009)

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I libici deportano 80 migranti intercettati in mare dalle autorità italiane. Il braccio di Tripoli, la mente di Roma

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Martedì 24 novembre 2009 – Anno 1 – n° 54 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

Quel grillino di Carlo Azeglio di Marco Travaglio

hiahiahi, signora Longari, dove andremo a finire. Ora lo dice anche un presidente emerito della Repubblica, già governatore della Banca d’Italia, senatore a vita, che Giorgio Napolitano dovrebbe o almeno potrebbe smettere di firmare leggi vergogna. Parla un signore che alcune le rispedì al mittente, come la Gasparri-1 sulle tv, l’ordinamento giudiziario Castelli e la Pecorella (che aboliva l’appello del pm, ma non dell’imputato). Ma altre, come il decreto salva-Rete4 che consentiva a Berlusconi di evitare lo spegnimento della sua tv abusiva (previsto dalla sentenza della Consulta del 2002) e fu firmato alla vigilia del Natale 2003 dallo stesso beneficiario, le promulgò. Ma anche per lui c’è un limite a tutto. Anche all’indecenza. “Io – premette nell’intervista a Repubblica – non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale”. Poi però li dà eccome: “Il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va, non si firma”. L’articolo 74 della Costituzione dice proprio così: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”. Non precisa che, per essere respinta, debba essere “manifestamente incostituzionale”, come invece sostiene l’attuale inquilino del Quirinale. Il 23 luglio 2008, quando in meno di 24 ore promulgò la legge Alfano varata in 25 giorni da Camera e Senato per regalare l’impunità al premier, il Colle emise uno stravagante comunicato: “Punto di riferimento per la decisione del Capo dello Stato è stata la sentenza n. 24 del 2004 con cui la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 140 del 20/6/2003 (il lodo Schifani, ndr) che prevedeva la sospensione dei processi che investissero le alte cariche dello Stato. A un primo esame, quale compete al capo dello Stato in questa fase, il ddl approvato il 27 giugno dal Consiglio dei ministri è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza”. Ora sappiamo che non era vero niente: la Consulta ha bocciato l’Alfano proprio richiamandosi alla sentenza che bocciava la Schifani e che non diceva ciò che le faceva dire il Quirinale. Diversamente dal Colle, se n’erano accorti fin da subito 100 giuristi di chiara fama e quattro presidenti emeriti della Consulta in un appello che definiva l’Alfano “manifestamente incostituzionale”; ma anche comici come Grillo, politici come Di Pietro, direttori di giornale come Flores d’Arcais e Padellaro. Quest’ultimo espresse “profondo disagio” sull’Unità, beccandosi le rampogne del Pd, del Riformatorio, del Pompiere della Sera e di tutti i tromboni del “non tirare la giacchetta al capo dello Stato”. Baggianate che son tornate a risuonare quando Il Fatto Quotidiano ha inviato al Quirinale le firme di 80 mila lettori sotto l’appello a non firmare la vergogna mafiosa dello scudo fiscale. Risultato: l’ufficio stampa del Quirinale ci inviò una letterina piccata (come vi siete permessi?). Intanto il capo dello Stato redarguiva un cittadino che osava domandargli perché firmasse tutto: “Tanto, se non firmo una legge, me la rimandano uguale”. Ora Ciampi, noto piromane, invita a “resistere”: “Non si deve usare come argomento che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura, per lanciare un segnale forte a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all’opinione pubblica”. Anche perché, se una legge resta incostituzionale anche in seconda lettura, il presidente può comunque rifiutare di promulgarla e dimettersi. La Costituzione è un po’ più importante di una poltrona.

A

MUORE METÀ DEI PROCESSI NAPOLITANO NON FIRMARE

Anche per Ciampi il Quirinale può “resis tere” L’allarme dell’Anm sulla legge ad personam: solo a Roma salterebbero novemila procedimenti. Ma il governo tira dritto per salvare Berlusconi. Udi Peter Gomez L’ultima parola spetta comunque al capo dello Stato che dice: userò i ALFANO Carlassare, Mascali, Vasile e Zanca pag. 2 e 3 z CHE DICE poteri che mi dà la Costituzione.

BUGIE CASO MARRAZZO x Riaperte le indagini sulla morte del pusher Cafasso

E se li avessero ammazzati tutti e due?

Di Giovacchino pag. 7 z

l ministro della Giustizia miIBerlusconi nacciato di sfratto da Silvio tre giorni fa in caso di mancata approvazione della legge che ammazza i suoi processi, comunica: “Nessuno è riuscito a rispondere alla domanda su come mai tutte le inchieste si sono concentrate su Berlusconi soltanto dal 1994”. pag. 4 z

Udi Marco Politi KENNEDY, LA CROCIATA CATTOLICA uno per educarne Cmasolpirne migliaia. Monsignor ThoTobin, vescovo di Rhode

Brenda e a sinistra, Gianguarino Cafasso (FOTO ANSA)

Island, deve aver pensato così quando ha negato la comunione a Patrick Kennedy, figlio di Ted. La sua colpa: essere pro choice, cioè favorevole alla legislazione che permette l’aborto. pag. 12 z

SIENA x Protesta durante un convegno organizzato da Nitto Palma

“SICUREZZA,BASTA BUGIE” RIVOLTA DEI SINDACI PD “Pensavamo fosse ncalcio scommesse qui per ascoltare Partite truccate i nostri problemi, arrestato il patron e non per un comizio” Calapà pag. 5 z del Potenza Massari pag. 14z

CATTIVERIE Rotondi dice che la pausa pranzo danneggia il lavoro. Lui, ministro di un programma che non c’è, di pause se ne intende

nmaledetta domenica Totti e Zamparini il più e il meno del pallone Beha pag. 15z

Patrizia D’Addario

Udi Silvia D’Onghia PATRIZIA E IL RESTO DEL MONDO l giorno dopo la pubblicaIQuotidiano zione, da parte de Il Fatto delle anticipazioni di libro di Patrizia D’Addario “Gradisca Presidente”, la stampa nazionale sembra non essersi accorta dell’accaduto. pag. 7 z


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Quindici mesi di conflitti istituzionali

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INGIUSTIZIA

l primo conflitto istituzionale della legislatura si verificò nell’estate del 2008 proprio sul Lodo Alfano. Ma il rapporto tra Berlusconi e Napolitano è stato caratterizzato da molti momenti di tensione o di veri e propri scontri. Nello scorso febbraio, il Capo dello Stato si rifiutò di firmare il decreto governativo fatto appositamente per “salvare” Eluana Englaro, che

obbligava alimentazione e idratazione per soggetti non autosufficienti. Altro intervento di Napolitano a luglio a proposito della legge sulle intercettazioni, definita irragionevole, incostituzionale, gravemente dannosa per le indagini, foriera di scontri con la stampa. Napolitano in questo caso, invece di rinviarla alle Camere, nel tentativo di evitare strappi tra le istituzioni, la ferma prima del suo ultimo

passaggio al Senato. Ottenendo da parte di Alfano la dichiarazione che la legge è modificabile. E anche in occasione del ddl sulla sicurezza, il presidente della Repubblica, pur promulgando la legge, esprime in una lettera a Berlusconi, Maroni e Alfano tutti i dubbi su un provvedimento contenente numerose norme tra loro eterogenee, alcune delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità.

NAPOLITANO RISPONDE A CIAMPI: USERÒ I MIEI POTERI Il Presidente emerito aveva chiesto di non firmare la legge sul processo breve di Vincenzo

Vasile

serò rigorosamente le prerogative presidenziali. Lo dice Napolitano ricevendo ieri sera Schifani. Ufficialmente il Quirinale non ne parla in giro. E Palazzo Madama dice che s’è fatto solamente un rapido cenno al processo breve e che l’incontro è stato positivo. Ma la frase attribuita al capo dello Stato vale sia per la suocera, sia per la nuora. Cioè serve per rivendicare i poteri bistrattati del Quirinale sulla giustizia, e anche per rispondere agli strattonamenti dei giorni scorsi sul voto anticipato. E pure per rispondere alle critiche di un predecessore del calibro di Ciampi. Corsi e ricorsi tormentano Giorgio Napolitano. Pronunciate da un ex presidente – come Carlo Azeglio Ciampi - che fu attaccato tra il 2003 e il 2004 proprio per aver firmato il lodo Schifani poi annullato dalla Consulta (come la firma in calce al lodo Alfano tante analoghe amarezze ha provocato all’attuale inquilino del Colle), le battute dell’ex capo

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Durante un incontro con Schifani risponde anche alle sollecitazioni sul voto

dello Stato, riportate ieri da Repubblica, fanno ancora più male. Ciampi ha detto, infatti, a proposito dell’ultimo provvedimento ad personam: “Non si promulghi quella legge”. Perché “se una legge non va non si firma” e “non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta il presidente è costretto poi a firmarla (…). La Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi”. Pari pari è il contrappunto alla battuta scambiata qualche settimana addietro con un manifestante a Matera da Napolitano, in uno sfogo. Così al Colle si sono apprestate le contromisure. E si è cercato di far sapere che questa versione accomodante e rassegnata del Napolitano-pensiero non risponde a verità. Al termine dell’incontro con Schifani (richiesto dal presidente del Senato) è proprio il Colle a far filtrare che userà con rigore quelle prerogative, e questa sembra una notizia rilevante. Mentre i chiarimenti di Schifani sulla sortita di tre giorni fa riguardo al voto anticipato, già rimangiata in seguito alla retromarcia di Berlusconi, fanno parte del solito balletto della maggioranza sull’orlo della crisi di nervi.

LEGITTIMI IMPEDIMENTI

di Carlo Tecce

Berlusconi Rockstar

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a rivista Rolling Stones ha dedicato la copertina a Berlusconi perché riesce a sopportare le luci della ribalta (e delle lampade solari) e si distingue per il suo stile di vita (e la D’Addario insegna). Il faccione disegnato da Shepard Fairey è perfetto per il lancio dell’evento: Silvio Berlusconi in concerto, nei migliori tribunali, pardon, nei palazzetti del mondo (arabo). Dal 18 gennaio. La “Rockstar dell’anno” sarà presto in tour con Sandro Bondi consulente per la scenografia, Roberto Calderoli addetto al montaggio, Angelino Alfano controllore alla biglietteria. Già suonata nei parcheggi abusivi di Napoli, al Billionaire e a villa Certosa, “Meglio ‘na canzone” di Mariano Apicella sarà un tormentone lunare: “Ammore, ammore mio, mon amour. Tenevo ‘a voglia pazza e te vedè, tenevo a voglia pazza e te vasà”.

re maggiore coesione e unità sulle “questioni vitali''. Ma molto, anzi moltissimo ne corre fino alla possibilità di una concreta risposta del Parlamento. Questo è un altro discorso, dicono le fonti del Quirinale, che fanno filtrare un amaro scetticismo. Proprio oggi approda, del resto, in commissione il ddl sul processo breve. Carlo Azeglio Ciampi Dal Colle si fa osservisto vare – a mezza bocda Emanuele Fucecchi ca, perché mai neanIn alto a destra: che in occasioni Giorgio Napolitano precedenti (leggi: punzecchiature di Cossiga) si è commentato le dichiarazioni dei precedenti inquilini che: 1) Il processo breve è un ddl parlamentare,

E Napolitano, irritato per essersi trovato tra due o più fuochi, nel merito batte e ribatte ieri mattina in un intervento ufficiale sul tasto del suo ricorrente auspicio di riforme condivise. Stavolta propone anzi un nuovo clima di unità tra politica e istituzioni. Devono “fare sistema”. E bisogna mostra-

e quindi non è sottoposto alla controfirma preventiva del capo dello Stato, a differenza delle proposte varate dal Consiglio dei ministri. Figuriamoci se a Napolitano hanno sottoposto in visione, poi, stavolta una sola riga in questa fase di rottura dei telefoni con palazzo Chigi. Perciò nessun giudizio a priori è possibile, ma gli uffici del Quirinale esamineranno via via ciò che eventualmente potrà emergere dal dibattito parlamentare. 2) Che questa discussione è imprevedibile e incasinata, non solo per la dialettica maggioranza – opposizione, ma per effetto delle terribili divisioni interne dall’una e dall’altra parte. 3) Che gli orientamenti che guidano il presidente, seppur nelle generali, sono stati anticipati da Napolitano nel suo messaggio all’associazione magistrati e nell’altro successivo ricolto agli avvocati. C’era scritto che si auspicano sulla giustizia riforme condivise. Ma anche si condannavano eventuali soluzioni frettolose. È possibile leggere in quelle parole un monito contro

ennesimi pasticci ad personam? Sembra essersene convinto in qualche modo anche Antonio Di Pietro, che aveva dato del vigliacco al Presidente, a proposito della firma sul lodo Alfano. Ieri ha annunciato: "Fumerei volentieri un calumet della pace con Napolitano (…). Sul lodo avevo ragione. Ma non bisogna fischiare l’arbitro, piuttosto i giocatori". L’arbitro non ritiene tuttavia che sia il caso, per ora, di scendere in campo con un “messaggio alle Camere”, più probabilmente userà una delle prossime occasioni pubbliche per dire la sua. Se ne parlerà, però, a metà dicembre, forse con l’incontro al Quirinale con le Alte cariche dello Stato. Cioè quando la vicenda del processo breve e dell’ennesimo tentativo di aggiustamento e violazione delle regole con criteri ad personam avrà avuto il suo approdo parlamentare. E chissà quante novità avranno sperimentato per quella data sia i giocatori, sia l’arbitro della difficile e velenosa partita che si sta giocando tra politica e istituzioni.

COSTITUZIONE E CAPO DELLO STATO

IL DIVIETO DI PROMULGAZIONE E I SUOI LIMITI di Lorenza Carlassare

Costituzione, all’art. 74, dice “Il presiLgareadente della Repubblica, prima di promulla legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge questa deve essere promulgata”. Negli ultimi tempi su questo potere si è discusso, ritenendo alcuni che il Capo dello Stato debba intervenire più di frequente e in modo più penetrante, ritenendo altri, viceversa, che nell’esercitarlo il Quirinale si faccia troppo sentire. La difficoltà della situazione attuale, caratterizzata dall’approvazione continua di atti legislativi di dubbia costituzionalità, è ben testimoniata dalla novità recente di una promulgazione, accompagnata però da rilievi sostanziali alla legge. Recentemente l’on. Berlusconi, fra le numerose idee di riforma, ha accennato anche a una ridefinizione dei rapporti fra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio. Immagino che la “ridefinizione” riguardasse anche l’art. 74 e la direzione è ben chiara. D’altra parte invece, oggi, in un’intervista a Repubblica, l’ex presidente Ciampi, indignato e scosso dal degrado crescente delle istituzioni e dal comportamento di chi le incarna, pur non volendo dare consigli a nessuno, sembra indurre a maggiore intransigenza nei confronti di leggi pericolose per il funzionamento dello Stato. Come deve muoversi il presidente della Repubblica nell’esercizio di questo potere? Il suo non è un compito facile, stretto fra la necessità di svolgere il ruolo di garanzia e la preoccupazione di non dar luogo a pretesti per denunciare intenti politici nei suoi dinieghi. Le istituzioni di garanzia sono essenziali

al funzionamento dello Stato di diritto: la Costituzione affida il controllo del rispetto delle regole e dei limiti a organi neutrali, presidente della Repubblica e Corte Costituzionale in primo luogo. Diversa è la loro funzione; assai più penetrante e decisivo è il controllo della Corte che può, dichiarando illegittima una legge, privarla di ogni efficacia . Al capo dello Stato che “rappresenta l’unità nazionale” (art. 87) sono affidati poteri molteplici, in parte legati a questa posizione anche simbolica e, più spesso, al suo ruolo di garanzia; mai tuttavia, poteri di ultima decisione. In una Repubblica parlamentare il presidente non ha, e non può avere, un ruolo politico. Il ruolo di garanzia è esercitabile soltanto da chi è in posizione imparziale altrimenti si inseriscono elementi di ambiguità che lo neutralizzano: la necessità di assumere decisioni politiche costringe “a prendere parte”. Le decisioni politiche perciò spettano ad altri: al Parlamento nella funzione legislativa, al Consiglio dei ministri nella funzione di governo. Purché nel rispetto della Costituzione. Perciò il controllo è essenziale e resta funzione puramente neutrale anche se, come tutti gli atti del presidente ha inevitabili riflessi politici dirigendosi a soggetti politici e incidendo su atti politici. Per questo, per non attribuirgli poteri di decisione definitiva e lasciare l’ultima parola al Parlamento, l’art. 74 consente soltanto al capo dello Stato il rinvio alle Camere per una nuova deliberazione, obbligandolo poi a promulgare. Se gli fosse dato un potere di veto assoluto avrebbe invece l’ultima parola e potrebbe bloccare ogni politica a lui sgradita. È dunque un controllo giuridico che per il presidente è doveroso esercitare; le ragioni per le quali la legge può essere “rinviata” riguardano solo la

legittimità costituzionale. Livio Paladin parlava anche di “merito costituzionale”, come contrarietà alla Costituzione pur in mancanza di puntuale contrasto. È un fatto accertato che nei messaggi presidenziali le motivazioni del rinvio sono sempre ampiamente e puntualmente argomentate. Eppure non sono mancate le polemiche. Ma è un potere che “pesa”? Di fronte a un Parlamento i cui “eletti” sono “nominati” da vertici cui debbono obbedienza e, grazie alla legge elettorale, la maggioranza ha assoluto dominio, è difficile pensare a modifiche sostanziali apportate dopo il rinvio. Un potere inutile? Certamente no, purché il popolo sovrano sia vigile e comprenda il segnale che parte dal Quirinale: un segnale forte che dovrebbe far riflettere gli elettori. Si discute se il diniego di promulgazione possa essere assoluto almeno in un’ipotesi, l’attentato alla Costituzione, il sovvertimento dei suoi principi fondamentali, immodificabili anche con il procedimento dell’art. 138. È un reato infatti, del quale lo stesso capo dello Stato, garante dell’integrità del sistema, è chiamato a rispondere (art. 90), perciò non potrebbe concorrere mettendo la sua firma. Un difficile coraggio, che solo un consenso ampio e forte potrebbe consentire.

Recentemente il capo dello Stato ha accompagnato la firma alle leggi con rilievi sostanziali


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Oggi in Commissione Giustizia in Senato arriva il ddl

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INGIUSTIZIA

eri il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro ha attaccato il processo breve durante la trasmissione di Lucia Annunziata, In mezz’ora, sostenendo che “non serve a nulla” e “non è compatibile con il principio di uguaglianza”. Ma che cosa prevede la legge che arriva oggi

in Commissione Giustizia al Senato? Se sarà approvato il processo breve, i dibattimenti dureranno 6 anni, 2 anni per il Primo grado, 2 per l’Appello, 2 per la Cassazione. Le nuove regole si applicheranno a tutti i processi che oggi si trovano in primo grado, ma non a quelli in appello e in Cassazione. Saranno esclusi i delitti di mafia e di

terrorismo e tutti quelli di grave allarme sociale, e in generale tutti i reati puniti fino ai 10 anni. Non varrà neanche per il reato di clandestinità. Potrà usufruirne soltanto chi è incensurato, mentre invece sarà escluso anche chi ha condanne di lieve entità. La legge è costruita su misura per salvare il premier dai processi Mills e Mediaset.

IN FUMO METÀ DEI PROCESSI L’Anm fornisce i numeri dei procedimenti che la nuova legge farebbe estinguere. A Roma sarebbero novemila

di Antonella Mascali

Associazione nazionale magistrati non ha i numeri “ per contraddirmi nel merito", a proposito dei procedimenti penali che verrebbero prescritti se il disegno di legge sul cosiddetto processo breve venisse approvato. Parola del Ministro Angelino Alfano, che invece è stato smentito, con dati autorevoli in quanto forniti dai presidenti dei Tribunali dei principali distretti giudiziari. A Roma, Torino e Bologna, in base alla proposta di legge, sono già estinti o stanno per estinguersi oltre il 50% dei procedimenti in dibattimento o in fase di udienza preliminare. A Il Fatto risulta che nella capitale moriranno per mano del centro-destra 9mila processi di primo grado su 13 mila. Una catastrofe giudiziaria.

L’

Va appena un po’ meno male a Firenze, Napoli, e Palermo, dove l'estinzione riguarderà una percentuale di procedimenti compresa tra il 20 e il 30%. Il Ministro la settimana scorsa aveva parlato appena dell’1% di procedimenti a rischio e l’Anm evidenzia la sua cifra irreale: “Sebbene si tratti dei primi dati comunicati dagli uffici giudiziari, sono calcolati su un campione particolarmente significativo e rappresentativo, perché provengono dai Tribunali delle grandi città. E smentiscono clamorosamente le rosee previsioni comunicate in Parlamento la settimana scorsa. Nei prossimi giorni potremo fornire dati più completi e confrontarci con gli altri protagonisti del processo, senza dimenticare le vittime del reato”. Alfano non ci sta: “Ma stiamo scherzando? Se non precisa bene i termini della questione credo che l'Anm sia incorsa in un clamoroso abbaglio: i procedimenti pendenti in Italia sono circa 3 milioni e 300 mila e il 50% fa oltre un milione e 600 mila”. A non precisa-

Alfano non ci sta: “Si tratta di un abbaglio”. Berlusconi: “Della giustizia parlerò con gli italiani”

re è in realtà il Ministro che parla genericamente di procedimenti senza specificare se si riferisce a quelli che rientrano nel ddl. Il sindacato delle toghe non ha fornito altri dati, per rispetto al Csm che oggi pomeriggio ascolterà le relazioni dei procuratori e dei presidenti dei Tribunali di Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria e Palermo, scelti come uffici-campione, in vista del parere sul disegno di legge, che esprimerà entro metà dicembre. Ciascuno di loro dirà non solo quanti, ma anche quali processi di primo grado rischiano l’estinzione, inoltre fornirà l’attuale numero di patteggiamenti e processi con il rito abbreviato, per calcolare quante richieste potrebbero diminuire. È chiaro che se un imputato ha la speranza di godere della prescrizione in base alla nuova legge, non concorderà una pena, in cambio di una riduzione. Con il risultato che i processi si ingolferanno ulteriormente e altri ancora saranno prescritti. Ma Alfano è preoccupato di garantire a ogni costo l’annullamento dei processi a Silvio Berlusconi. Ieri ha passato un pomeriggio contro tutti, attaccando anche il presidente emerito della Re-

Il Palazzo di Giustizia di Roma

pubblica, Carlo Azeglio Ciampi: “La proposta di legge- ha sostenuto Alfano- rimette al centro il cittadino in quanto consente di avere una risposta certa alla domanda di giustizia". Della giusti-

zia vuole parlare al popolo, Silvio Berlusconi. Dal Quatar ha fatto sapere che “ci sarà il momento opportuno per spiegare agli italiani qual è la situazione in cui siamo”.

CAUTELE

IL PD: TRA UN PRESIDENTE E UN EX PRESIDENTE NON METTERE IL DITO di Paola

Zanca

ra un presidente della RepubTpubblica blica e un presidente della Reemerito non mettere il dito”. A coniare il proverbio che racchiude il senso di un’intera giornata è Rosy Bindi. Lei, come tutto il Partito democratico, sulle parole di Carlo Azeglio Ciampi preferisce non sbilanciarsi. “Trovo l’intervista assolutamente apprezzabile e utilissima in questa fase politica – dice la neopresidente del Pd – Però non sta a me

dare consigli al presidente Napolitano, sa benissimo da solo quello che deve fare”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, nonostante i due punti di vista siano abbastanza inconciliabili. Da un lato Ciampi, che ricorda come “il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. (...) La Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi”. Dall’altro Napolitano, che più di una volta ha sostenuto che “nella

CERCHIOBOTTISMO

Costituzione c’è scritto che il presidente promulga le leggi. Se non firmo oggi il Parlamento rivota un’altra volta la stessa legge ed è scritto che a quel punto io sono obbligato a firmare. Non firmare non significa niente”. È in quest’ottica, sostiene il deputato Pd Cesare Damiano, che le scelte di Napolitano fino ad oggi sono state improntate al “rispetto del ruolo del Parlamento”: “Condivido il fatto che non possiamo continuare sulla strada delle leggi personali, di una legislatura cucita come un abito su misura delle esigenze del premier – di S.C. spiega Damiano – Ma mi pare che Napolitano abbia dimostrato equilibrio e capacità di interospite del territorio italiano: “È vento, ha esercitato doveroso prima ancora che necessario, i suoi poteri nell’amrichiedere a coloro che vivono fra noi, e bito della Costituzione. Quella di non sono ancora cittadini italiani, Ciampi è un’opiniol’adempimento di tutti i doveri che le ne autorevole, così leggi e la Costituzione prescrivono”, ha come è autorevole spiegato il numero tre dello Stato l’opinione di Napoparlando all’Università. “Si tratta di litano: non spetta a chiedere loro di coltivare quegli obblighi me – conclude – dadi rispetto e solidarietà cui essi stessi re indicazioni di hanno pieno diritto in quanto persona, comportamento”. Il presidente “saprà al di là di essere o meno cittadini”. valutare da solo” anAltrimenti si è in posizione attaccabile e che per Giuseppe non difendibile dai tanti stronzi di Civati, consigliere cittadinanza italiana. democratico in Lombardia, che pe-

NON FATE GLI STRONZI/2 hi vi giudica diversi è stronzo ma voi non fate gli stronzi; botta di cerchiobottismo fine, degno di un democristiano navigato, del presidente della Camera che trovandosi giù al nord, a Trieste, terra di confine - anche con il leghismo del Nordest - ha fatto appello indiretto agli immigrati da lui difesi la settimana scorsa dai razzisti di governo affinché non si mettano nella condizione di non poter essere difesi da eventuali stronzi e non finire dalla parte del torto. Prendendo posizione su diritti e doveri Gianfranco Fini ha ricordato gli obblighi costituzionali di qualsiasi

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rò si spinge a dire che obiettivamente “alcune cose sono inaccettabili”. Ed è di fronte a queste cose, aggiunge Civati, che “ser ve una reazione forte sia sul piano istituzionale, come quella rigorosa e condivisibile suggerita da Ciampi, sia su quello politico”. Pierluigi Castagnetti, eletto nelle liste del Pd alla Camera, riconosce la diversità del modus operandi dei due presidenti, ma non ne fa una questione di merito: “Anche se formalmente Napolitano non ha rinviato alle Camere nessuna legge, ha esercitato la sua moral suasion per cambiare molti provvedimenti. Certo, non è stato completamente appagato nei risultati, ma qualcosa ha ottenuto. Ogni presidente – sottolinea Castagnetti – fa i conti con la situazione storica e le condizioni politiche del momento ”. Insomma, il problema non sono le scelte di Napolitano, ma l’arroganza di questa maggioranza. “L’intervista di Ciampi – conclude Castagnetti – esprime il sacrosanto diritto all’indignazione di fronte al degrado della vita pubblica del nostro paese, ma credo che Napolitano abbia ben chiare le sue prerogative costituzionali”. Tranchant il giudizio della deputata democratica Ileana Argentin sulle parole di Ciampi: “Basta con la demagogia, Napolitano firma perché non può non firmare. Non può essere lui a sconfiggere la maggioranza”

LE PAROLE DI CIAMPI

“Al Quirinale spetta l’ultima firma. Se una legge non va si rinvia alle Camere” Per chi tiene alle Istituzioni oggi l’unica regola è quella del fai ciò che puoi, resisti” “Basta con le leggi ad personam. Le riforme si fanno per i cittadini non per i singoli”


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Martedì 24 novembre 2009

Così scrisse il gip archiviando la denuncia di B. contro il pool

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GIUSTIZIA

crive il gip bresciano Carlo Bianchetti, il 15 maggio 2001, nell’ordinanza in cui archivia la denuncia del Cavaliere contro il pool di Milano: “Contrariamente a quanto si desume dalla prospettazione del denunciante, le iniziative giudiziarie che il pool Mani pulite, in uno dei numerosi filoni di Tangentopoli, aveva rivolto verso il dott. Berlusconi e le sue aziende, avevano preceduto e non seguito la sua decisione di ‘scendere in

campo’. Al momento in cui egli aveva annunciato la volontà di partecipare alla competizione elettorale della primavera 1994 (26 gennaio 1994), la procura di Milano aveva già avviato svariati procedimenti per fatti concernenti lui e/o le sue aziende (...) compiendo, fra il 27 febbraio 1992 e il 20 luglio 1993, ben 25 accessi presso le diverse sedi Fininvest nonché presso Publitalia, al fine di eseguirvi perquisizioni, accertamenti, o per acquisirvi

documenti (…). Si può affermare conclusivamente che l’impegno politico del denunciante e le indagini ai suoi danni non si pongono tra loro in rapporto di causa ed effetto (…). La prosecuzione di indagini già iniziate e l’avvio di ulteriori indagini collegate, in nessun modo possono connotarsi come attività giudiziaria originata dalla volontà di sanzionare il sopravvenuto impegno politico dell’indagato, e a tal fine diretta”.

