Il fatto quotidiano (4 dicembre 2009)

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Fini teme lo scioglimento delle Camere, il premier un governo tecnico. Ora tra i due è guerra di posizione

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www.ilfattoquotidiano.it

€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Venerdì 4 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 63 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

SPATUZZA E MILLS BERLUSCONI NELLA TENAGLIA I Perché le stragi di mafia: parla il pentito

SOTTOTITOLIAMO IL MINI-STRO

di Marco Travaglio

Udi Antonio Tabucchi PRE SIDENTE NAPOLITANO IO HO CAPITO CHE e dichiarazioni di Enrico Letta e di Bersani Lgiudici, su ciò che deve fare Berlusconi ora che i essendo stato dichiarato incostituzionale il lodo Alfano, possono procedere nei suoi confronti, sono espresse in un sotto-politichese di comprensione non immediata ormai consustanziale a telegiornali e parlamentari. Che cosa vorrà mai dire, si chiede il comune cittadino, che “Berlusconi si deve difendere nel processo e dal processo”? Che uno si difenda nel processo è comprensibile, solo un flagellante non lo farebbe. Ma, “dal” processo? Cosa fa uno per difendersi dalla pioggia? pag. 6 z

Udi Gian Carlo Caselli LETTA JUNIOR E IL PROCESSO DI ROTTURA evoluzione della specie può riguardare anL’co Letta che il cosiddetto “processo di rottura”. Enriforse non l’ha avvertito, ma un nuovo capitolo di questa evoluzione lo ha scritto proprio lui, dichiarando al Corriere della Sera del 30 novembre di considerare “legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal processo”. Tesi strabiliante, perché equivale ad un’impropria riedizione del “processo di rottura”. Nella storia il “processo di rottura” è stato praticato dall’opposizione radicale, per amplificare una contrapposizione frontale allo Stato, con manifestazioni fra loro assai differenti e scarsamente comparabili: dalla Resistenza algerina alle Pantere Nere. pag. 18 z

Ieri sera ad “Annozero” tutta la verità sull’avvocato inglese, il cui processo anche oggi sarà disertato dal premier. A Torino è il giorno dell’ex fedelissimo dei Graviano: in aula risponderà sui referenti politici e le bombe del ‘93 pag. 2,3,4,5 z

Udi Marco Lillo

INTERVISTA x Parla Ilaria Cucchi

I BORSELLINO: DA SCHIFANI BASTA SILENZI

“Sulla morte di Stefano vergognoso scaricabarile”

soci di un tempo arrestaIdatisuoi e condannati per mafia. Ma quelle vicende Schifani “non ha preso le distanze”. Salvatore e Rita Borsellino denunciano “il silenzio” del presidente del Senato sui suoi rapporti pericolosi raccontati in queste settimane dal Fatto Quotidiano. “In politica non è possibile nessuna contiguità con Cosa Nostra”. Il fratello del giudice ucciso: “Basta, non voglio più personaggi come Schifani alle commemorazioni di Paolo”. pag. 3 z

CATTIVERIE Le parole di Fini su Berlusconi? Gasparri: “Certe cose non si devono neanche pensare”. Hai ragione, caro, non ti sforzare

D’Onghia pag. 9 z

Ilaria, sorella di Stefano Cucchi (FOTO ANSA)

TV x Introiti, Sky supera Rai e Mediaset

Crollo dell’Auditel nel Lazio dopo l’addio all’analogico 15,9% Rai e Mediaset dal 2003 a oggi hanno perso l’11,4, mentre Sky ha raddoppiato

Il digitale terrestre? Una boiata pazzesca di Beatrice Borromeo e Loris Mazzetti

a tv di Stato nel 2009 potrebbe non essere Lcambio più leader del settore. Si preannuncia un al vertice a favore di Sky, al momento in

testa

per

ricavi

e

pubblicità. pag. 10 z

npolitica

nmusica

A sinistra

De André,

Il 5 dicembre tutti in piazza è ancora storia dei San Giovanni a Roma: domani falce e martello concerti con Il Fatto il poster e la guida. Telese pag. 8z Benni, Bonazzi pag. 14z

l mini-stro Brunetta ha ragione: i conduttori televisivi vanno sottotitolati con i rispettivi stipendi. A pensarci prima, poteva invitare i consiglieri di maggioranza nel Cda Rai a bocciare l’incredibile contratto del pensionato Bruno Vespa, che guadagna quasi dieci volte la Gabanelli. Ma lui la lotta agli sprechi la fa così: prima li lascia passare, poi li mette nei titoli di coda. Ora però, sempre in nome della agognata trasparenza, Brunetta deve completare l’opera e sottotitolare anche gli ospiti dei talk show, a cominciare dai politici, con una sintesi di tutto ciò che i cittadini devono sapere di loro. Si potrebbe cominciare da uno a caso: Brunetta. Possibili sottotitoli: “Combatte l’assenteismo, ma al Parlamento europeo era assente una volta su due (51,79%)”; “Combatte gli sprechi, ma era consulente economico del governo Craxi che in quattro anni portò il debito pubblico dal 70 al 92% del Pil”; “E’ per la trasparenza, ma era consulente di Gianni De Michelis e, dopo che questo fu condannato per finanziamento illecito e corruzione, lo nominò consulente al ministero”; “Definisce il Csm ‘un mostro’, dice ‘sinistra di merda’, ‘basta con il culturame dei cineasti parassiti’, ‘poliziotti panzoni’, ‘giudici fannulloni’, ‘me ne frego della Cgil’, insulta persino Tremonti, poi vuole imporre per legge la gentilezza e la cortesia nella Pubblica amministrazione”; “Dice che, se non si fosse buttato in politica, avrebbe vinto il premio Nobel per l’Economia, infatti ha vinto il premio Rodolfo Valentino”; “Il suo motto è: esclusi i presenti”. Si potrebbe poi proseguire con alcuni suoi colleghi dal curriculum particolarmente avvincente. Roberto Maroni: “Condannato per resistenza a pubblico ufficiale per aver picchiato alcuni poliziotti durante una perquisizione e azzannato il polpaccio a uno di essi durante la caduta, è ministro dell’Interno per competenza anche gastronomica in materia di polizia”. Mara Carfagna: “Omissis, tanto ci siamo capiti”. Michela Vittoria Brambilla: “Imprenditrice del ramo mangimi per pesci, nota per aver mandato a picco Il Giornale della Libertà e la Tv della Libertà con un buco di 20 milioni in un solo anno, ora si dedica al Turismo, l’unica attività ancora vagamente funzionante nel paese, ovviamente prima del suo arrivo”. Maurizio Sacconi: “Fa il ministro del Welfare e della Salute, sebbene sua moglie sia direttore generale di Farmindustria, o forse proprio per questo”. Mariastella Gelmini: “Nemica acerrima delle promozioni facili, si recò a Reggio Calabria per sostenere l’esame di Stato da avvocato, essendo lei di Brescia”. Altero Matteoli: “Imputato per favoreggiamento di un prefetto, non lo è più perché il Parlamento l’ha assolto”. Stefania Prestigiacomo: “Indagata per peculato dopo aver usato la carta di credito ministeriale per lo shopping”. Claudio Scajola: “Definì Marco Biagi, appena ammazzato dalle Br, ‘rompicoglioni’ e ancora parla”. Umberto Bossi: “Pregiudicato per finanziamento illecito e istigazione a delinquere, dunque ministro delle Riforme”. Roberto Calderoli: “Amico intimo di Gianpiero Fiorani, sposato con rito celtico, dunque strenuo difensore di Santa Romana Chiesa e del crocifisso nelle scuole”. Raffaele Fitto: “Imputato in due processi a Bari per corruzione, turbativa d’asta e interesse privato, ha candidato nella sua lista Patrizia D’Addario e Barbara Montereale reduci da Palazzo Grazioli”. Angelino Alfano: “Indagato per abuso d’ufficio assieme a Fitto per aver tentato di stroncare la carriera al pm barese che ha fatto rinviare a giudizio Fitto, fa il ministro della Giustizia”. Gianni Letta: “Dalle ultime notizie risultava indagato a Lagonegro per truffa, abuso e turbativa d’asta”. Nicola Cosentino: “Solo un mandato di cattura per camorra, nient’altro”. Il premier è purtroppo esentato per motivi di spazio: i suoi precedenti penali sono però sottotitolati sui maxischermi dei migliori stadi d’Italia.


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Venerdì 4 dicembre 2009

Fotografi e media al processo per mafia contro il senatore Pdl di Giuseppe Lo Bianco

o chiamavano ‘‘u tignusu”, per via della sua calvizie, ma anche “colpo’’, o “di colpo’’, per la sua velocità con la pistola nel fare secchi i cristiani. Ufficialmente era un imbianchino che aspettava gli ordini di morte dei fratelli Graviano, boss di Brancaccio: una sera del ’92 con Vittorio Tutino rubò una 126 posteggiata alla Guadagna. Ma siccome non era un ladro, non riuscì a metterla in moto e dovette spingerla verso un magazzino poco distante appoggiando il paraurti dell’auto con cui era andato a rubarla. “Scene così inverosimili da apparire vere’’, commentano a Caltanissetta gli inquirenti che indagano sulle parole di Gaspare Spatuzza, la “bomba atomica’’ , secondo il presidente della Camera Fini, in grado di far saltare i delicatissimi equilibri che reggono il governo Berlusconi, chiamato in aula oggi a Torino a confermare le confidenze che gli avrebbe fatto il suo boss, Giuseppe Graviano, una mattina del ’94 al caffè Doney a Roma: “Graviano era esultante: mi disse ‘abbiamo avuto quello che volevamo, abbiamo il paese in mano perché abbiamo persone serie, come Berlusconi e il nostro paesano, non come quei crastazzi dei socialistì’”. E chi è “il paesano”? “Marcello Dell’Utri”. Centinaia di giornalisti anche dall’estero sono accreditati stamane nell’aula bunker del capoluogo piemontese per spiegare ai propri lettori come e perché in Italia la stabilità del governo Berlusconi dipenda dalle parole di un pentito di mafia che ha detto anche di avere visto il boss Filippo Graviano incontrare negli anni Novanta l’avvocato civilista Renato Schifani, poi diventato la seconda carica dello Stato. E da quelle di Gasparino, in particolare, che oggi decide l’agenda politica del paese: se conferma le sue accuse, scatena un prevedibile terremoto politico, se sta zitto, le sue parole potranno essere utilizzate per ulteriori indagini ma non avranno alcuna refluenza sul processo, visto che sono state rese oltre i 180 giorni previsti dalla legge. Killer veloce e preciso della famiglia di Brancaccio, Spatuzza è protagonista dell’intera stagione di violenza e aggressione alle istituzioni, dal ’92 al ’94: sedicente autore del furto della 126 utilizzata in via D’Amelio, ladro del Fiorino imbottito di tritolo in via dei Georgofili,

L

N

COSE LORO

ell’aula bunker del Palazzo di Giustizia di Torino è ormai tutto pronto per la deposizione di Gaspare Spatuzza. L’ex fedelissimo dei boss palermitani Giuseppe e Filippo Graviano, stamane comparirà per la prima volta in un pubblico dibattimento: quello a carico del senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, sotto processo, in appello, per

concorso in associazione mafiosa, dopo una condanna a 9 anni in primo grado. Una testimonianza carica di attese quella di Spatuzza: all’udienza si sono accreditati oltre 200 giornalisti italiani e di diversi paesi europei. Il pentito dovrà ripetere in aula quanto ha riferito ai magistrati di tre Procure – Firenze, Palermo e Caltanissetta –: e cioè che dai Graviano, in particolare da

COSA NOSTRA E B. LA VERITÀ DI SPATUZZA Le stragi, la trattativa e Forza Italia: oggi la deposizione che fa tremare il premier

Giuseppe, seppe, tra la fine del ‘93 e l’inizio del ’94, che Cosa Nostra aveva in Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi i suoi nuovi referenti politici. Si tratta di un “evento” con diretta su Radio Radicale. Antonio Di Pietro trasmetterà dal suo blog la diretta audio (www.antoniodipietro.it), e le videoriprese flash in tempo reale su YouTube e sul profilo Facebook.

di Cosa Nostra. A Brancaccio sono rigidi nella selezione degli ingressi e Spatuzza, assieme a pochi altri, è un killer fidato e spietato, ma non ancora uomo d’onore. Diventa l’uomo di fiducia dei Graviano: va a Firenze a piazzare il tritolo, e a Brancaccio a uccidere padre Puglisi, e su ordine loro riesce a fare abortire una studentessa fuori sede rimasta incinta dopo una relazione con un boss mafioso . È lo stesso pentito a raccontare di averla aggredita in casa costringendola ad assumere farmaci abortivi davanti la sua compagna di stanza legata e imbavagliata su una sedia. Quando, alla fine di gennaio del ’94, i suoi capi vengono arrestati a Milano nel ristorante “Il cacciatore’’, Gasparino passa gli ordini di Nino Mangano, il nuovo reggente della cosca, e, quindi, di Leoluca Bagarella. Ma la stagione delle stragi è ormai alle spalle, sugli uomini di

L’attesa per le “bombe atomiche” Il curriculum di un killer “redento e convertito”

Brancaccio inizia la pressione della Procura di Palermo e in pochi mesi vengono arrestati dalle forze dell’ordine coordinati dal pm Alfonso Sabella oltre 400 mafiosi, compresi gli ultimi uomini d’onore rimasti in circolazione: Luigi Giacalone, Fifetto Cannella e Giorgio Pizzo. Spatuzza continua a obbedire agli ordini di morte: si sposta al nord, a caccia del pentito Pasquale Di Filippo, e riesce persino a individuare l’edicola dove il collaboratore compra il giornale. E alla fine per lui arriva il salto di qualità: Matteo Messina Denaro e Brusca decidono di farlo diventare “uomo d’onore”. Ma una mattina, durante l’ennesimo blitz a Brancaccio, i poliziotti catturano Giovanni Garofalo, detto “culo di paglia”: da tempo senza guida la cosca di Brancaccio è ormai allo sbando, il picciotto si pente nella stessa volante che lo conduce in carcere e rivela: ho un appuntamento con Spatuzza. Gasparino finisce in manette quello stesso pomeriggio e subito manifesta la volontà di collaborare con la giustizia. A fargli cambiare idea è la moglie, e dovrà aspettare dieci anni prima di saltare il fosso, dopo una conversione religiosa e numerose lettere spedite al vescovo della diocesi del carcere. Oggi è chiamato a confermare quel che gli disse, raggiante, Giuseppe Graviano: “Dopo l’accordo con quello di Canale 5 abbiamo il paese nelle mani”.

IL LODO MICCICHÉ

Dell’Utri innocente ex libris

S agente di polizia in divisa per sequestrare il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, strangolato e poi sciolto nell’acido, membro del commando che massacrò padre Pino Puglisi, e uomo di fiducia dei corleonesi, che lo utilizzarono fino alla fine della strategia stragista affidando a lui il telecomando che doveva far saltare l’autobomba contro il pullman dei carabinieri un pomeriggio di gennaio del ’94, fuori dallo Stadio Olimpico. Spatuzza vuole fare una cosa eclatante, am-

iccome come Altan, anche noi talvolta siamo attraversati da pensieri che non condividiamo, ad “Exit” per un attimo ci siamo fatti conquistare dall’arringa di Gianfranco Micciché. Prima ha annunciato: “Vado via alle 22.10” (per lo share?). Poi ha tenuto una efficace requisitoria anti-Spatuzza: “Ha sciolto un bambino di 11 anni nell’acido!”. Purtroppo, preso dallo slancio, si è impegnato in una arringa pro Dell’Utri. L’incontro con Mangano? “Lo ha ammesso lui! Ma come faceva a sapere che era mafioso?”. Forse “Perché aveva già fatto 11 anni di carcere”, gli ha ricordato il nostro Gomez. Colpito. Ma “Micci” ha calato l’asso: “Marcello non poteva partecipare alla strage di via dei Georgofili!”. Perché sono morte 5 persone, pensi. Macché: “Ama troppo i libri per distruggerli”. Innocenza ex libris. L’orologio segnava le 22.35: se andava via puntuale, Micci si risparmiava una bella cazzata. (Lutel)

mazzare “almeno 100 carabinieri’’, ma è la fine di una carriera di morte, questa volta fortunatamente fallita, iniziata negli anni Ottanta quando Spatuzza, impiegato della ditta di trasporti Valtras, dove dirà di aver visto il boss incontrare Schifani, viene utilizzato per dare “la battuta’’, segnalare, cioè, la presenza della vittima designata al commando di killer chiamati a eliminarla. Gaspare è sveglio e veloce, e scala presto i gradini della gerarchia della famiglia, senza, però, entrare a far parte

tutte le domande La trattativa/1 Chi erano i referenti politici?

1)

Chi erano i referenti politici di Cosa nostra subito dopo le stragi del 1993 di cui le parlò il suo capo Giuseppe Graviano al “bar Doney” a Roma? E perché le disse, in modo entusiasta, ci siamo messi il “Paese nelle mani?”

La trattativa/2 Quale fu il ruolo di Dell’Utri?

2)

Perché nonostante abbia iniziato la sua collaborazione nel luglio del 2008 e quindi, oltre un anno fa, ha deciso poi di parlare di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, e dei rapporti tra mafia e politica, solo recentemente?

Le origini Da dove arrivano i soldi Fininvest?

3)

Di chi erano, secondo quanto lei ha detto di avere appreso, i soldi investiti nella Fininvest di Silvio Berlusconi? E quali erano le società di Milano in cui Cosa nostra, e in particolare i fratelli Graviano, avevano investito i propri proventi?

Schifani Era lui che vide con il capomafia?

4)

Renato Schifani, oggi senatore e presidente di Palazzo Madama, era l’uomo che lei ha visto incontrare il boss Filippo Graviano all’interno dei locali della ditta di trasporti di Brancaccio, Valtras, di proprietà ell’imprenditore Giuseppe Cosenza?

I cartelloni Che cosa significavano?

5)

A quali società sono riconducibili i cartelloni pubblicitari piazzati nel quartiere Brancaccio di Palermo nel 1993, e successivamente rimossi per ordine direttamente di Cosa nostra? E perché lei ne ha parlato?

In carcere I Graviano e i messaggi

6)

Che cosa si aspettava Cosa nostra e da chi lo aspettava - secondo quanto le disse in carcere Filippo Graviano, con lei detenuto nel carcere di Tolmezzo, nel 2004 - a proposito di una presunta trattativa tra la mafia e la politica?


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Per rilanciare l’Italia: primo Napolitano, terzo Fini, sesto il premier

È

COSE LORO

Giorgio Napolitano l’uomo a cui guardano con fiducia gli italiani per rilanciare il paese nel 2010. Lo rivela un’indagine commissionata da Job (mensile free press promosso dalla Cisl di Milano) del mese di dicembre. Secondo quanto emerso dalle interviste, realizzate da S&G Kaleidos, alla domanda “Quale sarà il personaggio, a livello nazionale e

locale, che darà una svolta positiva all’andamento del paese nel 2010?” il 16,6% ha risposto Napolitano (14,8% tra gli uomini, 18,5% tra le donne). Il titolare del Quirinale è seguito dal presidente della Camera Gianfranco Fini (12,2%, 10,5% tra gli uomini e 14% tra le donne) e dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti (10,5%, 14,3% tra gli uomini e 6,6% tra le donne). Ai piedi del podio si sono poi piazzati il

ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta (9,8%) e il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini (8,1%). Berlusconi è solo sesto (7,4%), tallonato da Pier Luigi Bersani (6,6%). Nella Top 15 si contano poi Gianni Letta (5,8%), Francesco Rutelli (4,9%), Emma Marcegaglia (3,1%), Roberto Maroni (2,7%), Raffaele Bonanni (2%), Antonio Di Pietro (1,6%), Umberto Bossi (1,4%) e Massimo D’Alema (1,3%).

La lettera dc

Troppe ombre di Rita Borsellino

e vicende legate alla Desio Lsuscitano e alla Sicula Brokers non poche

“Mafia, su quei soci arrestati Schifani deve rispondere” SALVATORE BORSELLINO: BASTA SILENZI di Marco Lillo

ertigine. Salvatore Borsellino non trova altri termini per descrivere la sensazione provata quando si è affacciato sul passato di Renato Schifani. “Quando ho letto le inchieste del vostro giornale sul presidente del Senato sono stato preso da una specie di vertigine nel vedere quanti e quali sono stati i coinvolgimenti di Schifani nel passato con persone che poi sono state arrestate con accuse gravissime”. Cosa pensa dei fatti rivelati nelle nostre inchieste? La mia considerazione è questa: è terribile che la seconda carica dello Stato, che potrebbe essere chiamata a fare supplenza al presidente della Repubblica, abbia avuto simili trascorsi societari con persone che poi sono state condannate per mafia e altri reati. È qualcosa di incredibile soprattutto perché rispetto a questi suoi trascorsi Schifani non ha dato spiegazioni. E quando qualcuno, come ha fatto Marco Travaglio, gli ha ricordato il suo passato, lui si è ammantato della sua carica per denunciare una sorta di vilipendio delle istituzioni. Ma il vero vilipendio alle istituzioni è la sua permanenza in quella carica. Se non risponde deve dimettersi immediatamente. Eppure nessuna voce critica si è levata dall’opposizione Io penso che in Italia l’opposizione ha rinunciato a fare il suo compito. A parte un piccolo partito come l’Idv, i cittadini si devono affidare a Veronica Lario o a Gianfranco Fini, per sentire qualcuno che richiami il presidente del Consiglio al rispetto delle istituzioni. Ecco, io un atteggiamento del genere non lo trovo nei partiti che dovrebbero rappresentare l’opposizione. Ed è proprio questa assenza che ci ha portati a vivere in un regime. Schifani, ai suoi collaboratori, ha detto: sono storie vecchie e poi io ero solo un avvo-

V

cato e non un politico. Io ritengo che questa giustificazione può valere per un avvocato qualsiasi. Ma qui stiamo parlando del presidente del Senato. Schifani è coinvolto per esempio in una vicenda, quella del palazzo di piazza Leoni, nella quale c’è stata una prevaricazione di un costruttore poi condannato per mafia nei confronti di persone come le sorelle Pilliu che ora addirittura sono incriminate per il crollo delle loro case, avvenuto dopo che il costruttore mafioso gli aveva buttato giù il tetto. In questa vicenda, mi par di capire dai vostri articoli, ci sono stati provvedimenti amministrativi e condoni che implicavano quel palazzo. Siamo alla legge che tutela i forti e i prepotenti e si accanisce contro i deboli. Cosa dovrebbe fare Schifani? Lasciamo perdere il passato, perché anche i delinquenti devono avere qualcuno che li difende. Ma ora è il presidente del Senato. Schifani deve prendere le distanze, rispondere alle domande e spiegare. Il suo silenzio è una cosa gravissima. Schifani è stato socio nel 1979-1980 di soggetti poi condannati per mafia come Nino Mandalà e Benni D’Agostino. Lui si è giustificato dicendo che erano tutti “insospettabili” e “sulla breccia”. Addirittura “di grande spicco perché legati al presidente Giuseppe La Loggia. Lei è palermitano. Davvero questo era il meglio della borghesia di Palermo? Questa è veramente la cosa più grave della vicenda. Paolo diceva che la mafia non è forte perché ci sono Riina e Provenzano ma perché c’è una borghesia che con la mafia fa affari e collude. Il problema è proprio “il meglio di Palermo”, questa gente che con la mafia fa affari e mantiene le mani pulite. Se Schifani vuole giustificarsi dicendo che lui si è fidato di questa borghesia, non è una cosa a suo favore. E poi sono stufo di sentire

parlare di cose vecchie, come ha fatto anche Berlusconi sulle stragi. Bisogna ricordare che per noi queste cose non saranno mai vecchie. Anche perché non si tratta di mafiosi di piccolo calibro. Nella vicenda di piazza Leoni, per esempio, avete raccontato che Bagarella e Brusca, gli autori delle stragi, andavano lì per farsi adattare l’appartamento in costruzione e poi farci la latitanza. Parliamo di cose gravissime. Schifani non c’entra ma sulla sua frequentazione, anche per ragioni professionali, con i costruttori deve dare una rispo-

Dice che è roba vecchia? Alt alle ambiguità Non venga alle manifestazioni per Paolo

sta. C’è una coincidenza in questa storia. Paolo Borsellino, ha perso le ultime ore della sua vita ad ascoltare le sorelle Pilliu che parlavano del palazzo di piazza Leoni. Mancavano pochi giorni alla strage di via D’Amelio. E, proprio da piazza Leoni è partita, secondo la sentenza di condanna, la Fiat 126 imbottita di tritolo che lo ha ucciso. Suo fratello forse aveva intuito l’importanza di quel palazzo? Certamente alcuni nomi che avrà sentito dalle Pilliu possono averlo interessato. Ma conoscendo la grande umanità di Paolo, gli sarà bastato vedere due persone deboli che denunciavano una simile prevaricazione per fare scattare una molla nella sua testa. Allora Schifani stava dall’altra parte e difendeva legalmente il costruttore. E nessuno può condannarlo per questo. Ma Schifani oggi deve rispondere. Non come avvocato ma come presidente del Senato. In passato Schifani ha com-

memorato la morte di suo fratello e dei 5 agenti della scorta in via D’Amelio, dove abitava fino a pochi mesi fa. Il suo palazzo è stato costruito da una cooperativa nella quale Schifani è stato socio insieme con una trentina di persone, tra le quali c’erano alcuni familiari e affini di mafiosi, compreso un imprenditore legato al clan di Riina. Il 19 luglio del 2008 io ero a via D’Amelio. Quando arrivò Schifani ebbi l’impulso fortissimo di andargli incontro per dirgli di non profanare quel luogo e per chiedergli di andare a deporre quella corona di fiori sulla tomba di Mangano. Mi fermai solo perché era arrivata in quel momento mia cognata Agnese e volevo evitarle un dispiacere. Quel giorno stesso giurai che quella profanazione non sarebbe mai più avvenuta. Il 19 luglio di quest’anno ho organizzato la manifestazione delle agende rosse. Ed è bastata la notizia per far sì che nessuno si presentasse. Finché io sarò in vita Schifani non dovrà presentarsi a commemorare mio fratello.

