Pronta anche la norma salva-Mills. L’avvocato inglese lo aveva detto: o tutti e due colpevoli o tutti e due innocentiy(7HC0D7*KSTKKQ(
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Mercoledì 25 novembre 2009 – Anno 1 – n° 55 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
STORIE DI MAFIA E DI DENARO Don Vito Ciancimino e la “consul enza” a B. Le amicizie pericolose dell’ex sottosegretario D’Alì Quel pentito lo rende nervoso di Antonio
Padellaro
dc
erlusconi è abituato a considerare le televisioni come “cosa sua” e dunque non ci sorprende se ne farà l’uso che più gli aggrada parlando agli italiani a reti unificate dagli studi amichevoli del Tg1 o da quelli familiari del Tg5. L’intervento sarebbe previsto a cavallo tra due eventi che parecchio angustiano il premier. La manifestazione dell’“Adesso basta” (5 dicembre) contro l’ultima legge ad personam sul cosiddetto processo breve. E la deposizione del pentito Spatuzza nel processo Dell’Utri, in quel di Palermo. Sinceramente riteniamo che, questa volta, se confermato, l’uso massiccio dell’informazione unica abbia una qualche giustificazione nella dimensione del danno che Berlusconi teme. Non tanto per l’ennesima legge personale, così palesemente anticostituzionale e così sommamente devastante per il corso della giustizia normale che viene il sospetto sia stata escogitata solo per prendere altro tempo rispetto ai temuti processi milanesi Mills e frode fiscale sui diritti tv. No, è Spatuzza che fa paura perché le dichiarazioni di questo personaggio potrebbero aprire il pozzo senza fondo del mistero Berlusconi. Ovvero, di come tutto è cominciato. Nessuno conosce le risposte del pentito che, naturalmente, dovranno essere sottoposte alla più puntuale e rigorosa verifica da parte dei giudici. Conosciamo però le domande che risalgono a più di quindici anni fa. All’origine di Forza Italia e al consenso che la nascita improvvisa del partito aziendale avrebbe raccolto tra i boss di Cosa Nostra. Alle stragi del ‘93 e all’asse politico-mafioso che si sarebbe saldato per modificare violentemente gli equilibri di potere, in quel tempo sbilanciati verso la sinistra. Poi ci sono le rivelazioni sulle radici dell’impero berlusconiano, sui primi appoggi, sui primi finanziamenti. Circostanze nelle quali Ciancimino padre svolse un ruolo non secondario, secondo quanto sostiene Ciancimino figlio. Ce n’è abbastanza per capire il nervosismo di Berlusconi e la sua voglia di reagire. Temiamo, nella direzione che più gli è abituale: quella dell’attacco frontale alla magistratura. Alla quale, come sappiamo, l’unto del signore non ha mai riconosciuto il diritto dovere di indagare sui suoi affari,privati e pubblici.
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Udi Peter Gomez e Marco Lillo
Udi Sandra Amurri
COSA NOSTRA LA POLITICA E E L’ODORE DEI SOLDI MATTEO MESSINA dei soldi di Silvio Berlusconi, fiira e rigira tra le mani quei biglietti Maria AnDsu unall’odore no all’intervento di Bernardo Provenzano G tonietta Aula. Una signora alta e bionda con gli non troppo misterioso “amico sena- occhi celesti e una cortesia d’altri tempi. È stata per tore” che nel 2000 cercava di far approvare l’amnistia. pag. 3 z
oltre vent’anni, la moglie del senatore del Pdl Antonio D’Alì. pag. 10 e 11 z
Caso Marrazzo x Nel computer i segreti di Brenda
Cafasso ucciso con una dose di eroina purissima Di Giovacchino e Telese pag. 5 z
Ahmadinejad e Lula da Silva
Udi Furio Colombo LULA E IL NEMICO RITROVATO sorta di cattivo destino Ustranasembra gravare sulla sinidel mondo. In questi gior-
Un fermo immagine della trasmissione di Vespa di lunedì 23 novembre
ni il cattivo destino colpisce l’America latina, quella sfortunata e vitale parte del mondo in cui la storia recente si muove tra Che Guevara e Pinochet, tra Allende e Peron, tra Alfonsin e Chávez, tra Castelo Branco e Lula da Silva. pag. 13 z
NASCERÀ UNA SPA x Tutta la gestione nelle mani di Berlusconi
Le mani di Palazzo Chigi sulla Protezione civile Sta per diventare Udi Bruno Tinti una società per azioni con azionista UN (PRE) unico la presidenza GIUDIZIO del Consiglio SUI GIUDICI Massari eTecce pag. 9 z
CATTIVERIE Rutelli: “Rispetto il Pd, ma è andato troppo a sinistra”. Almeno uno ci ha creduto. (www.spinoza.it)
finta che B&C Fperacciamo non stiano sbattendosi evitare che B. finisca in galera (ah, mi dimenticavo, una delle leggi partorite da B&C prevede che chi ha compiuto 70 anni in galera non ci può andare). pag. 18 z
Par condicio fra guardie e ladri di Marco Travaglio
ra le crepe di un sistema in cedimento strutturale penetrano spifferi d’aria che scoperchiano altarini e fasci di luce che illuminano zone d’ombra rimaste finora inesplorate e inesplorabili. Si spiega così, non certo col complotto delle toghe o delle penne rosse, la valanga di rivelazioni sui legami fra cosche, malaffare e politica. Oggi il Fatto aggiunge due tasselli al mosaico insanguinato che inaugurò la Seconda Repubblica: il racconto della signora D’Alì sul ruolo di Messina Denaro e quello di Ciancimino jr. sui capitali misteriosi (si fa per dire) di Berlusconi. Esistono due modi di reagire alla valanga delle rivelazioni di pentiti e testimoni. Uno, largamente minoritario, è lasciar lavorare magistrati e giornalisti per scoprire tutta la verità (ci ha provato il deputato finiano Fabio Granata con una coraggiosa intervista alla Stampa, subito linciato dai Bondi e dai Mantovano). L’altro, maggioritario anzi totalitario, è tentare di metterci un altro tappo con leggi salva-mafia tipo lo scudo fiscale o l’asta pubblica dei beni sequestrati mafiosi, e salva-collusi, tipo l’ammazzaprocessi, l’ammazzaintercettazioni, magari la depenalizzazione dell’associazione mafiosa o almeno del concorso esterno (idea del Foglio), i lodini dei soliti Casini. Per non parlare dell’incredibile offerta di Bersani che, come un anno fa Veltroni digerì il lodo Alfano in cambio del ritiro della bloccaprocessi, propone al premier ciò che lui vuole con la solita tecnica estorsiva: ritirare l’ammazzaprocessi in cambio del “dialogo sulla giustizia”. Finirà con una legge che ammazzerà solo i processi a Berlusconi e col Pd che canterà vittoria. Una sola pentola resta senza coperchio: la libera informazione, ancora vigente su un paio di giornali e in un paio di programmi tv. Se certe vergogne non si processano più, ma i giornalisti le raccontano ancora, i cittadini continuano a sapere: peggio la toppa del buco. Ecco dunque le prossime “linee guida” dell’Agcom che impongono la par condicio fra notizie vere e notizie false: un lodo Alfano per congelare l’informazione, peraltro anticipato da conduttori particolarmente zelanti. Come Antonello Piroso, direttore dell’informazione (si fa per dire) di La7. Stava per essere sostituito dal turboforzista Vigorelli, ma ha sventato la minaccia dimostrando che non c’è bisogno di un Vigorelli per censurare in extremis un reportage di “Reality” sulla trattativa e le stragi del 1992-’93: basta un Piroso. Ieri l’autrice del servizio, Silvia Resta, e la redazione di Reality sono stati insigniti del premio “Libera informazione” da Articolo21, in una conferenza stampa con la Fnsi e l’Ordine di Roma. Ma l’inchiesta premiata non la vedrà nessuno. Per Piroso, quando si parla di mafia, stragi e trattative, bisogna sentire Berlusconi anche se non è mai nominato: per competenza, a prescindere. Lui o Dell’Utri, che però non ha voluto parlare. Per Piroso il coraggioso, intervistare magistrati antimafia, Scotti, Mancino, Dalla Chiesa o peggio il fratello di Borsellino, riportare le frasi di Spatuzza e Ciancimino che sono su tutti i giornali del mondo, addirittura mostrare le lettere di Provenzano a Berlusconi, è “giornalismo militante”, “a tesi”, “unidirezionale”, “di parte”. E solidarizzare, come il Cdr del Tg1, con la collega censurata è “sovietismo”. “Io resto qui perché sono Pirosoooo!”, strillava il nostro venerdì nel programma-ossimoro “Niente di personale”. Piroso ha bisogno di riposo: lui tiene famiglia, anzi poltrona. In attesa che Vespa, convertito dal plastico di casa Cogne a quello di casa Brenda, trovi finalmente il plastico di casa Ciancimino, la par condicio fra mafia e antimafia ormai è passata. Chi intervista l’antimafia è “di parte”. Saviano prenda nota: la prossima volta che vorrà parlare del clan dei Casalesi, dovrà portarsi dietro Sandokan. Non Kabir Bedi. Quell’altro.
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All’inizio fu la “calza” Poi i monologhi in tv fino ai “raid” telefonici
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I GUAI DEL PREMIER
utto cominciò il 26 gennaio del 2004, quando Silvio Berlusconi, in un messaggio televisivo (4 minuti la versione breve, 8 quella lunga) annuncia la sua “discesa in campo”. Complice la calza di nylon sulla telecamera, il 57enne con poche rughe sosteneva di volersi dare alla politica “per amore dell’Italia”. L’allora direttore del Tg1, Demetrio Volcic, prima
che il messaggio andasse in onda, commentò: “Gli avevo chiesto la disponibilità a un dibattito. Lui preferiva il messaggio. Lo valuteremo. Ma non bisogna creare precedenti”. E invece se ne crearono, eccome. L’8 maggio del 2001, monopolizzando l’attenzione dei telespettatori dagli studi di Porta a Porta, Berlusconi firmò lo storico “contratto con gli italiani”, mossa che gli
permise, di lì a cinque giorni, di vincere le elezioni politiche. Il salotto di Vespa è poi diventato una dependance di Palazzo Grazioli. Ha stupito di più, lo scorso 27 ottobre, la sua telefonata nel corso di Ballarò, durante la quale il premier è tornato ad attaccare i giudici “comunisti” e la tv pubblica. Intervento che ha fatto guadagnare al programma di Floris il picco di share.
LA GUERRA LAMPO DI B: PARLAMENTO E RAI MEGAFONI DELLA (SUA) VERITÀ Il piano per rispondere alle accuse di mafia e al No Cav Day di Sara
Nicoli
enis Verdini glielo ha ripetuto nuovamente al telefono qualche giorno fa. “L’unico modo che hai per far capire come stanno davvero le cose – ha pungolato il fedele toscano – è parlare chiaro agli italiani”. E Silvio lo farà. In Qatar ha buttato lì una frase significativa. Che quando “sarà il momento” lo dirà chiaro a tutti che ci sono “forze nel paese che lavorano alla capitolazione della politica alla magistratura”. Quel momento è già qui. La sua macchina del consenso si è già messa al lavoro e promette robuste occupazioni mediatiche. Il Cavaliere parlerà alla nazio-
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ne. Ma anche al Parlamento. E anche a Minzolini. Davanti a un caminetto, casomai, che fa tanto Natale. Sul quando far piovere sulla testa degli italiani questa indigestione della faccia di Sil-
La strategia: intervento a Camere unite, intervista con Minzolini e discorso a reti unificate
LEGITTIMI IMPEDIMENTI
di Carlo Tecce
AAA, commensali cercansi. Ore pasti
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nnuncio urgente da Palazzo Chigi: AAA, cercansi presidenti o dittatori – la differenza a volte è irrisoria – per incontro bilaterale con Silvio Berlusconi. Avvertenza: preferibile colazione e pranzo o nell’orario di lavoro del tribunale di Milano. No perditempo. No Gheddafi. Oggi il primo ministro italiano riceverà Mr. Gurbanguly Berdimuhammedow del Turkmenistan, un’ex colonia della Repubblica sovietica che conta gli abitanti di Roma. Saranno siglati accordi commerciali: il Turkmenistan vanta una fiorente economia rurale. Il mondo è invitato da Berlusconi: le ambasciate del mondo intero sono avvisate. Presto toccherà a Togo, Gibuti, Timor Est, Sierra Leone, Haiti, Namibia, Samoa Occidentali e Lesotho.
vio, gli strateghi di Palazzo Chigi (ma anche i sondaggisti al soldo del Cav, prima la Ghisleri) si stanno interrogando. Perché il tempo stringe. Il Cavaliere è nerissimo. La prima settimana di dicembre rappresenterà per lui un momento di sicura gogna: “La settimana più cupa del governo dall’inizio della legislatura”, la dipinge senza sconti Giorgio Stracquadanio, del Pdl. Il quadro è pestifero; la soluzione legislativa sul processo breve fa acqua, nel governo c’è maretta. Poi ecco il “no B day” a cui sarà difficile fare ombra con l’iniziativa del “sì B. day” dei volenterosi fan del Capo. Ma soprattutto il 4 dicembre, Gaspare Spatuzza deporrà a Palermo nel processo a carico di Marcello Dell’Utri. Le sue dichiarazioni potrebbero scatenare quell’avviso di garanzia per mafia che il premier teme come la peste. Di pancia, il Cavaliere sarebbe orientato a rispondere con l’occupazione mediatica subitanea, nonostante il suo fedelissimo amico Tarak Ben
Silvio Berlusconi in tv (ANSA)
Ammar lo ha sconsigliato di ragionare sull’onda della rabbia. “Bisogna rispondere – gli avrebbe consigliato Tarak – su più fronti, ma gradualmente, in modo da convincere della bontà delle tue motivazioni e delle tue scelte; lo sai meglio di me che queste armi non sono ripe-
il quartier generale comunica "
Il quotidiano diretto da Vittorio Feltri punta sulla notizia di un prossimo intervento diretto del premier per illustrare direttamente ai cittadini come il partito dei giudici stia cercando di rovesciare l’esito del voto.
tibili”. Ecco, allora, quello che ha in mente Silvio. Il primo dovrà necessariamente essere un passaggio parlamentare. È previsto, insomma, che il premier parli in una delle due Camere (probabilmente il Senato) per “fare il punto sulla situazione – dice un suo fedelissimo ministro – motivando punto su punto il perché di una scelta sulla questione della giustizia e del processo che non può essere procrastinata oltre”. Già previste e messe in conto le rimostranze d’aula a firma delle opposizioni, ma questo “confronto politico” lo metterà al riparo da possibili rimbrotti quirinalizi circa lo svuotamento dell’azione del Parlamento sulle riforme. Questo appuntamento potrebbe addirittura avvenire prima del fine settimana di fuoco del 4 dicembre. Poi Silvio sparirebbe fino al 9-10 dicembre. Ad Arcore, a meditare. A giudizio dei suoi, in-
fatti, sarebbe controproducente tentare di “sovrastare il rumore di fondo della manifestazione legittimandola con quella che potrebbe essere letta come una risposta”. Quanto a Spatuzza e alle sue possibili rivelazioni, “la strategia del momentaneo silenzio sarebbe quella più pagante – suggerisce un sondaggista dell’entourage Pdl – perché il premier mai e poi mai dovrebbe far sembrare di rispondere a un pentito di mafia”. E allora, quando? Intorno al 10 dicembre, Silvio potrebbe irrompere nelle case degli italiani dagli schermi del Tg1, intervistato dal direttore Augusto Minzolini. Un’inter vista che gli uomini del premier immaginano “lunga, ad ampio raggio, senza reticenze e anche condita di qualche domanda scomoda”. Da lì, da un predellino mediatico di eccellenza, Silvio snocciolerebbe “il complesso dei problemi che attanagliano ora il governo”, “mettendo bene in risalto – come ha svelato Cicchitto – che in quelle azioni di governo, a partire dalla necessaria riforma della giustizia, si racchiude il senso stesso di una legislatura e la sua prosecuzione”. Il colpo finale della contromossa mediatica sarebbe, infine, un messaggio alla Nazione, a reti unificate. Ma solo nel caso in cui arrivasse il temuto avviso di garanzia dalla Sicilia (o da altrove). Nonostante le smentite, Berlusconi continua a pensare intensamente alle elezioni anticipate. E c’è chi, tra i suoi, parla ormai apertamente di imminente Election Day a marzo. Quel messaggio alla nazione, quindi, potrebbe servire a dire anche questo.
Non esclude l’ipotesi di voto anticipato nel caso di un avviso di garanzia
Un sogno lo illumina e Silvio scarica Scopelliti: n di Enrico
Fierro
ra il sindaco più amato Esored’Italia. Era stato assesregionale e adesso voleva filare di corsa alla conquista della regione. Una carriera politica tutta in discesa quella di Giuseppe Scopelliti, il sindaco di Reggio Calabria. A lui Silvio Berlusconi aveva affidato il compito di strappare la regione dalle grinfie di Agazio Loiero e dal centrosinistra. Poi ha cambiato idea. “Mi è venuta in sogno mamma Rosa e mi ha chiesto di candidare Bernardino..., un medico che tanto ha fatto per lei”. Bernardino, di cognome fa Misaggi ed è calabrese di Roccella Jonica, ma da anni vive e opera come specialista dei disturbi della spina dorsale a Milano. Non è un verginello della politica.
Non solo perché suo padre è stato grande elettore e stretto collaboratore di Riccardo Misasi, uno dei ras demitiani della Prima Repubblica, ma anche per le candidature collezionate nel capoluogo lombardo nelle liste comunali a sostegno di Letizia Moratti. E così “Pappalone” – è il grazioso appellativo che i dipendenti comunali hanno appioppato al sindaco Scopelliti – si deve accontentare. Anche i suoi supporters romani del Pdl, Gasparri e La Russa, devono fare buon viso a cattivo gioco. Ha deciso il Cavaliere e a ispirarlo è stata Mamma Rosa venutagli in sogno. O forse c’è altro, qualcosa di più “terreno”, come suggeriscono i boatos raccolti a Reggio e nella Capitale, le tante, troppe chiacchiere che si sentono attorno a Scopelliti. “Non voglio un altro caso Cosentino in Calabria”, avrebbe detto il Cavaliere a quei leader del Pdl che ancora sponsorizzano la candidatura del sindaco
più amato. Che ora ha anche qualche guaio in più con la Corte dei Conti. La magistratura contabile,infatti, gli ha chiesto la restituzione di 700 mila euro per l’affaire degli stabilimenti ex “Italcitrus”. Una fabbrica di agrumi abbandonata da anni e comprata dal comune nel 2005. “Il sindaco – scrive il magistrato contabile – era già nella piena coscienza delle condizioni in cui versavano gli edifici posti in vendita e non ha informato la giunta”. Dopo l’acquisto, giudicato “sconsiderato”, non è stato avviato alcun progetto, per cui l’area versa in uno stato di degrado e di abbandono. Erano modernissimi, invece, i locali della segreteria del giovane Scopelliti, durante l’ultima campagna elettorale. Zona centralissima, corso Garibaldi, un intero cinema teatro, il “Margherita”, con schermi al plasma e hostess in tiro. Tutto dato in comodato d’uso gratuito da un amico, Gioacchino Campolo, il “re dei videopoker”. Sua
maestà è finito in galera per una brutta vicenda di slot machine truccate e per alcune estorsioni portate avanti, secondo i pm reggini, con modalità mafiose. Campolo aveva case e immobili dovunque, a Reggio e a Roma, amicizie importanti nel mondo politico e un “comparaggio” che conta, quello con il boss Antonino Imerti che nella città dello Stretto chiamano Nano Feroce. “Scopelliti era un amico”. Così parlò il
Il sindaco di Reggio non sarà il candidato per la Calabria. Il pentito: “Era un amico”. Lui: “Solo conoscenti di discoteca”
Mercoledì 25 novembre 2009
Il “papello” e la trattativa tra Stato e Cosa Nostra
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I GUAI DEL PREMIER
na lista ordinata in 12 punti: dalla revisione del maxiprocesso a Strasburgo all’abolizione del 416 bis, dalla cancellazione della legge sui pentiti all’annullamento dei sequestri di beni ai familiari, dalla revoca del decreto Martelli dell’8 giugno del 1992 che istituiva il 41 bis alla chiusura dei
supercarceri di Pianosa e Asinara, passando per la defiscalizzazione della benzina e la concessione dei domiciliari ai boss che hanno più di 70 anni. Fino all’accenno più politico: quello sul famigerato “Partito del Sud”. Poche righe scritte a stampatello per stilare le richieste della mafia allo Stato.
È il famigerato “papello” che Massimo Ciancimino – figlio di don Vito – , attraverso il suo legale, ha consegnato lo scorso 15 ottobre alla procura di Palermo. E in questi giorni la domanda che gli inquirenti si pongono è: quella trattativa fino a che momento è durata? E soprattutto: è ancora in piedi?
DON VITO, IL CONSULENTE
Le rivelazioni di Ciancimino jr: il padre, gli affari di Berlusconi al nord e lo spettro dell’inchiesta di Palermo di Peter Gomez
e Marco Lillo all’odore dei soldi di Silvio Berlusconi, fino all’intervento di Bernardo Provenzano su un non troppo misterioso “amico senatore” che nel 2000 cercava di far approvare l’amnistia. Se dice il vero, è l’altra faccia del potere quella che Massimo Ciancimino sta disegnando, con pizzini e documenti alla mano, davanti ai magistrati di Palermo e Caltanissetta. Nei suoi ultimi interrogatori sulla trattativa Stato-Cosa Nostra il figlio di don Vito - l’ex sindaco democristiano di Palermo condannato per mafia - ha parlato a lungo delle attività economiche del padre al nord e dei suoi rapporti con Silvio Berlusconi. Dichiarazioni condite da nomi di persone e di società, spesso riprese da un libro che Ciancimino senior stava scrivendo prima di morire nel 2002, sulle quali è ora in corso una serrata attività di verifica. I verbali del giovane Ciancimino - ascoltato venerdì per 4 ore da 5 magistrati che seguono il filone stragi e trattativa - sono stati segretati. Ma l’importanza delle sue parole traspare dalla decisione dei magistrati palermitani di riaprire il fascicolo archiviato 6031/94, l’inchiesta per mafia e riciclaggio nella quale, fino al 1997 era indagato anche Berlusconi. Nel mirino della procura c’è adesso uno dei protagonisti di quel fascicolo l’ingegnere Francesco Paolo Alamia di Villabate, 75 anni, per qualche mese assessore palermitano al turismo proprio al fianco di Ciancimino. E poi salito alla ri-
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balta nella seconda metà degli anni Settanta quando a Milano diventò azionista dell’Inim: una società, considerata il terzo gruppo immobiliare italiano, per la quale ha lavorato anche il braccio destro del Cavaliere, Marcello Dell’Utri. Allora i giornali soprannominavano l’Inim, controllata dal finanziere siciliano Filippo Alberto Rapisarda, la “Compro tutto Spa”. E spesso scrivevano di miliardi che arrivavano alla Stazione Centrale dentro borse di pelle. A quell’epoca Vito Ciancimino, come hanno raccontato alcuni testimoni nelle indagini sul fallimento delle aziende di Rapisarda, si faceva vedere in via Chiaravalle a Milano, sede dell’Inim e per qualche tempo anche residenza di Dell’Utri. E proprio suo figlio ricorda oggi di averlo accompagnato in via Chiaravalle dove doveva incontrare il boss Pippo Bono. Allora la stampa sosteneva che dietro l’attività di Rapisarda ci fosse proprio l’ex sindaco di Palermo. Ma don Vito con i giorna-
listi si limitava a dire: “È vero sono la mente di molte operazioni oltre lo Stretto”, mentre Alamia spiegava: “Vista la sua competenza in materia urbanistica, potrebbe essere un nostro consulente”. E quelle non erano delle boutade. O almeno così sostiene Massimo Ciancimino che davanti ai magistrati ha parlato anche di una sorta di consulenza fornita dal padre ai siciliani che erano in trattativa con Berlusconi. Finora dalle indagini era emersa solo la traccia di un assegno da 35 milioni di lire versato dal Cavaliere a don Vito una trentina di anni fa. Oggi c’è di più. Ciancimino junior ricorda come dietro a suo padre si muovesse una cordata composta dai boss delle maggiori famiglie mafiose, dai Buscemi, ai Bonura, dai Teresi, ai Bontade, che attraverso la Banca Rasini avrebbero finanziato il giovane costruttore di Milano 2. Accuse simili a quelle (archiviate) già mosse da numerosi pentiti e di fronte alle quali il premier, pur convocato in tribunale, non ha mai sentito il bisogno
di spiegare l’origine delle proprie fortune. Perché, per esempio, il 6 aprile del 1977 nella Finanziaria d’investimento Fininvest srl viene registrato come versato per contanti un aumento di capitale da 8 miliardi di lire? E ancora: dal ‘74 al ‘78 Dell’Utri, che Berlusconi descriveva come il suo segretario, è l’amministratore dell’Immobiliare San Martino, poi trasformata in Milano 2 spa. Perché? Domande alle quali i magistrati potrebbero ora rispondere da soli, seguendo un’indicazione precisa: il nome di un esponente del mondo della finanza ebraica che, secondo Ciancimino junior, era in contatto sia con Berlusconi che con suo padre. Per stabilire se davvero in periodi più recenti Dell’Utri è stato scelto da Cosa Nostra come nuovo referente politico è infatti necessario fare chiarezza sui legami del passato. Solo l’esistenza di un patto antico può giustificare pizzini in cui Provezano sembra riferirsi allo storico collaboratore del Cavaliere sostenendo di averlo contattato. “Caro Ingegnere (così Provenzano chiamava l'ex sindaco, ndr) abbiamo parlato con il nostro amico senatore per quella questione... hanno fatto una riunione e sono tutti d'accordo...”, scriveva il capo dei capi nel 2000. Il riferimento era tutta per una possibile amnistia di cui l’allora Guardasigilli, Piero Fassino, aveva pubblicamente parlato. Nei sui dattiloscritti Zio Bino, mente politicamente finissima, considerava un bene che una proposta del genere fosse stata avanzata dal centrosinistra. Se lo Vito Ciancimino e Silvio Berlusconi visti da Emanuele Fucecchi
non voglio un Cosentino bis pentito Nino Fiume. “Perché durante il periodo delle votazioni a Reggio Calabria, Massimo Labate mi aveva pregato di raccogliere qualche voto per un certo Franco Marcianò, una persona sponsorizzata dall’avvocato Alberto Sarra. Io gli avevo detto che non volevo sapere niente di politica perché uscivo da un contesto, essendo amico di quello che oggi è il sindaco Scopelliti, e nello stesso tempo siccome avevo penalizzato altre persone dello stesso schieramento della falange di Alleanza nazionale avevo detto a Massimo che avrei potuto fare qualcosa, ma lui mi avrebbe favorito per avere il porto d’armi”. Nino Fiume è stato uno dei killer della potentissima cosca De Stefano, di Reggio, Massimo Labate è un ex poliziotto della Mobile diventato consigliere comunale di Alleanza nazionale, poi finito in galera per concorso esterno in associazione mafiosa. Il 29 luglio 2008, i pm dell’antimafia reggina (Galletta, Lombardi e Ronchi) sentono di nuovo
l’ex killer, che conferma: “Conoscevo Scopelliti in quanto ho appoggiato politicamente lo stesso”. Proprio ieri, durante una delle udienze sul processo “Testamento” che vede coinvolto l’ex consigliere di An Massimo Labate, Scopelliti ha parlato dei suoi rapporti con Nino Fiume. “Conosco Fiume. Come tutti i ragazzi di questa città, negli anni Ottanta andavo all’unica discoteca che c’era a Reggio, il Papirus. Era un gruppo ampio ma sempre circoscritto. Ci si conosceva tutti. È stata una frequentazione estiva e casuale. Lo ricordo perché era tra quei ragazzi con cui ci si salutava e si scambiava qualche battuta. Non c’è stata nessuna frequentazione. Attraverso i giornali ho appreso che lui era vicino ai De Stefano e che era legato alla figlia di Paolo De Stefano. Mai parlato di politica con Fiume. Ho appreso dai giornali che faceva campagna elettorale per me. Probabilmente è stato uno di quelli che diceva di votarmi. L’ho incontrato per caso in discoteca”.