ALFANO CHE DICE LE BUGIE

Il ministro: “Nessuno ha mai spiegato perché le inchieste sul premier partono dal 1994”. Forse perché iniziano anni prima di Peter Gomez

e Marco Travaglio l ministro della Giustizia, Angelino Alfano, minacciato di sfratto da Silvio Berlusconi tre giorni fa in caso di mancata approvazione della legge che ammazza i suoi processi, comunica: “Nessuno è riuscito a rispondere alla domanda su come mai tutte le inchieste si sono concentrate su Berlusconi soltanto dal 1994 in poi, mai per fatti funzionali alla sua attività politica, ma per fatti che vanno dal 1994 a ritroso”. Caro ministro, le rispondiamo noi. Primo: le inchieste su Berlusconi e le sue aziende sono iniziate ben prima del ‘94. Secondo: i processi attualmente in corso per la corruzione di Mills e per i fondi neri Mediaset riguardano reati successivi al ‘94 a ritroso, dunque nemmeno volendo i magistrati avrebbero potuto scoprirli e perseguirli prima che fossero commessi. Piccolo promemoria, a beneficio del cosiddetto Guardasigilli. 1979, 12 novembre. Massimo Maria Berruti, maggiore della Guardia di finanza, guida un’ispezione all’Edilnord Centri Residenziali e interroga Silvio Berlusconi su presunte irregolarità tributarie. Berlusconi, mentendo, sostiene di essere un “semplice consulente” Edilnord per la “progettazione e della direzione generale di Milano 2”. Invece è il proprietario della società. Berruti si beve tutto, e chiude e chiude l’ispezione. Nel 1980 si congeda e poi diventa un consulente Fininvest. 1983. La Guardia di Finanza di Milano mette sotto controllo i telefoni di Berlusconi per un presunto traffico di droga. L’indagine sarà poi archiviata. 1984, 24 maggio.Il vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, Renato Squillante, interroga

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Berlusconi, assistito dall’avvocato Previti e imputato “ai sensi dell'articolo 1 della legge 15/12/69 n. 932” (interruzione di pubblico servizio) per antenne abusive sul Monte Cavo che interferiscono con le frequenze radio della Protezione civile e dell'aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un centinaio. Ma Berlusconi nel 1985 è subito archiviato, gli altri nel ‘92: non potevano sapere che Squillante, Fininvest e Previti avevano conti comunicanti in Svizzera. 1984,16 ottobre. Tre pretori sequestrano gli impianti che consentono a Canale5, Italia 1 e Rete4 di trasmettere in contemporanea in tutt’Italia in spregio alla legge. Craxi interviene con due “decreti Berlusconi”. 1988, 27 settembre. Berlusconi viene sentito dal pretore di Silvio Berlusconi (FOTO ANSA)

Nel giugno ‘92 si parla di una tangente da 150 milioni da parte del gruppo Fininvest alla Dc Verona come parte offesa in un processo per diffamazione contro due giornalisti: “Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla P2, ricordo comunque che è di poco anteriore allo scandalo. Mai pagato la quota di iscrizione”. Doppia bugia: si iscrisse nel 1978 (lo scandalo è del 1981) e pagò la quota. La Corte d’appello di Venezia spiega che è colpevole di falsa testimonianza, ma che il reato è co-

perto dall’amnistia del 1990. 1992, 4 maggio. Il pm Antonio Di Pietro firma un decreto di “acquisizione di documenti” sugli appalti della Coge di Parma, partecipata da Paolo Berlusconi. Il fascicolo è il 6380/91 su Mario Chiesa che il 17 febbraio ha dato il via a Mani Pulite. In Tangentopoli la famiglia Berlusconi entra subito. 1992, 21 maggio. Paolo Borsellino parla a due cronisti francesi di un’indagine in corso sui rapporti fra il boss Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. 1992, 9 giugno. I giornali svelano che il dc Maurizio Prada accusa la Fininvest di una tangente da 150 milioni alla Dc. Fininvest “smentisce categoricamente”: solo sconti sugli spot. Anche il dc Gianstefano Frigerio parla di 150 milioni dati da Paolo Berlusconi per la discarica di Cerro. 1992, 15 settembre. Augusto Rezzonico, ex presidente delle Ferrovie Nord, racconta ai pm che in febbraio Dc e Psi hanno

inserito nella legge sul codice della strada un emendamento per favorire la “Fininvest, unica depositaria del know how tecnico necessario” per il sistema di segnalazione elettronico “Auxilium” per le autostrade, “un business da 1.000 miliardi”. Poi aggiunge che il manager del gruppo Sergio Roncucci “ringraziò per l’emendamento e mi confermò l’impegno della Fininvest a contribuzioni alla Dc per il piacere ricevuto”. 1992, dicembre. Paolo Berlusconi indagato a Roma: avrebbe venduto immobili Edilnord a enti previdenziali a prezzi gonfiati in cambio di mazzette all’Ufficio tecnico erariale. Pagamenti per cui sarà poi considerato vittima di concussione. 1993, 15 gennaio. Paolo Berlusconi rinviato a giudizio con 34 persone i finanziamenti illeciti ai partiti legati alle discariche. 1993, 8 aprile. Gianni Letta, interrogato da Di Pietro, ammette di aver finanziato illegalmente

con 70 milioni il segretario Psdi Antonio Cariglia: “La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”. Lo salva l’amnistia del 1990. 1993, 18 maggio. Arrestato per corruzione Davide Giacalone,consulente del ministro delle Poste Oscar Mammì per la legge sulle tv, e poi consulente Fininvest per 600 milioni. Verrà assolto e in parte prescritto. 1993, 18 giugno. Arrestato Aldo Brancher, assistente di Fedele Confalonieri, per 300 milioni dati al Psi e 300 a Giovanni Marone, segretario del ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, in cambio di spot anti-Aids sulle reti Fininvest. Resterà tre mesi a San Vittore senz’aprire bocca. Poi diventerà deputato e viceministro. 1993, 23 giugno. Confalonieri e Brancher indagati a Milano per 300 milioni al Psi. I due usciranno indenni dall’inchiesta. 1993, settembre. La Procura di Torino indaga su un giro di false fatture nelle sponsorizzazioni sportive, che porterà al coinvolgimento di Publitalia e nel ‘95 all’arresto e alla condanna di Dell’Utri. Anche a Milano si scoprono fondi neri di Publitalia. Dell’Utri patteggerà la pena 1993, 29 ottobre. Il pm romano Maria Cordova, che indaga su tangenti al ministero delle Poste, chiede al gip Augusta Iannini (moglie di Bruno Vespa) l’arresto di De Benedetti, Galliani e Letta. Ma la Iannini arresta solo De Benedetti e si spoglia delle altre due posizioni perché relative a amici di famiglia. I due, poi assolti, restano a piede libero. 1993, 25 novembre. Craxi trasmette un memoriale ai pm: “Gruppi economici (…) hanno certamente finanziato o agevolato i partiti politici e, anche personalmente, esponenti della classe politica. Da Fiat a Olivetti, da Montedison a Fininvest”.

1993, 4 dicembre. La Procura di Torino raccoglie le confessioni del presidente del Torino Calcio, Gianmauro Borsano, deputato Psi, travolto da un crac finanziario. Borsano dice che nel marzo ‘92 il vicepresidente del Milan, Galliani, gli versò 18 miliardi e mezzo più 10 miliardi in nero per il calciatore Lentini. La Procura trasmette il fascicolo a Milano per falso in bilancio e il 22 febbraio ‘94 ascolta Borsano e altri protagonisti. Il pool mette così il naso nei conti esteri Fininvest. 1993, 14 dicembre. Arrestati a Torino il sindaco Pds e quattro assessori di Grugliasco per tangenti sul megacentro commerciale Le Gru, costruito dalle coop rosse e gestito dalla francese Trema e da Standa (Fininvest). La Procura indaga Brancher (poi archiviato) e convoca come teste Berlusconi, che si presenterà solo il 19 aprile ‘94, dopo aver vinto le elezioni. 1993, dicembre. Salvatore Cancemi, primo boss pentito della Cupola,comincia a parlare al pm di Caltanissetta Ilda Boccassini dei rapporti fra Berlusconi, Dell’Utri, mafia e stragi. 1993, 20 dicembre. Il procuratore Borrelli dice al Corriere: “Sappiamo che certe coincidenze possono provocare sconquassi, ma che possiamo farci? Quelli che si vogliono candidare si guardino dentro. Se sono puliti, vadano avanti tranquilli. Ma chi sa di avere scheletri nell’armadio, vergogne del passato, apra l’armadio e si tiri da parte prima che arriviamo noi”. 1994, 26 gennaio. Silvio Berlusconi annuncia in tv, con un videomessaggio, il suo ingresso in politica perché “questo è il paese che amo”. In privato, confida a Montanelli e a Biagi: “Se non entro in politica, finisco in galera e fallisco per debiti”.

Il No B. Day degli italiani all’estero: “se siamo fuggiti è anche per lui” INTANTO IL PD RISPONDE CON CON UNA CONTRO-MOBILITAZIONE IN 1000 PIAZZE “PER PARLARE DI PROBLEMI CONCRETI” di Federico Mello

nche il Pd sarà in piazza. Ma non il 5 dicembre per il No B. Day Anuovi “che serve solo a convincere chi è già convinto, senza portare consensi”. Il Pd lo ripete da giorni: “Noi ci occupiamo di tutti i problemi degli italiani”. Ecco quindi la mobilitazione democratica: “1.000 piazze per l’alternativa” l’11 e il 12 dicembre. Si parlerà di lavoro, di imprese e piccoli studi professionali “che soffrono”, di sanità, e di giustizia: “I problemi vanno risolti” ma “non è possibile parlare di giustizia con un ricatto sul tavolo”. Il tutto si concluderà a Milano il 14, con un incontro di un “migliaio di amministratori locali”. Quella del Pd appare come una mossa per uscire dall’angolo: una settimana prima delle Mille Piazze, infatti, si svolgerà l’ormai arcinoto No B. Day che intanto incassa anche il no di Chiamparino, sindaco di Torino e big del Partito democratico: “Non ci andrò perché non sono convinto che sia quella la strada per rendere credibile l’alternativa a Berlusconi”. Dal No B. Day non rispondono. Sulla pagina Facebook, piuttosto, pubblicano le foto dei volantinaggi di sabato scorso: i banchetti sono comparsi in mezza Italia, e a Roma, a Trastevere, un’onda viola ha girato per i vicoli: alcuni indossavano la maschera di “V per vendetta”, il film cult nel quale il popolo si

ribella a una futuribile dittatura. Per il No B. Day, numerosi anche i gruppi mobilitati all’estero. Per ora sono previste iniziative a New York, a Londra, Vienna, Barcellona, Lisbona, Montreal, Parigi, Copenaghen, San Francisco, Praga, Sarajevo, Istanbul, Auckland, Dublino, Berlino, Toronto e “ne dimentico una decina” ci dice un’organizzatore. A New York il comitato promotore è gestito da Alain, trent’anni “non è stato difficile organizzarci – ci dice – perché qua tutti gli emigranti sono cervelli in fuga ed è impossibile trovare qualcuno che elogia il governo”. Alain, a vent’anni, ha votato Berlusconi “perché guardavo la sua tv. Mi convinse anche il giornalino che era arrivato a casa (il famoso “Una storia Italiana”, ndr). Berlusconi parlava con parole di speranza, sembrava un salvatore, mi son lasciato convincere. Ora mi sto dando da fare perché ho capito quello che è davvero: il peggio della politica e della società italiana infiocchettato in un pacco regalo”. Antonio Paolo Russo, invece, ha 40 anni, ed è un docente universitario responsabile del No B. Day Barcellona. “Sono presidente dell’associazione Altra Italia – dice – abbiamo già fatto le ‘primarie della felicità’ per capire i motivi della nostra fuga dall’Italia: ne è emerso che molti non sopportavano l’informazione distorta, la mancanza di mobilità sociale. Berlusconi rappresenta tutto questo”. A Londra, infine, c’è Tiziana, mamma di tre bambine e sposata

con un inglese. É la responsabile del No B. Day Londra “Lo dobbiamo fare: da voi la democrazia sta scomparendo perché non c’è più legalità. Il 5 dicembre saremo davanti al consolato: sul palco ci saranno blogger, intellettuali e giornalisti. Siamo andati via, ma sentiamo le grida di chi ci chiede aiuto dall’Italia”.

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OLTRE 43MILA ADESIONI Sono arrivati a quota 43681 i lettori che hanno aderito all’appello “Adesso basta” contro le leggi ad personam lanciato dal nostro giornale. Continuate a sottoscrivere.


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Martedì 24 novembre 2009

Migranti rimpatriati: la preoccupazione dell’Unhcr

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POLEMICHE

ttanta persone, eritree e somale, sono state riportare ieri in Libia da due motovedette nordafricane che le hanno intercettate a circa 50 miglia a sud di Lampedusa, dopo una segnalazione da parte delle autorità italiane. Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, si è detta “preoccupata” per la loro sorte. “Queste

NITTO PALMA PARLA I SINDACI VANNO VIA

persone, con molta probabilità richiedenti asilo, sono state trasferite in un centro di detenzione e non si sa per quanto tempo saranno costrette a rimanervi”. Secondo la Boldrini l’imbarcazione “sarebbe stata raggiunta direttamente dalle unità libiche, nonostante si trovasse al largo di Lampedusa, in acque di soccorso maltesi. Da quanto ci risulta – ha spiegato la portavoce

dell’Unhcr – è la prima volta che viene messa in atto una tale modalità. Vale a dire che sembrano ridursi ulteriormente le garanzie che dovrebbero consentire ai rifugiati diretti in Europa di avere accesso alla protezione”. Oggi intanto si recherà a Ragusa Paolo Artini, responsabile della sezione “protezione” dell’Unhcr, per verificare le condizioni dei richiedenti asilo giunti a Pozzallo sabato scorso.

N

Tragedia a Pisa

PROCESSO PARMALAT

CADE AEREO MILITARE SONO CINQUE I MORTI

PROTESTA NEL SENESE PER LE PAROLE DEL SOTTOSEGRETARIO SUL GOVERNO di Giampiero Calapà

arla Francesco Nitto Palma, l’ex magistrato ora sottosegretario all’Interno. Il suo intervento all’appuntamento senese di Governoincontra (lo show itinerante pro-berlusconismo messo in piedi dal ministro Gianfranco Rotondi) è incentrato sui “successi dell’attuale esecutivo in tema di sicurezza e del respingimento degli immigrati”. Quindi scatta il dissenso e la protesta dei sindaci presenti in teatro, in 20 si so-

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“Pensavamo fosse qui per ascoltare i nostri problemi e non per promuovere una linea tutta berlusconiana”

no tolti la fascia lasciando la sala. Jacopo Armini, 33 anni, primo cittadino di Monteroni d’Arbia, 8000 abitanti, è tra i primi a togliersi la fascia e guadagnare l’uscita. È indignato: “Nel mio comune c’è un’azienda agricola sequestrata alla mafia: 700 ettari, vale 25 milioni di euro, mi aspettavo di poter parlare di questo, del fatto che il governo vuole metterla all’asta, ridando la possibilità di comprarla alla criminalità organizzata, quando noi saremmo disponibili a farcene carico insieme con la provincia e la regione Toscana. È una vergogna. Noi eravamo qui con le migliori intenzioni e speravamo che il governo volesse parlare dei problemi di quel territorio reale di cui si riempie la bocca. Ma non ne hanno nessuna intenzione di rispondere sul patto di stabilità, sull’ici e su nient’altro. Pensavano di venire qui a Siena e fare un comizio che forse poteva avere qualche successo davanti a due o tre camicie verdi di Varese”.

Il sindaco di Siena, Maurizio Cenni, al tavolo dei relatori, introducendo il convegno aveva posto anche un altro quesito estremamente importante: la situazione dell’Ateneo senese, una prestigiosa università sull’orlo del fallimento, che attende l’autorizzazione del governo a ricevere un prestito dal Monte dei Paschi per poter continuare a sopravvivere. Anche questa domanda è rimasta senza risposta, come spiega Luca Ceccobeo, sindaco di Chiusi, 9000 abitanti: “Noi ci siamo presentati con uno spirito volto alla massima correttezza istituzionale e alla disponibilità nei confronti degli interlocutori del governo. Non erano interlocutori, ma soltanto comizianti, senza alcun senso di rispetto delle istituzioni che rappresentano. Il sottosegretario Palma si è abbandonato alla pura propaganda in un ignobile crescendo di esaltazione dell’azione governativa sull’immigrazione. Siamo rimasti a bocca aperta, perché finito il comizio si è alzato per andarsene via. A quel punto lo

Un C130 è caduto nei pressi dell’aeroporto Galileo Galilei di Pisa. A bordo c’erano cinque militari della 46esima Brigata dell’Aeronautica impegnata in un volo di addestramento: due piloti e tre operatori di bordo. Sono tutti morti.

abbiamo anticipato togliendo il disturbo noi, oltre alle fasce tricolori. Se ritorneranno saremo come sempre disponibili al dialogo e a parlare di problemi veri, come i treni dei pendolari, le misure necessarie per i distretti industriali in crisi e l’autostrada dei due mari, solo per dirne alcuni”. Francesco Nitto Palma è un nome che evoca “impunità”. Già, forse qualcuno lo avrà dimenticato, ma quanto sta provando a fare solo adesso Margherita Boniver, l’ex magistrato aveva già tentato di farlo nel 2003, depositando alla Came-

ra un testo che riproponeva l’immunità parlamentare. “Se oggi un processo dura dodici o tredici anni, sarà un dramma attenderne altri due o tre?”. Lo chiedeva Nitto Palma all’epoca, ancora inconsapevole del tentativo dichiarato di creare il processo breve o meglio processo morto, di un futuro governo di cui avrebbe fatto parte. Nella scalata di Nitto Palma al successo politico fondamentali le tappe nelle commissioni farlocche su Telekom-Serbia e sulla tragica vicenda della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

SE IL SENATO DICE SÌ, QUESTA VOLTA LA MAFIA SORRIDE Con l’emendamento sulla vendita all’asta dei beni confiscati, i boss sarebbero in grado di riprendere tutti i loro beni di Nando Dalla Chiesa

anno sempre chiesto tre cose. La fine del carcere Hdi giustizia, duro, l’affossamento della legge sui collaboratori la riduzione a burla della confisca dei beni. A ogni interlocutore politico, da quindici anni, i mafiosi hanno presentato questo menu. E il potere vero, quello che mescola ribalta e penombra, non ha

LE MISSIVE DI BONDI

Lo scrivano di Fivizzano

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ome forse qualcuno sospetta, Sandro Bondi è il ministro dei Beni culturali, attività che non deve assorbirlo intensamente visto che gran parte del suo tempo lo trascorre vergando ponderose missive. Prendiamo una giornata tipo del ministro. Si occuperà per caso dell’Archivio Vasari che sta per esserci scippato dagli amici dell’amico Putin? No, il ministro sta scrivendo non una bensì due lettere. Una a Roberto Saviano, tutta zuccherosa e intessuta di lodi sul “suo impegno civile e culturale” e “sulla sua tempra morale”, eccetera. Mentre il Bondi uno umetta dolcemente il francobollo, il Bondi due ricopre d’improperi Eugenio Scalfari, reo d’aver definito come una cerchia di servi senza arte né parte, indovinate chi? Le Poste che gli dovevano dare.

mai detto no evangelici. Ha biascicato, talora consigliato. Ha messo la faccia feroce solo sul carcere duro, tanto ci hanno pensato i giudici di sorveglianza e i professionisti dell’ingiustizia clandestina a farne polpette. Sulla confisca è stata lotta strisciante. Si tratta di un meccanismo che fa letteralmente impazzire mafia, camorra e ‘ndrangheta . Basta non sapere dimostrare l’origine lecita dei beni perché possa scattare l’iter del provvedimento. Pio La Torre, che inventò la legge, venne ucciso per avere osato tanto. E nemmeno dopo la sua morte la legge (firmata anche da Virginio Rognoni) passò. Ci volle la morte del prefetto Dalla Chiesa, anche lui fautore convinto di quella misura, perché la legge venisse finalmente approvata. Per essere attuata con difficoltà, tra mille ritardi, inerzie, ostacoli burocratici. Ma attuata. Con i boss che vedevano svanire come in un incubo i frutti dei loro crimini. Fatto l’impero a prezzo di sangue (magari di famiglia), l’impero poteva sparire d’incanto per decisione di magistrati che guadagnavano meno di un killer. Il secondo affronto giunse con la legge approvata nel ’96, forte del milione di firme raccolte da Libera di don Ciotti in tutta Italia. I beni confiscati potevano addirittura essere destinati a usi sociali, dati in gestione a quei giovani straccioni senza lavoro che si erano schierati negli anni dalla parte dell’antimafia. Per questo la mafia insorse. Intimidì, cercò di isolare le cooperative. Per i primi lavori di trebbiatura ci vollero le precettazioni prefettizie dei tecnici e il presidio dei carabinieri. Quando vide che la volontà di questi “abusivi” non era facilmente domabile, la mafia fece sentire il suo fiato nelle stanze del potere e alitò in sintonia con le secolari pigrizie delle burocrazie. Lottò vittoriosamente contro

l’idea di una specifica agenzia che potesse occuparsi in modo rapido ed efficiente di assegnare i beni confiscati. E proseguì le intimidazioni: il taglio delle viti, gli incendi, i vandalismi. E perfino l’occupazione manu militari dei terreni confiscati. Insomma, una partita dura, un vero braccio di ferro tra l’Italia della legalità e l’Italia del sopruso e delle criminalità. Pochi giorni fa, per chissà quali percorsi, qualcuno ha deciso che in questo braccio di ferro il Parlamento ci dovesse mettere, come dicono in Sicilia, “la sua mano d’aiuto” per indebolire l’Italia della legalità. Un bell’emendamento in Finanziaria, al Senato. Per mandare i beni dei mafiosi all’asta. Per fare cassa subito, accidenti, non lo vedete in che situazione siamo? Certo che si vede, anche troppo. Perché chiunque abbia coscienza limpida capisce che si tratta di un incalcolabile favore. La mafia si presenterà alle aste con i suoi mediatori o prestanome. Lei con la sua immensa liquidità da crimine, a cui nessuno può tenere testa. Intimidirà eventuali concorrenti e organizzerà delle finte competizioni, come le organizzavano (senza kalashnikov a disposizione) gli imprenditori di Tangentopoli. E si riprenderà il maltolto con un ghigno di trionfo, lo stesso con cui brindava dal carcere (non duro) all’assassinio dei suoi nemici. Lo Stato incasserà in moneta sporca quello che perderà rinunciando a trasformare in scuole o pensionati studenteschi una parte degli immobili confiscati. Se alla Camera esiste un’Italia della legalità che ricorda la storia dei suoi eroi e le proprie più solenni promesse, cancelli questa vergogna.

La strategia sarà di intimidire eventuali concorrenti e organizzare finte competizioni

Tanzi balbetta in aula: rinviato

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stato interrotto ieri il processo dove è coinvolto Calisto Tanzi a causa della forte balbuzia. L’udienza è stata rinviata a lunedì prossimo. “Data la difficoltà espressiva dell’imputato, l’attività istruttoria ne risulta complicata” spiega il pm. “È dal 2003 che mi succede”, dice l’ex proprietario di Parmalat.

