Il Fatto Quotidiano (8 Dicembre 2009)

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L’onda viola ha spiazzato tutti. Gigantesca, consapevole, ordinata. Ora viene il difficile: andare avanti senza divisioni

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Martedì 8 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 66 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

FINANZIARIA DELLE VERGOGNE

I beni della mafia possono tornare nelle mani dei boss Abruzzo, l’Ici sulla seconda casa anche per i terremotati La Commissione Bilancio della Camera boccia tutti gli emendamenti dell’opposizione e dà l’ok: potranno essere messi all’asta i beni confiscati

Udi Marco Politi

a Cosa Nostra. Sempre in commissione, il governo infierisce e cancella le proroghe per le tasse dei terremotati Amurri e Dalla Chiesa pag. 5 e 13 z

COPENAGHEN x Il summit dei grandi sull’inquinamento

Udi Bruno Tinti

Clima, la speranza non vada in fumo

BERLUSCONI ALLA CORTE D’EUROPA

Cassini e Fiano pag. 10 e 11 z

MILANO, VE SCOVI ANTI-LEGA

&C sembrano inconBEuropa; sapevoli di vivere in e quindi sem-

la Lega a temere Hvo dialeragione parole dell’arcivescoMilano. Ha ragione, per-

brano ignorare che esistono la Corte di Giustizia (CG) e la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). pag. 18 z

ché da Martini a Tettamanzi, la cattedra di sant’Ambrogio è diventata il contraltare della xenofobia dei seguaci di Bossi. pag. 9 z

CATTIVERIE Sempre più difficile. Dopo essersi diviso sulla partecipazione al NoB.Day, il Pd si divide sulla mancata par tecipazione al NoB.Day (Bandanax) Studenti a Tokyo mandano il loro messaggio ai leader mondiali riuniti al COP 15 di Copenaghen (FOTO ANSA)

Udi Oliviero Beha VECCHI E GIOVANI UNITI NELLA MARCIA a manifestazione di sabato è stata come un thermos: a caldo un contenitore di emozioni, nel ricordo successivo un concentrato di memoria e di sensazioni che non dovrebbe intiepidire più di tanto. pag. 2 z

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MEMORIALI x Il consulente delle procure Genchi e le inchieste dal ‘92 a Why Not

BORSELLINO, LE TELEFONATE PRIMA DELLA STRAGE Nel libro firmato da Edoardo Montolli errori e collusioni pag. 6 e 7 z di chi doveva proteggere il giudice

Io, sovversivo con il Fatto Sono un ragazzo diciottenne, quotidianamente indignato dalla politica italiana, che ritengo irrispettosa del paese. Sabato ero a Torino per manifestare contro Berlusconi, intervenuto in pompa magna per inaugurare l’Alta velocità che collega la stazione di Porta Nuova con Milano. In attesa dell’arrivo del premier, sono stato fermato da agenti in borghese per aver mostrato la prima

pagina del Fatto Quotidiano alle telecamere e ai fotografi presenti. Sono stato interrogato sulla provenienza del giornale che titolava “Adesso basta. La legge è uguale per tutti” e dopo aver spiegato che il quotidiano è acquistabile in qualsiasi edicola, sono stato lasciato andare. Sono rimasto allibito dal comportamento degli agenti. Un chiaro tentativo di censura, in mezzo a numerose persone comuni, che mi hanno immediatamente

espresso solidarietà. Non pensavo si arrivasse a tanto: controllare i messaggi che un individuo espone durante una manifestazione. Anche se si tratta semplicemente della prima pagina di un quotidiano. Davide Olocco Cavaller Maggiore (Cn) La lettera è stata pubblicata ieri, 7 dicembre, sull’edizione nazionale de La Stampa di Torino.

Galli della Rosica di Marco Travaglio

ome se il Pd non riuscisse a farsi abbastanza male da solo, Galli della Loggia gli dà una mano. Ieri toccava a lui smentire la campagna pubblicitaria che reclamizza l’indipendenza del Pompiere della Sera e ha centrato l’obiettivo. Parlava del NoB.Day che, essendo perfettamente riuscito, gli ha rovinato il weekend lungo. Sperava in una parola di troppo, in una lattina di cocacola fuori posto, in una cartaccia per terra a cui appigliarsi per chiamare la pula e schedare i manifestanti come terroristi, brigatisti, jihadisti, talebani. Invece niente, manco una sbavatura. Così, dopo una giornata trascorsa a rosicare nella sua biblioteca di incunaboli, ha riversato la sua bile in quattro colonne di piombo intitolate “Il rinnegato Bersani. Le giuste ragioni del No alla piazza”. Poteva dire subito la verità e sbrigarsela in poche righe: “Caro Bersani, noi berlusconiani travestiti da terzisti indipendenti siamo molto preoccupati: Silviuzzo sta andando a sbattere. I mafiosi han pure ricominciato a parlare, naturalmente di lui e di Dell’Utri (e di chi, se no?). Noi, che abbiamo sempre finto di non sapere definendo lui ‘statista’ e Dell’Utri ‘bibliofilo’, siamo in ambasce. Se non gli date un’altra mano voi del Pd, ci tocca inventarci un altro travestimento”. Ma un discorso così franco sarebbe poco terzista, poco indipendente: tutti capirebbero tutto. Ecco allora Galli nonché Della Loggia inerpicarsi sull’alta politologia a base di “opposizionismo”, “massimalismo”, “radicalismo giustizialista”, “volontà di essere comunque contro” e spiegare quelle centinaia di migliaia di giovani cittadini in piazza non con la crescente vergogna di essere rappresentati da un gaglioffo rifatto, delirante e plurimputato, ma con “l’infinita transizione apertasi a sinistra con il crollo del comunismo”, con la “sinistra trotzkista”, col “venir meno della tradizione comunista” e “leninista”: roba che i ragazzi di facebook e dei blog non sanno nemmeno cosa sia. Sono gente semplice, contemporanea e – non avendo mai avuto la fortuna di leggere Galli della Loggia – lucida. Pensano che, per opporsi a Berlusconi, si debba opporsi a Berlusconi. Non riescono a cogliere, diversamente dal politologo da pantofola, i valori del “dialogo”, del “compromesso”, dell'“accordo”, né tantomeno dell’“opposizione ragionata”. E quando qualcuno domanda loro col ditino alzato “ma allora voi siete contro?”, rispondono banalmente: “Sì, perché?”. Non riescono a essere contro ma anche pro. Contro ma solo un po’. Del resto, non hanno mai sentito di paesi dove l’opposizione sia pro. E quando leggono che un Galli della Loggia o un Polli del Balcone suggerisce al Pd di non opporsi a Berlusconi, ma a Di Pietro (“marcare la propria distanza da Di Pietro”, “sottolineare la propria decisa avversione all’antiberlusconismo”), chiamano l’ambulanza. Se poi il politologo chiede al Pd di “dare una spiegazione vera e plausibile alla fine ambigua della Prima Repubblica”, rispondono serafici: “Ma non sono caduti perché rubavano?”. E se lui s’interroga pensoso sulle ragioni profonde della “comparsa di Berlusconi”, replicano candidi: “Ma non stava finendo in galera pure lui?”. Galli della Loggia comunque non parla ai cittadini: mai conosciuti. Parla al Pd, nella speranza che – dopo aver perso per strada milioni di elettori e mezza dozzina di leader e quadruplicato i voti a Di Pietro seguendo i consigli del Pompiere della Sera – perseveri. In fondo è semplice: basta che i vertici Pd seguitino a schifare tutte le manifestazioni popolate e autoconvocate dai loro potenziali elettori, dal G8 al Palavobis, dai girotondi alla Cgil, da piazza Navona a piazza San Giovanni, e il gioco è fatto. Fra qualche anno Bersani, o chi per lui, si ritroverà finalmente libero da quella zavorra vociante chiamata “elettori”. E farà il quarto a briscola con Galli della Loggia, Panebianco e Ostellino quando Romano starà poco bene.

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8 ottobre 2009: nasce la pagina di Facebook “dedicata” a mister B.

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NO BERLUSCONI DAY

utto parte l’8 ottobre. Ma solo “grazie” a ciò che è avvenuto il giorno prima: la bocciatura del lodo Alfano. “Non tutto è perduto” dicono alcuni utenti della Rete: parte un veloce giro di opinioni tra di loro. San Precario è una maschera collettiva che “tutti possono indossare” e ha un profilo su Facebook al quale si rivolge parte della blogosfera democratica. Ecco

quindi la pagina: “Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Berlusconi”. Con l’appello: “Berlusconi deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte”. E ancora: “Riteniamo che il finto ‘fair play’ di alcuni settori dell’opposizione, costituisca un atto di omissione di soccorso alla nostra democrazia”.

Solo il primo giorno si raggiunge quota 1000 iscritti. Il 10 ottobre il Fatto Quotidiano parla dell’iniziativa: “L’obiettivo che si sono dati è molto arduo. Ci riusciranno? Vedremo se questa è la prima volta di una mobilitazione nata su Facebook”. In effetti le adesioni continuano a crescere in maniera vertiginosa, al ritmo di 11.000 al giorno. Fino ad “esplodere”...

RESTEREMO UN MOVIMENTO

I promotori del No B. Day : non diventeremo mai un partito E il viola sarà di chiunque rispetti le nostre regole di Federico Mello

l day after è un passaggio obbligatorio e delicato. Dopo la grande manifestazione di San Giovanni, per i No Berlusconi lunedì è il giorno della riflessione, e del rischio anche, che tutto si squaglia come neve al sole. Di sicuro, una nuova iniziativa è già partita ieri: dalla pagina dove era stata lanciata la mobilitazione, ne è germinata una nuova, che adesso si chiama “Il Popolo Viola” e che, in poche ore, ha già raccolto oltre 30.000 iscritti. Si continuano a chiedere le dimissioni del premier, ma si alza il tiro: “In questo gruppo vogliamo costruire un progetto (non un partito) di rinnovamento per il Paese a partire dalle vostre proposte. Il nostro metodo rimane quello della partecipazione democratica”. Una dichiarazioni d’intenti già tradotta anche in inglese: “Welcome on the official page of the purple people...”. Non è facile spiegare quello che hanno in mente. Ciò che è certo è che, almeno per provarci, bisogna buttare a mare la cassetta degli attrezzi della politica ordinaria, e attrezzarsi per qualcosa che assomiglia più a Wikipedia che a uno statuto di partito. La sintesi, come al solito, la fa San Precario. Il Giornale l’ha definito, “Il Subcomandante Marcos de ‘noantri”. Una definizione presa come un complimento dal profilo Facebook che ha organizzato il No B. Day (Il Giornale di Feltri, tra l’altro domenica ha fatto un rozzo tentativo per dimostrare che tutto era nato già ad aprile da Di Pietro: una bufala smentita in poche ore da decine di post sulla Rete). San Precario era l’icona usata da gruppi alternativi milanesi e

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sindacati di base per portare avanti la battaglia sui precari. Un anonimo ha ripreso l’icona e l’ha resa promotrice del No B. Day. Questa mossa, inedita nell’agorà italiana, ha giovato senz’altro alla manifestazione: San Precario è una sorta di padre nobile di questo movimento che garantisce un fine: “Il popolo viola si va definendo come italiani che fanno politica per la legalità, il futuro e la partecipazione – dice – soprattutto la partecipazione”. Assicurando un profilo aperto e democratico, si pone come garante del popolo viola, al riparo dalla personalizzazione, che è spesso il peggior inquinante della politica. Quindi, ora, si ricomincia, si riparte dal nuovo gruppo: “Occorre trasformare il grande patrimonio che ci consegna il 5 dicembre in un’esperienza tesa al cambiamento del paese” dice. Molti degli organizzatori si dicono d’accordo. Nessun partito da fondare, nessuna gerarchia e nessuna lista elettorale. Ma rendere il viola un simbolo,

che chiunque potrà usare, per proporre iniziative, campagne, manifestazioni, sempre con un riferimento indissolubile: la partecipazione dal basso e pubblica. Su Internet ma anche de visu, sui territori. Gianfranco Mascia, che è stato uno dei volti più visibili di questo movimento, già pubblica il suo contributo sulla pagina Facebook del “Popolo Viola”. “Sabato abbiamo fatto rinascere la speranza – scrive Mascia – che qualcosa possa davvero cambiare in Italia. Non solo perché la manifestazione è stata un successo numerico, ma soprattutto per le modalità”. Nel frastuono del post-manifestazione, questo ripetono tutti. “Dobbiamo fare un movimento che propone un metodo”. Mascia aggiunge: “Il tentativo di ‘mettere il cappello’ sull’iniziativa c’è ed è chiaro. Per evitarlo, cerchiamo di ribaltare il concetto. Mettiamo noi il nostro ‘cappello viola’ sulla politica italiana, di qualunque parte sia”. Si potrebbe dire che quello che

GENERAZIONE OVER

IN PIAZZA ANCHE I “RAGAZZI” CON I CAPELLI GRIGI di Oliviero Beha

a manifestazione di sabato è stata come un therLcordo mos: a caldo un contenitore di emozioni, nel risuccessivo un concentrato di memoria e di

sensazioni che non deve o non dovrebbe intiepidire più di tanto. Sensazioni politiche, civili, civiche, ambientali, per dirla in un solo aggettivo di cui tanto avremmo bisogno: “Culturali”. Queste che seguono sono semplicemente le impressioni di chi ci è stato “fisicamente”, con la voglia di immergersi in quel lungo e largo fiume che da piazza della Repubblica è confluito per ore a piazza San Giovanni. Di chi “se lo è fatto tutto” con curiosità e senza pregiudizi, almeno crede (citando Franco Fortini, ”Non si crede mai quel che si crede” ma qui saremdi Alessandro Ferrucci CAMOMILLA mo alla metafisica…). Di chi condivide alcuni moventi forti del corteo e dell’evento, ma non altri che pure sono serviti da “titolo cubion mira in alto, Vittorio Feltri, guarda tale” alla giornata No alla pancia dei lettori. Così, nel suo B. Day. Di chi crede editoriale di domenica, dedicato anche al No B. all’autenticità, pur Day, scrive: “200mila persone in San Giovanni con tutte le riserve di un impressionismo a Roma sono inconsapevolmente (ci auguriapiazzaiolo che può mo) diventate picciotti, gaudiosi complici del tradire, se gli pare di delatore-teologo-pluriomicida accusatore svaleggerla negli occhi nito del premier. Allo show piemontese di vedelle persone che conerdì si è aggiunta la pagliacciata di sabato”. Inme lui “fisicamente” somma, chi ha manifestato è amico di Spatuzza. Non offendetevi, però, aspettate: Feltri è galantuomo, come il tempo. A fine editoriale, il direttore spiega: “Chi verifica un errore è tenuto a riconoscerlo e a rettificare. Noi lo abbiamo fatto perché era giusto”. Parlava di Boffo a cui aveva simpaticamente dato del pederasta. Lui è così: prima pugnala, poi chiede scusa. A quando la riabilitazione dei “picciotti” del No-B-day?

Feltri, i picciotti e il lodo Boffo

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stanno provando a mettere in campo è una rete di cittadini che, utilizzando Internet e i meccanismi più innovativi della comunicazione, si pone come alternativa culturale al modello berlusconiano: “Sia destra che sinistra hanno fatto l'interesse di pochi. Bisogna lavorare invece per soluzioni che siano per il bene comune” spiega Franz Mannino, un altro degli organizzatori. Cambiare le cose, partendo dal basso. Un obiettivo impossibile? Di certo, la piazza di sabato sta lì a dimostrare che, finora, i viola hanno intercettato un bisogno che, al di là delle cifre (“non ce ne frega niente dei numeri, c’eravamo ed era chiaro a tutti” dice sempre Mascia) rimaneva ancora nascosto, ai telegiornali naturalmente, ma anche alla politica. E d’altronde la lezione viola non è troppo dissimile da quella di Obama. Yes we can. Si può fare. Cambiare le cose. Loro vogliono dimostrarlo. “E statene certi – aggiungono – siamo solo all’inizio”.

ci sono invece di essere altrove, pur magari solidarizzando “in ispiritu”. Di chi, nella frustrazione da vipperia inconsulta che ha trascinato in fondo al mare come fosse una nave dei veleni la sensibilità complessiva di un popolo, ha apprezzato che sabato queste forme di vipperia scadente fossero state tenute alla larga, dal palco come dalla mitizzazione della gente. I simboli, gli slogan, le magliette, la testata di questo giornale diffusa tra i manifestanti più che come giornale come segno di riconoscimento, non hanno avuto bisogno più di tanto di icone. Le strette di mano, i commenti, gli sguardi di comprensione, stima, familiarità mi sono sembrate aver la meglio in generale sul tifo da stadio che è una delle componenti della “distrazione di massa” che ha diserbato la percezione della realtà di quest’Italia. Da questo punto di vista segnalo un aspetto che è all’apparenza molto secondario nei confronti della valenza politica del “sabato viola”, un sabato del villaggio che aspetta da troppo tempo, troppi anni, troppe cancrene politiche di vario colore una domenica decente, da paese normale che secondo un “maestro” vero, Mario Monicelli, siamo stati solo e forse soltanto per necessità nel secondo dopoguerra. Intendo dire dell’impressione che i cortei e questo in particolare fanno ai cinesi del quartiere di Piazza Vittorio. Ai cinesi predominanti, ma anche agli indiani cordiali, ai “bangla” come vengono accorciati i numerosissimi originari del Bangladesh, ai neri ecc. E’ una forma di integrazione “strisciante” ma assai penetrante che ovviamente collide con il fastidio di manifestazioni a getto continuo per i residenti, o i commercianti italiani o romani di sempre più recente generazione. Ho girato intorno al corteo, e non ho trovato quell’indifferenza al corteo-cortei che sempre più spesso li circonda magari per sopraggiunta ripetitività o inutilità. No, sabato tutto quel viola aveva qualcosa di differente e di promettente insieme. La manifestazione più vicina per interesse e caratteristiche mi è parsa quella del

“Mi ha ricordato il corteo del 2003, quello dell’arcobaleno della pace contro la guerra in Iraq”

febbraio 2003, quella dell’arcobaleno della pace contro la guerra in Iraq, poi perfettamente disattesa, quella degli oltre due milioni, una delle più affollate mai viste, nella stessa Piazza, quella non necessariamente di sinistra, quella di famiglie con tanto di nonni e nipotini. Sabato, raccontano le cronache, in piazza c’erano soprattutto i giovani. E’ vero solo in parte. Il testimone oculare vi dice che invece c’erano anche tantissime persone della mia generazione, o in gruppi tra loro, o in colonie mischiate con i giovani da ogni dove. Che sedicenni, ventenni, o venticinquenni, popolo della Rete, popolo “viola”, popolo di Facebook, confluissero in un corteo da loro stessi organizzato e dai loro referenti coordinato, naturalmente non stupisce. Che siano sotto i quarant’anni la maggioranza dei frequentatori di Internet è poco ma sicuro. E allora? Tutti quei cinquantenni, sessantenni, o anche più avanti negli anni che gonfiavano con entusiasmo il corteo? Da dove uscivano? Dalle cantine più o meno metaforiche in cui li hanno rinchiusi o nelle quali si sono rinchiusi in questi ultimi quindici anni, in un’Italia stremata da Berlusconi, dal berlusconismo, dall’antiberlusconismo troppo spesso professionalizzato e quindi tendenzialmente rientrante nel berlusconismo come idea non ideale della società? Eppure sabato c’erano, e se questo rende conto di un paese stremato in un tracciato transgenerazionale, che sta quindi ancora peggio di quel che si crede, si dice o si tace, fornisce anche un’ipotesi complessiva di altro paese, che abbracci dai giovani ai vecchi in tre generazioni di scontento. Questo dato può essere formidabile, cioè etimologicamente “mettere paura” non solo a Berlusconi ma a un’intiera classe dirigente. Questa. Se la manifestazione non è pensile non è di un giorno, continua a trasformare in “fisicità” la Rete e in virtualità l’apporto personale e la comunicazione che non passa per i canali tradizionali, ostruiti e strozzati come sappiamo. I canti di sempre, il pathos di un dicembre violaceo, lo stare insieme per pretendere legalità costruendola in antitesi a una specie di pupazzo di neve contemporaneamente reale e simbolico, rimangono in quel thermos, già più in là di Berlusconi. Guai a perderne o sprecarne il ricordo, la partecipazione, il calore. Non ci rimetterebbe la sinistra, formalmente assente, bensì tutto il paese.


Martedì 8 dicembre 2009

Sotto il cielo di Roma un pantheon di sigle legate al centrosinistra

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NO BERLUSCONI DAY

eanche l’Ulivo di Romano Prodi aveva raggiunto l’obiettivo invidiabile di riuscire a raccogliere un tale pantheon di sigle sotto un unico cappello. Sabato a Roma c’era tutto il panorama extraparlamentare, più una imponente presenza dell’Italia dei valori, e tante presenze sparse del Partito democratico (da Giovanna Melandri a

Walter Verini e Lino Paganelli, fino alla presidente, Rosy Bindi). Ecco quindi i Verdi guidati da Angelo Bonelli, recentemente eletto alla loro guida; eppoi Rifondazione comunista con il suo segretario, Paolo Ferrero e i Comunisti italiani con Oliviero Diliberto, e poi un grande striscione del nuovo movimento di sinistra, quello di Marco Rizzo (Comunisti-Sinistra popolare).

Sinistra e Libertà era rappresentata, tra gli altri, da Nichi Vendola, Claudio Fava e Gennaro Migliore. E ancora i leader di Sinistra Critica, la formazione trotzkista nata da una scissione del Prc. Poi i leader l’Italia dei valori, in prima fila Antonio Di Pietro e Luigi De Magistris (e ovviamente Pancho Pardi, che era stato uno dei simboli della stagione girotondina).

La prima sconfitta di Bersani Il successo della manifestazione e le difficoltà del “ma-neanche”

A sinistra un momento del corteo di sabato a Roma; a destra il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani; in alto a destra Patrizia D’Addario (FOTO ANSA)

di Luca Telese

riticato da Ezio Mauro: “Il Pd doveva andare”. Sbeffeggiato con toni vernacolari, dal monologhista Ulderico Pesce: “Ma dove cazzo è Bersani?”. Strapazzato da Matteo Renzi: “Il Pd è come la Fiorentina, non corre per lo scudetto. Perché Bersani non prende tre o quattro grandi temi e prova a coinvolgere il popolo viola?”. Irriso dagli avversari come Vittorio Feltri, tirato per la manica dai moderati che lasciano il Pd, criticato da sinistra da Di Pietro, Fava e Ferrero, stigmatizzato in casa propria da Walter Veltroni (e persino da Giovanna Melandri!), censurato finanche da Piero Fassino, uno che aveva buon gioco a dire: “Io alla manifestazione di Moretti ci andai”. Il ma-anche e il ma-neanche. Insomma, una giornata nera per Pier Luigi Bersani e il suo gruppo dirigente di “giovani sperimentati”. Il day after del 5 dicembre, segna la prima vera clamorosa sconfitta della nuova leadership del Pd. Se non ci fosse stato il tentativo di salvataggio in corner affidato a Rosy Bindi (che dopo aver spiegato in decine di interviste perché non andava alla fine – avendo fiuto – ha sfilato) il principale partito di opposizione sarebbe stato totalmente escluso dal principale evento di opposizione degli ultimi 10 anni. Un paradosso. E’ vero che in piazza c’erano i veltroniani, come Walter Verini, che c’erano Ignazio Marino, Ivan Scalfarotto e Rosa Calipari. Ma non c’è dubbio che la nuova linea del ma-neanche (“Non aderiamo,

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ma singoli dirigenti e militanti ci saranno”), di fronte a un successo di misura epocale mostra tutti i suoi limiti (e fa rimpiangere persino il ma-anche veltroniano). Un sondaggista come Luca Ricolfi – ieri su La Stampa – spiegava che il grado di soddisfazione degli elettori del Pd precipita ai minimi storici. E il segretario ospite di Lucia Annunziata non appariva molto convincente quando provava a spiegare che era stata “una bella giornata”, ma che la linea era giusta: “Si doveva mettersi in coda o imbucarsi? Dovevamo metterci il cappello e aderire a tutto quel che viene detto, o mandare delegazione come in Cecoslovacchia negli anni Cinquanta? Io dico di no”. Il problema centrista. I guai di Bersani, però, non sono circoscritti alla cosiddetta “piazza”. L’offensiva di “dialogo” con il centrodestra inaugurata dalle aperture di Enrico Letta e Luciano Violante è finita in un vicolo cieco (dopo aver suscitato dissensi importanti nel Pd). La tenuta del Pd non pare saldissima, visto che dopo l’addìo di Francesco Rutelli si è celebrato anche quello della teodem Dorina Bianchi: “Il segretario non mi ha risposto al telefono”, ha riferito lei, consolidando una immagine di immobilismo e passività. L’emorragia (che potrebbe vedere coinvolti anche dirigenti

Da Mauro a Feltri a Di Pietro una pioggia di critiche sul Pd: fughe verso l’Udc, problemi con le Regionali

come Enzo Carra e Renzo Lusetti) non è verso la formazione transfuga di Rutelli, ma nei confronti dell’Udc di Pier Ferdinando Casini. Ed è ancora una volta l’Udc a dettare l’agenda di Bersani (invece che il contrario). Nelle Marche sigla un accordo; in Piemonte mette in discussione Mercedes Bresso (respinta sul territorio, ma non a Roma); nel Lazio aspetta per decidere; in Calabria si tira fuori condannando Loiero a una corsa in salita; in Puglia fa la guerra a Nichi Vendola. Tutto legittimo: senonché, la trattativa con i centristi non avviene alla luce del sole, ma emerge solo carsicamente sui tavoli periferici. E in tutte queste beghe, Bersani appare sempre assente. A San Giovanni delega la Bindi; in Puglia delega a Massimo D’Alema (che finge di essere lì per caso) e invece tratta. Nel Lazio, dopo la bomba atomica delle dimissioni di Marraz-

zo, Bersani non è riuscito ancora a dire una parola sul trans-gate, né a designare un nuovo candidato. In nessuno di questi casi il segretario ha proposto soluzioni. Sul piano della visibilità la Bindi è molto più presente e riconoscibile dell’ex ministro dello Sviluppo economico. Lei che risponde alle accuse e alle ingiurie di Berlusconi (“Non sono una donna a sua disposizione”) e mette la faccia davanti alle proteste del popolo viola. Tutti pensavano che Bersani avrebbe chiuso la fase di eclettismo estremo della leadership Veltroniana e Franceschiniana. E invece ha aggiunto alla contradditorietà (che resta) una incredibile sensazione di staticità. “Stiamo crescendo nei sondaggi”, assicurano (e si rassicurano) i bersaniani. “Pier Luigi sta studiando”, ripetono i collaboratori. Ma intanto nella rappresentazione mediatica tutte le dinamiche dialettiche finiscono per essere rappresentate nel centrodestra. Ieri, alla Comunità di Capodarco di Roma (un tempo considerato un covo catto-comunista) a sfidare Casini e Beppe Pisanu sull’immigrazione, era stato chiamato Fini. Sui grandi processi di delocalizzazione (ad esempio la Fiat a Termini) la risposta alle posizioni più liberiste sono le prese di posizione di Claudio Scajola. Il segretario non costruisce dibattito, e quando parla (come domenica) interviene di sponda. Non suona peregrino l’interrogativo di un dirigente come Marco Minniti: “Qui c’è il rischio che se alle regionali perdiamo 5 regioni su 11, ci ritroviamo come dopo le politiche”. E cioè? “Con un’altra anatra azzoppata”.

