Il Fatto Quotidiano (13 Dicembre 2009)

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La foto pubblicata qui sotto dimostra, fra ruggine e incuria, che fine fa il ricordo degli italiani migliori

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Domenica 13 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 71 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

TRATTANO CON LA MAFIA IN DIRETTA TV

Messaggi fra Dell’Utri, il Graviano che nega e il Graviano che sa

Udi Marco Lillo

Il senatore elogia il silenzio di Filippo Graviano. Al centro del “dialogo”, nell’aula di Palermo, l’abolizione del 41-bis chiesta nella lettera di Giuseppe Graviano. Amurri e Travaglio pag. 2 e 3 z Il procuratore Grasso: su Spatuzza è lui il teste chiave

GUZZANTI E BERLUSCONI SEGRETO uzzanti vs Berlusconi, Gpremier l’inconsueta biografia del scritta dal senatore-giornalista che sarà in libreria per Aliberti Editore martedì 15 dicembre, è un caso fortunato di eterogenesi dei fini. pag. 4 e 5 z

Udi Furio Colombo LE MOSSE DI B. SPACCATUTTO incertezza è chiarita, ogni Onicagniambiguità dissolta. Lo comuil titolo de Il Giornale la mattina dell’11 dicembre. C’è scritto, a caratteri cubitali (si diceva così una volta): “Berlusconi spacca tutto”. È un titolo semplice. pag. 18 z

Ecco come è ridotto il cartello che commemora l’assassinio di Giovanni Falcone con la moglie e la sua scorta Sotto, gli scontri tra manifestanti e polizia al corteo in ricordo dell’attentato di Piazza Fontana nel 1969 (FOTO ANSA)

SÌ DI PD E IDV A CASINI x Oggi adunata Pdl a Milano

La “santa alleanza” anti-Berlusconi l “Fronte unico delle opposiIin zioni” lanciato dal leader Udc caso di voto anticipato viene colto al volo da Di Pietro e Bersani. “Si può fare se si tratta di mandare a casa il governo della P2” dice il leader Idv. E quello Pd: “Parole serie”. I berluscones sono in allarme rosso. Il capo oggi a Milano avrà il suo “predellino 2” per giocarsi le ultime carte. Il piano: raccogliere firme per una riforma costituzionale presidenzialista e per “aggiustare” la giustizia. Telese e Nicoli pag. 6 z

Udi Gianni Barbacetto PIAZZA FONTANA, SCONTRI E FISCHI ALLA MORATTI ai familiari delle vittime di Piazza FontaAna.plausi Fischi al sindaco di Milano Letizia Moratti e ai presidenti di regione e provincia. Qualche scontro tra manifestanti e polizia. pag. 7 z

CATTIVERIE Al Bano: “Non mi fanno cantare in Vaticano perché sono divorziato”. Ratzinger, “no, è che fai cagare” Spinoza.it

Siamo innocenti lo dice la mafia di Marco Travaglio

entre i Graviano, Berlusconi e Dell’Utri trattano ormai alla luce del sole, sotto i riflettori delle telecamere, senza più nascondersi dietro le quinte, mentre cioè il fuoriscena irrompe sulla scena politico-mediatica con una chiarezza solare, giornali e tv fanno a gara a chi nasconde meglio ciò che è impossibile occultare. I titoli dei quotidiani e dei tg sono esemplari. Corriere della Sera: “Il boss smentisce il pentito”. Il Giornale: “Paperissima in tribunale. Smascherato il bluff del pm”. Libero: “Ora tocca ai pm pentirsi. Sberla alle procure. Il boss Graviano in aula ridicolizza le rivelazioni di Spatuzza. Il castello di accuse contro Berlusconi crolla”. Oh bella: quando mai la parola di un boss mafioso non pentito diventa oracolo per sbugiardare quella di un mafioso che collabora con la giustizia accusando se stesso e i complici? Se così fosse, Falcone e Borsellino non avrebbero mai istruito un solo processo a Cosa Nostra, visto che tutti i boss han sempre “smentito”, “sbugiardato”, “smascherato” i pentiti Buscetta, Contorno e Calderone sui quali si imperniò il famoso maxiprocesso. Durante il quale, com’è normale in uno Stato di diritto, furono ascoltati i capimafia dell’epoca. Tutti, da Michele Greco a Pippo Calò, da Luciano Liggio a Vito Ciancimino ai cugini Salvo, vennero interrogati in aula. E tutti dissero che i pentiti che li accusavano si erano inventati tutto. Ma a nessuno venne in mente di prendere per oro colato le loro smentite autoassolutorie. Anzi, il fatto che i capimafia smentissero i pentiti rafforzò l’attendibilità dei pentiti medesimi. Infatti i boss furono tutti condannati. Lo stesso è accaduto nei processi di Caltanissetta e Firenze per le stragi del 1992-’93: decine di pentiti accusavano Riina, Bagarella, Aglieri, Biondino & C., questi smentirono e furono tutti condannati. A nessun giornale o tg venne mai in mente di titolare: “Riina smentisce Brusca, dunque è innocente”. E’ piuttosto arduo, del resto, trovare un delinquente irriducibile che confessa i propri delitti e chiede al giudice di condannarlo all’ergastolo. Eppure capita spesso che i delinquenti irriducibili vengano condannati all’ergastolo anche se si proclamano innocenti. Ora, essendoci di mezzo Berlusconi e Dell’Utri, la logica viene rovesciata, con grave sprezzo del diritto, e anche del ridicolo. “Ma davvero – si domanda sulla Stampa Francesco La Licata, uno dei pochi che non hanno ancora smarrito il ben dell’intelletto – qualcuno pensava che i Graviano, mafiosi ancora saldamente ancorati alla loro ‘ideologia’, si sarebbero consegnati alla magistratura, così, nel corso di un processo pubblico, senza nessun accordo preventivo e senza un ‘contratto’?”. Gli fa perfidamente eco Riccardo Barenghi nella rubrica “Jena”: “I boss mafiosi hanno salvato Dell’Utri e Berlusconi: detta così, come suona?”. Basta un paio di occhi aperti per vedere ciò che accade a cielo aperto in questi giorni mefitici. Eppure c’è chi fa di tutto per non vedere, confondere le acque, mescolare le carte. Non solo i turiferari prezzolati di Mr. B, ma anche gli osservatori “indipendenti”. Tipo il solito Sergio Romano, che sul Corriere sfida il principio di non contraddizione parlando di “discordanti testimonianze di Spatuzza e Filippo Graviano”, per concludere: “Ciò che conta, dal punto di vista processuale, è che il primo è stato smentito dal secondo”. E bravo l’ambasciatore. La Corte d’appello che sta giudicando Dell’Utri (condannato in primo grado sui racconti di una ventina di pentiti, riscontrati da intercettazioni e documenti neutri, con una sentenza infinitamente più dura delle parole di Spatuzza) prenda buona nota e tragga le debite conclusioni: siccome Spatuzza è smentito da Filippo Graviano, ma anche da Riina, Provenzano, Aglieri, Bagarella e altri attendibilissimi gentiluomini, allora Dell’Utri è innocente. Lo dice pure Minzolini, e persino Dell’Utri. Quindi dev’essere vero.

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Domenica 13 dicembre 2009

Processo breve domani attesa la bocciatura del Csm

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COSE LORO

omani plenum straordinario del Csm sul “processo breve”. Il carattere d’urgenza è dovuto ai tempi della politica. Il parere deve essere dato in giornata al ministro Alfano in modo che possa trasmetterlo alla Commissione giustizia del Senato che già lunedì sera, quando scadranno i termini per presentare gli emendamenti,

la commissione, il processo breve viola tre principi costituzionali: quello dell’obbligatorietà dell’azione penale, quello del giusto processo e quello dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge anche perché, con buona pace delle vittime, impedisce l’accertamento dei reati e quindi la condanna dei colpevoli. Il Csm ha calcolato che saranno estinti fino al 40 per cento dei processi.

comincerà la discussione del ddl. Scontata la bocciatura, l’organo di autogoverno dei magistrati voterà il documento redatto dalla sesta commissione. Cinquanta pagine per argomentare l’incostituzionalità del processo breve, la violazione della Convenzione dell’Onu per la lotta alla corruzione e la “sostanziale amnistia “ per i reati dei colletti bianchi. Secondo

“DELL’UTRI E LA MAFIA: DAI BOSS NESSUNA SMENTITA” Grasso: mi ha allenato a calcio, ma non mi usi come garante di Sandra Amurri

l termine dell’udienza del processo d’appello in cui è stato ascoltato il boss Filippo Graviano il senatore Dell’Utri dinanzi alle telecamere e ai microfoni di mezzo mondo – tra un attacco ai magistrati comunisti che vogliono sovvertire il voto popolare e ai media che sulla sua pelle alimentano la giustizia spettacolo – ha chiamato in causa come suo garante il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: “Se volete sapere chi sono io, chi è la mia famiglia chiedetelo a Grasso. Mi conosce, sa chi sono. Con lui giocavo negli anni Settanta nella squadra di calcio palermitana Bagicalupo, dove ho conosciuto Vittorio Mangano a riprova che non era una squadra di mafiosi”. Parole che Grasso non lascia cadere: “Il solo rapporto, se lo vogliamo chiamare così, è stato quello di un ragazzo di 14 anni qual ero che aveva come allenatore Dell’Utri. Non so di quale famiglia parli. Il mio lavoro mi ha portato a conoscere solo famiglie mafiose” e su Mangano, aggiunge: “Il fatto che Dell’Utri lo abbia conosciuto alla Bagicalupo non vuol dire che l’ab-

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bia conosciuto anche io. Il senatore fa confusione. Io sono nato nel 1945, quando giocavo alla Bagicalupo eravamo nel 1959. Negli anni ‘70 a cui si riferisce il senatore, Mangano aveva 30 anni ed io ero già magistrato. In ogni caso è una questione che ho già chiarito, ma sulla quale il senatore ritorna, chissà perché”. Una storia che fu proprio Grasso a raccontare per primo in un’intervista a Repubblica, appena nominato procuratore capo di Palermo, eravamo nel 2000, e il processo di primo grado a Marcello Dell’Utri era in corso: “Sono stato allenato da Dell’Utri per poco più di un anno, poi mio padre, visto lo scarso rendimento scolastico mi disse: scegli tra il pallone e lo studio ed io abbandonai il campo di Resuttana”. Nel 2004, Dell’Utri durante il processo di primo grado, nel corso di dichiarazioni spontanee disse che Grasso era il solo al termine degli allenamenti ad andarsene con la maglietta pulita, quello che non si sporcava mai di fango. Risposta che Grasso affidò al libro intervista Pizzini, veleni e cicoria di Francesco La Licata edito da Feltrinelli: “Dell’Utri deve avere dei cattivi ricordi visto che quando tornavo a ca-

sa mia madre mi sgridava sempre proprio a causa della maglietta sporca di fango, e un giorno mi disse: stai attento figlio mio che a furia di stare nel fango poi non si riesce più a liberarsene. Lasciai la Bagicalupo e continuai a giocare ma con amici scelti da me”. Aggiunge Grasso che ha continuato a giocare a calcio ma con la Nazionale italiana magistrati. “Del resto Falcone mi raccontò che giocava a ping pong nella parrocchia del quartiere con Tommaso Spadaro, poi divenuto un mafioso contrabbandiere e trafficante di droga a significare che ognuno sceglie strade diverse, che si separano e poi nella vita possono incrociarsi di nuovo, facendo ritrovare i compagni di giochi in ruoli diversi, chi magistrato e chi imputato”. Tempi lontani quelli della Bagicalupo. Il presente registra un senatore Dell’Utri sollevato per la “smentita” di Spatuzza arrivata dal boss Filippo Graviano che ha detto di non conoscerlo e di non aver mai avuto rapporti con lui. Una smentita clamorosa, procuratore Grasso! “In verità nessuna sorpresa e novità. I testimoni non hanno fatto che confermare quello che avevano già ampiamente ripetuto nel corso delle indagini. E del resto, che altro ci si poteva aspettare da mafiosi che non collaborano? La valutazione spetta ai giudici, qualsiasi giudizio è prematuro, però non si può non osservare che Spatuzza, almeno per la dichiarazione che coinvolge il senatore-imputato e il premier, non è stato smentito, ma soltanto non è stato riscontrato perché il solo che potrà smentire o confermare Il procuratore Grasso visto da Emanuele Fucecchi

A destra il cartello che ricorda le sue dichiarazioni, in assenza di al- la strage di Capaci (F A G ) tri testimoni presenti al colloquio, non può che essere Giuseppe Graviano, che fino FALCONE ad ora si è rifugiato dietro un ermetico quanto minaccioso silenzio. Spatuzza, che da quasi due anni è in un regime di isolamento più afflittivo del 41-bis, che non ha colloqui nemmeno con la sua famiglia, che non ha mai richiesto benefici, interpretando il suo stadi Alessio Gervasi tus come la giusta espiazione delle sue colpe, che ha scagionato ual è la reale memoria oggi di Giovanni Falcone, Francesca colpevoli e accusato responsabili Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro? Sono ancora in libertà, non ha mai detnomi che campeggiano, oltre che su lapidi e stele dove ogni anno si to che Filippo Graviano gli aveva rinnovano solenni processioni, agli angoli di vie sovente di periferia riferito di conoscere o di avere che la toponomastica decide di premiare. Ne consegue, che anche rapporti diretti o indiretti con la loro memoria si congiunge con l’oblio delle periferie. Come il Dell’Utri, dunque, anche sotto cartello che ricorda questi uomini fatti a pezzi dal tritolo questo aspetto, non si può dire sull’autostrada Palermo-Mazara del Vallo, all’altezza dallo svincolo che sia stato smentito.” Poi il prodi Capaci, diciassette anni fa. Questo cartello è stato posto (non si curatore ribadisce che “se è vero sa bene da chi: Stato, antiStato, semplici cittadini, fatto sta che c’è che è inusuale far affrontare a un scritto che la strage è da ascrivere al “Potere Politico – Mafioso”) aspirante pentito un dibattimentanti e tanti anni fa, a poche centinaia di metri dal luogo to prima della conclusione delle dell’attentato, sotto l’autostrada, dove c’erano dei giardini fino al indagini, è altrettanto vero che la cunicolo che allora fu imbottito d’esplosivo. E’ qui la memoria. Sotto scelta è stata resa necessaria per il l’autostrada e non sopra, dove svettano due alte e colorate stele principio costituzionale dell’obche ogni anno il 23 maggio sono meta del pellegrinaggio politico del bligatorietà dell’azione penale Belpaese. Sopra l’autostrada avvengono rituali e comode che impone all’accusa di sottocelebrazioni, mentre sotto, fra le sterpaglie e l’immondizia, in una porre al giudice tutti gli elementi sorta di periferia del tempo, c’è la vita. Quella vera. E c’è questo emersi, sia a favore che a carico di lercio cartello. Quasi appoggiato su una sbilenca rete di recinzione, un imputato, finché sia in corso il a un incrocio che incrocio non è, fra la strada statale che un giudizio di merito anche in appelchilometro più avanti attraversa il paese di Capaci e quel che lo, se la Corte lo ritiene pertinenrimane dei giardini, i Fondi, agrumeti o uliveti spazzati via nel corso te”. degli anni per far posto all’autostrada ma anche al vicino aeroporto di Punta Raisi – dopo le stragi intitolato a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino – che “si doveva” far qui, fra montagna e mare, senza se e senza ma. Un cartello alla memoria che ha per contorno dei cartelli più piccoli, che annunciano vendite e locazioni, in un territorio che è un eterno e precario cantiere con le villette a schiera che dal mare si arrampicano verso la montagna. E anche qui, sotto l’autostrada saltata in aria il 23 maggio del 1992, in poche centinaia di metri nascono a getto continuo case e palazzine, cortiletti, piazzette, steccati, s’interrompono sull’autostrada con le due stele sopra e poi di nuovo case e casuzze. Pane e cemento e avanti. Per uscire e tornare da casa si passa davanti a quel cartello, bucato, divelto, arrugginito e con alcune lettere che cominciano a svanire. Forse è questa la reale memoria, oggi, di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro. La memoria della Giustizia. OTO DI

LESSIO

ERVASI

LA MEMORIA ROTTAMATA E IL CARTELLO SU CAPACI

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Spatuzza non dice che è Filippo a riferire dei rapporti col senatore Dunque nessun caso

Scure sui fondi per le intercettazioni, l’ira dei procuratori DOPO L’ANTICIPAZIONE DEL “FATTO” SUL PIANO DEL GOVERNO, ARRIVA UN CORO DI NO: “COSÌ AZZOPPANO LE INDAGINI” di Antonella

Mascali

a notizia rivelata ieri da Il Fatto, e Lchella cioè che il governo alla chetiha inserito nella Finanziaria un emendamento per cui le procure da gennaio potranno effettuare le intercettazioni solo in base a un budget prefissato e ancora da stabilire, ha colto di sorpresa l’Anm, che non ne sapeva nulla. Il sindacato delle toghe in questi

Tetto al budget prefissato, Roberti: “Forti limiti nella lotta al crimine organizzato”

giorni, con i suoi tecnici, ne chiederà conto al ministero. I procuratori che hanno appreso dell’emendamento in Finanziaria, sono preoccupati perché, come ha spiegato ieri Paolo Mancuso, capo dell’ufficio di Nola “le spese di giustizia non hanno mai avuto un budget prefissato, in quanto è impossibile ipotizzare il numero e la durata delle intercettazioni, o delle consulenze necessarie in un’indagine”. Contattato da Il Fatto, stenta a credere a una modifica del genere il procuratore di Salerno Franco Roberti, fino all’estate scorsa capo della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Il magistrato fa prima una premessa: “Non c’è dubbio che le procure hanno l’obbligo di economizzare sulla spesa per le intercettazioni, ponendo estrema attenzione a fare soltanto

quelle necessarie” e poi aggiunge: “Ma, specialmente per indagini in materia di criminalità organizzata, se dovesse essere introdotto dal ministero della Giustizia il tetto di spesa per le procure, sarebbe una pesante limitazione per l’attività delle intercettazioni. Bisognerà attendere di capire quale sarà il budget e come sarà distribuito tra i vari uffici, ma è chiaro che dovremmo fare scelte difficili e anche penalizzanti per le indagini. Verrebbero sacrificate molte inchieste. Mi sembra che questo emendamento sarebbe di dubbia costituzionalità. Una norma in questi termini, infatti, interferirebbe con l’obbligatorietà e la completezza dell’investigazione, che è strettamente connessa al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale il cui esercizio deve, per legge, essere corretto, puntuale e

uniforme”. Parla di effetti deleteri, Dino Petralia, componente togato del Csm, della corrente Movimento per la Giustizia, la stessa di Giovanni Falcone: “Ci sono molti modi per incidere e condizionare i processi, uno dei più importanti è proprio questo: limitare le risorse per le intercettazioni, che è quanto di peggio possa esserci. Le intercettazioni sono il solo strumento rimasto effettivamente genuino in mano agli inquirenti”. Petralia ci spiega anche cosa potrebbe accadere: “Pensiamo a un’esigenza rilevantissima, che possa sorgere proprio quando sei al limite del budget. In questi casi, cosa succede? Ci si ferma e si rinuncia a proseguire le indagini? Impossibile. Altro discorso, ed è quanto molti procuratori che il Consiglio ha incontratostanno già facendo, è

quello di contenere le spese, spuntando prezzi buoni con le ditte che noleggiano le apparecchiature”. Il consigliere rileva inoltre che non è stato interpellato il Csm: “Visto che anche una norma inserita in una Finanziaria, finisce per incidere sull’organizzazione degli uffici giudiziari, di competenza del Csm, anche su questa il Consiglio deve esprimere un suo motivato parere. Ma non è stato richiesto, almeno per ora”. Proprio il Csm, in plenum, il 18 febbraio scorso, ha espresso un parere negativo sul disegno di legge sulle intercettazioni, approvato dalla Camera e adesso in commissione Giustizia al Senato. Per il Palazzo dei Marescialli rappresenta “un grave pregiudizio per le attività di indagine anche in settori particolarmente delicati e sensibili”.


Domenica 13 dicembre 2009

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L’esponente Pdl a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa

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COSE LORO

l teatro della tempesta - Spatuzza e i Graviano - è il processo d’appello al senatore Dell’Utri, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo la deposizione bomba del pentito Spatuzza (secondo cui Berlusconi e Dell’Utri sono coinvolti nelle stragi del ‘93 e nella trattativa tra Stato e

mafia), venerdì a Palermo è stata la volta dei due fratelli boss di Brancaccio. Filippo ha negato di aver avuto rapporti con Dell’Utri e di aver mai chiesto “favori” (riferimento al “se non arrivano segnali parliamo con i magistrati”, frase che avrebbe confidato a Spatuzza in carcere). Giuseppe invece - il vero capofamiglia da cui Spatuzza ha detto di

aver appreso dei contatti con “l’uomo di Canale 5” - ha taciuto. “Per ora” ha tenuto a specificare. Messaggi su messaggi. Che Dell’Utri ha raccolto a modo suo. Filippo Graviano - che nega, dice di non sapere e silura “l’accusatore” Spatuzza - “è ravveduto” spiegava il senatore. Il processo continua.

