Napolitano dice: non scambiare il dissenso con i complotti Ma per il capo dello Stato frenare la canea sarà duro y(7HC0D7*KSTKKQ(
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DALLA GIUSTIZIA ALLA POLITICA PER CAMBIARE L’ITALIA
DALLA GIUSTIZIA ALLA POLITICA PER CAMBIARE L’ITALIA € 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Martedì 15 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 72 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
AGGRESSIONI
Io confesso di Marco Travaglio
Berlusconi ancora in ospedale a Milano Tartaglia in carcere al centro neuropsichiatrico Da destra campagna di odio contro chi si oppone di Antonio Padellaro
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Dopo il ferimento del premier i berluscones occupano le tv e minacciano giornalisti e politici Nel mirino Annozero e Facebook pag. 2 a 7 z
Il premier Silvio Berlusconi subito dopo il ferimento. A sinistra, un fermo immagine dal video di Tele Lombardia che mostra il momento dell’aggressione
rimo. Il volto insanguinato e sofferente di Silvio Berlusconi è una pagina nera per l’Italia. L’aggressione fisica è sempre ripugnante. Ma (F A ) In basso, l’immagine in diretta tv di quell’oggetto Corrado Guzzanti scagliato con violenza contro un uomo sarà difficile da dimenticare. Secondo. L’autore del gesto è uno squilibrato noto e certificato. Chi lo associa al gruppo di fischiatori del di Luca Telese premier nella piazza di Milano, mente sapendo di mentire. Terzo. Nei fotogrammi mandati e rimandati in video si vede Tartaglia prena Bersani a Vendola tutti dere due volte la mira imcondannano Tartaglia. pugnando la statuetta del Ma contro Di Pietro e la Bindi Duomo. Tranquillamente si concentra il fuoco del censenza che nessuno tra i nutrodestra. La presidente del merosi custodi, tutti grinta Pd, che aveva parlato (ane auricolari, muovesse un che) delle responsabilità di dito. Il ministro Maroni Berlusconi duella in tv con la può dire ciò che vuole, ma Gelmini e Cicchitto. Ma non alla prova dei fatti il tanto decantato sistema a protemolla il punto. pag. 4 z zione del presidente del Consiglio ha fallito su tutta la linea. SCORTA x I “buchi” nella sicurezza del premier Quarto. La domande sul clima infame che regna nel paese e sui cosiddetti mandanti morali sono fuori luogo vista la personalità dell’aggressore. Ma se proprio si insiste a voler porre il problema di chi questo clima infame ha creato, sottoscriviamo il giudizio di Rosy Bindi, tra i pochi nel Pd a non balbettare scuse per colpe non commesse. Responsabile dei veleni è chi non smette di attaccare e accusare le più alte istituzioni: dal Quirinale alla CorCostretti ad obbedire alla logica te costituzionale alla magistratura tutta. del bagno di folla, a prescindere Quinto. I berluscones parlanti che hanno da luogo o situazioni. subito scatenato la caccia agli oppositori rimasti, in Parlamento e nei giornali, sapTensione con il ministro dell’Interno, piano che non arretreremo di un milliRoberto Maroni metro nella contrapposizione civile e rigorosa al peggior governo della storia repubblicana. A di Peter Gomez Dal 15 dicembre in libreria Ieri a Milano un matto, estraneo Marco Travaglio pesantea qualunque organizzazione desso se lo chiede pure il politica e in cura psichiatrica da mente minacciato da un Copasir: che cosa non ha 10 anni, ha colpito al volto il comunicato dei parlamenfunzionato nella sicurezza del premier Silvio Berlusconi. È il tari Pdl di chiaro stampo VS presidente del Consiglio? E frutto del clima violento squadrista, la nostra più toscatenato dai magistrati , dai proprio per questo oggi a San giornali e dalle televisioni, tale e affettuosa solidarietà. Macuto il comitato parlamen- contro il governo. Oggi un altro Infine, dalla destra più retare di controllo sui servizi se- matto si è versato un piatto di sponsabile (se non è entraPaolo Guzzanti racconta in testa: politica e greti, ancora provvisoriamen- pastasciutta ta in clandestinità) attenistituzioni si uniscono unanimi la più incredibile storia italiana: te presieduto dal dimissiona- a condannare anche questo diamo ancora una ferma la vita vera di Silvio Berlusconi rio Francesco Rutelli, ascolte- episodio presa di distanza dal titolo Con questa battuta Corrado rà il responsabile dell’intellieversivo del Giornale: “VioGuzzanti ha aggiornato il suo show, gence italiana Gianni De Genlenza costituzionale”. A che da oggi e fino al 20 terrà naro. pag. 3 z al Gran Teatro di Roma quando le leggi speciali?
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LA BINDI RESISTE AL PROCESSO
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Le sue guardie del corpo non lo hanno protetto
PASTASCIUTTA IN TESTA
GUZZANTI BERLUSCONI
Aliberti editore
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bbene sì, han ragione Cicchitto, Capezzone e Sallusti, con rispetto parlando. Inutile negare l’evidenza, non ci resta che confessare: i mandanti morali del nuovo caso Moro siamo noi di Annozero e del Fatto, in combutta con la Repubblica e le procure rosse. Come dice Pigi Battista sul Corriere, abbiamo creato “un clima avvelenato”, di “odio politico”, roba da “guerra civile”. Le turbe psichiche che da dieci anni affliggono l’attentatore non devono ingannare: erano dieci anni che il nostro uomo, da noi selezionato con la massima cura (da notare le iniziali M.T.), si fingeva pazzo per preparare il colpo. E la poderosa scorta del premier che si è prodigiosamente spalancata per favorire il lancio del souvenir (come già con il cavalletto in piazza Navona) non è che un plotone di attivisti delle Brigate Il Fatto, colonna milanese Annozero. Siamo stati noi. Abbiamo spacciato per cronaca giudiziaria il racconto dei processi Mills, Mondadori e Dell’Utri, nonché la lettura delle relative sentenze, mentre non era altro che “antiberlusconismo” per aprire la strada ai terroristi annidati nei centri di igiene mentale. Ecco perché non ci siamo dedicati anche noi ai processi di Cogne, Garlasco, Erba e Perugia: per “ridurre l’avversario a bersaglio da annichilire” (sempre Battista, chiedendo scusa alle signore). Ci siamo pure travestiti da leader del centrodestra e abbiamo preso a delirare all’impazzata. Ricordate Berlusconi che dà dei “coglioni” alla metà degli italiani che non votano per lui, dei “matti antropologicamente diversi dal resto della razza umana” ai magistrati, dei “golpisti” agli ultimi tre presidenti della Repubblica, dei fomentatori di “guerra civile” ai giudici costituzionali e ai pm di Milano e Palermo, dei “criminosi” a Biagi, Santoro e Luttazzi, che minaccia Casini e Follini di “farvi attaccare dalle mie tv” perché “mi avete rotto il cazzo” e invoca “il regicidio” per rovesciare Prodi? Ero io che camminavo in ginocchio sotto mentite spoglie e tre chili di cerone. Poi, già che ero allenato, mi sono ridotto a Brunetta per dire che questa “sinistra di merda” deve “morire ammazzata”. Ricordate Bossi che annuncia “300 uomini armati dalle valli della Bergamasca”, minaccia di “oliare i kalashnikov” e “drizzare la schiena” a un pm poliomielitico, sventola “fucili e mitra”, organizza bande paramilitari di camicie verdi e ronde padane perché “siamo veloci di mano e di pallottole che da noi costano 300 lire”? Era Santoro che riusciva a stento a coprire il suo accento salernitano con quello varesotto imparato alla scuola di dizione. Ricordate Ignazio La Russa che diceva “dovete morire” ai giudici europei anti-crocifisso? Era Scalfari opportunamente truccato in costume da Mefistofele. E Sgarbi che su Canale5 chiamava “assassini” i pm di Milano e Palermo e Caselli “mafioso” e “mandante morale dell’omicidio di don Pino Puglisi”? Era Furio Colombo con la parrucca della Carrà. E chi pedinava il giudice Mesiano dopo la sentenza Mondadori per immortalargli i calzini turchesi? Sandro Ruotolo, naturalmente, camuffato sotto le insegne di Canale5. Chi si è introdotto nel sistema informatico di Libero e poi del Giornale di Feltri e Sallusti per accusare falsamente Dino Boffo di essere gay, Veronica Lario di farsela con la guardia del corpo, Fini di essere un traditore al soldo dei comunisti? Quel diavolo di Peter Gomez. Chi ha seviziato Gianfranco Mascia, animatore dei comitati Boicotta il Biscione? Chi ha polverizzato la villa della vicedirettrice dell’Espresso Chiara Beria dopo una copertina sulla Boccassini? Chi ha spedito a Stefania Ariosto una testa di coniglio mozzata per Natale? Noi, sempre noi. Ora però ci hanno beccati e non ci resta che confessare. Se ci lasciano a piede libero, ci impegniamo a non dire mai più che Berlusconi è un corruttore amico di mafiosi. Lui è come Jessica Rabbit: non è cattivo, è che lo disegnano così.
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14 luglio 1948, il giorno in cui Pallante sparò a Palmiro Togliatti
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L’AGGRESSIONE
artì dalla Sicilia per Roma. La mattina del 14 luglio 1948, Antonio Pallante, un giovane qualunquista animato da un forte sentimento di anticomunismo, si appostò all’uscita di Montecitorio, attendendo il suo obiettivo. Quando vide Palmiro Togliatti, che stava uscendo in compagnia di Nilde Iotti, esplose contro di lui quattro colpi. Tre andarono
a segno, mettendo a rischio la vita del segretario del Pci. In moltissime città, alla notizia dell’attentato, scoppiarono delle insurrezioni spontanee. Ancora in barella il migliore disse: “Non perdete la testa”. Immediatamente arrestato, Pallante durante l’interrogatorio sul folle gesto rispose: “Togliatti è un nemico della mia patria, un membro del Cominform al
servizio di una potenza straniera”. Gli investigatori lo ritennero un esaltato, un mitomane, dalle poche e disordinate letture (gli hanno trovato nella valigia una copia del “Mein Kampf ” di Hitler), dedussero che aveva agito da solo, spinto unicamente dalla sua confusione mentale. Nessuno – all’epoca – parlò di una “campagna d’odio”.
IL LANCIO DELLA STATUETTA, LE FERITE, LE TV
DOMENICA A MILANO, IL COMIZIO DEL PREMIER. AL TERMINE BERLUSCONI SI ALLONTANA TRA LA FOLLA E VIENE COLPITO DAL LANCIO DI UN SOUVENIR DEL DUOMO. L’IMMAGINE FA IL GIRO DEL MONDO. L’ASSALITORE – UNO SQUILIBRATO - È STATO ARRESTATO. POLEMICHE SULLA SECURITY DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Il premier e lo squilibrato In alto Massimo Tartaglia subito dopo il suo fermo; a sinistra Berlusconi appena colpito (FOTO ANSA)
Prende spazio Tartaglia si muove tra i partecipanti per prendere spazio (FOTOTELE LOMBARDIA)
“GUERRA CIVILE” E DOSSIER: DA DOVE SOFFIA IL VENTO DELL’ODIO La destra cavalca l’aggressione e il “clima di violenza” Napolitano
“Non scambiare il dissenso con i complotti” di Vincenzo
Vasile
tutta la mattinata aveva rifiutato interviste o semplici PMaerdichiarazioni: “Quel che ho detto domenica sera basta”. l’incredibile accusa rivolta alle toghe dal consigliere “laico-pdl” del Csm, Anedda, di avere armato la mano a Tartaglia, la susseguente paralisi del Consiglio, lo scaricabarile dei commenti del mondo politico, hanno convinto Giorgio Napolitano a riprendere la parola. Sotto forma di intervista al Tg2. In verità, finisce che parla solo lui, il presidente. Mentre il direttore Mario Orfeo raccoglie dichiarazioni non rituali. Quel che colpisce è come il capo dello Stato – tornando a manifestare sdegno e solidarietà per la vittima – dimostri di voler tenere il punto riguardo alla teoria cospiratoria rilanciata dai fedelissimi di Berlusconi: no, non c’è nessun complotto, ribatte. Testualmente: è scritto nella Costituzione che la legislatura dura cinque anni e, dunque, “non si alimentino tensioni né da una parte cercando scorciatoie, né dall’altra parte vedendo complotti anziché riconoscere dissensi”. Perché il fatto è che “il paese deve essere governato serenamente e vedere affrontati i suoi tanti problemi. All’opposizione tocca una funzione essenziale in un sistema democratico, controllare e criticare e proporre con tenacia” le proprie impostazioni programmatiche “in un Parlamento che, come dice la Costituzione” dura “cinque anni”. Tanto per far capire che sul Colle (che è la sede che dovrebbe decidere l’eventuale cessazione della legislatura) non c’è – eventualmente – alcuna fregola di elezioni anticipate. Ciascuno, insomma – Napolitano lo dice con linguaggio piano, quasi a volere evocare una normalità che non c’è – “faccia la sua parte restando nei limiti del proprio ruolo, fissato dalla Costituzione: la politica, il governo, l’opposizione, la giustizia e dunque gli organi preposti all’attività giudiziaria”. Non vuol minimizzare: “È stato colpito e ferito il presidente del Consiglio e, anche se verrà verificato che si è trattato di un gesto di uno sconsiderato, dobbiamo essere tutti egualmente allarmati. E quando dico tutti, intendo tutti gli italiani che credono nella democrazia e hanno a cuore che venga garantita la pacifica convivenza civile”. E tutti devono fare il possibile per dare uno stop alla pericolosa “esasperazione” che ha mosso Napolitano a intervenire domenica sera. “Ho fatto quella dichiarazione nella convinzione” che ci sia una “esasperazione pericolosa della polemica politica”, e che “bisogna fermarla”. “Impediamo subito e risolutamente che rinascano forme di violenza che l’Italia ha già conosciuto e pagato”. Come? Innanzitutto, secondo il presidente, “non ha senso che gli uni accusino gli altri per il clima che si è creato”. Si torni a “rispettarsi reciprocamente, a pesare i giudizi e a non estremizzarli”. Ovunque. “Non si alimentino tensioni, si misurino le parole nelle piazze, nei congressi di partito e in tv’’. Che è, come dire, un programma assai impegnativo…
di Gianni Barbacetto
avvero l’aggressione a Silvio Berlusconi è avvenuta dentro un “clima d’odio” che ha preparato e generato l’attacco di Massimo Tartaglia? No, risponde Emma Bonino, vicepresidente del Senato: “Non credo che il gesto di un mitomane si possa attribuire a un clima di violenza. Di mitomani è piena la storia, ma quel che più importa è capire come funziona la sicurezza del premier”. Non lo crede neppure Rosy Bindi, che a caldo aveva dichiarato che “tra gli artefici di questo clima c’è anche Berlusconi, il quale non può sentirsi solo una vittima”. Qualche giornale e qualche tv hanno raccontato l’Italia come un paese attraversato da un vento d’odio. E hanno dipinto una Milano in preda alla violenza (“Due giorni di scontri”, ha titolato perfino il Corriere della Sera, evocando i “weekend di trent’anni fa”). Orbene, trent’anni fa a Milano c’erano ricorrenti disordini di piazza, scontri con la polizia, ore e ore di guerriglia urbana. E c’erano i gruppi armati che compivano frequenti azioni terroristiche. Oggi niente di tutto ciò. Sabato 12 dicembre c’è stato qualche piccolo tafferuglio in piazza Fontana, risolto in una decina di minuti, dopo che era stato deciso, per la prima volta in città, di far svolgere una manifestazione in una piazza chiusa, in un recinto transennato in cui era stato impedito l’ingresso ai manifestanti. Niente di para-
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Le minacce del cavaliere, le campagne di Feltri, l’“andate a morire ammazzati” di Brunetta
gonabile con l’Italia anni Settanta, ma neppure con le tensioni urbane e gli scontri di piazza oggi in altri paesi d’Europa, in Grecia, in Germania, nella Parigi delle banlieue... Il giorno dopo, il gesto di Tartaglia. Indifendibile. Ma azione individuale, frutto del disagio mentale, non dell’opposizione politica. Eppure il ministro della Giustizia Angelino Alfano ribadisce che “ciò che è successo a Milano al presidente del Consiglio non può essere derubricato al gesto di un folle, è una questione più complessa”. Così anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che nega ci siano stati errori nel servizio d’ordine, benché la scorta dapprima non sia riuscita a evitare l’aggressione e poi, invece di portare via di gran carriera “la personalità” (come impone ogni manuale di sicurezza), abbia permesso al ferito di restare sul luogo. “L’episodio gravissimo di Milano”, ha commentato Maroni, “trae le sue cause nel clima di contrapposizione violenta e nelle parole dettate dalla dialettica politica”. Sulla stessa lunghezza d’onda tutti gli esponenti della maggioranza. Per il sociologo Guido Martinotti, docente al Sum di Firenze, il gesto di Tartaglia non è invece frutto dell’odio politico, ma semmai della competizione in una società mediatica: “A Berlusconi non ha gridato ‘fascista’ e neppure ‘buffone’, ma ha detto: ‘Io sono meglio di te’. Una reazione malata, dunque, alla visibilità mediatica, non un gesto politico. I re e le rockstar sono esposti a chi è fuori di testa. Io sono sinceramente dispiaciuto di aver visto la faccia insanguinata di Berlusconi, non ho provato alcun piacere. Ma nel caso specifico non c’entra lo scontro politico e neppure la tensione sociale: lo tsunami della crisi da noi arriverà tra qualche mese, e sarà fortissimo”. “Se poi qualcuno evoca il clima d’odio – argomenta Martinotti – allora dobbiamo ricordare che da quindici anni il centrodestra dice ‘Non faremo prigionieri’ e bolla tutti gli
oppositori come ‘comunisti’. È un meccanismo di violenza verbale che negli Usa conoscono bene e che sperimentò anche il presidente Roosevelt: si chiama red baiting, agitare un drappo rosso sotto il naso, per eccitare l’opinione pubblica conservatrice. Clima d’odio è la violenza verbale di certi ministri che danno consigli su come usare il tricolore; clima d’odio è stato, ieri, la tv di Vittorio Sgarbi che dava dell’assassino ai giudici ed è, oggi, la prosa di Vittorio Feltri che spara dossier sui ‘nemici’ del premier, usa toni da Curva Sud e termini che in Italia sono usati, con altri fini, solo dal Vernacoliere”. Un altro ministro, Renato Brunetta, ha nel settembre scorso definito la sinistra “un’élite di merda”, lanciando poi il suo sinistro augurio: “Vadano a morire ammazzati”. Ma è lo stesso Berlusconi ad alimentare la “macchina dell’odio” con dichiarazioni a catena che contrappongono la legittimazione popolare di chi “ha avuto i voti” alle istituzioni democra-
tiche, alla magistratura, alla Corte costituzionale, alla presidenza della Repubblica... Il 26 novembre è il premier che dà dei golpisti ai magistrati: “Si respira un clima da guerra civile, i pm vogliono farmi cadere”. Di fronte a ciò, poco può fare chi tenta di raffreddare i toni, come il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: “Io non sono né uno psicologo, né un esperto di sicurezza, e non mi piace che si parli in astratto di questo famoso clima: lasciamolo al vertice di Copenaghen”. Quello che non è possibile accettare, come cerca di spiegare Luigi De Magistris, dell’Idv, è che dal fermo rifiuto della violenza venga imposto di passare allo smantellamento dell’opposizione: “Il rifiuto della violenza non significa rinunciare a un’opposizione decisa alle politiche di Berlusconi e del suo governo. E anche alla denuncia di quel clima di scontro alimentato anche dalle dichiarazioni di Berlusconi che quotidianamente scalfisce la democrazia e lo Stato di diritto”.
ATTACCO A TRAVAGLIO
IL PDL PRENDE LA MIRA “È
disgustoso. E vorremmo che ci fossero mille altre trasmissioni e mille altri giornalisti coraggiosi e liberi di dire come stanno le cose realmente e pronti a condannare un calunniatore come lui”. E ancora: “È lui il provocatore, che dal pulpito di una trasmissione tanto scandalosa quanto faziosa ha fomentato l’odio e la violenza di cui siamo vittime in questi giorni. Uno che ha avuto vacanze pagate da mafiosi non dovrebbe neanche uscire di casa per la vergogna. È uno scandalo che l’azienda pubblica dopo le parole di oggi (ieri, ndr) continui a dargli spazio. Siamo indignati e amareggiati perché certe cose non solo non andrebbero dette, ma neanche pensate. Ma dovevamo aspettarcelo. La sua follia, il suo odio pari alla sua nullità, non conoscono limite”. Bene, a questo punto vi diamo qualche minuto, anzi ora per indovinare mandante, destinatario e stile. Fatto? Lasciate perdere. Chi scrive è il gruppo del Pdl-Senato (unito, per una volta), il soggetto, Marco Travaglio; le parole figlie di un “sano” squadrismo fascista.
Martedì 15 dicembre 2009
A Striscia due testimoni: poco prima lo avevamo segnalato alla polizia
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L’AGGRESSIONE
ue testimoni dell’aggressione domenica al presidente del Consiglio, hanno raccontato ieri sera a “Striscia la Notizia” di aver avvisato la polizia di un possibile attentato al premier, senza essere presi in considerazione. La redazione di Striscia ha ricevuto la segnalazione di due fratelli che si trovavano casualmente in Piazza Duomo a Milano dove si stava svolgendo il comizio per il
Alza il braccio È questo il vero “buco” della scorta Malgrado il braccio levato Tartaglia non viene bloccato (FOTO TELELOBARDIA)
tesseramento del Pdl, presenziato da Silvio Berlusconi. Tra la folla avrebbero sentito i commenti di Massimo Tartaglia che minacciava un’aggressione. “Abbiamo notato una persona che era in piedi vicino allo stand del Pdl – affermano – la quale, agitata, parlava di Berlusconi dicendo che lo stava aspettando. Era una frase palesemente minacciosa e lasciava intendere che era uno squilibrato mentale. La sera poi lo abbiamo
riconosciuto nelle riprese delle notizie in televisione”. I fratelli, insospettiti, avrebbero raggiunto una pattuglia nelle vicinanze: “Abbiamo deciso di informare una pattuglia della polizia di Stato che sostava davanti alla Galleria di Piazza Duomo”. Il poliziotto, però, impegnato in una conversazione telefonica, li avrebbe liquidati dicendo: “Chiamate il 113”. E aggiungono: “Quanto accaduto si sarebbe potuto evitare”.