Quella difesa del palazzo del costruttore malavitoso Quotidiano ha dedicato 4 articoli al presidente Iil 20ldelFattonovembre Senato Renato Schifani. Nel primo, pubblicato scorso, ripercorrevamo la storia del palazzo di Piazza Leoni costruito nel 1992 dall’imprenditore Pietro Lo Sicco, poi arrestato nel 1998 e condannato in via definitiva nel 2008 per mafia a sette anni di reclusione. Lo Sicco non aveva i suoli necessari per costruire. Erano infatti delle sorelle Savina e Rosa Pilliu che non cedettero alle sue pressioni per convincerle a vendere e furono poi riconosciute vittime della mafia. Lo Sicco, però, grazie a una mazzetta pagata all’assessore all’urbanistica (condannato con lui per corruzione) ottenne la licenza e edificò 9 piani abusivi. Renato Schifani ha difeso davanti ai giudici amministrativi Lo Sicco, perdendo solo in secondo grado nel 1995. Nel secondo articolo, pubblicato il 26 novembre abbiamo raccontato le accuse del pentito Gaspare Spa-

tuzza, secondo il quale il boss Filippo Graviano incontrava Schifani assieme al costruttore Pippo Cosenza, prestanome del boss (non latitante) e cliente dell’avvocato. Nel terzo articolo il 27 novembre abbiamo ripercorso la storia della Sicula Brokers nella quale Schifani è stato socio un anno e mezzo con quattro persone successivamente arrestate per vari reati (due per mafia). Infine il 2 dicembre abbiamo raccontato la storia della cooperativa Desio, della quale Schifani è stato socio per poi avere in assegnazione la casa di via D’Amelio nella quale ha vissuto fino al luglio scorso. In quella cooperativa, tra i 35 soci c’era anche un costruttore poi arrestato negli anni Novanta per mafia.

perplessità. E’ vero che Schifani, in veste di avvocato e uomo d’affari, si è trovato a intrattenere frequentazioni di cui solo successivamente si è accertata la pericolosità, ma è altrettanto vero che dopo questi accertamenti e una volta entrato in politica, l’attuale presidente del Senato avrebbe dovuto prendere le distanze con maggiore decisione. Stiamo parlando di comportamenti che, sia chiaro, non hanno rilievi penali, ma che, ripeto, suscitano forti perplessità sotto il profilo politico. Quando si parla di edilizia a Palermo, purtroppo, ci si scontra con anomalie e paradossi di ogni tipo. Per fare un esempio che, purtroppo, tocca me e la mia famiglia da vicino, nel palazzo di via D’Amelio 19, all’epoca in cui ci viveva mia madre, tra i condomini c’era pure il boss Vitale e un certo Sprio, il mandante dell’omicidio Bonsignore. E non posso dimenticare quella volta che, affacciandomi dal balcone di casa insieme con mio fratello Paolo, vidi l’irruzione della polizia nel palazzo di fronte. Scoprimmo in seguito che lì c’era il covo di Madonia. Insomma, non mi indigno certo se Schifani si sia trovato all’interno di una cooperativa come la Desio. Quello che non condivido è che, in veste di politico, non abbia preso chiare e nette distanze da questa cooperativa e anzi, si sia sentito in dovere di difenderla in tribunale. Con tutta la buonafede che vi può essere dietro, questi sono comportamenti che all’esterno non possono non suscitare ombre e perplessità. Stiamo parlando di un punto centrale anche per ragionare su vicende come quella legata al sottosegretario Cosentino. Se alla magistratura spetta il compito di valutare e accertare i fatti, la politica, invece, ha il dovere di sgombrare se stessa e soprattutto le istituzioni da qualsiasi ombra. Perché è sacrosanto invocare la presunzione di innocenza, ma è altrettanto doveroso evitare anche solo il sospetto che lo Stato o frange di esso possano convivere con la mafia. Come diceva Paolo, ci sono contiguità che la politica non si può permettere. Anche perché, se poi arriva un magistrato che nel pieno rispetto delle proprie funzioni fa i dovuti accertamenti, è normale che determinate contiguità vengano fuori. E quando questo accade, gridare alla persecuzione e attaccare i giudici è fin troppo facile, oltreché infantile e antidemocratico.


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Venerdì 4 dicembre 2009

Da oggi a Natale tutti i provvedimenti sono scivolosi

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GUERRA A DESTRA

ono i giorni dell’Avvento, è vero, ma per Berlusconi quelli che lo separano dal Natale sembrano più quelli della Quaresima. Non c’è provvedimento in discussione che non venga considerato scivoloso. Persino la fiducia sulla Finanziaria (perché finirà così, con l’ennesima fiducia) è vista dal premier come pericolosa e a rischio

trappoloni. Si comincia già il 10 con due voti delicatissimi sul caso Cosentino, uno per l’autorizzazione all’arresto, l’altro per la mozione sulle dimissioni; la maggioranza è a pesante rischio tenuta sul secondo voto. Poi, il 21, un’altra buccia di banana si presenta alla Camera, la famosa Sarubbi-Granata sulla cittadinanza agli immigrati e

contemporaneamente il testamento biologico, in aula probabilmente il 22. Al Senato, intanto, quello che più preme a Berlusconi è ovviamente il processo breve, ma i paletti messi l’altro giorno dalla commissione Affari costituzionali non depongono a favore di una rapida soluzione. Si sta cercando una via d’uscita. (S.N)

IL CAPO VA ALLA TREGUA “Nessuna competizione”. Il premier vorrebbe il voto, ma deve risolvere i problemi giudiziari

di Sara

Nicoli

lla fine Gianni Letta ce l'ha fatta e l'ha convinto. "Ci sono cose troppo importanti in ballo - avrebbe detto il Gran Ciambellano all'Imperatore - e una rottura adesso verrebbe solo a nostro danno". Il Capo ci ha pensato a lungo mentre il fedele Bonaiuti gli faceva vedere le pagine dei giornali. Quella del Corriere con un titolo su Fini che "pretende rispetto" da Berlusconi lo ha fatto sobbal-

A

zare: "Inaudito". La rabbia e il rancore, esplosi la sera dell'intervento finiano a Ballarò, si sono quindi trasformati in gelida determinazione. L'idea delle elezioni è ancora la via maestra che Berlusconi intende percorrere, ma prima c'è da portare a casa la leggina sul legittimo impedimento che dalla Camera aggirerebbe i paletti con cui, al Senato, la Commissione Affari Costituzionali ha infilzato il processo breve. Faccende delicate che corrono su equilibri instabili

Bollettino di guerra "

Guerra continua dei quotidiani di destra. “Il Premier scarica Fini” affermava il Giornale: “Berlusconi: non voglio più vederlo”. E Libero: “Traditi da Fini”. Dedicata alla Mussolini la prima del Secolo “Lo strappo in diretta”.

e maggioranze variabili. "Non posso correre rischi" ha detto, alla fine, il premier. Ecco la strategia mediatica immediatamente disegnata da Bonaiuti per riavvolgere il nastro e tentare il ricompattamento con la terza carica dello Stato nel segno, almeno, di una tregua momentanea; smentire seccamente che Berlusconi abbia mai pensato di "dimettere Gianfranco" o, peggio, "di non volerlo più vedere" (copyright del Giornale di famiglia) e quindi aprire nuovamente al dialogo con una battuta buttata lì durante la conferenza stampa con Medvedev. "Con Fini non c'è alcuna competizione, sui giornali ho visto parole che non ho mai pronunciato e neanche pensato, sono dispiaciuto". Tutto come prima, allora? Macchè. E' ancora la convenienza personale il motore unico di questa contromossa di riavvicinamento. Intanto, ieri pomeriggio si è svolto un vertice a via dell'Umiltà, presenti Verdini, La Russa e persino Tremonti. Incidentalmente si è parlato anche di candidature regionali, perchè manca ancora l'accordo con la Lega. Berlusconi coltiva l'idea di portare Formigoni nel governo, come ministro della Salute e di lasciare al Carroccio la presidenza della Regione con Castelli. La quadra, però, ancora non c'è perché il leghista Cota insiste per candidarsi in Piemonte, dove tuttavia i sondaggi lo danno perdente. Ma il vero motivo del-

Silvio Berlusconi riceve Medevdev (FOTO ANSA)

Greenpeace scioglie il premier (FOTO ANSA)

l'incontro riguardava gli emendamenti alla Finanziaria che sono stati bocciati e la valutazione dei rischi sul fronte della possibile fiducia. Che, a quanto si apprende, è la carta che Berlusconi intende giocare per passare il prima possibile alla discussione di quanto più gli preme; appunto, la leggina sul legittimo impedimento. Sarà il primo vero test di tenuta della maggioranza.

"E' la bozza Costa Brigandì racconta il sempre informato Giorgio Straquadanio - che è fatta di un solo articolo ed estende il legittimo impedimento non solo a chi ricopre cariche istituzionali ma anche a chi svolge un ruolo politico. In questo modo si guadagna il tempo necessario per avviare una riforma della giustizia, anche costituzionale, come vuole Fini". "A quanto ne so io prosegue - da parte dei finiani ci sarebbe un parziale via libera, così come Fini si sarebbe impegnato a difendere Berlusconi in caso in cui Spatuzza, con le sue dichiarazioni, dovesse andare oltre quello che già è noto; l'importante, al momento, è disinnesca-

re qualsiasi elemento di frizione. Parliamoci chiaro: le elezioni sono un rischio che nessuno, in Parlamento, vuole correre davvero. Si sta lavorando per evitare lo show down". In fondo, lo dice anche Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera Pdl: "'E' indispensabile un chiarimento interno al Pdl rigoroso, serio, senza sconti e furbizie".Insomma, profilo basso. Lo stesso che ha tenuto Berlusconi durante il consiglio dei ministri di ieri; nessuna battuta fuori sacco, solo nuove lamentele contro "i giornali che scrivono le cose che non dico e ci fanno litigare". Colpa della stampa, insomma. Almeno fino alla prossima puntata..

Fini non molla e incassa la pacificazione del premier e di Alfano SULLA GIUSTIZIA DICE: “FONDAMENTALE IL CONFRONTO IN PARLAMENTO E L’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA” di Wanda

Marra

on molla, Gianfranco Fini. Fermo sulle N“obtorto sue posizioni, incassa la tregua offerta collo” da Berlusconi, senza neanche rispondere e la conciliazione di cui si fa portavoce il ministro della Giustizia, Alfano. Inizia la giornata, il Presidente della Camera, nella sua veste più istituzionale, inaugurando il Salone della Giustizia di Rimini. Non parla delle “beghe” interne al Pdl, né del processo breve, né del legittimo impedimento. Ma affronta il tema “alto” della giustizia con la g maiuscola. “Va concepita non come potere, ma come servizio nel senso più elevato dell’espressione", dice, mettendo l’accento sulla necessità di recuperare "efficienza, credibilità e fiducia nel sistema giudiziario italiano". Ribadisce poi la necessità della separazione delle carriere e invita i magistrati a non rischiare una perdita di credibilità. E poi afferma che “le prossime riforme da fare, oltre a dover scaturire da un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche e tutti gli operatori del settore, dovranno anche derivare da lucide e ponderate valutazioni delle patologie strutturali del sistema giudiziario". Affrontare il tema della giustizia

con questo distacco è un modo ancora una volta per porsi come garante delle istituzioni e e per non fare passi né avanti né indietro senza però rispetto alla guerra interna alla maggioranza. D’altra Gianfranco Fini (F A ) parte, che non abbia intenzione di andare alle elezioni era già apparso chiaro e lo ribadisce ieri Bocchino, non senza ricordare che Fini è determinante: "Crisi? Io tendo ad escludere che questa vicenda possa avere conseguenze politiche oltre quelle che stiamo già registrando in questi giorni - aggiunge - Credo che tutti ci stiano lavorando affinché si risolvano i problemi tranne qualche falco che pensa sia meglio la rottura, ma credo che si tratti di poche persone isolate”. Come raccontano i suoi, il presidente della Camera non ha nessuna inOTO

NSA

tenzione di abbandonare il Pdl o di promuovere altre coalizioni. Insomma, Fini continua a “far politica”. Che in questo momento significa anche porsi con il Cavaliere in una posizione di vantaggio: lui, Berlusconi, sarebbe ben felice di rovesciare il tavolo, ma tra le dichiarazioni di Spatuzza di oggi, il voto su Cosentino e il legittimo impedimento da portare a casa le priorità rimangono le questioni giudiziarie. E così per l’ennesima volta va alla tregua, abbassando i toni. L’altro neanche risponde. Nel tardo pomeriggio tocca al Guardasigilli Alfano ufficializzare la (momentanea) ricomposizione, commentando così l’intervento di Fini al Salone della Giustizia: "Sono tutti temi sui quali siamo d'accordo". Altri toni rispetto a quelli con cui appena martedì scorso i vertici del Pdl chiedevano alla terza carica dello stato di spiegare se la sua linea fosse ancora la stessa del partito.

INVETTIVE

Il destino infernale di Gianfranco

I

l Giornale di famiglia – dalla penna di Annamaria Bernardini de Pace – fa un ritratto biblico di Gianfranco Fini. L’ingrato. E prevede addirittura un destino infernale, per il presidente della Camera luciferino. Fini – scrive – ha dimenticato l’aiuto di Berlusconi. La metafora: l’aveva strappato dalla prostituzione. Nessuno capisce che il premier è vittima della sua generosità. E infatti ha fatto versare 600 mila dollari sul conto svizzero di David Mills. Al Giornale conoscono la fine di Fini. Un altro scoop di Feltri: “Per non volerlo e doverlo ringraziare fanno la fine di Lucifero. Sono incapaci di ammettere la propria inferiorità. Perché non riescono a convincersi di essere solo vuoti a perdere”. O voti a perdere per Berlusconi?


Venerdì 4 dicembre 2009

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Da 2 a 10mila euro: l’Anm pubblica gli stipendi delle toghe

D

GIUSTIZIA

a poco più di 2 mila euro, che percepisce chi è appena entrato in magistratura e sta ancora svolgendo il tirocinio, sino ai quasi diecimila euro netti al mese, per il primo presidente della Cassazione. L’Associazione nazionale magistrati dopo la pubblicazione del dossier, preparato in occasione del Salone della Giustizia di Rimini per smentire

l’idea che le toghe italiane siano una categoria di “fannulloni superpagati” , ha messo sul proprio sito gli stipendi dei giudici. È la prima volta che il sindacato delle toghe mette sul proprio sito le retribuzioni dei magistrati. E lo fa con una tabella articolata che segnala tutte le progressioni degli stipendi che, con la riforma dell’ordinamento giudiziario, sono legate al

superamento delle valutazioni sulla professionalità. Ed esplicitando tutte le voci che compongono la paga di un giudice. Intanto la giunta dell’Anm proporrà sabato prossimo al suo “parlamentino” il metodo delle primarie per la scelta dei candidati togati per le elezioni del nuovo Csm, nel luglio del 2011. a.m.

La Loggia ci riprova: “legittimi” stop ai processi del premier

C’ERA UNA VOLTA DAVID MILLS GENESI DEL POTERE DI “RE” B. Le telecamere di Santoro sono andate a scovare il (co)protagonista del processo. Oggi la nuova udienza di Carlo Tecce

era una volta, un imprenditore brianzolo assetato di potere, apprendista muratore della loggia massonica P2, aveva ingaggiato un avvocato inglese per dirottare e poi disperdere i fondi neri della Fininvest. E’ l’esposizione dei corpi che scandisce, e che Annozero mostra ai telespettatori, la vera enciclopedia della misteriosa ascesa di Silvio Berlusconi. Che anticipano le feste presidenziali, l'amico Tarantini, l'escort D'Addario. Quando Canale 5 era Telemilano 58. Alla genesi del potere, c'era David Mackenzie Mills: condannato a 4 anni e 6 mesi in Appello per aver ricevuto 600 mila dollari sui conti svizzeri, un “regalo” consegnato dall'ex dirigente Fininvest – ora scomparso – Carlo Bernasconi per due false testimo-

C’

nianze in altrettanti processi. L'indagato da tutelare con le menzogne o i vuoti di memoria - “non ricordo i dettagli” - era proprio Berlusconi. Che oggi doveva presentarsi in udienza perché imputato di corruzione proprio di Mills, ma sarà assente perché rifugiatosi nel legittimo impedimento. Il noto mister B., il dottore. La trasmissione ricostruisce, come se fosse un film, il rapporto tra l'imperscrutabile Mills e l'innominato B. Dov'è finito l'avvocato che, su precise commissioni, aveva creato 64 società off shore nelle isole più sperdute, nei paesini più anonimi. Nei paradisi fiscali. Le telecamere di Annozero zoomano - introdotte da un racconto fiabesco di Marco Travaglio - su cumuli di letame accanto a mucche che rievocano la Svizzera, una donna in stivali indica la casa, la porta, il modesto giardino. Lì abita Mills: “Andate

via. Non parlo del processo. Mai con voi”. Paonazzo. Impacciato. Quasi rissoso. L'avvocato che “lavorava con discrezione” - spiegherà nell'interrogatorio – è invecchiato nel giro di pochi anni trascorsi – a differenza del dottore – da un tribunale all'altro. Per difendersi. Oppure per smentire la lettera che, tormentato da un'imminente indagine del fisco inglese, aveva spedito al commercialista. Aveva paura. L’ex moglie Tessa Jowell – ora sono separati – era il ministro della Cultura nel governo Blair. E nel paese di sua maestà gli scandali distruggono all'istante le carriera più solide. Un memoriale, una confessione. Quei 600 mila dollari erano una tangente: “Caro Bob (Drennan) … Verso la fine del 1999, mi fu riferito che avrei ricevuto del denaro, che potevo considerare come un prestito a lungo termi-

ne o un regalo. Furono messi 600 mila dollari in un fondo speculativo e mi fu riferito che erano lì se ne avessi avuto bisogno”. Annozero riproduce – recitati – gli interrogatori dell'avvocato che “sin dagli inizi degli anni '80, insieme al suo studio, aveva offerto consulenze alla Fininvest. Per affari di diritti cinematografici”. I legali di Londra avevano confezionato All Iberian, il forziere segreto che serviva, tra l'altro, a ricompensare Bettino Craxi per le leggi che proteggevano Mediaset. L'altro lato della Fininvest, l'ignoto contenitore al bilancio consolidato dell’azienda. Era il gruppo B. E per raggirare la legge Mammì che imponeva la vendita di Tele +, ecco le lussemburghesi Cit e Horizon quotate in Borsa e la smobilitazione del pacchetto off shore: “La Fininvest ha reagito all’attacco. Alla te-

David Mills (ANSA)

sta di questa struttura c’ero io. E' finita con una vendita al gruppo Rupert”. Una plusvalenza per 10 miliardi di lire. Quest'uomo di cinquant'anni – sfigurato dal tempo e ingrassato – aveva condiviso glorie e furberie con Berlusconi. L'aveva incontrato due volte di persona, l'ultima nell'estate del '95 nella residenza di Arcore. L'aveva protetto alle Cayman prima, davanti alla giustizia italiana poi. L'ha tradito una lettera. L'isolamento. E così Berlusconi può spergiurare: “Mai conosciuto. Giuro sulla testa dei miei cinque figli. Chi è Mills?”. Già sentito: “Chi sono Tarantini e la D’Addario?”. Mills è un avvocato che, solo, s'avvia verso la galera. Sull'orlo di una crisi di nervi: “Andate via. Non siete graditi. Lasciatemi in pace”. Lui condannato. L'altro impedito.

Milano, violati i file segreti della Procura L’ombra di una nuova centrale di ricatti di Gianni

Barbacetto

n’incursione nell’archivio della Uindagini Procura, a caccia di segreti sulle in corso: a Milano è stata violata la cassaforte informatica in cui sono contenuti i documenti più riservati sulle inchieste e i file audio delle intercettazioni non ancora trascritte né messe a disposizione degli indagati e dei loro avvocati. È quanto sta accertando il sostituto procuratore Massimo Meroni, che ha ereditato l’indagine dal pm Fabio De Pasquale. Meroni nei giorni scorsi ha fatto eseguire alcune perquisizioni. Sarebbero già stati individuati i probabili responsabili della violazione: due persone che lavorano per un’azienda specializzata in intercettazioni, la Research control system spa, che fino al 2008 faceva parte del gruppo Urmet, storica azienda torinese di sistemi di telefonia controllata dalla famiglia Mondardini. Oggi la Research control system, venduta dalla Urmet, è controllata da una misteriosa fiduciaria dietro la quale non si intravvedono i reali proprietari, se non i due uomini che la guidano: l’amministratore delegato Roberto Raffaelli e il presidente Alberto Chiappino. L’inchiesta è particolarmente delicata, perché riguarda il cuore delle indagini più difficili e ancora segrete in corso a Milano. Il primo segnale d’allarme sulla tenuta della segretezza nella Procura milanese scattò il 2 gennaio 2006, quando il Giornale della famiglia Berlusconi pubblicò il testo di un’intercettazione telefonica del luglio 2005, l’estate delle scalate, degli assalti dei “furbetti del quartierino” a due banche (Bnl e Antonveneta) e al gruppo editoriale del Corriere della sera. Era una telefonata destinata a diventare famosa: quella in cui Piero Fassino, allora

segretario dei Democratici di sini- mercato da 300 milioni di euro l’an- Resta ancora da accertare la destinastra, venne informato da Giovanni no), ma estremamente delicato, per- zione del materiale risucchiato dal Consorte, presidente dell’Unipol as- ché manovra materiale sensibile e de- sancta sanctorum della Procura misicurazioni, che la scalata di Unipol terminante per le indagini giudizia- lanese. Era materiale da vendere al alla Bnl è riuscita. «Allora? Siamo pa- rie. Gli uomini della Rcs sono stati miglior offerente, documenti su cui droni della banca?», chiede Fassino a iscritti sul registro degli indagati per cercare d’imbastire una rete di ricat«rivelazione e utilizzazione del segre- ti, oppure segreti cercati per inforConsorte nel corso della telefonata. Quell’intercettazione non era ancora to d’ufficio»: questo il reato conte- mare i protagonisti sullo stato delle stata trascritta. Neppure i magistrati stato da Meroni, il quale si è eviden- indagini, versione elettronica del furtitolari dell’indagine avevano a di- temente convinto che i due abbiano to su commissione? sposizione i verbali con il testo della estratto illegalmente file segreti I magistrati e gli investigatori si chiuconversazione. Dunque la fuga di no- dall’hard disk che contiene gli atti dono nel più stretto e risentito silentizie – un caso raro di vera violazione più delicati della Procura milanese e i zio. Preoccupati che la pubblicità a del segreto – è verosimilmente av- file audio ancora non rivelabili nep- questa vicenda, nel bel mezzo di invenuta trafugando il file audio della pure alle parti coinvolte nelle inchie- dagini così delicate, non possa far altro che danneggiarle. telefonata intercettata. Certo è che, ste in corso. nelle settimane successive alla pubblicazione, il clima della di Carlo Tecce LEGITTIMI IMPEDIMENTI campagna elettorale in corso cambiò: il centrosinistra guidato da Romano Prodi, che secondo i sondaggi era avanti di una decina di punti a notizia può sembrare falsa e ten- l’istituzionale “cribbio”. percentuali sul cendenziosa. Premesso: tra-tta-si (en- L'idea pungente è di un dichiarato trodestra di Silvio Berfatizzato) di bambolina voodoo di – e non pentito – elettore del Pdl. lusconi, perse progommapiuma rivestita di cotone, ad- Marco Darrigo, folgorato a Parigi dalle gressivamente il suo dobbata con magliettina e scritta oriz- vudù col nasone di Nicolas Sarkozy. vantaggio, fino al rizontale. E quindi non è una bambola Preziosa importazione: “Voto Berlusultato di quasi parità gonfiabile. E' un fantoccio con il tri- sconi da sempre, sono un suo sosteche uscì dalle urne plo mento e la folta chioma di Silvio nitore. Credo che il pupazzo sarà un nell’aprile del 2006. Berlusconi, che dovrebbe sedare la portafortuna”. Certo. Leggete attenCon la conseguente rabbia – punzecchiando il pancino tamente le avvertenze sul sito che situazione di debolezcon uno spillone – stimolata dalle vende Silvio voodoo: “La bambola, za del governo Prodi, classiche di Arcore stampate sul dotata di spilloni da utilizzare a piache potè contare su corpo presidenziale: “Ho insegna- cimento del fruitore, viene dal futuro: una risicata maggioto al Milan come si gioca a calcio”. è il mezzo di magia nera con cui i ranza parlamentare. Oppure: “La nostra popolarità è al maledetti comunisti hanno abbattuto Ora sotto indagine so72 per cento”. nel 2021 l’impero di Berlusconi". L’avno due uomini della Potete scegliere dove colpire. vocato Ghedini ha vergato la giustiResearch control Nelle parti basse c'è “quello che ficazione per i giudici: “Berlusconi è system, che è una delfaccio mi fa schifo”. Sul tacco c'è indisposto. Uno spillone l'ha preso le principali società l'inconfondibile “mi consenta” e proprio lì...”. che si occupa in Italia di intercettazioni. Business redditizio (un

La bambolina voodoo che grida: “mi consenta”

L

di Antonella Mascali

un po’ si perderà il conTsulratolegittimo delle proposte di legge impedimento. Tutte con l’obiettivo di bloccare i processi che infastidiscono il premier, in attesa di un lodo Alfano di turno, per via costituzionale e quindi con l’accordo di una parte dell’opposizione. L’ultima proposta, la quarta, l’ha presentata Enrico La Loggia, vicecapogruppo del Pdl alla Camera. Come i compagni di partito Biancofiore, Bertolini e Costa, e il leghista Brigandi, vuole che il legittimo impedimento debba essere applicato automaticamente dai giudici, senza verificare, come avviene adesso, che davvero ci sia una causa di forza maggiore e non sia invece un escamotage dell’imputato, chiunque sia, per saltare l’udienza e prendere tempo. Secondo la proposta il legittimo impedimento per esponenti di governo o del Parlamento deve essere sempre riconosciuto, prima, durante e dopo. Questa la definizione che si legge nel testo: “Espletamento di ogni atto proprio delle funzioni parlamentari o di governo attribuito per il tempo preparatorio, contestuale e successivo per il suo totale compimento”. Diversa invece l’idea di Michele Vietti dell’Udc, che ha presentato alla Camera una proposta di legittimo impedimento valida solo per il premier e solo per impegni istituzionali e internazionali. Non è d’accordo Filippo Berselli, Pdl, presidente della Commissione giustizia al Senato. È preoccupato che sia troppo chiaro che si tratti di una legge pro Berlusconi: “È un trappolone politico. Limitando la norma solo al premier lo si fa diventare bersaglio di critiche, in particolare quella che si tratti di una legge ad personam”, ed è incostituzionale. E sempre Berselli, è tornato alla carica sul ddl “processi brevi”. Pur di non incappare nella Consulta e farlo approvare, vuole modificarla. Anche peggiorandola. Anziché far valere la legge solo per gli incensurati si può allargare ai “recidivi riabilitati”, però concede che vengano esclusi, come adesso non è, gli imputati di reati come “l’omicidio e le lesioni per colpa professionale, i maltrattamenti in famiglia a danno dei minori”, i reati legati all’immigrazione. La maggioranza sta pensando di applicare la legge per i processi in corso, anche in Appello e in Cassazione. Così il rischio estinzione andrà ben oltre l’attuale 40%.