TRATTATIVA A CIELO APERTO

I messaggi del senatore, i silenzi eloquenti di Giuseppe Graviano Tra Cosa Nostra e Stato segnali sul 41-bis a favore di telecamera di Marco Travaglio

a valanga di parole storte che si rovescia ogni giorno sul processo Dell’Utri nasconde malamente il tentativo di occultare una realtà drammatica che è sotto gli occhi di tutti: la trattativa fra Stato e mafia, iniziata dai carabinieri del Ros nell’estate del ’92 dopo la strage di Capaci, culminata nella consegna del papello ai nuovi referenti politici e nella consegna di Riina al Ros da parte degli uomini di Provenzano, ripresa nel ’93 da Dell’Utri con gli uomini di Provenzano e del clan Graviano, sfociata nella fine delle stragi nel ’94, continua tutt’oggi. Siamo ormai ai tempi supplementari, il regime berlusconiano è alle corde, e chi si aspetta che i vecchi patti vengano rispettati si rende conto di dover giocare il tutto per tutto. Non più nelle segrete stanze, dietro le quinte, con trattative sotterranee sulla “dissociazione” e messaggi cifrati (il proclama di Bagarella sui politici che non rispettano le promesse, lo striscione allo stadio di Palermo sul 41-bis). Ma a scena aperta. Alla luce del sole. In favore di telecamera. Perché tutti capiscano e chi di dovere si assuma finalmente le proprie responsabilità. Il Graviano sbagliato. Il gioco delle parti tra i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, lungi dallo smentire Spatuzza, lo conferma. Spatuzza dice che era Giuseppe il suo capo, non Filippo. Infatti Filippo nel 2004, nel carcere di Tolmezzo, gli disse che bisognava far sapere a Giuseppe che, se non arrivava quel che doveva arrivare (benefici carcerari per i boss al 41-bis), bisognava andare a parlare con i magistrati”. E fu Giuseppe, tra la fine del 1993 e l’inizio del ‘94, a confidare a Spatuzza prima che c’era un progetto politico dietro le stragi del ’93, poi che con Berlusconi e Dell’Utri in politica Cosa

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Nostra aveva “il paese nelle mani”. Dunque è Giuseppe, non Filippo, che potrebbe confermare le parole del pentito. Filippo nega tutto, ma Giuseppe se ne guarda bene. Potrebbe chiudere definitivamente la partita e liquidare il pentito in due parole: “Tutte bugie”. Invece ne pronuncia ben di più, tramite il suo avvocato: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere perché non sto bene a causa del 41-bis, ma, quando il mio stato di salute me lo permetterà, sarà mio dovere rispondere”. Paradossalmente, se la trattativa sul 41-bis andrà a buon fine, lui parlerà. Resta da capire che cosa dirà: confermerà o smentirà Spatuzza, che finora non solo non ha mai smentito, anzi ha addirittura elogiato come un “fraterno amico” da “rispettare” perché “ha fatto le sue scelte”? Il paradosso è proprio questo: se gli danno quel che chiede, lui potrebbe inguaiare i vertici del governo. Ma potrebbe farlo anche se non gli danno quel che chiede. In ogni caso, è una clamorosa conferma alle rivelazioni di Spatuzza sull’insofferenza dei Graviano per le promesse non mantenute. Marcello risponde a tono. Dell’Utri, se davvero fosse estraneo a quel mondo, potrebbe chiamarsene fuori. Invece entra a piedi giunti in questo dialogo a distanza. Ha già detto che per lui i mafiosi si

Il gioco delle parti tra i due fratelli conferma le insofferenze dei capimafia: se non mantenete le promesse...

dividono in eroi (quelli che, come Mangano, non solo non parlano di lui né di Berlusconi, ma non parlano tout court, restando mafiosi: come anche Riina, Provenzano, Bagarella e così via) e in bugiardi che dicono “minchiate” (Spatuzza, ma anche gli altri venti che hanno parlato di lui in 15 anni di inchieste e processi sul suo conto). Il 7 dicembre, a Porta a Porta, Dell’Utri spiega che “Spatuzza è un assassino efferato e non capisco come si possa dopo tanti anni dire queste cose. Ma l’obiettivo è chiaro: Spatuzza ottiene prebende, ottiene di uscire dal carcere, lavoro per lui e per le persone a lui vicine. Spatuzza con questo pentimento si è santificato e io passo per un efferato stragista”. Quando invece Filippo Graviano dice di non conoscerlo e smentisce Spatuzza, Dell’Utri si spertica in elogi e gli conferisce una patente di pentito attendibile: “Sono meravigliato dalla dignità e dalla compostezza di questo signore. Ha detto cose che mi meravigliano. Nel guardarlo ho avuto l’impressione di dignità da parte di uno che si trova in carcere e ha delle sofferenze. A differenza dell’impressione che mi ha fatto Spatuzza, mi è parso di vedere dalle parole di Filippo Graviano il segno di un percorso di ravvedimento”. Peccato che Filippo Graviano non sia pentito di un bel nulla, tant’è che nega financo di essere mafioso, nega i delitti per cui è stato condannato all’ergastolo, delitti molto più gravi di quelli commessi da Spatuzza, visto che questo era solo un sottoposto, mentre l’altro è uno dei capi. Dunque, contrariamente a quanto previsto da una legge dello Stato voluta da Giovanni Falcone, per Dell’Utri i pentiti veri sono i mafiosi che non confessano e non collaborano. Figurarsi l’entusiasmo dei boss irriducibili per le parole di un parlamentare della Repubblica. E figurarsi l’allarme fra i pentiti veri, la

cui sicurezza dipende dal sottosegretario Alfredo Mantovano: che dovrebbe attenersi ad assoluta terzietà, dovendo valutare le richieste dei magistrati per assegnare i programmi di protezione, e invece va in tv ad attaccare l’attendibilità dei pentiti a cui dovrebbe garantire l’incolumità perché collaborino serenamente con la giustizia. Il destino del processo. È stata un autogol di un magistrato “inadeguato, dilettante e disinvolto” la scelta del pg di Palermo di introdurre Spatuzza nell’ultima fase del processo Dell’Utri prima di sottoporlo ai necessari riscontri, come scrivono certi maestrini che danno le pagelle ai giudici? Assolutamente no. Quando c’è il tempo, si cercano i riscontri in proprio. Quando, come nel caso delle recentissime dichiarazioni di Spatuzza, queste arrivano nella fase finale del processo, è doveroso riversarvele, accompagnate dai riscontri già trovati dalla Dia e dalla Procura di Firenze (che ritiene Spatuzza attendibile, tant’è che ha chiesto di ammetterlo al programma di protezione). Tanto più che Spatuzza non fa altro che aggiungere un tassello a quanto già dimostrato in primo grado: i già accertati rapporti fra Dell’Utri e i Graviano. Spetterà poi ai giudici valutare le nuove testimonianze alla luce dei fatti già emersi nel processo. La stessa cosa accadde al processo Cusani, dove Di Pietro portò in aula i segretari dei partiti che gli avevano appena confessato di essersi spartiti la maxitangente Enimont. E, guardacaso, alla fine fioccarono le condanne.

Dell’Utri venerdì in tribunale a Palermo (FOTO ANSA)

IL GIUDICE RAGAZZINO

Livatino e il rock lontano dai giovani

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appuntamento ieri era a Gela, per Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, a soli 38 anni. Tolto di mezzo sulla Statale 640, che percorreva ogni mattina da Canicattì - dove viveva con i genitori - ad Agrigento, dove lavorava. Il programma ufficiale - interventi di Alfano, del governatore Lombardo - ma anche spettacoli e musica: il magistrato è stato ricordato attraverso il musical “Il mio piccolo giudice”: canti e musiche dal sapore antico, che si rifanno a un presente di pulsazioni rock, mescolate alle note delle nenie e dei lamenti siciliani nei testi realizzati da Peppe Servillo e Pietro Gueli Alletti. Ma a Gela si allungano anche ombre. Pochi gli studenti all’appuntamento, troppo pochi secondo alcuni. Non basta il rock a riempire le piazze.

“Berluska” e “mafia”: oscurato il murales TORINO, L’IRA DI UN CONSIGLIERE PDL. IERI È STATO “COPERTO” DI VERNICE BLU di Stefano Caselli

l bello è che, a breve, sarebbe comunque sparito. Anzi, doIsonoveva già essere rimosso lo scorso 5 dicembre, ma i lavori in leggero ritardo. È uno muro provvisorio di cartonSopra il murales multicolore con il puzzle di parole, sotto come è da ieri (FOTO DI ALESSANDRO CONTALDO)

gesso, che divide la stazione Porta Nuova della Linea 1 della metropolitana di Torino dalla stazione ferroviaria. Fino a venerdì sera ospitava un murales dell’artista Paolo “Jins” Gillone, eredità della rassegna “Paratissima” tenutasi nel quartiere di San Salvario dal 6 all’8 novembre. Nella notte tra venerdì e ieri l’opera di Gillone è scomparsa sotto uno strato di vernice blu. Lo ha deciso Gtt, azienda che gestisce il trasporto pubblico a Torino, dopo le lamentele del consigliere comunale Pdl Ferdinando Ventriglia, che ha visto nel murales “un monumento alla calunnia nei confronti del presidente del Consiglio”. Motivo? Quel “Berluska” inserito in una sorta di circuito di parole, idee e concetti che da “society” arrivava fino a “power”, passando però per “mafia” e “corruption”. A Ventriglia non è andata giù: “Il premier – dichiara – è incastonato tra una serie di concetti suggestivi e tendenziosi volti ad associare, nell’immaginario degli utenti, Berlusconi alla mafia. Ai custodi della legalità, sempre attenti e informati sui dettagli dei processi a carico del presidente del Consiglio, è sfuggito che l’allestimento integra una serie di reati (calun-

nia e diffamazione a mezzo stampa) aggravati dalla reiterazione quotidiana e dal fatto che la parete simula i graffiti spontanei ma è in realtà un prodotto costoso commissionato da Gtt”. L’azienda risponde di non aver commissionato nulla e di essersi limitata a mettere lo spazio a disposizione di “Paratissima” (evento che ha coinvolto oltre 400 espositori) ottenendo dall’artista una liberatoria sul fatto che “non vi sarebbero state immagini che avrebbero potuto danneggiare o risultare offensive per alcuno”. Per oltre un mese, nessuno ci ha visto niente di diffamante. Fino alla discesa in metrò di Ventriglia. Dispiaciuto – ma nemmeno troppo – l’artista: “Non era un lavoro contro Berlusconi – spiega Paolo Gillone – ciascuno di noi, ogni giorno, viene bersagliato da concetti, idee, parole che ruotano attorno alla mia vita come a quella delle centinaia di migliaia di torinesi che sono passati davanti alla mia opera. Ho cercato semplicemente di riassumerle”.

L’opera era su un cartongesso della stazione di Porta Nuova Per un mese zero obiezioni, poi il blitz


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Paolo Guzzanti, dopo lo strappo con Berlusconi, rende pubblica l’agiografia mancata del 2000 Ecco le perle di un uomo che “ha perso gli ormeggi”

IL LIBRO

di Marco Lillo

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UZZANTI VS BERLUSCONI, l’inconsueta biografia del premier scritta dal senatore-giornalista che sarà in libreria per Aliberti Editore martedì 15 dicembre, è un caso fortunato di eterogenesi dei fini. Nel 2000 Silvio Berlusconi scelse Paolo Guzzanti per scrivere la sua agiografia sul modello di quella appena pubblicata dal manager Chrisler Lee Iacocca, che tanto era piaciuta al Cavaliere. L’allora vicedirettore del Giornale registrò ore e ore di racconti autocelebrativi del capo e persino della mamma Rosa. Quelle giornate a villa La Certosa e in nave con i Berlusconi però non portarono nessun risultato. Un po’ perché il Cavaliere si tirò indietro e un po’ perché Guzzanti si ricordò di essere stato (come inviato di Repubblica e Stampa) una delle penne più irriverenti del giornalismo italiano. Più riascoltava il presidente che sbrodolava elogi su sé stesso più si convinceva di non poterli riportare senza sottolinearne gli aspetti ridicoli e inquietanti. Le cassette finirono così nei cassetti fino a quando l’incantesimo tra il Cavaliere e il giornalista non si ruppe. Le profonde divergenze sulla politica estera nei confronti di Putin e le polemiche contro la stagione del ciarpame e delle veline di Berlusconi hanno fatto il resto. Dopo aver coniato il fortunato termine “mi-

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gnottocrazia” per stigmatizzare la sostituzione della classe dirigente del Pdl con le ragazze del Cavaliere, Guzzanti ha lasciato il partito per approdare al Pli. Liberatosi finalmente dell’infatuazione politica, il vecchio giornalista ha riascoltato le cassette del Cavaliere scoprendo un tesoro di perle inedite che formano l’ossatura di un racconto imperdibile. Guzzanti lascia parlare il Cavaliere per pagine e pagine. C’è il piccolo Silvio che è il più bravo in famiglia, a scuola e nello sport e si impegna subito in politica attaccando i manifesti della Dc mentre i comunisti lo picchiano. E poi c’è il giovane Silvio che studia alla Sorbonne ma è già un fusto che affronta i marines per difendere la sua amante spogliarellista. E poi c’è il grande Silvio che costruisce città nonostante i comunisti cattivi lo ostacolino in tutti i modi. A impressionare è la totale assenza di autoironia del leader. La rappresentazione di sé non conosce mezze misure dal concepimento alla fine dei secoli. Quei racconti non sono confidenze sfuggite. Ma rappresentano i mattoni consegnati all’aedo per costruire un mito. Ogni dettaglio del racconto, anche il più insignificante, è finalizzato a rendere unica, simbolica e magica la storia dell’esistenza del capo. La parte finale del libro, nella quale si descrive l’involuzione di Berlusconi verso un modello che Guzzanti definisce come un mix tra “priapismo e cesarismo” in fondo rappresenta solo la naturale conclusione delle premesse che si potevano intuire in quelle parole di 9 anni fa.

MITO E MITOMANIA CORTOCIRCUITO DI SILVIO La copertina del libro di Paolo Guzzanti ”Guzzanti Vs Berlusconi” edito da Aliberti Editore che sarà in libreria martedì 15 dicembre

IO, IL MIGLIORE anche a vincere le gare dei Salesiani tra l’altro sono molto affascinato dai film Ibicicodilette, quei periodi, dai film di De Sica, Ladri di da tutti i film di quell’epoca, di

VELTRONI, D’ALEMA, COSSIGA “Professionisti coi soldi dello Stato” se io mi devo confrontare con gente Ptroniensa come Di Pietro o anche con lo stesso Velche non si è nemmeno preso la laurea liceale, tutti questi qui, Veltroni, D’Alema, non hanno una laurea, vuol dire poco ma vuole dire qualcosa! Io mi devo confrontare con gente che ha soltanto alle spalle il mestiere della politica, chiacchiere, cursum honorum fatto di dichiarazioni, federazione giovanile, partito, segretario di partito, segretario organizzativo, giornalista dell’Unità, direttore dell’Unità, parlamentare, capogruppo, vicesegretario, segretario, presidente del Consiglio e trasformazione di Palazzo Chigi in Botteghe Oscure. D’Alema ha fatto questo, è andato lì e ha messo tutta la segretaria di Botteghe Oscure, tutto l’ufficio stampa di Botteghe Oscure a Palazzo Chigi e io me lo troverò o chi per me se lo troverà e ha gestito il suo essere presidente del Consiglio da segretario del partito, perché ha fatto tutta l’operazione delle elezioni, utilizzando il prestigio, il ruolo, le occasioni di incontro, gli aerei, le automobili per fare campagna elettorale da segretario di partito. (...) A parte la differenza di stile, sono stato presidente del Consiglio e

quell’Italia povera, adesso non si può capire come allora l’aver perso una bicicletta sia un dramma totale, l’aver perso una bicicletta era la fine della possibilità di vivere, non potevi andare a lavorare, non potevi andare a casa. Ricordo che il primo segno tangibile di ricchezza è stato quello di aver ricevuto poi in regalo un pallone. Quando ho avuto il pallone, con tanto di stringa, avevo il diritto di fare le squadre io, quindi ti trovavi giù tu ma quell’altro sceglieva, poi sceglievi tu poi lui, il fatto del diritto del pallone, le prime scelte, si giocava sul marciapiede e quando la palla andava in casa della signora del pianterreno, noi avevamo finito di giocare perché c’era la madre che diceva: “Per favore, ma devono andare da un’altra parte a giocare”. Poi ci sono tante altre cose, dai Salesiani ho vinto un po’ di gare, per esempio dovevamo collocare gli abbonamenti di “Gioventù Missionaria”, allora andavamo nelle case a suonare i campanelli e io ho vinto con grande distacco perché avevo abbonato tutto il mio quartiere. Ricordo che vinsi con un distacco enorme e ho vinto un pacchetto di cinque chili di caramelle che poi ho distribuito. Ero quello a cui tutti i professori facevano la corte perché ero il più fecondo, quello che aveva doti di simpatia riconosciute dagli altri studenti e, anche nel rapporto con i professori, ero un ragazzo che si presentava bene, era molto attento a farsi accettare, a farsi stimare e quindi ero l’assistente ideale per un professore, perché ero molto attento, non ero un adulatore. Ero nel giusto, quindi praticamente tutti i professori con cui ho dato esami mi hanno chiesto di fare da assistente. A questo punto ho fatto delle cose per quanto riguarda anche il diritto commerciale, c’è stata da parte mia anche questa voglia. Avevo capacità di sintesi per cui, quando finivo un esame, avevo messo a punto un riassunto, il cosiddetto bigino, e la libreria antistante l’Università degli studi di Milano aveva i miei diritti che erano naturalmente senza nome perché era considerata una scorciatoia non onorevole.

ho cambiato Palazzo Chigi, ho portato le cose, ho fatto, mi sono mosso con i miei aerei, ho fatto regali a tutti i capi di Stato con i miei soldi, sì tutti i regali li ho fatti con i miei soldi, non ho mai utilizzato le risorse di Palazzo Chigi, tutta roba mia, pranzi, è stato fatto tutto a spese mie, non ho mai utilizzato i soldi dello Stato. Viaggiavo prevalentemente con i miei aerei (...). Sai cosa vuol dire per una persona avere dietro la scorta? Si tratta di 22 persone, sono 4 per volta, ma si alternano nelle ore del giorno e poi c’è il sabato, la domenica e l’estate, quindi praticamente, a sentire le mie scorte a cui ho fatto questa domanda, 22 persone, tu pensa a questi qui che fanno delle scorte uno status symbol, vanno via sgommando, fanno le sirene, ma chi volete che vi creda! Chi sono quelli di Tangentopoli che mettono le mani addosso a Colombo and company? (...) Cossiga costa allo Stato dei soldi infiniti, perché ha dietro la scorta, ha l’attendente, ha l’ufficio, vola con gli aerei di Stato, è un mantenuto dello Stato da sempre, è una cosa incredibile! Io se ho dietro la scorta dei carabinieri, tre carabinieri a Roma e la polizia a Milano è perché loro vogliono darmela.

di Paolo Guzzanti

apii che Berlusconi aveva perso completamente i confini del buon senso quando gli sentii raccontare per l’ennesima volta la barzelletta della mela brevettata. Allora rabbrividii. La barzelletta è semplice, surreale e oscena come spesso sono le buone barzellette. Ma, affetto ormai dal delirio onnipotente di essere anche un grande attore di cabaret, l’aveva allungata e dilatata e abbellita e appe-

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Ho capito che aveva sbroccato quando per raccontare la barzelletta ha impiegato 20 minuti spesi in disastroso autocompiacimento santita fino a farne una performance di quasi mezz’ora. Un tempo teatrale infinito incapace di sostenere l’impatto della battuta finale, tirata talmente per le lunghe da arrivare spenta. Eppure, ridotta a una battuta da meno di mezzo minuto era surreale e faceva ridere. Questa era la versione originale dello stesso Berlusconi prima che perdesse gli ormeggi: Un uomo si presenta all’ufficio brevetti con una mela in mano e dice all’impiegato allo sportello che vuole brevettarla. L’impiegato risponde: “Mi sembra una mela come tutte le altre”. “No, è speciale: l’ho modificata geneticamente”. “E che cos’ha di speciale?”. “L’annusi. Sa di fica”. L’impiegato prende la mela, la annusa e la respinge disgustato: “Non sa affatto di fica: sa di culo”. “Oh, mi scusi: la giri”. Il tempo necessario e


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Parla mamma Rosa

QUELLA VOLTA GLI HO DATO UNO SCHIAFFO o sono nel cucinino, stavo cucinando. Non so che cosa mi avesse detto, io ero ID’istinto un po’ arrabbiata e poi mi ha dato una brutta risposta… non ricordo cosa. gli ho dato uno schiaffone. Lui è diventato pallido, ci è rimasto male: “Mi hai dato una sberla?” ha chiesto allibito. “Te l’ho data perché te la sei meritata!” “Ma io sono il presidente…”. “Per me potresti essere anche il presidente della Repubblica, ma se meriti una sberla, io sono piccola ma vado in piedi su una sedia e te la do!”. Era la prima volta che mi rispondeva male. Però poi è sparito. Io ero tutta agitata, avevo il dispiacere di essermi lasciata prendere da questa cosa, mi piangeva il cuore. Lui è andato nella sua camera ed è rimasto lì un’ora. Dopo torna: “Mammina perdonami”. “Ricordati, con me ti devi sempre comportare bene, te lo sei meritato il ceffone e te l’ho dato”. È finito male perché col tempo ci sono state tante cose che non spetta a me raccontare. E poi perché lei è dovuta stare per molto tempo fuori con i bambini, perché la mafia minacciava di portare via i ragazzi. Silvio è stato avvertito da quello stalliere che era lo stalliere della marchesa. Silvio ha preso Arcore e questo è rimasto. Col tempo si vede che questo aveva dei rapporti… non lo so, ed è stato avvisato che la mafia voleva portare via i ragazzi. Allora, di notte, ha preso i bambini, la Carla, il personale, e li ha portati in Svizzera, prima a Lugano, poi nella Svizzera tedesca e poi in una località nello Stretto di Gibilterra. (...). Abbiamo dovuto scappare tutti per questa gente lì, e noi siamo andati nella villa dei nostri parenti, a Caldé, e nessuno sapeva dove eravamo. (...) Dopo, quando son tornati, sa… la lonono anche andato un’estate a Parigi dove ho impatananza vuol dir tanto! Quando rato un mare di canzoni francesi, ne avevo più di hanno incominciato ad andare cento in repertorio. A Parigi ho cantato in qualche loa scuola i bambini, ormai cale, sono stato alla Sorbonne dove ho fatto un corso di l’unione… si sono divisi, lui ha Droit comparé, di diritto civile comparato, tra il diritto preso per lei una tenuta in Initaliano e il diritto francese. Poi stavo alla cité univerghilterra. (...) Veronica, in fonsitaire e ho conosciuto una ragazza francese che si chiado, ha avuto tutto. Ha una casa mava Josianne. L’ho incontrata per strada in uno snack, stupenda. Lei è molto intellisono andato a stare con lei e mi ha portato nel suo locale gente, ha frequentato l’Accadove la difendevo anche dagli attacchi dei marinai amedemia d’arte perché era un’atricani, con l’incoscienza di chi non sapeva che poteva trice. Con l’aiuto degli architetessergli fatale ma ero abbastanza ben messo. A Parigi ti e di tutto quello che Silvio le cantavo canzoni italiane con il nome di Pier Paolo Rizha messo a disposizione ha fatzoli e poi con il nome di Dani Daniel cantavo fino a to restaurare Macherio. Silvio mezzanotte pezzi francesi, poi a mezzanotte arrivavano l’aveva presa all’asta. i turisti italiani e allora cantavo canzoni napoletane eccetera. Poi è venuto mio padre a prendermi, ha mandato qualcuno dall’ambasciata a trovarmi alla cité unicon la bava alla bocca. L’antiberversitaire e gli hanno detto che era un po’ di tempo che lusconismo becero che era la reio non ero più lì allora ha scoperto che abitavo da una plica dell’anticraxismo e di tanti streaptiseuse. Poi gli altri anni sono andato sulle navi altri anti-ismi che costellano la della Costa dove facevo di tutto, la guida di giorno, porstoria d’Italia. Gli stranieri di Bertavo in giro la gente in pullman spiegando le varie città, lusconi raramente hanno capito in giro nel Mediterraneo dove c’erano i porti. Mi stuqualcosa. Dai reportage dei loro diavo le guide, facevo delle presentazioni molto colte, inviati di solito ricavi soltanto delalla sera cantavo nell’orchestra che era quella della nale macchiette, mai la dimensione ve, facevo i giochi di soreale. Loro vengono, guardano, cietà e la notte, dalla scambiano l’Italia per la repubblimezzanotte in poi amca delle Banane, Berlusconi per maliavo le ragazze alle un fascista, riempiono con una quali cantavo canzoni. aneddotica generosa e spesso maAlla fine della crociera nipolata, e tirano avanti così. No, ero distrutto perché la mia non è la storia di un illuso non dormivo mai, invedeluso, e neppure di un voltagabce di dormire mi prepamesso, ma si sono sempre attaccati a tutto. bana. Ho accompagnato con enravo per il giorno sucIo ho sempre lavorato con una difficoltà tusiasmo il cammino di Berluscocessivo, sono sempre enorme riguardo il comitato di controllo di ni verso la rivoluzione liberale di stato uno che si prepaMilano, siccome non pagavo, avevo una secui l’Italia ha disperato bisogno e rava molto, ero un secrie infinita di grane. Così quest’avventura, ho visto fin dove lui poteva arrichione a scuola, ho fatto che è durata diversi anni in controtendenza vare. Speravo che facesse almeno l’università sempre orrispetto al mercato, ha creato un quartiere qualche chilometro del percorso ganizzato, ordinato, sosicuramente all’avanguardia rispetto galattico di una rivoluzione borno un organizzatore. all’edilizia di allora. Il tutto fatto con una soghese, invece ha percorso sì e no cietà straniera di cui ero soltanto il socio acqualche centimetro. Meglio di comandatario e fu un’operazione che andò niente. Poi però si è ritrovato a molto bene. Da lì poi ci fu il salto successivo governare da solo, senza avere di fronte alcun alla grande realizzazione di Milano 2. contropotere, né Parlamento né partiti, con una opposizione o asfittica e incerta come quella di Veltroni, oppure irosa e vociante co-