Si molleggia sui piedi L’attentatore, apparentemente non notato da nessuno, ha il tempo di sollevarsi sui piedi (FOTO TELELOMBARDIA)
Colpisce al volto Dopo aver preso la mira, sferra il colpo che centra Berlusconi (FOTO TELE LOMBARDIA)
SANGUE, FLASH E BODYGUARD I “buchi” sulla sicurezza di Berlusconi: la scorta costretta a obbedire alla logica del bagno di folla
di Peter Gomez
desso se lo chiede pure il Copasir che cosa non ha funzionato nella sicurezza del presidente del Consiglio. E proprio per questo oggi a San Macuto il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, ancora presieduto dal dimissionario Francesco Rutelli, ascolterà il responsabile dell’intelligence italiana Gianni De Gennaro. Ma, che prima poi l’incidente sarebbe accaduto, era chiaro da almeno sette anni. Cioè da quando, in barba a tutte le direttive che permettevano solo ai dipendenti pubblici di diventare 007, erano state fatte entrare nei servizi settanta guardie private del Cavaliere. Ex carabinieri, ex militari e in qualche caso anche ex legionari che, seppure molto preparati, sono da sempre avvezzi a prendere direttamente ordini da chi paga loro lo stipendio. Insomma bodyguard che non si possono permettere di dire di no al capo. La controprova si è vista persino in televisione. Quando il premier è stato ferito dalla mi-
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niatura del Duomo di Milano, lanciata da Massimo Tartaglia, immediatamente è stato fatto salire in auto. Ma la macchina blindata non è partita sgommando. Perché Berlusconi ha urlato all’autista di fermarsi. Il capo del governo voleva mostrare a tutti che, anche se ferito, stava ancora bene. Così si è concesso ancora una volta alla sua folla. Commettendo l’ultimo errore, dal punto di vista di chi si intende di security, in una giornata piena di sbagli. Infatti se quello non fosse stato il gesto di un folle, ma, come accade spesso in questi casi, un semplice diversivo in vista del colpo più grave, Berlusconi sarebbe andato incontro alla sua fine. Invece ora è polemica sull’ordine pubblico. Con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che difende i suoi uomini e con tutto il Pdl che attacca con durezza il questore di Milano, Vincenzo Indolfi. Il vicesindaco Riccardo De Corato dice che “i filmati parlano chiaro. Dimostrano che i contestatori dei centri sociali sono arrivati tranquillamente sotto il palco”. E ac-
cusa le forze dell’ordine di aver manganellato i ragazzi della “Giovane Italia (il movimento degli juniores azzurri) che cercavano di allontanare chi protestava. In realtà, il primo problema legato all’assai poco affollato comizio del premier in piazza Duomo (le stime più ottimistiche parlano di non più di 1500 persone) sono proprio state le scelte operative. Da giorni i servizi di sicurezza segnalavano il rischio che Berlusconi potesse entrare nel mirino di un folle. Mentre il presidente del Consiglio, di fronte agli interrogativi suscitati dal processo contro Marcello Dell’Utri, aveva più volte ripetuto che il suo Governo era in prima linea nella lotta alla mafia. In queste condizioni, al termine di un comizio tutto sommato tranquillo – caratterizzato solo da una rumorosa contestazione da parte di circa trecento persone, tra le quali vi erano molti passanti – al premier è stato permesso di affrontare il bagno di folla. Difendere una personalità, quando accetta il contatto con
la gente, è però molto difficile. E diventa quasi impossibile se gli uomini della scorta sono particolarmente stanchi. Non per niente nei filmati ritrasmessi dalle tv è possibile vedere alcune delle bodyguard che invece di monitorare con lo sguardo di continuo la piazza, se ne stanno di spalle con gli occhi bassi o osservano Berlusconi. Un altro errore è poi stata la posizione dell’auto. La macchina blindata non aveva davanti a sè un percorso libero. Se, come sarebbe stato giusto fare, fosse partita immediatamente, avreb-
Cortocircuito: dal 2002 le guardie private di B. entrano nei Servizi segreti Tensione con il Viminale
Offensiva Maroni: “Stretta sulle manifestazioni” “IL PREMIER POTEVA MORIRE, PRONTO A OSCURARE SITI”. IL PD: NO A LEGGI SPECIALI di Antonella Mascali
assimo Tartaglia anche per Maroni ha M dei mandanti morali. L’aggressione a Berlusconi ha potuto compierla non per colpa della scarsa sicurezza, ma a causa “del clima di contrapposizione violenta che è in atto. Ha agito con motivazioni di odio”. E se l’è presa pure con Rosy Bindi, senza nominarla: nonostante il premier “abbia rischiato di essere ucciso, un importante dirigente Pd riesce a dire ‘non faccia tanto la vittima’. Spero che questo fatto contribuisca a cambiare il clima, ma con questa dichiarazione non si comincia bene». Il responsabile del Viminale, invece, non muove alcun rilievo alla gestione dell’ordine pubblico. Non era possibile fermare preventivamente Tartaglia “perché non aveva precedenti”. E quindi sta pensando di impedire il dissenso durante i comizi: “Valuterò se e quali misure adottare per dare alle forze di polizia strumenti più efficaci per garantire la sicurezza, non
solo del presidente del Consiglio, ma anche del consigliere del più piccolo Comune”. Leggi speciali? “Non sento la necessità - ha risposto - e mi auguro che si torni a un clima civile, come ha chiesto Napolitano”. Preoccupata la vice capogruppo del Pd alla Camera, Rosa Calipari, anche perché un altro ministro, La Russa, ha invocato la messa al bando per legge delle contestazioni durante iniziative politiche: «Speriamo che nessuno, soprattutto tra chi ha responsabilità istituzionali, pensi di utilizzare la grave aggressione subita Berlusconi per mettere mano alle norme sulla libertà di manifestazione e di pensiero». Maroni, in verità, sta pensando anche a un giro di vite su internet. Ha condannato i gruppi di fan di Tartaglia su Facebook e la richiesta di schedatura dei poliziotti sul sito Indymedia. La possibilità di oscurare le pagine web che inducono alla violenza non è sufficiente e già al Cdm di giovedì potrebbe proporre “delle misure che permettano di intervenire per porre fine a questo scempio”. Il
ministro, invece, nulla ha potuto dire sulla falla che si è aperta tra gli uomini addetti alla sicurezza personale di Berlusconi. Quando abbiamo fatto notare che avrebbero dovuto portare via il premier ferito, invece di consentirgli di uscire dall’auto macchina e farsi vedere dalla folla, Maroni, a disagio, ci ha liquidati con una battuta: “Tutto è migliorabile, ma non ho alcuna critica da muovere a dei professionisti che dipendono dai servizi segreti”. E per la polizia parole di elogio: “I controlli accurati hanno consentito di evitare azioni di contestatori sotto il palco”. Secondo Maroni “questa gente, infiltrata con bandiere del Pdl, avrebbe dovuto esporre uno striscione violento contro Berlusconi”. Cosa c’era scritto? Era firmato? abbiamo chiesto. Non ci ha risposto, ha ripetuto che si trattava di uno striscione di contestazione. Alla fine della conferenza stampa, il prefetto di Milano Lombardi ci ha detto quali erano le parole definite violente da Maroni: “La democrazia è fatta di regole. Rispettale”.
be dovuto suonare il clacson per farsi largo. Certo, come ha scoperto “Striscia la Notizia”, vi è anche l’incredibile episodio di Tartaglia che viene segnalato come personaggio sospetto a una volante della polizia da due cittadini che però non vengono presi sul serio. Ma i primi a doversi rendere conto che era quantomeno un tipo strano dovevano essere gli agenti segreti e gli uomini in borghese mescolati tra il pubblico. Spiega a questo proposito Emanuele Fiano, che al Copasir rappresenta il Partito democratico: “Intorno a Berlusconi ci sono tre cerchi di sicurezza: quello più diretto intorno alla sua persona, quello un pò più largo e poi quello che dovrebbe verificare le condizioni della piazza”. Però a un certo punto tutto è saltato. Così Fiano ipotizza “Potrebbe darsi che il premier abbia chiesto alla sua cerchia più ristretta di firmare autografi, o di fare eccezioni alle regole stringenti di sicurezza". Ipotesi, appunto. Perché allo stato l’unico fatto certo è che al Cavaliere è impossibile dare or-
dini. Un po’ perché è un politico e molto perché è Berlusconi. Se finché erano guardie private, coordinate da un ex graduato dei carabinieri in congedo dal 1986, le bodyguard guadagnavano dieci milioni di lire al mese, adesso il loro stipendio è aumentato di molto. E accanto alla diaria ufficiale spesso ci sono dei sostanziosi fuori busta. Niente di sorprendente. Il Cavaliere è l’uomo più ricco d’Italia e pretende dai suoi uomini fedeltà assoluta. La scorta non solo lo deve proteggere, deve anche tacere su tutto quello che vede. Si spiegano così gli ingressi senza alcun controllo su registratori o macchine fotografiche nelle sue residenze. E la forse anche la decisione, presa da Gianni De Gennaro, di far passare le body guard di Palazzo Chigi dal Dis (la struttura di coordinamento tra servizi segreti civili e militari da lui diretta) all’Asi (l’ex Sisde), guidata dal generale Giorgio Piccirillo. Un segno tangibile di come in molti temessero che prima o poi, la security semi-privata del premier si sarebbe cacciata in qualche guaio.
DA TARTAGLIA A DI PIETRO
di F.Mel.
Facebook, il muro dello sciacallo
“H
ai fatto quello che tutti avremmo voluto fare” scrive un utente sulla pagina Facebook che inneggia a Tartaglia, l’aggressore di Silvio Berlusconi che ha già 70.000 “fans”. “Voi siete la feccia dell’Italia” replica un altro. Facebook, ieri, sembrava il muro di un bagno pubblico dove ognuno, in modo sconsiderato, scriveva la prima cosa che gli passava per la testa (c’è anche un gruppo “Uccidiamo a sprangate Di Pietro”). Molti utenti si sono lamentati anche delle pagine che hanno cambiato nome all’improvviso: il gruppo “Solidarietà all’Abruzzo” con 2 milioni di iscritti è diventato “Solidarietà a Berlusconi”. Così come “Difendiamo il made in Italy” che si è trasformato in “Sosteniamo Silvio Berlusconi”. Il tam tam degli utenti ignari è partito subito: attenzione è spam. Anche in Rete ci sono gli sciacalli.
Martedì 15 dicembre 2009
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Tutte le visite al premier, da Schifani a Bossi e Tremonti
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PDL ALL’ATTACCO
n via vai durato tutto il giorno nella stanza al settimo piano del San Raffaele, dove è ricoverato Silvio Berlusconi. Alle 10,30 è salito il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Quindi è stata la volta del presidente del Senato Renato Schifani. Alle 11,40 ha varcato l’ingresso del San Raffaele
Pier Luigi Bersani, leader del Pd. Poi, dopo alcune ore di riposo durante le quali gli ha fatto compagnia la figlia Marina, nel tardo pomeriggio sono arrivati il leader della Lega nord Umberto Bossi (“l’ho preso in giro sul pugilato”), i ministri Calderoli e Tremonti. Non sono mancati neanche Daniela Santanchè e Vittorio Feltri, oltre a Fedele
Confalonieri. Il presidente della provincia di Milano, Guido Podestà, è arrivato all’ospedale San Raffaele alla testa di una delegazione di sindaci amministratori di comuni del milanese e della provincia di Monza e Brianza. Alle 19, ultime visite, Marcello Dell’Utri e il portavoce Bonaiuti.
L’OPPOSIZIONE: FOLLIA
Un coro di condanna da Bersani a Vendola ma il centrodestra vuole crocifiggere la Bindi di Luca Telese
ier Luigi Bersani va a fare visita di prima mattina a Silvio Berlusconi. E condanna il suo aggressore senza appello: “Non c’è nessun dubbio sulla posizione del Pd e di ciascun suo componente: una posizione di condanna di questi gesti, senza se e senza ma”. Anche Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, aveva usato le stesse parole: “Nel momento dell’aggressione la solidarietà deve essere senza se e senza ma”. Il leader di Sinistra e libertà, Nichi Vendola aveva fatto ricorso a giudizi altrettanto netti: “Quello che è accaduto offende e turba tutti. Il volto di ogni persona macchiato di sangue, sia un’icona della nostra sconfitta, che umili tutti noi”. E lo stesso registro lo aveva scelto Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione: “Io sono un nonviolento: condanno l’aggressione senza nessun appello”. Insomma, un coro molto uniforme, anche tra leader di forze molto distanti fra loro. La polemica su Di Pietro. Ma è intorno alle uniche due posizioni diverse che si accende la polemica furibonda del centrodestra contro l’opposizione. Le accuse son due: quella di aver alimentato “la campagna d’odio”, e quella di coprire le responsabilità dell’aggressore. Già domenica sera si erano accesi i riflettori sulla dichiarazione di Antonio Di Pietro (“Berlusconi un istigatore”). E poi ieri, sulla sua precisazione, che – pur ribadendo la condanna di Tartaglia – non era meno netta nel rivendicare il proprio diritto al dissenso: “Non intendo dare alcuna scusante all’aggressore. E’ un ma-
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lato di mente che deve rispondere del suo gesto criminale. Ma non intendo – aggiunge – iscrivermi al club dei buonisti di convenienza e degli ipocriti”. Conclude il leader dell’Italia dei valori: faccio parte di chi dissente totalmente dalle politiche del governo. Dissentivo ieri e oggi, anche dopo quello che è successo. Non intendo cambiare la mia posizione per un fatto grave, che condanno e deploro, e dire – conclude Di Pietro – che dobbiamo avvallare le politiche governative”. Il caso Bindi. Ma è sulle parole di Rosy Bindi che si scatena una vera e propria offensiva mediatica. Quelle con cui la presidente del Pd aveva spiegato la sua posizione in una intervista a La Stampa di ieri: “Sia ben chiaro – aveva precisato lei – questa intervista deve aprirsi con la solidarietà a Berlusconi e con la condanna del gesto. Resta il fatto – aggiungeva la Bindi – che tra gli artefici di questo clima c’è anche Berlusconi, non può sentirsi la vittima. Questi gesti vanno sempre condannati, mai giustificati. Qualche volta però sono spiegabili”. Apriti cielo. Ad aprire le danze e il fuoco concentrico contro la Bindi è Daniele Capezzone. il portavoce del Pdl: “Le dichiarazioni di Rosy Bindi – attacca l’ex radicale – lasciano esterrefatti perché sono ancora peggiori di quelle di Di Pietro”. Poi interviene il ministro Andrea Ronchi: “E’ la prova che esiste una barbarie politica”. Si aggiunge Maurizio Lupi, vicepresidente del Pdl a Montecitorio: “Dopo Antonio Di Pietro, Rosy Bindi. Attorno all’aggressione del presidente del Consiglio cominciano a esserci troppi distinguo, troppi se e troppi ma”. E
in modo pacifico e colorato le dimissioni di Berlusconi: “La legge è uguale per tutti”, l’articolo 3 della Costituzione, lo slogan più gettonato. L’aria cupa che è calata sull’Italia dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi, ha messo nel mirino “il clima d’odio” e anche il popolo viola: “Una certa parte politica - la dichiarazione del ministro per le politiche comunitarie Andrea Ronchi - ha creato odio per il nemico, questo è inaccettabile. Abbiamo visto il No B-day e questo scandalo dei siti internet. Ho chiesto la chiusura o l'oscuramento dei siti che inneggiano alla violenza contro il presidente del Consiglio”. Le parole di Ronchi, che non brillano per chiarezza, dunque, mettono nel mirino in No B Day, e lo collegano alla violenza in rete, nel mirino anche del ministro degli Interni, Maroni, che ieri ha minacciato di oscurare i siti. Ma i viola hanno tenuto il punto in queste ore: “Questa pagina ripudia la violenza da chiunque provenga” scrivono su Facebook. E aggiungono: “Respingiamo le intimidazioni dei gerarchi di governo che a seguito di un episodio assolutamente isolato vogliono manomettere le libertà costituzionali e di espressione in Rete. Ci provino e torneremo in piazza altre cento volte!”. La paura di una stretta sulla libertà su internet è forte. “Chiudete internet” ha urlato dal pubblico uno spettatore del programma di Barbara D’Urso. La paura di una stretta che, sulla scia dell’emozione,
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l quotidiano della sinistra moderata spagnola usa una grande foto in prima pagina per mostrare le ferite del premier. Nel titolo ricostruisce i fatti e il risultato dell’aggressione della sera di Milano.
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l principale giornale tedesco (tabloid popolare) mette la foto di Berlusconi di taglio basso e intervista poi un esperto di sicurezza sui buchi del servizio d’ordine che circondava il premier e che non ha funzionato per “stanchezza”. VISITA ALL’AVVERSARIO. Pier Luigi Bersani e Enrico Penati dal premier (FOTO ANSA)
quindi un altro ministro, Ignazio La Russa: “Bisogna fermarsi sull’orlo del baratro. Dichiarazioni come quelle di Di Pietro di ieri e Rosy Bindi di oggi non mi fanno ben sperare. Trovo deprimenti i
distinguo di alcuni esponenti del Pd”. Ai pronunciamenti si aggiunge anche quello del portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti: “Quelle parole, sono un lascito del passato: si percepisce quel terribile concetto di superiorità morale tipico della sinistra”. E poi: “Finché la sinistra si tirerà dietro questo ciarpame non arriverà a nulla”. Ma anche alcuni democratici prendono le distanze: Emma Bonino prende le distanze: “Ho trovato fuori luogo le parole della Bindi”. Fioroni si distingue: “L’aggressione non lascia spazi per nessun tentennamento, né tantomeno per giustificazioni o altre affermazioni farneticanti”. Parla contro la sua compagna di partito o
IL POPOLO VIOLA: “NOI NON C’ENTRIAMO” abato 5 dicembre una marea viola ha riempito le strade di Spartito, Roma. Una folla di giovani, blogger, cittadini, militanti di si era data appuntamento su Facebook per chiedere
El Paìs, Spagna ”Ferito da un esaltato”
Bild Germania “Colpito, in clinica”
NOBERLUSCONIDAYORG
di Federico Mello
Stampa estera ì
restringa le libertà digitali è così forte che i viola si premuniscono: “Se davvero dovessero mettere in atto i loro propositi illiberali chiudendo indiscriminatamente anche le pagine Facebook che fanno corretta e democratica opposizione a Berlusconi, ci ritroverete sul sito del Noberlusconiday.org. È da qua che ripartiremo”. Sul sito è già annunciato il primo “meeting nazionale del popolo viola” già in programma per la fine di gennaio, a Firenze. Molta confusione anche sulla piazza di domenica a Milano. Maroni in conferenza stampa ha chiarito che: “Controlli preventivi da parte delle forze dell'ordine hanno consentito di evitare una manifestazione di protesta organizzata sotto il palco da gente infiltrata con bandiere del Pdl. Questa gente una volta sotto avrebbe dovuto esporre uno striscione violento contro il presidente del Consiglio Berlusconi". I viola in realtà avevano “invitato gli amici della rete a non recarsi nella piazza occupata dal comizio del premier” per evitare provocazioni. Ma una contestazione era nata ugualmente. Urla, grida, “chi non salta Berlusconi è” a circa una trentina di metri da dove è avvenuta l’aggressione al premier. “Eravamo lì pacificamente” dice Piero Ricca. Amici, passanti. A loro Berlusconi ha urlato “Vergogna!” dal palco. Quando a Ricca leggiamo le dichiarazioni di Maroni cade dalle nuvole: “Il nostro striscione diceva ‘non c’è democrazia senza regole: rispettale!’. Se questo è uno striscione violento o Maroni dovrebbe cambiare mestiere o dovremmo chiudere la democrazia costituzionale. Sempre che non si voglia far passare il dissenso per violenza”. E in effetti sembra chiaro, dalla dinamica dei fatti, che la contestazione in piazza era del tutto estranea all’aggressione a Berlusconi.
contro Di Pietro? Anche Paola Binetti la attacca: “La Bindi sbaglia”. E il senatore Riccardo ViIlari (quello che si era imbullonato alla poltrona) aggiunge il suo contributo: “Le sue parole sono un segno evidente dell’imbarbarimento che stiamo vivendo”. Insomma, per tutto il giorno la presidente del Pd viene trasportata sul banco degli imputati, malgrado la sua condanna del gesto di Tartaglia. In serata è l’ospite principale di Otto e mezzo. Subito dopo passa a Porta a Porta, per la lunga diretta allestita da Bruno Vespa, in cui le accuse si ripetono. Nello studio di Lilly Gruber, la Bindi duella con la Gelmini. “Mi spiace che la Bindi continui a dire parole di giustificazionismo...”, dice la ministra. E la presidente del Pd: “Cercano di farci passare come ispiratori di questo gesto, è fuori luogo”. La Gelmini: “Lei non si corregge, e di questo mi dispiace”. La Bindi: “Lei è giovane: non sa che io ho visto morire per terrorismo una persona che amavo. Io non uso mai le parole odio, nemico...”. La Gelmini: “Cosa pensa di quel che ha detto Sonia Alfano ?”. (l’esponente Idv pur condannando la violenza non ha voluto esprimere solidarietà al Cavaliere, n.d.r.) E la presidente del Pd: “Non è quello che ho detto io. Ma lei cosa pensa di Brunetta che invitava la sinistra ad andare a morire ammazzata?”. Più tardi si replica, con Cicchitto. La Bindi non si arrende mai.
Rosy duella dalla Gruber e da Vespa. La Gelmini: “Ritratti!”. E lei: “Gli insulti di Brunetta?”
Figaro, Francia “Gli attacchi agli altri capi di Stato”
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l quotidiano vicino alla maggioranza di governo francese, oltre all’articolo sulla notizia, raddoppia con un ricordo di tutti i casi simili, gli attacchi subiti in passato dai capi di Stato e di governo.
New York Times, Usa ”Il problema sicurezza”
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ggressore rompe il naso a Berlusconi”, titola il quotidiano statunitense che dedica all’accaduto anche una foto in prima. E approfondisce le problematiche della sicurezza e le tensioni politiche degli ultimi giorni.