IL COLORE SIMBOLO DEL NO B. DAY

A “L’INFEDELE”

LA D’ADDARIO: “INVITANO LE TRANS E IO SONO OSCURATA PER LE MIE VERITÀ” di Giuseppe Caruso

ono stata intervistata “S e inseguita dalle televisioni di tutto il mondo, eppure questa è solo la mia seconda apparizione in quella italiana”. Parole di Patrizia D’Addario, ieri ospite della tramissione L’Infedele, condotta da Gad Lerner, per presentare il libro Gradisca presidente, scritto assieme al direttore del Corriere del Mezzogiorno, Maddalena Tulanti, presente in studio. Un libro colpito anch’esso dalla fatwa riservata alla escort più famosa d’Italia e destinatario di diversi rifiuti da parte di librerie e grandi teatri che avrebbero dovuto ospitarne la presentazione. Presentazione che comunque si farà, il 15 dicembre all’hotel Empire Palace della Capitale. Il libro ha già esaurito la prima tiratura, di 30.000 copie, e tra pochi giorni arriverà sugli scaffali la seconda. Ieri la D’Addario ha voluto ricordare il paradosso della sua condizione: famosissima, ma poco richiesta dal video del Belpaese. E di quanto sia difficile, per lei, vivere la quotidianità a pochi mesi dalla bufera.

di Beatrice Borromeo

QUEL COLORE NON PORTA PIÙ IELLA l viola era “l’ultimo colore rimasto sulla piazza”, ammettono gli organizzatori del No B. Day, che non volevano confondersi con i verdi, i rossi, i neri e certamente non con gli azzurri. Ecco la genesi della scelta del viola, che il 5 dicembre imperversava nella Piazza romana e che ora contagia tutti: nascono pure gruppi su Facebook che segnalano ogni apparizione sul piccolo schermo del colore simbolo, come l’ultima, in ordine di tempo, di Milena Gabanelli, di viola vestita durante l’ultimo “Repor t”. Il viola riabilitato, dunque: alla manifestazione anti cavaliere di certo non ha portato

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sfiga, visto il successo dell’iniziativa con centinaia di migliaia di persone per le strade e nemmeno un piccolo incidente. Ma in piazza le interpretazioni sono tante: è il “risultato, quando i bambini giocano con le tempere, di tutti i colori mischiati”, quindi simboleggia l’unione, sostengono dei ragazzi. “Significa autodeterminazione”, dicono altri. Il Giornale di Feltri, causa mancanza di appigli per attaccare il No B. Day, individua nel maglione color “melanzana” indossato, il giorno dell’arresto, dal mafioso Gianni Nicchi la sintesi del legame tra Cosa Nostra e i manifestanti.

“Io do molto fastidio, su questo non c’è dubbio” ha spiegato “anche se più che una donna spietata e calcolatrice, mi sento una pedina di un gioco più grande di me. Un gioco che mi sta facendo pagare un prezzo alto, un isolamento e una solitudine molto dura da sopportare. Vivo tappata in casa, ho delle persone che devono filtrare le mie telefonate, per le continue minacce ricevute. Per non parlare della volta, subito dopo le mie dichiarazioni davanti al pubblico ministero, in cui hanno cercato di farmi uscire di strada con la macchina. O la volta in cui da casa mia hanno portato via tutto, compresa la biancheria intima. Ma per fortuna, io non ho paura”. Alla professoressa Lucetta Scaraffia, ospite in studio, che le faceva notare come la vicenda della notte passata in compagnia del premier le avesse portato notorietà e maggiori guadagni, la D’Addario ha risposto ricordando di “avere lavorato come artista dall’età di 12 anni e di aver rinunciato per amore del padre di mia figlia, con cui sono stata 10 anni, alle possibilità di entrare nel mondo della televisione. Non volevo pubblicità. E oggi ho grosse difficoltà economiche, perché non lavoro da giugno e al contrario di quanto si pensa non ho ricevuto proposte per fare serate in discoteche o cose del genere. Tutti mi evitano”. “Nessuno mi chiama in qualche trasmissione per parlare di quanto accaduto con il presidente del Consiglio o del mio libro – conclude la D’Addario –, eppure in questi giorni, ogni volta che accendo la televisione, vedo una sfilata di trans che parlano del caso Marrazzo. Non è vero che non mi invitano perché sono una escort, ma perché ho toccato Silvio Berlusconi”.


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Martedì 8 dicembre 2009

Il Financial Times: così il premier non può più governare

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erlusconi è “sotto l’assedio” delle corti giudiziarie, “non può governare”. È intitolato così l’articolo che ieri il Financial Times dedica al presidente del Consiglio, sostenendo che “le difficili decisioni necessarie per la riforma dell’economia e delle istituzioni italiane non potranno essere prese finché resterà primo ministro”. Gli italiani

NO BERLUSCONI DAY “continuano ad eleggerlo”, “ma le cose potrebbero ora diventare serie per il Cavaliere”. Il Financial Times ricorda quindi le ultime vicende giudiziarie che hanno coinvolto Berlusconi e Marcello Dell’Utri, ma anche il caso Mills e la decisione della Corte costituzionale di bocciare il lodo Alfano, i problemi legati al suo divorzio, con un accordo “punitivo”, fino al No B. Day di sabato scorso a

Roma. Il quotidiano definisce infatti “giusta” la sua denuncia di non poter governare perché costretto a “combattere” contro i casi giudiziari che lo riguardano. Ma aggiunge: lui, può anche liquidare la cosa parlando di “caccia alle streghe” voluta dalle “toghe rosse”, ma la realtà è che il suo governo “ha iniziato a spendere più tempo a occuparsi dei suoi problemi che di quelli del paese”.

“NON PERDIAMOCI DI VISTA”

Centinaia i messaggi sulla bacheca di Antefatto e di Facebook postati dai partecipanti alla manifestazione uelli che c’erano e che continuano ad esserci. Il No B. Day è ancora qui: nella Rete, sui blog, su Facebook. “E adesso non perdiamoci di vista” chiede il popolo viola. Il sabato di Roma è ancora fluido – “non ci faremo ingabbiare in un partito” – inevitabilmente contraddittorio per certi versi. Che fare adesso? E il Pd che c’era-non c’era? Stu-

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nostro sito: Giovanni Ronzani: eravamo tanti, tantissimi, di ogni estrazione sociale, di ogni età, dai neonati in carrozzina agli ottuagenari, dal pensionato al professore universitario, studenti e lavoratori, padri di famiglia, neodisoccupati, handicappati con ausili per locomozione, diversi orientamenti politici di destra e sinistra, si sentivano

gente matura, penso sia fisiologica un po’ di confusione dopo la manifestazione, ad ogni modo faccio appello agli organizzatori: è vero, questo movimento di Consolato Rete è di tuta Londra ti, però siete Ore 13 davanti al stati degli otConsolato timi arbitri, italiano, a Eaton continuate Place: qui si sono così. ritrovati in Fabio centinaia per manifestare il loro Chiusi: È denti, precari, ma anche parlare tutti i No B. Day. I presenti erano la stato senza adulti, gente che per la pri- dialetti, tutti maggior parte italiani, più dubbio un qualche presenza solidale ma volta s’è ritrovata in una accomunati evento storipiazza. Di protesta. “Ci ab- dall’unica idea dall’Inghilterra. co, e sono biamo messo 15 anni di ber- di salvare quel particolarlusconismo per riuscire a poco di demomente felice reagire”, oppure “non fer- crazia che c’è rimasta. E’ sta- per il grado di civiltà dimomiamoci, non fermiamo ta una giornata bellissima, strato dai manifestanti, che l’onda”. Sul blog antefatto.it radiosa (...) sono riusciti a utilizzare tanti i commenti postati ai Francesca Sofia Allegra: l’ironia invece dell’odio e nostri reportage da piazza S. vivo nel ricordo di ieri e spe- dell’insulto. Giovanni. E all’editoriale del ro vivamente nel domani Giuliano Bastianello: Sono direttore Padellaro: “L’onda Chiara Paniccia: sembrava arrivato ora a casa (Padova) viola ha lanciato il suo basta. di essere in un sogno e mi È stata una grande giornata, Chi saprà raccoglierlo prima sono ricordata quanto fosse segnata da una sincera mache diventi energia spreca- bello sognare. Spero conti- nifestazione di pacifico inta, delusa, negativa?”. Ecco- nueremo a sognare: siamo cazzo epocale e che obbline alcuni presi dalla pagina bellissimi! Grazie a tutti gherà molti a riflettere. SoNo B. Day di Facebook e dal Luca Gigantiella: Siamo prattutto nel Pd. francesco m: Oggi essere italiano è stato M-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-o. Avesse ALTE VELOCITÀ ragione pure la questura per ogni persona scesa in piazza ce n’erano 10 che avrebbero voluto essere li. Eppoi, se posso dirla tutta, le persone secondo me non si “contano”; si “pesano”!!! ai col dibattito. Matteoli, ministro inChristian Brioschi: Io ci sofrastrutturale: sono favorevole alla no stato, in piazza, e confesproposta della Lega per innalzare il limite di so d’essere tra quelli che stavelocità a 150 km orari nei tratti autostradali a volta avrebbero preferito vedere meno bandiere di partre corsie e dove c’è il tutor. Scattano i verdi: tito e più viola. “Idea sbagliatissima - fa Bonelli - perché conPerché c’è un impellente bitribuirà a fare aumentare i consumi e quindi le sogno di rompere con il pasemissioni di CO2 e inquinanti”. Alt dal Pd: “Matsato e liberarsi, in talune octeoli dà un messaggio negativo - dice la depucasioni, dei simboli può estata Silvia Velo - in un paese in cui non c’è culsere importante per dare tura della sicurezza stradale”. Sorpassati l’idea di “un nuovo corso”. quelli dell’autoclub nucleare: “Noi lo volePino: L’unica nota stonata vamo portare alla velocità del suono”. Freerano le bandiere dei partiti nano i supporter della decrescita motorie le presenze inopportune dei politici i quali non hanno stica esistenziale: “Riflettete sui vostri limiancora compreso che non ti prima di imporli agli altri”. P. S. Lo scorso hanno piu alcuna credibilianno sulle nostre autostrade ci sono state tà. 452 vittime. Invece di alzare limiti, perchè Lorenzo Guglielmino: Da non cominciare ad abbassarne qualcuno? Milano col pullman per andare a dire in piazza “Berlu-

Matteoli no limits: a 150 in autostrada

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ri e dei pensionati, i sindacati, i meet up di Beppe Grillo... TUTTI! Nanni64: Al Pd chiedo: con chi volete fare accordi elettorali, con l’Udc o con il vostro potenziale elettorato? Kthrcds:Uno dei motivi per cui ci troviamo nella situazione in cui ci troviamo è che molti di quelli che si In piazza definiscono a Berlino di destra Appuntamento non hanno davanti la più pallialla Porta da idea di di Brandeburgo. che cosa è Colore viola stata la depredominante, striscioni stra in Italia, sconi dimettiti e un palco improvvisato sia durante !!!”. Sui numeri per ringraziare il fascismo starei cauto a tutti coloro hanno sia nel dopodire che non partecipato all’iniziativa. guerra. Un erano cosi tanaltro motivo ti, se normalè che a demente ci stanno 200.000 stra sono in molti a volersi persone come erano pressa- disfare di B, perché a partire te ieri non faccio fatica a dalla vicenda di Noemi è dicontarne più del doppio, venuto sempre più impresenza contare che il corteo sentabile, ma non sanno con stava ancora facendo il suo chi sostituirlo. ingresso in piazza. Quando Vincenzo: Un pomeriggio ho cercato di raggiungere il da ricordare, veramente una palco o quantomeno vedere “botta di vita”, lasciamo stail megaschermo, l’unico mo- re i numeri... la soddisfaziodo per arrivarvi è stato gra- ne più grande è stato vedere zie al fatto che alcune per- la moltitudine di persone di sone hanno lasciato il posto tutte le età partecipare a a quelli che arrivavano. Comunque una giornata splendida e un mare di persone diverse che erano lì per riappropriarsi del Nostro paese. Marco: Forza ragazzi! Non dobbiamo far arrivare la nostra voce ai politici, non deve essere questo l’obiettivo! quest’onda viola. Per un La nostra voce deve diffon- giorno l’Italia è tornato un dersi e cercare consensi tra paese normale, peccato che noi stessi, tra i nostri coeta- è già finito... viola per semnei, tra i nostri genitori, zii, pre... cugini, nonni, amici e così Fiorella: L’onda viola via. dell’Italia pulita non si deve Vizzari Annunziato: Pro- fermare al 5 dicembre 2009, pongo una nuova manifesta- ma deve rimanere e divenzione dal possibile titolo “Il tare sempre più VISIBILE. giorno della Verità” in una Come? Appendiamo alle nopiazza molto più grande, Cir- stre finestre le bandiere VIOco Massimo o uno stadio, e LA che ieri abbiamo portato far parlare Travaglio con un in piazza, io l’ho già fatto! maxi-schermo su cui proiet- Buon No-Berlusconi Days a tare video che dimostrino le tutti quelli che scelgono di falsità profilateci ogni gior- essere CITTADINI e non no dalle tv! Chi ci sta? Invi- SUDDITI. tiamo tutti i partiti, tutti, an- Psikosara: È stata una delle che i ragazzi di azione gio- giornate più belle della mia vani che non solidarizzaro- vita, ho conosciuto delle no con Dell’Utri il giorno do- persone meravigliose e la po la sua condanna in primo manifestazione è stata fongrado, tutti i movimenti, le damentalmente pulita, senassociazioni dei consumato- za problemi vari di ordine

pubblico, anche se a mio parere c’erano troppe bandiere. Lara: A mister B. sarà venuto un coccolone, non immaginava una parteciazione al di sopra di ogni aspettativa, fatta, soprattutto da tanti giovani. Idea geniale quella del dott. Travaglio di organizzare il NO Pd Day, se lo meriterebbe per gli atteggiamenti ondivaghi nei confronti della maggioranza. Argenio Claudio Per favore non perdiamoci di vista forza ragazzi Francesco: Bellissimo, ma ora? Come faccio a votare e far votare il Pd dopo che Bersani è diventato segretario? Io non posso sostenere una persona che, dicendo di voler liberalizzare il mercato ha fatto una legge a favore delle banche, della grande distribuzione e dei grandi studi professionali, mettendolo in quel posto a tutti quelli che, sul mercato, sgobbano sbarcando il lunario. La verità è che manca un’alternativa e non si vede da dove possa venire. Comunque, è stata una cosa bellissima. Fabio: Vorrei ringraziare l’amico sconosciuto che durante il Tg3 delle 14.30 di ieri ha mostrato la prima pagina del Fatto Quotidiano, il Nostro giornale, sventolandolo come una bandiera di libertà. Un piccolo

In centinaia a Barcellona Hanno affollato le vie del centro della capitale catalana: cori, striscioni e discorsi con il megafono da parte degli organizzatori. Su youtube una lunga serie di video che testimoniano la partecipazione.

gesto che mi ha dato molta speranza. Grazie ancora. Maurizio: Bella manifestazione, ragazzi giovani, molti per la prima volta a manifestare non solo per una problematica specifica e ce ne sono tante, ma soprattutto, per rivendicare i fondamentali della politica: ONESTÀ, CORRETTEZZA e SERIETÀ. Ricordiamo che si pagavano circa 20 euro per il bus e c’era pure il ponte che magari invitava a una gita in montagna. BRAVI. Poco serio il commento del ministro La Russa... una manifestazione a favore della mafia.


Martedì 8 dicembre 2009

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Nel 2008 oltre mille immobili destinati ad attività sociali

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CRIMINI

econdo l’Agenzia del Demanio, responsabile della gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, al 30 giugno di quest’anno gli immobili requisiti sono 8.933, di cui 5.407 già destinati per finalità sociali o istituzionali. L’85% dei beni confiscati si trova nelle quattro regioni meridionali, con una netta prevalenza

della Sicilia (47%), mentre Campania e Calabria si attestano rispettivamente intorno al 15% e la Puglia all’8%. Il restante 15% è concentrato prevalentemente in Lombardia e nel Lazio. Complessivamente, nel 208 sono stati destinati a finalità sociali 1.047 beni, con un incremento del 35% rispetto al 2007, anche grazie alla firme di tre protocolli di

intesa. Il primo con 36 comuni della provincia di Reggio Calabria, per la destinazione di 221 beni confiscati. Il secondo con il comune di Milano, a cui per finalità sociali sono stati affidati 64 immobili, infine con il Ministero dell’Istruzione e dell’Università per trasformare 200 immobili in scuole e istituti di formazione.

TOGLIERE CON UNA MANO PER RESTITUIRE CON L’ALTRA Perché il governo vuole vendere i beni di Cosa Nostra di Sandra Amurri

on il maxiemendamento del Governo sulla legge Finanziaria arriva Babbo Natale anche per la mafia. Un dono preziosissimo per le organizzazioni criminali segrete che, come si sa, più del carcere (che mettono in conto), temono di perdere i “piccioli”. Il pacco dono si chiama: vendita dei beni confiscati, all’asta e a trattativa privata per quelli di valore fino a 400 milioni, cioè la maggior parte. Una legge che non garantisce nulla, tantomeno la trasparenza dell’azione dello Stato nella lotta alla mafia lasciando aperta la porta a qualsiasi abuso, e che di chiaro ha solo la finalità: vendere. Per il resto è buio fitto. Il testo non dice che decorsi i termini i beni possono essere destinati alla vendita, bensì che

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sono destinati alla vendita senza specificare come esempio quelli il cui recupero civico ha un alto valore simbolico. Significato chiaro anche per un bambino: i beni tolti dallo Stato ai mafiosi saranno riacquistati dai mafiosi. E se è chiaro a un bambino è da escludere che non lo sia per il Governo. Dunque, non resta che prendere atto della volontà di questo Governo di fare un regalo alla mafia con la discutibile, e tra l’altro non veritiera motivazione: vendiamo per fare cassa come se l’emergenza potesse prescindere dal valore della trasparenza e dal rispetto delle regole. E neppure fare cassa sarà facile considerate le molteplici criticità. La maggior parte dei beni confiscati, infatti, sono bloccati dalle ipoteche poste dalle banche che hanno elargito i mutui. Un esempio per tutti la

tenuta del boss Michele Greco, detto il Papa. Affinchè lo Stato ne possa disporre, come stabilito dalla giurisprudenza in assenza di una legge, deve dimostrare in sede penale con i tempi e le difficoltà che questo comporta che la banca, nell’elargire il mutuo, non abbia rispettato una serie di indicatori sufficienti a stabilire che la proprietà di quel bene, intestato magari ad un parente o a un prestanome, non fosse mafiosa. Ultimamente la Cassazione non ha riconosciuto la buona fede del Banco di Sicilia di Palermo, ad esempio, su alcuni immobili confiscati ipotecati e il bene è rimasto allo Stato in quanto l’ipoteca non è risultata opponibile, ma non sempre accade. Mentre spesso si verifica che la Banca abbia venduto i crediti ipotecari a società di factoring e in questo caso tutto si complica. I beni vendibili, l’85% dei quali si trova nelle quattro regioni meridionali con una netta prevalenza della Sicilia (47%), potranno essere acquistati da società quotate in borsa che commercializzano immobili o anche da società a partecipazione pubblica che in seconda battuta li metterà in vendita, senza alcun controllo su chi li riacquisterà.

É cosa così difficile da prevedere che ad acquistarli sarà la mafia? Dunque, il bene tornerà al mafioso a cui è stato confiscato e lo Stato dovrà tornare a riprenderselo con uno spreco di risorse pubbliche nemmeno lontanamente paragonabili al guadagno che potrebbe ricavarne con la vendita. Ma l’inganno è consumato. A ciò, che poco non è, si aggiunge un’altra notizia non ancora ufficiale ma certa e preoccupante: il Governo, alla scadenza del 20 dicembre prossimo non rinnoverà l’incarico di commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati all’ex magistrato della Dda di Lecce ed ex consulente della Commissione Antimafia, Antonio Maruccia, no-

minato dal Governo Prodi nel 2007, nonostante (o forse proprio perchè) abbia fatto un ottimo lavoro anche nel privilegiare l’affidamento dei beni tolti alla mafia alle cooperative e alle associazioni antimafia come Libera per intendersi. E per finire con la nuova legge viene prevista, anche in questo caso in maniera confusa e senza precisare da cosa verrà sostituita, la scomparsa dell’Agenzia del Demanio. Di certo quello che verrà, nonostante il duro colpo inferto con l’arresto dei due importanti latitanti, sarà davvero un bel Natale per Cosa Nostra che potrà brindare con lo champagne anche in carcere, all’idea di riprendersi quei beni che il sudore e la fatica di molti le avevano sottratto.

La parola “fine” alle battaglie di Pio La Torre e di Libera LA COMMISSIONE DELLA CAMERA RESPINGE GLI EMENDAMENTI CHE SI OPPONGONO ALLA MESSA ALL’ASTA di Nando

Dalla Chiesa

unque il dono di Natale resterà Dbilancio sotto l’albero. La commissione della Camera ha respinto tutti gli emendamenti volti a neutralizzare lo sconcio del Senato: la scelta di mettere all’asta (e in certi casi di vendere perfino a trattativa privata) i beni confiscati alla mafia. La quale ringrazia e si agghinda per giungere alle aste con gli abiti della festa: “piccioli”, tanti piccioli in una mano, e minacce agli improvvidi concorrenti nell’altra. Signori si scende. Si chiude un’epoca, da Pio La Torre al milione di firme raccolte da Libera per un uso sociale dei beni confiscati. Il quadro non si presta a equivoci. É la prima legge in materia di mafia che il governo sforna dopo gli avvertimenti che vengono dalle file di Cosa Nostra. É la dimostrazione che non bisogna farsi intrappolare per tutti i mesi venturi dalle dichiarazioni di Spatuzza e far dipendere da quelle il giudizio sul governo. Il giudizio politico si dà prima di tutto sugli atti politici visibili. Che non sono gli

arresti dei latitanti, da anni meritoriamente realizzati da magistratura e forze dell’ordine, indipendentemente dai governi. Ma sono le leggi. I comportamenti delle burocrazie e le circolari. Le dichiarazioni dei ministri e del presidente del consiglio. E quindi non bisogna mai smettere di ricordare le tre irrinunciabili questioni su cui, sin dalle stragi, Cosa Nostra ha chiesto impegni precisi ai suoi interlocutori (e di cui abbiamo saputo ben prima che Gaspare Spatuzza spuntasse all’orizzonte): confische dei beni, uso dei “pentiti” e carcere duro. Sulle confische dei beni, il più è fatto. Basteranno tre mesi senza destinazione e via con l’asta. Fare scorrere quei tre mesi e poi piazzare sul mercato terre, immobili e imprese per la gioia del primo prestanome, sarà un gioco da ragazzi. Quanto ai pentiti, sta già dichiarando e chiedendo di cambiare la legge Umberto Bossi (è il vecchio consiglio di Vito Ciancimino: certe cose è meglio farle dire da altri). Sul carcere duro è in corso invece un’ambigua finzione:

stabilizzato dalla legge ma svuotato dall’interno con ogni astuzia, stupidità o perfidia amministrativa. Su tutte e tre le “sue” questioni, insomma, Cosa Nostra va all’incasso. Pretende di “far cassa” con le aste anche lo Stato, a beneficio – si dice – di giustizia e sicurezza. Ma è davvero questo lo scopo? Se lo fosse, tornerebbe sfrontatamente l’argomento dei “costi” economici della lotta alla mafia. Quanto costano le indagini, quanto le intercettazioni; quanto costa proteggere i collaboratori, quanto tenersi i beni. Un paese che ragiona così è un paese che si merita la mafia e forse in cuor suo la desidera. Ma il fatto è che lo stesso argomento del far cassa appare debole, debolissimo. I beni confiscati servono già ora a farci caserme (quanto costano allo Stato i terreni e gli immobili per le nuove?) a farci scuole o pensionati studenteschi (idem), a promuovere iniziative economiche dove non c’è lavoro legale (quanto costa il “trattamento” della devianza sociale? E quanto la disoccupazione?). Alla fine si scoprirà che l’operazione è in

perdita, che il far “cassa” per la giustizia è un gioco di prestigio utile a occultare l’altro, più pericoloso gioco che si sta conducendo con un occhio a Torino e l’altro a Palermo. Quanto alle forze dell’ordine e ai magistrati, prendano pure i latitanti. Tanto non ci vorrà molto a tagliar loro le unghie investigative – dalle intercettazioni ai pentiti, dalla tracciabilità dei movimenti di capitali fino alla benzina – e, naturalmente, a render loro impossibile fare i processi. No, non diventeremo Spatuzza-dipendenti. Non dipenderemo dalle parole di un pluriomicida che ci giungono dai doppifondi della storia. Dipenderemo anzitutto, come è giusto, dagli atti dei galantuomini che governano il paese. Quelli ufficiali. Se poi Spatuzza ha messo l’autobomba per far saltare Borsellino e loro diciassette anni dopo fanno saltare le leggi che Borsellino, Falcone e altri hanno chiesto fino a morirne, questa non è colpa nostra. Noi arbitrariamente, e semplicemente, la chiamiamo trattativa.

