Il Fatto Quotidiano (28 Novembre 2009)

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Napolitano dice: basta scontri. I magistrati: d’accordo, ma siamo noi gli aggrediti. Tace chi ha evocato il peggio

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Sabato 28 novembre 2009 – Anno 1 – n° Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

VOGLIONO LE LEGGI RAZZIALI Immigrati? Niente voto e briciole di cassa integrazione B. minaccia Fini e cede a Bossi. Guerra civile nel Pdl

Il lavoro sul tetto di Furio Colombo

Il capo dello Stato costretto ad intervenire sulle parole golpiste del presidente del Consiglio. Ma lui che è disposto a tutto per salvarsi dai processi è ostaggio della Lega che ogni giorno scatena nuova xenofobia Gagliarducci, Nicoli, Vasile pag. 2 e 3 z MISTERI x Quell’espressione così tirata del cavaliere

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n poche ore – le stesse ore – alcuni fatti si sono succeduti a Roma. Gli operai dell’Alcoa hanno attraversato in corteo la città per salvare il posto di lavoro. Sono stati caricati dalla polizia come ai vecchi tempi. Curioso che un ministro degli Interni che giura sulla Padania, forzi la polizia di “Roma ladrona” a una strategia centralista, che non ammette il minimo sgarro. Nelle stesse ore ingegneri, tecnici e dipendenti di Eutelia, già Olivetti, uno dei più sofisticati centri di attività informatica (dalla progettazione alla gestione) in Europa, stavano andando sotto le finestre di Palazzo Chigi per denunciare l’immensa truffa di cui migliaia di lavoratori sono stati vittime: buone aziende vengono ridotte a scatole vuote forzando il personale ad andarsene. Ma se te ne vai perdi ogni diritto. Se resti lavori gratis. È stata una manifestazione lunga, un’assemblea intelligente, fino a notte sotto Palazzo Chigi, i lavoratori seduti intorno a Di Pietro, mentre fra le fila dell’evento improvvisato potevi incontrare Rosy Stefania Prestigiacomo Bindi, Cesare Damiano, Giovanni Bachelet , due o tre altri deputati. Quello stesso giorno e quella stessa notte i ricercatori dell’Ispra, giovani donne e giovani uomini a livello del dottorato di ricerca, che lavorano – o meglio lavoravano – all’Ispra, l’Istituto per la ricerca, lo studio e la salvaguardia dell’ambiente, sono rimasti sul tetto del loro posto di lavoro. È raro un simile movimento di protesta da parte di scienziati. È ancora più raro che il ministro competente, la fiera signora Prestigiacomo, abbia fatto sapere ai giovani ricercatori accampati sul tetto: “Ho bisogno di una settimana per pensarci”. Una settimana di notti sul tetto perché il ministro possa decidere chi licenziare. È a questo punto che il primo ministro annuncia, su tutte le agenzie e a tutti i telefonini, all’Italia e al mondo: “Siamo sull’orlo della guerra civile”. La frase appare subito o troppo grave o troppo folle. Le sacrosante manifestazioni in difesa del lavoro non portano alla guerra civile. Semmai a un paese più civile. Ma di quelle lotte Berlusconi non sa nulla. Sa, esclusivamente, dei suoi processi. Infatti la frase completa è: “I pm ci portano sull’orlo della guerra civile”. Che vuol dire: “Al diavolo l’Italia. Tutto è meglio dei miei processi”. Ieri Berlusconi ha annunciato l’inizio della sua fine anche a coloro che credono (credevano) ancora in lui.

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Scarlattina o nuovo lifting? di Luca Telese

me, se guardo la faccia di ABerlino. Berlusconi, viene in mente Non so se anche a voi Berlino fa questo effetto: ogni volta che ci vai c’è un palazzo che prima non c’era, e ne è scomparso uno che c’era. A me ogni volta che vedo la faccia di Berlusconi, in questi giorni, viene un dubbio: ma ha avuto la scarlattina o si è fatpag. 7 z to un lifting?

Udi Massimo Fini

Silvio Berlusconi, prima e dopo la cura (FOTO ANSA)

Udi Giacomo Urbano

MAGISTRALI FAVOLETTA EVERSIONI DEGLI DEL PREMIER UDITORI

Udi Silvia Truzzi CHIABERGE: SCUSATE SE SONO LAICO

uando nel 1994 Silvio Berluera una volta, tanto temi sono monaci che esplorano QConsiglio, sconi, neo presidente del C’ po fa, una Procura ai con- C l’anima e Dio con la poesia fu raggiunto a Napoli fini dell’Impero, in una landa della parola. Missionarie brianda un “avviso di garanzia” a un giornalista che gli domandava: “E se fosse condannato?”, rispose: “Sarebbe una sentenza eversiva”. pag. 18 z

sperduta ma baciata dal mare. Una Procuretta, una Procurina, una Procura da Operetta, tanto carina e a volte un po’ cattivina. pag. 18 z

INCHIESTE x Offensiva per abolire il 41 bis

TRA STATO E MAFIA ANCORA TRATTATIVA INTRODUZIONE INEDITA DI TRAVAGLIO QUADRO DELLE SENTENZE A OTTO ANNI DAL BEST-SELLER SCANDALO

zole ammalate d’Africa che si cimentano con il “Dieu au féminin”. Ex preti che hanno affrontato il demone dell’amore e sono ancora cattolici. pag. 14 z

I boss nelle carceri mostrano segni sempre più tangibili di impazienza: o fate qualcosa o noi parliamo Gomez pag. 4 z

nbankitalia

ninformazione

Quanto costa Cosa Nostra al Mezzogiorno

Autopubblicità del Corsera “Indipendenti”

Feltri pag. 5z

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DOPO LE SENTENZE MONDADORI E ALFANO

EDITORI RIUNITI

CATTIVERIE

Altro che Patrizia: è Veronica (43 milioni di euro all’anno) che lo lascerà in mutande

Il grande Papello di Marco Travaglio

a scena, mutatis mutandis, è questa: un poliziotto interviene per sventare una rapina in banca, ma i rapinatori lo pestano a sangue e se la danno a gambe col bottino in spalla, urlando che se non si possono più rapinare serenamente le banche allora siamo alla vigilia della guerra civile e lasciando il malcapitato esanime sul selciato. Assiste al fattaccio un anziano e distinto signore molto british, con lobbia, impermeabile e ombrello: arrota la boccuccia a cul di gallina, guarda nel vuoto e spiega al malcapitato che, nell’interesse del Paese, bisogna fermare la spirale della crescente drammatizzazione cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche, ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali. Dunque invita l’agente che rantola a uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche e gli raccomanda di attenersi rigorosamente allo svolgimento della sua funzione. Poi, prima di andarsene con passo deciso, butta lì che spetta al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra rapinatori e polizia. Subito, dalle principali forze politiche, si levano compiaciuti gridolini di giubilo per l’autorevole monito alla pacificazione fra guardie e ladri, immediatamente raccolti e amplificati dai telegiornali in vista dell’auspicata pacificazione dopo il lungo scontro in atto nel Paese fra chi rapina le banche e chi vorrebbe impedirglielo. Il presidente del Senato, abbandonati da alcuni anni i suoi clienti e soci attualmente in carcere senza nemmeno una visitina per portare loro i conforti religiosi, propone un tavolo fra maggioranza e opposizione per cancellare i processi ai rapinatori. Appello seriamente valutato dall’opposizione, che a cancellare i processi ai rapinatori proprio non ci sta, ma ammette che “il problema esiste”. I rappresentanti delle guardie fanno sommessamente notare che uno dei loro è stato massacrato di botte e che la legge impone loro di sventare le rapine, non di agevolarle. Ma invano: vengono immediatamente zittiti dal partito dei rapinatori, i quali in questa dichiarazione vedono l’ennesima prova degli intenti golpisti delle guardie. Seguono, dopo la pubblicità, i programmi di approfondimento giornalistico, tutti dedicati a temi di stretta attualità politica: i viados, il Grande Fratello, la dieta mediterranea, i cinepanettoni di Natale, il nuovo libro di Vespa, il delitto di Perugia e le celebrazioni per il 750° compleanno di un noto sarto di epoca egizia con tanto di esperti di datazione al carbonio-14. A chi eventualmente intendesse occuparsi in tv di quanto accaduto fra il poliziotto e i rapinatori, viene amorevolmente raccomandato di rispettare la par condicio fra guardie e ladri e di invitare in studio qualche ladro per garantire il necessario contraddittorio. Il direttore del Tg1, che non ha mai raccontato nulla sulla rapina e sull’aggressione, comunica alla nazione che il governo è in pericolo a causa di guardie eversive che vogliono sovvertire la maggioranza democraticamente eletta, dunque occorre depenalizzare le rapine in banca o, in alternativa, immunizzare gli eventuali rapinatori che occupino alte cariche dello Stato. Alcuni giornali spiegano con dovizia di particolari che il problema politico nasce dal fatto che al governo siedono noti rapinatori e amici dei rapinatori, come risulta dalle confessioni di alcuni rapinatori che collaborano con la giustizia e stanno facendo i nomi dei loro complici rifugiatisi in Parlamento e/o al governo per non pagare il fio delle proprie rapine. Ma tutto questo i telespettatori, almeno quell’80 per cento che si informa o crede di informarsi soltanto dalla tv senza mai aprire un giornale o collegarsi a Internet, non lo sanno. E continuano a domandarsi: ma che cazzo c’entrano la politica, il Parlamento e il governo con le rapine in banca?

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Le critiche del Capo dello Stato all’attività del Parlamento

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LA GUERRA DI B.

ggi ci sono in Parlamento grosse difficoltà”. Così era intervenuto la scorsa settimana dalla Turchia, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riaffermando la centralità del Parlamento e premettendo che una valutazione sul lavoro parlamentare spetta a osservatori,

commentatori “e anche al presidente della Repubblica, con le cautele dovute”. Ma comunque muovendo una critica molto dura e precisa. “Io rispetto – aveva precisato Napolitano – l’autonomia del Parlamento, le difficoltà che incontrano i presidenti delle assemblee parlamentari per farle funzionare e per

rendere il lavoro più efficace e spedito, ma con la massima attenzione per tutti i diritti della minoranza e per tutte le proposte delle opposizioni. È chiaro che oggi ci sono grosse difficoltà in questo senso”. Le difficoltà, aveva aggiunto Napolitano, riguardano anche “l’operosità, la densità e la bontà dei prodotti legislativi”.

L’ALTOLÀ DI NAPOLITANO BERLUSCONI SI CONTROLLI, LE TOGHE NON DEBORDINO di Vincenzo

Vasile

ggi sento il bisogno di parlare, di dire qualcosa in questo particolare momento…” La rassegna stampa di giornata ispira la prima esternazione di getto del settennato, il primo vero “altolà” di Napolitano. Pur sempre lima le virgole, come è nel suo stile, e legge un manoscritto concepito appositamente e separatamente rispetto alle dichiarazioni di giornata per evitare il frullatore mediatico: Giorgio Napolitano affida a telecamere e cronisti radunati senza preavviso a margine di un’udienza sugli omicidi bianchi, poche parole – per l’esattezza, quindici righe, centotrentotto parole – che dovrebbero replicare alla nuova “spirale” drammatizzante innescata dal Berlusconi furioso della puntata precedente, che è giunto a sparlare di guerra civile contro i magistrati. Il presidente del Consiglio è fermamente invitato a non coltivare la teoria del complotto, pensi piuttosto a cercare e trovare una maggioranza, la sola che può togliergli la fiducia, e che può “abbatterlo”. Il Parlamento è centrale, lì si possono e si devono fare le riforme che riequilibrino il sistema quasi impazzito. Ovviamente, il capo dello Stato usa una prosa ben più diplomatica e istituzionale, fa un appello bipartisan all’“autocontrollo”, e fa riferimento a tutto il complesso dello scontro in atto, perché “l’interesse del paese – che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine economico e sociale – richiede”, per l’appunto, che “si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali”. La preoccupazione principale, e il primo argomento, è sgombrare il campo dalla teoria della cospirazione delle toghe coltivata ossessivamente dal premier e dalla sua stampa d’assalto: “Va ribadito che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare”. E del resto l’idea di intervenire è maturata al Colle proprio dopo le dichiarazioni di Berlusconi che lamenta una “persecuzione giudiziaria”, che agita lo spau-

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racchio di un complotto contro il governo. Dal presidente del Consiglio, non nominato, ma chiaramente evocato, e “da tutte le parti” deve venire, invece, secondo Napolitano, uno “sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche”, mentre dall’altra parte, la magistratura, da “quanti appartengono alla istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione”, occorre che ci si dia una calmata. I magistrati, è l’invito, “si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione”. Per i cultori della prosa presidenziale, si può far notare, del resto, che nel testo scritto diffuso dal Quirinale c’è studiatamente una pausa, una virgola, che separa il monito a controllarsi (riferito principalmente al premier) e quello a non debordare (riferito alle toghe). La chiave dell’intervento di Napolitano nella versione autentica fornita da fonti del Quirinale sta, dunque, nelle ultime righe. Quando Berlusconi

viene invitato a rispettare la centralità del Parlamento: perché spetta appunto a esso, tocca alle Camere, “esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia”. Seguono le reazioni: la più rilevante è quella di Palazzo Chigi. Infatti, Silvio Berlusconi tace. Nella maggioranza, le seconde file si consolano perché nelle parole di Napolitano c’è il rimbrotto alle toghe. Bossi, in versione da statista, fa il Salomone e chiede a tutti di stare “un po’ tranquilli”. Fini ammonisce: “…leggetevelo tutto il messaggio del capo dello Stato, va visto nella sua interezza”. Bersani valorizza il richiamo alla centralità del Parlamento. Casini si siede in mezzo: il presidente ha criticato tutti. L’Italia dei valori si divide in un caleidoscopio di più frammenti: per Formisano Napolitano è ineccepibile, De Magistris e Di Pietro, stavolta d’accordo, polemizzano, in-

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (FOTO ANSA)

vece, ma “senza polemizzare”, per le bacchettate del capo dello Stato alla magistratura. L’Associazione dei magistrati stupisce tutti, perché invita a non sezionare il discorso del presidente a piacimento. “Noi magistrati non siamo in guerra con nessuno, ma chiediamo di non essere aggrediti”, afferma il presidente dell’Anm, Luca Palamara. E, insomma, “il capo dello Stato fa affermazioni in cui ogni magistrato deve riconoscersi”.

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LOGISTICA

IL POPOLO DEL NO B. DAY STUDIA LA SICUREZZA FAI DA TE di Federico

Mello

Provocazioni non sono prese neanche in considerazione. “Infiltrati” è una parola dal suono sgraziato e inquietante, che non vogliono neanche sentire. Piuttosto: “Ci fidiamo delle forze dell’ordine – dicono le voci polifoniche del No B. Day – le forze dell’ordine non servono per creare malumori ma anzi per preservare l’ordine pubblico”. Il day after del violento attacco di Berlusconi ai magistrati con l’ennesima minaccia (si rischia la “guerra civile”), il popolo viola, risponde a margherite. Su Facebook con il “durissimo” articolo 1 della Costituzione italiana: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e in piazza, dicono, con la “gentilezza” e con l’“accoglienza” promessa per i manifestanti che scenderanno in piazza: “Aspettiamo tantissime famiglie”. A sentirli viene spontanea una domanda: riusciranno a dare un ordine al caos? Sulla carta la sfida appare impossibile. Eppure i comitati di No B. Day ci stanno provando. La sensazione particolare, a parlare con loro, è che davvero non ci sia un centro, una testa che comunichi ai restanti organi, tessuti, e cellule, quello che c’è da fare. Ma tante voci, ridondanti e paritarie, che contano sull’entusiasmo, l’impegno di tutti e la voglia di stare in piazza per la riuscita dell’evento. Su Internet questo modello della condivisione ha dimostrato di funzionare: sono nati così patrimoni collettivi come Wikipedia, o come Linux, il sistema operativo “open source” sviluppato dagli utenti. La piazza è un’altra cosa. E così il corteo. Ma questi ragazzi sotto i trent’anni quando di-

cono “piazza” non pensano a cordoni e servizi d’ordine. Né tantomeno ai “gommoni” in plastica con i quali le Tute Bianche sfidavano blocchi e zone rosse. La piazza è simbolo di gioia. “Oggi, sabato, continuiamo con i banchetti informativi”, ci dice Alessandro Tuffu ‘responsabile della logistica del No B. Day’ – “mentre per sabato 5, grosso modo, le modalità di partecipazione sono pronte. Nei parcheggi dei pullman e alla stazione Termini saranno allestiti dei banchetti dell’accoglienza con materiale informativo. Poi si andrà in piazza della Repubblica, spostandosi in metro. Là saranno presenti centinaia di ‘steward’ che accompagneranno il corteo. Saranno riconoscibili da un nastro viola che porteranno intorno al braccio”. Se gli chiediamo di timori per la sicurezza del corteo, risponde: “Certo, certo, il corteo deve essere accompagnato per evitare alcuni punti critici”. Attacchi al McDonald’s? Macché: “Vicino a via Sistina la strada si stringe e là c’è il rischio che il corteo si fermi, rallentando l’arrivo in piazza”. Se qualcuno si sognasse anche di compiere qualche atto violento “verrà immediatamente segnalato alle forze dell’ordine” e comunque immortalato da migliaia di macchine fotografiche e telecamere che i manifestanti porteranno “per registrare un ricordo in diretta dell’onda viola”. Tiene il punto Paola Calorenne, responsabile dei giovani dell’Italia dei valori e impegnata giorno e notte “da cittadina” nel No B. Day. “A provocazioni non abbiamo neanche mai pensato. Perché una manifestazione come questa è di protesta e di dissenso ma è gestita in modo libero e trasparente”. In realtà “una provocazione era arrivata: il Sì Berlusconi Day. Ma non gli abbiamo dato attenzione e si è rivelato per quello che era: un sito Internet di due parlamentari del Pdl con niente dietro”. Ieri intanto, è arrivata anche l’adesione dell’Udu, coordinamento universitario e unione degli Studenti. Aderiscono elencando una serie di NO! In ordine alfabetico: No all’abolizione del valore le-

gale del titolo di studio, No a Berlusconi, No a Case degli studenti fatiscenti, No al Diritto dello studio svenduto ai privati...” e concludono con un creativo “No a Zorro, Superman e Batman: non abbiamo bisogno di eroi o supereroi cui delegare la lotta per cambiare tutto quest’alfabeto, ma di studentesse e studenti, cittadine e cittadini che non hanno perso la capacità di indignarsi e di reagire, donne e uomini convinti che un altro mondo sia ancora possibile”. L’organizzazione ferve in tutta Italia. Marco Bruno posta sul sito ringraziamenti: “Voglio iniziare questa comunicazione ringraziando a nome del coordinamento NBD tutti i gruppi locali per il loro motivato, corresponsabile e affettuoso riscontro a questa manifestazione che ogni giorno di più sta diventando esempio di esercizio della democrazia” e informazioni dettagliate: “Gli autobus saranno indirizzati in 3 punti di raccolta; Roma Sud, Roma Nord e Roma Est. L’ubicazione precisa dei parcheggi ci sarà segnalata mercoledì 2. Ogni autobus deve pagare un ticket per l’ingresso a Roma, Tutti gli autobus devono raggiungere Roma entro e non oltre le 12.30...”. Se non dovesse bastare, calma e gesso: “Nei prossimi giorni vi sarà recapitato via mail un vademecum logistico”. In effetti manca solo una settimana alla prova del nove. Per capire se qualcosa di caotico e innovativo, imprevedibile nell’Italia di Berlusconi, è diventato politica.

I promotori della manifestazione: “Aspettiamo le famiglie” e “ci fidiamo delle forze dell’ordine”


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Il “Secolo”, la guerra del premier e la tentazione autoritaria

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XENOFOBIA

orse solo una combinazione, chissà. Ma ieri il giornale diretto dalla finianissima Flavia Perina ha titolato a tutta pagina “Il premier va alla guerra” sintetizzando l’uscita di B. contro i giudici e l’ultimatum dato al presidente della Camera. Fin qui nulla di particolarmente insolito. Epperò qualcosa cambia se si passa all’editoriale a firma

di Carla Conti. Titolo: “Tentazione autoritaria, mai più... ”. Oggetto: un’interrogazione di un parlamentare Pdl per chiedere iniziative volte a ricostruire l’identità e la memoria di migliaia di italiani spariti in Argentina dopo il colpo di Stato militare del ‘76. L’articolo richiama la necessità per la destra – quella nuova e moderna – di rompere con il “ciarpame” – termine caro a

Veronica Lario, per dire – della “fascinazione” per le dittature militari. Un richiamo allo stare vigili e al rigettare definitivamente – non solo a destra, va detto – i colpi di Stato. In giorni di fibrillazione politica spasmodica e per certi versi inquietante, in cui si evoca anche la “guerra civile”, quelle del Secolo sono parole un po’ sinistre, per la destra.

LO SCUDO RAZZISTA

La Lega: tetto alla cassa integrazione per gli extracomunitari B. gioca tutto sul Carroccio per salvarsi dai processi di Sara

Nicoli

rimo: blindare l’alleato Umberto Bossi con un “regalo” che solo lui, il Capo, poteva elargire: la Lombardia. Candidato governatore l’ex ministro Castelli. Secondo. Stringere a sè il partito nel segno di un rinnovato “centralismo democratico” spiegato anche ai peones da un dotto Gaetano Quagliarello. Terzo. Stabilendo una precisa “linea del Piave” per testarne definitivamente la fedeltà di Fini. “Cartina di tornasole” la cittadinanza agli immigrati, calendarizzata per volere dello stesso presidente della Camera, subito dopo la finanziaria; se non verrà ritirata la proposta a firma del fedelissimo finiano Fabio Granata, il “tradimento” di Fini potrà dirsi consumato. E, a quel punto, Berlusconi non avrà più dubbi a giocare la carta delle elezioni, nonostante i rimbrotti di Napolitano ma soprattutto in barba ai poco confortanti sondaggi Euromedia research, che parlano di un suo popolo meno sicuro di rinnovagli il plebiscito di voti. Questo, dunque, il piano di B. per uscire dalle secche e guadagnare la salvezza giudiziaria. Questione di equilibri. Quelli che ieri sono stati di nuovo all’insegna del Carroccio. La Lega infatti ha presentato in commissione un emendamento chiaramente razzista per mettere un tetto di sei mesi alla cassa integrazione dei lavoratori stranieri. Cosa che ha puntualmente fatto infuriare il presidente della Camera, nonchè due ministri: Carfagna e Sacconi.

il 2%”. Dunque, i berluscones sono abbastanza certi che “il traditore” anche stavolta non consumerà lo strappo definitivo. Diceva, l’altra sera, proprio Quagliarello: “Non conviene a nessuno arrivare ad una rottura clamorosa, casomai proprio sul tema della cittadinanza; sarebbe come se la maggioranza approvasse una legge contro se stessa, sarebbe la morte del Pdl un minuto dopo, ma anche quella politica di Fini”. Ma nelle stanze del presidente della Camera tira tutt’altra aria rispetto alla possibile resa senza condizioni al diktat di B. Ieri, intanto, mentre la Lega

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NEL PDL DUNQUE la pressione è alle stelle, la lucidità latita, ma l’obiettivo non può essere fallito. Il Capo ha parlato chiaro ai suoi: “Le scelte e le scadenze che ci attendono – ecco le parole pronunciate davanti ai fede-

Guercino – Saul che tenta di uccidere David – interpretazione di Roberto Corradi

La linea del Piave: silurare la legge sulla cittadinanza Fini non molla E fa sponda con l’Anm lissimi – non ci consentono in alcun modo di tollerare personalismi e fughe in avanti su temi sui quali il partito ha dato indicazioni diverse. Sulla riforma della giustizia e sul processo breve non possiamo non avere compattezza, in gioco c’è troppo”. Ovvero lui medesimo. E per sotterrare definitivamente le obiezioni di chi, anche den-

RICATTI

tro il Pdl, le leggi ad personam le digerisce male, ecco che ha chiesto a Quagliarello di inventarsi una base politica convincente anche per i palati più riottosi. Et voilà, ecco il “nuovo centralismo democratico”. Roba comunista, si direbbe a naso. E invece no, roba liberale. Furbescamente Quagliarello ha citato dottamente ai berluscones dal medesimo vicepresidente dei senatori Pdl, William Ewart Gladstone (politico inglese che ha lasciato il segno nel pensiero liberale anglosassone dell’800, ndr) e il cui motto è sempre stato “tra la propria coscienza e il proprio partito, un gentiluomo sceglie sempre il partito”. Così Fini è stato messo all’angolo. E quando il solito improvvido ha chiesto in cosa questo “nuovo” centralismo si differenziasse da quello del vec-

chio Pci, Quagliarello ha tagliato corto: “Qui si discute e poi si decide, nel Pci non si discuteva affatto”. È bastato questo a far tacere i petulanti in nome della rinnovata coesione intorno al Capo. Fini sa che lo stanno aspettando al varco. “SE GUARDIAMO indietro la storia politica di Fini – è la tesi di un fedelissimo del Capo – non si può non notare l’elenco di sconfitte di cui si è reso protagonista dal’94 ad oggi; si schierò contro il maggioritario e oggi è il maggioritario che lo premia, nel ’95 disse no al governo Maccanico e noi perdemmo le elezioni, nel 2005 fu a causa sua se perdemmo le Regionali. È l’uomo degli opportunismi falliti che anche stavolta tornerà indietro. I sondaggi parlano chiaro, da solo ha al massimo

Il beato stupore della Mussolini

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n primis fu Boffo, poi furono le “ballate” su Marrazzo e la corte dei trans. Ieri, la prima pagina de Il Giornale sparava: “Ricatto hard alla Mussolini”. Ci sarebbe un video, girato dalle telecamere a circuito chiuso della sede romana di Forza Nuova, che ritrarrebbe l’onorevole Alessandra Mussolini mentre fa “sesso esplicito” con il leader Roberto Fiore. Una notizia che ha visto la Mussolini contesa tra il riso e l’incazzatura. “All’inizio ho pensato potesse trattarsi di Repubblica o de L’Unità”. Ma davvero si stupisce de Il Giornale, onorevole? Si vede che quando non parla di lei non lo legge. (s.d.)