Clarín, Argentina “L’attacco e l’ospedale”
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l quotidiano di Buenos Aires mette in prima pagina la foto del premier ferito e titola “Berlusconi aggredito finisce in ospedale” e parla poi dei problemi psichiatrici dell’aggressore che è stato subito fermato.
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Martedì 15 dicembre 2009
Il ricovero probabilmente durerà fino a domani mattina
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PDL ALL’ATTACCO
erlusconi dovrà rimanere ricoverato almeno fino a stasera. Ma potrebbe dover restare in ospedale anche fino a domani mattina, perché “le fratture ossee richiedono un attento monitoraggio”. Come ha dichiarato il medico di fiducia, Alberto Zangrillo, nel bollettino medico diramato ieri a mezzogiorno, il premier ha
continuato ad avere forti dolori al viso e fatica a mangiare per la frattura del setto nasale e di due denti incisivi: per questo è stato sottoposto a terapie anti-infiammatorie e antibiotiche e ha il viso fasciato. I parametri vitali sono rimasti perennemente stabili, con l’unica anomalia emersa dagli esami clinici un abbassamento dei valori dell’ematocrito in
seguito all’abbondante perdita di sangue, almeno mezzo litro. Anche se l’operazione chirurgica è stata scongiurata, la prognosi dovrebbe essere di almeno 25 giorni, contro i 20 previsti dopo la prima diagnosi. Zangrillo ha parlato anche delle condizioni psicologiche di Berlusconi che sarebbe “tranquillo, ma amareggiato”.
B. FERITO, DESTRA ALLO SCONTRO
I falchi preparano una manifestazione, Maroni punta a spaccare l’opposizione di Sara
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tutto solo rimandato. L'aggressione a Berlusconi ha fatto calare la tensione politica e l'imminente implosione del Pdl sull'altare delle leggi ad personam, ma si tratta solo di un'apparenza. "I nodi politici - spiega Giorgio Straquadanio, fedele uomo del premier - restano esattamente gli stessi e, nell'impossibilità di Silvio di farlo direttamente, ci sono altri che vigileranno sulle scadenze e sui segnali politici che attendiamo in merito". Il fuoco, dunque, resta acceso anche se l'incidente ha costretto gli uomini più vicini al premier a cambiare la strategia sulla breve distanza. "Al momento - sostiene Mario Valducci, considerato un falco del Pdl - tutte le nostre attenzioni non possono che essere puntate alla pronta guarigione del premier ma nulla ci vieta di prendere in considerazione la possibilità di una grande manifestazione di popolo per festeggiare, a tempo debito, la sua guarigione, se lui lo vorrà". Sarà un vero e proprio ‘Berlusconi-day’ contro la violenza di piazza e nelle parole della politica. Ieri sono tornati a parlarne con convinzione Fabrizio Cicchitto, Daniele Capezzone e Gianni Alemanno. Ci sono già due possibili date (il 13 o il 20 febbraio) e un luogo (piazza San Giovanni a Roma). Insomma, le mac-
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chine della propaganda berlusconiana sono tutt'altro che ferme; lo sfruttamento mediatico dell'aggressione e delle sue conseguenze non conoscerà mezze misure. Ma quanto avvenuto domenica a Milano ha determinato un cambio di passo nelle priorità di Berlusconi. Se solo qualche giorno fa il tema delle elezioni anticipate sembrava il filo rosso conduttore dello scontro intestino all'interno del partito, ora la barra si è spostata tutta verso le riforme costituzionali e la loro urgenza; la lunga e tormentata mediazione, operata da Gianni Letta nei giorni scorsi per ricucire anche un rapporto con il Quirinale che appariva fortemente compromesso, avrebbe sortito l'effetto di convincere il premier della necessità di aprire un tavolo al più presto sul cambio della Costituzione. Quanto
IL REBUS VERONICA
“Gli telefona o no?”
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er tutta la giornata, una domanda ha accompagnato giornalisti, conduttori televisivi impegnati in una non stop mediatica, cittadini comuni: Veronica Lario, almeno per qualche momento, deporrà l’ascia di guerra e andrà a trovare il marito, ferito, dolorante, amareggiato? Ci si chiedeva quali sarebbero state eventualmente le modalità della signora: una visita breve, una passerella davanti alle telecamere, o magari un rapido ingresso, segreto e personale? Alla fine della giornata, l’Agi batteva la notizia: la (quasi) ex signora Berlusconi pur solo con una telefonata si è fatta presente. Un gesto ”affettuoso e premuroso”, secondo il Cavaliere. Peccato che poco dopo Palazzo Chigi ha smentito: da Veronica nessuna telefonata.
condiviso non è dato sapere, ma fonti vicine a Berlusconi confermano l'idea del Capo di raggiungere l'obiettivo "anche senza l'opposizione e anche senza Fini, se lui non ci dovesse stare". Perché la priorità delle priorità resta la riforma della giustizia e la separazione delle carriere dei giudici. ''Tutti concordano sulla necessità di fare le riforme - ha sottolineato infatti il ministro Matteoli opposizione compresa. E nessuno, comprese le forze dell'opposizione, è favorevole ad elezioni anticipate; quindi, se tutto questo e' vero, apriamo un tavolo di confronto lasciando perdere tutto il resto''. Ieri, intanto, tutto l'entourage di Silvio ha dato sfogo all'emozione e ai sentimenti. I suoi più fedeli servitori si sono stretti intorno a lui soprattutto per confortarlo visto che si alimenta male e i dolori si fanno sentire. "Sono un miracolato" , ha detto a Paolo Bonaiuti: "Berlusconi comincia a sentire ora gli effetti del colpo di ieri - ha riferito ancora il portavoce - che si è ripercosso soprattutto sul
Marina Berlusconi. In basso, Paolo Bonaiuti (FOTO GUARDARCHIVIO)
Il Cavaliere a Don Verzé: “Io voglio bene a tutti, non capisco perché mi odino tanto” setto nasale. Tuttavia il Presidente è un leone, un grande combattente e metabolizzerà anche questo attacco improvviso che è avvenuto nella sua Milano". Quello che, però, sta destando sempre maggiore preoccupazione tra i suoi sono state le verifiche del ministro dell'Interno, Maroni, sulla questione legata alla sua sicurezza personale. "Ha rischiato di essere ucciso", ha enfatizzato
ieri pubblicamente il ministro leghista facendo inevitabilmente alzare il livello di emozionale dei fedelissimi che questa mattina alla Camera si preparano ad una singolare conta degli "uomini dell'odio" nei banchi dell'opposizione. Maroni farà una relazione sui fatti di piazza del Duomo al termine della quale gli uomini del premier si immaginano di "poter vedere l'intero arco dei partiti esprimere solidarietà al premier - sostiene Straquadanio - isolando quelle voci fuori dal coro come quelle di Di Pietro e della Bindi". In buona sostanza,
nel Pdl ci si augura di vedere spaccarsi l'opposizione vanificando così quel "fronte anti Silvio" , evocato dall'ex alleato Casini, che tanto disturbo aveva creato a Berlusconi prima di scendere in piazza a Milano perchè rappresentativo del "fronte dell'odio contro di me". Così aveva detto a Bonaiuti, così ha ripetuto ieri a Don Luigi Verzè, presidente del San Raffaele, che è andato a portargli "anche il conforto dei sacramenti". "Berlusconi è molto provato - ha raccontato - soprattutto perchè non comprende il perchè lo odino tanto; "io voglio bene a tutti", mi ha detto, ma era veramente provato, umiliato da questo sentimento che sente inspiegabilmente correre contro di sè".
MAGGIORANZA
FINI E I SUOI COSTRETTI ALLA TREGUA di Wanda Marra
opo mesi di conflitti durissimi e Dfranco di toni esasperati, ieri per GianFini e per i suoi è stata la giornata della solidarietà umana e personale. Il presidente della Camera è andato a trovare Berlusconi al San Raffaele di buon mattino, alle 10 e mezza. Una visita di una ventina di minuti, alla larga dai cronisti. Nessuna dichiarazione all’uscita, se non poche parole del ministro della Difesa La Russa, che lo ha accompagnato: il premier è stato “molto contento”, afferma, dicendo che i due “non hanno parlato di politica”. Lo stesso portavoce di Fini parla di un incontro molto umano, privato e personale. Senza toccare temi politici. La consegna, dunque, è che non si parla di politica. D’altra parte, la terza carica dello Stato domenica sera era stato uno dei primi ad esprimere con nettezza la condanna dell’aggressione subita dal capo del Governo: “Solidarietà doverosa e condanna di un gesto di
violenza che non può e non deve in alcun modo essere né minimizzato né giustificato”. Una dichiarazione che dà l’imprinting all’atteggiamento dei suoi. Che quanto accaduto al Cavaliere entrerà in qualche modo anche nel gioco politico, comunque, è un dato di fatto. Come primo effetto, ieri, almeno per un giorno, il dissenso interno non si è fatto sentire. Tra le possibili conseguenze, potrebbe certamente esserci anche quella di ricompattare il centrodestra. Come, fino a quando e fino a che punto resta tutto da capire. Il direttore del Secolo, Flavia Perina, lo dice: “È il momento di fare un passo indietro, da parte di tutti. Evitando sia le dichiarazioni come quella della Bindi, e di altri (il riferimento è alle parole di Di Pietro, n.d.r.) che i toni esasperati nel centrodestra, come per esempio quelli usati dal Giornale che ha indicato come ‘mandanti’ dell’aggressione anche alcuni componenti del Pdl. Questo è il momento in cui uno si ferma e riflette. Si può fare un passo verso il baratro, o fermarsi prima”. La Perina, pur ribadendo che “il centrosinistra ha le sue colpe per quanto accaduto”, non esita
Perina: “Dobbiamo fare tutti un passo indietro e riflettere i toni sono troppo esasperati”
a dire che l’atteggiamento giusto è quello di Bersani, che “viene dal Pci che gli anticorpi a questo tipo di situazioni ha potuto svilupparli. Dall’aggressione a Togliatti in poi”. Tra le righe, si capisce che in questo modo è ancora possibile considerare il segretario del Pd una sponda non tanto per il presente, quanto per il futuro. Anche sulla strada del “fronte unico” per la democrazia proposto da Casini, prima di domenica, in quella che adesso sembra quasi un’altra era della politica italiana. “Quella è un’ipotesi di cui ha senso discutere solo se si parla di elezioni. Che però sono fuori discussione perché non le vuole nessuno”, dichiara la direttrice del Secolo. E partendo dal presupposto che i toni vanno abbassati si dice anche in disaccordo con la proposta di Maroni di oscurare i siti internet. Fabio Granata, invece, tra i deputati che in questi mesi hanno portato avanti con più forza le posizioni del presidente della Camera la trova una proposta accettabile. Ma anche lui sottolinea la necessità di “portare il dibattito politico su toni meno esasperati”. Questo però, afferma, non significa fare passi indietro sulle questioni di merito, dalla cittadinanza agli immigrati, alle questioni della giustizia. L’impressione, però, è che anche tra i finiani si sia aperta una fase di riorganizzazione.
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Martedì 15 dicembre 2009
Fnsi: atto incivile ma non è colpa della stampa
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SPECULAZIONI
ibadiamo ancora una volta la condanna più netta di quell’atto incivile, intollerante, gravissimo. Non c’è polemica, non c’è distanza politica e culturale che possa giustificare il ricorso alla violenza. Questa è la nettissima posizione del sindacato dei giornalisti. Siamo affezionatissimi al confronto anche più aspro, ma che deve
rimanere un confronto di idee, di posizioni, di parole”. Lo ha detto il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, Roberto Natale, riferendosi all’aggressione al premier Berlusconi. “Giudico infondati e anche un po’ sconsiderati – ha però aggiunto Natale – alcuni commenti che da ieri sera abbiamo sentito. L’idea che il gesto inaccettabile di un
uomo sia figlio o nipote di certe trasmissioni o di certi giornali è un’idea che respingiamo anch’essa nel modo più fermo. Qualcuno ieri sera ha parlato di figli di Scalfari o di nipotini di Annozero. Nessuno provi ad usare quello che di gravissimo è successo ieri sera in piazza del Duomo a Milano – ha concluso – per dare un colpo alla libera informazione”.
NEI SALOTTI TELEVISIVI SI PROCESSA L’OPPOSIZIONE Si cerca il “mandante” tra i giornalisti sgraditi E va in scena l’attacco finale ad Annozero di Carlo Tecce
e immagini vanno fermate alle 17 e 30 in punto. La televisione è stanca, avvitata su impressioni e ragionamenti che sfuggono alla cronaca essenziale: un malato di mente ha scagliato un oggetto contro il presidente del Consiglio. L’inviata della Vita in diretta (Rai Uno) gira e rigira tra le mani una statuetta di resina che raffigura il Duomo di Milano, la mostra con delicatezza per l’occhio della telecamera. Zoom. Un feticcio: “Ecco, con questo Duomo in miniatura è stato ferito Berlusconi. Il souvenir costa 10 euro. È andato a ruba tra le bancarella della piazza, raccontano che ne hanno venduti molti come regalo natalizio per gli agitatori che criticano il governo”. La televisione trasmette da ore il viso sanguinante di Berlusconi, il corpo sofferente che sul predellino ha parlato con lo sguardo. Lasciando a chi guardava, e chi in quel corpo concentra sentimenti estremi, le interpretazioni di una notizia non più di cronaca: un caso politico di fazioni e strategie. Anche di scaramucce. A Speciale Tg1 c’era Fabrizio Cicchitto che processava tv e giornali. Il baccano è una buona compagnia per accusare Michele Santoro e - parafrasando il comunicato dei senatori del Pdl - promuovere la chiusura di Annozero. Il sangue era un pretesto, la politica l’argomento. Così Lamberto Sposini, conduttore della Vita in diretta, prova a rientrare nel politichese chiedendo a Pier Ferdinando Casini: “Quel gesto ferma la vostra apertura al centrosinistra?”. Il telespettatore distratto potrebbe capire che Massimo Tartaglia sia un militante del Pd o un iscritto dell'Idv. Ma il presidente dell'Udc era intervenuto per sottrarsi al gioco del colpevole inaugurato da Alessandro Sallusti: “Il fuoco amico ha armato quel folle. C'è una copertura politica”. Il condirettore del Giornale è onnipresente dalla sera prima, nel ruolo del parente stretto della vittima che deve accusare i nemici. Gli aggressori, al plurale. Casini querela
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Silvio Berlusconi e in basso, Augusto Minzolini (FOTO ANSA)
IN PRIMA PERSONA
TRA MANDANTI E SICARI di Oliviero Beha
a ieri sono o sarei un “mandante morale” del lanDcontro ciatore poco devoto di souvenir della Madonnina il premier. Me lo ha detto con la consueta finezza il condirettore de Il Giornale a Omnibus, su La7, ieri mattina. La cosa avrebbe poco interesse, anche perché gli ho risposto sul momento, se il ragionamento non portasse altrove. La questione dei “mandanti” cui solo una commovente prudenza giornalistica abbina l’aggettivo “morali” (ma allora non è meglio “immorali”, accusa proveniente da chi è invece “amorale” per professione?), porta direttamente alla libertà di opinione e di espressione, al concetto di democrazia e alla sua messa in pratica, alla strumentalizzazione di ogni idea, fatto, notizia. Il risultato è due fazioni in lotta disonestamente equiparabili, in una sorta di “tutti contro tutti” spacciato per un “tutti contro uno”, naturalmente il Cavaliere ferito. Non basta dargli come è ovvio la propria solidarietà, corredata da una condanna di questa complessiva corsa alla barbarie e da una obiezione di coscienza nei confronti di Di Pietro, che ha sbagliato tempi e associazioni di idee a caldo, a presidente sanguinante sul predellino. Se tu dici che è un precipizio al quale Berlusconi ha pesantemente contribuito in una rissa continua mediaticamente spinta all’estremo, per i suoi interessi elettoralistici e personali, sei un “mandante”. Se chiedi che si faccia processare sperando italianamente in una sua assoluzione per l’immagine di tutti, sei un mandante. Se ricordi che non c’è assoluzione senza processo, sei un mandante. Se ricordi che cinque anni fa il tizio del treppiedi a Piazza Navona non venne collegato al “clima di odio”, eppure quell’episodio ci fu, e non venne preso sul serio (come non sarebbe stato preso sul serio il tizio di domenica se avesse colpito qualcun altro), sei un mandante. Se cogli questo brutto episodio come occasione non per una sgradevole pubblicità martirologica bensì per una rivisitazione di una democrazia svuotata o svanita o svenuta, per responsabilità non solo di Silvio ma sostanzialmente di tutta la classe politica, sei un mandante o in questo caso almeno un “mandantino”, dal momento che non è contemplato uno che non se la prenda solo con Berlusconi ma culturalmente e antropologicamente con un’intiera classe dirigente. Se poi il Sallusti del caso non capisce o non vuol capire, ti attribuisce un secondo dopo cose che non hai detto e magari neppure pensato un secondo prima. Morale, diffidate dei “mandanti” ma guardatevi intanto dai “sicari”.
Sallusti, una nota che scivola tra i fraintendimenti di una giornata strana. Iniziata presto a Ominbus (La 7), anticipando un copione replicato da una rete all’altra: Sallusti o Feltri o una firma di Libero versus un deputato o un critico del centrosinistra, in un Parlamento videocratico. Le voci diventato un coro: “Campagna di odio. Clima velenoso”. La televisione pubblica o commerciale vorrebbe decriptare il pensiero di Tartaglia e poi sentenziare, nei tempi previsti dal palinsesto. Pomeriggio Cinque va oltre: “Lo vogliono morto”, il titolo è declinato al presente perché Tartaglia è un singolo “episodio” di una violenza “trasversale”. Barbara Palombelli generalizza: “Questa violenza potrebbe colpire chiunque”. E il marito Francesco Rutelli: “Attenzione. Ci sono dei professionisti incendiari”. Alessandro Meluzzi (psichiatra) sforna una perizia: “Il vero movente è il clima”. Barbara D’Urso si fa ambasciatore: “Noi italiani”. E consegna il microfono a una signora del pubblico. Grida: “Dobbiamo chiudere internet, presto!”. Perché consumati i telegiornali del pasto, e imbozzolata la mera cronaca dall'ospedale, il Tar-
taglia è moltiplicato. Sono Tartaglia gli screanzati che inneggiano a lui su Facebook, i turisti che comprano il Duomo. “Sobillati dalla Bindi e da Di Pietro”(Vittorio Feltri), “dai manifestanti del No B Day” e “dal metodo Grillo” (Vittorio Sgarbi). A Sky Tg 24 pensano che dietro Tartaglia si nasconda “una spirale di odio”, a il Fatto del Giorno (Rai Due) alcuni ospiti scoprono “un mandante politico”. Sposini può insistere: “Che succederà? Quali alleanze ci saranno?”. È un giorno inadatto per discutere di politica. Guai a tirare nella canea sostanza seria: processi brevi, legittimi impedimenti, riforme condivise. L'opposizione a Berlusconi è fisica e totale: dinanzi a quel volto tumefatto, la minoranza arretra. Deve: “Non possiamo fare riferimenti politici, rischiamo di allinearci a Tartaglia”, spiega Manuela Palermi dei Comunisti italiani. I tg leggono i referti medici, ma sembrano poco interessati alla salute di Berlusconi, provano a strumentalizzare: convertire un attentato in azione politica. A cena Augusto Minzolini serve la suggestione storica: “Questa è la parodia degli anni ‘70 - dice il direttore del Tg1 - che portarono al piombo. Oggi come ieri ci sono cattivi maestri. È venuto il momento di dire basta. Dobbiamo isolare chi, anche in Parlamento, trasforma un rivale in un nemico da abbattere”. Per la buonanotte c'è Bruno Vespa. Porta a Porta anticipa alle 21, convoca i telespettatori per rasserenare. Tema: “Violenza e politica”, perché Tartaglia in quel momento era un folle e pure altro, un’icona politica. Questa mattina, ore 7.45, si ricomincia con Omnibus, sino a sera con Ballarò: Pd e Pdl, Idv e Udc. Disposti sulla tribuna politica, stavolta truccata dall’emozione e dal naturale rispetto per un uomo ferito.
Le tv sono invase da commentatori ed esperti. E il gesto di un folle alimenta la voglia di far tacere Santoro e Travaglio
LETTERA 22
“MASS MEDIA CHE ISTIGANO ALLA VIOLENZA” G iornalisti contro giornalisti. A differenza di quanto affermato dal presidente della Federazione nazionale della Stampa, Roberto Natale, l’associazione “Lettera 22” ieri ha tuonato “contro chi dai mass media istiga alla violenza”, per bocca del suo presidente Paolo Corsini. “Proprio perchè ci occupiamo di comunicazione – gli ha fatto eco il segretario, Marco Ferrazzoli – abbiamo il dovere di denunciare il clima di incitazione alla violenza che, come ha detto perfettamente Benedetto XVI, inquina molte coscienze, tra le quali quella dei soggetti più labili come l’aggressore del
presidente del Consiglio”. La colpa sembra essere, dunque, quella dei giornalisti “che istigano a delinquere”, contro i quali “esistono leggi precise, che vanno applicate con fermezza, così da stroncare un clima che, ai meno giovani tra noi, ricorda in modo inquietante quello che segnò gli anni di piombo. Anche allora molti intellettuali e scribacchini, comodamente trincerati dietro uno strumentale richiamo alla libertà di stampa e di espressione, fiancheggiavano i militanti della lotta armata con appelli all’odio di classe e con subdoli distinguo nelle condanne contro i terroristi”. Alta (si.d’o.) considerazione per i colleghi.
DETTI E FATTI ì
Hoshyar Zebari Milano come Baghdad
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Italia come l’Iraq. “Abbiamo visto che neppure a Milano o a Roma gli apparati riescono a garantire una sicurezza totale”: è il commento del ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, nel corso di una conferenza stampa alla Farnesina. Zebari ha espresso “ferma condanna e disapprovazione per l’atto criminale e odioso”.
D’Addario Solidarietà al premier
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omento di pacatezza e solidarietà per Patrizia D’Addario, che ha deciso di rinviare la presentazione del suo libro, originariamente prevista per oggi a Roma, dopo l’aggressione al presidente del Consiglio. In una nota, la escort e la casa editrice esprimono “solidarietà al premier Silvio Berlusconi e ritengono opportuno rinviare la presentazione del libro”.