RAI TRE

Pronto Di Bella per la direzione

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omani alle ore 15, il Consiglio di amministrazione della Rai dovrà eleggere il sostituto di Paolo Ruffini alla direzione di Raitre. La nomina è all’ordine del giorno dopo settimane di annunci. Il successore, salvo sorprese, sarà l’ex direttore del Tg3, Antonio Di Bella.

CASO CUCCHI

Nuove lesioni e traumi “recenti”

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esioni al cranio e alla mandibola “mai viste prima”. E’ iniziato ieri mattina, e ha subito portato nuovi risultati, l’esame medico legale sul corpo di Stefano Cucchi, riesumato la scorsa settimana. “Traumi recentissimi”, secondo il legale della famiglia, Fabio Anselmi, “anche se per conoscere le cause della morte bisognerà attendere qualche giorno”.

PROPOSTE

Rotondi: abolire la pausa pranzo

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a buon nordico di Avellino, il ministro per l’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi ha lanciato la sua nuova idea produttiva: abolire la pausa pranzo. “È un danno per il lavoro e un’anomalia per la giornata”, ha sentenziato, precisando però di non avere proposte di legge al riguardo. “È solo un consiglio”.


Martedì 24 novembre 2009

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Fine vita: riprende la discussione, dai radicali 2400 emendamenti

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POLITICA

a Commissione Affari sociali della Camera riprenderà a parlare di testamento biologico probabilmente la prima settimana di dicembre. Il numero degli emendamenti presentati dalle forze politiche su questo tema che ha diviso il Senato e il paese negli ultimi giorni della giovane Englaro è molto alto. Solo dal Pd ne sono arrivati 120 mentre quelli del

Pdl sono circa una trentina. I radicali, poi, ne hanno presentati 2400. Sia la maggioranza sia l’opposizione hanno presentato proposte di modifica sul contestato articolo della legge Calabrò che riguarda l’imposizione della nutrizione ai malati privi di coscienza. Così com’è uscita dal Senato, infatti, la legge rischia di essere in contrasto con l’articolo 32 che vieta l’imposizione

di un trattamento sanitario contro la volontà del paziente, e dunque è necessario trovare una mediazione politica che assicuri l’assistenza e la nutrizione per i malati senza incorrere nell’accanimento terapeutico. La legge potrebbe arrivare in aula prima di Natale, ma per l’approvazione definitiva si dovrà aspettare almeno la fine di gennaio. (S.N.)

SE CICCHITTO E FISICHELLA FANNO COMUNELLA Testamento biologico: il capogruppo e il monsignore lavorano assieme sulla legge di Sara

Nicoli

allarme lo ha lanciato Alessandra Mussolini, scoperchiando di fatto una pentola da giorni in continua ebollizione: “Mi auguro che Fini – l’ha buttata lì l’ex aennina – riesca a creare un coinvolgimento condiviso, in un grande partito come il Pdl, su temi come il biotestamento”. Nel Pdl da tempo questa legge viene chiamata gergalmente “la miccia”. Ovvero quel tema che potrebbe sancire in modo eclatante la definitiva rottura tra Fini e il resto della maggioranza. E se questo non può che preoccupare profondamente i colonnelli del Pdl vicini al Capo, di certo tiene con il fiato sospeso anche le altre gerarchie vaticane. C’è molto di più, infatti, dietro l’appello con cui domenica il cardinal Bertone è tornato a chiedere un “disarmo della politica”, la fine della “contrapposizione sistematica” e degli “atteggiamenti di odio”. Non ce l’aveva, il segretario di Stato Vaticano, con la politica in genere, casomai con la sempre più dura contrapposizione tra maggioranza e opposizione. Ce l’aveva soprattutto con il presidente della Camera, le cui ultime professioni di fede sulla laicità del-

L’

lo Stato, ribadite anche nel suo libro, hanno infastidito la Curia e la Cei. Nelle ultime settimane i contatti tra Oltretevere e Palazzo Chigi si sono ulteriormente intensificati. Più volte Gianni Letta è stato sollecitato sia da Bertone sia da Bagnasco a fornire valutazioni politiche sul comportamento del presidente della Camera in merito alla tenuta della maggioranza. E Letta, che è sempre prudentissimo nel dare opinioni personali, avrebbe tuttavia palesato la propria preoccupazione per non essere in grado di anticipare – e in alcuni casi prevenire – le mosse di Fini. I veri timori di Santa Romana Chiesa, tuttavia, si annidano tutti su un fronte, quello del biotestamento. Si teme che una pattuglia di uomini fedeli al presidente Fini ribalti il volere della maggioranza (che intenderebbe blindare il testo) soprattutto sul fronte dell’alimentazione forzata in caso di incoscienza del paziente, la questione che scatenò la bagarre sul caso Englaro. La posizione della Chiesa è chiara: scegliere di morire o di non essere rianimati in caso di pesante infermità non è nella disponibilità delle persone mentre per i non credenti è l’opposto: trovare una sintesi non è certo semplice, ma il

A sinistra, Fabrizio Cicchitto. Sopra, monsignor Rino Fisichella (FOTO GUARDARCHIVIO )

In basso, Letizia Moratti (FOTO ANSA)

Vaticano e governo alleati per blindare il testo, che potrebbe portare al definitivo scontro con Fini parere di Fini, più volte sottolineato in occasioni diverse, è orientato verso una libertà di scelta ben lontana dai dettami confessionali. Di qui i timori vaticani che

Gianni Letta non sarebbe riuscito a sfatare, ma è probabile che il nodo della coesione della maggioranza in vista di questo delicato appuntamento con una legge etica sia uno degli argomento caldi del vertice del Pdl in programma giovedì prossimo con Berlusconi. Si parlerà di regionali, certo, ma non è da escludere che Letta porti sul tavolo anche i timori vaticani. Chiedendo, ovviamente, una soluzione politica che al momento manca all’appello. Il provvedimento sul biotestamento non potrà finire il suo iter alla Camera prima di gennaio, ma da settimane il capogruppo Pdl a Monte-

citorio, Fabrizio Cicchitto, sta alacremente lavorando con monsignor Fisichella alla stesura di una serie di emendamenti che raccoglierebbero tutti i desideri vaticani in merito al fine vita. Il problema politico, comunque, ruota tutto intorno a ciò che deciderà Fini. Dentro la maggioranza sta maturando la convinzione che il presidente della Camera utilizzerà l’acceso dibattito politico sul tema (non potrà essere diversamente) per logorare ulteriormente il premier che su un fronte scivoloso come quello del fine vita ha sempre sposato radicalmente le posizioni della Chiesa. Si ricorderà quando, sull’emozione creata dal caso Englaro, Berlusconi tentò di far approvare la legge per bloccare la volontà espressa dal padre Peppino Englaro di mettere fine alle sofferenze della figlia. All’epoca, però, la maggioranza era ben più solida di adesso e questo lo sa bene anche la Chiesa, che comunque continua a fare pressioni su Letta per cercare di parare i colpi possibili. Un fatto è comunque certo: il testamento biologico sarà il tavolo di confronto e di scontro nella maggioranza per tutto il periodo natalizio. Un panettone davvero amaro per Silvio.

MORATTI, LE SCONFITTE DI UN SINDACO A METÀ Da Malpensa all’Ecopass, dai derivati all’Expo 2015, passando per le nomine dei consulenti bocciate dalla Corte dei Conti di Gianni Barbacetto

a fatto perdere a Milano anche il Giro d’Italia. HcheLetizia Moratti è ormai un sindaco dimezzato, ha perso tutte le sue battaglie. Avrebbe voluto gestire direttamente l’Expo 2015 attraverso un suo uomo di fiducia, Paolo Glisenti, e invece le hanno imposto una gestione collegiale e un presidente come Lucio Stanca. Avrebbe voluto manovrare di persona la grande partita urbanistica del nuovo Piano di governo del territorio, e invece Salvatore Ligresti da una parte, il presidente della Provincia Guido Podestà dall’altra, le hanno fatto capire che in città non comanda lei. La partita attorno all’aeroporto di Malpensa è finita con una secca sconfitta di Milano. Sul futuro finanziario dell’amministrazione incombe l’incubo delle perdite milionarie per i derivati, a causa di incauti contratti con le banche stipulati dal sindaco precedente, ma rinegoziati più volte da Letizia Moratti. L’Ecopass, il discusso ticket per accedere al centro città, si è rivelato un fallimento, tanto che Edoardo Croci, l’assessore tecnico alla Mobilità imposto dal sindaco, a metà novembre è stato cacciato. Persa anche la sfida sulla sicurezza, su cui Moratti aveva chiesto alla città di essere giudicata. E perfino il Giro d’Italia ciclistico quest’anno non avrà il suo arrivo a Milano. Ora il sindaco ha annunciato che chiederà la tessera del Pdl: atto simbolico di resa al partito che la sostiene (non sempre e non incondiziona-

tamente). Letizia Moratti era arrivata a Palazzo Marino nel 2006 pensando di governare la città come un suo protettorato, facendo a meno non soltanto del Consiglio comunale (in cui ha messo piede solo sei volte nel 2008, tre nel 2009), ma anche dei partiti che l’avevano sostenuta. Ha dovuto ricredersi. Alla sua terza presenza in Consiglio quest’anno, per tracciare il bilancio di metà mandato, ha rischiato il disastro, a causa delle assenze sui banchi del centrodestra: solo il buon cuore dell’opposizione le ha permesso di parlare, garantendo in aula il numero legale. Ora è di fatto commissariata, se è vero che le decisioni di peso sono ormai prese da un “direttorio” che si riunisce ogni settimana a casa sua (alla presenza del marito, il petroliere Gianmarco Moratti). Tra un risotto giallo e una cotoletta con l’osso, a mettere il naso nelle faccende della città è sempre più Ignazio La Russa, ministro della Repubblica e coordinatore nazionale del Pdl. Sono davvero lontani i tempi del suo trionfale giro per la città in bus scoperto, dopo la vittoria di Milano alla gara internazionale per l’Expo. Chi ricorda più gli applausi e i sorrisi di quel giorno, ora che donna Letizia non è più sicura neppure di essere ricandidata sindaco, nel 2011? Invece il suo arrivo a Palazzo Marino, nel 2006, con la sua corte personale di 91 dirigenti con contratti su misura, se lo ricordano in molti. Il ricordo è aiutato anche da un paio di spinose contese legali ancora in corso. La prima davanti alla Corte dei conti, la seconda diretta-

mente alla Procura delle Repubblica. La questione è quella delle “consulenze d’oro”, dei dirigenti comunali cacciati in pochi giorni e sostituiti ai vertici della macchina comunale da persone gradite dal sindaco. Alcune senza i titoli necessari, né la laurea, né l’esperienza professionale. Ma vicini al sindaco o impegnati nella sua campagna elettorale. Nel marzo scorso la Corte dei conti ha sentenziato: le nomine sono illegittime, hanno provocato un “danno erariale per colpa grave”; dunque dovranno essere pagati al Comune di Milano 263 mila euro. A pagare saranno, di tasca loro, il sindaco Moratti (78.700 euro) e altre 21 persone, tra assessori, ex assessori e alti dirigenti. Dopo la condanna, l’opposizione a Palazzo Marino ha chiesto, per bocca del capogruppo Pd Pierfrancesco Majorino: “Moratti chieda scusa alla città”. Le scuse non sono mai arrivate, anzi il sindaco ha rivendicato il suo diritto di andare avanti come se niente fosse: “Abbiamo presentato appello. Vedremo”. La causa penale, nata da un esposto in Procura del capogruppo della Lista Fo, Basilio Rizzo, ha avuto un percorso più accidentato. Lo spoil system alla milanese ha assunto contorni, secondo Rizzo, di mobbing nei confronti dei vecchi dirigenti, pressati e costretti a dimettersi, per far spazio ai nuovi, senza titoli ma graditi a Moratti. Il pubblico ministero ha aperto un’indagine a carico del sindaco e ha poi chiesto l’archiviazione. Il giudice per le indagini preliminari l’ha respinta, chiedendo ulteriori approfondimenti. Ora il pm ha di nuovo chiesto l’archiviazione al giudice, sostenendo di avere individuato comportamenti difficili da qualificare come reati penali, ma certamente spartitori e clientelari.

IL FATTO POLITICO dc

Mister(o) Pesc di Stefano Feltri

er un giorno la politica Ptriangolazione romana è frutto della tra il Qatar e Bruxelles, con il terzo vertice al Quirinale. In un’intervista il presidente degli eurodeputati socialisti Martin Schulz accusa: se Massimo D’Alema non è diventato Mister Pesc, il ministro degli Esteri dell’Unione europea, è colpa del governo Berlusconi che non ha sostenuto in modo adeguato la sua candidatura e l’ha addirittura boicottata. Berlusconi (che qualche anno fa aveva insultato Schulz dandogli del “kapò”) è in Qatar e non replica. Ci pensano Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato del Pdl, e il ministro Franco Frattini: “Sono bugie e tutta l’Europa lo sa”. erlusconi deve invece Bpacificare, preoccuparsi di per quanto possibile, i conflitti che stanno esplodendo alla vigilia del passaggio della Finanziaria alla Camera, l’ultima occasione per tentare quell’“assalto alla diligenza” che Giulio Tremonti si è impegnato a evitare. Dopo l’intervista al Corriere di Renato Brunetta, Berlusconi ha telefonato a Tremonti per rassicurarlo: nonostante gli attacchi del ministro della Funzione pubblica niente è cambiato da quando si è raggiunta l’ultima tregua (anche perché Tremonti è sempre sotto la protezione della Lega, l’unico partito che non avanza richieste riguardo la Finanziaria). essuno vive la “N contemporaneità. Come se la cultura politica dovesse coincidere con l’interpretazione storica, come se le differenze possano scaturire solo dal passato”, scrive sulla sua rivista online la fondazione FareFuturo, vicina a Gianfranco Fini, per rivendicare la propria autonomia e il proprio ruolo dentro il centrodestra. Ma proprio Fini, ieri, ha mandato messaggi rassicuranti per il suo elettorato sulle proprie proposte relative all’immigrazione, ricordando che “è doveroso richiedere a coloro che vivono con noi il rispetto della Costituzione”. Come dire: cittadinanza agli immigrati sì, ma senza sconti. Segue richiamo alla necessità di difendere la prima parte della Costituzione dai “rischi insiti nei meccanismi che determinano il consenso politico e l’esercizio del potere”. Il Quirinale, invece, si rifiuta di commentare i rilievi che Carlo Azeglio Ciampi ha fatto sul modo in cui Giorgio Napolitano interpreta la seconda parte, quella dove – tra l’altro – vengono descritti i poteri del capo dello Stato.


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“So cose che potrebbero rovinare mezza Roma” Poi la morte di Gianguarino

L

MISTERI

a procura torna a indagare sulla morte di Gianguerino Cavasso, stroncato da un'overdose il 12 settembre scorso. In attesa dei risultati degli esami tossicologici si rafforza l'ipotesi che il pusher del caso Marrazzo possa essere stato eliminato perché a conoscenza di troppi segreti sulla rete di ricatti che ruotano attorno ai trans.

L'uomo aveva tentato di vendere nel luglio scorso il video, che riprendeva il Presidente della Regione Lazio in compagnia di Nataly, a due giornaliste di Libero alle quali avrebbe confidato: “So cose che potrebbero rovinare mezza Roma”. Ma Cavasso conosceva anche Brenda e quel secondo video ufficialmente scomparso. Uscito di scena lui furono i

carabinieri a cercare di collocarlo attraverso l'agenzia Masi e il fotografo Max Scarfone. Intercettati dai colleghi del Ros sono stati arrestati il 22 settembre. Il caso è esploso. Un mese dopo è morta Brenda nello strano incendio della sua abitazione. Le indagini su questi due casi potrebbero congiungersi in un'unica inchiesta.

La lettera: mio figlio Aldo è stato ucciso in carcere

BRENDA E CAFASSO IN BALLO CI SONO MOLTI SOLDI

l caso recente di Stefano CucIseppe chi a Roma e quello di GiuSaladino a Parma, hanno

Per il pusher ora si parla di omicidio Spunta la pagina Facebook di Brenda di Rita Di Giovacchino

renda Ballantines, questo il nome d'arte su Facebook di Alves Willy Mendes, il trans al centro del caso Marrazzo. Strana storia di video e telefonini scomparsi, cocaina e clienti vip, ricatti e morti accidentali che sempre più assomigliano a una catena di omicidi la cui lista potrebbe allungarsi. Ecco Brenda che reclamizza la propria bellezza prominente, levigata, fan di un unico politico, proprio Piero Marrazzo, la cui foto spicca sulla home-page come un tragico souvenir . Brenda amica “dei militari e delle forze armate”, Brenda che scrive nel profilo “grazie a dio nella mia famiglia non ci sono comunisti”. Brenda che ha tanti amici, settanta, quasi tutti maschi, bicipiti e pettorali in bella mostra, per la maggior

B

parte senza volto o con la maschera. Un mondo sommerso con il quale era quotidianamente in contatto. Perché Brenda navigava su Facebook, era un'esperta di chat, altro che non sapeva usare il computer! Brenda Ballantines, dal nome del whisky che le piaceva di più. La sera in cui è morta se ne sarebbe scolata un'intera bottiglia, mescolata a un'intera boccetta di Minias, dose irrobustita da un “red bull”, la bibita che esalta l'effetto della cocaina. Non è un po' troppo anche per una tossicomane alcolista come lei? Non sarà una messinscena tra le tante in questa scenografia da “omicidio mascherato”, che sta facendo perdere il sonno al procuratore Capaldo, in cui stanno tentando di raccapezzarsi poliziotti e periti? Il fatto è che proprio mentre si tenta di far luce sullo strano incendio nella favela di via Due Ponti che ha bruciato la vita di Brenda, ecco che prende corpo il sospetto che anche Gianguarino Cavasso, noto come il pusher dei vip, morto il 12 settembre in una squallida

China, l’amica della trans: “Aveva avuto da Marrazzo 30 mila euro, ne ho contati io 28 mila, una sera da lei”

stanza d'albergo sulla Salaria, ufficialmente stroncato da un'overdose potrebbe essere stato eliminato. Si indaga così anche sulla morte che ha stroncato la vita di un uomo di 36 anni, affetto da obesità e diabete, ma anche giovane, esuberante, al centro di un intrigo da cui defilarsi al più presto dopo essersi messo in tasca un po' di soldi. Non ha fatto a tempo. Nei giorni scorsi è stata nuovamente ascoltata in procura Jennifer , la sua “fidanzata” anche lei brasiliana, anche lei di confusa identità sessuale, con il quale ha consumato l'ultima sniffata. Poi si è sentito male, lei lo ha cercato di rianimarlo. Niente da fare. Eppure Jennifer si è salvata, lui no. Perché? Forse perché si era insospettita per il cattivo sapore della sostanza che Gianguarino stava preparando e si è messa a vedere la tv. Lui invece , si è steso sul letto e ha cominciato a sniffare. Una partita tagliata con un'eccessiva dose di stricnina? Come se l'era procurata, come è caduto nella trappola proprio lui che quel mercato lo gestiva a nord di Roma? La procura attende di conoscere i risultati degli esami tossicologici, ma l'ipotesi di omicidio è ormai più di un sospetto. “Brenda era una grande esperta di computer, poteva farci quello

Memorie di Patrizia, se ne accorge soltanto la stampa estera di Silvia D’Onghia

l giorno dopo la pubblicazione, da parte del Fatto Quotidiano, delle anticipazioni di libro di Patrizia D’Addario “Gradisca Presidente”, la stampa nazionale sembra non essersi accorta dell’accaduto. Eccezion fatta naturalmente per Il Giornale, che non ha perso l’occasione di attaccare la escort barese: in un articolo dal titolo “La sinistra mobilita anche la feccia”, Giancarlo Perna ha definito Patrizia “fille de joie”, “maliarda” e “poco di buono”; mentre Felice Manti ha ricostruito le “cinque prove del ricatto” della donna contro il premier. Per il resto, quasi il nulla. Domenica il quotidiano La Nazione ha titolato on line “La notte con Silvio col pigiama bianco”. Nel pomeriggio di ieri, invece, la notizia appariva soltanto sui siti del Sole 24 Ore, del Salvagente e di Affaritaliani.it, che pubblicava l’introduzione di Maddalena Tulanti al libro. Tutti gli altri, non pervenuti. E dire che invece il racconto della notte nel lettone di Putin, ma soprat-

I

tutto le intimidazioni successive alle rivelazioni sulla presenza delle cassette hanno fatto il giro del mondo. Sulla prima pagina del sito del britannico Times, oltre ad alcune anticipazioni, una sorridente Patrizia D’Addario annunciava: “Sono stata minacciata e attaccata dopo l’incontro con Berlusconi”. “La call girl dello scandalo sessuale di Berlusconi denuncia aggressioni e minacce”, titolava il Guardian, sottolineando come ora si aggiunga una “dimensione lesbica” alle accuse contro il premier. E ancora, il Daily Mail online: “Sono stata attaccata dopo aver dormito con Silvio Berlusconi, denuncia la call girl Patrizia D’Addario in un nuovo libro-verità”. Titoli anche sull’Indipendent , su Paris Match, sull’agenzia austriaca Ropi e sul viennese Der Standard. Ma perchè la stampa italiana tace? “Non lo so, immagino che stiano aspettando la pubblicazione formale del libro (che esce oggi, ndr) - sostiene Richard Owen, giornalista che vive in Italia da molti anni ed è autore dell’articolo apparso sul Times - ri-

La pagina Facebook di Brenda Nella foto piccola, Gianguarino Cafasso (FOTO ANSA)

che voleva”, ha detto China, transessuale amico e vicino di casa del viado trovato cadavere venerdì mattina a "Porta a Porta". E ancora rivelazioni che provengono da questo strano mondo che minaccia politica e salotti buoni. Tutto ruota attorno a quel secondo video che ritrae Brenda, l'amica Michelly, rientrata precipitosamente a Parigi, e Marrazzo in una villa con piscina. Un video che potrebbe spuntare da

MISTERO ORLANDI

un momento all'altro dal pc che è ora nelle mani dei periti, o dal palmare finito a una strana banda di rumeni che ha tutta l'aria di agire su commissione, o sul telefonino scomparso insieme a tante schede in uso al trans morto. Racconta ancora China che Brenda aveva avuto da Marrazzo 30 mila euro. “Ne ho contati io 28 mila, una sera a casa sua. Duemila li aveva già spesi”. Vero, falso? Lo sapremo alla prossima puntata.

di RdG

“Marcinkus andò a trovare Emanuela”

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onsignor Paul Marcinkus, all'epoca presidente dello Ior, andò a trovare Emanuela Orlandi durante il sequestro in una casa sul lungomare di Torvaianica. A rivelarlo è ancora Sabrina Minardi, la supertestimone della nuova inchiesta sulla scomparsa della ragazzina, in un'intervista a Rai News 24. La giornalista, Raffaella Notariale, che aveva già intervistato la Minardi per Chi l'ha visto, è stata ascoltata ieri mattina dal procuratore antimafia Giancarlo Capaldo. L'episodio, mai trapelato finora, non era del tutto ignoto alla procura che ha voluto però accertare se Sabrina abbia raccontato alla giornalista fatti nuovi. Sembra di no. L'ex amante di De Pedis descrive tre fasi del rapimento: la prima durata un paio di settimane svoltasi a Torvaianica, il successivo trasferimento a Roma nei sotterranei dell'appartamento di via Pindemonte, infine l'eliminazione dei resti di Emanuela di nuovo a Torvaianica nella betoniera di una cantiere.

prenderne le anticipazioni sarebbe stato possibile solo con un’autorizzazione dell’editore, come abbiamo fatto noi”. Owen non è affatto scandalizzato da questo silenzio, nè da quanto scritto da Patrizia: “Erano cose che si sapevano, al di là dei particolari sessuali”, ma ribadisce che “in Gran Bretagna, se il premier fosse rimasto coinvolto in un simile scandalo si sarebbe già dimesso”. Problema culturale, sostiene Owen, secondo cui tutto si inserisce nel punto di vista maschile che domina la cultura italiana: “Non è una novità che in Italia ci sia connessione tra sesso e potere”. Eppure la stampa internazionale si occupa del caso molto più di quanto faccia quella italiana: “Anche in questo c’è una differenza di cultura giornalistica. In Italia le interviste, soprattutto quelle televisive, non sono interviste nel senso anglosassone del termine, sono monologhi. Le domande non sono domande vere, oppure dopo la prima risposta non c’è la seconda domanda. Questo da un certo punto di vista è un segno di civiltà, dall’altro contri-

buisce a non risolvere molti casi”. Intanto Patrizia D’Addario è chiusa nel silenzio: dopo aver scritto il libro, ritiene di non dover dare ulteriori spiegazioni ai giornalisti. Ma forse continua a temere per la sua incolumità, pur non avendo mai richiesto una forma di tutela. Nè la Prefettura di Bari, che agisce su impulso della magistratura o delle forze dell’ordine, ha mai pensato di attribuirgliela. E, per il momento, non ci sono indicazioni al riguardo. (ha collaborato Antonio Massari)

richiamato l'attenzione sui casi di Marcello Lanzi e di mio figlio Aldo Bianzino, anch'essi morti in carcere in circostanze tutte da chiarire. Ora, volendo esaminare il caso di Aldo, bisogna precisare alcune cose. Il P.M. dott. Giuseppe Petrazzini, che aveva fatto arrestare Aldo e la sua compagna la sera di venerdì 12 ottobre 2007, è lo stesso magistrato che ha in carico le indagini sul suo successivo decesso avvenuto nella notte tra il 13 e il 14. Aldo era in cella di isolamento nel carcere di Perugia. Era stato visto da un medico, che l'aveva riscontrato sano e da un avvocato d'ufficio. Non sono disponibili registrazioni di telecamere su ciò che è avvenuto successivamente, né, dopo il decesso, la cella risulta sia stata isolata e sigillata. A detta degli altri detenuti, durante la notte aveva suonato più volte l’allarme ed aveva invocato l'assistenza di un medico, sentendosi anche, pare, mandare al diavolo dalla guardia carceraria Gian Luca Cantore, attualmente indagato. Fatto sta che verso le 8 del mattino di domenica le due dottoresse di turno, trovarono il corpo di Aldo, con indosso solo un indumento intimo (siamo a metà ottobre, non agosto). I suoi vestiti si trovavano nella cella, accuratamente ripiegati (cosa che Aldo, in 44 anni, non aveva fatto mai). Aldo era morto. L'autopsia, svoltasi il giorno dopo, diede risultati controversi: si parlò prima di due vertebre poi di due costole, rotte, poi tutto fu negato. Di certo ci fu un'emorragia celebrale e un'altra al fegato. Ora, l'emorragia cerebrale è stata amputata ad un aneurisma, quella epatica ad un maldestro tentativo di respirazione artificiale, che le due dottoresse respingono nel modo più assoluto. In ogni caso credo proprio di poter dire in tutta coscienza che Aldo è stato assassinato in un ambiente violento e omertoso, del quale non si riesce neppure a sapere i nomi del personale presente quella notte nel carcere. Quanto al dott. Petrazzini, mi sembra che dignità gli imporrebbe di passare ad altri il suo incarico, date le omissioni, invece di insistere come sta facendo, per ottenere l'archiviazione del caso. Ma i veri assassini sono coloro che hanno voluto ed ottenuto una legge sulle "droghe" come l'attuale, persone che nella loro profonda ignoranza, considerano in modo globale, senza distinzioni. Una legge fascista e clericale, da stato etico e peggio, da stato che manda in galera il poveraccio che coltiva per uso personale qualche pianta di cannabis, mentre, se la droga circola nei festini dei potenti, non succede nulla. Giuseppe Bianzino


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L’ultima scontro tra le due anime dell’economia Pdl

N

RIVALITÀ

ell’ultimo mese il ministro dell’Economia Giulio Tremonti è arrivato vicino alle dimissioni per le tensioni con il cosiddetto “Partito della Spesa pubblica”. Mentre Tremonti difende il rigore contabile – immobilismo, dicono i suoi critici – una parte della maggioranza che ha trovato nel senatore Mario Baldassarri l’ideologo crede sia il

momento di spendere per sostenere la ripresa. Di fianco a questa divergenza politica e culturale, continua il rapporto difficile con il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta. Quando due settimane fa in Consiglio dei ministri si è discussa la riforma della Pubblica amministrazione, Brunetta non ha gradito che Tremonti ne rimettesse in dubbio i fondamentali.