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IL 5 DICEMBRE IN PIAZZA Abbiamo superato quota 45mila 600 adesioni all’appello “Adesso basta” contro le leggi ad personam lanciato dal nostro giornale. Continuate a sottoscrivere in vista della manifestazione del 5 dicembre.
avesse fatto Berlusconi, secondo lui, l’amnistia non sarebbe mai passata. E Ciancimino senior, che aveva bisogno del provvedimento di clemenza per liberarsi dai suoi ultimi anni di condanna (per reati non di mafia) sarebbe rimasto a bocca asciutta. Ma Provenzano dopo aver discusso con “l’amico senatore” era fiducioso. Anche perché pensava di avere la Chiesa dalla sua parte. A colpirlo era stato un intervento dell’arcivescovo di Milano, cardinal Martini. Per questo (molto ottimisticamente) si diceva tranquillo e commentava: “Ora abbiamo l’appoggio anche di Dio”.
Nei pizzini di Provenzano il riferimento a “l’amico senatore” Il ruolo di Dell’Utri
REGIONALI CAMPANIA
Caldoro, stipendio a rischio
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aleotta sarebbe stata una fattura non pagata a una tipografia di Melito, specializzata nella stampa di materiale elettorale. Per questa ragione Stefano Caldoro, deputato Pdl e candidato alla sostituzione di Cosentino per la corsa a governatore, deve fronteggiare una procedura di pignoramento di una porzione di stipendio di parlamentare. L’atto è stato notificato alla Camera dei deputati, l’udienza romana in tribunale è fissata per il prossimo 25 gennaio. Gli avvocati dell’azienda grafica battono cassa per poco più di 21 mila euro. Cifra maturata per un debito di 12 mila euro (fattura dell’aprile 2007), spese legali, interessi e l’infruttuoso esito di un precetto di poco più di 14 mila euro. Di qui la scelta degli avvocati di pignorare la cifra, aumentata della metà, come previsto dalla legge. vi.iuril.
Vigna
“GRAVIANO? FORSE INIZIO DISSOCIAZIONE” e dichiarazioni del boss “L Filippo Graviano, durante il confronto col pentito Gaspare Spatuzza, pur non essendo delle ammissioni, manifestano una comprensione della scelta del collaboratore che induce a pensare che sia in atto, da parte del capomafia, un percorso di dissociazione da Cosa nostra”. Parole dell’ex procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna, a margine della presentazione, a Palermo, del codice regionale antimafia e anticorruzione della pubblica amministrazione, commentando l’episodio in cui Graviano, messo a confronto col pentito, ha detto di rispettare la decisione di Spatuzza di collaborare con la giustizia. Il boss di Brancaccio nei giorni passati ha spiegato di avere fatto in carcere una “scelta di legalità”, anche se continua a negare ogni coinvolgimento nelle stragi. Vigna, proprio da procuratore nazionale antimafia, fu protagonista di una serie di colloqui investigativi, durati mesi con diversi capimafia tra cui Pietro Aglieri, che espressero al magistrato la volontà di dissociarsi da cosa nostra. “L'idea – ha spiegato – era quella di rompere con la mafia per dare un messaggio alle giovani leve”. "Aglieri – ha raccontato – mi disse che se l’avessero dato da collaboratori, li avrebbero considerati infami invece il loro ‘rompete le righe’ lo diedero dal 41 bis, senza chiedere nulla in cambio”. Poi una stoccata sulle nuove rivelazioni dei politici sulla trattativa: “Sono singolari i ritorni di memoria di Martelli, Violante e Ferraro. Hanno ricordi a scoppio ritardato. Diranno sicuramente tutte cose vere, ma il loro atteggiamento lascia un po’ sbigottiti”.
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Mercoledì 25 novembre 2009
Processo breve al via in Commissione Giustizia al Senato
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INGIUSTIZIA
“Incardinato” in commissione Giustizia al Senato, il ddl sul processo breve comincia il suo iter. Poche parole per presentarlo: il relatore Giuseppe Valentino ha parlato per meno di un quarto d’ora del testo presentato al Senato dai capigruppo di Pdl e Lega, Maurizio Gasparri e Federico Bricolo senza mai nominare Berlusconi, e ha rinviato la
discussione alla prossima settimana. Intanto, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e il presidente dei senatori Anna Finocchiaro invitano, intanto, la maggioranza a ritirare il testo. Il ddl seguirà una strada autonoma, non accorpato alla riforma del processo penale, come chiedeva l’opposizione. La maggioranza ha
fretta di approvarlo entro Natale.Oggi si riunirà l’ufficio di presidenza della commissione per decidere come proseguire i lavori. Poche le certezze: sicuramente verrà tolta la norma che vieta il processo breve per i clandestini. E si starebbe pensando a ridurre la disparità di trattamento tra recidivi e incensurati per evitare una censura di incostituzionalità.
PRONTA ANCHE UNA NORMA SALVA MILLS Non sarà punibile la corruzione in atti giudiziari “susseguente”
In alto, Berlusconi e Mills. In basso, l’Aula di Palazzo Madama (FOTO ANSA) di Antonella Mascali
on si può salvare dai processi solo Silvio Berlusconi, deve essere garantita l’impunità anche a David Mills, l’avvocato inglese che per due volte, in primo grado e in appello, è stato condannato come il corrotto dal premier. È l’uomo, che secondo i giudici del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano, ha intascato 600 mila dollari per aver testimoniato il falso “nell’interesse di Silvio Berlusconi” nel novembre ’97, al processo Guardia di finanza-Fininvest e nel gennaio ’98 al processo All Iberian in cui era imputato l’attuale presidente del Consiglio. Secondo indiscrezioni, il Pdl, a quanto pare su suggerimento dei consiglieri giuridici del Ministro Alfano, sta pensando di presentare una legge ad hoc o un emendamento al ddl processi brevi-salva Berlusconi, per rendere non punibile la corruzione in atti giudiziari “susseguente”, che si ha quando la promessa e/o la “mazzetta” è successiva a un atto che favo-
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risce o danneggia una parte processuale. Ed è per corruzione in atti giudiziari “ susseguente” che David Mills si è visto confermare in appello la condanna a 4 anni e mezzo emessa in primo grado. Secondo la Corte, a differenza del Tribunale, si è trattato di corruzione in atti giudiziari “susseguente” perché l’accordo c’è stato nell’autunno ‘99 (dopo le false testimonianze) e i soldi sono stati disponibili per l’avvocato nel febbraio 2000. Ed ecco spiegata la volontà del Pdl di non punire in questo caso l’imputato. Con questa norma si può salvare in extremis, in Cassazione, David Mills oltre al presunto corruttore, Berlusconi, nell’ipotesi fantapolitica che sarà processato. Anche se fallisse il tentativo “processi brevi” di far morire nella culla il dibattimento post-lodo Alfano, che comincerà venerdì a Milano, comunque, la prescrizione è molto vicina, marzo 2011, grazie alla ex Cirielli. Quindi al massimo potrebbe esserci un verdetto di primo grado, di certa assoluzione con questa ultima trova-
ta, che sarebbe la risposta di Alfano all’avvocato Ghedini con cui i rapporti sono tesi. E poi il Cavaliere non può abbandonare “l’architetto” delle società off shore che gli hanno garantito fiumi di denaro nero esentasse. Lo stesso Mills glielo ha ricordato in un’intervista a Sky, l’8 ottobre scorso, alla vigilia del processo d’appello: ”Sarebbe assurdo e illogico se uno fosse condannato e l' altro assolto. O tutti e due colpevoli o innocenti, vista la natura dell' accusa di corruzione”. La legge o l’emendamento salva
Mills nulla toglie al ddl processi brevi che affosserà, ha detto il Csm, fino al 40% dei procedimenti penali in corso e quasi il 50% di quelli civili. Vuol dire migliaia di processi a rischio estinzione, centinaia di imputati con ottime possibilità di farla franca e decine di vittime che non avranno giustizia. A Milano ci sono processi importanti che saranno cancellati o sono ad alto rischio prescrizione. Non solo quelli di Berlusconi, Mediaset e Mills, ma anche Telecom, Santa Rita, Parmalat 2 (già estinto prima
Arrivano i dati del Csm: a rischio fino al 40% dei procedimenti penali e il 50% di quelli civili
COMMISSIONI GIUSTIZIA
ECCO CHI DECIDE: BONGIORNO, GHEDINI E GLI ALTRI di Stefano Ferrante
ui, Giuseppe Valentino, il relatore del testo Lmissione abbrevia-processi è quasi una sfinge: in ComGiustizia in Senato ieri ha parlato venti minuti, meccanicamente, non ha citato una sola volta le necessità processuali di Berlusconi. “La mia - spiegherà poi - è una relazione tecnica, un atto neutrale”. Valentino è un ex di An, avvocato di spicco di Reggio Calabria, che con Berlusconi ha rapporti solidi. E' stato sottosegretario alla Giustizia per due volte nei suoi governi. Un uomo di fiducia, legato alla sponda più amica del premier tra gli ex aennini, Maurizio Gasparri. Nella commissione giustizia del Senato ha un certo feeling con un altro ex di An, il presidente Filippo Berselli, avvocato pure lui. Ha dimenticato i trascorsi da missino in minoranza nella rossa Bologna e vive con un certo imbarazzo i distinguo finiani. Sulla abbrevia processi ha già fatto dichiarazioni bellicose. D'altra parte fu lui a firmare con Carlo Vizzini un emendamento al pacchetto giustizia che, secondo i detrattori, avrebbe dato un aiutino a Berlusconi nel processo Mills. A completare la prima linea del Pdl in commissione Giustizia al Senato ci sono il magistrato siciliano Roberto Cantaro e Piero Longo, l'avvocato padovano con il cuore molto a destra, mentore di Ghedini. E che Ghedini ha ricambiato perorando con successo la sua candidatura presso il Cavaliere. Se nella commissione di palazzo Madama il Pdl schiera sei avvocati (i democratici si fermano a quota tre), il Pd risponde con cinque magistrati, di quelli che fanno venire l'orticaria a Berlusconi: oltre ad Anna Finocchiaro, Alberto Ma-
ritati, che indagò anche sul Pci pugliese, Gianrico Carofiglio, uno che tra un processo e l'altro scrive best-seller, Felice Casson, che indagò su Gladio, e, soprattutto, Gerardo D'Ambrosio, uno dei campioni di Manipulite. Anche alla Camera la commissione è guidata da un ex di An. Ma l'aria è tutt'altra. Giulia Bongiorno è una fedelissima di Fini. Finì sotto i riflettori durante il processo Andreotti: era nello staff dello studio Coppi e ben presto seppe conquistare la fiducia quasi esclusiva del sette volte presidente del Consiglio. E fiducia gliene ha data anche Gianfranco Fini. E’ lei la consigliera più ascoltata, non solo per questioni strettamente politiche. E’ l’anti-Ghedini, anche lui provvidenzialmente in commissione.
di inziare) Bnl e Antonveneta. I dati forniti dal Csm, che ieri ha ascoltato le relazioni dei procuratori e i presidenti dei Tribunali dei più significativi uffici giudiziari (Roma, Milano, Torino, Firenze, Bologna, Napoli, Palermo e Reggio Calabria), sono in linea con i dati forniti dall’associazione nazionale magistrati secondo i quali sono a rischio fino al 50% dei processi. Numeri terrificanti che il ministro Alfano si ostina a smentire. Ieri ha ribadito che l’Anm ha dato “una cifra infondata e iperbolica”. Pa-
SANITÀ
LA MAGGIORANZA: STOP ALLA RU486
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egislatura a doppia velocità. Mentre il ddl sul processo breve viaggia in corsia preferenziale, la messa in commercio della pillola abortiva RU486 è incagliata in un ingorgo senza fine. Una pratica che di solito si sbriga in novanta giorni, dopo 700 è ancora in alto mare. La procedura per l’introduzione nel nostro sistema sanitario dell’aborto farmacologico comincia nel settembre 2007. L’Aifa, l’agenzia per il farmaco, avvia la pratica per verificare i rischi della pillola e la sua compatibilità con la legislazione vigente in Italia. In pratica se la RU486 sia o meno in contrasto con la legge 194. Bene, non lo è. Così come non si evidenziano rischi per la salute dissimili da quelli che emergono nel corso della sperimentazione di altri farmaci. Il 19 ottobre arriva il via libera, ma sulla Gazzetta Ufficiale, di quella decisione ancora non c’è traccia. Nel Parlamento italiano c’è chi non accetta il verdetto di un istituto scientifico nazionale. E allora via all’indagine
Non è solo una questione politica, o di gelosia tra giovani penalisti di grido. E’ una questione di indole e di pelle. Tanto Ghedini è per la difesa con pressing a tutto campo del premier-cliente, a costo di qualche imbarazzante eccesso di zelo (su tutti la memorabile definizione di “ utilizzatore finale” affibbiata a Berlusconi nel caso delle frequentazioni di Villa Certosa e palazzo Grazioli), quanto la Bongiorno ama il profilo basso, lo studio meticoloso per rintuzzare colpo su colpo, il contropiede. Apprezzata interlocutrice dei magistrati – di tutte le correnti dell’Anm – non ama troppo i microfoni. Anche alla Camera in commissione ci sono drappelli di avvocati (quattordici nel Pdl, sei nel Pd, quattro della Lega, due dell'Udc e uno dell'Mpa) e di magistrati (tre dell'Idv, due del Pd; e sarebbe a due anche il Pdl, se non si fosse sfilata per il gruppo misto Daniela Melchiorre). E poi ci sono i non tecnici. Angela Napoli, Pdl, è una preside prestata al
lamara, presidente del sindacato delle toghe, ha confermati i numeri e ha spiegato che sono a rischio soprattutto “i processi per truffa e falso in bilancio e in genere quelli con molti testimoni”. Sul ddl processi brevi ieri è tornato a prendere le distanze il presidente della Camera, Gianfranco Fini: “Vedremo quale sarà l'esito. Credo si possa discutere sul fatto che i processi devono essere definiti in tempi ragionevoli, ma deve essere chiaro che questa non è la riforma della giustizia”.
conoscitiva, per scovare le magagne che l’Aifa non è riuscita a trovare. Tre mesi dopo, ecco le vere intenzioni. La maggioranza vuole che “l’Aifa si fermi”. Oggi la Commissione chiederà lo stop alla commercializzazione. Serve “il parere del Ministero”, dice il presidente, Antonio Tommasini. Gli risponde il Pd Lionello Cosentino: “Da quando il governo diventa giudice della legge?”. Tommasini propone anche di aprire una “richiesta di arbitrato” a livello comunitario: in pratica si richiede all’Emea, l’agenzia europea per il farmaco, di valutare nuovamente il “rapporto rischi/benefici”, nonostante la RU486 sia da anni in commercio nei maggiori paesi dell’Ue. Il Pd intanto deciderà oggi che posizione assumere: la relazione della radicale Poretti è stata subito sfiduciata in commissione dalla capogruppo Pd Dorina Bianchi. E in commissione Sanità mancano ben tre senatori di minoranza. Marino è in America, il seggio lasciato libero dall’Idv Astore non è ancora stato rimpiazzato, mentre il Pd ha un uomo in meno dopo il passaggio di Gustavino con Rutelli. (Paola Zanca)
Parlamento. Ma se si discute dei processi a Berlusconi parte lancia in resta. Il giornalista Giancarlo Lehner è un nemico della prima ora di Manipulite, si è prodigato in pamphlet sulla teoria del golpe giudiziario e della persecuzione a Craxi. E pronta alla battaglia mediatica è anche Carolina Lussana, leghista, avvocato, distintasi per aver presentato un disegno di legge sul diritto all’oblio, cioè per cancellare anche da internet, dopo un certo numero di anni, informazioni sconvenienti sui condannati (con l’esclusione dei reati più gravi). Ma alla fine oltre alla Bongiorno e a Ghedini, a muovere davvero le pedine saranno in pochi. Per il Pd, oltre ai due magistrati Lanfranco Tenaglia e Donatella Ferranti, dirà la sua Gianni Cuperlo, ascoltato presidio di D’Alema sulla frontiera delle riforme. E poi c’è l’attivissima accoppiata dell’Udc Michele Vietti- Roberto Rao. Giurista il primo, portavoce e consigliere politico di Casini il secondo: sono loro che gestiscono la pratica giustizia per i centristi.
Mercoledì 25 novembre 2009
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Piero Marrazzo dovrà spiegare al procuratore la storia dei 30mila euro
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MISTERI
ino Cafasso, il pusher originario della Campania, e amico delle due trans, Brenda e Natalie, è stato ucciso da una dose di eroina purissima camuffata da cocaina. Chi gli ha venduto la sostanza sapeva che sarebbe morto in pochi minuti. Intanto dal computer di Brenda, ritrovato nell’acquario
sotto il rubinetto aperto, spuntano file secretati che contengono foto e video. I periti cercano anche quello in cui compare l’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo che Brenda stessa aveva assicurato di aver distrutto “perché aveva paura”. L'ex presidente della regione dovrà spiegare al procuratore aggiunto Capaldo la storia dei
30 mila euro che avrebbe dato alla trans morta per soffocamento, secondo quanto raccontato da China durante la trasmissione di lunedì sera condotta da Bruno Vespa, “Porta a Porta”. In un clima di paura e ricatti prende corpo il sospetto che non tutti i protagonisti di questa rete di ricatti siano noti.
Da sinistra i “protagonisti”: l’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo; i quattro carabinieri coinvolti; la trans morta, Brenda; il pusher deceduto a settembre per un cocktail micidiale fatto di cocaina ed eroina, Gianguarino Cafasso E infine l’amica trans di Brenda, Natalie
CHI HA UCCISO CAFASSO? L’ULTIMA DOSE DEL PUSHER DEI POTENTI Gli inquirenti stanno trovando centinaia di dati sul pc di Brenda di Rita Di Giovacchino
lla tesi dell’omicidio “mascherato” si aggiunge ora quella di una dose di eroina purissima “mascherata” da cocaina. Un cocktail micidiale, trappola tesa a Gianguarino Cafasso, in grado di ucciderlo nel giro di due o tre minuti. Il pusher che spiava i trans, che informava i carabinieri sui movimenti dei clienti Vip, che ha cercato di smerciare il video che ha distrutto la carriera politica di Piero Marrazzo, era un assuntore abituale di cocaina. Non era in grado di reggere quel concentrato di eroina pura che ha provocato in lui una sorta di choc anafilattico. Omicidio volontario e forse premeditato perché qualcuno ha volutamente alterato la dose con micidiali sostanze che ne hanno mutato il gusto per fargli credere che si trattasse di cocaina. Non del tutto perché la sua compagna Jennifer, al secolo Adriano La Motta, aveva assaggiato la sostanza e l’aveva trovata sgradevole. Co-
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sì aveva rinunciato a sniffare e si era vista un film in televisione. Non si è accorta che Rino era morto nel letto, credeva dormisse, solo la mattina dopo ha chiamato aiuto. Un comportamento che desta qualche sospetto, ma non tale da far pensare che Jennifer abbia responsabilità nella morte di Cafasso, forse conosceva i suoi segreti e ha avuto paura. I file segreti di Brenda, la hacker dei Vip. Sono in tanti ad avere paura ormai. Non soltanto i trans che affollano i luridi monolocali che si trovano tra via Gradoli e via Due Ponti, oggetto quotidiano di minacce e rapine quasi a dire che la festa è finita, che è ora di cambiare aria. Anche nella Roma bene il terrore corre sul filo delle indiscrezioni che arrivano da ambienti investigativi, dai boatos che rimbalzano su altri nomi contenuti nelle schede telefoniche o nei file del computer di Brenda, ormai descritta come un hacker, da ieri al vaglio dei periti. La indiscrezioni non rassicurano. Sono centinaia i file
nascosti, cestinati e poi cancellati. Secondo i consulenti del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, dai primi esami risulta che molti sono stati però ritrovati nell’hard disk del computer. File che possono raccontare molto sui misteri che avvolgono il decesso per asfissia di Brenda. Nomi, foto e immagini. Il pc è proprio quello del trans, sfuggito alla prima perquisizione, e trovato il giorno della sua morte dentro un lavandino sistemato sotto il getto di un rubinetto aperto.
Cresce l’ipotesi di una “rete” interessata ai segreti inconfessabili dei vip
Scena criminis assai insolita, forse un monito a chi ancora custodisce i segreti di clienti importanti. Come dire acqua in bocca. Su Marrazzo torna l’ombra del ricatto. Tra i file potrebbe esserci anche il secondo video in cui Brenda compare con Piero Marrazzo e Michelle, il terzo trans fuggito a Parigi. Brenda aveva detto ai magistrati di essersene disfatta “perché aveva paura”. Lo aveva invece nascosto assieme ad altri file? C’è un clima quasi irreale di attesa per altre “scosse” che potrebbero distruggere altre persone, famiglie, equilibri politici. Il fatto che la morte di Cafasso stia per essere iscritta come omicidio accentua l'ombra del ricatto che incombe su Piero Marrazzo fin dall’inizio. Anche se lui, per bocca dell'avvocato Luca Petrucci, continua a negarlo. La testimonianza di China, amica del cuore di Brenda, di fronte alla platea di Porta a porta, sui 30 mila euro che Brenda avrebbe ricevuto dall'illustre cliente ripropongono la tesi
dell'estorsione. Almeno una delle estorsioni, agli atti ce ne sono almeno tre: quella tentata da Cafasso attraverso la vendita del video con Natalie, costruito ad arte nel giorno dell'irruzione in via Gradoli. L’altra dei carabinieri portata a termine nella medesima occasione quando non stilarono il verbale in cambio di due assegni da 50 mila euro e 4 mila in contanti. Fino ai 30 mila che Marrazzo avrebbe offerto a Brenda. Troppi soldi, in cambio di cosa? E' quanto dovrà spiegare l'ex Presidente, ancora molto provato, nei prossimi giorni o forse nelle prossime ore in procura. La rete. Carabinieri, bande di rumeni pronte a intervenire, una rete di informatori reclutata tra i trans e i pusher di Roma nord. Questo il quadro poco rassicurante che ruota attorno alla caduta di Marrazzo e all'oscura fine di Cafasso e Brenda, Che sempre più assumono il ruolo di personaggi chiave perché se davvero sono stati uccisi, la storia dei carabinieri infedeli vacilla. C’è forse in giro
una qualche Spectre, magari un po’ casareccia, ma molto efficiente nelle sue oscure finalità? Fatto è che dove c’è un trans c’è anche qualcuno che finisce schedato e prima o poi sarà ricattato, soprattutto se è un personaggio importante o se ha interessi da difendere. Si indaga attorno a una “struttura” interessata a un grumo di segreti. Per ora nessuna prova, solo un’ipotesi “metaprocessuale” come viene definita, che rende l’aria sempre più irrespirabile.