“GESÙ ERA UN MIGRANTE”

Ratzinger non ci sta:“No ai rimpatri”

il quartier generale comunica "

Feltri e Belpietro saltano sulle barricate. Il primo poi esagera: “La guerra civile si può evitare solo con la riforma della giustizia”. Amor di logica o amor di padrone?

presentava in commissione un emendamento per mettere un tetto di sei mesi alla cassa integrazione dei lavoratori stranieri, che ha fatto infuriare Fini, al piano nobile di Montecitorio sono saliti i vertici dell’Anm. Hanno chiesto a Fini “la massima attenzione” all’elenco dei reati che verranno compresi nel processo breve ed hanno incassato un sì senza tentennamenti. Insomma, par di capire che la capitolazione dell’ex leader di An sull’altare delle necessità giudiziarie di B. e della sua fretta sia di là da venire. Il nuovo centralismo democratico, insomma, non lo convince. Il logoramento di B. molto di più.

di Andrea Gagliarducci

enedetto XVI dà prima di Bdi Gesù, tutto un’immagine: quella che “è stato anche lui un immigrato”. Ed è da quell’immagine che il Papa fa partire la sua riflessione per la giornata mondiale del Migrante dedicata agli immigrati minorenni. I concetti chiave: maggiore attenzione, la possibilità di andare a scuola, il no ai rimpatri, perché un minore non può essere riaccompagnato. Tutte indicazioni che la Chiesa non ha mancato di ribadire, anche con forza, negli ultimi tempi. Eppure l’appello di Benedetto XVI a favore dei diritti dei

migranti minorenni arriva proprio il giorno in cui la Lega rilancia la posta e chiede un tetto alla cassa integrazione per gli immigrati residenti in Italia. E sullo sfondo di una serie di altre proposte “razziste” del Carroccio. A partire dall’operazione “White Christmas” nel Comune di Coccaglio, provincia di Brescia: una serie di controlli sugli immigrati che si dovrebbe concludere verso Natale, con possibili espulsioni. Monsignor Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio dei Migranti, va dritto al punto e dice che la notizia “gli fa tristezza”. Ma allo stesso tempo, il mini-

stro dell’Interno Maroni, da Brescia, si dice “sicuro che si tratta dell’ennesima montatura: l’operazione rientra nei controlli previsti dal pacchetto sicurezza”. Ma quella di Coccaglio è solo l’ultima delle iniziative locali “anti-immigrazione” delle camicie verdi. L’ultima, in ordine di tempo, è quella di Varallo: il sindaco leghista Gianluca Buonanno ha deciso di vietare l’uso del burqa e del nijab (i veli musulmani). E poi: il primo cittadino, tanto per cambiare ancora leghista, di Azzano Decimo (Pordenone), Enzo Bortolotti ha proposto la schedatura per tutti i musulmani. Progetto “in linea” con altri, se solo si

guarda indietro alle altre proposte del partito di Bossi. Per andare in ordine di tempo: la schedatura dei rom bambini compresi - e dei clochard, la decisione, contenuta nella "legge sulla sicurezza", di togliere loro la possibilità di votare, e infine le norme che tolgono agli extracomunitari sprovvisti del permesso di soggiorno il diritto alle cure mediche e alla scuola. Ma quella di Azzano è stata una proposta da cui anche il Pdl era stato costretto a prendere le distanze. E il sindaco ha fatto marcia indietro. Emettendo una direttiva per stimare la presenza di tutti gli stranieri di ogni religione.


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Sabato 28 novembre 2009

Il suo nome in codice è “Betulla”: storia di una carriera segreta

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COSE LORO

crittore, opinionista, ex giornalista, radiato dall’ordine, deputato europeo. Collaboratore del Sismi dal 1999. Nome in codice: Betulla. Questa la carriera di Renato Farina, nato a Desio nel 1954 e grande amico di Vittorio Feltri. Secondo le indagini, nel 2004, riceve da Nicolò Pollari (l’allora direttore del Sismi), tramite Pio Pompa, l’ordine di

recuperare da Al Jazeera le immagini dell’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi, componente italiano di una compagnia militare privata, rapito e ucciso in Iraq. Sostiene che con il suo operato ha fornito ai servizi segreti informazioni nelle mani dei pubblici ministeri sul rapimento della giornalista de il Manifesto Giuliana Sgrena, tenuta prigioniera in Iraq. Nel giugno del

2006 Pio Pompa chiede a Farina, di scrivere una cronaca contro Romano Prodi (pubblicata poi il 9 giugno 2006), per accusarlo di avere appoggiato la pratica delle extraordinary rendition quando era alla Commissione europea. Il 2 ottobre 2006 l'ordine dei giornalisti lombardo lo sospende per un anno con l'accusa di aver pubblicato notizie false in cambio di denaro dal Sismi.

QUI SI TRATTA (ANCORA)

Farina (Pdl) denuncia l’inumanità del 41 bis per i mafiosi Come nel 2002: ipotesi ricatto dei clan alla politica di Peter

Gomez

er lui è solo un atto di carità cristiana. Un gesto umanitario per dare un po’ di conforto a chi soffre. Per gli investigatori, invece, potrebbe essere una sorta di messaggio. O almeno potrebbe essere colto dalla mafia come tale. Come l’ultimo, o il penultimo, segnale nella lunga presunta trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato cominciata nel 1992-93 e mai interrotta. Co-

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munque stiano le cose un fatto è certo: fa effetto ascoltare dai microni di Radio Radicale un esponente di peso del Pdl come il neo-parlamentare Renato Farina, chiedersi se davvero il 41 bis, il cosiddetto carcere duro, è una forma di tortura. E fa ancora più effetto pensare che le sue dichiarazioni, chiuse con la proposta di istituire una commissione internazionale sulla situazione dei boss in prigione, sia arrivata a ferragosto, davanti alle por-

Salvatore Riina (FOTO ANSA)

te del carcere milanese di Opera. Lì dentro, ospitati in celle singole controllate giorno e notte, ci sono ben 82 capimafia. E assieme al più celebre di tutti, Totò Riina, c’è anche Giuseppe Graviano, il capo della famiglia mafiosa di Brancaccio, che, secondo il pentito Gaspare Spatuzza, avrebbe concluso intorno al Natale 1993 una sorta di accordo politico con Silvio Berlusconi. Farina, è vero, rispetto al 41 bis ha un approccio problematico. E nella sua intervista fornisce un particolare importante: dice che buona parte dei detenuti non appena ha capito chi era e soprattutto in che partito militava, ha mostrato “una furia” che lo ha “preoccupato”. Ce l’avevano con lui, con il ministro della Giustizia Angelino Alfano e con Berlusconi. Resta però una singolare coincidenza: la visita ispettiva ad Opera dell’ex giornalista, radiato dall’Ordine per il denaro ricevuto dai servizi segreti militari, avviene subito dopo i primi interrogatori di Giuseppe Graviano e di suo fratello Filippo. Lunghi faccia a faccia con i magistrati durante i quali i due boss hanno più volte detto di “rispettare” la scelta di Spatuzza. Ma hanno aggiunto che stare al 41 bis è come stare “a Guantanamo”: “Ho la

luce accesa giorno e notte e da quattro mesi aspetto una visita per un sospetto di tumore” ha detto Giuseppe. Il dubbio, insomma, che il dialogo tra la politica e la mafia sia ancora in corso, c’è. Pure l’Aisi (il servizio segreto interno), nelle sue ultimi relazioni sullo stato della criminalità organizzata in Italia, spiega che nelle carceri i boss mostrano segni d’irrequietezza e d’impazienza. E, secondo quanto risulta a Il Fatto Quotidiano, sottolinea proprio il ruolo dei fratelli Graviano che sarebbero alla ricerca di una soluzione per il 41 bis. Detto in altre parole: l’impressione è di trovarsi di fronte a una sorta di grande ricatto. O fate qualcosa, o rispettate i patti - comunica la mafia - o noi cominciamo a far sapere come sono andate realmente le cose negli anni delle stragi. I Graviano, del resto, hanno già tentato operazioni del genere. Nel 2002 erano stati proprio loro a dare il via a una singolare corrispondenza tra boss detenuti (spesso condannati proprio per le bombe ai monumenti) ricca di ambigui riferimenti alla “cappella Sistina”, al “museo egizio di Torino”, al Milan (la squadra del presidente del

Boss e ex soci di Cosa nostra: il caso Schifani questi abita tuttora la figlia di Bontate.

n SPATUZZA E GRAVIANO

n LA CASA DELLA MAFIA Il presidente del Senato ha difeso la legittimità del palazzo abusivo di piazza Leoni a Palermo. Attorno allo stabile – poi confiscato al costruttore mafioso Lo Sicco – hanno gravitato padrini come Madonia, Guastella, Lo Piccolo e Bagarella. Negli appartamenti ha trovato rifugio durante la sua latitanza anche Brusca e in uno di

Il pentito Spatuzza nel corso dei suoi interrogatori con i magistrati ha dichiarato di aver visto Schifani incontrarsi con Filippo Graviano, uno dei boss di Brancaccio che organizzarono ed eseguirono le stragi del '92 e '93. “Ho cercato nella mia memoria di collocare i rapporti di Filippo Graviano su Milano – ha messo agli atti Spatuzza – . (... ) In proposito preciso che Filippo talvolta utilizzava l’azienda Valtras dove lavoravo, come luogo d’incontri. Accanto a questa c’era il capannone di cucine componibili di Pippo Cosenza dove pure si svolgevano incontri, dove ricordo di avere visto diverse volte la persona che poi mi è stata indicata essere l’avvocato del Cosenza. Preciso che in queste circostanze questa persona contattava sia il Cosenza che Filippo Graviano in incontri congiunti. La cosa mi fu confermata da Filippo a

CONVEGNO

“I BENI DELLE MAFIE ALL’ASTA: CANCELLA TI ANNI DI LOTTE”

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indaci, imprenditori che si sono fatti le ossa rimettendo in circolo terreni e fabbriche strappati dalle mani delle mafie, si sono riuniti a Roma per dire no all’ultima legge vergogna. “Quella norma che vuole mettere all’asta le ricchezze dei boss per fare cassa, cancella anni di battaglie, di sacrifici”. Pierpaolo Romani, di “Avviso pubblico” che con “Sos Impresa” e Libera, costituisce il fronte perché il Parlamento cancelli la norma, snocciola cifre allarmanti. Al 30 giugno di quest'anno sono 8907 i beni confiscati; 5404 quelli destinati. “Se passa la legge – dice Luigi Cuomo, di Sos impresa – i restanti sono destinati a tornare nelle mani delle mafie”. 1185, invece, le aziende confiscate, ma di queste ben 581 hanno chiuso definitivamente. Intoppi burocratici, incapacità, assenza di una agenzia ad hoc per la gestione dei beni, le cause. “Che spesso portano i lavoratori a una conclusione amara: la mafia dà lavoro, lo Stato no”, afferma Romani. Per Cuomo, “in questa lotta, da un lato c’è la società civile, dall'altra il governo con le sue leggi sul processo breve, l'attacco alla magistratura e il taglio ai fondi per le forze dell'ordine”. Che fare? Raccogliere firme, dicono. Il 5 dicembre i sindaci scenderanno nelle piazze con la fascia tricolore e saranno ai banchetti.

consiglio Silvio Berlusconi) e alla Formula Uno, sempre indicata da chi scrive con la sigla “F.I”: le iniziali di Forza Italia. Allora accanto alle lettere, tutte ovviamente lette dalla censura e finite in corposi rapporti dello Sco (Servizio Centrale operativo) della Polizia, c’erano stati

L’arresto di Gaspare Spatuzza, in basso, Francesco Maniglia (FOTO ANSA) A sinistra: il palazzo di piazza Leoni a Palermo

Tolmezzo allorquando commentando questi incontri Graviano (all’epoca non latitante, ndr) mi diceva che l’avvocato del Cosenza, che anche io avevo visto a colloquio con lui, era in effetti l’attuale presidente del Senato”. Schifani ha replicato: fango, non ho mai conosciuto né difeso il boss.

n AFFARI PERICOLOSI Nella sua carriera Schifani non è stato solo avvocato. Ad esempio è stato titolare di quote in diverse società. Caso interessante è quello della Sicula Broker, una compagnia d’assicurazioni nata il 19 febbraio 1979 su impulso del padre dell’ex ministro Enrico la Loggia. Tra i soci siciliani ben quattro finiranno in seguito dietro le sbarre: Benni D’Agostino, Francesco Maniglia, Antonino Mandalà e Luciano De Lorenzo.

pubblici proclami di boss del calibro di Luchino Bagarella che il 12 luglio del 2002, in aula, aveva accusato la politica di aver “strumentalizzato” i detenuti. Così il Sisde, all’epoca diretto dal generale Mario Mori, aveva lanciato l’allarme. Aveva annunciato con un’informativa segreta a Palazzo Chigi, di aver appreso da “Attendibili fonti fiduciarie l’esistenza di un progetto di aggressione di Cosa Nostra che avrà inizio con azioni in toto non percettibili dall’opinione pubblica fino a raggiungere toni manifesti, con la commissione, in un secondo momento, di azioni eclatanti”. Nel mirino, secondo gli 007, c’erano Dell’Utri, l’avvocato Cesare Previti e una molti avvocati meridionali (per lo più parlamentari). E a tutti loro fu data una scorta. Oggi la situazione è diversa. A far paura non sono più le armi della mafia, ma le parole. Certo in Cosa Nostra c’è chi può pensare (al contrario di quanto sostiene il ministro dell’Interno, Roberto Maroni) che la riforma della legge sul sequestro dei beni appena introdotta in finanziaria, sia una buona notizia. O che la due giorni di sciopero degli avvocati, che protestano anche contro il 41 bis, sia il sintomo di qualcosa che si sta muovendo. Ma forse è tardi. Troppo tardi. Perchè, come diceva Leonardo Sciascia, “Tutti i nodi vengono al pettine. Se c’è il pettine”.


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Il nuovo approccio di Mario Draghi al Meridione

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COSE LORO

l governatore della Banca d’Italia Mario Draghi sulla questione meridionale ha un’idea diversa da quella che ha dominato l’intervento pubblico del passato. Non servono “politiche regionali”, cioè piani di intervento straordinari, sussidi alle imprese, agevolazioni fiscali e altre misure che finiscono per

introdurre distorsioni strutturali nel tessuto economico. Quello di cui c’è bisogno è di regole generali che poi vengono applicate tenendo conto del fatto che provvedimenti uguali possono produrre esiti diversi a seconda del contesto in cui agiscono. E quindi servono dei correttivi, per assicurarsi che il risultato sia quello desiderato. Al centro

dell’azione dei policy maker, secondo Draghi, non ci devono essere i risultati di breve periodo, ma la costruzione di “capitale sociale” che è la vera risorsa su cui costruire uno sviluppo duraturo. Un approccio, quindi, che guarda più alla qualità delle istituzioni (e del rapporto che con esse hanno i cittadini) che alle imprese e alle banche.

IL FATTO POLITICO

QUANTO COSTA LA MAFIA AL MEZZOGIORNO

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Un bilancio molti problemi di Stefano

n teoria il ministro ITremonti dell’Economia Giulio e quello della

Il credito alle imprese è più caro del 30 per cento uando due giorni fa il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha detto che “sulle regioni del Sud grava il peso della criminalità organizzata” si fondava sui numeri. Consultando gli ultimi lavori dell’ufficio studi della Banca si scopre quanto pesano le mafie sull’economia meridionale. In un recente paper di Emilia Bonaccorsi di Patti, dell’Area ricerca economica, si scopre che “le imprese ubicate nelle zone con più criminalità pagano un tasso di interesse più elevato di circa 30 punti base rispetto a quelle nelle zone a bassa criminalità”. Analizzando 515mila relazioni creditizie (cioè rapporti tra banche e imprese) si scopre che ottenere finanziamenti nelle regioni dove le mafie sono più forti costa molto di più. E questo, sostiene la Bonaccorsi Patti, colpisce soprattutto le piccole imprese che, a differenza di quelle di dimensioni maggiori, devono far ricorso al mercato di credito locale e hanno più difficoltà ad accedere ai grandi gruppi creditizi. C’è un altro effetto collaterale: cambia il tipo di credito che viene concesso. Dove c’è criminalità organizzata, le

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banche si fanno più caute e chiedono garanzie reali, cioè immobili, case o capannoni industriali, perché non si fidano, visto che c’è una frequenza di frodi molto superiore rispetto alle altre regioni. E i prestiti che le aziende riescono ad ottenere sono soprattutto su conto corrente, non anticipi fatture. Il credito quindi funziona come strumento per affrontare le difficoltà, non come normale parte della gestione finanziaria. Se si guardano poi i dati della Banca mondiale citati da Bankitalia, si legge che le imprese che operano nei paesi a più alta concentrazione di attività criminale hanno spese per la sicurezza superiori del 23 per cento dei costi totali e le perdite dovute direttamente all’attività criminale sono il 4 per cento. Misurare con precisione l’impatto delle mafie sull’attività economica, però, è quasi impossibile. Perché l’effetto principale è la riduzione degli incentivi: se ci sono meno motivi per investire in un’area – ovvero più costi potenziali – le imprese che avvieranno un’attività economica saranno poche, e quindi valutare le condizioni di quelle attive non basta. Per questo,

già nel 1993, l’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio invitava le banche a considerare le spese per adeguarsi alle norme anti-riciclaggio un “investimento” con “conseguenze positive per la collettività e per l’economia in generale”. Proprio perché avrebbero ridotto l’incertezza per chi opera in regioni come il Mezzogiorno dove è massima quella che gli economisti chiamano “assimmetria informativa”, cioè la differenza tra le informazioni che possiede l’impresa (che magari sa di dover pagare il pizzo o di usare denaro sporco) e quelle in mano alla banca che deve decidere quanto denaro prestare. L’approccio della Banca d’Italia di Draghi è conforme alle teorie più condivise del dibattito economico e non si concentra solo sui costi diretti della criminalità. Ma parte da un’ipotesi: le mafie sono più forti là dove lo Stato è più debole, in un circolo che si autoalimenta, perché i soggetti (individui e imprese) si rivolgono alle mafie per ottenere quei servizi – protezione, ammortizzatori sociali – che lo Stato non è in grado di offrire. E così lo Stato diventa ancora

Il governatore di Bankitalia Draghi (FOTO GUARDARCHIVIO)

più debole e la criminalità sempre più forte. Con questa premessa, Bankitalia ha calcolato gli effetti di questo deterioramento: ottenere il rispetto dei contratti con procedure giudiziarie, per esempio, nel Sud costa il 33,6 per cento del valore della causa, contro il 22,2 del Nord Ovest e il 31,1 del Nord Est. La percentuale nelle isole sale addirittura al 49,3 per cento. Come ha spiegato due giorni fa Mario Draghi, la conseguenza strutturale più grave della presenza della criminalità organizzata è il basso livello di “capitale sociale”, come lo ha definito il politologo americano Robert Putnam. Come scrivono Luigi Cannari,

Marco Magnani e Guido Pellegrini in un recente paper di Bankitalia, dopo lo shock della stagione delle stragi all’inizio degli anni Novanta “nonostante il complessivo ristagno, l’economia meridionale dà segni di reazione con l’emergere di imprese competitive a livello internazionale”. E questo è possibile perché nella “stagione dei sindaci”si riduce “il gradi di dipendenza anche psicologico dallo Stato”. E sembradiventare possibile quello èche è considerato da sempre l’ obiettivo ultimo delle politiche regionalei: favorire uno sviluppo del Mezzogiorno endogeno e non sostenuto dall’alto. ste .fel.

Bankitalia: il costo maggiore della criminalità, difficile da misurare, è la distruzione di capitale sociale

“Il senatore D’Alì? Davanti a certi documenti resto sgomento” MONS. MOGAVERO, VESCOVO DI MAZZARA DEL VALLO: I NOSTRI VALORI NON COINCIDONO CON QUELLI DEI BOSS di Sandra Amurri

na Chiesa amica degli uomini. Io “U ci credo. Sono fatto per stare tra le persone, ho bisogno della loro umanità.” E ci crede così tanto in una Chiesa che si sporca le mani, che serve e non si fa servire, che si oppone al potere e non si fa conquistare dal potere, monsignor Domenico Mogavero , siciliano di Castelbuono, già sottosegretario della Cei, presidente del consiglio Cei per gli Affari giuridici, e dal 2007 vescovo di Mazzara del Vallo, da definire il silenzio “ambiguo” e “complice”. “Il Vangelo dice: “Il vostro parlare è sì, sì, no, no” E’ lui il vescovo che suggerì a Berlusconi le dimissioni “per il bene del paese” specificando se “vuole riavvicinarsi alla Chiesa deve semplicemente cambiare stile di vita, fare il politico e non il manager o l’uomo di spettacolo” aggiungendo: “Non sta a me giudicare la sua politica che è compito del Parlamento e della storia, ma se cerca la vicinanza con il mondo ecclesiastico deve assumere un rigoroso

stile di vita” Il vescovo a fianco di padre Francesco Fiorino della Fondazione San Vito onlus, assegnataria di beni confiscati. La sua è “una Chiesa che denuncia i comportamenti che non sono secondo la legge e il Vangelo”, un Vangelo che parla chiaro: “Dobbiamo improntare la nostra vita alla realizzazione di quei valori che comandano le nostre decisioni: legalità, giustizia, solidarietà che, inevitabilmente, non possono convivere con i “valori” mafiosi e neppure con certe forme di religiosità che non hanno nulla di sostanziale ma fungono da copertura al disagio dell’apparire altro da ciò che si è, da alibi per le coscienze. E’ questo un momento complesso, orientarsi si fa ogni giorno più arduo. I

“Condividere la strada con loro vuol dire essere un loro compagno di viaggio”

Feltri

messaggi sono ambigui. Temi come la bioetica, la sanità, la giustizia, l’organizzazione dello Stato, la disoccupazione in mancanza di una guida politica rendono incerto l’uomo della strada”. A proposito delle relazioni “pericolose” del senatore del Pdl D’Alì dice: “Lo conosco. Non ho letto l’articolo, lo farò attentamente, ma di fronte a documenti, a elementi probanti resto sgomento. Gli esprimerò il mio disappunto” E aggiunge: “Essere contro la mafia non significa che gli altri debbono essere contro la mafia. Nessuno può dire di non sapere chi sono certe persone. Un politico è un uomo pubblico che non può limitarsi ad affermazioni di solo valore teorico. Le sue parole chiedono l’avallo della concretezza nella coerenza. Non ci si sporca certamente nell’attraversare la strada con un mafioso ma condividere la strada con i mafiosi vuol dire essere compagni di viaggio per mantenersi a galla e questo non è ammissibile”. Se ricevesse un regalo, o un biglietto d’auguri da un

mafioso? “Lo rimanderei indietro e lo direi. L’ambiguità è una posizione di comodo per restare rintanato senza correre rischi. Ci vuole massimo rigore, la mafia sfrutta chi sta al potere, indirizza per avere accesso al potere.” E al vescovo di Trapani consiglia di “parlare con il senatore D’Alì affinché chiarisca augurandosi che lo faccia “soprattutto perché il senatore D’Alì si sente un uomo di Chiesa visto che pur di ricevere per la seconda volta il sacramento del matrimonio, come racconta la sua ex moglie, ha chiesto l’annullamento”. Il senatore frequenta i nostri ambienti, le nostre chiese. Ma bisogna vedere cosa si intende per essere un uomo di chiesa. La verità è una, non è bifronte. E’la pratica dei valori che ci qualifica non la loro pronuncia” E alla domanda cosa pensa della verità che sta emergendo sulla strage di via D’Amelio, dice: “E’ un buon segno. Se lo Stato conserva la capacità di scoprirla vuol dire che ha una radice sana, una forza sua che neppure il tempo può corrodere anche se qualcuno ha cercato di mettere pietre tombali come accadde per nostro Signore. La verità va pretesa, non bisogna mai smettere di cercarla”.

Funzione pubblica Renato Brunetta hanno fatto pace. Sempre in teoria il comitato di politica economica del Pdl ha deciso che la Finanziaria resterà di fatto blindata, come vuole Tremonti. In pratica, però, sembra che le richieste del senatore Mario Baldassarri (tagli fiscali e misure anticrisi) stiano per essere ripresentate anche alla Camera. E la legge di Bilancio sta già diventando una fonte di problemi per il governo, l’occasione per regolare (o provare a farlo) conti tra le diverse parti della maggioranza. o dimostrano almeno Ldi mettere due cose: il tentativo sotto controllo governativo la programmazione degli investimenti sulle energie rinnovabili e la polemica scatenata ieri dai leghisti. Il deputato della Lega Maurizio Fugatti, a cui vengono spesso affidate inziative di questo tipo, ha proposto di limitare il ricorso alla cassa integrazione per gli immigrati (che, se regolari, hanno gli stessi diritti degli altri o, se irregolari, non possono accedere alla cig). Una proposta che ha un solo scopo: dimostrare che la Lega, finora principale e silenziosa sostenitrice della politica economica tremontiana, non è assente dal dibattito. Gli emendamenti alla legge di Bilancio, comunque, sono 2.400 e nei prossimi giorni ci saranno sicuramente altre occasioni di confronto (e di scontro) dentro la maggioranza. Silvio Acenanche Berlusconi, in una a palazzo Madama, ieri sera avrebbe difeso la politica “del rigore”, cioè quella di Tremonti. Ma a preoccupare di più il presidente del Consiglio, almeno stando alle sue battute alla cena, è sempre il versante giudiziario. Le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di ieri (sullo “sforzo di autocontrollo” di magistratura e politica) sono state accolte con favore dalla maggioranza, che – come ha detto Maurizio Gasparri – le ha interpretate come una “bacchettata alle toghe”.


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Sabato 28 novembre 2009

Tutto iniziò con una lettera dell’avvocato inglese al suo commercialista

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INGIUSTIZIE

avid Mackenzie Mills è un avvocato inglese nato a Oxted nel 1944. Consulente della Fininvest per la finanza estera inglese, è attualmente in attesa del giudizio definitivo della Cassazione, dopo la condanna per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza in favore di Berlusconi in primo e secondo grado. Il processo nasce da una lettera di Mills al suo

commercialista, Bob Drennan, nel quale l’avvocato dichiarava che Berlusconi aveva versato in nero sul suo conto in Svizzera 600.000 dollari. Il versamento sarebbe stato il ‘dono’ delle testimonianze reticenti rese al tribunale di Milano dove, nel processo per corruzione alla Guardia di Finanza e nel processo dei fondi neri di All Iberian, Mills non disse tutto quello che sapeva per progettere “Mr B.” come scrive Mills. A

Londra, il commercialista Drennan, denuncia il suo cliente al fisco inglese per corruzione ed evasione fiscale. Questa confessione innesca il caso. Questo processo è uno dei rari casi in cui i magistrati hanno disposizione una prova schiacciante. Ma alla condanna del corrotto non è seguita quella del corruttore. Ovviamente, grazie alle leggi ad personam.