Via col Vanto e la spogliarellista

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Fuori legge

HO PRESO UN BULLDOZER E HO ABBATTUTO LA CASCINA icordo l’episodio di una cascina dove Rnondovevo costruire gli impianti sportivi e mi si voleva dare la licenza di distruzione di una vecchia e inutile cascina, quindi anche lì una battaglia incredibile. Una notte mi misi su un caterpillar e la buttai giù io, non volevo che nessuno se ne assumesse la responsabilità. Era una cosa logica, giusta, costruire i campi da tennis, una club house che poi fu costruita, l’avevo promessa anche ai clienti e c’era la renitenza di questi a darmi qualunque possibilità di concludere i miei lavori, poi alla fine arrivò il per-

sufficiente per raccontare questa barzelletta è di tredici secondi. Io ho capito che Berlusconi aveva sbroccato quando per raccontarla (per la centesima volta) ha impiegato venti minuti. Venti minuti spesi in disastroso autocompiacimento. Intanto, ha collocato l’ufficio brevetti a Napoli per esibirsi in una parlata napoletana che forse gli viene perdonata da Apicella, il suo menestrello, ma non dai napoletani. E poi l’ha tirata per le lunghe credendo di essere irresistibile in cento divagazioni faticosissime, per arrivare scarico alla battuta finale che tuttavia strappò un urletto di compiacimento in tutte le signore deputate e senatore che lo circondavano adoranti e incuranti dell’umiliazione continua cui lui sottopone le donne, tutte le donne e specialmente le politichesse a lui aggrovigliate e appitonate. Più Berlusconi insulta le donne, le prostituisce con la parola, le tratta da mignotte, da zoccole, da ninfomani, da cornute, da pompinare, più quelle ridono, ridac-

In alto, Berlusconi canta al termine del comizio elettorale tenuto a bordo della motonave Azzurra, nel porto di Genova. Sotto, con Noemi e la famiglia Letizia. Foto tratte dal libro di Paolo Guzzanti

chiano, si danno di gomito, lo leccano, lo confermano. E lui si lancia nel peana della sua virilità. Non esita ad alludere anatomicamente a essa, ma lo fa con un’innocenza persino disarmante. I discorsi semiprivati e semipubblici di Berlusconi raramente si sottraggono a un momento di monumentalizzazione del suo corpo presentato come un monstre in materia. La sua battuta più frequente è: “Qualcuno mi ha raccomandato il Viagra dicendomi che permette di fare sesso anche tre volte in una stessa notte. E io ho risposto: “Che cos’è? Un calmante?”. Simbolicamente Berlusconi adora suggerire che la propria infaticabilità amatoria è senza limiti e lo fa ricorrendo a tutto il barzellettario che gli permette di interpretare personaggi sempre vincenti che dominano i maschi e seducono tutte le donne. Queste storielle una volta le raccontava ai soli uomini, limitandosi con le signore a materiali un po’ meno grevi. Poi però nella sua personalità devono essersi rotte le dighe, i diaframmi che fino a un certo punto avevano contenuto la sua esuberanza, e da quel momento si è scatenato e ha cominciato a diffondere il verbo priapico divino (la divinità di se stesso) sia pure col pretesto del comico, senza alcun freno. Questo vidi in una riunione in uno degli hotel di Roma e fu allora che mi dissi: “L’uomo è andato oltre le sue possibilità, è entrato in cortocircuito con se stesso”. La conferma l’eb-

bi poi, cazzi a parte, quando ci convocarono in uno scatolo edificato milanese di cemento acciaio plastica specchi nuvole rondini canti celestiali moquettes vallettes mignottes di primo pelo rasato di buona famiglia uniformine attillatine culetti sgambati foulardini sorrisini ebetini guardarobiere e una muraglia umana di bodyguard dalla spirale scendente dal lobo, occhiali neri, capa pelata, spalle da armadio e faccia truce. Nel mio ricordo sicuramente alterato dall’orrore permangono immagini di balletti cinesi, il capo in apoteosi, il pubblico in estasi, la mano levata fra il padre benedicente e il dittatore che saluta nel sole la propria immagine e quando fuggii all’aperto per respirare capii che si stava celebrando la replica di un compleanno, uno a caso, di Kim Il Sung. Queste due cose, priapismo e cesarismo della Brianza, mi cominciarono a inquietare sul serio. Io, d’altra parte, ho sempre detestato l’antiberlusconismo da tre palle un soldo, quello

Queste due cose, priapismo e cesarismo della Brianza, mi cominciarono a inquietare sul serio me quella di Di Pietro. Lui è contento così. Anzi felice. Silvio si è finalmente liberato dei lacci e lacciuoli che gli impedivano di governare e si è capito che i lacci e i lacciuoli sono tre: la Costituzione, la Camera e il Senato. Superati questi tre ostacoli, di fronte a lui si apre la grande prateria della democrazia presidenziale truccata, perché non sta scritta da nessuna parte e meno che mai nella Costituzione, ma senza quei piccoli impedimenti che non permettono al presidente degli Stati Uniti di fare come cazzo gli pare e piace, perché di fronte ha il Congresso, il Senato, le terribili commissioni parlamentari. Davanti a Silvio c’è il nulla, o meglio tutto quello che vuole.


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FRONTE DELLE OPPOSIZIONI

“SANA E SANTA ALLEANZA”

Di Pietro apre alla proposta di Casini: “Non si vota Ma se si deve mandare a casa la P2 anche Fini va bene” Il leader Idv: “Se Berlusconi si dimette sarà condannato Pregiudiziali sui nomi non sui partiti”

Nuovi fronti: il leader Idv Di Pietro e quello dell’Udc Casini (FOTO GUARDARCHIVIO E ANSA) di Luca

Telese

a proposta di Casini di mettere insieme un ‘Fronte unico delle opposizioni’?”. Il giorno dopo l’intervista esplosiva del leader dell’Udc su La Stampa, dapprima Antonio Di Pietro è prudente: “...purtroppo temo che le elezioni anticipate non ci saranno, per un motivo molto semplice: non solo Silvio Berlusconi non le vuole, ma non se le può nemmeno permettere. Quindi i ragionamenti sulle alleanze per ora sono prematuri”. Subito dopo, però, mostra di non avere obiezioni di prin-

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cipio al progetto, anzi: “Noi, abbiamo una sola priorità. Che è quella di mandare a casa il governo che realizza il disegno della P2. Per ottenere questo risultato, sono disposto a una sana e... santa alleanza che non può e non deve avere vincoli di pregiudizio”. Alla fine, poi, infila anche un’ulteriore apertura, spiegando che non ci sono pregiudiziali nemmeno su Fini: “Sull’amnistia era d’accordo con noi in tempi non sospetti, nel 1994”. Onorevole Di Pietro, “sana” perché c’è lei, e “santa” perché dentro c’è Casini? “Eh, eh, eh... E perché scusi?

Quanto a santità anche io non scherzo”. Lei per un verso dice che non si voterà, per l’altro invece apre il dialogo. Che gioco è? “Nessun gioco, perché non è uno scherzo. La situazione del paese è gravissima, il conflitto fra Berlusconi e le istituzioni si è fatto devastante. Se altri prendono atto di quello che da tempo stiamo dicendo, non saremo noi a porre pregiudiziali di partito”. E quali porrebbe? “Quelle sulla moralità delle persone. Ma non lo dico con presunzione, per l’amor di Dio. Anche nell’Italia dei va-

Repubblica del 1994...”. Lo vuole inchiodare a qualche affermazione compromettente del passato? “Al contrario. In tempi non sospetti Fini diceva che Di Pietro gli aveva fatto cambiare idea sull’amnistia. Questo dimostra che su molti temi c’è sempre stata un’affinità...” Repubblicana? “Sì. Credo che lui sui temi di giustizia e legalità oggi sia molto più omogeneo a noi che a loro. E poi anche gli Stati Uniti si sono alleati con l’Iraq per respingere l’invasione dell’Iran, no?”. E chi sarebbe Saddam in questo caso? “Non mi interessa.... Ma so bene chi è l’Ayatollah da cacciare”. E i suoi rapporti con Casini come sono? “Sono buoni. Ripeto, adesso c’è una emergenza democra-

tica e istituzionale: io conto sulle persone”. Che cosa manca? “Tutto il resto. Per ora siamo solo nel campo delle ipotesi. Oggi a Palermo ho detto: ‘Cosa ci facciamo con il gatto dentro il sacco, se dentro il sacco non ci finisce?’”. E che cosa vuol dire? “Che non è un discorso per l’oggi. Non si vota domani”. Ne è sicuro? “Il motivo è semplice. Se Berlusconi molla il governo finisce dritto sotto processo e viene condannato. Non se lo può permettere”. E voi intanto state fermi? “Ripeto. Ogni eventuale passo dovrà essere ponderato

con calma e con attenzione. Non si possono fare errori, e non si possono fare ammucchiate”. Cosa fa la differenza tra l’ammucchiata e l’alleanza? “La politica. Per adesso l’Udc di Casini ha fatto una politica dei due forni. Tant’è vero che per le le regionali, in Lombardia o in Calabria, per dire, si è alleato con il centrodestra, convinto che lì si vinca”. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. “Lo so. Ma se si vuole essere credibili, e se si dice che a livello nazionale si vuole mandare a casa Berlusconi la politica dei due forni deve finire”.

LE REAZIONI

BERSANI DICE SÌ A PIER: “PAROLE MOLTO SERIE” after dopo il lancio del “fronte unico anti-Silvio” in caso Iunaldidaybomba voto anticipato, Casini prova a precisare quella che però è già scoppiata: “In condizione di normalità demo-

cratica noi abbiamo un ruolo alternativo a quello del Pd, in condizioni particolari si possono però determinare situazioni particolari, ma io mi auguro che le condizioni particolari non ci siano, mi auguro che ci sia una democrazia normale basata su un’alternanza”. Tant’è, ma il diluvio era già sceso. Prevedibile la stizza dei pidiellini, con reazioni che vanno dal “traditore” (Giovanardi), passando per il “parla come un ospite fisso di Annozero” (Boniver), ondeggiando su un “è vecchia politica” (Bondi) fino al domenicale “è un autogol” (Capezzone). In realtà i berluscones non sono affatto tranquilli. Anche perché il leader Udc ieri “chiamava a raccolta” anche Fini: ci sarà anche lui? – la domanOGGI A MILANO KERMESSE DI “POPOLO”: RACCOGLIERE SÌ PER IL PRESIDENZIALISMO E PER LA GIUSTIZIA AD PERSONAM da dei cronisti – “Se Berlusconi pensa di utilizzare la questione di Sara Nicoli lismo, perché “è quella la di- in modo che nessuno possa ra Pdl alla Moratti e confer- non conviene”. “La manifegiudiziaria per trasformare la norezione – ancora parole di accusarci di voler piegare la merà Formigoni come candi- stazione servirà per uscire stra democrazia, avrà delle sorresidenzialismo in salsa Valducci – della modernizza- volontà popolare”. Eccolo il dato alla regione”, il livello di dai due mesi di stallo che abprese” – la risposta di Pier. francese. Riforma del Bi- zione del paese”. Ma per fare “predellino 2”, il nuovo pro- attenzione politico intorno a biamo avuto da quando e' arChe ha ottenuto consonanze imcameralismo e della Corte co- tutto questo sarà necessario clama dal sapore golpista che quanto succederà stasera ha rivato, inaspettato, il no della portanti da Di Pietro (vedi sostituzionale che “ormai – si- “un vasto movimento di po- Berlusconi farà stasera a piaz- assunto i connotati dell’atte- Consulta al lodo Alfano. E’ da pra) ma anche da Bersani: “Le bila il berlusconiano di ferro polo – chiude Valducci – che za Duomo a Milano. Malgra- sa prima della battaglia finale. quel momento che sono coparole di Casini sono una conferMario Valducci – è un organo sorregga Berlusconi e il Pdl do il ministro La Russa abbia O della resa definitiva dei minciate le punture di spillo ma importante – ha detto il sepolitico a tutti gli effetti”. E nel portare avanti questa fase fatto di tutto per stemperare conti. E se, come autorevoli tra Berlusconi e Fini. Ed è da gretario del Pd – Ho sempre penancora: riforma della giusti- costituente che da soli, un clima di attesa preoccupa- fonti Pdl confermano, le pa- allora che l’attenzione della sato che sul tema del rafforzazia, separazione delle carrie- com’è ovvio, non possiamo ta per la manifestazione (so- role che pronuncerà Berlu- politica si è spostata tutta sul mento del sistema parlamentare re in magistratura, revisione fare; se sarà necessario, rac- prattutto da parte del capo sconi saranno impostate ai te- fronte giudiziario''. Oggi, incontro la deriva populista c’è la dei principi fondamentali coglieremo anche le firme a dello Stato) raccontando che mi delle riforme e del presi- somma, potrebbe anche espossibilità di uno schieramento con l’inserimento del federa- sostegno del nostro intento, “Berlusconi darà solo la tesse- denzialismo, la reazione poli- sere il giorno della ricucitura molto ampio che può diventare via via una alternativa positiva di tica in difesa della Carta costi- tra gli i due leader del Pdl, ma governo”. È possibile un’alleantuzionale e dei suoi principi se ciò non dovesse avvenire – za? “Può esistere, sì. Io ho lanciaarriverà subitanea. Un fatto come è invece altamente prodi Carlo Tecce LEGITTIMI IMPEDIMENTI to una proposta di convergenza che pare non preoccupare in babile , “faremo da soli”. La di lavoro comune sui tempi della lori possono alcun modo il Cavaliere; la Carta “va cambiata”, afferma democrazia e sulla crisi econoesserci delle strada per lui è segnata. E’ as- con forza Stracquadanio, “ed mica a tutte le forze che oggi somele marce, solutamente determinato. è probabile che si cambierà a no all’opposizione in Parlamencapisce? Il diCerto, molto dipenderà maggioranza. Per far questo to, e mi interessa anche con le scorso vale per dall’affluenza dei suoi fan a però occorre un grande coinforze che sono fuori trovando tutti, noi compiazza del Duomo, ma niente volgimento dell’opinione rmai è disposto persino a scarlatto al Turismo e Stefania degli elementi di convergenza. presi. Però...”. lascia presagire che il “pre- pubblica. Che è quello che pubblicare i testi di Marx ed Craxi, il sottosegretario agli Perché il grande campo dell’opPerò? dellino 2” possa essere un comincerà a fare Berlusconi per Mondadori. Ieri alla Esteri. Pare che i due governi abposizione del centrosinistra è PeròEngels se si deve sfidare il blocflop. “Sono certo – racconta già da domani”. Lanciando, Prefettura di in Milano potenzialmente molto forte ma co berlusconiano campoha ricevuto biano firmato tre accordi: ricerun altro berlusconiano della probabilmente, una raccolta anche molto disgregato. E lì bici devono essere persone prima ora, Giorgio Stracqua- di firme che poi saranno utiNguy?n Minh Tri?t,trail presidente ca, università e sviluppo. Ad Hasogna lavorarci sul serio”. sparenti pulite”. danio – che domani si darà vi- lizzate come strumento di dellae Repubblica sociale del Viet- noi studieranno il fenomeno MaMa nam mi faccia capire, lei sa- in Italia da riastella Gelmini. Appena è scocta ad una nuova fase, dopo pressione verso chi ha idee in visita ufficiale rebbe ad allearsi che in molti si erano chiesti se opposte e non ci vuole stare a un disposto paio di giorni. cata l’ora, marinato un altro saanche con Berlusconi Fini? al Cavaliere fosse convenuto ritornare alla monarchia, caSilvio aveva un buco bato di udienza, il presidente del “Sa che oggi mi hanno fatto parlare in tv, magari a reti uni- somai “voluta dal popolo”, tra le 11 e le 12 del mattino. Senza Consiglio è scappato in auto senun regalo?”. ficate, o in Parlamento. Ebbe- come ovviamente Berluscopicchetti d’onore Cosa c’entra con né pranzo za parlare. ne, ora è chiaro che ha scelto ni giustificherà il suo intento luculliano, i diplomatici han- Poi s’è ricordato che doveva acFini? di parlare in piazza, alla gen- di agire senza alcuna condivino un bilaterale compagnare Minh Tri?t all’Antica “E’ improvvisato un ritaglio con te, a tutte quelle persone che sione politica. “Nel ‘48 – lo ascon sconosciuto alla trattoria della Pesa, dove il rivouna un sua paese intervista a per sostenerlo stanno arri- solve anche nelle intenzioni vando da tutta la Lombardia e Stracquadanio – la Carta copolitica economica e finanzia- luzionario Ho Chi Minh lavorò non solo''. A parere di Strac- stituzionale non venne scritria italiana. Per confermare i come cameriere negli anni Trenquadanio, Berlusconi non co- ta né con i monarchici, né dubbi sulla credibilità del ver- ta. Presto chiederà alla Russia di glierà l’occasione degli osan- con i fascisti”. Stavolta se la tice, Berlusconi ha convocato ospitare il sarcofago di Lenin nelna della piazza per sancire de- vogliono scrivere da soli, Michela Brambilla, il ministro le stanze di Arcore. finitivamente il divorzio da puntando a farne la Carta del Fini, “semplicemente perché Capo. Senza sé e senza ma.

L’idea di B: firme per il “golpe costituzionale”

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Viet-Silvio e il vertice in trattoria

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Berluscones in allarme rosso Il leader Pd: spazio per un’alternativa di governo


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STORIE ITALIANE

Per combattere i boss l’età non conta Attivista a 14 anni: ecco Giuseppe Di Fini, fondatore dell’associazione “Antimafia giovanile” di Nando Dalla Chiesa

a sua scorta è la sua mamma. Nella storia dei leader dei movimenti e dei gruppi antimafia è una assoluta anomalia. Qualcosa fuori dall’immaginazione. Eppure è davvero così. Arriva ai convegni, spesso accolto da applausi ammirati, con lei al seguito; e accanto a lei sta seduto disciplinatamente, al riparo degli occhiali grandissimi, finché non gli chiedono di prendere la parola. Con lei fa i viaggi per le città dove il movimento ha chiamato a raccolta i suoi simboli. Ormai è risaputo: se lo chiamano devono invitare anche sua madre. Perché senza di lei non viaggia. Non può viaggiare. Tranquilli, nessun bamboccione infiltrato nei movimenti contro le cosche. C’è solo che lui, Giuseppe Di Fini, ha appena quattordici anni ed è probabilmente il più giovane esponente di movimenti civili apparso sulla scena nazionale, almeno a comune e recente memoria. Fiorito in quel giardino troppo sconosciuto al paese che sono le scuole siciliane, affollate da tenacissimi insegnanti che spendono anni e anzi decenni di vita nella educazione dei bambini e dei ragazzi a un’altra idea di legalità. Dando loro buoni principi e facendoli incontrare con i testimoni della lotta alla mafia, si

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tratti di giudici o sacerdoti, di giornalisti o di familiari delle vittime. Giuseppe si è formato in quel crogiuolo, alla scuola media “Giovanni Verga” di Centuripe, provincia di Enna, a più di settecento metri dall’altezza del mare. Anche lì, in un paese di poco più di seimila abitanti, c’era una di questi insegnanti, Rossella Curella, professoressa di Lettere. Che si è trovata come allievo questo bambino pieno di interessi e una famiglia di salda cultura civile alle spalle, il papà con incarico importante in un’azienda privata, la mamma, Sandra, animatrice socio-culturale. Era l’ottobre di tre anni fa quando Giuseppe, preso dalle letture e dai discorsi, e dopo essersi guardato un po’ intorno, ha deciso che era ora di impegnarsi nella stessa battaglia di Paolo Borsellino e di Peppino Impastato. Così ha coinvolto un po’ di suoi compagni di scuola, Mario, Giovanni e alcuni altri e ha dato vita a un gruppo, “Antimafia giovanile”. Per parlare di clan e di corruzione, per innaffiare la leggenda degli eroi senza macchia e senza paura dell’antimafia. All’inizio molto entusiasmo, l’aiuto e l’incoraggiamento della professoressa. Che però l’anno dopo è andata in pensione. E siccome le persone “fanno” le istituzioni, Giuseppe si è subito scontrato con la crescente indifferenza

dei compagni. Nessuno l’ha più aiutato. Non per questo, però, si è perso d’animo. Anzi, ha fondato un giornalino, “La Gazzetta dei non boss”, due numeri pieni di riflessioni e di esortazioni a darsi una mossa per cambiare il mondo, per scuotere coetanei con la mente zuppa di calciatori e di attricette televisive. Ha scritto articoli. Si è messo in contatto con il mondo degli adulti, chiedendo aiuto e sostegno. E loro a interrogarsi increduli se fosse uno scherzo, o, nei casi migliori, chi fosse quel bambino che sembrava padroneggiare la materia come non riesce nemmeno di striscio al cittadino medio. Poi, quando lo conoscevano gli adulti si entusiasmavano. Come vedendo in lui una possibile, confortante anticipazione delle generazioni prossime venture. Talora dopo cin-

Sua mentore l’insegnante di Lettere, esempio della tenacia civile presente in moltissime scuole siciliane

In alto Giuseppe Di Fini; in basso gli scontri di ieri a Milano durante la manifestazione per i 40 anni da Piazza Fontana (FOTO ANSA)

que minuti passati ad ascoltarlo si davano segretamente di gomito sussurrando preoccupate ipotesi sulla natura del ragazzino (è troppo grande; parla come un adulto, non è possibile; non è naturale). Salvo ricredersi e intenerirsi nel vedergli un sorriso timido e impacciato sulle labbra al momento dell’applauso finale. Ossia quando scatta la funzione di mamma Sandra: ricordare a tutti con la sua presenza che è davvero un ragazzino. Un neo-adolescente che appone targhe dedicate ai caduti dello Stato e della società civile perché i luoghi non dimentichino; e che si è guadagnato con la sua timidezza l’affetto di tante persone famose, fino a essere ricevuto ultimamente dal presidente della Repubblica con una delegazione di studenti. “Ora va meglio”, dice, “non studio più nel mio paese, vengo a Paternò, in provincia di Catania, venti minuti di autobus. Faccio la quarta ginnasio al ‘Mario Rapisardi’ e c’è meno indifferenza verso la mia attività. Ci sono più strette di mano, c’è più calore, anche più collaborazione, mi sembra. Spero di potere ricominciare con ‘La gazzetta dei non boss’ e intanto sto lavorando a fare il mio sito Web, www.giuseppedifi-

ni.com, così anch’io potrò fare sapere come la penso, come la pensa uno studente siciliano di quattordici anni”. Appunto, che cosa pensi di quel che sta accadendo in questi giorni? “Sono disgustato. Mi dà fastidio che qualcuno dica che questo è il governo più attivo contro la mafia e poi cambi la legge sulla confisca dei beni, facendo un favore enorme proprio alla mafia. Non mi piacciono le due facce. E non mi piace sentire dire che il tale fatto è una coincidenza, e il tale altro pure, e che quell’episodio è un caso isolato. Troppe coincidenze, troppi casi, intorno o nella vita delle stesse persone. Alla fine è una certezza. E in ogni caso non si può buttare al vento per partito preso quel che dice un pentito”. Sei pessimista, Giuseppe? “Si vedono cose da brivido. Ma io sono sempre ottimista. Falcone diceva (questa frase Giuseppe la cita sempre, ndr) che la mafia, come tutte le cose nella storia del mondo, ha avuto un inizio e avrà una fine. Finirà anch’essa”. Legge molto, Giuseppe. Sul suo comodino attualmente c’è La bellezza e l’inferno di Saviano.Ma scrive anche, e non solo articoli. Ultimamente ha scritto “Nato in Sicilia”. Una breve, intensa riflessione sulla mentalità prevalente nella sua terra. Un volo panoramico sulla cultura isolana, da Verga ai ne-

Partecipa a convegni, scrive, legge Saviano e realizza anche un giornale “La gazzetta dei non boss” gozi che vendono come graziosi souvenir le magliette con su il Padrino. “Non per demoralizzare”, ha spiegato agli amici, ma “per sensibilizzare”. L’ha dedicato “A coloro che hanno la forza e la speranza di combattere. A coloro che non si rassegnano di fronte ai ‘ma chi te lo fa fare’. A Paolo, Giovanni, Peppino, Don Pino, Carlo Alberto, Rosario, Don Peppe, Pippo, Mauro e gli altri. Per la vita, la libertà, la giustizia, l’Italia”. Una specie di programma civile. Un programma che ormai divide il paese. Di qua i quattordici anni intrisi di speranza di Giuseppe, di là il volto cupo e senza età di Augusto Minzolini. Di qua il linguaggio educato e compito di chi deve comunque rispondere alla sua mamma, di là il turpiloquio (“minchiate”) esibito al tg da chi deve comunque rispondere al suo padrino.