E’ finita, secondo le ricostruzioni, con Tremonti che minacciava di prendere a calci Brunetta che, a sua volta, non escludeva di “alzare le mani”. Poi, domenica, nuovo attacco di Brunetta in una intervista al Corriere della Sera: “Tremonti esercita un potere di veto sulle iniziative di tutti i ministri. Un blocco cieco, cupo, conservatore, indistinto”. Berlusconi, per ora, non commenta.

IL DUELLO DEI PROF.

E’ uno scontro culturale prima che politico Tremonti fatica sempre più per difendere i conti Renato Brunetta

FRONDA: ULTIMA CHIAMATA di Stefano Feltri

hi ha qualcosa da dire parli ora o taccia per sempre: l’intervista che domenica Renato Brunetta ha concesso al Corriere della Sera è l’ultima chiamata ai ministri che dissentono dalla linea di Tremonti perché prendano posizione. In sintesi, Brunetta dice che “il ministro Tremonti esercita un potere di veto sulle iniziative di tutti i ministri, un blocco cieco, cupo, conservatore, indistinto”. Adesso il ministro della Funzione pubblica aspetta. Vuole capire quanti avranno il coraggio di manifestare in pubblico quel disagio che lamentano in privato per la rigidità con cui Tremonti controlla i cordoni della borsa. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha già chiesto “maggiori risorse in Finanziaria”. L’obiettivo di Brunetta è duplice. Da un lato vuole ridimensionare il ruolo di Tremonti nell’esecutivo: non ha gradito in particolare che il ministro dell’Economia si arrogasse il diritto di avere l’ultima parola su una riforma della Pubblica amministrazione già varata dal Consiglio dei ministri. Poi c’è l’aspetto di politica economica: Brunetta è sempre stato più ottimi-

C

sta di Tremonti sull’andamento della crisi. Anche nel momento più buio, mentre falliva la banca d’affari Lehman Brothers, Brunetta invitava a un cauto ottimismo. I dati sembrano dargli ragione, con la ripresa (o almeno la fine della recessione) ormai arrivata. Quindi ora il ministro chiede che si passi alla “Fase due”, come l’ha chiamata mutuando un’espressione che non portò molta fortuna al governo Prodi, caduto dopo aver completato la “Fase uno” di risanamento dei conti pubblici. Ci sono aspetti tattici e altri culturali nel posizionamento di Brunetta. Quelli tattici prevedono di affrontare Tremonti nei prossimi giorni su almeno due fronti: i finanziamenti per la banda larga – 800 milioni bloccati all’ultimo minuto dal governo – che per Brunetta sono una questione di principio. Se la crisi è finita, non c’è ragione di eliminare un investimento già deciso (posizione quasi obbligata per un ministro che ha puntato molto sul rapporto tra Pubblica amministrazione e Web). Secondo dossier: la Finanziaria. Lì si testerà la capacità di incidere dei ministri non tremontiani su una legge di

bilancio che viene presentata come blindata, ma che tutti hanno interesse a modificare. Incluso Tremonti che vuole inserirvi la Banca del Mezzogiorno. E proprio le politiche per il Mezzogiorno sono uno dei discrimini culturali tra i due. Brunetta, che tra gli altri difetti agli occhi di Tremonti ha anche quello di essere un economista, ha appena scritto un libro sull’argomento “Sud” (Donzelli Editore). Mentre Tremonti propone una riedizione della Cassa del Mezzogiorno che fornisca credito a prezzi agevolati a chi investe nelle regioni meridionali, Brunetta giudica quell’esperienza un esperimento fallito, da non ripetere. Sostiene invece la necessità di puntare sul cambiamento della classe dirigente e su investimenti nel capitale umano (cioè nella formazione delle persone) e non in infrastrutture o sussidi. É il secondo libro che il ministro manda in libreria in un anno, dopo “Rivoluzione in corso” ricordato soprattutto per lo scontro con Daria Bignardi a “L’era glaciale”. Non è però riuscito a trasformarli in best-seller con numeri paragonabili a quelli del tremontiano “La paura e la speranza”. Ma è chiaro che Brunetta ha lanciato anche una sfida culturale, che si combatte con i libri e le interviste, all’egemonia tremontiana. E questa è una battaglia solitaria, mentre in quella sui provvedimenti di politica economica può contare almeno su un alleato di peso: il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola.

Giulio Tremonti

L’EQUILIBRISMO IMMOBILE ultimo sondaggio di Ipr Marketing, del 17 novembre, non deve essere piaciuto molto a Giulio Tremonti. Poco importa che Renato Brunetta non sia davvero “il ministro più popolare del governo”, come ama presentarsi. É comunque più popolare di lui: 60 per cento contro il 58 di Tremonti (in testa c’è Maurizio Sacconi, Welfare). E non basta neanche la telefonata di Berlusconi di ieri: dopo l’intervista di Brunetta al Corriere della Sera, il presidente del Consiglio ha chiamato il ministro dell’Economia (e non Brunetta), poi in pubblico ha detto che “sarebbe meglio che la dialettica fosse solo interna”. Da quando Tremonti ha fallito il tentativo di farsi nominare vicepremier, la sua posizione è meno solida e la lista di nemici continua ad allungarsi, con Brunetta che ora lo affronta accusandolo di “aver commissariato, sia pur a fin di bene, l’intero governo”. Più l’economia manda segnali di miglioramento, meno Tremonti riesce a difendere la sua linea di rigore contabile che implica, effetto collaterale contestato da mezzo governo, una discrezionalità nel decidere chi può spendere e chi no. Il primo problema di Tremonti è quindi il Pil: ieri l’Ocse ha detto che in Italia negli ultimi tre mesi il prodotto interno loro è aumentato dello 0,6 per cento (meno dello 0,8 dell’area Ocse). Su base annua non basta a evitare comunque un tracollo del 4,6 per cento, ma dal punto di vista comunicativo il messaggio è chiaro: la recessione è finita. Quindi, attacca Brunetta, è ora di cambiare politica economica (ammesso che si possa cambiare senza sostituire anche il ministro). Il debito pubblico arriverà al 120 per cento del Pil, l’Unione europea (applicando il Patto di stabilità senza tener conto della recessione) ha già aperto una procedura di infrazione per deficit eccessivo, il tasso di occupazione, cioè il numero di persone

L’

Dopo gli attacchi di Brunetta, Berlusconi rassicura Tremonti. Ma parte l’assalto alla Finanziaria

che partecipa al mercato del lavoro, è in calo. Tremonti deve quindi sostenere due tesi tra loro opposte. Tesi numero uno: c’è la crisi e quindi restano i tagli e il rigore. Tesi numero due: la crisi è passata e l’Italia è pronta alla ripresa, considerazione che dimostra l’adeguatezza della politica economica fin qui adottata. Anche le mosse della Cgil gli consentono di rivendicare un successo parziale della sua “economia sociale e di mercato” nel gestire il conflitto sociale: ieri il comitato direttivo del sindacato di Guglielmo Epifani ha bocciato la proposta della minoranza che voleva discutere di uno sciopero generale contro la Finanziaria. Se ne discuterà, ma nel 2010, quando la legge di bilancio sarà già stata approvata. Il progetto tremontiano di una Finanziaria blindata (che praticamente non sposta un euro) sembra quindi resistere. E’ uscito indenne dal Senato nonostante l’assalto del senatore Pdl Mario Baldassarri, che aveva provato a scardinarlo. Si ricomincia giovedì alla Camera, in Commissione bilancio, quando Tremonti riproporrà la sua campagna quasi solitaria per introdurre con un emendamento la Banca del Mezzogiorno (un istituto pubblico-privato che coinvolge le Poste e le banche di credito cooperativo per dare finanziamenti agevolati nelle regioni meridionali). Sia Tremonti sia Brunetta cercano poi una sponda in Gianfranco Fini: ieri l’elogio della politica tremontiana fatto dal ministro Andrea Ronchi, di osservanza finiana, ha fatto capire che il presidente della Camera ha scelto con chi stare.

Ricerca: Francia batte Italia 16 miliardi a zero NAPOLITANO: “SU QUESTO CI GIOCHIAMO IL FUTURO”. E L’UNIVERSITÀ ASPETTA I SOLDI DELLO SCUDO FISCALE di Caterina

Perniconi

ulla ricerca è in gioco il futuro”. Le parole del presidente “S della Repubblica, Giorgio Napolitano, tuonano sul ministero dell’Università di Mariastella Gelmini ma soprattutto su quello dell’Economia di Giulio Tremonti. Napolitano ha chiesto ieri, durante una visita all’impianto romano Selex di Finmeccanica, un maggiore impegno dei settori pubblico e privato per finanziare la ricerca necessaria a garantire lo sviluppo futuro del paese. “Solo così – ha detto il presidente della Repubblica – possiamo uscire dalla crisi, e in condizioni migliori di quando siamo entrati”. Quando si tratta di promettere soldi per questo campo, tutti si dicono disponibili, “poi tra le parole e i fatti c’è una differenza notevole”. Anche tra quelle dei due ministri, Gelmini e Tremonti c’è molta distanza. La prima ci tiene a ribadire l’unità del governo sulla riforma dell’università e gli investimenti previsti grazie ai soldi che rientreranno con lo scudo fiscale. Il secondo continua a sforbiciare qua e là sapendo che il gettito dello scudo dovrà dividerlo tra diverse necessità. “Abbiamo bisogno di iniziative che riguardino l’impegno

privato e pubblico – ha detto Napolitano – mi auguro che non manchi mai un impegno di sistema delle forze politiche e istituzionali”. Che nell’ultimo anno non c’è stato, anzi. Con la legge 133 del 2008, Tremonti ha previsto una riduzione del finanziamento di un miliardo e mezzo in cinque anni del sistema universitario. La scusa dietro cui si è trincerato è la crisi globale. Ma in Europa nessuno la pensa così: nonostante la crisi, la Francia, che ha chiara la ricetta per superarla, ha previsto un prestito nazionale di 35 miliardi di euro per finanziare lo sviluppo, 16 dei quali destinati solo alla ricerca. E i francesi sono delusi, perché si aspettavano un investimento tra i 50 e i 100 miliardi. Come reagirebbero di fronte a un ministro, che non solo non investe, ma addirittura taglia? Anche in Germania, il cancelliere Angela Merkel ha previsto un piano che porterà il paese a investire il 3 per cento del Pil (in Italia meno dell’1) in ricerca e sviluppo. Solo di fondi aggiuntivi, quest’anno Berlino prevede 23 milioni di euro. Mentre l’università italiana può solo sperare in una fetta dei fondi che rientreranno dai paradisi fiscali. Che, secondo le stime più ottimistiche, saranno al massimo tra 4 e 5 miliardi.

“Condivido pienamente le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – ha dichiarato il senatore del Partito democratico Ignazio Marino – il nostro paese, oggi più che mai, ha bisogno di investire sui giovani e sulla ricerca, vero motore di crescita e sviluppo. Ma se il governo continuerà a tagliare i fondi al ministero dell’Istruzione per destinarli a un altro ministero considerato, erroneamente, di maggiore urgenza sarà difficile portare avanti un dialogo costruttivo con la maggioranza”. Dello stesso parere gli studenti e i precari dell’università e della ricerca, riuniti in assemblea a La Sapienza di Roma, che hanno diffuso un appello dove non risparmiano le critiche al sistema scolastico previsto dalla riforma Gelmini: “In un contesto di forte crisi sociale e produttiva – scrivono gli studenti – l’investimento politico ed economico sulla scuola, l’università, le accademie, i conservatori e sulla ricerca come beni comuni dovrebbe essere il principale strumento per il rilancio del paese, fondato sulla qualità della vita delle persone e che sappia andare oltre i limiti del modello fallimentare imposto dall’attuale classe dirigente e imprenditoriale”.


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Come si muovono India e Cina nel risiko dei tubi

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ENERGIA

o scontro per assicurarsi le forniture di gas è soprattutto europeo, ma anche i grandi paesi emergenti partecipano. I cinesi puntano i giacimenti dell’Azerbaijan, che interessano però anche alla compagnia russa Gazprom. Qualche mese fa, il governo di Pechino ha messo le mani su una società energetica del

Kazakhstan che gestisce riserve per 500 milioni di barili. I cinesi corteggiano i turkmeni per costruire un lungo gasdotto in grado di alimentare le terre intorno a Shanghai. Neppure a Nuova Delhi stanno con le mani in mano: nei Palazzi del governo gira ancora un progetto chiamato Ipi, come le iniziali di Iran,

I principali corridoi con cui il gas naturale arriva nell’Unione Europea. Fonte: Ministero Sviluppo Economico

Perché l’Europa sta perdendo la grande guerra dei gasdotti LA LOBBY DI GAZPROM AVANZA di Giorgio Arbatov

n Europa infuria una guerra dell’energia che può cambiare gli equilibri di potere nel continente. Le fazioni sono due, i russi con i loro amici contro i filo occidentali, l’obiettivo è lo stesso: trovare gas in Asia e rifornire uno dei mercati più importanti al mondo, quello dell’Unione europea. E’ una battaglia liquida che si combatte con accordi segreti e progetti che sembrano usciti da una sfida a Risiko. I concorrenti principali sono Nabucco e South Stream, due gasdotti disegnati per collegare Roma, Parigi e Berlino ai giacimenti del Mar Caspio e della Siberia. Il primo è sostenuto dall’Ue e dagli Stati Uniti, l’altro ha l’appoggio del Cremlino. Chi vince si aggiudica il controllo delle rotte energetiche fra due continenti. In-

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torno ci sono decine di protagonisti più piccoli: proprio ieri, a Cagliari, è stato presentato Galsi, il tubo che porterà in Sardegna il metano estratto in Algeria. SOUTH STREAM. South Stream vale 15 miliardi di euro, è lungo 7000 chilometri e dovrebbe collegare la stazione di pompaggio di Beregovaya, un porto sulle coste russe del Mar Nero, al deposito austriaco di Baumgarten. Il tragitto si snoda per i paesi dei Balcani, vecchie province dell’impero sovietico ancora in bilico fra oriente e occidente. Il consorzio incaricato di portare a termine il progetto comprende Gazprom, l’agenzia energetica del Cremlino, l’italiana Eni, e potrebbe entrare nella partita Électricité de France . Non c’è una data per l’inizio dei lavori, ma i russi dicono che il tubo potrebbe en-

trare in funzione nel 2015. Allora, l’Europa consumerà ogni anno 200 miliardi di metri cubi di gas in più rispetto a oggi. NABUCCO. L’alternativa a South Stream si chiama Nabucco. L’idea è nata una decina di anni fa, quando gli analisti americani hanno capito che il gas e il petrolio in arrivo dalla Russia avrebbero potuto compromettere la fedeltà dell’Europa al Patto atlantico. La rotta di Nabucco è molto simile a quella del progetto rivale: si parte da Baku, in Azerbaijan, e si arriva in Europa con un percorso tortuoso che comprende Georgia, Turchia, Bulgaria, Romania e Austria. Proprio l’Azerbaijan dovrebbe diventare uno dei principali fornitori di Nabucco, ma il suo gas da solo non basta a sfamare la richiesta dell’Europa. Così, i diplomatici dell’Ue hanno cominciato a stringere rapporti nel vi-

cino Turkmenistan, una Repubblica che possiede riserve energetiche praticamente sconfinate. C’è di più: anche l’Iran potrebbe contribuire al progetto. Oggi questa ipotesi può sembrare stravagante, ma potrebbe diventare seria nel momento in cui gli ayatollah trovassero un accordo sul loro programma

Nello scontro tra Nabucco, South e Nord Stream si inseriscono progetti più piccoli come l’italiano Galsi

GALSI

IL TUBO CHE UNIRÀ SARDEGNA E ALGERIA alsi è il nome del gasdotto sottoGall’Algeria marino che collegherà la Sardegna e, in un secondo tempo, arriverà sino alle coste della Toscana. Gli aspetti economici e politici di questa opera sono stati presentati ieri a Cagliari durante un convegno con i rappresentanti del governo italiano e quelli di Algeri. Il tubo è lungo circa 800 chilometri, ma il dato interessante riguarda i lavori off shore: con i suoi 2885 metri di profondità, il Galsi sarà infatti il gasdotto più profondo mai realizzato. I principali azionisti del gasdotto sono Edison (20,8%), Enel (15,6%) e Hera (10.6%), mentre gli algerini di Sonatrach controlleranno il 41,6% del pacchetto. Il costo dell’opera si aggira intorno ai tre miliardi di euro: secondo Roberto Potì, presidente del progetto, i lavori partiranno nel 2010 e termineranno nel 2014. A quel punto, il tubo porterà in

Italia 8 miliardi di metri cubi di metano ogni anno. Il tratto italiano del metanodotto sarà realizzato da Snam. Secondo il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola, “la realizzazione del progetto Galsi contribuirà a fare dell’Italia un hub energetico del Mediterraneo, collegando i paesi europei con quelli del Nordafrica, caratterizzati da importanti riserve di idrocarburi e con grandi potenzialità anche per le fonti rinnovabili. La sicurezza degli approvvigionamenti è uno dei principali obiettivi della politica energetica italiana, assieme a quello della diversificazione. Tutti i progetti per la realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto, tra cui anche il Galsi, sono fondamentali per far fronte alla crescita della domanda energetica che si manifesterà sicuramente una volta usciti dall’attuale cri-

si mondiale”. L’inizio dei lavori è preceduto da alcune polemiche. Il deputato sardo Mauro Pili (Pdl) ha presentato una interrogazione in Parlamento per chiedere che le imprese della regione ricevano una speciale tutela. “Governo e regione devono intervenire decisamente sulla Galsi e sulla stessa Snam per garantire alle imprese sarde pieno coinvolgimento – dice Pili – Le garanzie di subappalto, oltre a essere umilianti per le imprese isolane, rischiano di minare alla radice la stessa realizzabilità dei lavori nei tempi e nei modi prefissati. Occorre subito un tavolo tecnico giuridico del governo e della regione che possa avanzare una concreta proposta di lavoro alle società coinvolte al fine di introdurre clausole di trasparenza che possano tutelare le imprese sarde da esclusioni gravi e illegittime”.

Pakistan e India, è un tubo lungo 3000 chilometri che potrebbe unire il Golfo Persico alla provincia del Sind. Anche Pechino ha chiesto di collaborare. Se l’impresa riuscisse, l’Europa e la Russia resterebbero a secco e la valenza strategica di gran parte dei progetti su cui stanno puntando risulterebbe quasi azzerata.

nucleare con i mediatori occidentali. La guerra dell’energia ha spostato qualche grado più a sud lo scontro tra i blocchi della Guerra fredda. Negli anni Novanta, gli Stati Uniti hanno portato i paesi dell’Europa orientale e le Repubbliche baltiche nella Nato; durante l’epoca di George W. Bush, la Casa Bianca ha cercato di strappare l’Ucraina e la Georgia all’influenza di Mosca; ora la sfida si sposta in Turchia e Azerbaijan. I paesi più interessati all’esito del confronto sono le grandi potenze industriali che hanno maggiore bisogno di gas e di petrolio straniero. Fra questi l’Italia, la Francia e la Germania. NORD STREAM. Berlino ha un ruolo particolare nel grande gioco dell’energia. Poche settimane dopo aver lasciato il posto di cancelliere, Gerhard Schröder ha preso la guida del consorzio Nord Stream, un gasdotto che porterà in Germania il combustibile estratto nei giacimenti della Siberia. L’ex cancelliere non è arrivato a mani vuote. Quando era ancora a capo del governo ha concesso al progetto un finanziamento da un miliardo di euro. Da allora, Schröder è diventato uno dei politici stranieri più vicini al Cremlino: molti sostengono che sia il leader dei cosiddetti “Gazprominers”, un gruppo di pressione incaricato di sostenere gli interessi energetici della Russia in Europa. Putin ha scelto Schröder anche per risolvere la grana Tnk-Bp, una joint venture formata da British Petroleum e da tre oligarchi russi al centro di uno scandalo fiscale che ha rischiato di guastare per sempre i rapporti fra Mosca e Londra. Un altro protagonista della politica tedesca, Joschka Fischer, già ministro degli Esteri, ha accettato di guidare il consorzio che costruirà Nabucco. Schröder e Fischer sono stati insieme al governo per sette anni, erano i leader della coalizione fra Socialdemocratici e Verdi sconfitta da Angela Merkel alle elezioni del 2005. Sino a questo punto, Fischer era rimasto ai margini della vita politica nazionale. “Avere Fischer da una parte e Schröder dall’altra – spiega l’analista Federico Bordonaro del think tank Equilibri – è come vedere la Germania divisa fra un approccio euroatlantico alla questione energetica e un approccio filorusso”. L’EUROPA. Per il momento la squadra di Schröder pare avere la meglio. Negli ultimi sette giorni, Gazprom ha chiuso una serie di accordi decisivi con i paesi che saranno attraversati da South Stream. L’ultimo ad accettare le offerte del Cremlino è stato il premier sloveno, Borut Pahor, ma prima di lui avevano ceduto i governi di Austria, Serbia e Turchia. Ad Ankara, l’alleanza fra Russia e Italia non solo permetterà il passaggio di South Stream, ma anche la costruzione di un oleodotto che taglia in due l’Anatolia, da Samsun al terminal di Ceyahn. Per molti, questo è lo sbocco sul Mediterraneo che Mosca cercava dai tempi di Pietro il Grande. I russi sono riusciti a ottenere tutte le alleanze che servono per completare il loro progetto, mentre l’Europa è stata più lenta: mancano ancora gli accordi con i paesi di passaggio, quindi servirà ancora tempo prima di passare alla fase esecutiva. E i fornitori cominciano ad avere dubbi sul futuro di Nabucco.

Da Alcoa a Porto Torres, proteste estreme degli operai di Gigi Furini

nave fermata mentre Une,nastaun’auto per scaricare carbodata alle fiamme, la centrale Enel bloccata. Sale la tensione a Portovesme, un sindacalista ammette: “Sta succedendo quello che temevamo. Non riusciamo più a controllare gli operai”. Sono parole di Roberto Ballocco, rappresentante della Rrb dell’Alcoa. Il blitz degli operai è scattato nella notte fra domenica e lunedì. I lavoratori si sono trovati al porto di Portovesme e hanno impedito che da una nave si scaricasse carbone per la vicina centrale Enel. Quindi hanno discusso con un dirigente e alle 2,30 se ne sono andati. Poco dopo un’auto è stata data alle fiamme. I lavoratori, con le loro famiglie e i sindaci della zona, partono domani per Roma dove giovedì ci sarà l’incontro decisivo con il ministro Scajola. In ballo ci sono 100 milioni di euro di energia elettrica, la differenza fra il prezzo a tariffa piena e quanto Alcoa è disposta a spendere. Toccherà al governo fare il primo passo. Alcoa, il gigante dell’alluminio, per l’impianto di Portovesme dovrebbe spendere 500 mila euro di corrente al giorno, una cifra che manderebbe in rosso i conti. L’altroieri l’Autorità per l’energia e il gas ha approvato due delibere che consentono alle aziende energivore (come Alcoa) di acquistare quote di corrente elettrica all’estero. L'altro impianto italiano di Alcoa è a Porto Marghera. La situazione è identica. Ieri c’è stata un’assemblea con il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari. “Non si sono visti quelli della regione – dice Giorgio Molin, della Fiom – e per questo andremo a farci sentire dal presidente Giancarlo Galan. Intanto, ieri, gli operai hanno votato un documento con il quale, di fatto, si decide di occupare la fabbrica, ma prima vediamo che cosa ci dice Scajola nell’incontro di giovedì”. Dall’alluminio alla chimica. Sempre in Sardegna, a Porto Torres, sono in sciopero della fame i 101 lavoratori della Vinyls (produzione di pvc) messi in cassa integrazione straordinaria. Un gruppo di operai è anche asserragliato su un terrazzo al sesto piano dell’impianto. Ad Arese, infine, ancora una manifestazione (con blocco dell’autostrada per 30 minuti) dei lavoratori Alfa Romeo che la Fiat vorrebbe trasferire a Torino.