CASO MILLS, GHEDINI ”DISDICE” L’UDIENZA “Il 4 dicembre il premier non verrà, c’è il Cdm” di Antonella Mascali

giudici Nicoletta Gandus, Pietro Caccialanza e Loretta Dorigo possono voltare la pagina Berlusconi che ha procurato loro accuse infamanti. Quella di ieri è stata per loro l’ultima udienza del caso Mills, per cui il collegio si è dichiarato incompatibile, dato che ha giudicato (e condannato) l’avvocato ex co-imputato. La dichiarazione scontata, perché così stabilisce la legge, l’ha fatta la presidente Gandus dopo aver letto il fulmineo appello dell’unico imputato: “Berlusconi Silvio, contumace”. La giudice ha poi letto una lunga ordinanza della presidente del Tribunale, Livia Pomodoro, che ha stabilito un fatto importante: i nuovi giudici potranno ritenere validi gli atti del processo fino a quando la posizione di Berlusconi non è stata stralciata dal collegio Gandus, nell’ottobre 2008, a causa del lodo Alfano. “Il fatto che gli atti siano stati ritenuti efficaci non vuol dire che siano utilizzabili - ha subito replicato l’avvocato Niccolò Ghedini - ci vuole il consenso di tutte le parti e noi valuteremo volta per volta”. A buon intenditor poche parole. La difesa del premier punta a ripetere quanti più atti possibile in modo da avvicinarsi in fretta alla prescrizione (nuove leggi ad personam a parte), prevista per marzo 2011. La prossima udienza è stata fissata per il 4 dicembre, lo stesso giorno della deposizione del pentito Spatuzza al processo Dell’Utri. Gli avvocati del premier hanno già fatto sapere che c’è legittimo impedimento perché è un venerdì, giorno del consiglio dei ministri. I nuovi giudici dovranno fare degli slalom da campioni olimpici di sci per fissare il calendario, l’attività diplomatica all’estero di Berlusconi non è mai stata così densa, poi ci sono gli impegni interni e le udienze già fissate dal presidente Edoardo D’Avossa del processo “Mediaset-diritti tv”: tutti i lunedì, a partire dal 18 gennaio e tutti i sabati della settimana in cui di lunedì sarà riconosciuto un legittimo impedimento. Quindi tolti il lunedì, il venerdì, il sabato, (la domenica) e i giorni in cui il capo del governo è impegnato in faccende politiche, quando si potrà celebrare il processo per corruzione in atti giudiziari? Il rompicapo toccherà sbrogliarlo ai nuovi giudici della decima sezione del Tribunale: Francesca Vitale, presidente, Caterina Interlandi e Antonella Lai. Tutte donne. E forse per proteggere le giudici ancora qualche giorno dalla curiosità mediatica, Nicoletta Gandus, che è presidente della sezione, ieri alla

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sua ultima udienza non ha rivelato i nomi del nuovo collegio. Ma la notizia è filtrata lo stesso. La presidente del nuovo collegio, Vitale, è stata giudice a latere del processo per l’inceneritore di Cerromaggiore (presidente Gandus) che è finito con l’assoluzione del governatore lombardo, Roberto Formigoni (Paolo Berlusconi invece patteggiò). La giudice a latere Caterina Interlandi è stata il gup che ha rinviato a giudizio nel 2007, l’allora direttore del Sismi, Niccolò Pollari, il suo vice Marco Mancini e altri funzionari del Sismi e della Cia, per il sequestro dell’ex imam Abu Omar. Antonella Lai il mese scorso ha condannato 13 immigrati extracomunitari per la rivolta nel centro di via Corelli. Chissà se anche loro dovranno subire gli insulti che Berlusconi ha destinato al precedente collegio anche con una missiva letta in Senato dal presidente Schifani nel giugno 2008. Berlusconi scrisse che il pm del processo Mills “agisce a fini politici” e il collegio “è supinamente sdraiato sulle tesi dell’accusa”. L’ultimo attacco nei confronti dei giudici è partito ieri dall’avvocato-parlamentare-ombra (non vuole farsi riprendere dalle tv in tribunale), Piero Longo, difensore del premier con il suo allievo Ghedini: “Il tribunale di Mila-

no stralciò la posizione di Silvio Berlusconi da quella di David Mills, quando intervenne il lodo Alfano, per non assolverlo”. Secondo l’avvocato “le dichiarazioni confessorie rese da Mills in istruttoria (non ho detto tutto quello che sapevo ai processi per evitare un mare di guai a mister B. e come ricompensa ho avuto 600 mila dollari, ndr), non potevano essere utilizzate perché il legale inglese non è mai venuto in aula per confermarle”. Mills - aggiunge Longo - “è stato condannato perché avrebbe confessato, ma la confessione da sola non basta, ci vogliono i riscontri che, secondo noi, non sono mai arrivati. Quella che arrivò, invece, fu una ritrattazione di cui i giudici non hanno tenuto conto”. Il difensore non ha detto che la sentenza di condanna per Mills, emessa dal collegio

Ennesimo ostacolo ad orologeria Nel nuovo collegio giudicante tutte donne

Gandus e confermata in appello, non si basa solo sulla confessione ai pm di Milano, poi ritrattata. Si fonda molto sulle perizie dei conti corrente, e sulle altre dichiarazioni di Mills, sempre sul “regalo” di Berlusconi, rese per altre 11 volte anche ai funzionari dell’ufficio anti frode inglese e ai suoi fiscalisti.

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al Palazzo di Giustizia di Milano, il 5 maggio 2003 in occasione delle sue dichiarazioni nel processo Sme (FOTO ANSA)

di Carlo Tecce

LEGITTIMI IMPEDIMENTI

Via del Plebiscito è la “terza Camera”

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uomo che non deve pagare mai. L’intramontabile pubblicità di Silvio Berlusconi. Una soffiata di governo annuncia un’adunata di donne nei pressi di Palazzo Grazioli. Nel pomeriggio, ora imprecisata, sono incazzate. Dettagli per Berlusconi: ha fretta, e corre, corre. Sbrigativo: il Consiglio dei ministri è un sorso d’acqua bevuto in mezz’ora. Risolutivo: il prossimo sarà anticipato da un giro turistico nelle stanze di Palazzo Chigi per neutralizzare l’udienza del processo Mills. Commento dell’anfitrione Ghedini: “Il 4 in tribunale? Spiacenti, c’è il Cdm”. Lodevole: i capitani reggenti della Repubblica di San Marino, ambasciatori che portano pene

sull’evasione fiscale, s’intrattengono il tempo necessario per illustrare un dissesto finanziario. Ragionamento a voce alta stile retroscenisti: “..zzi, loro”. A L’Aquila ci andrà Gianni Letta, il nipote Enrico o il suocero della nuora. Berlusconi annulla la visita a Camarda, non farà sopralluoghi e non consegnerà le abitazioni. Perché? “Sopraggiunti impegni istituzionali”. E dove? Negli uffici delle istituzioni. No, a casa sua in via del Plebiscito. Già, le donne: un gruppo di giovani e precarie. Giampi Tarantini faceva di più, però. Berlusconi è puntuale all’appuntamento. Non sono donne a sua disposizione. E protestano: “Questa è una casa chiusa”. Brutta sorpresa. Bella verità.

Quando Maurizio Costanzo si salvò per tre secondi IL PRESENTATORE TORNA A PARLARE DELL’ATTENTATO MAFIOSO DEL 1993 E DELL’AUTOBOMBA DI VIA FAURO di Alessandro Ferrucci

Un attimo. Anzi, tre UClick.n’indecisione. secondi. Poi l’ok, forse d’istinto. Boooom. 14 maggio 1993, ore 21.40, via Fauro, Parioli, zona chic della Capitale, chi ci abita digerisce la cena con un’autobomba. Obiettivo: Maurizio Costanzo. Obiettivo mancato. Già, gli “artificieri” di Cosa Nostra hanno avuto un’indecisione, non hanno riconosciuto la macchina e l’autista del

conduttore e il dito non ha spinto il pulsante al momento giusto: tre secondi di troppo, gli stessi fondamentali per salvare la pelle dei condannati. Un palazzo sventrato, qualche ferito, vetri in frantumi, macchine ribaltate, un cratere di un metro. La gente scende in strada. È il periodo stragista: un anno prima Capaci con Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, poi Paolo Borsellino, e chi lo accompagnava, a via D’Amelio. Pochi giorni dopo, il 26 maggio 1993, Firenze con via dei Georgofili. Insomma, nessuno pensa a una fuga di gas, a un incidente, tutti sanno, capiscono che è un’altra bomba: “Sembrava di essere finiti in una strada di Beirut”, racconta un cronista, il primo ad arrivare sul luogo. Tutti, però, non comprendono il perché di un atto in via Ruggero Fauro. È l’Ansa, poco dopo le 23, a svelare il mistero su quei novanta chili di esplosivo depositati in

La sua “condanna” dopo la puntata del 1991 in diretta con Santoro contro Cosa Nostra e per Libero Grassi

un’utilitaria. “Fu a causa della puntata del 20 settembre 1991 dopo l’omicidio di Libero Grassi” ricorda Costanzo. La sua condanna. Poi, sul Riformista, dichiara: “Sulla bomba, D’Alema, Violante e Castelli mi dissero che c’entrava Berlusconi. Ma non c’ho creduto”. Salvo poi correggere il tiro, viste le risposte piccate dei tirati in ballo: “Prendo atto che quegli interlocutori non erano quelli che ho citato. Saranno stati altri, ma non mi va ora di cercarli". Bene. Resta il punto di partenza. Una sera, due anni prima, per la prima volta Rai e Mediaset si unirono per dare vita a una lunga maratona contro la mafia: da una parte Michele Santoro collegato dal Teatro Biondo di Palermo con la sua “Samarcanda”, dall’altra Canale5, il Parioli di Roma, e il celeberrimo talk show della seconda serata. “Era una bolgia. I provocatori interrompevano con il tempismo di una claque: ‘Volete male alla Sicilia! Siete voi i mafiosi!’ – ricorda lo stesso presentatore Rai –. Non solo: tra un intervallo e un altro mi arrivavano i pizzini con sopra teschi e minacce varie. Oppure frasi del tipo: ‘Questa sera morirai’. Poi, però, c’era il resto del pubblico, la maggior parte, pronta a ribellarsi a tutto questo”. C’era la voglia di reagire di una città. C’era il desiderio di non lasciare sola la memoria di Libero Grassi, ucciso poche settimane prima, il 29 agosto

1991, alle sette e trenta del mattino davanti alla porta di casa. Aveva osato dire no al racket. L’aveva fatto pubblicamente. Gli hanno dedicato tre proiettili. Quella sera, durante la puntata, Costanzo brucia una maglietta con una scritta contro la mafia, Giovanni Falcone parla di cos’è Cosa Nostra, un giovane Claudio Fava ricorda suo padre Giuseppe, ucciso a Catania nel 1984. E ancora Rita Dalla Chiesa, Alfredo Galasso e altri pronti a dare una testimonianza. Di quella sera, YouTube, ha varie tracce, numerose possibilità di scelta. In teoria. In pratica tutte riportano a quattro minuti centrali della “maratona”, quando un giovane esponente della Democrazia cristiana locale, prende la parola, alza il microfono, pretende attenzione e attacca: “Questa è una volgare aggressione alla migliore classe dirigente che c’è in Sicilia. Siete servi di qualcuno”. Molti fischi, qualche applauso, stupore sul palco. In pochi lo conoscono. Era un rubicondo Totò Cuffaro. Da quella sera parte la sua folgorante carriera. Al contrario, dopo l’attentato del 1993, per Costanzo e la sua futura moglie, Maria De Filippi, arrivano alcuni cambiamenti. Anche lei era nella macchina: ha visto l’esplosione dagli specchietti. Per mesi è rimasta sotto choc, sdraiata nel letto. Poi una richiesta: basta con la mafia. Così è stato.


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Un sondaggio dell’Espresso: Bersani gravemente insufficiente

E’

OLTRE LA POLITICA

stato eletto da appena un mese e già viene giudicato insufficiente. Stiamo parlando del nuovo segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Almeno dai lettori dell’Espresso. Mentre Ipsos e Swg, infatti, danno il Pd a guida Bersani in crescita, sul sito dell’Espresso è in corso un sondaggio che va in una direzione totalmente

opposta. “Un mese di Bersani, che voto gli dai?” è la domanda con cui il settimanale chiede ai lettori cosa pensino di Bersani e del suo operato sia come incarichi sia come linea politica. Ebbene, la stragrande maggioranza (quasi 4000 mila voti) lo giudica “gravemente insufficiente”. È “discreto” per circa 700 lettori, “appena

sufficiente” per 600, “ottimo” per più di 500, “appena insufficiente” per altri circa 400, “diciamo sopra il 6” per circa 600 e “eccellente” per oltre 150. A riprendere i risultati ieri anche Libero, che giunge alle conclusioni, titolando: “I militanti del Pd processano Bersani. Sette su dieci lo vogliono già a casa”.

LA SINDONE DEL CAVALIERE

Scarlattina o nuovo lifting? Quando si contempla B, non si sfugge al dubbio: l’incarnato di Arcore è come un thriller di Luca Telese

me, se guardo la faccia di Berlusconi, viene in mente Berlino. Non so se anche a voi Berlino fa questo effetto: ogni volta che ci vai c’è un palazzo che prima non c’era, e ne è scomparso uno che c’era. A me ogni volta che vedo la faccia di Berlusconi, in questi giorni, viene un dubbio: ma ha avuto la scarlattina o si è fatto un lifting? (forse tutt’e due). Mi secca ammetterlo, ma l’enigma avvince: come disse splendidamente Gaber: “Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”. Il mistero del volto di Berlusconi, dopo quello della sindone, si è inchiavardato in noi. Lo so che questa domanda non la dovrei fa-

A

re, ma è più forte di me: sono appassionato dall’idea dell’incarnato di Arcore come un cantiere aperto, un itinerario turistico, un luogo del possibile, un posto dove ogni volta scopri cose nuove: restauri, nuovi impianti, grandiose architetture. Berlusconi è l’unico leader per cui, quando scartabelli in archivio e salta fuori una vecchia foto pensi: “Toh, era ancora pelato”. Un paio di mesi fa su Sky, tuonava contro i magistrati. Quel che diceva non lo ricordo più, ma ho chiaro, invece, che vedendo le occhiaie alla zuava che lo affliggono ultimamente ho pensato: poverino, gli occhi sono strabuzzati fuori dalle orbite, urge una blefaroplastica (prima di Berlusconi non

DIVIETI

I Trans? Meglio non parlarne

N

on si parla di transessuali. Con questa motivazione Carlo Noto, sindaco del Pdl di Anagni, ha negato l’Auditorium al libro di Luxuria, “Le parole non dette”. La presentazione era stata organizzata dai giovani dell’associazione “La guerra di Piero”. Ma il sindaco si è messo di traverso: i trans, secondo lui, sono persone malate e dunque questi argomenti sono inadatti e diseducativi. A denunciare l’accaduto è stato il segretario del Pdci del Lazio, Mario Michelangeli, che, esprimendo solidarietà all’associazione, ha commentato: “Anagni è una meravigliosa cittadina medievale in provincia di Frosinone e oggi ha un sindaco che sembra sia rimasto, appunto, a quell’epoca”.

di Wanda Marra

i solito quando vince la sinistra non “D discute: o se discute lo fa senza slancio, perché occupata a sbrigare le pratiche del governo. Solo quando perde riemergono professionalità accantonate nel tempo da successi momentanei. La sconfitta, dunque, libera istinti primari”. I quali cosa producono? Libri. Mai come in questo caso le parole di Gianni Cuperlo (che per il Pd si occuperà dell’ufficio studi), tratte dal suo ultimo libro Basta Zercar (Fazi Editore), sono metafora da prendere alla lettera. Sì perché mentre l’Italia cambia, si evolve e magari si involve, mentre nel mondo ci sono guerre, carestie e catastrofi naturali, il Partito democratico pensa. E dunque scrive. Ripiega-

Il partito parla poco, ma sforna decine di titoli, in gran parte di autocoscienza

pensavamo che un uomo potesse fare la blefaroplastica. Poi l’ha fatta anche Di Pietro. domani toccherà a noi). Dal giorno dopo, a ogni dichiarazione, mi preoccupo di verificare se c’è stato un intervento di manutenzione. Mi ha così avvinto, il tema, che posso guardarlo anche senza volume, ma non posso staccarmi dallo schermo. Quando penso ai crateri dell’epidermide lunare di B. ogni pregiudizio cade di fronte all’ammirazione per lo sforzo titanico. La Sagrada familia, a Barcellona è un’opera incompiuta e diroccata, ma attira comunque milioni di turisti. Lui pure. Marco Belpoliti ha scritto un mirabile saggetto per Guanda (Il corpo del capo), su questo incessante lavoro di scavo, retrodatandolo agli anni Settanta, quando i primi piani del Cavaliere già occhieggiavano a Hollywood. Quando guardo le vecchie foto - cappello sulle ventitrè e gessato - ho la certezza che l’uomo della Fininvest si ispirasse a La fuga, il film in cui Humprey Bogart si toglie le bende dopo un’operazione cambia-connotati. Ma mi sento come Pasolini: io so, ma non ho le prove. B. è come quei thriller in cui – anche se non sono di ottima fattura – non smetti di leggere perché vuoi capire co-

to, attorcigliato, avvitato su se stesso a ripensare alle ragioni della sonora sconfitta elettorale del 2008 e a riflettere sul perché il “sogno” di un partito nuovo si sia trasformato sostanzialmente in un incubo. Esercizio malinconico, come la rielaborazione del lutto che dà vita a decine di titoli: romanzi, pamphlet, instant book, autobiografie in forma d’intervista, saggi. Tutti pronti ad arrivare in libreria nel momento giusto. Dopo le dimissioni da segretario, messo all’angolo della vita politica e additato dai più come capro espiatorio, a torto o a ragione, Walter Veltroni in Africa non c’è andato, ma ha scritto un corposo romanzo, Noi (Rizzoli editori), un libro sulla “nostra” storia, dal 1943 al 2025. Risultato? Un tour de force di presentazioni e oltre 150 mila copie vendute. Un successo in termini di impegno e di denaro incassato. Walter, d’altra parte, in veste di romanziere non è una novità. Tra gli ultimi nati di autori Pd, oltre alla raccolta di saggi di Cuperlo (il titolo “Basta zercar”, peraltro, è emblematico: in dialetto triestino sta per “basta la pazienza di cercare e tutto prima o dopo si trova”), la raccolta non di saggi, ma di discorsi, di Dario Franceschini, In 10 parole (edizioni Bompiani), uscito all’indomani della sconfitta congressuale. Con un’in-

ANNI ‘70

ANNI ‘90

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PRIMA DELLA SCARLATTINA

me va a finire. Ecco, quando guardo la sua faccia, di questi tempi, sono curioso del finale. Ai tempi del trapianto trovai letterario il duello fra i due maghi della chirurgia tricologica che se lo disputarono. Compulsai avidamente lo scoop di Francesco Alberti, che sul Corriere della Sera riuscì a intervistare Piero Rosati, il chirurgo estetico di Ferrara autore del famoso “asfaltaggio” del Cavaliere:

Gli interventi di restauro sono iniziati negli anni ‘70 oggi B. resiste, grazie a Mity Simonetto e al fard: patrimonio per l’Unesco

DOPO LA SCARLATTINA

“Il presidente non ha fatto una piega – riferì Rosati – ha una tempra di ferro”. E aggiunse: “Durante l’intervento raccontava barzellette sulla calvizie”. Veltroni imbroccò una battuta sublime: “In ogni manifesto ha la chioma più folta: alla prossima campagna sembrerà Jimi Hendrix”. Anni dopo riuscii ad ottenere la versione del professor Buttaffarro, il medico piemontese, che per primo aveva visitato B. Serio, sabaudo, riservato: un maestro. Aveva spiegato al premier che trattandosi di autotrapianto non si potevano fare miracoli. Se si fosse affidato a lui, che prometteva di meno, B. non si sarebbe trovato in testa quei filari che fanno vigneto. E non sarebbe nata la saga della cheratina tritata che si deve spolverare per tappare i vuoti. Ma i suoi tentativi, anche se falliscono hanno contorni epici. Avvincono

perché sono sempre generosi. Ecco perché, da dopo la scarlattina, studio le sue foto con morbosa curiosità. Non quelle che Mity Simonetto, con amorevole cura seleziona per il Giornale: lì Silvio è piacevolmente ibernato in un eterno effetto flou. Ringiovanisce a ogni scatto: unto, sì, ma del Photoshop. Nelle foto di cronaca invece, assediato dalla tirannia del tempo (servirebbe un lodo Dorian Gray), si difende come può, con fondotinta e fard. Una sinistra che non sia schiava dell’orribile germe dell’antiberlusconismo dovrebbe aprire al dialogo: henné per D’Alema, liposuzione per Veltroni, trucco-parrucco (modello luciodalla) per Bersani. Così, da domani, potremmo iniziare ad appassionarci anche a loro. Urge un appello a Bondi: l’incarnato di Arcore diventi al più presto patrimonio dell’Unesco.

COSA FANNO NEL PD? SCRIVONO LIBRI troduzione che inizia nel segno del rimpianto: “Per otto mesi sono stato il segretario nazionale del partito che ho sognato e aspettato tutta la vita”, e via dieci discorsi: ai volontari, ai nuovi italiani, agli educatori, ai talenti, ai ragazzi del sud, ai lavoratori, agli imprenditori, ai nonni, alle donne, ai “liberi” a Marzabotto. E il giorno dopo è già Amarcord. Molto più concreta Rosy Bindi, che da neopresidente del Pd, ha fatto uscire un libro-intervista, Quel che è di Cesare, (a cura di Giovanna Casadio, editore Laterza) tutto dedicato ai rapporti Stato-Chiesa, in cui ripercorre le varie questioni calde di cui si è dibattuto in questi mesi e si dibatterà nel futuro prossimo. Un biglietto da visita molto “professional”, che però potrebbe essere affiancato a breve da un’altra pubblicazione: l’editore Aliberti la sta corteggiando per convincerla a pubblicare un libro che dovrebbe intitolarsi “Sono più bella che intelligente”(per parafrasare Berlusconi). A un altro libro intervista, Pd Anno zero, Goffredo Bettini (a cura di Carmine Fotia, edizione Gaffi) affida non solo la sua autobiografia politica ma pure le ragioni della sua rottura con Veltroni. Avvenuta, per carità, tutta per nobili motivi, che d’altra parte l’ex demiurgo del sindaco di Roma

riepiloga, pur con qualche sfumatura, focalizzandosi su due aspetti: il troppo peso dato ai Popolari dall’ex segretario e il suo ridimensionamento, la scelta di non andare al congresso. Fino all’epilogo “pulp”: “È qui che si dividono le strade fra me e lui, quando, di fronte a un grande progetto reso via via sempre più asfittico, sceglie di andarsene e si affida a una parte del suo gruppo dirigente, che, secondo me, era pienamente corresponsabile delle difficoltà”. Mentre le letture politiche di che cos’è, cosa doveva e cosa dovrebbe essere il Pd, si sprecano (da Costruire una cattedrale di Enrico Letta per Mondadori a Il Partito democratico alle prese col futuro di Vannino Chiti per Donzelli), c’è anche chi ha usato il suo La Svolta. Lettera a un partito mai nato, edizioni Marsilio per tenere tutti sotto scacco per un po’: me ne vado o no, me ne vado forse, me ne vado se. E alla fine, Francesco Rutelli è andato. Verso il grande centro. È rientrato invece nella vita politica del partito Carlo Rognoni, che per il Pd si occuperà di tv, dopo essersi tolto qualche sassolino dalla scarpa con il suo Rai addio (Tropea editore), scritto dopo essere stato sostituito nel Cda di viale Mazzini da Giorgio Van Straten (ultimo atto politico di Veltroni). Nella Mission im-

possible di convincere gli italiani che i bilanci dei partiti possono essere cosa comprensibile e trasparente Mauro Agostini ha scritto per Aliberti Il Tesoriere sulle questioni finanziarie del Pd. Ora, comunque, il tesoriere è un altro. Per alcuni, poi, scrivere libri è stata un’esperienza gioiosa. Debora Serracchiani appena giunta al Parlamento europeo ha mandato in libreria un instant book sull’esperienza che l’ha portata da eroina politica di Youtube a europarlamentare, ll coraggio che manca (edizioni Rizzoli) in cui racconta candidamente che non molto tempo fa non distingueva Berlinguer da Moro. Mentre Ignazio Marino si è presentato al rush finale del congresso con un autorevole tomo Einaudi, Nelle tue mani, in cui racconta la sua esperienza di medico e chirurgo. A ben guardare, spicca proprio Bersani per la sua assenza. Uomo di poche parole, d’altra parte il neosegretario. Una scelta (?) di austerità dimostrata anche dal fatto che ha condotto la battaglia congressuale portandosi dietro un tecnicissimo libretto, L’assedio. Il difficile cammino delle liberalizzazioni a favore del cittadino-consumatore (scritto da Antonio Lirosi e Enrico Cinotti per Aliberti). Fosse stato eletto proprio perché non scrive?