Su Marrazzo torna l’ombra del ricatto: tra i dati potrebbero esserci altre sue immagini
Da mostri a rockstar: la giostra dei trans in tv di Luca Telese
n fondo c’è voluto un sacrificio umano. È vero che la nostra modernità ormai è il luogo del disordine e della contaminazione dei generi, che la dimensione dell’emotività televisiva crea e dissolve, resuscitando in un batter d’occhio archetipi dimenticati. E’ vero che la filosofia dei reality è il canovaccio dei nostri processi conoscitivi, sempre in bilico fra tragedia e commedia, pronto a virarsi dalla farsa al dramma nel giro di una puntata o di uno spot. Ma ci sono voluti un cadavere e un omicidio, il sangue quasi liturgico di Brenda, perché i trans passassero repentinamente dal clichè dei nuovi freak (ricordate il film di Tod Browning?) a quello delle rockstar. C’è sempre un archetipo mediatico che modella tutti gli altri, e dunque, così come la passione di Michael Jakson ha redento la sua ultima maschera, crepuscolare e viziosa, per restituirla alla dimensione abituale dell’agiografia mediatica (e al botteghino), ecco che “i piccoli mostri” di via Gradoli (definiti così su tutti i giornali, fino a pochi giorni fa) conquistano i salotti tv, le faccine incastonate tra gli elzeviri del Corriere della Sera, la dimensione del personaggio pubblico: un plot che li vede improvvisamente domestici e familiari, nel salotto fatato di Porta a Porta. Fino a ieri c’era solo Vladimir Luxuria a battersi per loro (“Declinate il loro genere al femminile se non
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volete insultarli!”), ora Vespa fa il baciamano a China e Natalie risponde alle accuse con un sms a Fabrizio Caccia del Corriere. Fino a ieri c’erano foto scure tratte dai servizi dei tg, immagini rubate e mosse, ora ci sono servizi posati, con belle luci e vestiti firmati sui settimanali femminili. Ha ragione Natalie, che quando decide di concedere la sua esclusiva a Novella 2000, precisa: “Non volevo parlare con nessuno, ma quando ho visto come mi avete trattato, pubblicando le mie foto con riguardo, ho scelto voi”. Non è una ingenuità, la sua, ma l’esplicitazione di un rito di passaggio, il retroscena di una nuova mutazione. E siccome il trans è la divinità della mutazione nell’era contemporanea, non bisogna stupirsi della velocità con cui le inquiline di via Due Ponti hanno interpretato il cambio di passo richiesto dai media. Sospese sempre fra l’iperrealismo pasoliniano e l’insostenibile leggerezza della soap: pronte a improvvisare guerre, scambi di accuse, doppie testimonianze che appassionano il lettore e prefigurano il sequel (molto più che le urla delle sfigate siliconate in tanga, all’Isola dei famosi). In realtà tutto è accaduto con velocità sorprendente. Il 23 ottobre Piero Marrazzo convoca una conferenza stampa per dire: “È tutta una bufala, non esiste nessun trans”: la pietosa bugia può reggersi perché i trans sono un mito nella caverna, solo ombre cinesi sul muro della
scena. Il 26, quando appaiono le loro foto, diventano degli alieni di cui, dopo averla ipotizzata, si fatica ad accettare l’esistenza. Il 28 ottobre sul Giornale, Stefano Lorenzetto scrive quello che molti pensano dopo aver visto le foto dei trans dello scandalo: “Il vero choc è la loro bruttezza”. Sul Corriere della Sera, Raffaele Morelli ipotizza che l’elemento di fascino che porta i potenti nei seminterrati delle loro case sia “il desiderio inconfessabile di essere scoperti e puniti, il desiderio di trasgressione di fuga”. Sulla Stampa, la psicoterapeuta Annalisa Pistuddi dice: “La loro bruttezza è rassicurante”, il cliente vip “cerca la cura della mamma”. Sul Fatto lo psichiatra Gabriele Sani spiega a Enrico Fierro: “Il degrado aiuta a deresponsabilizzarsi dal peso del potere”. Alessandra Mussolini sintetizza a modo suo, urlando a Matrix: “Sono dei mostri che rubano i mariti alle donne”. E poi, in questo moderno Apocalypto, è il sacrificio umano che redime, e restituisce cittadinanza. Il set dei trans cambia: dalle riprese notturne, ai fondali rassicuranti degli studi. Dall’angoscia del tugurio, al plastico del tugurio. Non più “Il” transessuale ma “Le” transessuali, restituite al loro sesso idealizzato, alla loro identità, al carattere di personaggi: gli occhiali colorati di Barbara, il caschetto dorato di China, i capelli lunghi di Alessia e il codino di Veronica. Dal reality horror dei freak, al realitrans delle nuove dive.
POLIZIA PENITENZIARIA
di Chiara Paolin
“Trasloco”: e la banda sbanda
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omani è il gran giorno. Si comincia con la composizione di una marcia eroica, poi storia delle bande musicali e infine direzione d'orchestra. Così verranno selezionati il Maestro e il vice della Banda della Polizia Penitenziaria, 63 elementi armati di trombe, tamburi e clarinetti, tutti in fremente attesa di conoscere il nuovo direttore/commissario. Che avrà subito un arduo compito: salvare la sede. Il presidente dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta ha ordinato il trasloco della banda da Portici a Roma, uno scempio secondo artisti e sindacati. Pure il senatore Pasquale Giuliano ha interpellato Alfano chiedendosi sconcertato: perché strappare alla tradizione partenopea una banda che non essendo militare - non può accompagnare il cambio della guardia al Quirinale? Gli orchestrali sono stati recentemente promossi ispettori, con relativo stipendio: forse si spera qualcuno lasci il flauto per tornare in carcere.
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Mercoledì 25 novembre 2009
Basta stranieri: il terzo punto del programma di Fn
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CRONACHE
el programma di otto punti “Per la ricostruzione nazionale” di Forza Nuova, al terzo posto – dopo Abrogazione delle leggi abortiste e Famiglia e crescita demografica – c’è la voce Blocco dell’immigrazione. Il movimento di estrema destra declina così le proprie idee: “Forza Nuova vede nell'attuale problema dell'immigrazione una dolorosa ferita nella armoniosa convivenza dei
popoli. Oltre ad essere un elemento di turbamento dell’ordine pubblico e di perdita di patrimoni culturali, l’immigrazione è un salasso d’energie umane per gli stessi popoli immigranti. Pertanto, vista la gravità e l'urgenza del problema, Forza Nuova si batte per un blocco dell’immigrazione”. Un punto molto opinabile (l’armoniosa convivenza non è ciò che racconterebbe un profugo dal continente africano) ma scritto in
versione più politicamente corretta delle espressioni usate dagli iscritti sul gruppo su Facebook. In cui spiccano discussioni come “Il pericolo Islam” o “Grazie a Dio non sono musulmano”. Anche sul sito del movimento, alla voce Notizie dalle sezioni, si possono leggere voci meno moderate. In cui, semplicemente, si rivendica l’onore di essere gli unici che “Hanno sempre detto di no all’immigrazione”.
TRE GIORNI DI PASSIONE TRA LEGA, FORZA NUOVA E IMMIGRATI Manifestazioni nel bresciano pro e contro gli stranieri di Elisabetta Reguitti
oberto Maroni a Brescia e Mario Borghezio a Rovato. Entrambi sono attesi per venerdì. Il primo in Prefettura, l'altro alla fiaccolata delle 20 promossa dalla Lega. Sono giornate che si preannunciano davvero calde, in Franciacorta, dopo l’episodio di aggressione e stupro perpetrato da un 24enne marocchino ai danni di una coppia che si era appartata. Sale l’intolleranza tra i cittadini in questa parte del Nord dove si moltiplicano le iniziative di controllo sugli stranieri. L’ultima in ordine di tempo è quella attuata dal Comune di Coccaglio e denominata ‘White Christmas’ (riportata anche sulle colonne del quotidiano inglese The Indipendent) per fare piazza pulita degli stranieri privi di permesso di soggiorno. Questa sera davanti al consiglio comunale di Coccaglio gli immigrati insieme alle associazioni distribuiranno dei volantini per la grande manifestazione contro l’iniziativa “natalizia” in programma sabato. Ma solo un paio di ore più tardi, però, a pochi chilometri di distanza Forza Nuova, il partito di estrema destra fondato da Roberto Fiore, scende in piazza Cavour a Rovato per ribadire “la propria opposizione all'immigrazione e alla tanto incensata società multietnica, negative a priori in ambito identitario ed economico”. A Coccaglio e Rovato
bina) hanno pagato in ritardo la retta. Ma c'è anche chi scheda gli stranieri che fanno volantinaggio. Il tribunale di Brescia ha poi giudicato “discriminatorio” il comune di Ospitaletto che con un atto del sindaco aveva inserito fra i documenti necessari per richiedere e ottenere la residenza anche il certificato penale. Sulla questione prostituzione in strada si invoca il pugno duro. Come nel caso dell’ex sin-
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E il pioniere delle ordinanze leghiste, ex sindaco di Rovato, viene condannato per stupro su una rumena (giunta di centro sinistra dove i vigili operano quasi 24 ore su 24) la gente dice che “non tutti gli immigrati sono cattivi” ma c’è anche chi afferma che “gli stranieri sono troppi”. Tanti, soprattutto, nelle fabbriche o nei vigneti per la vendemmia che ha reso famosi gli ottimi vini della Franciacorta. Eppure il tema della sicurezza viene usato e strumentalizzato a volte per alimentare l'esaspe-
razione della gente a danno della convivenza. La Lega, infatti, qui non smette di fare notizia. Nel bresciano, più esattamente a Pompiano, nega la sepoltura al corpo di un bambino nato da genitori marocchini (in Italia da 13 anni e da 4 residenti nel comune con regolare permesso di soggiorno) mentre ad Adro un’ordinanza comunale ha escluso dalla mensa i bambini i cui genitori (di origine magre-
daco, proprio di Rovato, condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi di reclusione e interdizione ai pubblici uffici per stupro di gruppo ai danni di una prostituta rumena. L'ex primo cittadino leghista aveva anticipato a modo suo la stagione delle ordinanze creative proibendo, ad esempio, ai musulmani di avvicinarsi alle chiese e naturalmente aveva stabilito sanzioni per chi esercitava il mere-
tricio sul “territorio di Rovato”. Peccato però che una sua foto pubblicata su di un quotidiano locale gli sia costata la condanna inferta dal Gup di Verona per una serie di brutali violenze di gruppo ai danni di una giovane lucciola liberata dai suoi aguzzini durante un’operazione contro il racket del sesso sul Lago di Garda. All’epoca dei fatti (era il 1999) la ragazza aveva 19 anni. Alle forze dell'ordine che l’avevano liberata fece i nomi dei suoi sfruttatori che furono arrestati e in particolare raccontò di alcune violenze di gruppo subite a ripetizione nei mesi precedenti. Nel maggio del 2000 la giovane vide su un quotidiano di Brescia la foto di Manenti, proprio in un articolo in cui si annuncia un giro di vite contro la prostituzione. “È lui uno di quelli che mi stuprava assieme ai miei aguzzini” affermò la ragazza. Il fascicolo rimase fermo per anni, finché nel 2006 la procura ne chiese l’archiviazione. Il Gip di Verona sollecitò ulteriori indagini arrivando così al processo di febbraio di quest’anno e per il quale Manenti aveva scelto il rito abbreviato: procedura che dà diritto allo sconto di un terzo sulla eventuale pena. Ritenendo la testimonianza della vittima sufficiente, il giudice, ha condannato l'ex sindaco leghista che si è sempre dichiarato innocente. Roberto Manenti, uscito dalla Lega, oggi è consigliere di minoranza a Rovato con una lista civica.
Maltrattamenti in famiglia: ora F. rischia di non avere giustizia IL PROCESSO BREVE COLPISCE ANCHE LE DONNE CHE DENUNCIANO REATI TRA LE MURA DOMESTICHE di Elisa Battistini
o 41 anni e da poco sono uscita da “H una situazione di maltrattamento famigliare durato molto tempo. Alcuni mesi fa ho denunciato quello che è stato per dieci anni il mio compagno. Subire violenza può capitare a tutte le donne, ma è difficile venirne fuori”. La testimonianza di F. parla di una situazione molto diffusa: i maltrattamenti nell’ambito domestico. Oggi, Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, è importante ricordare che le violenze famigliari rappresentano il 75% dei casi. Ma è ancor più tristemente interessante sapere che, se il Ddl sul processo breve resterà com’è, F. rischia di non ottenere giustizia. Quando F. ha trovato il coraggio di denunciare il compagno, infatti, lo ha fatto per maltrattamenti. Un reato che il processo breve include tra quelli da estinguere velocemente. Sono esclusi dal provvedimento la violenza sessuale e lo stalking, ma non il maltrattamento famigliare che, però, cela spesso uno stupro. Nella situazione di F. ci sono migliaia di donne. Solo nel 2008 i Centri della Dire (Donne in rete contro la violenza) hanno accolto 11.800 donne che hanno denunciato maltrattamenti fisici e psicologici. Ma, secondo i dati Istat, sono ben
3 milioni le donne italiane ad aver subito una violenza all’interno della propria relazione. Quella di F. è purtroppo una storia paradigmatica. “Quando l’ho conosciuto – dice riferendosi al compagno – ho smesso di lavorare per dedicarmi a due figli. Lavoravo per uno studio professionale privato che mi chiedeva un grandissimo impegno. Lui però un po’ alla volta cominciò a cambiare. Aveva scatti di nervi, prendeva a calci i mobili di casa, dava i pugni nel muro. Se mi avvicinavo per calmarlo mi spingeva via. Poi, dai mobili è passato a me. In principio insulti, denigrazioni ed umiliazioni. Poi pugni, schiaffi, calci, tirate di capelli”. E a tutto questo, seguiva puntualmente la richiesta di rapporti sessuali “per fare la pace”, come diceva l’uomo. F. ha impiegato molto tempo per reagire. E come spiega Nadia Somma dell’associazione Demetra-Donne in aiuto, forse la sua denuncia a questo punto è vana: “Il Ddl sul processo breve esclude la violenza sessuale ma non il caso di un marito che rompe un arto alla moglie: nell’ottica del legislatore, questo non è un reato che crea allarme sociale. Purtroppo è un errore madornale, frutto di miopia. La maggioranza delle donne che vengono stuprate tra le mura domestiche denunciano i maltrattamenti e non lo stu-
pro”. Difficile capire perchè. “Le cause di questa scelta sono di ordine squisitamente psicologico, la vergogna è l’elemento determinante. É un errore pensare che una donna che subisce violenza sessuale in casa ragioni in termini pragmatici o giuridici. Ragiona in termini emotivi. Pur di non tornare sull’accaduto durante un dibattimento farebbe di tutto. Il suo obbiettivo è interrompere la relazione e avere giustizia. Perciò è assurdo non capire che anche i maltrattamenti famigliari devono essere esclusi della prescrizione veloce. Dietro i maltrattamenti c’è sempre la violenza sessuale”. In ogni caso, stupro o meno, è inquietante che lo stalking sia considerato un reato più grave delle botte di un marito alla moglie. “È un segnale grave. Implicitamente sembra dire che un marito ha una potestà speciale sulla moglie rispetto a un estraneo. In un paese in cui il delitto d'onore è stato abolito nel 1981 e moltissimi uomini sono ancora impregnati di un senso di onnipotenza sulle donne, bisogna far di tutto affinchè l’atteggiamento cambi”. Ma non è così e centinaia di processi, con la nuova legge sulla giustizia, sarebbero a rischio prescrizione. “Con un impatto – aggiunge Nadia Somma – molto negativo sia sulle donne che subiscono violenza che sugli uomini con-
sapevoli che, molto probabilmente, non verranno puniti”. La penalista Elena Coccia, esperta di diritto di famiglia, conferma che la maggioranza delle denunce e dei processi che riguardano le violenze in famiglia sono relativi a maltrattamenti. “Cito il caso – dice – di un professionista affermato che per anni ha chiuso in casa la moglie quando andava a lavorare perchè era geloso. Alla fine la moglie lo ha denunciato e il processo, attualmente in corso, rischia di essere cancellato”. O come nel caso di F. che per anni si è tenuta tutto dentro. “Non lo dicevo neppure ai miei genitori. Alla fine, però, dopo l’ennesima aggressione l’ho denunciato per maltrattamenti. Non ho desideri di vendetta nei suoi confronti, ma di giustizia sì”. Speriamo che non le sia negata.
Nella Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, i fatti smentiscono le buone intenzioni
N AVVENIRE
Marco Tarquinio nuovo direttore
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el segno della continuità è la nomina del nuovo direttore di Avvenire: il cda della Nuova Editoria italiana ha designato l’attuale vice direttore, Marco Tarquinio, subentrato ad interim alla direzione dopo le dimissioni di Dino Boffo, lo scorso settembre.
CAMORRA/1
Due morti in un agguato
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uplice agguato camorristico a Napoli. Ieri, nel quartiere di San Pietro a Patierno, sotto i colpi dei sicari, sono caduti Gennaro Sacco, 57 anni, pregiudicato, attuale reggente del clan Sacco-Bocchetti, e il figlio Carmine, 29 anni. I due erano a bordo di una moto quando sono stati colpiti.
CAMORRA/2
Sequestrati beni per 50 milioni
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carabinieri del comando provinciale di Caserta hanno sequestrato 50 milioni di beni mobili, immobili, quote societarie e conti correnti di capi e gregari del clan camorristico Farina- Martino-Micillo e di altre due storiche organizzazioni, i Casalesi e i Mazzacane. Le indagini, dirette dal maggiore Alfonso Pannone e dal capitano Costantino Airoldi, costituiscono un ulteriore filone alle attività che portarono a 14 fermi nel novembre 2006 e oltre 30 ordinanze di custodia cautelare in carcere nel marzo 2009.
DISGUIDI DIPLOMATICI
Gaeta: base Usa resta senz’acqua
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a storica base Us Navy di Gaeta della VI Flotta della marina americana è rimasta a secco a causa di una bolletta d’acqua mai pagata. La società Acqualatina ha disattivato la fornitura per morosità causando un incidente diplomatico per risolvere il quale è intervenuto il Prefetto di Latina, Bruno Frattasi. Per infatti che il disguido sia da attribuire a una società privata che opera per conto della IV Flotta. L’acqua tornerà a scorrere regolarmente.
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I dodici della segreteria politica dei democratici
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L’OPPOSIZIONE
a nuova segreteria politica del Pd è composta da 12 "giovani”: sei donne e sei uomini, con età comprese tra i 35 e i 49 anni. Sono - Catiuscia Marini, Stella Bianchi, Cecilia Carmassi, Francesca Puglisi, Annamaria Parente, Roberta Agostini, Matteo Orfini, Nico Stumpo, Matteo Mauri, Marco Meloni, Davide Zoggia, Stefano Fassina, Maurizio
Migliavacca è il coordinatore della segreteria. A guidare i Forum tematici, cioé i luoghi con cui aprire l’interlocuzione con il mondo esterno, sono stati chiamati Luciano Violante (Riforme), Beppe Fioroni (coordinatore di tutta l’area del Welfare), Livia Turco (Immigrazione), Paolo Gentiloni (Comunicazione), Carlo Rognoni (Riforma sistema Tv), Piero Fassino (Esteri), il
presidente uscente della Toscana Claudio Martini (Politiche locali), l’ex sindacalista della Cisl Emilio Gabaglio (Lavoro). Per altro anche qui ci sono degli “homines novi”, come Andrea Orlando alla Giustizia, Giovanni Bachelet all’Istruzione o Laura Puppato all’Ambiente. Nei prossimi giorni arriverà poi il cosiddetto "caminetto", con tutti i big.
IL PD NON SA COMUNICARE MA FORSE È MEGLIO COSÌ Freccero: Berlusconi ha fatto del sesso un valore, si deve rispondere con fatti concreti di Wanda Marra
ell’era di Berlusconi la sessualità è entrata prepotentemente nella sfera della comunicazione e della politica. Per questo il Pd fa bene a non seguire il Cavaliere sul suo terreno, ma a cercare di spostare l’asse sulla concretezza, e in particolar modo sulla questione del lavoro. Parola di Carlo Freccero, esperto dell’immagine, massmediologo, oggi direttore di Rai 4. Che prende spunto dalla scelta dell’edizione italiana della rivista rock Rolling Stone di eleggere Silvio Berlusconi a Rockstar dell’anno per sviluppare un discorso in parallelo sulla “iper-mediaticità” del Premier e il basso profilo del Pd. Cosa ne pensa di Berlusconi Rockstar 2009?
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Noemi Letizia (FOTO ANSA)
Nel suo articolo Stefano Pistolini scrive, citando Mario Perniola, che “l’irruzione della comunicazione nella sessualità ha avuto effetti catastrofici, molto maggiori di quelli che ha avuto nella politica”. E spiega che questo “in sostanza ha trasformato un territorio del privato e della riservatezza in un campo del confronto, del successo e del fallimento. Vive una vita degna d’essere vissuta, solo chi ci dà dentro fino a morirne, chi dà fondo ai desideri, a cominciare da quelli sessuali. Silvio l’ha fatto”. In questo senso, nell’essere sempre A Bout de Souffle, Berlusconi è davvero come una rockstar. Per lui poi la sessualità è la politica, un fatto non più privato. Questo ha fatto sì che ciò che è scandalo diventi valore. Un po’ come nel reality dove la comunicazione si riduce a far
ARRIVANO I “GIOVANI SPERIMENTATI”
PER BERSANI SQUADRA CHE PERDE NON SI CAMBIA di Luca Telese
ono giovani ma sperimentati”. Pier“S luigi Bersani presenta così il nuovo gruppo dirigente del Pd, e forse non si rende conto di aver coniato una battuta involontaria: ben quattro dirigenti facevano parte dello stesso organismo, nel secolo scorso (vent’anni fa, ai tempi del Pci). Possibile? Ebbene sì, il nuovo che avanza. Eppure apparentemente la definizione pareva calzante e la nuova segretaria a prima vista, ggiovane (e politicamente corretta): sei uomini e sei donne, la maggiorparte quarantenni. Benissimo. Solo, che prima ancora di compulsare l’elenco dei giovani leoni e delle new entries si scopre “il trucco”. Un tempo la segreteria (dal Pci al Pds) era composta dai responsabili dei dipartimenti. Ogni dirigente, quindi era una sorta di ministro ombra: i dirigenti più importanti, dei settori più importanti, non erano più di sei-dieci persone, per garantire l’agilità dell’organismo. Questa volta, invece, c’è una novità: i 12 nuovi talenti saranno affiancati dai “nuovi” responsabili dei forum. Quindi le responsabilità (e le teste) si raddoppiano prima, e si triplicano poi. Se vai a scorrere l’elenco di questi responsabili dei dipartimenti, scopri che la lista è questa: l’ex presidente della Camera Luciano Violante si occupa del forum Riforma dello stato (ovvero del vecchio settore riforme), Livia Turco sarà la responsabile dell’Immigrazione. Poi un terzetto: Paolo Gentiloni si occupa delle politiche dell’informazione, Stefano di Traglia della comunicazione e Carlo Rognoni della tv; Giuseppe Fioroni del Welfare (affiancato da Pierre Carniti), Piero Fassino è il responsabile della Politica internazionale, Laura Pupato dell’Ambiente, il presidente della Toscana Claudio Martini delle Autonomie, Andrea Orlando della Giustizia, Umberto Ranieri del Mezzogiorno e Gianno Cuperlo dell’Ufficio
vedere due che scopano. Come può il Pd misurarsi con tutto questo? Non può. E dunque è molto giusto, molto corretto, che il Pd, che è legato in qualche modo ancora alla galassia Gutenberg, si sottragga a questo eccesso di comunicazione. Se no, finisce per farsi dettare l’agenda da Berlusconi. È saggia la strategia di misurarsi con la concretezza, che è poi il tema del lavoro. Perché il lavoro? È l’unica cosa che ha detto Bersani. Ed è fondamentale capire cos’è oggi il lavoro. Nella cultura marxista il lavoro era nella manovalanza, nella produzione delle merci. Oggi le merci si producono con l’intelligenza: il valore è dato dalla creatività. Ma questo non prendere mai una posizione netta da parte del Pd non dimostra un’assenza di contenuti? A stare nella logica del botta e risposta si rischia di esistere in funzione di Berlusconi. Invece, cercare di stare sulle cose concrete è un modo per spostare il terreno. Il gioco della comunicazione lo fanno già i giornali, i blogger, gli intellettuali, gli agenti mediatici in genere e c’è una noia profonda che ha preso tutti quanti. Bersani sta anche preparando un programma. E poi, non sa comunicare: in questo senso era molto meglio Veltroni. Saper comunicare, però, vuol dire stare al gioco di Berlusconi. Così il Pd e Bersani non rischiano di perdere consenso? No, anche perché Bersani lavora per il 2013. E io spero si allei con il mondo dei giovani e della rete. È molto importante anche il fatto che oggi l’universo internet abbia deciso di passare dall’ambito dell’informazione a quello della mobilitazione, decidendo di scendere in piazza e protestare contro Berlusconi per la prima volta.
studi e rapporto con le fondazioni. cui ogni corrente ottiene il suo omino. Ci Uno si ferma a leggere il nome di Fassino e sono due coordinatori: uno per la segrerimane di sale. Nel 1989 era il responsa- teria (Maurizio Migliavacca) e uno per la bile esteri del Pci: sono passati venti anni segretaria del segretario (Filippo Penati) e ed è tornato allo stesso preciso incarico di poi delle “perle” che fanno ricordare la allora. Uno pensa: che lo abbiano costret- moltiplicazione dei ministeri nei governi to? Macchè, ha anche pressato per entra- Andreotti della fase crespuscolare. C’è un re, affetto, come i dirigenti della sua ge- responsabile della finanza pubblica (Enrinerazione, dall’impossibilità di lasciare. co Morando) e uno di quella privata (MatPassiamo a Violante: era il numero del di- teo Colaninno). A questi si aggiungono le partimento giustizia del Pci già nella se- vere novità: l’organizzatore bersaniano conda metà degli anni novanta. Livia Tur- Nico Stumpo, l’economista vischiano Steco, Perlomeno ha fatto un rimpastino: nel fano Fassina, il dalemiano Matteo Orsini, 1989 era responsabile femminile, adesso la romana Roberta Agostini e tanti altri a passa all’immigrazione. Persino Cuperlo cui facciamo l’augurio di non ritrovarsi (in questo novero sicuramente il più bril- nella segretaria del 2040 dopo una rovilante e il più nuovo) era già in segreteria nosa serie di sconfitte, all’insegna dello nel 1989, come membro consultivo (era slogan: squadra che perde non si cambia. segretario della Fgci). Carnityi era segre- (Ps. un bacio a D’Alema che, evidentemente, ha tario della Uil nel 1977. Il secondo gruppo rinunciato all’organizzazione) di dirigenti, per così dire “più freschi”: un ex ministro come di Monica Piccini SCELTE 2009 Gentiloni, un ottimo sessantottenne come Rognoni ex membro del Cda Rai. Bersani è impazcrittore, attore, produttore 38enne, sconosciuto ai più. Una carica zito? No, ha disegnacinematografico e discografico. Un politica secondo alcuni. Per dieci città nel to un garbato sistetrasformista, Carlo Antonelli da Genova. Il mondo – infatti - il governo si riserva di ma cencelliano in
IL TRASFORMISTA CHE DIRIGE ROLLING STONES S direttore 45enne di Rolling Stone, che ha eletto a rock star dell’anno Berlusconi, è stato per dieci anni, 1993-2003, responsabile artistico alla Sugar di Caterina Caselli. In tempo per inventare i successi di Bocelli e Elisa. Ne è uscito nel 2003, quando quasi in contemporanea gli venne proposto, oltre alla condirezione della Bibbia rock anche la prestigiosa direzione dell’Istituto di cultura italiana a Los Angeles. A un allora
scegliere un candidato. A chi parlò di investitura politica Mauro Baccini, allora sottosegretario agli Esteri, rispose: “Certo è vicino al centrodestra. Ha superato però una lunga selezione in base alle sue capacità manageriali”. E in un articolo di Repubblica del 23 agosto 2003 si parlava di Antonelli come uno dei personaggi del mondo dell’ar te, già sodali di Craxi, riuniti intorno al capo di governo. Ora nel numero natalizio di Rolling Stone non si fa remore dal mettere in prima pagina un curioso Babbo Natale. Il suo.