SCONTRI ALLA MANIFESTAZIONE PER I 40 ANNI DELLA STRAGE La polizia impedisce al corteo “delle sinistre” di arrivare in Piazza Fontana, dove il 12 dicembre 1969 morirono 17 persone

di Gianni

Barbacetto

pplausi ai familiari delle vittime di PiazALetizia za Fontana. Fischi al sindaco di Milano Moratti e ai presidenti di regione e provincia. Qualche scontro tra manifestanti e polizia. Quarant’anni dopo la strage, l’anniversario del 12 dicembre 1969 è stato celebrato davanti alla banca dove scoppiò la bomba, in una piazza inspiegabil-

mente transennata e chiusa, dove dopo l’inizio della manifestazione ufficiale è stato vietato l’ingresso ai cittadini che continuavano ad affluire e al corteo della sinistra. Il corteo istituzionale, a cui avevano aderito il Pd e i sindacati, era arrivato in Piazza Fontana con i gonfaloni di Milano e di Brescia. Su un piccolo palco, con un’amplificazione inadeguata all’anniversario, è stato letto il messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Continuate pure a cercare, perché si possa recuperare qualsiasi frammento di verità rimasto nascosto. Spero che questa vostra ricerca, a cui debbono collaborare tutte le istituzioni, possa condurre a dei risultati". Il messaggio è proseguito tra gli applausi: “Il chiedere giustizia per le vittime del terrorismo, per tutti coloro che hanno pagato, non significa solo chiedere riparazione ai tribunali, ma chiedere giustizia e riparazione alla nazione... Il nostro Stato democratico porta su di sé questo peso, con

cui deve fare i conti la coscienza di tutti gli italiani. Alle famiglie delle vittime di Piazza Fontana e alle associazioni che le hanno sostenute dico: vi rinnovo la mia ammirazione per come avete, per quarant’anni, continuato a vivere la sofferenza del primo momento; è stato molto duro e non avete mai accettato di chiudere la parentesi, non avete mai accettato di ritornare nemmeno soltanto nel vostro privato dolore e nel vostro privato ricordo”. La piazza è precipitata nel silenzio alle 16.37, l’ora in cui 40 anni fa è esplosa la bomba dentro la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Un familiare delle vittime, Carlo Arnoldi, ha poi ricordato insieme Pino Pinelli, il ferroviere anarchico morto dopo la strage nei locali della Questura di Milano, e il commissario Luigi Calabresi. “Il 9 maggio scorso”, ha ricordato Arnoldi, “il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto un gesto importante, a differenza di quelli che lo avevano preceduto: ha dato dignità a Pinelli, innocente, come diciottesima vittima di Piazza Fontana, restituendo così l’onore che gli era stato negato”. Quando la parola è passata al sindaco Moratti, sono cominciati i fischi e le grida (“Vergogna”, “La strage è di

Stato”...) che sono proseguiti anche durante gli interventi del presidente della provincia Guido Podestà e della regione Roberto Formigoni. Letizia Moratti alla fine del suo intervento si è allontanata, bianca in viso, attorniata da un nugolo di poliziotti e vigili urbani. Formigoni è invece sceso dal palco irridente e si è rivolto a braccia tese ai manifestanti come un Paolo Di Canio sotto la curva avversaria. A questo punto è arrivato a lambire la piazza il corteo della sinistra, a cui avevano aderito Rifondazione comunista, i Comunisti italiani e i centri sociali, con in testa lo striscione “La strage è di Stato”. Una doppia transenna e un cordone di poliziotti e carabinieri impedivano l’ingresso nella piazza. Dopo lo scoppio di qualche petardo e il tentativo di forzare il blocco, c’è stato qualche scontro e qualche manganellata, mentre alcuni consiglieri comunali, tra cui Basilio Rizzo della Lista Fo, protestavano per la gestione dell’ordine pubblico nella piazza.

Piovono fischi durante i discorsi del sindaco Moratti e dei presidenti di provincia e regione


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ANNIVERSARI

COME SONO CADUTI IN ALTO

I PRIMI 40 ANNI DI LOTTA CONTINUA: UN COMPLEANNO, DUE ANIME, DAL RIBELLISMO AL POTERE di Luca Telese

no di loro, Graziano De Franco, (oggi caporedattore di Studio Aperto) ha coniato una battuta efficace: “Se tutti quelli che dicono di essere stati a Lotta Continua ci fossero stati davvero, avremmo fatto non una, ma due rivoluzioni”. Una boutade per spiegare il successo postumo e gli arruolamenti tardivi della più nota (e discussa) organizzazione extraparlamentare degli anni settanta. Un movimento-partito che ufficialmente si scioglie nel 1976, ma che sopravvive, come classe dirigente, fino ad oggi. Giornalisti, direttori, leader di partito, scrittori, dirigenti d’azienda: tutti ancora alla ribalta. Erri De Luca faceva la vigilanza con i cani nella sede del giornale a via Dandolo, e ora presidia le classifiche con i suoi libri. Adriano Sofri era il leader indiscusso e ora (malgrado una condanna) fa il maestro di morale dalle colonne di La Repubblica. Ninì Briglia era a capo del servizio d’ordine milanese ed è ai vertici della Mondadori, Gad Lerner nel 1977 intervistava Sartre e la De Beauvoir da “giornalista militante”, oggi è il più noto Infedele del p iccolo schermo; Gianfranco Bettin in queste ore (da candidato alle primarie) è un possibile sindaco di Venezia; Mimmo Calopresti (che fece appena in tempo ad aderire, giovanissimo) è un regista di successo. E poi gli “apostati”: Paolo Liguori (da “Lc a Cl”) E Gianfranco Miccicché (da Sofri a Dell’Ultri). L’elenco potrebbe essere sterminato. Desaparcidos & vip. Altre organizzazioni degli anni ‘70 come Avanguardia Operaia, sembrano essersi dissolte nel nulla alla prova del tempo. E’ vero che per Ao ha fatto in tempo a passare un giovanissimo Pierluigi Bersani (“E’ stata una passione di gioventù”, dice oggi). Ma i

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L’Anpi a Mirano

I PARTIGIANI, ”B. E IL TRADIMENTO DELLA PATRIA” alla Costituzione è alto tradiL’do attacco mento della Patria”: lo ha detto ArmanCossutta, vice presidente vicario dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi), ieri a Mirano (Venezia), nel corso di una manifestazione - “gli antifascisti hanno buona memoria - a ricordo delle vittime del nazifascismo e contro ogni forma di razzismo. La manifestazione ha visto un corteo di circa 3mila persone sfilare per la città per poi concentrasi in Piazza Martiri. L’appuntamento era stato preceduto da polemiche generate dal fatto che l’amministrazione comunale di Mirano aveva dato, in passato, il permesso a Forza Nuova di installare dei gazebo per la propria attività.

suoi militanti non hanno prodotto quadri intermedi, legami duraturi. Rari sono gli avvistamenti di uno dei suoi leader, Silverio Corvisieri, mentre tutti conoscono l’intensa attività pubblicistica di Luigi Manconi, ex capo di Lc leader alla cattolica, oggi saggista ed editorialista, dopo aver fatto il coordinatore nazionale del Sole che ride e il sottosegretario alla giustizia con Prodi. Pochi ricordano il ruolo di Aurelio Campi in Ao, tutti conoscono la produzione di Enrico Deaglio, dal giornalismo, ai documentari scandalo su Genova o sul Broglio elettorale del 2006. Reincarnazioni & miti. Lc inizia la sua storia quarant’anni fa, alla vigilia della strage di Piazza Fontana, al punto che proprio ieri dei giovanissimi (all’epoca non ancora nati) hanno celebrato il suo simbolico “compleanno”. Chiuse solo formalmente il suo percorso il 4 novembre del 1976. Sopravvisse nei mesi successivi come giornale, poi tornò a far capolino in diverse incarnazioni postume (come il quotidiano Repor t ) e si è cementata come comunità umana trasversale, solidissima, capace di metabolizzare diversità politiche enormi e risorgere come motore di una campagna di opinione per Sofri (con l’associazione Liberi Liberi nel 1987). Quelli di Potere Operaio si sono sfaldati agli albori della Lotta armata, smettendo di far politica, per scelta o necessità. Quelli di Lc non hanno mai smesso di far politica, malgrado il terrorismo (Prima linea nasce come propaggine deviata di Lc) anche quando sembravano far altro. Quelli caduti lungo il tragitto (come Roberto Zamarìn, il militante indefesso che aveva inventato le strisce del mitico operaio Gasparazzo) o l’eclettico Mauro Rostagno, sono diventati icone: capaci di resistere al tempo e all’usura dei compressi. Altri, come Peppino Impastato, hanno trovato gloria postuma, persino superiore a quella avuta in vita, grazie al cinema. Ma Lc aveva iniziato la sua storia prima del 1968, come ha raccontato nella sua enciclopedica monografia Aldo Cazzullo (I ragazzi che volevano fare la rivoluzione) il giorno del 1964 in cui un giovane studente della Normale di nome Adriano (Sofri, ovviamente) aveva osato rimbeccare Togliatti: “Ci voleva l’ingenuità di un generale americano per pensare che un partito che si proclamava comunista volesse il comunismo!”. Già. Furono (spesso) i figli delle grandi famiglie comuniste e azioniste (Luigi Bobbio) che si ribellavano ai padri. Erano sottoproletari (come Leonardo Marino) che sognavano di emanciparsi. Se l’obiettivo era la rivoluzione è fallito. Se era il rovesciamento delle radici di classe è stato tradito. Se era la presa del potere, molti lo hanno onorato. Ma a modo loro. Lc fu l’incarnazione del sottosopra del sessantotto: operai e studenti, proletari e borghesi, uniti nella lotta. Eppure, finita la festa, ognuno è tornato nei binari del suo destino. Molti di quelli che oggi sono elitè erano predestinati prima della loro militanza. Per questo, oggi, la Lc romantica che racconta De Luca, non è più la stessa dell’aristocrazia intellettuale custodita da Sofri.

Militanti di Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Pdup e Movimento lavoratori in corteo alla periferia di Roma nel 1977 (FOTO ANSA)

CELEBRAZIONE A ROMA

FESTA SENZA VIP: “NOI, ULTIMI RIVOLUZIONARI” di Giancarlo Castelli

stati l’ultima generazioSnoiiamo ne rivoluzionaria del ‘900. A è toccato chiudere quell’esperienza”. Erri De Luca legge poeticamentegli anni e le storie di Lotta Continua. Marxisti ma non solo: dall’antiproibizionismo ai “nuovi rapporti” uomo-donna, dai comitati di lotta per il tempo libero, l'antimilitarismo, le istanze di libertà, i militanti di quegli anni rivendicano la loro “diversità”. “Lc era uno stato d'animo”, si ripeteva ieri alla festa di compleanno di Garbatella: mostre, documentari, un archivio completo del giornale che sopravvisse allo scioglimento deciso a Rimini nel ‘76. Il gruppo che fu egemone nell’arcipelago extraparlamentare degli anni ‘70. Sofri, Pietrostefani, Guido Viale, Bobbio, De Luca i nomi noti di quelli che formavano un vero e proprio comitato nazionale. Tra questi ieri c'era il solo De Luca e un centinaio di ex militanti con i capelli argento. “Ci sentivamo parte di una comunità – ha scritto Viale con una lettera aperta

letta a un microfono da cui sono poi intervenuti i “semplici” militanti – qualcuno aveva detto, quasi per denigrarci, che Lc era uno stato d'animo. E' vero. Ma oltre a questo c'erano anche le lotte a fianco degli sfruttati. Altro che lobby”. Alla festa nessuno vuole sentirne parlare. “Non si può ridurre la storia di Lc alla carriera di poche persone”, è il coro unanime. Alcuni dirigenti ebbero rapporti “ravvicinati” con esponenti del Psi: quasi un vulnus per i militanti di base. “Solo poche persone a fronte di migliaia di militanti”, tagliano corto. Curiosa la platea della festa: dagli ex-giovani di Lc ai giovanissimi del centro sociale La Strada che, insieme all'associazione La Villetta hanno ospitato la kermesse. Qua e là, anche degli insospettabili. Come Marco Rizzo (fondatore dei Comunisti popolari) a Paolo Brogi, redattore di Loc e cronista del Corriere della Sera, Adriana Spera, consigliera per anni al Campidoglio per Rifondazione. Gli ex-giovani di Lc, però, sono ottimisti: “Da questa festa può accendersi una miccia – dice De Luca –

quell'esperienza politica e quel comportamento rivoluzionario sono rimasti nel sorriso verso l'immigrato rinchiuso in un centro di espulsione”. Rivendica tutto, De Luca. “Le nostre rivolte nelle carceri hanno portato alla riforma del sistema penitenziario”. Lotta Continua lanciò i “Proletari in divisa”, nelle Forze armate per la democratizzazione dell'esercito e della leva: un 25 aprile degli anni '70 vide sfilare intere file di giovani in divisa militare con il fazzoletto rosso a coprire l'identità. “Queste lotte hanno portato a riforme di quelle istituzioni. Lo facemmo anche nelle fabbriche ma di quelle spinte oggi non è rimasto niente”. Pino Masi, cantore del gruppo (quello di Liberare tutti, L'ora del fucile, La ballata del Pinelli), i documentari sulla strage di piazza Fontana ma anche le arance in vendita per gli operai dell'Eutelia e la cena, hanno chiuso la festa. “Al contrario degli altri gruppi eravano per il voto al Pci, con la garanzia esterna di Lotta Continua”, conclude Erri De Luca. Il discorso sulle lobby e i rapporti col Psi è servito.


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CRONACHE

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MASTROGIOVANNI, IL FILMATO DELLE ULTIME ORE

MALASANITÀ

Muore dopo tre giorni in barella

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n uomo di 60 anni, cardiopatico, diabetico e obeso, è morto all’ospedale di Albano, vicino Roma, dopo essere rimasto tre giorni su una barella in mancanza di un posto letto. A denunciare l’accaduto la moglie al Tg3. Il vicegovernatore Montino ha chiesto per domani alla Asl una relazione esaustiva.

Sconvolgenti immagini nel video dell’agonia del maestro anarchico di Vincenzo Iurillo da Vallo della Lucania

l video è a colori, di buona qualità. In basso a destra un orologio indica il giorno e l’ora delle immagini. Francesco Mastrogiovanni appare sedato. E’ accompagnato da tre persone che presumibilmente hanno partecipato all’esecuzione del Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) disposto nei suoi confronti dal sindaco di Pollica. E’ a torso nudo, ha indosso solo il pantaloncino azzurro col quale si stava godendo il mare di San Mauro Cilento. Quando entra in barella nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania sono le 12.33 del 31 luglio scorso. Viene legato al letto alle 14.26: gli vengono applicate ai polsi e alle caviglie le fascette di contenzione sanitaria. E’ una contenzione non particolarmente stretta:

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BUONE NOTIZIE

riesce ad alzarsi sulla schiena diverse volte. Si agita. E’ nervoso. Non verrà più slegato fino alla morte, avvenuta nelle prime ore del 4 agosto. Ma è battaglia processuale sull’ora esatta del decesso, fondamentale per stabilirne le cause e individuare eventuali responsabilità. La degenza di Mastrogiovanni e la sua agonia è integralmente ripresa in 65 file video memorizzati dal sistema di videosorveglianza interno e masterizzati in un dvd allegato all’inchiesta aperta dal pm di Vallo della Lucania Francesco Rotondo, che ha chiesto la sospensione dall’incarico di 7 medici e 12 infermieri, in pratica il personale sanitario dell’intero reparto, per omicidio colposo, sequestro di persona, lesioni e maltrattamenti. Venerdì si sono conclusi gli interrogatori di garanzia, il gip Nicola Marrone deciderà nei

A destra le foto dell’esame autoptico sul corpo di Mastrogiovanni in cui si vedono chiaramente i segni delle corde a polsi e caviglie

prossimi giorni. Le accuse si fondano su una perizia autoptica dei consulenti del pm, il medico legale Adamo Maiese e lo psichiatra Giuseppe Ortano, secondo la quale la morte del maestro elementare di Castelnuovo Cilento è avvenuta all’1.46 del 4 agosto, e non alle 7.20 come riportato sulla cartella clinica, e sarebbe stata causata da un edema polmonare scatenato dalla posizione innaturale in cui il maestro è stato costretto a lungo, con le mani e le caviglie legate al letto. Ma il medico legale Giuseppe Consalvo e lo psichiatra Giuseppe Lupo, consulenti di

a cura della redazione di Cacaonline

2016: IL PRIMO PARCO SOLARE NELLO SPAZIO Anche Isaac Asimov era un ecologista! Nel suo romanzo “Reason” del 1941, Isaac Asimov immagina una stazione spaziale in grado di accumulare energia e inviarla alla Terra. Tutto ciò, nel 2016, potrebbe diventare realtà grazie al primo parco solare orbitante, un’idea degli ingegneri aerospaziali della Solaren (cervelloni che hanno lavorato per Boeing e Nasa). L’impianto, di 200 megawatt di potenza, accumulerà l’energia solare tramite uno speciale specchio gonfiabile fotovoltaico, convertendola in onde a radiofrequenza: queste verranno quindi poi inviate sul nostro pianeta, a Fresno in California, dove verranno riconvertite in elettricità. La genialata dello specchio gonfiabile

risolve l’ostacolo che finora aveva bloccato la realizzazione di impianti di questo tipo: il trasporto del materiale nello spazio, economicamente insostenibile. “Questa tecnologia – ha dichiarato Michael Peevey, presidente della California Public Utilities Commission – potrebbe offrire un accesso illimitato nel tempo a una fonte inesauribile di energia pulita, e mentre non c’è dubbio che ci saranno molti ostacoli tecnologici da superare, è altrettanto difficile mettere in discussione l’audacia del progetto”. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)

MESSINA 7 indagati, tra cui il direttore di dipartimento di salute mentale dell’Asl salernitana Michele Di Genio, hanno depositato una “controperizia” di 47 pagine per dimostrare che Mastrogiovanni si sarebbe spento qualche ora più tardi dell’1.46 “per morte improvvisa da verosimile preesistente cardiopatia aritmogena, ignota e non preliminarmente evidenziabile”. Una morte comunque non causata dalla contenzione al letto ospedaliero. Il Fatto Quotidiano è riuscito a visionare il filmato. Che da solo non è sufficiente a chiarire le cause della morte del maestro, anzi, sembra suscitare nuovi dubbi e interrogativi. Il sistema di videosorveglianza di psichiatria del San Luca, costato all’Asl di Salerno circa 13 mila euro, è un piccolo gioiello tecnologico. Le immagini vengono riprese e memorizzate grazie a un software in grado di gestire fino a 16 telecamere. Ma per il reparto ne sono sufficienti nove. Una per ogni stanza, una per lo spazio comune dove i pazienti possono incontrare i familiari. Mastrogiovanni arriva pochi minuti prima dell’orario di visita dei parenti dei degenti. Infatti alle 12.59 le telecamere riprendono un gruppo di persone entrare e recarsi presso lo spazio comune, dove sono attese da una paziente. Eppure i familiari di Mastrogiovanni sostengo-

no di aver subìto il divieto di visitare il maestro e di non essere riusciti nemmeno a portargli un ricambio. Mastrogiovanni morirà con addosso un pannolone, perché dopo un po’ il costume era diventato lercio. Ricoverato nella stanza “coperta” dalla telecamera 5, Mastrogiovanni viene poi spostato nella stanza monitorata dalla telecamera 6. Era il paziente più irrequieto, dicono i sanitari, pertanto gli infermieri preferivano averlo proprio di fronte alla loro camera di lavoro. Ed è lì che muore nella notte tra il 3 e il 4 agosto. All’1.46, affermano i periti del pm. Ma sul video si vede Mastrogiovanni agitarsi e dimenarsi fino quasi alle 2. E alle 2.32 si vede il maestro muovere la bocca. Poi piomba in quello che sembra un sonno profondo. O forse la morte. “Mastrogiovanni è deceduto per cause e in orario diversi da quelli indicati dai periti del pm – sostengono i consulenti degli indagati – perché la morte per edema polmonare viene preceduta da rantoli, sbuffi e bava, e di questo non c’è traccia nel video e perché alle 7.35 i sanitari praticano sull’uomo un’iniezione di flebocortid (un rianimatore, ndr), che viene ricevuto in vena. Se Mastrogiovanni fosse morto sei ore prima, il medicinale non sarebbe stato ricevuto e si sarebbe verificato un edema da farmaco”.

Talassemia, a rischio il centro d’eccellenza di Cagliari NELL’ISOLA 1200 MALATI, MA L’OSPEDALE MICROCITEMICO POTREBBE ESSERE DEPOTENZIATO di Debora Aru

he rischi corre l’ospedale Microcitemico di CaCdopogliari? Lo chiedono le associazioni dei pazienti, che la regione Sardegna ha deciso di accorparlo all’azienda ospedaliera autonoma del Brotzu. L’assessore regionale alla sanità Antonello Liori proporrà nei prossimi giorni la bozza che dovrà poi essere approvata dal consiglio. Il Microcitemico è oggi il più importante centro di riferimento regionale per le talassemie. L’Organizzazione mondiale della sanità (Ocse) lo ha addirittura nominato centro internazionale di riferimento per le emopatie ereditarie e, in Sardegna, vengono inoltre eseguiti il 70 per cento degli screening prenatali per malattie genetiche. A livello regionale è fondamentale anche per la diagnosi degli errori congeniti del metabolismo e dal 1983 è centro unico per il trapianto di midollo. L’obiettivo della Giunta, ha spiegato l’assessore Liori, è quello di creare “un’unica grande struttura che rappresenti un fiore all’occhiello della sanità isolana e che possa garantire elevati livelli di assistenza. Il progetto è finalizzato a un accorpamento funzionale e razionale, non necessariamente fisico e di strutture”. Eppure sono tante le domande delle associazioni, ad esempio le ragioni della scelta proprio del Microcitemico. “Nell’ospedale, che si trova a 300 me-

tri dal Brotzu – spiega Maria Agnese Cannas presidente dell’Associazione sarda Genitori Onco-ematologia pediatrica – sta per essere aperta una nuova ala. Temiamo che siano questi nuovi spazi l’oggetto dei desideri di alcuni avvoltoi”. Il microcitemico di Cagliari può vantare importanti studi avviati dal professor Antonio Cao, riconosciuto a livello mondiale per i risultati conseguiti in ambito pediatrico e nella cura di patologie come la talassemia. E i talassemici dell’Isola sono tanti, almeno 1200, e fanno tutti riferimento al presidio ospedaliero cagliaritano. “L’accorpamento col Brotzu, che si occupa di malattie acute – secondo Laura Pisano presidente dell’associazione L’altra Cicogna – può essere un rischio per il Micro. Questo ospedale assiste pazienti cronici, che spesso entrano qui e ci tornano per tutta la vita, come in una seconda casa. Al Brotzu invece i malati vanno a curarsi e, nelle migliori delle ipotesi, non ci tornano più”. L’assessore Liori assicura però che “l’accorpamento non si realizzerà a discapito della struttura del Microcitemico. Per la pediatria è prevista la creazione della chirurgia, del pronto soccorso e della rianimazione. Scelte che vanno nel senso di una crescita del Microcitemico e non certo del suo depotenziamento”. E la ricerca? “Nessun ridimensionamento. La ricerca è fondamentale supporto dell’attività clinica – assicura Liori – ma può anche rappresentare un volano impor-

tante dell’economia isolana”. Ma nonostante le rassicurazioni le associazioni non abbassano la guardia: “Il Micro non deve essere depotenziato da questa azione politica – dice Laura Pisano – e noi staremo attenti che ciò non avvenga. Non possiamo che aspettare la bozza di legge dell’assessore Liori. Se noteremo anche un solo provvedimento che ne indebolisca l’attività, non esiteremo a opporci”. Più cauto invece Giorgio Vargiu, presidente regionale dell’Associazione talassemici sardi: “Secondo le dichiarazioni di Liori, le modifiche verteranno solo sull’aspetto gestionale. Avremmo voluto visionare la bozza prima dell’approvazione. Ma lui ha rifiutato per una questione di rispetto nei confronti della maggioranza. Ci affidiamo quindi alle sue parole e aspettiamo di leggerla”.