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Venerdì 4 dicembre 2009

Le parole del capo dello Stato: “Basta tensioni”

V

DIVERSO PARERE

enerdì scorso – a margine di una cerimonia al Quirinale – il presidente della Repubblica ha lanciato un appello a interrompere “la spirale di drammatizzazione tra le istituzioni”, auspicando “uno sforzo di autocontrollo da parte di tutte le forze politiche”. “L’interesse del paese, che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine

economico e sociale – ha detto Napolitano –, richiede che si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali”. “La magistratura si attenga rigorosamente al suo ruolo. È indispensabile che da tutte le parti

TABUCCHI Presidente, ci consenta Interpretazione finale delle parole di Napolitano ai giudici e al mondo: il governo Berlusconi sarà eterno di Antonio

Tabucchi

e dichiarazioni di Enrico Letta e di Bersani su ciò che deve fare Berlusconi ora che i giudici, essendo stato dichiarato incostituzionale il lodo Alfano, possono procedere nei suoi confronti, sono espresse in un sotto-politichese di comprensione non immediata ormai consustanziale a telegiornali e parlamentari. Che cosa vorrà mai dire, si chiede il comune cittadino, che “Berlusconi si deve difendere nel processo e dal processo”? Che uno si difenda nel processo è comprensibile, solo un flagellante non lo farebbe. Ma, “dal” processo? Cosa fa uno per difendersi dalla pioggia? Apre l’ombrello. Per spiegare il complicato concetto espresso dalla preposizione “dal”, si rende necessario semplificare, secondo quello slogan che in America invitava i cittadini ad affidare i propri risparmi a Madoff: “Keep it simple, stupid”: falla facile, sciocco!. Facciamola facile. Con la mafia bisogna conviverci: questo è in parole povere il senso della ineffabile preposizione articolata (“dal processo”) di Letta e di Bersani. O questo sarà il risultato nel caso che Berlusconi venisse incriminato e seguisse il loro consiglio. Consiglio di cui peraltro il suddetto non ha bisogno: a farla facile ci pensa da solo da almeno un ventennio, più o meno il tempo che ci volle a Benito Mussolini per portare l’Italia bonificata al disastro. Le bonifiche di Berlusconi ormai sono note in tutto il mondo, esclusi i telegiornali della Rai non più diretti da Agostino Saccà (ora è un altro). E il disastro, se dovrà venire, che venga. Ma questo Letta e Bersani non devono averlo pensato.

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le tante anomalie che con il Fnellaraberlusconismo sono penetrate vita degli italiani, una delle più fastidiose, e certo non utile al libero esercizio dell’intelligenza dei cittadini, è l’esegesi delle parole del presidente della Repubblica. L’uso ha preso piede col settennato di Carlo Azeglio Ciampi, giacché Oscar Luigi Scalfaro non aveva bisogno di traduttori simultanei: parlò poco e chiaro e soprattutto prese le decisioni da capo dello Stato quando gli parve necessario. Con Ciampi, come tutti ricordano, cominciò una sorta di esegesi dei Testi. Ciampi diceva una frase tipo “l’Italia è libera e gioconda” e il giorno dopo l’esegeta di professione la interpretava

venga uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che quanti appartengono alla istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione. E spetta al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia”.

tadini-elettori il consenso necessario per governare”. Su questa affermazione mi permetto di esprimere un dubbio. Per il semplice fatto che gli elettori hanno votato chi governa e in particolare Berlusconi (sulla scheda c’era il suo nome) in base alla fiducia. Ma se emergesse un fatto così grave che mettesse in dubbio quella fiducia essi si sentirebbero traditi e anche se la coalizione governativa restasse imperturbabile al suo posto come nel museo delle cere, il consenso elettorale cambierebbe. Faccio un esempio: i magistrati vengono a sapere da un pentito di un’organizzazione anti-ambientalista che Berlusconi è un avvelenatore di cani da cortile, un serial-dog-killer (è naturalmente una pura ipotesi metaforica). Un’ipotesi (è un’altra ipotesi) che l’opposizione sostiene da tempo senza averne le prove. L’Italia, che come è noto ha una grande sensibilità per gli animali (anche i leghisti più xenofobi, pare), l’Italia intera, anche quella che considerava Berlusconi il suo idolo, quell’uomo così carino e così educato, come in un film di Scorsese si accorge che il suo idolo è un feroce sterminatore del più fe-

dele amico dell’uomo. Nel paese nasce una forte tensione sociale. Ci sono scioperi, manifestazioni di piazza, “Pro-dog-day” dappertutto, perfino nel collegio elettorale di Corleone, dove meno ce lo saremmo aspettato. Perfino quei giornalisti che egli considerava i suoi mastini più fidati, visto il pericolo che corrono con un padrone simile, lo abbandonano. Su di lui gravano forti sospetti, forse dietro quel gentiluomo così scherzoso e seducente si cela un gelido cinofobo che può colpire ancora. Si può permettere che il canicidio continui? E anche se l’imputato schiuma di rabbia (siamo sempre sotto metafora canina) deve sottoporsi come ogni umano alla verifica della legge. Forse l’opposizione aveva ragione, la magistratura chiarirà al processo. A meno di non annettere a forza la Bielorussia nell’Unione europea per non sentirci troppo soli, cosa si fa a questo punto? A questo punto conviene tornare daccapo, cioè alle recenti dichiarazioni di Letta junior e di Bersani. E aggiungere, se me lo consentite, una parola che mancava alla frase di Napolitano. “Nulla può abbattere un governo che abbia in Parlamento la fiducia della maggioranza e dell’opposizione”. Se così è, non fa una grinza. Quel governo non durerà una sola legislatura. Sarà eterno.

spiegandone il recondito significato al profano, così come fa il biblista, lo studioso del Talmud o l’interprete dei versetti del Corano. Recentemente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha convocato una conferenza stampa per un invito alle istituzioni espresso in un italiano di limpidità cristallina comprensibile anche al cittadino analfabeta. Cito: “Basta al crescendo di tensioni fra giudici e politici. Il capo dello Stato chiede che la Magistratura svolga rigorosamente le sue funzioni e rispetti i ruoli“ (dal virgo- mente diversi dalla razza umana”, lettato del Corriere della Sera). quando non “comunisti” – salvo Il giorno dopo la frase è stata sot- poi andarci a cena quando gli fa toposta a esegesi dai più accredi- comodo) ci sarebbe davvero da tati interpreti dei Testi, rigorosa- dar fuori da matti e dalla ragione mente di opposte tendenze poli- passar al torto. Napolitano che è il tiche, e ovviamente con opposte capo supremo della magistratura, conclusioni. Opposte in apparen- questo lo sa meglio di chiunque. za, perché in realtà l’obiettivo di Insomma: non lasciamoci provoentrambi non era tanto interpre- care dal sovversivo, ragazzi. tare parole che più chiare non posa la frase che più ha messo alla sono essere, quanto “giustificare” prova e più ha reso concordi Napolitano agli occhi di una parte o dell’altra degli italiani, come se i gli esegeti di opposte tendenze è cittadini di qualsivoglia opinione questa: “Nulla può abbattere un politica potessero dubitare delle governo che abbia la fiducia della intenzioni del capo dello Stato. maggioranza in Parlamento, quanOra, quand’è che la magistratura do poggi sulla coesione della coaLo scrittore Antonio Tabucchi (F svolge rigorosamente le sue fun- lizione che ha ottenuto fra i citzioni? Con tutto il rispetto per le sofisticate interpretazioni degli esegeti, facciamola facile. La magistratura svolge rigorosamente L’ACCUSA DI UN NUOVO PENTITO. IL SOTTOSEGRETARIO: ROBA INCREDIBILE le sue funzioni allorché, se ha elementi di Vincenzo Iurillo Giuseppe Narducci hanno trasmesso i tino, i fratelli Orsi e Bidognetti erano sufficienti per metteloro verbali al Gip Raffaele Piccirillo, una cosa sola” nella gestione dell’Eco re un cittadino sotto uò ancora raccogliere i voti della che ne riporta alcuni stralci nel prov- 4. Mentre Froncillo il 3 novembre processo, lo mette camorra, può reiterare i reati e inol- vedimento di 29 pagine col quale mo- 2009 ha raccontato di aver appreso sotto processo. Se tre avrebbe cambiato assegni ricevuti tiva il rigetto dell’istanza di revoca dai casalesi l’influenza che Cosentino glielo consentono. Il dagli uomini dei clan casalesi. Piovo- dell’arresto avanzata dai difensori di avrebbe esercitato in favore delle imcittadino si difende no nuove accuse sul sottosegretario Cosentino, gli avvocati Agostino De prese dei clan per sbloccare i finan“nel” processo con i Pdl all’Economia Nicola Cosentino, Caro e Stefano Montone. ziamenti della legge 488. “Tutte disuoi avvocati (se è priche ancora aspira a diventare Gover- Il verbale di Piccolo è datato 30 set- chiarazioni de relato – commenta uno vo di mezzi lo Stato natore della Campania. “Sono cose in- tembre. A parlare è l’uomo che nel dei legali del sottosegretario, l’avvogliene dà uno d’ufficredibili – replica Cosentino attraver- sodalizio raccoglieva i proventi delle cato Montone – ricostruzioni molto cio). Se le prove sono so l’agenzia Il Velino - e le cose incre- attività criminali. Riferisce – si legge labili, che il Gip riporta, come scrive contro di lui è condibili non si commentano. Sulla mia nell’ultimo provvedimento del Gip - nel provvedimento, solo per compledannato, se sono a candidatura credo che il partito in di aver cambiato due assegni tramite tezza espositiva e senza attribuire ad suo favore è assolto. Campania abbia fatto quello che do- Cosentino, uno da 2500 euro e l’altro essere alcun valore di prova, comC’è sempre il rischio veva fare, ora si decide a Roma”. da 7500 euro. Erano assegni frutto del mentando che c’è bisogno di ulteriori di errori ma, si sa, solo Cosentino reagisce così alle recenti racket, “versati dagli imprenditori al accertamenti. Guida non ha mai parla Giustizia divina è indichiarazioni di tre pentiti, parole ul- clan come tangente – spiega il col- lato con Cosentino, non lo ha mai infallibile. E quali sono teriori a quelle contenute nelle 351 laboratore di giustizia – quando de- contrato, riporta cose sentite da altre mai i ruoli che la mapagine dell’ordinanza di arresto sulla vono mettersi a posto con noi”. Pic- sette, otto persone. Ma temo che tutta gistratura deve rispetquale dovrà pronunciarsi nei prossimi colo precisa di non averli consegnati questa pubblicità a dichiarazioni pritare? Facciamola facigiorni la Camera dei deputati, dopo il direttamente nelle mani del politico, ve di riscontri possa suscitare un efle: quelli che ha semdiniego della giunta per le autorizza- ma di aver utilizzato altre persone, per fetto emulazione, scatenando tra i pre rispettato, a mia zioni a procedere. Si tratta di Luigi tutelarne la riservatezza. Le sue di- pentiti una gara a chi dice più cose su conoscenza. Perché a Guida ‘o drink, reggente del clan Bi- chiarazioni si aggiungono a quelle di Cosentino. Un effetto emulazione che dar retta a Berlusconi dognetti, Michele Froncillo, del clan Guida e di Froncillo. Gigino ‘o drink ha si è già visto in precedenti vicende (“i giudici sono matti, di Marcianise, e Raffaele Piccolo. I pm recentemente affermato di aver sapu- giudiziarie partenopee e che potrebmentalmente disturdella Dda di Napoli Sandro Milita e to da Gaetano Vassallo che “Cosen- be replicarsi anche in questa”. bati, antropologica-

La magistratura svolge rigorosamente le sue funzioni allorché, se ha elementi sufficienti per mettere un cittadino sotto processo, lo mette sotto processo

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OTO

“Cosentino cambiava assegni per conto dei clan”

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ANSA)


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Escalation Economist: da “inadatto” a “basta” fino ad “addio”

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LA PROTESTA

ime to say addio” (È tempo di dire addio): con questo titolo, l’Economist in edicola oggi afferma in uno dei suoi editoriali che il presidente del Consiglio (chiamato “Il nostro primo ministro preferito”) “dovrebbe andarsene”. “La carriera politica di Berlusconi è sul limite. Dovrebbe andarsene”, si legge nel sommario del pezzo, nel quale si ricordano alcune delle vicende

che hanno coinvolto il premier nell’ultima settimana. Il settimanale britannico ricorda la propria ‘coerenza’: “criticammo la sua discesa in politica nel 1993-94. Nel 2001 abbiamo detto che era inadatto a governare l’Italia. Nel 2006 consigliammo gli elettori italiani di dire ‘Basta!’. Nel marzo 2008 li abbiamo invitati a sostenere il suo avversario di centrosinistra”. Ma ricorda anche come la rivista

abbia evitato in larga parte i presunti scandali sessuali, concentrandosi “su due questioni sostanziali: i conflitti di interesse tra il suo lavoro negli affari e quello in politica, e la performance del suo governo”. Il periodico parla anche dei possibili successori, e menziona Fini (“che complotta apertamente per estromettere Berlusconi”, scrive), Casini e Bersani.

Nel Pd Bersani (ancora) non va, ma il presidente Bindi sarà in Piazza GLI ORGANIZZATORI DEL NO B.DAY ANNUNCIANO: SAREMO 350 MILA di Federico Mello

aremo 350.000” azzardano gli organizzatori del No Berlusconi Day. I ragazzi in viola vanno anche contro la scaramanzia: un vero politico non farebbe mai un pronostico sulla Piazza. Loro anche in questo si dimostrano diversi, non hanno timori di maniera. E non sanno ancora che tra loro ci sarà anche un manifestante illustre, che più volte aveva dichiarato: “Se non fossi presidente del Pd andrei in piazza”. Ma in serata Rosy Bindi ha rotto gli indugi: dopo un colloquio con Bersani anche lei ci sarà. Ieri mattina, dunque, ultima conferenza stampa del No B. Day prima dell’appuntamento di domani. In una saletta del Caffè Fandango a Roma, stipata fino all’inverosimile c’è la stampa dei grandi eventi. Gli organizzatori tirano le fila, definiscono gli ultimi particolari. Negli obiettivi dei fotografi ci sono i volti che in questi giorni hanno cominciato a fare capolino anche in televisione: Sara De Santis, Gianfranco Mascia, Alessandro Tuffu, Gabriella Magnano. Da Catania, a dare un ulteriore spruzzata di politica 2.0, parlano colle-

La pagina dell’Economist oggi in edicola, con il commento dedicato a Berlusconi

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“una decisione molto grave” la definisce il consigliere Rai Rizzo Nervo. Di Pietro, che ha sposato fin dall’inizio il No Berlusconi Day, propone di “pagare il canone ai blogger piuttosto che alla televisione di Stato” e attacca i democratici: “Se la dirigenza del Pd avesse accettato di metterci la faccia, oggi la Rai non avrebbe avuto il coraggio di dire no alla diretta”. Risponde Giovanna Melandri: “Nelle scelte aziendali prese dalla Rai, il Pd non c’en-

tra proprio nulla”. In effetti sono tutti concordi nel chiedere la diretta e anche sulla partecipazione in piazza il pendolo Pd comincia oscillare verso il Sì. Persino Bersani guarda con “speranza” al No B. Day: “Vedo nella manifestazione la possibilità che prendano voce nuovi protagonisti della democrazia”. Un buon augurio per il popolo viola. Che continua a tenersi stretta la sua genesi collettiva: “Noi siamo stati la scintilla, voi farete la storia” scrivono ai fan su Facebook. Fan che ormai nessuno conta più. Perché ormai conta solo la Piazza.

www.ilfattoquotidiano.it gati via Skype Franz Mannino e Massimo Malerba. “Ce ne freghiamo dei leader di partito – dicono – a noi interessa la base”. La lotta, comunque, non è certo contro i partiti di opposizione: “Andremo in Piazza per dire no alla cultura berlusconiana, per riaffermare l’uguaglianza di tutti i cittadini” mentre in Italia “un clan di persone si comporta da più uguali degli al-

tri”. Poi, è vero, Berlusconi è stato eletto democraticamente “ma il voto è falsato: se uno di noi possedesse tutte le televisione, potrebbe diventare anche lui premier”. Quindi l’affondo che meglio descrive la giornata del 5: “Hanno detto che siamo ingenui, ma la verità è che noi siamo andati a occupare un posto lasciato dai partiti”. È questa in effetti una vecchia legge della

“NON È UNA GARA ANTI-PREMIER” l manifesto che hanno preparato per doIVerdi mani ritrae un “Berlusconi radioattivo”. I in piazza ci andranno vestiti con delle tute bianche, per dire basta alla politica che “intossica”. Il loro presidente, da meno di due mesi, è Angelo Bonelli. Con che spirito partecipate al No B-day? Scendiamo in piazza con la consapevolezza che l’Italia vive una delle stagioni più difficili per la sua tenuta democratica. C’è un’emergenza in corso, e bisogna andare in piazza per difendere la Costituzione, la democrazia e la libertà. Non si tratta solo di una questione politica, è un dovere morale. La nostra democrazia è a rischio? Noi Verdi sentiamo una grande preoccupazione: siamo all’apice di una situazione che va avanti da quindici anni e che non è stata affrontata con le dovute maniere, a partire dal conflitto di interessi. Berlusconi mette continuamente in fibrillazione la Costituzione. Solo in questa legislatura ha proposto il Lodo Alfano, il ddl sul processo breve e ora ci prova con il legittimo impedimento. Questo significa terremotare la Costituzione. Come ecologisti mettete in guardia: questo governo sta facendo le peggiori politiche ambientali della storia della Repubblica. Già, purtroppo il processo breve farebbe saltare anche molti processi per reati ambientali. Penso alla Valle del Sacco, nel

50.000 ADESIONI Ha centrato le 50.000 adesioni l’appello del Fatto Quotidiano pubblicato sul nostro sito. Ringraziamo tutti i lettori e ricordiamo che è ancora possibile dare la propria adesione.

FAVA

BONELLI

di Paola Zanca

politica: i vuoti si riempiono sempre. E questa volta, per riempire il vuoto dell’indignazione contro le politiche del governo Berlusconi, è addirittura nato un modo nuovo di fare politica grazie a Internet. La politica, come succede spesso con i movimenti sociali, segue. A dividere i partiti è la decisione della Rai di non concedere la diretta della Piazza al Tg3

Lazio, dove l’inquinamento ha intossicato migliaia di persone, o all’Ilva di Taranto, con tutte le morti provocate dalla diossina. Per questo mi rivolgo agli ecologisti, per ricordare che abbiamo un motivo in più per scendere in piazza. Perché quando c’è inquinamento c’è strage di vite e di diritti. A manifestare con noi su questi temi ci saranno anche molti eco-dem (la componente ecologista del partito democratico, ndr) E invece che ne pensa di quella parte del Pd che in piazza non ci sarà? Stanno sbagliando, ma mi fermo qui. Credo che dovremmo evitare di fare polemica tra di noi. Lo dico a Di Pietro: basta con la gara a chi è più antiberlusconiano, concentriamoci tutti sull’obiettivo, che è quello di creare le condizioni per un’alternativa politica e civile. Nel Pdl si stanno massacrando, noi dobbiamo dimostrare di essere uniti per mandare a casa questo personaggio. Nei giorni scorsi lei ha protestato per la mancata diretta televisiva della Rai. La ritengo una decisione scandalosa: la tv pubblica – che ora è sotto il controllo della maggioranza – usa due pesi e due misure. Nel 2007 concesse la diretta alla manifestazione contro il governo Prodi, ora vuole bendare gli occhi e le orecchie degli italiani di fronte a questo evento storico, che è nato dalla Rete ma sta assumendo dimensioni gigantesche. Il no alla diretta televisiva è da regime sudamericano.

“IN PIAZZA CHI HA LA SCHIENA DRITTA” omani sarà in piazza per “due buone raDsizione gioni”. La prima: “Ridare forza all’oppocontro un governo che ha svuotato la nostra democrazia”. La seconda: “Appoggiare la rete civile, il Paese che ha la schiena dritta, quelli capaci di darsi da fare”. Claudio Fava, coordinatore di Sinistra e Libertà, al No B day parteciperà in primo luogo come cittadino, ed è contento che nessun partito sia riuscito a “mettere il cappello” alla manifestazione nata sulla Rete. Pensa che Di Pietro ci abbia provato? Di Pietro ci prova sempre. C’è un suo lato molto egoista nell’accostare il suo nome alle battaglie. Io sono più per la cultura del “noi”. Pensi alla lotta alla mafia: se fosse stata l’espressione di uno, sarebbe stata una battaglia di testimonianza, il piacere di contemplarsi allo specchio. Invece è stata una battagli vincente perché è stata di comunità. E dell’atteggiamento del Pd che idea si è fatto? Il Pd purtroppo continua a portarsi dietro la zavorra delle sue contraddizioni. Su questa manifestazione ha avuto un atteggiamento primitivo: stimo molto Bersani ma purtroppo anche stavolta si è ripetuto un vezzo veltroniano, quel “Partecipo ma non lo dico”, che abbiamo visto in altre occasioni: la manifestazione della Cgil a piazza San Giovanni, il no Cav day di piazza Navona. La politica ha bisogno di partiti che dicono chi sono e cosa vogliono. I democratici dicono che

l’antidoto alle leggi ad personam sono le riforme condivise... Fare le riforme a larga maggioranza è un principio di salute pubblica, il problema è l’interlocutore. Aver lasciato che la linea del Pd sulla giustizia fosse quella proposta da Letta lo considero, per usare le parole di Armando Spataro, “una bestemmia giuridica”. Dire che Berlusconi ha diritto a difendersi dal processo è la profezia della sua impunità: che il Pd (esclusa Rosy Bindi e pochi altri) dica questo è paradossale. O forse è questo Paese che sta assomigliando sempre di più a Berlusconi. Anche le pressioni a Vendola affinché non si ricandidi in Puglia sono paradossali? Credo che già il fatto che un governatore uscente, che ha governato bene, non venga riconfermato sia un fatto sgradevole. Ma la cosa ancora più grave è il rifiuto delle primarie: proprio il Pd che ha fondato la sua nascita su questo istituto di partecipazione ora si piega a miserabili calcoli di tatticismo, gli stessi che fa anche l’Idv quando dice che ha il suo candidato. Con questi modi, si riduce la politica ad un pallottoliere: un dare in cambio di un avere, uno scambio tra mercanti e mercanzie. Se il Partito Democratico e l’Italia dei Valori ritengono di poter fare a meno di Sinistra e Libertà in Puglia, allora ne faranno a meno in tutte le altre regioni. (p.z.)


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Venerdì 4 dicembre 2009

Il Tar annulla la graduatoria del Master di giornalismo di Torino

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SINISTRE

ggi e domani niente lezioni”. Brutta sorpresa, ieri mattina, per i venti allievi del master biennale di giornalismo dell’Università di Torino. Il Tar del Piemonte, infatti, ha annullato la graduatoria di ammissione del settembre 2008 accogliendo il ricorso di un ventisettenne escluso dalle selezioni. Dalla sentenza

risultano alcune irregolarità, tra le quali spicca la data del verbale di costituzione della commissione giudicante, successiva alla conclusione degli esami. Un pasticcio (nella migliore delle ipotesi) che, oltre a mettere a repentaglio 18 mesi di praticantato, getta ombre sulla regolarità del concorso. A passare per raccomandati, però, i ragazzi non

ci stanno: “Siamo disposti a pubblicare i nostri curricula – scrivono in una lettera aperta – in cui emerge con chiarezza che nessuno di noi è ‘figlio di colleghi’. Ricordiamo poi che ben 9 studenti inizialmente inseriti in graduatoria hanno scelto altre scuole, determinando così altrettanti ripescaggi tra gli esclusi”. (Ste. Cas.)