IL FATTO POLITICO dc
Tremonti contrattacca di Stefano Feltri
Tremonti risponde Gcuiiulio così all’intervista con il ministro Renato Brunetta lo accusava di aver commissariato la politca economia: “Sono un uomo all'antica, e preferisco discutere prima nel Consiglio dei ministri e poi in Parlamento”. L’ultima volta che Tremonti e Brunetta hanno discusso in consiglio dei ministri hanno sfiorato la rissa, come ha raccontato lo stesso Brunetta. Ma Tremonti parlava anche a quella parte della sua maggioranza che si prepara a lanciare, da domani, l’ultimo assalto alla sua Finanziaria 2010 blindata, nel suo passaggio alla Camera. interpretate in Vsueanno questa chiave anche le parole di ieri sul futuro economico: “Può essere che chiudiamo il 2010 con un segno positivo del Pil, particolarmente positivo: 1 per cento oppure di più di 1 per cento”, ha detto ieri all’assemblea degli industriali romani, superando per ottimismo tutti gli organismi internazionali che finora non hanno mai previsto per il prossimo anno una crescita superiore allo 0,6 per cento. Ma questa volta Tremonti, che in passato se l’era più volte presa con le previsioni considerate da lui “meri esercizi congetturali”, sa che dalle aspettative sull’economia del 2010 dipende quello che succederà alla Camera, dove domani arriva la Finanziaria. econdo le anticipazioni Sstanno che gli esponenti del Pdl facendo circolare in queste ore, il conto che sarà presentato a Tremonti sarà di almeno 10 miliardi: una parte sono i soldi che servono a finanziare il taglio dell’acconto Irpef (e questi si recupereranno a giugno), gli altri misure straordinarie una tantum anticrisi. Difficile che rispuntino ipotesi ambiziose come quella del Senatore Mario Baldassarri (che voleva interventi per 37 miliardi), ma è oramai chiaro che il governo si impegnerà per più dei 5 miliardi che dovrebbero arrivare con lo scudo fiscale e che, lo disse proprio Tremonti, in teoria dovrebbero servire soprattutto per l’università e la ricerca. Fare previsioni così ottimistiche sul 2010, quindi, sembra un modo di prepararsi al peggio: Tremonti è pronto all’assedio e avverte che un po’ potrà cedere, ma non troppo. Perché una ripresa da 1 per cento non è poi moltissimo.
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Telco e Telefonica di chi è oggi la Telecom
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CAOS COMUNICAZIONI
opo lo scontro con il governo Prodi che voleva rendere di nuovo pubblica la rete, Marco Tronchetti Provera decide di uscire dall’investimento in Telecom (controllata dalla sua holding Olimpia). Temendo che un operatore straniero, cioè la spagnola Telefonica, prendesse il controllo di una compagnia
giudicata strategica per il paese, il governo favorisce la nascita di una nuova holding di controllo, Telco. I soci di Telco controllano l’azienda, vincolati da un patto di sindacato, avendo in mano il 23 per cento del capitale. Nella holding c’è un partner industriale, cioè Telefonica, e un pool di banche e investitori non ostili al governo: da Mediobanca, alle
Assicurazioni Generali, a Intesa Sanpaolo e Sintonia, la società della famiglia Benetton che ora ha deciso di vendere. Lo scorso 27 ottobre 2009 i soci Telco, ad eccezione di Sintonia, hanno rinnovato per altri 3 anni il patto di controllo. Il presidente è Gabriele Galateri di Genola e l’amministratore delegato è Franco Bernabè.
Raitre: il destino di Ruffini è segnato, arriva Di Bella
Il suk intorno alla rete Telecom PERCHÈ TUTTI VOGLIONO CONTROLLARE LA BANDA LARGA di Stefano
Feltri
resce il rumore di fondo che circonda la rete della Telecom, sia quella in rame sia quella futura in fibra ottica. Ieri le ultime due puntate: il sito Affariitaliani.it diffonde, a mercati aperti, una voce secondo cui Telefonica sarebbe pronta a comprare la rete fissa di Telecom, e questa è la vera ragione per cui osserva passivamente le mosse dei soci italiani di Telco, come i Benetton che hanno annunciato la propria uscita dalla holding che controlla Telecom. Un’ipotesi che però gli analisti giudicano poco probabile. Intanto il sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani dice che gli 800 milioni per la banda larga si troveranno, ma forse in due tranche. E in Argentina Telecom si prepara a vendere la controllata locale per fare cassa, le offerte verranno discusse nel consiglio di amministrazione di oggi. “Ormai è un enorme suk”: così l’economista Alessandro Penati riassume la situazione della compagnia telefonica guidata da Franco Bernabè. I contorni della vicenda cominciano a essere chiari, dopo che Romani ha confermato che “gli incontri al ministero ci sono con tutti gli attori del settore”, cominciando con la berlusconiana Mediaset. Una scelta che ha lasciato perplessa la dirigenza Telecom (informata dai giornali, non da Romani), anche perché secondo i rumors ci sarebbe proprio Silvio Berlusconi dietro l’attacco concentrico a Bernabè, che il presidente del Consiglio gradirebbe sostituire con un dirigente più affine, come Stefano Parisi o Flavio Cattaneo. Il futuro prossimo industriale,
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invece, sembra ormai quasi certo: c’è il consenso politico per creare una società separata con dentro la rete e che gestisca gli investimenti per costruire quella di nuova generazione. Una versione aggiornata di quel piano elaborato dal sottosegretario Angelo Rovati che causò lo scontro tra governo e Marco Tronchetti Provera, allora azionista di controllo della Telecom. Oggi Rovati fa il banchiere d’affari, in questi giorni è in Africa e non vuole com-
Cassa depositi e prestiti pronta a intervenire se gli operatori trovano l’accordo
mentare lo scontro sulla rete. I piccoli azionisti raccolti nell’associazione Asati, invece, sono entusiasti dell’idea di separare la rete, a condizione che Telecom conservi il controllo: “Secondo noi la soluzione ideale sarebbe creare una società per la rete in cui la maggioranza del 60 per cento resti in mano a Telecom e il 40 per cento diviso tra i soggetti del settore, da Fastweb a Wind alla Cassa depositi e prestiti”, spiega Franco Lombardi, presidente dei piccoli azionisti (piacevole effetto collaterale: a Telecom finirebbero diversi miliardi per ridurre l’indebitamento). E la Cdp è pronta a impegnarsi, ha detto ieri il presidente Franco Bassanini, a condizione che prima ci sia “l’accordo tra tutti gli operatori”. L’idea di una “newco”, cioè una nuova società a cui partecipa Telecom insieme ai suoi concorrenti per costruire la rete in banda larga piace poco a Lombardi: “Telecom è l’unica che ha la capacità tecnica per costruire
di Carlo
arà per la visuale angoSdall’andirivieni, lata o perché infastidito eppure L’ad di Telecom Franco Bernabè secondo Manolo Fucecchi
la rete e deve avere il controllo dell’operazione, per avere l’incentivo a impegnarsi”. Ma il punto è proprio questo: da tutto quello che sta succedendo in queste settimane, emerge che il governo intende avere un controllo più forte sulla infrastruttura della banda larga o di una “banda larghissima” di cui si discute ora. Secondo alcuni osservatori, tutto l’attivismo dell’esecutivo intorno alla rete si spiega soltanto guardando al posizionamento di Mediaset: il gruppo televisivo controllato dalla Fininvest sta conducendo sul digitale terrestre la sua guerra contro Sky. E per ora pare in vantaggio, con le nuove offerte Mediaset Premium e un business pensato per sfruttare le nuove abitudini di consumo (niente più televisione generalista ma offerta tarata sugli interessi dei singoli utenti). Ma sulla televisione via Internet, l’Iptv, è molto indietro:
ARTICOLO21 PREMIA I GIORNALISTI CONTRO PIROSO
ai presunti rapporti tra stato e mafia. Lunedì 16 novembre, infatti, sarebbe vranno un premio per la libertà dovuto andare in onda un pezzo della d’informazione. Silvia Resta e la re- giornalista, proposto alla direzione il dazione di “Reality”, settimanale d’in- 30 ottobre scorso. “La scaletta era staformazione di La7, riceveranno il ri- ta approvata totalmente – spiega un conoscimento dall’associazione Arti- membro del comitato di redazione del colo 21. Lo ha annunciato ieri il por- tg di La7 – il servizio era stato anticitavoce dell’organizzazione e deputato pato con le pubblicità nel weekend e dell’Italia dei valori Giuseppe Giuliet- sui maggiori quotidiani, perciò il pubti, durante una conferenza stampa blico se lo aspettava. Nel primo popresso l’Associazione stampa romana meriggio di lunedì, però, senza ulte(il sindacato dei giornalisti). Nella con- riori spiegazioni, il servizio è stato taferenza è stata raccontata la vicenda gliato e sostituito con altri due, uno dei relativa al taglio del servizio di Silvia quali in replica”. Resta, dal titolo “La trattativa” relativa L’inchiesta della Resta prevedeva una serie di interviste che il direttore Antonello Piroso ha defidi Belfagor DON VERZÈ nito “unidirezionali” al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, al fratello di Paolo, Salvatore Borldo Cazzullo ha molto apprezzato scrive don Verzé rifacendosi alle Scritture, non sellino, al vicepresi“Cristo, il vero riformatore sociale”, appartengono all’uomo, ma a Dio. Questo dente del Consiglio l’ultimo libro di don Luigi Verzé, il disinvolto non esclude il possesso personale. Ma ne superiore della magistratura Nicola prete affarista che ha creato l’impero implica la funzione sociale. La pena peggiore Mancino, all’ex proospedaliero “San Raffaele” e che, morto attende il ricco che si impossessa del denaro curatore di Palermo Craxi, è diventato il cappellano di Berlusconi. destinato ai poveri”. Chissà come si concilia Giancarlo Caselli e Ma ha fatto di tutto per dissimularlo, questo principio con la definizione di “uomo ad altri protagonisti dedicando al capolavoro una sola pagina di della Provvidenza” che più volte il santo prete delle vicende. Alla rirecensione-anticipazione sul Corriere. Il libro ha dato del corruttore più ricco del mondo, chiesta di chiarimenè “molto più denso di quanto non indichino le dopo aver beatificato il corrotto Craxi: ma to da parte del cdr, 258 pagine”. Un “libro autobiografico (sul purtroppo, proprio in questo libro, don Verzè Piroso ha risposto con una lettera: “Vepiano intellettuale e spirituale, però) e ha deciso di “mai citare un leader politico, do che si è voluto daprofondamente politico… Lontano le mille mai evocare la destra e la sinistra”. Peccato: re ampio risalto pubmiglia dalla zuffa quotidiana, ma partendo da avrebbe potuto illuminarci su quali siano le blico (anche fuori Gesù e dal Crisostomo”. Roba forte: “Le cose, “pene peggiori” che attendono le persone oneste. dalla redazione, a quanto mi consta) a
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UOMINI DELLA PROVVIDENZA
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per ora si limita a difendere i propri contenuti dall’uso abusivo di Youtube e tenta qualche esperimento in partnership con la Microsoft. E quindi avrebbe gli incentivi a evitare che la nuova banda larga finisca in mani sbagliate, cioè di concorrenti più pronti a sfruttarla. Ma per il professor Penati in Italia “non c’è domanda” per la banda larga. E nelle grandi città, l’unico contesto in cui si possono fornire contenuti in banda larga rispettando criteri di efficienza aziendale (cioè guadagnandoci), l’infrastruttura esiste già: quella di Fastweb. Soltanto le Regioni, o comunque il bilancio pubblico, possono sostenere l’estensione della banda larga a piccoli centri, sostiene il professor Penati. Ma questo, dice l’economista, è “un servizio pubblico locale”. Non quella miniera d’oro che giustificherebbe la guerra in atto intorno a Telecom.
LA7-TELECOM ITALIA MEDIA
di Caterina Perniconi
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un episodio che poteva essere tranquillamente classificato come un fatto di normale dialettica giornalistica – scrive Piroso – immagino che ciò sia avvenuto su impulso di Silvia Resta, che ha sempre lavorato in piena libertà sotto la mia direzione, nonostante gli “incidenti” in cui le è capitato di ritrovarsi”. Ma per il cdr, le criticità non erano state espresse a nessuno prima del taglio. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, Bruno Tucci, e il segretario dell'Associazione Stampa Romana Paolo Butturini si sono definiti “sconcertati” per la mancata messa in onda del servizio. I colleghi del cdr del Tg1 hanno espresso solidarietà ai colleghi di “Reality”, gesto che il direttore Piroso non ha gradito e li ha accusati, dalle colonne del Riformista, di “sovietismo”. Ieri, durante la conferenza, il presidente della Federazione nazionale della stampa, Roberto Natale, ha spiegato che i giornalisti del Tg1, come l’Fnsi e tutte le sigle che hanno espresso solidarietà alla Resta “cercano solo di mandare via l’aria mefitica che si respira ovunque”. L’Ordine dei giornalisti della Toscana, dove Piroso è iscritto, non ha preso nessun provvedimento nei confronti del direttore, né l’azienda ha messo in discussione il suo operato. Salvatore Borsellino, dopo l’intervista, ha scritto una lettera di solidarietà alla giornalista, che si conclude così: “Il parente di una vittima di mafia da che parte deve stare? Dalla parte degli assassini e dei complici degli assassini? Allora ho riflettuto e ho deciso che ebbene sì, sono di parte: dalla parte della verità e della giustizia”.
Sergio Zavoli – sempre placido e gentile – guarda con occhi obliqui Mauro Masi. Seduto accanto a Fedele Confalonieri, in un ormai familiare connubio tra Rai e Mediaset, il direttore generale è molto impacciato (litiga con il microfono) e poco attento (arriva in ritardo) al seminario della Commissione di Vigilanza sul servizio pubblico. Non è un giorno qualsiasi, tra poche ore Paolo Ruffini sarà sostituito alla direzione di Raitre: per volere politico e non per disvalore professionale. Zavoli è il presidente dell’equilibrio e della parzialità, ma interviene (quasi) per lanciare un appello ai consiglieri di viale Mazzini: “Spero ci sia una sorta di condivisione, in qualche modo di consenso. Ruffini ha lavorato bene per sette anni, mi sarei aspettato una conferma. Mi sembra doveroso rivolgere un buon augurio ai protagonisti della vicenda. Temo che i giochi siano fatti”. E sono fatti davvero. Antonio Di Bella è il candidato ufficiale, il curriculum è stato distribuito alle segreterie in copia firmata da Masi. L’ex direttore del Tg3 avrà un’investitura quasi trasversale: avrà i voti del Pdl e della Lega nord, quasi certi l’Udc e Giorgio Van Straten (Pd). Irremovibile Nino Rizzo Nervo. Di Bella è il nome che cercava Masi per unire la maggioranza e l'opposizione, tant'è che il commento diplomatico di Pier Luigi Bersani svela il “patto del Cavallo”: “La Rai è un'azienda, può fare l'azienda. Vediamo cosa succede e poi diremo la nostra”. Nessuna protesta del segretario democratico. Nonostante i dirigenti di Raitre chiedano con insistenza un incontro urgente con i vertici per ritirare la nomina all'ordine del giorno. Non ci saranno incontri perché Masi, all’ultimo passo di una complessa operazione, s’è rifiutato persino di rispondere. Al direttore generale interessa il rapporto tra la Rai e la politica: “Sano quando rispettano le regole, mutevole quando non sono chiare”. Che vorrà dire? Buttato lì nella sala Capitolare, a pochi minuti da un colloquio con Renato Schifani. Il presidente del Senato che vorrebbe “una Rai plurale”.
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Che cos’è oggi il servizio diretto da Guido Bertolaso
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ECONOMIA PUBBLICA
er Protezione civile s’intende “ogni attività e struttura predisposta dallo Stato al fine di tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi”. Questa è la definizione del servizio presieduto da Guido Bertolaso, che possiamo leggere sul sito
ufficiale della Protezione civile, ed è questo che il governo s’appresta a privatizzare. La Protezione civile è un’organizzazione complessa, che vede operare tutte le amministrazioni dello Stato, dal governo alle regioni, dalle province ai comuni. Per affrontare l’emergenza s’avvale costantemente della collaborazione delle forze armate. Il coordinamento del Servizio nazionale, e la
promozione delle attività di protezione civile, sono di diretta competenza del presidente del Consiglio dei ministri. Il coordinamento spetta invece al dipartimento della Protezione civile, che è articolato in nove uffici e 42 servizi. In totale, tra dipendenti di ruolo, a tempo determinato e a progetto, la Protezione civile conta su circa 1.200 unità lavorative.
NUOVA PROTEZIONE CIVILE SPA: TUTTO IL POTERE A PALAZZO CHIGI Sarà Berlusconi a decidere sugli appalti dell’emergenza
Il sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso (FOTO ANSA) di Antonio Massari
e Carlo Tecce i può privatizzare “l’emergenza”? Si può privatizzare “l’esercito” di volontari che in questi anni si è occupato di terremoti, ricostruzioni, disastri ambientali e persino dei grandi eventi come il G8 de L’Aquila? Secondo il governo Berlusconi, sì. L’idea di “privatizzare” la Protezione civile, almeno da un punto di vista giuridico, potrebbe diventare realtà già a dicembre. È messa nero su bianco, nella bozza di un decreto legge, il cui testo è conservato nei cassetti di Palazzo Chigi. Bisogna prima convincere il ministro dell’Economia Giulio Tremonti a trovare un’adeguata copertura finanziaria, ma presto un pezzo dello Stato sarà convertito in azienda. La Protezione civile diventerà una spa, una società per azioni. La ristrutturazione del di-
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partimento – diretto dal sottosegretario Guido Bertolaso – è nascosta nell’articolo 11 dell’ampio decreto legge sulle “norme urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in Campania e l’avvio della seconda fase nel territorio della regione Abruzzo”. Privatizzazione giuridica della Protezione civile: non si tratta d’una sfumatura. Parliamo del passaggio, a una spa, della gestione autonoma realizzata, in questi anni, da Bertolaso e dal suo gruppo di lavoro. La dicitura “emergenza”, oggi, consente poteri illimitati, discrezione assoluta, operazioni e investimenti al di fuori dei normali controlli: ed è proprio questo che s’intende “privatizzare”. Ma – e qui viene il bello – l’azienda resta comunque pubblica, ma nelle mani di un unico azionista: il presidente del Consiglio. L’annuncio è nelle prime righe del paragrafo “attività di supporto strumentale al dipartimento della
lanza degli interventi strutturali e infrastrutturali, l’acquisizione di forniture o servizi rientranti negli ambiti di competenza del dipartimento, ivi compresi quelli concernenti le situazioni di emergenza socio-economica-ambientale… nonché lo svolgimento di attività di formazione e ricerca con particolare riferimento al campo dell’ingegneria sismica”. Attenzione: “Secondo le direttive operative impartite dal presidente del Consiglio dei ministri su proposta del capo del dipartimento”. E quindi, secondo quest’ipotesi, da dicembre chi decide è Berlusconi; chi muove – direttamente – milioni di euro è Berlusconi; chi può dispensare favori è Berlusconi. Il decreto legge sarà approvato entro la fine dell’anno. Da mesi se ne parla, mai nessuno, però, aveva proposto una discussione. Questa mattina Renato Brunetta dovrà rispondere all’interrogazione urgente di Antonio Di Pietro: “Tale previsione – chiede il presidente dell’Idv – comporterà l’esternalizzazione di quasi tutte le attività di Protezione civile con effetti negativi sulla trasparenza e la rintracciabilità delle gare d’appalto, sulle attività di previsione e prevenzione dalle calamità che coinvolgono tutto il territorio nazionale ed escluderà dal controllo diretto sul territorio in prima istanza i sindaci, l’unica autorità di protezione civile riconosciuta dalla legge, nonché le regioni e le province, mentre in capo all’attuale dipartimento resteranno compiti di gestione dell’emergenza e di pianificazione spediti-
Istat: 300.000 euro per Giovannini IL NUOVO PRESIDENTE INCASSA UN AUMENTO DEL 330 PER CENTO di Rosaria
Talarico
ispetto alle cifre decimali degli arrotondaRpresidente menti dell’Istat, quello dello stipendio del dell’Istituto di statistica è un super arrotondamento: passato da 93 mila euro lordi a 300 mila. Per Enrico Giovannini, nominato al vertice dell’Istat la scorsa estate, si tratta di un aumento del 300 per cento rispetto al suo predecessore, Luigi Biggeri. “E’ il 330 per cento, non arrotondiamo e rispettiamo le percentuali, visto che parliamo di Istat” ironizza Rocco Tritto, segretario Usi-Rdb ricerca (il sindacato che rappresenta i lavoratori della ricerca) “è un incremento record; in un momento come questo non ci sembra una cosa carina”. La notizia, diffusa dal sindacato, viene confermata dall’istituto: “L’indennità del presidente è questa, lo confermo – spiega al Fatto Quotidiano Giovanni Fontanarosa, direttore generale dell’Istat – però devo aggiungere che lo stipendio del presidente non veniva modificato addirittura dal 1993. Inoltre Giovannini proviene da un precedente incarico all’Ocse (capo del servizio statistico, ndr) dove aveva un contratto di 180 mila euro netti all’anno. Quindi superiore ai 160 mila netti che prende
va”. Non soltanto una nuova società: il decreto prevede anche nuovi dirigenti, assunti, per promozione automatica, dai gradi inferiori. Gli scatti (anomali) di carriera preoccupano l’Idv. E preoccupano anche i sindacati. Contraria al progetto, la Cgil annuncia proteste, e chiede se la società, a capitale pubblico, resterà sempre controllata dal governo oppure no: “La proprietà è della presidenza del Consiglio dei ministri, ma sarà sempre così? - si chiedono Salvatore Merlo e Antonio Crispi della segreteria Fp della Cgil - Il potere di ordinanza, fin qui, permetteva d’andare in deroga o e non passare per la Corte dei Conti. Tuttavia, le restrizioni restano, nel senso che bisognava comunque garantire la traspa-
renza sugli appalti. La Spa risolve questo problema: può affidare il lavoro a chi vuole e come vuole”. La Cgil, al più presto, assumerà ogni iniziativa utile per contrastare questo disegno e tutelare i lavoratori del dipartimento di Protezione civile.