IL FATTO POLITICO dc

La fiducia mascherata di Stefano Feltri

ulla carta l’appello di Srispettato. Gianfranco Fini è stato Il 25 novembre il presidente della Camera aveva chiesto alla maggioranza di cui fa parte di evitare il solito rito del maxiemendamento finale: Finanziaria modificata con un unico emendamento (e centinaia di commi) su cui viene posto un voto di fiducia. Che chiude ogni discussione e impedisce ogni dissenso dentro la maggioranza. Il governo si è attenuto alla forma: il voto di fiducia forse non ci sarà, ma soltanto perché la Finanziaria è stata blindata già in commissione Bilancio. Quando Fini ha detto che avrebbe avuto difficoltà “ad accettare un voto di fiducia su un testo diverso da quello uscito dalla commissione” non intendeva suggerire la linea che la maggioranza ha poi seguito. Per la prima volta tutta la riformulazione della manovra è stata appaltata al relatore (del Pdl) Massimo Corsaro. Le vere decisioni sono state prese in sedi diverse dalla commissione, come il comitato di politica economica del Pdl. l dettato di Fini è stato Ifiducia quindi rispettato: la ci sarà sul testo uscito dalla commissione – senza ulteriori modifiche – come richiesto Ma soltanto perché il maxiemendamento è stato già blindato in anticipo. L’opposizione ha abbandonato la commissione Bilancio lasciando la maggioranza da sola a votare il maxiemendamento perché il risultato, al di là del rispetto formale delle procedure, è stato proprio quello che Fini voleva evitare: il governo decide in autonomia di portare a 9 miliardi l’entità della Finanziaria e come ripartire le risorse in arrivo con lo scudo fiscale senza che nessuno possa discutere le decisioni. eri pomeriggio Claudio ISviluppo, Scajola, ministro dello ha però confermato che a gennaio ci sarà un decreto legge, appendice non irrilevante della manovra economica. Per decreto il governo progherà gli incentivi per il settore degli elettrodomestici e – forse – per l’auto se si trova un’intesa con la Fiat a cui il governo chiede garanzie sulla tutela dei posti di lavoro, soprattutto nello stabilimento di Termini Imerese (Palermo). L’opposizione già dimostra la sua contrarietà perché su un decreto legge c’è un margine di discussione ancora inferiore a quello sulla Finanziaria blindata.


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MEMORIALI

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TABULATI, APPUNTI, LACRIME: ECCO L’ARCHIVIO DI TUTTI I MISTERI

Nel libro di Edoardo Montolli, il consulente delle procure, Giocchino Genchi, svela nuovi particolari, dalle stragi del ‘92 all’inchiesta Why Not

Gioacchino Genchi e la copertina del libro “Il caso Genchi”. A destra: la strage di via D’Amelio. Nella pagina a fianco: Marcello Dell’Utri (FOTO ANSA)

VIA D’AMELIO: LA PISTA SCOTTO

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IÒ CHE GLI ERA DA SUBITO sembrato strano era stato il perfetto disegno dell’attentato, preparato nei minimi dettagli, dall’intercettazione volutamente rudimentale della linea telefonica della sorella di Borsellino, all’esplosivo di tipo bellico utilizzato (...). E un’altra cosa, soprattutto, non capiva. Da dove potessero aver azionato il telecomando dell’autobomba i mafiosi, in un luogo chiuso come via D’Amelio. (...). C’era un solo punto da cui la visuale sul posto sarebbe stata perfetta: il Monte Pellegrino. In cima c’era un castello, il castello Utveggio. E dentro, un centro studi. (...). Nei pressi del castello c’erano apparecchiature della Sielte, la stessa ditta per cui lavorava Pietro Scotto, il telefonista che aveva individuato come possibile autore dell’intercettazione a casa Borsellino (...). E che da via D’Amelio fino a dove cominciava a salire il Monte Pellegrino faceva avanti e indietro spessissimo. Pietro Scotto, fratello del boss Gaetano, che sarà condannato per la strage di via D’Amelio. Poi (...) aveva scoperto come in questo centro studi, il Cerisdi, ufficialmente una scuola per manager, si celasse, al tempo della strage di via D’Amelio, una base coperta del Sisde, smobilitata pochi giorni prima che l’indagine arrivasse lì, a dicembre ’92 (...).

IL CASO GENCHI

SCANDALI MAI EMERSI L

e mille pagine de “Il caso Genchi. Storia di un uomo in balìa dello Stato”, firmate da Edoardo Montolli, con prefazione di Marco Travaglio, edite da Aliberti e in uscita domani, ricostruiscono un ventennio della storia recente. Le rivelazioni inedite, contenute nell’archivio di Gioacchino Genchi, consulente di molte procure italiane, vanno dalle stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio, alla trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato e, seguendo il filo rosso dei tabulati telefonici, si giunge all’inchiesta Why Not, avocata all’ex pm Luigi De Magistris, del quale Genchi, appunto, era consulente. Il suo archivio fu sequestrato dai Ros su mandato del procuratore aggiunto di Roma Achille Toro: è stato quindi disvelato per esigenze difensive. “Genchi è stato indagato per abuso d’ufficio e violazione della privacy” spiega Montolli. Dal libro, però, emergono lati oscuri proprio su chi ereditò l’inchiesta: dai dati di traffico analizzati, per esempio, emergevano alcune telefonate tra il pm Alfredo Garbati, che prese in mano Why Not, e alcuni tra i principali inquisiti, della stessa Why Not, come l’assessore diessino Nicola Adamo. Tanto che Edoardo Montolli, dopo averli visti, scrive: “L’uomo che coordina le indagini Why Not a Catanzaro è il (a.m.) più vicino di tutti agli indagati”.

LE RIVELAZIONI SU LA BARBERA “Dopo le accuse di Candura e la confessione di Scarantino”, racconta Genchi, “decisero di arrestare Pietro Scotto, l’uomo che avevo individuato come possibile telefonista per via D’Amelio. Mi parve una cosa assurda. Stava a due passi dal nostro ufficio, era intercettato, avrebbe potuto forse portarci ben più avanti. Perché faceva avanti e indietro da via D’Amelio a sotto il Monte Pellegrino, su cui avevo focalizzato l’analisi dei tabulati. Ci fu una discussione durissima, di fuoco. Continuavo a spiegargli che si doveva aspettare, che non potevamo agire. Glielo ripetevo alla nausea: non arrestarlo, non arrestarlo (...). Litigammo tutta la sera e per buona parte della notte. Ero infuriato: il mancato riscontro sul viaggio di Falcone, l’abbaglio su Maira, e ora l’arresto di Scotto per le confessioni di due personaggi improbabili come Candura e Scarantino che rischiavano di far naufragare l’inchiesta. (...). Fu allora che La Barbera scoppiò a piangere. Pianse per tre ore. Mi disse che lui sarebbe diventato questore e che per me era prevista una promozione per meriti straordinari. Non volevo e non potevo credere a quello che mi stava dicendo. Ma lo ripeté ancora. E ancora. E furono le ultime parole che decisi di ascoltare. Me ne andai sbattendo la porta. L’indomani mattina abbandonai per sempre il gruppo Falcone-Borsellino. E le indagini sulle stragi”.

ROMANO, IL MEDICO CHIAMATO DA SCOTTO I tabulati scivolano verso gli ultimi giorni di vita di Borsellino. Il 17 e il 18 luglio 1992. “Se davvero le linee del telefono di casa della sorella di Borsellino furono intercettate”, dice Genchi, “c’era da capire (...) se Borsellino avesse accennato al telefono che avrebbe spostato

l’appuntamento della visita della madre nello studio del cardiologo dal sabato alla domenica (...) del 19 luglio. Perché se qualcuno ascoltò, allora forse fu davvero così che si seppe dell’arrivo non previsto del giudice in via D’Amelio. (...). L’autobomba non poteva essere portata in via D’Amelio troppo tempo prima. Era stata rubata, c’era il rischio che fosse controllata. E Gaetano Scotto probabilmente necessitava di avvertire, o di essere avvertito da qualcuno, sull’arrivo esatto di Borsellino”. Ci sono due telefonate dal cellulare del magistrato a casa della sorella, dove stava la madre per andare dal dottore e in cui Borsellino poteva comunicare i suoi spostamenti. Le ultime due: il 17 luglio alle 15,37 e il 18 luglio alle 16,54. “Rilevo alcune telefonate, in orari successivi alle 16,54 del 18 luglio, il pomeriggio prima della strage, dai telefoni di Gaetano Scotto al telefono di casa di un medico. Nell’ipotesi che si era fatta che il telefono di casa della sorella di Borsellino fosse stato intercettato, l’accertamento della natura di queste chiamate, da parte dello stragista Gaetano Scotto, mi sembrava una cosa piuttosto importante. (...). Soprattutto in virtù di quanto aveva iniziato a dichiarare Gaspare Mutolo”. Già dal 17 luglio 1992, nell’interrogatorio che gli fece Borsellino nel palazzo della Dia, (...) Mutolo (...) aveva accusato una schiera di notabili (...). L’operazione si era diretta contro i capi della Cupola, i Graviano, Gaspare Spatuzza e un dottore in particolare, accusato addirittura di essere un boss di Brancaccio (...), Giuseppe Guttadauro (...), che sarebbe stato il punto di snodo dell’inchiesta su mafia e sanità (...). Ma non fu l’unico medico a essere trascinato a processo. (...) Un altro fu assolto, e non fu nemmeno proposto appello, perché non ci fu una prova di una condotta criminale. (...). “Il professor Maurizio Romano”, racconta Genchi, “fu a lui che il pomeriggio del 18 luglio 1992 Gaetano Scotto telefonò a casa, dopo che Borsellino aveva chiamato dalla sorella. E la natura di quella chiamata credo fosse assolutamente da accertare. (...)”.

DUE CHIAMATE MAI INDIVIDUATE “Quello che già rilevai allora”, racconta Genchi, “sono tre chiamate davvero importanti. E riguardano il primo luglio del 1992”. Il pomeriggio del primo luglio è quello dell’incontro tra Mutolo e Borsellino al palazzo della Dia di Roma. Della telefonata intorno alle tre, dopo la quale il magistrato gli avrebbe detto la famosa frase: “Sai Gaspare, devo smettere perché mi ha telefonato il ministro… manco una mezz’oretta e ritorno”. E poi, dice Mutolo, era tornato agitato e disse di aver visto, invece del ministro Nicola Mancino, insediatosi proprio quel giorno, Vincenzo Parisi e Bruno Contrada. Il ministro con cui aveva appuntamento, secondo la sua agenda grigia, alle 19,30. L’episodio di cui l’attuale vicepresidente del Csm ricorda poco o nulla. “Il traffico telefonico di quella giornata di Borsellino”, dice Genchi, “l’avevo analizzato per intero (...). Al pomeriggio, due telefonate ricevute da un cellulare del ministero dell’Interno, alle 14,37 e alle 14,38 della durata di 24 e 9 secondi. Poi, una telefonata da un altro cellulare, alle 19,08, cellulare intestato al ministero dell’Interno, direzione centrale della polizia criminale. Cellulari che mai lo avevano contattato prima. E dei quali, pur essendo intestati al ministero degli Interni, non sono mai riuscito a sapere chi fossero gli usuari. Ora, siccome Mutolo riferisce che Borsellino sostenne che gli aveva telefonato il ministro in persona, non è difficile, se si vuole, capire se fosse vero, trovando l’effettivo usuario. Perché è chiaro che se era stato davvero chiamato dal ministro, poi è difficile immaginare che il mi-

nistro non se lo ricordi. (...) Così come utile sarebbe individuare l’usuario del cellulare che chiamò il giudice alle 19,08, dato che alle 19,30 sull’agenda, c’era scritto dell’incontro con Mancino. A questi devono aggiungersi le eventuali chiamate eseguite da utenze fisse e dai centralini, come quello del ministero dell’Interno, che, all’epoca non venivano registrate nei tabulati dei cellulari Etacs. Dubito che il ministro Mancino (...) potesse aver chiamato Borsellino con il proprio cellulare. Le chiamate provenienti dai cellulari, semmai, possono ricondurre all’identificazione dei funzionari di polizia e delle personalità dello Stato e della magistratura, che hanno avuto in quei giorni contatti con Borsellino. Questo, con le agende che sono state recuperate, può essere di grande aiuto alle indagini”.

I TABULATI DI CIANCIMINO Le telefonate di Massimo Ciancimino: Genchi se n’è occupato recuperandone i tabulati fin dal 1991. Isolando (...) tre telefonate a numeri riservati dei ministeri della Giustizia e dell’Interno, del 9 luglio 1991 e del 3 settembre, quando era cominciato il processo a carico del padre (...). Un’altra telefonata, sempre a un numero riservato del ministero dell’Interno, il 19 gennaio 1992, due giorni dopo la condanna in primo grado di don Vito (...). Come dire che i suoi contatti, lui o suo padre, li aveva ancora. (...) Ed erano contatti, quelli di Massimo Ciancimino, che partivano dalle primavere del ’92 e del ’93 (...) con numerose utenze di interesse che, si dice convinto, (...) potrebbero ancora fornire riscontri alla famigerata trattativa tra Stato e mafia di cui il figlio dell’ex sindaco di Palermo sta parlando ai magistrati (...) C’è un sacco di gente cui chiedere spiegazioni. Specie dopo che Agnese Borsellino è tornata a parlare (...) raccontando ciò che a Genchi aveva detto troppi anni fa: che qualche giorno prima della strage, suo marito le aveva raccomandato di non alzare la serranda della camera da letto, perché avrebbero potuto spiarli dal castello Utveggio. (...). “Ho delle rivelazioni cruciali da fare su via D’Amelio”, dice Genchi, “Se questa volta a Caltanissetta mi permetteranno di farle, ne sarò felice”.

DALLE STRAGI A WHY NOT Genchi racconta di aver ritrovato, nell’inchiesta Why Not, gli stessi personaggi sui quali aveva centrato le sue indagini, per la strage di via D’Amelio, intorno al Cerisdi del castello Utveggio, quello dove compariva Gaetano Scotto. “Tutto mi sarei immaginato”, racconta Genchi, “tranne che, dopo aver ritrovato in quest’inchiesta (Why Not, ndr) le telefonate del professor Sandro Musco (professore che aveva un circolo all’interno del Cerisdi, mai indagato, ndr) e senza sapere che (il Ros, dopo il sequestro dell’archivio, ndr) mi avrebbe pure contestato la richiesta dei tabulati dell’avvocato di Bruno Contrada, Pietro Milio, avrei ritrovato anche il terzo soggetto su cui, assieme appunto a Contrada e Musco, si erano concentrate le mie indagini, mai concluse, per le ragioni che ora sa, sulla strage di via D’Amelio: si tratta di Vincenzo Paradiso (la sua persona compare nelle intercettazioni di Saladino, leader CdO Calabria, principale indagato di Why Not, ndr). L’uomo, in futuro leader della Compagnia delle Opere in Sicilia, che stava al Cerisdi, le cui utenze risultarono in contatto con il boss stragista Gaetano


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bati risulta addirittura in contatto, si deve presentare alle elezioni e non può portarsi dietro una ‘macchia’. Bisogna muoversi a dargli una risposta: in un’Italia dove la gente crepa in prigione mentre i magistrati di sorveglianza sono in vacanza, c’è anche qualcuno che si preoccupa prima di ogni altra cosa di non far cosa sgradita ai suoi indagati. Si vede che la giustizia, finalmente, sta cambiando”.

AFFARI, POLITICA GIUSTIZIA

Scotto, nel 1992. Ed è qui che l’indagine (Why Not, ndr) è stata bloccata senza che sapessi dove portava. (...) O quasi. Perché quando la revoca è giunta, in realtà, come il Ros di Roma sa bene, io avevo già scritto una parte della relazione”.

OMBRE SULLE TOGHE DI WHY NOT Questa è la e-mail scritta da Genchi al pm di Salerno, Gabriella Nuzzi, subito dopo la perquisizione, disposta dalla Procura di Salerno, ai colleghi di Catanzaro, che avevano ereditato l’inchiesta Why Not avocata a De Magistris. Di lì a poco, anche la Nuzzi sarebbe stata punita dal Csm, proprio per quella perquisizione, insieme con il suo capo Luigi Apicella e il pm Dionigio Verasani quando ancora era titolare dell’inchiesta sul “caso de Magistris”.

Genchi scrive di quanto ha scoperto sul nuovo titolare di Why Not, il sostituto procuratore Alfredo Garbati. “Come dicevo (...) mi sono accorto dell’esistenza e del riferimento, nei dati da me già elaborati, del cellulare del dr. Alfredo Garbati quando ho letto alcuni stralci del decreto di sequestro del Suo Ufficio. Mai avrei rilevato quello che mi accingo a riferirle, se non fossi stato direttamente chiamato in causa, proprio in relazione all’operato posto in essere contro di me e contro il dr. Luigi de Magistris. Ritengo doveroso portare a conoscenza del Suo Ufficio la significatività dei contatti telefonici del cellulare del dr. Alfredo Garbati con il cellulare di Nicola Adamo (tra i principali indagati in Why Not, ndr) dei giorni (...) contestuali e prossimi alla spedizione dell’avviso di garanzia e alle perquisizioni del febbraio-marzo 2007 ad Antonio Saladino e alle audizioni di Caterina Merante. (...)”. “E allora”, scrive Montolli, “l’uomo che coordina le indagini Why Not a Catanzaro è il più vicino di tutti agli indagati. Nell’inchiesta ‘eversiva’. Perché quel-

li di Genchi sono numeri. E non importa se gli indagati abbiano commesso o meno reato. Importa che quei contatti telefonici tra pm e il suo stesso indagato non possono esistere. Ma c’è ancora di più. Il dottor Garbati era risultato in strettissimi rapporti con l’onorevole Marco Minniti, nell’ordine di diverse centinaia di telefonate. Un dato fondamentale, se si considera l’arrivo delle scottanti intercettazioni su Marilina Intrieri, giunte da Crotone per essere inglobate in Why Not e in cui molto si parlava di Minniti. Ma tutto questo ancora non basta. Perché il 17 febbraio del 2009 si presenta da Gioacchino Genchi un giornalista calabrese, collaboratore de L’Espresso, Paolo Orofino. Gli porta un cartaceo, un doppio cartaceo (...). Si tratta della prima relazione di Alfredo Garbati a Jannelli su cosa farà di Why Not. Documento straordinario. Per prima cosa, spiega Garbati che su Mastella sono già tutti d’accordo e che bisogna muoversi a stabilire cosa fare anche con Pittelli, perché Pittelli, con cui Gar-

Achille Toro è il procuratore aggiunto di Roma che ha sequestrato l’archivio Genchi. Scrive Montolli: “I contatti sospetti di Toro (...) all’interno dell’archivio non sono solo con Giancarlo Elia Valori, imputato nello stesso ufficio che lui codirige; Elia Valori socio di Caltagirone, nel consorzio Blu, e coimputato nel relativo processo, istruito dallo stesso ufficio che lui codirige; Elia Valori legato allo stesso Caltagirone e a Ricucci, nelle stesse scalate su cui lui indagava (...); Elia Valori legato al banchiere Geronzi, su cui Achille Toro stesso indagava; (...) No. I contatti sospetti di Achille Toro sono pure altri. (...) Toro potrà avere l’ardire di raccontare che quando ha preso l’archivio Genchi non ricordava le sue telefonate con Elia Valori, indicato da De Magistris come presunto capo della massoneria contemporanea e di cui avevano parlato alcuni giornali italiani (...). Magari (...) Toro non ha ricevuto le intercettazioni di Ricucci, che lui stesso indagava, con Elia Valori (...), può dire di non avere riconosciuto il numero di Elia Valori, che lui componeva spessissimo, nello stesso periodo in cui Ricucci lo chiamava. (...) Potrà dire di non averlo manco aperto, l’archivio, e di non sapere che c’era una cartelletta a suo nome (...). Potrà dire che un conto è che suo figlio Stefano abbia avuto un incarico dal ministro Mastella, nello stesso momento in cui Mastella stava per essere indagato nell’inchiesta fatta da Genchi, un conto è che lui stesso fosse capo di gabinetto nel ministero dei Trasporti di quel governo, e un conto è che lui possa sequestrare tutto a Genchi”. (...) “Ciò che Achille Toro non potrà mai dire è che ignorava che nell’archivio Genchi ci fosse un altro numero ancora. (...) Il numero di una persona che il telefono di Achille Toro, di sua moglie e di suo figlio Stefano, componevano spessissimo, addirittura dal lontano 2003: il numero dell’onorevole avvocato senatore Giancarlo Pittelli (...). Le cose cominciano a essere più chiare. Giancarlo Elia Valori, su cui si stava incentrando l’inchiesta di De Magistris, (...) è legato a doppio filo all’avvocato Giancarlo Pittelli, parlamentare di Forza Italia, tra i principali inquisiti dal magistrato. Entrambi sono amici (...) del procuratore aggiunto di Roma Achille Toro (...)”.

Comizio di Dell’Utri in tv senatore Ora tocca ai Graviano Il da Vespa di Andrea Cottone e Paola Zanca

L

A PUNTATA DELLE “DOMANDE ATTESE”: a Porta a Porta Bruno Vespa, Marcello Dell’Utri e Fabrizio Cicchitto da una parte, Andrea Orlando e Piero Sansonetti dall’altra, si chiedono se “un Paese può stare appeso ad un killer pentito”. Si parla delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Il protagonista è Marcello Dell’Utri, ma lui è lì solo per dire che “per la prima volta mi chiedo come mi posso difendere se dopo 15 anni un assassino viene ascoltato con questa morbosa attenzione? Sono venuto qui per farmi vedere, per dare una risposta alla mia famiglia, agli amici, a chi mi ferma per darmi solidarietà. Se le cose che dice Spatuzza fossero minimamente attendibili, dovrei nascondermi, buttarmi con una corda al collo”. Vespa si domanda più volte se “possiamo fidarci di uno che ha ucciso 40 persone e fatto 6 o 7 stragi?”. Dice che tutto lo decideranno i giudici, ma Vespa ammette di essere “affascinato dall’idea di una persona che si sveglia 16 anni dopo e racconta queste cose”. Per questo ricostruisce date, lascia “domande appese” e fa “interventi da cronista”. Evidentemente non basta. Quando proiettano il video che ricostruisce il processo a Dell’Utri, il senatore condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa lo definisce “alla Santoro”: “Ci sono cose che ho già smontato, spero in secondo grado di trovare un giudice disposto ad accertare la verità”. La puntata si chiude con un video che ripercorre la “valanga” contro Berlusconi, da Noemi a Spatuzza. Ma adesso, invece, tutti attendono al varco i fratelli di Brancaccio: Giuseppe e Filippo Graviano. “Madre natura” (perché da lui tutto iniziò e a lui tutto finisce), braccio spietato della Cosa Nostra di Totò Riina uno, e mente economico-finanziaria l’altro, fanno la gavetta in Cosa Nostra componendo il micidiale gruppo di fuoco dei “corleonesi”. Ma con Gaspare Spatuzza, il loro braccio destro che ha deciso di saltare il fosso e parlare con i magistrati, sono addirittura indulgenti. “Lo Spatuzza lo rispetto” ha detto Giuseppe Graviano chiamato come “teste di riferimento” al processo d’appello per associazione mafiosa contro l’ex senatore della Dc, Gerlando Inzerillo. Era chiamato a confermare le dichiarazioni rese da

contesta le parole di Spatuzza Venerdì è il giorno dei fratelli stragisti

Spatuzza e ha raccontato che l’estate scorsa “è venuta la Procura di Firenze. Mi hanno detto solamente: ‘Siamo venuti a interrogarla per i colletti bianchi’. Gli ho detto: ‘Mi faccia leggere i verbali’ e aspetto ancora”. Un’attesa che terminerà venerdì prossimo, quando deporranno al processo d’Appello a Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma i Graviano non sono solo killer della mafia, i loro rapporti politici ed economici passano da Palermo a Milano e i loro interessi arrivavano fino in Francia, a Nizza. Il pentito Gaspare Spatuzza l’ha già sottolineato in uno degli interrogatori resi ai magistrati. “I Graviano sono ricchissimi e il loro patrimonio non è stato intaccato di un centesimo. Hanno investito al nord e in Sardegna e solo così mi spiego perché durante la latitanza sono stati a Milano e non a Brancaccio. È anomalo, anomalissimo”. Perché, secondo il pentito, non esiste posto migliore per passare la latitanza del quartiere di Brancaccio: una zona controllata a vista dalle sentinelle di Cosa Nostra dove nulla passa inosservato. Secondo le ricostruzioni di Spatuzza, i fratelli di Brancaccio avevano interessi nella Fininvest. “Filippo Graviano – ha raccontato il pentito – mi parlava come se fosse un suo investimento, come se per la Fininvest ci fossero soldi messi di tasca sua (…) ha nutrito sempre simpatia nei riguardi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, (...)è tutto patito dell’abilità manageriale di Berlusconi. Potrei riempire pagine e pagine di verbale per raccontare della simpatia e del... possiamo dire... dell’amore che lo lega a Berlusconi e Dell’Utri”. E i Graviano avrebbero avuto anche dei buoni uffici nella società di calcio del Milan. Alcuni riscontri alle dichiarazioni di Spatuzza si hanno nelle indagini sul tesoro dei Graviano. Dopo il loro arresto, infatti, gli affari della famiglia vengono gestiti dalla sorella Nunzia, condannata definitivamente per concorso esterno. Era suo compito, si legge nelle sentenze, “curare il portafoglio azionario distribuito fra diverse banche e intestato a diversi prestanome, contenente, tra l’altro, azioni Mediaset, Mondatori, Seat-Pa-

gine Gialle, Merloni, Eni, Fiat, Amga, Pirelli, Montedison”. Nunzia Graviano viene arrestata nel 1999 a Nizza, dove viveva con la madre e le due cognate. Secondo le indagini era proprio nella città francese che i Graviano volevano investire il denaro ricavato dalla vendita degli immobili intestati a prestanome. Poi la politica, a cui i fratelli di Brancaccio si dedicavano. Non solo “quei quattro crasi (cornuti, ndr) dei socialisti”, come ha ripetuto in aula Spatuzza, ma anche il nascente partito di Forza Italia. Da uno dei cellulari usati durante la latitanza veniva chiamato spesso Giovanni La Lia, presidente di un club forzista di Misilmeri, paese a pochi chilometri da Palermo. La Lia era presente nella prima riunione dei club siciliani di Forza Italia, il 5 febbraio 1994, al San Paolo Palace Hotel, nel territorio di Brancaccio. La struttura ricettiva a cinque stelle del costruttore Giovanni Ienna, presidente del primo club di Forza Italia sorto del capoluogo siciliano e ritenuto prestanome proprio di Giuseppe e Filippo Graviano. Colletti bianchi e mafiosi: è l’intreccio che fa tremare i palazzi romani. E a scoperchiare la pentola ci pensa proprio Giuseppe Graviano che, per la prima volta in assoluto, parla con i magistrati, il 28 luglio scorso. “Speriamo che esca la verità veramente – dice ai pm - ve ne accorgerete del danno che avete fatto. Se noi dobbiamo scoprire la verità, io posso dare una mano d’aiuto”. Graviano concluse quell’interrogatorio chiedendo ai magistrati le carte, i verbali di Spatuzza che “è solo un imbianchino, cosa volete che sappia”. I Graviano, invece, sanno. E tutti li attendono al varco.