Tavernier Così diventa un martire
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l rischio è di farne un martire. Lo ha detto ieri il regista Bertrand Tavernier. “E’ un po’ strana – ha proseguito – questa ondata controproducente di manifestazioni esacerbate contro uomini politici che rischiano solo di farne dei martiri; per liberarci di certi narcisisti, più della violenza il metodo migliore è ricoprirli di complimenti sempre più esagerati fino ad annegarli nel ridicolo”.
Partigiani Rispetto è nella Costituzione
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a battaglia politica è una cosa, altra cosa è la garanzia del rispetto alla persona che la nostra Costituzione e il vivere civile garantisce. Come uomini ispirati dalla resistenza desideriamo dire: signor presidente si rimetta in piena salute quanto prima”. Sono le parole di Armando Sarti, presidente dei partigiani della Bolognina.
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Guardato a vista in isolamento Oggi la convalida
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FOLLIA
i svolgerà questa mattina l’interrogatorio di convalida di Massimo Tartaglia, l’uomo che domenica pomeriggio ha scagliato un souvenir contro il presidente del Consiglio Berlusconi. Ieri il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, ha inviato al gip la richiesta di convalida del fermo. A decidere sarà il giudice Paola Di
Censo. Intanto Tartaglia resta recluso nel carcere di San Vittore, in una cella di isolamento e guardato a vista. L’accusa nei suoi confronti è quella di lesioni personali pluriaggravate da premeditazione e dalla qualifica di pubblico ufficiale della parte offesa. Nel caso in cui venisse dichiarato colpevole, al termine del processo, gli potrebbe essere inflitta una pena
dai cinque mesi e mezzo a cinque anni e mezzo di reclusione. L’aggravante della premeditazione scatta a prescindere dalla querela di parte. I giudici dovranno però valutare la personalità di Tartaglia e i suoi risvolti psichiatrici. Non è escluso che la detenzione cautelare, in attesa del processo, possa avvenire all’interno di un luogo di cura.
TARTAGLIA L’ELISIR INFRANTO DOPO IL GESTO VIOLENTO LETTERA DI SCUSE AL PREMIER di Michele de Gennaro
e Leo Sisti
Milano
n atto superficiale, vigliacco e inconsulto”. E’ arrivata in serata la notizia della lettera inviata da Massimo Tartaglia al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. L’aggressore, che oggi sarà sottoposto all’interrogatorio di convalida del fermo, dopo la richiesta avanzata ieri dal procuratore aggiunto Armando Spataro, ha espresso il suo dispiacere per l’accaduto. Durante l’interrogatorio di domenica sera, durato un’ora e mezza, Tartaglia ha motivato il suo gesto dichiarando una forte avversione nei confronti delle politiche del Pdl e del premier in particolare. Al momento dell’arresto gli uomini della Digos hanno trovato nella borsa che aveva con sé un accendino da tavolo, una bomboletta di spray urticante e uno spuntone di plexiglass di 20 centimetri. Oggetti che Tartaglia aveva portato da casa, dalla quale è uscito in tarda mattinata senza dire ai genitori dove si stesse recando. A questi vanno aggiunti altri tre oggetti che l’uomo ha comprato in un chiosco una volta giunto in piazza Duomo: un crocefisso, una grossa pietra di quarzo e la miniatura della cattedrale che ha poi scagliato contro Berlusconi. Col passare delle ore, il profilo dell’aggressore diventa sempre più nitido. Il 42enne viveva con i genitori in una palazzina nel centro di Cesano Boscone, piccolo comune alle porte di Milano. Appassionato di elettronica, ha frequentato l’Istituto tecnico di Corsico. Nel 1986 si iscrive alla facoltà di ingegneria elettronica presso il Politecnico di Milano ma dopo un anno lascia gli studi accademici e va a lavorare nella piccola azienda di apparecchiature elettroniche del padre Alessandro. Fin da quel momento Massimo
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ha un sogno: fare fortuna con una sua invenzione, Elisir, uno specchio elettronico con effetti grafici sollecitati dalla voce e dai rumori d’ambiente. Un progetto che non andrà mai in porto. Da almeno dieci anni Tartaglia soffre di problemi psichici e assume regolarmente dosi di Entact, un farmaco antidepressivo. Per sei volte è stato ricoverato in day hospital nel reparto di psichiatria del Policlinico di Milano e, dal 2003, è seguito periodicamente da una psicologa, L.M, che sta preparando una relazione dettagliata sul paziente da inviare agli inquirenti e che si dice “preoccupatissima”. Un individuo chiuso in se stesso, ma educato, con pochi amici e senza fidanzata, come dichiarano i condomini della palazzina di via Giusti in cui abitano i Tartaglia. Tra questi alcuni dicono di averlo sentito spesso gridare in casa e prendere a calci i muri dell’appartamento. “È molto irascibile”, conferma Alberto Fortini, socio dal 2004 al 30% con padre e figlio Tartaglia di Al.Ta.Tek, piccola azienda di
Corsico specializzata nell’assistenza per obliteratrici elettroniche dove Massimo curava l’amministrazione. “Si arrabbia molto facilmente – dice Fortini – è vero, alza la voce e se non la pensi come lui è meglio lasciar perdere. Però non avrei mai immaginato potesse compiere un gesto simile. Ho saputo dei suoi problemi psichici dal paElisir, i quadri creati da Tartaglia dre, che si è confidato Gli articoli de Il Giornale e di una con me dopo che avevo rivista che nel ‘95 lo intervistarono avuto un’accesa discusdopo la sua scoperta. Un disegno sione con Massimo. È una persona difficile. di Tartaglia. Foto tratte da Myspace Qualche volta l’ho sentito criticare questo governo e ta all’informazione. Qui trascorBerlusconi, ma comunque par- reva molto tempo su internet ma lava molto raramente di politi- più che altro per curare i suoi ca”. E che Tartaglia non fosse un profili su Facebook e Myspace”. militante di alcun schieramento Fortini racconta anche che la politico, è confermato anche da- scorsa estate a Massimo Tartagli inquirenti. “Per esempio – glia è stata sequestrata la patente prosegue Fortini – non l’ho mai di guida, per aver sommato tropvisto arrivare al lavoro con un pe infrazioni al codice che hanquotidiano in mano. Non è una no esaurito i suoi punti. Intanto persona particolarmente atten- Cesano Boscone è assediata dai
giornalisti. Tutti in cerca di commenti sulla personalità dell’aggressore. Anche la signora al bancone del bar trattoria all’angolo della via dove vivono i Tartaglia viene interrogata a più riprese. Lo conosce di vista ma non ci ha mai parlato. Alle sue spalle, tra le bottiglie schierate su una mensola c’è una miniatura del Duomo. La prende e la soppesa tra le mani: “In effetti è un oggetto pericoloso, penso che lo toglierò da lì”.
Agli inquirenti ha parlato di motivazioni politiche, ma tutti riferiscono di problemi psichici
L’AMICA
“MI HA SEMPRE INTIMORITO, MA NON PENSAVO ARRIVASSE A TANTO” di Silvia
D’Onghia
i ha sempre fatto paura, ma non avrei mai M pensato che potesse fare una cosa del genere”. Barbara Luna Festelli è una cantante genovese, che per vivere fa l’ottica. Ha conosciuto Massimo Tartaglia nel 2007 attraverso MySpace, quando viveva ancora a Genova. Poi, all’inizio del 2008, si è trasferita a Milano. “Lui si è presentato nel negozio dove lavoro a febbraio dello scorso anno – spiega – pensando di farmi una bella sorpresa. Ma io ci sono rimasta male, perché non avevamo affatto concordato quell’incontro. Oltre tutto conosceva alcuni particolari su di me che io non gli avevo
LO PSICANALISTA
di pa.za. e s.a.
“NON OPINIONI MA DELIRIO PERSONALE” L uigi Zoja, psicanalista, da anni si occupa dell’evoluzione storica della paranoia. “I mass media hanno amplificato le patologie latenti” dice , ma mette in guardia dalle semplificazioni: “Se quel gesto fosse stato compiuto da una folla si potrebbe parlare di istigazione collettiva, di contagio paranoico. In un caso isolato, però, è difficile dirlo”. Le indiscrezioni sull’interrogatorio di Tartaglia parlano di una persona che non appartiene ad alcuna organizzazione e soffre di ossessioni senza alcun legame con la collettività. “Non sono opinioni
politiche ma delirio personale – ribadisce Zoja – La domanda è: fino a che punto il delirio può essere scatenato da opinioni esterne? Tutti abbiamo un potenziale paranoico, che convive con un pensiero ragionevole, che tiene sotto controllo le fissazioni. Negli psicolabili quel filtro è debole. E’ chiaro che i messaggi esterni influenzano: ma l’opposizione dice solo che Berlusconi è responsabile di tante cose, non dice di prenderlo a calci e pugni. La debolezza di questa persona è provata dal fatto che gli mancano dei filtri: recepisce una parte del messaggio ma non l’altra”.
mai riferito. Mentre gli facevo il controllo della vista, per esempio, mi ha detto: ‘Non dovresti usare i jeans a vita bassa, perché il tuo fidanzato potrebbe essere geloso’. Così sono venuta a sapere che aveva assistito, senza dirmelo, a un mio concerto, due mesi prima. Ma tutte le volte in cui gli ho chiesto come facesse a sapere tante cose di me non mi ha mai risposto. A un certo punto ho addirittura pensato che potesse essere mandato da qualcuno, magari da un mio ex. Ma tutte le indagini che ho fatto si sono rivelate negative”. C’è un altro episodio che Barbara ricorda con
un po’ di inquietudine, soprattutto alla luce di quanto accaduto domenica: “Lo scorso agosto il negozio cercava personale, così abbiamo messo un annuncio. Una persona mi ha risposto via mail, c’è stato uno scambio di informazioni, abbiamo concordato un appuntamento. Mi ha lasciato un numero di telefono, che io non ho riconosciuto. All’appuntamento si è presentato Massimo. Il colloquio (al quale era presente anche il nostro manager) è andato male, perché lui faceva domande strane. Ci ha addirittura chiesto se in zona c’erano slot machine, o discoteche”. Barbara ha appreso da Facebook che un certo Tartaglia aveva aggredito il premier: “Ero con un’amiBarbara Luna Festelli, cantante ca, ho pensato subito che potesse essere lui. Ma lei non ci credeva, pensava amica dell’aggressore fosse impossibile. Quando ho letto il nome di battesimo mi è venuto un colsu MySpace: po”. Ma la cantante non ha mai temuto per “Sapeva cose su di me la propria incolumità fisica: “E’ strano, che io non gli avevo mai detto” ma è sempre stato calmo. Mi chiedo come abbia potuto compiere un simile gesto. Ritengo sia una persona sola, che ha cercato di ottenere qualcosa in più dalla vita. Mi ha raccontato dell’azienda di famiglia in cui lavorava, che adesso andava male”. Massimo aveva parlato a Barbara dei suoi progetti, di quell’invenzione, “Elisir” (quadri che cambiano colore con la musica), che avrebbe dovuto cambiargli la vita. “Mi ha raccontato di averla fatta vedere a Claudio Cecchetto, il quale gli avrebbe promesso mari e monti, promessa a suo dire mai mantenuta. Nei messaggi che mi scriveva in Rete ha sempre usato un linguaggio particolare, separava le parole, scriveva frasi con un senso diverso da quello apparente. Pensi che il mio insegnante di recitazione, al quale avevo fatto leggere alcuni commenti, diceva che era un genio”.
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Il parere del Consiglio scatena lo scontro politico tra i poli
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EMERGENZA GIUSTIZIA
l parere del Consiglio superiore della magistratura sul processo breve ha scatenato lo scontro politico: per il vicepresidente dei deputati Pdl Italo Bocchino “il Csm continua a svolgere le funzioni di terza camera dello Stato esprimendo giudizi preventivi e non richiesti su leggi all’esame del Parlamento invadendone il campo d’azione”. D’accordo col
Csm invece Michele Vietti dell’Udc, che si augura “che il governo faccia tesoro dei rilievi del Csm sul processo breve e che, con la sua maggioranza, abbandoni questa strada che si rivela impraticabile”. Secondo il capogruppo dell’Italia dei valori in commissione Giustizia al Senato, Luigi Li Gotti “il disegno di legge è inemendabile e che così com’è rappresenta un
grave danno alla giustizia e ai cittadini perché decine di migliaia di processi verrebbero cancellati oggi e negli anni a venire, con buona pace di chi pretende giustizia e sicurezza”. E il Pd ha presentato 180 emendamenti in Commissione “per impedire l’approvazione di un provvedimento che ammazza gran parte dei processi italiani”.
CSM: “IL PROCESSO BREVE SAREBBE UNA AMNISTIA” Fabio Roia: questo progetto è uno Tsunami per la giustizia. Preoccupato anche Nicola Mancino di Antonella
Mascali
l plenum del Csm, che come anticipato, ha bocciato il processo breve, è stato preceduto da un attacco dall’interno. Il consigliere laico del Pdl, Gianfranco Anedda, ha espresso la sua “esecrazione” per l’aggressione a Berlusconi e ha detto che è frutto di un clima di odio a cui “non sono estranei i magistrati”. Per Anedda i principali responsabili sono i procuratori aggiunti di Milano, Armando Spataro e di Palermo, Antonio Ingroia. Le loro parole “eccessive” contro governo e maggioranza, sono state “indirettamente causa di violenza”. Le gravi accuse sono state respinte da altri consiglieri del Csm. Li-
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vio Pepino, di Magistratura democratica, le ha definite “inaccettabili”, Cirio Riviezzo, del Movimento per la Giustizia, “un atto di irresponsabilità politica”. Il togato di Magistratura Indipendente, Cosimo Ferri, ha preso le distanze da Anedda e ha chiesto, per il “clima difficile” che c’è nel paese, di rinviare il plenum. Ma il vicepresidente, Nicola Mancino, ha confermato e osservato che tira una brutta aria “perché abbiamo un sistema politico che mette una persona contro le altre”. La riunione straordinaria del Csm dunque c’è stata e si è conclusa con una caterva di critiche. Per rendere forte e chiara l’idea dei danni, il consigliere di Unicost, Fabio
Roia, ha definito il progetto di legge “ uno tsunami per la giustizia”. Secondo il Csm, si rischia seriamente “ una paralisi dell’attività giudiziaria”, senza contare che il ddl è incostituzionale (viola il principio del giusto processo, dell’obbligatorietà dell’azione penale, dell’uguaglianza dei cittadini), impedisce l’accertamento del reato e rappresenta un’amnistia per reati “di considerevole gravità”, come la corruzione e i maltrattamenti in famiglia. Ed è anche contro la Convenzione dell’Onu, firmata dall’Italia, che chiede più incisività nella lotta alla corruzione. A proposito di questa battaglia, ha scritto il Csm, con il processo breve si “rischia di impedire del tutto l’accertamento giu-
diziario” e quindi di “vanificare la lotta alla corruzione”. Questo reato “che tra l’altro incide anche sull’affidabilità economica del paese, è già stato pesantemente condizionato dai nuovi termini di preUna riunione del Csm
Polemiche per l’attacco di Anedda contro Spataro e Ingroia, accusati di alimentare odio politico scrizione previsti dalla ex Cirielli”. Durante il dibattito, che ha preceduto il voto, ha parlato persino il procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito, per far capire che non ci sono interventi a monte, in termini di risorse
e di riforme, per rendere davvero rapido il processo: “Il treno veloce della giustizia non può realizzarsi con una vecchia vaporiera e senza tener conto delle esigenze dei pendolari”. Ora questa sonora bocciatura, non vincolan-
te, è nelle mani del ministro Alfano, che deve consegnarla alla commissione Giustizia del Senato. Il Pdl vuole approvare massimo entro gennaio la legge che consente a Berlusconi di togliersi di torno, e senza neppure una sentenza di primo grado, i processi Mediaset-diritti tv e Mills. Non importa se, come ha detto Mancino, “invece della certezza della pena, abbiamo l’estinzione dei diritti”.
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Il sospetto degli inquirenti: esisteva un sistema per confondere le indagini?
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CRONACHE
l capo della Security Wind, Salvatore Cirafici, aveva creato un sistema per confondere le indagini delle procure? È su questo che sta indagando la procura di Crotone. Secondo un indagato, alcune utenze telefoniche “criptate”, sarebbero state affidate persino a uomini delle istituzioni. Nei mesi scorsi il pm Pierpaolo Bruni ha disposto l’ispezione della Wind. Sabato scorso, il direttore della “Security”
è stato arrestato, e dagli atti dell'indagine spuntano molti collegamenti con le due inchieste sottratte all'e pm Luigi de Magistris: Why Not e Poseidone. Se il sospetto della procura venisse confermato, quindi, saremmo dinanzi al più grande scandalo che abbia mai coinvolto una compagnia telefonica italiana: attraverso le schede Wind, Cirafici avrebbe potuto creare buchi nelle inchieste di tutta l’Italia. “Non posso escludere”,
dice l'indagato Enrico Grazioli, maggiore dei carabinieri, “che questo suo sistema di disporre di una serie di Sim cards su cui attestare numeri telefonici, insomma di renderle fruibili per effettuare chiamate ma non attribuibili a un soggetto, fosse congegnato in modo tale da non solo rendere impossibile di risalire alle utenze ma anche strumentale a confondere eventuali accertamenti disposti dall’Autorità Giudiziaria”.
SECURITY AI DOMICILIARI Lo scandalo Wind si allarga con l’arresto di Salvatore Cirafici
di Antonio Massari
o scandalo Wind s’allarga. Entrano in scena i servizi segreti, con il vice-direttore dell'Aisi Paolo Poletti e vecchie conoscenze delle indagini “Why Not” e “Poseidone”, come il senatore calabrese del Pdl Giancarlo Pittelli. L’arresto di Salvatore Cirafici, direttore della security Wind, ora rischia di diventare un ciclone. Parliamo dell’uomo che, per conto di Wind, ha gestito le richieste di intercettazioni avanzate dalle procure di tutta Italia: è agli arresti domiciliari dall'11 dicembre. È sta-
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to arrestato su richiesta del pm di Crotone Pierpaolo Bruni, che lo indaga per concorso in rivelazione del segreto d'ufficio, favoreggiamento, falso e induzione a rendere false dichiarazioni. L'inchiesta, che all'inizio si concentra sulle centrali energetiche del crotonese, vira sulla Wind quando il pm scopre un fatto strano: un maggiore dei carabinieri, Enrico Grazioli, sul quale stava indagando, sapeva di essere intercettato. Secondo l'accusa, glielo aveva riferito proprio
Qui sotto, strumenti per le intercettazioni; in basso a destra il boss dei casalesi Schiavone, detto Sandokan (FOTO ANSA)
Cirafici, ma questo è soltanto il primo passo. Il pm scopre che Cirafici è in grado di sapere, praticamente in tempo reale, che la procura di Crotone sta avviando accertamenti anche su di lui. Quando il pm Bruni chiede di accertare l'intestatario di un numero Wind, la società risponde che si tratta di un numero “disattivo”. Il pm insiste. Sa bene che quel numero è attivo: ha intercettato una conversazione, che il maggiore Grazioli intratteneva proprio con l'intestatario di quel cellulare, quindi non ha dubbi. Il pm insiste e la Wind, finalmente, risponde che quell'utenza, in realtà, non è disattiva: appartiene proprio a Cirafici. Nasce così un sospetto ulteriore: che esistano utenze “criptate”, “disattive” soltanto in apparenza, mentre in realtà sono operative. Il sospetto è grave. Il “sistema” potrebbe eludere qualsiasi indagine. S'era forse messo in moto un sistema, basato su uten-
ze “criptate”, che poteva consentire di depistare le indagini? È presto per dirlo. Ma è proprio il maggiore Grazioli a rivelare, durante un interrogatorio, d'aver saputo, dallo stesso Cirafici, che aveva “la disponibilità di schede telefoniche Wind non intestate e non riconducibili ad alcuno: erano quindi delle schede coperte, pertanto di pressoché impossibile riconducibilità a un soggetto, qualora fosse stata inoltrata specifica richiesta di intestatario da parte dell’Autorità Giudiziaria”. Non solo. “La tipologia di schede Wind di cui sopra”, continua Grazioli, potrebbero essere state “consegnate e date per l’uso anche a soggetti ricoprenti ruoli istituzionali di primo piano”. Nella richiesta d'arresto, poi disposta dal gip di Crotone Gloria Gori, si leggono nuovi, importanti retroscena. Grazioli aveva seguito, come investigatore della polizia giudiziaria, le indagini Why Not e Poseidone. Tra gli indagati all'epoca, poi archiviato, anche il senatore del Pdl Giancarlo Pitelli. Interrogato da Bruni, Grazioli rivela: “Ritengo che Pittelli e Carchivi (nessuno dei due è indagato) volessero uti-
Per conto della compagnia telefonica gestiva le richieste di intercettazioni delle procure di tutta Italia
lizzarmi come strumento per colpire appartenenti alle istituzioni che, secondo un loro distorto giudizio, compivano e compiono attività investigativa nei confronti di soggetti a loro vicini”. Poiché Grazioli e Pittelli entrano in contatto dopo Why Not e Poseidone, il riferimento è da intendersi a indagini successive, ma sono interessanti gli ulteriori passaggi dell'interrogatorio. Grazioli è interessato a un'assunzione nei servizi segreti. Cirafici mostra di volergli dare una mano. Ed è proprio per questo motivo, secondo l'accusa, che il direttore della Security Wind avvisa il maggiore che è sotto indagine: una pendenza penale, infatti, avrebbe compromesso l'operazione. Durante le intercettazioni, però, il pm sente nominare un certo “Paolino”. Di chi si tratta? Di Paolo Poletti, vice direttore dell'Aisi, e a spiegarlo è sempre Grazioli, che conferma l'interessamento di Cirafici, attraverso Poletti (non indagato, ndr), per un posto nei servizi. Ma in un altro passaggio Grazioli rivela: “Cirafici mi chiedeva di attivarmi al fine di conoscere il contenuto dell'investigazione di cui, io e lui, eravamo oggetto (quella di Bruni, ndr). Mi disse che avrebbe interessato Pittelli e Poletti per ricevere informazioni”.