NASCE LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA ED È ANCORA FALCE E MARTELLO Prc, Pdci e compagni: (ri)aggregazione dei partiti che non sanno rinunciare al simbolo comunista di Luca Telese

occhio e croce, quella presentata ieri alla Camera è la dodicesima declinazione della falce e martello nella storia politica italiana. Infatti, in una conferenza stampa a Montecitorio Paolo Ferrero, Cesare Salvi e Oliviero Diliberto hanno battezzato la Federazione della Sinistra che entro un anno dovrebbe portare alla nascita di un nuovo partito, dalle ceneri di quattro promotori: Rifondazione Pdci, Socialismo 2000 (la componente di Salvi) e Lavoro e solidarietà (quella che nella sinistra della Cgil fa capo a Giampaolo Patta). Eppure, ridotto all’osso, il patrimonio simbolico della federazione è soprattutto in quel simbolo: l’ultima eredità iconografica del vecchio Pci, un emblema che sulle schede elettorali vale ancora un milione di voti. Una massa critica che in molte regioni – dato il meccanismo elettorale a turno unico – è in grado di svolgere il ruolo di ago della bilancia nella contesa fra centrodestra e centrosinistra. Scissioni & biciclette. Le altre due notizie sono queste. Ieri Ferrero ha annunciato: “La nuova Federazione sosterrà in Puglia la candidatura di Nichi Vendola”. Una scelta che politicamente po-

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trebbe sembrare scontata, ma che invece non lo è affatto, dati gli strascichi velenosi dell’ultima drammatica scissione. La seconda notizia è un corollario non indifferente di questo passo. In molte regioni, anche per via dello sbarramento, avverrà quel che non è accaduto alle elezioni europee. Sinistra e libertà (la formazione di Vendola e di Claudio Fava) e la Federazione della Sinistra correranno con un simbolo a bicicletta. Anche in questo caso, a pochi mesi dalla sfida fratricida, che portò entrambe le formazioni a mancare il quorum per Strasburgo, sulle schede elettorali si ricomporrà una frattura che pareva insanabile. Nel No B. Day. Il nuovo simbolo della federazione porta i segni di tutte queste mutazioni. La bandiera rossa trapezoidale viene infatti dal logo di RIfondazione. Il tricolore sovrapposto è figlio del Pdci. La corona rossa con le altre sigle è frutto delle più recenti acquisizioni. La prima prova “su strada” sarà domani, quando la federazione esordirà nella manifestazione dedl No B. Day di piazza San Giovanni. É lo stesso Ferrero a dirlo, nella sua introduzione: “Lavoriamo per la

I loghi della “famiglia comunista”, a partire da quello della casa madre, il Pci, passando per Prc, Pdci e ora, ultimo arrivato (in basso a destra), il simbolo della nuova Federazione della Sinistra.

EDITORIA

SORU CERCA UN NUOVO PROPRIETARIO PER L’UNITÀ

di Marco

Gabrieli

comprato il quotidiano stoAun veva rico della sinistra “per preservare patrimonio della democrazia”, ma dopo un anno e mezzo ha già voglia di dire basta. Intervistato da Panorama, il patron dell’Unità e di Tiscali, Renato Soru, parla chiaro: “Oggi non sarei contrario al fatto che qualcuno mi avvicendasse alla guida del giornale”. Un messaggio a potenziali compratori e forse anche al Pd del neo-segretario Bersani, che ha inserito il franceschiniano Soru nella direzione nazionale del partito. L’ex governatore della Sardegna invoca un nuovo proprietario per il giornale che rilevò nel maggio 2008 per oltre 20 milioni, ora alle prese con un pesante disavanzo economico. Un “rosso” da diversi milioni, a cui nella primavera scorsa la proprietà ha risposto con un piano da lacrime e sangue:

cassa integrazione al 20% per tutti i dipendenti, 15 tra pensionamenti e prepensionamenti e mancato rinnovo di 23 contratti a termine, più la chiusura della cronaca di Roma e tagli robusti nelle redazioni di Milano, Firenze e Bologna. A Panorama, Soru ha spiegato di non voler investire più nel giornale: “Non credo che l’Unità abbia bisogno di ulteriori ricapitalizzazioni, perché ora è in sostanziale equilibrio economico e vende 55mila copie più 230mila contatti giornalieri di utenti unici su internet”. Parole ribadite più volte in assemblea alla redazione centrale di Roma, dove Soru si reca ogni mercoledì per parlare con il direttore, Concita De Gregorio, e per avere aggiornamenti sull’attività del sito online del quotidiano. Il settore che più gli interessa. Tanto da riportare gran parte dei tecnici che se ne occupano nella sua Cagliari. La sede centrale di Tiscali, i cui destini si intrecciano inevitabilmente con quelli dell’Unità. “Il mio impegno sul giornale è nato in un momento diverso, quando sembrava che avrei venduto Tiscali” sottolinea Soru, che dopo la sconfitta nelle elezioni regionali dello scorso febbraio ha riassunto la carica di ad dell’azienda. In ripresa, dopo i tracolli in Borsa dei mesi scorsi. “Sono totalmente impegnato in Tiscali, quindi escludo un mio ritorno in politica” ripete l’ex governatore, che con la cessione dell’Unità tornerebbe

a occuparsi esclusivamente della sua “creatura”. Ma vendere il quotidiano non è semplice, in un momento di generale recessione dell’editoria. L’Unità, come rivendica spesso il suo direttore, ha retto alla crisi restando sopra una media di 50.000 copie vendute in edicola. Un risultato che non basta però per attirare nuovi compratori in uno scenario in cui tutti i grandi giornali tagliano drasticamente posti. La sensazione quindi è che Soru attenda segnali dal Partito Democratico. Per ora immobile sul fronte Unità. “Il giornale ha un legittimo proprietario e ora Bersani ha altro a cui pensare” spiega un dirigente vicino al segretario. Fermo nel negare trattative sul futuro del quotidiano (“Non ne abbiamo mai parlato”). Ma prima o poi il Pd dovrà affrontare il problema. Piuttosto urgente, anche per la redazione. Sfibrata per i pesanti carichi di lavoro imposti dai tagli e dalla rotazione forzata. “Una cosa è certa, siamo troppo pochi” conferma un redattore che dà atto a Soru “di aver parlato sempre chiaro: ci ha detto chiaro e tondo che non avrebbe messo più soldi nel giornale e che se arrivasse una buona offerta la valuterebbe”. In redazione insomma l’intervista non ha suscitato sorpresa. “Il punto essenziale è evitare che alla porta si presenti qualche squalo, pronto a speculare sulla testata” ragionano in diversi. Per ora, l’Unità va avanti senza scossoni. Con un proprietario che aspetta compratori.

costruzione di un’opposizione ampia e democratica. Per ora non ci sono grandi segnali di apertura da parte di Bersani. Ma del resto anche per noi – dice Ferrero – è inspiegabile la mancata partecipazione del Pd”. Guttuso e la Bolognina. La storia delle tante falci e martello della politica italiana, è anche la traccia grafica di una lunga (e spesso dolorosa) diaspora. Il simbolo primigenio, quello del Pci, secondo la leggenda fu disegnato da Renato Guttuso. In realtà, come ha rivelato Bruno Magno, capo dell’ufficio grafico di Botteghe Oscure, il maestro aggiunse un tocco di eleganza nella versione in bianco e nero, che era stata progettata con qualche tratto di genialità da un grafico napoletano del partito che è rimasto senza nome. Nacquero su queste modello altre falci e martello della sinistra: quella del Psiup (con un planisfero al fianco) quella del Pdup e quella di Democrazia Proletaria (con un pugno chiuso giallo). Guerra legale. Nel 1989, al momento della Svolta, Occhetto collocò il simbolo del Pci (contro il parere dello stesso Magno) alla base della Quercia. Due mesi dopo si aprì una furibonda battaglia legale contro Sergio Garavini e Cossutta, che fondando Rifondazione avevano registrato il simbolo per il nuovo partito. Il giudice Mario Delli Priscoli diede ragione al Pds. Nel 1995, sulla fiducia al governo Dini, nacquero i Comunisti unitari. Anche loro con falce e martello (e bandiera disegnata in un altro modo). Nel 1996, Cossutta uscì da Rifonda-

zione, ottenendo a sua volta la possibilità di ritoccare di poco il vecchio simbolo del Pci (mancavano solo l’asta, lo sfondo diventava azzurro): il suo Pdci non ha mai preso meno del 2%. Nel 2006, da Rifondazione escono i trotskisti del Partito comunista dei lavoratori (altra falce, stavolta rossa) e nel 2008 quelli di Sinistra critica (altra falce, stavolta con la stella). Anche il Pdci, ha la sua scissione, con la formazione di Marco Rizzo (di nuovo falce e martello stavolta quadrata). Il motivo di questa inverosimile proliferazione è – ovviamente – nella fortissima riconoscibilità sulla scheda. Sia i trotskisti di Sinistra critica che quelli di Ferrando, infatti, hanno rubato dei voti (0.5%) che alle politiche e alle europee hanno fatto mancare il quorum a Rifondazione. Federazioni. Ora la federazione punta a riaggregare quel che un tempo si è diviso. Ovviamente il cammino non è facile e spesso tortuoso. Basta pensare che, poiché la componente di Patta nel congresso della Cgil non è schierata con la minoranza, si arriva al paradosso che la Federazione è più vicina ai “riformisti” di Epifani che ai “radicali” della Fiom. Sui luoghi di lavoro (Eutelia, Innse, Fiat) grazie all’ex Maurizio Zipponi, i dipietristi contendono i bacini storici di consenso operaio. Nelle ultime due tornate, poi, i tentativi di ricomposizione non sono stati premiati dagli elettori. Quello delle regionali – dove verrà sperimentata anche una “coalizione arcobaleno” con Di Pietro e i Verdi – è l’ultimo treno per capire se quei voti rossi resteranno nel limbo dei mancati quorum, o se torneranno nel grande gioco delle coalizioni di centrosinistra.

Gli Altri

DIVENTA SETTIMANALE Domenica l’ultimo numero ‘da quotidiano’. Poi, dal 18 dicembre si passa alla versione settimanale. Dopo aver cambiato nome, da “L’Altro” a “Gli Altri” e dopo 176 numeri, il giornale di Piero Sansonetti cambia anche periodicità. Ieri mattina in un editoriale il direttore ha spiegato ai lettori le ragioni del cambio di passo. Sono tempi duri per l’editoria: pochi soldi, nessun finanziamento pubblico (sorte condivisa, scrive Sansonetti, solo con “Il Fatto quotidiano”), ma anche una linea politico-editoriale controcorrente “Mentre il populismo di sinistra e di destra dilagano”. Insomma: i conti non tornano. Sia quelli monetari che, probabilmente, quelli politici. Perciò “Gli Altri” rinuncia alla versione quotidiana cartacea. Resterà quella online. Ma Sansonetti non molla la presa e si dice convinto del suo progetto. “Non solo è un buon progetto – scrive – ma è indispensabile. Indispensabile alla sinistra, per provare a rinascere. A rifondarsi”. Appuntamento, quindi, a venerdì 18 dicembre con il nuovo settimanale.


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Ionta: “L’inchiesta interna al Dap articolata ma parziale”

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CRONACHE

essuna responsabilità da parte della polizia penitenziaria sulla morte di Stefano Cucchi. E’ il risultato dell’inchiesta amministrativa interna avviata dal Dap sulla vicenda. Risultato annunciato mercoledì dal capo del Dap Franco Ionta. E che non modifica la posizione penale dei tre agenti: per la Procura di Roma resta l’ipotesi a loro carico di omicidio

preterintenzionale. Ionta, al Salone della Giustizia a Rimini, ha detto ieri che l’inchiesta interna “è stata articolata, ma parziale. Se nell’inchiesta della magistratura emergeranno delle responsabilità queste saranno sanzionate”. Sempre mercoledì è stato ascoltato il detenuto arabo, Tarek, che ha negato di aver scritto la lettera secondo cui Cucchi gli avrebbe detto di essere stato picchiato

dai carabinieri. E’ prevista per la prossima settimana, invece, l’audizione del primo medico che visitò Cucchi nel carcere di Regina Coeli. Insomma, la vicenda mostra zone d’ombra. Unica certezza, l’accordo tra il ministero di Giustizia e l’ospedale Pertini per cui, d’ora in poi, ai familiari dei detenuti sarà consentito parlare con i medici. Cosa che, nel caso Cucchi, era stata negata.

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“FRA UN PO’ DIRANNO CHE SI È SUICIDATO” Ilaria Cucchi, parla di Stefano e dello “scaricabarile” sulla sua morte di Silvia D’Onghia

tefano non l’abbiamo ucciso noi, né si è suicidato. Tra poco diranno che è stato ucciso da un fulmine”. É dura Ilaria Cucchi. É pacata ma determinata, come lo è stata fin dall’inizio, da quando, il 22 ottobre, le hanno detto che suo fratello era morto sei giorni dopo un arresto per droga. A un mese e mezzo di distanza, mentre l’indagine della Procura di Roma prosegue (finora rimangono sei gli indagati: tre agenti penitenziari e tre medici), non soltanto nessuno si è assunto la responsabilità di quell’omicidio ma ogni soggetto coinvolto nella vicenda se n’è tirato fuori. L’hanno fatto per primi i carabinieri, qualche giorno dopo la morte di Stefano, l’hanno fatto i medici dell’ospedale Pertini, che sono stati subito reintegrati al lavoro, l’hanno fatto i poliziotti penitenziari al termine dell’inchiesta interna (“articolata, ma parziale”, come ha detto ieri il capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Franco Ionta). “É un vergognoso scaricabarile – racconta Ilaria – sembra che non sia stato nessuno ad ucciderlo. Ma noi abbiamo visto Stefano uscire di casa che stava bene e sappiamo come lo abbiamo rivisto dopo la sua morte. Adesso quasi quasi mi viene da pensare che non sia morto”. Difficile ora continuare ad avere fiducia. “É una fiducia molto più prudente. Noi siamo stati trasparenti fin dall’inizio, abbiamo dato alla magistratura tutte le informazioni in nostro possesso, pen-

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sando che potessero essere utili alle indagini. Questo fa parte del nostro modo di essere. Ci auguriamo che le cose vadano avanti in fretta e che venga fatta chiarezza”. La mamma e il papà di Stefano sono molto provati, stanno rivivendo quotidianamente il proprio dolore ma nonostante tutto hanno la forza di andare avanti: “La battaglia purtroppo è ancora all’inizio – prosegue Ilaria – dovremo ancora affrontare tanti processi, a Stefano e a noi come famiglia”. Ciò che amareggia di più, infatti, è il tentativo che è stato fatto di gettare ombre sul fratello: “É stata messa in discussione la sua personalità, si

è sottolineato il suo rapporto con la droga, che peraltro non abbiamo mai nascosto. Addirittura qualcuno ha provato a dire che Stefano si sarebbe procurato le lesioni in un incidente d’auto avvenuto il 29 settembre. Andate a guardare sul mio blog, perstefanocucchi.blogspot.com, in che condizioni è quella macchina. Sono stati messi in discussione i rapporti familiari, che invece erano ottimi. Ma poi dico: se anche fossero stati pessimi, questo non giustificherebbe mai quello che è successo. Io trovo tutto questo ignobile”. Scrive Ilaria sul suo blog: Stefano è stato un caro fratello: era allegro, affettuoso, altruista e buo-

MORTE ALLA THYSSEN

Emessi otto avvisi di garanzia

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Ilaria Cucchi (FOTO ANSA)

no, ma purtroppo la droga è entrata nella sua vita e l’ha rovinata e distrutta. Nei prossimi giorni si conosceranno meglio i risultati degli esami fatti sulla salma. Intanto i periti di parte hanno già cominciato a lavorare e hanno evidenziato numerose infiltrazioni emorragiche intorno alla mandibola e alla guancia sinistra e la “presenza di contenuto gastrico a franca presenza emorragica”. É emerso poi un eccessivo contenuto di urina nella vescica (nonostante il paziente fosse cateterizzato in ospedale) per cui i periti ipotizzano un mal posizionamento del catetere o un’ostruzione. Verranno analizzate meglio, infine, “le aree di colorito rossastro” sul braccio e sul pollice della mano destra. La Procura nei pros-

La stilista (di destra) che ha cambiato sesso DA CICCHITTO A FELTRI, PASSANDO PER LA SANTANCHÈ, TUTTI I SUOI SPONSOR di Giuseppe Caruso

La stampa poi non ha aiutato Ha amplificato questa idea distorta. Io per l caso Marrazzo è stato un dramma so- esempio ho avuto la fortuna di vivere in un prattutto per i trans italiani”. Ne è as- ambiente ovattato e di alto livello, grazie a solutamente convinta Robertina Mangana- mio marito, un conte, e grazie all’attività di ro, professione stilista, che quando era un stilista che mi ha permesso di entrare in molragazzo di diciannove anni decise di cam- ti salotti. biare sesso. Parla della vicenda del ricatto al Un ambiente politicamente di destra governatore della regione Lazio come una però, che di solito disprezza i transessorta di bomba nucleare “per la categoria, suali. quella dei trans, a cui comunque non mi sen- Per quanto mi riguarda, non sono mai stata to più di appartenere”. Per lei, frequenta- discriminata, anzi. Ho trovato buone amicitrice dei salotti della “Milano bene”e che nel zie. Anche se poi, magari, quando vedo 2008 rinunciò a una candidatura con il Pdl qualcuno che conosco e che in televisione per il Parlamento italiano, è grave far passare si accanisce sugli omosessuali o i trans, ci “l’idea che trans voglia dire prostituta. Molti rimango male. transessuali lavorano, pagano le tasse, han- Tipo? no un compagno e provano a integrarsi nel- Tipo Daniela Santanchè, che con me è stata la società. Il sottobosco del caso Marrazzo, sempre gentile e disponibile. L’ho conopurtroppo popolato da trans sgradevoli e sciuta una decina di anni fa, quando si ocgrotteschi dal punto di vista estetico, ha raf- cupava di pubbliche relazioni e mi invitava a forzato questo modo di vedere le cose”. tutti gli eventi che organizzava. Mai una parola fuori posto con me. Come del resto tutte le persone deldi Rita Di Giovacchino CASO MARRAZZO la così detta “Milano bene” che frequento. Lei, grazie a questi contatti, nel estano in carcere Luciano Simeone Tamburrino attualmente ai domiciliari, 2008 è stata a un e Nicola Tagliente, i carabinieri secondo il quale il cd che aveva portato passo dalla candicoinvolti nel ricatto a Marrazzo tuttora a Milano era soltanto una copia ridotta datura con il Pdl, non certo tenero agli arresti. I due sarebbero ancora in dell’originale, che durava almeno 13 nei confronti dei possesso di copie del video girato in via minuti. Quella consegnata all’agenzia trans. Come nacGradoli, quando l’ex governatore del Photo-Masi risultava invece non più que quell’idea? Lazio fu sorpreso in compagnia del trans lunga di tre minuti. E’ vero, mi avevano Natalie, e pertanto non sarebbe venuto Intanto si è conclusa la prima fase delle proposto una canmeno il pericolo che possano inquinare indagini sulla morte di Brenda, morta didatura. Fu Fabrile prove. Questa la motivazione, per asfissia a causa del misterioso zio Cicchitto, una addotta ieri dal Tribunale del Riesame incendio sviluppatosi nella sua persona molto gentile e cordiale, codi Roma, che ha respinto la richiesta di abitazione. La perizia ha escluso che nosciuta in un salotlibertà avanzata dai difensori. A possa essere stata la candela a to milanese, a farmi sostegno di questa tesi le dichiarazioni carbonizzare il trolley, resta così in piedi l’offerta. Era cosa di uno dei coimputati, Antonio l’ipotesi dell’omicidio volontario. fatta, ma poi ho preferito rinunciare,

“I

I CARABINIERI RESTANO IN CARCERE

R

simi giorni ascolterà, in sede di incidente probatorio, un secondo testimone, un detenuto italiano che avrebbe sentito il pianto del ragazzo “pestato a sangue”. I pm Barba e Loy darebbero invece meno credito al tunisino che, in una lettera fatta scrivere da un compagno di cella, ha accusato del pestaggio i carabinieri, ma che si sarebbe contraddetto durante l’interrogatorio. La famiglia Cucchi continua ad avere la solidarietà di tante persone e del Comitato di 12 parlamentari che vogliono che sulla vicenda sia fatta luce. “Sono sicura che, se non ci fosse stato l’interesse mediatico per la vicenda – conclude Ilaria – il caso sarebbe stato archiviato”. Per questo è importante che se ne continui a parlare.

perché non mi sentivo pronta per un impegno così importante e perché la mia attività di stilista che mi porta a vivere tra Milano e Parigi, dove ho un atelier, non mi avrebbe permesso di impegnarmi a fondo in questa avventura. La sua candidatura con il Pdl sarebbe stata sicuramente una sorpresa. Ma ancora più sorprendente, all’epoca dei fatti, fu l’appoggio che “Libero”, il quotidiano allora diretto da Vittorio Feltri, fornì a questa possibilità. Perché sorprendente? I toni usati da Vittorio Feltri nei confronti dei trans non sono particolarmente gentili. Conosco e frequento Vittorio da almeno quindici anni (e tira fuori dalla borsetta una foto che la ritrae sorridente accanto a Feltri, ndr) e in privato è una persona dolce e sensibile, che mi ha sempre trattata con i guanti di velluto. Un Feltri inedito. Il Vittorio che conosco io è molto diverso da come appare in pubblico, mi creda. E l’appoggio che diede alla mia candidatura non fu certo una sorpresa per chi era al corrente del rapporto esistente tra noi. Si figuri che era presente perfino al mio matrimonio. E Silvio Berlusconi era favorevole alla sua candidatura? Certo che sì, Cicchitto è un uomo molto vicino al premier. Ha mai conosciuto il presidente del Consiglio? No, ma ho avuto la fortuna di conoscere Piersilvio e Marina. Devono aver passato dei momenti difficili in questi ultimi mesi. Si riferisce allo scandalo delle escort? Sì, anche perché poi... (La Manganaro fa un’espressione perplessa). Cosa? Io non credo che Berlusconi abbia un’attività sessuale, è il classico “tutto fumo e niente arrosto”, per intenderci E chi gliel’ha detto? Così, è un’impressione”.

a procura di Terni ha emesso otto avvisi di garanzia con l’ipotesi di omicidio colposo per la morte dell’ operaio Diego Bianchina, di 31 anni, avvenuta martedì scorso nello stabilimento siderurgico della Thyssenkrupp. Tra i destinatari pare ci siano quadri intermedi ma non i dirigenti.

VARESE

Esplode edificio: due morti

I

eri mattina una fuga di gas ha fatto esplodere una palazzina di due piani nel centro storico di Borsano (Varese). Il triste bilancio dell’incidente è di due morti: Stefania Zhu, 19 anni, di origine cinese, e Andrea Rosignoli, 30 anni. Tratte in salvo cinque persone, tra cui i genitori della ragazza, presenti nell’edificio al momento dell’esplosione.

L’ASILO DEGLI ORRORI

Mostrati i video-choc

L

e immagini dei video choc che testimoniano i maltrattamenti all’asilo “Cip-Ciop” di Pistoia sono state mostrate ieri pomeriggio dalla procura ai genitori che ne hanno fatto richiesta. Tra i filmati, uno mostra un bimbo di meno di un anno che piange seduto su una sedia, mentre una delle due maestre arrestate lo prende lo solleva da terra e lo picchia. Intanto emergono particolari sul comportamento delle due donne, Anna Laura Scuderi ed Elena Pesce al momento dell’arresto. Fredde e apparentemente senza emozioni: così sono apparse a chi le ha portate in questura.

RIFIUTI

Bertolaso chiede dimissioni per nove sindaci

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l sottosegretario per l'emergenza rifiuti in Campania Bertolaso, ha chiesto la rimozione dei sindaci di nove Comuni per inadempienze nelle attività di raccolta dei rifiuti. Tra questi Casal di Principe e Castel Volturno.