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INGIUSTIZIE

L’INFERNO IN CASA L’avvocata delle donne “Soprusi dimenticati” Oggi a Roma la manifestazione contro la violenza maschile di Elisa Battistini

e storie sembrano già scritte”. L’avvocato di Telefono Rosa, Antonella Faieta, è una penalista che ne ha sentite di tutti i colori. Ma quando si parla di violenza tra le mura domestiche (il 75% del totale), lo “script” segue un canovaccio prestabilito. “La donna incontra quello che sembra l’uomo dei sogni. Scatta un investimento emotivo fortissimo. Spesso si va a convivere o ci si sposa. Poi iniziano i segnali negativi: lui critica le amicizie della compagna, dice che i familiari la condizionano troppo. L’obiettivo è isolare la donna dai suoi legami e controllarla il più possibile. Le prime aggressioni avvengono spesso quando la donna resta incinta: spintoni, colpi al viso. E quando nascono i figli la cosa prosegue, peggiorando”. Sembra incredibile, ma le donne che subiscono

“L

maltrattamenti da parte dei partner di solito hanno il coraggio di reagire soltanto dopo molti anni. A volte anche 10 o 15. Come si fa a tollerare la sudditanza psicologica e la violenza fisica per così tanto tempo? Cosa spinge a “tirare avanti”, nonostante tutto? “Si sottovaluta – dice Faieta – l’enorme senso di vergogna nel dover ammettere che quell’uomo meraviglioso che hai sposato è l’uomo che ti picchia. La vergogna è legata al fallimento. Si sottovaluta inoltre che una donna, quando decide di denunciare il proprio compagno, deve essersi riconosciuta come vittima di un sopruso. Mentre in questi rapporti l’uomo fa leva sul senso di colpa, facendo credere alla donna che se lei si comportasse diversamente le cose andrebbero meglio e lui non sarebbe violento. Nella mia esperienza le donne reagiscono quando il marito mette le mani sui figli, oppure quando la donna

non tollera più di farsi vedere tumefatta davanti a loro”. Un caso che resta impresso nella memoria di Antonella Faieta è infatti quello di una donna che ha deciso di denunciare il marito dicendo: “Non mi fanno male le botte, mi fa male lo sguardo di mio figlio. Questa donna, dopo l’ennesima aggressione, aveva un rivolo di sangue che le scendeva dal naso e ha incrociato lo sguardo del figlio mentre il sangue gocciolava a terra”. Alla fine si è rivolta a Telefono Rosa e ha deciso di denunciare. Ma oltre al fattore psicologico, ci sono altre difficoltà che trattengono le donne dallo sporgere denuncia. “Dal punto di vista personale – continua Faieta – c’è spesso una dipendenza economica dal marito che crea gravi problematiche. Ma dal punto di vista legale, spesso la donna non conosce i propri diritti e non sa che ci sono leggi che la tutelano. Come la 570 del Codice penale, che ob-

MARINO: “SCELTA IDEOLOGICA SULLA RU486” di Paola Zanca

ti effettuati 39 studi clinici, poi c’è stato il controllo dell’Emea e infine quello dell’Aifa. Le l tanto atteso parere del governo sull’intro- pare che ci sia bisogno del parere di senatrici e duzione in Italia delle pillola abortiva è ar- senatori? rivato ieri sera. Dice che l’aborto farmacolo- Parliamo di donne. Cosa cambierebbe gico deve avvenire “in regime di ricovero or- con l’aborto farmacologico? dinario” sotto “specifica sorveglianza” e che C’è uno studio secondo il quale l’aborto far“la donna deve essere trattenuta fino all'espul- macologico consente una maggiore partecisione dell'embrione”. Ora l’Aifa dovrà nuova- pazione del partner: con l’aborto chirurgico mente valutare, così auspica il ministro Sac- spesso una donna va in ospedale da sola, la coni, “la delibera adottata”. E i settecento gior- RU486 permette all’uomo di offrire un sosteni che ci sono voluti per arrivare a una deci- gno di maggiore intensità. sione sono destinati a crescere ancora. Con l’obbligo di ricovero ordinario, camSenatore Marino, che ne pensa? bierebbe tutto. Il fatto che sia necessaria una vigilanza clinica La legge 194 prevede che l’interruzione di gradopo l’assunzione del farmaco è scritto da or- vidanza avvenga in strutture ospedaliere pubmai due decenni nella letteratura scientifica. bliche e così sarà anche con la RU486, che non La sorveglianza è fondamentale e può essere si comprerà in farmacia ma verrà somministrarealizzata con la permanenza in ospedale o ta in ospedale. Non possiamo non introdurre con altri meccanismi, come un day hospital o un farmaco nel nostro sistema sanitario solo un numero verde attivo 24 ore al giorno. Il perché c’è la possibilità che la donna esca punto è che si tratta di criteri che non può dall’ospedale: sarebbe come se io non esestabilire la politica: li definisce un medico, sul- guissi un trapianto perché ho paura che il pala base delle sue conoscenze scientifiche e del ziente se ne vada contro la mia volontà. rapporto che ha con il paziente. Nessuna questione di deontologia, dunNulla di forzato e obbligatorio, quindi. que. Ovviamente no. Mi pare che questa maggio- Quando una donna arriva dal medico, la deranza stia imboccando la strada dei trattamen- cisione di abortire è già stata presa. Mettiamo ti sanitari obbligatori sempre e comunque, e il caso di una donna che in passato ha subito che scriva leggi che non si occupano delle cu- complicazioni in un’operazione sotto anestere ma dei comportamenti sia ed è finita in rianimazione. É un Ignazio Marino (F A ) dovere del medico o no dirle che può delle persone. Lo abbiamo già visto con l’idratazione e interrompere la gravidanza senza nutrizione. Siamo di fronte a anestesia? volontà di carattere ideoloTre mesi a discutere della pillola. gico e non scientifico: la Che ci siamo persi nel frattemRU486 è stata utilizzata da po? un milione e mezzo di donChieda agli abitanti di Mazzarino, done. La Food&Drug Adminive un ragazzo è morto dissanguato stration ha analizzato dopo un incidente, se a loro interessa 500mila casi clinici in diverdi più questo dibattito sulla RU486 o si paesi del mondo. Sono stal’ammodernamento della rete ospedaliera. Ci sarebbe da discutere di tante cose: io avevo chiesto sei milioni di euro per un progetto che dotasse di defibrillatori i luoghi pubblici come le stazioni, i campi sportivi, gli aeroporti. Il governo ha deciso di stanziarne solo quattro: per risparmiare, non si salvano 20-30 mila vite, perché quando si verifica un arresto cardiaco l’uso del defibrillatore dimezza il tasso di mortalità. Per quanto tempo ne avete discusso? Per illustrare il progetto in Aula mi hanno concesso sessanta secondi.

I

OTO

Il Governo ha deciso: non la vuole in farmacia, per la pillola abortiva servirà il ricovero

NSA

bliga il compagno ad assistere economicamente la donna o la 572 che tutela contro i maltrattamenti in famiglia e comprende anche le coppie di fatto. Se mi denunci non ti do una lira è una frase ricorrente del marito violento. In realtà è una menzogna: l’uomo è tenuto a farlo”. Pensare a una donna violentata o picchiata che va in una stazione dei carabinieri o della polizia, porta a chiedersi quanto le forze dell’ordine siano preparate ad accogliere questo tipo di vittime. “Si sta creando una sensibilità sul tema e ci sono anche corsi di formazione per gli operatori sia sanitari sia della sicurezza. In generale, però, è vero che in un commissariato non si è ancora abituati ad accogliere una donna che sporge denuncia per violenza domestica. E che le donne preferiscono essere ricevute da altre donne, almeno a un primo contatto, perché la credibilità degli uomini è decisamente compromessa. Questo, però, fa sì che in un secondo momento sia importantissima la presenza maschile per ripristinare un’immagine positiva dell’uomo”. Ma succede ancora che una donna, in una stazione di polizia, si senta dire: Torni a casa, vedrà che passa. Oppure: Ma come? Viene a denunciare il padre dei suoi figli? “Bisogna fare formazione, per preparare il personale”. Anche perché le donne devono essere incoraggiate a reagire, visto che la loro predisposizione è spesso, quella di continuare a “mandar giù”. Ogni donna spera che sia l’ultima volta, che l’uomo non lo faccia più. Resta il fatto che, sopportare per tanti anni la violenza psicologica in un rapporto, conduce a una vita infernale e spesso alla depressione. “Ci si alza la mattina pensando che la giornata sarà un nuovo incubo. Sperando che quando

Protesta a Palazzo Grazioli

CONTRO LA CARFAGNA

Oggi a Roma (ore 14, da piazza della Repubblica) c’è il corteo nazionale contro la violenza maschile sulle donne. Ieri invece, in una sorta di anteprima arrabbiata, decine di studentesse e precarie hanno manifestato davanti a Palazzo Grazioli contro il ddl Carfagna. “Non c’è casa più chiusa di questa. No alla legge Carfagna” recitava lo striscione esposto all’entrata della residenza-ufficio del premier. Quel Palazzo che ha ospitato le serate di Berlusconi in compagnia delle escort. La sede non è casuale per le ragazze che hanno detto no al ddl che vieta la prostituzione e prevede l’arresto per i clienti e le lucciole. Un’ipocrisia ai loro occhi. Visto che il governo si appresta a vietare un’attività di cui il presidente del Consiglio avrebbe “usufruito”. Le manifestanti hanno protestato anche contro lo stop alla commercializzazione della pillola abortiva.

lui torna dal lavoro non sia di cattivo umore. Le donne che non lavorano vivono isolate, quelle che lavorano spesso compromettono la propria carriera. Sono vite estremamente difficili”. Infine, ci si chiede quali siano le “fasce sociali” più coinvolte. “È un fenomeno trasversale, che coinvolge molti professionisti. Gli uomini di cui parliamo sono persone normali. Va sfatata l’idea che bevano o abbiano problemi sul lavoro. Il problema è culturale. Sono uomini legati a stereotipi di domino e controllo, che desiderano essere onnipotenti. Parliamo in realtà di

persone fragili, che non sono in grado di avere un rapporto con una donna e riescono ad affermarsi solo con la violenza”. L’avvocato è convinto che “le donne devono denunciare. E se ne deve parlare di più, perché la violenza domestica uccide più del cancro: non possiamo dimenticare questi soprusi. Anche se la giustizia non segue sempre il suo corso e molti processi vengono archiviati perché finiscono in ambito civile. Ma è capitato che ci siamo opposti e che siano stati riaperti i dibattimenti in ambito penale, arrivando alle condanne”.


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CRONACHE

IL CORRIERE FA PUBBLICITÀ ALLA PROPRIA INDIPENDENZA Dopo gli attacchi di Berlusconi e l’offensiva di Feltri anno notizia le due grandi pagine di pubblicità apparse ieri sul Corriere della Sera. Mostrano un signore elegante che attraversa una piazza leggendo, per l’appunto, il Corriere, mentre intorno altri passanti sostano immobili come statue di marmo. Ed ecco il messaggio: “Solo un’informazione indipendente combatte l’immobilismo. Un’informazione di parte crea persone ferme sulle proprie posizioni e impedisce al Paese di fare passi avanti. Per questo, ogni giorno, ci battiamo per permettere a tutti di conoscere i fatti e di farsi la propria opinione”. “Liberi di pensare”, (questo lo slogan che appare sotto una copia del giornale) non è solo un’iniziativa autopubblicitaria, come se ne vedono tante. Il richiamo a una “informazione indipendente” sembra invece essere l’ultima puntata nella guerra di posizione tra il direttore Ferruccio de Bortoli e i poteri forti della politica. Quali siano i poteri che mettono in discussione l’autonomia della più importante testata italiana non è difficile da immaginare. Che il premier Berlusconi abbia a più riprese manifestato la propria irritazione, in forma pubblica e privata, per la linea non abbastanza filogovernativa del Corriere, è cosa nota. L’idea di Berlusconi è che la stampa debba sempre e comunque appoggiarlo. Come avviene per quasi tutte le tv. Una forma di obbedienza pronta, cieca e assoluta alla quale la direzione e la redazione di via Solferino non hanno nessuna intenzione di cedere, ma che, eviden-

F

Il premier ha manifestato crescente irritazione per la linea poco filogovernativa del quotidiano

temente, non piace affatto al presidente-padrone. E' stato lo stesso de Bortoli, del resto, a segnalare le continue e indebite pressioni di Berlusconi e dei berluscones sulla linea del giornale. Il 10 ottobre 2009, dopo l’ennesimo attacco, il direttore, dopo aver definito il Corriere “un giornale La pagina liberale e moderato, di auto-pubblicità una delle istituzioni di apparsa ieri garanzia di questo Paesul Corriere se”, ha scritto che il della Sera suo giornale “non vuole partecipare allo scontro tra due fazioni, in un’Italia ridotta a una desolante arena nella quale si sta perdendo, insieme allo stile e al decoro, anche un po’ il lume della ragione”. Conclusione: “Continueremo a occuparci dei problemi del Paese senza muoverci di un millimetro da quello che consideriamo un nostro dovere verso i lettori”. Da Berlusconi ovviamente sono partite altre raffiche, tutte sullo stesso tono: “Da foglio conservatore della buona borghesia italiana è diventato un di Chiara Paolin foglio di sinistra e sentiamo la mancanza del vecchio Corseari bambini non fumate, ché vi fa tanto mara”. Frasi subito accolte come le, e dite anche a mamma e papà di spegnere un preciso segnale dalla parte la cicca: firmato Fit, Federazione Italiana Tapiù berlusconiana dei lettori baccai. Già che ci siete, lasciate perdere anche del Corriere che in poche setscommesse e videopoker, ve lo dice Lottomatimane hanno abbandonato le tica, la società che gestisce il business del gioantiche letture per passare al co made in Italy. Giornale di Vittorio Feltri, foNelle scuole italiane va forte l’iniziativa anti-viglio di assoluta fedeltà al prezio capitanata dal Moige, noto movimento di mier. Si dice che il Giornale abgenitori attenti alla sana educazione dei più bia guadagnato fino a quaranpiccoli. Dalle elementari alle medie, tutti in tamila copie da questo esodo. classe a sentirsi dire come sia stupido accenFatto sta che de Bortoli si è dodere la prima sigaretta o buttare la paghetta nei vuto impegnare personalmengiochi mangiasoldi. Molti insegnanti e dirigente in una controffensiva della ti scolastici, convinti di offrire ai ragazzi un vacomunicazione. E’ apparso in lido aiuto, hanno messo in calendario incontri varie trasmissioni televisive e con il bus dall’invitante nomignolo “Noi non adesso ha avviato questa moldobbiamo fumare” (date un divieto ai ragazzi e to particolare campagna pubstate certi del risultato), oppure raccontando blicitaria. Servirà? A calmare alle giovani leve come si diventa ‘giocatori proBerlusconi ne dubitiamo forteblematici’, giusto per ampliare gli orizzonti mente. E’ chiaro a tutti che in della stantìa programmazione ministeriale. vista dello scontro finale evoEppure, un piccolo dubbio dovrebbe sorgere: cato dal premier con la frase come mai chi vende fumo e slot machine paga sulla “guerra civile”, a lui un affinché i clienti di domani ne facciano a meCorriere neutrale non serve no? La spiegazione dei diretti interessati è semproprio. Ecco perchè de Borplicissima. Senso di responsabilità, desiderio toli appare sempre più un didi creare consumatori consapevoli e moderarettore assediato. Una situazioti, voglia di partecipare al gioco sociale non ne intollerabile per tutti colocome spacciatori di guai ma nella veste di inro che nel nostro paese hanno nocenti dispensatori dei piccoli vizi della via cuore le sorti della libera ta. stampa. A. P.

grandi antenne circolari con un diaTalteremetro di 18,4 metri e due torri radio 149 metri per le telecomunicazioni satellitari a microonde sorgeranno in una delle aree della Sicilia con maggiore inquinamento ambientale. A Niscemi, provincia di Caltanissetta, le forze armate statunitensi hanno avviato la costruzione di una delle quattro stazioni terrestri del sistema Muos (Mobile User Objective System), che dal 2012 garantiranno i collegamenti dell’ultima generazione della rete satellitare con i centri di comando e controllo e i gruppi operativi in combattimento. A Niscemi sono pure previste la posa di sofisticati cavi a fibre ottiche e la realizzazione di impianti, strade e sentieri di accesso alle antenne e al deposito carburanti. In spregio alle normative ambientali, molte delle infrastrutture sorgeranno all’interno della vicina riserva “Sughereta”, Sito d’Importanza comunitaria e tra gli

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he il virus H1N1 potesse mutare lo sapevamo, non è una sorpresa. Al momento attuale, i miei esperti mi dicono che non c’è da preoccuparsi”. Lo ha detto il viceministro Fazio, commentando la morte in Francia di due persone che avevano contratto il virus mutato.

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E così l'operazione raggiunge il suo primo obiettivo, cioè dotare di una faccia più simpatica e caritatevole chi in realtà ha interessi commerciali ferrei da far prevalere. Come il Moige stesso informa, “il 68% degli esercenti non chiede ai giovani i documenti d'identità” per stabilire la se vendere o meno il prodotto. Insomma, generosi quando c’è da finanziare una bella campagna nazionale di sensibilizzazione, più inclini a chiudere un occhio se un bambino compra un pacchetto di sigarette (saranno per papà) o passa i pomeriggi alle macchinette mangiasoldi (che devono fare ‘sti giovani?). Bruno Tinghisi, responsabile del centro contro il tabagismo della Asl di Monza e presidente della Società Italiana di Tabaccologia, un’idea ce l’ha: “La prevenzione non si fa con una lezioncina. I programmi efficaci, purtroppo, richiedono uno sforzo assai complesso: si deve conoscere l’individuo e svilupparne le capacità reattive, coordinare una rete ampia ed efficace (scuola, famiglia, pediatra, e soprattutto coetanei), infine agire con continuità organizzando verifiche e controlli sui risultati ottenuti. Perché c’è il rischio boomerang: se diciamo a dei ragazzini che per i piccoli il fumo è off limits, niente di più facile che, svoltato l’angolo, accettino di fare un tiro e dimostrare quanto sono coraggiosi”. Magari ben chiusi con gli amici dentro l’auto, violando anche la legge che la Lega ha proposto ieri nell’entusiasmo generale: 250 euro di multa e cinque punti di patente a chi fuma in macchina. Che sballo, ragazzi.

LA MARINA MONTERÀ ANTENNE E TORRI RADIO IN UNA ZONA GIÀ INQUINATA DALLE ONDE ELETTROMAGNETICHE ultimi paradisi naturali dell’isola. Sino a tre anni fa la base prescelta per il terminal del nuovo sistema satellitare era quella di Sigonella, la principale stazione aeronavale della Marina Usa nel Mediterraneo. Poi, nel 2006, il Comando dell’US Navy di Napoli-Capodichino inoltrò al governo italiano una richiesta per l’“installazione di un sistema di comunicazioni per utenti mobili” presso il sito radio di contrada Ulmo di Niscemi, utilizzato dal 1991 per le trasmissioni ai sottomarini nucleari. Con sorprendente celerità, lo stesso giorno il ministero della Difesa esprimeva parere favorevole, sorvolando sul fatto che il Muos era stato dirottato a Niscemi a causa delle risultanze di uno studio sull’impatto delle onde generate dalle sue grandi antenne. Elaborato da una società con sede in Pennsylvania, lo studio proponeva un modello di verifica dei rischi di irradiazione elettromagnetica sui sistemi d’armi e gli esplosivi ospitati a Sigonella. La simulazione informatica aveva però verificato l’in-

Virus mutato nessun allarme

Oggi si fa la spesa per gli altri

Un “eco-muostro” americano sulla testa di Niscemi di Antonio Mazzeo

INFLUENZA

COLLETTA ALIMENTARE

Campagna anti fumo nelle scuole Chi la finanzia? I tabaccai

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compatibilità del Muos all’interno della base perché “le fortissime emissioni elettromagnetiche possono avviare la detonazione degli ordigni presenti”. Nessun commento invece sulle possibili conseguenze per la salute della popolazione. Anche senza il Muos, secondo l’Agenzia regionale per la Protezione dell’ambiente, nella base di contrada Ulmo già si registrano valori d’inquinamento elettromagnetico notevolmente superiori a quanto accade con i più potenti ripetitori televisivi.

La costruzione era prevista a Sigonella ma le emissioni avrebbero potuto far esplodere le armi

Migliaia di cittadini, due consigli provinciali (Catania e Caltanissetta) e decine di amministrazioni comunali hanno già detto “No” a quello che è stato definito un “EcoMuostro”. In una lettera inviata al ministro La Russa, il sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino, denuncia che “le quattro stazioni Muos del pianeta sono rigorosamente installate in zone desertiche mentre da noi saranno realizzate a due chilometri dal centro abitato e con il pericolo incombente per gli abitanti di contrarre tumori e mutazioni genetiche”. “Il Muos è uno dei sistemi chiave per rilanciare i dissennati piani di guerre stellari dell’Amministrazione Usa, mai discussi dal nostro Parlamento”, dichiara Alfonso Di Stefano, attivista delle campagne contro la militarizzazione della Sicilia. “Con la gravissima crisi economica che colpisce l’Italia e ancora di più il Mezzogiorno, sperperare più di 6 miliardi di dollari – tanto costerà alla fine il Muos – in strumenti di morte è un vero crimine”.

omprare qualcosa in più e destinarlo ai poveri. E’ l’invito della Fondazione Banco alimentare e della Compagnia delle Opere in occasione della giornata della Colletta Alimentare. Oggi in 7.600 supermercati, oltre 100 mila volontari raccoglieranno alimenti non deperibili, che saranno distribuiti a circa 1,3 milioni di indigenti attraverso gli 8.000 enti convenzionati con la Rete Banco Alimentare.

CAMERE PENALI

Alta adesione allo “sciopero”

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desione altissima, in molti casi pressochè totale, ieri all’astensione dalle udienze proclamata dall’Unione Camere Penali Italiane, in segno di protesta per il sovraffollamento carcerario ed il 41bis, e per la legalità della pena. Lo riferisce una nota dell’Ucpi. La protesta continua oggi a Napoli con la “Giornata per la legalità della pena”.

BARI

Una via per Benny Petrone

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arà intitolata stamane, nella città vecchia di Bari, via Benedetto Petrone. Una serie di iniziative ricorderà il 28 novembre di 32 anni fa, quando il ragazzo comunista veniva ucciso dai fascisti.

SUPERENALOTTO

Una vincita per due

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l marito, dal quale è separata, vince un milione di euro al Superenalotto e lei ne chiede la metà. Protagonista una 60enne fiorentina, che ha scoperto tramite amici la vincita dell’uomo (che nel frattempo ha una nuova compagna). Ora la questione è sul tavolo del giudice.


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Che cosa sta succedendo nell’emirato del miracolo economico

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SBOOM

iovedì, alla vigilia di un giorno festivo, la holding statale Dubai World chiede ai creditori di ritardare o congelare il rimborso del debito in scadenza il 14 dicembre almeno fino a maggio 2010. Dubai World ha 59 miliardi di debiti, una parte consistente degli 80-100 miliardi di passività stimate per Dubai. Essendo Dubai World una società pubblica, la sua

incapacità di rimborsare i creditori è stata interpretata come una dichiarazione di quasi-insolvenza dello Stato. Finora tutti i debiti in scadenza delle società pubbliche o para-pubbliche di Dubai erano stati rimborsati senza problemi, anche se molti segnali lasciavano presagire che la situazione finanziaria dell’emirato fosse delicata. A ottobre, per esempio, quando il governo ha

emesso del debito para-pubblico (cioè non direttamente collegabile alla finanza pubblica) ha spiegato in modo irrituale che non era legalmente vincolata a rimborsarlo. La fine della bolla immobiliare – dal picco a metà 2009 i prezzi sono crollati del 40 per cento – non poteva restare senza conseguenze: Dubai World, infatti, è una società che controlla soprattutto aziende di costruzioni.

Gasometro

Così è scoppiato in una bolla il sogno insostenibile di Dubai

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Ora Edf parla russo di Giorgio Arbatov

om’è difficile resistere al CValdimir fascino dei russi. Ieri Putin ha

L’EMIRO RASSICURA, MA COMINCIA LA FUGA DEFAULT

di Beatrice Borromeo

ubai non è un paese, è – o era – una grande azienda finanziaria. Così considera l’emirato chi ci abita. E due giorni fa il mondo ha scoperto che la grande azienda sembra rimasta senza soldi. “Devono capire – dice Sergio Nazzaro, giornalista e autore del libro “Dubai confidential” (Eliot) – cosa vogliono fare da grandi: se puntare ancora sul settore immobiliare o se dar vita a un paese arabo illuminato che difende tutte le culture”. Già, perché Dubai è il caso unico di uno Stato mediorientale in cui di fianco a una chiesa si vede una moschea, dove arabi e occidentali lavorano insieme e tutte le culture si confrontano. Ma è anche un cantiere in continua costruzione che sfrutta gli immigrati indiani, pakistani e cingalesi (a cui viene sequestrato il passaporto) per diventare quello che è: la Las Vegas degli Emirati Arabi Uniti, una città nata sul deserto come un fungo dopo la pioggia, soprattutto nell’ultimo decennio, piena di alberghi extralusso e con una pista da sci, in centro, dove si sfiorano i 50 gradi. “Sono stato licenziato la scorsa settimana, ma me l’aspettavo”, racconta Christian, tedesco, 24 anni, che ha lavorato negli ultimi due anni per “Dubai World”, la società statale che controlla colossi del real estate. Giovedì la holding ha di fatto annunciato il default nel momento in cui ha chiesto una proroga perché non è in grado di pagare i debiti in scadenza, e visto che è una società pubblica questo è stato interpretato dai mercati quasi come un’ammissione di insolvenza dello Stato. “Qui a Dubai la gente non è presa dal panico in stile Lehman Brothers – continua Christian – perché il primo colpo, finanziario e psicologico, l’abbiamo avuto già sei mesi fa, con la crisi mondiale e con l’esplosione della bolla immobiliare. Certo, i ristoranti sono un po’ più vuoti, i miei amici non pianificano più di venire a lavorare qui, e noi giovani siamo stati i primi a essere cacciati. Ma se vai in discoteca fanno festa lo stesso e nessuno scende in strada a prendere a sassate le vetrine”. Oggi a Dubai, dove vivono 1,3 milioni di persone, solo il 10 per cento della popolazione è locale: ci sono indiani, iraniani che fuggono da Teheran, palestinesi che scappano da Gaza, libanesi. E poi gli expatriate europei e americani. Gli occidentali, spiega Christian, “hanno una casa dove tornare. E quindi sono più sacrificabili. Ma oggi, con questa crisi generale, io non saprei in che città andare per trovare lavoro”. Sua altezza l’emiro Mohammed bin Rashid al-Maktoum, due mogli e 17 figli, alla guida del Dubai da tre anni, aveva reso il suo paese il nuovo centro della

L’ULTIMA ILLUSIONE: ORA TOCCA AGLI STATI

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di Stefano

Feltri

eri le Borse europee hanno superato il panico scatenato Iblica giovedì dalla dichiarazione di una enorme azienda pubdi Dubai di non essere in grado di pagare i creditori.

finanza internazionale, l’alternativa asiatica a Wall Street, con l’indice della Borsa locale che si chiama, appunto, Nasdaq. Banche, turismo, società di marketing, alberghi, telecomunicazioni, Web e ovviamente l’immobiliare, tutte con la sede nell’emirato, che è anche un paradiso fiscale (e che quindi ha una tassazione molto conveniente). Anche se al-Maktoum assicura a breve “un’azione decisa”, l’incanto dell’ex villaggio di pescatori di perle entrato in dieci anni nel Terzo millennio sembra essersi rotto. E pare improbabile che l’emirato possa riconquistare la sua credibilità finanziaria a breve. “Il problema – commenta Nazzaro – non è finanziario, perché a due passi da Dubai c’è Abu Dhabi che, vo-

tivi – perché lì faremo la prossima convention, tra sei mesi. Ci saranno 1500 persone. I prezzi degli alberghi restano elevati e stiamo ancora verificando la disponibilità dei posti. Dubai è la sede perfetta per organizzare eventi importanti, perchè i servizi sono ottimi, le strutture perfette, ma, come spesso accade, può essere che siano loro a non rendersi conto del ciclone che li ha investiti, e forse presto non vorrà più andarci nessuno”. Insomma, negli emirati prevale la fiducia, come si evince anche dagli articoli pubblicati oggi da Khaleej Times, il maggior quotidiano di Dubai, che apre sulle rassicurazioni del governo che, in fondo, ha chiesto solamente di dilazionare di sei mesi un pagamento.