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L’AQUILA

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LA RICOSTRUZIONE NON PASSA DAGLI CHALET N

Al confine col “cratere” del terremoto c’è un paese di 125 anime Un gruppo di architetti e ingegneri ha messo in piedi un progetto per coinvolgere la popolazione

IL LIBRO

UN DISASTRO CHE SI POTEVA EVITARE

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u tarramutu” (di Samanta Di Persio, pp. 399, Casaleggio associati) è la voce dei cittadini aquilani. Sei mesi vissuti con uno sciame sismico. Le scosse erano avvertite da tutti, amministratori e protezione civile locale compresi. Il 6 aprile alle 3.32 un boato. Tremore. Crolli. Grida. Morti. 307 vittime innocenti che si potevano salvare. È mancato un piano di prevenzione e di evacuazione. Le persone più timorose dormivano in macchina e hanno visto le loro case crollare. Coloro che non sapevano dove andare si sono fidati degli esperti e oggi non possono raccontare quella notte che ha cambiato per sempre la vita di un’intera città. Dopo che tutto è stato azzerato si immaginava: trasparenza, ricostruzione delle abitazioni perse integralmente o parzialmente, lavoro…

di Silvia D’Onghia

ESSUNA CASETTA DI LEGNO, nessuno chalet, nessuna inaugurazione in pompa magna. Nei giorni in cui la Protezione civile annuncia di stare per smantellare tutte le tendopoli rimaste, a San Benedetto in Perillis, 45 chilometri da L’Aquila, sono lontani i riflettori mediatici, le promesse di Berlusconi, le pacche sulle spalle di Bertolaso. 125 anime (forse qualcuna in meno), 80 famiglie, 160 abitazioni, molte delle quali danneggiate dal terremoto del 6 aprile. Anche se il comune, per qualche oscuro motivo, non è rientrato nel “cratere”. Eppure, a dimostrazione del carattere forte degli abruzzesi, la ricostruzione “dal basso”, quella che coinvolge la popolazione (a differenza di quanto sta accadendo nel capoluogo), parte proprio da San Benedetto in Perillis. Il progetto “Musaa” (Museo, Architettura, Arte), è stato presentato ufficialmente la settimana scorsa, dopo mesi di lavoro in sordina. “Tutto è nato un po’ per caso – spiega la presidente dell’associazione, Paola Ardizzola, storica dell’Architettura – attraverso la conoscenza di una giornalista di Der Spiegel. Grazie alla sua testimonianza e ai suoi articoli, si è messo in contatto con me il direttore del Forum für Baukultur (l’Istituto di Architettura di Dresda), Sebastian Storz. Quello stesso giorno, il 7 aprile,

quando decine di persone erano ancora sotto le macerie, un imprenditore anonimo tedesco gli aveva affidato una somma di denaro per “rendersi utile in Abruzzo”. Lui dall’inizio ha sostenuto che il governo italiano da solo non ce l’avrebbe fatta e che, ricostruendo nel modo indicato, ci sarebbero voluti vent’anni”. La somma investita (che la dottoressa Ardizzola chiede di non rivelare) non è esagerata, sarebbe bastata forse a recuperare un paio di edifici. “Ma sarebbe stato stupido concentrarci su un singolo stabile, avremmo dovuto pensare a un progetto globale”. E così hanno fatto, investendo quei fondi in un’idea che recuperi la memo-

6 aprile: chi c’era e chi non c’è più Stefania Pace

“PROVE TECNICHE DI REGIME” erso la fine di gennaio, inizi di febbraio, ho Vcuriosa contattato Giampaolo Giuliani. Ero perché intravvedevo nel suo studio una possibile previsione dei terremoti che avrebbe potuto rassicurarmi. [...] Mi ha portata a Fagnano e ho visto il suo rilevatore di radon. Mi ha spiegato il funzionamento, in realtà non ci capivo molto perché non sono un’addetta ai lavori. Mi ha dato la possibilità di accedere ai grafici online e mi ha detto: “Vedrai che dopo un po’ sarai in grado di riscontrare se ci sono anomalie”. Così è stato. […] Il 5 aprile verso l’ora di cena ho controllato i grafici di Giuliani, l’ho chiamato dicendogli: “Si è forse rotta la macchina?”, e lui mi ha risposto: “Adesso vedo!”. Mi ha ritelefonato poco dopo dicendo: “La macchina non è rotta. L’andamento è anomalo. Ci possiamo aspettare qualcosa di abbastanza forte”. Infatti alle 23 c’è stata la prima scossa superiore a 4 gradi. [...] Sono uscita fuori e ho di nuovo chiamato Gianpaolo. […] Ricordo che a un certo punto mi ha detto: “Non posso parlare, ho il telefono sotto controllo dopo la denuncia per procurato allarme. Perciò se sei in macchina rimani lì, soprattutto se hai una casa in pietra”. […] Alle 3.32 ho sentito che la macchina veniva scossa da una parte e dall’altra. Non riuscivo ad aprire lo sportello.

Ho aspettato che finisse la scossa. Ricordo che le case davanti a me crollavano. Si alzava il polverone. I lampioni si sono spenti e partivano scintille dai fili dell’alta tensione. Una cosa che non dimenticherò mai è il rumore, sordo, che veniva dalle viscere della terra, come un aereo che rompe il muro del suono. Molti si sono salvati perché erano in piazza. Io e tanti altri siamo scampati al pericolo perché Giuliani ci aveva avvertiti indirettamente e per fortuna che è riuscito a far passare questa informazione. […] Insieme con Aldo, un ragazzo di Poggio, chiamavamo tutti i numeri di emergenza e solo alle 5 ci ha risposto il 118. Abbiamo detto: “Ci sono morti. Non sappiamo che fare”. Dall’altra parte ci hanno risposto: “Non abbiamo mezzi né qualcuno da mandarvi. Vedete quello che potete fare da soli”. […] Qui ci sono stati cinque morti, di cui tre bambini. Valbona avrebbe compiuto 13 anni la settimana dopo, Alena 10 anni e Nurije 41 anni. I morti si sono avuti dove le case non erano mai state ristrutturate. In televisione è passato il messaggio che i soccorsi sono arrivati immediatamente, tempestivi. Invece per quanto mi riguarda non è vero. I macedoni, che abitano sopra casa mia, hanno tirato fuori undici persone. Medi ha salvato bambini e anziani. Quando l’ho visto il giorno dopo aveva mani e piedi fasciati. I bambini che ha tirato fuori sono stati portati in piazza, non c’era nemmeno un cerotto e un disinfettante.

Un cittadino

“LA NOTTE PIÙ LUNGA” a mia preoccupazione principale era mia madre, Lperfettamente una persona non autosufficiente, ma lucida, ad ogni scossa lei mi chiamava impaurita perchè si rendeva perfettamente conto che, in caso di calamità molto forte, non avrebbe potuto mettersi in salvo velocemente e quindi avrebbe fatto rischiare la vita anche a me. […] La cosa che mi sorprendeva, parlando con un amico ingegnere e conoscitore di tutte le speculazioni fatte sul territorio dell’Aquila, è che le istituzioni a tutti i livelli, senza escludere nessuno, nulla facevano: nè come prevenzione, nè come evacuazione in caso di sisma. […] Una sera parlando con un mio amico conoscitore di saccheggi fatti in decenni e con la complicità ovvia della politica di tutti i colori mi disse: “Dopo il piano regolatore del 1975 la cosa che si è privilegiata a L’Aquila è stata la distruzione del territorio e non la sicurezza del cittadino”. “A cosa alludi?” chiesi.?” E lui: “Ci sono zone dell’Aquila dove il rischio crolli in caso di terremoto è altissimo”. Mi fece un esempio: “Nella zona di via XX settembre (dove c’era la Casa dello studente) un tempo gli aquilani ci scaricavano i cosiddetti materiali di risulta, ovvero quei materiali di scarto dopo aver costruito un palazzo, una fontana, una piazza. Quindi in quella zona ci sono i cosiddetti vuoti; ossia il terreno dove poggia la casa non ha solidità perché sotto non c’e’ la roccia, ma le caverne”. […] Il messaggio che doveva passare era: “Non bisogna diffondere il panico”, mica viene

prima la pelle dei cittadini e poi le strategie politiche! [...] Questo naturalmente secondo il capo del Governo che nulla ha fatto, così come il presidente della Regione Abruzzo che la governa da dicembre 2008, avendo avuto solo un quarto dei consensi, così come la presidente della Provincia così come il sindaco dell’Aquila. Quest’ultimo come primo cittadino e quindi conoscitore della storia di questa città, avrebbe dovuto battere i pugni sul tavolo: convocare conferenze stampa ogni giorno. […] Arriviamo al 30 marzo: questo un giorno cruciale perché alle 15,35 fa una scossa fortissima, vero che dura poco, però forte, molto forte. L’Ingv dichiara che la scossa era di 4,0 magnitudo (Richter), ma chi l’ha avvertita sembrava che stesse crollando tutto. [...] L’indomani vengo a sapere che alcuni fabbricati del centro storico, la scuola elementare De Amicis e altri edifici pubblici hanno riportato danni, anche seri. A questo punto ti aspetti dalle autorità un intervento serio, uno straccio di piano per una eventuale evacuazione… niente di niente! [...] Arriviamo al 5 aprile, era domenica. Tanto per cambiare scosse tutto il giorno fino a quella delle 22,48: molto forte. Ero su internet a guardare il sito dell’INGV che secondo me pubblicava le scosse con un valore inferiore al reale. Mia madre si spaventò moltissimo e mi chiamò immediatamente. Io la rassicurai dicendole: “In caso di scossa forte devi salire a cavalluccio sulle mie spalle, in modo da uscire più velocemente possibile”. Lei rispose che ormai non faceva più nella notte perché la scossa forte c’era stata. Andò a dormire. Restai sveglio e vestito perché sentivo che quella notte sarebbe successo qualcosa, quando… alle 3,32 sentii un boato e uno scuotimento che arrivava da tutte le parti. […]La nostra casa ci ha salvato la vita, benché lesionata all’interno non è caduta.[...]


Martedì 24 novembre 2009

Nell’immagine in bianco e nero, L’Aquila nel 1982 Nelle altre, la città dopo il terremoto (FOTO GIORGIO STOCKEL)

Appalti milionari due arresti a Pescara Pierpaolo Scarsella, 16 anni

L’Aquila

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di S.F.

INIZIATIVE

MICROCREDITO AQUILANO Ieri ItaliaFutura, l’associazione che fa capo a Luca Cordero di Montezemolo, ha premiato il migliore dei progetti presentati al concorso “Accade domani”: l’idea, che dovrà essere finanziata con i 30 mila euro del premio, è una piattaforma Web per progetti di microcredito da usare per finanziare la ricostruzione dei comuni colpiti dal terremoto a L’Aquila. L’autore del progetto si chiama Raffaele Mauro, 29 anni, dottorato alla Bocconi ed economista di Confindustria, spiega: “Non vogliamo creare una banca o diventare finanziatori, ma diventare un catalizzatore dello sviluppo e mettere in connessione i finanziatori di tutto il mondo per consentire loro di partecipare alla ricostruzione. Perché a L’Aquila il terremoto ha distrutto il tessuto economico, e il rischio è di rendere il territorio dipendente dagli aiuti di Stato in modo strutturale”. L’ambizione del progetto di Mauro, le cui forme tecniche di attuazione devono ancora essere elaborate da ItaliaFutura, è di “velocizzare la ripresa della vita quotidiana” applicando al territorio aquilano le regole del microcredito che funzionano nei paesi in via di sviluppo: concessione di piccole somme per progetti di cui i finanziatori sono in grado di conoscere i dettagli e seguire l’evoluzione, con un monitoraggio costante garantito dal ricorso a Internet che permette anche a chi vuole sostenere la ricostruzione a distanza usando gli strumenti del microcredito che invece richiederebbero la presenza sul territorio.

Giusy e Genny

“LA BUONA FEDE” iusy aveva ventiquattro anni, studiava Ganni,Biotecnologia. Genny aveva ventidue studiava Scienze infermieristiche. […] L’ultima volta che le ho viste era stato venerdì. […] Anche se eravamo in pieno sciame, non vai mai pensare che possa crollare un edificio. […]Siamo passati davanti la stazione: cornicioni caduti, case con crepe, gente per strada, il muro di cinta crollato. Era accaduto qualcosa di grave. Siamo passati in via XX settembre, davanti al tribunale era crollato un palazzo, c’erano dei volontari. Proseguendo davanti alla Casa dello studente, ne vedevi metà. Siamo arrivati a via Campo di Fossa. Ho lasciato la macchina in mezzo alla strada. Sono corso giù e non trovavo il palazzo. Visto che era buio credevo di essermi confuso. Invece non c’era più. Si sentivano tutte voci che gridavano da sotto le macerie. L’edificio era crollato tutto su piazzale Paoli. […] Da quanto ho capito in quell’edificio sono morte ventisette persone. Abbiamo scavato fino alle 6.30-7. Fino ad allora eravamo solo gente comune. […] Comunque, ho provato a scavare, dove in teoria doveva esserci la stanza loro. Mi sono reso conto che non si trattava di macerie grandi, che se spostavi riuscivi a farti largo, ma erano tanti piccoli pezzi. Il palazzo si era sbriciolato, in più c’erano parti ancora pericolanti che potevano cadere addosso. Le scosse continuavano. Quando sono arrivate le ruspe, ci

hanno allontanati e hanno transennato il palazzo. Potevamo assistere, però quando portavano via i corpi non te li facevano vedere. Se l’ambulanza andava verso la Guardia di finanza, dove era stato allestito l’obitorio, le persone erano morte. Se andava verso l’ospedale erano ferite. Ogni volta seguivo con la macchina, questo per due notti. Loro erano disperse, quindi potevano essere da qualche parte. Avevo chiamato tutti gli ospedali d’Abruzzo e quello di Ascoli Piceno, ma non c’erano. La loro macchina era sotto il palazzo. Alla Guardia di finanza non c’era organizzazione. Dicevo: “Non voglio vedere tutti i morti. Ma le mie sorelle”. Quindi potevano escludere tutti gli uomini, i bambini e gli anziani. A gestire questa cosa c’erano degli allievi che avevano certi ordini. Il martedì sera sono riuscito a parlare con un maresciallo, avevo i nervi a fior di pelle, gli ho detto: “Senti un po’, ragiona. Siamo persone, non macchine. Io sono due giorni che non dormo perché non trovo le mie sorelle. Possibile che siete così teste di cazzo. Io voglio solo sapere se sono qui, sono senza telecamere, senza niente. Mi vuoi fare entrare?”. Mi ha fatto indossare la mascherina e i guanti. Sono entrato nell’autorimessa adibita a obitorio. I corpi identificati erano già nelle bare, gli altri erano coperti da un lenzuolo. Lui alzava e io dovevo dire se erano loro. In totale ho visto quattro corpi di ragazze, due erano Giusy e Genny.

ria storica e architettonica dei luoghi terremotati (memoria che solo gli abitanti possono avere) e nello stesso tempo recepisca le più moderne tecniche antisismiche. Ecco allora che, contando su un imponente archivio delle emergenze architettoniche abruzzesi, saranno organizzati corsi di studio per ragazzi e corsi specialistici per studenti universitari, anche stranieri (c’è già l’interesse del Politecnico di Dresda e delle università di Cordoba, Buenos Aires e Ankara). Giorgio Stockel, docente di Architettura alla Sapienza di Roma, e Giuseppe Tosti, presidente dell’Associazione perugina “Sisto Mastrodicasa”, si occuperanno poi di realizzare campus per giovani architetti e ingegneri. “Ogni edificio ha una malattia diversa – spiega Stockel – e necessita di una cura diversa. Gli studenti li analizzeranno e offriranno gratuitamente al comune interessato un progetto per la ricostruzione”. Si tenterà infine un recupero delle maestranze locali: “Il vecchio capomastro, per intenderci – prosegue Ardizzola – dovrà trasmettere la capacità tecnica di realizzare le strutture antiche, confrontandosi con ciò che una struttura antisismica deve avere”. Prima di approdare a San Benedetto in Perillis, il gruppo che fa capo a Musaa ha tentato di entrare a L’Aquila. “Ci è stato impedito – rispondono in coro Ardizzola e Stockel – e infatti quello che gli aquilani lamentano è che qualcuno si sta impadronendo della loro città senza che nessuno possa metterci bocca.

Antonio Perrotti

“IL FAVORE” Antonio Perrotti, architetto della regione Sponeono Abruzzo. […] Dal 2000 la legislazione nazionale il problema della revisione del vincolo sismico e della sua classificazione, e obbliga gli enti locali a fare un censimento degli edifici strategici. Rispetto a questi nuovi adempimenti la regione (forse condizionata dalle lobby dei costruttori) non ha dato seguito all’adeguamento, lasciando a rischio due (cioè minore!) sia l’aquilano che l’Alto Sangro. […] Non si è proceduto all’adeguamento del patrimonio edilizio esistente, nemmeno degli edifici strategici, cioè di quelle strutture che (come la Prefettura, la Regione l’ospedale, il Comune, la Provincia), in caso di sisma, sono tenute a coordinare soccorsi e interventi. Il 6 aprile, in questo territorio, a dimostrazione della fatiscenza politico-istituzionale, abbiamo avuto il crollo fisico di tutti gli enti, i quali non hanno potuto coprire il ruolo a cui erano chiamati dall’emergenza. Non si è fatta prevenzione, né si è avviato un sistematico programma di riqualificazione sismica del nostro patrimonio edilizio. Nonostante ci fosse una scheda progetto già nel programma Ape, che predisponemmo nel 1998. Il progetto prevedeva l’adeguamento del patrimonio sismico dell’Appennino attraverso una grande azione organica e finanziariamente supportata, ma la regione e la direzione Llpp non si sono mai concretamente attivate in tal senso. [...]Il terremoto ogni volta viene a mettere a nudo meschinità umane, errori e superficialità tecnologiche. In particolare a L’Aquila ha messo in evidenza grandi errori del passato. Ha distrutto invadenti edifici (palazzi di cinque o sei piani, da Porta Napoli fino al convento delle suore di Santa Chiara) che erano nel pomerio urbano, tra la parte antica della città e le mura, posizionati su un versante

APRILE, ORE 3,32. Sono passati ormai otto mesi dal tragico evento che ha portato la distruzione di un intero capoluogo, con centinaia di morti e un patrimonio artistico tra i più belli d’Italia, perduto. L’Aquila, durante tutti questi anni, era stata una modesta cittadina, in cui raramente si sentivano fatti di cronaca incresciosi. Ora la situazione si è davvero stravolta. Ieri sono finiti in manette l’amministratore delegato della Fira Servizi, Claudio D’Alessio, e l’ex assessore regionale al Lavoro, Italo Mileti: l’accusa nei loro confronti è di millantato credito per illecita intermediazione verso pubblici ufficiali. Secondo l’accusa, avrebbero agito da mediatori per pilotare l’aggiudicazione di un appalto da 15 milioni di euro. Fortunatamente dall’intera vicenda terremoto è emersa la vera coesione degli aquilani: su Facebook è stato creato un palloncino della solidarietà che ha visitato più di 60.000 posti, simbolo della solidarietà di chi ci appoggia. Piccola cosa, se si pensa a tutte le donazioni che L’Aquila ha ricevuto dai progetti di beneficenza, il disco “Domani”, inciso dai 56 artisti , il concerto “Amiche per l’Abruzzo”, quello di Roma, e tutti gli altri eventi benefici. La situazione nel capoluogo immerso tra gli Appennini è promettente: il 65%-70% delle abitazioni degli sfollati è pronto e circa il 90% degli sfollati ha comunque una sistemazione in cui poter vivere. Rimane un dubbio: che fine faranno le persone che vivono ancora nelle piccole tende blu da più di otto mesi, e che ancora non hanno ricevuto una sistemazione adeguata? Per fortuna l’economia aquilana è in lieve incremento: molte attività commerciali stanno riaprendo, anche se la ripartenza è debole, a volte a causa della burocrazia. Qualcosa si è mosso, ma rimangono ancora molti ostacoli: l’Università dell’Aquila non ha ancora ricevuto l’approvazione da parte del presidente della regione, Gianni Chiodi, nell’esonerare gli studenti dalla tassa regionale, ormai l’unica rimasta ancora in uso, poiché le altre sono state congelate dal ministro Gelmini per tre anni. Inoltre è cominciata la ricostruzione delle scuole superiori, che erano rimaste danneggiate dal sisma.

acclive, risultato di antichi riempimenti, quindi un terreno inaffidabile. Ci sono evidenti responsabilità: quando si è approvato il progetto, quando si è sottovaluto il problema dei terreni di fondazione, quando in sede di scavo si sono scoperti terreni diversi da quanto previsto sulla carta senza adeguare la stessa fondazione. Per quanto riguarda la ricostruzione è stata imposta nel vuoto istituzionale di regione, èrovincia e comune la via pesante tutta immobiliarista e neoinfrastrutturalista. La vera partita economica per la ricostruzione se la sono giocata con il Piano C.A.S.E. I soldi certi per la ricostruzione, 400 milioni per il 2009 e 300 per il 2010, sono stati destinati alle venti aree che ospiteranno, nella periferia del comune, i 4500 moduli abitativi. È stata fatta una variante generale al piano regolatore per circa 200 ettari di nuove previsioni residenziali, fatta in 24 ore, senza nessuna consultazione democratica o “inchiesta pubblica”, soprattutto senza l’obbligatoria valutazione di impatto ambientale, e, senza una “intesa” vera con la regione. Non è stata fatta una valutazione degli effetti socioeconomici, urbanizzativi e sociali. Ad esempio porteremo 1600 persone a Pagliare di Sassa, 1800 a Cese di Preturo, sconvolgendo piccole frazioni, tessuti sociali, realtà consolidate, solidarietà familiari che esistono da anni. [...] Ci saranno costi elevati per garantire alle 20 aree [...] un adeguato livello di servizi: bisognerà portare: luce, acqua, gas, asili nido, trasporto pubblico (costi già oggi insopportabili per il nostro vasto e dispersivo comune). Ci è stato detto che la ricerca delle aree era il frutto di una scrupolosa ricerca geologica e sismica di una vera e propria “microzonazione”. Un grande bluff. Abbiamo potuto constatare che le previsioni sono state localizzate su terreni argillosi come a Bazzano, o su terre a falda superficiale come a Sassa e Preturo. Sono stati errori che ci ritroveremo in futuro con tutti gli interessi.


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Martedì 24 novembre 2009

DAL MONDO

LA CHIESA USA VA ALLA CROCIATA CONTRO KENNEDY Patrick Kennedy (a destra), con Nacy Pelosi, presidente della Camera (FOTO ANSA) di Marco Politi

olpirne uno per educarne migliaia. Monsignor Thomas Tobin, vescovo di Rhode Island, deve aver pensato così quando ha negato pubblicamente la comunione a Patrick Kennedy, figlio di Ted. La sua colpa: essere pro-choice, cioé favorevole alla legislazione che permette l’aborto. Il gesto clamoroso, mirante a colpire i politici cattolici che sostengono la libertà di scelta della donna, segna all’interno della gerarchia cattolica americana uno slittamento verso il fondamentalismo nel rapporto con la politica. È presto per dire se la maggioranza dei presuli sia pronta a condividere la decisione di Tobin. Certamente si sta consolidando all’interno dell’episcopato statunitense una minoranza combattiva convinta della necessità di passare dalla formazione delle coscienze a gesti punitivi contro i politici, che non seguano le direttive della Chiesa nelle questioni che Benedetto XVI definisce “non negoziabili”. Negare la comunione è un gesto duro. Una sanzione sostanzialmente ad un passo dalla scomunica. Giustificabile soltanto se l’autorità ecclesiastica negli Stati Uniti e altrove decidesse di seguire una linea di rigorismo assoluto in tutti i settori e senza riguardi per nessuno. Nei giorni scorsi in Italia il segretario della Cei ha definito i mafiosi automaticamente fuori dalla “comunione ecclesiale” e quindi sco-

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municati, ma non è partita l’indicazione di negare ai capiclan – generalmente noti – l’eucaristia davanti a tutti. Così il gesto di monsignor Tobin assume un significato prevalentemente politico. Un’avvisaglia si era avuta ai funerali di Ted Kennedy, naturalmente celebrati religiosamente come si conviene a una storica famiglia irlandese. Si alzarono voci prelatizie, che lamentarono la concessione dei riti ecclesiali a un pubblico peccatore in quanto fautore del diritto di abortire. Già in occasione delle elezioni presidenziali del 2008 e del 2004 l’ala dura dell’episcopato americano aveva premuto perché venissero contrastati pubblicamente i candidati favorevoli alla legislazione abortista. Tuttavia nelle competizioni che videro in primo piano da parte democratica John Kerry e in seguito Obama, entrambi pubblicamente pro-choice, il Vaticano ha tirato il freno per evitare uno scontro aperto tra Chiesa e mondo politico. Appare qui una differenza basilare tra il fondamentalismo protestante e il neo-fondamentalismo di alcuni settori cattolici. Nella tradizione dei movimenti evangelical il rapporto è essenzialmente tra il fedele e Dio e quindi anche quando esercitano forti pressioni politiche per varare o impedire un certo tipo di leggi, questi gruppi agiscono secondo il consenso che riescono a mobilitare. Nella Chiesa cattolica, invece, vige il prin-

Negata la comunione a Patrick, colpevole di essere pro-aborto cipio di autorità. E allora l’atto di concedere o negare un sacramento a un politico per piegarlo a tenere un certo comportamento in parlamento appare immediatamente come interferenza dell’autorità ecclesiastica nella vita delle istituzioni. Nell’iter tormentato della riforma sanitaria voluta da Obama l’atteggiamento della gerarchia cattolica statunitense è certamente contrassegnato da una nuova aggressività politica. I vertici ecclesiastici americani non fanno mistero di far dipendere il loro appoggio al presidente (già indebolito per la feroce opposizione dei repubblicani e delle lobby assicurative) dall’inserimento nel progetto di legge di clausole che vietino i finanziamenti pubblici alle interruzioni di gravidanza. Sullo sfondo si staglia la “dottrina Ratzinger” espressa con estrema chiarezza dall’allora cardinale, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede in un documento pro-

La decisione del vescovo Tobin vuole dare il “buon esempio” contro tutti i liberal americani

Obama, i malati in bancarotta e le “free clinics” di Angela Vitaliano New York

aria Zuccarello ha 36 anni, 20 interM venti chirurgici alle spalle e la risolutezza di chi vive quotidianamente le difficoltà di un sistema sanitario spesso disumano, in cui tutto è affidato alle decisioni di assicurazioni private che hanno come unico obiettivo il profitto. Il loro, ovviamente. Maria è affetta da due rarissime sindromi: quella di Goldenhar, caratterizzata dallo sviluppo insufficiente dei tessuti del volto con problemi soprattutto all’orecchio, alla mandibola, alla bocca e con complicazioni vascolari e quella di Klippel-Fell che colpisce il collo (più corto del normale) e le vertebre. Sin da piccola, gli ospedali sono stati la sua seconda casa e le assicurazioni sanitarie l’incubo dei genitori. Maria, insegnante specializzata per i bambini disabili, da mesi segue con trepidazione il faticoso cammino della riforma sanitaria che l’amministrazione sta cercando di far approvare dal Congresso. Sabato notte, dopo la votazione al Senato che ha dato il via libera all’avvio del dibattito, evitando il pericolo di una serie infinita di rinvii, ha scritto sulla sua pagina di Facebook “Che sollievo! Ora il prossimo ostacolo:

forza democratici”. Perché la verità è che, sebbene ad un passo dal traguardo, la riforma potrebbe essere ancora rigettata cancellando per decenni la speranza di un sistema più equo. I repubblicani non sono ancora disposti a capire, come suggerisce Obama, che questa è la storia e, purtroppo, molti decoratici minacciano un dietrofront se non si esclude l’opzione pubblica, troppo socialista. Maria, però, non smette di sperare. “Mio padre, un immigrato italiano – racconta – dopo molte ricerche per trovare un programma adatto alle mie esigenze, trovò il Major Risk Medical Insurance Program, i cui premi sono astronomici e impraticabili per la maggior parte degli americani. Loro hanno coperto quasi tutte le mie necessità consentendomi di proseguire regolarmente gli studi e laurearmi”. Per quelli meno “fortunati” (economicamente) di Maria, esiste il Medi-Cal, un programma governativo che copre i costi sanitari costringendo, però, spesso, gli assistiti ad attese addirittura di anni per il semplice riconoscimento di un paio di occhiali o di una sedia a rotelle. Oggi, poi, che Maria è sposata e non è più “coperta” dall’assicurazione di suo padre, si trova a percorrere un cammino ancor più complicato, fatto di rinvii e scartoffie da com-

mulgato nel 2003. Nel testo, soprannominato il Manuale dei politici cattolici, Ratzinger affermava che “nessun fedele può appellarsi al principio del pluralismo e dell' autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali”. Aborto, eutanasia, tutela dell’embrione, famiglia monogamica e scuola cattolica. Il piccolo Sillabo aggiungeva che sarebbe un errore confondere la

giusta autonomia dei cattolici in politica “con la rivendicazione di un principio, che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa”. Dunque, statuiva il futuro pontefice, non esiste spazio di valutazione per il legislatore cattolico “quando l'azione politica viene a confrontarsi con principi morali, che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno”. Monsignor Tobin, con il suo veto, ha le spalle coperte.