Al decreto legge manca solo la copertura finanziaria del Tesoro. Entro dicembre l’approvazione
Ricercatori in rivolta
SUL TETTO CONTRO I TAGLI ALL’ISPRA
Protezione civile”. Si legge: “Per lo svolgimento delle funzioni del dipartimento è costituita una società per azioni di interesse nazionale con azionista unico la presidenza del Consiglio dei ministri”. Previsti anche l’atto e lo statuto, elaborato di concerto dal governo e dalla Protezione civile. Così Silvio Berlusconi fabbrica e si consegna uno strumento
nazionalpopolare potenzialmente utile anche per costruire consenso: soldi, commesse e prebende, lì dove c’è stata morte e dolore. La Protezione civile spa gestita da Palazzo Chigi sostituirà di fatto il dipartimento che sarà congelato: “Le attività (della spa) possono riguardare anche la progettazione, la scelta del contraente, la direzione lavori, la vigi-
La protesta dei ricercatori dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sul tetto della sede romana contro i 230 licenziamenti avvenuti di ricercatori e i 200 previsti per dicembre.
adesso”. Il paragone con il precedente incarico non convince il sindacato. “Allora se per assurdo avessero preso Kaká come presidente dell’Istat lo avrebbero pagato dieci milioni di euro?”, dice Tritto. Enrico Giovannini sale in cima alla classifica dei presidenti degli enti di ricerca quanto a compenso – si legge nel Foglietto, il giornale elettronico del sindacato dei ricercatori – che risulta essere quasi doppio rispetto a quello percepito da Luciano Maiani (174 mila euro) al vertice del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, ente che ha un numero di dipendenti quattro volte superiore all’Istat. “Ma le responsabilità del presidente sono enormi, basti pensare solo ai rischi delle cause legali – prosegue Fontanarosa – inoltre quando si vogliono figure con un alto profilo e di livello internazionale ci si confronta con il mercato. Altrimenti l’assunzione di un incarico sarebbe più che altro una missione”. Ma c’è anche chi, malignando un po’, suggerisce un’interpretazione diversa. Forse l’aumento dello stipendio era un modo per rendere più appetibile una posizione al centro della polemica politica, che ha alimentato per mesi uno scontro tra due
ministri: Renato Brunetta (Funzione pubblica, che tra l’altro è il ministero vigilante sull’istituto di via Balbo con il compito di proporre il nome per la presidenza) e Giulio Tremonti, ministro dell’Economia che non accettava di essere escluso da una nomina così sensibile, visto che le statistiche misurano il successo o il fallimento delle sue politiche anticrisi. Ognuno sostenendo due diversi candidati. La professoressa Fiorella Kostoris (ex direttore dell’Isae, l’Istituto di studi e analisi economica), nel caso di Brunetta e il professor Carlo Andrea Bollino (attuale presidente del Grtn, il gestore del sistema elettrico), sostenuto da Tremonti. Alla fine l’accordo era stato trovato sul nome di Giovannini. L’incremento record del 330 per cento è stato deciso con un decreto lo scorso agosto, mentre qualche settimana fa è stato registrato dalla Corte dei Conti. “Abbiamo chiesto un raddoppio per lo stipendio dei dipendenti” conclude Tritto “lui se l’è triplicato, noi vorremmo almeno un raddoppio”.
Primo premio: uno stage gratuito con Brunetta di Federico Mello
ualche tempo fa fece Qgnolo scalpore un reality spanel quale si vinceva un posto di lavoro. In Italia, l’Università Bocconi ha lanciato un concorso “per migliorare la Pubblica amministrazione” con un premio ancora più allettante: “Tanti stage con il ministro Brunetta”. Gli stage, della durata di 12 settimane, saranno a titolo gratuito. E i vincitori dovranno, presumibilmente, pagarsi anche vitto e alloggio per soggiornare a Roma. Il concorso si chiama “Dai voce alle tue idee” ed è rivolto a tutti gli studenti (l’anno scorso, la prima edizione, era solo per i bocconiani) che potranno inviare idee “per migliorare la Pubblica amministrazione italiana”. “La Pubblica amministrazione – ha spiegato Giovanni Valotti docente di Economia delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi – ha bisogno di menti giovani e fresche. Il concorso dà la possibilità agli studenti di esprimere la loro creatività proponendo progetti che possano essere concretamente realizzati”. Nell’epoca della precarietà, insomma, anche gli studenti più bravi possono ambire a un periodo di lavoro a titolo gratuito con improbabili sbocchi: uno stage presso un’amministrazione pubblica non può dare nessun diritto all’assunzione, visto che al posto pubblico si accede per concorso, né dà diritto ad alcun punteggio per eventuali concorsi. “Se uno stage non è retribuito vuol dire che, tra trasporto, pranzo e magari affitto, si paga per lavorare” dice al Fatto Eleonora Voltolina, l’animatrice del sito repubblicadeglistagisti.it dove segnala quali aziende offrono stage a condizioni dignitose. “Noi stiamo raccogliendo delle firme per chiedere che venga garantito quanto meno un maggiore punteggio agli ex stagisti. Anche perché questa situazione, come al solito, è solo italiana. Tutte le istituzioni europee prevedono degli ottimi rimborsi per i tirocinanti. Questi sono gli ultimi giorni per mandare la propria candidatura all’Agenzia europea per i diritti fondamentali con sede a Vienna. Per gli stagisti, rimborso di 1000 euro al mese e spese di viaggio pagate”. L’anno scorso Brunetta “in difficoltà nella scelta di chi portarsi a Roma” decise di offrire “a tutti i gruppi finalisti uno stage presso il proprio dipartimento”. Tanto non gli costa niente.
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IL RACCONTO
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STORIE SICILIANE E DI DENARO
Parla Maria Antonietta Aula, ex moglie di Antonio D’Alì La politica nella terra di Cosa nostra
Quella che vi stiamo raccontando è una storia siciliana. È la storia della signora Maria Antonietta Aula, ex moglie di un uomo di punta di Forza Italia, fin dalla sua nascita, il senatore del Pdl, Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno, oggi presidente della Commissione Ambiente. Una storia che narra come il senatore D’Alì, rappresentante di spicco del governo Berlusconi, non abbia mai sentito il dovere di spiegare legami, seppure antichi, con boss di spicco, come il latitante Matteo Messina Denaro, condannato all’ergastolo per le stragi del 93, oggi a capo di Cosa Nostra. Ne emerge un racconto appassionato, lacerante, malinconico, libero dal giudizio che pure porta con sé. Un racconto che abbiamo scritto, che le abbiamo riletto al telefono, ottenendo la sua approvazione. Il giorno prima della pubblicazione, mentre aspettavamo, come da accordo preso, l’invio di una sua foto, riceviamo una e-mail in cui ci comunicava di aver cambiato idea e spiegava che il “rileggere una pagina ormai voltata della storia della mia vita mi ha fatto molto male e pertanto sono, oggi come mai, convinta di non volere più tornare su queste vicende”. Uno stato d’animo comprensibile ma non sufficiente per non pubblicare l’intervista, non per mancanza di sensibilità, o di rispetto, ma per un principio elementare di giornalismo. di Sandra
In alto a destra, un’immagine di Villa Pilati. In basso a destra, Maria Antonietta Aula (in piccolo); Antonio D’Alì e Marcello Dell’Utri. Qui sotto, Antonio D’Alì (FOTO ANSA)
Amurri
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IRA E RIGIRA tra le mani quei biglietti Maria Antonietta Aula. Una signora alta e bionda con gli occhi celesti e una cortesia d’altri tempi a delinearne i tratti. Famiglia della borghesia trapanese, è stata dall’età di 24 anni, per oltre vent’anni, la moglie del senatore del Pdl Antonio D’Alì, presidente della Commissione Ambiente, ex sottosegretario all’Interno, proprietario della Banca Sicula, poi ceduta alla Comit. La signora Aula è una donna che fatica ancora a rendersi conto di ciò che è scivolato davanti ai suoi occhi lasciando domande senza risposta. Risposte che non cessa di avere, visto che ci si dimentica solo di ciò che si chiede perché è poco importante, ma che, a tratti, vorrebbe smettere di cercare per liberarsi di un tempo ormai perduto. “Li ho ritrovati mettendo a posto le carte” dice mostrando i biglietti. “Congratulazioni. Francesco Messina Denaro e famiglia”. Un cognome che fa sobbalzare. Francesco Messina Denaro, capomafia di Castelvetrano, trovato morto nel ‘98 nelle campagne durante la latitanza, cadavere che la moglie, davanti
ANTONIO D’ALÌ
DA BANCA SICULA AL GOVERNO Antonio D’Alì Solina, nato a Trapani nel 1952, laureato in Giurisprudenza a Roma, proprietario delle saline, della Banca Sicula (primo istituto bancario privato presieduta dallo zio che faceva parte della P2 di Gelli), poi ceduta alla Comit, su cui indagò il vicequestore di Mazzara del Vallo, Calogero Germanà, scampato nel 1992 ai kalashnikov di Bagarella, Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano. Banca in cui era funzionario Salvatore Messina Denaro, arrestato nel 1998, fratello del capo di Cosa Nostra Matteo. Dalle indagini risulterebbe che i 7 miliardi provenienti dalla vendita della Banca siano finiti in una finanziaria con sede nel Lichtenstein. Senatore dal 1994, è stato sottosegretario all’Interno: “Berlusconi mi ha affidato l’incarico e non ho potuto rifiutare”. Incarico non riconfermatogli, come sono in molti a sostenere, a causa delle innumerevoli informative di polizia sul suo conto pervenute al vaglio del ministro dell’Interno Maroni. Ex presidente della provincia di Trapani. Ideatore della Vuitton Cup, preliminari della America’s Cup, oggi presiede la Commissione Ambiente del Senato ed è membro del comitato per la politica economica del Pdl. Da sottosegretario all’Interno, nel 2004, si sarebbe personalmente attivato per ottenere, invano, il trasferimento del capo della Squadra Mobile di Trapani. Oltre ad essere indagato per il trasferimento da Trapani del Prefetto Sodano, oppostosi alla vendita della Calcestruzzi Ericina del boss Virga all’imprenditore di cemento Vincenzo Mannina (arrestato, condannato a 6 anni per mafia, indagini sulla America’s Cup), che a verbale dice: “Sono certo che il mio allontanamento da Trapani è stato voluto da D’Alì che in prefettura mi prese in disparte e, con tono di rimprovero, mi disse: ‘Ma che mi combina? Mi dicono che con la sua attività sta alterando il libero mercato!’ Quando fu nominato sottosegretario mi invitò a pranzo e mi disse che da lui dipendeva la nomina e il trasferimento del prefetto e del questore della città”. Inoltre il boss Francesco Pace, (condannato per questo a 20 anni per associazione mafiosa) ha riferito che per il trasferimento del prefetto Sodano si era rivolto a un politico, tacendone il nome.
allo sguardo attonito dei poliziotti, coprì con la sua pelliccia di Astrakan. Francesco era il padre di Matteo, attuale capo di Cosa Nostra, latitante da 16 anni, condannato all’ergastolo per le stragi del ‘93. I Messina Denaro erano i campieri della famiglia D’Alì, nella tenuta di contrada Zangara. Terreno venduto da Antonio D’Alì al gioielliere di Castelvetrano, Francesco Geraci, prestanome di Totò Riina, che andò a riprendere i soldi nella Banca Sicula dei D’Alì per restituirli a Matteo Messina Denaro, come lui stesso raccontò una volta diventato collaboratore di giustizia, dopo essere stato condannato per mafia. Oggi su quel terreno, confiscato, Libera produce olio.
IL REGALO DI NOZZE DI MESSINA DENARO “Non lo avevo mai visto, non c’era accanto al vassoio d’argento massiccio, costato sicuramente oltre un milione, che Tonino portò a casa mia per esporlo accanto agli altri regali di matrimonio”, racconta. Divorziata da sei anni. A 55 anni, Maria Antonietta Aula, Picci per gli amici, è una donna che non ha conti in sospeso con l’ex marito, né vendette da consumare. Solo ora quel luogo della memoria, sospeso tra passato e presente che l’ha avvolta per molti anni, è divenuto il tempo della parola che non ha mai voluto affidare ai tanti giornalisti che le hanno chiesto un’intervista, anche per timore di finire nel solito clichè della moglie tradita, abbandonata, assetata di vendetta. “Gliel’ho restituito il vassoio dei Messina Denaro quando se n’è andato via. Non lo voleva, l’ha preso dopo aver insistito, in fondo era roba sua; perché sarebbe dovuto restare a casa mia?”spiega davanti ad una tazza di caffè caldo, marmellata di arance fatta da lei, sedute nel parco di Villa Pilati. Un’antica dimora seicentesca, trasformata in bed and breakfast, immersa nella natura, tra palme secolari, agrumeti, cascate di bougainvillea in fiore, che si affaccia sul mare di Bonagia, a pochi chilometri da Trapani. “La mia forza è mio figlio che vive e lavora a Londra, un ragazzo sensibile che si è fatto da solo senza mai chiedere nulla a nessuno. Ne sono molto fiera”. Il senatore D’Alì, non è un mistero, è un uomo che usa il potere di cui dispone con la scioltezza con cui una vecchina snocciola tra le dita il rosario. La signora Aula, che il potere “fa sorridere” ma la infastidisce quando diventa ostentazione, snocciola, invece, una litania di fatti, tutti documentati, che
l’orario di lavoro. “Questo, invece, è firmato Filippo e Rosalia Guttadauro, ma il loro regalo non ce l’ho presente; forse Tonino non l’ha esposto, oppure l’ha fatto senza dirmi di chi fosse”, continua a raccontare la signora Picci mentre sfoglia la rubrica dove il marito registrava tutti i regali ricevuti. Alla lettera G esclama: “Non c’è! Che strano, eppure il biglietto è qui! Ricordo molto bene il matrimonio di Rosalia e Filippo Guttadauro alla Favorita di Marsala, più di 700 gli invitati. La mamma della sposa, la signora Lorenza Messina Denaro in cappello, una sfilza di doppiopetti rigati, musica e fiumi di champagne Cristall. C’erano Cuffaro, Dell’Utri, Mannino”. Rosalia è la sorella maggiore di Matteo Messina Denaro. Suo marito, Filippo Guttadauro, medico di Bagheria, è il referente di Matteo Messina Denaro per la provincia di Palermo, si interessava alle sorti politiche di Cuffaro. Ora è in carcere, condannato a 16 anni. “Con me a fare la spesa veniva sempre Patrizia, la sorella più piccola. Matteo da bambino l’ho tenuto sulle ginocchia, erano i figli di don Ciccio, che abitava nella casa a fianco alla nostra a Zangara, dove ci trasferivamo per la vendemmia” dice mentre continua a sfogliare la rubrica. “Ma questa è la mia scrittura!”, esclama indicando il foglio alla lettera M. Legge ad
“Al matrimonio di Rosalia Messina Denaro con Filippo Guttadauro c’erano Cuffaro, Dell’Utri, Mannino” raccontano come la politica e gli uomini delle istituzioni, non solo in Sicilia, convivano, con grande disinvoltura, senza suscitare alcuno scandalo, con la cosiddetta normalità mafiosa, che contribuisce a rendere la mafia “eterna”, restando sempre dentro quel circuito vizioso che confonde vittime e carnefici. Quando D’Alì era sottosegretario all’Interno, il pm Andrea Tarondo, che indagava su di lui, da una conversazione intercettata apprese che un poliziotto che aveva fatto parte della sua scorta, poi, affidato a quella di D’Alì, aveva inviato un fax, dalla questura di Trapani, all’insaputa del questore Pinzello, al ministero della Giustizia, su richiesta del sottosegretario del Pdl, in cui affermava che il pm “sparlava”di D’Alì. Il ministro Castelli aprì un’indagine. Il pm, convocato dal procuratore generale, dimostrò l’infondatezza dell’accusa ma al poliziotto non successe nulla. In seguito il poliziotto tornò a far parte della scorta del pm che informò di quanto accaduto il nuovo questore Gualtieri e il poliziotto venne destinato ad altro incarico. In seguito, si scoprì che la moglie del poliziotto gestisce il bed and breakfast “Le Vele” nel palazzo di proprietà di D’Alì, dove il poliziotto si recava con l’auto di servizio, durante
alta voce: “Francesco Messina Denaro, grande centro argento consegnato 12-11-2000. Non lo ricordavo, l’ho scritto io quando gliel’ho restituito. Si alza seguita dai due inseparabili Shih-Tzu, Trillo e Gelsomina. Va in ufficio. Torna poco dopo tenendo in mano due fogli. Una riga di inchiostro nero li divide verticalmente: Aula e D’Alì, carta intestata Antonio D’Alì Solina, Trapani. Scritto a penna: “Nota per l’assegnazione dei regali di nozze in base alla provenienza degli stessi; a seguire i rispettivi regali ricevuti per ordine alfabetico”. “Anche qui mancano quelli di Guttadauro e Messina Denaro, mah!”, sospira. “Difficilmente rispondeva alle mie domande”. Le parole, come scrive Simone de Beauvoir, smuovono le coscienze, agitano gli animi, fissano il pensiero, insomma restano, è meglio non rischiare.
TELEGRAMMA DAL CARCERE “Restava zitto come quella volta, quando gli consegnò il telegramma inviatogli da Franco Virga: ‘Auguri, tu ti diverti e io sto qua rinchiuso’.
Mercoledì 25 novembre 2009
riferissi, rispose: ‘Va bene buonasera e riattaccò’. Quando lo raccontai a Tonino, mi rimproverò duramente. A Trapani, a Tonino lo chiamavano il piccolo Berlusconi perché anche lui aveva una tv, Telesud”. Dove ogni volta che veniva attaccato dalla stampa o sentiva aria di qualche indagine in corso si presentava in video e cominciava così: “Cari amici, volevo informarvi che ho ottenuto il contributo per la Chiesa, che arriveranno i soldi per il porto, ecc. Abitudine che D’Alì mantiene su facebook dove alcuni giorni fa ha postato una notizia importante per i suoi elettori: “Cari amici, vi comunico che farò sentire ancora di più la voce della Sicilia, dato che sono stato chiamato a far parte del comitato per la politica economica con Bondi, La Russa, Verdini, il ministro Tremonti, Cicchitto, Quagliariello, Gasparri, Bocchino”.
LE CONDOGLIANZE DI GUTTADAURO Picci accende la macchina del caffè. Nell’attesa estrae dalla borsa una busta trasparente. Appoggia sul tavolo due telegrammi, li apre e con l’indice mostra il timbro di provenienza e la data: ufficio postale di Castelvetrano, 2 novembre 1983, intestati a dottor Antonio D’Alì Solina, corso Italia 108 Trapani: ‘Sentite condoglianze, Fam. Guttadauro Filippo’ e ‘Sentite condoglianze, famiglia Messina Denaro Francesco’. “Curioso eh?”. Hanno inviato al marito le condoglianze per la morte di suo padre, poi Picci aggiunge con un sorriso ironico: “Spero che li abbia anche ringraziati”. Riprende a parlare dei Messina Denaro. Ricordi che inevitabilmente pesano, ma che si sfilano dalla memoria con la leggerezza di fatti che appartengono alla propria storia. “Nel 1988, sì, cinque anni dopo la vendita di Zangara, lessi sui giornali che Francesco Messina Denaro si era dato alla latitanza con l’accusa di essere il capomafia di Trapani. ‘Tonino, hai letto don Ciccio è un capomafia, ma tu lo sapevi?’, chiesi avvicinandomi a lui con il giornale in mano. Era dicembre del 1998, stavamo partendo per andare a trascorrere il Capodanno a Sharm el Sheik con il senatore del Pdl Domenico Contestabile e la sua fidanzata. Restai fulminata. Ma chi è questo, perché manda gli auguri a te, gli chiesi”. Franco Virga, figlio di Vincenzo Virga, capomafia di Trapani, arrestato dopo anni di latitanza, quando inviò quel telegramma era in carcere da due anni con una condanna a 9 anni per associazione mafiosa. Virga è il boss a cui Dell’Utri, presidente di Publitalia, si rivolse affinché chiedesse il pizzo per una sponsorizzazione a Vincenzo Garaffa, presidente della Pallacanestro. Come da sentenza di primo grado del tribunale di Milano, che condanna Dell’Utri per estorsione, reato derubricato in appello in minacce: “Abbiamo uomini e mezzi che la possono convincere a cambiare opinione”, disse Dell’Utri a Garaffa che si rifiutava di pagare la mazzetta. “A volte, invece, mi diceva: ‘Antonietta, cara, tu vedi troppi film di mafia’. Non sbagliava, in effetti a ripensarci ora, quando vidi “la Piovra”, forse esagero ma era come se sul video vedessi scorrere la mia vita. Ricordo che durante la campagna elettorale nel 1994, occasione in cui conobbi l’avvocato Dotti e la Ariosto, non feci altro che girare in macchina per la città con l’imbianchino per coprire le scritte sui muri: D’Alì mafioso, D’Alì e i 40 ladroni. Gli dicevo: ma perché non reagisci sui giornali? Faceva spallucce, come diciamo noi”. Risultato: D’Alì ottenne 54 mila preferenze. Ma non la sua: “Io non ho mai votato Forza Italia e lui lo sapeva, forse per questo sentiva di non potersi completamente fidare di me. In effetti non condividevamo molto, cominciando dalla scelta, del tutto inaspettata, comunicatami quando era già avvenuta, di candidarsi nel ‘94 con Forza Italia su richiesta di Micciché. Ma la venuta di Berlusconi, quella proprio non me la posso scordare. Regionali del ‘96. Fu nostro ospite. Arrivò preceduto da 7 bauli su ruote pieni di abiti e camicie e dalla fedele Marinella Brambilla, che al mattino lo truccava con tanto di quel cerone che dovetti buttare le federe e la sera lo struccava usando quintali di clinex. La sede dei Ds di fronte casa era tappezzata di bandiere rosse in segno di sfida. Tonino era in ansia, continuava a ripetermi di andare a dirgli di toglierle, mentre Berlusconi, quando le vide, andò a suonare il campanello e disse: ‘Grazie per l’accoglienza, siete davvero gentili’. Capii che era un grande comunicatore, capace di ribaltare situazioni a lui sfavorevoli. Ricevetti in anticipo la lista delle cose proibite e di quelle indispensabili: pesce senza spine, perché il presidente temeva di soffocare, bagnoschiuma esclusivamente al limone, teli da bagno bianchi da avvolgere attorno alla vita, latte di mandorle
“Berlusconi arrivò preceduto da Marinella Brambilla, che lo truccava con tanto di quel cerone che dovetti buttare le federe” fatto in casa da bere al mattino ecc. Organizzai una cena per circa 150 persone, c’erano tutti: La Loggia, Schifani, Micciché. Prima di ripartire mi chiese come avrebbe potuto ricambiare a tanta gentilezza e io gli risposi: doni all’Unitalsi, di cui allora ero presidente, un pulmino per il trasporto dei malati. ‘Per tanto poco, signora, sarà fatto’. Del pulmino neppure l’ombra. Una sera di dicembre del ‘96 squilla il telefono di casa: era Berlusconi. Chiamava per invitarci nel suo palco con Veronica alla Prima della Scala. Gli risposi: ‘Presidente, cosa farà mio marito non lo so, io non verrò’. ‘E perché mai signora?’. ‘Perché attendevo da lei una risposta dovuta perché promessa’. Senza neppure chiedermi a cosa mi
Risposta: ‘Antonietta cara, non lo sai i giornalisti come sono, devono pure scrivere qualcosa’. Don Ciccio era un uomo rispettato da tutti, anche dal prefetto di Milano, Amari, a cui faceva la raccolta delle olive”. Nonostante Francesco Messina Denaro fosse già stato sorvegliato speciale perché sospettato di numerosi fatti di mafia, che non potevano non essere noti, soprattutto a un prefetto della Repubblica, in aggiunta di Castelvetrano. “Era un uomo gentile, sua moglie Lorenza, un’ottima cuoca, faceva il pollo nel forno a legna come nessuno, una donna forte, i figli ne avevano soggezione. Matteo era un ragazzino vivace, occhi verdi trasparenti taglio orientale, molto bravo a scuola, che mi chiamava signora Antonietta. L’ultima volta che l’ho visto avrà avuto circa 20 anni, credo”. Cioè poco prima di diventare una delle più micidiali macchine da guerra di Cosa Nostra corleonese. A capo di una mafia che oggi ha dismesso la coppola, sostituito la lupara con il kalashnikov, che sposta capitali da una parte all’altra del mondo, controlla i voti, indirizza il consenso grazie a politici conniventi, ma che continua a comunicare con i pizzini: “Tu sei migliore di me”, scrive Provenzano latitante e Matteo risponde: “Lei mi dice che io sono migliore di lei io non sono migliore di lei, io sono come lei”. “Siamo andati a Zangara finché Tonino, inaspettatamente, dopo aver appena impiantato una nuova vigna, decise di vendere il terreno”, continua riavvolgendo il nastro della memoria. “Finché c’è stato lui in campagna non è mai successo niente, poi da quando sono rimasta sola ho subito due attentati intimidatori che ho denunciato. Uno nel 2001, quando mi hanno rubato il gruppo elettrogeno dall’azienda agricola in contrada Fulgatore, facendo restare a secco il vigneto. Poi, dopo qualche
L’identikit di Matteo Messina Denaro, attuale capo di Cosa Nostra, latitante numero uno, il boss più spietato attualmente in circolazione (FOTO ANSA)
anno, le pecore dei mafiosi Agugliaro mi hanno mangiato tutto il frumento: ‘Cà cangiarono tutte cose da quando c’è lei e non c’è più u’ senature’, mi dissero. Ho saputo dai giornali che sono stati arrestati e condannati a 15 anni per tentato omicidio. Non è facile, lo so, anche gli investigatori mi consigliano di fare attenzione, ma che debbo fare, fino al 2015 devo pagare i debiti lasciatimi da mio marito per il vigneto che volle impiantare nell’azienda di papà. Adesso l’ho estirpato e spero di poter affittare il terreno per il fotovoltaico. Forse non sembra, ma sono una donna forte, certe cose non le permetto”.