L’Ocse lo ha nominato centro internazionale di riferimento, la giunta sarda vuole accorparlo a un’altra struttura

Campagna, boss ai domiciliari

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finito agli arresti domiciliari per motivi di salute il boss Gerlando Alberti jr, responsabile dell’omicidio, 24 anni fa, della 17enne Graziella Campagna. L’uomo è condannato all’ergastolo, ma è malato di tumore. La decisione ha destato grandi polemiche: la famiglia ha parlato di “una cosa sconvolgente e vergognosa”. Il ministro Alfano ha disposto un accertamento sulla vicenda.

AGGUATO MAFIOSO

Bronte, resta ucciso un 17enne

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n diciassettenne, Salvatore Costanzo, è stato ucciso ieri in un agguato a Bronte, nel catanese. Il giovane era a bordo di un’auto, guidata da un’altra persona, quando contro la vettura sono stati esplosi almeno quattro colpi di pistola. I carabinieri hanno fermato due persone: Mario Bonaccorso e Alessandro Reale. Un fratello di quest’ultimo è rimasto ferito in due agguati di mafia. La sparatoria di ieri potrebbe, secondo gli investigatori, essere una vendetta. Si ritiene che l’obiettivo dei colpi di pistola fosse l’altra persona che era in auto con il ragazzo morto.

CACCIA ALLA VOLPE

Ma spara a un altro cacciatore

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n incidente di caccia mortale si è verificato ieri mattina vicino a Bertinoro (Forlì-Cesena). La vittima, Paolo Braschi di 42 anni è stato ucciso da due colpi di fucile esplosi da un altro cacciatore, un cesenate di 52 anni. A quanto pare, il cacciatore che ha sparato era impegnato in un battuta di caccia alla volpe con altri tre amici mentre la vittima era sola. L’uomo, che era a poche decine di metri di distanza da chi ha sparato, è stato colpito al volto ed è morto poco dopo.


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BENI CULTURALI

DA RESTAURATORI A PRECARI LO STATO VUOLE UN ESAME UNICO E IRRIPETIBILE

La manifestazione dei restauratori ieri a Roma in piazza SS. Apostoli di Caterina Perniconi

al 1990 è a capo di una ditta privata che restaura capolavori provenienti da tutto il mondo. Si occupa di dipinti su tela e sculture lignee policrome. Ma per il ministero dei Beni culturali Laura Amorosi, 41enne fiorentina, deve ancora dimostrare di essere una restauratrice. Lo stesso succede a Dario Perini, milanese, che lavora in proprio su opere della casa d’aste Sotheby’s e di committenti privati. Come loro, circa 30 mila restauratori rischiano adesso di non essere riconosciuti come tali e di perdere i loro posti di lavoro. Nel tentativo di regolare l’accesso al mondo del restauro (cosa auspicata anche dagli

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stessi lavoratori del settore) il ministero guidato da Sandro Bondi ha emanato un decreto che rischia di vanificare anni di esperienza dei restauratori, come Laura e Dario, per il mancato riconoscimento delle loro professionalità. Infatti potranno accedere alla qualifica soltanto i diplomati delle scuole nazionali (ne esistono due, a Firenze e Roma, dalle quali sono uscite 1000 persone tra italiani e stranieri dal 1946 ad oggi) e i lavoratori di aziende molto importanti che possono vantare appalti statali prima del 2001. “Praticamente – spiega Laura – potranno abilitarsi i titolari di aziende edili che si occupano di ponteggi ma non i restauratori che prendono da loro i subappalti da sempre”.

(FOTO CATERINA PERNICONI)

In futuro, la qualifica potrà essere raggiunta tramite le scuole riconosciute e solo chi l’avrà potrà accedere ai fondi statali. In buona sostanza verrà creato un albo. Chi non ne farà parte, se ha intenzione di conquistare un appalto, dovrà assumere un direttore tecnico abilitato. “Ma io – dice Laura – ditta privata individuale, che mantengo una famiglia lavorando da sola da più di venti anni, come posso assumere un tecnico? Al massimo toccherà a me, con il titolo di collaboratore, andare da lui a elemosinare di entrare (ovviamente in modo precario) nella sua ditta”. Infatti non potranno abilitarsi tutti i diplomati che hanno fre-

Ban: dal Giappone a L’Aquila L’ARCHITETTO CONFERMA DI LAVORARE SUL CONSERVATORIO di Raffaela

Scaglietta

architetto giapponese Shigeru Ban è L’manovre pronto. Dopo mesi di inutili ritardi e italiane potrà avviare i lavori di ricostruzione della sala dei concerti “temporanea” del conservatorio Casella de L’Aquila, danneggiato dal terremoto del 6 Aprile. Sarà la sua filosofia orientale, la sua ammirazione per Claudio Abbado, o la sua grande esperienza per i progetti realizzati in zone d’emergenza di tutto il mondo, a fare di Ban un architetto veloce, disponibile ed efficiente senza alcun ombra di polemica per un episodio che ha rischiato, invece, di intaccare i rapporti diplomatici tra Italia e Giappone, a causa di un “plastico del suo progetto” presentato a tutta la stampa internazionale riunita in Abruzzo per il G8 e poi rinnegatogli poco prima dell’avvio dei lavori. “Sono andato a L’Aquila a fine giugno, a visitare il sito. Sapevo che il conservatorio era stato danneggiato e il tetto dell’abbazia di Collemaggio era crollato. Tanti studenti e i musicisti dell’orchestra sinfonica de L’Aquila avevano bisogno di rimettersi all’opera subito”, racconta l’architetto Ban dal suo studio di Tokyo tra un viaggio intercontinentale e l’altro, dal Far East alla Francia dove sta realizzando il nuovo Centro Pompidou di Metz. Come mai si è impegnato in questo progetto? Secondo la ricerca fatta dal mio studio oltre il 30 per cento degli abitanti de L’Aquila, distrutta dalle continue scosse che hanno toccato picchi del 6,3 della scala Richter, vivevano per e attorno al mondo della musica. E un intervento d’emergenza andava fatto subito per ridare speranza e lavoro a molti giovani talenti, spendendo il meno possibile. Cosa avete fatto? Abbiamo individuato subito il sito. Era un posto inutilizzato, una stazione per i tram che aveva un tetto di ferro già pronto.

Abbiamo parlato con il sindaco Massimo Cialente proponendogli l’utilizzo di materiali a bassissimo costo: i tubi di carta riciclabili che sarebbero stati prodotti in zona. Ha approvato l’idea e siamo andati avanti. E cosa è successo? Abbiamo preparato il progetto, trovato i primi finanziamenti a Tokyo e il primo ministro giapponese ha presentato il progetto alla stampa durante il G8. Un progetto a bassissimo costo, da poter essere realizzato in tre mesi. Potevamo costruire una struttura di oltre 3.000 metri quadrati, che avrebbe ospitato 700 spettatori con l’aiuto di volontari e studenti. Lei ha già costruito in zone colpite da catastrofi con l’aiuto di volontari e studenti? Sì, in molti paesi del mondo, in Asia, in Africa e L’Aquila mi sono messo subito in contatto con la Scuola d’Arte, i professori mi hanno dato il loro sostegno. Gli studenti lavorano meglio dei costruttori, soprattutto nelle zone che sono state distrutte da calamità naturali. Questo sistema abbatte i costi ma dà anche coraggio, aiuto psicologico a chi ha perso casa e lavoro? Certo. Il progetto aveva un budget di mezzo milione di euro. I tubi di carta che sostituiscono il legno sono molto resistenti ed economici. Ma ci hanno fatto problemi sui tubi di carta riciclabile e a quanto pare il primo sito non è agibile, per una questione di pagamenti che non è stata risolta. E adesso? Le autorità italiane si sono sbagliate, si sono scusate ma ora possiamo costruire la sala dei concerti del Conservatorio, nel sito che hanno deciso anche se il nostro intervento sarà più piccolo. Prima avevano proposto Bazzano, poi Coppito. Spero entro Natale di tornare a L’Aquila per iniziare il progetto. Ho sempre realizzato i miei progetti non ho mai fallito.

Il progetto non partirà prima del 2010 per mesi di disguidi burocratici e ritardi da parte italiana

quentato i corsi regionali e chi non può dimostrare l’esperienza professionale acquisita in anni di lavoro presso botteghe o privati. Mentre chi, tra il 2001 e oggi, ha lavorato per le Soprintendenze e ha anche certificati di buon esito, può solo sperare di superare un concorso lotteria (unico e irripetibile). Per cambiare un metodo troppo complesso di accesso alla professione, i restauratori hanno chiesto un incontro al ministro Bondi, ma non hanno ottenuto risposta, se non una proroga dei termini. E ieri sono scesi in piazza a Roma per alzare la loro voce e raccogliere le firme per una petizione da inviare al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Il problema – spiegano i manifestanti – non è il merito, perché un regolamento era necessario, ma il metodo. In questo modo restano fuori migliaia di persone che non possono dimostrare il loro lavoro, le soprintendenze che dovrebbero certificare non hanno moduli appositi e il materiale va spedito tutto per via

telematica, quindi non si può discutere con nessuno della nostra professionalità”. Per questo motivo piazza Santi Apostoli ieri era invasa da palloncini arancioni con una faccia triste vicino alla scritta “curriculum vitae”. Il decreto ministeriale prevede che il 14 aprile venga definita la data per il concorso. “Un’altra follia – spiega Laura Amorosi – perché dovremo rispondere a 100 domande di cultura generale in 60 minuti. E ce ne sarà solo uno. Ma se io quel giorno avrò la febbre? O se una restauratrice sta partorendo, come fa? Il punto è che vogliono ridurre al minimo le persone che si spartiscono la torta dei finanziamenti, che negli ultimi dieci anni si sono ridotti del 75 per cento. Ora lo faranno anche con noi”. “Il mio professore alla scuola regionale – racconta Dario – insegna anche al-

la Scuola nazionale. Lui non è laureato, e nel 1966 faceva le pulizie. Ma con l’alluvione di Firenze si avvicinò al restauro e oggi è uno dei più grandi al mondo. E’ un mestiere che si impara sul campo”. Sono nella stessa condizione anche i restauratori statali, cioè coloro che hanno vinto un concorso pubblico negli scorsi anni. “E’ uno scandalo – grida una ricercatrice pubblica dal palco – perché se io ho superato l’esame significa che per lo Stato ero già abilitata, che cos’altro devo dimostrare? E se ora non superassi il concorso che cosa significa? Che lo Stato su di me si era sbagliato?”.

I professionisti del restauro in rivolta contro Bondi che ha previsto un’abilitazione senza garanzie


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IMPRESE DI STATO

EFFETTO ALTA VELOCITÀ

Parte oggi il nuovo orario Fs che punta tutto sui Freccia Rossa tra Roma e Milano

di Daniele Martini

mille chilometri di binari veloci finalmente percorribili da oggi senza interruzioni da Torino a Salerno sono senza dubbio un’opera importante. Le autocelebrazioni del governo e dell’amministratore Fs, Mauro Moretti, all’inaugurazione ufficiale di una settimana fa suonano però ugualmente stonate. In altri paesi nessuno si vanterebbe di un’infrastruttura conclusa addirittura dopo un ventennio di lavori, per di più costata un occhio della testa, da 3 a 4 volte più che nel resto d’Europa, oltre 30 e forse addirittura 40 miliardi di euro (dipende dal tipo di calcolo) pagati da tutti gli italiani con le tasse. Per che cosa, poi? Per consentire a una piccola parte dell’utenza totale, soprattutto professionisti e uomini di affari, di spostarsi in fretta sull’asse Roma-Milano, lasciando indietro tutto il resto, come zavorra ferroviaria: i treni locali, quelli dei pendolari, quelli a lunga percorrenza, i merci, gli Intercity, i convogli per il sud.

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La nuova costosissima rete è al centro della strategia di Fs che presto potrebbe soffrire la concorrenza

I CONTI. L’Alta velocità non era stata pensata così, come un costoso benefit pubblico per un gruppo di fortunati. Avrebbe dovuto migliorare tutto il sistema dei trasporti consentendo alla ferrovia di fare un salto di qualità. Non soltanto questo non succederà, ma probabilmente continuerà ad andar male a tutti gli esclusi dall’Alta velocità e dai Freccia Rossa, appena 72 treni su un totale di circa 10 mila al giorno su tutta la rete, lo 0,72 per cento. Con un’espressione forse un po’ greve, in Toscana quando vogliono indicare un abbellimento lezioso su un vestito trasandato dicono che è stata messa la cravatta al maiale. L’Alta velocità rischia di diventare la cravatta delle Ferrovie. Per tanti motivi, ma soprattutto due, collegati tra loro: le Fs erano e restano un’azienda economicamente malata e sussidiata con i soldi dello Stato, una società che si avvicina con le stampelle all’appuntamento dell’apertura della rete tra appena un anno. Dal 2011 l’azienda di Moretti dovrà confrontarsi sul serio con la concorrenza proprio sull’Alta velocità e non con una futuribile società di là da venire, ma con la concretissi-

ma Ntv, Nuovo trasporto viaggiatori, di Luca Cordero di Montezemolo. Un gruppo molto determinato, con 25 treni superveloci nuovi di zecca (600 milioni di euro il costo esclusa la manutenzione), incomparabilmente più moderni, efficienti e

confortevoli degli acciaccati Etr 500 Freccia Rossa e Etr 600 Freccia argento delle Fs su cui grava tutto il peso degli anni e tutta l’usura dei chilometri. Dopo aver puntato sull’Alta velocità a scapito del resto come in un bluff al tavolo del poker, ora le Ferrovie rischiano di perdere tutta la posta. MODELLO ALITALIA. Nel tentativo di parare la botta Moretti sta ricalcando pari pari il modello Alitalia. Così come la compagnia aerea a suo tempo aveva cercato di reggere l’urto della concorrenza accaparrandosi tutti gli slot (cioè i diritti di atterraggio e decollo) della ricchissima tratta Roma-Milano, ora anche l’azienda dei treni persegue la stessa tattica. Con Alitalia si sa com’è andata a finire, a un passo dal fallimento è stata affidata dal governo Berlusconi a un manipolo di uomini d’affari che

l’hanno presa a patto di poter conservare il monopolio proprio sul Roma-Milano. Con l’orario invernale in vigore da oggi anche le Fs si blindano aumentando a dismisura l’offerta di treni, addirittura una corsa ogni 15 minuti tra Roma e Milano, con l’intenzione di mettere il cappello sugli slot ferroviari più interessanti. Da un punto di vista strettamente commerciale l’operazione non ha molto senso perché al momento non c’è una domanda così sostenuta da giustificarla, soprattutto per i vagoni di seconda classe.

qualche tempo fa è stato siglato un accordo quadro che dà all’azienda di Montezemolo il diritto di allestire un treno all’ora sulle tratte ad Alta velocità. Questa intesa, però, dovrà poi essere applicata nei dettagli e a quel punto probabilmente riemergerà il gigantesco e irrisolto conflitto di interessi ferroviario. Perché il gestore della rete e controllore degli slot, è Rfi (Rete ferroviaria italiana), società gemella di Trenitalia a cui spetta il compito di far viaggiare i treni, ed entrambe appartengono alla casa madre Fs. Così come succedeva un tempo con Alitalia, con una mano Ferrovie assegnano gli slot e con l’altra se li prendono a tutto svantaggio di una concorrenza vera. E’ ovvio che così non può funzionare. Così come sa-

determinazione da Moretti che forse anche per questo, pur essendo stato scelto nell’autunno 2006 dal centrosinistra, poi è stato confermato di buon grado anche dal governo Berlusconi. L’incremento dei ricavi, però, è in larga parte frutto proprio di maggiori contributi statali (870 milioni all’anno) e di una non chiarissima modifica contabile relativa alla “manutenzione di secondo livello” e pari a circa 250 milioni nel 2008. In percentuale i contributi pubblici sono aumentati di circa 25 punti in 3 anni mentre l’offerta ferroviaria è rimasta sostanzialmente al palo. In pratica i contribuenti pagano con le tasse sempre di più per le Ferrovie senza ottenere più treni in cambio. Del resto anche la domanda è calata

rebbe necessario che fosse fatta chiarezza sugli aspetti contabili di Fs. Il bilancio delle Ferrovie è sempre più dipendente dai sussidi e dai contributi pubblici e il miglioramento dei conti di oltre 2 miliardi in tre anni è più apparente che reale, come ha dimostrato Andrea Giuricin dell’Università Milano-Bicocca in uno studio recente pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni. Dal 2006 al 2008 i ricavi delle Fs sono cresciuti da 8,6 miliardi di euro a 10,2, mentre dal lato dei costi si è registrato un miglioramento dovuto ai tagli del personale in base al piano preparato dall’ex amministratore Giancarlo Cimoli tre anni fa e poi attuato con ferrea

in questo periodo, tanto che il coefficiente di riempimento (load factor) di Trenitalia è sceso del 2,4 per cento, peggiorando un livello complessivo già critico, inferiore al 40 per cento (sugli aerei è generalmente superiore al 70), nonostante sui treni pendolari si viaggi stipati come sardine. Sintetizza Giuricin: “Moretti è stato abile a conquistarsi prima la fiducia dei nuovi governanti per poi passare alla cassa per la riscossione. In pratica è riuscito a far scucire più soldi al ministro dei Trasporti, Altero Matteoli, e in un certo senso dal suo punto di vista ha fatto il suo mestiere. Chi non fa bene il suo mestiere è il governo e lo Stato che continuano a inondare di soldi le Fs ottenendo in cambio poco o niente”.

LA CONCORRENZA. Tra Ferrovie e i concorrenti Ntv

BIGLIETTI

LA NUOVA ONDATA DI RINCARI lta velocità, alti prezzi. Da oggi entra in vigore Apresa: il nuovo orario delle Fs con una doppia soril rincaro considerevole dei biglietti sui convogli veloci concentrato soprattutto sui viaggiatori di seconda classe. Gli aumenti riguardano tutto il sistema dei 1.000 chilometri dell’Alta velocità, sia le tratte inaugurate una settimana fa e che oggi diventano commercialmente percorribili, come la Torino-Milano, sia i percorsi già da tempo percorribili, tipo la Milano-Bologna, avviata esattamente il 13 dicembre del 2008. Alcuni esempi: sulla Torino-Milano il biglietto per i clienti di seconda classe sale da 23,80 a 31 euro (più 30,2 per cento), e ora costa un solo euro in meno rispetto al prezzo del ticket di prima classe che resta invariato. Sulla Milano-Bologna il rincaro sui Freccia Rossa è di circa 4 euro, da 37,10 a 41, con un incremento percentuale di 10 punti. Sulla Roma-Milano, che è la tratta più ricca di tutto il sistema, il prezzo del biglietto sale da 75,10 euro a 89 (più 18 per cento circa). Le Ferrovie considerano questa sventagliata di aumenti la conseguenza di una

offerta migliorata sia per quanto riguarda i tempi di percorrenza sia per il numero di frequenze, cioè la quantità di convogli messi a disposizione. Su alcune tratte i treni correranno, in effetti, più veloci, anche se i rincari riguardano pure percorsi dove non cambia nulla come tra Milano e Bologna. Ed è vero che l’offerta di convogli aumenta, da 54 al giorno a 72. Non si capisce, però, perché un incremento di posti debba produrre un rincaro dei prezzi dal momento che, almeno in teoria, dovrebbe succedere l’esatto opposto. E non è affatto chiaro neanche il motivo per cui gli inasprimenti di prezzo debbano riguardare quasi esclusivamente i viaggiatori della seconda classe. Il coefficiente di riempimento di questo tipo di vagoni è sempre molto basso sulle tratte di Alta velocità, di regola inferiore al 60 per cento, mentre i posti in prima classe sono generalmente molto richiesti. A logica, quindi, i rincari avrebbero dovuto riguardare più la prima che la seconda classe. A meno che questa sfarinata di aumenti non sia solo il

ALTRO CHE BRUNETTA

di C .Pe.

La conta della Cisl contro la Cgil

L

a guerra di cifre sull’adesione allo sciopero tra la Cgil e il ministro “dei fannulloni” Renato Brunetta è un teatrino politico che tutti si aspettavano. Ma che nel giorno della manifestazione dei lavoratori della conoscenza e della funzione pubblica, il conflitto si spostasse all’interno delle relazioni sindacali, era solo nei migliori sogni dello stesso Brunetta. Venerdì mattina, infatti, quando sono arrivati a lavoro, i segretari comunali e i direttori degli uffici Asl appartenenti alla Cisl, hanno trovato nelle loro caselle e-mail una lettera che chiedeva di trasmettere al responsabile di zona l’affluenza al lavoro dei dipendenti. In questo modo anche la Cisl, in caso di flop, avrebbe potuto sbeffeggiare il nuovo nemico, quella Cgil che fu, in un passato ormai remoto, alleato di mille battaglie.

primo tempo di una partita che potrebbe proseguire nei prossimi mesi interessando anche i biglietti di prima classe. Ufficialmente le Fs smentiscono e assicurano che non ci sono altri aumenti in vista, ma nei giorni passati sono circolate con insistenza indiscrezioni su una seconda ondata di incrementi tariffari a partire da marzo. (Dan. Mar.)

wall street dc

Una Finanziaria da liberal di Edgar

Galli

a Camera dei LWashington rappresentanti a ha deciso senza troppi patemi: 221 contro 202, una maggioranza che nell’era dei passi millimetrici della riforma sanitaria deve essere parsa schiacciante al presidente Barack Obama. Ma la scelta è stata pesante: far passare un carrozzone da 447 miliardi di dollari. È la manovra finanziaria degli Stati Uniti, 2.444 pagine che elencano dollaro per dollaro cosa serve per mandare avanti la macchina amministrativa e assistere l’economia in convalescenza. Ora tocca al Senato, dove i numeri dicono che ottenere l’approvazione sarà molto più dura. Il pacchetto finanzia una serie di iniziative che riflettono (finalmente, osservano i giornali liberal), le priorità elencate più volte dal presidente, tutte osteggiate dai repubblicani: dai deputati del Grand old party non è arrivato neanche un voto a favore. È tornata l’era del “big government”, protesta Jerry Lewis, uno dei leader conservatori sotto le cupole affrescate di Capitol Hill. e critiche partono dai Lpubblica numeri: la spesa in progetti domestici (esclusa quindi quella militare) aumenta del 14 per cento, in tempi di deficit record. Ma si tratta di provvedimenti che Obama ritiene fondamentali proprio per il rilancio dell’economia che dovrà permettere gradualmente al governo di stringere la cinghia. Ci sono i soldi per le piccole e medie imprese, che gli americani hanno sempre snobbato finché a comandare erano petrolieri, banche e giganti dell’automobile. Salvo accorgersi che sono fondamentali per ridurre la disoccupazione (ora al 10 per cento). nche il profilo sociale Aimbestialire della legge fa il Partito repubblicano che oggi ha l’esponente più visibile nella ultraconservatrice Sarah Palin. Ci sono più risorse per prevenire la diffusione dell’Aids tra i tossicodipendenti, si riducono quelle per l’educazione sessuale scolastica basata soltanto sul concetto dell’astinenza, è cancellato il divieto di usare fondi pubblici per pagare un aborto. Ma sono temi che appassionano le frange estreme: così i repubblicani puntano più sull’aspetto economico per attaccare la legge. Dimenticando che la settimana prossima alla Camera è in programma un boccone ancora più pesante: i 600 miliardi per tenere in piedi il Pentagono e mandare avanti le guerre in Iraq e Afghanistan.