IL POLITOLOGO USA

LA SFERA DI CRISTALLO DI SABATO

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arry Sabato ha il volto mobile e illuminato dei comici e la parlantina tagliente e divertita a metà tra il politico e lo showman: questo, insieme alla preparazione e a un team agguerrito, fa di lui il più influente e ascoltato politologo americano. Il suo sito “Christal Ball” che monitorava le ultime elezioni Usa è stata la rivelazione del 2008 e su quell’onda il professore della University of Virginia ha iniziato a prevedere il grande gioco elettorale di Mid Term, il voto che coincide con il metà mandato di Obama e che rinnova parte del Congresso e i governatori di parecchi Stati. Nel suo intervento al Centro studi americani di Roma ha spiegato come “Obama ha già in mano la vittoria nel 2012, ma è meno certo di un successo del suo partito, visto che alle sue spalle i democratici sono meno compatti di quel che può sembrare e lui non è stato al momento capace di portare i repubblicani - seppur divisi da guerre intestine - a votare per le sue iniziative. Ma i suoi non mancheranno di far avere l’appoggio decisivo sulla riforma della Sanità, memori del disastro politico che fù lo smacco subito dai Clinton nel ‘94 sullo stesso tema. Il prossimo scoglio sarà l’Afghanistan, archiviato l’Iraq che non è più un tema di rilevanza politica interna. Ma se va tutto bene, potrà addirittura tentare di ‘vendere’ il ritiro da Kabul nella campagna presidenziale del 2012”. (S.C.)

pilare che rendono tutto estremamente frustrante. “A volte penso che se non passa il piano di riforma – dice Maria – mi trasferirò in un altro paese dove potrò curarmi senza preoccupazioni. Avendo la doppia cittadinanza, mi piacerebbe l’Italia ma, lì, la situazione economica e politica è troppo negativa ora”. Quella di Maria, purtroppo, è solo una storia fra le centinaia di migliaia che confermano l’assurditaà di un Paese in cui ammalarsi significa spesso fare “bancarotta”. “Dopo una giornata passata in clinica è stato difficile per me ricordarmi che fossi in America” dice Rich Stockwell, produttore della trasmissione della Msnbc Countdown che sta aiutando a raccogliere fondi per l’apertura di nuove free clinic, strutture gratuite che sopravvivono grazie al lavoro volontario di medici e infermieri e che stanno diventando l’unica salvezza per americani che da anni non si sottopongono nemmeno a un esame del sangue. L’83% dei pazienti che si rivolgono a queste strutture hanno un lavoro e pagano le tasse ma non possono permettersi un’assicurazione. La National Association of Free Clinic, fondata a Washington nel 2001, coordina il lavoro di oltre 1200 free-clinic sparse su tutto il territorio nazionale.

N INDIA

Lanciato vettore atomico

L’

India ha lanciato per la prima volta dopo il tramonto un missile Agni II, capace di trasportare testate nucleari, per dimostrare che il vettore ha capacità ognitempo. Il test è avvenuto mentre il premier indiano Manmohan Singh si trova negli Usa per colloqui con il presidente Obama.

BRASILE

“Battisti chieda asilo politico”

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l ministro della Giustizia del governo Lula, Tarso Genro, ha suggerito la possibilità di una nuova concessione dell’asilo politico a Cesare Battisti, con nuove motivazioni rispetto a quelle negate dal Supremo Tribunal Federal: “Battisti è libero di presentare nuovi fondamenti per una seconda richiesta di asilo politico in Brasile”.

ROMANIA

Voto: Badescu in vantaggio

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l presidente uscenteTraian Basescu è in testa al primo turno delle elezioni presidenziali con un vantaggio di 4 punti rispetto al suo avversario di sinistra Mircea Geoana, con il quale andrà al ballottaggio il 6 dicembre. Lo rivelano i risultati ufficiali parziali. Basescu è primo con il 32,5% dei voti, seguito dal socialdemocratico Geoana con il 30,7% e dal liberale Crin Antonescu con il 20,78%.


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DAL MONDO

L’UOMO DI COPENAGHEN

Ban Ki-moon, il burocrate coreano che gioca tutto sul vertice climatico in Danimarca per fermare il declino dell’Onu di Giancesare Flesca

aragonandone il look con quello algido ed elegante del suo predecessore, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki moon non ci fa una gran figura. Tanto carismatico era (o cercava di essere) Kofi Annan, quanto scialbo e burocratico è il diplomatico sud coreano che dal 2007 ha le chiavi del Palazzo di Vetro. In patria era stato ministro degli Esteri due volte, prodigandosi per la riconciliazione con la Corea del Nord. Ma il suo debutto sulla scena internazionale è stato, come dire, un po’ fantozziano. Dopo aver lanciato nel 2006 la propria candidatura alla segreteria generale dell’Onu, ricevendo dalle diplomazie spallucce e liquidazioni sommarie, ha avuto

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una pensata. Come ministro degli Esteri sud-coreano ha visitato i 15 paesi che all’epoca facevano parte del Consiglio di Sicurezza. A ognuno ha promesso, in cambio dell’appoggio alla propria candidatura, favori e contratti miliardari con il regime di Seul. Così è riuscito a farsi molti amici ed ha ottenuto l’ambita carica. Del resto, Gerge W. Bush lo aveva discretamente sostenuto, ricordando gli sforzi da lui compiuti per mandare truppe sud-coreane in Iraq. Ma appena eletto ha commesso la sua prima gaffe. Plaudendo all’esecuzione di Saddam Hussein, spiegò che ogni Stato, in fatto di pena di morte, ha le sue regole. Fu una bomba. Da decenni l’Onu si batte contro la pena di morte e due anni fa ha ottenuto una prima vittoria con la “moratoria” dei

delitti di Stato. E il nuovo segretario dell’Organizzazione lasciava all’arbitrio delle singole nazioni la scelta fra vita e morte? Incredibile. Ban Ki moon capì di averla fatta grossa, si affrettò a smentire, a dirsi frainteso e la cosa finì lì. “Sono un uomo di integrità”, dichiarò lui nell’occasione, negando anche i giochi di potere che aveva ordito grazie al potere economico sud-coreano durante la corsa all’Onu. Per confermare la spinta di energia ottenuta dal Palazzo di Vetro col suo avvento, il primo provvedimento fu la richiesta di portare i carnefici di Pol Pot davanti al Tribunale Speciale che il governo cambogiano e l’Onu avevano istituito nel 2006. A metà 2007, altra gaffe. Segretamente il nostro eroe aveva stabilito un accordo di collaborazione fra Onu e Nato. Quando la cosa si riseppe, Mosca fece fuoco e fiamme. Pensando di raffreddare la polemica, Ban Ki confessò che l’intesa stipulata stabiliva che la Nato non era solo una forza militare regionale, ma anche il naturale sostituto

dell’Onu in tutti gli affari legati alla sicurezza internazionale. Il rappresentante russo all’Onu Rogozin parlò d’“indignazione” non solo di Mosca ma anche di molti altri paesi, ventilò le dimissioni di Ban Ki, visto che le sue erano “azioni vergognose”. In verità le vergogne delle Nazioni Unite sono molte altre. La più grave è la Monuc, quella dei 16mila peacekeeper mandati in Congo al costo di un miliardo di dollari l’anno. I caschi blu si sono distinti in questo periodo per inefficienza, azioni illegali come lo stupro e l’aggressione alla popolazione civile che conta centinaia di migliaia di profughi. La più clamorosa contestazione contro i peacekeeper avvenne nel settembre 2008 a Dungu, città devastata dai guerriglieri di uno dei signori della guerra della regione, ricca di petrolio e diamanti. Dopo la distruzione della cittadina, migliaia di persone si accalcarono attorno alla sede Onu, dove i caschi blu erano rimasti fermi senza intervenire. La sede fu distrutta e stessa sorte toccò alla sede dell’Ocha,

l’agenzia Onu che si occupa di aiuti umanitari. Questo e molti altri scheletri si trovano nei documenti del Palazzo di Vetro. Riuscirà ora il modesto coreano a ripulire l’immagine delle Nazioni Unite? Chissà. Per ora ha deciso di cavalcare con tenacia la tigre ambientalista, in vista anche del vertice di Copenaghen,

considerato dall’Onu l’ultima speranza per salvare il pianeta dall’inquinamento. Per dimostrare la sua fede “verde” pochi mesi fa è andato di persona a sorvegliare lo scioglimento dei ghiacci nell’Artico. Una missione da tutti condivisa a buon prezzo, e palesemente senza troppi pericoli.

Controver tice

SOFFIA IL VENTO DEGLI ECO NO-GLOBAL obiettivo è quello di replicare l’attenzione che le orL’Unganizzazioni sociali ebbero durante il G8 di Genova. movimento trasversale - e mondiale - di attivisti si sta

organizzando per darsi appuntamento a Copenaghen, durante il vertice per l’ambiente che dovrebbe ridisegnare gli accordi sul cambiamento climatico, ma rimane appeso alle decisioni del G2, il duo Stati Uniti-Cina. Il loro sito di riferimento è climate-justice-action.org dove sul quale campeggia la scritta: “Il tempo è arrivato: Bisogna attivarsi”. Sono già pronte azioni spettacolari in stile Greenpeace e la logistica per accomodare i partecipanti a quello che si prepara come un vero proprio contro-vertice. “Il Cja - il testo dell’appelo - è un network globale di persone e gruppi che vogliono mobilitarsi per sventare la terribile catastrofe del cambiamento climatico. Tra gli obiettivi, "affermare la voce delle popolazioni indigene minacciate dalla crisi ambientale, promuovere il rispetto della biodiversità” e soprattutto “rendere evirmai c’è (quasi) unanimità tra gli scienziati sul riscaldenti a tutti le falsità di una damento globale: bisogna darsi da fare, e in fretta, per soluzione al cambiamento contrastare l’aumento di gas serra e lo scioglimento della climatico basata sul domicalotte artiche - è tornato a farsi vivo El Nino, come viene nio delle corporation”. I vachiamato il fenomeno di riscaldamento del Pacifico. Ma ri gruppi dicono di avere un episodio raccontato dal New York Times accende un opinioni e tattiche diverse. luca sinistra sulla comunità dei climatologi. I contenuti di “Noi rispettiamo le diffeBan Ki moon (a sinistra), 65 anni durante sua spedizione al Polo (F ) centinaia di messaggi di posta elettronica sui cambiamenrenze ma nessun membro ti climatici, rubati ad un server di un’Università britandel network criticherà o si nica, la University of East Anglia, dimostrerebbero un interdissocierà dalle azioni degli BUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline vento degli scienziati per esagerare il fattore umano altri”. È la prima volta di un nell’effetto serra e indicherebbero che alcune scoperte contro-vertice sull’amsono state occultate . Gli scienziati coinvolti nello scanbiente. Rispetto al G8, pedalo si sono giustificati parlando di un “linguaggio improrò, la mobilitazione è ancoL’ultima frontiera della realtà prio” e di fraintendimenti. Phil Jones della East Anglia Cliin cui la pelle reale tocca la virtuale ra sotto traccia. (fed. mel) Che accade se incroci un altoparlante, mate Research Unit, in una mail utilizza parla di un “trick”, e l’Airborne Ultrasound Tactile una consolle per videogiochi Wii e un trucchetto, messo a punto da un altro scienziato per elaDisplay spara fasci di ultrasuoni sul proiettore di immagini borare i suoi dati e “nascondere il calo delle temperature”. punto di contatto dando una tridimensionali? Accade che puoi Il destinatario della mail, il professore Mann della Pennsylsensazione tattile precisa. E può vedere una persona, reale o vania State University, si giustifica dicendo che il termine, variare di intensità trasmettendo immaginaria, e quando ti tocca sentire nel lessico scientifico, ha il una gamma di illusioni di contatto la sensazione delle sue dita. significato di “espediente con oggetti reali. La mano si sposta Impossibile? A breve lo si potrà tecnico” per la risoluzione e gli ultrasuoni la seguono con gli acquistare al supermercato: si chiama di un problema. L’incidenocchi della Wii: la sensazione di Touchable Holography. Si tratta di 3 te, comunque, non ha intoccare qualcosa di solido macchine che funzionano fluito sulle opinione della permane. La scoperta è del simultaneamente: la tecnologia Wii comunità scientifica che professor Shinoda dell’Università localizza i movimenti; quando si vede conferma la pericolosità di Tokyo. ono ormai un classico, Ma la mano dell’uomo non l’immagine ologrammatica e si dei gas serra e del riscalda(di Jacopo Fo, Simone Canova, esempio dei già avvenuti è solo all’origine della coloavvicina la mano, la Touchable mento globale. (fed. mel.) Maria Cristina Dalbosco, Gabriella mutamenti climatici: dal nia dei pappagalli monaci Holography individua l’esatto istante Canova) 2007 si moltiplicano le se- dal piumaggio per lo più gnalazioni e gli avvistamen- verde smeraldo, ma anche ti dei pappagallini verdi nei della loro persistenza e sogiardini di Roma. Coppie pravvivenza nell’inverno IL SUMMIT ormai moltiplicate espo- romano. I frequentatori asnenzialmente di esemplari sidui dei parchi capitolini di parrocchetto, gli uccelli- sostengono che anche solo ni tropicali che svernano da fino a dieci anni fa i pappaun paio d’anni tra gli alberi gallini non sarebbero sodi Alessandro Cisilin delle ville della Capitale. pravvissuti ai rigori degli in20% delle emissioni di gas serra, aumen- lo non sono solo i denari, ma anche le C’è chi si stupisce, chi s’in- verni romani, e che sarebto dell’efficienza energetica del 20% e richieste di Cina e India di una cosa che openhagen si avvicina ma l’Europa raggiungimento del 20% di fonti alter- all’Occidente non piace: la liberalizzadigna per la specie straniera bero stati costretti a migraancora non c’è. I ministri dell’Am- native), elevabile al 30% se gli altri fa- zione dei brevetti nell’economia verde. (origini: Asia, Africa, Ocea- re a sud. Adesso invece gli biente dei 27 si sono ritrovati ieri a Bru- ranno lo stesso. Ai fatti però anche l’Eu- I ministri europei si sono quindi limitati nia) che minaccia l’habitat ultimi inverni sempre più xelles per un vertice straordinario in vi- ropa si è fermata. delle specie endogene. a ribadire l’auspicio di “un accordo ammiti e dalle rare giornate rista del summit globale sul clima del 7 Il Consiglio ha calcolato il mese scorso bizioso”, mentre Obama, dopo il flop Gli altri animali autoctoni gide hanno dimostrato che dicembre in Danimarca. La presidenza in 100 miliardi di euro l’anno la cifra ne- dei suoi colloqui a Pechino, fa sapere di hanno imparato a convive- il tempo è cambiato, e che svedese di turno, sulla scia dei comuni- cessaria ai paesi emergenti per adeguar- non aver neppure deciso se a Copenhare con i nuovi arrivati - i cui non è stato necessario che cati in arrivo da Parigi, Berlino e Londra, si ma, quando si è trattato di definire la gen ci sarà. primi casi sono stati regi- gli uccellini si evolvessero accelera alla ricerca di una strategia ne- quota del contristrati un paio di anni fa e mutando il piumaggio. Così goziale capace di perorare la leadership buto europeo, i caavrebbero origine da alcuni colonie di parrocchetti soeuropea nel settore e preparare il do- pi di governo si soesemplari (forse una cop- no ormai divenute stanziali po-Kyoto, in scadenza nel 2012. Le pa- no congedati, propia iniziale di Adamo ed Eva anche più a nord, a Milano, role a Bruxelles sono belle, a iniziare dal- vocando ieri la alati) sgabbiati da qualche ma anche in Olanda e Gran la formula lanciata due anni fa dalla can- “domanda di chiapadrone annoiato. Bretagna. (S.C.) celliera tedesca Angela Merkel del rezza” da parte “20-20-20” (riduzione entro il 2020 del dell’Onu. E in balOTO ANSA

Da due anni al timone delle Nazioni Unite sempre più in crisi di credibilità

CLIMATOLOGI DIVISI tra apocalittici e scettici O

TOCCARE QUEL CHE NON C’È

PAPPAGALLINI ROMANI

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L’EUROPA ALLA RICERCA DEL TEMPO (E DI SOLDI)

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La formula magica 20-20-20 sulla riduzione dei gas serra è inapplicabile senza fondi miliardari


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Martedì 24 novembre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CATTIVE ABITUDINI

In manette il patron del Potenza

Siena Al posto di Marco Baroni, in panchina Malesani

Lula Il brasiliano vuole il match tra Israele e Palestina

Balotelli Campagna trasversale per Supermario in Nazionale

Claudia Mori Alla Ventura: “Scorretto dire che è il peggior X Factor”

FUORI GIOCO TORNA IL CALCIO SCOMMESSE di Antonio Massari

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afia: questo era diventato il calcio a Potenza. Lo “sport” raccontato dalla cronaca giudiziaria, e non da quella sportiva, risponde agli schemi del Codice penale e nelle 130 pagine firmate dal giudice Rocco Pavese si legge chiaramente: “Gestione mafiosa della società sportiva”. Gli atti raccontano d’un pallone che rotola tra minacce e partite truccate, di campionati stravolti, dalla Serie B fino alla Prima divisione, quella più nota come Serie C. Nello stadio “Viviani” si doveva soltanto applaudire. In queste pagine persino gli ultras restano muti. Anzi: zittiti se, e quando, vogliono contestare. E poi pezzi di società che investono sulla propria squadra, con la partita “conquistata” a tavolino, e così ci guadagnano pure quando si decide che il Potenza deve perdere. Di sportivo qui non c’è più nulla. Siamo in pieno “fuori gioco”. Ma il peggio è l’ombra della malavi-

ta, della “gestione mafiosa”, perché sullo sfondo, oltre gli spalti, s’intravvede l’usura, la gestione illecita dei videopoker, si sente il puzzo delle auto incendiate e se c’è traccia di sudore, è quello freddo di atleti e dirigenti, spaventati da parole chiare e precise e da messaggi anonimi. E infine, le collusioni con la politica, mirate a scalare un’altra, ben più ghiotta classifica: quella dei fondi pubblici europei. Questo era il calcio a Potenza sotto la gestione del presidente Giuseppe Postiglione, ventisette anni appena, molto determinato a farsi strada, ma con metodi poco sportivi, tanto da affidarsi a un boss della malavita, Antonio Cossidente, esponente di spicco dei “Basilischi”: la mafia lucana.

una partita. Un pm della dda lucana, Francesco Basentini, ha ricostruito l’andamento di otto partite che appaiono truccate. Parliamo del campionato 2007-2008 di Serie B e C1: incontri nei quali non giocava soltanto il Potenza. Li elenchiamo: Perugia-Potenza, Arezzo-Massese, Taranto-Sangiovannese, Ravenna-Lecce, Gallipoli-Crotone, Pescara-Pistoiese, Massese-Taranto e Sanbenedettese-Potenza. Puntando su queste partite, l’associazione per delinquere, ha vinto grosse cifre. Come potevano

li investigatori, indagando, Gmessaggi scoprono una serie di strani inviati a qualche calciatore. Al portiere della Juve Stabia, per esempio, il 20 marzo 2009 giungono due sms, entrambi inviati da una cabina telefonica. Il primo: “Quattro li lasci e

ste dei tifosi sulla figura del presidente Postiglione: anche in questo caso la presenza e la forza intimidatrice del “boss” Cossidente veniva subito alla luce”. Incontro Potenza-Salernitana: “Il risultato (0-1, ndr)”, scrive l’accusa, “venne sostanzialmente “venduto” alla squadra salernitana, che gareggiava per la promozione in Serie B, in cambio di

L’arresto di Giuseppe Postiglione, presidente del Potenza calcio, nell’ambito di un’inchiesta sul calcio scommesse (FOTO ANSA)

no accusati a vario titolo, con altre sette persone, di associazione per delinquere finalizzate alle frodi nelle competizioni sportive, truffa e violenza privata. E pensare che nel 2006, Postiglione, s’era conquistato la fama del più giovane presidente d’Italia, aveva portato a Potenza il primo vero “terzo tempo” della storia del calcio, ovvero il tempo concesso al fair play, alle buone maniere che uniscono, nello spirito sportivo, gli avversari sul campo. Ora si scopre che minacciava la squadra del Gallipoli, colpevole di non voler perdere a tavolino

la vittoria della partita”. Alcuni calciatori, prima dell’incontro saranno picchiati in albergo. La partita finirà 3-2 per il Potenza. e mire del presidente, e Lquere, dell’associazione per delinperò, non si limitavano al

di M.P.

ZOLFO, PALLONI E MISTERI eleam, atto secondo. Dopo il tentativo di acquisto del Gallipoli in estate, ecco il Bari. I Matarrese sono stanchi. Trent’anni da travet tra politica e pallone sono tanti. Così l’azienda bitontina, un’attività di servizi e consulenza sulla sicurezza nei luoghi di lavoro al centro dell’inesausto pozzo della certificazione aziendale, con potenze come Bonduelle, Bosch e Motta tra clienti e più di qualche grana giudiziaria in seguito alla tragedia molfettese del “Truck centre” (5 morti nel marzo 2008 per esalazioni di zolfo in un’auto cisterna), si è fatta sotto.

retrocessione, mentre il Gallipoli è vicino ai “play off”, ovvero a un soffio dalla promozione in B, in compagnia di Salernitana e Perugia. “Il pomeriggio del 3 aprile 2008, il patron del Potenza, proponeva ai rappresentanti della squadra antagonista di concludere l’incontro con il risultato di zero a zero. La dirigenza del Gallipoli calcio, però, manifestava l’intenzione di vincere il match. Postiglione, esacerbato dal rifiuto, disponeva violente azioni intimidatorie finalizzate a estorcere il risultato finale e assicurarsi

“Gestione mafiosa della società sportiva”: l’indagine svela partite truccate e minacce

Postiglione e Cossidente Idelerisono stati arrestati su richiesta pm Francesco Basentini. So-

APPUNTI

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conoscere l’esatto risultato in anticipo, si chiede ora l’accusa, che sospetta forti brogli e ritiene che gli indagati, con questo sistema avrebbero incassato circa 400 mila euro. La Figc ha chiesto alla procura di acquisire gli atti.

