Il Fatto Quotidiano (12 Dicembre 2009)

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Quando lo accusa Spatuzza, Dell’Utri dice: minchiate. Ma se il boss Graviano non conferma diventa eroe

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Sabato 12 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 70 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

QUEST’UOMO È ANCORA IN SÉ?

Dopo Veronica se lo chiede anche il presidente Ciampi Lui continua negli attacchi a Napolitano e ai giudici Al suo fianco Minzolini che difende Dell’Utri

Fuori controllo di Antonio

Padellaro

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a ragione Barbara Spinelli quando dice al Fatto che la deriva psichiatrica dei dittatori non è di nessun aiuto per le vittime delle dittature. Berlusconi non è ancora Mussolini (là fu tragedia, qua è farsa) ma gli interrogativi sull’equilibrio mentale del premier non mancano. Veronica, nella famosa lettera di predivorzio raccontava di aver chiesto invano ad amici e cortigiani di stare vicini al marito perché “non stava bene”. Ieri, sul Corriere della Sera, benché sapientemente occultata, colpiva una frase del presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a proposito delle “sortite inqualificabili” del premier. Si è chiesto Ciampi, personalità di misuratissimo linguaggio se Berlusconi sia “pienamente padrone di sé”. Domanda che in qualche modo contiene già la risposta. Non essere in sé significa perdere il controllo dei propri nervi e delle proprie parole. Può accadere a tutti nella vita. Più preoccupante se questa improvvisa furia si manifesta nella persona di un presidente del Consiglio mentre interviene in un consesso internazionale. Perché ancora di più se ascoltati dal vivo gli attacchi del premier appaiono effettivamente come li ha definiti Napolitano, e cioè “violenti”. Ovvero: come di chi si comporta “con istintiva e incontrollata aggressività” (Devoto-Oli). Ora, l’aggressività di Berlusconi non è più affar suo ma è affar nostro nel momento in cui le accuse scagliate contro il capo dello Stato e la Corte costituzionale, oltre a farci ridere dietro da tutto il mondo, possono creare nel paese un clima eversivo verso le più alte istituzioni. E se fosse proprio questo il disegno? E se in quella follia ci fosse del metodo?

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Dal 15 dicembre in libreria

GUZZANTI VS BERLUSCONI

Silvio Berlusconi. Sotto, uno dei ragazzi “caricati” al corteo di Roma (FOTO ANSA)

Berluscones all’attacco. Il direttore del Tg1: fanno a Silvio quello che hanno fatto ad Andreotti. Frattini scrive all’Europa contro i giudici. Barbara Spinelli al Fatto: “Dittatura” Marra, Nicoli e Vasile pag. 2-3-4 z

MAFIA x Graviano “Mai detto niente a Spatuzza”

Udi Caselli e Perniconi

Così Alfano taglia le intercettazioni

MANGANELLI SUGLI STUDENTI DELL’ONDA

Il piano: tetto di spesa, se finiscono i soldi ci si ferma. Il boss: mai conosciuto Dell’Utri. Ma tra Cosa Nostra e B. spunta una cascata di diamanti Amurri, Gomez, Lillo e Lo Bianco pag. 5-6-7 z

nmoda

nl’intervista

400 milioni di evasione per “Valentino”

Scamarcio: hanno ucciso il desiderio

Faieta pag. 8z

Paolo Guzzanti racconta la più incredibile storia italiana: la vita vera di Silvio Berlusconi

Aliberti editore

CATTIVERIE

Pagani,Truzzi pag. 15z

In effetti questo governo sta facendo molto per combattere la mafia. Apprezzabili soprattutto le tecniche di mimetismo (www.Spinoza.it)

i ragazzi scesi in M igliaia piazza in tutta Italia al fianco della Cgil contro i tagli all’istruzione. A Roma, per un corteo non autorizzato, la polizia ha caricato. Momenti di tensione anche a Torino e a Bologna. pag. 9 z

El Drito, liberista a carico nostro di Marco Travaglio

ra che persino Antonio Polito s’è accorto che “questo è regime” e l’ha scritto sul Riformista, informando così i parenti stretti, potremmo dichiararci appagati e riposare sugli allori. Purtroppo il direttore del samizdat arancione, già organo del finto partito Le Ragioni del Socialismo (ovviamente a carico nostro), ora trasformatosi in una strana cooperativa che fa capo agli Angelucci (noti cooperatori di mutuo soccorso), è giunto alla drammatica conclusione in seguito all’unica cosa buona del governo Berlusconi: il taglio dei fondi pubblici ai giornali (la seconda saranno le dimissioni). Intendiamoci: la norma, come chiede anche Fini, deve salvare le vere cooperative di giornalisti, come il Manifesto, e forse anche i giornali veri di partiti veri: Secolo d’Italia, Padania, Unità, Liberazione. Almeno finché resta il finanziamento pubblico, i partiti han diritto a dirottarne una quota per comunicare le proprie eventuali idee. Per tutto il resto, o un giornale si mantiene con i lettori e la pubblicità, o chiude. Come ogni impresa in ogni mercato libero. Purtroppo il Riformatorio non conosce la parola “lettori”, essendone sprovvisto. E così, mentre predica liberismo e blairismo à go-go, difende quel residuo di socialismo reale che sono i soldi dello Stato ai giornali. Ben sapendo che i compagni Angelucci sono tanto bravi e tanto buoni, ma senza i 2,5 milioni di euro dallo Stato, lo chiudono. Anche perché ha più vicedirettori (quattro) che abbonati. Di qui la disinteressata denuncia di Polito El Drito. Non c’era regime quando furono cacciati Biagi, Luttazzi e Santoro, infatti El Drito attaccò chi gridava al regime. Non c’era regime quando chiusero “Raiot”, anzi, intervistato da Sabina Guzzanti per “Viva Zapatero!”, El Drito spiegò con quell’aria da figaro napoletano intento a spruzzare il proraso che “la Rai ha tutto il diritto di chiudere il programma”. Non c’era regime nemmeno quando una sua firma di punta, tal Piroso, censurò su La7 un servizio su mafia e politica: anzi El Drito diede ragione al censore. Ora che Tremonti, finalmente, ci risparmia il fastidio di pagare giornali che ci guardiamo bene dall’acquistare, El Drito scopre il regime. Forse dimentica che è proprio nei regimi che lo Stato finanzia la stampa. E si scorda che quegli angioletti degli Angelucci ricevono altri 7,8 milioni l’anno (dato del 2008) per l’altro giornale che mandano in edicola, quello di destra: Libero. Che di vicedirettori ne ha addirittura sei, ma almeno ha pure dei lettori. Eppure incassa montagne di soldi pubblici in quanto, a un certo punto, divenne organo ufficiale del noto Movimento Monarchico Italiano. Di buon mattino infatti, dopo l’alzabandiera, la riunione di redazione di Libero si apre con la Marcia Reale. Poi prende la parola il direttore, Maurizio Belpietro principe di Val Cismon e Val Brembana. Almeno quando non è impegnato in battute di caccia alla volpe nella tenuta di San Rossore. Nel qual caso gli subentra l’aiutante di campo Franco Bechis conte della Margarita. Molto ascoltati anche il palafreniere di corte, Filippo Facciridere cavaliere di Ripafratta; il damo di compagnia Davide Giacalone di Val Mammì; la voce bianca della cappella reale, Mario Giordano marchesino di Canelli e Passerano Marmorito; e la baronessa Daniela Santanchè Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Milioni ben spesi, quindi, quelli a Libero, se si pensa che servono pure a mantenere nobiluomini come Luciano Moggi duca di Monticiano e Civitavecchia, attualmente ristretto nelle segrete del palazzo da cui è appena fuggito monsignor Renato Farina de’ Betullis al seguito del marchese Littorio Feltri di Forlipopoli, noto per la raffinatezza dei modi, dunque promosso a primo addetto alle scuderie della reggia di Arcore, da tempo vacanti. Si spera che il regime repubblicano non voglia spegnere queste ultime nobili voci della Real Casa. Viva il Re!

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Sabato 12 dicembre 2009

L’escalation tra Colle e Palazzo Chigi negli ultimi due mesi

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FUORI CONTROLLO

a crisi ai vertici istituzionali è scoppiata giovedì per il comiziaccio di Berlusconi davanti all’assemblea del Partito popolare europeo a Bonn, ma matura da almeno due mesi. Dal 7 ottobre, quando la Corte costituzionale, ha bocciato il lodo Alfano. Dopo quella sentenza, Berlusconi definì i giudici della Consulta “giudici di

sinistra” e insinuò sul conto del capo dello Stato: “Si sa da che parte sta...”. Il Quirinale ribattè: “Tutti sanno da che parte sta il presidente della Repubblica: dalla parte della Costituzione”. Da quel momento tra i due solo rapporti formali, e di molto diradati. Ha segnato il passo anche il canale diplomatico riservato che solitamente viene attivato tra i

due Palazzi da Gianni Letta. Che ieri all’uscita dal Campidoglio dove con Napolitano assisteva a una celebrazione di Guglielmo Marconi ha parlato fitto per un quarto d’ora con il presidente. Ma dai gesti che si scambiavano si è facilmente capito che ci vuol ben altro per sanare la ferita. v. va.

pensieri e parole

Dal premier parole da matti

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Il Fini clandestino di Stefano

opo gli attacchi di DQuirinale Silvio Berlusconi al e alla Corte

CIAMPI: MI CHIEDO SE È PADRONE DI SÉ di Vinncenzo

Vasile

bbiamo un problema. Problema di salute. Mentale. Ormai c’è un bel po’ di gente che sostiene in giro che Silvio Berlusconi non ci sta con la testa. Gente di rilievo. Dall’alto dei suoi anni Carlo Azeglio Ciampi, intervistato da Marzio Breda per il Corriere, la butta sull’igiene mentale, e traduce dal latino: “… ma stavolta ci sarebbe quasi da valutare anche se chi lancia questo genere di accuse sia davvero compos sui, vale a dire pienamente padrone di sé”. Intervistato per strada, anche il segretario del Pd Pier Luigi Bersani fa capire: “Ho già tanti mestieri che se dovessi fare anche il dottore…Io cerco di stare sulla politica…”. Aveva iniziato Veronica, che – si dirà – stava preparando le carte per il divorzio, ma piuttosto accoratamente aveva scritto: “Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene”. Ed eravamo ancora in un ambito “privato”, si spettegolava su Noemi e le altre amichette post-puberali. L’ex segretario pd Dario Franceschini poteva minimizzare: “tra moglie e marito non mettere il dito…”. Invece, era un problema politico. Da metterci tutt’e due le mani. Tant’è vero che, tra l’altro, qualche velina, dopo la diagnosi psichiatrica di Veronica, fu fatta sparire in extremis dalle liste. Ma dopo il “violento attacco” alla Costituzione censurato da un durissimo Napolitano, i ragionamenti sulla condizione fisica del capo dell’esecutivo scivolano dalle questioni sessuali a un ambito più pubblico e istituzionale. Dilagano nel mondo politico e in privato tra gli stessi alleati di destra, proprio per-

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ché la questione coinvolge l’immagine del Paese. La scelta di una platea internazionale come il congresso del Ppe non a caso è uno dei punti contenuti nella nota di protesta dell’altro giorno di Napolitano. Il presidente del Consiglio ritiene di continuare a esprimersi con toni da osteria sulla situazione italiana? E’ vero che era già capitato a Scalfaro e Ciampi. C’è un momento nel settennato che il palazzo posto sul Colle più alto di Roma si trova sotto accerchiamento, e l’armata assediante di solito porta il vessillo di Silvio Berlusconi. Capita oggi a Giorgio Napolitano. Ma con due novità: un esplicito e “violento attacco”

Silvio Berlusconi (FOTO ANSA)

In basso: Barbara Spinelli

berlusconiano alla Costituzione, e un evidente aspetto che eufemisticamente si può definire “psicologico”. “Un impeto di nervosismo”, l’ha definito ieri dalla Gruber, Pier Ferdinando Casini. Da Bruxelles il presidente del Consiglio ha ripetuto con toni sprezzanti che la Carta del 1948 è roba vecchia e ha cer-

cato di tornare a insolentire il presidente (“…pensi alla giustizia politicizzata”). Napolitano ha riunito il suo staff e ha dato ordine di non rispondere al fuoco avversario. Salvo non impedire la diffusione – da Parma - di un messaggio indirizzato all’Alleanza per l’Italia di Rutelli e Tabacci : "Apprezzo l'intendi-

mento - scrive Napolitano - di contribuire a far uscire il Paese da una contrapposizione politica esasperata". E auspica gelidamente “un costruttivo confronto nelle istituzioni saldamente ancorato a serie basi etiche e precisi obiettivi programmatici”. Basi etiche. Obiettivi programmatici…

Spinelli: “Una dittatura nel cuore dell’Europa” “SCANDALOSO IL SILENZIO DEL PPE DAVANTI AL CAVALIERE” di Wanda Marra

ita Churchill ai tempi del nazismo e la Repubblica di Weimar, non esita a usare le parole “regime” e “dittatura”, critica l’Europa e sprona l’Italia. Barbara Spinelli, tra le più riconosciute osservatrici dei fatti politici italiani, fa un’analisi secca e lucida della situazione politica e dello scontro istituzionale a cui stiamo assistendo. Partendo da una questione di fondo. “Siamo di fronte a una crisi acuta ma ormai è anche finito il tempo di chiedersi ‘cosa accadrà’. Ci siamo un po’ tutti abituati all’idea che avverrà qualcosa di ancora peggiore. Ma da anni, e in particolare in quest’ultima legislatura Berlusconi, siamo in una fase estrema. Vorrei ricordare il discorso fatto da Churchill ai Comuni nel ‘36: mentre le potenze europee si chiedevano ‘cosa avesse in mente Hitler’, lui affermò che era finito ‘il tempo delle mezze misure, degli espedienti, dei sedativi, ma si era già entrati nel tempo delle conseguenze’”. La Spinelli sottolinea l’importanza della reazione di Napolitano, un presidente “che finora non è che abbia detto molto sul tipo di regime messo in piedi da Berlusconi”. Ma individua in Fini “la chiave di volta della situazione” perché “il regime autoritario può essere scalzato soltanto dalla maggioranza”. Per l’ex missino Fini ricorre all’immagine di “Grandi nel Gran Consiglio del fascismo il 25 luglio del ‘43”. Ieri Bersani ha denunciato il fatto che Berlusconi ha creato “un caso Italia nel mondo”, con “un danno rilevantissimo per il paese”. Ma la Spinelli preferisce sottolineare la reazione “abbastanza scandalosa” del Partito popolare europeo, dove “non si è alzata una voce contro ciò che ha detto Berlusconi: in parte si tratta di una forma di appeasement, la tendenza a raccomodarsi con i regimi autoritari. In parte, se l’Europa fa un esame di democrazia ai paesi che entrano, non richiede altrettanto a

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Feltri

quelli che sono già dentro. Se l’Italia non fosse già nell’Unione europea, non potrebbe avervi accesso”. Ma non trova scandaloso “che Berlusconi parli di Italia piuttosto che di Europa. Quel che è grave è che Berlusconi utilizzi una sede internazionale per fare un attacco molto pesante alla Costituzione e alle istituzioni del proprio paese”. Altrettanto grave però il fatto che l’Europa, che potrebbe intervenire “di fronte a queste frasi golpiste resti in silenzio: per quel che riguarda l’euro siamo tutti affratellati, e questo ha reso meno importante la politica. La Merkel dovrebbe vergognarsi dei baci con Berlusconi, che si trovavano in tutte le foto. È come il bacio tra Breznev e Honecker”. Sugli scenari futuri Barbara Spinelli ha uno sguardo deciso: “Berlusconi dice in maniera chiara cosa vuol fare, cambiare la Costituzione a maggioranza semplice, la sua”. Ma, spiega: “Ciò che mi sembra positivo è che in realtà la Costituzione ne esce enormemente rafforzata: la consapevolezza è ormai diffusa che non si sia nessun bisogno di cambiarla, come si è invece sostenuto negli ultimi 10-15 anni”. Anche se possiamo parlare di “stato d’eccezione”, come scriveva Ezio Mauro ieri su Repubblica, “la differenza è che la nostra Costituzione ci tutela più di quanto quella della Repubblica di Weimar tutelasse la democrazia tedesca”. E dunque, rispetto alla minaccia più o meno ventilata, di un nuovo predellino che porti il Cavaliere direttamente alle elezioni anticipate, la Spinelli fa notare che “non è che Berlusconi può sciogliere da solo le Camere. È più difficile, in un’aula parlamentare, saltare su predellini”. Peraltro, “Casini ha detto che in 5 minuti si creano degli scenari alternativi”. Possibile questo sia vero, in una situazione in cui pare invece non ci siano maggioranze alternative? “Se Berlusconi dal punto di vista delle uscite televisive e della piazza è imbattibile, non so se lo sia altrettanto dal punto di vista del gioco parlamentare. Minaccia continuamente le elezioni anticipate, ma poi ritira tale minaccia. Perché non è così che funziona: il Parlamento non è un predellino, non è lo scenario perfetto per un tg di Minzolini, né una fiction. E tanto per cominciare, Napolitano potrebbe certo dare l'incarico a qualcun altro della stessa mag-

gioranza di Berlusconi”. Se l’impressione è a volte che si stia assistendo a una deriva psichiatrica, oltre che populista, l’editorialista nota che “tutti i dittatori hanno una deriva psichiatrica, ma l’aspetto politico è molto più importante. La psichiatria non è di nessun aiuto per le vittime delle dittature”. Nessun dubbio nell’utilizzare la parola dittatura o per codificarla dovrebbe avere altre caratteristiche? “Questo tipo di dittatura agisce profondamente nelle teste della gente, nei comportamenti, negli interessi e nei disinteressi. In questo senso, si tratta di una battaglia già vinta. Non c'è bisogno di galere”. Qualche via d’uscita, però, esiste. A cominciare dal ruolo di Napolitano: “Dovrebbe rifiutare le leggi anticostituzionali e ad personam che si stanno preparando”. Poi, c’è il Pd, che “dovrebbe smettere di far capire che è pronto ad approvare leggi che garantiscano l’impunità al presidente del Consiglio. Si tratta di un partito che non è stato capace di fare una legge sul conflitto d’interessi quando era al governo, né una vera opposizione in 15 anni. È il caso inizi adesso”. E i giornali, “che potrebbero descrivere di più ciò che accade e trarne le conseguenze”. Infine, una notazione sui processi di mafia: “Non credo che verranno fuori grandi cose. Penso che i capi della mafia in carcere si guarderanno bene dal dire cose compromettenti. Ma è interessante vedere come le posizioni rispetto ai pentiti cambino: vengono considerati farabutti e uomini che sciolgono i bambini nell’acido quando tirano in ballo i politici, e se ne fanno elogi sperticati quando tacciono (come Mangano chiamato un eroe, o Filippo Graviano descritto da Dell’Utri come uomo di grande dignità)”

“Siamo in una fase estrema, il regime si può scalzare da dentro la maggioranza”

costituzionale si ripete lo stesso schema dei giorni successivi alla bocciatura del lodo Alfano. Anche ieri Gianfranco Fini, da presidente della Camera, ha difeso Giorgio Napolitano: “Nel capo dello Stato si devono riconoscere tutti gli italiani”. Non si registrano dichiarazioni di Renato Schifani che, essendo presidente del Senato, è la seconda carica dello Stato dopo Napolitano. Domenica Silvio Berlusconi parlerà in piazza Duomo a Milano e secondo molti sarà un altro discorso “del predellino” come quello di due anni fa in cui fondò il Pdl sostengono in molti. In quell’occasione è probabile che Berlusconi faccia riferimento anche ai dissensi di Fini e al suo rapporto con il Pdl. eri è arrivata in Icostituzionali commissione Affari la legge sulla cittadinanza degli immigrati proposta dalla maggioranza. Il testo è molto diverso da quello che Fini aveva sostenuto, tanto che la bozza attuale ha il placet della Lega nord, visto che gli anni necessari per diventare italiani restano 10 (e non cinque, come volevano finiani e Pd). La sconfitta oggettiva per il presidente della Camera spinge il presidente del Pd Rosy Bindi a dire: “Quella presentata dalla maggioranza è una proposta che impedisce la cittadinanza di Fini nel centrodestra”. orse è troppo presto Fdi casacca per ipotizzare cambi che oggi appaiono molto improbabili, ma dal centro arrivano espliciti segnali di apprezzamento. Nella sua prima uscita pubblica di rilievo, ieri a Parma, l’Alleanza per l’Italia di Francesco Rutelli ha manifestato l’interesse di cercare una sponda in Fini. “Aprire a Fini? Perché no, ma dipende da lui”, dice Rutelli che cerca anche così di marcare la diversità della propria offerta politica rispetto al Pd che, invece, è molto più cauto nel trattare con il presidente della Camera, anche quando ne condivide le idee.


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A Parma nasce l’Api di Rutelli. Aspettando Gianfranco

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nata ieri, a Parma, l’Alleanza per l’Italia, il movimento politico di Francesco Rutelli che guarda al centro per superare il bipolarismo e portare la politica italiana fuori dalla “contrapposizione esasperata”, proprio come ha invitato a fare il capo dello Stato nel suo messaggio all’assemblea. Il video che ha aperto la convention parla di storici incontri, di alleanze, di

nemici che diventano amici (come Rabin e Arafat, Nixon e Mao, Coppi e Bartali) e insieme compiono grandi imprese. Difficile non pensare a Rutelli e Fini, ovvero al duello che alle amministrative di Roma nel 1993 che, prefigurando anche la discesa in campo di Berlusconi, dette, di fatto, vita a quel bipolarismo che i rutelliani individuano come il male assoluto. Come Fausto e Gino sul Galibier, al Tour de France del 1952,

Rutelli tende la borraccia a Fini, sperando che la afferri. Porte aperte al presidente della Camera? “Perché no? Ma dipende da lui...” sorride Rutelli. Oggi a Parma Rutelli e il portavoce dell’Api Tabacci tratteggeranno traguardi e obiettivi del nuovo movimento. Il battesimo intanto è toccato a Dellai, all’ex ministro Linda Lanzillotta e a una tavola rotonda di imprenditori; fra loro Patrizio Bertelli, del gruppo Prada.