I Casalesi al nord: 20 milioni di beni sequestrati a Parma E OGGI RIPRENDE IN CASSAZIONE IL PROCESSO “SPARTACUS” CONTRO SCHIAVONE E I PADRINI DEL CLAN di Vincenzo Iurillo
arma. Lo Stato si riprende il paPi pozzi trimonio di Gomorra e prosciuga dell’economia camorristica. Da mesi è in atto una intensa campagna di sequestri di beni e conti correnti riconducibili ai boss. Il bilancio globale è un miliardo di euro strappato ai clan, con 700 milioni già confiscati e più di 700 arresti. Ieri la Dia è salita al Nord per eseguire nuove misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di cinque prestanomi del clan di Michele Zagaria. Sottratti ai casalesi beni per un valore di 20 milioni di euro, tra cui immobili di lusso della riviera versiliana, della campagna cremonese, delle zone residenziali di Parma. É il filone del cosiddetto “capitolo Parma” delle inchieste condotte dal pm Raffaele Cantone, oggi magistrato di Cassazione, sui tentacoli della camorra casertana nel Settentrione. Filone raccontato negli articoli e nei libri di Roberto Saviano e Rosaria Capacchione. Grazie alla complicità di Aldo Bazzini, parente di Zagaria – una figlia di secondo letto, Francesca Linetti, ha sposato il fratello del boss, Pasquale – i casalesi dal 1994 sono riusciti a penetrare in alcuni dei principali appalti pubblici del Paese, tra cui l’alta velocità Napoli-Bari,
l’aeroporto di Grazzanise e il progetto della metropolitana aversana. Le misure di ieri seguono di pochi giorni il sequestro di beni per 20 milioni di euro al clan Somma, operante nel nolano, che era riuscito a finanziare le sue aziende con la legge 488 e grazie a quei fondi aveva acquistato due Ferrari. Mentre è di appena due settimane fa il maxi sequestro di 120 milioni di euro in proprietà riconducibili al clan Belforte di Marcianise, al clan Bidognetti di Castel Volturno e al clan Zagaria di Casapesenna: due ville, 39 appartamenti, 3 mansarde, due supermercati, 43 garage, 17 terreni, 15 società, 52 rapporti finanziari, 5 polizze assicurative, due milioni di euro tra contanti e libretti al portatore. A luglio invece la Dia ha sequestrato circa 50 milioni di euro di beni in gran parte controllati da Giuseppe Setola, l’uomo delle stragi del litorale domizio. La Gomorra del Nord. Saviano a marzo parlò in tv degli affari dei casalesi a Parma, ripetendo cose scritte in un vecchio articolo. “Quelle di Saviano sono solo ‘sparate’ di una persona che ha visto Parma di passaggio”, commentò il prefetto di Parma, Paolo Scarpis, entrando di fatto in polemica con lo scrittore e con la Dia che aveva definito l’area tra Reggio, Parma e Modena “La Gomorra del Nord”. In effetti è di Parma il pri-
mo imprenditore settentrionale condannato per camorra. Si chiama Aldo Bazzini ed è uno dei destinatari dei sequestri di ieri. Bazzini ha dissipato sui tavoli verdi di Montecarlo e Saint Vincent milioni di euro. Ma grazie a buoni agganci e alla disponibilità della cassaforte dei casalesi, attraverso Pasquale Zagaria, Bazzini ha saputo dare nuovo slancio alle sue attività economiche. Ieri mattina la Dia ha sequestrato diverse società con sede a Parma intestate a lui, ai figli Paolo e Andrea, e a Francesca Linetti: Nuova Costruzioni Nord, Ducato Immobiliare, la ditta individuale Bazzini Aldo, la Maisonnette Immobiliare e due residence. Sempre a Parma sono stati messi i sigilli a sei appartamenti e una villa su due piani di circa 250 metri quadrati con un garage in grado di accogliere otto auto. Spartacus. Intanto oggi inizia il processo di Cassazione “Spartacus”, che vede alla sbarra i padrini storici dei casalesi e un ventennio di potere camorristico. I primi due gradi si so-
no conclusi con sette ergastoli a Francesco Schiavone detto Sandokan, quattro ergastoli a Francesco Bidognetti, due a Michele Iovine e uno a Michele Zagaria. Iovine e Zagaria sono latitanti da quasi 15 anni. Sedici gli imputati che rischiano il carcere a vita, altri tredici hanno subìto pene non definitive tra i due e i trent’anni. Tra questi c’è Giuseppe Russo, ovvero Peppe o’ Padrino, condannato a trent’anni. La sorella di Russo ha sposato uno dei fratelli del sottosegretario Pdl all’Economia Nicola Cosentino, indagato in un altro procedimento per i suoi presunti legami coi clan.
N SCUOLA FALCONE
L’ennesimo atto vandalico
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uovo atto di vandalismo nell’istituto Falcone del quartiere Zen 2 di Palermo, dove sono state danneggiate la terrazza della palestra e il sistema di aerazione. Per il preside Di Fatta è un gesto intimidatorio che poteva essere evitato con più sorveglianza da parte delle forze dell’ordine.
REGIONE PIEMONTE
Ricorso contro il decreto Ronchi
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a Regione Piemonte ha avviato il ricorso contro le misure del decreto Ronchi, meglio nota come legge sulla privatizzazione dell’acqua. La giunta regionale, su proposta della presidente Bresso, ritiene che alcuni passaggi della legge portino a una “riduzione dei diritti fondamentali dei cittadini” e rappresentino “una prevaricazione dei poteri riconosciuti alle Regioni in forza del Titolo V della Costituzione”.
SCUOLE SUPERIORI
Consiglio di Stato: stop alla riforma
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l Consiglio di Stato dà lo stop alla riforma delle superiori . Palazzo Spada ha invitato infatti il ministero ai chiarimenti sui regolamenti approvati in prima lettura dal consiglio dei ministrii. Secondo il Consiglio di Stato l’attuale testo si spingerebbe al di là della delega ricevuta dal Parlamento che prevedeva la “ridefinizione dei curricoli vigenti” entrando nel merito della definizione delle quote di autonomia rimesse alle singole scuole nell’ambito degli indirizzi definiti dalle regioni.
TROMBA D’ARIA
Feriti a Catania quattro militari
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eri pomeriggio una tromba d'aria ha scoperchiato l'hangar della base elicotteristi dell’Aeronautica militare a Catania. Risultano feriti quattro avieri, ricoverati in prognosi riservata e interessati da fratture craniche e contusioni addominali. Per tre di loro le condizioni sono molto gravi.
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L’Amia: un colosso da 17 mila dipendenti per 650 mila abitanti
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STORIE ITALIANE
Amia spa è un colosso da 1700 dipendenti, assunti per coprire una popolazione pari a circa 650 mila abitanti. Se prendiamo a paragone una città come Roma, ecco che i numeri cambiano: nella Capitale, la municipalizzata impegnata nella raccolta dei rifiuti, l’Ama, vanta 6300 operatori, su una cittadinanza di
oltre tre milioni. Il suo buco costruito in anni di malagestione è arrivato a circa 179 milioni di euro. Sotto la lente di ingrandimento spese giudicate “pazze” come la trasferta ad Abu Dhabi i e la sponsorizzazione di un’imbarcazione off-shore guidato da un pilota locale durante una gara negli Emirati che si è
svolta nel 2006. In particolare, l’Amia ha speso circa 30 mila euro per consentire così al pilota locale Kalhed Al Mansouri di gareggiare in una corsa della formula uno del mare. In cambio, l’Amia ha potuto apporre il suo marchio nella carena laterale dell’imbarcazione, il tutto per far conoscere il suo nome all’estero.
PALERMO “CHIAMA” NAPOLI: L’IMMONDIZIA LA SOMMERGE Critica la situazione con le strade invase da cumuli. Sciopero degli operatori del settore di Andrea Cottone
dore nauseabondo, cumuli di rifiuti che straripano dai cassonetti e occupano interi marciapiedi per poi finire nella carreggiata. Gli automobilisti sono costretti a fare delle gincane per evitare di portarli con sé. L’immondizia assembrata, in periferia, arriva a lambire i balconi dei primi piani dei palazzi. Molti contenitori, in questi quartieri, sono già stati dati alle fiamme e aumenta la preoccupazione dei cittadini per l’emergenza sanitaria. Non parliamo di Napoli ma della situazione di Palermo che affonda nella “munnizza” nonostante gli operatori dell’Amia, la ex municipalizzata per la raccolta dei rifiuti, abbiano scioperato solo ieri. Dietro l’azienda, infatti, c’è una partita aperta al comune. Una questione economica ma anche politica. Gli operatori dell’Amia hanno
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BUONE NOTIZIE
manifestato a Palermo chiedendo garanzie sul futuro dell’azienda. Nel corteo campeggiava uno scheletro vestito con la divisa dell’azienda e con un cartello appeso: “Grazie ai politici così si è ridotta. Qui riposa Amia”. Lo stato d’agitazione dei lavoratori è stato indetto dai sindacati Cisl, Uil e sigle autonome. Non ha aderito la Cgil perché non ha intenzione “di essere strumento di giochi politici”. Perché, seppur lo sciopero è scattato solo ieri, Palermo è invasa dall’immondizia da dieci giorni. Per i lavoratori il problema è dovuto alla scarsità dei mezzi per la raccolta dei rifiuti. In realtà si tratta degli stessi mezzi che l’azienda ha a disposizione da due anni. Così, l’idea che passa è che gli stessi lavoratori abbiano attuato una sorta di ostruzionismo: rallentare la raccolta per generare il disagio. L’obiettivo sarebbe quello di far approvare entro il 20 di-
Palermo soffocata dall’immondizia (FOTO DI VALERIA LO IACONO)
cembre l’aumento di capitale, il primo passo per togliere l’azienda dai guai finanziari in cui si trova: 179 milioni di euro di “rosso”. Ragioni che hanno portato la Procura di Palermo a rinviare a giudizio gli ex vertici dell’Amia fra cui il senatore del Pdl Vincenzo Galioto e l’ex di-
a cura della redazione di Cacaonline
DAI RIFIUTI DI SAN FRANCISCO AL FOTOVOLTAICO DI VERONA Facciamo anche noi come Pier Se a San Francisco buttate una cartaccia in un cestino dei rifiuti questa, molto probabilmente, finirà nell’impianto californiano Pier 96, lo stabilimento di separazione dei rifiuti più efficiente del mondo. Al Pier 96 arrivano ogni giorno 650 tonnellate di spazzatura indifferenziata e, più del 70%, dopo diverse fasi di cernita e separazione, viene avviato al riciclo e torna a nuova vita. Basterebbero 6 di questi impianti per risolvere il problema rifiuti in Campania, con un notevole risparmio economico: una di queste centrali costa 26 milioni di euro, contro i 400 milioni spesi per l’inceneritore di Acerra.
Un calcio al solare In soli 5 mesi di lavoro la copertura dello stadio Bentegodi di Verona è diventata il più grande tetto fotovoltaico esistente su una struttura sportiva in Italia. 13.300 pannelli solari che saranno in grado di produrre circa 1 megawatt di energia elettrica all’anno. Il progetto è del comune in collaborazione con AGSM. Grazie a questa partnership, l’impianto non è costato nemmeno un euro all’amministrazione pubblica veronese. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
rettore generale Orazio Colimberti con le accuse di falso in bilancio e false comunicazioni sociali, si è dimesso. Il rosso nei conti ha anche fatto attivare il Tribunale fallimentare di Palermo che ha aperto un procedimento nei confronti della ex municipalizzata. La prima udienza è stata fissata per il prossimo 21 gennaio che è anche l’ultima data utile per approvare il bilancio preventivo 2010. Si fanno ormai stretti i tempi per “salvare” la ex municipalizzata. Il 30 novembre scorso è stato bocciato in consiglio comunale l’assestamento di bilancio. Decisivi i voti contrari del Pdl Sicilia, il nuovo gruppo consiliare che fa riferimento al sottosegretario alla presidenza, Gianfranco Micciché. Il piano predisposto prevedeva l’immissione nelle casse dell’Amia di 93 milioni di euro grazie al trasferimento del 49 per cento delle quote dell’Amg (l’ex municipalizzata del gas) e alla cessione di alcuni immobili patrimonio del comune. I restanti 80 milioni sarebbero crediti vantati.
L’ex municipalizzata ha un buco di 179 milioni di euro e rischia il fallimento E ora si deve correre, perché se entro il 19 dicembre il comune non predispone l’aumento di capitale, il cda di Amia viene sciolto, la società viene messa in liquidazione e deve essere nominato un commissario. Una prospettiva appoggiata dal centrosinistra che mira a istituire un commissario unico per tutte le ex municipalizzate del comune di Palermo. Mentre al contrario il centrodestra mira a salvare questo cda affinché porti l’azienda fuori anche dai guai giudiziari. Già stamane il presidente del consiglio comunale, il pidiellino Alberto Campagna, ha assicurato i lavoratori che “è stato avviato il percorso perché la delibera di ricapitalizzazione dell’azienda, redatta dagli uffici competenti,
possa essere discussa in consiglio comunale in settimana”. Maurizio Calà, segretario provinciale di Palermo della Cgil – che non ha aderito alla manifestazione odierna – spiega perché: “Non si capisce contro chi è fatto questo sciopero. Fino a venerdì c’era il problema legato al rischio che saltassero gli stipendi e la tredicesima. Ma il prefetto ha detto che le cose non stavano così, ha parlato con Guido Bertolaso e oggi Berlusconi avrebbe firmato un’ordinanza per anticipare al 2009 alcune cifre stanziate per il 2010. Invece lo sciopero si mantiene – continua Calà – secondo noi per salvare questo consiglio d’amministrazione”. Ma la soluzione appare lontana. “Il consiglio comunale dovrà approvare una ricapitalizzazione in cui ci sono beni che non hanno ancora nessuna valutazione ufficiale. Né per quanto riguarda il 49 per cento di Amg gas né sugli immobili”. La partita è ancora aperta anche perché, quando l’azienda sarà sanata, entro il 2011 dovrà essere ceduta ai privati. Un affare che fa gola se si prende in considerazione i fondi europei che sarebbero attivati contestualmente all’avvio della raccolta differenziata e alla costruzione dei termovalorizzatori.
Neve su L’Aquila e Abruzzo: chiuse le scuole e disagi per i terremotati PREVISTE PRECIPITAZIONI PER TUTTA LA SETTIMANA: LE SITUAZIONI PIÙ COMPLICATE SONO NEI PAESINI VICINO AL CAPOLUOGO arrivata, la neve. Dopo i problemi con il caldo di questa estate, è la volta Èterremotate. del freddo inverno che sta creando gravi problemi nelle zone Così L’Aquila e i paesi limitrofi sono stati ricoperti da uno spesso manto, dovuto alle precipitazioni di ieri notte. Per questo il comune del capoluogo ha chiuso le scuole. Ma i maggiori disagi li stanno subendo i paesi limitrofi a causa delle strade pressoché impercorribili. Così noi de il Fatto Quotidiano, abbiamo chiesto a “Sfollati news”, il settimanale indipendente dei ragazzi del campo di Villa Sant’Angelo, una testimonianza sulle attuali condizioni di vita. Anche in vista delle previsioni meteorologiche dei prossimi giorni, o settimane che recitano freddo e ancora freddo, con precipitazioni nevose sparse su tutto l’arco alpino.
In cittadine come Castel di Sangro sono stati raggiunti anche i trenta centimetri
di Pierpaolo
Scarsella
capoluogo è stato imbianIca.lcato da una fitta coltre bianIeri, scuole chiuse a L’Aquila a causa dell’abbondante nevicata nelle prime ore della mattina che ha rallentato le normali attività della popolazione aquilana. Il sindaco ha
disposto con un’ordinanza la chiusura di tutte le scuole. Il primo cittadino in questo modo si è assicurato di non creare ulteriori problemi alla viabilità delle strade, che negli ultimi mesi sono molto trafficate. Inoltre è stata disposta un’ordinanza provvisoria anche per la giornata di oggi, se il tempo fosse nuovamente peggiorato. La situazione, però, non ha creato nessun problema. La notizia, purtroppo, è stata resa pubblica solo verso le otto del mattino, quando già molti studenti dell’aquilano e dintorni erano già in viaggio per andare a scuola. Dopo che la notizia è stata divulgata dal telegiornale regionale la maggior parte degli studenti è tornata a casa. In alcuni casi gli allievi sono stati riaccompa-
gnati dagli stessi servizi pubblici, modificando in parte il loro normale tragitto, in altri casi i ragazzi sono stati costretti a chiamare i propri genitori per tornare a casa. In questo frangente però il comune de L’Aquila si è subito mobilitato per cercare di liberare più strade possibili, e con l’intervento dei mezzi dell’Anas (principalmente spargisale) quasi tutte le strade sono tornate praticabili nella prima mattinata. Infatti, nella giornata di ieri si è verificata una maggiore affluenza nei grandi centri commerciali della città; certamente la mattina di ieri ha permesso ai tanti studenti di fare shopping e comprare i regali di Natale. La situazione però è stata molto più difficile in altre parti
dell’Abruzzo: nel paese di Castel di Sangro nevica interrottamente già da un giorno, dove la coltre ha raggiunto i trenta centimetri. Questa nevicataha obbligato gli automobilisti che transitano per il paese o per la strada statale a mettere le catene per non provocare incidenti. Nell’area del Parco nazionale d’Abruzzo la neve ha raggiunto l’altezza di venti centimetri obbligando anche qui, l’utilizzo delle catene da parte degli automobilisti. Purtroppo rimane lo stato di allerta anche per la giornata di oggi e con molte probabilità anche per il resto della settimana, in seguito al bollettino meteo rilasciato dal centro Meteo Epson. Speriamo in un tempo migliore.
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Il gigante cinese tra accordi e accuse di plagio
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ECONOMIA E FINANZA
l nome Chery non è una novità assoluta: ha già incrociato prima la strada di Fiat. Il Lingotto ha discusso accordi e possibili collaborazioni con la casa automobilistica cinese già a partire dal 2006. Nel 2007 le due società avevano raggiunto un’intesa per la creazione di una joint venture. L’intesa era stata siglata ad agosto di due anni fa
dall’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, e dal presidente e ad di Chery, Yin Tongyao, con un memorandum d’intesa che prevedeva la creazione di una società comune, situata a Wuhu, nella provincia cinese di Anhui, con l’obiettivo di produrre e distribuire vetture Alfa Romeo e Fiat, oltre che modelli Chery, nella misura di 175mila automobili l’anno. L'avvio
produttivo era previsto per il 2009, ma secondo la stampa cinese l’attivazione della joint venture è stata rinviata in seguito alla crisi finanziaria mondiale. Chery è stata fondata nel 1997 dal governo di Wuhu (Anhui), una regione fortemente industrializzata dalla Cina orientale. È il principale marchio automobilistico indipendente cinese.
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I DIECIMILA DI TERMINI IMERESE “L’AUTO NON SI TOCCA”
SCUDO FISCALE
“Rientrati 110 miliardi”
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onto alla rovescia per lo scudo fiscale: oggi è l’ultimo giorno per regolarizzare i capitali illegalmente detenuti all’estero. I risultati sarebbero superiori alle aspettative: ovvero 110 miliardi, con un gettito fiscale superiore a 5 miliardi di euro.
Manifestazione dei sindacati Fiat nel corteo anche religiosi di Andrea
Cottone Palermo
iat e indotto: non si tocca”. Le parole incise in centinaia di magliette degli operai della Fiat e dell’indotto di Termini Imerese sono la perfetta sintesi di una giornata che ha visto sfilare nel comune del Palermitano 10mila persone, secondo le stime dei sindacati. Ma non sono solo operai a essere scesi in piazza nella manifestazione indetta da Fim, Fiom e Uilm, perché, come sottolineato da più parti, l’annunciata chiusura della produzione auto entro il 2012, mette in ginocchio un’intera economia e quel poco d’industria
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che esiste e resiste ancora in Sicilia. Il corteo che è partito da piazza Stazione, a Termini Imerese, ha visto accanto agli operai, migliaia di studenti delle scuole del comprensorio. “Mio padre lavora alla Fiat da 20 anni, anche mio zio e mio cognato sono operai della fabbrica. Sono molto preoccupato per il futuro della mia famiglia: se chiude la Fiat cosa facciamo?”, si chiede uno studente di 18 anni sceso in piazza insieme ai suoi insegnanti. “Siamo qui per difendere la nostra fabbrica – dice un docente dell’istituto per geometri se dovesse chiudere sarebbe un dramma sociale. In questi giorni ne abbiamo
Tutto il paese è sceso in piazza Dubbi sulle aperture del ministro Scajola ai cinesi
discusso molto con gli studenti”. Al passare della folla in marcia - fra cui si distinguono vigili urbani che portano i gonfaloni dei comuni del comprensorio – i commercianti per solidarietà hanno abbassato le saracinesche in segno di lutto. E accanto agli operai, alla scuola, ai sindaci dei comuni del comprensorio, anche la chiesa. Nel corteo, infatti, anche un gruppo di preti e di francescani “perché le famiglie degli operai sono le nostre famiglie – dice un frate - condividiamo le loro preoccupazioni e li sosteniamo nelle loro iniziative”. A Nuova Dehli, dall’altra parte del mondo, intanto, il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, risponde a una domanda sull’interessa della cinese “Cher y” ad acquisire lo stabilimento termitano. “Noi vogliamo far crescere la produzione di auto in Italia – ha detto - ci auguriamo di farlo con Fiat ma siamo aperti a chiunque voglia venire”. Parole che si diffondo fra la gente in marcia e che scatenano le critiche dei sin-
La manifestazione di Termini Imerese (FOTO ANSA)
USA dacati. Roberto Mastrosimone, segretario cittadino della Fiom e memoria storica dello stabilimento spiega: “Io sono dipendente Fiat, ma non ne sono innamorato, soprattutto per come si sta comportando. Chery, Toyota, ne sono stati fatti di nomi, noi non diciamo no ma la Fiat e l’azienda italiana che ha avuto di più da tutti i governi. È immorale che dica ‘ora me ne vado’ dopo tutto quello che ha preso”. Per Mastrosimone, infatti, il governo dovrebbe essere più forte, “non può limitarsi a fare il notaio” soprattutto in un territorio dove la disoccupazione “è oltre il 50 per cento”. Ma a far preoccupare il sindacalista è anche l’ipotetico dopo-Fiat. “La zona industriale – racconta - potrebbero avvicinarsi a soluzioni che noi abbiamo da sempre osteggiato. Si parla di nucleare o di impiantare termovalorizzatori per risolvere il problema
dei rifiuti in Sicilia. Soluzioni che ci porterebbero anche a difficoltà dal punto di vista ambientale”. Il corteo si ferma al Duomo di Termini Imerese dove si alternano al microfono amministratori, sindacalisti e anche uomini di chiesa. “Lottiamo, non demordiamo, sprigioniamo le nostre forze per difendere la nostra fabbrica e i nostri posti di lavoro” ha detto l’arciprete Francesco Anfuso, da sempre vicino agli operai, esortando i più giovani: “state a fianco a noi. Voi siete la chiesa”. L’appuntamento è al prossimo 22 dicembre al tavolo di palazzo Chigi. “Sarà solo l’inizio”, conclude Mastrosimone che sottolinea come i governi di altre nazioni sono intervenuti, al contrario di quello italiano che “deve dare risposte a tutti i contribuenti italiani che per anni e anni hanno versato soldi per poi vedere la produzione delocalizzata”.