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PIOVRE

Da Fininvest al Milan: “Cavaliere, risponda”

B. e Cosa Nostra: quando Bossi non era pentito 1998, le domande de La Padania Oggi il senatur attacca Spatuzza di Enrico Fierro

on credo che Berlusconi sia uno che vada in giro a mettere bombe”. È un Bossi rabbonito dall’età e dagli acciacchi, quello che ha parlato di mafia e politica, Spatuzza e Berlusconi, domenica sera a Milano. C’era il presepe da inaugurare a Palazzo Marino, ma soprattutto taccuini e telecamere da soddisfare sul tema del giorno: le rivelazioni torinesi del signor “Tignusu”, as-

“N

sassino e depositario di segreti-bomba sui rapporti tra il Cavaliere e i vertici di Cosa Nostra. “La verità è che la mafia si è arrabbiata perché noi abbiamo fatto leggi pesantissime”, spiega il senatur ai cronisti. E poi, questi pentiti parlano troppo. “Bisogna rivedere la legge”. Punto e tanta acqua passata sotto i ponti da quando Umberto Bossi agitava come una clava il sospetto dei rapporti tra le fortune imprenditoriali del Cavaliere e la Cosa Nostra

siciliana. Perché è lo stesso Bossi a spiegarlo a un cronista dell’agenzia Ansa il 21 luglio 1998. “Sono stato io a mettere fine al partito del mafioso. Lui comprava i nostri parlamentari e io l’ho abbattuto. In Italia ci sono tre poli, quello palermitano è rappresentato da Berlusconi, lo hanno mandato per fregare il nord”. Ma è a La Padania, il giornale della Lega, che Bossi e i suoi (Bobo Maroni compreso), affidano l’attacco finale contro il Cavaliere. Roba forte, altro che bombe atomi-

che finiane. 8 luglio 1998, il giornale inaugura, ancor prima di Repubblica, la serie delle dieci domande a Berlusconi. Per la verità sono 11. E toste. Prima pagina: “Mafia, camorra, politica e Finanza”. Foto di Berlusconi sull’orlo di una crisi di nervi. Imperativo: “Cavaliere risponda a undici domande e potrà scagionarsi”. Il giornale di Bossi vuole sapere l’impossibile. In sintesi: chi ha dato i soldi a Berlusconi per fondare le sue imprese, per aumentarne il capitale, i suoi rapporti con finanzieri in odore di... Le risposte non arrivano e il giornale attacca. Il 30 agosto insiste su “I dieci misteri di Silvio” con una intera paginata. Il titolo lascia poco spazio alla fantasia: “Le gesta di Lucky Berlusca”. Lucky, come Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano, il boss dei due mondi che si mise a disposizione degli Alleati per lo sbarco in Sicilia. L’occhiello aiuta il lettore a capire: “Il curriculum del Cavaliere farebbe invidia a un boss della mala”. Sommario: “Per salvarlo un plotone di avvocati, parlamentari e giornalisti”. A completare la pagina un titolo, a seguire, sui misteri del “fido Dell’Utri”. È ampia la collezione dei titoli del giornale leghista sull’argomento mafia-Berlusconi, ma sopra tutti spicca la copertina dal titolo “Baciamo le mani”, con una ampia carrellata di foto. Da Buscetta a Brusca, da Totò Riina a Pippo Calò e Stefano Bontate. Tutti in compagnia di Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.

TREGUE

DA COSENTINO AL SALTA-UDIENZE: FINI NON STRAPPA LEGITTIMI IMPEDIMENTI

di Carlo Tecce

Strada annunciata gente gabbata

I

l processo sulle prese in giro è breve. I sindaci e le associazioni del nord Sardegna hanno capito che la visita di Silvio Berlusconi a Olbia era puro opportunismo. Al presidente del Consiglio interessava riempire l’agenda, sostenere un alibi, svignarsela dai giudici. Altro che autostrada Olbia-Sassari, altro che stanziamento del Cipe. Passato il sabato, gabbata la gente. Non i due consiglieri comunali (del Pdl!) in sciopero della fame da una settimana, non le amministrazioni che protestano con i gonfaloni e annunciano un corteo a Roma. Da Palazzo Chigi scherzano con la memoria: “La nuova Ol-

bia-Sassari si farà al più presto. La garanzia viene dal presidente del Consiglio. Aveva dato assicurazioni in merito durante il convegno dell’Enac all’aeroporto di Olbia il 28 novembre scorso”. Veloce rinfrescata. Berlusconi aveva “assicurato”: “Ti inviterei a cena, ma dopo i soldi che mi ha chiesto la mia signora per il divorzio, credo che il menu sia scarso”. Aveva offerto “garanzia”: “Tu Vito hai parlato di un problema con la mafia, ma che problema c’è? Ci sono io... ”. Aveva parlato nel “merito”: “Se trovo chi ha fatto le nove serie de la Piovra e chi scrive libri sulla mafia, che ci fanno fare una bella figura, lo strozzo”.

Anno 1998, su “La Padania” una radiografia in 11 domande di ciò che già allora non tornava sull’impero di Berlusconi. u 1. Il 26 settembre 1968, la sua Edilnord Sas acquistò dal conte Bonzi l’intera area dove lei edificherà Milano2. Lei pagò il terreno tre miliardi di lire. Questa somma del '68, quando lei aveva 32 anni e nessun patrimonio familiare a disposizione, era di enorme portata. Oggi equivarrebbe a oltre 38.739.000.000 di lire. Dopo l’acquisto, lei aprì un gigantesco cantiere edile, che in 4-5 anni edificherà l’area abitativa di Milano2. Tutto questo denaro chi gliel’ha dato? u Il 22 maggio 1974 la sua società Edilnord Centri Residenziali Sas compì un aumento di capitale che così arrivò a 600 milioni di lire. Un anno dopo nuovo aumento fino a due miliardi (14 miliardi di oggi). Da dove e da chi le sono pervenuti tali capitali in contanti? Se lei non lo spiega signor Berlusconi, si è autorizzati a ritenere che sia denaro dall’orribile odore. (Stesse domande anche la 3, 4 e 8 dedicate alla Italcantieri, al cambio di nome della Edilnord in Milano2 e per la Romana Paltano) u Nel marzo del ‘75 lei diede vita alla Fininvest Srl, 20 milioni di capitale, che l'11 novembre diventeranno 2 miliardi con il contestuale trasferimento della sede a Milano. L'8 giugno 1978, ancora a Roma, lei fondò la Finanziaria di Investimento Srl, soliti 20 milioni, amministrata da Umberto Previti, padre di Cesare. Il 30 giugno 1978, quei 20 milioni diventeranno 50, e il 7 dicembre 18 miliardi (81 miliardi di oggi ). Il 26 gennaio 1979 le due "Fininvest" si fonderanno. Questa massa di capitali da dove arrivò? (Idem la 6) uSul finire del 1979, lei diede incarico ad Adriano Galliani di acquistare frequenze tv. Galliani entrò in società con i fratelli Inzaranto nella loro rete Sicilia Srl. Soltanto che Giuseppe Inzaranto era anche marito della nipote di Buscetta che nel 1979 non è un "pentito", è un boss. Lei lo sapeva? u Lei fondò l'immobiliare Idra col capitale di 1 milione. Questa società, che oggi possiede beni immobili pregiatissimi in Sardegna, l'anno dopo - era il 1978 - aumentò il proprio capitale a 900 milioni. Come fu possibile? u Perchè ha acquistato il giocatore Lentini attraverso la finanziaria Fimo che era sede operativa di Giuseppe Lottusi, riciclatore di soldi sporchi della cosca dei Madonia e Lottusi?

Napolitano e Piazza Fontana

“SULLE STRAGI NON TUTTO È CHIARITO”

Il presidente a Milano per il 40° anniversario della strage ha incontrato i familiari delle vittime: “Lezione che non va dimenticata, contrasti non sfocino in tensioni tali da minacciare la vita civile”.

di Sara Nicoli

asciatelo pure parlare, a noi a questo “L punto interessa la prova di lealtà del giovanotto... ”. Non è bastato, a Berlusconi, il sostegno ricevuto da Fini nel venerdì nero di Spatuzza. Il Cavaliere vuole di più dal “giovanotto”, come lui suole apostrofare Fini con i suoi nei momenti di stizza, per essere certo di avere la situazione sotto controllo di qui a Natale, dove ogni giorno può essere considerato un calvario per la maggioranza. Le posizioni tra i due sono ancora a distanze siderali, ma in queste ore sta prevalendo la necessità di dimostrarsi coesi per non disorientare un elettorato che appare granitico solo nelle dichiarazioni di Cicchitto. “Berlusconi e Fini sono costretti a convivere almeno fino alle regionali – spiega un finiano di ferro – perché è ovvio che gli interessi in gioco sono enormi, ma le posizioni sono del tutto inconciliabili; Berlusconi continua a pensare al Pdl come a un’espansione di Forza Italia, noi abbiamo tutt’altre idee; di certo, comunque, i due dovranno parlarsi”. Un rendez vous che, tuttavia, non è nell’immediato, anche se i finiani (che ieri hanno avuto un piccolo summit telefonico con il leader) si augurano che avvenga al più presto: “Senza un chiarimento non si può andare avanti a lungo”. Il problema è che l’incontro va costruito. Dice Giorgio Stracquadanio del Pdl: “Il Cavaliere vede Fini in difficoltà,

non vuole essere pressante ma per riaprire il dialogo pretende doverosamente dei segnali; quel fuorionda è costato veramente molto nella fiducia di Silvio verso Gianfranco, adesso c’è bisogno di rimediare, ci vogliono le prove”. La prima, importantissima sul piano politico, potrebbe arrivare giovedì, quando l’aula di Montecitorio voterà sulle richieste di autorizzazione per Cosentino (una all’arresto, l’altra sulla mozione di sfiducia individuale presentata dall’opposizione che potrebbe anche avere il voto segreto); è opinione diffusa nel Pdl che entrambi i voti avranno risultati positivi similari: due no secchi, insomma. L’altro segnale che si aspetta Berlusconi da Fini riguarda una corsia preferenziale per l’approvazione della Costa-Brigandì sul legittimo impedimento prima di Natale. La leggina arriverà già mercoledì in commissione; il traguardo del voto definitivo alla Camera prima del taglio del panettone è giusto dietro l’angolo. Se tutto questo filerà liscio, senza scosse, allora Berlusconi e Fini si vedranno nella settimana prima di Natale. Il Cavaliere, intanto, non perde tempo. Verdini, Bondi e Cicchitto sono al lavoro da venerdì scorso alla costruzione di “un imponente Sì B. Day all’apertura della campagna per le regionali per gridare il nostro basta – dice Cicchitto – all’azione paraterroristica che mira a ribaltare il responso elettorale”. Chissà se Fini sarà della partita. Oggi è ancora tutta una scommessa.


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CRONACHE

MILANO, GLI ARCIVESCOVI FANNO MURO ALL’ODIO LEGHISTA Dai tempi di Martini la cattedra di Sant’Ambrogio si oppone alla xenofobia di Marco

Politi

a ragione la Lega a temere le parole dell’arcivescovo di Milano, che la Padania attacca con calcolata volgarità tacciandolo di “imam”. Ha ragione, perché da Carlo Maria Martini a Dionigi Tettamanzi la cattedra di sant’Ambrogio è diventata palese contraltare dei rigurgiti xenofobi espressi dai seguaci di Bossi. Monito continuo, culturalmente elevato, schiaffo a una maggioranza di centrodestra che tollera tra le sue fila pulsioni di odio razziale impensabili nei governi democratici dell’Europa occidentale, pungolo verso un’opposizione incapace di svolgere sul territorio un’opera di contrasto culturalmente e socialmente efficace. Non è cosa di oggi. E’ il ruolo assunto dalla Chiesa di Milano a partire dai primi anni Novanta, nel disfarsi della Prima Repubblica e nel sorgere dell’onda leghista ubriaca di secessione e inneggiante all’odio dello straniero. Sono gli anni in cui papa Wojtyla, polacco memore del valore culturale della nazione, teme le lacerazioni dell’unità italiana e lancia l’appello per una “grande preghiera per l’Italia”. In quella stagione l’allora arcivescovo cardinale Martini, nello sconquasso di Tangentopoli e nel tramonto inglorioso della “Milano da bere”, prende sulle sue spalle la tradizione del cattolicesimo solidale e popolare lombardo coniugandolo sottilmente al patrimonio laico e riformista di una borghesia milanese, segnata dal senso dello Stato di Maria Teresa, e di un movimento operaio orgoglioso della sua funzione nazionale. Milano e la Lombardia hanno svolto un ruolo cruciale nel

H

cattolicesimo del Novecento, collocando la Chiesa ai crocevia della modernità. Hanno prodotto tre pontefici di primo rango: Pio XI, Giovanni XXIII, Paolo VI. Protagonisti gli ultimi due del concilio Vaticano II, testimone di robusto antagonismo al razzismo nazista il primo. Milano – quella laica e quella religiosa – è sempre stata aperta all’Europa, al mondo, aliena dall’ottuso rinserrarsi nel proprio particolare. É questa Milano che, naufragata la Prima Repubblica, trova in Carlo Maria Martini un punto di riferi-

Calderoli contro Tettamanzi: è come “un prete mafioso in Sicilia”e La Padania lo chiama “imam”

mento, nutrito di spiritualità e testimonianza evangelica e al tempo stesso attento ai temi del buon governo, della moralità civica, dello stato sociale, del confronto con le religioni, con i popoli in arrivo sul suolo italiano e persino con i non credenti. Così il cardinale diventa anatema per una Lega che insieme con Berlusconi esalta l’evasione fiscale e dopo la mascherata celtica si traveste da crociato (ma spesso Martini è malvisto anche da una dirigenza ecclesiastica che ha deciso di puntare sul cavallo del centrodestra). Colpisce vedere a distanza di anni il suo intuito profetico. Già nel 1990 Martini indica le coordinate del dialogo con l’islam. Invitando a comprendere una fede che, nel solco di Abramo, ha portato per secoli milioni di credenti a rendere a Dio un “culto onesto e sincero” e insieme a praticare la giustizia. Respingendo un buonismo superficiale ed esortando a fare i conti con le sfide che la modernità occidentale pone ai musulmani:

a 19 anni vive in Italia, lavora in reDse. gola, versa i contributi e paga le tasMa un bel giorno si presenta nella Questura della sua città, Ravenna, dove gli negano il rinnovo del permesso di soggiorno. É il 9 settembre 2009. E per Mor Niang, 57 anni, originario del Senegal, da quel momento inizia un calvario. Tecnicamente diventa un clandestino, dopo quasi 20 anni. Ha tempo 15 giorni per lasciare il paese. Mor non lo fa. E il 3 novembre viene trasferito al Cie di Gorizia, dove gli fanno sapere che è indagato per il reato di immigrazione clandestina. L’udienza di fronte al giudice di pace è fissata per il 19 novembre, ma viene rinviata al 3 di dicembre. Intanto Mor resta al Cie “Dove – dice – eravamo 180 in 16 stanze. E dove mi hanno fatto consegnare tutto: orologio, due cellulari, una catenina d’oro. E alla fine mi hanno restituito solo un cellulare. Quello più vecchio”. Ma questo è nulla: la notte tra l'1 e il 2 dicembre Mor viene prelevato da alcuni poliziotti e portato a Malpensa dove lo imbarcano sull’aereo Milano-Dakar, per il rimpatrio. Mor Niang reagisce. Nonostante sia legato alle mani e ai

noscersi trasversalmente quell’Italia credente e diversamente credente che tiene alla moralità della politica (oggetto di un intervento dell’arcivescovo nel 2008), che difende la solidarietà sociale, che si aspetta una Chiesa “in ascolto”, che respinge l’islamofobia degli elettori svizzeri ostili per principio ai minareti. Se il ciellino Formigoni si è dissociato, se Casini ha definito “vergognosi” gli insulti a Tettamanzi, i Medici cattolici di Milano denunciano giustamente l’ipocrita “difesa del crocifisso e del presepe” da parte della Lega. Intervistato dal quotidiano Repubblica, il ministro Calderoli si è però vantato della “massima assonanza” delle posizioni del suo partito con la Cei e la Chiesa romana (allusione agli incontri di Bossi con il cardinale Bagnasco, presidente dell’episcopato, e con il cardinale Bertone, segretario di Stato vaticano). Allora tocca alle massime gerarchie vaticane e della Cei smascherare l’ignobile giochino.

Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano (FOTO ANSA)

L’ATTACCO AL CARDINALE

Il Carroccio esagera e anche il Pdl insorge

I

Mor, espulso dopo 19 anni di lavoro regolare di Elisa Battistini

diritti umani, libertà, laica distinzione tra politica e religione. Non confondendo l’annuncio cristiano con il proselitismo, ma suggerendo di approfondire la cooperazione nel campo della pace, della solidarietà e della giustizia. Il cardinale Tettamanzi, con il suo stile e il suo temperamento, ha proseguito questa linea. La sua difesa dei rom e gli appelli a lavorare sul serio per l’integrazione, la sua difesa del diritto alla preghiera dei musulmani e l’invito a costruire per loro luoghi di culto nella dimensione del quartiere non può piacere ai crociati senza religione. Dichiara il leghista Calderoli (si badi, un ministro della Repubblica) che Tettamanzi arcivescovo a Milano è come “mettere un prete mafioso in Sicilia”. Dove la volgarità dell’attacco, mai casuale, risponde alla strategia di delegittimare sistematicamente l’avversario. Perché dietro Tettamanzi, insultato a suo tempo come cattocomunista, la Lega intravede una voce in cui può rico-

piedi e tallonato dai poliziotti, inizia a urlare così tanto da spingere il capitano dell'aereo a farlo scendere per ragioni di sicurezza. “Anche i passeggeri – racconta Mor – si sono spaventati. Ma perché dovevo tornare a Dakar? Sono 19 anni che vivo in Italia, non ho mai fatto niente di male. Invece loro, i poliziotti, mi hanno legato, caricato sull'aereo, e dopo che mi hanno fatto scendere mi hanno anche picchiato”. Per ora Mor Niang non è stato rimpatriato. Ma è ancora indagato per soggiorno irregolare. Perché mai a Mor Niang non è stato rinnovato il permesso di soggiorno? La Questura della città romagnola ha motivato il diniego a causa del basso reddito presentato dal senegalese per il 2008. Per il Testo Unico sull'immigrazione, le Questure possono chiedere agli stranieri di dimostrare di avere i mezzi di sostentamento per poter rimanere in Italia, stabiliti a un minimo di 5.317 euro. Ma la normativa non è così rigida, anzi: “Le autorità preposte alle verifiche – spiega la legale di Mor, Sonia Lama, che ha già presentato il ricorso – sono invitate a farlo quando ci siano fondate ragioni per richiedere il requisito”. La legge va interpretata e contestualizzata: “Le fondate

l Carroccio resta isolato. L’attacco all’arcivescovo Tettamanzi provoca soprattutto un’ondata di indignazione. Fini risponde trasversalmente, con una battuta, dicendo che il presepe è una bella tradizione anche perchè “è pieno di extracomunitari”. Battuta a cui Casini aggiunge “a partire da Gesù”, riecheggiando le recenti parole di Ratzinger per cui Gesù era un migrante. Il presidente della Commissione Antimafia, Giuseppe Pisanu, definisce volgare l’attacco leghista e anche lui aggiunge un pezzo alla scena: “Gesù ha dovuto chiedere anche l'asilo politico”. E critiche a Calderoli arrivano anche da altri esponenti del Pdl come il ministro Rotondi e il vice presidente dei deputati Lupi. Mario Baccini, presidente dei Cristiano Popolari del Pdl, difende l’opera del Cardinale a cui esprime profondo rispetto per la capacità di esprimere il messaggio evangelico. Insomma, la Lega ci è andata pesante. Troppo anche per gli alleati. (E.B.)

ragioni subentrano se ci sono dubbi su presunte attività illecite, se uno straniero non è incensurato, se non fornisce un documento di identità valido. Oppure quando ci sono motivi di ritenere che ci sia del sommerso”. Mor Niang invece è incensurato e ha sempre lavorato. La scelta della Questura pare quindi “Discrezionale – dice Sonia Lama – indicativa di un giro di vite sugli stranieri. E fornisce un precedente pericoloso perché un cittadino come Mor non dovrebbe essere sottoposto a questo tipo di verifiche. Parliamo di un cittadino integrato, onesto e laborioso. L'applicazione rigida della normativa può portare a un

La Questura di Ravenna gli nega il permesso di soggiorno perché nel 2008 ha guadagnato poco

N PISTOIA

La maestra: “Sono malata”

“S

ono malata, curatemi”. Lo ha dettto a uno dei suoi legali, Alessandro Mencarelli, Anna Laura Scuderi, la maestra accusata di maltrattamenti sui bambini dell’asilo nido Cip e Ciop di Pistoia. La donna ha anche chiesto di essere perdonata per quello che ha fatto.

SALUTE

Nuovo sciopero per i malati di Sla

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otrebbe ripartire il 14 dicembre lo sciopero della fame sospeso un mese fa da sei malati di Sla, che chiedono migliori livelli assistenziali. Finora rimangono inattese, infatti, le promesse del viceministro Fazio, che si era impegnato a firmare entro il 17 di novembre il provvedimento per l’attuazione dei livelli di assistenza domiciliari. Finora sono un centinaio i malati che hanno aderito alla nuova forma di protesta.

DELITTI

Rivali in amore ucciso un 26enne

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n ragazzo di 18 anni e due suoi amici coetanei dovranno rispondere di omicidio in concorso, perchè sospettati di aver sparato a un 26enne, rivale in amore, sabato sera nelle campagne di Castel Madama, vicino Roma. La vittima è deceduta all’alba di ieri. All’origine del gesto, una ragazza, che aveva lasciato la vittima per il 18enne. Ad avvisare i carabinieri il padre del presunto assassino.

SLOT MACHINE

Decide la Corte dei Conti meccanismo persecutorio”. Perché, come è accaduto a Mor, a tutti gli stranieri può capitare di guadagnare poco per un anno. Specialmente in un anno di crisi. Ma le ragioni per cui Mor Niang ha guadagnato poco non sono legate neppure alla flessione dell'economia. “Sono dovuto andare in Senegal – racconta Mor – per cinque mesi, perché mia madre era ammalata. Le sono stato vicino finché è morta. E quando sono tornato ho fatto fatica a trovare lavoro”. L'ultimo impiego è stato nel settore dell'agricoltura. Ma prima Mor Niang aveva fatto il commerciante ambulante. Con regolare licenza. “Sono stato vittima – commenta il senegalese – di una violenza enorme. Voglio giustizia”. Ravenna comunque si è stretta in difesa del cittadino straniero, dalle associazioni di immigrati al primo cittadino. Il Prefetto di Ravenna, Riccardo Campagnucci, ieri mattina ha chiesto la sospensione del provvedimento ancora pendente su Mor Niang. Ora la Questura potrebbe rivedere la propria posizione e decidere di rinnovare il permesso di soggiorno a un cittadino che, in 19 anni, non si è macchiato di nessun reato e ha semplicemente contribuito al benessere del nostro paese.

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e Sezioni Unite della Cassazione hanno respinto il regolamento di giurisdizione sulle penali ai dieci concessionari NewSlot, stabilendo che la competenza sarà della Corte dei Conti e non del Tar del Lazio. La pronuncia della Cassazione ha notevoli implicazioni: l'ammontare delle penali contestate di fronte al Tar é di alcune decine di milioni, l’ultima contestazione effettuata dalla Corte dei Conti era invece di 70 miliardi. Alla base della differenza il fatto che il giudice contabile basi le contestazioni sulle convenzioni di concessione, mentre di fronte al Tar erano state discusse delle penali conteggiate sulla base di un accordo per variare i parametri.