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Venerdì 4 dicembre 2009

TELECOMANDI

Il digitale “azzoppa” la Rai Il futuro sorride a mister Sky LA TV SATELLITARE CRESCE NEI RICAVI di Loris

Mazzetti

a Rai nel 2009 potrebbe non essere più leader del settore. Si preannuncia un cambio al vertice a favore di Sky, al momento in testa per ricavi e pubblicità, manca ancora un mese e il condizionale è d’obbligo. Nel 2007 la tv di Murdoch era al terzo posto dopo la tv di Stato e Mediaset con 2.347 milioni di euro, nel 2008 ha superato la tv di Berlusconi e si è piazzata al secondo posto con 2.640 milioni, nel 2009 potrebbe salire sul primo gradino superando quota 2.700 milioni. La Rai è l’operatore che ha risentito maggiormente della crisi, mentre il Cavaliere ha attutito le perdite con l’aumento delle entrate della pay tv, grazie al rafforzamento di Mediaset Premium sulla piattaforma digitale terrestre. La crisi mondiale delle banche che ha bloccato il mercato pubblicitario, l’impopolarità per il governo di adeguare il canone a quello degli altri paesi europei, le multe dell’Authority per non aver rispettato le leggi (vedere alla voce Meocci direttore generale), e in assenza di un nuovo piano editoriale, la Rai si presta a fare il quarto taglio dei budget delle reti, mettendo, ancora una volta, sempre più a rischio programmi e qualità del prodotto. Un esempio: quello di Raitre nel

L

2008 era di 73 milioni di euro, dopo l’ultima castrazione è passato a 62 milioni, tenendo ben presente che Raitre è la rete che, rispetto alle altre, produce oltre il 90% dei programmi che mette in onda. La pubblicità insegue l’ascolto e sicuramente nelle perdite pubblicitarie della Rai ha contribuito lo stentato inizio del digitale terrestre. Mentre sta avvenendo in Campania il passaggio dall’analogico al digitale, i dati dell’ultimo switch off (non a caso qualcuno lo ha definito all’amatriciana), quello nel Lazio, ha segnato il crollo dell’Auditel nella regione: meno 15,9%; se consideriamo solo i telespettatori sopra i 65 anni, si arriva addirittura al 22%. Un interessante lavoro, fatto dall’agenzia Media Italia del gruppo Armando Testa, sull’evoluzione della tv digitale dall’avvento di Sky (luglio 2003) ad oggi, dimostra che da qui al 2012 (anno in cui il digitale terrestre coprirà interamente la Penisola) cambierà lo scenario televisivo e il rapporto del telespettatore con il mezzo. Rai e Mediaset dal 2003 ad oggi hanno perso l’11,4% di pubblico, prevalentemente a favore del satellite. Sky ha visto la sua platea più che raddoppiare da 6 a 14 milioni e gli abbonati da meno di 2 milioni a 4 milioni 800 mila, con l’obiettivo di superare i 5 milioni entro il 2009. La tv di

In alto la pubblicità del Digitale terrestre; sotto Mauro Masi (ANSA)

Stato è stata quella più penalizzata: meno 7,4%. Se entriamo nel particolare, la Rai ha perso 8,7% (Mediaset meno 5,6%, il satellite più 12,4%); nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni, in quella tra i 4 e i 14 anni il 13,4% (Mediaset meno 9,3%, il satellite più 18%). In Europa, non esiste un’altra tv che in sei anni abbia cambiato: cinque direttori generali (quattro in rappresentanza dei governi Berlu-

sconi, uno di Prodi), quattro presidenti. La Rai avrebbe avuto tutto il tempo per correre ai ripari, se non fosse un’azienda alle dirette dipendenze dei partiti. Per il politico di turno è più importante far passare un certo messaggio al tg che affrontare la concorrenza con strategie ben mirate in un paese dove il conflitto di interessi è grande come una casa. Ad ogni cambio di maggioranza, la prima cosa che fa il pre-

sidente del Consiglio eletto è quello di cambiare il direttore del Tg1: lo fece Berlusconi con Mimun, poi fu la volta di Prodi con Riotta, poi ancora Berlusconi con il suo amico Minzolini. Cerchiamo di capire, per quanto riguarda l’ascolto, cosa è successo nelle regioni in cui il digitale terrestre è definitivo (il periodo di rilevazione va dall’11 al 22 novembre). In Sardegna, il satellite, a livello di penetrazione, è in-

crementato del 5,6% rispetto alla Rai e Mediaset; in Trentino Alto Adige del 21,6%, in Piemonte del 6,9%, nel Lazio dell’8%. Questo dato è dovuto anche al fatto che in molte zone occorre il satellite per vedere le tv generaliste. Quale sarà lo scenario tv nel 2012 quando il digitale terrestre sarà presente su tutto il territorio italiano? Media Italia lancia un allarme. In questi sei anni le così dette “altre tv” cresceranno ancora in termini di ascolto, dall’odierno 21% passeranno a un probabile 29%, mentre Rai e Mediaset passeranno dall’attuale 79% al 71%, con la possibilità di recuperare attraverso l’offerta delle nuove reti nate grazie alla moltiplicazione dei canali dovuta al digitale. La situazione è grave ma non compromessa. Se la Rai adotterà politiche industriali ed editoriali adeguate può farcela. E’ importante che i vertici riportino le decisioni strategiche all’interno dell’azienda, smettano di essere condizionati da ministri o sottosegretari e, soprattutto, coinvolgano tutti i lavoratori, motivandoli anche con premi al raggiungimento degli obiettivi. Indipendenza e collaborazione sono indispensabili per arginare il passivo che nel 2012 potrebbe essere di 720 milioni di euro, come denunciato dal direttore generale Mauro Masi. A chi serve una Rai uguale all’Alitalia?

SWITCH OFF

TRENTINO E SARDEGNA: MEDIASET PERDE PIÙ DI 10 PUNTI DI SHARE

di Beatrice

Borromeo

arà anche la tivù del futuro, ma nel presente quella digitale non è esattamente di massa. Il calo di ascoltatori, dopo il passaggio al digitale terrestre, è ingente (come forse si poteva prevedere) e colpisce soprattutto le tv generaliste che vengono oscurate nella loro versione analogica. In questi giorni tocca alla Campania affrontare lo “switch off”, lo spegnimento del segnale: sono circa 1500 le telefonate che ogni ora i cittadini campani, confusi dalla novità tecnologica, fanno al call center (800 022 000). Un quinto rispetto a quelle registrate

S

nel Lazio durante il passaggio al digitale a metà novembre, dove la presenza di una miriade di antenne private al posto di quelle condominiali ha complicato la situazione. Oggi il segnale si spegne a Salerno, ed entro il 15 dicembre tutte le emittenti trasmetteranno in Campania solo in digitale. In questi giorni non c’è il tracollo di ascolti che ha accompagnato lo switch off a Roma e dintorni, dove l’Auditel aveva registrato il 20 per cento di spettatori in meno nella prima giornata digitale. Però alcuni problemi, a partire da quelli che si osservano a Napoli, restano, con un calo del 7 per cento di spettatori. Le cause: “Molte persone – spiega Cinzia, operatrice del call center – vengono prese dallo sconforto prima ancora di provare a sintonizzare il telecomando. Si tratta soprattutto di anziani”. Poi c’è chi non riesce a trovare un antennista disponibile per andare sul tetto a sistemare la ricezione: “I tecnici vengono presi d’assalto, in Campania non se ne trova uno”, racconta tra una richiesta di informazioni e uno sfogo di chi si è trovato

al buio. “In Campania mancano all’appello circa 300 mila spettatori rispetto a prima dello swich off – spiega Francesco Siliato, esperto di media e comunicazione del Politecnico di Milano – ma la situazione più critica, causata dalla disorganizzazione e dalla scarsa ricezione, resta quella del Lazio”. Quando lo share si abbassa, diminuiscono anche i ricavi delle vendite pubblicitarie, e l’impatto economico non è irrilevante. Anche se, finora, le associazioni di categoria degli inserzionisti non hanno protestato troppo per evitare di compromettere i rapporti futuri con le tivù digitali. Vediamo dove l’efficacia degli spot si è ridotta di più, ovvero in quali zone ci sono stati i maggiori cali di ascolto: in Piemonte i dati rilevati tra il 7 ottobre e il 22 novembre, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, segnano per la Rai una perdita del 4,1 per cento di spettatori, e per Mediaset del 5. Nel Lazio la Rai ha perso il 5,4 e Mediaset il 2. Stupisce il Trentino, dove la Rai segna meno 7,2 e Mediaset meno 10,2. Ancora peggiori, per l’azienda

della famiglia Berlusconi, i dati che arrivano dalla Sardegna: una perdita per Mediaset dell’11,1 per cento rispetto al 2008, mentre per la Rai il decremento è solo dell’1,7. In Sardegna, oltretutto, c’è l’unico dato positivo rilevato fino a oggi: Raidue mostra un +1,6 dopo lo switch off, anche grazie ai due mesi di fase intermedia, il cosiddetto switch over, che hanno preparato il suo pubblico al

BUONE NOTIZIE

passaggio (idem per Rete 4, che però non ha guadagnato share). “Partendo dal presupposto che gli ascolti si abbassano per tutti – commenta Siliato – sono sicuramente le tv generaliste quelle che subiscono i danni maggiori. Guadagneranno TivùSat, la piattaforma satellitare di Rai e Mediaset alternativa a Sky, e i canali digitali, che erano meno fruibili prima del passaggio”.

Nel primo semestre del 2010 passerà al digitale definitivamente anche la Lombardia, ma per lo spegnimento del segnale analogico bisognerà attendere che si voti alle elezioni regionali (il prossimo 28 marzo) per evitare che la confusione crei problemi alla campagna elettorale. Poi, dopo l’estate, toccherà all’Emilia Romagna, al Friuli Venezia Giulia e alla Liguria.

a cura della redazione di Cacaonline

L’ALBERGO AUTOSUFFICIENTE E IL MICROCREDITO EUROPEO Michaela Reitterer for president! Michaela Reitterer è la direttrice dell’albergo Stadthalle di Vienna, 81 camere, inaugurato lo scorso 27 novembre. La struttura è stata costruita in modo da autoprodurre tutta l’energia che consuma. Ci sono 160 mq di pannelli solari sul tetto, tra fotovoltaico e solare termico, l’illuminazione è esclusivamente a led, sotto l’albergo ci sono 10 serbatoi da 1.000 litri per la raccolta dell’acqua piovana e una pompa di calore per il riscaldamento. “Non abbiamo inventato nulla – ha dichiarato Michaela – abbiamo solo utilizzato in modo intelligente le tecniche esistenti. Il vento soffia e

il sole splende, perché comprare il petrolio dagli arabi?” Si può fare! Il microcredito in Europa L’European Microfinance Network è una rete che raccoglie 54 organizzazioni di microfinanza di 21 paesi europei. Raggiunge oltre 3 milioni di persone: in Francia si contano 36 mila beneficiari con crediti per circa 100 milioni di euro. In Finlandia i destinatari sono 26 mila con 149 milioni di euro, mentre in Italia sono 8 mila le persone che ne beneficiano, e 75 milioni concessi in prestito. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)


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AFFARI

L’Austria: i segreti sappiamo tenerli No come la Svizzera “L’ APPELLO” AI CAPITALI ESTERI di Francesco Bonazzi

a goccia che ha fatto traboccare il vaso della pur nota pazienza del Fisco italico è stato tutto quel pressing sui clienti del Nord-Est: “Siamo meglio della Svizzera, da noi potete stare tranquilli perché il segreto bancario è nella Costituzione”. Un tam tam la cui eco era addirittura finita sui siti Internet delle banche austriache e che nei giorni scorsi aveva innervosito il ministro Giulio Tremonti, impegnato nella difficile impresa di massimizzare gli introiti dello scudo fiscale e di rimpinguare le disastrate casse della finanza pubblica. Si spiega così la massiccia ondata di perquisizioni andata in scena ieri, tra molti squilli di tromba, nelle filiali italiane delle principali banche austriache. Ai piani alti di via XX Settembre hanno capito che oltre al rischio di uno scudo in tono minore – per arrivare a quegli agognati 5 miliardi di gettito previsto, si studia una bella proroga fino a primavera – si rischia la beffa di capitali che rientrano dalla Svizzera, pagano il loro misero 5% all’Erario e riprendono prontamente la via dell’estero in un paese egualmente vicino, ma più “schermato”, come l’Austria. Di primo mattino, ieri, le agen-

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zie di stampa battevano la gran cassa di una nuova “operazione congiunta Guardia di finanza-Agenzia delle Entrate”. A subire la simpatica visitina delle Fiamme gialle e ispettori fiscali sono state 38 filiali italiane di istituti di credito austriaci. Pochi i nomi filtrati: Alpenbank, Hypo Tirol Bank Italien, Kartner Sparkasse e Hypo Alpe Adria Bank. Ma nel mirino ci sarebbero anche altre banche, con particolare attenzione a quelle che fanno della gestione patrimoniale e della consulenza personale di alto livello il loro punto di forza. Così, gli esperti delle Finanze si sono fatti consegnare materiale utile a capire se i banchieri austriaci che operano in città come Pordenone, Trieste, Padova, Bolzano o Milano rispettino fino in fondo tutte le regole italiane. Ufficialmente, i controlli si sono concentrati “sul corretto adempimento degli obblighi di comunicazione all’Archivio dei rapporti finanziari intrattenuti con i clienti e delle posizioni al di fuori dei rapporti continuativi”. In parole normali, significa che gli uomini dell’Agenzia delle Entrate, diretta da Attilio Befera, vogliono essere sicuri che almeno in Italia le banche ispezionate ieri non abbiamo conti o posizioni “cifrate” o non registrate con anagrafiche corrette. Non

solo, ma quel riferimento ai “rapporti non continuativi”, come spiega al Fatto un investigatore, allude proprio a una delle fattispecie più temute dal Fisco nell’ambito dei rientri di questi giorni: il deposito “spot” di grosse cifre da parte di soggetti che non sono clienti abituali, e quindi ben conosciuti, della banca che opera sul suolo italiano. Una circostanza spesso rilevante ai fini della lotta al riciclaggio. Questi controlli sugli archivi possono essere anche abbastanza leggeri, perché la legge non consente vere e proprie perquisizioni se non in caso di specifiche ipotesi di reato, ma se ben propagandati funzionano come deterrente nei confronti della clientela in vena di astuzie fiscali. Del resto, per chi fosse propenso a simili astuzie, e soprattutto per coloro che si fossero lasciati impressionare dall’analogo blitz del mese scorso nelle filiali italiane degli istituti svizzeri, quella del segreto bancario è davvero una “Austria felix”. Senza intraprendere viaggi che in questi tempi di telecamere ai valichi possono risultare fastidiosi,

basta farsi un giro su Internet per capire come funziona questo carnevale anticipato. Il sito Web della Tiroler Sparkasse non manca di una speciale sezione per i nostri concittadini. Nel corposo “italian folder”, si spiega subito che “L’Austria, al contrario degli altri Stati europei, ha protetto il segreto bancario includendo-

Ieri la controffensiva italiana con ispezioni in 38 filiali tirolesi: il sospetto è che i fondi scudati possano ri-uscire

lo nella sua Costituzione”. E una volta rassicurati sul fatto che gli “gnomi” austriaci non caleranno mai le braghe come i vicini svizzeri, già sforacchiati dal Fisco Usa, si parte con la meravigliosa sarabanda delle aliquote fiscali: “In Austria, i redditi degli interessi da risparmio degli investitori stranieri sono gravati da un’imposta anonima alla fonte attualmente pari al 20%, che salirà al 35% a partire dal 1 luglio 2011. Tuttavia in casi particolari (come fondazioni, alcuni tipi di titoli, capital gain o investimenti in assicurazioni sulla vita) tale ritenuta alla fonte non viene applicata”. Insomma, con un buon commercialista e un normale trust, spariscono anche le ritenute.

N ALITALIA

Accordo con Aeroflot

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litalia ha firmato un memorandum d'intesa con Aeroflot. Le due compagnie “stanno discutendo – annuncia il presidente Roberto Colaninno – su un accordo industriale e commerciale per sviluppare tutte le possibili sinergie”. Nel contesto del mercato europeo “vuol dire una sostanziale sia verso le altre grandi compagnie; sia nei confronti delle low cost” conclude.

QUOTAZIONI

L’euro chiude sotto 1,51 dollari

L’

euro chiude sotto 1,51 dollari, dopo essere volato a 1,5141, sulla scia dell’annuncio che la Bce comincerà gradualmente a ritirare gli aiuti al credito. La moneta europea passa di mano a 1,5080 dollari. euro/yen a 133,04 e dollaro/yen in ripresa a 88,22.

VOLVO

Spunta offerta statunitense

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n consorzio formato da due terzi dicapitale statunitense e da un terzo di capitale svedese, avrebbe presentato - secondo quanto riportato da Reuters - un’offerta a Ford per l’acquisizione di Volvo.

DUBAI

Fmi, conferma impatto limitato

STRATEGIE SOCIETARIE

LA GAS “PIAZZA” I JEANS AL SOL LEVANTE PER RISOLLEVARE LE SORTI DELL’AZIENDA di Erminia

della Frattina

n alcuni casi l’ondata di piena Imolti della crisi è alle spalle, ha fatto danni ma è passata. “Vado in montagna tutte le mattine alle cinque e chiedo scusa per non aver saputo evitare i licenziamenti. Chiedo scusa a Dio e al mio paese, Piovene Rocchette, da dove vengono tanti di quelli che ho dovuto lasciare a casa. Molti sono miei parenti, hanno il mio cognome. Che dispiacere”. Sono già passati due anni ma ingoia ancora amaro Claudio Grotto, 60 anni, fondatore e presidente della Gas jeans di Chiuppano nel Vicentino. Nel 2008 Grotto è stato costretto a una ristrutturazione che ha fatto tremare le fondamenta dell’azienda. Un centinaio di tagli, ricorso agli ammortizzatori sociali, mobilità, licenziamenti. “Abbiamo passato 20 anni tranquilli da quando è nata la Gas jeans – racconta – e poi gli ultimi cinque difficili, tremendi”. Brutti ricordi. Ma poi patron Grotto precisa, da bravo veneto risparmiatore: “Io però ho sempre spento la luce, anche quando le cose andavano bene”. Adesso il momento delicato sembra finito. Alla Gas, gloriosa azien-

da di denim con 123 milioni di euro di fatturato nel 2008, 130 negozi monomarca e 2 mila clienti wholesale nel mondo, si riparte con nuovo spirito, e nuovi progetti. Anche se “chiudiamo il 2009 con una perdita di utili del 5 per cento. I miei colleghi imprenditori dicono che devono baciami le mani, che è andata benissimo così. Io però non sono contento”. Così gli animal spirits del combattivo Claudio Grotto, sposato, due figlie attive in azienda, lo hanno portato a investire ancora. Questa volta incredibilmente in oriente, in Cina. “In un momento in cui tutti temono la concorrenza cinese, e i cinesi sono visti come quelli che stanno devastando il nostro mercato, io provo a scalare questa montagna, a vendere jeans ai cinesi e ai giapponesi”. Un piano di investimenti massiccio quello organizzato da Grotto, già presente a Hong Kong con una filiale commerciale e in Giappone con sei negozi monomarca. Un piano che prevede l’apertura del primo negozio monomarca cinese della Gas a Shangai l’8 dicembre. Ma è solo il primo passo di una diffusione capillare da attuare in partnership con la società taiwanese

“I In alto una sede delle banche austriache; qui sopra i jeans in vendita (FOTO ANSA)

Dabus, specializzata nella produzione e distribuzione sui mercati di Cina e Taiwan di brand internazionali. “I cinesi sono un po’ diversi da come ce li immaginiamo noi – racconta Grotto – spesso hanno una precisione straordinaria nel controllo della produzione, e sono una clientela dai gusti raffinati, ‘occidentali’, disposta a spendere anche parecchio se la merce è di buona qualità. Inoltre sono in una fase di espansione straordinaria, quando cammini per le strade vedi grattacieli e centri commerciali in costruzione ovunque”. Anche il primo negozio cinese della Gas jeans aprirà all’interno del Grand Gateway, un centro commerciale enorme che si trova sopra alla stazione della metropolitana più grande e affollata di Shangai. Nel 2010 sono previste altre nove aperture di store monomarca Gas a gestione diretta, quattro ancora a Shangai, tre a Pechino e due a Taiwan. Inoltre sempre nel 2010 si prevede l’apertura di 25 negozi in franchising. “I cinesi mandano i loro figli a studiare in Europa, e tutta la famiglia investe su di loro: li mantengono genitori, nonni e parenti. Anche i fi-

gli del nostro socio di Taiwan hanno studiato a Londra con il sostegno della famiglia, e ora cureranno il retail commerciale della partnership”. Obiettivo del “piano cinese” di Gas jeans è aprire in sei anni 190 punti vendita monomarca tra corner, shop in shop e negozi. Progetti ambiziosi, che verranno racchiusi nel libro-manifesto che stanno preparando quindici professionisti tra creativi, designer e stilisti in occasione dei 25 anni di attività dell’azienda. Per festeggiare i 25 anni, il vulcanico presidente della Gas e sua figlia Barbara (a capo del settore comunicazione dell’azienda) hanno allestito una casa tra le mura dello stabilimento di Chiuppano, dove i quindici artisti consultano gli archivi della Gas, mangiano, dormono, compongono i puzzle del libro-manifesto. Una specie di Grande Fratello in versione aziendale-creativa. “Anche questa, come quella di conquistare il mercato cinese, è un’idea ‘folle’, che vuole rovesciare l’ottica della crisi che stiamo vivendo, per considerarla un’opportunità, una crescita”. Parola di Claudio Grotto, imprenditore e ottimista di professione.

mercati finanziari globali hanno mostrato negli ultimi giorni che l’impatto dell’annuncio da parte di Dubai sarà contenuto”, lo ha confermato Caroline Atkinson, responsabile per le relazioni esterne del Fondo Monetario Internazionale, pochi giorni dopo che l’emirato ha annunciato di essere in serie difficoltà finanziarie.

EUROZONA

Il Pil cresce dello 0,4 per cento

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l prodotto interno lordo dei Paesi della zona euro è tornato a crescere nel terzo trimestre del 2009, aumentando dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Rispetto allo stesso periodo dell'anno passato il calo è stato del 4,1%. Lo dicono le prime stime di Eurostat sul terzo trimestre, che confermano le previsioni anticipate il 13 novembre scorso.


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DAL MONDO

Londra e il brusco ritorno all’età vittoriana IL 20% DEGLI INGLESI È POVERO, DISUGUAGLIANZA SOCIALE AI LIVELLI DI 150 ANNI FA di Andrea Valdambrini Londra

teven è un uomo di mezza età. Ben vestito, pulito, la barba curata dona al suo viso un’aria rassicurante. Tutti i giorni conquista il suo angolo, nello Strand, una delle grandi vie centrali di Londra, per vendere una rivista molto conosciuta, The big issue. Ma anche se Steven attira l’attenzione dei passanti facendo l’istrione, si vede dallo sguardo malinconico che non ha avuto una vita facile. Da quando sei anni fa la ditta di trasporti per cui lavorava ha chiuso, tutto è cambiato. “Questa rivista parla della pazzìa”, scherza, prendendo spunto dal titolo in copertina. Poi chiarisce: “Sono un homeless (un barbone) e nell’associazione Big Issue ce ne sono tanti come me. Ci autofinanziamo con proventi delle vendite della rivista” E quando gli chiediamo se lo cose ora sono migliorate rispetto a qualche anno fa, Steven scuote la testa: “Va sempre peggio.

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Tanti perdono il lavoro e vengono a Londra a cercarlo. Ma spesso si ritrovano a dover vivere in ostello, proprio come me”. Di barboni che sembrano usciti da un romanzo di Dickens, se non incontrano un po’ a tutti gli angoli delle strade di Londra, spesso considerata a torto una città che vive nella dimensione dell’opulenza. Dietro lo splendore della singing London ormai decisamente al tramonto, tra cantieri fermi, e strade del lusso addobbate in tono minore per questo natale dell’anno della “piccola depressione”, la realtà del paese è molto diversa. Lo dimostra un dettagliato studio condotto congiuntamente dalla Fabian Society e dal Webb Memorial Trust, due fondazioni entrambe vicine all’area laburista, che sottolinea come la partita contro la povertà, che già il governo Blair nel 1997 aveva considerato uno dei principali obiettivi da raggiungere, non è certo vinta. Anzi, qualcosa fa pensare che su questo fronte in fu-

turo ci sarà ancora molto da fare. In un momento economico delicato come quello attuale, la Gran Bretagna rischia infatti un ritorno a livelli di disuguaglianza degni dell’età vittoriana. Il 20% della popolazione, che ammonta a circa 57 milioni di abitanti, vive attualmente in condizioni di indigenza. “La disuguaglianza in Gran Bretagna oggi - afferma senza mezzi termini il responsabile della ricerca sulla povertà Tim Horton - è in qualche misura al suo

Nell’ultimo anno la crisi ha messo ai margini intere categorie sociali, nonostantela rete di assistenza

picco dagli anni ’60”. Nel rapporto da lui scritto con James Gregory, denominato The solidarity Society (“la società solidale”) si dà certamente atto ai governi di sinistra dell’ultimo decennio di aver agito in senso redistributivo nei confronti di alcune categorie sociali, in particolare attraverso i sussidi destinati ai più giovani e ai pensionati. Tuttavia, anche a causa della crisi economica che soprattutto nell’ultimo anno ha picchiato duro, soggetti adulti, magari anche giovani ma senza figli, si sono ritrovati improvvisamente in una condizione di difficoltà, senza che la rete di sussidi pubblici potesse arrivare a proteggerli adeguatamente. Secondo lo studio di Hogart e Gregory, l’errore principale della sinistra, consisterebbe in sostaza nell’eccessiva focalizzazione degli aiuti verso determinate categorie. Messa in atto per rendere il principio di redistribuzione più accettabile agli occhi dei contribuenti, tale focalizzazione produrrebbe invece l’effet-

Homeless a Londra (FOTO ANSA)

to di indebolire il legame di mutua responsabilità che è alla base di una società solidale. La proposta di Hogart e Gregory può essere più o meno condivisibile. Ma la partita che si giocherà sulla testa di questo 20% della popolazione della quinta economia mondiale, è legata strettamente alle scelte politiche di chi occuperà il numero 10 di Downing Street dopo le elezioni della primavera 2010. Certo, il bilancio dello stato è pericolosamente in rosso, tanto che i tre maggiori partiti, Laburisti, Conservatori e Liberl-democratici, concordano sui tagli alla spesa sociale nella prossima legge finanzia-

ria. Tuttavia le differenze tra gli schieramenti emergono quando si considera la ripartizione dei tagli. I conservatori promettono di rispondere all’emergenza con meno stato e meno tasse sulle classe media. Contemporaneamente la solidarietà troverebbe spazio nell’iniziativa dei privati. I laburisti da parte loro hanno buon gioco a sparare a zero su questa scelta, evocando il rischio di un ritorno alla disgregazione sociale. Sempre tenendo a mente che la disuguaglianza è storicamente molto più forte nel Regno Unito che nei vicini paesi dell’Europa continentale.


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DAL MONDO

Somalia la strage dei ministri

N DAMASCO

Esplode bus “Non è una bomba”

M

istero sull’esplosione di un pullman di pellegrini iraniani a Damasco: secondo fonti stampa i morti della “bomba” sarebbero 5 o 6; per il ministro degli Interni siriano a causare le vittime, solo tre, “è stato lo scoppio di un pneumatico”.