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DAL MONDO

LA DISFIDA DI SANTIAGO Sebastian Piñera

IL FIUTO DEL BERLUSCONI AUSTRALE di Vincenzo Marra * Santiago del Cile

ggi si vota. Primo turno delle presidenziali. Gli exit pollcontinuano a essere lusinghieri per Piñera. Il candidato di centrodestra è prossimo al 50%. Gli altri inseguono. Il candidato del centrosinistra Frei perde punti a scapito di Ominami; fuori gioco l’allendista Arrate. Piñera, a differenza del nostro Berlusconi a cui somiglia per molti aspetti, fa parte della classe medio alta santiagina, figlio di un ex senatore della Repubblica e uno dei fondatori della Democrazia cristiana cilena. Studia nei migliori collegi di Santiago e poi negli Usa. È lì che si trova nel 1973 quando i militari di Pinochet attaccano la Moneda (il Palazzo presidenziale). All’inizio degli anni Settanta dopo la tesi in “Educazione dell’economia nei paesi in sviluppo”, torna in Cile, dando consulenze per le migliori banche e poi fiutando l’affare: compra terreni vergini alla periferia di Santiago e inizia a costruire quartieri residenziali. Poi, mette gli occhi su uno dei posti più belli e conosciuti del Cile, la Isla Grande de Chiloé, parco naturale, dove compra 115.000 ettari (ovvero, il 15% del parco). Crea strutture per

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il divertimento e lo svago, camping e residence, e cambia anche il nome del parco. Poi introduce in Cile le carte di credito e le sue banche iniziano a prestare denaro a imprese fittizie create e controllate dagli stessi istituti. Da qui processi, appelli, polemiche: alla fine Piñera la fa franca. Nell’82 fiuta un altro affare e fonda la Lan Chile, attuale compagnia di bandiera cilena, tutt’ora di sua proprietà. E crea succursali in tutta l’America latina: Lan Perù, Lan Equador, Lan Argentina. Rastrella azioni della società e finisce di nuovo sotto accusa: dopo una lunga battaglia legale, viene condannato per insider trading. Paga un’ammenda e chiude la faccenda. È pronto per il grande passo: la politica. Per questo diventa proprietario del canale tv più popolare in Cile e proprietario del Colo Colo: per colori e tradizione la Juventus o, meglio, il Milan del Cile. Si butta in politica come il padre e il fratello maggiore José, ministro del Lavoro di Pinochet. Inizia come simpatizzante della Democrazia cristiana. Nel referendum dell’89 su Pinochet si schiera contro il dittatore. Il no vince. Piñera ha sempre difeso il ruolo di Pinochet in materia economica, ma ne ha condannato le violazioni

dei diritti umani. Da senatore e si batte per far passare la legge che concede l’amnistia ai colpevoli di crimini politici tra il ‘73 e il ‘78. Nel ‘92 vuole presentarsi alle presidenziali, ma viene colpito da uno scandalo: viene resa pubblica una registrazione telefonica nella quale da indicazioni per mettere in cattiva luce un’avversaria. Nel 2001 diventa comunque leader del partito Renovación Nacional, di estrema destra. Ma fa in modo che il partito si allontani quanto più possibile dal pinochetismo per diventare “semplice” partito di centrodestra. È molto religioso e tutte le domenica va in chiesa. Nel 2005 si candida alle presidenziali. Una campagna elettorale faraonica non gli evita la sconfitta: perde contro Michelle Bachelet (53,50% a 46,50%). Ora è pronto a invertire

Oggi primo turno delle presidenziali cilene tra 4 candidati uno più diverso dell’altro. Ecco il favorito post-pinochettista e la promessa di sinistra

M. E. Ominami

stra che governa il Cile da due decenni, ha lanciato in pista il 67enne democristiano Eduardo Frei, ingegnere dotato di equilibrio ma di scarso carisma, figlio dell’omonimo ex presidente (1964-1970). Poi c’è Piñera. E infine entra in ballo Ominami, la figura nuova che diventerebbe decisiva nel ballottaggio del 17 gennaio 2010, in cui potrebbe essere lui stesso a sfidare Piñera chiedendo il sostegno di Frei, oppure appoggiare il candidato delOminami, 36 anni. A sinistra Piñera, 60 anni ( ) la Concer tación nel duello finadi Gianni Perrelli le contro il leader della destra. Alla vigilia del voto Ominami e Frei a solo 36 anni. E se man- sembrano alla pari, dopo una vercherà l’obiettivo di diven- tiginosa rimonta dell’outsider. tare il più giovane presi- La candidatura di Ominami, ex dente nella storia del Cile, deputato socialista, è spuntata un avrà la soddisfazione di essere po’ a sorpresa dopo le dimissioni l’ago della bilancia nel probabile dal suo partito in cui si sentiva ballottaggio che designerà il suc- stretto. E all’inizio sembrava solo cessore di Michelle Bachelet. velleitaria. Ma poggiava in realtà Marco Enriquez Ominami, il gio- su una notorietà che ha origini vane leader di sinistra che ha ter- politiche ma che ha poi accreremotato un panorama politico sciuto attraverso scelte di vita bloccato nel bipolarismo da che l’hanno spinto spesso alla rivent’anni (dalla caduta di Pino- balta delle cronache. Figlio della chet), un successo l’ha già centra- giornalista Manuela Gumucio e to: “Ho vinto ancor prima del vo- di due miti politici della sinistra to: ho cambiato la geometria po- cilena. Il padre naturale è Miguel litica del paese”. La Concer tación, Enriquez, leader guerrigliero del l’unione dei partiti di centrosini- Mir (Movimento della sinistra

LA SORPRESA DEL GIOVANE IN ROSSO

FOTO ANSA

H la tendenza progressista che in questi anni sembra uniformare il latinoamerica. (* regista)

unita) morto in uno scontro armato nel ’74. Quello adottivo è Carlos Ominami, ex militante del Mir e influente senatore socialista, che non ha esitato ad abbandonare a sua volta il suo partito e la Concer tación quando Marco ha deciso di tentar la scalata alla Moneda. Da ragazzo, il giovane Ominami ha vissuto in esilio a Parigi. Rientrato a Santiago si è laureato in Filosofia. Prima di darsi alla politica, ha fatto il regista cinematografico filmando commedie leggere. Nel frattempo, dotato di fascino personale, ha riempito i giornali di gossip con le sue conquiste amorose. Negli ultimi anni, dopo un primo matrimonio fallito da cui è nata Fernanda (14 anni), ha trovato la stabilità sentimentale. Oggi è sposato con Karen Doggenwiler, popolare giornalista tv. Hanno una figlia di 5 anni, Manuela. Negli ultimi mesi ha girato il Cile in auto, accompagnato da un convoglio di altre dieci con i collaboratori. Si mescola alla gente cercando di parlare un linguaggio semplice, accessibile. È a favore dell’aborto e del matrimonio tra gay, quasi due tabù nel Cile poco disponibile alle nuove frontiere. Ha spesso in mano un computer portatile su cui controlla le mail e usa Twitter per lanciare gli slogan elettorali. Risponde via cellulare alle radio regionali che lo stringono d’assedio. È il volto moderno, quasi iconoclasta, di un Cile che ha ormai una democrazia consolidata ma costumi sociali ancora un po’ ingessati.


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DAL MONDO

PASSEGGINI E BLACK BLOC Sfila a Copenaghen il popolo ecologista: tante famiglie e 700 arresti di rivoltosi

N SPAGNA

Referendum Catalogna

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eferendum “privati” oggi in 170 comuni della Catalogna per chiedere a circa 700mila cittadini se vogliono che la regione spagnola diventi indipendente; il voto sarà seguito da 34 osservatori stranieri, provenienti da Scozia, Irlanda, Galles, Fiandre, Quebec, Trentino, Valle d’Aosta, Friuli, Sardegna.

TONY BLAIR

“L’Iraq? guerra comunque”

A di Diletta Varlese Copenaghen

e ne sono visti di tutti i colori, è il caso di dirlo: la manifestazione di sabato pomeriggio a Copenaghen ha chiamato gente da tutto il mondo. Grandi panda dalla Cina, orsi polari dall’Alaska, yak dal Tibet, alberi, api, persone vestite nei più bizzarri modi si sono riversate nelle strade della capitale danese. Il cielo ha regalato una giornata bellissima, come non si vedeva da giorni. Il sole ha baciato il corteo e il freddo gelido delle giornate

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Oltre centomila manifestanti di ogni razza e slogan in tutte le lingue La polizia isola i violenti

terse danesi lo ha abbracciato. Tante biciclette e tanti passeggini con l’impermeabile, in puro stile del nord. Tantissime famiglie, e anziani, e giovani da tutto il mondo. Quattro generazioni camminavano fianco a fianco, portando cartelli e fiaccole: “There’s no Planet B”, non c’è un pianeta (invece che piano) B, non c’è una via di fuga. “Questa è l’unica Terra, preserviamola”. E poi tanti striscioni che chiedevano “climate justice”, per ricordare come gli effetti del cambiamento climatico colpiscano maggiormente le popolazioni povere dei sud del mondo e siano conseguenze, in buona parte, di decisioni prese in base al profitto. “We love Kyoto”, un folto gruppo di giapponesi con cappelli a forma di orso portava il proprio striscione venuto da così lontano. “Io appoggio il protocollo di Kyoto perché prende il nome dalla mia città, ma credo ci sia bisogno di un accordo ben più impegnativo” dice Murasaki Yoshimoto, giovane studente venuta appositamente per la manifestazione. Gli organizzatori dicono ci fos-

sero 100.000 persone, ma a colpo d’occhio sembravano molte di più. Un serpentone di chilometri che si snodava dal centro della città verso il Bella Centre, dove si svolge il summit sul clima dell’Onu. In testa le delegazioni delle popolazioni indigene di tutto il mondo “ajaja Pachamama” urlavano in lingua originaria gli aymara della Bolivia, “che viva la Madre Terra”. E ancora slogan e canti “noi siamo il Pianeta” e una grande palla di cartapesta a forma di globo che accompagnava gli striscioni d’apertura. Molti dei rappresentanti indigeni venivano dall’America latina: gli huaorani dell’Amazzonia, i huicholes del Messico, i Kuna di Panama: “La tierra no se vende, la tierra se defiende”, la terra non si vende, la terra si difende. Non sono mancati i black bloc. Avevano annunciato che sarebbero venuti, tutti molto giovani, tutti europei, puntualmente vestiti di nero con i visi coperti dalle sciarpe, si sono posti alla chiusura del corteo. Pochi tafferugli, la polizia danese li ha bloccati subito, tutti a terra,

manette ai polsi e via sui cellulari. Circa 700 in stato di fermo. Ma la maggior parte del corteo non se n’è accorto e ha proceduto tranquillo. Al Bella Centre, la fine della manifestazione, un grande palco adibito con enormi altoparlanti ha accolto

l’arrivo del corteo con una musica armoniosa, che racchiudeva tutti i suoni della natura. Mentre nel centro che ospita il summit si marcava il giro di boa della prima settimana di lavori, fuori la festa per i diritti della Madre Terra continuava fino a tardi.

Iraq

IL MINISTRO USA E CASA BARZANI

HALLYDAY IN COMA

Aggredito il chirurgo

A

IL NOBEL AL GORE

CADUTA E RISALITA DELLA ROCKSTAR DEL CLIMA Giancesare Flesca

ulla Conferenza di Copenaghen aleggia nel Spolitico bene come nel male l’ombra di un altro uomo americano che recentemente ha ottenuto il Nobel per la Pace grazie al suo impegno ecologista. Si tratta di Al Gore, vicepresidente fra i più influenti durante i mandati di Bill Clinton e poi sconfitto nel 2000 da George W. Bush con gli imbrogli fatti da suo fratello Jeb in Florida. Da allora sembrava un uomo politicamente finito. Era ingrassato fino a 120 chili, non si mostrava in pubblico, dedicava tutto il suo tempo a sua figlio Albert ridotto assai male da un incidente stradale. Ma improvvisamente, come un orso dopo il letargo, intorno al 2007, è riuscito a smentire quella legge non scritta secondo cui un politico trombato ben difficilmente può risalire la china. Lui ce l’ha fatta, diventando in breve tempo il lìder maximo dei Verdi in tutto il mondo. Come spesso accade in America, il grande riscatto è iniziato da Hollywood, la patria del tutto è possibile. Prima di ricevere il Nobel presentò infatti al mondo del cinema un suo documentario intitolato An Inconvenient Truth (Una verità scomoda) dove lui stesso, novello Virgilio, guidava lo spettatore attraverso centinaia di possibili catastrofi ambientali che colpiranno il mondo intero, se gli uomini non fa-

vrebbe comunque invaso l’Iraq, anche se avesse saputo che non c’erano armi di distruzione di massa. Lo ha detto Tony Blair alla trasmissione “This Morning”, in onda sul canale Bbc1. “Avrei comunque pensato che fosse giusto rimuovere Saddam”, ha detto l’ex premier laburista. Certo, aggiunge subito dopo, “avremmo impiegato e sviluppato argomentazioni differenti quanto alla natura della minaccia”. L’intervista arriva nel pieno di un’inchiesta proprio sulla natura di quella decisione, nell’ambito della quale l’ex inquilino di Downing Street dovrà testimoniare fra pochi mesi.

Robert Gates, segretario alla Difesa Usa, stringe la mano a Massoud Barzani, presidente del Kurdistan iracheno. Nei prossimi anni l’Iraq porterà la produzione di greggio da 2,5 a oltre 10 milioni di barili al giorno

ranno ciò che dicono gli scienziati e gli ambientalisti. Quel documentario ottenne l’Oscar prima dal generone holliwoodiano e poi dal pubblico, che ne fece ai botteghini un campione di incassi, terzo documentario miliardario dopo Fahrenheit 9/11 e La Marcia dei pinguini. A quel punto, con il Nobel e l’Oscar in tasca, si sviluppò sul Web, ma anche sulla stampa, un benevolo culto della personalità con molta gente che credeva possibile anzi vicina la nomination del Partito democratico per le presidenziali del 2008, quelle vinte da Obama. Lui però non volle saperne niente, con la politica, diceva “ho chiuso davvero con la politica politicante, mi interessa soltanto la sopravvivenza del genere umano”. Per confermarlo, guidò una serie di concerti “verdi” in tutto il mondo, e il Washington Post si divertì a stuzzicarlo con un titolo: “Al Gore rockstar”. Certo, non era davvero destinato a diventare un menestrello del pianeta ferito. Nato in Virginia nel 1948 da un senatore democratico che aveva immense coltivazioni di tabacco, mangiò pane e politica fin da bambino. Il novello ambientalista lo coltivava già dal 1992, anno in cui scrisse Earth in balance (la terra in bilico) che meritò grandi elogi dal New York Times ma per lungo tempo a Washington tutti

pensavano che Al avesse la fissa dell’ecologia, una stravaganza in virtù della quale lo chiamavano “the ozone man”, “l’indiano di legno”, o ancora “l’abbracciaalberi”. Ma lui tirava per la sua strada e riusciva anche a fare parecchi soldi con l’informatica. È stato nel board di Apple e in quello di Google, portandosi a casa alla luce del sole qualcosa come 50 milioni di dollari. I soldi non gli dispiacciono. Recentemente ha guadagnato 100 mila sterline partecipando a un Forum tenuto a Londra, e il Daily Mail ci ha ricamato sopra, calcolando che aveva intascato 3300 sterline al minuto. I suoi veri avversari, però, sono i cosiddetti “negazionisti” della catastrofe ambientale, che si faranno sentire a Copenaghen. Secondo costoro, Al Gore e molti altri al mondo hanno fatto fortuna taroccando via mail i numeri della distruzione planetaria. Lui risponde che “chi nega l’allarme ambientale è pagato dagli inquinatori” e che le mail – fra l’altro scomparse – non cambiano di un pollice l’opinione sua e quella degli scienziati che combattono con lui ormai da trent’anni.

lcuni sconosciuti hanno aggredito a Parigi Stephane Delajoux, il chirurgo che il 26 novembre scorso operò di ernia del disco Johnny Hallyday, che giace da giorni in coma farmacologico a Los Angeles. Delajoux è stato affrontato per strada da due individui incappucciati in modo molto violento. Il chirurgo non è stato ricoverato ma è tornato a casa scortato.

SVIZZERA

Respinto leader islamico

L

e autorità svizzere hanno bloccatoalla frontiera con la Germania un predicatore islamico che voleva partecipare a un raduno a Berna contro il bando alla costruzione di minareti che si è svolta ieri vedendo la partecipazione di centinaia di persone. Pierre Vogel, cittadino tedesco, doveva partecipare al raduno, ma gli è stato negato l’ingresso nel paese.


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Domenica 13 dicembre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CARLO FRECCERO

Contro la scomparsa dei fatti Il direttore di Rai 4: la docu fiction è solo ricostruzione

Carlo Freccero, direttore di Rai4 e preidente di Rai Sat (FOTO ANSA) di Silvia Truzzi

C

i sono verità che si possono affermare solo dopo aver ottenuto il diritto di dirle. Senza scomodare la parresia, la libertà di dire ciò che si pensa, sommo bene per i Greci delle polis: qui si parla solo della libertà di raccontare i fatti, non le opinioni. Che penserebbe Cocteau della circolare del direttore generale Rai Masi che vieta le docu-fiction o docu-drama (ma non i plastici) su fatti oggetto di procedimenti giudiziari dalle trasmissioni televisive? L’arte è una bugia che svela la verità: forse la docu-fiction è più artificio che arte. Non sotti-

lizziamo. Arte o artigianato, le docu sono state bandite dal servizio d’ordine più efficiente d’Italia. Carlo Freccero, direttore di Rai 4, prova a portare il ragionamento fuori dal ring e a riflettere sul difficile equilibrio verità-finzione. Freccero, cosa pensa del provvedimento annunciato da Masi? Ho letto sui giornali che la disposizione dell’azienda fa riferimento a una decisione della Corte suprema. Io non la conosco e quindi posso soffermarmi solo sulla parte mediologica. L’introduzione nel programma Annozero della docu-fiction appartiene alla formazione professionale di Santoro. Non è un espediente adottato ora e con malafede. Santoro nasce professionalmente con RaiTre, la tv verità di Guglielmi. E a quella tv s’ispira. Penso a programmi come Chi l’ha visto, Io confesso, Telefono giallo. Si riteneva che la missione della tv verità fosse dimostrare il fatto accaduto. La verità rintracciata e denunciata. In assoluta contrapposizione con la tv del reality show di oggi, che mostra la televisione in diretta, nel suo farsi. E poco importa se quel che fa vede-

re sia vero o falso. Anche con la fiction si può cercare la verità? Cosa fa Santoro? Mostra i verbali. Nei talk show di oggi ci sono solo commenti, i fatti sono scomparsi. E quindi bisogna recuperare i fatti. Ormai i magistrati sembrano essere gli unici veri giornalisti, i giornalisti sanno fare solo i commentatori. Nella società dei media per raccontare i fatti si deve ricorrere alla fiction? Sì, se il giornalismo non sa più raccontare e si limita a chiosare. La co-

La Rai ha bandito la docu-fiction? Annozero si limita a mostrare ciò che è accaduto

Gratitudine Filippo Timi e l’Oscar europeo: “Grazie Bellocchio”

Calcio In un campo nel torinese i carabinieri denunciano 28 persone

sa interessante di Annozero sono proprio i fatti. Conosco il processo francese e anglosassone: è vietato entrare nei tribunali. L’immagine vera, che non si può fotografare o riprendere con la telecamera, viene rielaborata dalle graphic novel: è strano, no? Se il giudice italiano lo consente, invece, il processo può essere guardato. Da noi il giudice non è eletto dal popolo. Ed essendo togato si pensa in qualche modo che non sia influenzabile. È peritus peritorum, secondo il codice. Perché si ritiene che il giudice abbia la capacità di non essere minato e contaminato. Stupefacente in un paese in cui i giudici vengono continuamente accusati di partigianeria e condizionamenti. Sì, ma questo accade perché li si reputa scienziati. In questo senso si capisce perché i sondaggi possano condizionare le giurie popolari. Molte contraddizioni in questa vicenda. La fiction strumento della tv-verità. E poi Santoro, uno tacciato continuamente di faziosità, che cerca di far parlare i fatti. La verità processuale e la verità dei fatti sono due cose diverse. E questo Annozero lo mostra perfettamente. A Santoro sono molto utili i Mantovano e i Ghedini. Comunque la circolare di Masi mette in moto una discussione teorica sul concetto di docu-drama. Parliamone. Cosa vuol dire drama? Ci sono due letture. La prima è quella di drama come rappresentazione, e l’altra come drammatizzazione, quindi una versione tendenziosa dei fatti. Santoro si attiene alla prima definizione o alla seconda? Mi sembra che lui tenda alla prima, perché mette in scena i verbali. Quel che fa paura è che Annozero rende, attraverso la docu-fiction, fruibili fatti e documenti altrimenti incomprensi-

Rabbia Aggredito a Parigi il medico che operò Halliday

Misteri Il Ct dell’Italia e Balotelli: “Parlerò presto di lui”

TEATRO L’Iraq al Piccolo di Milano opo 15 anni d’assenza, Marco Carniti torna al Dparro, “Piccolo” di Milano. L’allievo di Strehler e di Scafino a stasera, porta in scena “Palacio del fin”. Tratto dal testo di Judith Thompson, la più importante drammaturga canadese, l’opera attinge direttamente da fatti di cronaca, mostrando, sullo sfondo della guerra in Iraq, la parte peggiore della storia contemporanea. In primo piano le vicende di Lyndie England, soldatessa americana condannata per torture sessuali nel campo di Abu Ghraib; David Kelly, microbiologo, morto in circostanze sospette dopo aver testimoniato sull’infondatezza del dossier sulle armi di distruzione di massa presentato da Blair, e una madre irachena che dopo aver visto torturare i propri figli dal regime di Saddam, viene a sua volta uccisa dalle bombe americane. “Tre monologhi”, spiega Carniti, “strappati direttamente dalla realtàche stordiscono lo spettatore lasciandolo senza fiato”.

bili e inaccessibili al pubblico? Se la rappresentazione non è tendenziosa è un precedimento corretto. È una lettura dei fatti e degli atti processuali in maniera televisiva. Tutto qui. Ghedini in studio non obietta mai sui fatti ricostruiti. Infatti. L’avvocato dà una lettura processuale. In tutto ciò, è chiaro che - come spiegano le leggi della Fisica - c’è sempre una perturbazione prodotta dall’osservatore sull’oggetto osservato. Un’azione reciproca. Se questa perturbazione diventa una drammatizzazione, il docu-drama diventa pericoloso. A me pare che gli attori leggano e si attengano ai testi. Ma allora è quello che fa il cancelliere. Anche il processo è una rappresentazione della realtà attraverso il rito. È una finzione, ricostruisce ex post fatti precedentemente accaduti. Portando all’eccesso questo discorso allora anche gli atti processuali dovrebbero essere considerati non scientifici. Perché succe-

La tivù americana Si chiama TruTv, trasmette via cavo processi e perizie Fino al 2008 si chiamava “Court Tv”, cioè la televisione del tribunale, poi ha cambiato nome in “TruTv”, la televisione che racconta “non la realtà ma l’attualità”. Canale via cavo del gruppo Time Warner, vive di trasmissioni dedicate in parte a incidenti tragicomici (un motociclista si lancia dalla moto e atterra con un’acrobazia, poi la moto atterra su di lui e lo schiaccia) e ricostruzioni dei casi più attuali della cronaca giudiziaria. Racconta i processi in diretta (si occupava quasi solo di questo quando si chiamava Court Tv) e raccontano i delitti con riprese dalla scena del crimine in cui si vedono macchie di sangue e ricostruzioni del momento esatto dell’omicidio, soprattutto nella trasmissione “Forensic Files, no witnesses, no leads no problem” (Medicina legale, niente testimoni, niente proiettili, nessun problema).