“Lavoravo per Dubai World, mi hanno appena licenziato. Questo non è più il posto dove andare” lendo, coi suoi fondi sovrani sistema il problema in un baleno. La vera questione è politica”. Se Al-Maktoum vuole ancora trasformare il paese in una monarchia illuminata, l’intervento dei cugini di Abu Dhabi, molto più conservatori, potrebbe bloccare ogni spinta riformatrice. Le Borse si sono riprese in fretta: alla notizia della crisi del Golfo, quando Wall Street era chiusa, le Borse europee hanno perso in media il 3 per cento, già ieri hanno chiuso in positivo. Resta l’attesa per vedere come reagirà la Borsa di Dubai, chiusa per le festività. Anche in Italia chi lavora con Dubai non si fa prendere dal panico. “Parlo quotidianamente con Dubai – racconta Cristina, che lavora per un’agenzia che organizza grandi meeting ed eventi spor-

Milano ha chiuso in positivo di 1,29 punti percentuali. Ma questo non ridimensiona la portata di quello che è successo (scoprire che uno degli Stati con la ricchezza pro capite maggiore del pianeta non ha i soldi per ripianare i debiti di un’azienda pubblica). Si limita a confermare che sui mercati azionari è in corso una nuova bolla, alimentata dal denaro a basso costo, soprattutto il dollaro che la Federal Reserve americana sembra intenzionata a mantenere con tassi di interesse a zero ancora a lungo (forse fino alle elezioni di mid-term del 2010, maligna qualcuno). Un cantiere di Eppure i segnali sono preoccupanti. I creDubai, dopo lo dit default swap sono un tipo di contratti scoppio della bolla derivati che servono ad assicurarsi contro immobiliare il fallimento di uno strato sovrano (o, se usati in modo speculativo, a scommettere sul suo crack). Quelli realtivi al debito di Dubai sono schizzati in alto del 30 per cento in un giorno. A Novembre l’agenzia di rating Moody’s ha tagliato il giudizio di affidabilità sul debito di quasi tutte le società collegate al governo, portandolo da A3 (abbastanza affidabile, ma non troppo) a Baa2 (crediti spazzatura, quasi impossibili da vedere rimborsati). Dubai è provata da due fattori: lo scoppio di una bolla immobiliare con i prezzi crollati del 40 per cento in pochi mesi e la fine della crisi finanziaria sui mercati occidentali. Con le Borse europee e americane in piena euforia, molti dei capitali che si erano rifugiati nel golfo fuggendo dalle piazze finanziarie dove fallivano Lehman Brothers e le banche venivano nazionalizzate, ora stanno tornando indietro. All’origine del boom di Dubai degli ultimi anni, secondo alcuni analisti come Loretta Napoleoni, ci sarebbero le leggi antiterrorismo americane seguite all’undici settembre che hanno spinto molti investitori mediorientali a riportare in Asia i capitali. Ma c’è un messaggio più inquietante che arriva da questa crisi. Prima il mondo della finanza si è illuso di poter trasferire il rischio dal mercato immobiliare a quello bancario, con le cartolarizzazioni dei mutui. Poi di frammentarlo tra le banche di investimento, le banche commerciali e i fondi pensione. Quando questa illusione si è rivelata tale, tutti avevano una nuova soluzione pronta: scaricare costi e rischi sugli stati, pronti a nazionalizzare, a spendere e a rifinanziare, così il rischio spariva, assorbito dalla collettività. E invece Dubai, come già l’Islanda un anno fa, ricorda quella spiacevole verità che gli investitori preferiscono spesso rimuovere: anche gli Stati possono fallire. E, se spendono troppo e hanno una valuta debole, lo fanno. Come sta succedendo a Dubai.

TREMONTI&CGIL

di Antonio Massari

LA PROTESTA CONTRO LA “PROTEZIONE CIVILE SPA” L a “Protezione civile Spa” non s’ha da fare. Almeno secondo il ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, il quale, secondo fonti attendibili, è fortemente contrario al progetto. Parliamo della costituzione di una società per azioni, a capitale pubblico, che avrebbe come unico socio la presidenza del Consiglio: l’ipotesi è prevista dall’articolo 11 della bozza di un decreto legge che, da circa un mese, giace nei cassetti del ministero. Sul fronte sindacale si registra la protesta di Cgil e Rdb, che hanno proclamato lo stato di agitazione e annunciano un presidio, il 30 novembre, dinanzi alla sede romana di via Ulpiano. “Pensiamo che il paese non avverta

la necessità di una privatizzazione, sebbene sapientemente camuffata”, commenta Antonio Crispi, segretario nazionale della Funzione pubblica Cgil. Chiarezza che non è ancora arrivata, neanche dopo le esternazioni del capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, che ha parlato di “società in house” con “compiti strumentali”. Gran confusione, insomma, alla quale s’aggiunge la protesta dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv): il progetto prevede, infatti, che il monitoraggio dei terremoti venga trasferito dall’Ingv alla Protezione civile, con “grave danno per il paese”, sostengono gli scienziati.

confermato l’ingresso di Electricé de France (Edf) nel consorzio South Stream, che comprende già Gazprom e gli italani di Eni. Il premier russo era a Parigi, dove ha incontrato il presidente francese, Nicolas Sarkozy. South Stream è un progetto che fa discutere. É un gasdotto lungo duemila chilometri che attraversa il Mar Nero e collega l’Europa ai giacimenti della Siberia. Uno degli obiettivi principali è evitare il passaggio in Ucraina: negli ultimi anni, le diatribe commerciali tra Mosca e Kiev hanno messo in pericolo le forniture di gas dirette in Europa occidentale. Il costo dell’opera, che potrebbe essere completata nel 2015, non sarà inferiore ai quindici miliardi di euro. df entra con una quota del Eprobabile dieci per cento. É che Gazprom mantenga il 50 per cento delle azioni: a quel punto, Eni sarebbe costretta a scendere al 40. South Stream non è una prima scelta per Edf. In passato il gruppo ha espresso interesse per Nabucco, un gasdotto rivale sostenuto dalla Casa Bianca e dall’Unione europea, ma ha trovato l’opposizione della Turchia. Il governo di Ankara non gradisce la posizione del governo francese sul genocidio armeno e ha impedito che partecipasse al progetto. L’accordo firmato ieri rafforza i legami fra Mosca e Parigi. Un’altra società francese, Total, ha investito 7 miliardi di euro sul giacimento Shtokman, nella parte orientale della Russia. Negli ultimi tempi, Putin ha strappato una serie di intese fondamentali per il futuro di South Stream. Austria, Serbia e Slovenia hanno dato il via libera al passaggio del tubo facendo salire le sue quotazioni sulla scena internazionale. Per quanto riguarda Nabucco, sono passati mesi dall’ultima volta che ha lasciato una traccia sui grandi quotidiani europei. Secondo il Wall Street Journal, ora anche i diplomatici americani evitano le critiche alla strategia russa. Quando si tratta di affari, i governi europei preferiscono l’approccio realpolitik di Putin al basso profilo dell’Ue. urante la visita a Parigi, Dla collaborazione Putin ha anche ottenuto di Renault per il rilancio di Avtovaz, la casa che produce le celebri Lada. Il Cremlino scommette sull’operazione un miliardo e mezzo di euro; Renault fornirà tecnologia, macchinari e know-how per 240 milioni.


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Le ultime puntate dello scandalo Eutelia-Omega

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ECONOMIA REALE

rima dell’estate Eutelia ha spostato duemila dipendenti nella società Agile, vendendola contestualmente al gruppo Omega, sperava di liberarsi dei lavoratori (e soprattutto dei Tfr che avrebbe dovuto pagare loro se li avesse licenziati) in silenzio e senza scandali. Così non è andata, perché da quando sono in mano a Omega (cioè dallo scorso 16 giugno) i dipendenti

sono inattivi, le commesse si perdono e la situazione va degenerando. Dallo scorso agosto in molti non ricevono gli stipendi e ben 1192 persone, ex Eutelia, hanno ricevuto la lettera di licenziamento. La vicenda è esplosa quando l’ex amministratore delegato di Eutelia, Samuele Landi, ha fatto irruzione nella sede romana della società, occupata dai dipendenti, per sgombrarla assieme a

15 vigilantes. C’era anche un giornalista della Rai che ha ripreso tutto, e la faccenda si è conclusa con la polizia che ha portato via Landi. In seguito, i lavoratori hanno organizzato una manifestazione per chiedere un incontro con Gianni Letta. L’hanno ottenuto e per il prossimo 7 dicembre è prevista la decisione finale sulle sorti dei dipendenti, che chiedono l’amministrazione controllata.

Lotteria da tempo di crisi: si vince cibo e un lavoro

EUTELIA : TOCCA A LETTA “PAGHINO GLI STIPENDI ENTRO IL 5 DICEMBRE” ra che lo scandalo di Eutelia è diventato di dominio pubblico, la politica ha iniziato a impegnarsi per salvare quel che resta dell’azienda. Riepilogo delle ultime 48 ore: giovedì sera c’è stato un primo incontro tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, i sindacati e i vertici di Omega, la società che ha acquisito i lavoratori da Eutelia e a cui, da mesi, non paga gli stipendi. Nell’ufficio di Letta c’erano Sebastiano Liori e Claudio Marcello Massa (entrambi hanno alle spalle una decina di fallimenti nelle società che amministravano), dirigenti di Omega che non erano d’accordo su come trattare col governo: se Liori, come raccontano i lavoratori presenti all’incontro, ha ammesso che difficilmente gli stipendi verranno retribuiti ed è apparso sconfitto di fronte alle dimensioni che la faccenda ha preso, Massa ha negato ogni difficoltà e, anzi, ha proposto il prossimo piano industriale. Nel frattempo in piazza Colonna, di fronte a Palazzo Chigi, centinaia di lavoratori di Eutelia, Omega e di tutte le società a loro collegate hanno atteso l’esito dell’incontro partecipando a un collegamento con la trasmissione di Raidue “Annozero”. C’è anche un piccolo mistero: durante la puntata, circolava la voce che Sebastiano Liori avrebbe chiamato Annozero per dire che gli stipendi non li pagheranno mai. La telefonata però non c’è stata: “Nessun esponente di alcuna delle società a noi riconducibili ha chiamato la trasmissione in questione”, ha precisato il responsabile del gruppo Omega. Una delle ipotesi è che sia stata una strategia negoziale degli stessi sindacalisti, che ne avrebbero parlato per mettere sotto pressione Letta e strappare la promessa di una soluzione a breve termine. Che c’è stata: entro il 5 dicembre i vertici di Omega dovranno pagare ai lavoratori tutto quello che spetta loro e interrompere la procedura di mobilità; il prossimo appuntamento col governo, per fare il punto, sarà il 7 dicembre. Letta si è poi attivato con il Tribunale di Roma, sezione fallimentare, “per sollecitare l’esame delle istanze presentate dai lavoratori”. Così si è chiuso il primo round sulla vertenza. La piazza – c’erano centinaia di persone – non era però soddisfatta e la tensione è salita, al punto che i sindacalisti hanno convinto Letta a concedere loro un secondo incontro, avvenuto

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verso l’una di notte. Due i punti concordati e approvati all’unanimità, ieri mattina, in Consiglio dei ministri: oltre ad assicurare i posti di lavoro, Letta si è impegnato a traghettare personalmente la Omega verso l’amministrazione straordinaria. Se così fosse la proprietà verrebbe sollevata dalla gestione delle oltre 10 mila persone che lavorano nel gruppo e si lascerebbe campo libero alla magistratura per verificare eventuali reati. Oltretutto, per i lavoratori, questa è “l’unica speranza per salvare le commesse rimaste e per non perdere i nostri clienti”. Perché, come ha ricordato ieri sera anche il ministro

di Federico Mello

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Un’immagine dell’ultima manifestazione a Roma di protesta dei lavoratori di Eutelia

dell’Economia Giulio Tremonti, questa non è la storia di un’azienda vittima della recessione, è lo scandalo di una società che si occupa di un settore non colpito dalla crisi e che “stanno deliberatamente distruggendo”, come denunciano i sindacati. Sempre ad “Annozero”, un reportage di Corrado Formigli

ha mostrato la sede della società inglese che ora controlla Omega. La sede della “Restform”, nella City, è uno scantinato nel quale nascono società paravento, intestate a prestanome, per chi vuole nascondere i propri beni o le proprie quote azionarie (di aziende italiane). Lì ha sede la società a cui fa capo la Libec-

cio di Claudio Marcello Massa, cioè la holding che controlla il gruppo Omega. Un dirigente della “Restform”, intervistato da Formigli, ha detto che tra i tanti clienti italiani è presente anche Tiscali, che però, interpellata dal Fatto, nega di aver mai avuto a che fare con loro. (Bea. Bor.)

Lo strano caso delle autorizzazioni all’Ilva IL MINISTERO CONCEDE IL VIA LIBERA ALL’AZIENDA DELLA DIOSSINA. OGGI LE PROTESTE di Valentina d’Amico Taranto

l 29 ottobre scorso è stata avviata “I l’istruttoria per concedere all’Ilva di Taranto la tanto sospirata autorizzazione integrata ambientale (Aia)” dice Erasmo Venosi ex vicepresidente della commissione ministeriale Ippc, competente a concedere l’Aia. Le date qui sono importanti. Giusto il giorno dopo, il 30 ottobre 2009, il Tar del Lazio ha depositato la sentenza con cui ha azzerato l’attuale commissione Ippc, nominata l’anno scorso dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo. Sul sito del ministero, nella graduatoria delle industrie in attesa dell’Aia, Ilva risulta ancora oggi al posto numero 109, tant’è che gli ambientalisti avevano espresso forte disappunto per l’impatto ambientale dell’acciaieria tarantina. Come mai il ministero ha deciso di anticipare la procedura per l’Ilva, scavalcando le 108 industrie che la precedevano? “Forse proprio per schivare il pronunciamento del Tar?”, si chiede Venosi. Ma perché il Tar ha bocciato la commissione targata Prestigiacomo? Facciamo un passo indietro. IN ITALIA SONO 188 le grandi industrie ancora in attesa dell’Aia, che godono quindi di una sorta di licenza a produrre senza vincoli sull’ambiente e la sicurezza sul lavoro: raffinerie come Eni e Api, centrali termiche come Enel Produzione, Edison e Eni Power, acciaierie come l’Ilva. L’Italia ha già subìto per questo una pro-

Il Tar del Lazio azzera la commissione che ha promesso il certificato ambientale

un vero concorso con un premio allettante: “Vinci un posto di lavoro e fai la spesa gratis per un anno. Il grande concorso di Cronaca Qui”. Il giornale è un quotidiano locale, distribuito nelle edicole della provincia di Torino e di Milano. Il concorso è la dimostrazione che, in tempo di crisi, con gli italiani impazziti per gratta e vinci e “Win for life”, anche il posto di lavoro diventa premio da lotteria. Addio all’immaginario della classe operaia, delle magnifiche sorti, e progressive, dei Cipputi delblocco sociale che, nella Torino degli Agnelli, sapeva farsi valere. Ora bollini, coupon, ed estrazioni. “Il posto di lavoro – dice al Fatto Quotidiano Beppe Fossati, direttore della testata – è un contratto a tempo determinato, per un anno, presso la nostra agenzia di pubblicità. È un posto da impiegato da 25.000 euro all’anno. Speriamo che vinca qualche ragazzo in gamba che potrà così essere senz’altro confermato”. Il vincitore, se già occupato o in pensione, potrà scegliere di cedere il suo premio, magari decidendo di tenere l’altra parte del premio: un carta di credito prepagata per fare la spesa nei supermercati della zona caricata con 6.000 euro che potranno essere spesi entro un anno. Sarà anche, come dichiarato dal ministro Giulio Tremonti ad “Annozero”, che il problema dell’Italia è il sud, e che il settentrione “è una delle zone più ricche d’Italia e, quindi, del mondo”. Ma, specifica il direttore di Cronaca Qui “Torino è una città che ha la tradizione della fabbrica, e più di altre subisce il patema d’animo del posto di lavoro. Qua certo, il lavoro esiste, ma la fabbrica significa un posto garantito, qualcosa di concreto”. Quella di Cronaca Qui è un’iniziativa di marketing. Partecipano al concorso soprattutto i più giovani, “che stanno chiamando i nostri centralini – racconta Fossati – per avere informazioni su come partecipare” che tra l’altro, è semplicissimo. Basta raccogliere 30 bollini del giornale, incollarli sull’apposito coupon, spedire il tutto e incrociare le dita. Un tempo i coupon erano la fissazione di mamme che raccoglievano tazze e pirofile. Per “la prima generazione che starà peggio della precedente”, come dicono i precari, una delle poche speranze per apporre la propria firma in calce su un contratto.

cedura d’infrazione da parte della Commissione europea. Secondo una direttiva Ce, le industrie in esercizio infatti avrebbero dovuto ottenere l’Aia entro il 30 ottobre 2007. Ma a quella data nessuna autorizzazione è stata concessa e oggi l’hanno ottenuta solo in 30. Per capire la portata del fenomeno basti pensare che a Taranto, più di 20 anni fa dichiarata per legge “città a elevato rischio di crisi ambientale”, operano ben sette grandi impianti in attesa di autorizzazione. “L’industria manifatturiera tarantina – denuncia Gregorio Mariggiò del consiglio di presidenza nazionale dei Verdi – emette il 95 per cento degli idrocarburi policiclici aromatici prodotti da tutto il settore industriale italiano, il 57 per cento di mercurio e più del 90 per cento di diossine e furani. È certificata l’incidenza di malattie gravi superiore di un terzo alla media nazionale”. Giorgio Assennato, direttore dell’Arpa Puglia, riferisce che “più volte sono stati proposti alle autorità competenti progetti di studio per verificare il collegamento tra inquinamento e tumori in una città in cui l’incidenza è decisamente alta, ma il finanziamento non ci è mai stato accordato”. LA POLITICA “ha sottovalutato la questione in ossequio alle lobby e alle richieste dei settori produttivi che ritengono il rispetto della direttiva europea sull’Aia incompatibile con la competitività, di fatto ne hanno ostacolato l’applicazione”, denuncia Biagio De Marzo, dell’associazione Peacelink di Taranto. Finché la commissione Ippc nominata dall’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio nel 2007 (alla vigilia della scadenza fissata dall’Europa per il rilascio dell’Aia) ha deciso di invertire la rotta. “Composta da persone di riconosciuta competenza, aprì finalmente diverse istruttorie” dice De Marzo. La sentenza del Tar verifica “il rilascio di 5 pareri definitivi” e l’apertura “di circa 170 istruttorie, di cui 86 in fase di completamento”. Eppure neanche un anno dopo, il 7 agosto 2008, il nuovo ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha azzerato la commissione e ne ha istituita un’altra, presieduta da “uningegnere civi-

le, Dario Ticali, cheprima di allora si eraoccupato di parcheggi e rondò in Sicilia” ricorda De Marzo, “e composta tra gli altri da un plurindagato”, Bonaventura Lamacchia, calabrese, ex deputato, varie condanne per tentata estorsione, bancarotta fraudolenta, turbativa d’asta, falso in bilancio. Il Tar del Lazio – torniamo al quesito iniziale–, ha bocciato la commissione Prestigiacomo perché la revoca dei componenti ancora in carica è stata disposta senza accertare i “risultati dell’attività compiuta e quindi senza alcun elemento idoneo a motivare la mancata conferma” ordinando “di procedere entro il termine di 45 giorni alla piena reintegrazione” degli ex commissari. È attesa per la prima metà di dicembre la decisione del Consiglio di Stato a cui il ministero si è appellato chiedendo “la sospensione dell’esecutività della decisione del Tar e la revisione della decisione nel merito”. Nel frattempo “eventuali atti che la commissione dovesse produrre sarebbero viziati da nullità” afferma Erasmo Venosi, uno dei commissari defenestrati, “sarà per questo che si è pensato di anticipare la procedura per l’Ilva”. “IL DIBATTITO SUI TUMORI in questa città è completamente inventato” ha dichiarato nei giorni scorsi Emilio Riva. “Oggi siamo in grado di spiegare il perché di tale e tanta arroganza – afferma Biagio De Marzo – e occorre leggere per intero il parere che la commissione Ippc il 29 ottobre scorso ha inviato al ministero dell’Ambiente, relativo all’autorizzazione integrata ambientale di Ilva Taranto. Con quel parere noi riteniamo che il patron di Ilva stia per ottenere una “proroga” delle sue emissioni inquinanti, grazie a un’Aia a lui favorevole e con la “benedizione” del ministero dell’Ambiente”. Oggi a Taranto si tiene una manifestazione nazionale contro l’inquinamento, organizzata dalle associazioni ambientaliste e i cittadini riuniti nel coordinamento “Alta marea”. L’obiettivo è replicare la “Marcia dei ventimila” che l’anno scorso protestò per le strade del più martoriato quartiere tarantino, soffocato dai fumi dell’Ilva, il Tamburi, a ridosso dello stabilimento.


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DAL MONDO

GUERRIGLIERI DINOSAURI E BUSINESSMEN L’arcobaleno elettorale latino americano dall’Honduras all’Argentina di Maurizio

Chierici

America latina comincia a votare per confermare la democrazia ritrovata, ma i presidenti dei due paesi che aprono, domenica, il dicembre elettorale riportano il calendario al radicalismo anni Settanta. Presidente probabile dell’Honduras Porfirio Lobo, burattino del Micheletti golpista. Presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica, vecchio tupamaro. L’Argentina rinnova il Parlamento e Christina Kirchner, signora della Casa Rosada, trema all’idea di perdere la maggioranza: governo sotto ricatto nei due anni che restano al suo regno. Difficili in un paese assediato dalle villas miseriassfinite da una povertà che è proprio fame attorno alle pampas, pascoli del mondo. Inquietudine di milioni di senza niente e inquietudine dei grandi proprietari: bloccano le strade per impedire imposte sulle esportazioni miliardarie. Le speranze di Christina si aggrappano agli avversari divisi e alle grandi banche che provvisoriamente l’appoggiano, mentre la destra di Mauricio Macrì, governatore di Buenos Aires, provincia-regione dove abita la metà degli argentini, è travolta da un intrigo di spie. Il Cile sceglie il successore di Michelle Bachelet. In prima fila la grande borghesia liberata dalla presenza imbarazzante del generale dagli occhiali neri. Il pinochettismo senza Pinochet è il sogno delle famiglie economiche gonfiate dal regime. Vola nei sondaggi Sebastiàn Piñera: controlla LanChile, la compagnia aerea più dinamica del continente. E poi giornali, radio, tv. Insomma, Berlusconi tropicale, furbissimo nel non straparlare, quel profilo edu-

L’

catamente sommesso che segna il carattere cileno. Dieci punti di vantaggio su Eduardo Frei, democristiano, figlio del Frei che aveva lasciato correre il golpe di Pinochet immaginando di mandarlo a casa sei mesi dopo. Eduardo figlio ha governato il Cile prima dei socialisti Lagos e Bachelet. Stanno cercando di tenerlo a galla ma non è facile. Terzo incomodo un ragazzo della generazione cresciuta nella democrazia: Marco Unriquez Oninami. Raccoglie le nuove

generazioni esasperate dai dinosauri. Senza un vero partito, e strutture elettorali, ha quasi raggiunto Frei. Ma gli umori di chi lo segue non gradiscono il vecchio presidente e non sciolgono il gelo del passato. Nel ballottaggio di gennaio i sondaggi assicurano che Piñera vince comodo. Si vota anche in Bolivia. La Costituzione riformata da Morales permette la sua rielezione, naturalmente favorito. Ma la Bolivia raccoglie due paesi:

l’altipiano degli indigeni emarginati e le regioni della mezza luna d’oriente, pianure al confine del Brasile: galleggiano su gas, petrolio, coca. Sfamano il paese con la ricchezza dei latifondi. Ricchezza razzista. Non sopporta “i negri della montagna che mangiano alle nostre spalle”. Con la benedizione di qualche vescovo hanno accolto fascisti, ustascia e nazi in fuga dall’Europa: Klaus Barbie, Stefano Delle Chiaie, tanti. Pretendono l’autonomia ma i loro voti non bastano e incolpano Obama così diverso dalla comprensione di Bush. Vincerà Morales. Chissà quale prezzo dovrà pagare con l’ombra di Chávez e gli abbracci petroliferi di Ahmadinejad in giro per il continente latino per cementare la “lotta contro l’impero nordamericano”. Pur non contando niente, l’Honduras del golpe e delle elezioni surreali governate dagli uomini forti, è l’ombra che divide l’America di Obama dall’America di Lula. Lula che ospita nell’ambasciata di Tegucigalpa Zelaya, presidente deposto ed espulso dai militari. Clandestino nella protezione della diplomazia brasiliana. In sintonia con Hillary Clinton, Lula aveva guidato la lotta contro il governo golpi-

sta pretendendo il ritorno alla presidenza di Zelaya prima del voto. Promesse, incontri, ordini che affievoliscono. All’improvviso Washington annuncia di voler riconoscere il capo dello Stato eletto nella costrizione dello stato d’assedio. Giornali e tv imbavagliati. E la violenza fuori tempo separa le potenze del nord dai paesi del sud. Vale la pena per un paesino sempre trascurato? L’impressione è che l’Honduras sia un prete-

sto per sistemare situazioni interne. Lula vuol mantenere unito il suo PT pensando alla candidata PT che fra un anno prenderà il suo posto; Obama sta cercando di venire a capo dell’intrigo golpista soffiato da chissà da quale servizio Usa per metterlo in difficoltà. In qualche modo vuol chiudere “ l’incidente” per far pulizia nei corridoi del Pentagono. Contadini e democratici honduregni devono avere pazienza.

Alina Castro, 53 anni (FOTO ANSA)

Alina Castro, Yoani Sanchez e un Lìder Maximo come padre LA SECONDOGENITA DI FÌDEL: COME GENITORE UNA DELUSIONE. ALL’AVANA L’UNICA SPERANZA È LA BLOGGER PERSEGUITATA di Gianni Perrelli Miami

arei veramente felice di entrare in Simpongo contatto con Yoani Sanchez. Però mi prudenza nella scelta delle persone con cui confrontarmi. Per paura di scatenare ulteriori misure di repressione. E così mi limito a seguire le notizie che lei riesce a dare attraverso il blog. Affascinata nel registrare come la sua descrizione della quotidianità sia diventata un punto di riferimento”. Alina Castro, 53 anni, secondogenita illegittima di Fidel Castro (ha 7 figli) e dell’ereditiera Natalia Revuelta Clew, ex modella in volontario esilio a Miami dal ’93 dopo la rottura col padre, si sente spiritualmente vicina alla blogger minacciata dal governo dello zio Raul. Dalla sua casa a Little Havana, dove vive monitora gli sviluppi politici di Cuba. Ostile al regime a cui nonostante i vincoli di sangue ha voltato le spalle ma anche al fanatismo dei circoli anticastristi della Florida. Paradossalmente Alina si dichiara di sinistra. Crede alla socialdemocrazia, modello Zapatero. Ed esprime il suo orientamento in uno show radiofonico: Simplemente Alina. Con la patria ha scarsi rapporti. Si sente per telefono con la madre e con un’amica. Mai con nessun esponente della famiglia paterna.