KAMIKAZE CONTRO IL GOVERNO di Emanuele

Piano

di decine di vittime il bilancio dell’ennesimo attentato suicida in Somalia. A farne le spese, tra gli altri, anche quattro ministri del fragile governo transitorio e due giornalisti. II kamikaze vestito da donna si è fatto esplodere nella hall dell’Hotel Shamu di Mogadiscio mentre era in corso una cerimonia di laurea. I neolaureati erano studenti di Medicina dell’Università del Benadir, fondata nel 2002 dai medici somali della diaspora. Sotto accusa l’ala estremista filoqaedista della resistenza somala: gli Shabaab. “È un disastro nazionale”, ha detto alle agenzie il ministro dell’Informazione somalo, Dahir Mohamed Gelle. I tre ministri uccisi, un quarto prima in coma poi deceduto, sono rispettivamente Qamar Ade Ali, ministro della Salute tornata dopo anni di vita all’estero in Somalia nel febbraio 2009, Ahmed Abdullahi Waayel, ministro dell’Istruzione, e Ibrahim Hassan Addow, ministro dell’Università. Quest’ultimo è stato “ministro degli Esteri” delle Corti islamiche ed era un fedelissimo del presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed. Addow aveva seguito fra il 2007 e il 2008 le trattative con il governo transitorio somalo – allora era presidente l’ex signore della guerra Abdullahi Yusuf – per

È

l’ingresso nel governo degli islamisti “moderati” all’epoca rifugiati fra Yemen ed Eritrea. Ibrahim Hassan Addow era anche il rettore dell’Università del Benadir. Uccisi assieme ai ministri somali un operatore della televisione Al Arabiya e un giornalista della radio Shabelle. L’attentato suicida è avvenuto in quella che dovrebbe essere la zona più sicura di Mogadiscio, almeno per il governo transitorio somalo e il contingente di Caschi blu africani che lo difende. L’hotel Shamu è infatti nei pressi del Quarto chilometro, snodo stradale a 1000 metri dall’aeroporto internazionale di Mogadiscio e dalla base delle forze Amisom. La missione Onu, quotidianamente presa di mira da parte degli insorti, ha definito l’attacco “disumano e codardo”. In quelle ore era presente a Mogadiscio una delegazione delle Nazioni Unite per preparare l’incontro dell’International Contact Group della Somalia – formato da Italia, Stati Uniti, Svezia, Norvegia, Regno Unito, Tanzania e Unione europea e che cerca, con scarsi successi, di guidare la Somalia verso la pacificazione – il mese prossimo a Jeddah, in Arabia Saudita. Sono almeno 60 i peacekeeper, per lo più ugandesi e burundesi, uccisi in Somalia negli ultimi tre anni. Nonostante non sia stato an-

La hall dell’hotel Shamu a Mogadiscio devastata dall’esplosione (FOTO ANSA)

cora rivendicato, l’attacco è imputabile all’ala fondamentalista e filo al Qaeda dell’opposizione armata somala. Gli Shabaab, il nome del gruppo significa “la gioventù”, hanno importato dagli addestratori stranieri o dai somali reduci dall’Afghanistan le tecniche “più avanzate” del terrorismo di matrice jihadista. Mai prima del settembre 2006, quando un’auto si andò a schiantare contro il corteo di macchine dell’allora presidente Yusuf a Baidoa, in Somalia vi erano stati degli attacchi kamikaze. Così come mai prima di pochi anni fa vi erano state lapidazioni, amputazioni o roadside bombs (congegni detonati a distanza) in “stile iracheno” per uccidere in maniera sistematica e mirata obiettivi specifici: ministri, parlamentari, ma anche medici, giornalisti e persone la cui sola colpa era quella di cercare di uscire dal pantano della ventennale guerra civile. Non è un caso quindi che gli Shabaab, nati come ala militare delle Corti islamiche che presero il potere per pochi a mesi a Mogadiscio nel 2006, siano entrati nelle liste nere del terrorismo internazionale. Sui loro siti si possono vedere ragazzini che si candidano al martirio, campi di addestramento in stile

Gli immigrati piacciono meno al governo che agli italiani di Giampiero

Gramaglia *

n Europa e specie in Italia, l’opiIgrazione nione pubblica chiede che immie integrazione siano gestite a livello comunitario. E i cittadini italiani bocciano al 53% le scelte fatte dal loro governo (tedeschi e francesi ne sono invece soddisfatti). Sono indicazioni che emergono dal rapporto “Transatlantic Trends: Immigration 2009”, realizzato da German Marshall Fund e Compagnia di San Paolo. Lo studio illustra, sulla base di un sondaggio condotto in America e in Europa, le percezioni e gli atteggiamenti su immigrazione e integrazione delle opinioni pubbliche Usa e canadese e di alcuni paesi Ue (Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Olanda). Ne viene fuori un quadro migliore di quello tratteggiato ogni giorno dai titoli dei tg e nei talk show della politica spettacolo: una maggioranza silenziosa aperta e solidale verso gli esclusi dal Terzo mondo che cercano da noi sopravvivenza, giustizia, inclusione. Il documento, pre-

sentato ieri allo Iai, l’Istituto Affari Internazionali, fa capire che è soprattutto la canea confusa delle forze “populiste” a dare la sensazione di una intolleranza e di un’ostilità diffuse e radicate. La stessa percezione del fenomeno immigrazione è spropositata: in Italia, che è il paese fra quelli sondati dove la percentuale d’immigrati è la più bassa (6,5%, secondo l’Istituto Nazionale di Statistica), si crede che gli immigrati siano quattro volte più numerosi di quanto non siano in realtà. La politica prende atto e trae spunto. L’ex viceministro dell’Interno Marco Minniti, Pd, ne deduce la domanda “di una politica dell’immigrazione complessiva”, che contemperi “controlli e diritti”. E il viceministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso, Pdl, finiano, ne pone i pilastri su “integrazione e legalità”, con l’obiettivo di giungere a una formula di “cittadinanza di qualità”. I dati, non solo quelli riguardanti gli italiani, riservano sorprese e novità rispetto ad alcuni luoghi comuni

L’attentatore suicida, vestito da donna, molto probabilmente legato agli estremisti islamici Shabaab qaedista ed inni alle figure di riferimento del terrorismo transnazionale: Osama bin Laden e Ayman al Zawahiri, rispettivamente numero uno e due di al Qaeda. Oggi il movimento radicale estende la propria minaccia ed esercita

il controllo sul centro sud della Somalia. Dalla città di Johwar sino al confine con il Kenya, gli Shabaab impongono una versione radicale della legge coranica, la Sharia, con annesse punizioni corporali e capitali.

Afghanistan

“MILLE MILITARI ITALIANI IN PIÙ”

RUSSIA

Putin e Medvedev candidati nel 2012

D

uello a distanza tra il leader del Cremlino Dmitri Medvedev e il suo ex mentore e ora premier Vladimir Putin per le presidenziali del 2012: entrambi hanno annunciato di non escludere una nuova corsa, il primo durante la sua visita in Italia, il secondo nello show record di 4 ore in tv per la tradizionale diretta con il paese.

INDIA

Scarcerati due italiani

L’

L’annuncio del ministro della Difesa La Russa e di quello degli Esteri Frattini (che oggi incontrerà il segretario di Stato Usa Clinton): sarà di mille uomini il rafforzamento del contingente, “come richiesto dalla Nato”

“cavalcati” da movimenti di estrema destra o localisti. Il rapporto indica che gli immigrati non sono diventati i capri espiatori della crisi economica: un’ampia maggioranza dell’opinione pubblica transatlantica continua, anzi, a essere favorevole a politiche attive per l’integrazione, anche se la crisi acuisce – non drammaticamente – le preoccupazioni. Naturalmente, sussistono differenze tra America ed Europa e fra i vari paesi europei. Gli americani sono i più rigidi nella distinzione fra immigrati regolari e clandestini, viaggiando sul doppio binario dell’integrazione e del contrasto. Fra gli europei, i meno tolleranti sono i britannici mentre i francesi sono i più inclusivi. Subito dopo la Gran Bretagna, l’Italia è il paese europeo dove si registra la più alta preoccupazione per gli effetti dell’immigrazione. Con atteggiamento “americano”, gli italiani fanno distinzione in modo più netto degli altri europei tra immigrati legali e illegali, probabilmente perché sono i più preoccu-

pati del ruolo potenziale dei clandestini nella criminalità organizzata. Nel contempo, gli italiani sono solo mediamente preoccupati dell’impatto sociale e sono i più convinti che gli immigrati subiscano discriminazioni: un rigurgito dello stereotipo “italiani brava gente”, forse; ma è un dato di fatto che l’istinto dell’accoglienza prevale su quello del respingimento. Altri primati, o segnali, italiani si registrano nello scarso favore verso politiche “dure” contro l’immigrazione, nell’aumento dei favorevoli alla legalizzazione degli irregolari (ma la percentuale resta inferiore a quella di altri paesi europei), all’appoggio a politiche che promuovano la migrazione stabile rispetto a quella temporanea, al riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni locali e dei diritti politici, oltre che economici e sociali, agli immigrati legalmente residenti nel paese. * Consigliere per la comunicazione dello Istituto affari internazionali

assoluzione di Angelo Falcone e Simone Nobili da parte dell’Alta corte di Shimla è stata accolta con soddisfazione dall’ambasciatore d’Italia a New Delhi e dal ministro degli Esteri Frattini. Commentando la conclusione di una vicenda che si trascinava da 2 anni e mezzo l’ambasciatore Toscano ha spiegato che “il processo aveva molti elementi di rischio”, perché “le leggi indiane riguardanti il traffico di droga sono molto dure”. I due giovani erano stati inizialmente condannati a 10 anni di carcere.

USA

Guantanamo via 116 prigionieri

S

econdo il capo del Pentagono Robert Gates 116 detenuti di Guantanamo su 211 attualmente imprigionati sono stati identificati come potenzialmente trasferibili verso paesi terzi. Parlando alla Camera dei rappresentanti, Gates non ha precisato quanti di questi detenuti soggetti al trasferimento possano essere liberati e quanti processati nel paese di accoglimento.


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

MITI IN MUSICA

DE ANDRÉ Timidezze di una rockstar

Mazzini Benedetta nel video di “Adesso è facile” di Mina

Ron Wood Arrestato a 62 anni per aver menato la fidanzata russa (di 21)

Mengoni È Marco il vincitore della terza edizione di X Factor

Addio La tennista francese Mauresmo abbandona le scene

Esce oggi in libreria il Tourbook , memoriale delle esibizioni live di Faber. Il racconto di una “bellissima notte” con Stefano Benni

Esce oggi per Chiarelettere Tourbook (480 pagg - 59 euro), il volume che ripercorre tutte le tournée di Fabrizio De André grazie a immagini mai viste, a schizzi originali per l’allestimento dei palchi, ai giornali, ai pass, ai tourbook, ai manoscritti, a cura di Elena Valdini con la partecipazione di Pepi Morgia. Qui di seguito il contributo di Stefano Benni. diStefano Benni

H

o assistito a molti concerti di Fabrizio, alcuni da fan, altri dopo che ci eravamo conosciuti. Ne ricordo uno alla Festa dell’Unità di Bologna. Questo è il diario semiserio e quasi vero di quella notte. Una bellissima notte. *** ore 16 Fabrizio apparentemente mesto, guarda il palco e l’immenso prato dove arriverà il pubblico. – Belin, Stefano, come facciamo a riempirlo? – Scommetti che si riempie? – Come lo sai? – Perché c’è già un sacco di gente che sta aspettando di entrare. Non li vedi? – Ma sono pazzi… – Sei una rockstar o no? – Le rockstar non cantano Brassens. – Se lo leggessero, lo canterebbero. *** ore 17 Fabrizio si aggira. – Stasera svengo sul palco. Sono agitato. Prendo un sedativo? – Non ne hai bisogno. – Hai ragione. Prendo un eccitante? – Se non prendessi niente? – Un whiskino? – E il bicchiere che hai in mano cos’è? – Non mi ricordavo più. Lo vedi che sono agitato? *** ore 18 Io e Fabrizio guardiamo mentre

prova Pagani. – Ma dove la trova quell’energia? – Non lo so. Ma avere Mauro sul palco è come averne tre in più in squadra. In difesa, a centrocampo e all’attacco. – Non è un paragone poetico ma funziona. *** ore 19 Fabrizio consulta un medico. – Ho mal di stomaco di pancia di testa e non sto in piedi. – Veramente lei sta benissimo, la pressione è normale e anche tutto il resto. Magari prenda qualcosa per lo stomaco. Fabrizio (sconsolato, guardando la ricetta): – Belin le rockstar si fan di coca, io di bicarbonato. *** ore 19,30 Arrivano una ventina di fan, hanno dai quindici ai venti anni. Si avvicinano con cautela, come gatti. Una biondina sussurra a Fabrizio: – So tutta “Sand Creek” a memoria. Fabrizio sorride e risponde: – Va bene lo dico a Bubola, è sua. Un altro ragazzo dice: – Sei un mito. Fabrizio (ridendo): – Perché non mi hai visto la mattina presto. *** ore 20 Fabrizio scruta il prato ormai debordante di gente. – Belin quanti sono... E se li deludo? Se non abbiamo azzeccato il soundcheck? Se si sente il rumore degli stand

del festival? Se non è buona l’acustica là in fondo? – Prima avevi paura che fossero pochi, adesso sono troppi? – Ma ci staranno tutti? Vedranno bene? Ci sentiranno bene? E se poi faccio un concerto di merda? – Allora prima ti tirano giù dal palco, poi ti menano, poi ti sbranano vivo. – Che bello, come nelle tragedie greche... ***

Il libro

re”. Era l’agosto del 1998, e della potenza economica del crimine organizzato evidentemente poteva parlare solo Pino Arlacchi. Così quella mezza ovvietà, pronunciata a un concerto in Calabria, scatenò una sgridata ad arco costituzionale unificato, Renzo Arbore compreso. Violante scandì serio: “De André dice stupidaggini”. E lo fece dai microfoni della Radio Vaticana (era già in fase dialogante). Ma quando si ha tra le mani un oggetto così prezioso come questo insieme di fotografie, appunti, biglietti originali e varia umanità, non è giusto intristirsi subito con il nulla che (ci) avanza. E allora è davvero emozionante girovagare e imbattersi nel foglio di quaderno sul quale De André scrive il testo di “Smisurata preghie-

LA SOLITUDINE CHE AVEVA IL GUSTO DELLA SFIDA di Francesco Bonazzi

bella certezza è che Violante era già Lnoi.aViolante. Lui c’è, e fa danno assieme a Invece Fabrizio De André non c’è più, ma ancora ci parla. Come si fa con le bibbie, apri a casaccio questo “Tourbook” che Chiarelettere manda oggi nelle librerie e a pagina 447 t’imbatti in penosi ritagli di giornale nei quali la toga rossa per eccellenza sgrida “Faber” per aver detto che “se non ci fosse la mafia, la disoccupazione sarebbe ancora maggio-

ore 21 Fabrizio guarda il pubblico che sta già cantando in coro. – Che pubblico è secondo te? – Un pubblico di gente che ti vuole bene, Faber. Anche troppo. Potresti suonare con la chitarra scordata e te lo perdonerebbero. – Ma io la chitarra la accordo bene, anzi adesso ci do subito un’occhiata. (Traffica con le corde, pizzica) – Belin stasera mi sembra che non so suonare…

Fabrizio De André con Pepi Morgia (FOTO GIOVANNI PINNA)

– Neanche cantare se è per quello. – Scherzi, vero? *** ore 22-24 Due ore di uno dei più bei concerti che abbia mai sentito nella mia vita. Caldo e così tecnicamente perfetto che a un certo punto viene il dubbio che Faber

ra”. E annota: “Società impaurita. Finito il gusto della sfida”. E ancora, altre riflessioni a margine di questo inno alle minoranze “ostinate e contrarie”: “Si può essere spirito solitario per scelta o per scelta degli altri. In entrambi i casi ci sono dei vantaggi e chi sceglie la solitudine risolve anche meglio i problemi altrui”. Lui però non era solo, e sfogliando questo album ci si rende conto che sapeva avere “molte famiglie” e amarle tutte. Le foto dei concerti, dei backstage, dei viaggi, sono disposte in un disordine miracoloso. In tante immagini, De André ha un sorriso dolce e un po’ impacciato. Lo guardi e pensi che si sarebbe davvero immalinconito, stravaccato davanti alla tv come nel videoclip de “La domenica delle salme”, a vedere gli odierni ministri ai Temporali. Quelli che sanno solo parlare di “sicurezza”. Naturalmente, intesa come assenza di “spargimenti di sangue all’ora dell’aperitivo”.

abbia inventato il playback più diabolico della storia musicale. Invece è tutto dal vivo. *** ore 24 Fabrizio scende dal palco sudato come un cavallo. – Mai più mai più, che fatica. Come siamo andati? Così così? – È stato un trionfo. Torna su e fai il bis. – No belin i bis no, non ce la faccio, è finito l’effetto del bicarbonato. Qualcuno lo spinge sul palco. Tre bis uno dopo l’altro. Anche la luna è incantata. *** Ore 2 circa della notte, davanti a vino e cibarie – Bel pubblico... potevo cantare meglio, all’inizio ero senza voce. – Ma piantala. – Va bene, stavolta è andata... ma chissà la prossima volta. Sono un pigro atavico, Borges in confronto a me è un atleta. Magari da stasera non faccio più concerti... solo dischi. Sono stanco, mi ritiro. Però pensa che bello fare qualcosa in una piazza anche con Grillo, io in concerto e Beppe che dice le sue belinate e tu che leggi un libro e poi clown e saltimbanchi e la banda, dalla mattina alla sera ogni volta in una città diversa… – E tu saresti pigro? – Pigro imperfetto. – È la strana malattia dei solitari che non possono stare senza la gente. Succede anche con i libri. – Forse. Ma che differenza c’è tra un libro e un concerto? E cos’è un libro, e cos’è un disco e cos’è un concerto? – Stavolta “belin” lo dico io. Alle due di notte, non ce la faccio a risponderti. Non ci siamo mai frequentati molto io e Faber, o almeno non quanto avrei voluto. Ma ci siamo scritti un sacco di lettere, e anche, sembra incredibile, dei telegrammi. Io ho ancora tutte le sue lettere. E adesso che non c’è più saprei come rispondere alla domanda di quella notte: ogni suo concerto, ogni sua canzone, era una lettera amara e appassionata. Era per tanti, ma sembrava scritta per ognuno personalmente. Questo era il suo segreto... In tanti abbiamo una lettera di Faber che sembra scritta col nostro nome e indirizzo, soltanto per noi: apriamo la busta e dentro c’è la sua musica da leggere e ascoltare, quando ne abbiamo voglia e bisogno.


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SECONDO TEMPO

AUTOBIOGR AFIE

PAOLO IL CALDO

L’ex designatore rosso Bergamo: Riscrivere Calciopoli e autoassolversi di Malcom Pagani

’insostenibile leggerezza dell’arbitro è un viaggio nella memoria. Retrospettivamente, il passato si trasforma. Plasma gli angoli bui, ingentilisce le asperità e dona luce nuova al quadro intero. Dalla curva, il profilo di Paolo Bergamo, ex arbitro, ex assicuratore, ex designatore, ex tutto caduto a picco all’epoca di Calciopoli, conta le rughe. A ogni segno, una medaglia. Chi ha avuto, chi ha dato e chi ha dimenticato, quanto di buono Paolo il comunista seminò lungo un trentennio di pallonate, scudetti giocati sul filo dei centimetri, polemiche, fiere prese di posizione. Non c’è traccia di ironia, nel monumento di carta che Paolo Bergamo insieme con Valberto Miliani erige a quello che senza ombra di errore, considera la migliore persona incontrata nella sua vita, se stesso. Il risultato, scritto in un italiano che non sarebbe dispiaciuto al Carducci, aulismi e motteggi, è l’affresco di un individuo senza macchia. Un diluvio autoencomiastico, fitto di incontri mistici con le celebrità dell’epoca, lettere riesumate dall’infinita collezione mista di federazioni, club, partiti, biglietti d’auguri impersonali che nulla risparmiano al lettore, dalla convalescenza per l’infortunio al menisco, alla trasvolata di rappresentanza. “Il valore di un uomo non si misura tanto da ciò che è stato, ma dai ricordi che ha lasciato”. Fedele alla massima, Bergamo elimina alla radici quelli capaci di inquinare l'agiografia e insiste, carattere dopo carattere, compilando alla fine un breviario autoassolutorio che avrebbe provocato invidia a Émile Zola. La partenza, va riconosciuto, agevola il compito. Fin dal titolo. Sobrio, allusivo, lieve. “La notte in cui morii” (Edizioni

L

Erasmo, 85 pgg.). Assonanze sinistre con l’anima uccisa di Luciano Moggi e consonanza ideale con un lamento da pastore errante, inabile a comprendere come i mali del mondo abbiano scelto lui, Bergamo Paolo da Collesalvetti, per interpretare capro espiatorio e mela marcia, in desolante alternanza. Prefazione irresistibile, allegria garantita. “Sono morto una notte di luglio”. Bergamo, originalissimo, nel solco tracciato da altri, immagina il proprio funerale. Dietro il feretro, una quindicina di persone. “Non che aspettassi una folla da stadio, né un corteo di zelanti adulatori come quelli che, in vita, mi giravano spesso intorno” e ancora: “Non mi aspettavo neppure gli opportunisti dell’amicizia, quelli che nei momenti felici erano ‘amici di Paolo’ (Spesso, Bergamo, in omaggio a Giulio Cesare e Berlusconi, parla di sé in terza persona, ndr), che spesso sedevano alla mia mensa o che mi invitavano alla loro per esibirmi come un gioiello di famiglia”. poi, pezzo forte, la militanEpianeta za politica. Un simulacro di ideale. Piazza, condivisione, rimpianto. “E non mi aspettavo neppure colleghi, stendardi o bandiere. In lontananza una la scorgevo, era rossa e mi dette conforto”. Finale Wagneriano con venature simenoniane: “Mi scorsero da-

L’ex arbitro livornese tratta lo scandalo come un’allucinazione collettiva

vanti agli occhi nomi e volti di chi aveva armato la mano assassina”. Chi uccise dunque Paolo Bergamo? Il potentissimo signore del telefono, lo stesso che nelle intercettazioni dei pm napoletani Beatrice e Narducci discettava di scelte e sorteggi con il direttore generale della Juve Luciano Moggi: “Domattina lo chiamo, prima che sian pronte le griglie” e poi componeva numeri svizzeri e italiani criptati, in un’orgia di dati, destini, indicazioni seguite alla lettera, col solo vezzo di una livornesità stizzosa, come in una telefonata con Maria Grazia Fazi impiegata Figc, ex Can: “Gli ho detto (a Moggi ndr): chi vuoi come assistenti (guardalinee, ndr) domenica? Dice: Ambrosini e Foschetti. No, ti mando Ricci e Gemignani, insomma se non è zuppa è pan bagnato”. Mistero, anzi no. A impedirne il volo e la certificazione di innocenza (Bergamo risultò ingiudicabile dalla giustizia sportiva per difetto di giurisdizione: si dimise infatti dall’Aia prima del procedimento, ma a Napoli, versante penale, è stato invece rinviato a giudizio ndr), il fantasma di Giuliano Tavaroli, (Bergamo è parte civile, insieme ad altre centinaia di persone nel rito per cui Tavaroli ha già chiesto il patteggiamento ndr) il grande orecchio di Telecom, evocato al pari dell’Inter e della stampa compiacente, come tassello di una Spectre avvolgente, in grado di

far precipitare nel fango un sistema solido, dimenticare la riforma arbitrale che nel volume di Miliani occupa parte voluminosa, cancellare la verità che Paolo ha sempre gridato: “Non ho mai commesso illeciti né li ho mai consentiti”. Bergamo non è stato un arbitro qualunque. Ha conosciuto prosceni poliglotti e il rango di internazionale, grandi scandali, delusioni e processi. Nel 1979, sospese un Milan-Napoli per foschia al quarto minuto della ripresa. Uno spettatore lo denunciò, pretendeva il rimborso del biglietto per l’intero stadio. Bergamo giunse davanti al pretore, ammise l’errore ma nessuno tra gli spettatori di S. Siro rivide una lira. Nebbia fitta anche

PHILIP GLASS, FAVOLE E STREGHE AL PARCO DELLA MUSICA DEBUTTA L’OPERA CON IL TESTO DI VINCENZO CERAMI di Giorgio

Cerasoli

enezia, luogo immaginario per le vicende di un re alle Vpolato prese con un bambino particolare, in uno scenario poda fate e streghe. Mescolare bene questi ingredienti, condire il tutto con un pizzico di pazzia, qualche orco e qualche magia, ed ecco a voi “Le Streghe di Venezia”, prima assoluta che debutterà domani al Parco della Musica con musiche di Philip Glass, libretto di Beni Montresor, testo di Vincenzo Cerami e regia di Giorgio Barberio Corsetti. Dietro questo appuntamento, tra i più attesi della stagione “Contemporanea” proposta dalla Fondazione Musica per Roma, c’è in realtà un lavoro di preparazione ben più complesso, tuttavia viene spontaneo descrivere in maniera semplice quello che è uno spettacolo pensato anche per i più piccoli. “Direi che è una favola per bambini o meglio per ‘bambini adulti’ – spiega il regista – e personalmente ho cercato di interpretare il libretto e la musica con l’idea di divertirmi come avrebbe fatto un bambino. Anche il testo di Cerami ha inserito degli elementi di umorismo che accompagnano questa storia e che poi sono entrati a far parte della struttura dello spettacolo. Il protagonista è un ‘bambino-pianta’, una creatura nata da un seme piantato nella terra grazie a una fata, che ne fa dono al re di Venezia, un re privo di eredi che però inizialmente non capisce, non accetta il bambino. Da qui parte tutta una serie di peripezie, tra streghe, fate e altri personaggi, fin tanto il bambino non

riuscirà a ritrovare una bambina, nata anche lei nello stesso modo. In realtà è una favola sul mondo segreto dei bambini, che vivono in una loro dimensione e osservano il mondo degli adulti come se fosse magico. L’impianto scenico è comunque molto semplice, c’è uno schermo sul fondo con la possibilità di proiettare immagini catturate in diretta o registrate, in diversi casi ho potuto anche coinvolgere direttamente i musicisti nell’azione o creare altre interferenze degli attori con l’orchestra”. Il regista promette dunque di condire il caleidoscopio di suoni acustici ed elettronici ideato da Glass con funambolerie varie sulla scena e mille trovate legate all’uso delle tecnologie visive. E poi, sul palcoscenico, bambini veri, per dare quel tocco di realtà a questa storia che porterà il pubblico in una dimensione immaginaria e per riaffermare il candore che l’infanzia ha nell’osservare il mondo dei grandi. Quattro saranno i cantanti solisti, che daranno la loro voce a diversi personaggi, in scena assieme ad attori e figuranti e al Coro Arcobaleno dell’Accademia di Santa Cecilia. Ma il vero motore sonoro dell’opera sarà il PMCE (Parco della Musica Contemporanea Ensemble) diretto da Tonino Battista, che dovrà cimentarsi con questa nuova partitura del compositore americano, con la sua curiosa alchimia fatta di minuscoli moduli ritmici e melodici, scomposti, ripetuti e variati come in un universo in costante espansione: l’obiettivo sarà quello di creare un tappeto di suoni su cui magicamente lasciar scorrere l’intera favola.

qualche anno dopo, quando una trama da spy story legò il nome dell’ex terzino della Carrarese (giocò in giovinezza, prima di fermarsi per un infortunio) a quello di Michel Vautrot, arbitro di Roma-Dundee, semifinale di Coppa dei Campioni 1984. Tra mezze ammissioni, complotti e registrazioni audio, Bergamo (innocente e schiacciato da una macchinazione a firma Landini-Cominato) uscì dal calvario, non prima di essersi visto sfilare il ruolo di internazionale, poi riconquistato un anno dopo, al termine di un’investigazione in proprio, con comprensibile orgoglio. el libro di Miliani, passa la Nla visuale Storia d’Italia osservata dalsghemba di un fischio d’inizio. L’arbitro solidale che organizza occasioni ludiche per i detenuti e non disconosce la beneficenza, ossequia i potenti con convinta devozione. C’è n’è per tutti. Il pantheon di Bergamo unisce costellazioni inconciliabili. Padroni e operai, leader rossi e capitalisti. Lì all’ombra di Piazza Duomo, nella Livorno che non ignora disperazione e sorriso, Bergamo pontifica laicamente. Nella primavera 1983, “Paolo il caldo”, come i cittadini lo effigiavano parafrasando Brancati, ricevette una telefonata da Torino. Dall’altro capo del filo,

Dal gol di Turone ai 100 milioni di Vautrot, fino all’incontro con Berlinguer Pietro Giuliano, General manager della Juventus. Gianni Agnelli voleva incontrare personalmente l’uomo che nel maggio 1981, a causa di una svista millimetrica del suo guardalinee, annullò il gol del fumettistico Ramon Turone, centrale difensivo di Liedholm che in terra straniera, davanti a diecimila romanisti, aveva fatto sperare nel sovvertimento di una sudditanza psicologica, che già allora, era più di una realtà. Quella partita, la rete negata, il corollario di polemiche che ne seguirono con Viola e Boniperti protagonisti, sono un pezzo di storia sociale italiana. Viola disse che quando si giocava con la Juventus, perdere il titolo era una questione di centimetri, Boniperti gli spedì in dono un righello d’oro, l’altro, lesto, rispose a modo suo: “Ti ringrazio. Ma quest’attrezzo mi pare più adatto a un geometra come te: io sono ingegnere”. Finì solo con il ridimensionamento dei rispettivi orizzonti. Nel 1983, la rivalità tra i due club era qualcosa di serio.