All’epoca trattò Pasquale Bacco, ex assessore comunale a Battipaglia con l’Udeur, poi candidato a sindaco di Bitonto nel 2008 con La Destra di Storace, oggi l’avvocato Raffaele Di Monda. Offerta tra i 12 e i 15 milioni di euro. Voglia di investire, senza dubbio. Al Bari Calcio, però, secondo l’ad Salvatore Matarrese jr, sono giunte solo parole. “Ci siamo visti dopo aver chiuso la vicenda con l’americano Burton. Ho ringraziato e li ho invitati a fare tutto in maniera riservata”. Richiesta disattesa. “Diciamo che la Meleam, ha anticipato”. Les jeux sont faits. O forse no.

quaranta li prendi”. Il secondo: “Quaranta polpette (per gli investigatori 40 mila euro, ndr) sono buone e chiama chi sai tu”. Le minacce raggiungono anche l’ex direttore sportivo delle giovanili del Potenza, Rocco Quaratino, che viene costretto a rassegnare le dimissioni. Riceve i seguenti sms: “Non ti è bastato l’avvertimento ultimo, stai lontano da me e dal calcio”. Oppure quello del 7 gennaio 2009: “Fai il duro perché sei protetto dai carabinieri, ma presto pagherai tutto infame di merda”. Anche la tifoseria ha i suoi problemi: il controllo violento sulla tifoseria e le minacce ai tifosi. “La strategia del clan era quella d’intervenire in maniera chiara e decisa quando si profilavano le prime prote-

150 mila euro”. Ecco cosa accade. “Postiglione e il suo gruppo”, continuano gli inquirenti, “hanno combinato a tavolino con la dirigenza della squadra campana (…) la vittoria della Salernitana, ottenendo un ‘premio a nero’ di 150 mila euro”. Continua il pm: “È certo che, attraverso gli stratagemmi delinquenziali usati, il Potenza ha ottenuto la sua salvezza nel campionato di C1, la Salernitana una promozione di fatto anticipata con la vittoria sul Potenza, concordata e “comprata” prima della partita”. Altre volte, però, Postiglione vuole vincere. E se gli avversari non ci stanno va su tutte le furie. Il 6 aprile 2008, per esempio, si svolge Potenza-Gallipoli. Il Potenza è in zona “play out”, quindi in zona

controllo delle partite e alla vincita delle scommesse. Si tenta il grande salto: la costruzione del nuovo stadio e il reperimento dei fondi europei. E per questo avvicinano il consigliere regionale dei “Popolari uniti” Luigi Scaglione. È questo il grande salto: “Controllo e intervento illecito negli appalti pubblici, come quello relativo al progetto e alla realizzazione del nuovo complesso sportivo di Potenza, sul quale l’organizzazione mafiosa, attraverso le sue società, aveva diretto le sue mire, grazie anche all’appoggio e al sostegno del consigliere regionale Luigi Scaglione”. C’era la possibilità, “prospettata da Scaglione (…) di consentire l’ottenimento di contributi europei e intervenire presso il comune e il consiglio regionale, dove il progetto sarebbe stato sostenuto a cura del politico (…)”.


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SECONDO TEMPO

OGNI MALEDETTA DOMENICA

TOTTI E BAGGIO, I PIÙ GRANDI I gol di Francesco, i dipendenti di Zamparini e i continui affari sull’asse Lecce-Firenze

Francesco Totti, giunto all’impressionante quota di 187 gol (FOTO ANSA) di Oliviero Beha

ettetevi comodi. Vi parlerò di calcio. Sì, intendo di calcio giocato, quella cosa di cui di solito si parla troppo e male per nascondere tutt’altro genere di magagne, del pallone e del paese. Quelle che invece ricollego. Quindi per me il calcio-calcio è quasi un’eccezione. Non vi dirò nulla (sapendo che altri lo farà egregiamente su questo giornale) del nuovo scandalo del calcio-scommesse e degli arresti di Potenza, semplicemente perché non è una notizia… La vera notizia sarebbe stata “Nessun arresto a Potenza, illibato il presidente”, con questo sommario: nessun collegamento con le varie mafie da parte del mondo del calcio, scommesse solo regolari basate sulla regolarità del campionato. Ecc.ecc. Non per caso la settimana scorsa le scommesse avevano preso piega continentale, e forse qualcuno avrà pensato “ma come, in Germania o in Portogallo sì e da noi niente?”. E difatti, difatti… Nemmeno sto a dirvi che se vogliono la Federcalcio e la Lega sanno o possono sapere con relativa facilità tutto anche di questo “torbido sottobosco del gioco sul gioco”, e invece semplicemente tollerano il tutto quando addirittura “pezzi dello Stato”, cioè qualcuno dei vertici, non hanno voce in capitolo nella delicata e industrializzata questione. Qualcuno ricorda che il defunto presidente della Federcalcio, l’avvocato Federico Sordillo, aveva tra i suoi clienti Michele Zaza, detto Michele o’ pazzo, boss della camorra affiliata a Cosa Nostra ben prima

M

dei Casalesi, già ai primi anni Ottanta amministratore delle scommesse clandestine (oltre che della droga, del contrabbando di sigarette e del resto)? Nemmeno voglio parlarvi qui del suo predecessore e poi erede alla Federcalcio, Franco Carraro, che stamattina dovrebbe deporre davanti al tribunale di Napoli per Calciopoli, “lo zio di tutti gli scandali”: essendone stato lasciato fuori dal gup, il magistrato competente, lui solo con il suo dipendente di allora Ghirelli tra i 37 per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio, non si capisce di che parlerà. Anche perché altri imputati (cfr.Moggi ma non solo) lo accusano di essere stato dentro fino alla cintura nella paludosa questione a processo. Se è stato prosciolto senza neppure un giudizio, è innocente a priori. Su che risponderà? Sui gusti alimentari di Bergamo, Pairetto e Lotito? Ah, saperlo… E per finire ignorerò volutamente l’esonero di Walter Zenga, fin qui promettente allenatore per competenza anche se troppo fumantino per carattere. Zamparini lo ha cacciato via, benché il Palermo vada maluccio ma non malissimo. Ignoro questo esonero perché accettando l’incarico Zenga sapeva benissimo di andare a fare il vice di Zamparini, non il tecnico “indipendente” di una squadra: di qui il rischio che l’allenatore vero fosse preda di facili entusiasmi o vorticose depressioni, da tifoso che investe del suo e i cui rientri derivano proprio dalla notorietà calcistica spesa altrove. Il depresso furioso non potendo cacciare via metà squadra a no-

vembre, ha cacciato senza sorprese Zenga, il vice, che del resto lo aveva previsto con la formula “siamo uomini di calcio”. Anche qui insomma la notizia vera sarebbe stata: “Confermato Zenga”, o con toni ancora più rivoluzionari, “Zenga esonera Zamparini” magari acquistando il Palermo. Niente di grave, stanno tutti bene. Dunque, il calcio giocato: l’Inter gioca bene ed è la più forte squadra italiana in base all’organico e all’indebitamento societario quando è “di buon umore”. Ossia quando gioca per giocare e l’umore più che la tattica la tiene insieme. La svolta dopo mesi di down è venuta a Kiev, con la vittoria in extremis. Se oggi non perde a Barcellona o addirittura vince, ha svoltato fino a fine inverno, quando riprenderà la Champions, triturando nel frattempo il campionato. Dietro c’è un’ottima Juventus, che però è meno strutturata negli uomini per le due competizioni e sembra spesso troppo operaia per essere creativa e troppo creativa per essere davvero operaia. E’ nel mezzo, e bascula. I due acquisti Melo e Diego, il primo supervalutato il secondo finora mal impiegato, sono l’anima di un operaismo e di una creatività per ora non amalgamati. Poi c’è il Milan con i suoi campioni, l’establishment di Palazzo (come l’Inter e non più la Juve orfana di Moggi) e una rinnovata euforia da Real Madrid (battuto): ma è ancora traballante tra i reparti, e l’euforia non essendo una garanzia potrebbe schiantarsi in campionato contro le cosiddette provinciali. Lo vedremo presto, arbitri permettendo. La quarta forza sarebbe la Fiorentina, che non ha però l’organico per battersi sui due fronti e stasera rischia grosso con il Lione. Se perde potrebbe uscire nel modo più inopinato e colpevole. Il punto è

Il presidente del Palermo, non potendo cacciare via metà squadra, ha allontanato Walter Zenga

che se i Della Valle vogliono rientrare dall’investimento in attesa del colpaccio dello stadio e dell’area tematica, e fanno cassa come hanno fatto in estate, il campo impietosamente lo rivela: avevi Pazzini e Bojinov (strapagato quando a venderlo era Corvino dal Lecce, sottovalutato quando è stato rivenduto da Corvino approdato alla Fiorentina, strano, vero?), adesso dopo Bonazzoli hai Castillo (sempre dal Lecce? Sì, evidentemente c’è un percorso privilegiato). Potevi prendere Panucci, e hai preso Natali. Per colpo di fortuna hai preso Zanetti a due euro piazzando la “sola” di Melo, e non hai dotato il centrocampo di un numero adeguato di uomini di stampo

internazionale. Se in campionato e in Champions la Fiorentina andrà a gambero, la responsabilità non sarà di Prandelli, tecnico bravo anche se tendenzialmente gesuita, se non per il fatto che è un aziendalista che troppo tace, bensì di chi ha maneggiato i conti. Le due squadre genovesi e il Parma lottano e giocano bene, pur su un pianerottolo inferiore della scala di valori. Anche perché appena mostrano la testina in zona Champions, prendono subito una randellatina arbitrale. Sarà un caso? Oppure il calcio è questo ed è sempre andata così? Fatto sta che il “prete bello” di Vicenza, il Guidolin di Parise, fa giocare a calcio, e così pure Del Neri e Gasperini.

E la Samp ha Cassano, fuoriclasse da Nazionale, e Pazzini regalato appunto dal genio amministrativo e tecnico di Firenze. Dietro insegue la Roma di Totti, il miglior giocatore italiano dopo Baggio degli ultimi trent’anni. E qui dovremmo ricominciare a parlare della Sensi, di Unicredit, di Profumo, di Italpetroli, del coté romanocentrico-capitolino, della politica di destra e di sinistra, dei postumi di Andreotti e Ciarrapico, dei consigli del Vaticano anche senza tirare in ballo Emanuela Orlandi... E francamente mi sembrerebbe di tradire la promessa iniziale: per oggi più calcio e meno potassio, così, tanto per non saper né leggere né scrivere.

L’INTERVISTA

IL JAZZ SENZA TEMPO DI FRESU “L’ARTE DI ESSERE SEMPLICI” “Things”, gli oggetti, ecco “Think”, la riflesDFresuopo sione sugli oggetti: il secondo progetto di Paolo e Uri Caine, da cui è nato l’omonimo album pubblicato da Blue Note, approda al Parco della Musica, dove stasera i due artisti si presenteranno assieme al quartetto d’archi “Alborada”, per il Roma Jazz Festival 2009. Pur attingendo a Think, il programma – rigorosamente “acustico” – sarà assai vario, alternando le suggestioni provenienti dalla musica classica ai brani scritti e arrangiati dagli stessi musicisti, passando attraverso la storia del jazz e le canzoni italiane, fino alla musica per il cinema. Il tutto condito dalla magia e dalla ventata di originalità che le due personalità, con il loro incontro, hanno portato nel mondo del jazz: quella di Caine, con le sue mille sfaccettature, rigorosa e provocatoria nel rileggere, digerire, note appartenenti a qualsiasi genere; quella di Fresu, sognante e intensa nella sua semplicità, dietro alla quale si nasconde però un profondo conoscitore del pianeta musicale. Con la stessa disponibilità che contraddistingue la gente della sua terra, il trombettista sardo ha accettato di parlare di sé e della collaborazione col pianista americano. Rispetto all’esperienza col suo quintetto, come è cambiata la prospettiva suonando con Caine? Da un certo punto di vista non si tratta di esperienze molto diverse, di fatto col quintetto ho già registrato alcuni dei brani classici che suonerò con Uri. Certo qui cambiano le sonorità, il duo ha un sapore più cameristico e consente molta spontaneità. Le cose funzionano bene e velocemente perché siamo solo in due ma anche, ovviamente, perché con Uri ho davvero tante cose in comune. Come è lavorare con un personaggio come Caine?

Mi sono sempre trovato molto bene, Uri è un ottimo pianista, “onnivoro”, ha un modo di fare in cui mi riconosco pienamente perché anch’io amo muovermi a 360° con la musica. Entrambi facciamo convivere amori diversi all’interno di uno stesso progetto. Caine ha la capacità di mettere insieme gli elementi più vari tirando fuori qualcosa di totalmente nuovo, ma è anche una persona intelligente, semplice nei rapporti con le persone, riesce a fotografare il mondo e a offrirne una visione raffinata e trasparente: tutte qualità che non solo apprezzo molto in un individuo, ma che io stesso cerco di inserire nella musica che suono. Oltre al jazz Think esplora altri repertori. C’è l’idea di andare verso nuove direzioni e di ampliare, ammesso che esistano, i confini del jazz? Il punto è proprio che per me questi confini non esistono. Il jazz è relativamente giovane ma è nato in un secolo in cui la cultura si stava evolvendo con una velocità mai vista prima, sicché parlarne oggi è in realtà estremamente complicato. Non è facile mettere in relazione Armstrong, per esempio, e Coleman. Se alla sua nascita contava una decina di stili diversi ben definiti, il jazz poi si è caratterizzato per essere una musica aperta. Sono entrati in gioco la musica cubana o quella dell’oriente, e ai nostri giorni questa globalità del pensiero creativo è ancora più evidente. Certo, ancora venti anni fa era di forte derivazione afroamericana, dietro ci poteva essere la cultura, spaventosamente ampia, di un Gershwin o un Porter. Ma oggi il jazz non è più la musica di quel solo continente, è un linguaggio che può liberamente utilizzare il materiale musicale appartenente alla cultura di ognuno. E che sia Mozart o Murolo, per me continua a essere lo spunto per trasmettere delle emozioni al pubblico. (Giorgio Cerasoli)


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SECONDO TEMPO

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TELE COMANDO TG PAPI

L’emiro, che figo di Paolo

Ojetti

g1 T Appena si presenta l’occasione per appuntare qualche medaglietta sul petto del governo, il Tg1 non manca mai all’appello. Ieri c’era in circolazione l’ultimo dato dell’Ocse. Diceva che i paesi dell’area stanno spuntando un più 0,8 per cento di incremento del prodotto interno lordo. E’ una miseria, ma è già qualcosa rispetto allo zero virgola zero di sei mesi fa. E noi? Noi stupiamo il mondo intero. E, allora, ti aspetti dati a due cifre, roba da far impallidire i cinesi, gli indiani, i brasiliani. Macché: cresciamo solo dello 0,6 per cento, ci consola il fatto che siamo i primi in Europa, anche se siamo partiti dai livelli più bassi e con il debito pubblico più alto, ma questo è meglio non ricordarlo, farebbe cattiva impressione sul pubblico. Seguivano le solite

cose, del tipo che “al centro del confronto politico” (la comoda frase strafatta) c’è la questione giustizia. Anche qui, onestamente, perché non dire che al centro (o anche nei dintorni, nelle periferie, nei sobborghi, lungo le banlieu, nelle favelas) della politica non c’è la “giustizia”, ma i processi di Berlusconi? g2 T l’incidente del C130 (il famoso Hercules) a Pisa (manovra azzardata, ma prevista purtroppo dalle regole di addestramento), il Tg2 passa al caso Marrazzo. L’inviato Fabio Chiucconi disegna uno scenario veramente inquietante: Brenda è stata uccisa, così come ormai si indaga per omicidio anche nel caso del “pusher” Gianguarino Cafasso. In buona sostanza, qualcuno sta uccidendo per cancellare ogni testimonianza su un giro di droga, sesso,

ricatti e mettiamoci pure i servizi segreti, così siamo al completo. Dice Chiucconi: “La Roma-bene trema, le tecniche sono sempre quelle dei molti misteri italiani: omicidi presentati come incidenti”. g3 T Berlusconi è in Qatar, risponde sgarbato ad Alessandra Carli, inviata del Tg3, ma quando sta in mezzo agli emiri, “sorride e li invidia”: mica devono vedersela con parlamenti, magistrature, stampa cattiva, insomma non hanno i problemi che ha lui. E il Tg3 li elenca: ha due processi che lo attendono, una legge sul “processo breve” che inciamperà di sicuro nell’incostituzionalità del provvedimento, un governo rissoso e affamato. La nota politica di Terzulli elenca: la primazia di Tremonti è contestata da La Russa (“troppi soldi ai leghisti”), Alfano, Scajola e Brunetta che “battono cassa”. Per questo Berlusconi è “scuro in volto”. C’è anche una breve intervista a Rosy Bindi. Come presidentessa del Pd ha perso molto della sua verve pasionaria: non andrà alla manifestazione del 5 dicembre. Ma (questo lo aggiungiamo noi e ce ne assumiamo la responsabilità) soffrirà moltissimo.

di Fulvio Abbate

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Dai, Vittoria puoi fare di più

Cabello, anni fa, mi piaceva molto, Vcataictoria moltissimo. Così tanto che, dopo averla becla prima volta su Mtv (che anno sarà stato? Ah, sì, era il 1997!) mi sono precipitato a dirne ogni bene possibile nero su bianco. Di lei, d’istinto, pensai, dissi e scrissi che mi sembrava un vero talento, un pezzo unico, un monotipo, un raro dono mediatico. Un caso di intelligenza e di empatia naturali, antropologicamente testata per dare il meglio, e, già che c’ero, dissi anche che seppure stava piazzata nella rete giovanile e di tendenza per definizione (“Generation Mtv”, non si era mai visto che un’emittente desse il nome a una generazione, appunto) mi sembrava, anzi, che concedesse nulla al luogo comune della subcultura giovanile, che palle!, dischettara, dove i fan crescono a ciuffi, e stanno lì a battere le salsicce gonfiabili dello sponsor al momento delle richieste dal vivo, interiormente risolti. Il minimo della vita, temo. Speravo quindi, in cuor mio, che, come dicono i semplici, la ragazza nata a Londra “facesse strada”, la notassero, la tirassero fuori dal recinto comunque ristretto del “ciao, come ti chiami?” per farla crescere in piena libertà. Con la Il sorriso di Victoria Cabello, sua cifra, con il suo tada “Generation Mtv” a lento. Questo mio au“Very Victoria” su La7 spicio-desiderio si è presto meravigliosamente avverato, Victoria Cabello ha infatti progressivamente conquistato lo spazio che meritava, e che ancora pienamente merita. Un suo show, “Victor Vittoria” (su La7, ma lo si trova anche in replica su Sky),

preceduto, se proprio vogliamo essere pignoli da un medagliere mediatico che, sul suo tubino nero, ha modo di piazzare le onorificenze conquistate a “Le Iene”, a Radio Deejay, a Canale 5 con la mini serie televisiva di “Cuore contro cuore”, e poi San Remo (nel senso di festival), e c’è stato perfino modo di vederla accanto al “comico per famiglie” Giorgio Panariello, e poi in un film dell’Impresentabile per definizione Jerry Calà, e i simpatici interclassisti Aldo Giovanni e Giacomo. Segue lo spot del Crodino con lo scimmione che parla come un lattoniere di Centocelle. Un percorso che, se da una parte mostra una cospicua soddisfazione personale, professionale, economica, dall’altra segnala un progressivo impoverimento della fantasia, un cedimento alla banalità un po’ trendy, la stessa che sarà pure il pane quotidiano del trentenne ebbro di spritz, ma vuoi mettere che noia, che birignao, fin troppo. Intendiamoci, sul piano della simpatia, dell’autoironia modello-base, se ci atteniamo al minimo sindacale di estro consentito la ragazza Cabello è perfetta, nulla da obiettare, regge le interviste con tenuta impeccabile, solo qualche smorfia già codificata di troppo, peccati veniali della prossemica, ma se per un attimo almeno ci interroghiamo su un certo “signora mia signora mia”, sia pure di tendenza, perfetto anche per Vanity Fair, per certo radical chic che, paradossalmente, può andare bene anche dalle parti di Berlusconi a sempre più ampio spettro anche presso il salottino borghese giovanile, in questo caso no, non ce la fai più a reggere il copione, e ti viene il dubbio che il talento si sia arenato sullo scoglio del conformismo, della falsa disinvolta che piace. Come disse Majakovskij: “L'incidente è chiuso. La barca dell’amore s’è infranta contro la vita”. O contro lo share. Perché? www.teledurruti.it


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MONDO Da Facebook al balcone gruppo “Io sto con Ingroia” IE’ lsustato Facebook ha 2500 iscritti. fondato da Antonio Barbagallo, di Palermo, che sulle “info” spiega di aver aperto il gruppo “dopo l’editoriale di Minzolini contro il pm della procura di Palermo, reo di indagare sulla ormai nota e accertata trattativa tra Stato e mafia che avvenne presumibilmente all’indomani della strage di Capaci”. Il gruppo, quindi, “nasce per far sentire la voce della Rete, quella del cambiamento, quella del futuro che urla giustizia e verità perché i magistrati senza un movimento culturale diffuso possono poco contro la mafia”. Antonio, il fondatore del gruppo, seguendo l’idea della “cultura diffusa” contro la mafia (mutuata da Paolo Borsellino), ha anche appeso al balcone della sua casa un lenzuolo dove ribadisce: “Io sto con Ingroia”. Su Facebook, però, racconta di avere ricevuto una strana visita. Suonano al citofono “Signor Barbagallo? Sono il maresciallo F. dei carabinieri, possiamo salire?”. Antonio, sorpreso, apre. “Il maresciallo – continua il suo racconto – esordi-

sce scusandosi per la visita informale ‘passavamo di qui così... ha esposto lei il lenzuolo?’”. Antonio risponde affermativamente. “Nessun problema – risponde il maresciallo – semplicemente volevamo capire chi avesse scritto questa frase... sa com’è, in una zona come questa di una città come questa... ma vedo che lei è una persona normale, con una casa normale...”. “Attenzione, anche noi stiamo con Ingroia e con l’antimafia!” dicono. Terminata la visita Antonio affida a Facebook la sua riflessione: “Un cittadino consapevole potrebbe essere, in qualche modo, pericoloso. E’ meglio capire chi è, dov’è nato, cosa fa, dove lavora, cosa legge, quanto paga d’affitto... Davvero singolare in un quartiere dove si vive di spaccio di sostanze stupefacenti e dove l’illegalità è sistemica e la legalità rivoluzionaria”.

WEB

feedbac$ k è ANCHE I VASCO S’INCAZZANO PER LA CADUTA A CASERTA

Vasco se l’è presa. I “soliti giornalisti” – dice in un filmato pubblicato su Facebook – hanno raccontato una sua caduta, immortalata da un di Federico Mello telefonino e finita su YouTube, durante un concerto a Caserta. La colpa dei “soliti giornalisti”, per il Blasco, è di aver parlato di una caduta “dal palco” e “non sul palco”. Per tutta risposta è MURDOCH & MICROSOFT si meritano un dito medio. Molto INSIEME CONTRO GOOGLE NEWS rock, sicuramente. Anche se un Ruperth Murdoch dice da tempo di volere po’ di autoironia, ogni tanto, non togliere i suoi giornali dall’aggregatore di intaccherebbe di certo la sua fama notizie Google News. Ora sembra che voglia da rockstar. fare sul serio: sta trattando con Microsoft per fare in modo che, se si cerca un articolo dei sui giornali sul Web, venga trovato solo con Bing, il motore di ricerca di Bill Gates. L’interesse di Microsoft è quello di fare pubblicità al suo motore di ricerca. Murdoch cercherebbe invece di battere per primo la strada delle news a pagamento.

è ANTEFATTO SU FACEBOK Commenti allo Status: “Perché non è stata protetta Brenda?

Purtroppo a volte il valore di una persona è inversamente proporzionale alle cose che sa... (Alessandro) E’ vero che Brenda faceva parte di una categoria “debole”, ma probabilmente la stessa cosa sarebbe accaduta a chiunque, purché non famoso. Sono convinto che tanta gente è scomparsa nel nulla perché ha visto-sentito qualcosa dei “potenti” e ciò senza che l’opinione pubblica ne fosse informata. Comunque Brenda è ed era una di noi (Walter) La vita di chiunque vale meno di quel che dovrebbe. Non è questione di trans (Irene)

Il lenzuolo di Antonio, Justin Bieber il cantante idolo delle adolescenti, la pagina di Vasco, l’acceleratore del Cern

DAGOSPIA

PENDOLARI E CHIAMPARINO

1) Avviso ai passeggeri: “Si avvisano i signori passeggeri che il manager delle Ferrovie, Mauro Moretti, è preoccupato per la cerimonia del 5 dicembre quando alla stazione di Torino Porta Nuova sarà inaugurato il collegamento veloce Torino-Milano. Secondo le ultime notizie i pendolari incazzati stanno organizzando una protesta assieme ai comitati che si oppongono alla Tav della Val di Susa. E anche il sindaco Chiamparino è deciso a disertare l’appuntamento se le Ferrovie non concederanno almeno un paio di fermate della Frecciarossa nella nuova stazione di Porta Susa. A Palazzo Chigi c’è già chi pensa di disertare l’evento”. 2) Chissà perché la Topolona sul suo sito inizia sempre tutti gli editoriali in cui dibatte con un “Gentile direttore”. Visto che il sito è il suo, chi sarà mai questo misterioso ed enigmatico “direttore” a cui scrive sempre? Ah, saperlo... 3) Chi ha parlato con Antonio Tajani in questi giorni lo ha trovato molto contento per le nomine della Commissione europea, che gli consentono di restare a Bruxelles come è NON SCRIVE SU TWITTER: commissario e ARRESTATO vicepresidente della IL MANAGER DEL BABY-CANTANTE Commissione E’ successo di tutto al Roosevelt Mall, un evitandogli di finire centro commerciale di New York dove era è UN SITO ITALIANO nel tritacarne della prevista un’esibizione di Justin Bieber, il PER L’ACCELERATORE candidatura a quindicenne canadese idolo delle ragazzine SU INFN.IT/LHCITALIA governatore del dopo alcune esibizioni su YouTube. Non solo Alla momento della sua Lazio... il concerto è stato annullato per l’eccessiva accensione, il 14 settembre calca di adolescenti impazzite, anche il 2008, si erano scatenate manager del ragazzo è stato arrestato. Vista paure apocalittiche. Parliamo la troppa calca, la polizia aveva chiesto alla del “Large Hadron Collider” il superacceleratore di casa discografica dell’artista di inviare un particelle del Cern di Ginevra. Il progetto vede messaggio su Twitter per invitare le l’Italia in primo piano con un contributo del 15 per teenagers a disperdersi. Il messaggio non è cento all’intera macchina. Ora nasce un sito italiano arrivato e la polizia ha arrestato James sull’acceleratore, curato dall’Istituto nazionale di Roppo, il vicepresidente della casa fisica nucleare, che fornirà news, informazioni, foto discografica incriminandolo per “messa in aggiornate, video ed “esperimenti sulla famosa pericolo di minori” e “ostacolo all’attività macchina del Big Bang”. All’acceleratore lavorano amministrativa”. Per un giornale locale 600 fisici italiani, tra questi il direttore della ricerca dall’account del cantante sarebbero stati del Cern Sergio Bertolucci e Guido Tonelli e pubblicati annunci (“Bieber sta firmando Fabiola Gianotti, che curano gli esperimenti dei autografi”) anche dopo che la folla si era rilevatori “Cms” e “Atlas”. dispersa. L’arresto, comunque, appare eccessivo: la polizia della Grande Mela ha ricevuto a proposito numerose critiche.