MATRIMONIO CHE VA MATRIMONIO CHE VIENE Tace. Il sorriso si spegne come se improvvisamente i ricordi fossero divenuti troppo dolorosi. Parla d’altro, degli ospiti che stanno per arrivare, dei fiori appena raccolti da sistemare nelle stanze. Si alza, entra in casa. Torna con il caffè. Racconta del pericolo sventato, almeno per ora, di vedersi annullare il matrimonio come richiesto dal marito, grazie all’appoggio di Ninni Treppiedi, fratello del capo di gabinetto del senatore D’Alì quando era presidente della provincia di Trapani, segretario del vescovo Francesco Miccichè. “Inconsapevolezza dell’indissolubilità del matrimonio”, questa la motivazione. “Inconsapevolezza della indissolubilità del matrimonio!”, ripete con evidente dolore. Il senatore D’Alì, nel frattempo, si è sposato in un monastero sconsacrato. Testimoni di lui: l’ex ministro dell’Interno Pisanu e la moglie Annamaria. Testimoni di lei: Bruno Vespa e la moglie, il magistrato Augusta Iannini. Al fastoso ricevimento offerto dal sottosegretario all’Interno, a Palazzo Rospigliosi Pallavicini, con tanto di cassate e cannoli fatti arrivare dalla pasticceria Billè di Messina, come documentato da Il Tempo, c’erano proprio tutti: spiccavano Cuffaro, Dell’Utri, Bobo Craxi, Schifani, Gasparri, La Loggia, Bonaiuti, Tassone, Bertolaso, Santanchè, Billè. “Era il 4 aprile del ‘99, eravamo andati alla Processione dei Misteri del Venerdì Santo, c’era anche Gianfranco Micciché. Io sono rientrata prima. Nel cuore della notte si accende la abat jour, sento la sua voce: “Me ne vado, amo un’altra donna”. Il giorno dopo era fuori casa, tre anni dopo eravamo già divorziati”. Divorzio conclusosi con una liquidazione per la moglie di 200 mila euro. “Poco importa se per vivere preparo marmellate e organizzo banchetti per matrimoni, va bene così. Certo, avrei potuto chiedere un accertamento patrimoniale per sapere dove fossero finiti i 7 miliardi incassati dalla vendita della Banca Sicula, di cui possedevo azioni, avrei potuto chiedere spiegazioni sui conti a Montecarlo e se ricordo bene in Lichtenstein, ma non l’ho fatto anche per rispetto di mio figlio. Ma da quel giorno è come se fossi diventata trasparente. Il vescovo, che conoscevo bene essendo presidente dell’Unitalsi, andava a cena con lui e con quella che allora era la sua amante”. E la città guardava. “Ora che, invece, è la moglie –racconta la signora Picci –ci va a Lourdes con il cardinale Ruini a bordo dell’aereo del Vaticano”. La nuova signora D’Alì è Antonia Postorivo, 41 anni, calabrese di Roggiano Gravina, avvocato dello studio Previti, amica di Jole Santelli, sottosegretario alla Giustizia ai tempi di Castelli ministro. Habituè dei salotti romani, amica intima dell’avvocato Ghedini, ma anche di Micciché, che la presentò al senatore D’Alì. Per lei ha acquistato un prestigioso appartamento vicino a piazza Navona, che le ha intestato, oltre ad avere comperato una caserma della Guardia di finanza dismessa a Favignana, ristrutturata utilizzando per il trasporto dei materiali la motovedetta della polizia di Stato, come ci viene raccontato da più testimoni, anche chiamando gli agenti al termine del turno. Storie di ordinario potere in terra di Sicilia, ma non solo.
Pubb Un annetto buono NEW.ai 1 24/11/2009 16.20.04
IL NUOVO LIBRO DI DARIO VERGASSOLA
TUTTO QUELLO CHE I TG NON VI DICONO 2009: un anno difficile, un anno impegnativo, un anno di crisi... un po’ come gli ultimi dieci o quindici, a pensarci bene. Questo è il diario di un anno indimenticabile (o da dimenticare, dipende dai risultati elettorali) secondo Dario Vergassola, cronista impavido che con sommo sprezzo del ridicolo appunta e commenta i deliri quotidiani di politici, capi di stato, presidenti del consiglio, ministri, portaborse, papi e anche re; uno speciale reportage dal fronte della politica parlamentare e della cronaca quotidiana, dove gli eventi si susseguono vertiginosi e inverosimili più che in una fiction, lasciandoci a bocca aperta e con una gran voglia di cambiare canale.
SALANI
EDITORE
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DAL MONDO
TEST PER I MAGISTRATI LA FRANCIA SORPASSA L’ITALIA Polemiche sulle 200 domande psicoattitudinali di Emanuela
Mastropietro Parigi
ome in Italia, anche in Francia si sospetta che il magistrato sia, per natura, un pazzo”. Olivier Joulin, vicepresidente del Syndicat de la Magistrature, insorge contro i nuovi test psicologici imposti alle future toghe durante le prove d’ammissione. Una misura auspicata anche da Silvio Berlusconi, nel 2004, con la riforma Castelli, e poi cancellata dalla successiva legge Mastella. Ora, è la Francia di Nicolas Sarkozy ad averla adottata. Dal 4 novembre i candidati dell’École Nationale de la Magistrature di Bordeaux (Enm), l’istituto che seleziona gli aspiranti giudici e per 31 mesi ne assicura la formazione, oltre ai soliti esami di diritto e di cultura generale devono sottoporsi a due nuovi tipi di test detti “della personalità”: duecento domande seguite da un colloquio di mezz’ora con uno psicologo per stabilire se
C
BUONE NOTIZIE
il loro profilo “è compatibile con quello di un buon magistrato”. È la grande novità della riforma del concorso per l’accesso alla professione, invocata dalla classe politica dopo un clamoroso errore giudiziario: il caso d'Outreau, che, tra il 2001 e il 2005, trascinò nel fango un gruppo di abitanti di un paesino del Nord della Francia, accusati ingiustamente di abusi sessuali su minori. Le evidenti negligenze del giudice istruttore incaricato dell’inchiesta, Fabrice Burgaud, convinsero il parlamento a intervenire per stabilire nuove norme di valutazione professionale. André Vallini, deputato socialista, è stato uno dei fautori della riforma: “Ma al momento dell’applicazione lo spirito è stato completamente travisato - tuona il parlamentare – certo, avevamo chiesto l’introduzione di test a carattere psicologico, ma alla fine del periodo di formazione, non come criterio di selezione. Il
rischio è quello di voler creare un modello unico di magistrato”. La posizione del Syndicat de la Magistrature - che si è rivolto al Consiglio di Stato per chiedere l’abolizione dei test – è ancora più radicale. Il suo vicepresidente, Olivier Joulin, non ha dubbi: “Questi test permettono di selezionare le personalità senza asperità o originalità, atone, per farne un modello esemplare di magistrato”. Perché? “Perché una toga malleabile si controlla più facilmente. D’altronde, basta dare un’occhiata all’elenco delle 13 qualità richieste a un buon giudice: si parla della capacità di lavorare in gruppo, di prendere una decisione, di sintetizzare un dossier. Peccato non si faccia alcun accenno a due criteri di selezione fondamentali: l’indipendenza e l’autonomia di giudizio”. Joulin rincara la dose: “L’introduzione di test psicologici alle prove di ammissione viola la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789:
a cura della redazione di Cacaonline
CELLULARI TUTTOFARE Terrore batterico Non hai mai usato un telefono cellulare per paura che esplodesse? Il problema è risolto! Dal 2010 arriverà sul mercato Stoba, una tecnologia messa a punto dall’ente nazionale per la ricerca di Taiwan: se per un corto circuito la batteria raggiunge la temperatura di 130 gradi un dispositivo poroso blocca i contatti elettrici e impedisce la reazione. Guidati dalla vibrazione del cellulare I ricercatori del Cnr che lavorano al progetto Human Interfaces in Information Systems, hanno inventato due anelli che possono vibrare con
minore o maggiore intensità sfruttando la tecnologia dei telefonini. Indicano quando girare a destra e a sinistra e possono segnalare ostacoli. Uno strumento geniale per permettere ai non vedenti di muoversi in spazi sconosciuti. Nel futuro si potranno sviluppare queste guide digitali anche grazie a un sistema simile a quello dell’I-Phone, che percepisce il movimento e ha sensori tipo radar. Per ora il prototipo è stato sperimentato in un museo. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
Colombo
na sorta di cattivo destino sembra gravare sulla Udestino sinistra del mondo. In questi giorni il cattivo colpisce l’America Latina, quella sfortunata e vitale parte del mondo in cui la storia recente si muove tra Che Guevara e Pinochet, tra Allende e Peron, tra Alfonsin e Chavez, tra Castelo Branco e Lula da Silva. Quel destino si potrebbe definire così: una sinistra costretta al ricorrente susseguirsi di troppo e di troppo poco. Quando si rivolta perde. Quando governa finisce sul binario morto di una modesta realpolitik. Infatti il primo pensiero che viene è che il caloroso, quasi violento abbraccio del presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva - simbolo di una sinistra benevola tutta leggi, solidarietà e niente armi - e il presidente iraniano Ahmadinejad, celebre, nello sconvolto Medio Oriente, per le impiccagioni, l’odio antiebraico, l’ansia di bomba atomica, sia stato dettato da un cinico progetto di tornaconto. L’Iran è ricco, tragico, dispotico. Il Brasile è ricco, amichevole, democratico. Ahmadinejad vuole -senza tante discussioni politiche l’uranio del Brasile. Il Brasile - senza andare troppo per il sottile - cerca un partner solido e conveniente. Fingiamo di essere due ex poveri che d'ora in poi hanno qualcosa da dire. Diversi, va bene; ma perché non insieme, visto che entrambi vantano
ITALIA-USA
La VI flotta senz’acqua
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a base di Gaeta della VI Flotta della marina Usa è rimasta a secco per una bolletta d’acqua mai pagata. La società Acqualatina che gestisce il servizio idrico pontino, ha disattivato la fornitura per morosità; incidente diplomatico risolto dal prefetto di Latina, Bruno Frattasi, che ha fatto riattivare la fornitura.
UNIONE EUROPEA
Nove donne in Commissione
L Il presidente francese Nicolas Sarkozy (FOTO ANSA)
solo il talento e il merito devono essere presi in considerazione. Tutto il resto è una forma di abuso”. Smorza decisamente i toni il direttore della prestigiosa École Nationale de la Magistrature. “Non riesco a capire le ragioni di questa polemica – replica Jean-François Thony, - Che c’è di strano? Anche i futuri piloti di linea, i poliziotti, il personale penitenziario devono sottoporsi a test psicologici”. Per Thony, è una prassi piuttosto comune in Europa: “In Olanda, Stato dalla democrazia più che consolidata, i magistrati vengono reclutati esclusivamente sulla base di test della personalità”. Ma è vero che alle aspiranti toghe francesi viene chiesto se “si sentono superiori agli altri”? “Sinceramente, non conosco a memoria il contenuto delle duecento domande. Anche fosse così, posso assicurare
che la risposta, qualunque essa sia, non potrebbe certo decidere il futuro del candidato”. Per il direttore dell’Enm, la prove del concorso “si sono semplicemente adeguate allo spirito del XXI secolo”. Ingiustificato, allora, il timore che i test possano orientare la selezione verso le personalità più docili? “C’è chi vede complotti ovunque. Ho interrogato personalmente uno degli psicologi: il rischio è inesistente”. Non la pensano così i membri della Società Psicoanalitica italiana. Psichiatri e psicologi se l’erano presa con i “colloqui psico-attitudinali” previsti in un primo tempo dall’articolo 2 della legge Castelli: “Non hanno alcun ancoraggio scientifico, né veri criteri metodologici”; dunque, concludevano gli esperti, si tratta di “misure inopportune e sfavorevoli per la magistratura”.
crediti sul resto del mondo che un tempo si chiamava capitalista e coloniale? Si affaccia un secondo pensiero, e non riguarda il presidente iraniano, che con la sua cattiva reputazione di torturatore degli avversari provoca un forte rifiuto e nessun interesse. Il pensiero gira intorno a Lula da Silva, ex operaio, ex militante, ex Cgl brasiliana, delle interminabili riunioni, dei comizi con la voce rauca, dei cortei con le bandiere del lavoro. Lula da Silva - come è accaduto tante volte alla sinistra (e forse è questa la sua maledizione) - sbaglia nemico e sbaglia amico. A Lula accade di essere presidente del Brasile, mentre l’afroamericano Barak Obama è presidente degli Stati Uniti. Ma sembra non aver notato la straordinaria coincidenza della storia. Il vero compagno gli appare, per un trucco del passato, un religioso fanatico votato alla persecuzione, all’antisemitismo e alla caccia delle armi letali, un uomo infido e mentitore che sta uccidendo - uno per uno e con tutta la crudeltà possibile - ogni giovane donna e ogni giovane uomo che sono la sua vasta e appassionata
a prossima Commissione europea conterà 9 donne”, ha detto il presidente dell’esecutivo europeo, José Manuel Barroso (nella foto): “Una settima fa erano 3, ora sono 9”. Intanto il governo italiano ha confermato la designazione di Antonio Tajani per la carica di commissario.
CINA
Latte contaminato a morte 2 uomini
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a Cina ha messo a morte due uomini colpevoli di aver “messo in pericolo la salute pubblica” e di aver prodotto e venduto il latte contaminato alla melamina che nel 2008 ha causato la morte di almeno 6 neonati e l’intossicazione di trecentomila.
GRAN BRETAGNA
Banca del dna degli arrestati
Lula-Ahmadinejad abbraccio imbarazzante di Furio
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L’
alto numero di arresti compiuti dalla polizia britannica (soprattutto tra i giovani neri) avrebbe il solo scopo di prelevare campioni di dna per la banca dati con i codici genetici di tutti coloro entrati in contatto con la giustizia. Lo denuncia la Human Genetics Commission.
FILIPPINE
Il massacro dei giornalisti Ahmadinejad e Lula da Silva a Brasilia (FOTO ANSA)
opposizione. Lula, forse, vede ancora gli americani con lo specchio rovesciato dei tempi in cui consoli e ambasciatori a stelle e strisce si incontravano solo con padroni e generali e ogni nuovo venuto del Terzo Mondo era un compagno e un amico. Oggi lo sguardo del passato inganna Lula e gli fa vedere Ahmadinejad come uno che resiste all’imperialismo. A meno che l’errore verso Lula sia la vecchia, radicata, malamente nascosta ostilità verso Israele di cui a lungo ha sofferto la sinistra. Resta la speranza che questo non sia l’errore di Lula da Silva, ma il sospetto ansioso e ingiusto di chi scrive.
L’
assassinio di 17 giornalisti nel massacro compiuto a Mindanao da gruppi armati che hanno provocato in tutto 46 vittime, rappresenta il più grande massacro di giornalisti della storia, e conferma le Filippine come uno dei Paesi più sanguinari per questa professione”: lo afferma l’associazione Information Safety and Freedom.
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Mercoledì 25 novembre 2009
SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
CINEMA
ITALIA Non è un paese per romeni
Carlà La Bruni reciterà nel prossimo film di Woody Allen
Ascolti Medico in famiglia batte Gf 10 9a5 (milioni)
Scamarcio Credo nel matrimonio Ma lo farei in segreto
Renato Zero Sul caso Marrazzo: “I politici diano il buon esempio”
Conversazione senza filtro con Bobby Paunescu, regista di “Francesca”, opera tormentata dalle polemiche tra mondo politico e autori di Federico
Pontiggia
N
on è Francesca, ma Italia. E non è un paese per romeni: siamo esseri dallo sguardo inquietante che rapiscono poveri romeni per l’espianto degli organi, a sentire una distinta signora di Bucarest, e connazionali di aguzzini come la Mussolini e il sindaco di Verona, secondo un padre di famiglia. Se fossimo un paese normale, la (legittima) incazzatura sarebbe stata accompagnata prima o poi dall’autocritica: saremmo entrati nel merito, e sondato la verità, ovviamente scomoda, di quelle parole. Anzi, di quei pregiudizi: ai nostri rimaniamo fedelissimi, quelli degli altri, viceversa, sono pura monnezza da rispedire al mittente. Perché un paese normale non lo siamo, le critiche hanno quindi escluso l’autocritica, il tribunale soppiantato la discussione. Ma? Ma “trascinare un film sul banco degli imputati è allucinante”: l’ha detto un regista romeno, l’ha sottoscritto la giustizia italiana. Il tribunale civile di Roma non ha accolto il ricorso mosso dall’onorevole Alessandra Mussolini contro il film “Francesca” di Bobby Paunescu per la battuta: “La Mussolini, una troia che vuole ammazzare tutti i romeni”. La stessa Mussolini che, fuori dalla finzione, esternava sul dna dei romeni che conterrebbe la coazione allo stupro… “La frase incriminata è priva di autonoma valenza offensiva se contestualizzata”, ha decretato il giudice, a cui la Mussolini ha risposto prima per le rime: “Caro giudice Luciana Sangiovanni, Lei è un’idiota e Le chiederò i danni, poiché le Sue senten-
ze non sono mai azzeccate, invito gli altri giudici a prenderLa a legnate!” e poi con un secondo ricorso contro il via libera all’uscita del film in sala nella sua versione integrale. Se sarà tale, l’happy end si consumerà venerdì 27 novembre, quando “Francesca” uscirà in 25 copie con Fandango: “Trovo incredibile che l’onorevole Mussolini si accanisca ancora contro un film che ottiene continui riconoscimenti internazionali e contro la decisione di un tribunale che aveva già riconosciuto il valore artistico dell’opera, tale da consentirne la distribuzione nella sua versione senza tagli”, ha dichiarato il produttore Domenico Procacci, sconfessando anche l’analogia con la “più bella che intelligente” Rosy Bindi rivendicata da una Mussolini in cerca di solidarietà parlamentare: “Se quella frase gliel’avesse detta Bersani, potrei capire le sue aspettative. Ma qui siamo in un film”. Un film che accoglie “la voce della strada”, come esplicita Paunescu: “Ho cercato onestà ed equilibrio nel rappresentare le reazioni della società romena, che per gran parte considera l’Italia la Terra Promessa. E’ una minoranza, a sua volta razzista, quella che vi accusa di razzismo: la voce della strada reagisce a quel che sente in tv per bocca dei politici, come la Mussolini e il sindaco di Verona (“di merda”, si dice nel film, Ndr), che divengono megafoni dell’Italia intera”. “Ma anche in Romania – aggiunge il regista – il razzismo è presente e allarmante, e il film lo mostra. I romeni sono razzisti soprattutto nei confronti dei rom, considerati il capro espiatorio di tutti i mali”. Per chi, confidiamo, volesse entrare in merito, consigliamo l’ottimo saggio “Romeni d’Italia. Migrazioni, vita quotidiana e legami transnazionali” dell’antropologo Pietro Cingolani (Il Mulino), che ci restituisce la nostra immagine riflessa, non distorta, dagli occhi dei nuovi concittadini europei. Immagine problematica, co-
me la vita del film, nonostante la sua Santa ispirazione: Francesca Cabrini, protettrice dei migranti: “La sua storia è incredibile, potrebbe essere il soggetto del mio prossimo lavoro”, dice Paunescu, che ha vissuto a Milano fino ai 10 anni e ritornerebbe ben volentieri: “E’ il mio sogno, come per Francesca”. Sì, perché tra tutte le
polemiche si rischia di scordare come la protagonista, col volto splendido di Monica Bîrladeanu, sia una giovane maestra d’asilo che vuole emigrare in Italia, confidando in un futuro migliore: al netto dei pregiudizi dei connazionali. Mita, il suo ragazzo, la raggiungerà non appena avrà concluso un affare, ma le co-
Accademia Vivarium Novum
e la cultura, oggi conoscerà il senso dei suoi sacrifici. Quel giorno cercato, pensato (e forse maledetto) è oggi. Il giorno dell’inaugurazione della sede romana dell’Accademia Vivarium Novum, un rifugio tra il verde e i rari e preziosi libri per studenti universitari. Quelli poveri di tasca e affamati di cultura, quei temerari che scambiano una gita all’estero con un periodo di formazione umanistica. L’invito ha una versione in latino perché è questa la lingua ufficiale della scuola: “Maximo est
se non prenderanno la piega sperata: anzi, scorrerà il sangue e, per una volta, non c’entrano gli italiani. Tra rigore formale (inquadrature fisse, nessun commento sonoro) e radicalità emotiva, Paunescu non garantisce dunque la catarsi e si mette sulla scia di Cristian
nobis honori et gaudio vos omnes”. La rinascita d’una vera humanitas sarà officiata da Michael Von Albrecht di Heidelberg e da Dirk Sacré di Lovanio. Perfetto. Questa è la notizia di cronaca che copre una storia di peripezie e determinazione. Quelle storie alimentate da una fiamma dentro che somiglia all’ostinazione. E sono vent’anni che il professore Luigi Miraglia immaginava il giorno. Era un adolescente della Napoli bene, figlio di uno stimato primario, avviato a un’esistenza agiata e lieve. Un copione già scritto è carta straccia per un pomeriggio di svago a Vivara, l’isola a mezzaluna collegata a Procida da un ponte. Un posto incantato vecchio 40 mila anni. “Ero andato lì per un’escursione con mio cugino, incontro il custode Giorgio Punzo, dirigente di un istituto di scienza naturalistica. Leggevo Tacito. S’era fatto tardi, il prof si av-
IL PROFESSORE CHE SI È VENDUTO TUTTO PER IL LATINORUM ci siamo. Le rate dei mutui, al pluEgliacosì rale, non fanno più paura. Il prof Mirache ha liquiditato l’eredità per i giovani
Una scena da “Francesca” di Bobby Paunescu
Mungiu, Corneliu Porumboiu e la nuova travolgente onda del cinema romeno, confezionando il (buon) film che il tema immigrazione meriterebbe. Come sarà per il francese “Welcome” di Philippe Lioret, altra opera accolta da vibranti polemiche e che arriverà da noi l’11 dicembre, e non, purtroppo, per i tricolori recentemente sventolati al Festival di Torino: “La straniera” di Marco Turco, affaire italo-marocchino tra Naghib l’architetto e Amina la prostituta, e “La cosa giusta” di Marco Campogiani, triangolo tra i poliziotti Paolo Briguglia ed Ennio Fantastichini e un tunisino sospettato di terrorismo, che sarà in sala accanto a “Francesca”. Oltre al protagonista Ahmed Hafiene e il setting torinese, i due titoli nostrani condividono sciatteria stilistica, esorbitanti debiti fiction-televisivi e una sceneggiatura improbabile, che non fa mai rima con multiculturale. Che dire, forse la (residua) speranza nazionale si chiama Carlo Verdone, anzi Padre Carlo, il suo missionario in Africa di “Io loro e Lara”, evento speciale al Tertio Millennio Film Fest di Roma e in sala dal 5 gennaio. Perché? Perché in un paese che va al contrario, l’unica possibilità di raccontare l’immigrazione è… l’emigrazione.