Sotto accusa l’impero Rotelli smacco per il futuro presidente Rcs una settimana e il passo formale delle notifiche è stato ritardato di un paio di giorni per un banalissimo problema materiale: l’enorme quantità di carta che serviva per stampare gli atti d’indagine. Ieri mattina gli uomini della Guardia di Finanza di Milano Giuseppe Rotelli (F A ) hanno infatti notificato la bellezza di 68 avvisi di chiusura indagini nei confronti dei di Francesco Bonazzi vertici amministrativi e di molti medici degli ospedali Galeazzi, Sant'Ambrogio e San Donato, tutti parte del ltre millecinquencento cartelle cliniche falsifica- Gruppo Ospedaliero San Donato . Secondo gl’inquite, decine di ricoveri inutili. E soprattutto, rimbor- renti, i tre ospedali avrebbero realizzato, dal gennaio si gonfiati dalla regione Lombardia, la patria della sus- 2004 al dicembre 2007, profitti illeciti per circa 6,5 sidiarietà sanitaria, per almeno 6 milioni e mezzo di milioni di euro, falsificando cartelle cliniche e schede euro in tre anni. La procura di Milano ha chiuso uf- di dimissione, richiedendo rimborsi superiori al doficialmente le indagini sullo scandalo della sanità lom- vuto al Sistema sanitario lombardo. Nell’ultimo anno barda e si prepara, nell’arco dei prossimi venti giorni, e mezzo i finanzieri, con l’aiuto di alcuni consulenti a chiedere una raffica di rinvii a giudizio per truffa tecnici della Procura, hanno spulciato qualcosa come aggravata ai danni dello Stato e falso in atto pubblico. 68 mila cartelle cliniche ritenute sospette. E alla fine Nel mirino dei pm Sandro Raimondi e Maria Teresa di un lavoro certosino avrebbero trovato “profitti ilMannella, c'è il gruppo ospedaliero privato Policlino leciti” in almeno 1.560 casi, visto che l’unica cifra per San Donato, presieduto da Giuseppe Rotelli. Il ses- ora filtrata è quella che riguarda la sola San Donato. santaquattrenne avvocato pavese, che è anche il se- Nelle carte depositate ieri dalla Procura, si legge ancondo maggior azionista della Rizzoli Corriere della che che gl’indagati avrebbero attestato "falsamente" Sera ed è in predicato di diventarne il presidente, non che una serie di pazienti "necessitavano di specifico risulta indagato personalmente, ma in quanto legale ricovero per necessità diagnostiche, terapeutiche e rappresentante del San Donato e in forza della nuova assistenziali", mentre gli interventi in realtà "erano legge sulla responsabilità penale delle aziende (la co- stati erogati in regime ambulatoriale". Emblematico il siddetta “231”). caso di alcuni nei asportati in regime di day-hospital, La notizia della chiusura delle indagini era nell’aria da anzichè ambulatorialmente. In altre circostanze, poi, OTO
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NSA
sempre secondo i pm, sarebbe stata indicata nei moduli di rimborso "una degenza di durata superiore a quella prevista per la patologia o per l'intervento effettivamente riscontrati". E se è vero che la percentuale delle presunte irregolarità è piuttosto bassa per un gruppo che nel 2008 ha fatturato 750 milioni di euro, l’accusa è comunque piuttosto imbarazzante per chi un domani potrebbe essere il legale rappresentante del secondo gruppo editoriale italiano, ovvero quella Rcs Media Group che è anche quotata in Borsa. Giuseppe Rotelli è una persona piuttosto schiva e riservata, fiero di aver trasformato il San Donato in un gruppo di 18 “ospedali privati” (non ama che le si chiami cliniche) e con una cultura decisamente superiore alla media di molti suoi colleghi che negli ultimi anni si sono più o meno improvvisati “reucci” della sanità sovvenzionata. Cultura che lo ha portato ad amare l’editoria e a prendersi lo sfizio, talvolta, di pubblicare articoli su quale dovrebbe essere un giusto modello di sanità “nell’interesse dei cittadini”. Memorabile quello scritto il 25 settembre del 2008 sul “Sole 24 Ore”, in risposta a chi proponeva il modello olandese di assicurazione sanitaria obbligatoria, largamente sussidiato dallo Stato (50% della spesa). Rotelli lo bocciò ricordando che l’Italia, a differenza dell’Olanda, non ha “una tradizione di correttezza e trasparenza che la ponga tra i primi Paesi al mondo”. E si concesse il lusso, quasi eversivo nell’Italia di oggi, di citare nientemeno che “l’indice della corruzione di Transparency International”.
Obama alle banche “fate di più”
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oche ore dopo avere ricordato di non essere finito alla Casa Bianca “per aiutare un gruppo di ricchi banchieri di Wall Street”, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama li ha ieri esortati a fare molto di più e a prendere impegni straordinari per il rilancio dell’economia, essendo stati salvati grazie al denaro pubblico. Spiegando che è sua intenzione recuperare gli aiuti dei contribuenti “fino all’ultimo cent”. Obama lo ha detto ai principali banchieri Usa al termine di un vertice convocato alla Casa Bianca, un incontro da lui stesso definito “franco e produttivo”. RISCHIO BANCAROTTA
Abu Dhabi “salva” Dubai
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Abu Dhabi va in soccorso di Dubai. L’Emirato di Abu Dhabi ha accordato un finanziamento da 10 miliardi di dollari per il salvataggio di Dubai World, il conglomerato statale finito sull’orlo del collasso per problemi di liquidità. Dei 10 miliardi, 4,1 saranno utilizzati da Nakheel il colosso immobiliare controllato da Dubai World - per rimborsare il bond islamico che era in scadenza ieri, mentre la restante parte dei fondi verrà utilizzata da Dubai World per pagare i creditori, in buona parte banche, che hanno debiti in scadenza ad aprile 2010.
NON SERVE UN MONDO NUOVO, MA UN MONDO SOSTENIBILE.
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DAL MONDO
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L’ULTIMATUM DEGLI AYATOLLAH GELA TEHERAN
AFGHANISTAN
La Nato invierà tremila soldati
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a Nato intende inviare due gruppi tattici nel nord dell’Afghanistan, fino a 3000 uomini sotto il comando tedesco. È quanto ha annunciato ieri il capo di Stato maggiore della Nato, il generale tedesco Karl-Heinz Lather.
Il regime minaccia arresti in massa ma i leader riformisti tornano a parlare Manifestazione con i ritratti di Khomeini (FOTO ANSA)
immagine dell’ayatollah Khomeini incendiata dai dimostranti che la televisione di Stato iraniana ha fatto circolare nel fine settimana è stato l’innesco del giro di vite che il regime della teocrazia di Teheran ha minacciato contro l’opposizione. Le forze di sicurezza sarebbero pronte ad arrestare tutti i leader della protesta nata dopo il voto controverso di giugno, quando il presidente Ahmadinejad ha ottenuto la rielezione solo attraverso massicci brogli, come denun-
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Mussavi: il giro di vite porta al radicalismo Accuse alle forze di sicurezza di violenze contro gli studenti
ciato dagli altri candidati, che sono poi diventati le guide della protesta, che hanno coinvolto soprattutto gli studenti. Mentre Teheran vive giorni di apparente normalità e non si segnalano assembramenti particolari dei gruppi riformisti, la Guida Suprema del paese, l’ayatollah Khamenei ha approfittato di una protesta inscenata nella capitale nella quale le foto sue e del suo predecessore Khomenini sono state date alle fiamme per annunciare l’ultimatum contro l’opposizione: nessuna manifestazione e protesta verrà tollerata e se il divieto non verrà rispettato scatterà una repressione totale. In realtà il divieto rappresenta una misura preventiva per scongiurare le dimostrazioni che si starebbero organizzando per il 26 e 27 dicembre, giorni della commemorazione del 12° imam, il cui martirio nel 680 dopo Cristo è la data fondante del credo sciita, maggioritario in Iran. Contro questo diktat ha par-
Polizia schierata a Copenaghen (FOTO ANSA)
lato Mir Hossein Mussavi, considerato il capo del movimento di opposizione, condannando la repressione delle proteste, affermando che essa può portare ad una “radicalizzazione” della lotta politica nel Paese. Il messaggio di Mussavi è stato diffuso da vari siti dell’opposizione. Mussavi ha ricordato come un gran numero di persone ha espresso dubbi sulla correttezza della consultazione di giugno, “ma invece che dare risposte - ha affermato l’ex candidato moderato -
Madrid
n successo, ma solo a metà. Chi ha deciso Uvocato di andare alle urne per il referendum conin 166 comuni della Catalogna, ha votato in massa (quasi il 95 per cento) per il “sì” all’indipendenza dallo Stato spagnolo. L’affluenza è stata però in parte inferiore alle attese: solo il 30 per cento dei circa 700mila aventi diritto. Gli organizzatori ricordano che, in realtà, si tratta di un dato molto simile a quello delle Europee del giugno scorso, e sottolineano le difficoltà di una consultazione “privata”, messa in piedi con scarsi mezzi da piattaforme civiche non legate ai partiti e volutamente ignorata da gran parte dei mass media. Le principali formazioni politiche catalane sono scese in campo solo alla vigilia di questo voto, che non aveva carattere vincolante: mentre i nazionalisti di Convergencia Democratica e gli indipendentisti di Esquerra Republicana si schieravano per il “sì”, socialisti e popolari invitavano a disertare le urne,
bombe atomiche: lo afferma il Times, che ha avuto accesso a documenti riservati nei quali si parla di un piano quadriennale per mettere a punto un iniziatore di neutroni, che serve a scatenare l’esplosione nucleare. Le carte viste dal quotidiano britannico descrivono l’uso di una fonte di neutroni, il deuterio di uranio, che secondo alcuni esperti non può avere altro uso che nelle armi atomiche. Fonti di intelligence citate dal Times datano questi documenti al 2007. (S.C.)
Cattivo clima a Copenaghen i paesi poveri bloccano il summit di Diletta Varlese Copenaghen
lima turbolento all'inizio della seconda settimaCLa mattina na di lavori al summit del'Onu di Copenaghen. i Paesi africani hanno lasciato il tavolo delle trattative: il cuore della disputa ruota ancora attorno al Protocollo di Kyoto. L'accusa è rivolta ai paesi ricchi che, dice Kamel Djemouani, capo della delegazione algerina “stanno facendo precipitare tutto”. Il blocco G77 è uscito sbattendo la porta ed ha dichiarato che i padroni di casa danesi “hanno violato il processo democratico delle trattative”. Le proposte delineatesi nella prima settimana di trattativa paventano o che venga reiterato il Protocollo di Kyoto, dopo il 2012 con i dovuti aggiornamenti e la firma degli Stati Uniti, o che si passi alla redazione di un nuovo trattato. Lumumba Di-Aping, il portavoce del gruppo dei G77, in cui sono presenti 130 nazioni in via di sviluppo, ha detto che è stata una “mossa forte” da parte dell'Africa, che ha portato a “vincere questo round”. Lo stesso delegato dell'Onu, Yvo de Boer, ha confermato l'importanza di mantenere il Protocollo come base legale e condivisa da tutti “se si dovesse mettere fine al Protocollo adesso o il prossimo anno, ci troveremmo ad affrontare il grande rischio che non si diano i margini per un secondo periodo d'impegno, basato sul 35% delle riduzioni di emis-
Sì all’indipendenza catalana ma il referendum è un flop di Alessandro Oppes
questa gente è stata attaccata e imprigionata. Ecco perché l’insoddisfazione è ancora presente”. Mussavi ha poi accusato la parte governativa di avere represso con la violenza le manifestazioni nelle università nella “giornata dello studente”, il 7 dicembre, facendo entrare negli atenei membri delle forze di sicurezza “con mazze e bastoni”. Intanto, sul fronte internazionale c’è da segnalare la notizia diffusa in Gran Bretagna: l’Iran starebbe testando un componente chiave delle
proprio per ridurre al minimo anche il valore statistico della consultazione. Ma il movimento per l’autodeterminazione non ha nessuna intenzione di fermarsi. Per il prossimo mese di aprile è già annunciato un nuovo referendum a Barcellona. E persino nelle isole Baleari è stato formato proprio nei giorni scorsi un coordinamento di gruppi favorevoli all’indipendenza. Da Madrid, il governo Zapatero ha cercato in tutti i modi di sminuire l’importanza dell’iniziativa, definita dal vice-premier Manuel Chaves (responsabile dei rapporti con le autonomie locali) come un semplice “atto propagandistico”. Ma la giornata referendaria è stata seguita con estremo interesse da un gran numero di osservatori internazionali arrivati da Galles, Scozia, Québec, Fiandre, Corsica, Irlanda del Nord e anche da delegazioni italiane venute da Friuli, Alto Adige, Sicilia e Sardegna. L’impressione è, insomma, che dalla Catalogna potrebbe partire un movimento molto più ampio legato alle diverse realtà autonomistiche su scala internazionale.
sioni”, ha detto de Boer. Pare che la rottura si sia data a seguito di crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti, avvenute domenica durante la tavola rotonda dei 50 Ministri dell’Ambiente arrivati al summit. “L’Africa ha tirato il freno d'emergenza per evitare che il treno deragli nel fine settimana", ha commentato Jeremy Hobbs, direttore esecutivo di Oxfam International. Il timore, aggiungono fonti ufficiali, è che si ripeta il fallimento del 2000 all’Aja, dove finì in una clamorosa rottura la conferenza che avrebbe dovuto completare le regole di Kyoto. A metà giornata il clima s'è disteso. A seguito di negoziazioni della presidenza danese per ricucire lo strappo, il gruppo dei 77 si è risieduto al tavolo delle trattative, chiedendo però un forte impegno da parte dei Paesi industrializzati per tagliare le emissioni di Co2. Il tempo di fatti stringe. Domani arriveranno 110 presidenti per prendere visione dei lavori svolti fino a quel giorno, e scaldare le penne per le firme. La richiesta dei paesi in via di sviluppo è che si dia priorità urgente alla problematica della riduzione di gas nocivi, in modo da accertarsi che tutte le Nazioni prendano impegno, compresi gli Usa, che a oggi non hanno mai firmato. Solo secondariamente, dicono i 77, si potrà passare alla discussione sugli obiettivi di lungo termine per la cooperazione nella lotta ai cambiamenti climatici.
Palestina
L’ANNIVERSARIO DI HAMAS
Decine di migliaia di persone in piazza, uomini in armi, bandiere al vento: così - in un clima di autocelebrazione privo di svolte o concessioni sulla linea dura - il movimento Hamas ha officiato nella Striscia di Gaza il 22° anniversario della fondazione.
CILE
Verso il ballottaggio
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l Cile va a destra: la vittoria al primo turno delle presidenziali del candidato conservatore, il miliardario Sebastian Pinera, è stato un duro colpo per il democristiano Eduardo Frei, alla guida della coalizione di centro-sinistra che governa il paese dal 1990. Fin dai primi risultati, a Santiago tutti gli sguardi si sono rivolti al ballottaggio Pinera-Frei del 17 gennaio, che deciderà il nome del successore della socialista Michelle Bachelet al palazzo della Moneda. Qualsiasi sia l’esito del “balotaje”, a Santiago è finito un ciclo. In un modo o in un altro, Pinera guarda ora dall’alto, con un solido 44% dei voti, Frei (29,6%), per il quale le prossime settimane saranno molto impegnative.
EGITTO
Niqab, continua la battaglia
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ontinua in Egitto la battaglia del niqab, il velo che lascia scoperti solo gli occhi. La giustizia amministrativa ne annulla il divieto negli spazi universitari e nelle aule d’esame, ma il ministro dell’Insegnamento superiore Hani Helal non si è dato per vinto: “Seguiremo tutte le procedure che la legge mette a nostra disposizione per ribaltare la decisione”, ha affermato Helal, in questi giorni a Roma per la chiusura dell’Anno italo-egiziano della Scienza e della Tecnologia. “Io mi occupo solo degli atenei e degli istituti superiori, non entro nel merito di questioni di ordine religioso”, ha aggiunto. Sicurezza e giustizia sono principi che ispirano le sue decisioni: il niqab è “una faccenda privata”, mentre in questione c’è la “la sicurezza negli atenei”. L’anno scorso, furono più di 30 i casi di ragazzi entrati di nascosto nei dormitori femminili, e agli esami i docenti devono sapere chi sta rispondendo.
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
ANNIVERSARIO
DOSSETTI La Costituzione come bussola
Hunziker Interpreta se stessa in una sit-com Mediaset
Vasco Voglio incidere “Sono buono” degli Skiantos
Miss Mondo Kaiane Aldorino, 23 anni arriva da Gibilterra
Buscaglione Rivivrà nella piéce “Sono Fred dal wiskey facile”
Quando, nel 1991, i soldati italiani bombardano Saddam Hussein, per “difendere i confini fuori dai confini”, ruppe un silenzio lungo 30 anni di Maurizio Chierici
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omani è l’anniversario della morte di don Giuseppe Dossetti, memoria cancellata dagli uragani di questi giorni. Dossetti (13 febbraio 1913 – 15 dicembre 1996) collaboratore e avversario di De Gasperi; Dossetti uno dei padri della Costituzione. Nel ’95 quando Berlusconi annuncia all’Italia che cosa ha in mente dopo aver demolito la vecchia Repubblica, Dossetti abbandona l’esilio spirituale nelle montagne della Giordania. Torna a Bologna. Raccoglie i costituzionalisti con un discorso drammaticamente confermato. Parla di una “mitologia sostitutiva” con la quale il liberismo della destra ha aperto il conflitto costituzionale. Raniero La Valle, direttore dell’Avvenire d’Italia a Bologna negli anni segnati dal lavoro comune tra il cardinale Lercaro e Dossetti; La Valle, analizza la “mitologia sostituiva” che tendeva a sostituire la sovranità popolare “col mito antidemocratico, anzi idolatrato, di un potere da conservare ad ogni costo e contro ogni ragione e interesse del paese” mediante la sollecitazione di forme plebiscitarie per “ridurre il consenso del popolo sovrano all’applauso del popolo sovrano”. Dossetti ricordava il senso della sovranità del popolo custodito dalla Costituzione, che si vorrebbe cambiare stravolgendo “la volontà popolare che ha, come normale espressione, la sua rappresentanza nelle assemblee del Parlamento”, e normale garanzia le istituzioni che vegliano sulla Carta Magna: presidente della Repubblica e Corte costituzionale. Dossetti era talmente preoccupato da girare l’Italia per lanciare l’allarme. Ogni sera la sua voce, e aveva 81 anni. Denunciava che “alla Costituzione ancora formalmente e sostanzialmente vigente si sono volute opporre ipotetiche norme di una mitica Costituzione ancora non scritta, del tutto immaginarie, sulla semplice base di dedu-
zioni ricavate solamente dalla legge elettorale maggioritaria, deduzioni del tutto infondate e senza nessun precedente in qualunque ordinamento costituzionale”. Gennaio 1995. Quindici anni dopo il cammino dei cambiamenti passa per le tv, madri della patria. Il degrado politico anni Novanta allarmava Dossetti. Quando nel 1991 i nostri soldati vanno per la prima volta a “difendere i sacri confini” fuori dai nostri confini bombardando Saddam Hussein, guerra del Golfo, rompe per la prima volta un silenzio lungo 30 anni. Lo strappo alla Costituzione disegnata dopo il fascismo gli sembrava intollerabile. Viveva ormai lontano dalla politica che lo aveva visto antagonista a De Gasperi. Assieme a La Pira, Ardigò, Andreatta, quel gruppo bolognese dove Prodi stava crescendo, si era illuso di creare un movimento cattolico nel quale morale e cultura disegnassero una società di partecipazione comunitaria. Laica e slegata alle influenze vaticane. Utopia troppo severa; avevano vinto gli “altri”. E Dossetti si ritira negli studi monastici sulle colline di Bologna (Monte Sole attorno alla Marzabotto del massacro nazista), e poi lungo il Giordano. Ed ecco il silenzio si rompe nell’incontro con una giornalista in una baracca di Ma’hin, monte Nepo dove Mosè aveva sfiorato la terra promessa. Accetta le domande con qualche esitazione. Preferisce rispondere scrivendo: “Credo sia meglio, dopo tanto tempo. Se poi lo desidera possiamo parlarne, ma la sostanza non cambia”. Leggo ad alta voce i foglietti che mi allunga. Dossetti ascolta le sue parole con le mani intrecciate, come pregasse. “Dal momento che questa guerra, contro ogni speranza di ragionevolezza, è deplorevolmente scoppiata, credo di dover osservare il silenzio in modo ancor più rigoroso. Ma c’è una volontà più forte: attestare il nostro ascolto e una nostra attenzione verso non poche rivendicazioni islamiche di questa congiuntura. Ecco perché restare qui, mentre gli eserciti si affrontano, non può non essere rispettoso, umile e pacifico, non solo nelle intenzioni anche nei comportamenti. Dice il salmo 33-14-15 ‘Preserva la lingua del male, le labbra da parole bugiarde. Fa il bene, cerca la pace e perseguila”. Ho l’impressione che non si persegua la pace quando le parole restano equivoche e
anche bugiarde. “Come italiano e antico costituente, potrei aggiungere che molte menzogne si sono pronunciate nel Parlamento di Roma. Per giustificare la partecipazione di nostre forze aeronavali, si è fatto dire all’articolo 11 della Costituzione ciò che non corrisponde né alla lettera, né al suo spirito”. Articolo 11 la cui ste-
sura lo aveva impegnato nella mediazione tra De Gasperi e Togliatti. “C’è una decisione delle Nazioni Unite…”, provo a ricordargli, rompendo l’accordo delle domande scritte. “Si è preteso di collegare l’interpretazione a una finzione verbale e al ristabilimento di una legalità internazionale.