I giornalisti sanno fare solo i commentatori E i magistrati sono diventati gli unici a poter fare i giornalisti de qualcosa anche quando il cancelliere trascrive. Non è possibile mostrare la verità a grado zero. Mai. La televisione è uno strumento di democrazia? Io credo che la televisione sia uno strumento di manipolazione. Il gioco del voto e del consenso rende la manipolazione intrinseca alla democrazia. Ma ci devono essere regole perché la manipolazione sia uguale per tutti. Poi la televisione ha una cosa in più. Nel 99 per cento è naturalmente falsa. Però ha dei momenti di verità assoluta. Sono rarissimi, ma sono definitivi. Può capitare che per errore la tv restituisca una verità accecante. Nelle guerre ci sono state, malgrado le censure fortissime, capita sempre un momento di incidente, di non controllo. E allora quella verità, la verità delle braccia spezzate dei soldati, diventa definitiva. È lo stesso meccanismo di Paperissima. Un incidente, un momento di verità assoluta nell’intrattenimento. Il Giornale di oggi (ieri per chi legge, ndr) titolava “Paperissima in tribunale”. Come dicevo, momenti di verità che diventano clamorosi.


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SECONDO TEMPO

PARLA R ANIERI

CLAUDIO, ZINGARO FELICE L’allenatore della Roma a cuore aperto: l’infanzia, la Juve e il sogno romanista

di Malcom Pagani

divani non parleranno, Claudio nemmeno. Nella sala che negli scorsi mesi vide i dirigenti di mezza Europa sedersi per offrire papiri, denari e panchine, si sdraia il silenzio di un pomeriggio di inizio inverno. Nella strada dei Parioli, la stessa di cui nel nulla di Ferragosto, Nanni Moretti ammirava le geometrie edilizie del boom dal sellino di una Vespa, Claudio Ranieri è per la prima volta ospite a casa sua. La messa itinerante è finita, la palombella giallorossa è arrivata a conclusione. A 35 anni di distanza dall’addio alla Roma di Liedholm, dopo aver circumnavigato il mondo plasmando dialetti spagnoli, calabresi, sardi e anglosassoni, il figlio di Mario, macellaio in Testaccio, ha smesso di tagliare il presente. “Pensavo che in Italia non avrei allenato più. Poi è arrivata la telefonata di Rosella Sensi”. Tra candidature spontanee: “Al di là del buon gusto, non ce n’era bisogno, anche i sassi sanno che sono romanista” e nomi esotici, l’erede del patriarca Franco, ha scelto questo 58enne dalla risata larga e il curriculum di ghisa. Un tè sul tavolo: “Non beviamo altro”,i volti di Liz Taylor e Richard Burton che osservano da un manifesto d’epoca di Cleopatra, una figlia quasi omonima che indossa i suoi occhi, un canelupo mite come un koala e un trono da cui scrutare l’orizzonte, col divieto di appagarsi e il permesso di sognare. Conquistato il derby: “Ma quella è una battaglia, qui bisogna vincere la guerra”, Ranieri si proietta oltre. Anche l’intervista è una partita. Si tende, arrossisce, si infervora e inevitabilmente soffre. Il pudore è un timbro di famiglia. Ammetta. Sta sognando. “Andai via da ragazzo, ora sono adulto. Vivo uno sdoppiamento bizzarro. Da una parte c’è il tifoso e dall’altra il professionista. Adesso so’ maturato. (ride convinto).

I

PALLONATE di Pippo Russo

Domenica scorsa, Roma ha osservato uno zingaro felice. “Ho lottato con me stesso per festeggiare: ‘Vado, non vado’, poi mi sono lasciato trasportare. Se è il caso di godere, si deve. Quando c’è da prendere le botte metto faccia e corpo. Nascondersi proprio stavolta, sarebbe stato masochistico. Ero più spettatore privilegiato che attore e comunque, è un film che rivedrei in continuazione”. Ha temuto di perdere? “Zarate prende il palo, Mauri tira. Penso ‘è finita’. Poi vedo una maglia nera, la parata di Julio Sergio. Su quell’episodio, abbiamo edificato la riscossa”. Julio Sergio rappresenta un bell’apologo sull’inutilità di arrendersi. “Essere rimasto vigile, dopo due anni da ultrariserva, è una qualità rara. Lì non si può fingere. Vie di mezzo non esistono. Si è sempre allenato seriamente, cogliendo l’attimo fuggente. (prerogativa di Ranieri: non lo sentirete mai affermare ‘Se Julio Sergio, il Massimo Piloni brasiliano, è stato

L’allenatore della Roma Claudio Ranieri, classe 1951, visto da Emanuele Fucecchi

un principio che ho applicato a tutta la mia esistenza”. Qualcuno non avrà esultato. “Ma se ho una rosa che può ovviare a un campione con un omologo, il problema non dovrebbe esistere. Perché dovrei far giocare sempre gli stessi? Se non ti reputo al massimo, riposi. Sono pagato per questo. Purtroppo a volte il giocatore ritiene che il diritto alla titolarità sia eterno. A Torino alcuni non si sono sentiti importanti al cento per cento e quel massimo che cercavo, non me l’hanno saputo dare. Parlo di rapporti personali e sfumature. Fino all’eliminazione in Champions, ogni cosa è andata per il verso giusto. Poi siamo calati. Prevedibile”. Differenze con l’estero? “Noi respiriamo unicamente per la vittoria, altrove non è così. I nostri presidenti smaniano per sostituirci. E’ un’ansia indomabile, appena frenata dalla congiuntura economica. Altrove funziona diversamente. Se stai lavorando bene e ti ha fregato un rimbalzo, il licenziamento non è previsto”. Educato, elegante, sobrio. La gamma delle descrizioni sul suo conto non fa giustizia. “Mi raccontano così perché la porta dello spogliatoio è chiusa. Lì sono Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Mi faccio rispettare e offro la medesima moneta. Non ho paura di dire: ‘Ho sbagliato’. Se accade, chiedo scusa. E’ una forza e non una debolezza”. Sa impuntarsi se serve? “A Catanzaro dicevano che ero veniale. Otto anni da capitano in quella squadra, 11 milioni lordi a stagione. Crede davvero mi sia arricchito? A fine stagione però, ascoltavo regolarmente la stessa canzone. Compravano ragazzi che appena arrivati, guadagnavano il

doppio di me e giocavano al ribasso. A quell’epoca, lo svincolo era un’utopia. Eravamo di proprietà della società. Così mi ribellavo e non firmavo mai. Un anno rimasi a casa fino a novembre. Ogni giorno, una telefonata per convincermi. A un certo punto mi annoiai: ‘Va bene, io non gioco più e voi avete perso tutti i soldi del mio cartellino, arrivederci’” Come finì? “Mi richiamarono e vincemmo il campionato. Stesso copione a Valencia, dove sostituii Valdano. Squadra piena di stelle svogliate. Risultati carenti. Arriva il momento del consiglio di amministrazione. Venti persone. Volti truci. Prendo la parola: ‘Se volete un tec-

Sono un privilegiato, faccio il mestiere che amo e ho bisogno di guardarmi in faccia senza disgustarmi nico con la visione di Jorge, avete sbagliato persona. Per cui, o mi mandate via o io tolgo i presunti campioni che vi prosciugano le tasche e do spazio ai ragazzini. Con quelli farò bene, con la mentalità degli altri non ci riuscirò mai. Silenzio. Penso: ‘Adesso mi cacciano’. Mi tennero invece. Arrivammo sesti, poi quarti, infine conquistammo la Coppa del Re”. Incompreso?

IL DURO MESTIERE DELL’INDOVINO

on molti avranno avuto il privilegio d’assistere allo spettacolo andato in onda su Sky Tg24 nella seconda serata di mercoledì. Un capolavoro di tv situazionista, durante il quale è parso si registrasse l’invasione d’un registro parodistico dentro un campo di pertinenza della sobria informazione. Per parlare della serata di Champions League appena conclusa, il conduttore di “Nightline” Andrea Bonini ha lanciato un collegamento con la redazione della Gazzetta dello Sport, dove si trovava Nicola Cecere. L’immagine si è spalancata su una scena surreale. Cecere pareva collegato da un ripostiglio della Gazzetta. Lo spazio in cui lo avevano incassato non sarebbe bastato per piazzarci un frigorifero, e tutt’intorno a lui c’era un guazzabuglio da cantina in fase di sgombero. Soprattutto, c’erano un paio di dettagli che rendevano alla situazione un’atmosfera da cartone animato. Accanto a Cecere era piazzato un quadro con un’immagine che pareva di George W. Bush, coloratissima e scontornata in stile psichedelico. E alle sue spalle,

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sottratto all’eterno dimenticatoio, un’unghia di merito, forse, ce l’ho anche io. In zona autoelogio, Ranieri marca a uomo, ndr). I comprimari in Paradiso, un riflesso della sua lunga gavetta. “L’allenatore ha sempre bisogno di tutti. I tornei si vincono con i gregari che sanno stare nell’ombra”. Rispettare, significa? “Non prendere in giro nessuno. Non blandire a vuoto, essere franchi. Non parlo molto con chi non gioca spesso perché mi sembra di ingannare. Posso spronarlo, non consolarlo. Nessuno si fida delle smancerie”. (Ranieri, che dirigeva le danze da piccola vedetta del meridione, tra Catanzaro, Pozzuoli e Catania, ragiona ancora da calciatore, forse per questo, negli spogliatoi è rispettato, ndr ) Brutto mestiere, si è scelto. “Primo: sono un privilegiato. Secondo: non me l’ha ordinato nessuno”. Max Allegri, il tecnico del Cagliari, sostiene che non contiate più del 5 per cento. “Lo stimo ma la percentuale mi pare ingenerosa. L’allenatore è un collante fondamentale. Lega entità diverse e fa interagire dirigenza, mass media, tifosi. Assembla, media, si addossa le responsabilità”. Se la squadra decide di giocarvi contro, non vi salva nessuno. “Mai creduto che un gruppo giochi scientemente contro. Si può entrare in simbiosi, e in quel caso puoi star certo che per te raschieranno il fondo del barile, oppure no. Ma premeditazione e complotti confinano con la dietrologia”. Alla Juve cosa accadde? “Sono certo che i giocatori non abbiano congiurato. Sono democratico. Se sei in forma, vai in campo. Altrimenti, rimani a guardare. Si chiama meritocrazia ed è

incorniciata, una pagina di giornale sulla quale era stata disegnata a penna una forma che pareva quella di un pesce. Mancavano soltanto un torsolo di mela annerito accanto alla tastiera e i calzini appesi a un angolo del monitor, e il quadretto si sarebbe completato. In mezzo a tutto ciò, Cecere parlava seriamente di calcio analizzando i risultati delle italiane in Coppa. Mitico. E allora per il prossimo collegamento con la redazione della Gazzetta ci aspettiamo di vedere Germano “El Bove” Bovolenta. In diretta dalla stalla. Sempre a proposito della rosea, effetti non meno stranianti sono quelli suscitati dagli articoli del lunedì firmati da Ilaria D’Amico. Essi hanno un che di strano. Sembrano scritti da Mario Sconcerti con la mano sinistra. Il che, ovviamente, è una malignità che subito scacciamo via con sdegno. Magari è soltanto che la consuetudine domenicale fra i due ha prodotto una somiglianza di stile e un bolso argomentare. Comunque sia, accade di leggere a firma dell’Ilaria pezzi che Sconcerti non firmerebbe mai. Come quello pubblicato sulla Gazzetta del 7 dicem-

L’INVIATO DELLA GAZZETTA RINCHIUSO IN CELLA E CERTI ARTICOLI SCRITTI A DUE MANI

bre e intitolato: “L’acchiappa-simpatie. È la nuova Juventus”. Formula profetica, due giorni prima della partita contro il Bayern Monaco. Lucidissima la parte finale: “Perfino Blanc naviga a vista nell’energia che nasce dalla pancia della storia. Un giorno è prudente, solo manager. Lo pensavo sabato vedendo la partita. Da una parte un’Inter che da vent’anni è comunque la stessa, con un grande tecnico che arriva dal profondo del calcio. Dall’altra una Juve con l’ottimismo dei neofiti, la piccola disperazione di chi deve ogni giorno dimostrare qualcosa in più. È una Juve nuova e imperfetta, più vicina alla gente, più vulnerabile. Direi quasi meno Juve. Il segreto sarà rimanere questa anche quando comincerà a vincere. E la grande impressione è che non ci vorrà molto”. Parole sante. I giornali, sulle questioni del calcio italiano, continuano a interpellare l’ex allenatore di calcio nonché irreprensibile padre di famiglia Arrigo Sacchi. E lui purtroppo risponde. È stato così anche con Tuttosport, edizione di venerdì 11 dicembre. Interpellato a proposito del rendimento delle squadre italiane nelle Coppe, l’ex ha espresso opinioni ben sintetizzate dal titolo: “Sacchi: ‘Gli altri nel futuro, noi no’ ”. Infatti teniamo in conto le sue opinioni. Pallonate@yahoo.it

“Di me dicono che non sarei capace di vincere. E’ una balla e ricordo ai catoni, che subentrare in corsa è diverso dal programmare. Comunque non ho né rimpianti o rancori. Mi sento realizzato e non ho più il khomeinismo della gioventù. Mi sono ammorbidito, ho il mio Karma e me lo tengo stretto. Se la mattina non riuscissi a guardarmi allo specchio, soffrirei”. Com’è noto, Ranieri ha 71 anni. Cosa farà da grande? “Mi troverà dalla stessa parte. Ma sono più giovane, sa?. Il mio collega, stavolta mente”. L’infanzia. “Carni Ranieri”, la migliore di Roma. “Non la smentirò. Ferlaino diceva: ’Non chiedete all’acquaiolo se l’acqua è fresca’. Papà e mamma hanno lavorato come pazzi. Io ero il quarto di quattro figli. I maglioni, le scarpe e i vestiti, un biglietto di seconda mano. Però mi hanno lasciato libero di perseguire una passione. Non li ringrazierò mai abbastanza”. I calciatori contemporanei? “Sono bombardati da mille megafoni. Fanno un mestiere invidiato e non sempre si rendono conto della fortuna che hanno tra i piedi. Ai ragazzi lo dico sempre: ‘Avete in mano il biglietto della lotteria. Sta a voi decidere quando riscuoterlo’”. Non tutti lo capiscono. “In Italia è tutto troppo facile. Fai una buona gara e diventi subito il promesso Pelé. Quelli meno equilibrati, si possono perdere e non si sono neanche messi le scarpe”. Esempi? “C'era un talento che conoscevo bene. Arrivò fino all’Under 21. Era arrogante. Gli dissi: ricordati che per quanta strada tu abbia percorso finora, ne avresti potuto solcare almeno il doppio”. Che fine fece? “Non fece. Purtroppo, mi sbaglio raramente”. L’allenatore è come un paracadutista che non sa se si aprirà il paracadute. La frase è sua. “Avevo un presidente particolare. Lo chiamavo domani. Neanche il paracadute mi aveva consegnato”. Avventurieri, improvvisatori, bancarottieri. In carriera le è capitato di tutto. “Ma sono andato d’accordo con chiunque. Non sono uno yes man ma se vengo assunto, rappresento la mia società. Non è servilismo aziendalista, solo serietà. Sono un generatore di corrente, finché qualcuno non stacca la spina, ovviamente. Prenda l’esperienza juventina. Mi attaccavano, insinuavano qualunque cosa, ma io non sono mai difeso sui giornali. Certe questioni, si risolvono faccia a faccia”. Totti e Del Piero. Come si gestisce la maturità di una stella? “Fino a 29 ti senti Dio. Quando arrivi ai 30, ami ancora di più il tuo lavoro. Capisci che sta per arrivare il tramonto. Totti e Del Piero sono campioni perché vogliono primeggiare. Se si accorgessero di non poterlo più fare, sarebbero i primi a tirarne le conseguenze”. I romani della squadra hanno con lei un linguaggio comune. “Capiscono che non c’è calcolo. Loro scherzano. Con me hanno trovato pane per i loro denti. Rido e sto al gioco, a volte li supero”. L’Italia di oggi? “Un precipizio nel quale rischiamo di cadere. Io ho voglia di qualcuno che lavori per il bene del paese. Tra scandali e scandalucci, sembra che chiunque comandi, si faccia gli affari propri”. A Napoli sfiorò Maradona, oggi è un suo collega. “L’anagrafe di quel periodo vale più di mille trattati sociologici. Emulazione. Il nome Diego, sparso a pioggia in tutta la città”. Un punto sopra la Juve, firmerebbe con il sangue? (Ride, strizza le palpebre, incrocia le braccia, tace. Le parole non sono tutto).


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Domenica 13 dicembre 2009

SECONDO TEMPO

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TELE COMANDO TG PAPI

Troppa “Fede” nei Graviano di Paolo

Ojetti

g1 Nonostante questo telegiornale sia programmaticamente al servizio del governo e di Berlusconi (mettere insieme i tre editoriali di Minzolini per credere), ieri ha dovuto registrare qualcosa di sgradito: attorno al “premier” che assalta le istituzioni con frenesia demolitoria, si sta creando un cordone sanitario. Dalla nota di Bruno Luverà emergeva con chiarezza che fra Bersani, Casini, Di Pietro è scattato un patto in difesa della Repubblica. Le dichiarazioni di Casini, in testa a tutte, sorprendono: l’emergenza deve essere arrivata a livelli astronomici, chi avrebbe mai immaginato Casini a braccetto con Di Pietro? E poi, viene annunciata una “sorpresa”: vuoi vedere che Fini si alza e lascia Berlusconi al suo destino? Anche il servizio “giu-

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diziario” da Palermo aveva un taglio insolito: andiamoci piano con questi Graviano (che per Emilio Fede nel suo Tg4 sono diventati “eroi” come Mangano), i magistrati “hanno ben altre prove” oltre alle dichiarazioni dei pentiti. Gasparri non ha capito e chiede il “risarcimento danni” per Dell’Utri e Berlusconi. g2 T Niente cerimonia per i 40 anni dalla strage di Piazza Fontana: la contestazione è esplosa quando sul palco sono saliti il sindaco Moratti e il governatore Formigoni. Il Tg2 apre con le immagini e si rammarica, ma un ragionamento, piccolo piccolo, va pure fatto: dov’è finita quella Milano solidale, medaglia d’oro della Resistenza, che ha avuto uomini di chiesa come Montini, Martini e, ora, Tettamanzi? Dov’è stata confinata? Dov’è stata esiliata?

Qualcosa si sta spezzando, chi si riunisce per ricordare la strage senza colpevoli dalla quale cominciò la strategia della tensione, utilizzata per massacrare la crescita civile del Paese, difficilmente può ascoltare a capo chino la classe dirigente partorita dai lombi del berlusconismo. Per ora sono fischi e tafferugli. g3 T In avanscoperta, dopo le contestazioni milanesi, una lunga ricostruzione della “strategia della tensione” da Piazza Fontana in poi. Non poteva che essere sommaria, quella stagione maledetta rimane un labirinto senza uscite. La pagina politica mette al centro dell’operazione “liberiamoci di Berlusconi” un battagliero Casini. Rutelli, intervistato da Nadia Zicoschi, appare prudentissimo; i “berluscones” sfilano preoccupati in attesa di oggi, quando il Cavaliere potrebbe salire sul predellino bis e liquidare Fini. Se così fosse, le elezioni sarebbero alle porte. Ma bisogna fare i conti con il “generale Natale” e con una legislatura che non ha raggiunto nemmeno i due anni e mezzo, data utile per prendere la pensione da parlamentare vita natural durante. Cose che pesano.

di Fulvio Abbate

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Un orizzonte nero Piroso

enerdì sera, da Antonello Piroso a “Niente di Vquanto personale”, su La7, mi sono reso conto di sia ormai problematico, difficile, frustrante parlare in assoluto di certi argomenti come, metti, di Marcello Dell’Utri, e dunque di Silvio Berlusconi. E non certo per ragioni di censura o perfino d’autocensura, roba semmai che concerne, cioè, i freni inibitori che scattano quando, come nel caso d’ogni mistero di Stato, l’“affaire” si trasforma in buco nero che tutto inghiotte senza mai restituire, non dico risposte, ma neppure la benché minima percezione della profondità della voragine, quasi come nel più inquietante quadro di Pollock, intitolato, appunto, “The Deep”, il profondo. Anzi, l’altra sera da Piroso, merito dello stesso conduttore che ha lasciato ampio spazio alle argomentazioni di ciascun attore, sembrava che si potesse finalmente risalire alle priorità, così da acciuffare comunque il bandolo iniziale di tutto: ritrovare la domanda che chiunque, cittadino per lo meno dotato di buon senso civico, muovendo magari dall’interrogativo-modello base sul conflitto di interessi, dovrebbe porsi: può Berlusconi trovarsi lì dove si trova, a Antonello Piroso, Palazzo Chigi, lui con conduce “Niente di personale” il suo corteo di ombre su La7 che fanno pensare a certe tavole di Goya? Ovviamente, tutto questo, la domanda stessa, è ormai pura utopia. E di conseguenza, gli ospiti lì in studio, in ordine sparso, da Filippo Facci a Nando Dalla Chiesa e Lino Jannuzzi, da Antonello Caporale di

Repubblica a Stefano Zurlo del Giornale, al nostro Oliviero Beha, hanno faticato innanzitutto con se stessi. Su tutto, come un moloch, le dichiarazioni di Spatuzza, pentito di mafia, pluriomicida, Spatuzza che, storia nota, ha parlato di una possibile trattativa tra Cosa Nostra e il partito di Berlusconi, con Dell’Utri in veste di “ufficiale di collegamento”. Siamo, ovviamente, nell’ambito delle verità ancora da accertare, ciononostante, in certi casi, sarebbe cosa buona e giusta che certe nubi fossero, diciamo prosaicamente, diradate, cancellate dal cielo della legalità repubblicana, e costa doverlo dire nei giorni di un anniversario simbolo delle menzogne di Stato come la strage di Piazza Fontana, quarant’anni fa, uno spartiacque. Cosa mi resta allora, volendo trovare nella comunque istruttiva puntata di “Ndp”, se non proprio un’ancora di salvezza, almeno uno strapuntino per proseguire il cammino lungo la strada dell’accertamento delle verità o dei pensieri preliminari per giungere a questa? Forse, assai probabilmente, le considerazioni di Nando Dalla Chiesa, figlio (e non è qui un dettaglio retorico) di una illustre vittima della mafia e dell’insipienza dello Stato che avrebbe dovuto vigilare sulla sicurezza del suo uomo. Nando Dalla Chiesa, un istante dopo le immagini di Dell’Utri intervistato a caldo che si diceva “per la prima volta stanco dalla persecuzione”, ha fatto notare, riportando in primo piano la presenza di Vittorio Mangano, un mafioso, nel teatro completo della nostra vicenda, che sempre Dell’Utri lo aveva recentemente definito “un eroe”. Per non avere ceduto alle insistenze dei magistrati sul nome di Berlusconi. Nero su nero, avrebbe detto Leonardo Sciascia. Nero di Sicilia e nero all’orizzonte. www.teledurruti.it


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SECONDO SFOGLIO a cura di Stefano