vicinò e mi disse in dialetto: ramme qua e famme verè. Ero perplesso, ma poi mi tradusse il testo senza consultare il vocabolario”. Fno a quando nel ‘93, scaduta la convenzione con i proprietari di Vivaria, la regione recapita un avviso di sfratto. L’anziano Punzo, il giovane Miraglia e altri ragazzi si trasferirono in provincia di Avellino, a Montella, per allevare un sogno. E’ una corsa: fondano la casa editrice per manuali di greco e latino, poi il convegno con 75 relatori dalle migliori università del mondo, poi ancora inviati speciali da New York a raccontare il fenomeno. Mister Miraglia e il suo metodo, nel paesotto dove l’Italiano è sostituito con un’altra lingua: non l’inglese, bensì il latino. Arrivano ragazzi dallo Sri Lanka e dal Messico, dalle Filippine e dall’Ucraina, ricercatori russi e francesi chiedono di insegnare. La cultura costa e nessuna regione o comune aveva interesse a pagare. Miraglia ha già venduto l’ultima casa. Oggi è il giorno. La festa in via Corrado Barbagallo. (C .T)
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SECONDO TEMPO
STADI AGI TATI
APOCALYPSE MARIO
Il caso Balotelli e le curve razziste. I bresciani Corini e Cagni: “No agli incivili, però il ragazzo maturi”
Il calciatore dell’Inter Mario Balotelli in azione a Bologna (FOTO ANSA) di Malcom Pagani
ristina, la sorella giornalista di Radio 24, trattiene la rabbia dietro un tono di sommessa indifferenza. “Viste le polemiche, credo che la cosa migliore che io e Mario possiamo fare in questo momento è far parlare gli altri. Quello che provo quando sento affermare che mio fratello si meriterebbe gli insulti in quanto antipatico a prescindere? E' abbastanza ovvio. Provi a immaginarlo. Buonasera”. Mario Balotelli, dunque. La sua figura che trascende gli schieramenti e catalizza gli umori deteriori di chi popola le curve. “E se saltelli, muore Balotelli” o anche “Balotelli negro di merda”, seguito l’anno scorso da un reiterato: “Non ci sono negri italiani... Balotelli sei un africano”, in cui l'accezione razziale sovrastava l'odio sportivo per incunearsi in un sentiero già battuto in precedenza. Il giudice Tosel, prima di squalificare il campo della Juventus, notò come si fosse manifestata “l'assenza di qualsiasi manifestazione dissociativa da parte di altri sostenitori ovvero di interventi dissuasivi da parte della società”. La curva freme e Mario fa una linguaccia. Lo incontrano per strada (a Roma) e gli tirano di tutto costringendolo alla fuga. Mario non china la testa, non chiede scusa, non cede terreno e posto a sedere (Non siamo a Montgomery nel ‘55 e lui non è Rosa Parks ma l’idea di due uni-
C
versi lontani, rimane identica) a chi vorrebbe rinchiudere il princìpio stesso che esista, respiri, corra, rischi persino di vestire la maglia Nazionale maggiore. Affrontando la situazione senza voltarsi o chiedere solidarietà come accadde a Marc Andrè Zoro a Messina (i cattivi, quella volta, gli interisti) pronto ad abbandonare campo, contesa e nazione, salvo rinsavire dopo aver ascoltato i consigli (pelosi) di Martins e Adriano: “Non darla vinta a questi idioti”. Ci sarebbero le regole, poi. Quelle regolarmente aggirate che vorrebbero l'interruzione immediata delle partite in presenza di indistinti “buu” o canzoncine tese a irridere con i peggiori strumenti fonetici una presunta diversità. Non si può, si obbietta. Rischierebbe di penalizzare chi ai cori non unisce la propria voce e, si sostiene, creerebbe grave disordine al già claudicante ordine pubblico. La storia va avanti da un po' e non sembra giovarsi della crescita tecnica di un potenziale campione. Certi migranti funzionano fino a quando rimangono invisibili. Ottimi se senza diritti, latori di una pericoloso germe se indisposti alla resa incondizionata. La sua figura lavora sulle contraddizioni e su un futuro cosmopolita che spaventa. Qualcuno propone di portarlo in Sudafrica (doppia lezione, nella culla della segregazione), altri di squalificare il campo, qualcuno (in minoranza) chiama alla coscienza civile i colleghi in
scarpini del ragazzo nato a Palermo, incontrando un imbarazzato silenzio. Per Cannavaro non si tratta di razzismo. Non c'è un volto noto, un eroe delle domeniche che si fermi, zittisca gli incivili, assuma sulle spalle coraggio e peso di un comma scritto ma regolarmente disatteso. La giustizia sportiva rimane nel mezzo. Per i canti ingiuriosi di domenica sera (Juve-Udinese), ventimila euro di multa. Una carezza. Per il resto (squalifica del campo), niente da fare. Il 5 dicembre c'è Ferrara contro Mourinho, stravolgere il clima in anticipo e spostare il teatro in campo neutro, sarebbe suonato eccessivamente pericoloso. Così niente di fatto, in attesa del prevedibile diluvio. L'evoluzione del coro da stadio, è andata di pari passo con quella del paese. Dal “cornuto” degli anni '50, al “devi morire” dei '70, fino alle banane e ai versi della scimmia dominio della Premier League di 35 anni fa (John Barnes raccolse il frutto, finse di mangiarlo e lo gettò via) fino a oggi. E poi “madri puttane”, Vulcani che devono eruttare per seppellire i terroni, comunisti contro fascisti, squadre di “ebrei”, di “negri”, giù fino al grado ultimo dell’abiezione. L’attaccante Ronnie Rosenthal, giunse a Udine nell’estate 1989, (molto prima dell’avversato Aaron Winter laziale o del raggelante cappio esposto dai veronesi contro il fantoccio a misura naturale dell’africano Ferrier), e ripartì dopo le visite mediche. Ufficialmente per una questione di vertebre non in ordine. Stano, perchè in realtà alcune ignobili scritte sul muri della città: “Juden Raus, niente ebrei in squadra”, funzionarono da detonatore all’esclusione dalla rosa. Lo stadio, si sente ripetere come un mantra, non è diverso dalla società. Eugenio Corini, ex centrocampista che ai tempi di Palermo, usava la fascia di capitano per dialogare, abbracciare o dissentire dal pubblico, risponde al telefono e come usava fare tra le linee, ragiona: “Voglio fare una premessa. Balotelli ha 19 anni e ha conosciuto un percorso personale molto particolare. Ho una figlia della sua stessa età e conosco le difficoltà di un delicato momento di passaggio tra l'adolescenza e la maturità. Credo che i comportamenti di Balotelli na-
scano da una timidezza. Per nasconderla, affronta il mondo a muso duro. L'antipatia che lo investe va molto al di là del razzismo. rappresenta qualcosa di più profondo”. Sul razzismo, comunque, Corini non transige. “Mi dispiace che non vengano presi provvedimenti e che qualche mio ex collega non abbia colto la straordinaria novità che sboccerebbe nel momento in cui qual-
Nonostante i beceri canti di domenica scorsa, per la Juventus solo 20.000 euro di multa
cuno, rivolgendosi alla curva, si rendesse protagonista di un gesto forte di rottura. Però capisco anche i calciatori. Oltre a giocare, correre, pensare alla concorrenza, gli si chiede di essere qualcosa d'altro. Non tutti sostengono il peso di una richiesta simile e non so neanche se sia giusto in assoluto che i calciatori recitino da capipopolo. Come afferma Claudio Ranieri, col quale concordo, il sentiero è stretto. Se vinci fai esclusivamente il tuo dovere, se perdi sei uno sporco mercenario. Il tutto, in un paese di cui conosciamo quotidianamente il degrado morale e politico. Qualcuno allora pensa ‘forse espormi è controproducente’ e così rinuncia. L'altra sera, quando lo speaker ha stigmatizzato i cori e gli stessi sono continuati mi è dispiaciuto. Interrompere la gara? Non so, squalificare la domenica successiva e multare, forse”. Altro giro di pareri, altro concit-
RIVISITAZIONI
tadino acquisito di Balotelli, Gigi Cagni, allenatore. “sull'orrore del razzismo, non si discute. E' una questione di pura inciviltà. Però credo che nei confronti di Balotelli, che parla bresciano meglio di quanto non lo faccia io, si sia innescata una spirale differente. Un giorno in uno stadio, ho letto uno striscione ‘Balotelli, ti avrei fischiato anche se fossi stato bianco’. Ecco credo che avessero centrato il punto. Balotelli è un potenziale campione, spesso tradito dal suo comportamento. Credo che Mourinho abbia compreso che va sottratto a una pressione che per lui sta diventando insostenibile. Nei nostri stadi poi c'è un problema di irrespirabilità che parte dal seggiolino divelto, continua con il passamontagna calato e finisce nell'imbuto di queste domeniche maledette con l'elmetto in testa, i tornelli e le divise antisommossa”. Pausa. “Dobbiamo partire da lì. Finchè siamo in tempo”. Ne rimane?.
di Oliviero Beha
PIÙ DI UN LEGITTIMO SOSPETTO ate un test: dopo aver sentito ieri telegiornali e giornali radio sul caso “doping amministrativo” leggete stamani chi dà le due notizie sull’assoluzione del trio di allora, Moggi, Giraudo, Bettega da parte del tribunale di Torino “perché il fatto non sussiste” con il rito abbreviato. Questa dell’assoluzione è soltanto la prima notizia e vorrei vedere che non venisse data magari anche con una certa evidenza (mi illudo). I pm avevano chiesto tre anni per i due “mostri” e due per Bettega per falso in bilancio. La storia è quella delle plusvalenze, la gestione truffaldina con falsi in bilancio e “l’amministrazione infedele” dei vertici, almeno supposta come tale dagli inquirenti. Quali vertici? La triade. Il processo, che partito nel fatidico 2006 aveva rischiato una rapida archiviazione, in collegamento con quello romano sulla Gea era diventato poi “una denuncia contro ignoti” da parte della Juve stessa. Quali ignoti? Sempre i soliti tre. La Juventus voleva dunque e giustamente venire a capo della faccenda a tutti i costi, anche a costo di venir sputtanata in aula. E qui comincia la seconda notizia, di cui vi invito a verificare l’esistenza sui giornali e le relative considerazioni. Perché la Juventus attraverso il solito legale di Calciopoli, quello della Juve in B, cioè l’avvocato Zaccone, aveva domandato il
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patteggiamento, un po’ come per la giustizia sportiva. Mandateci in B e tanti saluti, siamo colpevoli, disse allora. Alla luce delle sentenze, gli altri specie il Milan se la sarebbero poi cavata molto meglio senza eccessivi “patteggiamenti”. Qui a Torino per le plusvalenze la Juve ci rifà offrendo pecunia. Ma il giudice respinge il patteggiamento che è ammissione di colpevolezza (altrimenti non si capisce nulla) e assolve invece la triade, praticamente “contro” la Juventus. Allora: o il giudice sbaglia, perché tutto può essere, e si vedrà in appello se mai ci sarà (dovrebbero chiederlo i pm), oppure la Juventus ha ammesso una colpevolezza che non esiste per fottere Moggi e c. E se lo ha fatto ora contro la famigerata triade, perché non dovrebbe essersi regolata nello stesso modo di fronte alla giustizia sportiva (sedicente, perlomeno) quando nel 2006 la Juve andò in B? Solo che allora conveniva dare l’idea di pulizia del calcio e si ramazzò Juventus e dirigenza dell’epoca. Adesso almeno il dubbio che si debba riscrivere tutto, ma proprio tutto, effettivamente viene. Questo senza ovviamente assolvere nessuno a priori che non sia già stato assolto come ieri il trio di Torino. Meditate, gente, meditate: che non tornasse nulla pur tra colpevoli presunti tutt’altro che “stinchi di santo” lo sto dicendo da tre anni.
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TELE COMANDO TG PAPI
Strani brividi in tv di Paolo
Ojetti
g1 Abbassare i toni, abbassare i toni, abbassare i toni. Sembrava un telegiornale condotto da direttori d’orchestra alle prese con fagotti e controfagotti un’ottava sopra. Francesco Giorgino tendeva al bisbiglio, abbassava i toni pure lui, li abbassava anche il notista di turno, la politica ridotta al sussurro. Schifani, Mancino, Alfano tutti sottovoce. Invece il tema è sempre quello e sempre fumigante: il processo breve che parte a razzo come ordinato da Berlusconi. In mezzo al telegiornale mormorato, spiccava una frase distensiva del ministro della Giustizia rivolta ai capi delle procure: Bisogna contenere le abitudini cinematografiche di alcuni sostituti, in coerenza con le premesse, il ministro ha battuto il ciak: Silenzio! Si gira. Intanto, essendo
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Berlusconi perduto nella sabbie arabiche, Gianni Letta lo sostituisce un po’ovunque. Il Tg1 non se lo perde mentre, davanti agli industriali romani difende Tremonti contro Brunetta. Ubi maior? g2 T I toni abbassati passano pure nel Tg2, tanto bassi da scivolare verso la terza posizione. Rimane in campo la guerra delle cifre: i magistrati pensano che un milione e mezzo di processi salteranno, Alfano non ne ha idea, ma continua a ripetere: Cifre in libertà. Ma il Tg2 sceglie la cronaca e mette in testa il pusher Cafasso, l’uomo che sapeva troppo. Nel servizio di Fabio Chiucconi pare che Cafasso abbia sniffato eroina pura invece di cocaina e così un attacco cardiaco l’avrebbe ucciso. Chi gli ha cambiato le strisciate
in tavola? Si vantava ha aggiunto Chiucconi di poter far tremare mezza Roma. Nel frattempo un altro trans è stato aggredito e minacciato di morte. E sparito in fretta e furia. C’era qualcuno che non tremava e ancora non trema. g3 T Altro che abbassare i toni. Qui, sul palcoscenico del Tg3, lo scontro fra Berlusconi e la magistratura è feroce. Se le opposizioni emendassero questa legge disastrosa, ecco che Quagliariello ha pronto l’anatema: Criminalizzano. Capezzone non avrebbe detto di meglio. Ma c’è Sandro Bondi, intervistato da Danilo Scarrone. Il candido Bondi è sdegnato all’idea che il processo breve salverebbe Berlusconi (non riesce a nominarlo: è sempre e solo il Presidente), al contrario è una riforma che tutti gli italiani sognano. Ammazzerebbe metà dei processi in corso? Ma va là, poca roba, niente panico. Passa un attimo anche Pietro Grasso, il procuratore antimafia. Non si strappa i capelli, sorride quel tanto che basta: Bè, certo, salterebbero molti processi. E i suoi non sono mica imputati da quattro soldi, non corrompono, ammazzano.
di Luigi
Galella
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
La scuola abbandonata
osì stanno le cose (La7, lu-ve, 16.00) è un titolo impegnativo. Sembra quasi Cun’affermazione filosofica, di quelle che di tanto in tanto giungono a sgombrare il campo dagli eccessi sofistici e dalle licenze speculative, riportando l’attenzione sulla natura, sul mondo oggettivo. Sulle “cose”, così come sono. A Luisella Costamagna è affidato il coraggioso compito di puntare sull’informazione “pesante” in una fascia oraria “leggera”, sempre più votata al gossip e al trash. Meno opinioni e più fatti, quindi, anche per interrompere l’affollato chiacchiericcio, travestito da infotainment, dei pomeriggi Rai e Mediaset. Il 25 novembre del 2008 il crollo del soffitto del liceo scientifico Darwin di Rivoli provocò la morte di un diciottenne, Vito Scafidi. Accadeva un anno fa. E’ l’occasione per approfondire il tema della sicurezza nelle scuole. E com’è noto, di quell’“azienda” che interessa nove milioni di italiani, fra docenti, operatori e alunni, non si parla spesso in tv. E’ un tema povero di glaLuisella Costamagna mour, opaco e scoconduce “Così stanno modo, scrostato, le cose” su La7 come le pareti degli edifici scolastici. Lo fa la Costamagna, al suo esordio in un programma giornaliero di approfondimento. In apertura, un reportage. Le telecamere entrano nell’istituto commerciale Ceccherelli, nel complesso
del Buon Pastore, a Roma. Le immagini ci mostrano i buchi nei soffitti, i bagni inutilizzabili, le macchie di umidità, le infiltrazioni, le porte delle aule sfondate o addirittura inesistenti. Il Buon Pastore è uno dei monumenti della nostra storia recente, realizzato durante il fascismo da Armando Brasini, un architetto eclettico, deliberatamente anacronistico, che la critica sta di recente rivalutando. L’edificio andrebbe preservato, indipendentemente dalla sua destinazione attuale. Oggi invece il degrado in cui versa è il volto di una scuola abbandonata, non solo dal più recente dei suoi ministri. Vediamo la preside parlare in assemblea ai suoi studenti. L’applauso che riceve è il segno che esisterebbe un fronte che unisce dirigenti, professori e alunni: quello della comune battaglia per la conoscenza, che il nostro paese sta perdendo. i chiediamo allora quando è stato che Cscuola, abbiamo cominciato ad abbandonare la come e perché abbiamo permesso di poter convivere con la lenta e progressiva erosione delle sue fondamenta. Non è colpa di Berlusconi. O almeno non solo. Anche se la Costamagna e nessuno dei suoi ospiti ricordano che l’attuale ministero, buon ultimo, ha tagliato di ulteriori otto miliardi in tre anni le spese dell’istruzione. Salvo ora dichiarare, per bocca del sottosegretario Mario Mantovani, a commento delle immagini del degrado, che per questo governo la “sicurezza è una priorità nazionale”. Ipse dixit. Ineffabile sagacia retorica di chi candidamente sembra del tutto alieno dal “così stanno le cose”.
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SECONDO TEMPO
MONDO
WEB
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è ANTEFATTO.IT Commenti al post “Alfano che dice le bugie” di Peter Gomez e Marco Travaglio
di Federico Mello
L’ euro-pirata e il NoB.Day arbara Matera, classe 1981, è diventata europarlamentare Pdl a Strasburgo dopo un’intensa carriera da letteronza con la Gialappa’s Band. Lara Comi, 1983, così raccontò a Libero il suo ingresso in politica: “Allo stadio, nel 2004 durante un partita del Milan, ho visto Berlusconi nella tribuna delle autorità. Ho pensato: vado a chiedergli un autografo. Così ho scavalcato la staccionata e sono andata da lui. Si è informato sugli studi che ho fatto e mi ha detto: ‘Mi piacerebbe che ti occupassi del partito a livello regionale’”. Per Lara, da San Siro al seggio europeo, sono bastati solo cinque anni. Altra storia per l’europarlamentare più giovane che abbia mai messo piede a Strasburgo. E’ svedese e così si presenta sul suo sito: “Sono Amelia Andersdotter ho 22 anni, studente di Economia. Nel 2006 ho fondato lo Ung Pirat, l’organizzazione giovanile del Partito dei Pirati”. Amelia è entrata nell’Euro-parlamento solo recente-
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mente: era la prima dei non eletti alle elezioni europee di giugno – i Pirati avevano già conseguito un seggio. Dopo che la Repubblica ceca ha approvato il Trattato di Lisbona, è scattato un altro seggio per i Pirati, il suo. “Il Partito dei Pirati – ci dice – ha avuto 235.000 voti alle elezioni europee del 7 giugno 2009. Il trend è ottimo, e abbiamo così buone occasioni per portare avanti le nostre campagne. Visto il successo, poi, c’è stata una grande attenzione da parte dei media, cosa che ci ha ulteriormente aiutati”. Quali sono le vostre proposte? Tre sono i temi alla base del nostro movimento: cambiare radicalmente il copyright: ci battiamo per la libera condivisione sul Web; rimuovere i brevetti e dare una legislazione più matura al tema della “sicurezza”: tra mercato e privacy, è la privacy che va tenuta molto di più in considerazione. Inoltre sono fondamentali i diritti civili, a cominciare da quelli digitali. Il Partito dei Pirati è un “single
issue party” un partito che si occupa unicamente di queste tematiche? No. Il Piratpartiet si occupa delle politiche dell’informazione, e queste riguardano molte altre aree politiche. I Pirati si stanno diffondendo nel mondo. Come vi spiegate questo successo? Le politiche legate all’informazione e alla conoscenza sono molto attuali oggi, e questi temi vengono sempre trascurati dai partiti politici dell’establishment e dai governi di tutto il mondo. Perciò un movimento politico che, su larga scala, si occupa di queste tematiche, affascina tantissime persone. In Italia esiste un Partito Pirata (www.partito-pirata.it) ancora allo stato embrionale. Pensi che possa crescere nel nostro paese una formazione politica come la vostra? Non sono mai stata in Italia ma mi sono informata e so che il vostro sistema politico non è esattamente... invidiabile. Ma non è impossibile un Partito dei Pirati forte e ben radicato in Italia. I movimenti politici appaiono improvvisamente quando ne nasce il bisogno. In Italia è nata una mobilitazione su Internet per chiedere
le dimissioni di Berlusconi (tra l’altro, così come i Pirati, hanno scelto il viola come colore di riferimento). È un movimento spontaneo nato senza il sostegno dei partiti. Lo trovo molto, molto positivo! La partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica è la cosa migliore che possa succedere in questo mondo, dove le occasioni dei cittadini per influenzare le decisioni della politica, diminuiscono continuamente, e la passività del popolo sembra ormai la norma. Con fortune alterne, sono sempre di
Ma ora non c’è più problema! Notizia strepitosa. Berlusconi finalmente ha ceduto, andrà in tv a difendersi. Si farà processare a forum! ...quando finirà questo incubo? (Daniela) Gran bel Curriculum Vitae non c’è che dire (A.M.)
più le campagne di questo tipo che nascono spontaneamente. Questo, mi rende felice. Ha letto l’appello per il NoBDay? Sì, e lo sottoscrivo. Berlusconi è una minaccia per la democrazia e già da tempo... doveva essere rimosso già da tempo...
GRILLO DOCET
LUCIO STANCA SENZA VERGOGNA
Lucio Stanca, doppiostipendista, prendi la penna (il computer non lo sai usare) e fai la somma: 164.168 euro da parlamentare; 300.000 euro da amministratore delegato dell’Expo 2015; 30.000 euro come consigliere dell'Expo 2015; 150.000 euro di variabile per l’Expo 2015; totale: 644.168 euro. Stanca si deve sempre ricordare che è un nostro dipendente. I soldi che prende (tanti) gli arrivano dalle nostre tasse. Percepisce un doppio stipendio senza vergogna. E se un giornalista di Repubblica gli chiede le ragioni replica: “Devo rispondere è L’INDUSTRIA DELLA MUSICA TIENE ai miei cittadini e al gruppo del Pdl”. IL RAPPORTO DELLO IULM DI MILANO Chiedo ai precari, disoccupati, alle L’Università Iulm di Milano ha pubblicato il “Rapporto famiglie monoreddito con 800 euro Economia della Musica in Italia 2009”: uno studio al mese e a tutti i cittadini che non sponsorizzato da SCF, Dismamusica, Fem e SIAE che indaga percepiscono un doppio reddito a sullo stato di salute dell’industria delle sette note nel Belpaese: in esame, vendite di cd (in aumento, grazie al canale carico dello Stato, quando incontrano Stanca per strada, di edicola), live, strumenti musicali, musica digitale... I risultati parlano di una industria che tiene (-1%, ma c’è la crisi), e di un fermarlo e di farsi restituire i soldi segmento – quello della musica in formato “liquido” – che ha da parlamentare. Il creatore della più grande ciofeca informatica fatto registrare un +35%, per un fatturato complessivo di 38 mondiale, il celebre portale Italia.it, ml. di euro. “In un confronto internazionale”, spiegano alla infatti alla Camera non si fa più Iulm, “vista la dimensione del comparto, sembrano esserci molti margini di aumento. I diritti e la loro gestione diventano vedere. Nel mese di ottobre è stato presente solo al 4,22% delle più importanti; in un contesto di votazioni. media digitali. Ma serve una semplificazione delle modalità di richiesta e pagamento delle licenze per aumentare il valore generato”. (valerio venturi)
DAGOSPIA
Berlusconi aveva pure detto, dopo la bocciatura del lodo Alfano, che avrebbe spiegato agli italiani le false macchinazioni dei giudici nei suoi confronti. Stiamo ancora aspettando le sue spiegazioni... (Christian) Del resto l’ha detto lui stesso: “Mi toccava girare con l’assegno in bocca!”. Povera vittima (Peppe P.) Alfano, ministro Guardasigilli: considerando che una “legge” che ha il suo nome è stata dichiarata incostituzionale ci permette di dubitare un po’ tutti sulla sua competenza. Grazie ministro (Cosimo) Splendido. Un altro articolo da imparare a memoria o in alternativa stampare e avere sempre con sé, per essere pronti a ribattere alle solite lagne dei bugiardi di regime (KittyKate) Il vero problema è che in Italia c’è un imputato presidente del Consiglio, non un presidente del Consiglio imputato (Oldman) Sembra il C.V. del capo della S.P.E.C.T.R.E. (Luca Pace) Degno di un film! (Robs) La gente deve essere informata che Berlusconi ha avuto indagini ben prima del ’94. altrimenti se va in tv, spiegherà la sua verità (Roberto)
CHI GARANTISCE CHI?
Alcune manifestazioni dei Pirati svedesi
è DISCORSO AI GIOVANI UN VIDEO ATTUALISSIMO
“Ecco l'appello ai giovani: difendere le posizioni che noi abbiamo conquistato, difendere la Repubblica e la democrazia. Oggi ci vogliono due qualità: l'onestà e il coraggio. E quindi ai giovani dico: cercate di essere onesti prima di tutto. La politica deve essere fatta con le mani pulite. Se c'è qualche uomo politico, che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi deve essere denunciato”. Un discorso di Grillo? No, sono le parole di Pertini in un video rilanciato da quelli del No B. Day. Oggi su Antefatto.
A via dell’Umiltà non ci volevano credere: il garante per la Privacy, Francesco Pizzetti, l’uomo cioè che dovrebbe vigilare soprattutto sugli abusi nelle intercettazioni, vuole imporre come segretario generale un fedelissimo di Romano Prodi, quel Daniele De Giovanni che ha fatto il buono e il cattivo tempo all’ombra del Professore durante la sua ultima disavventura a Palazzo Chigi. Nella testa del prodiano Pizzetti, De Giovanni, mal visto anche nel mondo del Pd per la pessima gestione dell’ufficio del presidente durante il breve mandato di Prodi, dovrebbe sostituire Filippo Patroni Grifi che ha lasciato l’incarico a sorpresa per andare, almeno sembra, con il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta. La pretesa di Pizzetti di nominare De Giovanni, che diventerebbe la più alta carica amministrativa per la gestione dei dati personali (sms-mail- fax -intercettazioni) viene considerata come una provocazione. De Giovanni è inoltre finito in un’inchiesta di cui si sono perse le tracce a proposito della cessione della società Italtel alla Siemens. Quando ancora il governo Prodi non era definitivamente caduto ha cercato in tutti i modi di farsi spedire dall’Enel in Spagna per gestire la controllata Endesa per poi approdare nella galassia Eni. Ma evidentemente non ha pace e sta puntando, per il rientro in grande stile proprio alla Privacy. Pizzetti ora è tra due fuochi: accontentare il vecchio sodale Prodi o mettersi contro non solo il governo e la maggioranza ma anche parte del Pd che non dimentica?