Troppe volte in passato questa Carta non è stata strumento di legalità. E la guerra di oggi rischia di diventare illimitata nel fine come nei mezzi. L’Onu dà l’impressione di averla abbandonata a se stessa. Non ne controlla gli sviluppi e affida il conflitto all’arbitrio, per così dire tecnico, di una delle due parti in contesa”. Nel
salutare due parole: “Non so se sono un vero uomo di pace, ma spero di avvicinarmi alla speranza per diffondere la pace che è un bene universale”. Illusione che non convince Livio Caputo: prima di diventare sottosegretario del Berlusconi Uno, governava gli esteri del Corriere. “Cosa c’entra la Costituzione con la guerra?”. Insomma, Dossetti vecchio impiccio fuori dal mondo. Ma Ugo Stille e Giulio Anselmi dedicano a Dossetti un grande titolo di terza pagina. E il mattino dopo Il Giornale diretto da Montanelli commenta la riflessione di Dossetti col disprezzo di Nicola Matteucci: “Aveva taciuto trent’anni, poteva continuare”. Poi è venuto l’Afghanistan e la Baghdad che sappiamo. Imbarazzo superato, Costituzione adattata ai buoni rapporti internazionali. Possiamo partecipare a ogni guerra preventiva nel rispetto della nostra Carta fondamentale. Ma non basta: purtroppo la Carta lega le mani a chi governa. Si vuole allargare lo strappo per cambiare la vita di tutti. Meno uno. Protagonisti gli stessi nomi. Solo Dossetti è la memoria della speranza.
Don Giuseppe Dossetti
Nobel e dintorni
donna schiva e severa ma coinvolgente e comunicativa”. Dalla scrittura “plastica, animata, concreta, affilata come una lama, esatta come un dizionario, minuziosa e densa di ironia”. La Müller proviene dalla provincia della provincia del vecchio Stato austro-ungarico, che con lo smembramento dell’impero, nel 1919, viene assegnata alla Romania. Nasce a Nitzkydorf, un villaggio del Banato, il 17 agosto del 1953, da una famiglia contadina. La sua lingua madre è il tedesco, mentre il rumeno lo apprenderà soltanto a quindici anni. Negli anni Settanta frequenta un gruppo di intellettuali d’avanguardia, politicamente attivi, una sorta di “beat generation in salsa dell’est”. Centrale, nella sua poetica, il concetto di “Heimat”, intraducibile in italiano, perché contemporaneamente significa patria, ma anche casa. “Cos’è Heimat per un intellettuale che scrive nella lingua della minoranza etnica, il tedesco, in un paese che parla rumeno? Cos’è “Heimat” per una scrittrice di sinistra… che vive l’atroce realtà della dittatura comunista nella durezza del socialismo reale?”. Un’artista senza patria, che in Germania è una rumena e in Romania una tedesca, per la quale la “Heimat” finisce per essere l’esilio. Un perenne esilio in cui è la scrittura a farsi radicamento. Due in particolare gli autori italiani citati dalla Müller: Pavese e Calvino. Leggendo Calvino scoprì che fra “Le città invisibili” ce n’era una che si chiamava Irene, come la pro-
HERTA MÜLLER QUANDO NON ERA HERTA MÜLLER Luigi Galella
quest’anno – hanno pensato in molti – Ahannonche quei mattacchioni dell’Accademia di Svezia voluto stupire il mondo assegnando il Nobel per la Letteratura a una Carneade. Herta Müller: chi era costei? In realtà la scrittrice rumeno-tedesca ha ricevuto premi in gran parte d’Europa e solo in Italia è pressoché quasi sconosciuta. Ignorata sicuramente dal noto critico del popolare magazine, che ogni settimana, dall’alto scranno del suo gravoso ufficio, stila le nuove classifiche dei valori letterari. E che, seccato di non saperne niente ha sentenziato: “La conferma che non va dato nessun valore più a questo premio”. Ipse dixit. Il Nobel quindi non conta nulla. Ma visto che a noi piace occuparci di cose futili, abbiamo rintracciato chi, non adesso ma vent’anni fa, si è occupato di Herta Müller con la prima tesi di laurea italiana e una prima, lunga intervista. È in uscita in questi giorni “Herta Müller, un incontro italiano” (Avagliano ed.), della germanista Gabriella Lepre, testo prezioso per chi vuole comprendere qualcosa dell’autrice rumena di minoranza tedesca. “Una
tagonista del romanzo che stava scrivendo: “In viaggio su una gamba sola”. Decise quindi di inserire un’intera citazione di Calvino nel romanzo. Un giorno era al mare in Olanda nei pressi di una spiaggia di dune ancora transennate dalla Seconda guerra mondiale. Un paesaggio “raccapricciante”, fatto di “bunker, erba e sabbia”. Le venne in mente che anche suo padre era stato soldato da quelle parti. Su uno di quei bunker apparve all’improvviso, scritto in grande, “come venuto fuori dal nulla, il nome Irene”. Nell’intervista si tocca la relazione tra lingua e potere: “La dittatura attua certi meccanismi retorici che hanno l’obiettivo di svuotare, ridurre la lingua a ciarpame, con la sua conseguente demolizione ideologica”. Il potere parla senza dire nulla. “I discorsi di Ceausescu erano costruiti da pezzi prefabbricati di frasi assemblati insieme e non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di chiedere che volessero dire (… ) discorsi fatti da pezzi di ricambio retorici che a volerli riassumere si sarebbero potuti sintetizzare in poche frasi”. Non solo: “Opportunismo politico e letteratura buona e interessante non vanno d’accordo”. “Non credo – sostiene la Müller – che individui dalla dubbia moralità possano essere ottimi autori”. Pubblico e privato di un autore, quindi, siano compatibili. E precisa: “Non mi riferisco tanto a una generica etica personale, quanto alla moralità nei confronti di un sistema politico”. Parole paradossali se rapportate alla realtà politica e culturale italiana, soprattutto quando afferma che “senza un’etica politica non ci può essere nemmeno un’etica individuale”, visto che noi stiamo vivendo da anni l’esperienza opposta.
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SECONDO TEMPO
CALCIOPOLI
OGNI MALEDETTA D OMENICA
CARTELLINO ROSSO PER GIRAUDO
Capricci & raccapricci
Tre anni all’ex ad della Juventus di Ilaria Urbani
a difesa degli imputati del Calciogate mugugna e sbatte i pugni sul banco nell’aula 118 del Palazzo di Giustizia di Napoli. L’arbitro Gianluca Rocchi scoppia a piangere per la gioia, esulta: è stato assolto. È questa l’immagine che accompagna la prima sentenza di Calciopoli. Il verdetto di ieri al processo per rito abbreviato ha decretato la condanna dell’ex amministratore delegato, Antonio Giraudo, al quale il gup Eduardo De Gregorio ha inflitto la pena di tre anni di reclusione per aver partecipato all’associazione per delinquere finalizzata alla frode in competizione sportiva. L’accusa guidata dal pm Giuseppe Narducci di anni ne aveva chiesti cinque. L’ex ad bianconero non era presente davanti al gup, ma la sua presenza aleggiava tra i banchi dell’aula giudiziaria partenopea. “La Cupola c’era, allora”, “Giraudo sapeva”, si vociferava tra i giornalisti e gli avvocati, spettatori di questa prima decisione sullo scandalo che ha sconvolto il mondo del pallone e danneggiato l’immagine del calcio italiano nel mondo. Secondo il gup, Giraudo non è stato tra i promotori della presunta associazione che sarebbe stata costituita allo scopo di condizionare gli esiti dei campionati, ma ne ha fatto parte. L’ex ad bianconero è stato condannato per le presunte ammonizioni dolose e un’espulsione durante Udinese-Brescia del 2004 che avrebbe favorito la squadra bianconera nel match Udinese-Juve 0-1 del 3 ottobre 2004. Giraudo è accusato anche di aver pilotato il sorteggio della terna arbitrale per favorire la squadra degli Agnelli per Juve-Lazio del 5 dicembre 2004. La terza accusa riguarda l’individuazione delle griglie arbitrali e il successivo sorteggio, “atti finalizzati a determinare – si legge nel capo di imputazione – il risultato di Juventus-Udinese 2-1” del 13 febbraio 2005. Voci confermano che l’ex dirigente bianconero ieri è volato da Londra (dove si è inventato una carriera da immobiliarista di lusso dopo Calciopoli) a Napoli, anche se non è riuscito a varcare la soglia del tribunale che gli ha imposto
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Antonio Giraudo, ex ad della Juventus condannato a tre anni per frode sportiva e associazione a delinquere (FOTO ANSA)
pure il divieto, per tre anni, di accedere ai luoghi dove si svolgono competizioni sportive o si accettano scommesse autorizzate e l’interdizione dagli uffici direttivi di società sportive. Stessa sorte per gli ex arbitri Paolo Dondarini e Tiziano Pieri il primo condannato a 2 anni di reclusione e 20 mila euro di multa in relazione a due capi di imputazione di frode sportiva, in seguito alla designazione ad arbitrare Juventus-Lazio del 2004 e Chievo-Fiorentina 1-2 dell’8 maggio 2005 e il secondo a due anni e quattro mesi per associazione per delinquere e due episodi di presunta frode: Juventus-Chievo 3-0 del 31 ottobre 2004 e Bologna-Juve 0-1 del 12 dicembre 2004. L’ex presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, Tullio Lanese, invece è stato condannato a 2 anni di reclusione per la presunta partecipazione all’associazione per delinquere. Quattro le condanne e sette le assoluzioni. Oltre l’arbitro toscano Gianluca Rocchi, sono stati assolti con la formula “per
non aver commesso il fatto”, accusati di singoli episodi di frodi sportive: gli assistenti Duccio Baglioni (assolto anche dall’accusa di associazione), Giuseppe Foschetti, e Alessandro Griselli, gli ex arbitri Stefano Cassarà, Marco Gabriele, entrambi assolti dal reato associativo e Domenico Messina. Questo finora il responso della giustizia in primo grado, le motivazioni della sentenza saranno depositate entro novanta giorni dalla lettura. Quando Giraudo è comparso, a sorpresa, davanti al Tribunale di Napoli il 27 ottobre, ha detto: “Non sapevo che Moggi avesse utenze riservate svizzere fornite a Bergamo e Pairetto. Non mi sarei stupito del fatto che le avesse utilizzate per trattative riservate di mercato”. I magistrati partenopei gli hanno creduto in parte. L’ex dirigente bianconero non ha fondato la cosiddetta “Cupola” del calcio, ma avrebbe contribuito a farla sopravvivere. Per il rito ordinario che vede tra gli imputati Luciano Moggi, oggi testimonia a Napoli l’ex presidente dellaFIGC, Franco Carraro, prosciolto dai fatti di Calciopoli il 29 maggio scorso.
di Oliviero Beha
bue dice cornuto all’asino, e Lapo Elkann “parlando da tifoso” Iha ldefinisce “raccapricciante” l’ultima Juventus, non quella che battuto l’Inter con merito solo otto giorni prima, bensì quella che ha perso in Champions con il Bayern lasciando la Coppa maggiore e poi anche a Bari, lasciando però quasi invariate le distanze da Milan e Inter. Un termine davvero fantasioso, se collegato alle disavventure del rampollo-scavezzacollo degli Agnelli. Entusiasmante, a non voler risparmiare i participi presenti, se come dicono in confronto al fratello John lui è “intellettualmente più vivace”. Resta il fatto che soprattutto per l’eliminazione costosissima dall’Europa che conta (calcolata in potenziali 45 milioni di euro), e per il fatto che in parallelo corre la ferrovia di “Calciopoli” giunta ieri alla prima stazione con in carrozza Giraudo, è la Juventus il fatto-misfatto calcistico del momento. I critici si affannano a discutere i giocatori, il loro impiego, la loro disposizione in campo, e naturalmente il tecnico, Ciro Ferrara, debuttante in panchina a questi livelli e in autonomia (?). Dimenticano che tutto sommato, appunto, la Juventus aveva disputato fino a due sconfitte fa una Champions più che discreta e battuto l’Inter che in Italia strafa. Dimenticano anche che l’anno scorso è stato cacciato un allenatore superesperto come Ranieri, che tanto male non si era comportato per due terzi di stagione e che si sta confermando professionalmente alla guida di una Roma in perenne bilico societario. Già, l’aspetto societario: la mia esperienza di osservatore più che trentennale mi dice che nove volte su dieci una buona squadra è impensabile senza aver dietro un club sano (dimenticavo le virgolette: “Sano” relativamente a un calcio malato), e anche quella decima volta se una squadra “orfana” societariamente azzecca una stagione sarebbe andata comunque meglio se fondata su una società all’altezza e di sicuro toppa la stagione seguente. Il problema della Roma è societario, deve chiarirsi e chiarire, e poi anche con questo organico e con questo tecnico farà o farebbe bene. Magari con una punta in più “pesante”. Curioso che la stessa logica non si applichi dunque alla Juventus. Domande: e se non dipendesse da Ferrara? Se non dipendesse più di tanto dai giocatori e dalle incongruenze e incompatibilità dei più pagati tra loro (cfr. Melo e Diego)? Se il pesce insomma puzzasse dalla testa e ci fosse qualcosa che non va non solo a centrocampo ma a centro-club? Se Blanc fosse un presidente poco incontrista e Gabetti tecnicamente immaturo e Grande-Stevens poco incisivo sotto porta, malgrado le cifre spese per ingaggiarli (è una metafora…!)? Allora sì che il termine “raccapricciante” usato dal diserede sarebbe appropriato e lo vedrebbe assai più contiguo alla squadra di quanto non lo sia a Ferrara, Buffon e Cannavaro. Il tutto mentre è inevitabile collegare questa dirigenza con quella che l’ha preceduta: se questa è per bene mentre la precedente era per male secondo la giustizia sportiva e parzialmente il primo grado di quella ordinaria, il dazio da pagare per forza è l’inadeguatezza, la non
Tonfo bianconero: e se la colpa non fosse tutta di Ferrara?
conoscenza delle paludi calcistiche e meta calcistiche, la confusione sul mercato ecc.? Resta per ora un segnale di serietà aver confermato il Ciro non della Milo in tv (“Ciro, Ciro…!!!”) ma della Nazionale sulla panchina, fino a prova contraria. Il resto non è esaltante, almeno secondo il parametro dell’Europa che conta. L’Inter è passata, e resta in testa grazie alla tesi di fondo di chi ha giocato a calcio in un certo modo, e cioè “il miglior attacco è la difesa”, mentre le competitors lasciano in questo senso molto a desiderare. Anche il Milan è passato alla fase successiva, ma domenica, in una domenica milanese di tutt’altro stampo… è anch’esso sceso dal predellino della serie di vittorie per il piede del Palermo, più penetrante del Real Madrid. Come un Liverpool in forma si è dimostrato il Chievo contro la squadra italiana che finora ha meglio figurato in Champions, la Fiorentina: sentire i commentatori definire “buona la Fiorentina della prima mezz’ora a Verona e scadente dopo” e controllare che i due gol li ha presi all’inizio e in dieci minuti significa dover rovesciare la critica come una clessidra. Prandelli fa il massimo, Corvino e i Della Valle no: intendo dire che la squadra, stroncata dagli elogi e dagli infortuni, quest’anno ha messo insieme 24 punti sui 48 a disposizione. Per la matematica, un pianto. Malgrado ci sia un gruppo che funziona. Significa anche che se la società non avesse fatto solo cassa in estate premendo così sul sindaco e sull’opinione pubblica fiorentina per avere lo stadio proprio laddove lo vuole, oggi con un paio di giocatori di livello in più e comunque un grande attivo di mercato nelle casse sarebbe più sicura per il cammino in Champions e subito dietro l’Inter in campionato, almeno assieme al Milan. Ma se prendi Castillo e vendi Pazzini e rinunci ad Almiron, poi in campo si vede. Diciamo che nella sua illogicità della palla rotonda il calcio una logica almeno tecnico-amministrativa la conserva. E a Firenze la pubblicità collaterale che la Fiorentina garantisce a imprenditori di marchio internazionale come i proprietari della medesima sembra essere gratis… Si obietterà: sempre meglio di Preziosi, squalificato per aver comprato partite,l ’altro compratore interessato alla Fiorentina fallita nel 2002. Certo, anche se ancora le storie di Calciopoli ci devono chiarire le idee un po’ per tutti. Resta un campionato dei “piccoli” per un Corrierino dei piccoli, con Cagliari e Bari sempre in gran spolvero e fatti di relativamente scarsi investimenti, mentre il Napoli cresce ma ha speso tanto (chiedere al Sommo Banchiere di riferimento del calcio nostrano che fa rima con Gonzi) e il Chievo gioca bene ma “si deve solo salvare” secondo la sua savia dirigenza. La Lazio pena, ma fa di nuovo punti malgrado Lotito, dietro non c’è ancora una o più vittime designate alla retrocessione perché il livellamento è sovrano. Chi gode di più in definitiva è il Parma di Ghirardi, in alto come gioco e risultati (ma anche Bojinov non era della Fiorentina e del figlio di Corvino come procuratore, un tempo?) mentre si fruga nelle case d’intorno per cercare altri quadri d’autore di Tanzi. A proposito, ma quanti denari nostri (intesi come pubblici, o dei risparmiatori frodati) sono finiti attraverso il Cavalier Calisto al Parma dei miracoli? Nessuno ha collegato il calcio a quella “madre di tutte le truffe”. Come mai? Ci siamo dimenticati gli acquisti favolosi e le Coppe europee, i piazzamenti in campionato e lo showroom mediatico per quelle imprese, con in panchina da Scala a Malesani a Prandelli a scivolo? E partiva tutto dalla truffa dei Tanzi? Davvero raccapricciante…
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SECONDO TEMPO
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TELE COMANDO TG PAPI
Senza se e senza ma di Paolo
Ojetti
g1 T Quarto editoriale di Minzolini che avvisa chi “trasforma gli avversari in nemici, chi alimenta il clima di odio”. Costoro devono fermarsi prima che la parodia (beh, povero Berlusconi, il sangue era sangue e la botta assai dolorosa) si “trasformi in tragedia”. È il corollario alla linea che il Tg1 ha imbastito per l’occasione: il piccolo Duomo “poteva ucciderlo” e il “pazzo” che lo ha lanciato con precisione potrebbe essere lo “strumento” di qualcosa di indecifrabile, magari di un “complotto”. Paolo Bonaiuti spiega: “Certo, il premier è abbattuto per quello che gli è stato fatto nella sua Milano, ma è un vero combattente. Basta con questa spirale di violenza, basta con i veleni indirizzati solo verso il premier e il suo movimento”. Ecco, è il
“clima” a senso unico, clima di “odio” che viene riversato a piene mani anche da Ronchi, Rotondi, Scajola e tutti gli uomini del centrodestra chiamati a raccolta dal Tg1. Berlusconi (“ama tutti, vuole bene a tutti” riferiscono i suoi all’unisono) è solo la vittima sacrificale. In pratica, è un Tg sterminato, che ha abolito ogni altra notizia. g2 T Il Tg2 segue le orme del Tg1 e riporta notizie e dichiarazioni in una scaletta che oggettivamente ripropone il teorema del “clima” e delle “fabbriche dell’odio”. Da segnalare Daniele Capezzone: “Di Pietro e Rosy Bindi hanno indicato Berlusconi come il nemico da abbattere”. E, in evidenza altre due notizie: indagini su siti che raccolgono l’antiberlusconismo più feroce e, da ieri, inneggiano a Tartaglia. Pericolosa e per nulla disten-
siva (forse non ha valutato appieno quanto andava dicendo) la dichiarazione di Anedda, consigliere del Csm: “Le parole di alcuni magistrati sono state indirettamente la causa della violenza”. Berlusconi, appena in grado, dovrebbe parlare come parlò Togliatti dopo l’attentato: “Calma, non perdete la testa”. E senza bisogno di Bartali. g3 T Tutto il Tg3 ruota attorno a una frase molto nota e molto usata: “Senza se e senza ma”. La solidarietà al Berlusconi ferito viene data da tutta l’opposizione, appunto “senza sì e senza ma”. Ciò non toglie – ripetono ad alta voce sia Bersani che Casini – che la discussione politica non sarà sacrificata a quello che lo stesso Bersani, visitato Berlusconi, ha derubricato in un “inconveniente”: chi sta creando questo mefitico “clima”? Intervistato, Antonio Di Pietro non arretra e – augurando a Berlusconi una “pronta guarigione” – conferma: non sono abituato a comportarmi con ipocrisia. In ogni caso, la “pagina” su Berlusconi si conclude rapidamente e non si trasforma in una specie di commemorazione fuor di tempo.
di Fulvio Abbate
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Viva i documentari
arà vero, come ho letto, che non c’è più di) produttore (servizio pubblico SRai(ombra o Mediaset, appaiati) disposto a tirare fuori mezzo euro per chi dovesse presentarsi con l’idea di un documentario, un’inchiesta? Sarà pure un fatto che investe i gusti privati, tuttavia nel mondo del gradimento televisivo c’è perfino qualcuno che li ama. Io, per esempio, sono fra questi, e possibilmente non vorrei vergognarmene. Current, da un po’ di tempo, mi salva dalla possibile privazione. Se infatti mi soffermo sulla sua “tavolozza” (non mi piace dire palinsesto in questo caso) non ho che l’imbarazzo della scelta. Dallo stato del clima planetario alla circoncisione di gruppo in Malaysia. Oppure, restando un po’ più vicino a casa, sulle condizioni dell’inquinamento a Milano. Alla fine, ho così un po’ di più la sensazione d’essere al mondo. Come soggetto cosciente, informato, vero spettatore. Ai documentari, alle inchieste, per intenderci, sempre personalmente, riconosco un valore testimoniale superiore ai film e all’intera fiction. Già, un valore trascendentale. Così come ho trovato non meno trascenDocumentari in onda dentale la storia dei su Current Tv Legionari di Cristo (piattaforma Sky) con le durissime accuse di pedofilia rivolte al suo fondatore, Marcial Maciel. Scoperta sempre grazie a Current. Per queste ragioni, lontano da ogni pudore, quando ne ho il tempo, mi associo perfino al popolo nomade del video, che alme-
no fino a qualche tempo fa si avventurava lungo i traballanti canali privati nelle fasce orarie più improbabili per soddisfare il proprio desiderio di sequenze in grado di mostrare la realtà così com’era, così com’è. Gli stessi che adesso hanno trovato in Current la soluzione ai loro bisogni “civili”. Ho esemplificato molto, ma spero d’essere stato ugualmente chiaro sulla sostanza linguistica dei documentari, sulla loro capacità di restituirci il germe, anzi, il capodanno delle cose: passato e presente, e poi viali, stagioni, bombe, cappelli, frane, storie. Come un bene perduto, di conseguenza, rimpiango “L’Italia vista dal cielo”. Ricordate? Era proprio un documentario, prodotto da una società petrolifera, il paesaggio a volo d’elicottero. Ma ne rammento altrettanto bene uno sull’Islanda. Sì, proprio l’Islanda. Che vuoi che ci freghi dell’Islanda?, mi dice adesso una voce di dentro tentando di trovare una ragione plausibile al rifiuto odierno dei produttori. Dirò di più: i documentari, perfino anonimi, sono proprio quelli che più d’ogni altra cosa, quando li becchi durante lo zapping, ti danno la sensazione d’avere raggiunto il paradiso televisivo, un luogo dove si mostra la certezza della verità, dove un uomo è un uomo, e le città, anche sotto le bombe, non fanno paura. Ti fanno addirittura dono di una coscienza intatta. Ipotesi finale: può anche darsi che nel tempo, l’anima e le forme del documentario abbiano trovato un altro dominio per continuare a esistere, a esprimere la propria necessità, penso sempre al caso felice di Current (130 della piattaforma Sky) dove l’altro giorno mi sono imbattuto ancora in uno straordinario documentario sul traffico di organi umani. Che Joris Ivens, il padre di tutti i documentaristi, possa così continuare a riposare in gloria.