Bergamo ricorda l’incontro con Agnelli come avrebbe fatto un sabaudo in “Cuore” di De Amicis: “Tante volte ho ripercorso quei pochi minuti che mi avevano consentito di apprezzare, attraverso un dialogo diretto, la profonda umanità del personaggio”. La stessa filiazione acritica, Bergamo sapeva riservarla all’altra grande passione della sua vita. Il Pci, nato a Livorno che tante volte lo aveva invitato a presenziare le feste dell’Unità e dibattiti fumosi innaffiati dall’attenzione dei militanti. Miliani affronta il tema con la Pravda sotto il braccio e il pudore affacciato su un giardino senza vie di fuga. Berlinguer, ma anche D’Alema e Nicola Latorre: “Era comunque assai piacevole intrattenersi ad attingere notizie politiche dall’inesauribile fonte di Nicola, sempre disponibile a prestargli attenzione”. Non sempre infatti poteva: “Incontrare Massimo D’Alema, il presidente, per i suoi molteplici impegni che non gli davano respiro”, “Ma per Bergamo, dalemiano da sempre, anche un canonico saluto era più di una lusinga”. L'apice, naturalemnte, cantore e cantante, lo toccano con Enrico Berlinguer. Il più amato trascinatore dell’ultimo quarantennio nei ricordi di Bergamo, è un caro amico: “Ricordati che abbiamo bisogno di giovani coraggiosi come te”. E Bergamo, rimembrando le rare occasioni che ebbe per dividere tempo e ragionamento con lui, lo ripaga con apologie che avrebbero imbarazzato la timida ritrosia del politico che per primo, parlò di questione morale. “Quella mezz'ora trascorsa con il leader maximo, mi provocò una forte emozione. All'inizio si manifestava con un impaccio che non riuscivo a vincere, nel tremore della voce e nel sudore che mi imperlava la fronte. Quell'uomo minuto, con i capelli nerissimi e gli occhi quasi a mandorla che sembravano frugarmi l'anima , capì il mio imbarazzo e mi fece subito sentire a mio agio”. Si rividero nel 1983, un anno prima di Padova e della morte di Berlinguer durante un comizio. Un tavolo disadorno, Antonio Tatò e Berlinguer, un piatto con qualche torsolo di mela. Gavino Ledda, oltre le suggestioni di Padre Padrone: “Iniziarono a smangiucchiare la frutta e a sbucciare le mele con movimenti quasi automatici, senza alcun piacere”. Nella stessa occasione gli furono presentati Veltroni e D’alema e sfiorato l’argomento turoniano: “Un tocco di simpatica provocazione”. Sacro e profano. Dirigenti politici e campioni. E poi magliette umide ai margini di semifinali europee, istanti pulp, odori, sensazioni: “Platini mi consegnò la sua casacca intrisa di sudore (…) ancor oggi la considerò il mio trofeo più importante e la conservo nel mio studio”. Perchè l’esistenza non è un lungo fiume tranquillo ma sentirsi come Mosè, aiuta a superare fortunali senza fortuna e carriere rapite sotto una coperta scura.


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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

Domandare, gesto eversivo di Paolo Ojetti

g1 T Natalia Augias legge di sicuro questo giornale. Da tempo chiediamo, auspichiamo, alla fine imploriamo che i giornalisti del Tg1 facciano anche le domande e non si limitino a registrare le non-risposte. Ebbene, Natalia ha rivolto una domanda a Napolitano, che si aggirava fra gli scavi sotto il palazzo della Provincia di Roma: “Presidente, ma è vero che i giovani è meglio lascino l’Italia, dove non c’è futuro per chi è meritevole e bravo?”. Naturalmente, il presidente non ha potuto replicare: “Sì, vadano via, me ne andrei anch’io, ma non posso, ho da tenere a bada un po’ tutti e poi non sono più molto giovane”. No, però ha risposto che non si può tornare ai tempi dell’Impero romano e – a nostro avviso – il suo pensiero è corso al “premier” che, picconando istituzioni e costituzioni, ambirebbe a ritrovarsi Augusto, Primo Console e Pontifex Maximus in un colpo solo. Per il resto, poca roba, ma finalmente “al centro del dibattito politico” (e dài) il Tg1 ha messo Gianfranco Fini, che almeno ha un volto, un nome, un indirizzo, un ruolo. E qualche idea non disprezzabile.

g2 T Non fa nemmeno in tempo a iniziare, che il Tg2

garantisce il pompieraggio del premier (“getta acqua sul fuoco”) e spedisce in onda Berlusconi che smentisce se stesso, la stampa, le televisioni, l’orbeterracqueo tutto: io e Fini siamo pappa e ciccia, non ho mai detto quello che ho detto, non ho mai pensato quello che ho pensato. Ida Colucci registra e, accanto a Berlusconi, Medvedev ha il sorriso inamidato: con ogni probabilità, di quello che si dicono Berlusconi e Fini non gliene importa niente di niente, ha i suoi Putin cui pensare. Andrea Covotta era sulla tracce di Fini, che non smentisce se stesso né altri. Ci pensa Bocchino a cercare i puntini da mettere sulle “i”: Fini dice cose che non devono spaventare”. Appunto.

g3 T Per una volta, il Tg3 abbandona la politica al suo destino e la confina dopo la cronaca. Si chiude il dibattimento del processo Meredith, la corte si ritira in Camera di consiglio per emettere una sentenza: la richiesta è l’ergastolo, “fine pena: mai” così recita il linguaggio carcerario. Si sono udite requisitorie e arringhe di vecchio stampo, stile Carnelutti, per toccare le corde più profonde del collegio giudicante. Ora non rimane che l’attesa e ci si potrebbe chiedere come mai un delitto e un processo passa via come niente e altri delitti e altri processi attanagliano l’attenzione dell’opinione pubblica per mesi e mesi. E, poi, ancora cronaca: le maestre sadiche, i carabinieri di Marrazzo che restano in carcere, un reportage di Lucia Goracci dal Sud Africa dei prossimi mondiali. Berlusconi e Fini, per questa volta in panchina.

di Luigi

Beautiful, Italia Galella

le “non notizie” hanAtanonche no una trama, e si presenattraverso il detto e il non detto, perché tutti possano con la fantasia colmare i vuoti. C’è un video, che contiene forse una scena hard fra un uomo politico e una donna celebre, sposata e anch’essa in politica. E c’è un giornale, che ne parla disinvoltamente, e dispiega e dipana la “non notizia” chiamandola spazzatura, ma intanto se ne appropria, compiacendosi della scelta di non aver voluto pubblicare quelle immagini scabrose: una sorta di opera aperta, che gli stessi lettori sono chiamati implicitamente a costruire, il cui contenuto ancorché presunto è già materia di scandalo e di chiacchiericcio. E c’è poi il noto critico d’arte che difende la scelta del direttore, sullo stesso giornale, e la donna, protagonista della presunta soap, che in televisione strepita e si indigna e ne strappa e sminuzza le pagine, prima di abbandonare lo studio (Pomeriggio Cinque, Canale 5, 16.55). Uno sfogo, una telerissa, una commedia delle parti in cui la conduttrice si fa addirittura paladina della libertà di

espressione, stigmatizzando il gesto della donna, umiliata e offesa, che straccia il giornale. Trame. Presunte o costruite ad arte. Racconti immaginari che la tv trasforma in fatti. Alessandra Mussolini e Roberto Fiore? Chissà, forse. Perché il fatto, ciò che conta, è solo quello del racconto mediatico, non delle persone ridotte a personaggi. I media elettronici sono i padroni della storia, la fonte di ogni racconto. E tutta la tv è un grande contenitore di trame, che dissolve la barriera tra la fiction e la realtà. Il delitto perfetto, come sostiene Jean Baudrillard, si è definitivamente consumato: “La televisione ha ucciso la realtà”. O meglio: il protagonismo mediatico ha ucciso le persone che ne sono oggetto, le ha trasfigurate, le ha dissolte, come nella vicenda Marrazzo, come nel delitto di Cogne, in cui la verità come direbbe Musil sembra essere sempre di più, “un liquido sconfinato in cui si casca dentro, e non un cristallo che puoi mettere in tasca”. Ma se non è possibile sapere Alessandra Mussolini, protagonista di una telerissa a Canale 5

come stanno le cose, allora, ha senso domandarsi dov’è la verità? E’ come esser di fronte a dei fili che si sciolgono, si dipanano e nuovamente si intrecciano, come in un grande “Beautiful”. Sospesi tra questa fiction della realtà e la non realtà della fiction, ci chiediamo, quindi: è Ridge che sta attentando alla vita del suo odiato figliastro-fratellastro Rick, o viceversa Rick, che sta macchinando contro il patrigno, accusandolo di aver determinato l’esplosione della sua automobile? (Canale 5, 13.40). Li vediamo l’uno di fronte all’altro, sul terrazzo della Forrester, sfidarsi: “Tu non puoi separarci”, urla il figliastro-fratellastro al patrigno, che replica minaccioso: “Tu non hai la minima idea di che cosa io sia capace di fare”. La storia si trasforma in racconto e il racconto in trama, fino al più elementare dei plot. Dov’è la verità? Lo sapremo nella prossima puntata, sembra suggerirci la stessa tv. La 5518. O forse più in là, chissà. La verità, intanto è nella stessa attesa. Nella sospensione fra un giorno e l’altro, che dissolve le vecchie e prepara il canovaccio delle nuove trame.


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MONDO

WEB

Pisanu contro il decreto Pisanu ll’appello lanciato da 100 Ala blogosfera, personalità della cultura, deldell’imprenditoria e della cultura, il governo non ha ancora risposto. Ma ora è lo stesso ex ministro Pisanu ad ammettere che il decreto che porta il suo nome continua ad inibire la diffusione di Internet in Italia. Ricapitoliamo velocemente. Nel 2005, alla luce degli attentati nella metropolitana di Londra e del clima di “guerra al terrore” by George W. Bush, il governo Berlusconi vara un pacchetto di misure volte a rafforzare i controlli antiterrorismo. Tra queste c’è una stretta sulle connessioni a Internet aperte al pubblico. Parliamo di Internet Cafè, esercizi pubblici, bar, alberghi, reti Wi-Fi pubbliche che varie amministrazioni offrono ai cittadini. Col decreto Pisanu per collegarsi è necessario presentare un documento d’identità. Per offrire connessione, invece, è obbligatorio registrare il documento e la navigazione di ogni singolo utente. Un impedimento burocratico pesante che inibisce la disponibilità di connessione, e quindi l’offerta stessa di collegamenti gratuiti per

tutti. Contro questa misura, prorogata fino al 2009 senza alcun dibattito, è stato lanciato dal blogger e giornalista Alessandro Gilioli, un appello per il Wi-Fi libero, sottoscritto, appunto, da cento personaggi di primo piano della cultura e della società italiana. Adesso, però, c’è una novità: anche l’ex ministro Pisanu ammette i limiti della sua legge. Come racconta sempre Gilioli sul suo blog Piovono Rane alla domanda “Non pensa che il decreto del 2005 sia da modificare in senso meno restrittivo?” Pisanu ha risposto: “Ritengo che le esigenze di sicurezza sono nel frattempo mutate e, dall’altro, che l’accesso a Internet come agli altri benefici dello sviluppo tecnologico deve essere facilitato”. Insomma, Pisanu sconfessa Pisanu. Mentre il governo, che già ha tagliato i fondi per la banda larga, tace.

è IL VATICANO: LA SALVEZZA NON È VIRTUALE NO AI SACRAMENTI ONLINE

La Chiesa cattolica si sta spendendo molto per diffondere la fede anche su Internet. A metà novembre si è svolto in Vaticano un convegno per “spiegare” i social network ai vescovi. Ieri, invece, è stata presentata a Roma la nuova versione del sito della Cei, di Federico Mello la Conferenza episcopale italiana, online dall’8 dicembre. La presentazione del sito è stata occasione per mettere in guardia da “certi eccessi” di Internet e per ribadire il “no alle confessioni online offerte da alcuni siti”. è NOVITÀ PER GOOGLE “La Rete – ha detto il segretario generale ANCHE NELLA HOMEPAGE della Cei monsignore Crociata – non può Sono solo alcune piccole modifiche quelle sostituire le chiese, pur essendo luogo all’homepage di Google, ma fanno notizia privilegiato di incontro e comunicazione”. visto che riguardano il sito più visto al mondo. Il restyling riguarda la grafica: il logo, lievemente ridisegnato, ha lettere più grandi e colori più vivi. Novità anche nelle funzioni: si può selezionare direttamente GRILLO DOCET dall’homepage, in alto a sinistra, una VITAMINA G ricerca in immagini, news, blog o altro. Attenzione. Questo è un Infine nei risultati di ricerca, selezionando messaggio pubblicitario. E’ in “opzioni”, a sinistra accanto ai risultati, vendita Vitamina G. I miei una barra aiuta ad affinare la ricerca dei spettacoli degli ultimi quattro contenuti Web in base alla cronologia. anni e un libro con le indicazioni per l’uso e gli editoriali della Settimana. Un regalo di Natale per chiunque insieme con un pacco di Malox per i bruciori di stomaco da visione multipla. Il blog e le attività svolte per il Movimento, dalle spese legali agli incontri nazionali come quello del 4 ottobre e dell’8 marzo, sono finanziati in parte dal blog e, se serve, da me. I due principali nemici, così vanno chiamati, della democrazia in Italia sono i partiti e l’informazione. Entrambi pagati da voi, con le tasse. Un miliardo all’anno agli editori. Berlusconi paga solo l’uno per cento dei ricavi per le concessioni televisive. I partiti traboccano di soldi, di sedi, di tangenti. Occupano la Rai. E’ come combattere con una mano legata dietro alla schiena, ma molti round ce li siamo comunque aggiudicati e il match è in corso. Il blog fa informazione e vende, a chi li vuole, contenuti alternativi alla verità di regime. Spesso a prezzo libero. O talvolta con la donazione, come per “Terra reloaded” alle scuole che lo richiedono. E continuerà a farlo.

L’ex ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, il blog Piovono Rane, la nuova homepage Google, Vitamina G

DAGOSPIA E MENO MALE...

1) Due segretari per un presidente? “Se lo volevano far scendere dal Colle bastava dirglielo...” questa la battuta che circola in transatlantico a proposito della vicenda Gifuni..... 2) Tremori sismici a Gr Parlamento Rai. La redazione e' in agitazione contro il duo Berti-Giovannetti, direttore e vice direttore della testata, e ha affidato al Cdr un pacchetto di tre giorni di sciopero.I giornalisti sostengono che il canale radiofonico parlamentare e' stato stravolto e chiedono l'intervento della Commissione parlamentare di Vigilanza e della Direzione generale Rai. 3) Chi è quel noto politico italiano che vive in un bellissimo appartamento al 21 piano della splendida Torre Velasca a Milano? Ah saperlo.... 4) Battuta che circola tra i più stretti conoscitori di Fini: "E meno male che quel giorno era pure sorridente, di buon umore........sennò chissà cosa sarebbe stato capace di dire del Cavaliere nel famoso fuorionda...." 5) A Saxa Rubra il fuori onda antiberlusconiano di Fini rischia di trasformarsi in uno tsunami. Sembrano definitivamente affondate infatti le prospettate nomine di Scipione Rossi alla direzione di Rai Parlamento. Impantanata anche l'assunzione di Angelo Mellone, il filosofo del è SI AUTOSOSPENDE LO Presidente della SCIENZIATO Camera nonché guida PER LE MAIL SUI DATI CLIMATICI della fondazione Uno scambio di mail intercettato da un finiana "Fare Futuro", hacker ha recentemente dato adito a dei è DALLA TV A YOUTUBE a Radio Rai. Come dubbi sul riscaldamento climatico. Dalle mail TRATTATIVE IN CORSO PER OFFRIRE dire che per i finiani 'a dei due scienziati, secondo quanto riferito CONTENUTI A PAGAMENTO da passa' una lunga dal New York Times, emergerebbe che i Il 2010 potrebbe essere l’anno della nuttata. mutamenti climatici di cui si parlerà la svolta per la televisione via Internet. prossima settimana alla Conferenza dell’Onu Oltre alla IpTv, la televisione che di Copenaghen sono meno imputabili entra nelle case attraverso il cavo all’uomo di quanto non si pensi. Gli esperti Internet, c’è YouTube che secondo alcune indiscrezioni avrebbero dunque modificato importanti sta studiando una soluzione per permettere di guardare dati per far passare questa linea. Gli scienziati – a pagamento – alcuni show e programmi televisivi. Ogni si sono giustificati parlando di un equivoco puntata di serial e telefilm dovrebbe essere disponibile il (nelle mail si parla di un “trick”, trucchetto, giorno dopo la messa in onda, al costo di due dollari a che loro intendono come “espediente episodio, senza pubblicità (un servizio simile offerto tecnico”). Ora Phil Jones, uno dei due anche da Apple su iTunes. Il limite di questa offerta è che i scienziati, si è autosospeso da responsabile video potrebbero essere visti solo in streaming e non del Climate Research Unit (Cru), il centro di potranno essere scaricati. Da YouTube però rispondono ricerca britannico sui problemi climatici, per con le loro statistiche: la maggior parte dei video stroncare sul nascere ogni polemica. “E’ un scaricati, vengono poi usati per una visione unica. passo importante per permettere al Cru di continuare a funzionare normalmente”, ha detto il vicecancelliere dell’università, Edward Acton.

feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “Un’aria mefitica” di Antonio Padellaro Tira proprio una bruttissima aria. Lo scopo dei politici, ormai, non è creare un progetto ma “distruggere” gli avversari, demolendo la loro credibilità svelando i loro scheletri nell’armadio (o presunti tali); il problema è che nel nostro paese di scheletri ce ne sono tanti, sono le idee che scarseggiano (Marco G.) La domanda mi sorge spontanea e purtroppo anche la risposta: l’Italia è un paese civile? La politica non è questo! (Alessandro G.) Colgo l’occasione per ringraziare calorosamente voi deI Fatto per la vostra quotidiana informazione libera. Sabato tutti in piazza, NoBDay, per farci sentire in piazza, forse l’unico spazio che ci è ancora rimasto, e che non possiamo assolutamente perdere (Arturo C.) Ieri sera a Exit su La7 c’era Micciché, che ha fatto tutto un discorso sul pentito Spatuzza, dicendo in sostanza che non ci si può fidare di gente che scioglie i bambini nell’acido. Ieri sera Vespa ha fatto anche lui un discorso su Spatuzza, ripetendo “esattamente” le stesse parole dette da Micciché, ma proprio le stesse. Secondo me si può fare un articolo su questa cosa (Andrea) Mi sembra di capire che il problema è l’informazione che arriva a noi per nasconderne altra... e inoltre ora basta il dubbio o il sospetto per infangare chiunque e mettere tutti allo stesso livello... quindi il più sporco tende a sporcare anche gli altri (o a far sporcare dagli scagnozzi!) (Monica M.) Certo che queste spie non sono più quelle di una volta, a lasciare tutte queste tracce in giro... (Grilloz) Secondo me è tutta una strategia, quella di Silvio, a mettersi contro Fini... è stato il suo cagnolino per troppo tempo e il lupo perde il pelo ma non il vizio... a mio parere a breve si riavrà una riconciliazione fantomatica e tutto tornerà come prima, le leggi sue passeranno tutte e verrà inaugurata la terza repubblica, o meglio terzo reich (Whitewolf) In questa situazione di veleni, quello che più sconcerta è che da un’indagine IPSOS, il Pdl sembra essere aumentato di 3 punti: a mio parere, allora, non è Berlusconi il vero problema ma il 38% degli Italiani che amano e vogliono un capo del governo oggi e un capo di Stato domani con tutte le nobili e oneste qualità che risultano da quasi 20 anni della sua meravigliosa storia (Enrico)


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PIAZZA GRANDE Articolo 11, Costituzione di pace di Lorenza

Carlassare

rt.11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizione di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Forte è l’ispirazione pacifista della Costituzione che “ripudia” la guerra e per evitarla consente limitazioni di sovranità in favore di un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le nazioni: non la pace dei cimiteri, imposta dalle armi, ma “la pace nella giustizia”, basata su accordi equi, cooperazione, solidarietà internazionale. In Assemblea Costituente il consenso sull’art.11 fu praticamente unanime: forze diverse si riconoscevano in un valore comune alle loro culture e nel rifiuto del rovinoso passato. “La guerra sta all’uomo come la maternità alla donna” diceva Mussolini; la pace è “deprimente e negatrice delle virtù dell’uomo che solo nello sforzo cruento si rivelano”. La guerra difensiva è l’unica consentita, le controversie internazionali vanno risolte per altra via; non esistono ragioni diverse dalla necessità di rispondere a un attacco armato che possano legittimare il ricorso alla guerra; alle condizioni e nelle forme prescritte dalla Carta dell’Onu. Non sono ipotizzabili “guerre giuste” in grado di sospendere il divieto costituzionale. Eppure l’Italia ha partecipato a operazioni militari e inviato truppe fuori dai confini con un crescendo impressionante. Ai primi interventi, cauti e discussi, ne seguirono altri, sempre più espliciti (ora si cambiano addirittura le condizioni d’ingaggio); per minimizzarli li si chiamò “operazioni di polizia”, “missioni umanitarie”, poi “missioni di pace”, persino in mancanza dell’avallo indispensabile delle Nazioni Unite. Si arrivò alla “guerra preventiva”, imposta dalla violenta e irresponsabile presidenza Bush, come nel

A

L’Italia ripudia la guerra: l’unica consentita è quella difensiva, eppure ci sono stati interventi militari Forse non è un sogno pensare che, finita l’era dei Bush, a quei valori si possa ritornare 2003 in Iraq. Reazioni in Italia, non mancarono: lo stesso Andreotti (che in anni precedenti minimizzando parlava di “operazioni di polizia” internazionale), assieme a deputati di diverse parti politiche, si espresse in Senato (25 marzo 1999) contro l’intervento militare in Serbia nel quale si giunse, per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale, a bombardare una capitale europea! Nell’acceso dibattito, fu denunciata la trasformazione della Nato da alleanza difensiva in organizzazione con compiti ben diversi dalla legittima difesa collettiva, talora fuori dalla stessa Carta dell’Onu. Il fatto di far parte della Nato (dove gli Usa hanno sempre condotto il gioco) nonostante la sua mutazione “aggressiva”, ci impegna incondizionatamente? Un trattato ci vincola senza limiti? I giuristi “giustificazionisti” hanno tentato di salvare la partecipazione a interventi armati come adempimento di obblighi derivanti dalla adesione a “organizzazioni internazionali” con le “limitazioni” conseguenti, usando la seconda parte dell’art. 11 contro la prima. Ma non ci sono due parti separate: l’art. 11 è una disposizione unitaria che va letta, appunto, nella sua unità. L’argomento è usato spesso dai politici (ad es. dall’on. D’Alema nel dibattito menzionato) e dai loro sostenitori con una strana inversione, quasi che il principio fondamentale dell’art. 11 fosse su-