Ci hanno fatto vedere tutti i trans d’Italia, video ricostruiti di Marrazzo, casa bruciata di Brenda... ma quando????? Ci faranno vedere le facce dei 4 INFEDELI... o sanno già che non gli faranno nulla e ce li ripropineranno a breve nelle migliori strade italiane? (Carlo) La morte di Brenda mi ha colpito particolarmente... è brutto scriverlo ma in pratica è stata “usata” e poi eliminata... che tristezza... e che squallore... (Rosemar y) La trans politica, quella del comitato trans-versale di fratellanza trans-atlantica, ricatta i politici in modo sistemico; non importa il colore, per la trans-politica – categoria che ha cambiato genere – solo importano le transazioni finanziarie, su cui vigila. Laddove le pedine non oliano, la trans-politica sguinzaglia i suoi sbirri (Andromeda) Penso che da sempre nella società, nonostante ci si ostini a definirla democratica, esistano persone di serie A e di serie B (o Z?). A questo va aggiunto il fatto che in questo caso chi è stato ucciso era una pedina (molto) scomoda, vissuta in un ambiente (decisamente) scomodo, fra personaggi (orribilmente) scomodi... (Roberta) Io direi che bisognerebbe domandarsi a chi questa morte fa comodo. Il fatto che si tratti di un trans è secondario, il problema è semmai cosa sapesse e di chi (Daniela) Perché i morti, fino a prova contraria, non parlano... (Franca) Infatti: ci stanno abituando gradualmente a non pensare, a non fare troppe domande, ad accontentarci di spiegazioni inaccettabili. Qual è lo scopo di tutto ciò? (Silvia) Era più preziosa la reputazione di gente che non ha abbastanza dignità per uscire allo scoperto (Sara)


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Martedì 24 novembre 2009

SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE Liti di governo allo specchio di Rodolfo Brancoli

el governo in carica si dice sempre più spesso che ormai ricorda da vicino quello che lo ha preceduto, il governo dell’Unione. Per tasso di litigiosità, per eccesso di mediazioni, per inconcludenza, persino per mancanza di disciplina parlamentare in alcune votazioni. Proprio come il governo dell’Unione, si dice, e ovviamente non è un complimento. Ma in realtà è peggio, molto peggio. Perché quel governo era strutturalmente debole, mentre quello in carica almeno sulla carta non lo è, anzi dovrebbe essere fortissimo. Proviamo a ricordare alcune differenze. Innanzi tutto il governo dell’Unione era privo di maggioranza al Senato, dove si reg-

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Divergenze, eccesso di mediazioni, inconcludenza: similitudini tra l’esecutivo Berlusconi e quello che lo ha preceduto Ma adesso non ci sono giustificazioni geva sul voto degli eletti all’estero e di alcuni senatori a vita, ma era a rischio di andar sotto a ogni votazione per un paio di assenze o di voti in dissenso. In secondo luogo la coalizione che vinse di strettissima misura le elezioni del 2006 era assai meno omogenea e molto più frammentata. Basti dire che in Consiglio dei ministri erano rappresentati otto partiti, che salivano a dodici includendo anche i sottosegretari. “Un governo con otto partiti che si dividono la direzione dei ministeri – notò il prof. Alessandro Chiaramonte in un saggio sull’esito di quel voto pubblicato dal Mulino – non trova pari in nessun paese. Altrove, il numero massimo di partiti presenti al governo è quattro, ossia la metà”. Infine alla guida del governo e della coalizione c’era un uomo privo di potere partitico, di potere mediatico, di potere finanziario, nonché privo di qualsiasi influenza sulla formazione delle liste e quindi (dato il sistema elettorale) sulla determinazione degli eletti, la cui obbedienza andava direttamente ai segretari dei partiti. Mettiamoci pure, all’esterno, una opposizione agguerrita e compatta, con strumenti mediatici che per i noti motivi non hanno eguali in altre democrazie. Sono handicap enormi, che solo un ben diverso comportamento del ceto politico direttamente interessato avrebbe potuto in qualche misura attenuare. Non andò così, quel ceto tenne comportamenti che

aggravarono il quadro generale già precario in partenza, e gli elettori nel 2008 dettero il giudizio che sappiamo.

in cui è appena cominciato lo sgombero delle macerie del disastro precedente. e in rapida sequenza due coalizioni che insieme coprono praticamente l’intero arco delle forze politiche e rappresentano la quasi totalità dell’elettorato falliscono alla prova del governo, bisogna esser davvero molto ottimisti per pensare che non ci sia ragione di allarmarsi. Dovrebbe allarmare anche la leggerezza con cui si parla di elezioni anticipate, cioè di una interruzione traumatica della legislatura a due anni dal voto, dopo una legislatura a sua volta interrotta dopo due anni. Un sistema in cui sembri diventare normale che le legislature non durino cinque anni ma due è un sistema malato. Molto malato.

e condizioni in cui ha co- S Lnominciato a operare il goverin carica sono l’esatto contrario. Maggioranze amplissime nelle due Camere, una compagine governativa in cui i partiti rappresentati sono due, e alla testa del governo e della coalizione il leader-padrone del partito maggiore, con dovizia di mezzi di ogni genere. All’esterno, una opposizione a lungo inesistente, comunque inefficace e con strumenti molto limitati. Che dopo venti mesi questa compagine si trovi, nella percezione diffusa e nei giudizi dei commentatori, in una condizione non molto diversa da quella di segno opposto che l’ha preceduta deve non solo sorprendere ma francamente allarmare, se si guarda alla situazione in un’ottica sistemica. L’esito delle elezioni del 2008 poteva non piacere ma, in quest’ottica, sembrava almeno in grado di contribuire a stabilizzare il sistema bipolare e il quadro istituzionale. Se non è così, se dobbiamo constatare che anche con le più favorevoli condizioni di partenza si arriva nel giro di pochi mesi alla stessa situazione, ci si deve chiedere se non ci stiamo avviando a un collasso di sistema, di quella che viene convenzionalmente chiamata Seconda Repubblica. Perché nel 2008, mentre la coalizione governante si autodistruggeva, all’opposizione c’era una coalizione che aveva perso di pochissimo le elezioni precedenti, registrava consensi in crescita e pareva pronta a governare. Mentre oggi, con la coalizione governante sull’orlo dell’implosione anche se nella destra il potere è un collante assai forte, il campo opposto è solo un cantiere

LA STECCA di INDROl Quanto alla parzialità dell’informazione televisiva, io francamente nei tre telegiornali Rai non la noto. Che mostri una certa benevolenza verso il potere in carica, è tradizionale e inevitabile. Ma siccome il potere in carica è un’armata brancaleone, la benevolenza si suddivide, quasi annullandosi, fra le sue varie componenti. La stanza di Montanelli, Corriere della Sera 23 giugno 1996.

Romano Prodi e Silvio Berlusconi (FOTO ANSA)

noi&loro

É

di Maurizio Chierici

IL “CHE” FASCISTA I

politici fanno finta di niente, gli intellettuali alzano le spalle: robetta. Ma a trascurare un virus alla fine ci si ammala. L’Inghilterra si sta svegliando dal silenzio nel quale aveva avvolto il British National Party, fascisti del Secondo millennio coltivati nelle periferie dove i ragazzi crescono senza memoria, facili da tartufare con parole d’ordine di un secolo fa. Ecco l’allarme: l’onda nera parte alla conquista del municipio di Londra. Anche le nostre Casa Pound si allargano senza rumore nel solco dei teologi dell’italico razzismo: Julius Evola, manipolato nella deformazione dei protagonisti da rubare alla sinistra. Si fa finta di discutere seriamente de “L’altro Che, Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante”. Libro dedicato al Che ingabbiato nelle tabelline dell’Evola antitecnologico, economicamente anti moderno, granitico nel definire il liberismo d’America e il comunismo di Mosca “due facce della stessa medaglia”. Povero Guevara che diventa fascista per la felicità delle periferie affezionate alle sue magliette. Qualche oratore di pronto soccorso lo si trova sempre. L’avanspettacolo gira da una Casa Pound all’altra. Sta arrivando a Bolzano, provincia del primo furto. La figlia ed erede di Ezra Pound scopre per caso che hanno scippato il nome del padre senza un colpo di telefono. Fa sapere della rabbia e i poundini provano a dribblare la legge incollando “ Casa” e “Pound” in una sola parola. “Nella loro ignoranza i maleducati fanno di più”, brontola la signora: strappano dalle opere del padre ciò che serve ai tamburi della provocazione. E nei manifesti che annunciano le conferenze sul Che squadrista, altra rapina: la foto di Osvaldo Salas rubata senza pagare un euro. Confidano nell’embargo cubano (superato dagli eredi di Korda, autore dell’immagine più famosa) per non pagare diritti d’autore. Mi sono mescolato al raduno nella regione una volta rossa, periferia di Parma. Iannone, profeta di Casa Pound con qualche processo nel pedigree, arriva da Roma protetto da manipoli fedeli. Amministra l’azienda con l’autorità di un cantante cresciuto nelle band. Occhiali neri, e il nero rattrista, un centinaio di ragazzi. Ciondolano impacchettati da polizie accorse da Genova e Bologna per evitare contatti con il corteo antifascista programmato da settimane ma che, “per caso”. i poundini fanno coincidere con l’adunata. Ascolto le chiacchiere da giovanotti in gita. Cuori Neri di Milano, Tartarughe di Roma. Vorrebbero cantare la canzone che un ragazzo ha cantato in corriera: “Le donne non ci vogliono più bene – perché portiamo la camicia nera…”. “E poi?”. “E poi non so”. Chiedo all’angelo custode di Iannone se è informato su Luigi Mascherpa al quale è dedicata la strada, targa che si specchia nella vetrina di Casa Pound. Un ammiraglio fucilato dai fascisti di Salò per non essersi arreso ai tedeschi dopo l’armistizio del ‘43. “Allora lei provoca…”. Si inquieta sottovoce e sottovoce parla con Iannone che va a parlare alla polizia. Mi avvicina un signore senza divisa: “Digos. Dicono che non è gradito: deve andarsene”. Ma la strada è di tutti: resto. Indico alla Digos la corda con nodo scorsoio appesa alla targa dell’ammiraglio Mascherpa: “Hanno impiccato una medaglia d’oro”. “Non adesso. E’ li da 5 mesi”. Chissà perché polizia e carabinieri da 5 mesi sopportano la forca delle bande nere. mchierici2@libero.it

Acqua: Far West senza sceriffo di Ugo Arrigo*

er dare un giudizio sulla legge appena approvata di riforma dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, distribuzione di gas) è necessario far prima chiarezza sui termini “pubblico” e “privato”. Con i due termini si intende di solito la proprietà degli strumenti di produzione ma ai fini del benessere collettivo non conta la proprietà bensì l’uso che ne viene fatto: quella pubblica non ne garantisce l’utilizzo per fini pubblici mentre quella privata, se vi è adeguata concorrenza, può raggiungere finalità collettive. Non è necessario aver letto “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith per sapere che il fornaio e il birraio non ci offrono i loro beni per altruismo e benevolenza ma per desiderio di La riforma Ronchi guadagno; tuttavia poiché i birrai e i forè come nai sono numerosi non potranno praticauna diligenza re prezzi troppo elevati. Non è neppure sulla strada giusta necessario essere liberisti incalliti per saMa è così lenta pere che i partiti che da permettere governano non usano di solito i beni di proa chi desidera prietà pubblica nell’interesse della assalirla collettività bensì per favorire nella migliore di appostarsi delle ipotesi i propri sul percorso elettori e nella peggiore interessi inconfesE nessuno vigila sabili. Il pubblico di-

P

viene quasi sempre il perseguimento volontario di interessi privati con beni di proprietà di tutti mentre il privato, se associato alla concorrenza, realizza il perseguimento involontario di interessi collettivi con beni di proprietà dei singoli. Ben vengano pertanto le privatizzazioni se riescono a ripristinare, attraverso le liberalizzazioni che rendono contendibili i mercati, le finalità collettive lungamente disattese dalla politica. Ci riuscirà la riforma dei servizi pubblici locali appena approvata? Temiamo di no. I servizi pubblici locali sono monopoli naturali su base territoriale dato che non è tecnicamente possibile o economicamente conveniente avere una pluralità di operatori. Non è quindi realizzabile la concorrenza “sul” mercato ma solo quella “per” il mercato: poiché dobbiamo accontentarci di un monopolista allora scegliamo il più bravo (che ci garantirà la qualità desiderata ai prezzi minori e farà gli investimenti necessari per l’efficienza della rete) garantendogli il ruolo per un numero limitato di anni (né troppi, per riservarci la possibilità di sostituirlo con uno migliore, né troppo pochi, per evitare che persegua solo i suoi guadagni di breve periodo e lasci decadere la rete). La riforma Ronchi introduce in maniera condivisibile lo strumento delle gare come metodo ordinario di assegnazione del servizio ma prevede troppe eccezioni: 1) l’intera riforma non si applica, e non se ne comprendono le ragioni, alla distribuzione di energia elettrica e al trasporto ferroviario regionale; 2) permette l’affidamento “in house”, e quindi senza gara, a imprese a totale partecipazione pubblica in situazioni ‘eccezionali’ che non vengono tuttavia tipizzate; 3) prevede un esteso regime transitorio nel quale gli affidamenti esistenti non conformi con la nuova disciplina sono conservati sino alla fine del 2011 e proseguono anche oltre, sino alla scadenza del contratto

di assegnazione, se entro la fine del 2011 l’ente proprietario cede a soci privati, attraverso procedure di gara, almeno il 40 per cento del capitale; 4) gli affidamenti in favore di società quotate rimangono invece in vigore sino alla scadenza a condizione che la partecipazione pubblica nel capitale scenda sotto il 40 per cento, entro il 30 giugno 2013 e sotto il 30 per cento entro il 31 dicembre 2015. La “liberalizzazione” risultante è molto timida: nel prossimo biennio le gare non si faranno, dopo continueranno a non farsi se vi sarà un socio di minoranza a puntellare il monopolista pubblico, infine si faranno forse (se nel frattempo qualcuno non peggiorerà la legge) ma l’ente pubblico concedente si ritroverà di fronte soggetti ancora a controllo pubblico i quali, nella quasi totalità dei casi, saranno anche di sua proprietà. Difficile che assegni ad altri il servizio. É un copione già recitato con la riforma dei trasporti pubblici locali negli anni Novanta: a distanza di un decennio le poche gare effettuate hanno riconfermato i monopolisti uscenti e oggi i gestori sono ancora tutti pubblici e inefficienti come prima. Purtroppo senza una vera privatizzazione delle imprese pubbliche le liberalizzazioni sono destinate a non funzionare. La riforma Ronchi è come una diligenza del Far West indirizzata sulla strada giusta ma così lenta da permettere a chi desidera assalirla di appostarsi sul percorso, tanto più che ci si è dimenticati di mandare lo sceriffo a presidiarlo. Lo sceriffo delle utilities si chiama Autorità di regolazione: esiste ed è molto efficace per energia e gas. Era stato previsto anche per i settori dell’acqua e dei trasporti nell’originaria formulazione della legge 481 del lontano 1995, ma poi non se ne fece nulla. Come si sa, in Italia l’eccesso di virtù rappresenta un vero peccato. *Università di Milano Bicocca


Martedì 24 novembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL Ciampi e il messaggio a Napolitano

Furio Colombo

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Si dice che il presidente della Repubblica italiana abbia poteri poco più che simbolici. A me pare che ne abbia parecchi e abbastanza potenti da indirizzare l’opinione pubblica. La Costituzione gli attribuisce il potere di inviare messaggi alle Camere. Prima di promulgare una legge può svolgere un compito ben più importante che quello di passacarte: può rispedirla al Parlamento, e di riflesso far conoscere alla nazione la gravità della situazione. In un momento come questo, dove si propongono leggi ad personam facendole passare per norme destinate a tutti gli italiani, che purtroppo hanno la conseguenza di traumatizzare la giustizia, ci vorrebbe davvero un capo dello Stato che si ricordasse delle sue prerogative, dei suoi doveri e dei suoi poteri. In fondo, la prima cosa è difendere la Costituzione, che ultimamente viene offesa spesso. Mi fa piacere leggere sui giornali l’appello di Ciampi a Napolitano perché quest’ultimo alzi la testa.

BOX A DOMANDA RISPONDO RIFORME, A TAVOLA SENZA INVITO

aro Furio, leggo in giro e sento dire dai tg una frase che mi allarma: “Bersani ha dato mandato alla capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro di aprire un tavolo di confronto sulle riforme di cui il paese ha bisogno, in particolare la riduzione dei parlamentari, il Senato delle regioni e i poteri del presidente del Consiglio”. Sì, lo so che l’allegra trattativa non comprende il processo breve urgente per il padrone. Ma anche così il “mandato” mi suona male. Siamo sicuri che era ciò che chiedevano i tre milioni di cittadini che hanno votato nelle primarie del Pd? Lorenzo

C

POSSO DIRE due cose. Che la notizia è fondata. L’ho sentita anch’io. E non riesco a trovarne il senso. Infatti ci sono alcuni fatti nuovi che portano altrove. Uno è il congresso Pd molto partecipato da iscritti e cittadini, dunque un partito che ha acquistato qualche tratto in più di identità e di organizzazione. Insomma un partito problematico però un po’ meno vago, un po’ meno debole. Un altro è l’affiorare, sempre più vistoso, a volte aggressivo e sfacciato, di fratture o almeno di crepe nel Pdl. La Lega, brutalmente, pretende di più di ciò che, prima del “predellino”, era Forza Italia.

Gianni Tosi

Che fine ha fatto l’Iraq? Notate anche voi che nei telegiornali non si parla più di Iraq? Io a dire il vero non seguo

LA VIGNETTA

Forza Italia si irrita per l’esosità della Lega e si offende per l’indipendenza di Fini. Fini rappresenta una componente di An che respinge sia le pretese della Lega sia l’egemonia di Forza Italia e persino di Berlusconi. Ha senso per un partito di opposizione rendere all’avversario, dotato di potere e di prepotenza, l’omaggio di far credere che sia sempre un partito solido, guidato con fermezza e degno di quel tanto di fiducia che si dà a un interlocutore affidabile? C’è poi una obiezione grande come una casa. Ed è che un’opposizione ferma e risoluta va a sedersi a un tavolo di trattativa solo se l’interlocutore potente e prepotente (maggioranza e governo) apre la porta e offre per primo cambiamenti o attenzione alle proteste e richieste della opposizione. Se c’è una offerta vai a vedere se è vera, se ha senso. Se non c’è, non si va ad offrire l’omaggio sottomesso di una collaborazione. Non tocca mai al più debole, la cui unica forza è di impedire o rallentare o rinviare nel tempo il successo desiderato e programmato da chi governa. Mettersi a tavola senza invito e senza un menu mi sembra un grave errore. Per quanto mi riguarda non mi fiderei neanche della finta cordialità di un invito. Ricordate la Bicamerale? Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

Devo dire che solo leggendo i giornali italiani sembrava davvero possibile una nomina di D’Alema. Ma qualcuno davvero ci credeva ? E’ chiaro che il tutto è stato a uso e consumo di politica interna, Pd che cercava di allontanare una presenza ingombrante e il Pdl (B. ovviamente) che cercava una sponda in questo momento davvero critico (approvazioni nuove norme ad personam). Anche se, si scopre ora, è stato lo stesso Berlusconi a scaricare D’Alema. Meccanismi di inciucesca memoria! Giovanni Micco

No B. Day, il Pd vada in piazza

quasi mai la tv, preferisco Internet, ma quelle poche volte che mi è capitato di vedere un tg di Iraq non ve n’era più traccia. E’ solo una mia impressione? Non credo proprio. Anzi, sembra una storia già vista e sentita. Dobbiamo gridare “mission accomplished!” oppure “information censored!”? Forse in questo frangente storico è più redditizio (economicamente) concentrare l’attenzione sullo “sforzo bellico” contro il virus A anziché sul fantomatico Osama bin Laden? Emiliano G

D’Alema Mr Pesc? Ci credevate solo voi Da qualche anno vivo all’estero, Inghilterra per la precisione. Seguendo la stampa estera devo dire che la questione D’Alema quale Mr. Pesc non si era affatto posta. Era chiaro che la questione era a tre, Germania, Francia e Inghilterra. L’elezione di Blair quale presidente doveva sfociare in un Mr. Pesc di area franco-tedesca, mentre un presidente visto con favore dall’asse franco-tedesco doveva sfornare un Mr. Pesc inglese (Miliband?).

alla manifestazione del 5 dicembre? Quale occasione migliore di una piazza piena di cittadini esiste in una democrazia per poter manifestare il proprio dissenso e la propria opinione? Io ho 24 anni, voto per il Pd da quando è nato ma il 5 dicembre non perderò questa occasione, non resterò a casa come Bersani. Gino Salerno

Buon compleanno Cate, sostenitrice del Fatto Tanti auguri a Caterina, che legge sempre il Fatto Quotidiano, e che sarà felicissima di leggere un buon compleanno sulle vostre pagine!

Dopo la bocciatura del lodo Alfano, il premier si è scagliato con un attacco durissimo contro le più alte istituzioni del nostro paese: il presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale. Ha definito il primo “uomo di parte” e la sentenza della Corte, “politica”. A ciò aggiungerei anche la recente volontà di approvare in tempi rapidissimi la legge sul “processo morto”. Tutto ciò non può che essere definito come un vero e proprio attacco allo Stato di diritto che, è evidente, a Berlusconi proprio non va a genio. Di fronte a una tale situazione, che io ritengo di una gravità inaudita per una democrazia, come può il Pd con tanta leggerezza non partecipare

Federico

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“Sarebbe diventato cantante anche se fosse venuto al mondo senza corde vocali”. Così Joseph Roth su Enrico Caruso, il tenore mito dalla voce compatta e vellutata, nato e cresciuto povero nel “vascio” napoletano di San Carlo all’Arena. Apprendista nella fonderia del padre, col sogno nascosto del canto. Un ragazzo qualunque riscattato dalla potenza della sua voce, dispensata, fin da piccolo, ovunque. Repertorio lirico e leggero nei cori dell’oratorio, negli stabilimenti balneari, nelle trattorie, nei salotti. Fino all’esordio ufficiale al Mercadante, inizio di una carriera trionfale che lo porterà in Egitto, in Russia, in Argentina e, in quella celebre sera del 23 novembre 1903, al Metropolitan di New York. Un “Rigoletto” memorabile in terra d’America, lontano dalla sua Napoli ingrata, nella quale, dopo i fischi del San Carlo, giurerà di non tornare mai. Napoli non avrà più la sua ugola d’oro mentre il Met, con 607 recite e 40 opere, segnerà, con Caruso, il tutto esaurito per 15 anni. Nell’America di Al Capone, ma anche degli onesti di Little Italy, il tenore, bandiera di un popolo di emigranti, diventerà mito, fenomeno sociale. Ricco e malato di nostalgia tornerà nella sua Napoli solo per morir vi. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno PAOLA VERCELLOTTI “Mi chiamo Paola, ho 31 anni e faccio l’imprenditore da oltre 10 anni. Non faccio nero, ho circa 40 dipendenti in regola, pago le tasse. Amo la letteratura classica e adoro leggere. Mi sono abbonata da subito e vi leggo in pdf. A volte mi piacete, a volte no. Ma questo è giusto e rassicurante: non tenete in mano bandiere, non ne tengo io, evviva i giornali che si permettono il lusso di non piacere per forza”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

di Franceschini su legalità e moralità. In una regione come la Campania, così come in tutte le regioni del sud, le mafie sono a pieno titolo nella politica e per restituire la politica al cittadino perbene, il Pd pensa di fare le primarie anziché individuare nella società civile sana i possibili candidati alla dirigenza del partito territoriale. Vincerà chi ha più forza di consensi, cioè le mafie. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, motivo per cui in un confronto di forze necessariamente vince il più forte, cioè il Berlusconismo. Di Pietro credo abbia cercato di andare verso la co-

struzione di alleanze sane, ma dubito ci possa riuscire. Al cittadino campano quindi non resta, alle prossime regionali, che saltare ancora una volta il giro, aspettando tempi migliori. Azzardo una proposta visto come stanno le cose: poiché dal centro al sud padroneggiano le mafie in politica, e la parola democrazia è una favola, togliamo il diritto di voto a tutto il centro-sud per almeno una ventina di anni e commissariamo opportunamente le regioni sperando che in futuro si possa applicare la democrazia anche in questi territori. Pensate che si possa fare? Lo dico da cittadino di Napoli. Con dolore. Enrico

L’America di Barack e la riforma sanitaria L’America di Barak Obama sta prendendo davvero una piega invidiabile: è arrivato il primo sì del Senato sulla riforma sanitaria. Con questa riforma, si vuole estendere la copertura medica a più di 30 milioni di americani che fino a oggi non ce l’avevano. Si tratta di persone che sono cresciute pensando di dover svendere la propria casa, se si ammalavano. Questa è stata la grande pecca dell’America, forse la peggiore, e ora questo grande presidente la sta affrontando con energia e determinazione. Prego perché anche l’Italia abbia, presto, la fortuna di avere un premier all’altezza. Non dico come Obama, ma almeno la metà. Basterebbe. Martino G.

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Direttore responsabile Antonio Padellaro

Campania, i soliti noti alle prossime regionali Si stanno preparando le candidature alle primarie regionali del Pd. Già vedo l’assalto dei soliti noti e c’è Bassolino che mette a disposizione la sua esperienza (fallimentare). Mi domando dove sono andate a finire le belle parole e i discorsi

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IL FATTO di ieri23 Novembre 1903

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