BERLUSCONI ATTACCA DI NUOVO LA COSTITUZIONE E IL PRESIDENTE Fini si dissocia, il Cavaliere pensa a un Predellino 2 di Sara Nicoli

a prima regola, quando si parla di Berlusconi, è sapere che la verità risiede nell’esatto contrario di quello che afferma con convinzione. E così ieri, quando a Bruxelles è tornato ad attaccare Napolitano e la Costituzione, quello che ha immediatamente destato l’attenzione dei suoi più stretti collaboratori è stata la netta smentita di aver mai pensato alle elezioni anticipate: “Non ci ho mai pensato” ha detto, serio in volto, ai cronisti. E’ vero il contrario. E quest’ultima impennata di aggressioni alle più alte cariche dello Stato fa parte di una strategia di avvertimento molto precisa che nel suo entourage viene letta così: se da Fini non arriverà un segnale politico netto, con la calendarizzazione immediata e certa del legittimo impedimento alla Camera al posto della legge sulla cittadinanza agli immigrati, (in aula il 21), a quel punto le urne saranno l’unico modo possibile per “scrollarsi di dosso – sostiene un fedelissimo – chi si frappone alla fine naturale della legislatura proseguendo in un logoramento che ha un solo scopo, quello di sostituirsi a lui non solo come capo di un governo istituzionale, ma anche come capo del Pdl”. Italo Bocchino, braccio destro di Fini, non scopre il fianco e con una dichiarazione di maniera

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I TEMPI

zia a due sodali del presidente della Camera, quali Filippo Berselli (al Senato) e Giulia Bongiorno (alla Camera) ha significato mettere nelle mani dell’attuale nemico numero uno quelle leggi che ha lui più premono. Il Cavaliere lo ha detto anche al fedele Ghedini mentre l’avvocato rincarava la dose della sua ansia annunciandogli che, comunque e malgrado gli sforzi, entrambe le leggi per la sua salvaguardia giudiziaria ora sul tappeto non sarebbero mai state davvero in zona franca Silvio Berlusconi in una illustrazione di Emanuele Fucecchi rispetto al parere della Corminimizza: “Credo a quello mentari ex aennini – ci sia la te Costituzionale. Di qui l’enche dice Berlusconi; che mo- massima volontà di farlo, men- nesima aggressione violenta, tivo avrebbe, con tre anni di le- tre da parte sua pare non sia proprio come le ha giudicate il gislatura ancora davanti – dice così”. E, soprattutto, insiste a Capo dello Stato, anch’egli nel facendosi pompiere - e un pro- difendere la Costituzione, mirino per una serie di peccati gramma di governo ancora da niente di più vecchio e obso- pesantissimi, nella testa di attuale, di ricorrere alle urne? leto per Berlusconi: “La cam- Berlusconi; la difesa degli Fini e Berlusconi stanno insie- bieremo, certo che la cambie- odiati giudici e “dell’uso della me da 15 anni e resteranno in- remo – ha proseguito ancora – giustizia contrario alla demosieme altri 15 anni”. E’ sul co- anche senza l’opposizione le crazia e alla libertà”, la difesa me, casomai, che si gioca ora modifiche le porteremo avan- della Carta ma, soprattutto, il la partita. Perché il nemico, ti comunque”. Fini, insomma, ruolo di preoccupata sponda checché ne dica Bocchino, è un traditore che va messo politica che, secondo Berluper Berlusconi è ancora Fini. nella condizione di non nuo- sconi, Napolitano starebbe Che si ostina a non voler dia- cere. Berlusconi si è reso an- giocando, con la complicità di logare nonostante “da parte che conto che aver concesso, Fini e quella sotterranea di Camia – ha detto il premier ieri a a suo tempo, le presidenze sini, per evitare le elezioni anpranzo con alcuni europarla- delle due commissioni Giusti- ticipate. Poi, la giustizia: “Non rinuncerò mai alla riforma – ha dardeggiato il premier – possono dire quello che vogliono, io non mollo; avete sentito, Spatuzza è stato subito smentito, ma noi abbiamo un sistema giudiziario che uno si mette a parlare dopo dieci anni e c’è chi gli crede”. Men-

È IL 18 GENNAIO L’ULTIMA DATA PER ANDARE ALL’ELECTION DAY alla rovescia potrebbe cominciare già Iresoldaconto domenica sera, quando il Cavaliere si sarà conto di persona della tenuta del suo elettorato e avrà fatto i conti con una piazza decisa a tributargli forse ancora un trionfo, ma di quanto è una partita davvero tutta da giocare. Si sa che la macchina elettorale del Cavaliere non si è mai arrestata, ma il nuovo strappo di Bonn e di Bruxelles ha costretto a rifare rapidamente i conti. Per chiamare alle elezioni anticipate in un election day insieme alle Regionali ci sarebbe tempo fino al 18 gennaio, ma è evidente, in queste ore, che tutto sarà deciso già la prossima settimana, quando il quadro politico, a seconda delle mosse di Fini, diventerà più chiaro. Ma c’è chi ipotizza, tra gli uomini più fidati del premier, addirittura uno slittamento delle regionali a maggio per celebrare contemporaneamente le politiche qualora la situazione nel Pdl dovesse par-

C’è anche chi ipotizza la possibilità di far slittare le regionali a maggio

zialmente rasserenarsi grazie ad un’improvvisa accelerazione (forse più al Senato che alla Camera) di uno dei due disegni di legge sulla giustizia che riguardano Berlusconi. Si fa notare, tuttavia, in zona presidente della Camera, che il forzare la mano ai tempi parlamentari proprio non rientra nelle corde di Fini e che, dunque, le pressioni sono destinate a restare lettera morta. Almeno a Montecitorio. Di contro, tuttavia, il Cavaliere è intenzionato a “non commettere ancora – sostiene Denis Verdini – gli errori commessi nel ‘94” e non si farà mettere in un angolo. Di questo, soprattutto, hanno parlato fino alla tarda serata di giovedì alcuni ex colonnelli di An con il ministro Bondi e lo stesso Verdini in un incontro informale a via dell’Umiltà. Sul tavolo la strategia politica da portare avanti da qui alla possibile nuova chiamata alle urne. A parere della maggioranza dei partecipanti, sarebbe la prossima settimana lo snodo più delicato, dove si capirebbe, insomma, con quale rapidità si arriverebbe all’approvazione del legittimo impedimento e del processo breve. Di certo, si fa notare in ambienti vicini alla maggioranza, il Cavaliere non “accetterebbe mai, con questo clima – sostiene un ex aennino di rango – di andare al voto senza avere in tasca almeno uno dei due provvedimenti; gli Spatuzza ad orologeria sono sempre dietro l’angolo”. (S.N.)

tre in un’intervista al Tempo il ministro degli Esteri ieri annunciava di voler continuare l’opera “di immagine” iniziata dal Cavaliere, scrivendo in una lettera ai colleghi europei "chi sono i giudici italiani". A poco, in questo clima furibondo, hanno valso le parole istituzionali pronunciate dal Presidente della Camera, ennesimo richiamo al rispetto delle regole da parte di chi dovrebbe esserne il primo garante: "Nel capo dello Stato – ha detto Fini - si riconoscano tutti gli italiani". E “in politica – ha proseguito - ci si scontra ma si rispetta l'arbitro e si rispettano le regole del campionato”. Figurarsi se Berlusconi ha mollato di un centimetro. "'Avete visto quante me ne hanno dette di tutti i colori. Ce l'hanno tutti con me''. Il pensiero, lo si sa, è alle urne. Tasterà il polso dell’elettorato domenica sera in una manifestazione in piazza del Duomo a Milano, già ribattezzata “il predellino 2”. In attesa di Fini e dell’eventuale segnale politico distensivo. Intanto, Bersani parla di "comizi mal fatti che danneggiano il Paese" e Antonio Di Pietro paventa il rischio di "azioni violente" in piazza se il governo non cambierà rotta.

Questa volta il premier vuole che il legittimo impedimento sia subito calendarizzato

LEGITTIMI IMPEDIMENTI

Le mille piazze del Pd: “Non temiamo le elezioni” l Pd non solo non teme la Icipate minaccia di elezioni antima anzi ritiene che il voto accelererebbe processi in corso, come l’alleanza con l’Udc. Questo almeno a quanto afferma il vicesegretario, Enrico Letta. Ma in attesa di capire le vere intenzioni del premier Silvio Berlusconi, i Democratici si cimentano con le mille piazze per l’alternativa. Una protesta che vede coinvolti tutti i big anche se c'è chi, come Paolo Gentiloni, vorrebbe tematizzarla in difesa della Costituzione e chi, come Giovanna Melandri e l’area di sinistra, già pensano al dopo e chiedono di appoggiare una “Costituzione day”, una manifestazione unitaria contro gli attacchi di Berlusconi alla Consulta e al Colle. In pieno scontro istituzionale, Berlusconi diventa il tema centrale della mobilitazione del Pd per quanto Bersani si sforzi di coniugare il tema democratico e i problemi reali degli italiani, la protesta e la disponibilità a vere riforme. Come sottolinea anche Massimo D’Alema: “Dedichiamo una giornata ad affrontare i problemi del paese, dal momento che, come abbiamo visto anche ieri, chi dovrebbe occuparsene è preoccupato soprattutto di sé”. Intanto, c’è chi nel Pd, soprattutto nell’area che fa capo a Dario Franceschini, vorrebbero che fossero completamente sbarrati e che i democratici facessero muro contro l’escalation del premier. Le manifestazioni ieri sono state 1200, bisognerà vedere quante saranno oggi.

di Carlo Tecce

Per Natale, niente farfalline solo croci

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abbo Silvio ha ritirato dal mercato le farfalline lussuriose di Palazzo Grazioli, per il Natale dona un gioiello a forma di croce alle europarlamentari del Pdl. Il cattolico praticante, marito fedele e cultore del focolare domestico compie un gesto – scriverebbe il Capezzone’s news – di alto valore simbolico: la Corte di Strasburgo vieta l’esposizione del crocifisso, noi ve le mettiamo sul petto. O sul cuore. La missione all’Unione europea è dura e faticosa: tra la Costituzione vecchia da sottoporre a lifting e il capo della Repubblica che pensi ai fatti

suoi, il presidente ha lasciato il vertice per visitare alcuni negozi di antiquariato. Circondato da un muro di guardie del corpo, s’è concesso una lunga passeggiata nelle strade della capitale belga. Poi è corso in albergo. Aveva un pranzo di partito. Il presidente del Consiglio doveva scambiare i regali di Natale. Ha ricevuto un vaso di terracotta raffigurante una scena mitologica – forse il supplizio di Tantalo rivisitato, donne nude in luogo di cibo e acqua? – e una scatola di dolci tipici di Bruxelles. Li ha buttati prima di scartare il pacco. Lui ha le palle.


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Il difficile inizio di stagione della trasmissione di Michele Santoro

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REGIME

e prime operazioni per neutralizzare Annozero portano la data dello scorso luglio, una volta formata la squadra dei direttori capitanata dal dg Mauro Masi. Il contratto di Marco Travaglio che non arrivava, gli esposti all’Agcom, il parere legale dell’ufficio della Rai che rischiava di bloccare la puntata con Patrizia D’Addario

in collegamento da Bari. Michele Santoro, consultati i suoi legali e pur non riuscendo a parlare con il direttore di RaiDue Massimo Liofredi, decide di andare in onda a mezz’ora dall’inizio della puntata. E appena si è iniziato a parlare di mafia e delle trattative tra Stato e Cosa Nostra, tra le stragi che hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino,

il Pdl ha cercato più volte di impedire la partecipazione al programma dei rappresentanti del Pdl o della Lega nord. Giusto per far cadere il vincolo della par condicio sugli ospiti. Addirittura Maurizio Belpietro, direttore di Libero, fu ricevuto a Palazzo Grazioli da Silvio Berlusconi per fargli rinunciare ad Annozero.

RAI: DIVIETO DI FICTION Nuovo attacco di Mauro Masi ad Annozero Chiude il programma di Daria Bignardi L’EDITORIALE DEL TG1

di Carlo Tecce

a lettera di Mauro Masi è galeotta e puntuale. Il direttore generale della Rai accenna alla questione Annozero nel consiglio di amministrazione di mercoledì scorso che all’unisono condanna il televoto di Monica Setta all’interno del programma il Fatto del giorno. Masi registra pareri concilianti e a volte contrastanti, ieri mattina – all’indomani della puntata di Michele Santoro sulle deposizioni del pentito Gaspare Spatuzza – prende carta e penna e scrive ai direttori di testata. Non consiglia, traccia una linea da non oltrepassare: rischio sanzioni pecuniarie, sospensioni e forse licenziamenti. Chissà. Nel frattempo il mirino censorio stringe su Santoro. “In ossequio ai principi confermati anche di recente dalla Suprema corte – comunica il dg – in tema di rivisitazione televisiva di fatti delittuosi oggetto di indagini o di processo e al fine di garantire il rispetto della disciplina prevista dal ‘Codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive’ […] non è consentita la diffusione in qualunque trasmissione di approfondimento informativo del palinsesto Rai di cosiddette ‘docu-fiction’ e/o ‘docu-drama’ o comunque ricostruzioni con attori nonché televoti che abbiano ad oggetto tematiche connesse a procedimenti”. I sondaggi della Setta – ritirati con il consenso della stessa conduttrice – erano un pretesto per rileggere, e forzare, il protocollo, datato 21 maggio 2009, firmato dai rappresentanti della stampa e delle televisioni all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’Agcom.

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LE REGOLE. Un codice che regola la rappresentazione di “vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive”. Dietro un titolo lungo e parole aspre, il documento esprime un concetto lapalissiano: “Curare che risultino chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato e imputato e condannato fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa. […] Non alterare la percezione dei fatti. […] Rispettare il principio di contraddittorio delle tesi, assicurando la presenza e le pari opportunità nel confronto dialettico”. In nessun passaggio del protocollo, composto da quattro articoli, si vieta – in maniera esplicita – la ricostruzione in video (fiction e quindi finzione conclamata) di fatti di cronaca nera o giudiziaria. Negli Stati Uniti c’è TruTv che trasmette, 24 ore su 24, dirette e ricostruzioni di processi con attori. Un giorno in Pretura in versione americana. E così Santoro può replicare a Masi senza rinnegare il lavoro dell’ultima stagione: “Non ci sono leggi,

MINZOLINI: “BERLUSCONI È COME ANDREOTTI, VITTIMA DELLA GIUSTIZIA” deposizione del boss FilipLzo poaeditoriale Graviano sollecita il terdi Augusto Min-

Michele Santoro durante una puntata di Annozero (FOTO ANSA)

sentenze o regolamenti di qualsivoglia autorità che impediscano di fare cronaca giudiziaria con l’uso di attori. Mentre esistono chiare normative che impediscono l’uso del televoto o dei sondaggi su vicende giudiziarie. Siamo convinti di questo, come siamo convinti che sia necessario tutelare il diritto di cronaca, la libertà di espressione e la creatività di ogni trasmissione. Riteniamo quindi che la questione non si possa risolvere emanando una circolare, ma che sia compito del Cda della Rai fare una valutazione approfondita. Pur essendo già pronti a soddisfare con altri mezzi il bisogno di informazione del pubblico, siamo a disposizione per fornire tutti gli elementi utili a prendere la decisione migliore”. GARIMBERTI. Nel pomeriggio, per suffragare la missiva di Masi, interviene Paolo Garimberti: “Ne abbiamo discusso in cda. Le docu-fiction Santoro non le dovrà più fare nel rispetto del protocollo firmato dalle emittenti di fronte all’Agcom”. Il presidente della Rai fa capire che viale Mazzini, anche senza deliberare, abbia conferito uno speciale mandato al direttore generale. Nessun documento ufficiale può certificarlo, proprio perché inesistente agli atti. In perfetta sincronia con Masi, l’Agcom annuncia la costituzione del Comitato per l’applicazione del protocollo citato da Garimberti. Il ministro Scajola propone d’istituire uno strumento – il comitato previsto dal prossimo contratto di servizio – per un controllo più efficace sulla qualità dell’informazione.

A suggellare la giornata, inaugurata da Masi e giocata di sponda tra la Rai e l’Agcom, in serata 4 commissari dell’Autorità chiedono di aprire un’istruttoria urgente su Annozero perché “viola una serie di norme”. Quelle norme mai scritte che Masi e Garimberti vogliono far pesare. RaiDue è alla smobilitazione. Chiude l’Era Glaciale di Daria Bignardi – rivela il vice di Masi, Antonio Marano – per far posto a un programma più gradito al governo.

zolini. Il direttore del Tg1 – Treccani alle spalle e completo blu marina militare – si fa una domanda e fa capire di aver intuito la risposta giusta: “La risonanza data alle parole del pentito Gaspare Spatuzza si poteva evitare? Forse sì, se si fosse seguita alla lettera la legge sui pentiti non sarebbe neppure stata ammessa in un processo. Ancora una volta invece il fascino mediatico dei teoremi ha avuto la meglio sui dati di fatto. E a chi sparava fino all’altro ieri con la lupara è stato permesso di sparare con le deposizioni”. L’ex squalo de La Stampa, il cronista che orecchiava nascondendosi dietro le piante di Montecitorio, prova a riscrivere il ruolo della giustizia italiana: “Una settimana fa un presunto pentito della mafia, pluriomicida e stragista, in un tribunale di questo paese, davanti alle telecamere di tutto il mondo, ha raccontato che i suoi capi gli avevano confidato di essere in rapporti con il premier Berlusconi e con il senatore Dell’Utri. Una deposizione trasmessa in mondovisione senza riscontri. Uno dei capi di Spatuzza, Filippo Graviano, lo ha smentito in

un’altra aula di tribunale dichiarando che ha raccontato solo balle o, con un vocabolo ormai di moda, “minchiate” [chiaro riferimento al titolo della puntata di Annozero di giovedì, ndr]”. E poi Minzolini sceglie un martire, il Berlusconi – secondo la sua logica – della Prima Repubblica: “Il senatore Giulio Andreotti ci ha messo più di dieci anni per liberarsi della leggenda del bacio a Riina, ed è stato danneggiato non solo l’interessato ma anche il paese”. Qualcosa non va, servono riforme, sostiene: “Il caso Spatuzza è solo l’ultima prova, ma l’elenco è infinito, del fatto che nel nostro sistema giudiziario c’è qualcosa di sbagliato. Le polemiche su questioni di forma – ha concluso – non devono impedire di guardare ai problemi veri, e la riforma della giustizia è uno di questi”. Minzolini è direttore del primo telegiornale italiano da nemmeno sei mesi, ma è già al terzo monologo registrato: la prima volta spiegò perché avrebbe oscurato le notizie su Patrizia D’Addario e le escort a Palazzo Grazioli, la seconda si dissociò dalla manifestazione per la libertà dell’informazione. E ieri sera ha provato a fare da megafono alle parole di Graviano – che smentisce di aver

mai conosciuto Marcello Dell’Utri – dopo aver censurato le rivelazioni di Spatuzza. Le proteste dell’opposizione sono immediate. Inizia l’ex ministro Paolo Gentiloni: “Minzolini continua a scambiare il Tg1, che è sempre stato un tg istituzionale, per una testata militante. Tutti i suoi editoriali sono destinati a difendere a spada tratta Berlusconi, oggi sui temi della mafia, ieri sulla manifestazione per la libertà di stampa o sul caso delle escort a Palazzo Grazioli. Evidentemente non si è accorto di essere il direttore del maggiore telegiornale del servizio pubblico: crede di essere alla guida del Giornale o di Libero. La Rai non è ancora di proprietà di Berlusconi”.

Secondo il direttore del Tg1 Spatuzza diceva “minchiate” Graviano, invece, la verità

DIGITALE E SATELLITE

CIELO: LA GUERRA TRA SKY E GOVERNO CONTINUA di Beatrice Borromeo

le tensioni tra Sky e il goCpeoontinuano verno. Nonostante l’antitrust euroabbia dato il via libera alla trasmissione di Cielo, il canale visibile in chiaro con cui Sky si inserisce anche nel digitale terrestre, il viceministro allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni Paolo Romani prende tempo. “Esistono tempi tecnici che sono di qualche giorno, qualche settimana. Se avessero fatto domanda prima – dice Romani – avrebbero avuto una risposta, il ritardo è loro, sapevano che il ministero ha 60 giorni più 30 per rispondere”. Fino a oggi, infatti, il governo aveva negato la trasmissione di Cielo, la cui partenza era prevista il primo dicembre, con la motivazione ufficiale che bisognava aspettare una pronuncia dell’Europa. L'amministraJames Murdoch, presidente di Sky Italia visto da Manolo Fucecchi

tore delegato di Sky Tom Mockridge ha però divulgato una lettera che conferma l’autorizzazione di Bruxelles al nuovo canale. Non ha reagito bene, Romani: “I dirigenti di Sky non hanno ancora imparato e sarebbe meglio imparassero in fretta”. In genere i tempi necessari per questo tipo di autorizzazioni, dicono da Sky, oscillano tra le due e le tre settimane. Ma, oltre alla scelta ormai chiara di Romani di servirsi di tutto il tempo che ha a disposizione per deliberare, dal ministero spiegano che non c’è nessuna garanzia che alla scadenza dei termini la risposta per Cielo sia positiva. Nella polemica sui tempi si inserisce anche la Agcom, l’autorità garante delle comunicazioni, che in una nota ricorda: “A noi competeva dare l’autorizzazione della trasmissione sul satellite. L’abbiamo data in 24 ore”. IL TELECOMANDO. L’altro punto di tensione tra il gruppo di Rupert Murdoch (la delega per l’Italia ce l’ha il figlio James) e il governo Berlusconi riguarda il telecomando. Chi conquista i primi nove tasti ha un forte vantaggio sui concorrenti nell’accaparrarsi pubblico. Sky lamenta la mancanza di pari opportunità per tutti gli operatori. E’ stato Dgtv, il consorzio di

Rai, Mediaset e La7 per gestire la transizione, a decidere per la numerazione automatica e conservatrice rispetto alla tivù analogica: sia le emittenti locali sia Sky sono state informate a giochi fatti. Dalle parti del gruppo Murdoch non si sentono molto rassicurati dal fatto che a guidare Dgtv sia uno come Andrea Ambrogetti, già direttore delle relazioni istituzionali di Mediaet. A Sky sono preoccupati anche perché essere assenti nella fase di partenza del digitale significa perdersi il momento in cui si consolidano le nuove abitudini di fruizione degli spettatori. SPOT. L’altro duello in corso tra Sky e Mediaset riguarda la trasmissione sui canali del biscione degli spot che invitano ad abbonarsi alla tivù satellitare. Nell’udienza di ieri al Tribunale di Milano il giudice ha chiesto a Mediaset e Sky di trovare una mediazione entro il 20 gennaio. Se l’accordo arriverà alla scadenza, cioè a 2010 già iniziato, per Sky comunque ci saranno conseguenze, perché significa non poter pubblicizzare il proprio prodotto sui canali generalisti Mediaset durante le festività natalizie, nelle settimane in cui molti abbonamenti sono in scadenza.


Sabato 12 dicembre 2009

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Ddl al Senato: se passerà, ecco cosa potrebbe cambiare

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REGIME

l disegno di legge sulle intercettazioni è giunto sul tavolo della commissione Giustizia del Senato qualche giorno fa ed è stata l’occasione, per il Guardasigilli Alfano, di ribadire l’auspicio che “l’impianto resti inalterato”, dopo le modifiche subìte alla Camera. Il testo prevede che le intercettazioni possano effettuarsi solo in presenza di “gravi

indizi di colpevolezza” a carico di una persona, nei casi di reati con pene oltre i cinque anni, compresi quelli contro la Pubblica amministrazione, l’ingiuria, l’usura, le molestie, il traffico di droga e armi. Si potranno usare le microspie soltanto per spiare luoghi nei quali si sa che si sta compiendo un’attività criminosa. Nei procedimenti contro ignoti,

sarà possibile intercettare il telefono della persona offesa solo con il suo consenso. “Sarebbe stato più onesto dire: ‘Aboliamo le intercettazioni’ piuttosto che fare un provvedimento come questo”, era stata la risposta dell’Associazione nazionale magistrati lo scorso aprile, subito dopo la presentazione del ddl.

TETTO ECONOMICO ALLE INTERCETTAZIONI NON CI SARÀ “RIPIANAMENTO OBBLIGATORIO” Il governo inserisce in Finanziaria una “piccola” modifica di Sandra

Amurri

n attesa che il ddl sulle intercettazioni diventi legge, con conseguente gravissima compromissione di uno dei principali strumenti investigativi e relativa perdita di efficacia dell’azione repressiva degli organi investigativi – c’è chi ha parlato di vera e propria pietra tombale sulle indagini, comprese quelle di mafia –, il governo gioca d’astuzia e infila nella Finanziaria una piccola modifica delle tabelle di bilancio del ministero della Giustizia. Le spese per le intercettazioni telefoniche non andranno più a carico del capitolo 1360 (spese di giustizia), soggetto a ripianamento obbligatorio da parte del ministero dell’Economia, bensì a quello n. 1363, che – come si legge nella circolare inviata a tutte le procure – non avrà natura obbligatoria, con il non remoto rischio che in corso d’anno non si avranno più fondi da cui attingere. Da gennaio le spese di intercettazione dovranno, pertanto, essere pagate traendo gli ordinativi di pagamento sui fondi che verranno accreditati. Non viene specificato né è dato conoscere di quanto sarà questo budget, né come verrà distribuito alle varie procure. Di certo i magistrati prima di ricorrere alle intercettazioni dovranno verificare l’esistenza dei fondi, e se i fondi non ci saranno, dovranno rinunciare ad indagare ascoltando in diretta i delinquenti o i mafiosi. Che è come chiedere a un chirurgo di iniziare a operare senza avere la certezza di avere il filo per suturare il malato. Si tenga conto altresì che il pubblico ministero è responsabile anche contabilmente delle spese che autorizza, e se non vi saranno i fondi disponibili potrà, in astratto, essere chiamato a risponderne dalla Corte dei conti. Ecco come la rivendicazione della lotta alla mafia nei talk show dei ministri Maroni e Alfano, che snocciolano catture dei lati-

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tanti e confische dei beni mafiosi, si riveli pura demagogia. Gli indiscutibili risultati portati a casa da questo governo sono arrivati anche grazie alle spese effettuate per le intercettazioni con il sistema vigente. Intercettare vuol dire poter collocare una microspia nell’autovettura di un trafficante di droga per individuarne con sufficiente anticipo le mosse, identificare i suoi complici e sequestrare un carico di droga, individuare chi gli ricicla i soldi, e individuare i beni di cui dispone o che sta acquisendo. Significa potere individuare se un imprenditore che denuncia un’estorsione sta effettivamente collaborando con gli inquirenti, o magari sta cercando di nuocere a un concorrente. Intercettare nel corso di una indagine si-

gnifica acquisire elementi probatori che non è possibile influenzare, intimorire, sminuire nella loro portata probatoria. Ma dal prossimo anno i pm, prima di iniziare un’indagine che comporta la necessità di intercettazioni, dovranno prima chiedersi: ci arriverò con il budget? Tornando alla confisca dei beni mafiosi, se si considera che nell’ultimo anno, con le confische di una sola procura del meridione, lo Stato ha ampiamente compensato la spesa per le intercettazioni di tutte le procure d’Italia, si coglie tutta l’ipocrisia della tanto propagandata lotta alla mafia svolta da questo governo. Un primo duro commento arriva dal procuratore capo di Nola, Paolo Mancuso: “E’ un macigno del tutto inaspettato. Le spese di giustizia non

hanno mai avuto un budget prefissato, in quanto è impossibile ipotizzare il numero e la durata delle intercettazioni, o delle consulenze necessarie in un’indagine. Avere dei limiti prefissati equivale alla rinuncia preventiva a indagini che si presumono costose o alla rinuncia a quelle avviate e magari promettenti. Ora lo Stato anticipa, senza alcun tetto, le spese che recupera al termine del processo dalle tasche del condannato. Si tratta di una mossa che si inserisce in un più vasto programma per imbrigliare l’attività dei magistrati inquirenti che parte dalla limitazione sull’informatica, dallo svuotamento delle procure, dai progetti di modifica dei rapporti tra pm e pg il cui esito sarà la fine della sicurezza per i cittadini”.