“Della Sanchez ammiro molte altre cose. L’intelligenza, l’astuzia, il talento e l’abilità con cui riesce a dominare la paura. Questo senso di autocontrollo merita rispetto perché a Cuba non si vive senza terrore”. Sua zia Juanita, in esilio come lei a Miami, ha pubblicato in questi giorni un libro di ricordi in cui demolisce Fidel e Raul, i fratelli da oltre 50 anni al potere, ma anche il Che. Si è sentita in sintonia con questo nuovo attacco? Non ho ancora letto il libro, ma lo farò presto. È vero che mio zio fu assieme al Che il responsabile principale delle esecuzioni all’inizio della rivoluzione, ma sembra che Juanita stabilisca una chiara differenza fra i due fratelli, attribuendo maggior umanità a Raul che a Fidel. Oggi chi comanda davvero all’Avana: Raul che esercita il potere formale o ancora Fidel che pare essersi in parte rimesso e a cui, come segretario del Partito comunista, spetta l’ultima parola? Non lo so, ma è evidente che a volte ciò che propone Raul viene contraddetto da Fidel tramite le sue riflessioni sul quotidiano Granma. L’unico canale che ci consente di conoscere ancora il suo pensiero. Suo padre ha 83 anni, suo zio 78. Al-

le loro spalle c’è il vuoto. Conosce qualche emergente che nell’ombra possa raccogliere l’eredità? Non c’è un erede giovane della famiglia Castro che abbia una piattaforma politica di rilievo. Alcuni hanno esposizione mediatica, come mia cugina Mariela, impegnata a favore degli omosessuali a lungo repressi. Anche mio fratellastro Antonio è una figura pubblica, ma solo come medico della Nazionale di baseball. Due anni fa, con l’avvento di Raul al potere, erano fiorite speranze d’apertura. Perché il processo riformista si è di nuovo arrestato? Non c’è stato un cambio apprezzabile, tale da rispondere alle aspettative di chi considerava Raul un leader più pragmatico e più abile nel governare di Fidel. Obama sta aiutando Cuba, anche se ha confermato l’embargo. Ha liberalizzato i viaggi e le rimesse degli emigrati. Ha aperto nuovi canali diplomatici. Anche Bush a suo modo ha aiutato Cuba. Ha autorizzato sotto banco già nel 2000 un commercio che ammonta a centinaia di milioni di dollari l’anno. Gli Usa sono il primo esportatore di prodotti agricoli a Cuba. Se Raul permettesse agli esuli politici cubani di rientrare con

la garanzia di non subire ritorsioni tornerebbe all’Avana? Non correrei a prendere il primo aereo. Il mio ritorno non dipenderà mai da un permesso dello stesso regime che mi ha spinto all’esilio e mi ha costretto a far crescere mia figlia fuori dal suo paese. Lei ha fatto capire che non perdonerà mai Fidel. Ma se suo padre la chiamasse in punto di morte? Non ho mai usato l’espressione “perdono” nei riguardi di Fidel. Chi sono io per perdonare o no? È certo che la mia vita, come quella di tanti altri cubani, è stata totalmente influenzata dalla sua politica. La paternità implica un’enorme responsabilità che deve essere esercitata con costanza e dedizione. In mancanza di questo un nostro incontro sarebbe inutile. La futilità non è una caratteristica di Fidel. E neanche mia.

Della nuova generazione dei Castro non c’è nessuno che può raccogliere l’eredità politica degli anziani


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DAL MONDO

IL COLORE DELLA VERGOGNA

Hoeung, khmer rosso pentito: con la condanna dell’aguzzino Duch la Cambogia può rinascere di Raffaela

Scaglietta

a Cambogia potrebbe farcela a passare dall’anno Zero all’anno Uno. A condizione di rievocare il genocidio e ricostruire le orme del passato legate alle barbarie del regime di Pol Pot punendo i responsabili ancora liberi. “Sono abbastanza contento che il tribunale cambogiano guidato dall’Onu abbia richiesto 40 anni di prigione a Duch, aguzzino del carcere S-21. È importantissimo ammettere gli errori del passato, ricordare la storia, condannare i colpevoli che hanno sterminato il popolo cambogiano nella terribile prigione di Phnom Pehn e nei campi di rieducazione politica”, sostiene Ong Thong Hoeung, testimone oculare della tragedia cambogiana che fece quasi due milioni di morti tra il 1975 e il 1978 e autore di un’opera rara “Ho creduto nei Khmer rossi” (Guerini e Associati).

L

BUONE NOTIZIE

“Sarebbe la prima volta che un criminale responsabile dello sterminio è condannato e come lui dovrebbero condannare gli altri che sono impuniti e fanno parte del governo attuale”, dice Hoeung, intervistato a Bruxelles, città che lo accoglie dal 1982, da quando scappò con la famiglia attraverso la Thailandia. Ma come mai si è aspettato così tanto tempo per annunciare la condanna di un responsabile del genocidio al servizio di Pol Pot protetto peraltro nella sua giungla fino alla sua morte? Prima di tutto finché c’è stato il Muro di Berlino e la Guerra fredda non si poteva fare nulla, poi ci sono tanti segreti della storia politica cambogiana, sono stati messi al governo alcuni Khmer che hanno partecipato a quella follia, e la Cina ha sempre sostenuto la rivoluzione Khmer. In Asia si preferisce dimenticare, rimuovere dalla memoria le tra-

gedie umanitarie. Annullare il male, ricordare solo il bene. Sono state sterminati quasi 2 milioni dei 7 milioni di abitanti e ancor oggi tanti sono i dispersi. Ha pubblicato una lista di nomi. Quelle persone erano amici che vivevano all’estero rientrati come me per partecipare alla creazione di una nuova società, poi fallita. Ora è importantissimo per la storia della Cambogia e dell’Asia riconoscere gli errori, il genocidio storico e l’abuso dei diritti umani di un paese che ha trasformato tutto in paura, repressione brutale, creando l’inferno in nome di una rivoluzione. Le persone che venivano rieducate o imprigionate nella S-21 dovevano ammettere di avere commesso dei falsi reati. Non potevamo neanche pronunciare la parola pace. Dovevano riconoscere di aver pensato male e rovesciare tutto e pretendere di non soffrire la fame. Anche lei è stato un rivo-

GINA E IL LAMPIONE Il lampione ecotecnologico Destinato all’illuminazione pubblica, è alimentato a metano, combustibile prodotto dal processo di compostaggio che avviene alla base del lampione stesso. È sufficiente che gli utenti depositino i rifiuti organici nell’apposito cestino e di tanto in tanto ritirino il composto formatosi. Non è chiaro se esiste un prototipo di questo lampione o se è solo un’idea al computer, sta di fatto che la filosofia del suo ideatore, Haneum Lee, è già una religione: il Rifiuto Illuminato Urbano. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)

di Barbara Schiavulli

olo tre giorni fa, il padre di Sbacheca Amanda ha aggiornato la sua su Facebook: “Sono passati 15 mesi…”, seguiti da una pioggia di commenti di amici e conoscenti, di persone che anche solo con un messaggio cercavano di essere vicini, di non dimenticare che la giornalista canadese Amanda Lindhout e il fotografo australiano Nigel Brennan erano nelle mani di un gruppo di criminali somali dal 23 agosto del 2008. Ora. Amanda sta per tornare in

Il Nobel e l’atomo senza più custode DOPO 12 ANNI SE NE VA ELBARADEI, SEGRETARIO DELL’AGENZIA NUCLEARE E PREMIO PER LA PACE di Giancesare Flesca

opo 12 e più anni all’Aiea, l’egiziano De onorato Mohammed ElBaradei, 67 anni, esce pulito da uno degli incarichi più difficili e insidiosi del mondo, quello di sorvegliare sulla proliferazione nucleare nell’era del postcomunismo. Nel 2005 hanno dato a lui e all’Agenzia che dirigerà fino a lunedì il Nobel per la Pace. Se l’è guadagnato indirizzando i suoi uomini verso un lavoro approfondito, neutrale e in linea con i tempi. Non a caso in una recentissima intervista a Repubblica il Grande Custode dell’Atomo ha confermato che la maggiore minaccia per il mondo non viene da Teheran, ma dal network delle armi nucleari messo in piedi dall’ingegnere pachistano Abdul Qadeer Khan coinvolgendo a suo tempo molti paesi e scomparendo poi nel nulla. Anche se in apparenza ElBaradei si è occupato solo di ’Iraq e Iran (sanzionato proprio ieri per la sua non collaborazione sul programma nucleare), in realtà l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha speso tempo e denaro per controllare la diffusione di tecnologia e di armi nucleari, insomma il business più fiorente dopo la caduta del Muro. Ma non c’è dubbio che negli ultimi anni il suo compito sia stato focalizzato sul Golfo e sul Medioriente. Un lavoro duro e delicato, che Washington e parte degli alleati hanno reso assai più spinoso con i loro ukaze e le loro bugie. Ricordate le fasi preparatorie dell’attacco all’Iraq di George W. Bush?

Quando nel 2003 l’allora segretario di Stato Powell mostrò all’Assemblea Onu una boccetta mezza piena di una polvere grigia, sostenendo che lì c’era la prova che Saddam stava per avere, se non aveva già, la bomba atomica? Era l’inizio del suo secondo mandato. ElBaradei andò in Iraq portandosi al seguito come notaio il suo predecessore Hans Blix e tornando disse anche lui all’Onu che mai l’Iraq aveva comprato uranio dal Niger, come invece sostenevano i rapporti dell’intelligence Usa. E quando la guerra era cominciata da un bel pezzo si limitò a osservare: “Ecco un lampante esempio di come, in molti casi, l’uso della forza aggrava i problemi invece di risolverli”. Adesso però il dilemma si ripresenta con l’Iran, sospettato di preparare in segreto la Bomba. Per quanto Teheran e Ahmadinejad gli abbiano fatto mangiare i gomiti con centinaia di cavilli e mezze verità, per quanto Washington lo abbia ricoperto di doni non graditi come l’intercettazione di tutte le sue telefonate, ElBaradei sostiene che l’unico approccio possibile è quello tutto politico indicato da Obama. Parlando dei “nuovi matti” che invece vorrebbero andare a bombardare l’Iran e i suoi siti nucleari, ha detto al New York Times che un attacco del genere “trasformerebbe l’intera regione in una palla di fuoco e legittimerebbe una nuova corsa all’atomica da parte dell’Iran, questa volta appoggiato da tutti i paesi islamici, già diffidenti perché l’Occidente si astiene dal controllare il nu-

fotografiche, vestiti, libri, ogni giorno avevamo le riunioni di autocritica. Era un lavaggio del cervello che in nome di un’ideologia totalitaria legata agli editti di Pol Pot sacrificava invece la libertà personale, l’identità umana inve-

ce di difenderla. Per il bene collettivo del futuro, per un pensiero esasperato di gruppo si eliminava l’uomo. Un paradosso pericolosissimo perché quando si viola l’animo di un individuo si distrugge la sua cultura.

Kaing Guek Eav, il compagno Duch, ex capo della prigione S-21 (FOTO ANSA)

Le mie prigioni somale Amanda libera dopo 15 mesi

a cura della redazione di Cacaonline

No alla discriminazione genetica In Usa, dopo 13 anni di discussioni, è entrato in vigore G.i.n.a., Genetic Information Nondiscrimination Act, che abolisce la possibilità da parte delle aziende di richiedere test del sangue o del Dna ai nuovi assunti. Questi profili, oltre che per decidere assunzioni e promozioni, venivano utilizzati soprattutto per valutare le coperture sanitarie. Il New York Times considera G.i.n.a. “la legge antidiscriminazione più importante degli ultimi vent’anni”. Secondo la democratica Louise Slaughter si tratta di “un’immensa vittoria per tutti gli americani che non sono nati con i geni perfetti, vale a dire per tutti noi”.

luzionario. Ha creduto nell’utopica rivoluzione umana dei Khmer contro le intrusioni dell’imperialismo Usa e francese Sì. Sono tornato anche io da Parigi nel 1976 in nome di quella rivoluzione sociale che voleva tornare alla cultura ancestrale Khmer e poi sono stato inviato in un istituto tecnico khmer sovietico di rieducazione ambientale che i khmer hanno trasformato nel campo k15. Lì ho perduto l’illusione di incamminarmi verso la felicità, perché tornavo a casa, speravo di costruire un mondo migliore e invece sono sceso giù all’inferno. Fu il mio primo centro di detenzione. È un miracolo, forse un caso che io sia sopravvissuto con mia moglie. Una vittoria che sia nata mia figlia. Una storia piena di paradossi e illusioni perdute Eravamo isolati. rieducati ai lavori forzati, privati di radio, era vietato avere macchine

cleare israeliano: come al solito due pesi e due misure”. E Israele risponde accusando il direttore dell’Agenzia di nascondere molte cose scomode sull’Iran. Addirittura il Jerusalem Post gli fa carico di “sfruttare la propria posizione per facilitare la proliferazione del nucleare per scopi militari”. Per sua fortuna Israele ha un capo di Stato come Shimon Peres che, ricevendolo, ha parlato di qualche “buco” nella rete della Aiea nel caso dell’Iran, riconoscendo però che ha compiuto “un grande sforzo per evitare che armi pericolose finiscano in mano a chissà chi”. Il tentativo del nostro uomo è più ambizioso della sola questione iraniana. Il suo sogno è una riduzione progressiva delle armi nucleari nel mondo, “fino a farle scomparire”. Nel discorso di accettazione del Nobel per la Pace ha detto molte cose, ma la più impressionante è una cifra: risparmiando l’1% del denaro destinato agli armamenti, si potrebbe sfamare tutta la popolazione del pianeta. Come dicevamo, ElBaradei esce dal suo incarico con l’onore delle armi, un centinaio di premi e di lauree honoris causa testimoniano la sua indipendenza e l’importanza del lavoro svolto. Fra tutti questi onori quello che ama di più è il Collare del Grande Nilo, la più alta decorazione civile del suo paese. Forse quel collare lo aiuterà a raggiungere un altro traguardo: la successione a Hosni Mubarak, per la quale, profetizzano i politologi egiziani, sarebbe il candidato naturale.

Canada e Nigel in Australia, la loro terribile avventura è finita. Le prime parole di Amanda al sicuro nell’albergo dei governativi, vicino all’aeroporto di Mogadiscio, sono rimbalzate chiare e lucide, ma la sua voce si è poi spezzata e finita in singhiozzi quando ha accennato alla sua prigionia: “È stato veramente opprimente, stavo sempre sola, non avevo nessuno con cui parlare. Mi tenevano in una stanza senza luce, né finestre, non avevo niente per scrivere. Immaginavo la mia casa, i miei genitori, il loro ricordo mi ha tenuta in vita. Pensavo ai parchi e al lago. C’era poco cibo. Trascorrevo le mie giornate in un angolo, per terra, 24 ore al giorno per 15 mesi. Ci sono stati momenti in cui sono stata picchiata, altri torturata”. Quindici mesi fa era giunta nel caos chiamato Somalia per raccontarlo. Era esattamente nel posto dove voleva stare. Pochi giorni dopo il suo arrivo era andata a visitare un campo profughi: lì Amanda e Nigel sono stati inghiottiti assieme al traduttore e autista somali, poi liberati, mentre loro sono spariti. Undici case, spostamenti continui, tra chi li cercava, chi avrebbe potuto rapirli o venderli. All’inizio lei e il suo compagno sono stati trattati bene, ma quando i negoziati tra il governo canadese e i rapitori non sono ingranati, Amanda e Nigel, sono diventati due persone che sembrava che neanche il loro paese desiderasse avere. “Ci dicevano che ci picchiavano perché il denaro non arrivava abbastanza velocemente”. Ogni due mesi, le concedevano di parlare con la madre per pochi minuti, le dicevano cosa dire, mentre lei cercava di trovare conforto in quei genitori spezzati dalla paura che in un paesino, Sylvan Lake, del Canada francofono, non sapevano come affrontare un tale dolore.

“Voglio andare in Somalia, bisogna andare, insomma siamo giornalisti, se non ci andiamo noi, chi racconta le storie di quei poveracci?”, mi aveva detto solo qualche giorno prima di partire più di un anno fa. Era stanca dell’Iraq. “Quanto sono contenta che sia arrivata una donna, non faccio una chiacchiera femminile da mesi”, mi disse la prima volta che bussò alla mia camera al Palestine Hotel di Baghdad. Amanda, neanche 30enne sprizzava voglia di fare da ogni capello biondo che le incorniciava il viso. Alta, magra, determinata, con due occhi verdi che bucano il velo che era costretta a mettersi quando andava in giro per non farsi notare. Ma era impossibile non farlo, aveva la sfacciataggine e la prepotenza della gioventù, ma anche la conoscenza di una veterana. Da mesi stava in Iraq, ma aveva girato mezza Africa, freelance convinta, lavorava per giornali canadesi, per una radio francese, per la tv iraniana in inglese: pagano bene, ma non le piaceva, doveva andare in onda velata e non era libera di dire tutto quello che voleva. Era stufa dell’Iraq e aveva scelto la Somalia, non voleva andare da sola, perché in quei posti dove il mondo è sottosopra, basta la parola di una persona che è come te, per cambiare l’umore di una giornata, dove le ore sono sempre troppo lunghe e il lavoro complicato. Lì ha trovato Nigel, più grande di dieci anni, un sorriso gentile e la voglia di fotografare. Anche Amanda è una fotografa ossessiva, dalla sua borsa tirava sempre fuori obiettivi che cambiava con naturalezza mentre il suo viso scompariva dietro al peso della digitale. Amanda e Nigel sono quasi a casa. “Ora voglio solo stare con i miei e ripensare alla mia vita per un paio di mesi”, dice Amanda un attimo prima di volare in Kenya e poi salire su un aereo per il Canada, finalmente libera.


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CATTOLICI AL BIVIO

CHIABERGE Scusate se sono laico

Placido Violante: “Durante il film mi sono innamorata di Moana”

Ritorni Ghini e De Sica verso il sequel di “Amici miei”

Ribellioni Zanetti: “Se insultano Balotelli, chiederò lo stop”

Tiger Woods Gravemente ferito dopo un incidente stradale in Florida

Preti sposati, sacerdoti che staccano la spina a un malato terminale: la Chiesa dei disobbedienti nel libro del giornalista torinese di Silvia Truzzi

C

i sono monaci che esplorano l’anima e Dio con la poesia della parola. Missionarie brianzole ammalate d’Africa che si cimentano con il “Dieu au féminin”. Ex sacerdoti che hanno affrontato il demone dell’amore e oggi, spretati e ammogliati, sono ancora cattolici. Medici in trasferta a Lourdes, imprenditori in tonaca. Il popolo dei fedeli dissidenti abita l’ultimo e assai discusso libro di Riccardo Chiaberge, giornalista torinese del Sole 24 Ore. “Lo scisma - cattolici senza Papa” (Longanesi editore, 281 pagg. 17,60 euro) sarà presentato a Roma martedì prossimo (con l’autore - alle 18 alla Sala Stampa Estera in via dell’Umiltà - Savino Pezzotta, Rosy Bindi, Pietro Craveri e Stefano Folli). Chiaberge, “scisma” è una parola forte: storicamente ma anche simbolicamente. Il titolo è una provocazione. Allude allo scollamento sempre più forte tra le pronunce ufficiali del magistero della Chiesa di oggi e il comportamento della maggioranza dei fedeli, anche degli stessi cattolici praticanti. Lo scisma d’Oriente e quello anglicano: più o meno uno ogni cinquecento anni. Ci siamo quasi. Non so se l’esito di quello che io racconto in queste pagine sarà uno scisma. Potrebbe anche essere semplicemente il venire alla luce di una maggiore articolazione interna al mondo cattolico. Scrivo da osservatore esterno, da non credente, lo dico perché non sottoscriverei ogni articolo del credo. Non sono cattolico, forse vagamente cristiano. Un amico ebreo, molto laico e soprattutto molto anticlericale, mi ha detto: questo tuo libro farà soltanto gioco alla Chiesa. Perché dimostra che là dentro c’è posto per tutti, per tutte le posizioni. In qualche misura è un favore che fai alla Chiesa. E’ un problema che non mi sono po-

sto. Non volevo fare né un libro contro la Chiesa, né un libro a favore della Chiesa. Tanto meno un pamphlet antiratzingeriano come ha scritto uno dei miei stroncatori di parte cattolica, nemmeno un libro devoto. E’ un tentativo di far uscire voci che altrimenti non si esprimono e non vengono raccolte dai media. Molte anime, dunque. Ma sono anime senza cittadinanza. La Chiesa non ha imparato nulla dalla democrazia? Forse è l’ultima sopravvivenza dell’Ancién regime. Ma non c’è nessun tipo di costituzione democratica nella Chiesa. Però molti cattolici la vorrebbero diversa. Ci sono movimenti, per quanto minoritari, che rivendicano la possibilità di dire la loro sulla nomina dei vescovi o sull’accesso alle cariche più elevate anche per le donne. C’è un’esigenza di rinnovamento strutturale. La necessità più forte però è un aggiornamento del messaggio cristiano al mondo d’oggi. Ratzinger ha fatto dell’anti il-

Ho raccolto le storie di questi fedeli “dissidenti”per far sentire voci che altrimenti non si esprimono luminismo una bandiera. E’ una scelta che in molti trovano miope. Lei anche? E’ la rivendicazione identitaria di una Chiesa che vuole mandare un messaggio forte al mondo contemporaneo, che vuole incarnare valori alternativi a tutto ciò che l’Illuminismo ha cercato di smantellare. E’ un messaggio inevitabilmente destinato a rimanere minoritario. Però trova orecchie disponibili ad ascoltarlo, in certe fasce di irrazionalismo, anche da parte di non credenti che sono ostili da sempre alla società industriale, alla modernità. E quindi è un richiamo potente, che ha avuto un grande successo mediatico. Ma attenzione: questo non vuol dire che le masse lo abbiano recepito. E a chi parla la Chiesa, se non

alla gente? Questo Papa si rivolge a un suo mondo: dialoga con Habermas, con gli intellettuali francesi quando va in visita a Parigi. Beh, lui è un intellettuale. Non c’è dubbio. Ma forse è anche il suo limite: non arriva al cuore della gente. Al contrario di Giovanni Paolo II. Il suo predecessore metteva l’accento sulla devozione popolare, con tutte le manchevolezze di questo atteggiamento. Aveva un grande carisma, però. Benedetto XVI più che alla devozione pensa alla dottrina, a ristabilire i lineamenti del pensiero teologico della Chiesa. Abbiamo messo in croce il crocifisso. Crede che la laicità alla francese con il divieto di esposizione di simboli religiosi nelle scuole, sia esportabile in Italia? Il problema dell’Italia non è il crocifisso, il problema è il Concordato. Finché c’è un trattamento privilegiato della religione cattolica, questi discorsi rimangono sospesi nel vuoto. E comunque a me sembra una battaglia di retroguardia, anche da parte dei laici. Onestamente come laico a me il crocifisso non disturba affatto. Non vale la pena di stare a battagliare per staccarlo o tenerlo appeso. Piuttosto quello che mi disturba è che venga usato nella lotta politica come un’arma da dare in testa agli avversari. Natalia Ginzburg vedeva nel crocifisso il dolore dell’ebreo perseguitato, dell’Olocausto: il crocifisso come simbolo di sofferenza è universale e non capisco perché debba offendere qualcuno. Perché questa Chiesa, dottrinale e dogmatica, fa così fatica a prendere posizione su atteggiamenti di governanti e potenti non proprio in linea con comandamenti e dettami del cattolicesimo? Perché la Chiesa non è soltanto un’agenzia spirituale, ma è anche un potere temporale. Che deve amministrare risorse, personale e esercitare un potere nella società civile. Se un governo le concede spazi, privilegi o esenzioni fiscali, tende a favorirla. Una logica di scambio che appartiene a qualsiasi Stato. C’è un’evidente contraddizione tra il suo ruolo come agenzia spirituale – che dovrebbe promuovere una certa decenza pubblica anche da parte degli uomini politici – e un sistema di potere che

si confronta con altri poteri. A sua volta la politica italiana ha una certa riluttanza a opporsi alla Chiesa. La cancelliera Merkel non ci pensò un attimo a prendere posizione sulla riabilitazione dei lefebvriani dopo che uno di loro aveva negato l’Olocausto. C’è una forma di sudditanza, non c’è dubbio. La considero un problema di inadeguatezza culturale di questa classe politica. Penso ai De Gasperi, ai Fanfani, ai Moro: erano stati anche compagni di scuola dei Papi, trattavano alla pari con il potere ecclesiastico. Invece questa classe politica è spesso balbettante di fronte a un Ruini che li sovrasta tutti come statura culturale. Non parliamo del Papa teologo, che questi se li mangia tutti in insalata: la verità è che non sono in grado di elevare un argine dal punto di vista concettuale. Se poi si aggiunge che la maggioranza è divisa, vacilla spaccata dalle risse interne, il sostegno della gerarchia è un puntello utile. Tentazioni: chi tra i protago-

Quella del crocifisso è una battaglia di retroguardia, anche per i laici Il problema vero è il Concordato nisti del suo Scisma le ha instillato il dubbio della fede? Il monaco cistercense che vive in un’abbazia sul Lago di Garda. Quel tipo di approccio al messaggio cristiano, alla lettura delle Sacre Scritture è quanto di più vicino alla mia sensibilità e quanto di più tentatore per un laico. Perché attraverso la parola, la lettura dei testi sacri prova a riappropriarsi di una grande tradizione spirituale e delle nostre radici. Io ho fatto tutta la trafila da ragazzo italiano. Fino alla rottura del ’68 che ci ha tutti, in qualche modo, allontanati da quel mondo. Ora però c’è un forte ritorno alla spiritualità. Sì, ma fuori dalle religioni rivelate, c’è un terreno fertile a cui la Chiesa potrebbe attingere. Certo se assumesse atteggiamenti

meno di condanna e più di apertura e di accoglienza. Ma un po’ il Papa lo fa, con questo suo continuo mettere nella categoria della legge naturale i valori dell’uomo. E’ un tentativo problematico. La legge naturale non è una categoria definita. Lo stesso concetto di natura in una società tecnologica come quella di oggi è messo in discussione. Il corpo umano è sempre più una macchina, l’elemento artificiale è sempre più decisivo se non prevalente. Quando si può dire che è avvenuto il concepimento o la morte? Sono tutti concetti che richiedono una revisione da parte della Chiesa alla luce dei progressi della medicina e della scienza. In molti stanno tentando questa strada, ma c’è una forte resistenza della Curia. È l’oggetto del suo incontro con don Verzé. Le racconta anche di quando aiutò un suo amico a morire. Storia forte. La guardia svizzera in Vaticano davanti a un gruppo di suore

Lui è uno dei pochi che ha fatto un vero outing: nel mondo medico queste cose si mormorano senza mai ammetterle. Rompere il muro dell’ipocrisia è stato un atto di coraggio. La scienza si fonda su regole e la dottrina su dogmi. Perché, dopo secoli di diatribe e anatemi, i saperi e le discipline dell’anima non riescono a trovare l’equilibrio del dialogo? I conflitti tra scienza e fede nascono ogni volta che la scienza pretende di diventare teologia e affermare verità non dimostrabili. E ogni volta che la teologia invade il territorio della scienza. Questi conflitti aumentano quando, come oggi, la scienza è per lo più applicata, alla vita e a materie eticamente sensibili. Finché si parla di cosmologia alla fine si può trovare un accordo. Quando si parla di staminali bisogna decidere se uno crede che l’embrione sia persona o solo un ammasso di cellule. Tutt’altra faccenda.


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SECONDO TEMPO

il disco di dente

WEEKEND Manuale di Sopravvivenza

di Biondi, Colasanti, Collo, Pagani, Pontiggia

500 GIORNI SENZA NOIA

¸CINEMA da vedere èèèè Commedia

500 giorni insieme Usa/ 2009. Di Marc Webb. Con Zooey Deschanel e Joseph Gordon-Levitt.