Il Processo di rottura e Letta di Gian

Carlo Caselli

evoluzione della specie può riguardare anche il cosiddetto “processo di rottura”. Enrico Letta forse non l’ha avvertito, ma un nuovo capitolo di questa evoluzione lo ha scritto proprio lui, dichiarando al Corriere della Sera del 30 novembre 2009 di considerare “legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal processo”. Tesi strabiliante, perché equivale – se le parole hanno un senso

L’

– ad un’impropria riedizione del cosiddetto “processo di rottura”. Nella storia il “processo di rottura” è sempre stato praticato dall’opposizione radicale, per amplificare una contrapposizione frontale allo Stato e alle sue istituzioni, con manifestazioni fra loro assai differenti e scarsamente comparabili: da quelle di Rosa Luxemburg e della Resistenza algerina, a quelle delle Pantere Nere negli Stati Uniti o delle Brigate rosse in Italia. Una variante assolutamente

bordinato agli impegni assunti dal governo. Non è così: i trattati sono subordinati all’art. 11, non viceversa! Solo gli impegni internazionali che comportano limitazioni di sovranità per le “finalità” indicate dall’art.11 – pace e giustizia fra le nazioni – sono legittimi , gli altri no; tanto meno se prevedono limitazioni e impegni a fini di guerra. La Corte costituzionale (sent. 300/1984) ha chiarito che le “finalità” cui sono subordinate le limitazioni di sovranità sono quelle stabilite nell’art. 11, non le finalità proprie di un trattato che, anzi, “quando porta limitazioni alla sovranità, non può ricevere esecuzione nel paese se non corrisponde alle condizioni e alle finalità dettate dall’art.11”. Il discorso è importante anche perché il “ripudio” della guerra non vieta solo la partecipazione a conflitti armati ma pure l’aiuto ai paesi in guerra: illegittimo è il commercio di armi con tali paesi e il fornir loro le basi per agevolarne le operazioni. Eppure dalle nostre basi sono partiti aerei per missioni di guerra. Un altro tentativo di giustificazione si basava sull’art. 10 comma 1: si sarebbe formata una consuetudine internazionale che, a difesa dei diritti umani, legittimerebbe interventi militari (stragi di civili comprese?) nel territorio di

uno Stato che non li ha richiesti. Anche se fosse vero (ma non lo è), la Corte costituzionale nella sent. 48/1979 (menzionata a proposito dell’art. 10) ha escluso le consuetudini in “violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale”. Il ripudio della guerra è certamente fra tali principi. L’art. 11 apre una prospettiva nuova, la stessa che anima la Carta delle Nazioni Unite, lontana dagli scenari di guerra, di morte, d’inutile distruzione che il mondo si era appena lasciati alle spalle. Erano gli anno della speranza. Ma il monopolio della forza ha cambiato lo scenario mondiale, sostituendo brutalmente le “ragioni” di chi lo detiene al sistema di valori faticosamente costruito. La “forza”, con i mezzi attuali, rende nuova la forma dello scontro: la macchina ha schiacciato l’uomo. Ecco allora, in questa guerra asimmetrica, di fronte all’impossibilità di condurre una battaglia ad armi pari o almeno confrontabili, chi ne è sprovvisto non vede altra via che il terrorismo. Un impressionante regresso, un abbandono di principi e valori incontroversi che mostra l’irrazionalità della storia. Ma forse non è un sogno pensare che, finita l’era dei Bush e dei loro funesti collaboratori, a quei valori si possa ritornare.

B. si può difendere nel processo e dal processo: impropria riedizione di quella prassi attuata nella storia per amplificare la contrapposizione frontale allo Stato e alle istituzioni

nel ricorso al “processo di rottura” ad opera di “pezzi” di Stato anziché sue antitesi. Vanno univocamente in questa direzione il rifiuto del processo e la sua gestione come momento di scontro (per contestarne in radice la legittimità, condizionarne lo svolgimento e svalutarne l’esito) da parte di inquisiti eccellenti o di soggetti comunque forti. Nuovi e vecchi potenti hanno ingaggiato un’incessante battaglia contro la magistratura, addirittura indicata come responsabile di un golpe, con possibili seguiti di guerra civile e altre catastrofi. E ora ecco, Enrico Letta che usa la legittimazione della difesa “dal” processo (alias del “processo di rottura”: determinandone una nuova evoluzione…) come strumento per accreditare l’opposizione agli occhi della maggioranza po-

innovativa (un’evoluzione) del “processo di rottura” si è poi registrata in Italia negli ultimi quindici anni. Si tratta di un’anomalia che il nostro paese ha in esclusiva, consistente

giustamente

É

di Bruno Tinti

DIVERSAMENTE IMPUTABILI ultima esternazione del presidente della Repubblica (“E’ indispensabile… che quanti appartengono alla istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione”) mi ha fatto molto arrabbiare. E’ ora di finirla, ho pensato, con questa storia dei magistrati che conducono una lotta personale contro la politica e in particolare contro la maggioranza che governa. Non è vera e Napolitano lo sa: ci sono processi per gravi reati commessi da uomini politici. L’“istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione” li celebra “rigorosamente”, come fa con ogni altro processo. Il monito è stato inoppor tuno. Poi ho riflettuto meglio. Altro che inopportuno. Napolitano ha fatto di peggio: ha condiviso la tesi dei politici in fuga dai processi. Ha detto: “Va ribadito che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggia sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare”. Ha detto cioè che è il processo in sé, quando celebrato nei confronti del politico, a essere eversivo: perché è in contrasto con la volontà popolare. E tra legalità ed eguaglianza dei cittadini davanti alla legge; e rispetto della sovranità popolare con conseguente impunità dell’eletto; è il secondo principio che deve prevalere. Così voglio provare a discutere di questa nuova teoria, che avrebbe fatto inorridire i miei maestri all’università, come fosse una cosa seria, verificandone le possibili conseguenze. La volontà popolare è il principio supremo: nulla deve impedire all’eletto dal popolo di svolgere il suo mandato. Supponiamo che l’eletto dal popolo sia un serial killer: lo è stato in passato e anzi sfrutta la sua posizione per uccidere ancora. Il consenso popolare dovrebbe consentirgli l’impunità per gli omicidi commessi? Peggio, dovrebbe facilitargli ulteriori omicidi impedendo che si accerti, nel rispetto della legge e con le dovute garanzie processuali, se li ha davvero commessi e se ne sta progettando altri? Gli interessi supremi del paese in funzione dei quali “nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza” sarebbero tutelati da un serial killer? E se la risposta fosse negativa, non sarebbe necessario allontanarlo dal governo del paese? Attenzione, questa ipotesi non è per nulla paradossale: se Riina si presentasse alle elezioni in Sicilia, raccoglierebbe certamente moltissimi voti; e se mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unissero le loro risorse per garantire l’elezione di uno dei loro a qualche elevata carica istituzionale, avrebbero molte probabilità di riuscire nel loro intento. Se il consenso popolare dovesse prevalere su ogni altro principio, e in particolare su quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, l’eletto Riina e i suoi compari potrebbero governare il paese, perseverando impunemente nella loro attività criminosa. Non credo ci sia qualcuno che possa sostenere questa tesi. Ma in Italia non ci sono serial killer al governo. Speriamo che sia così. Allora vediamo quale tipo di delitti potrebbero portare a pensare che sì, il consenso popolare… ma forse meglio non insistere. Un eletto dal popolo che abbia commesso o continuasse a commettere violenze sessuali, magari su minori; o corruzioni, falsi in bilancio e frodi fiscali per arricchire se stesso e i suoi amici; o anche accordi con la criminalità organizzata, per garantirsi sicurezza, prosperità e prolungata carriera politica; questi reati sarebbero sufficientemente gravi da autorizzare un accertamento giudiziario? E, se accertati, inciderebbero sull’idoneità dell’eletto dal popolo a governare il Ppaese? Insomma, quali reati sono incompatibili con il consenso popolare? Perché la teoria avrà pure qualche eccezione; altrimenti anche Mussolini e Hitler avrebbero governato legittimamente per via dell’indubbio consenso popolare che li circondava. E invece proprio il fatto che non sia mai stato possibile processarli per i loro crimini e che abbiano potuto governare nonostante li avessero commessi dimostra quanto sia pericoloso sovrapporre questo principio a quello dell’uguaglianza della legge per tutti i cittadini. Io sono cresciuto nella convinzione che “se al mondo ci fossero solo due uomini e questi uomini fossero San Francesco e Santa Chiara, il diritto starebbe tra loro a indicare quello che è giusto” (Barbero, Manuale di diritto civile, UTET, 1954). E’ troppo chiedere a un professore universitario più vecchio di me di ricordarsene?

L’

litica contingente e per avviare un tavolo di riforme comuni anche in tema di giustizia. Obiettivo che una forza politica può contemplare nel suo programma. Ma attenzione ai percorsi. Legittimare tale difesa, infatti, significa discostarsi dal garantismo “classico”, che è veicolo di eguaglianza e non può mai essere strumento di sopraffazione e privilegio. Significa, al contrario, aprire spazi a un “neogarantismo strumentale”, diretto a depotenziare la magistratura (che si vorrebbe disarmata di fronte al potere economico e politico). Oppure a un “neogarantismo selettivo”, che di fatto gradua le regole in base allo status sociale dell’imputato. Tutte opzioni che rischiano di appannare la democrazia, non collimando con un sistema di stretta legalità.

LA STECCA di INDRO l Questo centrodestra, il cui fascino consisteva soprattutto nell’essere un gruppo di forze ben amalgamate e con una leadership ben sicura, non si dimostra così compatto come credevano gli italiani. E ha perso un po’ del suo sex appeal elettorale nei confronti di una sinistra che è ancora più sfasciata della destra. La sinistra non riesce a trovare un punto di coesione e un personaggio che possa dire: “La rappresento”. Sarà un’opposizione sgangherata che non condurrà assolutamente a nulla. Telemontecarlo, 2 giugno 2001


Venerdì 4 dicembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL La crisi che ci colpisce Nella zona industriale di Ascoli stanno chiudendo molte aziende, e per questo, nonostante io abbia un contratto a tempo indeterminato da ormai 15 anni, non mi sento molto al sicuro, essendo la fabbrica dove lavoro prossima alla vendita se va bene, al fallimento se va male; a 30 anni avevo già casa con mutuo e una figlia, ora ne ho 39 e molta incertezza. Ma c’è chi sta ancora peggio, cioè di tutti quei ragazzi che ho visto passare in questi anni come interinali: molti hanno lavorato qui per diverso tempo, i più “fortunati” sono stati assorbiti nell’organico dopo un lunghissimo purgatorio, ma sono una piccola parte. La maggior parte sono state presenze passeggere, sempre in bilico, senza diritti e senza voce in capitolo; ognuno ha avuto miriadi di contratti mese per mese, rinnovati con un sms, e intendiamoci bene che non si parla mica di ragazzini, molti di loro hanno ben oltre i trent’anni e poche prospettive di costruirsi una famiglia, di comprarsi una casa e di fare un figlio. Spesso li guardo e i loro occhi rispecchiano il vuoto che hanno dentro, rassegnazione infinita, non hanno futuro, gli è stato tolto da leggi bipartisan di classi politiche corrotte che hanno precarizzato il lavoro senza pietà negli ultimi anni. Proprio ieri l’amico Silvio, che

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aro Colombo, quello che sto per scrivere sembra uno scherzo, ma purtroppo è una domanda urgente e legittima: viene prima il processo o l’opposizione politica nel nostro paese? Da dove si deve cominciare? Wilma

C

SIAM O nel cuore del punto più

intricato, una sorta di magia che rovescia ogni immagine e trasforma anche le situazioni magari sgradevoli ma spiegabili, come una indagine, in sequenze assurde e grottesche da Alice nel paese delle meraviglie. Meraviglie minacciose e pericolose. Proviamo a mettere ordine. Se è vero che “Non lo batteremo mai con i processi” (frase strana, perché i processi avvengono nell’indipendente ambito giudiziario, non in quello della politica, dunque è inutile scambiarci quella bizzarra parola d’ordine visto che la maggior parte di noi non è giudice), allora dovremmo concludere che sospendere i processi vuol dire riattivare la vita politica. La domanda è: come? Dire che la giustizia è un’arma usata dalla politica è ovviamente insensato perché richiede che tutti i giudici, in decine di città, nei vari gradi di processo e nei due diversi rami dell’accusa e della magistratura giudicante siano (tutti) affiliati a una

Giovanna Gabrielli

Bersani in piazza o noi non lo votiamo Come può il Partito democratico rinunciare a una piazza spontanea, nata dalla frustrazione della gente e dall’energia positiva di chi non vuole più accettare di essere malgovernato e di vedere distrutto il proprio paese? Siamo stufi, noi elettori

carboneria che ha un unico scopo e un’unica vittima. Che si sappia nessuno ha mai potuto dimostrarlo. E infatti si ricorda un solo caso in cui la presunta vittima del complotto giudiziario ha provato, senza successo, a ricusare un giudice. Inoltre almeno dieci giudici, tutti noti e importanti, da dieci città diverse, siedono in Parlamento con Berlusconi. Se ci fosse il complotto e quei giudici fossero restati nelle loro importanti cariche, avrebbero potuto sventarlo e denunciarlo. Colpevole omissione? Più probabile l’assenza del complotto. Seconda ipotesi. Blocchiamo la via giudiziaria “Con cui non vinceremo mai”. E dedichiamoci alla politica. Quale politica? La giustizia, con chi si sottrae alla giustizia e denuncia lo squilibrio mentale dei giudici. Il potere del primo ministro, che al momento (dice la rivista Forbes) è il quattordicesimo uomo più potente del mondo. Le comunicazioni con il titolare del più vasto conflitto dei interessi del mondo. Come si vede, non si può. Molti di noi non hanno mai contato sui processi (purché si facciano). Molti di noi continuano a pensare che l’unica strada sia una implacabile opposizione . Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

di sinistra, di vedere che il nostro partito non ci rappresenta, che se ne infischia di fare opposizione in maniera decente. Questa piazza tra l’altro è una delle poche apolitiche che ci sono, e proprio perché nasce dal basso i politici dovrebbero sostenerla, prenderla per mano e traghettarla nelle iniziative utili che migliorano questo paese. Enrico

Io, ex elettore del Partito democratico Salve, sono un ex (da ieri, dopo la sparata di Enrico Letta) elet-

tore del Pd. Da oggi in poi voterò Di Pietro e De Magistris, unici a fare opposizione in questo paese compromesso dalla mafia, che è riuscita a fare un partito senza che nessuno muovesse un dito. Saluti.

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Privatizzazione dell’acqua, servono altre proposte Il decreto Ronchi privatizza, come sempre, la polpa del servizio idrico, cioè la gestione, dove c’è da guadagnare aumentando le tariffe senza fare investimenti, come è già successo nelle concrete privatizzazioni già realizzate in Italia. Invece vengono lasciate pubbliche le strutture obsolete e gli acquedotti colabrodo, dove c’è da spendere tanti soldi pubblici e nulla da guadagnare. Avanzo quindi la controproposta del metodo Esco (energy services companies): i privati possono investire nella rete, che resta di proprietà pubblica, riparando il colabrodo e ripagandosi coi risparmi che consentono alla Pubblica amministrazione. Questo metodo funziona già egregiamente all’estero e ha iniziato a diffondersi in Italia: se dà buoni risultati nel campo energetico, può andare a meraviglia anche nel settore idrico, specialmente laddove ci sono perdite.

LA VIGNETTA

Roberto Caldarera

Augusto Minzolini e le manifestazioni Non vedo l’ora che arrivi la manifestazione del 5 dicembre, non solo per dare un segnale della presenza di un’Italia che vuole la “liberazione” da Berlusconi ma anche, anzi direi soprattutto, per ascoltare il “direttore/editorialista” del Tg1, il fido Augusto Minzolini, cosa inventerà per screditare le migliaia di persone provenienti da tutta Italia che si riverseranno in piazza San Giovanni per manifestare contro il presidente del Consiglio. Visti i precedenti ci sarà da divertirsi: l’ultima volta ha parlato di manifestazione pretestuosa, chissà questa volta con cosa ci delizierà. Per scoprirlo appuntamento a sabato 5 dicembre alle ore 20 circa su Raiuno. Gino

In onda il filmato dell’irruzione in Eutelia Cara redazione, ho letto che manderanno in onda delle immagini dell’irruzione di Samuele Landi in Eutelia e volevo condividere con voi l’informazione, perché più gente vede come stanno le cose meglio è: nella notte tra lunedì 9 e martedì 10

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L’abbonato del giorno NICOLA E SOFIA “Ciao, sono Nicola e sono un maestro di musica e appassionato lettore del vostro giornale. La mia compagna si chiama Margherita, e insieme abbiamo una bimba, Sofia. Le abbiamo dato questo nome perché vuol dire ’sapienza’, e ho deciso di educarla fin da ora a scegliere un giornale libero e che mette in primo piano i fatti. Grazie di cuore”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

La politica di domani potrà essere migliore? Caro Fatto, ho notato che tra i vostri abbonati del giorno ci sono spesso foto di neonati. Questo mi trasmette una bellissima sensazione: il fatto che dei genitori vi mandino le loro speranze per il futuro vuol dire che voi avete veramente creato un progetto diverso. Il vero problema è se mai ci sarà qualcuno che, anche dal lato politico, sarà in grado di prendere in mano l’eredità del vostro lavoro e di quello dei pochi altri giornali liberi. Insomma, c’è un sistema che alleva i politici di domani, per questo non emerge mai nulla di nuovo. Come potrà cambiare questo fatto? Se non apriamo degli spazi di crescita per un futuro diverso, è molto difficile che nascano spontaneamente. Allora propongo di impegnarsi, di pensare a un progetto comune, di incanalare le nostre forze per sostenere i piccoli tentativi democratici che nascono e che si scorgono in giro per l’Italia. Sono sicura che, lavorando nelle scuole, insegnando a leggere i giornali, a informarsi, a crearsi un’opinione autonoma, qualcosa di meraviglioso potrebbe accadere. Il “No B. day” è nato su facebook, come tante altre iniziative. Si può fare! Silvia

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novembre un gruppo di vigilantes guidati dall’ex amministratore delegato dell’Agile (ex Eutelia) ha effettuato un blitz nello stabilimento, a Roma, occupato dai dipendenti che protestavano contro la chiusura dell’azienda, dopo essere rimasti senza stipendio da mesi. All’episodio era presente l’inviato di “Crash”, che da qualche giorno ormai stava seguendo la situazione dello stabilimento occupato per protesta dai dipendenti che non ricevono lo stipendio da mesi. Le immagini dell’irruzione sono

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).

Maria, lavoratrice ex Eutelia

Dino dall’Osso

Una serata infernale al Festival Jazz di Montreux. Sul palco del Casino, mentre Frank Zappa e la Mothers of Inventions attaccano la mitica suite “King Kong” qualcuno spara un proiettile luminoso con una pistola lanciarazzi. In cenere l’intero teatro, distrutti gli strumenti della band. E Frank ricorderà per un bel pezzo il fuoco di quel tour maledetto. La star più anarchica del jazz-rock, a 31 anni, è nel pieno della sua tumultuosa carriera. Virtuosista della chitarra elettrica e alchimista bizzarro, ha già distillato in undici album cult tutto il sound d’autore che lo circonda e che l’ha preceduto, rock, blues, doo-woop, pop, classic music, free-jazz, vaudeville. In California ha catturato l’energia dei freak, dei poeti da strada, dei beatnik. Ha sputato veleno contro l’America di Nixon e della Guerra in Vietnam, contro l’ipocrisia sessuofoba, il falso moralismo, il dio-denaro. Ha sperimentato sincretismi musicali audaci, ha mischiato sacro e profano, miscelato Stravinskij e Hendrix. Ha giocato con atonalità, poliritmie, tempi dispari. Alla ricerca di una musica senza confini. Una vita e una storia da vero genio iconoclasta che non si è mai venduto. Fino alla morte, 4 dicembre1993. Una data fatale.

Massimo Paglino

A DOMANDA RISPONDO CON I PROCESSI NON VINCEREMO MAI

Furio Colombo

IL FATTO di ieri4 Dicembre 1971

lavora qui da 3 o 4 anni circa, ci ha salutato dandoci gli auguri di Natale sperando nell’anno nuovo. Così non si può proprio andare avanti.

BOX

entrate immediatamente nel circuito mediatico dell’informazione, dando finalmente risalto e visibilità a una vicenda che fino a quel momento era passata quasi inosservata fra le altre notizie sulla crisi e sulle aziende che chiudono. Ora il servizio andrà in onda e verranno mostrate le storie dei lavoratori che da più di un mese occupano gli stabilimenti in attesa di una risoluzione della loro vicenda, e verranno anche ripercorse le tappe finanziarie, spesso poco chiare, che hanno portato il gruppo Omega alla situazione attuale.

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EDITORI RIUNITI

IL PIÚ COMPLETO E AGGIORNATO ATTO DI ACCUSA CONTRO BERLUSCONI Nel febbraio del 2001, a tre mesi dalle elezioni politiche che riporteranno Silvio Berlusconi per la seconda volta al governo, esce “L’odore dei soldi” di Veltri e Travaglio sulle origini e i misteri delle fortune del Cavaliere. Il 14 marzo Daniele Luttazzi ospita Travaglio a “Satyricon”, su Rai2. L’indomani Berlusconi e i suoi cari, amorevolmente seguiti da numerosi esponenti del centrosinistra e da decine di giornali e commentatori “indipendenti”, sparano a zero su Luttazzi, Travaglio e Veltri, ma anche sul direttore di Rai2 Carlo Freccero e sulla Rai presieduta da Roberto Zaccaria, “rei” di aver “consentito” la messa in onda del programma. Nessuno contesta una sola parola, di quelle scritte nel libro o pronunciate nella trasmissione. Semplicemente, si sostiene che “certe cose” non si possono, non si debbono dire. Poi, dal Partito Azienda, parte una raffica di cause civili per danni contro gli autori e l’editore del libro e contro i responsabili di “Satyricon”. Berlusconi ne presenta due: una contro Veltri, Travaglio ed Editori Riuniti per il libro, con una richiesta di 10 milioni di euro; una contro Luttazzi (che in realtà si chiama Daniele Fabbri e così viene citato negli atti dei processi), Travaglio, Freccero, Rai e Ballandi Entertainment (produttore del programma) per “Satyricon”, con una richiesta di 21 miliardi di lire. Lo stesso fa Fedele Confalonieri per Mediaset, con due richieste gemelle, entrambe di 5 miliardi di lire. Idem Aldo Bonomo per Fininvest, con due richieste analoghe, senza però quantificare il danno (affidato al buon cuore dei giudici). Il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Giuseppe Pisanu, denuncia soltanto i protagonisti di “Satyricon” e non del libro, chiedendo 10 miliardi di lire. Giulio Tremonti cita soltanto autori ed editore, ai quali chiede 1 miliardo di lire di danni. Le cause sono otto in tutto: quattro per il libro, quattro per la trasmissione, per un totale di richieste di danni di 62 miliardi di lire (più l’importo imprecisato chiesto da Fininvest). In primo grado, tutte e otto si sono concluse dinanzi alla I sezione civile del Tribunale di Roma, che ha dato torto agli “attori” Berlusconi, Mediaset, Fininvest, Forza Italia e Tremonti (condannati a rifondere le spese processuali ai denunciati) e ragione ai “convenuti” Travaglio, Veltri, Luttazzi, Freccero, Editori Riuniti, Rai e Ballandi. Tutti gli “attori”, salvo Tremonti, han fatto ricorso in appello. Particolarmente significative le due sentenze che danno torto a Silvio Berlusconi. Perché affermano entrambe che tutti i fatti raccontati nel libro e nel programma sono, molto semplicemente, veri. La prima è quella del giudice Massimo Corrias, datata 14 gennaio 2005, sulla denuncia di Berlusconi che chiedeva 20 miliardi di lire per Satyricon a Luttazzi, Travaglio & C.: “... Tale opinione critica del Travaglio è risultata ancorata a fatti veri di sicuro interesse per l’opinione pubblica (notorio era il coinvolgimento del predetto on. Berlusconi in inchieste penali attivate dalla Procura presso il Tribunale di Milano per reati societari e dalla Procura presso il Tribunale di Caltanissetta che indagava sui mandanti delle stragi mafiose di Capaci e di via d’Amelio; notoria era l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa rivolta dalla Procura presso il Tribunale di Palermo a carico di Marcello Dell’Utri, stretto collaboratore dell’attore) ed è stata espressa con modalità di per sé non offensive... Esclusa la lamentata diffamazione ed esclusa altresí l’asserita ingiusta lesione del diritto dell’attore (Berlusconi, nda) alla propria identità personale, s’imporranno il rigetto di tutte le domande formulate a carico dei convenuti... Attesa la soccombenza assolutamente prevalente, l’on. Silvio Berlusconi dovrà infine essere condannato alla rifusione delle spese processuali in favore [...] di Marco Travaglio e di Daniele Fabbri (in arte Daniele Luttazzi)... Cosi deciso in Roma, 14/1/2005”.

Marco Travaglio


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