“Quando suggerii a Umberto: B. è un uomo di mafia” PINO BABBINI, EX BRACCIO DESTRO DI BOSSI, SCONSIGLIÒ AL SENATUR DI UNIRSI AL CAVALIERE di Elisabetta

Reguitti

è chi ha lo stalliere e chi l’autista. C’è chi C’ riconosce i servigi ricevuti, chi al contrario scarica i fedelissimi. Si sa, la politica è così: oggi a

te, domani a me, mentre ieri è toccato a Giuseppe (Pino) Babbini, 73 anni ben portati. Un omone che sulla giacca a vento ha appuntato una spilletta della Dia (Direzione investigativa antimafia), al polso destro esibisce un braccialetto in plastica color verde padano, al collo il crocifisso e nelle borsa una copia de Il Fatto Quotidiano. Pino, già tassista, è stato per anni l’amico-autista di Umberto Bossi. E’ stato con lui; vivendo giorno e notte con il leader celodurista, nato “fancazzista”, riabilitato per un periodo come dipendente dell’Aci di Varese, fino alla solenne discesa in campo avvenuta a Milano 2 (scherzi del destino politico) al Jolly Hotel di Segrate. Durante il primo “Congress Nassjonal de la Lega lumbard”. Correva l’anno 1989 (quando cadeva il Muro di Berlino): esattamente 20 anni del movimento “che fu” secondo Babbini, che fino al 17 settembre 1996 è stato il braccio destro di Bossi. La storia tra Pino e Umberto nasce, come spesso accade, per caso. Qualcuno dimentica sul sedile posteriore del taxi di Pino un giornaletto della Lega (l’antesignano della Padania per intenderci). Il tassista lo sfoglia, trova un numero di telefono, che compone la sera stessa. Dall’altro capo la voce roca che per anni Pino ha sentito e che oggi imita fedelmente. Umberto Bossi nel 1995 a Pontida (F A ) Era lui: l’astro nascente (diplomato alla scuola Radio Elettra) fautore del nascente soggetto politico che attinge dal giuramento di Pontida (di otto secoli prima) e dalla carismatica fiOTO

NSA

gura dell’eroe Alberto da Giussano, che brandisce con fierezza il suo spadone simbolo della liberazione dei popoli dall’egemonia di Federico Barbarossa. Bossi, che pochi anni dopo sarebbe stato il capo della Lega nord (fusione della Lega Lombarda con altri gruppi autonomisti) e che dal palco del Jolly (davanti a 500 militanti di cui 127 soci ordinari) avrebbe ammansito il popolo padano dicendo: “Noi siamo pazienti e tolleranti. Non siamo razzisti, non siamo antimeridionalisti e non siamo fascisti”. Così Bossi aveva folgorato Pino. Ombra fedele, amico e confidente, riferimento all’interno del movimento ma anche uomo di strada (e di politica, come consigliere comunale a Milano all’epoca del sindaco Marco Formentini), capace di intercettare le voci della gente. Lui, nato “rosso” nella sinistra del Psi, accompagnava quel suo amico-segretario di partito ai comizi organizzati per celebrare i successi degli anni di “Mani Pulite”. In favore dei giustizieri dell’Italia minacciata dalle mafie. “La Lega è sempre stata contro i terroni mafiosi ma non contro i meridionali”, specifica Pino mostrando i cimeli cartacei del suo passato padano. Parla delle prime 95 tessere del sindacato leghista che era riuscito a fare sottoscrivere tra i suoi compagni tassisti, ricorda della bega sfociata a piazza San Babila tra lui e Piero Prosperini, della battaglia contro il centro Leoncavallo, la proposta di portare le Olimpiadi a Milano, ma soprattutto di come era riuscito a convincere Bossi a scatenare l’iradiddio contro l’annullamento della gara di Formula Uno all’autodromo di Monza nell’estate del ‘94. Poi qualcosa si è irrimediabilmente infranto. “Bossi mi ha accusato di avergli rubato una macchina fotografica, ma anche che gli insidiavo la moglie. Tutte balle. Qualcuno all’interno della Lega non voleva che dicessi a Umberto quello che non andava. Io gli dicevo di non accettare di andare con Berlusconi e con i fascisti. Che al governo, prima o poi, la Lega ci sarebbe andata da sola e grazie esclusivamente ai voti dei suoi elettori. Quel partito era il nuovo che avanzava. Mentre Berlusconi, al con-

Ombra fedele, amico e confidente, riferimento all’interno del movimento ma anche uomo di strada

trario, come portaborse di Bettino Craxi, una costola del vecchio regime”. Pino racconta che il 26 luglio 1999 ad Arcore incontrò Silvio Berlusconi che gli chiese il perché Bossi aveva fatto crollare il governo nel 1994. “Io gli dissi cosa pensassi e nel settembre dello stesso anno fecero di nuovo pace”. Per la verità, però, Umberto Bossi durante un incontro pubblico su Berlusconi diceva: “E’ un uomo della mafia. Un palermitano che parla meneghino, un palermitano nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il nord. La Fininvest è nata da Cosa Nostra”. Parole che secondo Pino avrebbe personalmente suggerito al leader del Carroccio. Fatto sta che il rapporto tra Umberto e Pino si rompe irrimediabilmente nel settembre 1996 durante la marcia su Venezia. “Da quel momento io sono stato un uomo morto. Sia sul piano politico sia purtroppo su quello professionale. Avevo venduto la mia macchina perché lui mi aveva chiesto di seguirlo e accompagnarlo nel suo cammino politico. Soldi in un primo periodo non ne presi perché non c’erano per nessuno. Poi però sono arrivati e il mio stipendio era di 2 milioni e 500 mila lire. In verità però mi dovrebbero ancora un sacco di soldi. Ho pure avviato una causa di lavoro nei confronti del partito. Naturalmente l’ho persa. Allora era ministro Castelli. Figuriamoci”. Pino dice la verità quando parla di promesse fattegli dal segretario del Carroccio. Mostra una nota, del 18 settembre 1995, scritta su di un foglio della Camera dei deputati firmata da Umberto Bossi sulla quale si legge l’assegnazione a incarico di “responsabile della sicurezza, dell’incolumità e trasporto dei rappresentanti istituzionali più in vista della Lega”. Oggi l’ex braccio destro del segretario della Lega però scuote la testa e ripete: “Bossi mi ha distrutto”. Mentre ripone i numerosi articoli di giornale e i fogli, Pino mostra lo schizzo del suo ultimo progetto: un’arca di Noè con sopra l’universo. E’ l’idea di un nuovo movimento “Salviamo il mondo” che richiama gli ideali ecologisti. Già, perché Pino, in realtà, un’idea per evitare il surriscaldamento dell’atmosfera se l’è fatta. “Perché non lasciamo tutti gli stranieri che vivono nei paesi caldi a casa loro anziché portarli qua che poi hanno freddo, usano il riscaldamento e le macchine per andare in giro. Tanto a noi non servono. Meglio che rimangano dove sono nati”. Proprio vero: buon sangue padano non mente.


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Sabato 12 dicembre 2009

Gli “affari utili”tra il braccio destro di Silvio e gli amici di Brancaccio

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COSE LORO

rapporti tra le società di Berlusconi e il clan dei Graviano sono evidenziati anche da un filo che lega la società Pagine Utili, controllata dalla Fininvest, e un uomo considerato dagli investigatori un riciclatore delle cosche. Già ieri “Il Fatto Quotidiano” ha scritto come sia stato scoperto negli archivi delle camere di commercio di Palermo un documento importante, il fascicolo camerale della

New Trade System, società che a metà dagli anni 90 era stata un partner privilegiato per la raccolta pubblicitaria della società “Pagine utili”, guidata proprio da Marcello Dell’Utri e che aspirava a diventare mandatario esclusivo per il sud Italia di Telepiù, la pay tv allora ancora controllata occultamente da Berlusconi. Il padrone della società era Fulvio Lima, parente dell’onorevole Salvo Lima, poi processato nel ‘99 per

avere riciclato 3 miliardi di lire dei fratelli Graviano. Il documento risale al novembre ‘96 ma è stato depositato al processo dell’Utri tre settimane fa. Alla fine Pagine Utili sarà travolta dalle perdite e per non appesantire la Mondadori, quotata in borsa - sarà assorbita dalla Fininvest, e poi ceduta nel 2002. Intanto Lima finisce nei guai per alcune vecchie operazioni del 1986-87 a Palermo.

Il premier respira: che cosa vi aspettavate? Siamo alle comiche

I DIAMANTI DEI CAPIMAFIA E LA BANCA DI BERLUSCONI SENIOR Ciancimino jr: i preziosi erano il “contante” ritirato alla Rasini di Peter

Gomez e Marco Lillo ui quei sacchetti di raso blu pieni di diamanti dice di ricordarseli bene. Suo padre, don Vito Ciancimino, li mostrò alla moglie e al figlio più grande. Mentre Massimo, che all’epoca aveva più o meno quindici anni, venne tenuto a debita distanza. Il ragazzo in famiglia era del resto considerato uno scavezzacollo. Don Vito, per evitare che si sfracellasse in motorino, aveva persino chiesto agli amici, uomini

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d’onore, di fare un giro per le concessionarie di Palermo in modo che a nessuno saltasse in testa di vendergli un ciclomotore. Non era insomma il caso che Massimo avesse le pietre per le mani. Se ne fosse sparita una, una soltanto, sarebbero stati guai seri. Perché quel tesoro, dal valore di molti miliardi di lire, non era roba di suo padre. Era dei suoi clienti. Era dei Bonura, dei Bontade, dei Buscemi. Era dei grandi costruttori mafiosi di Palermo dei quali, per tutti gli anni Settanta, l’uomo politico di Corleone era stato consulente. Oggi il racconto sui diamanti di Cosa Nostra è al centro delle nuove indagini dei magistrati di Palermo e Caltanissetta che stanno cercando i riscontri alle parole del fi-

L’inizio degli affari di Cosa Nostra al nord e l’ombra dei finanziamenti alla Fininvest

glio dell’ex sindaco. Ai pm Ciancimino junior ha infatti spiegato che il padre, molto prima della guerra di mafia del 1981, dava una mano alle più importanti famiglie “di rispetto” nel trovare aree al nord dove si potessero costruire palazzi. Don Vito, protagonista del sacco di Palermo, di urbanistica se ne intendeva e, soprattutto, aveva gli agganci giusti nel mondo della politica e delle banche. Non per nulla, secondo il testimone, quei sacchetti pieni zeppi di pietre non erano altro che il contante ritirato agli sportelli della Banca Rasini, l’istituto di credito dove lavorava il padre di Silvio Berlusconi e dove, come hanno già stabilito le inchieste, molti prestanome e amici degli uomini d’onore palermitani avevano i loro depositi. Stando al racconto di Ciancimino junior le cose sarebbero andate più o meno così. Intorno al 1979-‘80, in coincidenza con il crac del gruppo immobiliare Inim presso il quale all’epoca lavorava Marcello Dell’Utri, suo padre consiglia ai clienti di smobilitare gli investimenti. I soldi vengono trasformati in preziosi grazie all’intervento di un commerciante ebreo, di cui Massimo Ciancimino ha fornito il nome: un personaggio già noto a Giovanni Falcone. Il giudice assassinato dalla mafia incappò infatti in lui nel 1983 quando scoprì che l’ex sindaco di Palermo aveva acquistato diamanti per mezzo miliardo di lire. Don Vito si mette i sacchetti in tasca e, come faceva spesso in quegli anni, sale in treno Vito e Massimo Ciancimino (FOTO ANSA)

In basso Marcello Dell’Utri

IL GIORNALE

Pirla sì, pirla no le versioni di Betulla

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n gentile omaggio recapitato nella cassetta della posta dei suoi colleghi deputati: il suo articolo apparso su “Il Giornale” il 9 dicembre dal titolo “Quell’opposizione di falsi e invalidi”. In cui Renato Farina scolpiva: le minchiate di Spatuzza, i magistrati che avrebbero “ammazzato” Dell’Utri ammettendo la testimonianza del pentito, Bersani-Di Pietro-Bindi-De Magistris falsi e invalidi legati a doppio filo alla magistratura. Manovre, insomma. Ma niente grandi vecchi, semmai “molti pirla”. Ieri in aula contro il dono di Farina ha protestato il deputato Pd Vannucci, che ne ha ricordato tra l’altro il pedigree da “agente Betulla” al soldo dei Servizi. A quel punto l’editorialista di Feltri ma alla bisogna anche di Belpietro - s’è scatenato: “Mai detto pirla”. E ancora: “Betulla è un nome che mi ha affibbiato Travaglio”. Ti pareva. Due balle in un giorno solo. Un professionista.

per essere venti ore dopo nell’isola. Non è chiaro invece se tra gli investimenti dei siciliani vi fossero anche gli immobili e i terreni del giovane Berlusconi. Che tra Ciancimino – allora considerato un politico chiacchierato, ma incensurato – e il futuro Cavaliere vi fossero rapporti sembra dimostrato da un’intercettazione telefonica in cui, anni fa, proprio Massimo parla con la sorella di un assegno da 35 milioni versato a loro padre da Berlusconi. Ciancimino junior poi, davanti ai magistrati, sostiene di aver saputo dal genitore di giri di soldi tra la Banca Rasini e la Saf, una delle fiduciarie Bnl, dietro la quale si nascondevano i primi finanziamenti

alla Fininvest. Adesso, invece, si arriva alla cascata di diamanti. Scene da film che presto però potrebbero trasformarsi in pagine di cronaca giudiziaria. Anche perché Massimo Ciancimino, continua a produrre documenti su documenti. Accanto ai pizzini che sarebbero stati scritti da Bernardo Provenzano a suo padre (il condizionale è d’obbligo visto che lo stile non corrisponde per nulla a quello sgrammaticato del boss corleonese) vi sono altre carte. Fogli in cui si parla del gruppo Inim, nel quale Dell’Utri, prima di ritornare in Fininvest, lavorava al fianco di imprenditori legati a doppio filo all’ex sindaco mafioso.

a smentita di Filippo GraLmette viano a Gaspare Spatuzza il buon umore Berlusconi: “Un commento? E che vi devo dire, siamo alle comiche”. Gianfranco Fini chiede di aspettare: “La deposizione di Graviano dimostra che occorre avere fiducia nella volontà e nella capacità della magistratura di accertare la verità”. Ma i berluscones si sfogano senza giri di parole. “Avevo definito Spatuzza un anagramma di spazzatura. Ora dopo le notizie che – dice Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato - giungono dal tribunale di Palermo, ne abbiamo la conferma. Graviano smentisce le sue ricostruzioni fantasiose. Il partito di Repubblica, il partito di Santoro e Travaglio esce tritato. C'é stata una montatura vergognosa e ci chiediamo a questo punto quali siano state le complicità della sinistra politica e della sinistra giudiziaria nel mettere in piedi un teatrino vergognoso". Il collega alla Camera, Fabrizio Cicchitto sembra più sobrio. Cala gli striscioni innalzati da Gasparri: “Non esultiamo per ciò che ha detto Filippo Graviano, in contraddizione con Spatuzza, perché riteniamo che comunque ciò che viene detto da persone ristrette in carcere va preso con un forte beneficio di inventario. Capiamo che si trovino in uno stato di disperazione coloro che, da Repubblica, all’Unità all’Italia dei Valori, a una parte del Pd, avevano cavalcato Spatuzza e che attendevano i fratelli Graviano come dei nuovi messìa i quali avrebbero dovuto confermare ciò che aveva fatto capire l'arcangelo”.

Il lodo Marcello: il vero pentito è quello che non vede e non sente IL SENATORE “LODA” FILIPPO GRAVIANO: “ALTRO CHE SPATUZZA. BONTATE? MAI INCONTRATO”. POI SOLITO SFOGO CONTRO “ANNOZERO” di Andrea Cottone

ià che lo scrive Il Fatto vuol dire “G che è falso. Fanno speculazioni, io non conosco questa vicenda, Lima non lo conosco. Allora ero presidente onorario di Pagine Utili…”. Risponde così Marcello Dell’Utri alla domanda del cronista sugli affari del senatore con gli amici dei Graviano raccontati ieri dal nostro giornale. Palermo, Corte d’Appello. Come di consueto il cofondatore di Forza Italia si presenta in aula quando l’udienza è appena iniziata. Completo scuro, camicia a quadri bianca e celeste, avanza fra la folla e si siede accanto ai suoi legali. Dà un’occhiata ai giornalisti seduti nella platea solitamente dedicata ai detenuti: “Vedo che vi siete seduti nel posto che vi compete…” dice. Non tradisce la tensione del momento. Sfoglia i faldoni con le carte

del processo, ascolta, batte i polpastrelli sul banco. Quando la corte si ritira in camera di consiglio attorno a lui spuntano come funghi i microfoni. “Sono stanco – esclama – tribunale, dammi questa sentenza! Sbrigatevi perché sono stanco di avere fatti i processi in tv. Questa è una cosa da paese incivile. La puntata di Annozero? Mettono tutto assieme e fanno credere che sia vero... se inquini cose vere con cose false è tutto falso”. Sbotta quando un cronista che lavora per l’Idv chiede lumi sulle sue vecchie frequentazioni: “Non sono mai stato con Bontade, come lo devo dire?”. A chi chiede del suo stato d’animo dice: “Non bisogna né esaltarsi né abbattersi. Hanno messo una cosa del ‘74 nell’86 – dice facendo riferimento ad Annozero - non è vero! Mangano l’ho conosciuto alla Bacigalupo, una squadra di grande livello a Palermo, ci gio-

cava anche Grasso, mi conosce, lo sa chi sono. Hanno fatto un casino... Mangano è stato arrestato, s’è fatto venti giorni e non ha mai più messo piede ad Arcore. È scandaloso. Tutte le date sono sbagliate. Sono messaggi subliminali. Il mio processo era alla fine e la sentenza di primo grado era già stata smontata in appello, era caduta. È stata scritta dalla Procura di Palermo”. Ancora, e la banca Rasini? “Ci lavorava il papà di Berlusconi”. Un banca “chiaccherata” si fa notare. “Certo, prima si chiacchiera su una signora e poi si dice che è chiacchierata”. La tensione sale e lui anticipa le domande dei cronisti. “Se parlate di mandanti allora pensate che ci sono io fra i mandanti?”. Qualcuno dice: “Ma allora secondo lei esistono mandanti esterni a Cosa Nostra?”. “Dico che se c’è effetto allora c’è causa ma che vengono a rompere le scatole, ma

‘stiamo a pazzià’ come dicono a Napoli? Pensate che sia io ad aver fatto le stragi?”. Continuano le domande e si fanno sempre più pressanti. Il senatore perde definitivamente la calma. “Volete dare ‘sta sentenza? Qua mi impiccano! Scusate, ho i nervi scoperti… il processo era finito... e poi questa ‘spatuzzatura’? Perché non cercano i veri mandanti delle stragi invece di rompere le scatole a me”. Si allontanano i microfoni e i giornalisti, si può fare la domanda: ma lei si è pentito di qualcosa? “Sì, di aver fatto il padrino” alludendo alla fondazione di Forza Italia. Riprende il processo, ci si ricompone, ma dopo la deposizione di Filippo Graviano arriva il suo commento a caldo: “Graviano mi sembra un vero pentito. Spatuzza è un falso pentito. Contento di quanto ha detto? Non sono né contento né scontento. Dicia-

mo che oggi c’è il sole, ma nessuno ci assicura che domani non pioverà”. Alla fine dell’udienza mentre va via, gli si torna a chiedere se è contento. “Volete che faccia salti di gioia? Quando sarò assolto si vedrà. Ma certamente non farò una festa”. E chiude su Filippo Graviano: “Non ho detto che è un vero pentito. Solo che mi sembra davvero pentito”.


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I legali del senatore: processo condizionato I pm di Firenze: falsità

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COSE LORO

ondizionamento del processo dall’esterno”. Questa l’accusa dei legali di Dell’Utri alla Procura di Firenze, che indaga sulle bombe del ’92-’93 in via dei Georgofili, Roma e Milano. L’avvocato Alessandro Sammarco ha parlato di “atteggiamento molto grave” e il suo collega Antonino Mormino ha lanciato la pesante accusa,

intervenendo in aula: i pm di Firenze avrebbero interrogato i fratelli Graviano dopo la deposizione di Spatuzza a Torino. “È stata una scelta inopportuna e una mancanza di rispetto verso i giudici” di Palermo, quindi Mormino ha chiesto pubblicamente i verbali dell’interrogatorio. Che, però, è avvenuto il 1° dicembre, mentre Spatuzza a Torino ha parlato il 4. Infatti a Firenze sbotta il

procuratore capo Giuseppe Quattrocchi: “Questo signore si è permesso di insinuare il falso. Nelle sedi che contano, quali quelle giudiziarie, bisognerebbe stare molto attenti ad affermare ciò che non si è controllato. La Procura di Firenze ha come suo stile il rigoroso riserbo e non può permettere a nessuno di diffondere notizie prive di fondamento e offensive dell’attività dei magistrati”. Giampiero Calapà

GRAVIANO, PAROLE DA BOSS

Filippo: “Mai conosciuto Dell’Utri, mai aspettato aiuti” Il capofamiglia Giuseppe: “Non parlo, per il momento” di Giuseppe Lo Bianco

SEGNALI DA 41- BIS “Mi hanno sepolto vivo” on è un 41-bis normale, è un sistema mirato ad “N annullare la personalità per acquistare nuovi collaboratori di giustizia, questo è il vero obiettivo. Giu-

Palermo

a suspense dura circa venti minuti, carichi di timori e di speranze: nello schermo di un televisore al plasma nell’aula della seconda sezione della Corte di appello di Palermo, il boss Filippo Graviano - 49 anni, capomafia di Brancaccio, stragista condannato a più ergastoli, rinchiuso nel carcere di Parma - risponde in perfetto italiano alle domande del pm Antonino Gatto. Rivela il suo percorso di legalità avviato da dieci anni, confessa il suo rispetto per le regole, dice di astenersi da “comportamenti astuti”, parla della sua passione per lo studio e la matematica in particolare. E soprattutto ammette di avere parlato nel 2004 in carcere con Gaspare Spatuzza, futuro pentito. Il pm chiede, il boss irriducibile risponde. Seduto accanto ai suoi avvocati Marcello Dell’Utri, mascella serrata e braccia distese sul tavolo, ha lo sguardo perso nel vuoto. Graviano scioglie i ricordi carcerari, ammette di avere parlato con Spatuzza di ritorno dal carcere di Rebibbia, nel 2004: “Mi disse che aveva incontrato Vigna”. E subito dopo si ritrae: “Sul contenuto non vorrei dire qualcosa di errato”. Siamo a un passo dalla conferma-bomba: secondo Spatuzza, Filippo Graviano gli parlò della trattativa tra Stato e mafia. Come un esperto regista, il boss conduce tutti, avvocati, pm, Corte e l’imputato, sulla soglia della rivelazione clamorosa, sa che se le parole di Spatuzza hanno dettato l’agenda politica del paese. E quando è stretto nell’angolo dalla domanda del pm – “che le disse Spatuzza di ritorno da Rebibbia?” – il boss aumenta sapientemente la suspense per poi virare, altrettanto clamorosamente, di 180 gradi: “A Spatuzza non ho detto quelle parole, né potevo dirle. Sono stato arrestato nel ‘94, dovevo scontare 4 mesi. Nessuno doveva promettermi niente. Se avessi dovuto consumare una vendetta,

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Filippo Graviano in videoconferenza ieri a Palermo (FOTO ANSA)

l’avrei fatto allora, nel 2004, non è che stavo in un hotel”. Fine della suspense. Il boss torna a fare il boss e nega tutto. La tensione in aula si scioglie sul volto del senatore Dell’Utri segnato da una minuscola cicatrice, probabile spia di un lifting recente, volto che si distende definitivamente alla domanda finale del pm: “Graviano, ha conosciuto il senatore Dell’Utri?”. “Assolutamente no”. Per raccontare il giorno dei Graviano nel processo Dell’Utri bisogna partire da quella suspense abilmente condotta da Filippo, il numero 2 della famiglia, lo scoglio più difficile da superare per il senatore-imputato che, apparso meno preoccupato dal fratello Giuseppe, è entrato persino in ritardo nell’aula dopo la pausa disposta dal presidente Claudio Dell’Acqua, a collegamento già avviato con il carcere di Tolmezzo. E dove è andata in scena la suspense ripetuta, in forma ridotta, dal fratello Giuseppe, il capo della cosca, che si è avvalso poco dopo della facoltà di non rispondere. “Per il momento” spiega pesando le parole. Non perché non voglia, ha precisato il boss, ma per le sue condizioni di salute che non gli permettono di parlare. Ma di scrivere sì, e le sue lamentele sono elencate in una lettera inviata alla Corte in cui denuncia i rigori del 41-bis. La lettera non viene letta, e a spiegarne il contenuto ci pensa il suo av-