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Il porto della speranza: dieci giorni di trattative e (forse) qualche scontro

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DAL MONDO

entezza glaciale, così il segretario generale dell’Onu aveva un mese fa apostrofato i funzionari impegnati a limare i documenti per il vertice di Copenaghen, mentre il clima cambia a ritmo ciclonico e rinvii e compromessi sono sempre meno possibili. Adesso Copenaghen è partito e gli schieramenti si affronteranno a viso aperto, oltre i sorrisi della diplomazia. Attorno a loro una città che

dimostra come un futuro meno inquinante è già possibile con tanti, piccoli accorgimenti tecnologici e comportamenti individuali, prodotti di una sensibilità culturale che nel nord del mondo è – anche per motivi di possibilità – maggiore. Nei sondaggi della vigilia anche i meno virtuosi tra i paesi ricchi e che dovrebbero dunque poter più facilmente mettere in pratica esempi positivi, ovvero l’Italia, sostiene di

essere pronta (l’85 per cento) a cambiare il suo stile di vita per contribuire alla riduzione delle emissioni. Macrocomportamenti degli Stati (come la Cina che si dice pronta a una riduzione-monstre dell’inquinamento, attratta anche dal mercato delle tecnologie pulite), e microcomportamenti degli individui che ogni giorno possono dare il loro piccolo contributo saranno sotto la lente d’ingrandimento

Il verdetto di Copenaghen IL SUMMIT E L’ULTIMA CHANCE DEL CLIMA di Emanuele

Piano

bbiamo provato a condensare i principali punti del summit sul clima in cinque domande e altrettante risposte Che cosa è il vertice di Copenaghen? Le delegazioni di 192 Paesi del mondo si riuniranno fino al 18 dicembre nella capitale danese per discutere la firma di un accordo globale sui cambiamenti climatici. Questo è il quindicesimo summit – noto anche come COP15 – sul tema. I possibili risultati del vertice sono due: un accordo globale legalmente vincolante con un obiettivo temporale definito (2020 o 2050) ed un accordo quadro aperto che rimandi ad ulteriori colloqui nel 2010. Dal 1992, anno della prima conferenza sui cambiamenti climatici a Rio de Janeiro, le emissioni di gas serra del mondo sono aumentate del 38 per cento. Perché serve un (nuovo) accordo globale? Nel 1997, durante la conferenza di Kyoto in Giappone, i principali Paesi del mondo avevano adottato un protocollo per la riduzione delle emissioni di gas serra del 5,2% entro il 2012. A oggi soltanto gli Stati Uniti non hanno ancora sottoscritto l’impegno. L’obiettivo del COP15 è un trattato che includa gli Usa e venga a termini con i nuovi inquinatori. La Cina è diventata nel 2008 il Paese con le più alte emissioni di anidride carbonica al mondo. Il cambiamento climatico, realtà o finzione? Negli ultimi 800mila anni - secondo le ricostruzioni degli studiosi - il clima terrestre ha

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Sopra: gli attivisti del Wwf in azione, poi un altro manifestante vestito come una tigre del Bengala A fianco: la protesta è arrivata anche a Manila, nelle Filippine Nella pagina a fianco, dall’alto: il gigantesco globo terrestre esposto nella piazza centrale di Copenaghen, una protesta “acquatica” in Spagna e la disperazione dell’inquinamento e della miseria in Indonesia (FOTO ANSA)

sempre alternato epoche di glaciazione e di surriscaldamento. «L’impatto dell’uomo ha alterato l’equilibrio naturale. Nel 2009, ad esempio, siamo arrivati ad una concentrazione di CO2 parti a quasi 390 ppm (particelle per milione) contro un livello massimo naturale di 290 ppm. La soglia critica oltre la quale assisteremo a dei rilevanti cambiamenti climatici è a 400 ppm che, secondo le previsioni, raggiungeremo nei prossimi 10 anni. Secondo l’Ipcc (panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) e senza interventi riparatori

Il nodo: rendere vincolanti gli accordi di riduzione da subito, ovvero dal 2010

entro il 2100 la temperatura del pianeta salirà di 4 gradi, i mari di quasi mezzo metro, scompariranno le estati ghiacciate ai Poli ed aumenteranno le perturbazioni del clima. Negli ultimi 200 anni la temperatura della Terra è aumentata di 0,7 gradi. Quanto costa il cambiamento climatico? “Responsabilità comune, ma differenziata”. Paesi ricchi e Paesi poveri. Nessuno intende sobbarcarsi le spese per adattarsi ai cambiamenti climatici. La Banca mondiale sti-

ma centinaia di miliardi l’anno l’aiuto da destinare ai Paesi in via di Sviluppo per ridurre le emissioni. A questo andrebbero aggiunti i fondi da destinare alle energie alternative per ridurre la dipendenza dai carboni fossili. Secondo due ingegneri californiani, Mark Jacobson e Mark Delucchi, un piano energetico planetario per produrre il 100% di energie rinnovabili costerebbe circa 100 trilioni di dollari. Un decimo della cifra è stato speso per salvare le banche d’affari americane. Quanto inquiniamo adesso?

Gli statunitensi guidano la classifica mondiale di emissioni di CO2 con quasi venti tonnellate pro capite l’anno. La media dei Paesi dell’Ocse è di 11 tonnellate di anidride carbonica l’anno, mentre un cinese arriva a poco meno di quattro ed un libico ad otto. Se però prendiamo i dati aggregati, la Cina da sola emette più CO2 di tutta l’Europa ed ha superato gli Usa. Secondo Mathis Wackernagel, l’impronta ecologica dell’uomo sul pianeta ha superato nel 1999 la capacità di rigenerazione delle risorse naturali della Terra.

IL SENSO DEL SUMMIT

ULTIMA CHANCE: LA CRISI HA RIDOTTO LA CO2, MA NON DURERÀ di Victor Uckmar e Maurizio Guandalini

Pubblichiamo un estratto di “Green economy, Italia” (Mondadori Università) in libreria da domani

della Terra a Copenaghen, da ieri al 18 dicembre 2009, Idi sigrandi riuniranno in cerca di un accordo per la riduzione dell’uso carbone, metano e petrolio. Ban Ki-Moon, segretario generale dell’ONU, ha rimproverato la comunità internazionale per la lentezza glaciale dei negoziati verso un nuovo trattato internazionale che sostituisca il protocollo di Kyoto che scade nel 2012. Le associazioni ambientaliste indicano tre punti irrinunciabili: mantenere l’aumento della temperatura sotto i 2 gradi, tagliare le emissioni dell’80 per cento entro il 2050 e investire 115 miliardi di euro l’anno per difenderci dal caos climatico. Ai Paesi industrializzati si propone la cura ZCAP (Zero Carbon Action Plan), che vuol dire portarsi rapidamente verso l’obiettivo emissioni zero: tagliare le emissioni del 40per cento entro il 2020 e del 95 per cento entro il 2050. Per i non industrializzati la frenata è più lenta e si punta sui LCAP (Low Carbon Action Plan), cioè le basse emissioni serra: più 84 per cento rispetto ai livelli del 1990 nel 2020 e meno 51 per cento rispetto ai livelli del 1990 nel 2050. A tutto ciò va aggiunta la riduzione del 75 per cento entro il 2020 della deforestazione, che causa un quinto

delle emissioni serra globali. Un mix di queste cure, differenziate ma convergenti, porterebbe a uno scenario in cui le emissioni serra, dopo aver toccato il picco tra il 2013 e il 2017, torneranno ai livelli del 1990 nel 2020 e nel 2050 scendereanno dell’80 per cento secondo le indicazioni fornite dagli scienziati dell’IPCC, la task force di climatologi messa in piedi dalle Nazioni Unite per evitare il disastro climatico. L’obiettivo del presidente degli Stati Uniti Barack Obama è l’indipendenza energetica che vuol dire diversificazione e controllo sulle fonti energetiche. La strategia è stata finora doppia, proteggere l’economia con risparmio energetico e una maggiore efficienza nell’uso del petrolio per i trasporti. Ecco quindi il lancio d’iniziative per accelerare l’arrivo sulle strade di una nuova generazione di auto e veicoli puliti. Il 97 per cento del trasporto americano utilizza petrolio: solo diversificando le fonti di energia si fanno progressi verso l’indipendenza e allo stesso tempo si riducono le emissioni nocive. La legge, per ora approvata solo dalla Camera, nel giugno 2009 prevede che le grandi compagnie USA, incluse le raffinerie, società del settore manifatturiero e utilities, riducano le emissioni di anidride carbonica e altri gas associati al riscaldamento globale del 17 per cento entro il 2020 e dell’83 per cento entro il 2050, rispetto ai livelli del 2005. Al centro del provvedimento vi è un programma di cap and trade (un sistema che fissa un tetto alle emissioni

e ne consente lo scambio). In base al piano il governo emetterà un numero minore di autorizzazioni alle compagnie, che potranno vendersele l’un l’altra in base alle necessità. Il principio è: fino a quando il costo di emettere una tonnellata di biossido di carbonio nell’atmosfera è zero, non ci sarà alcun incentivo per l’industria di evitare di farlo. Se si emettono gas serra ci deve essere un costo. Il punto che fa difetto sono i pochi finanziamenti alla rivoluzione verde. Dei 100 miliardi stanziati da Obama se ne sono visti pochi. Briciole a confronto della Cina, che spenderà 600 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. La “palla” passsa a Copenhagen. Ma la Royal Society, prestigiosa istituzione scientifica britannica, pensa ad un piano B (se non riusciranno a ridurre in modo rilevante le emissioni di CO2), fatto di geoengineering per limitare l’aumento delle temperature. Dagli specchi orbitanti per riflettere la luce del sole, giganti impianti di filtraggio dell’aria o alberi artificiali in grado di succhiare anidride carbonica. A fine 2009, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, la quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera farà segnare una caduta del 2,6 per cento rispetto all’anno precedente. Il calo più vistoso da 40 anni. Una chance che i leader mondiali devono cogliere per evitare che le emissioni tornino a impennarsi appena l’economia ritornerà a correre. ©Mondadori


Martedì 8 dicembre 2009

DAL MONDO dell’attenzione planetaria di Hopenaghen (il porto della speranza, come è stato ribattezzato il Vertice e la città che lo ospita). Intanto il sano realismo nordico ha fatto predisporre alle forze di sicurezza un ex deposito di birra come mega-carcere provvisorio per gli eventuali arrestati di scontri che da qui ai prossimi giorni si annunciano possibili; il Vertice sta richiamando da tutta Europa frange estremiste (i

black block) che si sono date appuntamento per rinverdire le gesta di precedenti summit planetari, a dieci anni dalla loro nascita, Seattle nel 2000. Dentro il Bella center si contrapporranno le classiche grandi potenze inquinanti e nuovi emergenti del Co2: oltre all’accordo tra Usa e Cina – primo e secondo al mondo – ci saranno India e Brasile, i due colossi economici, e sempre più

politici, che vogliono dire la loro sui tassi di emissione prossimi venturi e non lasciarsi schiacciare dal patto di ferro del G2 (Washington-Pechino, con i primi che ieri riconoscevano la pericolosità dei gas-serra, aprendo così la strada a un accordo al rialzo); in mezzo un’Europa primo mercato economico mondiale ma debole e divisa dal punto di vista

politico, che insiste per far diventare subito vincolanti - dal 2010 - gli accordi che ricalcano quelli del protocollo di Kyoto, attivo fino al 2012: gli altri vorrebbero farli scattare dopo la scadenza per renderli negoziabili fino all’ultimo e togliere. A Copenaghen per una volta nella storia dei vertici mondiali le cose non sembrano affatto già decise e il clima sarà surriscaldato.

Il duro conto dell’inquinamento SANZIONI MILIARDARIE PER I “CATTIVI”: ANCHE L’ITALIA RISCHIA 1999, l’impronta ecologica dell’uomo ha superato la capacità di rigenerazione della Terra

di Giuseppe

Cassini

l non possumus di Cina e Stati Uniti ad assumere a impegni “legalmente vincolanti” sul clima è stato accolto con costernazione da tutte le capitali occidentali; anche quelle, come Roma, che sembrano aver preso posizione solo all’ultimo momento. È infatti vivo il ricordo della posizione di retroguardia assunta dal Belpaese agli ultimi Consigli europei in materia di cambi climatici. Quasi tutti gli altri membri dell’Ue vantano fiori all’occhiello: Berlino ha varato già

I

dal 2007 il Programma di Meseberg, un vasto piano integrato energia-clima; Parigi l’ambizioso piano nazionale noto come “Grenelle de l’Environnement”; Regno Unito, Spagna, Austria, Olanda e Paesi scandinavi sono tutti impegnati in ingenti investimenti verdi. Berlusconi può solo mettersi all’occhiello uno dei fiori coltivati in villa e ripetere che lui sì è un vero ecologista, avendo “piantato a Villa Certosa 500 specie di cactus”. Il suo governo aveva persino bloccato la detrazione fiscale del 55% per l’edilizia ecologica e l’acquisto di

elettrodomestici a minor consumo; poi si è vergognato e l’ha reintrodotta (anche se è una detrazione “spalmata” su 6 anni). Stessa posizione l’Italia l’ha tenuta al G8, benché ne detenesse la presidenza. Canada, Giappone, Russia e Stati Uniti si sono presentati all’Aquila con programmi di tutto rispetto (non scordiamoci, nella nostra delusione, che Obama ha comunque stanziato la bellezza di 150 miliardi di dollari su 10 anni per il Green Deal). Nell’imminenza dell’Aquila, cosa aveva fatto la presidenza italiana priva di un piano credibile? Aveva affidato alla Prestigiacomo, che dirige il Ministero dell’Ambiente, l’ingrato compito di far dimenticare che l’Italia non potrà mantenere gli impegni 20/20/20

BUONE NOTIZIE

entro il 2020. Ecco allora organizzato un G8 Ambiente di cui poco si ricorda. Viaggiando nelle capitali d’Occidente tutti ti chiedono dunque dove sia finita l’Italia che era all’avanguardia negli anni Novanta. Basta un flash. Nel 1992 Rio de Janeiro ospitò il maggior assembramento di capi di Stato e di governo mai visto: da Bush a Fidel Castro, dal re di Svezia agli emiri del Golfo, da Mitterrand a 40 capi africani, per decidere come armonizzare gli imperativi della crescita del Terzo Mondo con la tutela dell’ambiente globale. Noi che vi partecipammo serbiamo memoria dell’infuocato dibattito che divideva i Paesi agiati dagli altri: dove e come reperire nuove risorse finanziarie per garantire una crescita sostenibile?

Il ministro Ruffolo, a capo della delegazione italiana, colse l’occasione per proporre una formula avveniristica: introdurre nei 25 Paesi più ricchi (area Ocse) una tassa energia/Co2 il cui gettito sarebbe stato diviso in tre lotti (uno per ridurre altre tasse in casa nostra, un altro per investire nelle energie rinnovabili, un terzo per finanziare il trasferimento di tecnologie ambientali ai Paesi in via di sviluppo). Con un terzo di quella tassa, tutto sommato modesta, si sarebbe risolto il busillis che assillava il Vertice. I Grandi della Terra applaudirono e il Financial Times la definì una delle poche idee concrete emerse a Rio. Al Gore, prima di insediarsi alla vice-presidenza degli Stati Uniti, venne apposta in Europa per studiare le nostre proposte di carbon tax: unico strumento efficace per ottenere il “doppio dividendo” di ridurre le emissioni di CO2 e far cassa per investire nelle energie rinnovabili. Nel frattempo, il nuovo mercato delle tecnologie pulite è cresciuto a dismisura: se valeva 200 miliardi di dollari l’anno nel 1992, oggi ne vale almeno 1300. L’ultimo rapporto dell’Oil/Onu calcola in 2,3 milioni i posti di lavoro creati in pochi anni nel solo settore delle energie rinnovabili. Il Nord Europa (ma anche Spagna e Francia) ha raccolto la sfida ambientale come un’opportunità, non come un peso, e sta saltando a gamba tesa dalla seconda alla terza era industriale. Grazie e non malgrado la crisi economica in corso. Il governo di Berlusconi, invece, sembra preferire il Profondo Sud e ripete la solita solfa: ora il salto di qualità non si può fare perché se no “si deprime l’economia già stagnante”. Ma nessuno potrà incantare a lungo i ringhiosi esattori di Bruxelles che verranno a chieder conto delle nostre inadempienze: avevate o no l’obbligo, secondo il Protocollo di Kyoto, di ridurre del 6,3% le emissioni di carbonio? Non ci siete riusciti? Bene, ora dovete comprare sul mercato un miliardo circa di euro in diritti aggiuntivi di emissione (stima peraltro confermata dalla nostra ministro dell’Ambiente). Se non lo fate, le sanzioni europee supereranno al vicino orizzonte del 2012 i 5 miliardi di euro.

a cura della redazione di Cacaonline

BIOGAS “ATOMICO” Dal biogas l’equivalente energetico di tre centrali nucleari. “Se impiegassimo a dovere i rifiuti organici, gli scarti agricoli, le deiezioni animali provenienti da allevamenti e i fanghi derivati dalla depurazione delle acque, potremmo produrre 20 terawattora elettrici all’anno, l’equivalente di tre centrali nucleari. Ma in tempi molto più brevi, a costi bassi e senza impatti sull’ambiente”. Parole di Sergio Piccinini, direttore del Centro ricerche produzioni animali, intervenuto al Greenergy Expo. Il biometano è molto diffuso nel nord Europa: in Svezia, ad esempio, costituisce il 50% di tutto il metano per autotrazione venduto ai distributori. In Italia invece,

dove circolano quasi 600 mila vetture a metano, praticamente non è utilizzato: su 8,5 milioni di tonnellate di scarti prodotti ogni anno, solo 2 milioni ne vengono selezionati e riciclati. Altra fonte energetica rinnovabile poco sfruttata è il cippato, che si ottiene da scarti agricoli e dalle parti non utilizzabili delle piante, come potature o altre parti di scarto. È un combustibile particolarmente economico, dal momento che una tonnellata costa in media 40-50 euro. E in Italia abbiamo circa 8 milioni di ettari di foreste! (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)


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Martedì 8 dicembre 2009

CRONACHE

L’AMERICA DI AMANDA E la Gran Bretagna di Meredith: così l’omicidio di Perugia è diventato un affare di Stato

di Angela Vitaliano New York

manda Knox, americana dello Stato di Washignton, Meredith Kircher, anglo-indiana di Southwork, quartiere di Londra. In loro nome Stati Uniti e Gran Bretagna hanno ingaggiato a lungo un duello indiretto dalle due sponde dell’Atlantico, fatto di inchieste, contro-inchieste, editoriali e accuse (quasi sempre coinvolgendo anche il paese terzo protagonista della vicenda: l’Italia) nel quale l’ex colonia di Sua maestà britannica e il Regno unito si rinfacciavano colpe e comportamenti, forzature e mancanze durante tutto il processo tenutosi a Perugia. Ora che la sentenza ha condannato an-

A

che Amanda per l’uccisione di Mez gli americani sollevano dubbi sulla giustizia italiana e i secondi parlano, a toni bassi, di giustizia compiuta. Il fastidio per la sentenza, dovuta anche a “sentimenti anti-americani” secondo la senatrice dello Stato di Washington Cantwell (tenuta in buon conto dal segretario di Stato Hillary Clinton), rovescia sull’Italia i dubbi e le critiche di un intero paese, che si dimostra piuttosto unito nel giudizio negativo sul tribunale di Perugia e l’intero paese. Un verdetto basato sul pregiudizio e non sulla presenza di prove inconfutabili: questo in sostanza ciò che molti americani pensano a proposito della condanna della 26enne Amanda. Perfettamente in linea con il punto espresso da

una delle firme di punta del New York Times, Timothy Egon che aveva concluso il suo editoriale di domenica dicendo “il verdetto della giuria non dovrà essere espresso su superstizioni medievali, fantasie sataniche o l’onore dei di-

fensori”. Ciò che, invece, per molti, sembra essersi verificato. “Sono stupita – dice un’altra giornalista del New York Times di scoprire una mentalità così provinciale in un paese che amiamo come l’Italia”. Tutti, indistintamente, ap-

schiacciante egemonia. Rieletto con il 63% dei suffragi (erano 45 anni che in Bolivia, nazione che detiene il record mondiale dei golpe, un presidente non veniva confermato in libere consultazioni), con 36 punti di vantaggio sullo sfidante conservatore Manfred Reyes Villa, ha oggi anche la maggioranza assoluta in Parlamento. In sostanza ha il controllo quasi totale delle leve decisionali. È in grado, senza che l’opposizione gli crei fastidi, di attuare quel disegno indigenista e socialista che nella sua visione dovrà affrancare definitivamente il popolo dalla tirannia del neoliberalismo. “Che garanzie democratiche”, aveva tuonato durante i comizi, “hanno dato i miei predecessori? Nessuna. Hanno solo svenduto il paese”. Primo presidente indio della Bolivia, il suo intento è ora quello di trasformarla in uno Stato plurinazionale, che valorizzi tutte le componenti etniche ma facendo in primo luogo cessare l’oppressione degli indigeni. “Stavolta non si è eletto semplicemente un governo”, dice l’ana-

Abusi sessuali, accuse ai gesuiti

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ltre 500 persone hanno avviato cause per abusi sessuali contro una organizzazione di Gesuiti dell’Oregon. L’organizzazione ha già raggiunto accordi extra-giudiziari con circa 200 persone che sostenevano di avere subito abusi sessuali.

America first

P

Il secondo trionfo dell’indio Morales la Bolivia tra Obama e Ahmadinejad di un trionfo annunciaNsoloto,ell’euforia Evo Morales deve ora guardarsi dall’eccesso di potere della sua

OREGON

POCO DIPLOMATICO

Amanda Knox, 26 anni (FOTO ANSA)

di Gianni Perrelli

prezzano la decisione della Clinton di “ascoltare” per chiarire eventuali dubbi e, dunque, l’atteggiamento del governo a non “abbandonare” un cittadino americano, sebbene dichiarato colpevole.

N

lista Jorge Lazarte, “ma si è definita l’architettura del paese per un’intera generazione”. Morales sarà favorito nel suo disegno dall’indebolimento di quei poteri forti (industriali e latifondisti) che nelle regioni orientali dove più si concentra la ricchezza del paese avevano coltivato addirittura progetti di secessione. Anche se non è riuscito ad espugnare bastioni storici dell’opposizione come Santa Cruz de la Sierra (la città più prospera), nelle aree a lui più ostili ha sensibilmente aumentato i consensi. Scavalcando la spinte all’indipendenza dei singoli distretti con l’estensione (prevista dalla nuova Costituzione) di una maggiore autonomia delle regioni e delle comunità indigene. Sovrastati dal suo successo, molti fra gli oppositori hanno finito per preferire il dialogo allo scontro. Turandosi il naso di fronte ai rischi di un autoritarismo che già lo hanno indotto a liquidare il Tribunale Costituzionale, a smantellare la Corte di Giustizia e a privare di autonomia la Banca Centrale. E dalla sua parte sono passati anche ampi settori della classe media e intellettuale che un tempo diffidavano della sua faccia di indio e del suo passato di sindacalista dei cocaleros. È così che dal 53% della

er spiegare il riflesso americano di difesa a oltranza e senza dubbi di ogni singolo cittadino – “America first”, l’America prima di tutto – possono tornar utili episodi bellici: bombardamenti a tappeto per salvaguardare la vita dei soldati Usa e ridurre al minimo le casualties; edifici e vite altrui vengono dopo (spesso erano quelle dei soldati nazisti, ma talvolta anche quelle di civili italiani). Poi è arrivato il senso di colpa atomico di Hiroshima e Nagasaki che - secondo gli storici - ha ridotto il conflitto di almeno sei mesi. Sempre e comunque legittime attenzioni dei liberatori mondiali. Poi la ragion bellica è divenuta meno netta e nobile e nei tempi recenti i nuovi episodi di ragion di stato e d’incolumità - sempre più giuridica - degli americani si declinano nei nomi Cermis, Calipari e fanno da controaltare a quelli italiani: Baraldini, Bernabei, Abu Omar e la Cia (condannati gli 007 Usa, che difficilmente verranno incarcerati), e ora anche Parlanti e Foti (in carcere negli Usa), citati dal ministro degli Esteri Frattini come altri esempi di due pesi e due misure.

vittoria nel 2005 è schizzato al 63. Morales ha trionfato perché, nel vuoto quasi totale dell’opposizione, ha avuto gioco facile a imporre un carisma che per le classi povere sfocia nel mito. Il presidente indio le ha rimesse al mondo, restituendo loro la dignità del riscatto sociale, anche se i problemi economici rimangono enormi (la Bolivia è al secondo posto nella classifica dei paesi poveri in America Latina). “Siamo presidenti”, è solito dire coinvolgendo nella sua ascesa l’intero popolo. Sfruttando la favorevole congiuntura dell’aumento del prezzo del gas (una risorsa di cui il paese è molto ricco) aveva varato nella scorsa legislatura un piano di aiuti agli studenti e alle classi più disagiate. Per il secondo mandato promette uno sviluppo industriale che dovrebbe rendere la Bolivia meno dipendente dalle risorse energetiche che lui aveva nazionalizzato sottraendole al controllo delle industrie americane. E, per ovviare al recente calo dei prezzi del gas, sta varando intese con l’Iran (Mahmoud Ahmadinejad nei giorni scorsi è stato

ricevuto in pompa magna a La Paz) e con la Russia. Complicato, ma meno di un tempo, resta il rapporto con gli Stati Uniti. La Casa Bianca continua a guardare con sospetto i suoi forti legami con il Venezuela di Hugo Chavez e con la Cuba dei fratelli Castro, oltre a una cultura nazionale che a giudizio di Washington non fa abbastanza per sradicare le piantagioni di coca. Ma con l’avvento di Obama i contrasti che in passato erano sfociati nell’incidente diplomatico si sono un po’ attenuati. Si vedono segnali di disgelo. La Bolivia sembra ora ben disposta ad assecondare il dialogo, a patto che gli Usa smettano di interferire. Una nuova stagione di confronto con gli Usa renderebbe più facile il secondo mandato e anche la possibilità di una terza elezione nel 2014. Morales, che oggi ha 50 anni, a quell’epoca sarà ancora un leader giovane.

ATENE

Due giorni di scontri e 350 fermi

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na giornata di scontri ad Atene: ieri mattina davanti al Parlamento e nel pomeriggio davanti al Politecnico. A un anno dall’uccisione dello studente quindicenne Alexandros Grigoropoulos la capitale greca ha visto scene di guerriglia tra gruppi di giovani mascherati e la polizia. Gli episodi di protesta di ieri seguono quelli avvenuti domenica notte ad Atene e in tutta la Grecia. Il bilancio è di decine di feriti e 350 fermi nel paese. Domenica sono stati fermati anche cinque anarchici italiani, rilasciati ieri in serata. Verranno processati il 16 dicembre.

IRAN

Studenti contro il governo

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n occasione della giornata dello studente ci sono stati duri scontri tra polizia e sostenitori di Moussavi a Teheran, nei pressi dell’Università principale della capitale. Due donne sarebbero state arrestate e c’è chi afferma di aver udito colpi di pistola.