Sole è intelligente, affascinante e refrattaria all’amore. Pure lui fascinoso, Tom è architetto, ma vive progettando cartoncini d’auguri. Con Sole vorrebbe una storia seria, ma, semplicemente, lei non è pronta: almeno per l’abbraccio di Tom… I loro 500 giorni insieme sono quelli scelti dal videoclipparo Marc Webb per esordire sul grande schermo: già al Festival di Locarno, il film piacerà agli inguaribili romantici, che senza accorgersene si ritroveranno in terapia intensiva, e soprattutto a chi romantico non si vuole, almeno al buio in sala. “Voce senza retorica (ma non senza tenerezza)”: la invocava Roland Barthes, quello appunto dei Frammenti di un discorso amoroso, e Webb – soprattutto gli sceneggiatori Neustadter e Michael H. Weber, che avranno voluto (far) dimenticare La pantera rosa 2… - ha fatto quasi tutto per non disperderla. Frizzanti, ironici e metacinematografici, postmoderni e “paraculi” (regia gggiovane, colonna sonora con Belle & Sebastian, Patrick Swayze, Smiths), sono 500 giorni ingentiliti dai protagonisti Zooey Deschanel (guardatela, e solidarizzerete con Tom ) e Joseph Gordon-Levitt ma feroci: contro il melenso, stucchevole happy ending “cine” qua non. Non perdetelo. (Fed. Pon.) èèè Drammatico

Francesca Romania/ 2009. Con Monica Birladeaunu

Francesca ha preso il nome santo di Madre Cabrini, protettrice dei migranti, il volto splendido di Monica Birladeanu, e attualmente il miglior cinema dell’Unione Europea: quello romeno. Non è bastato, comunque, per trovare buona accoglienza in Italia: l’Onorevole Alessandra Mussolini è andata in tribunale per bloccare la distribuzione del film, che la “insulta” al pari del sindaco di Verona. Ma il tribunale ha dato il nulla osta all’uscita nella versio-

&

LIBRI

ne integrale: la Mussolini, che decretò la coazione allo stupro insita nel dna dei cugini, rimane “una troia che vuole ammazzare tutti i romeni”, il sindaco una “merda”. “La voce della strada”, la definisce il regista Bobby Paunescu, che pure non scalfirà la convinzione della migrante Francesca: per lei siamo la Terra Promessa, e non c’è padre né amici che (trat)tengano. Se la guerra degli stereotipi razzisti tra Italia e Romania finisce dunque in pareggio, l’esordio di Paunescu vince in trasferta, mandando in gol austerità stilistica (inquadrature fisse, commento sonoro e tagli al lumicino) e provocazione poetica: sono meglio i nostri o gli altrui pregiudizi? Non chiedetelo alla Mussolini, ma a voi stessi: capirete che il problema non è Francesca… (Fed. Pont.) èè Commedia

fasi alterne: se dal microfono la sua ugola continua a graffiare, il Checco attore si trastulla, e la satira cade in rovina. (Fed. Pont.) èè Drammatico

Dorian Gray Uk/ 2009. Di Oliver Parker. Con Colin Firth e Ben Barnes

L’impresa, va riconosciuto, appariva improba. Wilde sullo schermo, a un passo dal 2010, trasponendo per immagini la sua opera più disturbante. L’insieme è deludente, nonostante Colin Firth e Ben Barnes, scintillino di talento e Oliver Parker, (già sperimentatosi in due occasioni con la penna di Oscar), saggiamente, non dirazzi da una lettura della pagina politicamente corretta. Pur non risparmiando ombre, visioni e overdose di effetti speciali, il risultato (ed è un peccato) rimane magro. (Ma. Pa.)

Cado dalle nubi Italia/ 2009. Di Gennaro Nunziante. Con Checco Zalone

Da non vedere

"Gli uomini sessuali non c'avranno gli assorbenti / ma però c'hanno le ali / per volare via con la fantasia / da questa loro atroce malattia". Parole e musica di Luca Medici, al secolo Checco Zalone, che esordisce al cinema con Cado dalle nubi, diretto dall'amico e co-sceneggiatore Gennaro Nunziante (penna per Alessandro D’Alatri, era il sacerdote affabulatore di Casomai). Sulla sottile linea fucsia dell’autobiografia, protagonista è il cantante Checco, tamarro situazionista ("che cozzalone" in barese sta per "cafone") in trasferta dalla Puglia (Polignano a Mare, città natale di Modugno) a Milano per inseguire il successo: viceversa, troverà la Lega, per cui tramuterà l'acqua del Po in urina e ribattezzerà Power Ranger Alberto da Giussano; un cugino omosessuale che non ha fatto outing, anzi “outlet”; il classico amore non ricambiato e l’inevitabile talent-show, in cui finalmente emergere forte della sua "meravigliosa mediocrità". Ovviamente, le cliccatissime storpiature grammaticali e politicamente scorrette Zalone le porta anche sul grande schermo, ma a

è Drammatico

Triage Usa/ 2009. Di Denis Tanovic. Con Jamie Sives

La protagonista di “500 giorni insieme” Zooey Dechanel

Con No Man’s Land nel 2001 conquistò l’Oscar per il miglior film straniero, plauso critico e applausi del pubblico: normale che il regista bosniaco Danis Tanovic ritornasse alla guerra con Triage. Il "triage" è una procedura di classificazione dei pazienti in pronto soccorso: a ciascuno viene assegnato un colore in base all'entità dell'infortunio, per stabilire una priorità nelle cure. Nei para-ospedali di guerra, il triage può avere conseguenze paradossali: un proiettile in fronte ai pazienti senza speranza. Come i guerri-

glieri curdi del film, che varranno al foto-reporter Colin Farrell un lodato servizio, e pure un’atroce perdita. Tratto dall'omonimo romanzo di Scott Anderson e ambientato alla fine degli anni '80, Triage sancisce che solo i più fichi si salvano. Tutto il resto è noia: asfissia drammaturgica, documentario senza documenti e schizofrenia poetica, perché si parte dalla connivenza dei media e si finisce nel psicodramma . Stavolta Tanovic rischia di trovare la “terra di nessuno” in sala. (Fed. Pont.)

Arte

IL TALENTO POVERO E VISIONARIO DI ZORIO on metodo e incessante determinazione, Cgli esponenti Gilberto Zorio, riconosciuto come uno dedell’Arte Povera, riassume il mondo con materiali, simboli e oscillazioni energetiche di grande impatto visivo ed emotivo. Al MAMbo di Bologna la grande sala alterna le sue ‘macchine primitive’ in attesa che sfiatino, ribollano, sibilino, si accendano o si gonfino, per poi implodere, indietreggiando. Una ‘complessa semplicità’, che parte dagli anni Sessanta, grazie all’adozione di simbologie ricorrenti come la stella, la canoa e il giavellotto, adottate

come unità di misura dell'incommensurabile. Le maestose stelle lentamente si trasformano in oggetti pericolosi: linee di nichel-cromo incandescente o supporto per accecanti luci stroboscopiche. Il corto circuito fra elementi primitivi e tecnologia è netto e reso visibile: cavi, spine, elettricità sono alla base di un’idea di scultura rigorosa nel segno ma capace di muoversi richiamando l’attenzione, grazie all’energia del suono o della luce, cogliendo alla sprovvista chi, incautamente, aveva rivolto (Claudia Colasanti) lo sguardo altrove.

TRENI, FILOSOFI E GUERRIGLIERI ARGENTINI

La bambina della casa dei conigli.

un paese massacrato e tradito. La “guerra sporca” che i macellai argentini hanno portato avanti dal 1976 al 1983 vista attraverso l’inusuale sguardo di una bambina. (Pa. Co.)

sulle sue migliaia di ore passate in treno: personaggi, odori, sensazioni, pensieri, malanni, libri, suicidi, traduzioni, ladri, ritardi, sciagure… L’agrodolce – e a volte spassosa - comédie humaine di un pendolare. (Pa. Co.)

Laura Alcoba/Piemme Laura Alcoba è una scrittrice argentina.Ora vive a Parigi.

èèè Racconti

èèèè Vario

La vicevita

Rosso Primo

Valerio Magrelli/Laterza Valerio Magrelli è uno deipiù importanti poeti italiani contemporanei.

Autori vari/Movida

Da leggere èèè Drammatico

Ancora un libro per non dimenticare una tragedia avvenuta solo “l’altro ieri”. Argentina, 1975: una bambina, figlia di militanti montoneros, racconta la sua vita in clandestinità, le paure, la solitudine di un’infanzia negata. Riunioni segrete, volantini, travestimenti, armi, spie, squadroni della morte e desaparecidos. L’autrice, nata nel 1968, ha vissuto in Argentina fino all’età di dieci anni. Ora vive a Parigi. Ma dopo un viaggio in patria, avvenuto nel 2003, ha sentito il bisogno di raccontare quel terribile passato di

Come recita il sottotitolo, è un libro che parla di treni e di viaggi in treno. E a scriverlo è uno dei nostri più importanti e migliori poeti, autore di numerose raccolte poetiche pluripremiate e docente di Letteratura francese. Una sorta di autobiografia – anzi, una vice-atobiografia, come lui stesso la definisce – centrata

LA GUERRA SPORCA NEL REGIME DI VIDELA E I VIAGGI DEL TEMPO IMMOBILE DI MAGRELLI

Un libro grande, grosso e strano. Che nasce da una scommessa piuttosto originale: mettere insieme 33 poeti di mezzo mondo – come Les Murray, Marcia Theophilo, Valerio Magrelli, Bernardo Atxaga, Franco Loi, John Montague… - e far scrivere loro una poesia (inedita) sul tema della donna. E non solo. Ma poi far tradurre gli autori stranieri da alcuni tra i migliori traduttori attivi sulla piazza. E infine aggiungere al lavoro di poeti e traduttori quello di un artista, Riccardo Bargellini, e di un grafico, Lisa Cigolini. Scommessa vinta: un bellissimo libro – nemmeno caro - da guardare e da leggere e rileggere.

è RUNNING ON EMPTY Jackson Browne Un disco registrato durante un tour. Sembra che jackson Browne abbia preso alla lettera questa idea, infatti, le canzoni contenute in Running on empty sono inedite ma registrate in concerto, sul palco durante le prove, in stanze d'albergo, nei camerini e addirittura all'interno del tour bus durante i viaggi. Un documento vero e proprio, dove anche i temi trattati sono quelli della vita on the road, delle città incontrate e da incontrare, che sembrano tutte uguali, come le facce delle ragazze dopo troppi concerti. Parlano queste canzoni della droga e dell'alcol. Dei palchi smontati e rimontati, delle sedie vuote in attesa, piene di gente e poi di nuovo vuote, chilometri macinati, asfalto e camere di hotel, voglia di suonare anche dopo lo spettacolo, caffè, notte, luci e buio, insomma del bello e il brutto di questo lavoro. Oltre ai pezzi originali di Browne, ci sono alcune cover tra cui una bellissima rivisitazione di Cocaine del bluesman Gary Davis datata 1968, The road di Danny O'Keefe, famosa in Italia perchè tradotta da Lucio Dalla e interpretata da Ron nel 1980, con la partecipazione di De Gregori e lo stesso Dalla. La divertente Stay di Maurice Williams, scritta nel 1960, chiude con ironia questo bel disco, sicuramente il più conosciuto di Jackson Browne e indubbiamente uno dei più belli, fantasiosi e originali, sia per la qualità dei brani che per la struttura e l'idea stessa dell'intero lavoro. La corsa nel vuoto non è ancora finita. E’ in arrivo il nuovo tour Americano, si riparte.

CD in uscita

³

è GLITTER AND DOOM LIVE Tom Waits Capita a volte che la musica debba consolare: “Fannin Street” è una delle tipiche canzoni che ti riconcilia con il mondo, come un buon bicchiere di barolo. Ascoltando le note strampalate di “Metropolitan Glide” sembra di leggere un libro di Bukowski. Per “resettare” il cervello c’è “Goin’ Out West”. In fondo non è quello che dovrebbe fare il rock’n’roll? Qualcuno gli ha rubato la copertina di rockstar dell’anno. è DE ANDRÈ CANTA DE ANDRÈ Cristiano De Andrè Questo cd è destinato ad entrare nella storia della musica popolare italiana. Segna la maturità artistica di Cristiano, “pacificato” con la grande eredità artistica del padre: adesso ha lui il timone. Bravissimo musicista, Cristiano arrangia in chiave più rock; elabora, ma con grande umiltà. (Guido Biondi)


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SECONDO TEMPO

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

La tosse di Giorgino di Paolo

Ojetti

g1 T Quando il presidente della Repubblica dice: “L’interesse del paese richiede che si fermi la crescente drammatizzazione…”, a chi si rivolge, ai magistrati che continuano a macinare carte, ai magistrati che raccolgono le testimonianze di pentiti o a chi sventola minaccioso un “clima da guerra civile” alla quale mancano solo i carri armati e le schioppettate nella strade? Per il Tg1 non ci sono dubbi: Napolitano è al fianco di Berlusconi e contro i magistrati che si impicciano dei fatti degli altri, soprattutto se potentissimi e intoccabili. Insomma, è stata la giornata di Napolitano santo subito mentre, nel contempo, il “premier” ha risolto tutto nella notte: il processo sarà breve e agli immigrati (Fini può andare a casa) il voto non glielo darà mai. Ma questo scudo spaziale, con cui il Tg1 imbozzola Berlusconi, si infrange subito, quando Giorgino (in preda ad alcuni colpi di tosse psicosomatici) annuncia: venerdì prossimo ci sarebbe l’udienza Mills, ma il premier non può, è impegnato nel consiglio dei ministri.

g2 T Torna il discorso di Napolitano che, alla fine,

è come se avesse parlato a reti unificate. Al riascolto, si coglie con più chiarezza che il presidente della Repubblica vorrebbe riportare nell’alveo parlamentare ogni dibattito sulla riforma della Giustizia: speranza vana, visto che il comportamento extraparlamentare di Berlusconi è consolidato. La cronaca è piena, dai Brenda al processo Meredith. Vale la pena di notare come si siano rispolverati toni ottocenteschi, tipo: “Guardate l’imputata, ora dall’aspetto di una Santa Maria Goretti, ora dalla personalità luciferina…”. Vette da un giorno in pretura.

g3 T Napolitano-ter, ma la sostanza non cambia. Cambia un po’ la forma, perché il Tg3 accosta come un \pugilistico uno-due la diffida di Napolitano alla magistratura debordante alla seconda fuga di Berlusconi dai suoi processi (“Udienza Mills, per carità, c’è un altro legittimo impedimento” parola dell’onorevole avvocato Ghedini). Napolitano vola alto, Berlusconi vola rasoterra. I commenti si bilanciano: Gasparri (questa volta nei panni di Montesquieu) piroetta dalla gioia per Napolitano, Rosy Bindi difende i magistrati “sotto il perenne attacco del presidente del Consiglio”. Chi non lascia la presa è Veronica Lario. “Berlusconi - commenta Mariella Venditti nel suo pregevole servizio rischia di non restare fra i più ricchi del mondo”.

di Nanni

Il mieloso Don Matteo Delbecchi

vero che l’abito non fa il E’ monaco, però fa la fiction. Se Don Matteo, proprio in chiusura della sua trionfale settima serie, rischia di rimetterci la tonaca, la cosa non è certo di poco conto. Eppure è proprio quello che capita nell’ultimo episodio andato in onda giovedì su Raiuno. Si sospetta che il sacerdote-detective, per far catturare l’autore di un tentato stupro, abbia fatto una telefonata anonima alla questura, infrangendo il vincolo della confessione. Apriti cielo, è il caso di dirlo. Il don verrà sospeso a divinis, costringendo gli spettatori della serie (quasi otto milioni) a vedere ciò che mai avrebbero voluto. Don Matteo senza tonaca svolazzante è come Nembo Kid senza calzamaglia bicolore, o Zorro senza mascherina e cavallo nitrente. Però non tutto è perduto; al padre con la forza dei nervi distesi restano la bicicletta e il basco. Gli basteranno per sbrogliare la matassa nei rimanenti 15 minuti dell’episodio; non solo i veri colpevoli verranno smascherati da lui stesso mede-

simo, ma si redimeranno in diretta, tra pianti e abbracci catartici, come se la questura e il confessionale fossero una cosa sola. Grazie a Don Matteo, la filiera Dio-Patria-Famiglia non è mai stata tanto breve. Con una mano consegna i rei confessi alla giustizia; con l’altra dà loro l’assoluzione dai loro peccati; e nei ritagli di tempo convince il maresciallo Nino Frassica che le intenzioni del capitano Tommasi verso sua figlia sono sincere. Uno dei punti di forza della serie è sicuramente Terence Hill, qui perfettamente in ruolo; cui bisogna aggiungere qualche scheggia di commedia affidata ai baffi e alla brillantina di Nino Frassica. Per il resto, trionfa la quantità industriale di buoni sentimenti, e pazienza se è inversamente proporzionale alla verosimiglianza. Forse la fiction funziona anche per questo suo estremismo missionario. Qui il bene non vince sul male 2-0 o 3-2; qui è sempre 6-0, 6-0. E’ il marchio di fabbrica delTerence Hill nei panni di Don Matteo: la fiction è in onda su RaiUno

la Lux Vide di Ettore Bernabei, specializzata in Santi, Evangelisti e Padri della Chiesa, e che da ormai sette anni sbanca l’auditel con questo eroe da cartolina piazzato in un’Italia da cartolina, tra i viottoli pietrosi e gli scorci mozzafiato di Gubbio, magnifica ma impervia, dove però Don Matteo scivola in bicicletta come se fosse sul velodromo Vigorelli. In fondo, è quello che Bernabei ha sempre fatto, anche piuttosto bene, fin da quando era la mente televisiva di Fanfani: una televisione semplice, pedagogica e sfrenatamente cattolica (l’unica cosa che non si capisce è perché si continua a ripetere “quando c’era lui”; c’è ancora, eccome se c’è). Andiamo dunque in pace in attesa di una nuova serie, già prevista; ma non pecchiamo di superbia con paragoni impropri. Don Matteo sta a Padre Brown come Chesterton sta a Bernabei e come Churchill sta a Fanfani. Accontentiamoci, anche perché chi si accontenta gode e non solo. In Italia, diceva Guicciardini, a stare coi preti non si sbaglia mai. A stare con chi sta coi preti, meno ancora.


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SECONDO TEMPO

MONDO

WEB

Tre attentati al giornale online ianni Lannes è un giornalista Ggiugno che fa nomi e cognomi. A ha aperto un giornale online d’informazione, con sede a Orta Nova, in provincia di Foggia. E’ stato collaboratore di numerose testate e oggi lavora per alcuni programmi Rai. Ma il suo giornale, Terra Nostra (italiaterranostra.it) in questi giorni ha deciso per un stop: “Siamo liberi, indipendenti e incondizionabili, ma il direttore non mette a repentaglio la vita e l’incolumità dei suoi collaboratori. Da oggi le pubblicazioni saranno congelate”. In pochi mesi di attività, infatti, ha ricevuto minacce e tre attentati: il 29 giugno, a due settimane dall’apertura, la prima lettera di minacce. Poi, a inizio luglio, un esplosione fa saltare in aria la sua automobile. Il 23 luglio vengono manomessi i freni della sua nuova auto. “Ho rischiato la vita”. I primi di novembre, ancora, un attentato incendiario gli distrugge l’ennesima automobile. Sul suo giornale, in Puglia, la regione che ospita le tre industrie più inquinanti d’Italia (la centrale Enel di Brindisi, l’Ilva di Taranto e la centrale ter-

moelettrica di Taranto) Lannes si è occupato di ambiente. Il primo numero era un monografico su 54 progetti che prevedono la costruzione di inceneritori in Puglia. La sua attività d'informazione è andata anche oltre il Web: “Siamo stati anche nelle piazze di Puglia, abbiamo fatto più di 50 presentazioni del giornale”. Ma ora altre minacce sono arrivate ai ragazzi che lavorano con lui e, recentemente, anche alla moglie. Da qui la decisione dello stop. “Leoluca Orlando ha fatto un’interrogazione in Parlamento – ci spiega – perché le indagini sugli attentati non sono mai partite. Quindi noi adesso ci fermiamo finché non arriveranno dei segnali. Non chiedo protezione per me. Ma per la mia famiglia e i miei collaboratori”. Questa la vita di un giornalista libero. E non in Russia, ma in terra di Capitanata.

è INBUCATI ALLA FESTA DI OBAMA LA SICUREZZA NON SE NE ACCORGE. LORO POSTANO LA FOTO SU FACEBOOK

Imbucati. Ma non a una qualsiasi “festa delle medie”, bensì a un party esclusivo alla Casa Bianca: il ricevimento del presidente Obama in onore del premier indiano. Due coniugi, Tarek e Michaele Salahi, di Federico Mello sono riusciti a entrare al ricevimento esclusivo, si sono fatti fotografare anche accanto al vicepresidente Joe Biden e al capo dello staff di Obama (si sono tenuti però a distanza dal presidente). Su Facebook i due hanno postato le loro è “CLICCA PER COPENAGHEN” foto al party esclusivo. Naturalmente sono UNA RACCOLTA DI FIRME DI AGENDA 21 scoppiate le polemiche: se chiunque può Il 7 dicembre comincia Copenaghen il avvicinarsi al presidente, l’America è Vertice sul clima per la riduzione dei gas davvero un paese sicuro? serra (Obama ha confermato la sua presenza). L’associazione Agenda 21 (nata per favorire lo sviluppo sostenibile) chiede a sindaci e amministratori degli enti locali di firmare l’appello indirizzato al ministro Prestigiacomo: “Le chiediamo onorevole ministro di farsi portavoce di quell’Italia che vuole che a Copenaghen venga sottoscritto un accordo vincolante che contempli soluzioni ambiziose e di lungo termine per una reale riduzione dei gas climalteranti”.

feedbac$ k è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “I soci di Schifani? Arrestati, condannati e confiscati” di Peter Gomez e Marco Lillo Ormai le fanno passare per cose normali, vero?!? Vergogna!!! Ma quando inizieremo a svegliarci in questo paese??? Meno male che esistono giornalisti liberi che danno la giusta informazione! Grazie!!! (Andrea) Al posto del vs. giornale lancerei una petizione popolare via Web per chiedere le dimissioni di Schifani, da indirizzare al presidente della Repubblica (Enzo) Schifani: io nun sacciù niente! (Roberto)

Il sito di Gianni Lannes, i due imbucati, l’appello di Agenda 21, il post di FrontPage

DAGOSPIA

LE MOSSE DI VERONICA

Gli operai dell’Alfa Romeo di Arese che in queste ore stanno ripulendo la tuta da indossare per l’ouverture alla Scala del 7 dicembre, sono sbalorditi dalla cifra esorbitante che Veronica Lario ha chiesto al più grande statista degli ultimi 150 anni. Perché un assegno di mantenimento di 43 milioni l’anno è una montagna di soldi che va al di là di ogni immaginazione. Ieri il quotidiano Libero ha pubblicato una tabella secondo la quale questo fiume di euro equivale a 3,5 milioni al mese, 119 mila euro al giorno, quasi 5 mila euro all’ora, e 83 al minuto. Sono cifre strabilianti che potrebbero proiettare la 53enne ex attrice bolognese nella classifica dei divorzi miliardari. Ma papi Silvio potrebbe reggere l’urto di una separazione così onerosa perché, al di là della sua ricchezza incalcolabile, da febbraio ad aprile di quest’anno si è fatto versare più di 166 milioni di euro dalle società controllate, una cifra equivalente a una paghetta mensile di 13,8 milioni. Veronica spostato il tiro sul vitalizio milionario di 43 milioni di euro all’anno evitando di aprire un contenzioso patrimoniale dall’esito incerto. La Lario non vuole la guerra, vuole i soldi, tanti, benedetti e per tutta la vita! Ai tre figli Barbara, Eleonora e Luigi ha spiegato che non è il caso di andare a toccare gli assetti di Marina e di Pier Silvio. Se poi qualcuno di loro vorrà squarciare il è LA SEGRETERIA PD? velo sulle “BRUTTINI E STAGIONATI” immense fortune di SUL BLOG DI VELARDI E RONDOLINO papi Silvio sparse per Il blog è quello di Claudio Velardi e Fabrizio il mondo, questo è Rondolino i “due vecchi arnesi della politica è STOP AGLI ASSEGNI uno spettacolo che e della comunicazione” e storici ABOLITI IN UK DAL 2018 all’ex attrice non collaboratori di D’Alema a Palazzo Chigi. Il Molti giovani non li conosceranno interessa. tratto del blog è spiazzante e provocatorio. mai. Parliamo degli assegni, fino a Il post di apertura è dedicato al lato estetico una decina di anni fa strumento fondella nuova segreteria del Pd: “La squadra damentale per pagamenti e versache ha scelto il segretario Bersani è menti di denaro. Il Inghilterra c’è composta da quarantenni, bruttini e, a detta già una data ipotetica per il suo funerale: il 2018. Se nel sua, sperimentati” scrive l’anonima 1990 ogni giorno venivano staccati 11 milioni di as“Barbara”. Ce n’è per le ragazze: segni, con l’avvento dei pagamenti elettronici questa “Indossano l’austera divisa della donna di cifra nel 2008 è scesa a 3,8 milioni. L’abolizione posinistra: giacca, camicetta e finta pashmina trebbe causare qualche problema. “Siamo consapevoli – chilometrica appoggiata sulle spalle”. E i ha dichiarato al Daily Mail Sandra Quinn, del Payment ragazzi: “Respingenti come porcospini, Control Uk – che molti anziani, disabili e persone svanquasi hanno paura di sorridere perché già taggiate hanno bisogno di valide alternative. Se comunsanno che nessuna ragazza dirà mai loro di que decideremo di abolirli passerà molto tempo prima sì”. Eppure, secondo V&R “l’apparenza è che la delibera entri in vigore”. Il 2018 appunto. Il paessenziale”, l’ha capito B: “Silvio è una tavola gamento tramite assegno è in uso da 350 anni. omogenea riflettente alla perfezione le luci degli studi televisivi”. E che dovrebbero fare questi giovani emergenti? “Per favore, uscite e andate a fare shopping”.