REGIONALI

seppe Graviano è sepolto vivo, sottoposto a una condizione alienante”. Il presidente del collegio giudicante, Claudio Dall’Acqua, si rifiuta di leggere in aula la lettera inviatagli via fax da Graviano ma a parlare del suo contenuto è il suo legale che racconta come al carcerato manchi anche la carta igienica e gli strumenti essenziali per l’igiene e anche per l’alimentazione. Semplice richiesta di un detenuto o qualcosa di più? Magari l’ennesimo “segnale” di cui gli uomini d’onore sono maestri? Il dubbio ieri a Palermo è serpeggiato immediatamente, rimettendo l’agenda sulla questione del carcere duro. “Voi penserete che lui voglia dire: 'toglietemi il 41-bis e allora parlo'. Non è così - spiegava ancora l’avvocato del boss - perché è da dieci anni che è così. È sepolto vivo, nessuno si è curato di Giuseppe Graviano. Se non ci fosse stata la deposizione, chi si sarebbe accorto di Giuseppe Graviano? Credo, inoltre, che la condizione del fratello sia la stessa”.

vocato, Ninni Giacobbe: “Il mio cliente è in uno stato di alienazione totale, è monitorato 24 ore su 24 dalle videocamere ed è tenuto sotto riflettori e visori ionizzanti. Non gli danno neppure la carta igienica. Il suo non è un 41-bis normale, ma una tecnica mirata ad annientare la personalità e a indurre alla collaborazione con la giustizia”. Anche qui, fine delle trasmissioni, terminate prima

Suspense garantita tra il dire e il tacere. Come in un gioco che è ancora tutto aperto di Vincenzo Iurillo

PARTITA A DUE PER IL DOPO COSENTINO chi pensa Berlusconi quando manda in soffitta Nicola Cosentino e i suoi presunti legami con i clan casalesi, dicendo che il candidato Pdl a Governatore della Campania sarà un ‘esterno alla politica’? Gli unici nomi che rispondono al profilo sono due. Il primo è quello di Arcibaldo Miller, già pm a Napoli, nominato da Roberto Castelli durante il secondo governo Berlusconi capo degli ispettori di via Arenula. Incarico che gli verrà confermato da Mastella durante il governo Prodii. Il secondo è Giovanni

A

Lettieri, leader degli industriali napoletani. Miller può contare sui buoni rapporti con la famiglia del presidente Pdl della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro. Ma rimbomba ancora nelle orecchie dei dirigenti del centrodestra campano l’appello di Berlusconi a candidare Lettieri al vertice di Palazzo Santa Lucia. Era il 22 ottobre 2008. Sull’altro versante politico e di latitudini - in Lombardia il Pd punta su Filippo Penati, ex presidente della provincia di Milano. Ottima l’accoglienza di Formigoni: lo sanno tutti che è un comunista.

ancora di iniziare. Filippo parla, lascia in attesa, poi nega. Giuseppe mostra un vorrei ma non posso, fino a quando ci sarà questo 41-bis. E subito dopo, dentro e fuori dall’aula si scatena la caccia a decifrare quelli che appaiono segnali e messaggi a cui neanche il senatore Dell’Utri sembra sottrarsi: per lui Spatuzza è un falso pentito, Filippo Graviano, invece, mostra segni di ravvedimento. Affettuosità reciproche che suggellano la fine temporanea di un incubo per l’imputato più importante d’Italia, che la terza deposizione – quella del “picciotto” Cosimo Lo Nigro, venuto anch’egli a smentire Spatuzza – non scalfisce e che ribadisce, anzi, la considerazione dei “picciotti” di Brancaccio verso “l’infame” Spatuzza: “Lo rispettavo come un fratello più grande – dice Lo Nigro – abbiamo avuto una bellissima amicizia”. La partita dei Graviano al processo Dell’Utri si chiude probabilmente qui - il pg Nino Gatto ha lasciato intendere che potrebbe reintrodurre la carta Ciancimino, chiedendo di nuovo l’audizione del figlio di don Vito, già bocciata - assieme alle soddisfazioni per la smentita di Spatuzza un brivido finale attraversa la schiena dei difensori: “Non ci aspettavamo nulla di diverso, anche se quegli accenni al 41-bis non mi sono piaciuti” dice all’uscita uno dei legali del collegio difensivo. E l’avvocato Ninni Giacobbe ricorda alla fine ai giornalisti che gli chiedevano se le parole di Giuseppe Graviano erano finalizzate a lanciare il messaggio che sarebbe disponibile a parlare solo qualora gli fosse revocato il carcere duro: “Non dovete interpretare così, sono cose che dice dal ‘94. Però se le sue condizioni di salute dovessero migliorare, come ha spiegato, potrebbe parlare”. La suspense continua.

IL CONFRONTO

QUANDO SPATUZZA DISSE: “ERA PRONTO A COLLABORARE” In termini di parole ieri Filippo Graviano Cunaontraddizioni? ha dato una versione diversa, opposta a quella fornita settimana fa da Spatuzza a Torino. Ecco punto per punto le dichiarazioni incrociate dei protagonisti rese nei loro interrogatori al processo Dell’Utri. GASPARE SPATUZZA

FILIPPO GRAVIANO

“Se non arriva qualcosa parliamo con i magistrati” “Ho avuto la sensazione che Filippo stava crollando, perchè stava malissimo. A quel punto mi disse: 'E' bene far sapere a mio fratello Giuseppe che, se non arriva niente da dove deve arrivare qualche cosa, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati'. Io so da dove deve arrivare qualche cosa. È una confidenza che mi è stata fatta da Giuseppe Graviano, avevamo chiuso grazie alla serietà di queste persone, nello specifico del signor Berlusconi” .

“Mai detto, non c’era nulla da promettermi” “Io le posso dire che io non ho detto mai quelle parole a Spatuzza, non potevo dirle ed ho tentato di spiegarlo anche ai magistrati che mi hanno interrogato in precedenza: quando sono stato tratto in arresto, nel 1994, sono stato arrestato perché dovevo scontare 4 mesi, non avevo processi pendenti, perciò non c’era nessuno che aveva da promettermi qualcosa, perché non avevo problemi, allora”.

“Quello di Canale 5 ci ha messo il Paese nelle mani” “Graviano mi si dice che avevamo chiuso tutto ed ottenuto quello che cercavamo, e questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa storia. Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi, ed io chiesi a Graviano se era quello di Canale 5 e Graviano mi disse che era quello di Canale 5, aggiungendo che c’era di mezzo un nostro compaesano, Dell’Utri. Grazie alla serietà di queste persone, ci avevano messo praticamente il Paese nelle mani”.

“Mai avuto rapporti con Dell’Utri” “Se ho avuto rapporti di qualsiasi genere - prima del processo e prima anche delle vicende in cui sono coinvolto - con il senatore Dell'Utri? Direttamente o indirettamente? No”.

Filippo Graviano, sotto Giuseppe Graviano e a sinistra Gaspare Spatuzza


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L’attacco di Brunetta allo sciopero del sindacato

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LAVORO&FINANZA

ffici pieni, scuole piene e piazze vuote. Questo il bilancio non certo esaltante, almeno dal punto di vista degli organizzatori, dello sciopero weekend voluto pervicacemente dalla Cgil”. Così il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta commenta la manifestazione della Cgil,

politica di riforma del ministro. La Cgil prenda atto che il paese non si è nemmeno accorto di questo sciopero immotivato, intempestivo e isolato. Ma soprattutto rifletta su un dato solo apparentemente paradossale: anche una buona parte dei suoi iscritti ha deciso di non fare sciopero. Meditate, Podda e compagni. Meditate”.

in una nota del ministero. “Lo attestano i dati ufficiali sulla partecipazione – si legge nella nota – (meno del 10% dei dipendenti pubblici) forniti dal dipartimento della Funzione pubblica sulla base delle comunicazioni inviate dalle singole amministrazioni. Cifre che coincidono con quelle raccolte nelle altre tre precedenti manifestazioni organizzate contro la

LA PIAZZA DELLA CONOSCENZA Scioperano gli statali della Cgil insieme con i lavoratori di scuola, università e ricerca contro i tagli cose si potrebbero ottenere”. Sulle adesioni allo sciopero classica guerra di cifre tra ministero e sindacato. Podda ha dichiarato di aver registrato il 50-60 per cento di assenze dal lavoro mentre il dicastero della Funzione pubblica calcola che la partecipazione alla protesta fosse del 9,7 per cento. Ai cortei erano presenti, secondo gli organizzatori, 100 mila persone a Roma, 70 mila a Milano, 10 mila a Napoli. In piazza anche una rappresentanza dei ricercatori dell’Ispra e dei fisici dell’Infn. Molta attenzione alla protesta anche dalla politica: sono entrati e poi usciti dal corteo nella Capitale il segretario del Partito democratico Pier Lui-

gi Bersani, quello dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro e Claudio Fava di Sinistra e libertà. NIENTE POLITICA. Ma è stato proprio Epifani a ribadire che quella di ieri non è stata “una manifestazione politica ma sindacale. Perché si chiede il rispetto dei contratti pubblici e l’obiettivo è il rilancio della scuola e del lavoro, e questo è un obiettivo sindacale. Il governo, piuttosto, risponda nel merito”. Ma dall’esecutivo nessuna apertu-

ra: “Bisogna avere il coraggio di cambiare, di superare vecchi slogan, di rinnovarsi” ha risposto Mariastella Gelmini alla Cgil, mentre il ministro del Lavoro Sacconi ha definito la manifestazione “antistorica come una protesta contro la pioggia”. c .pe.

Epifani si richiama alla Costituzione, in corteo anche gli scienziati dell’Ispra e dell’Infn

Il corteo dei lavoratori pubblici che ha attraversato ieri le vie del centro di Milano (FOTO ANSA)

iù scuola, più ricerca, più risorse per i contratti pubblici. Meno tagli, meno precari, ma soprattutto più Costituzione, che “non è un ferrovecchio” del passato ma “il nostro presente”. Sono state queste le parole d’ordine della manifestazione di ieri indetta dai lavoratori pubblici e della conoscenza della Cgil che sono scesi in piazza in tutte le grandi città.

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OTTO ORE. Sciopero di otto ore e un corteo colorato a Roma, partito da piazza della Repubblica per raggiungere piazza del Popolo. Palloncini della Flc, bandiere rosse della Cgil e slogan contro le riforme previste dal governo Berlusconi per le circa 100 mila persone che hanno sfilato scenograficamente attraverso la cornice di Trinità dei Monti. Striscioni per contestare

il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini e quello della Funzione pubblica Renato Brunetta. Maschere contro la “deforma” dell’Università e i capelli del premier nel mirino dei manifestanti: “Berlusconi stai calmino, senza la ricerca ti metti il parrucchino”. Dal palco sono intervenuti insegnanti precari, ricercatori, dipendenti di accademie e conservatori e lavoratori della funzione pubblica, assieme ai rappresentanti sindacali e al segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani che ha parlato in difesa della Carta costituzionale. “Per noi il lavoro pubblico è presidio di legalità, democrazia e difesa delle nostre istituzioni – ha dichiarato Epifani – lo voglio gridare: la nostra Costituzione non ce l’ha regalata nessuno, è figlia di una lotta durissima contro il fascismo”. E ha lanciato un appello “per ri-

mettere in piedi il comitato Salviamo la Costituzione. La Cgil sta e resterà sempre dalla parte della Costituzione. Viva la Repubblica italiana fondata sulla libertà e sul lavoro” ha concluso il segretario della Cgil lasciando alle note di Bella ciao la chiusura della manifestazione. SPACCATURA. Il sindacato ha scelto di scendere in piazza anche senza l’adesione di Cisl e Uil. “Ho rammarico di non poter stare insieme – ha detto Guglielmo Epifani – ma credo che se il governo è inadempiente si debba rispondere. Oggi c’è la Cgil ma non dispero”. Più duro il segretario della Fp-Cgil Carlo Podda. “Ai dirigenti di Cisl e Uil – ha dichiarato dal palco di piazza del Popolo – chiedo se non si sentono in imbarazzo. Ma vi sembra possibile stare in queste condizioni? Perché se fossimo uniti le

Letizia Passarella

Mara Masi

Fabio Contu

laureanda

ostetrica

insegnante

Studentessa di Medicina, Letizia ha rappresentato gli studenti universitari e medi sul palco di piazza del Popolo. “Nel mio futuro vedo difficile restare in Italia – racconta Letizia – perché non si investe in ricerca e molte possibilità sono precluse. Il ddl Gelmini è la riforma dei meno: meno risorse, meno ore a scuola, meno laboratori, meno ricerca. E noi cosa restiamo a fare? Non vogliamo che i privati entrino dentro la scuola ed è inaccettabile riformare il diritto allo studio senza il nostro parere.

Scendono da Trinità dei Monti dietro a uno striscione che rappresenta i lavoratori della funzione pubblica di Firenze. Mara Masi è un’ostetrica della Asl numero 10 del capoluogo fiorentino e sfila assieme ai lavoratori del tribunale, della provincia e degli ospedali. “Protestiamo perché il pubblico impiego è sotto attacco continuo – dice Mara – vorrei che Brunetta venisse a vedere come si lavora negli ospedali, con turni disumani e rinunciando alle ferie. E abbiamo contratti come 25 anni fa”.

Fabio Contu insegna in una scuola superiore di Genova. Manifesta con la bandiera rossa della Cgil avvolta sulle spalle. “E’ il momento di far sentire la voce dei lavoratori – dice Fabio – perché questo governo non fa che tagliare risorse a un settore che invece è strategico. Ma i soldi ci sono: gli otto miliardi tagliati a scuola e università sono esattamente gli stessi che vengono spesi per la missione in Afghanistan. Il punto è che il governo ha altre priorità, e noi non ci stiamo”.

Testimonianze raccolte durante la manifestazione a Roma da Caterina Perniconi

La maxievasione di Valentino: 400 milioni IL FISCO ITALIANO INDAGA SULLE TASSE PAGATE DURANTE LA GESTIONE MARZOTTO di Alfredo

Faieta Milano

alentino fashion group, attualVprivate mente controllata dal fondo di equity Permira, avrebbe evaso imposte societarie per una somma all’incirca di 400 milioni di euro, compresi gli interessi di mora e sanzioni pecuniarie. L’evasione, relativa al 2003, sarebbe da addebitare alla controllata tedesca Marzotto GmbH, società nel frattempo messa in liquidazione con un procedimento concluso a fine 2008. L’indiscrezione, raccolta dal Fatto Quotidiano, riguarda quindi un periodo nel quale la nota casa di moda era parte del gruppo Marzotto, controllato dall’omonima famiglia che aveva acquistato la società dallo stilista Valentino Garavani. Dal 2003 fino al maggio del 2009, quando il processo verbale di contestazione sarebbe stato inviato alla società tedesca, molte cose sono cambiate. Al tempo infatti Valentino fashion group era parte del

gruppo vicentino che, nel 2005, aveva ristrutturato le attività scindendo quelle tessili (abbigliamento e moda) successivamente quotate in Borsa sul listino milanese dove erano state oggetto di un’offerta pubblica di acquisto del fondo Permira a 35 euro per azione. Secondo le indiscrezioni, sarebbe intensa l’attività di opposizione della società. E non è escluso che alla fine si arrivi, come in molti casi, a una transazione stragiudiziale che abbatta la cifra oggetto della contestazione. Valentino Fg è soltanto l’ultimo dei grandi marchi a finire nel mirino del fisco. A cominciare da Dolce & Gabbana, oggetto di verifiche fiscali sia nel 2008 con la loro società lussemburghese Gado (relativamente a fatti del 2004-2006) sia nel 2009, per una maxi elusione fiscale di complessivi 800 milioni di euro, questa volta relativamente alle due persone fisiche. E’ di qualche giorno fa, inoltre, la notizia che Leonardo Del Vecchio, fondatore e principale azionista di Luxottica,

avrebbe accettato di pagare circa 300 milioni di euro per chiudere ogni pendenza con il fisco (anche in questo caso si tratterebbe di elusione) sempre relativamente a una controllata tedesca, la Leofin, posta a metà strada nella catena di controllo tra le attività industriali e la holding familiare. Ma la tegola tributaria per Valentino ha risvolti ben più pesanti che negli altri casi. La società è infatti in difficoltà finanziarie, dovute alla forte esposizione debitoria conseguente all’acquisto a leva da parte di Permira (una complessa operazione spesso utilizzata dai fondi di private equity chiamata in gergo leveraged buy out, che carica di debiti la società acquisita sulla base della sua possibilità di ripagarli grazie ai flussi di cassa futuri). Debiti che sarebbero impossibili da saldare alla luce dell’andamento dei conti dovuto alla crisi mondiale che sta attraversando il settore della moda, tanto che la società sta negoziando con la banca americana Citigroup il riacquisto del suo

debito scontato di una grossa percentuale. Si starebbe trovando l’accordo per circa 270 milioni di euro che andrebbero a estinguere una posizione debitoria per 750 milioni circa, con un danno per Una recente la banca valusfilata del tato quasi 500 marchio milioni. L’istiValentino tuto americaa Roma (A ) no uscirebbe però dalla partita e la banche di riferimento del gruppo della moda resterebbero due: Mediobanca e UniCredit. Entro fine anno Valentino Fg dovrebbe completare la ristrutturazione delle controllate: in questa direzione Valentino international Nv, una finanziaria di diritto olandese che controlla il marchio di abbigliamento maschile Hugo Boss dovrebbe passare direttamente sotto Red & Black Luxco (R&B), la società veicolo creata da Permira che detiene i pacchetti NSA

azionari. R&B “pagherebbe” l’acquisizione suddividendo buona parte del debito ora in capo a Valentino Fg, che passerebbe quindi sotto la nuova entità che si creerà dallo scorporo. E grazie al taglio dei debiti la società italiana, ora in odore di default, potrebbe respirare. Dal canto suo la controllante potrebbe in futuro più agilmente alienare uno dei due rami in ottica di un riposizionamento strategico. Non solo: dalla ristrutturazione dovrebbero emergere anche benefici fiscali per Valentino, sembra pari a una decina di milioni di euro. Questi, perfettamente leciti.


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A Bologna gavettoni di vernice colorata

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ABUSI

oma, Torino, Bologna, Milano: gli studenti italiani ieri sono scesi in piazza assieme alla Cgil contro i tagli alla scuola e all’istruzione. E in molte città si sono verificati momenti di tensione o veri e propri scontri con la polizia. Gavettoni di vernice colorata sono stati gettati contro le forze dell’ordine a Bologna. I palloncini, assieme

a petardi e fumogeni, sono stati lanciati davanti alla sede del consolato greco in via Indipendenza, nel centro della città. Qui il gruppo, circa 150 persone, si era recato per manifestare la propria solidarietà allo studente ucciso in Grecia un anno fa, ma ha trovato carabinieri e polizia in tenuta antisommossa, che hanno impedito l’accesso. Prima il corteo era

passato in via Rizzoli e alcuni esponenti avevano attaccato adesivi sulle vetrine di una filiale UniCredit, con scritto “Yes We Cash”. Un graffito è stato realizzato sul pannello sotto le Due Torri, in memoria dello studente. Il corteo, che si è svolto in contemporanea ma separato da quello della Cgil, ha poi anche bloccato il traffico sui viali di circonvallazione.

Milano

“PER LA SCUOLA E ANTIFASCISTI” Corteo per difendere la scuola, ma anche per ricordare le radici antifasciste a Milano. Al fianco degli studenti ieri c’erano anche molti docenti. La manifestazione è giunta in Piazza Fontana, dove è stato ricordato il 40esimo anniversario della strage della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Un’immagine degli scontri tra studenti e polizia a Roma. In basso, il corteo di Torino (FOTO ANSA)

Manganelli non autorizzati STUDENTI IN PIAZZA, LA POLIZIA CARICA di Caterina Perniconi

oliziotti con caschi, scudi e manganelli contro ragazzi inermi. Sono queste le immagini che provengono dai cortei studenteschi di ieri in tutta Italia. In un periodo di attenzione mediatica nei confronti dell’operato delle forze dell’ordine, non sono comunque mancate le tensioni. La più forte è stata a Roma, dove due giorni prima della manifestazione era stata revocata dal prefetto l’autorizzazione, già accordata dal questore, per il percorso degli universitari. Il prefetto si è appellato al nuovo protocol-

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lo comunale che prevede un unico corteo al giorno per non bloccare il traffico della Capitale, per di più in periodo di shopping natalizio. “Ma il problema non era di ordine pubblico – dice Claudio Riccio, coordinatore di Link, coinvolto negli scontri – perché in questo modo sono stati creati molti più blocchi. E’ stata una scelta strumentale ed evidentemente politica, innanzitutto perché la comunicazione è arrivata dal prefetto e non dal questore e poi perché per la prima volta gli studenti sfilavano assieme a un sindacato organizzato, la Flc-Cgil, e si è voluto scioglie-

re il legame”. I manifestanti sono partiti alle 9.50 da piazzale Aldo Moro, di fronte all’Università La Sapienza, e si sono diretti verso piazza della Repubblica per unirsi al presidio dell’Unione degli studenti e proseguire in direzione di viale Trastevere, sede del ministero dell’Istruzione. “In prossimità della piazza – racconta Riccio – siamo stati bloccati dalla polizia e cordonati su tutti e quattro i lati. A quel punto abbiamo parlato con i poliziotti e proseguito con le mani alzate e il volto scoperto affinché ci aprissero un varco per confluire nell’altro corteo. Ma loro non si sono

spostati, anzi, ci hanno caricato una prima volta, e poi una seconda in modo più violento. A quel punto siamo scappati in direzione del ministero dell’Economia e i poliziotti hanno cominciato a correre di fianco a noi, anche singolarmente. Mi hanno spinto contro un motorino e mi hanno preso a manganellate. Mi ha appena chiamato mio padre che ha visto le immagini al Tg3 e si è spaventato moltissimo”. Gli studenti, che protestavano dietro lo striscione “Fanno il

deserto e lo chiamano futuro”, hanno risposto col lancio di oggetti e poi si sono fermati in via XX settembre, di fronte al dicastero dell’Economia. “Il segnale importante – spiega Riccio – è che il corteo non si sia disperso. Non ci siamo fatti intimorire, noi eravamo disarmati e volevamo solo manifestare il nostro dissenso nei confronti di un governo che sta smantellando l’università pubblica e mettendo a rischio il nostro futuro. Alla fine, non volendo, siamo capitati sotto

al ministero che ha più responsabilità in questa situazione”. Il bilancio degli scontri, secondo Francesco Brancaccio, uno degli organizzatori, è di due feriti: un ragazzo che è stato ricoverato per una frattura alla mano e un altro colpito in faccia. Dalla manifestazione della Cgil, è arrivata la solidarietà agli studenti del segretario della Flc Mimmo Pantaleo: “Hanno dato manganellate agli studenti – ha dichiarato dal palco – ed è un fatto gravissimo come lo è la scelta di aver evitato ai ragazzi di andare davanti al ministero”.

TORINO

LANCI DI UOVA E SPINTONI IL VIDEO FINISCE SU YOUTUBE di Stefano

Caselli

Torino

di tensione anche a Torino, ieri matAzatattimi tina, durante la manifestazione organizdall’Onda anomala e dal Collettivo studenti contro la riforma Gelmini. Il corteo parte come di consueto alle nove e mezza da piazza Arbarello, diretto verso Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche. Dopo il rituale passaggio di fronte alla sede regionale del Miur (e l’altrettanto rituale lancio di uova) alcune decine di ragazzi (in

Deviato il percorso del corteo: dieci ragazzi feriti, quattro agenti contusi

parte delle scuole superiori, altri del Collettivo autonomo universitario) dietro la scritta “Abbiamo pagato tanto, ora ci riprendiamo tutto”, decidono di deviare il percorso del corteo concordato con la questura puntando verso via XX settembre, poco prima di piazza Castello. All’altezza di via Bertola il corteo, preceduto da un furgone, viene bloccato da una ventina di agenti in tenuta antisommossa. Manifestanti e polizia si fronteggiano, per la verità nemmeno troppo minacciosamente. All’improvviso (come si può vedere in un video postato dagli studenti su YouTube) parte una piccola carica della polizia. I ragazzi indietreggiano, vola qualche oggetto e dopo pochi minuti una seconda carica scalda gli animi più del dovuto. Risultato, una decina di manifestanti feriti, tra cui due ragazzini di 14 e 15 anni con una sospetta frattura al naso. Quattro contusi anche tra i poliziotti. Tutti, per fortuna, sono stati medicati e immediatamente dimessi dall’ospedale.

I manifestanti avrebbero voluto raggiungere la sede del Pdl in corso Vittorio Emanuele: “Intendevamo portare simbolicamente un crocifisso di cartone – racconta Giovanni, rappresentante del Collettivo studenti – per manifestare contro l’obbligo di esporlo nelle scuole. La polizia ha tentato di strapparci lo striscione e ha caricato senza ragione, tanto che alcuni agenti in borghese hanno tentato di bloccare i colleghi”. Una scena che il buon senso di tutti avrebbe potuto agevolmente evitare e che si inserisce in un clima già agitato nelle ore precedenti: focolai di guerriglia urbana, infatti, in diverse zone della città dal tardo pomeriggio di giovedì fino a notte tra anarchici e polizia, a

causa di tre sgomberi e l’occupazione di un ex cinema a luci rosse chiuso da tempo. Dopo gli incidenti in via XX settembre, il corteo è rifluito verso il percorso autorizzato raggiungendo Palazzo Nuovo: “Abbiamo solo cercato di dare corpo alla linea politica decisa nell’ultima assemblea nazionale di Napoli degli studenti medi – racconta Gabriele del Collettivo studenti – riprenderci gli spazi anche fuori dalle scuole, anche la città, senza accettare intimidazioni. E dopo quello che è successo oggi abbiamo deciso di convocare un’assemblea nazionale proprio a Torino, il 9 e 10 gennaio”. Verso sera, infine, alcune decine di studenti hanno improvvisato un sit-in di fronte alla sede Rai di via Verdi, tentando di esporre le ragioni della manifestazione al telegiornale regionale.