Martedì 8 dicembre 2009

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ECONOMIA

SENZA VERGOGNA: TASSE SULLA CASA PER I SENZA TETTO DE L’AQUILA Poi Bertolaso promette un decreto per sospenderle di Sandra Amurri

fatti asciugano i fiumi di parole spese in prima persona da Silvio Berlusconi nelle sue molteplici passerelle sulla via del terremoto aquilano. Altro che Villa Certosa a disposizione dei senza casa. Ieri è passato l’emendamento alla Finanziaria che chiede ai cittadini abruzzesi colpiti dal sisma la restituzione delle tasse con gli interessi e annesso pagamento dell’Ici per la seconda casa, seppure distrutta o gravemente danneggiata. Poi Guido Bertolaso, il sottosegretario capo delle Protezione civile, cerca di rimediare e promette di sospenderle anche nel 2010: “Spero di aver così tranquillizzato i nostri amici aquilani ai quali ancora una volta stiamo dando prova di grande serietà e coerenza". Ma è la promessa di un decreto che – forse – arriverà in futuro. Per ora c’è la Finanziaria. A differenza dei terremotati di Marche e Umbria per i quali il governo di centrosinistra aveva previsto una restituzione del 40 per cento in centoventi rate, i cittadini aquilani dovranno restituire il 100 per cento della cifra dilazionata in 60 rate mensili senza proroga della sospensione del pagamento. I cittadini, se non arriva il decreto promesso da Bertolaso, rico-

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minceranno a pagare da gennaio nonostante il sistema economico e sociale sia fragilissimo. E’ ora di fare cassa anche con i disgraziati che oltre a figli, padri, madri hanno perduto casa, lavoro a causa di un terremoto che ha distrutto ciò che non era stato costruito rispettando la legge. Le associazioni di cittadini promettono ribellione a oltranza. Anche la Cgil provinciale – in una nota – ha definito la decisione del governo “una beffa a danno di tutti i terremotati, una clamorosa presa in giro che non può e non deve passare” chiamando tutti alla mobilitazione “contro un provvedimento-beffa che appare un sopruso verso chi ha sofferto già troppo, un ulteriore danno per un territorio la cui economia deve sopportare il fardello di 15 mila persone che ancora non tornano al lavoro e di centinaia di aziende ferme”. Sono infatti meno del 40 per cento le imprese che hanno ripreso a lavorare a pieno regime. Ma il governo ha cambiato idea. E ha mostrato il suo vero volto, quello dell’inganno e della finzione che ha illuso gli

enti locali, i sindacati, gli imprenditori e i cittadini .E come se non bastasse, i proprietari di seconde case dovranno pagare l’Ici (imposta comunale sugli immobili) anche se la loro casa è stata distrutta o gravemente danneggiata dal sisma. Il sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente denuncia: “Il comune ha le casse vuote perché il governo avrebbe dovuto versare le somme non pagate dai cittadini per il blocco di tributi e contributi. Ho invitato la ragioneria dello Stato e i dirigenti del ministero dell’Economia a venire a L’Aquila per verificare sul campo la situazione. Comunque, è una beffa richiedere Ici e tributi a terremotati senza tetto”. Dello stesso parere la presidente della provincia, Stefania Pezzopane che, assieme al sindaco, ieri ha organizzato un’assemblea pubblica per chiedere la mobilitazione dei cittadini per una manifestazione giovedì prossimo a Roma,

Saltano gli emendamenti alla Finanziaria che dovevano concedere una proroga ai terremotati abruzzesi

di Chiara Paolin

davanti a Palazzo Chigi. Ma non tutti ancora vi hanno aderito. C’è chi, come l’associazione “Cittadini per i cittadini”, sta valutando se farlo spiegando che “le amministrazioni pubbliche in tutti questi mesi ci hanno lasciati soli preferendo fare da tappetino al governo, avallando molte scelte scellerate e dando credito a promesse che avevano tutta l’aria di essere promesse che sarebbero state tradite una volta terminata l’emergenza”. Emergenza che mediaticamente ha reso molto in termini di immagine al pre-

sidente del Consiglio e a Bertolaso. Promesse, appunto, durate il tempo di uno show mediatico e dello svolgimento del G8 a cui hanno fatto da coro unanime i suoi giornali e le sue televisioni per poi chiedere ai cittadini il conto con gli interessi. “Una vera follia” la definisce il deputato del Pd Giovanni Lolli che aggiunge: “Dobbiamo far capire che questa città proprio non può farcela”. Ma il governo deve fare cassa. E, non avendo una faccia da salvare, il come non importa. Per chi non l’avesse ancora capito.

IL SIGNORE DELLA SANITÀ SI PREPARA A REGNARE SUL GRUPPO DEL CORRIERE, MA SENZA GOVERNARE Bonazzi

iuseppe Rotelli presidente di Rcs Media Group. Ma ancora fuori dalla porta che conta davvero, quella che apre le segrete stanze del patto di sindacato. Perché poi il mercato potrebbe non capire che ci stia ancora a fare in Borsa una società dove il patto di sindacato blinda già oggi il 65 per cento e che, con l’ingresso di Rotelli, vedrebbe la quota sindacata schizzare oltre il 75 per cento. Del resto, ammettere il leviatano della sanità lombarda nel dorato salottino del patto sarebbe un eccesso tale da far rivoltare nella tomba perfino l’ex presidente di Mediobanca Enrico Cuccia, il profeta delle azioni che “si pesano e non si contano”. E allora ecco perché Rotelli ad aprile potrebbe diventare presidente

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della società che pubblica il Corriere della Sera, senza però riuscire ad ottenere “l’upgrading” a socio di serie A. Un compromesso di democristiana saggezza, quello che si sta facendo strada a Milano, e che non a caso qualcuno già chiama “lodo Geronzi” per indicare come sia uscito dal cilindro del presidente di Mediobanca. Ma anche un modo per risolvere il delicato paradosso di un socio che già da qualche anno è il secondo azionista singolo di Rcs, eppure ancora non conta.

IL LODO GERONZI. Se di “lodo Geronzi” si parla è perché il primo azionista di Rizzoli Media Group è pur sempre Mediobanca (13,69 per cento), l’immortale stanza di compensazione del capitalismo di relazione all’italiana, oggi guidata dal banchiere di Marino. Ma prima di soci blasonati come la Fiat L’imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli (F A ) (10,29 per cento) e l’Italmobiliare dei Pesenti (7,41 per cento), ormai ci sono Giuseppe Rotelli da Pavia e il suo impero costruito intorno al gruppo “Policlinico San Donato”: 17 cliniche, 4 mila posti-letto e oltre 700 milioni di fatturato. E bisogna ricordare che Rotelli, che con Geronzi è in ottimi rapporti ed è stimatissimo da Silvio Berlusconi (il premier lo ha lodato pubblicamente a febbraio, inaugurandogli personalmente una clinica) è cresciuto “risolvendo problemi”. Per esempio, quando Antonino Ligresti fu travolto dalla tragedia degli 11 morti nelle camere iperbariche del Galeazzi e decise di vendere le sue cinque cliniche milanesi, fu proOTO

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47 anni, Salvo Falsaperla si è sentito dire che il suo posto di lavoro non c’era più. E perdere il lavoro a Catania, oggi, è un problema serio. L’alternativa però c’è: mettere tutto quel che resta, l’ultimo sussidio aziendale, in un progetto di rilancio. Stavolta guidato dagli operai. Questo sta succedendo alla Cesame, Ceramica Sanitaria Mediterranea: nata nel 1955, fallita nel 2009 dopo un decennio di licenziamenti e cassa integrazione, sembrava ormai spacciata. Ma gli ultimi 138 lavoratori rimasti sui 500 addetti dei favolosi anni Ottanta hanno deciso di costituirsi in comitato per rilevare l’attività. L’idea è di avviare una cooperativa, 20 mila euro a testa d’investimento iniziale e aiuti pubblici che stavolta non serviranno a pagare un mezzo stipendio ma a rilanciare davvero la produzione. A fianco dei lavoratori ci sono i sindacati e i responsabili del sistema cooperativo: “Così riparte una vertenza contro la logica speculativa che per Cesame è stata devastante” hanno detto Giuseppe D’Aquila e Renato Avola, segretari provinciali di Filcem e Femca, organizzazioni sindacali del settore. I lavoratori potranno ricevere la cassa integrazione che solitamente viene spalmata su quattro anni in un’unica soluzione (come previsto dalla Legge 223/91), vincolando la somma all’avvio della nuova attività. Trasformandosi così da dipendenti a soci della Cooperativa Cesame. L’obiettivo è arrivare a una produzione di 270 mila pezzi l’anno, per un fatturato di 13 milioni di euro. Una sfida più che sensata, secondo gli addetti ai lavori. Spiega Giuseppe Giansiracusa della Lega Cooperative: “Stiamo costruendo il piano d’impresa, le premesse sembrano davvero buone. Metteremo in campo tutti gli strumenti finanziari a nostra disposizione, compreso il raddoppio del capitale sociale. C’è molta voglia di fare impresa qui, la gente cerca ogni giorno di realizzare le proprie aspirazioni professionali in un contesto difficilissimo. La mentalità è cambiata, non si cerca più l’assistenzialismo: avremmo solo bisogno di maggior efficienza da parte degli interlocutori istituzionali. La crisi economica e i terremoti politici sull’isola hanno reso ancora più complesso il nostro ruolo di coordinamento. Eppure c’è chi ci crede, e ottiene risultati”. In effetti altre due aziende della zona si sono salvate proprio così, tramite l’autorganizzazione cooperativa: la Elmec e la Sat, entrambe del settore elettrotecnico. Ma che non si sappia troppo in giro, sennò poi chi li sente gli orgogliosi imprenditori padani?

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Rcs: Rotelli, una presidenza annunciata di Francesco

Catania da dipendenti a soci per cercare il rilancio della Cesame

prio il silenzioso profeta della sanità privata alla lombarda (un sistema da 1,2 miliardi di fatturato annuo, grazie alla “sussidiarietà” dell’amico Roberto Formigoni) a mettere sul piatto i 300 milioni di euro che servivano a risolvere un problema “di sistema”. E quando, tre anni fa, ci fu da mettere in sicurezza anche quel 5 per cento del Corriere finito inopinatamente nelle mani dell’inaffidabile Ricucci, fu il solito Rotelli a levare le castagne dal fuoco al “salotto buono”, aprendo il proprio ricco portafogli. Certo, nel tempo Rotelli ha preso gusto all’editoria e oggi, da sedicente “liberale” che ama citare Friedrich Von Hayek, cova l’ambizione di essere uno dei futuri garanti della libertà del bel mondo antico di Via Solferino. Anche a costo di tirare una bella riga sopra al suo passato craxiano. Così, ha messo insieme un pacchetto dell’11 per cento, pagando le azioni Rcs anche oltre 4 euro l’una, mentre oggi passano di mano a 1,37. Insomma, per puntellare il potere esangue dei vari Agnelli, Della Valle, Pesenti, Ligresti (Salvatore) e Merloni, il sessantaquattrenne avvocato ha investito un discreto gruzzolo e oggi ha una minusvalenza teorica che potrebbe sfiorare i 200 milioni. Con cifre del genere, si capisce che la presidenza della Rizzoli sarebbe il minimo. Un meritato riconoscimento per il “sangue” versato in anni così difficili (il terzo trimestre del 2009 segna ricavi in calo del 13,5 per cento e perdite per 8,2 milioni), che se per ora non ristora le casse, almeno rinfranca l’onore di Rotelli. LA DIFFIDENZA DI BAZOLI. Certo, di lui ancora un po’ diffida Giovanni Bazoli, il presidente di Intesa che con Geronzi divide la guida spirituale di Via Solferino e mai vor-

rebbe veder maltrattare Pier Gaetano Marchetti. Ma in fondo lo storico notaio di Mediobanca ha già due presidenze in Rizzoli e potrebbe accontentarsi di mantenere quella della controllata Rcs Quotidiani. E il segno che il “lodo Geronzi” sia più che una chiacchiera è arrivato giovedì scorso, quando Cesare Romiti, che della società editrice è il presidente onorario, ci ha tenuto a far sapere ai giornalisti che il proprietario del Gruppo San Donato “è un uomo equilibrato” e “quindi potrebbe fare il presidente” di Rcs Mediagroup. Una fuga in avanti? Un modo per forzare la mano a qualche azionista forse ancora incerto sulla “promozione” di Rotelli. Nulla di tutto questo. Romiti ha capito che era giunto il momento di far uscire il nome di Rotelli prima che ci pensasse la Procura di Milano, che già alla fine di questa settimana potrebbe chiudere l’inchiesta sullo scandalo dei rimborsi sanitari gonfiati. Inchiesta della quale eccellentissimo indagato è proprio Rotelli, al quale hanno perfino sequestrato 1,8 milioni a titolo preventivo. Averlo già messo pubblicamente in pista per la presidenza Rcs eviterà fastidiosi dibattiti tra soci, o ingenerosi ripensamenti.

Dopo una lunga anticamera il primo azionista privato del Corriere della Sera ottiene il prestigio. Ma il potere vero resta alle grandi banche


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

FESTIVAL

Cinema e libri ai piedi del Bianco

Papà Canalis Se Eli mi rendesse nonno sarei pazzo di gioia

Al Bano Escluso dal concerto di Natale in Vaticano: è divorziato

Ferrari Isabella: basta lavoro, mi prendo un anno sabbatico

Gullit L’olandese, ex giocatore del Milan, verso l’Isola dei famosi

COURMAYEUR FUORIPISTA (E MISTERI) NOIR di Mattia Carzaniga

Megan Fox in “Jennifer’s Body” diventa vampira e fa strage di maschi

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non c’è più. E ora, visto che spesso le parole che passano di qui si legano al loro racconto per immagini, si lavora a un film sulla sua vicenda, su quella Milano e su quegli anni. Lo girerà Michele Placido, e a interpretare il Renato dell’epoca sarà Kim Rossi Stuart. E passa di qui anche il caso che ha animato quasi vent’anni di incubi nazionali, ovverosia quello del Mostro di Firenze, diventato fiction omonima per Sky (dirige Antonello Grimaldi) che guarda alla cronaca più nera con gli occhi dei genitori di una delle vittime (il padre è Ennio Fantastichini), forse gli occhi di tutta l’Italia di fronte all’orrore. Storie noir di casa nostra che proseguono nel “pacchetto” Meglio sardi che noir, a cura di Marcello Fois e dedicato ad altri colleghi corregionali, da Giulio Angioni a Michela Murgia. E poi arriva lo sguardo oltre confine, da ricondurre tra queste montagne. Il Noir si toglie lo sfizio di omaggiare quest’anno col massimo premio della rassegna (il Raymond Chandler Award) uno scrittore che coi freddi ha poco a che fare. È nato a L’Avana e si chiama Leonardo Padura Fuentes, ed è autore della serie Le quattro stagioni, protagonista il poliziotto Mario Conde (da noi

eteorologia del genere noir. Si sa che Simenon amava spedire il suo Maigret tra le nebbie della Mitteleuropa. Fred Vargas, francese da bestseller, ha mandato il commissario Adamsberg sotto i venti (di Nettuno). Per non dire di Stieg Larsson, che deve gran parte del successo agli sferzanti freddi scandinavi. L’inverno, meglio se vissuto a basse temperature, da sempre si addice al noir. E dunque, se si deve immaginare un festival cine-letterario ad hoc, meglio pensarlo tra la neve di Courmayeur. Quest’anno per la verità ce n’è poca, ma almeno piove, se no col sole che noir sarebbe? E l’atmosfera resta quella di sempre: shopping prenatalizio, “sciuri” in villeggiatura e le ombre del festival che scivolano tutt’attorno, come il profilo delle montagne che pende sulle case. la maggiore età lo C(inompiuta scorso anno, il Noir in Festival programma fino al 12 dicem-

bre) sforna il solito “best of” della produzione del momento in fatto di materia gialla. E se, vizio dei cronisti spediti sul luogo, un filo rosso (meglio: nero) va individuato, questa volta abita in un programma che sonda i misteri nostrani, decenni di segreti del Belpaese che si rincorrono tra parole, immagini, suggestioni assortite. Domani, per dire, sarà il giorno di Piazza Fontana e dei suoi arcani ancora irrisolti dopo quarant’anni esatti. Piste (gli sci però non c’entrano) che si muovono a partire dal libro-inchiesta di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana (Ponte alle Grazie). “C’è chi ha gridato ‘Eccoci, siamo di nuovo alla pista anarchica’ – dice l’autore – incasellando il mio lavoro in uno schema falso”. In realtà l’interesse del libro, che si dipana come una storia di

detection, è indagare “la trappola tesa da Stato e fascisti alla sinistra, che si dispiegò per tutto il ’69 con modalità che vennero poi ampliate a Piazza Fontana”. Cucchiarelli è pronto a salire sul ring col giudice Guido Salvini, titolare dell’inchiesta dagli anni Ottanta. Segue (giovedì 10) la presentazione di Attentato imminente di Antonella Beccaria e Simona Mammano, sull’odissea del commissario Pasquale Juliano, il primo a indagare sull’estremismo neofascista nel profondo nord e arrivato a un passo dallo sventare la strage di quel 12 dicembre. Tracce sparse che si sono inse-

guite fin dal primo giorno, cominciato con la presentazione del libro del “bandito” Renato Vallanzasca (firmato con Carlo Bonini) Il fiore del male. Ancora storie dalla Milano di piombo, quando la città “era più cupa e più sporca, ma ad avere paura era solo chi aveva il grano. Oggi chi ha il grano non ha più paura, la paura è dei disgraziati” (parole dello stesso Vallanzasca). Autobiografia che serve come ricognizione in soggettiva di quegli anni, senza trarre giudizi (neanche su se stessi: Vallanzasca è quello che ha sempre dichiarato di non meritare nessuna grazia), e insieme canto di un mondo che

SCALA Prima senza sfarzo e proteste operaie prima senza sfarzo quella che ieri sera ha aperto la Umennastagione del Teatro alla Scala. L’invito a dedicare la Carai lavoratori in cassintegrazione o a quelli rimasti senza occupazione, è stato accolto in prima persona dal sindaco Moratti (“è giusto coniugare iniziative importanti a gesti di rif lessione”). Tutto in linea con la regia di Emma Dante con poco sfarzo e con la decisione di offrire agli ospiti illustri un semplice buffet in piedi al posto della tradizionale cena del dopo Scala. Molti gli ospiti attesi, dal presidente Giorgio Napolitano al presidente del Senegal Abdoulaye Wade, dall’ambasciatore americano in Italia David Thorne al ministro del Turismo Brambilla, dallo scrittore Dan Brown a Marina Berlusconi. Ieri pomeriggio decine di lavoratori hanno tentato di forzare le transenne che limitano l’ingresso alla piazza. Al grido di “Vergogna, vergogna”, hanno provato a superare il cordone di polizia.

pubblicata da Tropea). Padura Fuentes è uno dei tanti (tutti?) che scrivono gialli per parlare d’altro. Uomo che non piace troppo al regime (nel primo romanzo del ciclo di Conde, Passato remoto, racconta di amministratori corrotti; in Maschere scoperchia il tema dell’omosessualità sgradita al partito), ma più pragmatico che ideologico. Dalle sue dichiarazioni sparse: “Cuba è cielo o inferno? È un posto strano, misterioso. È difficile mangiare ma non si muore di fame, non esiste un bambino che non studia, non c’è malasanità. E poi L’Avana mi parla: io vedo sia la parte buona che quella cattiva”. più attesa sul versante L’gnaospite cinematografico della montadel Noir è invece Diablo Cody, un’altra che lavora con le parole. Leviamo la parentesi sui suoi trascorsi giovanili da spogliarellista, che da noi hanno molto provincialmente riempito le note biografiche. Diablo è blogger (leggete PussyRanch.com, almeno una volta) e ha vinto un Oscar per il copione di Juno, film-caso che due anni fa attentò con precisione da killer al perbenismo della borghesia piccola piccola americana e da noi passò ingiustamente come bandiera dei pro life (si parlava di una ragazzina di 16 anni rimasta incinta e decisa a tenere il “fagiolo”, come lo chiamava lei). Qui la nostra è di passaggio oggi per presentare Jennifer’s Body, horror a sfondo teen con la classica figa del liceo (alias Megan Fox) che diventa vampira e fa strage di maschi. “Le ragazze e quello di cui sono capaci sono la cosa che mi fa più paura”, dice Diablo, che ha scritto il film prima di “Juno” e ora lo porta in giro come il divertissement che può permettersi un’autrice rimasta marziana ma ben integrata nel sistema-Hollywood. E tra Johnny Hallyday che all’epoca cantava “Noir c’est noir” (guarda un po’) e ora gira “Vengeance” con l’hongkongese Johnnie To e un incontro con James Sallis, giallista-bluesman di New Orleans, capita di intercettare da queste parti anche Walter Veltroni. Misteri d’Italia? Sarà che, dopo essere stato assassinato dal Pd, è ora alla ricerca di altri luoghi del delitto. Stamattina presenta “Il bambino”, del berlinese Sebastian Fitzek. Genere? Psycho-thriller.


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SECONDO TEMPO

OGNI MALEDETTA DOMENICA

VIVA PILLON MA SOLO ALL’ESTERO

Il “New York Times” lo esalta, Ascoli critica Mentre Panucci e Preziosi si insultano in tv di Oliviero Beha

torie di ordinaria follia nell’ultima di campionato, nell’interesse ravvivato dalla sconfitta dell’Inter e dal distacco ridotto da Milan e Juventus. A questo terzetto penserà il turno di Champions. Continuo a credere che per l’Inter il problema di uscire adesso con il Rubin Kazan, ipotesi non probabile giocandosi comunque al Meazza, sarebbe ben superiore a quello di continuare sui due fronti fino in fondo alla Champions. Nel secondo, favorevole caso infatti, ci sarebbe il problema di disporre comunque di ben due squadre in Europa e in Italia per una rosa folta di ottimi giocatori e di tre, quattro campioni. Nel primo caso,invece, una eliminazione creerebbe le condizioni di una tempesta societaria e di troppi giocatori per una partita a settimana. Quindi chi volesse strappare anche questo scudetto al signorile Moratti, deve augurarsi che l’Inter esca subito. Altrimenti resta certamente la favorita, malgrado la pochezza di certe esibizioni (Barcellona,Juventus). Ma le storie di ordinaria follia riguardano l’assurda tensione in campo e subito fuori: non si contano gli episodi, tra Preziosi,Ghirardi,Panucci a Genova, il cotè di Torino per cori ecc., gli incidenti, i petardi, la sospensione del derby romano, le espulsioni a raffica di giocatori (per gioco troppo duro) e tecnici…A proposito delle scene da far west appena appena camorroso tra le colonne sotto lo stadio di Marassi, che un video su internet pubblicizza meravigliosamente dal punto di vista giornalistico e orrendamente da quello etico, Panucci che dice a Preziosi “ti spacco la testa” fa effetto. Come fa effetto il diverbio tra i due presidenti, quello del Genoa baruffato con Panucci e quello del Parma, si dice per una poetica questione di denari. Basterebbe però ricordare

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che Preziosi è ancora radiato per 5 anni per quella piccolezza della partita comprata con il Venezia a colpi di valigie di banconote che è costata al Genoa la serie C. Ma evidentemente questo è un dettaglio, e non deve far ombra “all’ottima stagione dei ragazzi di Gasperini”. Basterebbe anche che si desse l’opportuna evidenza a una notizia che il sito Gazzetta.it mette in scala con quella della rissa appena citata. E cioè che a Firenze l’incontro tra Affrico calcio e Firenze Sud è stato sospeso di comune accordo dai due allenatori per un’altra rissa, ma sugli spalti. Penserete:e dov’è la novità? Beh, forse nel fatto che le squadre erano di “pulcini”, di bambinetti, e a picchiarsi erano “ovviamente” (!?!) i loro genitori. Ha niente a che vedere il video di Panucci con la notizia Fiorentina? Magari sì, voi che ne dite? E che ne pensa la Federcalcio? E il Ministero della Istruzione (che dovrebbe essere ancora pubblica, se stanotte non sono definitivamente cambiate le cose…) è interessato a questo risvolto “pedagogico” dello sport? Eppure basterebbe pensare che il calcio oppio dei popoli dovrebbe “distrarre” dallo stress quotidiano ed invece ne aggiunge dosi fenomenali, e dovrebbe educare alle regole e

al rispetto degli avversari e invece fin dall’erba giovanile fa il contrario, per capire quanto sia sbagliato tutto il movimento. O,come dice Bepi Pillon, quanto sia “malato”. Toh, questa definizione mi è familiare. E chi è Pillon? E’ un uomo di campo, il tecnico dell’Ascoli in B che ha bloccato come in un “fermo immagine” la sua squadra che aveva segnato un gol alla Reggina a sua volta fermatasi per un proprio giocatore a terra tanto da far segnare l’Ascoli. Così Pillon (per cui il New York Times propone l’assegnazione del premio Fair-Play) d’accordo con i suoi giocatori gli ha reso la pariglia e il pareggio. Però poi ha vinto la Reggina, e adesso Pillon sarà nei guai più o meno con tutti. Ipocritamente per lo più il mondo del calcio gli dà ragione, in realtà forse nessuno o quasi l’avrebbe fatto e lui rischia con il proprio club, i tifosi, la Federcalcio che per come la conosco di certo non lo premierà pubblica-

CONTAMINAZIONI Il Mozart di Jovanotti bambini e Mozart. Ma quale Mozart? Quello di Jovanotti, IPorco che si fa chiamare Amadeus ma si firma Cavalier Coda di e proclama: “Se io volessi scrivere tutta la musica che

ho in testa/ Per raccontare un bacio su una chiappa/ Non basterebbero i teatri di Parigi/ Né l’universo fuori da ogni mappa”. Irriverente ma poetico, lo scoppiettante libretto di Lorenzo Cherubini, pubblicato da Einaudi, diventa nuovamente il fulcro di uno spettacolo che coinvolge i più piccoli, li vede protagonisti oltre che spettatori. “La parrucca di Mozart” torna stasera al Teatro comunale di Terni per la stagione 2009 di OperaInCanto (www.operaincanto.it) con la musica di Bruno De Franceschi che usa con parsimonia le citazioni mozartiane si destreggia tra pop, jazz, tanVergogne go e rap. Sulla scena sette ragazzi, pronti a scambiarsi la parrucca del musicista e a impersonare a turno quello on erano ultrà, ma i genitori dei “pulcini” in campo, che il cantautore descrive quelli che domenica si sono messi a litigare ferocemencome “un uomo-bambino te sugli spalti di una partita tra bambini. Non erano ultrà, ma impertinente e giocoso, un lo sembravano. Tanto che i piccoli calciatori, otto anni ma animo imprevedibile, diverpiù sale in zucca, tra lo spavento e la protesta per lo scontro tito e divertente, uno spirito tra i padri hanno deciso di fermarsi. “Stop, noi a giocare così indipendente e libero”. non ci stiamo”! La miccia è stata l’incitamento di uno dei Eterno enfant prodige, il papà-ultrà, che avrebbe voluto vedere in campo più agoMozart di Jovanotti passa nismo e cattiveria. Così la partita tra Affrico e Firenze Sud è dagli scherzi al rifiuto del stata rinviata, per eccesso di imbecillità dei genitori. La di“posto fisso” e rivela ai suoi rigenza della società che giocava in casa, l’Affrico, ieri ha amici: “Il mio segreto è che condannato l’accaduto: “Ci vergognamo, quell’invito a picsono un bambino. Io sono il chiare urlato da un anziano ai nostri bambini non ci apmondo, io suono il mondo!” (Giorgio Cerasoli) partiene”. La partita sarà recuperata, per l’occasione con una festa, meglio se vietata ai “grandi”. (Giampiero Calapà)

IL SENNO DEI BAMBINI CALCIATORI

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mente per la “lectio magistralis” di lealtà sportiva, cioè il fondamento di tutte le carte federali. Così oggi Pillon dubita che lo rifarebbe perché appunto “il calcio è malato”. Dunque anche il suo comportamento commendevole diventa una storia di ordinaria (straordinaria) follia. Nel frattempo classifica corta, e tensioni prenatalizie. Il nu-

Diego Della Valle. In basso, Giuseppe Pillon (FOTO ANSA)

mero di giocatori infortunati cresce a dismisura dimostrando che la strada non è quella di rose sterminate per calendari sterminati ad usum dirittorum televisivorum, bensì quella di una razionalizzazione che nessuno vuole compiere. Gli arbitri sono i soliti, Moggi o non Moggi, se non peggio, Collina verrà comunque lambito dal processo a Calciopoli, le polemiche sono destinate a crescere a dismisura più il campionato è livellato ed equilibrato nelle sue varie fasce di impegno economico e di resa sul campo. Per esempio dopo il viola di San Giovanni, a Roma, che il direttore sportivo della Fiorentina,Corvino, riteneva fosse un omaggio alla città di Firenze, al giglio,alla squadra e in primis ai Della Valle equivocando leggermente, il viola tecnico-tattico sull’erba del Franchi è tornato più che accettabile. Il problema di fondo resta però per la Fiorentina quello posto qui il 4 di ottobre con le domande cui Diego Della Valle aveva promesso per tempo una risposta. Che ancora aspetto. Temo di dovergliele riproporre con vigore, per capire se da grande lo Zapatero italiano vuole somigliare al presidente dell’Inter, Moratti, o a quello dell’udinese, Pozzo. Vanno bene entrambi, basta saperlo e non fingersi Moratti essendo Pozzo. E’ sempre una questione di stile, e di scelte, e di trasparenza di fronte al tifoso che bene tutto o quasi ma non dovrebbe far la fine dell’indiano cui si vende alcool. Perché poi da ebbro combina pasticci. E forse questo calcio non ne avrebbe proprio bisogno. Una bella sortita di chiarezza farebbe tanto bene a ogni piazza, calcistica e non. Ma in questo caso non avrebbe i connotati di una storia o storiella di ordinaria follia, e non sarebbe quindi compatibile con questo calcio “malato” che non sembra voler dar tregua e chiede “rimorsi” e pericolose resipiscenze ai pochi Pillon che invece si comportano bene. Ad maiora, sempre in attesa delle risposte alle domande.