Quando Berlusconi confessò a Biagi e Montanelli la verità sulla sua situazione, da quel momento capì che la verità per lui può essere pericolosa... e da allora non lo fece mai più!!! (Libero Dalla Guerra) Meno male che esiste la memoria. Perché altrimenti varrebbe solo la mistificazione. Quello che ci differenzia da “1984” di Orwell è esclusivamente che, qui da noi, i documenti storici non vengono distrutti (Pierpaolo Buzza) Accidenti che curriculum vitae... se lo copio magari qualcuno mi dà anche un lavoro.. che dite? (Annalisa) La cosa che più mi fa inorridire che il ministro della Giustizia della Repubblica italiana menta sapendo bene di mentire e non si vergogni di ripetere sempre con le stesse parole le storielle che il suo capo vuole vengano ripetute all’infinito perché diventino verità almeno per la gran massa dei nostri concittadini che vedono solo Porta a Porta e Rete 4 (Anna Robles)
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PIAZZA GRANDE Il (pre) giudizio sui giudici di Bruno Tinti
acciamo finta che B&C non stiano sbattendosi per evitare che B. finisca in galera (ah, mi dimenticavo, una delle leggi partorite da B&C prevede che chi ha compiuto 70 anni in galera non ci può andare); quindi facciamo finta che il loro obiettivo non sia quello di evitare che una sentenza affermi che B. è uno che corrompe i testimoni e commette frodi fiscali per miliardi di euro. E facciamo finta quindi che il “processo breve” sia stato davvero messo in cantiere per attuare la Convenzione dei Diritti dell’Uomo (!) e dare finalmente agli italiani una giustizia rapida ed efficiente. Quindi parliamone come fosse una cosa seria. Come tutti possono capire, dire che i processi debbono durare 6 anni (2 in Tribunale, 2 in Appello e 2 in Cassazione) ha senso solo se leggi e strutture consentono il rispetto di questi termini, cioè se è concretamente possibi- u le rispettare questi termini. E, come tutti sanno, fino ad ora, i processi italiani hanno avuto una durata media di 7 anni e mezzo (lo ha detto, tra gli altri, lo stesso Alfano nella sua relazione al Parlamento sullo stato della giustizia in Italia). Allora, delle due l’una: o con le leggi e le strutture che abbiamo il processo non può durare meno di 6 anni; oppure i giudici italiani sono pigri e v incapaci. Manco a dirlo, B&C raccontano questa storia in ogni dove: giornali e tv ospitano le loro esternazioni su giudici fannulloni, tornelli, meno politicizzazione e più lavoro e via così. Tanto per cambiare B&C mentono; perché sanno che i giudici lavorano come bestie e che la lun-
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La lunghezza dei processi italiani non dipende dai magistrati Lo dimostra il rapporto della Commissione europea per l’Efficienza della Giustizia: ecco i dati ghezza dei processi italiani non dipende da loro. Lo sanno perché, nell’ottobre 2008, il Cepej (Commissione europea per l’efficienza della giustizia) ha pubblicato un rapporto sullo stato della giustizia in Europa. I dati erano stati forniti
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ttima è l’acqua. Sono le prime parole dell’Olimpica I di Pindaro. Il decreto del ministro Ronchi vuole privatizzare l’acqua, il principio unico da cui scaturisce la vita, secondo il milesio Talete; uno dei quattro elementi eterni, per Empedocle di Agrigento. Abbiamo visto al Tg3 come l’acqua, divenuta oggetto di speculazione, in una città della Sicilia sia degradata a liquido pessimo: immondo e molto costoso. Francesco d’Assisi ringrazia il Signore per “sor’Aqua la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”. E’ una delle creature di Dio, un dono elargito all’umanità, come il Sole, la Luna, le Stelle, e
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non compaiono perché Cepej non ha ricevuto dati). La classifica Cepej tiene conto solo dei processi per reati “gravi”. Però, come tutti sanno, in Italia si fanno processi penali per guida senza patente, oltraggio a pubblico ufficiale e omesso versamento delle ritenute Inps…; sicché, se si facesse un conto complessivo, il dato italiano sarebbe almeno 5 volte più alto. (Tab. 3) Dunque ogni giudice italiano incassa ogni anno un numero di processi penali “gravi” 2 volte superiore ai colleghi francesi e inglesi, 4 volte superiore ai colleghi tedeschi, spagnoli e danesi, 12 volte superiore a quelli austriaci. E adesso la produttività: va bene, i giudici italiani sono pochi, hanno un sacco di processi; ma quanto lavorano? Perché, se sono fannulloni… Ecco qui: numero dei procedimenti civili e penali di 1° grado smaltiti ogni anno per giudice (Tab. 4) Con la sola eccezione dell’Olanda, che Cepej non ritiene attendibile, in Italia ogni giudice definisce, ogni anno, un numero di procedimenti civili e penali pari al doppio dei giudici francesi, spagnoli e portoghesi, e 5 volte superiore al numero di processi definiti dai giudici tedeschi. Ecco, se questi dati godessero della stessa pubblicità delle fandonie di B&C, gli italiani sarebbero orgogliosi dei loro giudici che lavorano molto più dei loro colleghi europei e in condizioni assai più disastrate. Ma forse il problema sta proprio qui:se i giudici italiani lavorano tanto e però non ce la fanno a terminare i processi in meno di 6 anni; sarà che non è colpa loro? Ma, se non è colpa loro, sarà il sistema giudiziario (codici e leggi varie) che è costruito male? E, se è il sistema giudiziario che non funziona, come si fa a dire che i processi non debbono durare più di 6 anni senza cambiarlo? E, se non cambiano il sistema giudiziario e dicono lo stesso che i processi non debbono durare più di 6 anni (se no tutti a casa), sarà che lo scopo di B&C è solo quello di tirare B fuori dai guai? E, se questo è lo scopo, sarà che questa gente è “unfit” (inadatta, come diceva l’Economist) a governare l’Italia? Vedete come la verità conduce lontano?
Il decreto del ministro Ronchi vuole privatizzare l’acqua: il principio unico da cui scaturisce la vita, secondo Talete; uno dei quattro elementi eterni per Empedocle
visa che nulla ci appartiene, e dobbiamo comprare tutto. Se vuoi essere snello, basta che tu vada a fare energiche corse sulla salsa riva del mare o in un’erbosa, fiorita strada di campagna, ma l’astuta inversione pubblicitaria cerca di inocularti il virus mentale che ti conviene entrare in una palestra maleodorante, rumorosa, a orari stabiliti, magari pagando una quota esosa.
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L’acqua di tutti Come il sole di Giovanni Ghiselli
dai governi di 40 paesi e dunque anche da quello italiano; ed è per questo che dico che B&C mentono; perché sanno qual è la verità e però dicono il contrario. E qual è la verità? Cominciamo dal numero di magistrati rapportato agli abitanti (Tab. 1). Sicché in Italia ogni giudice deve fare da balia a molti più cittadini rispetto al suo collega straniero: più indaffarato di lui è solo il giudice spagnolo e quello inglese (ma in Gran Bretagna l’azione penale non è obbligatoria ed è la polizia che decide quali processi si fanno e quali no). Naturalmente quanti cittadini fanno ricorso a un giudice è un dato che, da solo, non dimostra nulla; potrebbe trattarsi di cittadini onestissimi e non litigiosi; e dunque il giudice potrebbe non aver niente da fare. Ma il problema è che il nostro paese ha il record dei processi civili e penali che sopraggiungono ogni anno. (Tab. 2) Cepej avverte che i dati forniti dall’Olanda non sono attendibili perché contraddittori tra loro; quindi questa nazione non va considerata. Sicché adesso sappiamo che in Italia ogni giudice incassa, ogni anno, un numero di processi 2 volte superiore a Belgio, Francia e Spagna, 8 volte superiore a Germania e Austria, 17 volte superiore ai Paesi scandinavi. Nel penale le cose sono drammatiche (alcuni paesi
la madre Terra che “produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. L’acqua monda quale bene emblematico di una vita sana e vivace si trova in molti testi autorevoli. Il vecchio pastore che accoglie Erminia nella Gerusalemme liberata è rimasto nauseato dai “ministri del re”, è un pentito delle “inique corti”, e spiega alla principessa pagana, giunta in fuga nella sua rustica dimora, in quale luogo sereno e remoto dagli intrighi si trovi: “Spengo la sete mia ne l’acqua chiara/che non tem’io che di venen s’asperga/e questa greggia e l’orticel dispensa/cibi non compri a la mia parca mensa” (VII, 10). Acqua e cibi non comprati dunque, e non avvelenati, poiché l’avidità
di lucro, in un modo o in un altro, attossica. Erminia trova pace in “sì dolce stato” bucolico, ospite del “buon vecchio” e dell’“antica moglie”, i quali non desiderano gemme e oro “che ‘l vulgo adora sì come idoli”. Veniamo al mondo desiderosi di vivere secondo natura, in maniera semplice e autentica, fino a quando la speculazione ci av-
l protagonista degli Acarnesi di Imenta Aristofane, Diceopoli, si ladel fatto che in città rimbombi continuamente e ovunque il grido minaccioso “compra!”, e rimpiange la campagna che gli offriva ogni cosa con generosità silenziosa. Ma torniamo all’acqua. Per i Persiani di Erodoto consegnare l’acqua e la terra a un invasore significava rinunciare a difendere la propria libertà. La mancanza di acqua significa schiavitù e morte, ora come sempre. All’inizio dell’Oedipus di Seneca il protagonista descrive il morbo di Tebe, una peste materiale e morale; ebbe-
il badante
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di Oliviero Beha
LA LEZIONE DI UNA GATTA L
eggo su Il Fatto di ieri una pagina a proposito del testamento biologico. Il titolo era “Se Cicchitto e Fisichella fanno comunella”, e a parte la rima il sommario spiegava che “il capogruppo e il monsignore lavorano assieme sulla legge”. L’altroieri, lunedì, nel pomeriggio è morta la mia gatta Mimmi, quasi 16 anni da sempre con noi, similsiamese o fintobirmana, il pelo bigio e lucente, un’indipendenza e un’affettuosità inarrivabili. E’ morta per un sarcoma che la stava divorando. Da qualche giorno era rapidamente peggiorata. Soffriva visibilmente, quasi non ingollava più niente, si era messa da parte, su una sedia, in penombra, perché le faceva fatica muoversi o salire le scale. Era la prima volta, in tanti anni. Fino all’ultimo ha tentato con dolore di fare le fusa, ma davvero per farci piacere. Avevamo capito che era in gioco la sua dignità. Per questo, per lei, abbiamo convocato un veterinario che con un’iniezione le interrompesse la sofferenza, e con la sofferenza il rischio di morire senza dignità, e con il rischio la vita. Oggi ha lasciato un buco. Chi ha degli animali o li ha avuti può capire. Ma ovviamente in omaggio al sempre in agguato “e chi se ne frega!” non ne scriverei se questa morte, o fine vita, non fosse avvenuta appunto con dignità, nel silenzio, nel dolore. Senza né Cicchitto né Fisichella, senza rime, senza cardinali, senza trasmissioni tv, senza smercio di tattiche politiche, senza abusi mediatici, senza, senza, senza. Senza quell’orrido commercio che la politica ha fatto del caso-Englaro strumentalizzandolo senza alcun tipo di scrupoli, senza la voracità della stampa e la volontà di schierarsi comunque al riparo da dubbi, esitazioni, questioni irrisolte. Senza l’intenzione degli attori di una tragedia d’altri di immedesimarsi almeno un poco nella tragedia di Beppino Englaro e di una famiglia ormai da troppo tempo in assenza presente di Eluana. Senza il ritegno di non mostrare la ragazza splendente di vita prima dell’incidente, come a gara hanno fatto Vespa e soci. Quando vegli una creatura vivente, sia essa anche una gatta di nome Mimmi, e devi decidere se tirarla per le lunghe per te, per averla ancora anche così, oppure volerle bene fino a farla smettere di soffrire inutilmente con una dignità in dissoluzione, ti cali pienamente in questa incertezza, di cui sai soltanto che comunque sceglierai a malapena (con grande pena) il male minore. L’idea che il duo Lescano citato da Il Fatto stia lì a negoziare una legge “come se” fosse una legge qualunque, l’idea che il testamento biologico possa scapolare la sofferenza e il dolore di cui è materialmente fatto e possa invece servire a una prova di forza di qualcuno contro qualcun altro mi mette i brividi. In altro, diversissimo modo è un po’ quello che è accaduto da trentacinque anni e stagionalmente, secondo i calendari della politica, con la legge sull’aborto. Nessuno con qualche stilla di umanità può essere a favore dell’aborto, ma in discussione, parlamentare prima e popolare e mediatica poi fino ad oggi, non c’è l’aborto ma la sua “dolente” legalizzazione. Credo che un discorso analogo si possa fare sul “fine vita”, e sul testamento biologico, facendo attenzione non solo al “cosa” ma anche al “come”. Come se ne parla, con che sensibilità lo si affronta ecc. La parola “dignità” applicata a una gatta che non voleva dare fastidio e perdere del tutto la sua autonomia non è mal spesa perché si tratta “soltanto di una gatta”. In questione non c’è lei, e le sue fusa estreme, bensì noi, ciò che proviamo, la scala di valori per cui saliamo o scendiamo. E quel pudore che non può non circondare l’ultimo passaggio. Per il pudore si è battuto Englaro. Dunque non vorrei proprio che oggi Cicchitto e Fisichella dovessero prendere lezioni da una gatta.
ne il principale segno di malattia è la carenza d’acqua: “L’acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata la fonte Dirce; il fiume Ismeno scorre vuoto, e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi”. T. S. Eliot ripropone questa situazione in The Waste Land: “Qui non c’è acqua ma soltanto roccia... Vi fosse almeno acqua fra la roccia (338)... Non c’è neppure silenzio fra i monti/ Ma secco sterile tuono senza pioggia/... Ma non c’è acqua”. Nella prima parte del poemetto, La sepoltura dei mor ti, il narratore aveva premesso: “In un pugno di polvere vi mostrerò la paura”. La polvere è il correlativo oggettivo del sentimento spaventoso della morte, mentre l’acqua significa vita; eppure anche l’acqua può fare paura, se viene gestita male, ossia secondo il criterio del lucro. Seleuco, uno dei liberti presenti alla cena del Satyricon di Petronio, dove solo il denaro comanda, comincia la sua chiacchierata dicendo: “Io non faccio il bagno tutti i giorni: infatti l’acqua ha i denti”. Più avanti Trimal-
chione, il volgare padrone di casa, il gigante dell’intrapresa privata, si atteggia a filosofo stoico, fa il verso a Seneca e promette l’emancipazione ai suoi schiavi; ebbene il primo effetto dell’affrancamento sarà bere da libera fonte: “Pure gli schiavi sono esseri umani e hanno bevuto lo stesso latte, anche se un destino cattivo li ha schiacciati. Comunque, mi venisse un colpo, presto assaggeranno l’acqua libera; insomma li affranco con il mio testamento” (71) . Se non è libera l’acqua non lo siamo nemmeno noi. L’acqua, il sole, la luna, non possono essere proibiti a nessuno. L’io narrante del Satyricon, Encolpio, cerca di smontare il sentimento della gelosia dicendo che la bellezza di un giovane è una splendida visione naturalmente amata da tutti, come quella del sole, della luna, delle stelle e dell’acqua: “Il sole dà luce a tutti, la luna, accompagnata da innumerevoli stelle, guida al pascolo anche le fiere. Che cosa si può dire più bello dell’acqua? eppure scorre in pubblico”.
Mercoledì 25 novembre 2009
pagina 19
SECONDO TEMPO
MAIL Le analogie di oggi con il Ventennio Durante la lettura del Fatto Quotidiano, ho spesso la necessità di controllare che sul calendario ci sia scritto: anno 2009; lo dico perché sfogliando le pagine del vostro giornale ho come la sensazione di essere catapultata, come in un viaggio nel tempo, nell’anno 1939 se non prima, nel 1923. Anche se allora non ero ancora nata, mi è capitato di leggere vecchie copie di giornali risalenti a quegli anni e ho potuto notare che alcuni titoli e articoli erano molto simili a quelli di oggi. La stessa cosa mi accade quando studio diritto penale, la sua lunga storia e i principi costituzionali sui quali si fonda (o si dovrebbe fondare). Poi leggo il Fatto Quotidiano e mi domando: è soltanto una mia impressione o stiamo “viaggiando” davvero a ritroso? Ringrazio e saluto cordialmente Silvia
Bersani, la diplomazia ha stufato Faccio parte di quelli che si sentono “orfani”, senza una guida nella classe dirigente. Ho ormai maturato la convinzione che il caimano sia non un problema, bensì “il” problema, quello che impedisce o rende inutile affrontare concretamente i pro-
Furio Colombo
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BOX A DOMANDA RISPONDO CAPEZZONE E CO. PORTAVOCE INVASATI
aro Colombo, ma che cosa è successo a Daniele Capezzone? Lo ricordo come segretario del Partito radicale. Era molto serio anche allora. Come è tipico in quel partito, ogni intervento era uno sforzo di portare argomenti, ascoltare ragioni. Forse ti piaceva e forse no, come del resto Bonino o Pannella. Ma non potevi dire che non avesse le sue ragioni. Adesso dice due o tre frasi sempre uguali che ripete con cupa concentrazione dal fondo di tutti i telegiornali. Che cosa gli è successo? Rocco
C
LA DOMANDA è interessante
perché, a pensarci bene, riguarda molti portavoce vicini al potere. Pensate a Bonaiuti. Quando è se stesso è un uomo affabile, cordiale, molto simpatico. Quando diventa portavoce (di solito tocca a lui il compito di correggere radicalmente le affermazioni più discutibili e politicamente arrischiate del suo capo) è rude, aggressivo e non di rado ingiusto, nel senso di attribuire al “nemico” cose mai dette o mai fatte. E’ vero, il suo è un compito ingrato, al servizio di un paese spaccato, che a molte persone normali non è congeniale. La vicenda Capezzone però è
IL FATTO di ieri24 Novembre 1916 Mitropa, acronimo di Mitteleuropa, era, nel 1916, il nome di una prestigiosa Compagnia Ferroviaria tedesca di vagoni letto e ristoranti, nata ai tempi della Grande guerra, per contendere il primato all’Orient Express e gestire servizi di lusso sulla tratta Berlino-Budapest-Costantinopoli. Qualche anno di rodaggio sul Treno dei Balcani, gioiellino della tecnologia germanica, fino al via, nel 1928, sul leggendario Rheingold, alias L’Oro del Reno, treno mitico fin dal nome, preso in prestito da Wagner. Per anni Mitropa segnerà la storia di uno dei più affascinanti treni europei, in viaggio lungo il Reno, da Basilea a Utrecht, a Amsterdam. 662 chilometri in cui, nelle celebri carrozze color crema e violetto, si mangia a lume di candela, tra argenti e cristalli, si fa relax in sale di lettura con poltroncine in broccato e si dorme in letti soffici ed eleganti. Raffinatezze spazzate via dalla disfatta del Reich, quando, delle romantiche vetture del Rheingold, non resteranno che macerie. Passata alle ferrovie nazionali della Ddr, Mitropa sarà poi smembrata e ceduta, mentre il treno del Reno, ricostruito e amato dallo stesso Adenauer, chiuderà la sua storia il 30 maggio 1987, giorno della sua ultima corsa. Giovanna Gabrielli
blemi di tutto il paese, che diventano intanto sempre più pressanti. Così mi ritrovo a ruotare attorno a una certezza: è perfettamente inutile, una perdita di tempo (sempre più) prezioso parlare d’altro che non sia l’estromissione di quell’uomo non solo dalla stanza dei bottoni, ma proprio dalla politica. Sono stato un micro-fondatore del Pd e ho riposto molte speranze in questo partito. Quando sento però che forse non è proprio il caso di accompagnarsi a una dimostrazione che va nel senso che in molti auspichiamo, per giunta non indetta da un altro partito.
Il nuovo pianeta di Gianfranco Fini
Giulio
Gentile direttore,
Vedo arrovellarsi politologi di ogni natura sulla parola “stronzo” pronunciata da Gianfranco Fini. Questi esteti della parola sembrano dimenticare le sparate volgari di molti individui in possesso di prestigiosi incarichi di governo. Termini molto più gravi di quello usato dal presidente della Camera, avviato ormai a neo leader del Pd, vista l’insipienza di quelli attuali. Marcello
Una notte con Alitalia
diversa. La sua lunga esposizione mediatica in un ruolo, quello di un partito sempre in discussione, sempre impegnato in qualche nuova idea o iniziativa, lo aveva fatto diventare noto come uno che discute. Improvvisamente gli spettano brevi comunicazioni assolute, dure e pure. Più tipiche del ruolo di certi film tipo “L’invasione degli Ultracorpi”, l’alieno che entra in te e ti possiede, che della vita politica normale. Per giunta quelle frasi allarmanti da messaggio criptato di fantascienza sono sempre uguali (la sinistra è responsabile, qualunque sia l’evento). E’ inevitabile notarlo dato la trasformazione di un personaggio che era più noto come protagonista di dibattiti che come portatore di giudizi assoluti, a metà strada fra dogmi religiosi e appello alla lotta finale. Certo gli nuoce la tecnica giornalistica detta, nel giornalismo americano, del “sound bite” ovvero si usa solo il pezzo più efficace di tutta una frase. E tuttavia è suo lo sguardo teso da ultimo giorno. E’ giusto domandare a una persona con cui si sono avuti rapporti cordiali per tanto tempo: “D’accordo, i tempi sono brutti. Ma non sarebbe utile qualche volta prendersi un momento di distrazione?”. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
A proposito dell’articolo “Una notte con Alitalia” desidero informarla che il dott. Rocco Sabelli non ricopre né ha mai ricoperto alcun incarico in Vitrociset sia di natura operativa che in ambito di consiglio di amministrazione. Di contro, le confermo che Vitrociset ha una quota di partecipazione nella nuova Alitalia. Quanto sopra, certo che possa condividere il mio pensiero, nel rispetto della correttezza delle informazioni da dare ai lettori.
I nostri errori Erroneamente, e non per colpa dell’autore, nella titolazione dell’articolo su Patria socialista pubblicato domenica è apparsa la parola naziskin anziché il corretto skinhead. Ce ne scusiamo con gli interessati. Nel pezzo pubblicato ieri a pagina 5 “Lo scrivano di Fivazzano”, la ultime righe corrette erano: “Mentre il Bondi uno umetta dolcemente il francobollo, il Bondi due ricopre d'improperi Eugenio Scalfari, reo d’aver definito come una cerchia di servi senza arte né parte, indovinate chi? Le Poste gli dovevano dare...
Diritto di Replica A proposito del suicidio di Parmaliana Apprendo che nell’edizione del 18 novembre 2009, a pagina 13, insieme con un articolo dal titolo “Il suicidio di un democratico tradito dalla politica”, di Alfio
Caruso, è stato pubblicato lo stralcio del libro su Adolfo Parmaliana, scritto dallo stesso giornalista, dal titolo “Io che da morto vi parlo”. All’interno del capitolo 9, “Soffia il vento”, lo scrittore riporta una lunga lettera, di cui sconoscevo l’esistenza, inviata dal Parmaliana, tra gli altri, all’allora segretario nazionale dei Ds, Piero Fassino, con la quale venivo indicato tra i protagonisti di un grave episodio verificatosi nel corso di una riunione della direzione della federazione dei Ds di Messina. Il sentimento di pietà verso i morti mi suggerisce di evitare qualsiasi polemica sulle gravissime accuse contenute nella lettera. Ciò che ritengo inaccettabile, invece, è la strumentalizzazione postuma che i vivi fanno dei morti. Mi riferisco alle affermazioni di Nino Mantineo che hanno consentito ad Alfio Caruso di “ricostruire”, seppure con un’unica voce, quanto accaduto nel corso di quella riunione. Mi preme comunque evidenziare che anche in questo caso il giornalista Caruso (come “saggista” se n’è ben guardato), avrebbe avuto il dovere (si veda codice deontologico della categoria) di sentire le persone cui vengono attribuiti fatti gravissimi (sfida fisica, insulti sanguinosi, epiteti violentissimi e, persino, violente minacce). Al Caruso “giornalista” avrei offerto la mia versione sui gravi comportamenti attribuitimi (la verità sarà accertata nelle sedi competenti) e, comunque, gli avrei fornito le prove che la “ricostruzione” del prof. Mantineo è, perlomeno,
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fantasiosa. In sintesi, gli avrei rammentato che mendacem memorem esse oportet e chiarito che: 1) l’ordine del giorno non prevedeva si discutesse (e in effetti non si discusse) di “spartizione di incarichi”; 2) Mantineo non era componente la direzione della federazione di Messina; 3) Mantineo non svolse alcun intervento e, quindi, Parmaliana non parlò dopo di lui; 4) nessuno dei figli di Silvestro era presente; 5) ma, soprattutto, non ero il segretario del partito. Infine, non ricordo, né risulta agli atti, che nei mesi e anni successivi, neppure quando fui eletto segretario della federazione di Messina,
alcun dirigente del partito (Parmaliana compreso), sollevò mai obiezioni, riferendosi a quella riunione. Neppure mi risulta che il protagonista del libro di Caruso, che certo non lesinava l’interessamento dell’Autorità giudiziaria, abbia presentato, in relazione ai gravissimi fatti riferiti, alcuna denuncia o querela! Avv. Marcello Scurria
Alquanto confusa la lettera dell’ex diessino Scurria, che sui giornali appare quale consulente dell’attuale sindaco Pdl di Messina (sarà vero?). Malgrado il ricorso all’immancabile latinorum e, addirittura, al codice deontologico, non si capisce quale sia la doglianza. Parmaliana scrisse una missiva di cui l’intera città parlò e discusse proprio perché era stata spedita, tra gli altri, anche al segretario regionale dei Ds, Capodicasa e a quello messinese Santagati. La lettera fu subito pubblicata da alcuni siti Internet, compreso quello dei Ds di Terme Vigliatore, e mai Scurria si peritò di smentire o di rettificare alcunché. Prima d’inserirla nel libro, ho cercato di verificare la vicenda. E in questi casi ci si rivolge ai testimoni oculari, non ai protagonisti. Quale fonte migliore di un tranquillo docente di Diritto ecclesiastico, che addirittura decise di lasciare la politica, oltre i Ds, dopo aver assistito all’inverecondo spettacolo? Se avessi desiderato mettere qualcuno in cattiva luce, avrei riportato, a esempio, le intercettazioni riguardanti Scurria presenti nell’informativa Tsunami o le sue traversie giudiziarie. Alfio Caruso
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