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Il Governatore in crisi dopo un anno e mezzo

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BUIO A MEZZOGIORNO

lle ultime elezioni regionali sbaragliò tutti, Anna Finocchiaro, la candidata del centrosinistra, e i suoi concorrenti interni. I notabili del centrodestra siciliano e Totò Cuffaro, l’ex governatore. Un trionfo assoluto svanito a un anno e mezzo dal suo insediamento ai vertici del governo siciliano. Troppe divisioni all’interno del centrodestra, troppe fibrillazioni

dentro il Pdl di obbedienza berlusconiana per resistere. La giunta di Raffaele Lombardo è in crisi, la sua maggioranza non esiste più, ora il governatore leader del Mpa può contare solo su 31 deputati regionali su 90. I giochi sono aperti, per andare avanti Lombardo ha due strade: o ricucire, grazie a Berlusconi, i rapporti con le varie anime del Pdl siciliano, oppure ottenere l’appoggio esterno

del Pd. “Quanto capita attorno al governo, questa porcheria, questa azione di stupro, non è né casuale né dovuto a simpatie o antipatie del presidente, ma perchè si intaccano interessi forti che una svolta mette in discussione; per cui abbiamo la reazione di chi, attorno a questi interessi, ha aggregato le proprie cose, e di chi in ne è rappresentante in sede politica e legislativa”, ha detto ieri Lombardo.

“BASTA CON GLI INCIUCI” Borsellino: nessun accordo con gli uomini di Dell’Utri

di Enrico Fierro

ora dovremmo addirittura sorbirci la favoletta di un Micciché eroe ribelle della sicilianità, e di un Lombardo novello autonomista contro il potere di Roma? Ma via, non ci crede nessuno. La verità è che siamo di fronte a un gioco di potere tutto dentro al centrodestra siciliano. Le solite storie, i soliti gruppi di potere che si muovono all’ombra dei potentati politici”. Rita Borsellino chiude le porte a ogni ipotesi di accordo tra Pd, Lombardo e l’ala del Pdl siciliano che fa riferimento a Gianfranco Micciché. Ma l’intesa sembra alle porte, tanto che sui giornali siciliani circolano già i nomi dei probabili assessori “tecnici” indicati dal Pd nel nuovo governo regionale. Il Pd è spaccato tra chi, come il segretario regionale Giuseppe Lupo e il deputato nazionale Peppe Lumia, è possibilista e chi è nettamente contrario. Come Enzo Bianco. “Non possiamo fare inciuci che non sarebbero compresi dagli elettori”. E la deputata Alessandra Siragusa. “Mentre Lombardo lascia credere di aver rotto con Berlusconi i deputati dell’Mpa alla Camera votano compattamente con il governo, ieri per salvare Cosentino, oggi sul bilancio dello Stato, che pure penalizza ancora una volta il sud e la Sicilia. Basta con questi bluff ”. Onorevole Borsellino, si ha l’impressione che in Sicilia il “milazzismo” non sia mai morto? Diciamo che è una malattia che spesso ritorna. Eppure molti in queste ore

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parlano del “laboratorio” siciliano. Anche questa è una vecchia storiella. Ma quale laboratorio? La realtà è più complessa. Siamo di fronte a un formidabile riassettamento di potere, c’è un rimescolamento e ogni soggetto cerca di agguantare quote di comando all’interno della politica siciliana. Gianfranco Micciché e il suo Pdl Sicilia, ad esempio? Guardi, trovo veramente ridicolo tratteggiare Micciché, il fedelissimo di Berlusconi e dell’Utri, come un ribelle. Micciché sta giocando una partita sua, ha colto il momento di estrema debolezza che sta vivendo Lombardo e si inserisce. Altro che interessi della Sicilia, governabilità e chiacchiere varie, la posta in gioco è un’altra e i siciliani c’entrano poco. Lombardo dice che contro il suo governo si sono mossi interessi forti. A cosa si riferisce? Nella commedia di questa crisi, ogni attore vuole ritagliarsi

La deputata europea chiude le porte a intese tra il Pd, il governatore e Miccichè un ruolo che gli è poco consono. Ora tutti vogliono fare gli innovatori. Lombardo dice che lui ha decuffarizzato la regione, e di questo ne fa un motivo di vanto politico. E forse ha ragione, nel senso che ha smontato il vecchio sistema di potere costruito da Totò Cuffaro. Uomini, burocrazie, sistemi di interesse. Ma il punto è che a questo sistema di potere ha sostituito il suo. Gli uomini sono diversi, ma le modalità di organizzazione e di esercizio del potere sono le stesse. Di-

Rita Borsellino

ciamo che Lombardo ha decuffarizzato per lombardizzare. Le cronache giornalistiche raccontano di un incontro tra Massimo D’Alema e Lombardo, dicono che hanno mangiato un’ottima orata e hanno sottoscritto un patto. Sono contenta per loro per l’orata, ma con Massimo D’Alema ho parlato e gli ho detto con chiarezza che accordi, alleanze, appoggi esterni, sarebbero solo un papocchio. Riepilogando: si spacca il Pdl, ma Micciché non rompe né con Berlusconi, né con Dell’Utri. Lombardo è alla ricerca di maggioranze

diverse, ma a livello nazionale continua a sostenere il governo di centrodestra. E c’è il Pd, che si divide e rischia di rimanere col cerino acceso in mano. Il Pd in Sicilia è ancora alla ricerca di una identità. Una situazione che è certamente simile a quella di altre regioni, dove ancora si oscilla sul tema delicatissimo delle alleanze. Penso particolarmente alla Puglia, dove si dice no alla ricandidatura di Vendola perché questo viene imposto dalla ricerca di possibili accordi con l’Udc. Ma qui tutto viene accelerato dalla crisi del governo Lombardo.

Lo rinviano a giudizio e Fitto esulta: “L’accusa è crollata” IL MINISTRO IMPUTATO, INSIEME AD ANGELUCCI, PER CORRUZIONE E FINANZIAMENTO ILLECITO di Antonio Massari

preliminare, Rosa Calia di Pinto, su richiesta della pubblica accusa, rappresentata dai pm Renato Nitti, l processo inizierà nel febbraio 2010: il ministro Lorenzo Nicastro e Roberto Rossi. Il ministro ha per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ieri è commentato così: “L’impianto accusatorio è crollastato rinviato a giudizio per “corruzione” e “finan- to”. Fitto ha parlato d’una sentenza che gli “rende ziamento illecito” del suo partito, la “Puglia prima di finalmente giustizia”. Una sentenza – ribadiamo: un tutto”, a causa d’una presunta tangente da 500 mila rinvio a giudizio per “corruzione” e “finanziamento euro versata, nel 2003, dal patron della sanità laziale illecito” - che “fa crollare completamente l’origina- e dei quotidiani Libero e Il Riformista - Gianpaolo An- rio impianto accusatorio che, oggi, si conferma pugelucci, anch’egli rinviato a giudizio per corruzione. ramente persecutorio”. La decisione è stata presa dal giudice dell’udienza Analisi confermata da un altro ministro del nostro Governo, Sandro Bondi, coordinatore del Pdl, che, nel rinvio a giudizio, legge la sconfitta dei pm e la vittoria di Fitto: “Il di Luca De Carolis DIRITTI processo politico e mediatico nei confronti di Fitto muore oggi, con la pesante sconfitta d’un manipolo di pubblici ministeri, animato da chiaro intento persecutorio. Fitto riuscirà a dimostrare la sua l mobbing esiste anche per chi indossa anni d’inferno, vissuti sotto il peso di due estraneità anche dai reati minori per cui è una divisa. I segni se li porta dentro inchieste aperte nei suoi confronti dal stato rinviato a giudizio”. Luca Marco Comellini, il primo militare ministero della Difesa, entrambe chiusesi In sintesi – caso mai vi fossero ancora dubbi – per questo governo la “corruzione” e italiano ad essere riconosciuto vittima di senza provvedimenti. “Ho pagato la mia il “finanziamento illecito” sono “reati mi“costrittività organizzative, che gli hanno battaglia per il riconoscimento di diritti nori”. Non solo. Quando il giudice accoprovocato un disturbo dell’adattamento tutt’ora negati ai militari, come quello glie la richiesta dei pm – seppure in modo con umore depresso”. Questa la diagnosi all’iscrizione a un sindacato” sostiene. A parziale, come vedremo – e manda a prodei medici dell’Asl Roma D, emessa lo suo dire, sono migliaia i soldati devastati cesso l’imputato, secondo Bondi e Fitto, scorso novembre. Comellini, 44 anni di cui dalle vessazioni dei superiori, “ma il ciò significa che l’impianto accusatorio oltre venti passati nell’Aeronautica, era mondo militare oppone sempre la formula “è crollato”. già stato congedato in gennaio dopo il via del potere-dovere del più alto in grado”. La cronaca ha registrato fatti ben diversi. Accolta la richiesta di rinvio a giudizio di libera di una commissione medica. Ora Comellini ha chiesto un risarcimento Fitto per “corruzione” e “finanziamento vuole che le forze armate ammettano danni di 5 milioni al ministero della Difesa: illecito” che viene prosciolto, invece, l’esistenza del mobbing, che gli ha “Ma l’importante è che il mio caso diventi dall’accusa di “falso” e “associazione per oscurato l’anima. Comellini racconta di un esempio per tanti altri”. delinquere”. L’inchiesta - che ora conta una sessantina di imputati - riguarda la

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QUANDO IL MOBBING INDOSSA LA DIVISA

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Onorevole, come ne uscirete? Certo non alleandoci con Micciché, l’uomo di Marcello Dell’Utri, e proprio – me lo lasci dire – nei giorni in cui a Palermo si sta celebrando un delicatissimo processo sui rapporti tra mafia e politica. Basta con gli inciuci e i giochi delle tre carte. Lombardo venne eletto con una maggioranza mai vista, i siciliani gli affidarono il compito di governare, ora non ha più i numeri, ne tragga le conclusioni. Per quanto riguarda il Pd, dico che è meglio una sana opposizione che partecipare a un governo-papocchio.

presunta associazione per delinquere che, tra il 1999 e il 2005, avrebbe compiuto reati nel settore della Sanità, con lo scopo di favorire alla società “La Fiorita” (di Dario e Pietro Maniglia, rinviati a giudizio). “La Fiorita”, in sintesi, avrebbe goduto d’una sorta di monopolio, nella concessione di appalti e servizi, da parte di enti pubblici e Asl. Il patron della Sanità laziale Angelucci - coinvolto nell’indagine con diverse aziende, tra le quali la cooperativa del quotidiano Libero e il consorzio San Raffaele – andrà a processo con l’accusa d’aver versato 500 mila euro di finanziamento alla lista di Fitto, la “Puglia prima di tutto”, (somma iscritta in bilancio, dopo regolare bonifico): la somma rappresenterebbe, secondo l’accusa, una tangente finalizzata a ottenere un appalto da 198 milioni di euro per gestire alcune residenze sanitarie assistite. Sarebbe questa - il rinvio a giudizio - la sconfitta dei pm. Sarebbe questo il successo di Fitto che, nel 2008, dichiarò al settimanale Tempi: “Con la Procura di Bari ho una battaglia in corso che, per quanto mi riguarda, andrà fino alle estreme conseguenze”. Il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, adesso parla di “massacro politico e umano” nei riguardi del ministro pugliese. Parole – quelle di Bondi, Fitto e Verdini – da non sottovalutare. I tre pm – Nitti, Nicastro e Rossi - sono finiti nel mirino di Angelino Alfano, ministro di Giustizia, che a marzo ha disposto, nei loro riguardi, un’ispezione ministeriale. Della quale, al momento, non si conosce l’esito. Da cosa nasceva l’ispezione ministeriale? Da un esposto di Fitto: il ministro lamentava alcune irregolarità, commesse dai pm, proprio nel procedimento per il quale, ieri, è stato rinviato a giudizio. E Bondi commenta: “Dopo otto anni di indagini, 150 mila intercettazioni telefoniche, e addirittura una richiesta di arresto, i pm sono stati sconfitti dalla verità”.


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LA TESTIMONIANZA

di Maurizio

Chierici

Italia dei nostri giorni è cominciata a Milano, quel 12 dicembre in Piazza Fontana. Noi cronisti l’abbiamo vissuta così. Il questore Marcello Guida sta telefonando. Le 7 di sera, aspettiamo. “Caro professore, i nostri sospetti sembrano confermati. I suoi ragazzi sono qui. Adesso li informo…”. Appoggia il telefono, guarda i giornalisti del Corriere della Sera. “Spadolini, vostro direttore …”. Due ore e mezza dopo lo scoppio fa sapere che le indagini inseguono gli autori del massacro.

L’

Sette chili di tritolo in una capsula d’alluminio. Non a orologeria. Un impiegato ha visto un filo di fumo uscire da sotto il tavolo. Pensa a un incendio, ma senza preoccuparsi: solo un filo. Gira la testa per chiamare il commesso quando un soffio d’aria calda lo schiaccia alla parete. Ferito ma salvo. Una miccia. Ne hanno trovato un mozzicone. A chi ha nascosto la bomba sono bastati 40, forse 50 secondi per scappare. Correndo”. Le nostre voci chiedono: “Da solo?”. “Solo, ma con alle spalle un gruppo bene organizzato. La perfezione della bomba lo dimostra”. Di quale colore politico? Il

Pazienza ricorda

IL QUESTORE E “QUEI COGLIONI” doveva essere una Nnononstrage. Quei coglioni sapevano che la banca era aperta”. L’avrebbe detto a proposito di Piazza Fontana il prefetto Umberto D’Amato, capo dell’ufficio affari riservati del Viminale, a Francesco Pazienza, altro protagonista dei misteri italiani, il quale lo ha raccontato al giornalista Mario Molinari: il testo integrale dell’intervista è su Savona News. Pazienza ricorda: “Secondo lui doveva essere un atto dimostrativo. Che poi il suo ufficio tirasse le cordicelle di questi, non me lo disse. Mi ricordo però il suo scatto! Ripeto, mi disse ‘Quei coglioni sono andati a mettere una bomba e non lo sapevano che il pomeriggio la banca non era chiusa’; ricordo benissimo l’espressione: quei coglioni”.

BUONE NOTIZIE

PIAZZA FONTANA La genesi di questa Italia Il ricordo dell’attentato, le prime indagini, il clima di sospetto e subito nascono i depistaggi questore sospira prima di sillabare la risposta. Poliziotto di lunga esperienza, sa come sfumare le spiegazioni. Carriera che comincia a ventotto anni, carcere-confino per antifascisti. Quando nel ’68 lo promuovono a Milano, i ragazzi della Statale ne ricordano il passato di “zelante funzionario della polizia di Mussolini”. Induriva regolamenti già terribili. Il prigioniero Sandro Pertini, malato di polmoni, scrive una lettera al ministero, e Guida fa sapere a Roma: “Non è vittima della situazione come vorrebbe far credere”. Insomma, piagnone che imbroglia. ANARCHICI, DIREI Insistiamo: “Di quale colore, signor questore?”. “Anarchici, direi: stiamo indagando”. Il 25 aprile un attentato aveva sconvolto la Fiera di Milano. Bombe artigianali. Qualche anarchico fermato, ma i sospetti erano rimasti sospetti. “Non riesco a capire. Le bombe della Fiera erano grossi petardi; adesso spiega che nell’ordigno della banca c’è la mano di professionisti. Gli anarchici cosa c’entrano?”. “Per il momento non posso dire di

più”. Milano senza nebbia quel pomeriggio del 12 dicembre. I colori del Natale illuminano le vetrine. Rosso il colore di via Montenapoleone: tovaglie, festoni, rose di carta. Al caffè della Rai, corso Sempione, beviamo qualcosa di caldo. Biagi prepara “Terza B facciamo l’appello”. Arriva Mike Bongiorno, sta montando “Rischiatutto”, novità 1970. Parliamo a voce alta per le sirene che corrono in strada. Bongiorno guarda verso il corridoio degli studi e prova a scherzare: “Forse registrano un poliziesco”. Ma le sirene continuano; telefono a Il Giorno. “Corri alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. È scoppiato qualcosa. Forse una caldaia. Forse dei morti”. Ma i taxi dove sono? Spariti. Al volo sul tram che non arriva al Duomo: l’ingorgo taglia le strade. Città paralizzata. Un silenzio irreale avvolge Piazza Fontana. La folla aumenta a ogni minuto che passa, tutti parlano sottovoce come in chiesa. Tacciono le

I funerali delle vittime di Piazza Fontana (FOTO ANSA)

a cura della redazione di Cacaonline

MUOVERSI PULITI Mobilità sostenibili Anzitutto l’aereo a energia solare che vola anche di notte: giovedì 3 dicembre, dopo 6 anni di lavoro, ha compiuto il suo primo volo sperimentale il Solar Impulse, aereo a energia solare, coprendo una distanza di 350 metri. Il velivolo, grande quanto un Boeing 747, del peso di 1,7 tonnellate, è dotato di 12.000 celle solari fotovoltaiche in grado di ricaricare le batterie e alimentare i motori elettrici. Potrà così volare, senza consumare neanche una goccia di carburante, sia di giorno che di notte. Un altro viaggio inaugurale si è svolto nei canali di Amsterdam, dove è stato varato il primo battello ecologico a pile a

combustibile. Alimentato a idrogeno Nemo H2 può trasportare fino a 80 persone, emettendo nell’atmosfera solo vapore acqueo. Una parte dei soldi ricavati dalla vendita dei biglietti verrà destinata alla ricerca sulle ecotecnologie. L’ultima notizia arriva da Parigi: con il progetto Autolib si potranno noleggiare a ore auto elettriche. Il parco macchine sarà costituito da 3.000 vetture, distribuite in oltre 1.000 stazioni sparse per la città. L’abbonamento costerà circa 15 euro al mese più 5 euro per ogni mezz’ora di utilizzo del veicolo. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)

nenie degli zampognari: guardano i lampi delle autolettighe con le cornamuse strette al petto. Dalla farmacia vien fuori chi si è fatto medicare. Portano a braccia un giovane carabiniere svenuto nel salone della banca: l’angoscia per i corpi coperti di polvere e di sangue. Il fotografo Massimo Turchetti riemerge dalla hall affumicata: corre al Giorno con la foto simbolo della tragedia. Quel buco nero dall’alto e attorno le rovine. Nel 1969 non si trasmettevano i giornali in tipografie lontane. Correvano nei camion della notte. L’edizione per Roma chiudeva alle 10 di sera. Nella piccola stanza del direttore Italo Pietra ognuno racconta cos’ha visto: testimonianze parziali che si somigliano. Una domanda tormenta Angelo Rozzoni, vice di Pietra, maniche di camicia rimboccate, matita in mano: spiegare ai lettori chi è stato e perché. “Non è facile…”. Giorgio Bocca mastica la risposta: un’infame provocazione. Dopo processi inutili, imputati e uomini anguilla sgravati per sempre dalla Cassazione, il titolo soffiato da Bocca nella prima pagina del giornale sembra scritto stamattina per ricordare i 40 anni della tragedia mai risolta. Nei giorni che vengono dopo l’ufficialità conferma l’ipotesi di Guida. Ancora una volta attorno alla sua scrivania ascoltiamo come è morto Pinelli, anarchico volato dalla finestra della questura: suicida per la disperazione di aver fallito. Parla il dottor Allegra e il questore approva piegando la testa. Neofascisti e identikit Ma è quel “correre” dell’uomo che ha messo la bomba il dettaglio stonato che non riesco a spiegare. Non va d’accordo col Valpreda dalle gambe molli: ballava e aveva smesso di ballare, la malattia glielo impediva. Pertini, presidente della Camera piange ai funerali. Rifiuta la mano tesa dal questore. Poi la strana telefonata. Gian Luigi Fappanni, 25 anni, neofascista avventuroso, biondo col ciuffo, mi fa sapere, e fa sapere a Gian Luigi Melega di Panorama, di avere segreti dei quali si vuol liberare. Perché proprio noi? Con qualche spillo avevamo raccontato i dubbi sulle prime indagini, e gli amici delle bande nere lo avevano arruolato per passare notizie che incolpassero i protagonisti della destra. Un notaio registra la trappola. Appena i giornali pubblicano i falsi segreti, la beffa della smentita. Si erano presi gioco così di Camilla Cederna: finti campi d’addestramento di Ordine Nuovo in Sardegna. Ci chiedia-

N IMMIGRAZIONE

“Dieci anni per cittadinanza” mo: quale ansia li spingeva ad allontanare i sospetti da una destra ancora non coinvolta mentre il “colpevole” Valpreda annaspa in prigione? Controlliamo i racconti di Fappanni. Un giovane italoamericano era in contatto con i gruppi neri di Padova: Giovanni Ventura, Franco Freda. Fappanni e gli altri lo incontravano nella bella casa di Milano alle spalle del Duomo, finestra affacciata su Piazza Fontana. Per due volte li ha portati in gita alla base Nato di Verona. Fappanni ricorda divise importanti e signori in borghese che abbracciavano il loro accompagnatore. Il quale esibiva nelle stanze milanesi ritratti di Hitler e Mussolini. Dovevamo parlargli per capire chi è. Il portiere fa sapere: ha lasciato la casa il 10 dicembre, due giorni prima della bomba. Dov’è appeso il ritratto immenso di Mussolini? “Di fronte alla porta d’ingresso…”. Fappanni sembra preciso. Il portiere ci accompagna. Mobili e quadri spariti, ma in quella Milano fuliggino-

sa resta l’ombra di un quadro nel posto del duce adorato. Non basta. Vogliamo guardare in faccia i committenti. Appuntamento al bar del metrò di Porta Venezia. Piccolo caffè. Due ore prima si riempie di passeggeri senza fretta: autisti, fattorini, cronisti del Giorno. Mauro Galligani (grande fotografo rapito in Cecenia) fissa l’immagine dei signori che salutano Fappanni. Se ne vanno soddisfatti. La ricompensa è un posto alla Citroën di Parigi e soldi per il viaggio e dove dormire. Continuiamo a non fidarci. Fappanni li richiama dalla cabina dei dimafonisti del Giorno. Registrano ogni parola. È proprio vero. Ma chi sono i trappolanti? Angelo Del Boca, redattore capo del giornale, sfoglia le immagini di Galligani: “Piero Cappello, redattore del Borghese…”, torinese come lui. Patrizio Fusar, cronista di nera, riconosce due uomini di Tom Ponzi. Finalmente scriviamo. Ma Il Giorno battagliero e progressista continua a non fidarsi. Di ora in ora la pagina scivola dai piani nobili del giornale all’ultima pagina di cronaca raggelata da un cappello di poche righe: “Fra le tante voci che ogni giorno indicano piste nuove sulle bombe di Piazza Fontana, per dovere di informazione ne raccogliamo una che ipotizza eventuali responsabilità della destra”. Non appare nell’edizione nazionale, inchiesta rimpicciolita nell’edizione di Milano. Fappanni sparisce. Sei mesi dopo la notizia: ha cercato di morire. Sei mesi dopo Freda, Ventura, i fascisti di Padova e Rauti e Zorzi e Ordine Nuovo diventano i protagonisti di chi scava nei bunker del nuovo fascismo alla ricerca della verità mentre servizi più o meno segreti stanno deviando la verità su trame immaginarie. Se l’avessimo capito prima, chissà.

U

no straniero che voglia diventare cittadino italiano dovrà attendere il decimo anno di residenza per ottenerlo, ma dopo 8 anni potrà fare la domanda e avrà una risposta in tempi più certi di quelli attuali; per diventare italiano dovrà affrontare un percorso culturale e linguistico che terminerà con un giuramento sulla Costituzione. I suoi figli nati qui, invece, diveranno italiani a 18 anni di età, ma a patto che vadano a scuola. Questi i punti principali della proposta di legge della relatrice alla cittadinanza Isabella Bertolini adottata come testo base ieri in commissione Affari Costituzionali.

FOGGIA

La strage dei Moby Dick

S

ette capodogli morti sulla spiaggia alla Foce di Varano. Le nuove rotte dei cetacei, il riscaldamento dei mari: forse per questo sono rimasti spiaggiati sulle coste dell'Adriatico. Per ore gli uomini di Protezione civile, Capitaneria, e i veterinari dell'Asl hanno provato a salvarli. Nulla da fare.

“ANNOZERO”

Insultò Travaglio Sgarbi condannat

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postrofò Marco Travaglio con insulti e parolacce durante la puntata di “Annozero” del 1° maggio 2008: per questo Vittorio Sgarbi dovrà pagare 30mila euro. Lo ha stabilito il tribunale civile di Torino, che ha condannato il sindaco di Salemi anche al pagamento delle spese legali.