Misteri

BERGAMINI, PARLA GALEAZZI ex calciatore del CosenL’un’intervista za Sergio Galeazzi, in a Cosenza Sport, rivela alcuni particolari sulle ore precedenti alla morte di Denis Bergamini, il giovane centrocampista della squadra calabrese morto in circostanze misteriose il 18 novembre del 1989 che secondo i magistrati e l’ex fidanzata, si suicidò sulla statale ionica 106. “Eravamo – racconta Galeazzi – tutti al cinema Garden di Rende. Denis stava da solo, due file più avanti. Quando si è spenta la luce ed è iniziata la pubblicità, la sala era illuminata

quanto bastava per lasciarmi vedere che Denis si stava alzando. Ho visto con sufficiente chiarezza che lo attendevano due persone. Non so se sono andati via insieme, tuttavia posso affermare con assoluta sicurezza che né Denis né altre persone sono rientrate in sala successivamente. E che è stata l’ultima volta che ho visto Denis vivo”. Galeazzi, mai sentito da magistrati e Cc, rivela il particolare a distanza di 20 anni. Il prossimo 27 dicembre, a Cosenza, si svolgerà una manifestazione per chiedere la riapertura del caso.

Stadio Olimpico “zona franca”: dove tutto è concesso di Alessandro Ferrucci

arate corre sulla fascia, De Rossi lo chiude. Boom! Scoppia la prima bomba carta. Palla a Julio Sergio, rilancia. Boom, e ancora boom! Una dietro l’altra, un continuo: chi è allo stadio si tappa le orecchie o scappa; chi è in campo sa e guarda l’arbitro. Stop. Rizzoli fischia: non si gioca, è la prima volta in campionato. Sei minuti e mezzo di pausa per capire cosa fare, quindi ecco il confronto tra le dirigenze di Roma e Lazio, i rappresentanti del Coni e dell’Aia. Risultato? Una “minaccia” dello speaker: “Nel caso di altre esplosioni, il match verrà definitivamente sospeso”. Per qualche minuto tutto tace. Poi giù botte in Tribuna Tevere: è lì il fulcro della vicenda; è lì che confluiscono gli abbonati laziali di Curva Sud (quella romanista) quando la loro squadra gioca la partitissima fuori casa. È da lì che partono le esplosioni, e vengono a contatto le tifoserie: una zona franca dove tutto è concesso, dove i “cani sciolti” possono anche contravvenire al tacito patto di fratellanza tra ultras giallorossi e biancoazzurri, sancito con la morte di Gabriele Sandri. Tutto salta. Soprattutto le “ferree” norme di sicurezza volute dallo Stato dopo la morte dell’ispettore Filippo Raciti, il 2 febbraio del 2007, alla fine di Catania e Palermo. Da allora sono comparsi i tornelli, i biglietti nominativi, le zone cuscinetto per accedere allo stadio, gli steward e lo stop alle trasferte nelle partite a rischio. Qualcuno ha anche parlato dell’opportunità di vietare la vendita di alcolici. Domenica, in teoria, c’era tutto questo. In pratica no. Chi scrive ha visto i bagarini posizionati a 250 metri dall’Olimpico, con vigili di passaggio e disinteressati; acquirenti italiani e stranieri tranquilli nel mercanteggiare. E ancora bancarellari abusivi con in mano sciarpe, cappellini e Borghetti (un mix di alcol e caffeina); quindi gli scarsi controlli all’entrata dell’impianto e il totale caos per l’assegnazione dei posti: in molti settori vige ancora la regola del chi “prima arriva meglio alloggia”. Quindi il capitolo steward, “importati” dal modello Premier League: domenica ne è stato arrestato uno perché partecipava alle aggressioni in Tevere; i “migliori” erano più interessati al match. Dall’Inghilterra possiamo giusto dire di aver acquisito il gusto per la birra, visti i quantitativi venduti all’interno dell’Olimpico. Quindi la ciliegina degli scontri, con celerini impegnati dentro e fuori lo stadio, con cariche e arresti. Un signore ci ha detto: oltre allo stadio, in quale altro luogo è possibile vendere senza ricevuta, acquistare illegalmente, partecipare a una rissa, aggredire e fumare liberamente droga? Nessuno, solo qui: basta poi pagare una multa di 40.000 euro senza squalifica del campo.

Z


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SECONDO TEMPO

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TELE COMANDO TG PAPI

Par condicio e omissioni di Paolo

Ojetti

g1 Nel rispetto della sua particolare par condicio, cioè nel non dare le notizie da qualsiasi parte esse provengano, il Tg1 racconta che la nuova Finanziaria è un successo che ora il Parlamento, tutto arzillo, si prepara a votare. Non c’è una sola parola di verità in questo resoconto. La maggioranza si è “blindata”, nemmeno sa bene cosa voterà, solo per la ragione che litigavano come pazzi fra pidiellini, leghisti e cani sciolti in gara ad azzannare l’osso. Adesso – altra bugia spaziale – pare che il governo intenda “porre la fiducia” per bloccare l’ostruzionismo dell’opposizione: mica vero, lo fa solo perché il governo non vuole rischiare di finire impallinato come un colabrodo nel segreto dell’urna. Proprio per “par condicio” omissiva, viene cancellato

T

ogni riferimento al Partito democratico e ai suoi guai, dopo la manifestazione di sabato. C’è chi fugge, chi accusa Bersani, chi piange in un angolo, chi cerca il “dialogo”. Ma il Tg1 chiude un occhio. Anzi, due. Tanto c’è il clima. Che è pessimo. g2 T Rispetto a un Tg1 così malridotto, brilla anche il Tg2. C’è molto disordine sotto il cielo e potrebbe essercene ancora di più. Il primo allarme è di Napolitano, a 40 anni dalla strage di Piazza Fontana e – come una replica di quegli anni caldi -ecco che la “mondanità” che si ritrova alla Scala è circondata dai disoccupati e da chi il lavoro sta per perderlo perché le fabbriche chiudono i battenti. Mancano gli studenti, gli intellettuali sempre pronti che tanto spiacevano a Pasolini e le uova marce sulle pellicce, ma le scene sono simili e al-

trettanto drammatiche. Il disordine si estende nel Palazzo: Fini contro la Lega (“vogliono il presepe, ma guardate che è pieno di extracomunitari”), la Lega Nord contro tutti dopo aver colpito “quell’Imam” del cardinal Tettamanzi. Dove sono finite le intese, il dialogo, le riforme condivise? g3 T Hugo Pratt ci ambientò il suo capolavoro, “La ballata del mare salato” e adesso le isole Fiji stanno per scomparire, sommerse da un mare caldo e malato. Piange a Copenhagen la rappresentante dell’arcipelago e il Tg3 (pregevole il servizio di Riccardo Chartroux) punta tutto sul vertice mondiale del clima. Il secondo servizio passa, come un immaginario aereo, sul pianeta in declino. Vengono alla mente i film catastrofistici, i racconti di fantascienza sul “dopo”, il dopobomba, la natura che prolifica e divora per riprendersi ciò che le fu tolto, i vulcani e i terremoti, la fine delle energie dinamiche, l’entropia che tutto immobilizza. Troppo apocalittico, il clima impazzito che è il quinto cavaliere non fa riflettere: terrorizza e viene esorcizzato. Questo è l’errore.

di Fulvio Abbate

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Rikki e Vikki, gemelle Mtv

’altro giorno al No B. Day, sul palco di piazza Lmusicale San Giovanni, c’era, fra gli altri, un gruppo composto da quattro ragazzi che, simpaticamente, suonava un pezzo dove nel refrain si ripeteva “viva la foca, via la foca”, come già nell’eponimo film del 1982 con Lory Del Santo, che non è certo Simone Weil, ma anche con Victor Cavallo, grande attore e autore di se stesso, che seppe essere invece il Charles Bukowski di Trastevere. Quel brano ha però mandato su tutte le furie una “compagna” che stava lì a vendere libri di storia e politica su un banchetto dov’era anche visibile un bel poster di Rosa Luxemburg. Inutile cercare di spiegare che si trattava di giovani, e che l’ironia, sarà pure l’arma del disincanto e della sconfitta, tuttavia serve talvolta per non precipitare nella botola della muffa. Quella però, niente. Ha, anzi, ribattuto: ma allora noi diciamo le stesse cose di Berlusconi! Al momento di andare via mi sono ricordato che fino a qualche anno fa un certo contingente di ragazzi, non tutti da buttare via, veniva definito “Mtv generation”. Certo, non c’era ancora il Web in modo così pervasivo, ciononostante il canale musicale giovanile ha Rikki e Vikki, le gemelle segnato un bel pezzo “bisessuali” del di costume giovanile. programma di Mtv Anche televisivo. Lì presente, come il monolite di “2001 odissea nello spazio”, monolite sonoro, in questo caso: un’immensa cassa che lancia musica, suono, ritmo, messaggi, mode, tendenze, sesso. Rieccomi allora davanti a Mtv, per scrupolo, puro scru-

polo. Dov’ero rimasto? Innanzitutto alle riflessioni modello base sul canale, ossia che nessuna televisione al mondo possiede gli stessi colori di Mtv. Fluorescenti, acidi, acuminati, e anche un po’ lisergici. E guai se così non fosse: non può affidarsi certo al flou delle pubblicità timorate (merendina o assorbente, fa lo stesso) un’emittente che abbia la pretesa d’essere pura vita, emozione, un dépliant dei gusti perfino emotivi. Per questa ragione, Mtv merita di esistere, e tutto il resto è puro sofisma, nient’altro che luogo comune intorno all’esistenza delle masse giovanili e del loro bisogno di merci. Così pensavo. Finché mi sono imbattuto nel semplice promo di “A double shot at love”, che raccoglie sogni e soprattutto desideri, testualmente, delle “gemelle bisessuali Rikki e Vikki in cerca d’amore”. Facciamo però parlare le note ufficiali: “E’ il reality show che vi terrà incollati allo schermo. Nato come spin off di Tila Tequila, il programma ha come protagoniste le gemelle Ikki, ovvero Rikki e Vikki, affascinanti, vincenti, entrambe bisessuali”. E ancora, affinché il sortilegio, il rapimento mediatico sia assoluto: “Le gemelle hanno un lunga fila di corteggiatori, da una parte uomini e dall’altra donne, con tutte le varie storie sessuali e sentimentali connesse, intrecci e colpi di scena tra accuse e smentite, eliminazioni e promozioni”. Due scatole, occupate rispettivamente dai maschi e dalle femmine. Lì in attesa, come i ranger in vista di Omaha Beach durante il D-Day, che si apra il portellone dell’anfibio e allora non resta che conquistare terra. Lassù, al posto delle mitragliatrici tedesche le bionde Rikki e Vikki, quanto al resto è ordinario luogo comune, perfino nei gesti, nei baci con o senza lingua. Vuoi proprio saperlo adesso da chi è stata vinta la guerra? Dalla foca. (www.teledurruti.it)


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SECONDO TEMPO

MONDO

WEB

Il Fatto: il più amato online dalla sua nascita, il Fatto FlogoinQuotidiano ha aperto un diafitto e ricchissimo con il popolo della Rete. Consideriamo Internet uno spazio di democrazia che merita di essere raccontato ogni giorno e con il quale è utile e proficuo confrontarsi. Ciò detto stupisce ugualmente il seguito di cui la nostra testata gode presso il popolo della Rete, come dimostra una studio commissionato da Italia Oggi (una fonte, tra l’altro, non tacciabile di simpatia aprioristica nei nostri confronti) . Come racconta Andrea Secchi, di Italia Oggi, “Il Fatto si conferma un fenomeno anche in Rete”. “La società Act Value – aggiunge Secchi – ha creato un software per il monitoraggio di ciò che viene detto sul Web: il Reputation Manager (reputazioneonline.it) e ha fatto per Italia Oggi un lavoro di analisi proprio sui commenti degli internauti su cinque testate (...) indicando la percentuale di sostenitori e detrattori, la forza che mettono nei loro commenti, i social network dove è maggiore o minore la loro popolarità”. Ebbene, per Il Fatto è un trion-

LO SPORT

I FILM SK1= Cinema 1 SKH=Cinema Hits SKMa=Cinema Mania

fo. Come si vede nel grafico a destra, il nostro giornale per quanto riguarda i commenti delle testate, raggiunge il 90 per cento dei commenti positivi, e il 10 per cento di quelli negativi (percentuali speculari a quelle de Il Giornale di Vittorio Feltri). Ottimi i commenti anche su Facebook, dove Il Fatto si avvicina al 90 per cento di commenti positivi, e così per YouTube: sul portale di video i commenti negativi quasi scompaiono. Va precisato che questa analisti è stata realizzata fino al 30 settembre, ovvero a una settimana dall’esordio del nostro giornale. E’ anche vero che l’attività di Antefatto, una sorta di “antipasto” del nostro giornale era partita già da metà luglio. C’è da augurarsi che il nostro giornale continui a meritare questo ampio consenso. Ma viene da chiedersi, non sarà anche che alla Rete piace l’informazione libera?

SKF=Cinema Family SKM=Cinema Max

18.15 Il socio SKH 18.30 Sex and the City - Le ragazze sono tornate SK1 19.00 Piume di struzzo SKMa 19.20 Qualcuno come te SKF 19.25 L anello di Fuoco SKM 21.00 Quando tutto cambia SKF 21.02 Ring of Death SKM 21.05 La fiera della vanit SKMa 21.07 Il cosmo sul com SK1 21.19 Parlami d amore SKH 22.35 Zombie Strippers SKM 22.50 Get over it SKF 22.50 Zohan - Tutte le donne vengono al pettine SK1 23.20 Bachelor Party 2 - L ulSKH tima tentazione 23.30 Il pianeta delle scimmie SKMa 0.20 Dirsi addio SKF 1.00 In viaggio per il SK1 college 1.10 L incubo di Joanna Mills The Return SKH 1.30 Sin City SKMa 2.00 Vacanza in Paradiso SK

SP1=Sport 1 SP2=Sport 2 SP3=Sport 3

17.00 Calcio, Serie A 2009/2010 Anticipo 15a giornata Milan Sampdoria (Sintesi) SP1 17.30 Serie A 2009/2010 Anticipo 15a giornata Juventus - Inter (Sintesi) SP1 18.00 Basket, Serie A maschile 2009/2010 9a giornata Ferrara Virtus Bologna (Sintesi) SP2 18.15 Calcio, Liga 2009/2010 13a giornata Athletic Bilbao Valencia (Replica) SP3 20.41 Champions League 2009/2010 Fase a gironi 6a giornata Zurigo - Milan (Diretta)SP3 20.41 UEFA Champions League 09/210 Fase a gironi 6a giornata Juventus - Bayern Monaco (D) SP1 22.03 Basket, NBA 2009/2010 Utah - San Antonio (Replica) SP2 22.45 UEFA Champions League 2009/2010 Fase a gironi 6a giornata Juventus - Bayern Monaco (Replica) SP3 0.45 Calcio, Bundesliga 2009/2010 Bayern Monaco Borussia Dortmund (Replica) SP3

RADIO Radio1 “Con parole mie” Seneca e gli Elogi Umberto Broccoli apre anche la puntata di “Con Parole mie”,partendo dalle “Lettere morali a Lucilio”di Lucio Anneo Seneca: lettera 59, libro VI sul compiacimento di un elogio.A seguire, lo stralcio di un testo dello storico latino Ammiano Marcellino. Quindi, le parole di Lucio Anneo Seneca.“Complimenti ipocriti”, sarà epigramma proposto del poeta latino Marco Valerio Marziale. Nella rubrica realizzata in collaborazione con Rai Teche –“Voci di grandi personaggi della radio”, la voce di Vittorio De Sica che, parlando del film “L’oro di Napoli”, fa un elogio alla fafolosa città di Napoli e ai napoletani, popolo ricco di intuizione creativa. In chiusura, versi da “Ricordi”, opera dell’imperatore Marco Aurelio

Radiouno 14,08

è TORNA “GIUDIZIO UNIVERSALE” IL SITO ONLINE CON “RECENSIONI” E CONTRIBUTI ILLUSTRI

Giudizio Universale è stato in edicola fino al novembre 2008. Accoglieva al proprio interno recensioni a 360 gradi: dai libri, ai film, alle cabine telefoniche. Ora si ripresenta sotto un nuovo formato: un sito Internet di Federico Mello all’indirizzo giudiziouniversale.it. Sul sito troveranno spazio “recensioni su ciò che è rilevatore del nostro tempo” e “i contributi pubblicati saranno di grandi e autorevoli personaggi italiani e stranieri desiderosi di contrastare la deriva di è BANDA LARGA SENZA FONDI ignoranza e inciviltà che ormai attraversa il DAL CIPE NESSUNA DISCUSSIONE paese”. “La cultura – aggunge il direttore Sulla banda larga è in atto una perfetta Remo Bassetti – la politica e la solidarietà commedia italiana: tutti vogliono lo sblocco sono quelle che mancano, tutte insieme, dei famosi 800 milioni, ma il Cipe, rimanda quando si sono dimenticati gli altri”. ancora la decisione: “Nonostante la risoluzione bipartisan approvata il 1° dicembre – scrive Guido Scorza sul suo blog – le promesse del ministro Brunetta e le rassicurazioni del ministro Scajola, anche l’ultima seduta del CIPE, il 3 dicembre, si è conclusa senza neppure che la questione venisse affrontata”.

Sopra, il grafico di Italia Oggi. A sinistra, il blog di Guido Scorza, Maicol del Gf, Guidizio Universale, Sarx88 per Il Fatto.

GRILLO DOCET NO B. DAY

Berlusconi ha i giorni contati, preparate lo spumante. Ma gli altri? I suoi luridi fiancheggiatori? Quelli ce li dobbiamo tenere? Eliminato il ratto che ci ha contagiato, dovremo convivere con la peste bubbonica? Il No B. Day va intestato ai partiti e all’informazione. Berlusconi è l’effetto, non la causa della degenerazione del paese. Se non interveniamo sulle cause, la metastasi continuerà. Il No B. Day va intestato a tutti i signor B. di questo paese, da Bondi a Bersani, da Bonaiuti a Bassolino a Bossi. Dobbiamo liberarcene con la ramazza. Stanno preparando la successione. I compagni di porcate di Berlusconi sono in tutto l’arco costituzionale, in tutti i giornali pagati dalle nostre tasse. Si stanno mettendo d’accordo. Nel 2008 a piazza Navona il mio discorso, quello di Travaglio, della Guzzanti, di Antonio Di Pietro vennero tacciati come eversivi dal Pdmenoelle e da molte anime belle che sono oggi in sfilata. Veltroni che appoggia il No B. Day chiese allora a Di Pietro di rientrare nel recinto razionale e riformista... Molti inciucisti si accodano alla manifestazione come se non fosse successo nulla. Non erano presenti in aula per lo scudo fiscale come la fata turchina Melandri, ma protesteranno vigorosamente contro Berlusconi. Potevano fare cadere il governo con il voto di fiducia, ma indosseranno un fazzoletto viola. Morto Berlusconi se ne fa un altro, si chiama Fini, ha l’appoggio della Confindustria, viene venduto come la vera anima della sinistra. Un signore che sa tutto di Berlusconi, Dell’Utri, Previti e ha mangiato nel loro piatto per QUINDICI ANNI. Il futuro è già disegnato a tavolino da D’Alema e dagli orfani di Berlusconi. Lo stanno è UN RAPPORTO GAY AL GF? seppellendo IL BLOG: PIÙ AVANTI DELLA POLITICA vivo. Lo Il Grande Fratello, il famoso reality show, psiconano va anche quest’anno ha l’attenzione del pubabbattuto come blico generalista (anche se ancora non ai simbolo, ma poi livelli degli scorsi anni). I concorrenti, cobisogna finire il me al solito, sono “per tutti i gusti”: dal lavoro. Altrimenti ci simpatico palestrato barese, al bellone toccherà campione di gaffe, passando per la tipa rimpiangerlo. rock, a quella più sensuale. Campione del

è CLIMA: LO SCANDALO-MAIL C’È LA MANO DEI SERVIZI RUSSI? Si è molto parlato, anche in questa rubrica, dello scambio di mail tra due climatologi intercettato da un pirata informatico. Le mail in questione, dimostrebbero una manipolazione dei dati al fine di aumentare le responsabilità umane nel riscaldamento globale (gli studiosi smentiscono). Ora, un’inchiesta del Mail on Sunday ha rivelato che le e-mail al centro del “Climategate” sono transitate da un server russo, e il settimanale avanza il sospetto che dietro lo scandalo ci siano i servizi segreti di Putin. La Russia, in effetti, è uno dei maggiori produttori di gas e petrolio, e avrebbe numerosi interessi a contrastare un nuovo accordo per il taglio delle emissioni: il Cremlino ha già minacciato di abbandonare i negoziati di Copenaghen se al Cremlino non verranno fatte alcune concessioni.

televoto, quest’anno, è anche un gay dichiarato: Maicol, di 22 anni. Negli ultimi giorni, Maicol ha sviluppato con un altro concorrente un legame che potrebbe sfociare in un vero e proprio rapporto. A proposito, Metilparaben, un blog molto attento ai temi civili, lancia una provocazione: “la cosiddetta tv spazzatura, sia pure allo scopo di fare audience, propone in prima serata temi che nessun altro osa trattare”. E aggiunge: “Su determinati argomenti il Grande Fratello finisce per dimostrare più inventiva, coraggio e sensibilità nei confronti dell’opinione pubblica rispetto ai partiti che pretendono di rappresentare, a chiacchiere, il comune sentire del paese”.

feedback$ è ANTEFATTO Commenti al post: “Cosa Nostra e cose loro” Ho letto con attenzione la lettera scritta dall’assistente capo della polizia Antonello Marini e credo che le sue parole si commentino da sole. Ma c’è una cosa che non capisco: come abbiamo fatto a ridurci così? (Stella di mare) Bossi vuol rivedere la legge sui pentiti, guarda caso dopo che Spatuzza ha parlato, guarda caso dopo la cattura a “orologeria”, come direbbe l’inetto Gasparri o Lupi o Capezzone il vergognoso, di due mafiosi. A quanto pare Bossi ne sa più di Spatuzza... (Andream) E’ grazie a uomini come Marini che ancora nel mio cuore nutro un fievole motivo di speranza per la nostra società. Ha detto tutto e chiaro e vorrei che arrivasse a lei questo mio stupido post, che vorrebbe solamente farle capire che c’è gente che la pensa come lei. Grazie (Max) Il ministro Maroni non ha ancora fornito le dovute spiegazioni per i tagli brutali (l’aggettivo corrisponde alla realtà) che Lui ha accettato di praticare sui capitoli di spesa della polizia di Stato. Risulta incoerente il messaggio che, da un lato, proclama più sicurezza e, dall’altro, priva dei necessari mezzi economici chi deve tutelare l’ordine (Paolo) Da piangere, in tutti i sensi, per loro e per noi. Povera Italia (Trizia) Mi auguro che il ministro Maroni faccia qualcosa di concreto per proteggere i fedeli servitori dello Stato come Marini e tutti gli agenti delle scorte che rischiano la vita tutti i giorni, spesso nell’indifferenza e nell’ingratitudine di molti Italiani. Grazie davvero per tutto quello che lei e i suoi colleghi fate per noi (Moniflor) Le persone che indossano fieramente e degnamente la divisa di forze dell’ordine dovrebbero essere composte solo di italiani di pregiato stampo e devono essere sostenute dalle istituzioni! Forse accadrà quando le istituzioni saranno rappresentate da persone altrettanto degne… (Dreamdust) Spero vivamente che in una eventuale prossima manifestazione o protesta i poliziotti schierati a bloccare i manifestanti si voltino e facciano sentire la loro voce, assieme alle altre, contro questa classe politica che sta mandando in pezzi l’Italia (Marco) E’ immondizia il governo, ed è immondizia tutta la politica (salvo rarissime eccezioni). I limiti li hanno superati tutti, parlare di morale, di etica, di coscienza, di responsabilità è come sfogliare un libro di barzellette (Marcella)