Disegni - rubrica.sandokan@gmail.com

SATIREu & SATIRIASI


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SECONDO TEMPO

fatti di vita

PIAZZA GRANDE Berlusconi spacca tutto di Furio Colombo

gni incertezza è chiarita, ogni ambiguità dissolta. Lo comunica il titolo de Il Giornale (proprietà Berlusconi) la mattina dell’11 dicembre. C’è scritto, a caratteri cubitali (si diceva così una volta): “Berlusconi spacca tutto”. È un titolo semplice. È il titolo che si poteva aspettare da qualcuno dei giornali di opposizione. Sembra uno scherzo giornalistico, una sorpresa da spettacolo. Un attore si impossessa della battuta dell’altro. Quando accade, salta la scena. La gente ride dell’imbarazzo dell’attore beffato e poi il “come uscirne” dipende dalla bravura o dalla capacità di improvvisare. Non nascondiamoci che Berlusconi è bravo sia nel rubare la scena sia nel far finta di niente nei giorni che seguono la spacconata. Più è grande (e pericolosa) la spacconata, più tutti (o molti) partecipanti allo spettacolo desiderano dimenticare, e dunque scelgono la stessa strategia del primo attore: la vita (la commedia) continua. Come avete notato, tutto quello che dico oscilla sui due livelli dello spettacolo e della politica, tra la canagliata d’attore e la vera, concreta minaccia – anzi, l’annuncio – di uno scontro che potrebbe essere estremo. Possiamo anche aspettarci che – a partire dal giorno dopo la scenata di Bonn – Berlusconi non abbia difficoltà psicologiche a far finta di niente. Clinicamente – dirà qualcuno – è la prova di un evidente squilibrio, come le improvvise aggressioni di coloro che “sentono le voci”. Ma l’argomento psichiatrico non cambia nulla. Berlusconi ha molto potere (secondo la rivista americana Forbes è il quattordicesimo uomo più potente del mondo, come ho scritto qui altre volte) e ha deciso di usarlo senza badare alle regole. La stravaganza e l’abituale abuso delle sue risorse eccessive (potere, appunto, e fonti di informazione) resta la domanda: come si esce da questo violento cambiamento di strategia, che punta allo scontro e a impedire la continuazione della Costituzione e della Repubblica? Ho usato la parola “violento” perché è la stessa parola usata dal presidente della Repubblica – solitamente mite – per definire il pirandelliano “discorso di Bonn”. È parola appropriata, se si pensa non tanto alle rodomontate quanto alle conseguenze. Vediamo. 1. Berlusconi – benché ansioso di morire (far morire questo tratto della vita della Repubblica) e di risorgere in una nuova vita in cui tutti i nemici sono fuori dall’inquadratura, farà senza dubbio il doppio gioco: celebrazione di se

O

Il Giornale (proprietà Berlusconi) l’11 dicembre titolava: “Berlusconi spacca tutto”. È il titolo che si poteva aspettare da qualcuno dei giornali di opposizione E dice molte cose stesso nel tempio e annuncio di distruzione del tempio. Quanto durerà il doppio gioco dipenderà sia dagli incidenti creati da Berlusconi (e non sempre calcolati nelle possibili conseguenze) sia da quelli imprevisti persino per Berlusconi. E adesso non sappiamo se e su quale pianerottolo della nostra tormentata vita politica si fermerà la caduta. 2. Berlusconi ha una vigorosa opposizione interna (primo firmatario il presidente della Camera Fini). Però non una sola opposizione. Fini è la voce di un percorso politico di destra profondamente diverso, che giudica impossibile sottomettersi al distruttivo editto di Bonn. Ma la Lega ha il privilegio di posti chiave nel go-

verno, un privilegio che non è toccato finora a nessun partito xenofobo in Europa. Inoltre, la Lega vede il traguardo più ambito: due regioni del nord da conquistare tra poco. La secessione è a portata di mano e – con la legge già approvata dal cosiddetto “federalismo fiscale” – è quasi fatta. Abbandonare adesso, per la Lega, è un danno gravissimo. 3. Berlusconi ha scelto, improvvisamente e bruscamente, di dichiarare nemico il presidente della Repubblica, sperando di indebolirlo quando si tratterà di ottenere l’impossibile: lo scioglimento delle Camere. Ciò ha indotto il presidente della Repubblica a rispondere come ha risposto: giudicando “violenta”, dunque inaccettabile (implicitamente “irresponsabile”) l’iniziativa di Berlusconi. Ma il fatto è avvenu-

L’Università reale di Francesco Sylos Labini (*)

e Stefano Zapperi (**) organizzazione dell’università ideale è stata descritta in ogni dettaglio da alcuni economisti della Bocconi. Il modello è quello di un’università a gestione privatistica, finanziata principalmente dalle rette studentesche e non più dallo Stato, con totale libertà nel reclutamento e nella didattica. Questo sistema garantirebbe eccellenza, farebbe scomparire il nepotismo accademico e chiudere le università improduttive. Tuttavia, per portare a compimento un programma di questo tipo, occorre prima di tutto radere al suolo il sistema esistente. A questo fine giova dimostrare che l’università e la ricerca italiana sono di qualità assolutamente scadente nonostante siano finanziate addirittura in maniera eccessiva. Si sbandiera-

L’

no le classifiche internazionali e si scelgono gli indicatori statistici più appropriati sulla produttività scientifica e sulla spesa pubblica destinata all’università, utilizzando a volte metodi discutibili per tirare le statistiche dalla propria parte. Il modello sembra rifarsi a una versione estremizzata del sistema universitario statunitense dove le rette sono in genere molto alte anche se esiste una vasta rete di università pubbliche. In Europa il sistema universitario è invece prevalentemente pubblico, con rette studentesche che in molti casi sono addirittura inferiori a quelle italiane. Inoltre vi è spesso un forte sostegno al “diritto allo studio”, con residenze universitarie e borse di studio che manca in Italia. Se vogliamo imitare gli altri paesi, perché non cominciare portando il finanziamento a università e ricerca al livello degli Stati Uniti o almeno a

to. E quando Berlusconi avrà bisogno di tempi intermedi per “far finta di niente” (come nel modello pirandelliano del finto pazzo) l’opposizione non dovrà fornire l’alibi, non dovrà esserci. Eppure c’è già. Titola il Corriere della Sera (11 gennaio): “Bersani non cambia linea, vogliamo le riforme”. Ma si può affermare che: “Lo scontro aiuta il premier”, senza cadere nella logica secondo cui “la pistola aiuta il rapinatore”? In questo modo l’opposizione lascia sole le istituzioni colpite. Lascia soli i cittadini travolti, ma anche stravolti, dal colpo improvviso. Restano sulla scena le palle di Berlusconi. L’opposizione farà da pubblico. È possibile?

Tiger Woods e la moglie Elin Nordegren

quello della media dei paesi Ocse? Il disegno di legge sull’università recentemente presentato dal governo aggiunge un tassello al piano di smantellamento del sistema pubblico e di costruzione del nuovo modello privatistico. A questo piano concorrono i tagli strutturali al finanziamento universitario decisi l’anno scorso dal governo (legge 133/08), che stanno mettendo in seria crisi molte università che l’anno prossimo potrebbero non essere in grado pagare gli stipendi ai propri docenti. Citiamo anche il rallentamento delle procedure di assegnazione dei fondi per la ricerca (i progetti per il finanziamento della ricerca di base a livello nazionale per il 2009 sono ancora da assegnare) e la loro riduzione quantitativa (-30% in 5 anni), il rinvio di concorsi e assunzioni di personale docente. Tutte queste misure vengono presentate di volta in volta come dovute all’emergenza finanziaria o dettate da problemi tecnici. Sembrano invece in perfetto accordo con il modello teorico enunciato sopra e con la sua applicazione che richiede come primo passo la distruzione dell’esistente. La mancanza di risorse costringerà di fatto le università ad aumentare le rette studentesche e ad avviarsi a un mo-

É

di Silvia Truzzi

LADY TIGER L

a signora si è incazzata. Lady Tiger (Woods) ha preso una mazza (da golf) e gliele ha suonate di santa ragione. Un tabloid aveva riportato le confessioni piccanti delle notti d’amore del marito, campione del green e del portafoglio (67 milioni di dollari all’anno) con una biondona di professione pr. E lei, ex modella dal viso d’angelo, l’ha preso prima a unghiate e poi a mazzate. Lui è scappato a bordo di un Suv, ma dopo cento metri è andato a sbattere. Nei giorni successivi, una decina di signorine si sono affannate nella corsa a raccontare ai giornali le preferenze sessuali di Tiger (famelico, davvero: alla maîtresse Michelle Brown chiedeva sempre più ragazze alla volta). Tra le sue preferite c’era Loredana Jolie (che, a dispetto del nome, non è affatto una crasi tra la Lecciso e Angelina Pitt) escort di origini italiane: tout se tien. Si attende a giorni un encomio del presidente del Consiglio per la qualità dell’export. Ora, Mr Woods è nei guai seri: gli sponsor lo hanno abbandonato, come la moglie Elin, tornata con i figli in Svezia dove per non sentirsi di passaggio si è comprata una villa. La Pepsi ha ritirato dal commercio la bevanda ispirata al campione – una specie di Gatorade, che, visti gli appetiti di lui, dev’essere un portento. Tiger, “dopo un enorme lavoro di riflessione”, ha annunciato l’intenzione di voler ritirare se stesso dal golf. “Devo impegnarmi a essere un marito migliore, un padre migliore e una persona migliore”, quindi ciao ciao green per un tempo indefinito. Come sempre il buco della serratura non è il posto migliore dove mettere il naso. E le corna in mondovisione sono un brutto spettacolo. Che siano etero o trans poco importa. Come le pubbliche lodi “delle donne per le donne” in favore di signore che forse sono, prima di tutto, molto addolorate. Detto questo, il particolare più squallido della storia è fuori dal boudoir. Qualche giorno dopo lo scandalo, Mr. Woods, ha confidato a un amico (dichiarazione riportata dal sito Tmz) che per sedare l’ira funesta della sua signora sarebbe andato dal gioielliere a comprare un diamante Kobe. Kobe, per capirci, non è un diamante speciale, non è un Cullinan (la più grande pietra grezza ritrovata) o un Koh-i-Noor (montato sulla corona della Regina d’Inghilterra). Kobe è Kobe Bryant, star del basket che regalò alla moglie un diamante da 4 milioni di dollari, dopo essere stato accusato di stupro. Del resto: “Diamonds are a girl’s best friends”, cantava Marylin. Ma scherzava, Tiger. Il migliore amico di una ragazza è l’amore. E quello (lo dice anche la pubblicità: sarà verò) non ha prezzo. Almeno così dovrebbe essere.

dello di gestione privatistico. Inoltre la riforma della governance universitaria contenuta nel nuovo disegno di legge riduce le funzioni del senato accademico a favore di un consiglio di amministrazione con una forte componente di esterni. Di fatto si chiede ai privati di gestire l’università pubblica, senza richiedere nulla in cambio in termini di finanziamento. Una vera manna. Inoltre vengono incrementati i poteri del rettore, eletto non più da tutto il corpo accademico, ma da una ristretta cerchia di professori ordinari “con provata competenza manageriale”. In sostanza la scelta è lasciata ai soliti baroni che hanno ricoperto cariche accademiche fino ad ora. Il fumo che avvolge questa operazione è la “meritocrazia”, parola che se presa sul serio da coloro che continuamente la invocano, dovrebbe indurre a immediate dimissioni. Per “premiare il merito” si cambiano le regole di reclutamento, abolendo definitivamente il ruolo di ricercatore, introducendo la tenure-track e cioè un contratto di 3+3 anni “eventualmente” seguito dall’assunzione come professore associato. Negli Stati Uniti una tenure-track è un contratto che alla fine di un periodo di prova,

in genere di cinque anni, prevede l’assunzione a tempo indeterminato se la valutazione è positiva. E’ quindi prevista da subito la copertura finanziaria per l’eventuale posizione tenured. Nella versione italiana invece, la conferma nel ruolo di associato avviene dopo il conseguimento di un giudizio di idoneità nazionale e il superamento di un concorso locale. Paradossalmente è il vecchio posto di ricercatore ad assomigliare alla tenure-track americana: in teoria sarebbe previsto un periodo di prova di tre anni prima della conferma in ruolo. In Italia però le regole sono spesso formali e la conferma in ruolo è stata data sempre per scontata. Dunque invece di abolire il ruolo di ricercatore sarebbe stato sufficiente rendere sostanziale la regola formale con una seria valutazione dell’attività del primo triennio. La nuova tenure-track fornirà principalmente bassa manovalanza per i baroni. Intanto i massimi vertici del mondo accademico invitano le nuove generazioni di ricercatori a fuggire dall’Italia. Ci chiediamo se non sarebbe meglio che se ne andasse qualcun altro. (*) Centro Enrico Fermi, Roma (**) Cnr, Modena


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SECONDO TEMPO

MAIL Le mozzarelle sono a rischio

BOX A DOMANDA RISPONDO PER UNA CHIESA PIÙ UMANA

Furio Colombo

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Nel 2007 l’Unione europea minacciava di tagliare i fondi e comminare multe salatissime all’Italia se non avesse provveduto in tempi più che celeri ad affrontare e risolvere l’emergenza brucellosi in Campania. Le bufale campane e in particolare quelle casertane soffrivano ieri come, in alcuni casi, oggi di brucellosi: un’infezione batterica che può colpire diverse specie animali. Sulla carta il problema sembrava di facile risoluzione: bisognava abbattere i capi malati così da contenere l’infezione. Ma la situazione non è così semplice. La trasmissione della malattia in un allevamento può avvenire in molti modi. Circa il 30% dei capi allevati sono risultati positivi al Ring Test, l’esame sierologico che permette di individuare la malattia. Si tratta di circa 17 mila capi da abbattere. La task force della struttura commissariale messa su per contrastare la brucellosi bufalina dalla provincia di Terra di Lavoro contempla oltre gli abbattimenti, un programma di profilassi finanziato dal governo con 66 milioni di euro. La mozzarella di bufala è una delle voci principali del Pil campano, si tratta di un comparto che coinvolge circa 800 aziende e occupa oltre 5.000 lavoratori molti dei quali provenienti dall’antica patria di questi giganteschi animali: indiani e pachistani. All’emergenza sanitaria si affianca, dunque, quella economica e occupazionale. In Campania e nella provincia di Caserta, tra le ultime per produzione e innovazione, non si può assolutamente mettere a rischio l’economia locale. Inoltre, la pioggia di denaro proveniente dalle

l Papa dice testualmente: “Le coscienze sono intossicate da un meccanismo perverso dei mass media”. Il Papa “richiama l’informazione alle responsabilità etiche poiché ogni giorno il male viene raccontato e amplificato abituandoci all’orrore”. E ancora: “Le persone diventano dei corpi, perdono l’anima, diventano cose. Non serve condannare, lamentarsi, recriminare. Vale di più rispondere al male con il bene. Ciò cambia le persone e migliora la società”. Ma come? Non raccontare la società la migliora? Dove sta scritto? Che senso ha? Chiedo aiuto. Giacomo

I

NON PRETENDERÒ di interpretare il Papa. Diciamo che mi riferisco al professore colto e intelligente, di evidente inclinazione conservatrice che avevamo imparato a conoscere (e raramente a condividere) prima che Joseph Ratzinger diventasse Papa Benedetto XVI. Diciamo che, come spesso accade, ci troviamo a riflettere su frasi spezzate e citazioni tratte da momenti diversi di un messaggio. Ciò accade per colpa dei media e sembra giustificare la sgridata del Papa. Ma gli argomenti che il lettore ha tratto dai giornali del 9 dicembre e da tutti i telegiornali del giorno prima, sono veri e sorprendenti. Tipica di ogni narrazione cristiana, nella storia, nella leggenda, nella vita dei santi e poi nella grande letteratura (Fra Cristoforo, il cardinale

LA VIGNETTA

Borromeo, ne “I Promessi Sposi”) è la testimonianza, anche aspra e dissonante, affinché il male, l’ingiustizia, la prevaricazione sui deboli non finiscano nel silenzio che il potere desidera. Infatti il silenzio allarga di molto lo spazio arbitrario del potere. Possibile che il prof. Ratzinger, a cui si è aggiunta l’autorità di Sommo pontefice della Chiesa cattolica, volesse elogiare la prudenza dei Don Abbondio, di coloro che non disturbano i più pericolosi autori del male, non danno noia a coloro che controllano il potere? E’ vero che il male lo può commettere chiunque. Ma se i malvagi sono privati, il discorso riguarda da un lato il funzionamento della giustizia, dall’altro l’autocontrollo della cronaca. Possiamo dire che il prof. Ratzinger voleva colpire l’eccesso di cronaca? L’obiettivo ricorda un brutto passato. Durante il fascismo non c’era cronaca nera. E come si fa a neutralizzare l’abuso del potere scambiandolo col bene, visto che cittadini e potere non sono sullo stesso piano? Forse è vero che vediamo il corpo più che l’anima delle vittime. Ma mi sento di dire al Papa: se dedicassimo più attenzione ai corpi dei migranti respinti in mare o rinchiusi in Libia o tenuti arbitrariamente prigionieri in Italia perché clandestini, non sarebbe meglio, molto meglio che tacere? Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

orecchie devono subire. Luca Migliori

La Lombardia e il “controllo del vicinato”

varie istituzioni fa gola a molti. Irma Marano

Quanti miliardi per gli aerei da guerra Tramite il solito Web, fonte Sbilanciamoci, vengo a sapere che esiste un ordine per la produzione e l’acquisto di ben 131 nuovi aerei da “guerra”. Tralasciando anche solo per un attimo il fatto che per Costituzione (invadente, però questa Carta!) non dovremmo esserne interessati, pare che il costo di tale operazione sia di

circa 15 o 16 miliardi! Ben quattro volte quanto previsto dal mefitico scudo fiscale! Piero Renzetti

I telegiornali di una volta Dopo oramai due mesi che siete finalmente arrivati, una domanda ve la devo porre: ma che ha fatto di male il povero Paolo Ojetti per doversi subire tutti i giorni le edizioni dei telegiornali? Massima solidarietà per quello che ogni giorno i suoi occhi e

nostro gruppo, “EveryOne”, ha presentato una memoria sul progetto agli uffici di Ginevra dell’Alto commissario Onu per i diritti umani. Matteo Pegoraro

La regione Lombardia ha approvato un progetto che, suggerito dalla Lega nord e formulato dall’assessore regionale del Pdl Stefano Maullu, avrà inizio effettivo il 1° gennaio 2010. Si chiama “Controllo di vicinato” e prevede che i sindaci attribuiscano più potere ad associazioni di categoria e ad amministratori condominiali, che coordineranno il controllo dei quartieri da parte dei cittadini. I cittadini avranno il compito di annotare targhe di auto sospette, denunciare clandestini o persone ritenute equivoche. L’unico scopo del progetto “Controllo del vicinato” sembra essere finalizzato alla persecuzione di rom e profughi, che in Italia sono criminalizzati. Nell’era fascista il rituale della dell’azione fu promosso dalle autorità intolleranti all’interno di una campagna razziale che ha notevoli analogie con l’ideologia anti-rom e anti-immigrati che imperversa oggi nel nostro paese. Già nel 1939 migliaia di denunce colpirono gli ebrei, rendendo la loro condizione sociale sempre più tragica. Successivamente, a causa dei delatori, si verificarono migliaia di arresti e deportazioni di ebrei, rom e dissidenti. Ben 6.500 ebrei vennero internati in seguito a denunce di comportamenti privati, segnalati da cittadini e associazioni. Il

La politica e i meriti della magistratura

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Non riesco più a sopportare questa continua opera di delegittimazione della magistratura da parte della politica. È insopportabile ascoltare con quanta disinvoltura molti ministri, a turno, si prendano i meriti di arresti di mafiosi e di altre operazione antimafia come la confisca di beni, per dare credito alla tesi fasulla che nessun governo ha mai fatto tanto contro la mafia quanto quello di Berlusconi. Inoltre, se mai capitasse che un magistrato si permetta di affermare che quelle operazioni sono il frutto di un intenso lavoro di indagine svolto da magistrati e forze dell’ordine che nel combattere la mafia rischiano quotidianamente la vita, bè quel magistrato che ha avuto il coraggio di parlare, viene ulteriormente delegittimato perché vuole essere al centro dell’attenzione, vuole apparire a tutti i costi invece di pensare a stare in procura e fare il lavoro per cui è pagato. Visto che i magistrati non possono dire niente che vengono subito aggrediti e delegittimati agli occhi dell’opinione pubblica allora chiedo io qualcosa ai nostri politici visto che sono un libero cittadino di 24 anni che lavora in banca e nulla ho a che fare con i

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IL FATTO di ieri13 Dicembre 1919 I suoi schizzi e disegni sono ancor oggi in bella mostra alla National Gallery di Washington. Ma per Edward Molyneux, londinese di origine ugonotta, la fama è legata alla sua carriera di tailor aristocratico, stilista eclettico dell’ haute couture a cavallo tra le due guerre. Creatore di un look essenziale e rigoroso fin dalla sua prima esperienza, nel dicembre 1919, nella Maison di Lucile, mitica fashion designer di fine Ottocento, scampata al naufragio del Titanic. Moderno nella sua adorazione per le linee classiche e ricche di glamour, Molyneux vestirà, nei suoi atelier di Parigi e Londra, tutto il jet set femminile dell’epoca, dalla Duchessa di Kent alla Principessa Marina di Grecia, alle grandi star come Greta Garbo, Vivien Leigh, Gertrude Lawrence. Nelle sue collezioni lusso, semplicità e qualche tocco di esotico. Tubini di raso bianco argento, giacche di velluto morbido, abiti occhieggianti agli antichi pepli, kimono in seta giapponese, cappelli a cloche, perfetti per Ascot. Celebre per il suo curioso snobismo franco-british e vero pigmalione di geni come Balmain, Cristian Dior, Fernanda Gattinoni, lascerà il mondo dorato della haute couture nel 1950. Per tornare alla sua amata pittura. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno

hanno i nostri politici nell’approvazione dello scudo fiscale che consente il rimpatrio di capitali accumulati illecitamente all’estero pagando solo il 5 per cento? Gino

GIULIA GEROLDI RICCARDO ZUCCHETTI Il Fatto Quotidiano è il nostro “giornale di famiglia”, anche se lo odiamo già: a differenza degli altri quotidiani è impossibile dargli una scorsa, non riusciamo a mollarlo finché non ne abbiamo letto ogni riga... Abbiamo una piccola attività, un robusto mutuo, paghiamo una caterva di tasse e cerchiamo di dare un buon esempio a nostro figlio. Lui oggi vede in casa Il Fatto Quotidiano: ogni tanto chiede che cosa leggiamo e noi cerchiamo di spiegarglielo! Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

magistrati. Vorrei sapere dai nostri politici, ogni volta che si verifica l’arresto di un mafioso e il conseguente sequestro del patrimonio, che ruolo hanno il ministro della Giustizia, dell’Interno o addirittura il presidente del Consiglio? Ovviamente nessuno perché basterebbe un minimo di conoscenza di procedura penale per capire che queste tre figure non hanno alcun ruolo in queste operazione, ma svolgono semplicemente una ignobile appropriazione indebita dei meriti. Che ruolo

Il treno veloce Milano-Torino Son salito sul treno ad alta velocità Torino-Milano successivo a quello che prendo di solito, e mi sono fatto in piedi l’intera tratta. Mi piacerebbe parlare di “tratta degli schiavi”: forzati a pendolare, pagando abbonamenti da 270 euro al mese per sedersi nelle rastrelliere dei bagagli, sui gradini di salita/discesa o stare in piedi stipati come sardine nel vagone bar. È questa la mobilità del futuro, quella che chiedete a noi lavoratori? E’ così difficile quantificare il numero di abbonati? Sopprimendo la stazione di Porta Susa cambierà questo? Diminuendo i treni anche? Avrei voluto pagare le 8 euro più la differenza del biglietto per andare in prima classe, perché da Milano Centrale a dove lavoro ci sono altre due ore di mezzi: ho bisogno di dormire per poter rendere. Ma non potevo: anche la prima classe era piena. Anche chi ha pagato l’abbonamento di prima classe era in piedi. Non veniteci a dire che si può prenotare: ogni prenotazione costa 3 euro da fare solo alla biglietteria, perennemente in preda alle code perché il personale è ridotto pure lì. Tutto questo per risparmiare i soldi necessari al Ponte di Messina? O perché si è in regime di monopolio, garantito dal governo? Quanto pensate che possiamo sopportare? C’è chi si può permettere un avvocato. E chi no. Volete una rivolta? Marco Ganio Vecchiolino

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