GOVERNO

Vietato rifarsi il seno per under 18

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i muove il governo: il consiglio dei ministri ieri ha avviato l'esame del ddl per l'istituzione del Registro delle protesi mammarie che vieta l'impianto alle under 18.


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DAL MONDO

Dio non è irlandese il papa e i preti pedofili

Copenaghen

SCONTRI SUL CLIMA

LE SCUSE DEL VATICANO PER MIGLIAIA DI CASI DI MOLESTIE: HANNO TRADITO LE PROMESSE di Vania

Lucia Gaito

a Chiesa si era già scusata, non più di sei mesi fa, dopo la pubblicazione del rapporto Ryan, che ha reso pubblica una sconfinata serie di abusi su minori avvenuti negli istituti cattolici irlandesi. Non più di un mese fa, i vescovi irlandesi hanno fatto un nuovo “mea culpa”, in seguito ad un altro rapporto, quello della commissione Murphy, che ha rivelato la sistematica copertura dei sacerdoti pedofili operata dai vescovi nella diocesi di Dublino. Settecento pagine di testimonianze, 320 vittime, 46 sacerdoti costantemente coperti dalle autorità ecclesiastiche, spostati di parrocchia in parrocchia, con l'unico intento di proteggere il buon nome e i beni della Chiesa. Al termine di un incontro tra Benedetto XVI e i vertici della chiesa irlandese, convocati ieri proprio sul rapporto Murphy, la sala stampa vaticana ha

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reso noto in un comunicato il rammarico del Papa “per le azioni di alcuni membri del clero che hanno tradito le loro solenni promesse a Dio”. Il rapporto Murphy è dettagliato: a ogni sacerdote è dedicato un capitolo denso di accuse e di testimonianze, storie in cui la pedofilia si fonde col sadismo e con ogni sorta di perversione degli impulsi sessuali. Forse quella più agghiacciante riguarda padre Noel Reynolds, che ammise di aver abusato di più di cento bambini negli oltre trent'anni di ministero. Arrestato nell'ottobre del 1999, a seguito degli abusi commessi su due sorelline di 6 e 11 anni, Reynolds confessò di aver abusato di almeno cento minori, tra cui una bambina piccolissima, violentata brutalmente utilizzando un oggetto: il crocifisso. Arrivò perfino ad offrirlo alla polizia, come prova. “Scosso e addolorato” Benedetto XVI preannuncia una lettera pastorale ai fedeli ir-

landesi e “assicura tutti gli interessati che la Chiesa continuerà a seguire la grave questione con la massima attenzione, al fine di meglio comprendere come tali vergognosi eventi siano accaduti e il modo migliore per sviluppare strategie efficaci così da evitare il loro ripetersi”. Non si spiega tuttavia l’assoluta mancanza di collaborazione dei vertici della chiesa alle due inchieste. Durante l’indagine della commissione Ryan, la Congregazione dei Fratelli Cristiani nel 2004 chiamò in giudizio la Commissione stessa affinché nessuno dei nomi dei suoi membri, vivo o morto, fosse svelato nel rapporto. La commissione Murphy dovette invece emettere un ordine formale perchè l'arcidiocesi di Dublino consegnasse tutti i documenti in suo possesso riguardanti i 46 sacerdoti coinvolti nell'inchiesta. “La sola preoccupazione dell'arcidiocesi di Dublino - si legge nel rapporto - era quella di mantenere la

segretezza, evitare lo scandalo, proteggere la reputazione della Chiesa e i suoi beni. Tutto il resto, incluso il benessere dei bambini e la giustizia per le vittime, erano subordinati a queste priorità. L'arcidiocesi non si attenne alle procedure del diritto canonico e fece tutto il possibile per evitare l'intervento delle leggi dello Stato”. L’arcivescovo e i vescovi dublinesi sostennero di non sapere che, oltre ad essere un peccato, l'abuso su minori fosse anche un reato, e pertanto non avevano informato le autorità giudiziarie di quanto accadeva nelle loro parrocchie. Tuttavia tale presunta ignoranza risulta insostenibile, alla luce del fatto che fin dal 1986, le autorità ecclesiastiche decisero di ricorrere ad una polizza assicurativa per proteggere i beni della Chiesa da possibili richieste di risarcimento da parte delle vittime di abusi. Se l’intento della Chiesa è realmente quello di fare chia-

Anche 4 no global veneziani tra i 68 dimostranti bloccati ieri a Copenaghen dalla polizia; tra loro anche il nipote del sindaco di Venezia Tommaso Cacciari. Nel weekend sono previsti almeno 50 mila manifestanti.

rezza non si spiega come mai la Congregazione per la Dottrina della Fede, unico tribunale ecclesiastico per i delitti più gravi, compresi gli abusi sui minori, non abbia mai risposto alle richieste di informazioni su tutti i rapporti, riguardanti gli abusi sessuali commessi dai sacerdoti, ricevuti dall'arcidiocesi di Dublino. Stesso silenzio tenuto, del resto, anche dal Nunzio Apostolico irlandese di fronte alla richiesta formale di produrre tutti i documenti in suo possesso riguardanti l'indagine in corso. La situazione irlandese era comunque nota ben prima della

divulgazione delle due inchieste. Fin dal 2002 l’Irlanda ha istituito un Consiglio di Giustizia per risarcire le vittime degli abusi commessi dai religiosi: al 2008 aveva già giudicato 11.337 casi, con risarcimenti individuali tra i 65.000 e i 300.000 euro. Dopo la pubblicazione del rapporto Ryan, inoltre, i Fratelli cristiani, la congregazione religiosa che gestiva la maggior parte degli istituti maschili, hanno offerto un risarcimento di 34 milioni di euro alle vittime. Altre cinque congregazioni hanno offerto ulteriori 43 milioni di euro. (* psicologa)


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DAL MONDO

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Dopo la guerra i petrolieri passano all’incasso

SPAGNA

I vescovi: l’aborto è un reato

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uovo attacco dei vescovi spagnoli contro il disegno di legge di depenalizzazione dell’aborto del governo del premier socialista Zapatero (nella foto sotto), all’esame del Parlamento: “Non si capisce come togliere la vita a un essere umano innocente possa non essere un reato”.

GARA MILIARDARIA PER I GIACIMENTI IRACHENI di Alessandro

Cisilin

ll’inizio si chiamava Oil, ovvero “petrolio”. Era il codice militare utilizzato il 24 marzo 2003 dal portavoce di Bush Ari Fleischer per illustrare la prossima occupazione irachena. L’acronimo stava per Operation Iraqi Liberation ma, per correggerne l’ambigua evocazione, Libération divenne presto Freedom. Che non si trattasse di un lapsus è oramai una verità storica. Non sono più necessarie le denunce di qualche dissidente americano, e nemmeno le inchieste della matrona delle emittenti pubbliche, la Bbc, per dimostrare come non c’entrassero nulla le presunte armi di distruzione di massa di Saddam né l’obiettivo illuministico di esportare la democrazia. Che si trattasse semplicemente di conquistare il più grande serbatoio energetico del mondo è un fatto ufficializzato già da un paio d’anni dagli stessi vertici di Washington, a cominciare dall’ex capo della Federal Reserve Greenspan. La spartizione petrolifera dell’Iraq fu progettata nel 2001 (prima dell’11 settembre). L’Italia fu coinvolta in ritardo ma ci arrivò, verso la fine del 2002, alla vigilia dell’iniziativa di

A

Berlusconi di frantumare il no europeo alla guerra siglando l’asse con Blair e con la “Nuova Europa” dell’est glorificata da Rumsfeld. La novità di queste ore è che “finalmente” è giunto il momento dell’incasso. Tra ieri e oggi si celebra l’asta per assegnare alle multinazionali 10 contratti per lo sfruttamento di una quindicina di giacimenti da oltre 40 miliardi di barili, che corrispondono più o meno all’intera dotazione attuale di petrolio della Libia. “Finalmente”, perché sono passati 6 anni e mezzo, e a rallentare la dismissione industriale del paese sono ripetutamente intervenute le stragi delle bande di guerriglieri e terroristi di varie etnie e religioni. L’ultima solo martedì, con una catena di 5 bombe nel cuore di Baghdad che hanno fatto centotrenta morti e 450 feriti, rendendo quasi epica la decisione dei dirigenti delle quarantacinque compagnie “pre-selezionate” dal governo iracheno di affluire ugualmente all’asta. Il bersaglio, si diceva, è il processo elettorale ufficializzato poche ore prima per il 6 marzo prossimo. Ma il nodo, ancora una volta, non è solo la “democrazia”. A guardare con sospetto il nuovo parlamento non è solo

Un oleodotto in Iraq (FOTO ANSA)

qualche imam sciita legato ad al Qaeda o gli indefessi baathisti che rimpiangono Saddam. Sono le stesse multinazionali a temere che i nuovi contratti, sottoscritti in queste ore in un quadro di assoluto vuoto legislativo, possano essere invalidati con la velocità di un voto. A blindare le

Il presidente ha promesso di superare il compromesso voluto da Clinton nel 1993 operazioni è intervenuto allora lo stesso premier al Maliki, portando al ministero del Petrolio anche la televisione di Stato al-Iraqiya per ostentare ufficialità e trasparenza. I vincitori di ieri sono l’anglo-olandese Shell, la malese Petronas, la China National Petroleum, la francese Total. Tra gli sconfitti, l’italiana Eni, già in ritardo nelle trattative per Nassiriya nonostante i sacrifici della missione. A risultare curioso è anche il contenuto economico dell’asta. Non saranno le multinazionali a dover pagare qualcosa all’Iraq, ma l’Iraq a loro, con un ammontare fisso a barile in cam-

Gli 007 a caccia di baby terroristi di Andrea

Valdambrini Londra

erroristi si nasce, o a limite lo Tsembra si diventa da piccoli. Questo essere il senso della notizia riportata ieri dal quotidiano britannico The Times, che riferisce di come la polizia britannica solleciti controlli antiterrorismo perfino negli asili. Al posto della classica immagine del bebè tutto coccole e pappine, ecco quella di un bambino in età prescolare, che si addormenta con la favola del buon Bin Laden. Pericoloso scivolone dei servizi antiterrorismo che perdono tempo a sorvegliare creature innocenti? Nella migliore delle ipotesi si può supporre che la discutibile strategia serva solo ad arrivare al comportamento dei genitori. La notizia della singolare strategia di controllo emerge da una email, che doveva forse rimanere riservata, ma è filtrata comunque fino agli organi di stampa. Nel messaggio, un funzionario di polizia, rimasto anonimo, del West Midlands, nell’Inghilterra centrale, chiede ai membri della comunità religiosa locale di vigilare sui possibili rischi di pericolose mutazioni terroristiche anche negli

bio di parte dei profitti. Una precedente asta si era conclusa il 30 giugno con un fallimento – un solo contratto per i pozzi di Bassora “liberati” dagli inglesi, quindi assegnati alla British Petroleum – perché i contractors si accordarono a bocciare come troppo basso tale ammontare. A pensarla in

infanti. Lo zelante funzionario scrive: “Mi auguro davvero che tutti voi possiate darmi notizia di persone, qualunque età abbiano, che potete pensare siano sottoposti a un fenomeno di radicalizzazione o vulnerabili alla radicalizzazione…L’evidenza suggerisce infatti che la radicalizzazione può iniziare fin dall’età di quattro anni”. La rivelazione del messaggio ha fatto rumore. Ha frenato Norman Bettison, a nome dell’agenzia antiterrorismo che fa capo al governo, dicendo che non ci sono a livello nazionale altri esempi di un atteggiamento come quello de funzionario del West Midlands. Il ministro delle comunità John Denham, ha sottolineato il rischio di ingenerare sfiducia verso le istituzioni da parte dei cittadini di religione islamica, e più ancora di creare un clima da spionaggio incrociato all’interno della forte comunità musulmana presente nel Regno Unito. A quanto pare, tuttavia, andare a passeggio per asili a caccia di terroristi, non è una stramberia per la polizia inglese. Arun Kundani, un membro dell’Institute of race relations, ONG che svolge ricerche sulle relazioni interetniche,

modo diametralmente opposto sono gli operatori locali, a cominciare dalle organizzazioni sindacali e da un paio di dirigenti governativi. L’esecutivo li ha prontamente licenziati, prima di migliorare ulteriormente le condizioni monetarie dell’asta. E se qualcuno prova a chiedere perché vengono cedute all’estero le enormi risorse del paese, la risposta, del governo e delle multinazionali, non fa una piega: le capacità industriali di estrazione dell’Iraq di oggi sono sensibilmente ridotte rispetto ai tempi di Saddam.

WAR GAMES

LE ACQUE NERE DELLA CIA L

a Blackwater Worldwide, la più grande e discussa organizzazione para-militare privata statunitense, ha partecipato a raid segreti della Cia contro sospetti terroristi islamici. La collaborazione tra i suoi contractor e gli agenti segreti non ha riguardato solo le operazioni svolte in Iraq e Afghanistan, ma anche le “rendition”, i sequestri di presunti terroristi che la Cia ha fatto in giro per il mondo dopo l’attacco alle Torri Gemelle. È l’ennesimo scandalo per la compagnia di sicurezza militare che mette in imbarazzo anche i vertici dell’intelligence Usa, già sotto accusa per lo scandalo delle torture durante gli interrogatori. Dal 2002, la compagnia di contractor ha iniziato a operare in Afghanistan con il compito di garantire la sicurezza delle basi della Cia e di quelle dei militari Usa. Tra il 2002 e il 2004, il personale della Blackwater, spesso composto da sicari, collaborò stabilmente con la Cia per le operazioni sotto copertura di cattura e uccisione di sospetti terroristi.

ha dichiarato dopo aver contattato il funzionario di polizia: “Il poliziotto dava l’impressione di pensare che si trattasse di una procedura normale. Ha detto che gli indicatori di sospetto erano quando i bambini facevano disegni di bombe, dicevano cose come ‘tutti i cristiani sono cattivi’, o ancora sostenevano di credere in uno stato islamico. Sembra che nel West Midlands sia stato chiesto agli insegnanti di segnalare fenomeni di radicalizzazione. Il poliziotto ha anche aggiunto che fare attenzione al comportamento dei bambini era importante perché in questo modo li si poteva sensibilizzare su quello che era inappropriato dire a scuola”. Insomma, conclude Kundani, il poliziotto si sentiva in dovere di sorvegliare gli asili prima ancora che le scuole elementari e superiori. Andy Hayman, ex funzionario di Scotland Yard, trova al contrario poco da ironizzare sulla vicenda. Secondo Hayman le strategie antiterroristiche venute alla luce attraverso la rivelazione del Times hanno riscontro in almeno due casi esemplari. Il primo è quello di Mohammad Sidique Kahn, uno dei responsabili dell’attentato alla metro di Londra del 7 lu-

glio 2005. In un filmato girato l’anno precedente, Kahn spiega come dare la sua vita alla causa della jihad significa farsi ricordare con orgoglio dalla figlia di sei mesi che tiene in braccio. E ancora nel 2006, durante le proteste contro le vignette anti-islamiche svoltesi di fronte all’ambasciata danese a Londra, veniva fotografata una bambina con un cappellino con su scritto “I love al-Quaeda”. Ragioni troppo deboli forse per ammettere che i bambini in età prescolare possano essere sorvegliati come terroristi in erba da insegnanti e poliziotti. Siamo allo spreco di denaro pubblico, denunciano i più critici. Anche se in Gran Bretagna il problema dell’estremismo esiste, è infatti controverso pensare che le idee radicali possano essere istillate nella mente di soggetti così giovani, per quanto altamente malleabili proprio a causa della loro età. È più probabile invece che la discutibile strategia antiterrositica messa in atto forse non soltanto nella regione di Birmingham, sia mirata ad un controllo indiretto dell’ambiente familiare già a sua volta sensibile all’estremismo islamico.

CIPRO

Trafugata salma ex presidente

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ipro è allibita e sotto shock per la violazione della tomba dell’ex presidente Tassos Papadopoulos le cui spoglie sono state trafugate da ignoti alla vigilia dell’anniversario della sua morte, avvenuta il 12 dicembre dell’anno scorso.

ISRAELE

Raid dei coloni contro la moschea

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iamme vere nella moschea di Yassuf, fiamme metaforiche nel resto della Cisgiordania, dove la furia dei coloni ebrei contro il congelamento degli insediamenti temporaneo e parziale deciso dal governo israeliano rischia di dar fuoco alle polveri. L’ultimo cerino lo ha messo il commando che all’alba di ieri ha appiccato un incendio in un luogo di preghiera.

VIETNAM

Colloqui con il Vaticano

U

n colloquio particolarmente lungo per una udienza pontificia, circa 40 minuti, si è svolto ieri mattina in Vaticano tra papa Benedetto XVI e il presidente vietnamita Nguyen Minh Triet. Secondo quanto riferito dalla stampa vietnamita, al centro dei colloqui vi sarebbero stati l’avvio di rapporti diplomatici e una possibile visita del Papa in Vietnam.

ARGENTINA

A processo l’angelo biondo

I

niziato il processo all’ex tenente della marina militare Alfredo Astiz (noto come “l’angelo biondo” o “angelo della morte”) accusato, con altri 18, per le violazioni di diritti umani ai danni di 85 persone. Tra le vittime due suore francesi, lo scrittore Rodolfo Walsh e una delle fondatrici delle Madri di Plaza de Mayo, Azucena Vinaflor.


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

LINGUAGGI

DACIA MARAINI Le parole di Cosa nostra

Tornatore Il regista inaugura un “cinema paradiso” in Cina

Pandev Prima udienza sul caso tra il macedone e Lotito

Litfiba Dopo un lungo periodo tornano insieme

Garrone Il presidente della Samp: “Tifosi ingiusti con Cassano”

La scrittrice analizza i rapporti di forza tra strutture mafiose e Stato: “la cultura dell’omertà è stata scardinata. Il silenzio è stato abbandonato” di Giovanna

Gueci

“S

ulla mafia” è l’ultimo libro di Dacia Maraini. La storia di una madre e di suo figlio, pentito di mafia, che parla. Tradisce. E viene ucciso per vendetta. Sua madre lo maledirà – fedele alle regole ancestrali e indiscutibili del silenzio e dell’omertà – senza poter rinunciare tuttavia a un gesto di pietà materna. Un racconto – “A piedi nudi” – seguito da diverse riflessioni scritte dal 1992 ad oggi, nelle quali la scrittrice siciliana contrappone la mafia e le sue leggi al valore della parola, l’omertà alla comunicazione, il tabù alla rivoluzione. Osservando, da siciliana e intellettuale, cosa c’è alla base della scelta sempre meno isolata di collaborare con la giustizia. La storia che lei immagina, ispirata a fatti veri, non può che risultare dunque di stretta attualità: “La mafia ha sempre avuto una regola rigidissima – ricorda Dacia Maraini – quella del silenzio assoluto. Negli anni Cinquanta, non esistevano pentiti. Non solo. Quando vivevo a Palermo, la stessa parola “mafia” era un tabù, non poteva essere nemmeno pronunciata. Se qualche straniero ne parlava, gli veniva risposto: la mafia non esiste, è un’invenzione dei giornali. Oggi, quella cultura dell’omertà assoluta, totale e monolitica, è stata scardinata. E da scrittrice ho osservato l’abbandono del silenzio a favore della parola”. L’indice di un cambiamento importante, che va smascherando però anche il dialogo ambiguo, sotterraneo e originario tra politica e mafia. Un codice comune,

di cui solo pochi giorni fa Vincenzo Vasile, scriveva dal Fatto Quotidiano, ricordando “pezzi di politica e pezzi di mafia che si lanciavano segnali di fumo, alternando parole, ammiccamenti, trattative, minacce, delitti e stragi”, “parole dette e non dette”, “parole vaghe e segni similmente oscuri”. “Un dialogo che c’è stato e c’è tutt’ora – concorda la Maraini – e fa parte dei rapporti tra mafia e politica. Un esempio per tutti: il sindaco di Palermo Ciancimino è stato condannato per mafia e come lui moltissimi altri politici e amministratori. La parola, all’interno di questo patto tragico, ha spesso funzionato come minaccia, affiancata da un linguaggio sotterraneo, dal dire e non dire, da pressioni più o meno velate. Anche la collaborazione di Spatuzza, potrebbe, dico potrebbe, essere interpretata come una forma di pressione nei confronti della politica per ottenere qualcosa di più, per ricordare le promesse fatte”. evidente come sul lavoro di comprensione e interpretazione – valori culturali compresi – si giochi una partita di integrità e sicurezza vitale per lo Stato. “Credo però che decifrare tutto ciò spetti a giudici e forze dell’ordine – precisa la scrittrice – noi possiamo osservare invece, al di là di questa innegabile connivenza, il ruolo rivoluzionario della parola anche in seno alla

E’

resto, la mafia è stata davvero conosciuta per quello che è solo attraverso i racconti dei pentiti. “Ma lui e Borsellino sono stati definiti degli eroi – sottolinea la scrittrice siciliana – mentre bisognerebbe distinguere tra modelli ed eroi. Perché l’eroe è fatto per essere messo su un piedistallo e dimenticato. Il modello invece è vivo dentro di noi, dovrebbe essere un esempio quotidiano, una guida costante. Falcone e Borsellino sono stati trattati come eroi, ma stentano a diventare modelli di comportamento”. se proporre modelli doEdellavrebbe essere il compito società civile, della fa-

mafia, come abbandono del silenzio in senso assoluto”. Viene allora di pensare alla parola come a un’ambizione, quasi un’utopia, capace di mettere in crisi un fenomeno criminale antico e radicato, fatto di silenzi, sottintesi, simboli. “Sono ottimista che il cambiamento possa partire da qui – continua Dacia Maraini – perché la parola è il primo strumento della ragione e della riflessione, ci permette di riconoscere l’altro, di comunicare verbalmente con lui. La parola sostituisce le

Una cosmopolita cittadina del mondo Teatro, impegno civile e premi DA FIESOLE AL GIAPPONE Dacia Maraini nasce a Fiesole nel 1936, figlia dello scrittore ed etnologo Fosco Maraini e della pittrice siciliana Topazia Alliata. Dopo un lungo periodo giapponese, in cui conobbe anche l’orrore del campo di concentramento, a 18 anni Dacia raggiunse il padre a Roma dove riscosse il suo primo successo con il romanzo “La vacanza” del 1962 e intrecciò una lunga relazione sentimentale con Alberto Moravia. Seguono “L’età del malessere” (‘63), “A memoria” (‘67), “Memorie di una ladra” (‘72), “Donna in guerra” (‘75), “Il treno per Helsinki” (‘84), “Isolina” (‘85), “La lunga vita di Marianna Ucrìa” (‘90), “Bagheria” (‘93), “Voci” (‘94), e la raccolta di racconti “Buio” (‘99), premio Strega. Si è occupata anche di teatro, scrivendo 60 testi e fondando quello della “Maddalena”.

armi”. E allora il fenomeno dei pentiti rispecchierebbe un cambiamento culturale e antropologico, all’interno di Cosa Nostra. Il cemento che teneva insieme quelle regole totalitarie forse è stato scalfito: se alcuni decenni fa nessun mafioso avrebbe mai messo in discussione il tacere, sempre più frequentemente questo valore ha perso di significato e non solo da un punto di vista morale. E allora anche quell’organizzazione criminale tenta l’inserimento sottile nella cultura borghese del paese, entra nell’economia. Usa la tecnologia e manda a scuola i propri figli, li fa studiare all’estero. Fa i conti con il suo personale cambiamento culturale: la crisi dell’omertà. nche le obiezioni princiAcontro pali del mondo politico i collaboratori di giustizia – la loro condotta di vita, la generica attendibilità, i motivi per cui sono spinti a pentirsi (il rischio di essere uccisi o trattamenti premiali) – perdono di forza agli occhi del mondo civile. “Del resto si tratta di motivazioni esistenti già molti

Un intenso primo piano della scrittrice italiana Dacia Maraini

anni fa – sostiene la Maraini – che però non hanno mai dato i risultati a cui invece assistiamo in tempi più recenti. Credo che ogni volta che ci troviamo di fronte a un fenomeno così diffuso, come è oggi quello dei pentiti – tanto numerosi che si fa fatica a proteggerli – dobbiamo cercare delle motivazioni più profonde. Ottenere qualcosa in cambio della collaborazione con la giustizia ha indubbiamente il suo peso, ma c’è qualcosa di più profondo, ed è la trasformazione culturale in atto. Lo stesso mafioso che decide di pentirsi spesso non è consapevole di questa evoluzione più profonda che sta alla base della sua scelta. Ne fa parte, la attua, ma può non avvertirne sempre l’aspetto rivoluzionario, la trasformazione che è corretto definire antropologica”. Gente comune e mondo intellettuale incoraggiano questa scelta, anche se con le dovute cautele e con tutti i riscontri che la magistratura deve attuare con rigore. Da Falcone in poi, del

miglia e soprattutto della scuola nei confronti degli studenti e delle nuove generazioni, “noi intellettuali – la Maraini ne è convinta – dobbiamo mantenere uno sguardo critico sulla realtà. Per noi le parole sono uno strumento familiare di indagine e di comunicazione. Ma conoscere i meccanismi e anche le sofisticazioni del linguaggio ci pone davanti a una grande responsabilità. L’ambito letterario osserva i mutamenti sociali e ciò che esso tenta di descrivere riguarda soprattutto la cultura di un paese. E’ un ruolo fondamentale, se si pensa che è proprio nella cultura di un paese che la mafia si insinua e tenta di mettere radici. E’ lì che crea la sua stabilità futura”. Inevitabile allargare il discorso anche ai mezzi di comunicazione democratici e irreversibili – tv, radio e soprattutto Internet – attraverso i quali la cultura della parola si sviluppa molto più velocemente e attraverso i quali le nuove generazioni incarnano quel diritto. “Il tessuto connettivo italiano ha dovuto fare i conti con la libertà della parola – conclude la Maraini – con nuovi modi di comunicare che possono essere più o meno positivi, ma che sono una realtà. Il fenomeno criminale non poteva restarne indenne e per l’omertà c’è sempre meno spazio, è fuori luogo. Diventa un arcaismo, non solo un problema di scelta morale”.