Ma il servizio di riabilitazione preparato dal TG5 ieri? Nessuno dice nulla? Vuoi vedere che Schifani si è preparato quella lettera minatoria proprio per passare in prima notizia sui tg nazionali? Ieri sera lo hanno praticamente santificato. È stato descritto come Criptonite Renato, l’intoccabile. Condannato a morte dalla mafia, perché reo di aver messo il bastone fra le ruote ai più pericolosi mafiosi degli ultimi vent’anni (Giulio Giulio) Non sto dicendo che Schifani sia un mafioso, a questo punto non mi interessa neanche più saperlo, sarà un problema dei giudici: però per quanto mi riguarda non è assolutamente opportuno che un personaggio, diciamo quanto meno ambiguo, sul quale versa un ragionevole dubbio, abbia fatto la carriera politica che ha fatto e che ricopra oggi la seconda carica dello Stato (Paola) Grazie per tutto il lavoro che fate per tenerci informati. Ammiro il vostro coraggio e la vostra costanza (Fiammetta) In “2001 Odissea nello spazio” il computer di bordo si chiamava HAL che in un gioco di lettere stava per IBM infatti I è la lettera successiva alla H, B quella successiva alla A e M quella successiva alla L nello stesso modo PDL diventa QEM che potrebbe stare per Quegli Emeriti Mafiosi (Atamata) Incredibile, ma Carlo Azeglio Ciampi, che sicuramente non è un giustizialista eversivo, ha detto esattamente quello che diceva Marco Travaglio (Neriana) La logica di mandare una lettera minatoria è di intimorire qualcuno che possa svelare segreti. Qui solo i collaboratori di giustizia stanno parlando, dunque la logica vuole che le lettere dovrebbero essere inviate a loro e non a Schifani di cui parlano. Ergo la lettera inviata a Schifani non può essere vera ... (Jugurtha)


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SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE Favoletta sulla giustizia di Giacomo Urbano (*)

era una volta, tanto tempo fa, una Procura ai confini dell’Impero, in una landa sperduta ma baciata dal mare. Una Procuretta, una Procurina, una Procura da Operetta, tanto carina e a volte un po’ cattivina. C’era anche un Tribunale, degno compare, affollato di giovani fanciulle snelle e brune e dotti palestrati giuristi. Pubblici ministeri di terre lontane, belli, brutti e cattivi svernavano al sole, appollaiati su scogli e spiagge dorate. Tutti sordi al liceo, al motto paterno: “Studia Mario, studia, sennò da grande farai l’avvocato dell’Accusa”. E quello facevano, tra un bagno e un’immersione, un’arancina e una prolusione. E nei ritagli di tempo tra gli uni e gli altri, cercavano, invano, di indagare e requisire, dibattere e rinviare, concludere e misurare e forse anche pensare. E pensando pensando, l’Ufficio girava, produceva, forse anche lavorava. Perché carabinieri del Re, finanzieri del Principe e tante altre polizie Criminali chiedevano, istavano e pretendevano. Così come pure faceva il Foro, perché, poi, c’era anche un Foro a Terminopoli. Anche se, e succede persino nelle migliori famiglie, c’era modo di vedere uno spettacolo esecrabile: insieme al bar caffettare giudici e cancellieri, avvocati e pm, tutti insieme appassionatamente. Quegli stessi avvocati che avevano la ventura di bussare alle porte dei Magistrati del Re trovandovi un avviso fantasma, “si riceve dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 19, esclusa pausa cannolo, il sabato mattina fino alla 13”.

C’

però! Per caso, accaPeranoeccato, deva che: - le prescrizioni rare, quasi come i coralli rosa di Sciacca; - le informative di pg e le richieste di misure cautelari giacevano sul tavolo dei pm giusto il tempo di scaldarlo, senza avere su quello del gip nemmeno il tempo di farlo, dimodoché il giudice riceveva il fascicolo, ormai freddo, pronto per la decisione con la misura ancora in atto, semmai; ma così

Storia semiseria di una Procuretta su un’Isola del Regno dove un tempo i processi erano (davvero) brevi Poi gli emissari del Re statuirono: mai più uditori giudiziari E allora tutti al mare l’Ufficietto, con questi tempi, aveva la velleità di dare alla misura cautelare una vocazione diversa da quella sua unica, naturale e costituzionalmente corretta: l’anticipazione di pena (o no?); - quella strana legge sulla sospensione dei processi, introdotta nell’anno del Signore 2008, non era stata mai applicata in quelle aule calde e sordide, se non per ricordare, in un paio di casi, che quell’Ufficio ancora riposava sul territorio della Repubblica. Per queste ragioni, e altre meno nobili (???), di certo malissimo, “il combinato disposto” Procurina-Tribunale cercava, e fors’anche riusciva, a dare risposta a quella futile, pretenziosa e superflua domanda, orgoglio della nazione, l’unica cui erano realmente interessati Carmelo e Rosalia: i letargici Tempi della nostra Giustizia. Eh, si perché a Carmelo e Rosalia, interessava (si suppone) che la querela fatta per le minacce o il furto o le molestie fosse vagliata ed esitata rapidamente. Si pensi un po’: dall’iscrizione nel registro degli indagati alla sentenza, spesso, passavano, a Terminopoli, dieci o dodici lunghissimi, interminabili e inaccettabili mesi! Ma tutto questo non contava, l’importante a Berlino era discutere e affannarsi, legiferare ed emendare sul sesso degli angeli, sulla separazione (giudiziale, convertita in consensuale) delle carriere, sulla giustizia fai da te, sull’inazione penale, sulle intercettazioni. Ed ecco, allora, che il

Assalto (fallito) all’energia verde di Carlo

Stagnaro*

enza certezza, nessuno investe. Un paese che ai guasti della crisi aggiunge un deficit strutturale di crescita negli anni in cui il mondo correva, dovrebbe stare molto attento. L’Italia, in modo bipartisan, non lo è: lo dimostrano due storie parallele, che si sono fortunatamente chiuse bene, manon senza danni. Sono le storie di due emendamenti. Uno contro le fonti rinnovabili, l’altro contro il settore dell’energia in generale. Sono due storie di populismo, due storie di miopia politica, due storie di cambiamenti azzardati e feroci. Per diversi

S

giorni è circolato un emendamento di incerta paternità, che molti hanno ricondotto all’area leghista. Se approvato, avrebbe assestato un colpo micidiale al settore delle energie verdi al punto che il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, aveva parlato di porcata bis (una chiara frecciata al responsabile della Semplificazione, Roberto Calderoli). Infatti. Terna il gestore della rete elettrica nazionale avrebbe dovuto presentare, ogni anno, un piano decennale per indicare quanta energia verde può essere prodotta e dove. Nelle zone segnalate come critiche, il valore degli in-

Gran Cancelliere del Re decideva di venire incontro agli improvvidi fidanzatini, alla loro richiesta di giustizia in tempi ragionevoli, alle loro querele per furti e truffe, pensando bene che la soluzione fosse quella di neutralizzare quelle mine vaganti degli Uditori Giudiziari, terribili Torquemada travestiti da Asini (per non avere dato retta ai papà di cui sopra), novelli tronisti televisivi in cerca di riflettori o magari di candidature. Braccia tolte all’agricoltura e per affinità elettive mandati in uffici di Campagna... Ma che Dio benedica la Campagna, Cancelliere! Mai più in Procura i neofiti, fu sentenziato. Certo la recente storia giudiziaria italiana era stata costellata di tragedie nate da cappellate di Uditori pm, trasferiti di ufficio e di funzioni e mandati al confino. Erano strapiene le pagine della cronaca di migliaia e migliaia di casi e bisognava intervenire per tutelare Carmelo, il mugnaio di Potsdam. Peccato che quegli stessi Uditori nulla disponevano ma solo chiedevano al Giudice di Berlino, e nulla potevano fare senza visti di Aggiunti e Procuratori. Ma, si sa, i Visti bisogna vederli. E che dire poi dei loro orari di lavoro da Bartleby lo scrivano, di quel badge tanto agognato ma solo minacciato, della ventata di freschezza e di gioventù (per chi ce l’ha) e di entusiasmo (che già forse non c’è più) che portavano negli Uffici, dei loro dialetti strani, del loro look alla Serpico, delle loro

IL FATTO di ENZO

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bizzarre specialità regionali, dei loro contributi alla Virtus Magistrati, delle loro nottate in discoteca alternate con quelle passate a scrivere improbabili atti giudiziari o trascorse in caserma o a pensare alla loro lontana Simona, delle loro nostalgie melense e, magari, del vantaggio di non avere legami con il Territorio. Tutte cose da eliminare e sacrificare sull’altare di cosa? Boh. Peccato ancora che a Terminopoli, da ben tre lustri, nessuno chiedeva un trasferimento ordinario per lavorare in Procura e l’Ufficio si reggeva unicamente con la rotazione degli uditori! Nessun problema, si risolverà tutto, la nostra arte di arrangiarsi è famosa nel mondo. Ma che sarà mai un Ufficio dove si eseguono gli ordini di demolizione in edilizia? Lo si fa diffusamente in tutto il resto d’Italia, o no? O dove si sfornano sentenze come panelle sempre rispettando i termini? O dove le ispezioni ministeriali sono sempre positive? E così in un non lontano giorno di un’estate che andrà morendo, quell’Ufficietto appenderà il cartello del Sold Out, si prepareranno gli scatoloni con le foto della mamma e i calendari dell’Arma (una Lehman Brothers replicata in agrodolce con caponata e sarde), gli Avvocati se ne andranno a sciare, i Cancellieri a cantare, il Commissario Basettoni a dirigere il traffico, con la Banda Bassotti avvertita che il campo è libero. (* Pm presso la Procura di Termini Imerese) La statua della Giustizia a Milano

I codici deontologici, la morale per categorie, dovrebbero in qualche modo completare i Dieci Comandamenti. Ce n’è uno che esorta: “Non dire falsa testimonianza”. Può valere anche per: “Non alterare le notizie, e non nasconderle.” (1995)

Appare e scompare un emendamento alla Finanziaria che distruggerebbe il business delle rinnovabili Chi investe nel settore del futuro se non ci sono regole certe? centivi sarebbe stato drasticamente ridotto. Al di là della botta finanziaria, l’aspetto più preoccupante era un altro: si sarebbero assegnati a un soggetto formalmenteprivato (Terna) compiti di pianificazione che nessuno, pubblico o privato, dovrebbe esercitare. Ciliegina sulla torta, si stabilirebbe il prin-

cipio percui l’offerta di energia dovrebbe rispondere non alle libere decisioni delle imprese e ai bisogni della domanda, ma alle scelte più o meno arbitrarie del gestore della rete. Sarebbe come attribuire ai gestori autostradali compiti di pianificazione urbanistica, in base al principio che le città dovrebbero sorgere dove ci sono i caselli, e non viceversa. Ora l’emendamento è stato ritirato, ma non senza ferire il tessuto industriale: Roberto Longo, capo dei produttori di energia rinnovabile, ha parlato di un danno molto pesante, una turbativa di mercato, si potrebbe persino parlare di aggiotaggio visto che molte delle nostre aziende sono quotate in Borsa. Contemporaneamente, le commissioni Affari costituzionali e Lavoro del Senato hanno approvato un emendamento targato Pd, poi soppresso dall’aula, che avrebbe portato la Robin Tax, cioè l’addizionale Ires per le im-

battibecco

É

di Massimo

Fini

MAGISTRALI EVERSIONI Q

uando nel 1994 Silvio Berlusconi, neo presidente del Consiglio, fu raggiunto a Napoli da un “avviso di garanzia” a un giornalista che gli domandava: “E se fosse condannato?”, rispose: “Sarebbe una sentenza eversiva”. Fu la sua prima dichiarazione eversiva. Anzi, il suo primo atto eversivo. Perché dichiarare “eversivo” un provvedimento della magistratura significa non riconoscerne la legittimità né quella dello Stato di cui è organo, l’atteggiamento che avevano i brigatisti quando si dichiaravano “prigionieri politici”. A questa prima dichiarazione ne sono seguite infinite altre dello stesso tipo. In terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale, Berlusconi premier dichiarò, mentre Aznar lo tirava disperatamente per la giacca, che Mani Pulite, cioè inchieste e sentenze dello Stato italiano di cui pur, in quel momento, era presidente del Consiglio, erano state “una guerra civile”. Poi non c’è stata volta che lui o i suoi sodali siano stati raggiunti da un provvedimento giudiziario che non abbia parlato di “complotto” dei magistrati, di “toghe rosse”, di “sentenza politica”, affermazioni che hanno tutte lo stesso significato eversivo perché accusano, senza prove, i magistrati, fossero pure della Corte costituzionale, di aver commesso il più grave dei reati che si possa loro imputare: non aver applicato le leggi ma averle piegate a dei loro scopi politici. Naturalmente tutte le volte in cui i provvedimenti della magistratura gli sono stati favorevoli, Berlusconi si è lanciato in alti elogi per “le procure che lavorano sodo e in silenzio”. a magistratura è come l’arbitro di una partita di calcio. Dell’arbitro si può dire che sbaglia, che è incapace, che non ci vede, ma se un giocatore sostiene che è corrotto e non ne accetta i fischi quando sono contro di lui, ma d’altro canto pretende che siano validi quelli contro gli avversari, la partita finisce in una zuffa perché, prima o poi, anche tutti gli altri giocatori si comporteranno allo stesso modo. Fuor di metafora: si rompe il patto sociale che ci tiene insieme. E si va verso una guerra civile. Nel nostro caso, in Italia, non ci sarà nessuna guerra civile. Siamo troppo slombati, troppo vigliacchi, troppo privi di nerbo, e dalle nostre fondine possiamo estrarre, al massimo, il telefonino. Anni fa il ministro della Giustizia Roberto Castelli voleva farmi arrestare perché, di fronte alle ripetute violenze di Berlusconi, chiusi il mio intervento al Palavobis con una frase presa dal Pertini che si batteva contro il fascismo: “A brigante, brigante e mezzo”. Purtroppo non siamo stati briganti, né interi né mezzi, abbiamo accettato di batterci a mani nude, e spesso con una legata dietro la schiena, con chi non solo le usa tutte e due, ma impugna il bastone. E così siamo arrivati alle dichiarazioni dell’altroieri, che non sono “pesanti” sono di una gravità inaudita, inaccettabile. Ma non ci sarà nessun ministro della Giustizia che interverrà per mettere l’energumeno nell’unico posto dove merita di stare. www.ilribelle .com

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prese energetiche, da 6,5 a 7,5 punti percentuali. Introdotta da Giulio Tremonti per finanziare la social card, la tassa che porta il nome dell’eroe britannico ha reso assai più del necessario (come ha documentato MilenaGabanelli in una puntata di “Report” dedicata al fallimento della carta sociale). Per di più, pochi mesi fa era stata incrementata da 5,5 a 6,5 punti per finanziare l’editoria. Se il rincaro fosse stato approvato – ed è parso assai probabile in un certo momento – si sarebbe arrivati al 7,5 per cento, portando l’aliquota Ires per un solo settore al 35 per cento, contro il 27,5 per cento di tutti gli altri. Anche senza questo incremento, comunque, il settore energetico, bisognoso com’è di investimenti, è tassato in modo discriminatorio e ingiustificato. Il problema è che sparare sui petrolieri (anche se poi ci vanno di mezzo una serie di altri soggetti, a partire dalle uti-

lities) è populismo facile, ma anche segno dell’incapacitàdi affrontare in modo organico i problemi del prelievo e della spesa pubblica. Le due iniziative, tramontate, muovono da sensibilità e rispondono a interessi diversi. Da un lato c’è la preoccupazione per l’impatto che le rinnovabili possono avere sulle bollette dei grandi consumatori industriali del nord; dall’altro l’accanimento terapeutico su una categoria che suscita sempre la tentazione del linciaggio politico. Ma dietro a quello che si vede, c’è quello che non si vede: il continuo intervento, peggiorativo, su settori ad alta intensità di capitale. L’immagine che l’Italia trasmette è quella di un paese cinico e baro, inaffidabile ed esoso. Forse è quello che ci meritiamo: non quello che ci serve. E’ come dire: abbandonate ogni speranza, voi che investite. *Direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni


Sabato 28 novembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL La pillola abortiva e i rapporti col Vaticano Dopo che la commissione sanità del Senato ha approvato il documento finale per lo stop alla pillola abortiva Ru486, il senatore Gasparri ha avuto il coraggio di dire che questa è una vittoria per la salute delle donne. Ma perché non ha il buon gusto di ammettere che lo fanno esclusivamente per ricucire i rapporti col Vaticano e che della salute delle donne a loro non frega proprio niente? Gino

Caro Partito democratico ti scrivo Caro Partito democratico, voglio venirti in soccorso qualora le parole di Rutelli ti abbiano troppo spaventato (ha detto che sei troppo a sinistra). Tranquillizzati, non è così. Ma se volessi finalmente dare una sterzatina e recuperare qualche voto, prima che Fini ti sorpassi a sinistra, ti suggerirei di cominciare dal problema della giustizia (sentitissimo dalla squadra delle libertà). Potresti mandare il tuo nuovo papà Bersani da Silvio B. a dirgli: “Sire, è dal 1994 che fa stracci dei suoi processi senza che noi abbiamo in alcun modo interferito nelle sue questioni, ma adesso la cosa ci sta un po’ infastidendo, per cui cosa ne pensa di farsi processare almeno una volta, giusto per vedere che effetto fa? In cambio noi poi potremo discutere di tutte le riforme che vuole

Furio Colombo

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A DOMANDA RISPONDO TRAVAGLIO E IL CONTRADDITTORIO

aro Furio Colombo, hai notato che proprio la parte più avversa e sprezzante verso la par condicio adesso la vuole dovunque in Rai, non in Mediaset al punto da produrre confronti forzati in programmi come “Annozero”, tipo Capezzone che fiancheggia Travaglio come un angelo sterminatore? Vanessa

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HO NOTATO. E poiché conosco la

testarda coerenza della nostra non proprio liberale controparte, e dunque mi aspetto che qualche “angelo sterminatore” compaia accanto a Travaglio (magari anche nel tempo libero e mentre scrive) per estirpare il più presto possibile l’erba velenosa dell’antiberlusconismo, ho pensato ad alcune questioni che il settore “Berlusconi-Mediaset” il cda Rai dovrebbe affrontare subito. Indico alcuni punti fra tanti. 1) Il Papa. Quasi ogni frase del Papa è una forte affermazione di parte. Una volta stabilito che ogni intervento della tv pubblica può essere trasmesso solo con contraddittorio, come si farà all’Angelus della domenica? E coi discorsi del Papa? Se dice che il relativismo è il grande nemico, lasciamo perdere? Perché Travaglio con il contraddittorio e il Papa no? 2) Le frequenti dichiarazioni della Cei, che spesso si occupano di aspetti sociologici e politici della vita italiana non dovrebbero essere immediatamente seguiti da un “diverso parere” di competenti delle stesse questioni? 3) Bruno Vespa è cosa diversa dagli ospiti di Bruno Vespa. Dice, fa, interviene, interrompe, rassicura, fa perdere il filo e lo restituisce, con piena libertà di comando, dalla

IL FATTO di ieri28 Novembre 1908 C’è una rivista, “Il Prometeo”, che più di ogni altra segna l’inizio dell’avanguardia artistica e dei primi fermenti futuristi nella Spagna di inizio Novecento. Manifesto di cultura presurrealista, nato nel novembre 1908 e affidato alla anarchica genialità di Ramón Gómez de la Serna, santone di tutti gli sperimentalismi culturali dei primi del secolo. Simbolo di quella “Generaciòn del ‘14”, rappresentata da intellettuali come José Ortega y Gasset e Manuel Azana, “Il Prometeo”, portavoce dell’avanguardia spagnola, diventerà famoso per aver pubblicato, a soli due mesi dalla comparsa ufficiale a Parigi, il Manifesto Futurista di Marinetti, facendo irrompere nella Spagna “passatista”, la rivoluzione marinettiana. Dopo l’exploit su Le Figaro, “Il Prometeo” sarà la seconda grande vetrina per Marinetti, che, in simbiosi con De La Serna, dedicherà agli spagnoli un suo personalissimo “proclama futurista”, carico di imprecazioni contro i luoghi comuni dell’immagine iberica: preti, frati, cattedrali, ardore sessuale. Un mix di invettive antitradizionaliste concluse con il celebre appello”… spagnoli, occorre estirpare in modo definitivo il clericalismo e distruggere il suo corollario intossicante, il carlismo”. Giovanna Gabrielli

col suo successore”. Quando Silvio B. ribatterà che la magistratura è di sinistra, papà Bersani potrebbe fargli presente che le sentenze e i testimoni non li ha comprati-corrotti il Pci e magari fargli timidamente presente che lui, magno Silvio, è l’unico presidente del Consiglio della storia repubblicana con più procedimenti a carico che capelli. Quando sbraiterà “comunisti”, caro Partito democratico, fallo riflettere sul fatto che

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sotto i due governi di centrosinistra a nessuno di voi è venuto in mente di abrogare la legge sul falso in bilancio, o di fare alcunché per interferire nei suoi affari o per evitare che si ricandidasse, per non parlare del conflitto d’interessi. Se tutto questo non dovesse servire, mio Pd amatissimo, arrenditi pure, offrigli l’immunità tombale, un salvacondotto per le Cayman e pagagli pure le spese del divorzio. In cambio, forse, lui potrebbe fi-

tolda del suo poderoso galleggiante. Mettergli accanto, mettiamo, Travaglio , pronto a ricordare l’imputazione giusta al momento giusto non mi sembra insensato, se entra in vigore il principio “mai più senza contraddittorio”. 4) Quando parla, a reti unificate o in esibizione solitaria, il presidente del Consiglio, possiamo lasciarlo solo, senza una voce che rappresenti gli italiani estranei al mondo di Arcore e di Mangano? Il problema si pone anche nei monologhi a “Porta a Porta”. Qualcuno, a nome della società civile, deve per forza stare accanto ai direttori di giornale trasportati sul posto, disorientati e muti. Se ascoltano anche una sola obiezione al potere potrebbe crearsi una luce capace di orientare le loro difficili vite. 5) Come si riequilibrano le interviste? Per esempio quella con il giornalista tedesco che ha visto donne incinte e bambini respinti in mare da navi italiane? Si intervisterà uno dei naufraghi o uno di coloro che hanno dato l’ordine delittuoso? Come si vede, se passa la decisione del contraddittorio, continuo, non è detto che il guaio cada solo sulle spalle di Marco Travaglio e di “Annozero”. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

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IL FATTO QUOTIDIANO non usufruisce di alcun finanziamento pubblico

Mauro Pigozzi

Marrazzo scrive al Papa ma non ai suoi elettori Marrazzo ha scritto al Papa per ottenere il “perdono delle sue debolezze”. Mi chiedo come mai Marrazzo non chieda scusa all’opinione pubblica e al suo elettorato per la sua condotta. Credo che il fatto (appunto) sia molto indicativo. In fondo, chi ha avuto fiducia in lui sono proprio gli elettori, veri delusi dalla vicenda. Un cordiale saluto Ovidio Graziano

I nostri errori Per uno spiacevole disguido, l’articolo di Oliviero Beha intitolato: “Una modesta proposta: silenzio stampa per gli imbecilli” è uscito senza gli ultimi capoversi che qui riportiamo, scusandoci con l’autore e con i lettori: Gli scenari sono due: le moltitudini (!?!) sugli spalti solo sguaiate e non “razziste” sia pure con le virgolette che ho cercato di spiegare fin qui, contageranno in positivo gli ul-

LA VIGNETTA

nalmente lasciare in pace questo paese. A presto caro Pd, prendi un caffè e datti una svegliata. Camillo Merante

Iran e Brasile, guardiamo oltre Dico la mia in merito alla visita del presidente iraniano Ahmadinejad nel Brasile di Lula. Premettendo che non ho alcuna stima, e anzi disprezzo profondamente il teocratico presidente dell’Iran per le sue posizioni beceramente antisemite e negazioniste, mi duole però constatare che voi attaccate il presidente Lula per i rapporti commerciali tra i due paesi. Mi sembra quantomeno ingeneroso, perché i primi due partner esteri commerciali della Repubblica islamica sono Germania e Italia (anche sotto il governo Prodi) e se finora sul piano delle sanzioni all’Iran si è rimasti più sul teorico che sul concreto, è anche perché l’Ue stessa fa affari d’oro con Ahmadinejad. Perciò, si può discutere sull’accoglienza, ma forse Lula è meno ipocrita dei vari Berlusconi (che però non disdegna farsi bello con Gheddafi) e Merkel, che davanti a loro digrignano i denti e dietro stringono, metaforicamente e non, le mani. Secondo me dietro il difetto della sinistra di

dirsi anti isreliana, c’è invece una nuova mappa economica mondiale che si sta intovolando nell’emisfero sud, partendo proprio dalle nuove potenze continentali del Sudamerica come il Brasile, che ha vissuto fin troppi anni, come tutti voi potete riconoscere, sotto il tacco nordamericano (con tutto il contorno tragico e sanguinario che sappiamo), e forse ormai sono stufi, nonostante Obama, delle imposizioni nel “giardino di casa” dello scomodo alleato di un tempo. Quindi, riconoscendo i pericoli che vengono dal presidente iraniano, non credo che possa fare del male al Brasile più di quanto non avesse fatto il tristemente famoso “Plan Condor” degli anni ‘60 e ‘70, e,

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).

quindi, farei una riflessione più ampia e che vada oltre certi temi su quello che accade a sud di noi. Resto comunque un abbonato della prima ora del Fatto, e ho grandissima stima nei vostri confronti e in tutta la redazione per quello che fate e scrivete, buon lavoro e grazie dell’impegno quotidiano.

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tras che andranno a scemare almeno in questo. Oppure le cose continueranno o peggioreranno e allora si vedrà se la legge promulgata è sbagliata oppure inapplicabile. Ma alme-

L’abbonato del giorno ENRICO E ALESSANDRA Il Fatto non conosce limiti: dopo i neonati, abbiamo scoperto che tra gli appassionati ci sono anche i felini! Ecco cosa ci scrive Ciccetta, tramite la sua padrona: “Ciao a tutti! Io sono Ciccetta e abito in Sardegna con Alessandra, Enrico e la piccola Anna. Anche io ho scelto di leggere le notizie graffianti de Il Fatto Quotidiano. Avanti così che siete sulla strada giusta! Miao.” Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

no si giocherà senza ipocrisie a carte scoperte. L’altra partita, forse ancora più importante di questa, la giocano i media che finora hanno combinato una serie di pasticci. Ebbene, smettano di fornire la cassa di risonanza agli ultras dei cori, quelli specifici anti-Balotelli e quelli generalisti anti-tutto, non ne parlino se non per spiegare che la tal partita è stata sospesa in base alla legge art.x sul razzismo da stadio. Simili decisioni concordate insieme per un “silenzio stampa” igienico sono state affrontate e a volte assunte a cuore non proprio leggero in periodi ben più gravi, con il terrorismo fin dentro casa. Non si può condividere e applicare a maggior ragione un black out di questo tipo per vedere se succede qualcosa di positivo (non vedo come potrebbe peggiorare la situazione…)? E non mi si dica che gli ultras non leggono i giornali, non vedono la tv, non ascoltano la radio o praticano il Web solo settorialmente. Sarà anche vero, ma da animali da branco fiutano il vento e si rafforzano se “provocati”. Su, consultiamo qualche etologo e vediamo se può essere utile un’iniziativa del genere, in barba alla “libertà di stampa” almeno ufficialmente tanto cara a questo paese.

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Si accende una nuova era. Eliminiamo le lampadine a incandescenza. Click. Le spegniamo per sempre. Le togliamo tutte* dai nostri scaffali entro la fine del 2009 per proteggere l’ambiente: in questo modo possiamo evitare l’immissione in atmosfera di 120.000 tonnellate di CO2 all’anno. Le mettiamo al bando per farvi risparmiare, offrendovi solo lampadine a basso impatto che durano molto di più. E lo facciamo in anticipo rispetto alle previsioni normative. Per tutti questi motivi, la nostra è una scelta illuminata. * ad eccezione delle lampadine speciali (frigorifero, forno, etc.).


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