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SECONDO TEMPO

noi&loro

PIAZZA GRANDE

É

RUTELLI, MARCIA SU PARMA C

Mr B. alla corte d’Europa di Bruno Tinti

&C sembrano inconsapevoli di vivere in Europa; e quindi sembrano ignorare che esistono la Corte di Giustizia (CG) e la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Sicché B&C non sanno che, se la CG dice che una legge italiana contrasta con i principi del diritto comunitario, il giudice italiano è tenuto a disapplicare la legge italiana e applicare la norma comunitaria (dove c’è); ovvero interpretare la legge italiana alla luce dei principi di diritto comunitario. Per dire, se la CG avesse deciso che il falso in bilancio by Ghedini era in contrasto con la normativa comunitaria (come aveva sostenuto la Commissione europea che svolgeva le funzioni di pubblico ministero in quel giudizio), B&C se la sarebbero vista brutta. Non è andata così; e stanno ancora ringraziando i loro santi protettori. Sempre per via di questa ignoranza, B&C non prestano molta attenzione alle sentenze della Cedu, istituita dalla Convenzione dei diritti dell’uomo di Roma del 1950. La Cedu, a differenza della CG, giudica direttamente delle controversie tra cittadino e Stato, quando un cittadino sostiene che una norma dello Stato, applicata in un processo dal quale ha ricevuto un danno, è contraria alla Convenzione dei diritti dell’uomo. Per esempio, il cittadino di uno Stato ritiene di aver avuto torto in un giudizio perché è stata applicata una legge che è in contrasto con la Convenzione dei Diritti dell’uomo; fa ricorso alla Cedu e questa può dargli ragione e condannare lo Stato al risarcimento dei danni. E’ poi quello che è avvenuto con i crocifissi nelle aule scolastiche. A differenza delle sentenze della CG, quelle della Cedu valgono solo per il caso in relazione al quale sono state pronunciate. Però, è questo il punto che conta, in tutti i processi in cui entrino in gioco i principi affermati in una sentenza Cedu, il giudice italiano dovrà sollevare eccezione di illegittimità costituzionale delle leggi che contrastano con questi principi; e la Corte costituzionale, dopo aver valutato se si controverte davvero di un caso in cui sono rilevanti i principi stabi-

B

“Lo Stato non può interferire sulla giurisdizione, introducendo in corso di causa nuove regole che influenzino la decisione a favore di una parte”: che ne sarebbe dei processi del premier? liti dalla Cedu, e se la legge italiana è davvero in contrasto con questi principi, dovrà dichiarare l’incostituzionalità della legge italiana. el 2006 la Cedu ha emesso una Ntadino sentenza che, dal nome del citche era parte nel processo, è conosciuta come sentenza Scordino; si trattava di un caso di espropriazione e di relativo indennizzo. La Cedu dette ragione a Scordino e torto allo Stato italiano perché, così disse, “lo Stato non può interferire sulla giurisdizione, introducendo in corso di causa nuove regole che influenzino la decisione a favore di una parte” (par. 126, 128, 129). Aggiunse che non può una legge, sopravvenuta in corso di giudizio, modificarne le procedure, incidendo sulla decisione finale (par. 130); questo perché i principi della prevalenza del diritto e del giusto processo impediscono al potere legislativo di ingerirsi nell’amministrazione della giustizia e di influenzarne le decisioni (par. 126). Secondo la Cedu, dunque, non è lecito che lo Stato emani leggi che si applicano anche ai processi in corso, se il loro effetto è quello di pregiudicare i diritti di una delle parti del processo a danno di un’altra. Che ne è, a questo punto, delle leggi emanate da B&C mentre erano in corso i processi a carico di B? Processi che si sono conclusi in modo diverso da come sarebbe avvenuto se fossero state applicate le leggi in vigore quando erano cominciati. Per esem-

Trasporti, regole impossibili di Marco Ponti

a regolazione delle infrastrutture di trasporto in Italia: ovvero ciò che nessuno vuol fare. Le infrastrutture di trasporto a pagamento (autostrade, porti, aeroporti, ferrovie) sono “monopoli naturali”, cioè non possono essere affidati al mercato e alla concorrenza. Infatti, se le gestioni sono pubbliche tendono a generarsi extracosti (gestioni clientelari e inefficienti), se sono private tendono a generarsi rendite di monopolio (prezzi molto superiori ai costi). La regolazione pubblica deve tutelare gli utenti o i contribuenti, nel caso di infrastrutture sussidiate, da queste inefficienze. Per raggiungere questo

L

scopo si costituiscono autorità indipendenti, come nel caso dell’energia o delle telecomunicazioni (anche la tutela della concorrenza avviene mediante una autorità indipendente). Ma perché non possono provvedervi direttamente i ministeri competenti, senza creare nuovi (possibili) “carrozzoni”? I decisori eletti, e di conseguenza i ministeri, in questi casi, sarebbero particolarmente soggetti a un fenomeno noto come “cattura”, cioè la capacità delle imprese regolate di imporre i propri obiettivi (rendite, inefficienze) alla sfera politico-amministrativa. Si pensi ad assunzioni clientelari in prossimità di elezioni, a investimenti di dubbia utilità ma politicamente graditi, o ancora a

pio, i processi per falso in bilancio, frode fiscale, corruzione a carico di B (assolto per prescrizione) sarebbero terminati con una condanna senza le leggi sul falso in bilancio by Ghedini e sulla prescrizione by ex Cirielli; e le parti offese di quei processi (tra cui lo stesso Stato italiano) avrebbero avuto diritto ai relativi risarcimenti. Per esempio, i processi Mills e quello per i diritti Tv, senza il lodo Alfano, non sarebbero stati sospesi per B e oggi, almeno nel primo processo, B. sarebbe stato condannato (anche in Appello), con conseguente risarcimento dei danni a favore delle parti offese. Per esempio, senza il “processo breve” (se mai arriverà) B. non se la scamperebbe da questi processi. Ecco, applicando i principi imposti dalle sentenze Cedu (la decisione Scordino è stata ripresa dalla Cedu in molte altre sentenze successive, tutte terminate con la condanna dello Stato italiano), dovrebbero verificarsi queste due conseguenze. Per i processi a carico di B. ormai conclusi con sentenza definitiva (la prescrizione o “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”) le parti offese potrebbero ricorrere direttamente alla Cedu chiedendo che, in applicazione del principio esposto nella sentenza Scordino, lo Stato italiano sia condannato al risarcimento dei danni che non hanno potuto richiedere a B. In pratica, ogni cittadino italiano sarebbe legittimato a lamentare la diminuzione delle entrate tributarie conseguente alle frodi fiscali commesse da B. per le quali è intervenuta la prescrizione; oppure i soci di minoranza delle società di B. potrebbero chiedere i danni derivanti dai falsi in bilancio prescritti. Quanto ai processi a carico di B. ancora in corso, che (forse) saranno interessati dal “processo breve”, il giudice italiano potrà sollevare eccezione di illegittimità costituzionale, oltre che per tutte le ragioni già evidenziate su Il Fatto Quotidiano e da insigni giuristi, anche per contrarietà della legge ai principi esposti dalla Cedu. Resta un problema. La Cedu ha affermato che non si possono introdurre in corso di causa nuove leggi; però lo si può fare quando esse rispondono a un interesse collet-

tivo (par. 131). Insomma, la nuova legge, che influisce su un processo in corso, non deve essere emanata nell’interesse di una sola persona (o di un gruppo di persone); però, se risponde a un interesse generale, allora va bene. Ora è vero che B&C hanno una faccia di tolla che gli ha consentito di presentare le 18 (mi pare) leggi ad personam finora emanate come necessitate da esigenze del Paese intero; perfino il “processo breve”, è scritto nella relazione al disegno di legge, “intende attuare il principio della ragionevole durata dei processi, sancito sia nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6), sia nella Costituzione (art.111)”. Ma si può escludere che la Cedu si beva queste frottole, soprattutto dopo l’improvvida dichiarazione di Alfano, che ha spiegato al Parlamento che il “processo breve” interesserà solo l’1 per cento dei processi, con ciò escludendo esplicitamente qualsiasi interesse generale. E lo sputtanamento che ne deriverebbe non sarebbe una delle meno significative conseguenze di una sentenza che dicesse, finalmente: “B&C la debbono piantare di risolvere i processi penali di B. con leggi che danneggiano l’Italia”.

semplice corruzione. Di questo si è dibattuto in un recente seminario al Politecnico di Milano. Dal vivace dibattito, che ha coinvolto regolatori, regolati e studiosi, sono emersi tre temi fondamentali: il primo è che attualmente la regolazione del settore appare del tutto erratica e dettata dai più vari interessi politici contingenti, con vistosi fenomeni di “cattura”. Questa situazione, si badi, risulta danneggiare anche le imprese regolate, che non possono contare su un quadro certo di riferimento per definire strategie gestionali e di investimento. Per esempio, si sono bloccate le tariffe ferroviarie e quelle aeroportuali per un lungo periodo senza tener affatto conto di chi fosse più o meno efficiente o quale servizio perdesse di più. Le ragioni dichiarate erano connesse, per le ferrovie, a indimostrabili effetti antinflazionistici (più verosimilmente elettorali) e per gli aeroporti al salvataggio di Alitalia (che poi comunque ha richiesto ben altro sostegno di soldi pubblici).

Un secondo tema fondamentale concerne poi la regolazione degli investimenti, aspetto a tutt’oggi ostico persino per la teoria economica, e ovviamente tanto più per la prassi. Per esempio, gli investimenti ferroviari sono quasi tutti pagati e decisi dallo Stato centrale, quelli aeroportuali dovrebbero invece autofinanziarsi (cioè essere pagati dagli utenti con le tariffe), ma ancora non è stato deciso quali e come (i “contratti di programma” con i concessionari non sono stati ancora firmati e si sono solo recentemente alzate le tarif-

Francesco Rutelli

IL FATTO di ENZO

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Non esiste la doppia morale, per i laici e soprattutto per i cattolici: una per i cittadini e una per gli onorevoli, magari solo di nome. Da “Strettamente personale” del 24 febbraio 2000

di Maurizio Chierici

hissà perché Rutelli ha scelto Parma per far nascere Alleanza per l’Italia. Si torna sempre sul luogo del delitto e nella piccola città lontana dai fasti di Roma, sei anni fa aveva organizzato l’assemblea costituente della Margherita. Assemblea dalla quale Parisi era scappato in treno. Bisogna dire che Parma è diventata spazio di rilancio per onorevoli in ombra. Nella montagna di Berceto, Irene Pivetti ricomincia con la politica smettendo di ballare sotto le stelle: assessore di un sindaco compromesso dagli scheletri delle sue case che immalinconiscono le villeggiature. Ad accogliere il Rutelli anti Berlusconi, otto anni fa una folla immensa lo abbraccia alla stazione sfidando i sorrisi di compassione della giunta comunale dominata da Forza Italia, sindaco Elvio Ubaldi, ex Forze Nuove, sinistra dc. Potentissimo fino a quando sostenuto da giornali e tv di imprenditori felici per gli affari che inauguravano la sua città cantiere. Passano gli anni, i lavori non concludono. Addio al metrò, fata morgana in un posto da attraversare sui pedali della bici. Scavare sotto i palazzi della storia fa girare centinaia di milioni; pazienza se mancano i viaggiatori che la contabilità pretende. La crisi seppellisce l’utopia: comune in profondo rosso, città salva. Il sindaco Vignali, alfiere della lista Parma con Ubaldi, tradisce il “ maestro di vita “ e rinuncia all’opera magna. E i binari della metropolitana dividono gli imprenditori ai quali è affidata la scelta del primo cittadino. Formaggio, pasta e prosciutto non vogliono disastri se le tasche sono vuote, ma i signori del mattone non mollano il povero sindaco quando fa sapere che nessuno correrà sotto terra. L’ombra del vecchio maestro lo accusa di tradimento. Allora, perché Rutelli raduna i profughi democristiani nella città inquieta? Forse male informato sulle ex fortune dell’Ubaldi che lo imita nel valzer delle alleanze. Vite quasi parallele di chi se perde scappa. Rutelli segretario Partito radicale, Rutelli fondatore dei Verdi Arcobaleno, Rutelli che organizza la Margherita, Rutelli vicepresidente di Prodi e vice Veltroni nel Pd, Rutelli che abbraccia Casini. Ubaldi lo insegue con la modestia della provincia. Era un politico di seconda linea quando diventa prodotto Parmalat. Sponsorizzato per onorevole: non ce la fa. Messo in caldo come sindaco, trionfa: appoggio pubblicitario 5,3 volte superiore al budget degli avversari. Nasce la città cantiere, nasce, soprattutto, un protagonista delle tv locali adorato dagli imprenditori. Ma quando perde la prima poltrona il glamour scolorisce; media dei potenti che lo trascurano. Scioglie “Parma per Ubaldi” non sopportando l’allievo sindaco. Si infila nella Rosa Bianca. Purtroppo il tribunale proibisce il simbolo rubato, dalla furbizia della cucina politica alla tragedia dei martiri impiccati dai nazisti. Prova alla Camera con Casini: pochi voti. Suggerisce un movimento regionale, robetta. Ecco Rutelli che gli apre l’ultima speranza di essere utile al paese. Nel raduno degli antichi incensi Dc, Tabacci è figura dominante. Come tutti ha frequentato devotamente Parmalat. E imprenditori bresciani, sgualciti da Mani Pulite, si aggrappano al suo nome per costruire supermercati nelle periferie più costruite d’Italia. Insomma, sta nascendo qualcosa di nuovo. mchierici2@libero.it

fe in modo assolutamente arbitrario per finanziare proprio tali investimenti). Gli investimenti autostradali in larga misura sono stati a carico degli utenti anche se le nuove autostrade recentemente approvate beneficiano di finanziamento pubblico per percentuali a due cifre. Tuttavia vi è la diffusa impressione che i decisori reali delle opere siano i concessionari, come per gli aeroporti, e spesso per ottenere il prolungamento senza gare di lucrose concessioni. Inoltre ai concessionari autostradali maggiori basta un piccolo aumento delle tariffe per finanziare opere anche di dubbia utilità (gli utenti sono numerosissimi), mentre quelli minori dovrebbero richiedere aumenti tariffari enormi, e quindi spesso hanno bisogno di denari pubblici per finanziare i loro investimenti, al di fuori di ogni logica economica. Un terzo tema, infine, riguarda le tecniche di regolazione sia per quanto riguarda le tariffe, sia le modalità di accesso alle infrastrutture (che non devono essere discriminanti), sia i meccani-

smi e la durata delle concessioni. Queste ultime sono in generale lunghissime, anche se l’Antitrust ha più volte – invano – richiamato la necessità di renderle più brevi per aumentare la concorrenza negli affidamenti. In quella sede è stato discusso un disegno di legge per l’istituzione di una Autorità indipendente dei trasporti, elaborato dal senatore Luigi Lusi, che tuttavia non sembra abbia sbocchi concreti. Constatata la pertinace e bipartisan volontà politica di non creare un’autorità indipendente (invisa, con poche lodevoli eccezioni, sia ai decisori politici “catturati” sia alle imprese che dovrebbero essere regolate), dal convegno è emerso che affidare temporaneamente agli uffici di regolazione dell’Antitrust, che già esercita un forte ruolo di supplenza nel settore (finora inascoltato perché privo di capacità sanzionatorie), si presenta probabilmente oggi come l’unica soluzione percorribile, con bassi costi e molta autorevolezza ottenuta “sul campo”.


Martedì 8 dicembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL Noi, onda viola, chiamati “amici di Spatuzza” A Roma io c’ero e me ne vanto. E’ stata una manifestazione grandiosa, una di quelle che non si possono dimenticare. Era libera da partiti e da padroni, pulita, energica, pacifica, appassionata. Era come me. Eravamo giovani, ma non solo. Accanto avevo una splendida signora anziana che portava con fierezza le sue rughe e i suoi ricordi. Ho 30 anni, sono partita da Asti in pullman con altri ragazzi come me, età diverse, fedi diverse, lavori diversi, ma con un unico grande sogno, un mondo fatto di gente come noi, un mondo fatto da gente pulita e onesta. Noi parliamo ma non urliamo, noi ci confrontiamo ma non discriminiamo. Noi sappiamo ascoltare e ci piace imparare. Sapete come ci ha descritti quel servo di Feltri sul Giornale? “Gli amici di Spatuzza”. E’ inaccettabile, possibile che non ci sia un organo di vigilanza che sia in grado di evitare un abominio del genere? Abbiamo brandito le agende rosse di Borsellino, avevamo cartelloni che dicevano “Il vostro eroe è Mangano. I nostri eroi Falcone e Borsellino”. Urlavamo “Fuori la mafia dallo Stato”. Inneggiavamo alla giustizia e all’uguaglianza di tutti i cittadini. Non voglio essere definita “amica di Spatuzza”. Voglio che Feltri mi guardi in faccia, mentre lo dice. Voglio che guardi in faccia ciascuno di quei giovani che sono scesi in piazza, che si sono

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LA VIGNETTA

mi sento profondamente offesa da quella definizione. Perché in Italia il reato di diffamazione viene sempre e solo usato per parare il fondoschiena a certi personaggi? Davvero, sono disgustata. Disgustata da questa manipolazione continua delle notizie, disgustata per essere insultata se la penso diversamente da qualcun altro, disgustata per dovermi giustificare se chiedo onestà e giustizia. Mio papà mi ha sempre insegnato a combattere per i valori in cui credo, a non accettare soprusi, a difendere i più deboli. Sarò in grado di fare altrettanto con mio figlio? E’ troppo sperare di crescerlo in un mondo libero? P.s. Su Facebook è nato il gruppo “Quere-

IL FATTO di ieri8 Dicembre 1827 Per i fiorentini, il Cimitero degli Inglesi, quella Spoon River affacciata sui grandi viali di circonvallazione, ridisegnati nel 1865, ai tempi di Firenze capitale, è un luogo familiare, di ordinaria sacralità. Un’isola aristocratica d’arte sepolcrale di proprietà della Chiesa evangelica riformata, destinata, fin dal dicembre 1827, a ospitare i defunti di religione protestante, svizzeri e inglesi per primi. Piccola necropoli dal fascino vittoriano in cui, tra vialetti fioriti, stele e cippi marmorei, aleggiano i nomi di morti eccellenti come G. P. Vieusseux, fondatore del mitico gabinetto di Cultura, Simon de Sismondi, Arthur Clough e, in una bara di marmo sorretta da sei colonne, Elizabeth Barrett Browning, la poetessa triste morta avvelenata di morfina, innamorata di Firenze e di quella sua atmosfera esclusiva che, in età romantica, aveva attirato altri grandi intellettuali e artisti anglosassoni. Custode della memoria di un Ottocento cosmopolita, il Cimitero degli Inglesi, riaperto recentemente dopo decenni di chiusura e sfiorato ogni giorno da un traffico convulso, resta, come per miracolo, un rifugio solenne e familiare. Un’oasi discreta in cui abbandonarsi, senza spleen, a reminiscenze colte. Giovanna Gabrielli

fatti magari una decina di ore di pullman per arrivare, che credevano e combattevano in qualcosa che dovrebbe esserci garantito e non riconquistato. Ho sempre ritenuto che sia giusto che un giornalista venga punito se dà un’informazione falsa, sapendo che questa è falsa e che lederà qualcuno. Mentre non è giusto che venga punito un giornalista che racconta fatti, magari scomodi, ma pur sempre fatti. Io voglio querelare Feltri perché

liamo Feltri per averci chiamato ‘Amici di Spatuzza’ ”, io aderisco. Grazie Antonio, grazie Marco, grazie a tutti voi. Paola Veglio

No B. Day, i sardi boicottati in ogni modo Eravamo in Piazza il 5 dicembre, al No B. Day, per protestare contro Berlusconi e il suo governo. Siamo arrivati in nave dalla Sardegna, ma dovete sapere

Furio Colombo

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aro Colombo, è accaduto un fatto a Milano, come ci hanno comunicato un solo telegiornale (Tg3), e Radio Popolare di Milano (6 dicembre). Una signora nera americana, che era in compagnia della sua bambina, davanti alla scuola della piccola in via Clerici, è stata colpita in faccia dal pugno di un ragazzo italiano, spalleggiato e difeso da sua madre, che intanto diceva “sporca negra di merda devi morire”. Non sto raccontando di nuovo questa storia purtroppo ormai quotidiana in Italia. Sto tentando di raccontare il silenzio. Silenzio dei nostri concittadini italiani presenti, silenzio stampa, silenzio di tutte le istituzioni. Non è uno scandalo, una grande, umiliante vergogna? Tullio

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L’abbonato del giorno MAICO CAMPILONGO “Ciao, sono Maico, ho 36 anni e sono di Verbicaro, ma risiedo ormai da 4 anni in California nella Silicon Valley (a sud di San Francisco). Dietro di me vedete il Golden Gate! Ho un abbonamento pdf, stampante a colori e il mio fedele iPhone per leggervi dovunque. Qui in molti mi chiedono del nostro primo ministro, odio quando la gente mi prende per un idiota per colpa di qualcun altro”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

che hanno fatto di tutto per boicottarci: la Tirrenia ci ha strappato il contratto e ha cercato di non farci imbarcare! Diamo fastidio ragazzi! La Piazza è stata splendida, c’erano così tante persone come noi, che condividevano i nostri sentimenti, la nostra rabbia... di tutte le età! E’ cominciato il cambiamento? Speriamo. Di certo eravamo tanti, veri, senza guinzagli politici e senza compromessi. L’onda viola travolge l’Italia! studenti di Olbia

Sono una madre sconvolta dallo scandalo dell’asilo Sono una madre anch’io e come tante altre madri sono letteralmente sconvolta da quanto accadeva nell’asilo nido di Pistoia. Il video che circola in Rete – quei pochi minuti che ho avuto lo stomaco di guardare – mi ha istintivamente condotto a una riflessione assurda e cioè che, in

ANC H’IO ho provato un grande stupore prima ancora che rivolta, indignazione, umiliazione. Il fatto che la signora Priscilla Wilkes, colpita dal pugno, sia una cittadina americana che lavora in Italia ha reso più clamoroso il fatto per la capacità della vittima di narrare e spiegare senza l’ombra del lamento e con vero stupore: l’odio razziale di un ragazzo italiano nel silenzio passivo o consenziente di tutti i presenti. Ha detto la donna americana: “Sapevo fin da bambina che nel mio paese poteva succedere. Ma mi avevano sempre detto: no, in Italia no, in Italia è impossibile”. Accanto a lei, nell’inquadratura del Tg3, c’è la sua bambina, forse di dieci anni, che dice solo questa frase, in un italiano ancora più perfetto del buon italiano professionale di sua madre: “Non è una bella cosa da vedere”. Intende dire che per lei una brutta, odiosa Italia le si è rivelata tale per sempre. Se fossi Hillary Clinton chiederei spiegazioni di questo episodio accaduto in pubblico, in queste ore, nel centro di Milano, molto prima di verificare il processo di

questi casi, quando è più che certo il reato, quando è più che certa la colpevolezza di questi soggetti, non ci sarebbe neanche bisogno di processo. Processo per cosa poi? Per concedere le attenuanti di questo e di quello? Per vederle tra un paio d’anni fuori a far sempre lo stesso lavoro? Quello che hanno fatto è lì sotto gli occhi di tutti. Soprattutto rimarrà negli occhi di quei bambini che hanno assistito e subìto le percosse. Quello che abbiamo visto tutti, può portare solo a un desiderio: rinchiudetele per sempre e buttate via la chiave. Poi però penso che, oltre che madre, sono anche una persona che crede fermamente nei diritti fondamentali, tra i quali quello imprescindibile per tutti di essere sottoposti a un giusto processo. Speriamo solo sia effettivamente giusto, per quei bambini e per quelle madri.

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Amanda Knox. In quel processo può esserci il rischio di una inchiesta sbagliata. In ciò che è accaduto, per la centesima volta a Milano, c’è il rischio di un intero paese spinto sul percorso disumano e razzista del Ku Klux Klan. Dico alla signora Clinton: che l’Italia mandi o non mandi soldati in Afghanistan, questo alleato è affetto dal peggior male che l’America di Obama vuole sradicare nel mondo: il razzismo. Questa infezione nasce dal basso, nell’odio predicato e diffuso con lavoro capillare dal partito della Lega nord, che attacca con violenza il cardinale di Milano Tettamanzi quando racconta con coraggio il suo orrore di uomo prima ancora di pastore della Chiesa. Questa infezione viene dall’alto, da un governo – l’unico in Europa – di cui fanno parte ministri apertamente xenofobi, potenti e meticolosi organizzatori di persecuzione razziale, che tentano di spingere burocrazia e polizia italiana sulla strada della peggiore discriminazione. “Quando è arrivata la polizia, non parlavano con me, mi zittivano, si rivolgevano agli italiani presenti, che non hanno detto niente” ha fatto sapere la cittadina americana Priscilla al Tg3, dopo essere stata dimessa dal pronto soccorso dell’ospedale Fate Bene Fratelli. L’ascolti e ti rendi conto che è sola. Ma è solo anche il cardinale Tettamanzi. Non una parola da parte di tutti quei credenti che vanno e vengono da un partito all’altro perché hanno orrore del testamento biologico. Mancano le voci che gli italiani rimasti normali e civili non sentono né dal vertice della Chiesa né dalle istituzioni che dovrebbero identificare e unire il paese. È un grave errore. Una pericolosa spinta politica di infima qualità morale tenta di dirottare per sempre l’Italia fuori dal mondo di un minimo di civiltà, un minimo di cristianesimo, un minimo di rispetto per la vita e la dignità delle persone. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

(nella scuola dove lavoro io fino all’inizio di novembre), non è stato possibile garantire una materia o un’attività alternativa a molti degli studenti che avevano scelto di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Questo perché, a causa dei tagli, i docenti non hanno più potuto sfruttare alcune delle loro ore di insegnamento per la materia alternativa, come accadeva fino all’anno scorso. I soldi risparmiati da una parte, però, sono dovuti rientrare dall’altra, perché a un certo punto le scuole si sono trovate costrette a chiedere agli insegnanti di fare delle ore in più per coprire i “buchi” della materia alternativa. Nelle classi dove sono presenti alunni che hanno scelto tale materia, dunque, l’ora di religione continua a costare allo Stato il doppio delle altre ore di inse-

gnamento, perché sono necessari due insegnanti (entrambi pagati, ovviamente) anziché uno solo. Un possibile modo per risparmiare, specialmente in questo periodo di crisi economica, sarebbe istituire un unico corso obbligatorio di Storia delle religioni (o altra materia comune), come è avvenuto ad esempio in Québec. Ma i politici italiani sembrano preferire la strada dei tagli indiscriminati all’Istruzione, per finanziare le scuole cattoliche private e l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica. Veronica B.

IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma lettere@ilfattoquotidiano.it

Elisabetta Montrone

Ma quanto ci costa l’ora di religione?

Direttore responsabile Antonio Padellaro

In questi giorni si è fatto un gran parlare di crocifissi nelle aule scolastiche e di questioni di principio, mentre quasi nessuno si è interessato ai problemi ben più pratici recentemente affrontati dalle scuole a proposito dell’ora di religione. All’inizio dell’anno scolastico, infatti, e per un periodo piuttosto lungo

Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro

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