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SECONDO TEMPO

RICCARDO SCAMARCIO

HANNO UCCISO IL SESSO

L’attore parla di scandali, trasgressioni e fantasia: non sappiamo più desiderare di Malcom Pagani

e Silvia Truzzi trent’anni è tutto ancora intero. “Cazzo, vaffanculo”: Riccardo Scamarcio ha ancora passione e un lampo negli occhi per parlare di politica nella post-Italia che gli sta attorno. Compassione no. Di fronte al Colosseo, tra la gay street, i Fori Imperiali e le sirene delle ambulanze, le ragazze omaggiano il loro monumento. “Te posso fa’ ‘na foto? E quanno me’ ricapita, ahò?”. Lui gioca a un’impossibile semplicità. Sigaretta, capelli fuori posto, sciarpa da esistenzialista, l’aria di chi si è svegliato da poco. “Ho appena scaricato un albero di Natale, l’ho scelto io al vivaio”. Mentre parla agita le mani, si vede che le usa per frugare il mondo. Sgrana gli occhi, il suo biglietto da visita. Cerca le parole, dimentica ciò che rappresenta. Solo quindici anni fa, collezionava bocciature in istituti tecnici di Andria. “A scuola ero un disastro. Al terzo cambio di indirizzo mio padre si stancò. Faceva il rappresentante, si alzava alle quattro e mezza di mattina. Iniziò a portarmi con lui. Sceglieva la merce per una serie sterminata di aziende. Ramo carni: mi mise nel reparto polli. Sezionavo cosce, ali, petti. Poi ‘invaschettavo’. Tutti i giorni, gratis, per un anno. Gli amici di quell’epoca: Enzo - il ‘cane’ - Maurizio, sono ancora le persone che frequento oggi. Poi mi stancai e decisi di fare l’attore. A spingermi ad andare via fu un disagio fortissimo”. Il treno l’ha preso e ha fatto bene. Prima, parlava strano. “Quando sono arrivato a Roma ho fatto una scuola di dizione. Pronunciavo la ‘o’ chiusa. Mandarla via, un casino. Sono un ragazzo normale, egoista, diffidente, pazzo del mio mestiere. Della fama me ne fotto, vivo la mia città, vado in giro, faccio la spesa e ammiro i contestatori come Piero Ricca. Stupiti?”. Un ragazzo normale: orizzonte deludente, per chi la vede solo come oggetto del desiderio. È una definizione ingannevole. Il sesso oggi è ovunque. La televisione lancia continuamente messaggi subliminali, spoglia le donne ben oltre la nudità. Le mette in una cornice angusta, di sola utilizzazione. In questo processo, la fantasia

A

diminuisce e aumenta la fruibilità. Con quali risultati? Il killeraggio del desiderio. Ed è un processo irreversibile. L’unica ottica tra uomo e donna pare essere quella di uno scambio svilente. In quest’offerta senza luci, si nasconde anche la violenza. Tema attuale. L’immaginazione in questo momento deve fare dei giri strani per sopravvivere. Cogliere aspetti bizzarri per poter essere veramente fantasiosa. Rimorchiare in discoteca, per capirci, non basta più. Non sono un moralista ma sono uno che possiede un’etica che è una cosa molto diversa. Sono liberale ma non liberista, idealista ma non ideologico. In Italia si fa spesso una confusione voluta e si tende a gettare il bambino con l’acqua sporca. Sarebbe meglio analizzare, approfondire. Anche avere curiosità. La sessualità ai margini la affascina? Non sono mai andato a trans, se questa è la domanda. Ma non mi turba l’idea che qualcuno sia attratto da quel mondo. Parliamo di Marrazzo? Il suo è un legittimo orientamento sessuale verso qualcosa di insolito e, comunque, completamente personale. Con una stridente valenza pubblica, però. È stato molto incauto perché ci è andato con l’auto blu, a Roma capitale d’Italia e della regione che amministrava. Un uomo politico non può fare come cazzo gli pare. Si espone alla strumentalizzazione e Marrazzo, questo, lo sapeva bene. Ne è certo? Sicuro. Altrimenti l’avrebbe fatto alla luce del sole. La perversione, l’azzardo e il rischio di essere scoperto hanno recitato un ruolo fondamentale.La morale del paese e la comunità vedono con sospetto l’allontanamento dai costumi accettati come normali. Detto questo, a scandalizzarmi è stato al-

tro. Cioè? La mancanza di spina dorsale. Scrivere una lettera al Papa, cercare riparo in convento, chiedere scusa. Ti hanno scoperto, cerca almeno di sostenere il peso delle tue scelte. È il doppio percorso ad essere inaccettabile e mi dispiace dirlo, imperdonabile. Giudizio senza appello. Ovunque ti giri trionfa l’ipocrisia. Berlusconi, ad esempio, nessuno ammette di votarlo e poi lo votano tutti. Chi ha potere convive con lo stress e per sostenere quel peso, evidentemente, ha bisogno di evadere. Nei nostri politici si nasconde una zona di estrema fragilità, hanno bisogno di essere consolati da qualcuno e necessità di ritornare bambini. Peccare, anche? Questa debolezza repressa si incammina su strade piene di rischi. Invece di assaporare il cinema, la cultura, la poesia, il teatro, la danza, la musica – l’unico humus che riequilibra gli uomini – cercano altro. Ma è un errore. Perché sono proprio quelli i luoghi in cui tutto è possibile senza giudizio, in cui sui mette in scena la vita, in cui gli uomini analizzano e com-

prendono se stessi. Sapendolo, vivrebbero meglio. Difficile aspettarselo in un paese in cui il ministro Bondi, lamenta il disprezzo del mondo della cultura e etichetta gli artisti indifferentemente come servi o lacchè. Se questo governo avesse fatto qualcosa di buono, non credo che i miei colleghi sarebbero stati indisposti a riconoscerlo. Il ministro, più che arrabbiarsi o piangere sul pubblico ludibrio dovrebbe trovare soluzioni. Io non lo disprezzo, penso soltanto sia inadeguato a rivestire la carica che ricopre. Sul film di De Maria, “La Prima Linea”, Bondi ha detto cose terribili senza averlo visto e scavalcando le prerogative della apposita commissione che si occupa di erogare i fondi. In un paese democratico, basterebbe questo per chiederne le dimissioni. Poi, certo, c’è di peggio”. Dica. Bondi è più gentile di Brunetta, altro rappresentante

Riccardo Scamarcio, 30 anni lo scorso 13 novembre, visto da Emanuele Fucecchi

A Marrazzo non perdono la mancanza di spina dorsale: scrivere al Papa, cercare riparo in convento, chiedere scusa

della Repubblica che a Venezia ha parlato di culturame. Dando alla sinistra e agli artisti la soave definizione di merde. La cultura è importante e ha bisogno di finanziamento pubblico, non c’è un’altra possibilità. I soldi, tra l’altro, se li prendono i produttori”. Ci vorrebbero proposte per il settore. Ne abbiamo elaborate di serissime. A partire da una legge francese che avevamo proposto di mutuare e che costringe le produzioni straniere a lasciare una piccola parte degli introiti provenienti dalla sala, per implementare il fondo unico dello spettacolo. Da noi sarebbe bastato che gli americani, capaci di egemonizzare il nostro cinema, avessero lasciato una piccola fetta della loro ricchezza per consentire al sistema di autosostenersi. Niente da fare. Vi hanno accusato di protezionismo? Balle. Sarebbe stata una legge liberale e non liberista, perché nel liberismo vince il più forte, sempre. Con i cinesi, è accaduta la stessa cosa. Per anni abbiamo invaso il loro territorio, producendo merce a zero lire, per rivenderla decuplicata da noi. I cinesi che ce l’hanno consentito per apprendere il know-how, ora si sono svegliati e adesso l’unica preoccupazione è l’invasione del mercato da parte dell’Asia. Un allarme insensato, di stampo vagamente razziale. (Qui Scamarcio veleggia tra Sordi e Verdone: E che volete voi? Eh che siete matti? Pussa via i cinesi. Ride). La politica è rimasta una passione? Per un certo lasso di tempo, ho ingenuamente supposto che si stesse meglio quando stavamo peggio. Che forse prima c’era una politica più corretta. Ho capito che non è così. In Italia non è cambiato nulla e provo rabbia verso questa classe dirigente senza etica e questo governo che ha anestetizzato il paese, in cui c’è il trionfo del qualunquismo e la sconfitta della meritocrazia. Crede nella competizione? Gli esseri umani non possono farne a meno. È una questione filosofica. Io sono un artista che mette tutto se stesso in quello che fa, per scoprire chi è. Sono un vero ego-ista. È solo spendendo tutto quello che hai, e se gli déi vogliono, che riesci a creare qualcosa di autenticamente rappresentativo. Che sia davvero universale. Altrimenti è una cazzata.

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Sabato 12 dicembre 2009

SECONDO TEMPO

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

Le sentenze preventive di Paolo

Ojetti

g1 T Già nell’edizione di buon mattino erano scomparse “le palle” del Cavaliere. Più avanti, i formidabili pompieri del Tg1 avevano già sbrigato il lavoro. Partito da Filippo Graviano che smentisce Spatuzza (“Graviano – ha riferito Grazia Graziadei – sta facendo un percorso di ravvedimento”, ergo è un pentito “buono”, Dell’Utri è già praticamente assolto), il Tg1 ha via via spento ogni fiammella. Sonia Sarno, sempre a rimorchio di Berlusconi, se l’altro ieri aveva incassato le “palle” senza battere ciglio, ieri s’è messa in tasca tutte le precisazioni, le smentite, le battute (“Il processo a Dell’Utri è una comica”), i distinguo che Berlusconi ha sparso nella capitale belga. Nella sua cementizia ufficialità filo-berlusconiana, il Tg1 non azzarda niente: non registra alcuna reazione della stampa estera, non interpella alcun costituzionalista, non spedisce un solo cronista a raccogliere (lo fa sempre, con qualsiasi frescaccia gli salti in testa) le vox populi con qualche domanda del tipo: state con Napolitano o Berlusconi?

g2 T Maurizio Martinelli, giunto a Palermo, ha già

scritto la sentenza: Dell’Utri è innocente perché Graviano “smentisce l’aspirante pentito Spatuzza”. Ecco fatto: il pentito buono è quello che scagiona Dell’Utri e Berlusconi, chi li accusa è “aspirante”, comunque cattivello. Anche Dell’Utri, loquace, vede in Graviano (stragista non meno inzaccherato di sangue innocente) uno con il “pentimento vero”. Capezzone, il ragazzo tutto d’un pezzo, molto preparato, che ogni giorno si affaccia per dire “il pranzo è servito” come i generici del teatro d’una volta che non finivano nemmeno nelle locandine, ha minacciato: “E adesso chi risarcirà Dell’Utri?”. Ida Colucci da Bruxelles era la copia esatta di Sonia Sarno: il premier ha sempre ragione.

g3 T Si rivedono qui le opposizioni che passeggiano nelle “Mille Piazze” e il processo Dell’Utri finisce in terza posizione. Fabrizio Feo pensa che Cosa Nostra – fra Graviano e Spatuzza – abbia “le sue strategie”, ancora non decifrabili. Nei servizi politici, Mariella Venditti è l’unica – ripetiamo, l’unica – che rivolge qualche domanda a Berlusconi, che risponde, anche se gli fumano le orecchie. Si vedono anche gli scontri fra gli studenti dell’Onda e la polizia. Fra i poliziotti, sincronia di manganellate. Chiusura con una notizia: Fitto e Angelucci colpiti e rinviati a giudizio per corruzione. E’ una malattia più contagiosa della suina.

di Nanni

Villa certosina per Enrico Papi Delbecchi

20.30 e le 21, in quelTdoverala letrincea del palinsesto c’era una volta “Il fatto” di Enzo Biagi, c’è ora un gran viavai di mercanti in fiera. Ci sono i pacchi di “Affari vostri” su RaiUno; ma c’è da qualche tempo, su Italia1, anche una versione hot della riffa; si chiama “Prendere o lasciare” e la conduce il ridanciano Enrico Papi. Dove quel che conta non è certo l’Enrico, ma il Papi. Un po’ gattamorta e un po’ imbonitore, un po’ bertoldo e un po’ capocameriere, da quando Carlo Rossella lo liberò nei bassifondi del suo Tg1, questo pupone survoltato ne ha fatta di strada. Perché Papi – nomen omen – sa quello che fa, e sa soprattutto quello che non fa. In “Prendere o lasciare” non fa quasi nulla, ma lo fa con il virtuosismo del professionista del nulla. Mostra ai suoi concorrenti una serie di premi e li esorta a indovinare il prezzo giusto, ricollegandosi alla lezione di Iva Zanicchi; e alla fine, se sono stati bravi, glieli regala tutti. Uno sposalizio mistico tra merce e soldi che attraversa i sogni proibiti dell’italiano

medio; la settimana alle Honduras tutto compreso, i massaggi al miele del centro di bellezza, il Suv nero e spietato; ma anche idee creative come la cuccia da cane a forma di castello medievale, il microonde con tv incorporata o il lavabo con sottostante acquario. Può capitare che il premio sia particolarmente ostico da valutare, e allora Papi non si limita a dare l’aiutino, lo mima addirittura; finge, per esempio, di essere il calciatore Rino Gattuso per presentare “una litografia del maestro Guttuso. Che, attenzione, è una litografia e non un quadro”. Si potrebbe supporre che chi non fosse interessato a un simile bengodi del kitsch non abbia difficoltà a girare istantaneamente canale; ma non è così semplice. Perché Papi, nomen omen, la sa lunga. E ha organizzato uno studio molto accogliente, liberamente ispirato alla celebre Villa Certosa, una specie di Villetta Certosina. Per cominciare, i concorEnrico Papi,presenta “prendere o lasciare” su talia uno

renti sono sempre concorrenti donna. In secondo luogo, sono sempre giovani, carine, in minigonna, stivali, calze a rete e scollature a picco sui faraglioni. Ma il vero pezzo forte sta sopra, nel ballatoio dello studio, dove una ragazza seminuda si esibisce ogni due per tre in stacchetti al cui confronto le veline di “Striscia” sono roba da carmelitane scalze. La fanciulla si presenta sorridente in reggiseno e tanga, magari trasparente; poi comincia a ballare ripresa dal basso in alto, accompagnata da quei voluttuosi movimenti di macchina che fecero la fortuna di Umberto Smaila a “Colpo grosso”. Un vero e proprio numero di lap dance in quella che un tempo si chiamava fascia protetta (e meno male che è protetta), per farci capire che, se il prezzo è giusto, il pezzo è più giusto ancora. Ora che andiamo verso la settimana natalizia “Prendere o lasciare”, la riffa porno soft, si ferma per poi riprendere, guarda caso, subito dopo le feste. Mica scemo questo Enrico: ma soprattutto, questo Papi.


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SECONDO TEMPO

MONDO Più download per tutti? egli anni Ottanta, quando si Npiadiffusero gli stereo con dopcassetta, era pratica comune registrare interi album da ascoltare in auto, o in casa. Nessuno, allora, si sarebbe sognato di chiamare “pirati” padri di famiglia, appassionati di musica, ragazzine che nella loro cameretta copiavano i dischi dei Duran Duran. Adesso, con Internet, è molto più facile entrare in possesso di contenuti che si scaricano direttamente online: molti software “peer to peer” e “bit torrent” danno accesso, spesso in tempo reale, a una mole sterminata di contenuti. Secondo una recente indagine di Univideo, ovvero l’Unione Italiana Editoria Audiovisiva, il download in Italia è un fenomeno di massa: scaricano dal Web contenuti protetti dal copyright il 38,2% degli italiani tra i 15 e i 50 anni. Inoltre un altro 7,5% commissiona ad amici o parenti più esperti questa operazione. In ascesa anche il fenomeno di genitori che, ancor più in tempo di crisi, scaricano dal Web contenuti per i loro figli. “Pirati” insomma ai quali Univideo dedica una bella campagna “an-

tipirateria” che vorrebbe “mettere in luce le minacce del download alla privacy e al software del proprio pc” ma si compone invece di una serie di spot: “Pensa a un mondo senza film – il testo – è come immaginare di vivere in un mondo senza più emozioni. Perché la pirateria cinematografica non soltanto è illegale, ma uccide la creatività”. Ma sarà vero che il download uccide la creatività? “Uccidono la creatività” gli italiani che scaricano e proprio sul Web hanno trovato un’incredibile palcoscenico per mettere all’opera le loro idee? E poi, è mai possibile che sul diritto d’autore esista solo un pensiero dominante, quello di lobby e gruppi di interessi? Eppure, una riforma del copyright orientato a garantire il bene comune e la massima diffusione della conoscenza interessa a milioni di italiani. Lo dicono i dati Univideo.

WEB

è SI SPACCIA PER LA RIVALE IN AMORE PER FARLA SEMBRARE DI “FACILI COSTUMI”

A sedici anni (ma non solo) l’amore può dare alla testa. Così una ragazzina di Caltagirone, respinta da un suo coetaneo invaghito di un’altra, ha creato su Internet un profilo fittizio spacciandolo per quello della rivale in amore. Sul di Federico Mello profilo ha pubblicato immagini e dichiarazioni che facevano passare la rivale come una ragazza di “facili costumi”. La vittima, però, si è è DIRITTI UMANI ANCHE ONLINE accorta di tutto e ha sporto IL MONITO DEL CONSIGLIO D’EUROPA denuncia: la sedicenne innamorata I diritti umani devono essere applicati e rispettati anche è stata individuata dalla polizia. online. Questo è il messaggio che il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, ha lanciato in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani. “La libertà di esprimersi è un diritto fondamentale, protetto dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo ed è un caposaldo dell’Europa in cui viviamo”, ha affermato Jagland. “Questo diritto, che non è assoluto ma deve essere esercitato con responsabilità, deve essere garantito e protetto anche online”.

feedback$ è ANTEFATTO SU FACEBOOK Commenti allo status “Cosentino non andrà in galera e resterà al governo. Alla Camera la destra esulta. Ecco la loro lotta alla camorra” Che squallore... (Giorgia M.) Ci hanno scippato il diritto di scegliere chi governa! (Alessandro C.) Dire “vergogna” è scontato ... ma purtroppo è così... (Paola Z.) Ma cambierà mai questo paese? (Lektro C.) Io che pensavo avessimo già toccato il fondo! -_(Viviana B.) Ma non avevo nessun dubbio che sarebbe andata così... quando si tocca il fondo mica si risale... si scava in profondità... (Norman G.) Ma come, Mr. B ha detto che l’immunità in Italia non esiste! (Andrea D.)

Un logo dei Pirati, il segretario del Consiglio d’Europa, un frame dello spot Univideo, “far nascere un bambino” su Wikipedia

DAGOSPIA

DOPPIO STIPENDIO

Nella serata di Sant’Ambrogio, nessuno aveva capito perché Lucio Stanca e la moglie Francesca fossero così sorridenti. L’ex manager ed ex ministro di Lucera discettava di musica classica e sembrava lontano anni luce dalle polemiche che lo hanno investito sull’Expo. La ragione è che poche ore prima della “Carmen”, aveva riunito il team sempre più affollato dei suoi collaboratori lanciando messaggi che avevano il sapore di una strizzata di palle. Basta con queste polemiche!, aveva esclamato l’uomo dell’Expo, d’ora in avanti la mia immagine e quella del Grande evento 2015 devono cambiare, chi ci sta ci sta, chi non ci sta sarà cacciato! Gli uomini e le principessine che lavorano accanto a Stanca hanno capito il senso dell’ultimatum, primo fra tutti Andrea Radic, l’ex portavoce di Formigoni che è stato piazzato nello staff dell’Expo per curare la comunicazione. Finora sul suo operato sono piovute critiche dagli ambienti milanesi che puntano alla vetrina universale e non accettano l’idea che l’Expo venga dimenticata a Roma come nelle altre capitali del mondo. Ed ecco che Stanca rimette fuori la testa per tagliare corto alle polemiche e riconfermare la sua volontà di non lasciare l’Expo. Dalle colonne del quotidiano MF l’ex ministro di Lucera è PARTORISCE CON continua a dire LE ISTRUZIONI DI WIKIPEDIA che il doppio IL MARITO LE LEGGE SUL PALMARE incarico e il Le doglie arrivano in anticipo e Leroy doppio stipendio Smith, nella sua casa della zona est di non sono Londra, non sapeva come aiutare la incompatibili perché moglie Emma a partorire. Ultima risorsa, “tutti i parlamentari la tecnologia: ha preso il suo Blackberry e è 34GB A TESTA svolgono un altro ha cercato su Google “come far nascere LI “CONSUMA” UN lavoro”. E per quanto un bambino”. Sull’enciclopedia c’erano le AMERICANO OGNI GIORNO riguarda i conti istruzioni: “Quando vedi la testa, “How much information”, conferma che da qui sostienila. Quando il bambino esce quante informazioni?, è una alla vigilia dell’Expo la mettilo in braccio alla madre e copri serie di studi dell’Università perdita di bilancio entrambi con una coperta”. Il parto è della California secondo i quali sarà di 200 milioni. durato 40 minuti ed è riuscito ogni americano “consuma perfettamente: la quarta figlia di Leroy ed mediamente 34 GigaByte di Emma è nata in perfetta salute. informazioni al giorno”. Gli L’ostetrica, arrivata cinque minuti dopo il americani sono “immersi nei parto, si è limitata a tagliare il cordone media” per quasi 12 ore al giorno. Per informazioni si ombelicale: il padre aveva già fatto tutto. intende “tutto ciò che include dei dati”, dalla Con il lieto fino, c’è anche spazio per un televisione alla radio (che occupano quasi la metà del siparietto: “Prima che nascesse Mahalia – tempo) videogame e computer (un quarto del ha detto il padre – mia moglie mi tempo) e carta stampata (circa 0,6 ore al giorno). punzecchiava perché stavo sempre a Questa media significa circa 100.000 parole lette, giocare con il Blackberry”. Ora, ascoltate o viste. In termini annui, tutto ciò si traduce naturalmente, ha cambiato musica. in 3,6 zettabytes: 1 miliardo di migliaia di miliardi di informazioni, ovvero un 1 seguito da 21 zero di bytes.

Anche per Craxi votarono contro l’arresto, poi morì in esilio. Iniziamo a prenotare il volo di sola andata per Hammamet per B. e i suoi sodali (Gabriele S.) Siamo arrivati al bipensiero più puro: abbiamo il miglior governo antimafia degli ultimi 150 anni, con un indagato per camorra come sottosegretario, un avvocato di mafiosi come presidente del Senato e un amico di mafiosi tra i fondatori del partito al potere. 2+2=5 (ho appena finito di leggere Orwell...) (Cristiana P.) Abbiamo una speranza... corsi e ricorsi della storia. G.B.Vico docet (Anna P.) E noi ne paghiamo tutte le conseguenze... (Claudio F.) Mr B. ha detto che in Italia l’immunità non esiste!!! E ha detto il vero. Difatti per il 99% l’immunità non esiste! Per un fortunato 1% invece sì. Ma si sa... lui è così tanto amante delle statistiche che un 1% non fa numero (Claudio G.) Orwell era un profeta. Leggendo “1984” mi veniva da sorridere e allo stesso tempo da piangere per quanto sia simile ai giorni nostri. Purtroppo l’Italia ha la memoria corta (Valentina F.) La sinistra non è che uno sbiadito ricordo della sinistra che fu. Ma la destra, che cos’è? (Paolo A.) Quello che fa questo governo per la mafia, non lo ha fatto nessun altro. Questo è sicuro! (Francesco R.) Devono far riflettere anche i voti del centrosinistra (Gianni D.) La casta continua a difendersi fregandosene dei problemi che ha la gente onesta!!!!! (Peppino G.) M a che schifo! (Adriana I.)


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SECONDO TEMPO

battibecco

PIAZZA GRANDE

É

INSOSPETTABILI DEMOCRAZIE L

L’esilarante impedimento di Bruno Tinti

&C ne stanno pensando un’altra. Il processo breve c’è rischio che non passi: qualche parlamentare perbene non lo vota o Napolitano si scoccia di firmare leggi che poi la Corte costituzionale boccia. Il lodo Alfano costituzionale richiede parecchio tempo e poi può anche darsi che la cosiddetta opposizione abbia un sussulto di legalità e non fornisca i voti necessari. Così, visto che il think tank Ghedini-Alfano-Gasparri non riesce a trovare una soluzione, hanno tirato fuori i grossi calibri, addirittura Brigandì, ex procuratore generale della padania (mi pare). E il luminare ha risposto all’appello, con una proposta di legge presentata il 30/11/2009 in materia di legittimo impedimento. Difficile trovare un termine adeguato per definirla; andrà bene esilarante? Bisogna sapere che esiste una norma del Codice di procedura penale (art. 420) secondo cui, se l’imputato non può comparire a un’udienza, il giudice deve rinviarla ad altra data: tra il diritto dell’imputato a essere presente e la ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) è il primo ad avere la preminenza. Ma, proprio per via del bilanciamento con il principio costituzionale (da un mese ci stanno rompendo con questa storia del processo breve), l’impedimento dell’imputato va adeguatamente valutato: perché, se l’impedimento fosse superabile, allora non vi sarebbe motivo di sacrificare la ragionevole durata del processo. Per dire, se si tratta di una colica renale lancinante il processo sarà rinviato; se si tratta di un’inf luenza con modesta temperatura febbrile a 37.5, in genere si pensa che l’imputato non dovrebbe avere troppe difficoltà a venire in udienza e allora non si rinvia. C’è una giurisprudenza di Cassazione infinita su queste cose, proprio perché gli imputati ci provano sempre, con gli impedimenti più fantasiosi. Naturalmente il legittimo impedimento va provato; non basta che l’imputato faccia una telefonata o che il suo avvocato dichiari in udienza: il mio cliente è malato. Occorre una prova. Dunque, in genere, un certificato medico, quando il legittimo impedimento consiste, come nel 99 % dei casi, in una malattia; ma anche un’attestazione che si trova all’estero (attenzione: deve esserci andato prima che l’udienza fosse fissata; perché prima il processo e poi la vita privata), o che c’è appena stato un grave lutto familiare e via così. Siccome il legittimo impedimento non riconosciuto è una nullità assoluta che travolge tutto il processo, i giudici stanno attenti e sono spesso di manica larga: meglio un rinvio oggi che arrivare fino in Cassazione tra 3 anni e sentirsi dire: dovete ricominciare da capo. Ma, di manica larga o no, l’impedimento va provato. Tra gli impedimenti legittimi c’è sempre stata l’attività parlamentare: Previti si è sottratto a non so più quante udienze adducendo la necessità di intervenire in Parlamento in relazione all’“esecuzione dell’Inno nazionale prima delle partite del campionato di calcio” e altre amenità del genere. E anche B. non ha scherzato con i suoi viaggi in Lussemburgo dove non lo aspettava nessuno. Tuttavia, tanto per capire come stanno le cose nel rapporto tribunali-parlamentari, questi impedimenti sono sempre stati accolti, per ridicoli che fossero. Ridicoli

B

“Costituisce assoluta impossibilità di comparire per l’imputato lo svolgimento di attività inerenti alle funzioni istituzionali o politiche di presidente del Consiglio dei ministri” ma veri e documentati, nel senso che il presidente della Camera o del Senato, attestava che sì, in effetti… E il tribunale rinviava. Allora qual è la novità escogitata da questo signore che ha abbandonato le cure della padania per volare in soccorso di B?: il diritto dei beneficati dalla legge a raccontare balle. Secondo la sua proposta “Costituisce assoluta impossibilità di comparire per l’imputato lo svolgimento di attività inerenti alle funzioni istituzionali o politiche di presidente del Consiglio dei ministri, di ministro, di sottosegretario di Stato o di parlamentare”. Il che, in verità, è sacrosanto, ed è già previsto dall’art. 420 c.p.p. Si capisce, previa adeguata documentazione sulla sussistenza dell’attività in questione. Ma è qui il colpo di genio (??) di Brigandì: nella relazione alla proposta di legge si dice che “sussiste il legittimo impedimento a comparire in udienza per tutti coloro che, in virtù di un mandato politico, ricoprano i vertici istituzionali del nostro Stato”. Il che, nelle intenzioni dell’insigne giurista, servirebbe per rendere evidente la cosiddetta ratio legis, l’intenzione del legislatore: è la semplice qualità di politico che, in sé e per sé, costituisce legittimo impedimento a comparire. Insomma, io sono un politico, non ho tempo per queste minchia-

te (Giornale e Libero docet), sospendete il processo e poi si vedrà. Siccome scrivere le leggi è più difficile di quanto si pensi, anche questa legge è evidentemente incostituzionale. Perché, in sostanza, prevede un’immunità processuale legata alla qualifica personale di parlamentare o presidente del Consiglio ecc. Il che (ma i think tank di B&C non lo sanno?) può anche essere previsto; ma bisogna farlo, ancora una volta, con legge costituzionale. In realtà probabilmente nemmeno ci sarà bisogno di far perdere altro tempo alla Corte. Come anche i think tank dovrebbero sapere, i criteri interpretativi previsti dall’articolo 12 delle preleggi sono molteplici e, questa è la cosa importante, ordinati in base alla priorità: prima di ricorrere all’intenzione del legislatore (che Brigandì ha inserito appositamente nella relazione alla legge) bisogna interpretarla “secondo il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. E, nel progetto di legge, una norma che dica che l’impedimento allegato dal parlamentare non deve essere documentato non c’è. Sicché si applicheranno i principi generali: il parlamentare addurrà un legittimo impedimento, il giudice chiederà le prove, il parlamentare le fornirà oppure no, il giudice deciderà di conseguenza. E’ così che, alla fine, si è riusciti a condannare Previti e, forse, si riuscirà a condannare B. C’è per la verità una parte dove si dice che “Ove gli uffici di appartenenza attestino che l’impedimento è continuativo in relazione alle funzioni svolte, il giudice deve rinviare l’udienza per il periodo indicato”. Che vuol solo dire che l’attestazione sulla sussistenza dell’impedimento può anche essere data per più udienze se il presidente della Camera o del Senato o chi altri se la sentirà di attestare sul suo onore che sì, davvero, c’è un legittimo impedimento che durerà ininterrottamente anche per mesi (fino a 6). Forse qualcuno così prono ai voleri di B&C non sarà

sempre facile trovarlo. Ma comunque sempre di prova della sussistenza dell’impedimento si tratta. Interpretata così la norma, e con buona pace dell’ex procuratore generale della padania (ma forse non è nemmeno ex) B&C, ma soprattutto B, gli impedimenti dovranno trovarseli davvero. Magari inaugurando un treno o visitando una scuola, ma qualcosa dovranno inventarsi. E diventerà sempre più evidente che il virtuoso consiglio di Letta e Bersani (quelli dell’opposizione, vi ricordate?): è legittimo per gli imputati difendersi DAI processi, li trova perfettamente d’accordo. Ma che bello, un paese in cui maggioranza e opposizione lavorano concordemente per il bene comune!

IL FATTO di ENZO

di Massimo Fini

l

Forse la Rai non è televisione di Stato, ma quasi sempre di governo e, qualche volta, anche di partito e, addirittura di cor rente. Da Il Fatto del 12 aprile 2002

Matteo Brigandì (FOTO ANSA)

a democrazia esisteva quando non sapeva di esserlo. Nella società europea preilluminista e preindustriale l’assemblea della comunità del villaggio, composta dai capifamiglia, in genere uomini ma anche donne se il marito era morto o assente, decideva assolutamente tutto ciò che riguardava il villaggio. Scrive Albert Soboul, storico della scuola degli Annales: “Le attribuzioni delle assemblee riguardavano tutti i punti che interessavano la comunità. Essa votava le spese e procedeva alle nomine; decideva della vendita, cambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva ‘au pied de la taille’ (cioè proporzionalmente) i canoni che alimentavano il bilancio comunale; poteva contrarre debiti e iniziare processi; nominava, oltre ai sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di messi, gli assessori e i riscossori di taglia. L’assemblea interveniva nei minimi dettagli della vita pubblica, in tutti i minuti problemi dell’esistenza campagnola”. Last but not least era l’assemblea a decidere come dovevano essere ripartite all’interno della comunità le tasse reali, peraltro assai modeste (tasse reali e “decima” ecclesiastica nonostante il nome di quest’ultima raramente superavano, sommate insieme, l’8%, più spesso si attestavano intorno al 5%). L’intervento dello Stato era minimo, praticamente solo formale. In teoria l’approvazione dei bilanci o l’autorizzazione di spese urgenti dovevano venire dall’intendente del re. Ma fra domanda e risposta passavano mesi e più spesso anni, cosicché l’assemblea del villaggio procedeva dando per scontata una risposta positiva, cosa che puntualmente avveniva. Scrive lo storico Pierre Goubert: “Lo Stato lasciava alle comunità una libertà d’azione (e non di rado di parola) molto maggiore che non le autorità prefettizie del XIX e soprattutto del XX secolo. Non è troppo paradossale sostenere che l’epoca della libertà per le modeste amministrazioni rurali fu proprio l’ancien régime; le frequentazioni degli archivi più umili provoca questo giudizio sorprendente che non è, si badi bene, un giudizio di valore”. Perché non possa e non debba essere un giudizio di valore lo lasciamo all’animuccia illuminista di Goubert. Questo sistema si incrinerà proprio agli albori della Rivoluzione quando, sotto la spinta degli interessi e dell’ossessione codificatoria dell’avanzante borghesia, un decreto reale del 1787, col pretesto di regolare e uniformare un’attività che aveva sempre funzionato benissimo (in Francia come altrove), introdurrà il principio che doveva diventare l’ambiguo cardine delle società moderne: l’assemblea non decide più direttamente ma elegge dai sei ai nove membri... Era nata la democrazia rappresentativa. Un modo, come io dico brutalmente, per metterlo nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso. Meditate, suorine democratiche del Fatto, meditate . www.ilribelle .com

Articolo 12, tricolore e identità di Lorenza Carlassare

rt. 12 “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano, verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”. Il tricolore è antico, più antico del Regno d’Italia: non nasce coi Savoia, non è bandiera monarchica, ma repubblicana sorta nel segno della rivoluzione democratica che scosse l’Europa alla fine del Settecento; l’ispirazione è la Francia, l’origine è giacobina. Il 7 gennaio 1797 la Repubblica Cispadana, nata nel dicembre 1796 per volontà delle popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, adotta quale propria bandiera il Tricolore bianco, rosso, E’ un vessillo verde. L’inventore del tricolore fu Giuseppe di libertà, Compagnoni che è importante ricordare non conquistata solo per questa ragione, ma per aver ricoda un popolo che perto all’Università di si riconosce unito, Ferrara la prima cattedra di Diritto costitugrazie ai principi zionale d’Europa (la seconda fu istituita a Bodi fratellanza, logna, l’anno successivo) e per i suoi numedi uguaglianza, rosi scritti, in particolare un volume pubblicadi giustizia nei to nello stesso 1797, invalori della propria novatore già nel titolo “Elementi di diritto costoria e civiltà stituzionale democrati-

A

co”, pieno di anticipazioni straordinarie. Ma la Repubblica cispadana, come le altre Repubbliche nate in quel segno, dura poco, così come ha vita effimera la cattedra ferrarese, soppressa nel 1799: il suo “diritto costituzionale democratico” fu dato alle fiamme sotto l’“infame” albero della libertà. Il tricolore è legato a un tempo di fermenti, di speranze e alla figura di chi lo ha immaginato, da segnalare per la straordinaria modernità del pensiero. Cattolico, Giuseppe Compagnoni laicamente sosteneva la separazione fra Stato e Chiesa, era favorevole al divorzio, all’emancipazione delle donne alle quali, già allora, auspicava fosse dato il diritto di voto, insisteva fortemente sulla necessità dell’istruzione pubblica condizione indispensabile alla democrazia. Il tricolore ha dunque una bellissima origine, vessillo di democrazia e libertà scelto dal popolo, non da un sovrano. Nel 1813 Mazzini fondò la Giovine Italia che ebbe come simbolo il tricolore. E anche varie Repubbliche della nostra penisola lo ebbero come simbolo, con stemmi diversi, per un tempo fugace. Adottato poi dai Savoia nel 1848, con il loro scudo al centro, il tricolore nel 1861 divenne la bandiera del Regno d’Italia e accompagnò le nostre vicende fino al 1946; e da allora, bianco al centro, è la bandiera della Repubblica. Perché in Costituzione si parla della bandiera nell’ultimo articolo dei principi fondamentali? Le ragioni sono due. La prima è quella di descrivere il simbolo della nostra identità nazionale, in omaggio alla tradizione delle Carte costituzionali: il tricolore è il segno distintivo dello Stato sul piano internazionale e in Costituzione viene fissato. Il secondo motivo che giustifica l’art. 12 è più giuridico, pur avendo valenze politiche di grande rilievo: il suo effetto, infatti, è quello di rendere stabile la bandiera nazionale come è descritta nel testo della Costituzione, così

sottraendola a modifiche o aggiunte volute dall’una o dall’altra maggioranza per ragioni contingenti legate a orientamenti di parte. Soltanto mediante il procedimento di revisione costituzionale (art.138), che esige un consenso ampio tale da includere la minoranza parlamentare, è possibile cambiarla. Questo argomento fu espressamente addotto in sede di approvazione dell’art. 12, prova ulteriore della lungimiranza dei nostri costituenti. Proprio in questi ultimi tempi è venuta infatti l’assurda proposta di mettere al centro di quello spazio bianco, liberato dallo scudo sabaudo, il crocifisso. Una bestemmia, l’ha definita Franco Cardini sul Secolo d’Italia, non solo perché non si può cancellare la storia e il Risorgimento italiano si compì “sotto un forte segno anticlericale e addirittura anticattolico”, ma per la provenienza della proposta, formulata da chi dal cristianesimo è del tutto lontano e vuole usare la croce come simbolo di opposizione, dandole una valenza xenofoba. Non può brandire la croce chi è pronto a pronunciarsi in modo offensivo nei confronti della Chiesa ogni volta che parla di carità e amore in nome del Vangelo; l’attacco al cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano (un attacco alla Chiesa tutta, l’ha definito il segretario di Stato vaticano, cardinal Bertone), è solo l’ultimo esempio. Una croce come segno “contro”, in funzione discriminatoria, in una bandiera che la parte politica che lo propone ha dimostrato sovente, e in modi volgari, di disprezzare. Forse perché – come disse, da presidente, Carlo Azeglio Ciampi – “il tricolore non è semplice insegna di Stato. E’ un vessillo di libertà, conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di uguaglianza, di giustizia nei valori della propria storia e della propria civiltà”.


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SECONDO TEMPO

MAIL Lo scandalo del Cie di Ponte Galeria

Furio Colombo

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Ho letto con disgusto e ansia crescente i vostri articoli sul Cie di Ponte Galeria. Disgusto per le condizioni disumane in cui vengono reclusi i clandestini(non si potrebbero rinchiudere un po’ di rappresentanti della Lega lì dentro per qualche giorno?), e ansia per i minori lasciati da soli senza genitori. Pare che in questo paese non sia rimasta nemmeno un po’ di pietà nemmeno per i bambini e i ragazzi, che spesso scompaiono appena arrivati illegalmente senza che nessuno se ne preoccupi, o vengono espulsi senza un adulto che li accompagni e li protegga. Come madre sono molto preoccupata per questi bambini che, anche se non sono i miei, sono comunque figli di tutti noi. Io vivo a Torino e ho scoperto dai vostri articoli che anche nella mia città c’è un Cie. E’ possibile assistere in qualche modo queste persone cosi vicine a noi e cosi bestialmente trattate da una popolazione che ha il coraggio di definirsi civile? Con affetto.

A DOMANDA RISPONDO COSENTINO FOR PRESIDENT

aro Colombo, so che molti di voi, Pd e Italia dei valori, hanno votato “sì”, il giorno 10 dicembre, alla richiesta dei pm di arrestare il deputato e sottosegretario Cosentino, per concorso esterno in reati di mafia. Siete stati battuti perché siete in minoranza. Ma anche perché, come ha detto il deputato radicale Bertrandi (in quota Pd), i giudici hanno dimostrato troppo poco troppo tardi. Se reati ci sono, risalgono al 2004. E siamo alla fine del 2009. Mi può spiegare? Franco

C

E’ PIÙ semplice di quanto non sembri.

Le accuse sono gravi, l’ambiente è quello di Casal di Principe, le persone che circondano la vicenda Cosentino (i vivi e i morti ammazzati) sono gli stessi indicati a uno a uno da Roberto Saviano in “Gomorra”. Allora è stata sollevata la curiosa obiezione: ma se i reati sono stati commessi fino al 2004, perché l’incriminazione e la richiesta di arresto arrivano nel 2009, proprio mentre Cosentino ha fatto sapere di volersi candidare a presidente della Campania? Dunque, come dicono loro, incriminazione a orologeria. Ho potuto dire agli appassionati e competenti avvocati dello staff berlusconiano, e difensori accaniti di Cosentino, che il mandato di cattura contro John Gotti, ai tempi della guerra alla mafia negli Stati Uniti, è rimasto quasi dieci anni

Dott.ssa Patrizia Penna

La mappa delle vergogne italiane Ecco perché posso affermare che l’Italia è razzista: divieto d’istruzione. Esclusione dei bambini extracomunitari dai bonus scuola (Romano d’Ezze-

LA VIGNETTA

lino, Vicenza). Divieto di pic nic nei parchi e di sistemarsi in luogo pubblico in modo provvisorio, disordinato e scomposto (Brescia). Punire i figli delle famiglie straniere morose sulla retta della mensa scolastica (nel bresciano), ma siccome non bastava, a Roma hanno pensato bene di proporre l’emendamento di cassa integrazione differenziata: non devi mangiare a scuola, men che meno a casa. Ma vi è di più: sui diritti degli immigrati, il sindaco leghista Flavio Tosi afferma

BOX

“...gli unici diritti inalienabili sono quelli riguardanti la sopravvivenza”. Un delirio che ha rilevanza pratica. Xavier Maniguet diceva: “La sopravvivenza corrisponde alle condizioni di vita di un soggetto che, posto in un ambiente aggressivo, prolunga per un tempo limitato il periodo che lo separa dalla morte”. La panoramica delle ordinanze comunali non solo ritrae un ambiente sproporzionatamente difficile, a parer mio, sinonimo di aggressivo, ma se ci facciamo caso, la so-

nel cassetto del procuratore, a cui continuava a mancare il “pentito” (è una invenzione americana) e la testimonianza chiave instancabilmente cercata. Si è dato poi il caso che John Gotti sia stato assolto in tre successivi processi. Nel quarto è arrivato l’ergastolo dopo aver trovato i famosi “riscontri” e decine di omicidi accertati. E nessuno ha parlato di ossessione e persecuzione anti-italiana dei giudici americani. Anche perché l’ostinato procuratore era Rudolph Giuliani, che ha iniziato contro la mafia la sua famosa “tolleranza zero”. Quanto a Cosentino il comportamento dei giudici può anche essere visto, a rovescio, come un grande favore al non limpidissimo deputato e sottosegretario di Berlusconi. Se invece di agire a “orologeria” lo avessero lasciato candidare, al momento delle sue dimissioni di deputato per accettare la nuova carica, avrebbero potuto tranquillamente arrestarlo. Infatti da quel momento sarebbe stato privo di immunità parlamentare. Dunque Cosentino adesso è libero e al governo per merito dei suoi colleghi e della Lega nord. Ma è sfuggito all’arresto proprio perché i giudici gli hanno detto in tempo di che cosa è accusato. Ho proposto ai colleghi parlamentari poco convinti dell’innocenza di Cosentino, di indossare sulla giacca il bottone “Cosentino for President”. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

pravvivenza di Maniguet che sta trovando ampio spazio in Italia, si relaziona non con la vita, ma con la morte. E questo, la dice lunga sulla mancanza di solidarietà politica ma ancora di più sulla mancanza di tutela di quel diritto universalmente riconosciuto, ossia, della vita. E la Chiesa, a parte tante belle parole, che fa? Se poi per disgrazia uno dovesse essere un clandestino che nella peggiore delle ipotesi riesce ad avvicinarsi (vivo, inteso come materia respirante soltanto) alle coste italiane con la sua crociera della morte, nemmeno alla sopravvivenza ha diritto, visto gli ultimi respingimenti in mare, orgogliosamente sbandierati ai quattro venti in nome della sicurezza. Che pericolo può mai derivare da persone che non ce la fanno nemmeno a stare in piedi? Che pericolo può derivare mai da dei bambini? Dori Zaloshnja

La Costituzione del diavolo Ecco la nuova Costituzione, così come la vorrebbero i nostri capi. Art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sui rapporti con la mafia. La sovranità appartiene al popolo, che non lo deve capire. Art. 3: Tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge, ma

alcuni cittadini sono più eguali degli altri. Art. 6: La Repubblica tutela le minoranze linguistiche con apposite ronde. Art. 8: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge, ma alcune confessioni sono più egualmente libere delle altre. Art. 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica, all’estero. Art. 17. I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, mentre altri cittadini si riuniscono bellicosamente con armi. Le autorità si godono lo spettacolo. In serata, aperitivo a Casa Pound. Art. 20: Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività. – Davvero? – No, era così per dire. Art. 21: (censurato). Francesco Vespa

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L’originalità assoluta di “Little Caesar”, il più classico dei gangster-movie, uscito nelle sale Usa il 12 dicembre 1930, sta nella chiave psicologica utilizzata dal regista Mervyn Le Roy, per tratteggiare, sin dal titolo, lo stereotipo del boss mafioso italo-americano. Caesar, nome-destino, dal sapore autocratico, e insieme “little”, tarchiato, inesorabilmente inadeguato, grottesco. “Doppiamente outsider – come è stato scritto – “perché italiano e perché provinciale inurbato ma sempre inurbano, mai coltivato nei modi, invidioso e ossessionato dalla potenza e corposità intimidatoria del capo leader”. Un Cesare piccolo piccolo, megalomane e monomaniacale, narciso vanitoso col pettininino sempre in mano, divorato dalla passione per il proprio potere personale e dal desiderio bruciante di essere al posto del capo e poi più in alto di lui. Più che l’habitat malavitoso, è un particolare modello di gangster, che intriga e affascina Le Roy. Un gangster tirannico, dominato da un tale delirio di onnipotenza da rendersi preda facilissima da stanare. Uscito allo scoperto in un ultimo, provocatorio raptus di vanità, il boss duro di Chicago preferirà farsi crivellare dalla polizia piuttosto che rassegnarsi alla decadenza. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno MARCO CANGI “Mi chiamo Marco, ho 27 anni e vivo e lavoro a Nijmegen nei Paesi Bassi. Mi sono trasferito nel Gennaio 2009 dopo la mia laurea in Management aziendale a Perugia. Qui mi occupo di consulenza per la gestione di progetti di ricerca e innovazione finanziati dall’Unione europea. Sono contento della scelta che ho fatto perché qua ho trovato chi crede nella potenzialità dei giovani e valorizza il merito”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

Gli insulti di Feltri, e noi lo quereliamo Leggo sul Fatto di domenica 6 dicembre la lettera di Paola Veglio, la quale si lamenta perché il giornalaio (dico giornalaio e non giornalista apposta) Feltri ha chiamato i manifestanti di sabato 5 “amici di Spatuzza”. Cara Paola, alcuni anni fa in occasione di uno sciopero generale con manifestazioni a carattere regionale, questo strillone (Feltri) ha titolato: “Oggi scendono in piazza gli assassini di Biagi e Dantona”. Ci ha chiamati assassini! Non aggiungo altro. Dico che sono pronto a

querelarlo perché io non sono un assassino né un amico di Spatuzza. Che si guardino allo specchio, loro che sono al servizio di B, un uomo forse compromesso che non intende farsi processare e si fa una legge dopo l’altra, per sé e per i suoi 66 parlamentari condannati, pregiudicati, rinviati in giudizio e così via. Noi chiediamo che B. si faccia processare, e che i suoi servi smettano di dire in pubblico che lui è stato sempre assolto. Prescrizione non vuol dire assoluzione. Mario Mechelli

Due rime sull’Italia Sono uno studente, ho 18 anni e vi dedico questa rima: Senza risposta la crisi è irrisolta, tra chi prega e chi conta, chi imposta la bomba, intanto la mafia prepara la tomba e c’è chi s’aspetta il governo risponda/ La busta non bussa trapassa la porta e questa è la prova ch’è il soldo che conta, chi se la gusta è solo la cosca perché quest’Italia è solo corrotta. Matteo L.

Il viola a qualcuno porta sfiga Ragazzi, tutto il mondo si veste di viola o sbaglio? L’onda sta coinvolgendo tutti! E non è vero che il viola non porta più iella: a B. ne porta eccome! Non credo che gli abbia fatto piacere vedere centinaia di migliaia di persone libere e pensanti. Gloria

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Gli attributi censurati “In Italia abbiamo un premier forte e con le palle” ha detto ieri a Bonn Berlusconi. Pure i traduttori simultanei l’hanno censurato. E’ mai possibile fare queste figuracce? La nostra immagine crolla sempre più. Pasquino

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IL FATTO di ieri12 Dicembre 1930

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