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SECONDO TEMPO
MONDO
WEB
L
è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “Berlusconi e la violenza: la forza dei fatti e delle idee”
di Federico Mello
Censura on-line I cattivi esempi ’Italia non c’è in “Internet Enemies 2009”, il dossier di Reporter senza Frontiere sui paesi “nemici di Internet”. Ma ad ascoltare le dichiarazioni di molti esponenti politici all’indomani dell’aggressione a Silvio Berlusconi, non c’è da stare tranquilli per il futuro. Su Facebook in migliaia inneggiano a Massimo Tartaglia, il folle che ha ferito Berlusconi. Questi deliri hanno portato il ministro dell’Interno Roberto Maroni a una promessa che suona come una minaccia: “Nel Consiglio dei ministri di giovedì – ha dichiarato ieri – proporrò misure per il Web”. Senza chiarire ulteriormente le sue intenzioni. Nel 2008, per Reporter senza Frontiere gli “Internet Enemies” sono dodici: Arabia Saudita, Cina, Cuba, Myanmar, Egitto, Iran, Corea del nord, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Sono tutti paesi che hanno trasformato la grande Rete mondiale in una Rete nazionale, chiusa in sé stessa e dalla quale è difficile uscire. Sono inoltre paesi che mettono in atto misure
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sistematiche di repressione degli utenti della Rete. A Cuba il ministro dell’Informazione controlla un’agenzia che fissa i prezzi delle connessioni, la loro disponibilità e assegna le licenze. In Egitto, nel nome della lotta al terrorismo, sono nate varie restrizioni. Tre militanti che nell’aprile 2008 avevano organizzato uno sciopero su Facebook “una delle mobilitazioni più importanti degli ultimi anni” sono finiti in carcere per due settimane. In Iran le autorità hanno chiuso nel 2008 cinque milioni di siti Internet e sono numerosi i blogger detenuti in carcere. In nord Corea “il regime controlla ogni forma di comunicazione e di informazione” Internet compresa. E’ la Cina poi, ad avere il poco onorevole titolo di “capofila nella repressione mondiale su Internet” (nonostante il suo record per numero di navigatori). A Pechino, quasi 40.000 dipendenti del Partito comunista sono all’opera per monitorare i file che circolano in Rete. Il governo può automaticamente oscurare i contenuti che vengo-
no considerati contrari ai principi dei partito-Stato: solo nel 2008 quasi 3.000 siti di news sono stati resi inaccessibili. Ora, non è chiaro cosa si prepara in Italia. Angelino Alfano, ministro della Giustizia, ha annunciato ieri che sono in arrivo norme per sanzionare chi istiga ai reati online. “Penso – la dichiarazione di Alfano – che se l’apologia di reato o l’istigazione a delinquere avviene attraverso Internet va punito e sanzionato”. Con Maroni, aggiunge “stiamo studiando delle norme da proporre se è possibile già al prossimo Consiglio dei ministri per sanzionare il comportamento di chi istiga ai reati”. Questa dichiarazione fa a cazzotti con un’altra notizia: la Procura di Roma ha già aperto un fascicolo sui gruppi Facebook che esprimono solidarietà all’aggressore di Berlusconi. La procura procederebbe per istigazione alla violenza, sulla base di un’informativa inviata dalla polizia postale: si ipotizza che almeno una decina di questi gruppi abbiamo una forte connotazione violenta. Ma se già un fascicolo è stato aperto, è perché già l’attuale ordinamento punisce i reati, anche quelli online. Allora cosa prepara il governo, cosa preparano Maroni e Alfano? Per Guido
Scorza, uno dei maggiori esperti italiani di diritto di Internet, potrebbe tornare d’attualità in tutta fretta la proposta di legge del senatore D’Alia, Udc, accantonata la scorsa primavera dopo una forte mobilitazione. D’Alia ieri è tornato a farsi sentire: “Il ministro Maroni – la sua nota – avrebbe potuto e dovuto prestare più attenzione alla norma da me proposta in Senato qualche mese fa, che consentiva l’immediato intervento sui contenuti illeciti dei siti Internet”. Cosa propone la legge D’Alia? Semplice: in base a una vaga “segnalazione della magistratura” il ministero dell’Interno può ordinare ai provider di rendere inaccessibili siti che “istigano alla violenza”, “a delinquere”, o fanno “apologia di rea-
to”. Questa chiusura avverrebbe d’imperio, aprendo un amplissimo varco alla discrezionalità dell’esecutivo. Inoltre la legge parla di “piattaforme” quindi se su Facebook un semplice commento risulta violento, a rischio chiusura sarebbe l’intero social network. Staremo a vedere se sono queste le norma a cui sta pensando il governo. C’è da augurarsi che il gesto sconsiderato di un folle, non ci trasformi in un paese “nemico di Internet”. Un paese lontano anni luce da tutti i paesi democratici.
GRILLO DOCET TFR ADDIO
Tremorti è arrivato all’ammazzacaffè del Tfr dopo la frutta dello scudo fiscale e il dolce dei prelievi dai “conti dormienti”. Tremorti userà 3,1 miliardi di euro del Tfr depositati presso l’Inps a copertura di un terzo della Finanziaria. I risparmi di una vita vengono sottratti senza nessun consenso. E’ la finanza è TELEFONATE PER NON UDENTI creativa di uno Stato prossimo GRAZIE AL LINGUAGGIO DEI SEGNI al default, l’azione disperata di Ora i non udenti possono usare i cellulari per scambiarsi Tremorti, un curatore sms ma, spiega Sheila Hemami, una docente di Ingegneria fallimentare che non sa più che elettronica dell’Università di Cornell; “Le persone pesci pigliare. Quale sarà la preferiscono parlare anziché scrivere”. E proprio per prossima mossa? Il quinto dello permettere anche ai non udenti delle vere e proprie stipendio? La diminuzione delle telefonate, la docente con il suo team ha realizzato dei pensioni? Il congelamento dei prototipi di cellulare pensati per comunicare con il Bot? Il prelievo forzoso di una linguaggio dei segni. Alla base della nuova tecnologia, c’è la percentuale a piacere dai conti videochiamata che, in questo caso, sarà regolata da un correnti? Il Tfr una volta apposito software in grado di ottimizzare la trasmissione serviva per garantire ai di filmati nitidi su telefonia mobile. Il filmato si aggiornerà lavoratori una vecchiaia più frequentemente quando l’utente si muove, e di meno dignitosa. Oggi garantisce il quando è fermo, salvaguardando così la durata della batteria. Anche buco dello Stato. i non udenti potranno così avere una comunicazione continua nella loro lingua nativa. Telefonate, appunto, con la lingua dei segni.
DAGOSPIA
ADNKRONOS IN TURCO?
Sopra, il ministro Alfano. Il logo del Tg3 e la pagina di Reporter senza Frontiere
è 30 ANNI DI TG3 TRENT ’ANNI DI FILMATI ONLINE
1) Stramondano party domenicale nell’attico testaccino di Giuliano Ferrara e Selma Dall’Olio per festeggiare la nascita dei sei cuccioli dell’amatissima Libé (contrazione di Libération), un bassotto tedesco a pelo ruvido. Si sono scapicollati Laura Laurenzi, Carlito Rossella, Rosi Greco, Marta Dassù, Irene Ghergo, il fratello Giorgio Ferrara, Vania Traxler, Mattia Feltri, Angelo Bucarelli e Alessandra Di Castro. 2) “Dopo le redazioni in arabo e in inglese, a quando quella in turco?”. A rivolgere la singolare richiesta ai vertici dell’Adnkronos è stata una delegazione di giornalisti di Cipro nord, che – guidata dal presidente della locale Associazione della Stampa estera, Fevzi Tanpinar – ha visitato la sede dell’agenzia. Nell’ambito di un progetto finanziato dall’Unione europea e che punta a far conoscere la Repubblica turco-cipriota (finora riconosciuta solo da Ankara) ai più importanti media europei, la delegazione ha visitato il Palazzo dell’Informazione di piazza Mastai, accolta dal presidente del Gruppo Gmc-Adnkronos, il cavaliere del lavoro Giuseppe Marra. 3) Chi si nasconde dietro lo pseudonimo di Margherita Ardì? Di sicuro si sa che la signora è sposata con un importante dirigente d’azienda. Il fatto è che Margherita dopo aver scoperto le corna, ha scoperto anche la vena letteraria e sul tradimento del marito ha scritto il libro “Chissà perché... lo chiama porcellino e a lui piace”. Il volume viene presentato stasera nello spazio Tad Concept store in via del Babuino 155, davanti a un bel gruppo di signore della Roma bene, e del mondo del cinema e dello spettacolo. Durante l’evento verranno letti alcuni brani dall’attrice Fabrizia Sacchi. E chissà che l’autrice non si nasconda tra gli invitati. La caccia ai veri nomi della coppia scoppiata è aperta.
Il Tg3 festeggia i suoi trent’anni di informazione con uno speciale sul sito tg3.rai.it. Da domani saranno accessibili a tutti i servizi sulle notizie più importanti conservate nell’archivio della storica Telekabul. Online troveranno spazio servizi, inchieste e approfondimenti dal 1979 ad oggi. Nutrita anche la sezione delle firme del tg, a partire dalla direzione di Sandro Curzi. In totale le clip disponibili sono 800 ma, promettono dalla redazione di Bianca Berlinguer, presto altri se ne aggiungeranno. Auguri.
Comunque sia... è un gesto sconsiderato di un singolo cui l’opposizione politica e la stampa libera non hanno nulla a che fare, purtroppo bisogna puntualizzarlo, nella società dell’immagine con la memoria corta. Se poi il diretto interessato strumentalizzerà il dolo come fatto politico, purtroppo, non penso sia possibile portarlo a una ragione diversa (Valentina) Impersonificare una parte politica e calamitare su di sé ogni attenzione vale sia nel bene che nel male. In questo contesto uno squilibrato ha identificato il male nel sig. B. e avendolo avuto a tiro non ha saputo resistere. Questa cosa è successa già nel 2004 (il famoso cavalletto sul collo), ma in quel caso nessuno tirò in ballo il clima avvelenato dalla sinistra, anche perché chi ha parlato di guerra civile non è stato né Di Pietro, né il Pd. La mia solidarietà va a Di Pietro e a Rosy Bindi che sono stati indegnamente attaccati per aver semplicemente fotografato l’attuale situazione italiana. Se tiri la coda alla tigre non puoi sperare che ti faccia le fusa (Zagor) Come già sappiamo tutti, sembra che non sia un terrorista, sembra invece che sia un malato, fermo restando l’opinione che ho di B, la violenza è condannabile sempre, compresa quella delle parole. Speriamo che non venga strumentalizzata come sempre, ma che serva a B. per “crescere” (Iris) E’ interessante notare che i politici che a tutto spiano criticano la violenza al sig. Berlusconi sono per lo più gli stessi soggetti autori delle risse in Parlamento, ma la memoria spesso tradisce. Soprattutto la loro. Che pulpiti... che esempi. Falsi etici d’autore (Pabla) Gesto deplorevole e che poteva provenire solo da un pazzo (Giuseppe) Come ben sanno i presidenti Usa e le rockstar, dominare i media espone al rischio di aggressioni e violenze, anche quando non si evocano ostilità di parte. Molte sono state le vittime di mitomani psicolabili che spesso non si sono limitati a rompere qualche dente. Ancora una volta mister B. mostra una fortuna eccezionale (Alex) Questa per chi combatte la tirannide berlusconiana non è una buona cosa! Tutto ciò andrà a suo vantaggio e avrà ancora più consensi... presidente operaio cavaliere e ora anche martire! Apposto.. attendo a breve il plastico del modellino del Duomo... arma del delitto a Porta a Porta!! (Dani) Quel tipo che lo ha colpito ha problemi psichiatrici. Non è espressione di un dissenso organizzato. Probabilmente nemmeno di un dissenso (Nanni)
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Martedì 15 dicembre 2009
SECONDO TEMPO
NOI&LORO
PIAZZA GRANDE
É
Economia, l’Asia non fa paura di James
Fontanella
Kahn (*) a ieri il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola è in missione in India, a Nuova Delhi, nel cuore della macroregione da cui dipende il futuro dell’economia mondiale dopo la grande crisi economica di questi ultimi due anni. Secondo il Carnegie Endowment for International Peace entro il 2032 il Pil della Cina sorpasserà quello degli Stati Uniti. E ancora prima, nel 2017, l’India avrà un Pil maggiore di quello dell’Italia. Se poi si mettono insieme Cina, India, Brasile, Russia e Messico, i cosiddetti “paesi emergenti” supereranno entro il 2050 quelli “sviluppati”. Mentre New York, Londra, Francoforte e Tokyo faticano a riprendersi, Shanghai, Mumbai e San Paolo sono già tornati a crescere. Mentre i governi dei paesi “sviluppati” cercano – comprensibilmente – di diffondere ottimismo, gli effetti della crisi finanziaria continuano a produrre disoccupazione. Negli Stati Uniti il numero di disoccupati nel mese di ottobre ha raggiunto il 10,2 per cento, ai massimi livelli dal 1983. In Italia, dove da mesi il governo cerca di convincere il paese che il peggio è passato e la ripresa è dietro l’angolo, il dato è dell’8 per cento. Quello che sembra sfuggire all’esecutivo è che l’economia italiana è una parte ogni anno minore del sistema mondiale. E’ vero che l’Italia può rivendicare, può dire di aver sentito meno la crisi, ma partiva da una situazione di crescita minima. E per questo motivo le politiche economiche del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per quanto buone o cattive siano, non hanno la possibilità di incidere più di tanto sul contesto e sulle variabili strutturali. I dati indicano che sono India e Cina, con una popolazione giovane e produttiva di 2,5 miliardi di persone, i paesi che giocheranno un ruolo fondamentale nella ripresa. I due giganti oggi, in piena crisi economica mondiale, mostrano indicatori macroeconomici da far invidia all’Italia del boom. In India, tra giugno e fine settembre, il prodotto interno lordo è cresciuto del 7,9 per cento su base annua, un forte rialzo dal 5,9 per cento segnato il quadrimestre precedente. Il tasso di occupazione – in particolare nel settore manifatturiero e tessile – è tornato a salire. Inoltre, con gli indici azionari in crescita del 70 per cento, sono le aziende indiane che ora cominciano ad acquisire quelle occidentali, spesso evitandone il fallimento. In Cina, nello stesso periodo, l’economia è cresciuta dell’8,9 per cento, grazie alla ripresa delle esportazioni e a una forte crescita del settore manifatturiero. Le vendite di auto hanno superato quelle degli Stati Uniti ed entro il 2010 il mercato automobilistico cinese potrebbe diventare il più grande al mondo.
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Italia ed Europa devono preoccuparsi del fatto che Cina e India tornano a crescere, dell’otto e nove per cento? Risposta: per nulla, anzi devono rallegrarsene Inoltre, per la prima volta, gli investimenti cinesi in Africa – 38 miliardi di dollari – hanno quasi superato quelli statunitensi, calati del 36 per cento a 39 miliardi di dollari. Il potere economico sta cambiando mano. Questo non vuole dire che India e Cina potranno crescere indipendentemente dal resto del pianeta. L’India sviluppa software avanzati per gran parte dell’America del nord e dell’Europa, e se questi mercati dovessero crollare, Mumbai e Bangalore ne risentirebbero pesantemente. Se il dollaro perde valore, come sta succedendo da mesi, si svalutano anche i 1000 miliardi di dollari custoditi sotto forma di Buoni del Tesoro americani dalla Banca centrale cinese. Le sorti di un economia si ripercuotono su quella dell’altra. Le teorie di “decoupling” – secondo cui la crescita dei paesi emergenti non avrebbe sofferto gli effetti della crisi di Wall Street e della City londinese – sono ora annoverate tra le vittime della recessione. Ma l’Italia e l’Europa devono preoccuparsi del fatto che Cina e India tornano a cre-
scere, rispettivamente, dell’otto e nove per cento? Risposta: per nulla, anzi devono rallegrarsene. Il presidente americano Barack Obama ha dimostrato di capire come sta cambiando il mondo. Non a caso ha prima incontrato i vertici del Partito comunista a Pechino e poi ha invitato Manmohan Singh, premier indiano, alla Casa Bianca per il giorno del ringraziamento. Con l’Europa dialogherà più tardi. Con l’attenzione ai segnali, anche simbolici, che gli è propria, Obama ha così chiarito in modo esplicito quali siano le priorità di politica estera degli Stati Uniti. E sembra invitare gli altri paesi “sviluppati” a imitarlo, India e Cina possono aiutare anche un paese come l’Italia. Perché questo accada bisogna avere il coraggio d’intraprendere un nuovo rapporto con i paesi emergenti. I tempi dove le regole del gioco venivano dettate a “casa nostra” è finito. Bisogna avere il coraggio di sapere dialogare e capire quali siano le necessità che stanno dall’altra par-
IL FATTO di ENZO
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Vedo che nel programma di Silvio Berlusconi c’è la Casa della libertà. Secondo me esiste già: ed è proprio ad Arcore. Lì vive un signore che, in questa repubblica dittatoriale, è costretto a possedere soltanto tre reti televisive (e gli diede una mano anche il compianto onorevole Craxi), la Mondadori, il Giornale e Panorama. Strettamente personale 13 aprile 2000
te dello steccato. Quando questo avverrà, sarà forse possibile che un’azienda come Eutelia-Omega – devastata da imprenditori (italiani) sciacalli – venga comprata da un imprenditore indiano che non vuole “portare via posti di lavoro” ma crearne, perché conviene a entrambi. James Corrispondente del Financial Times in India a Mumbai L’ayatollah Khamenei (FOTO ANSA)
di Maurizio Chierici
SUGGERIMENTI DA NOBEL I
Nobel per la Pace sono sempre laureati. Non solo frequentazioni universitarie ma le pene della vita che li trasforma in personaggi simbolo del dolore collettivo, dottori ad honorem per carcere e repressioni imposte dagli affari che nutrono le società del benessere. L’algida accademia che nel tetto d’ Europa onora i protagonisti della tolleranza, rifiuta di inseguire fantasmi senza nome. Dal 1901 a Barack Obama, i riflettori svedesi hanno illuminato appena sei africani blu o marroni, quando il sangue si mescola. Primo Nobel a Albert John Lutuli, 1960, Sudafrica dell’apartheid. Figlio di un missionario anglicano e di una ragazza zulu, si ispirava a Gandhi nel paese della violenza bianca. Non è un nero qualsiasi: ministro della Chiesa congregazionista americana. Nell’84 Nobel all’arcivescovo Desmond Tutu. 1993: sempre Sudafrica, Nelson Mandela. Wangari Maathai è la prima donna di colore laureata a Nairobi. Stoccolma la incorona nel 2004. Ecco Obama. Bisogna ricordare che in Africa vivono un miliardo di persone, 600 milioni sono donne. Non per ricantare il lamento terzomondista: donne senza censo, senza un’occupazione normale, senza la presenza dei compagni scappati per cercare lavoro o perduti nelle guerriglie. Madri di ragazzi soldato. Donne che crescono i figli da sole. Ognuna ne mette al mondo 5,3 più del doppio di ogni altra madre del pianeta. Donne umiliate, violentate o vendute nei viali d’Europa. Dei 64 milioni di africani sfiniti dall’Aids, 40 milioni di ragazze. A 10 anni partono all’alba coi secchi dell’acqua che non c’è: 10, 15 chilometri per tutta la vita. Due su tre non sanno cos’è un ospedale. Una su cinque è travolta dalla violenza: non solo armi, quei corpi sporcati dai vandali di passaggio. Ma non si lasciano paralizzare dalle tragedie. L’80 per cento di ciò che mangia l’Africa lo guadagnano e l’impastano da sole. Vendono legna, acqua, frutta, fiori nella melma dei mercati. Zappano campi di sabbia. Donne senza alfabeto, senza medicine eppure quando la rete della solidarietà (soprattutto missionaria ) le raccoglie in un progetto, le loro cooperative si allargano: cuciono, cuociono, inventano, ballano, ridono con una forza che dà speranza alla vita di tutti, non importa il machismo che le sottomette. Sono la spina dorsale di un continente dilaniato. Ma se appena respirano vogliono la scuola per i figli, frequentano (pochissime) le università con la voglia di cambiare la vita di tutti. Eppure nessuna accademia si è accorta di loro. E le nostre tv e i nostri giornali stanno dimenticando chi rischia la vita in un digiuno lungo 27 giorni nell’aeroporto di Tenerife. Aninathoun Haida vorrebbe tornare a casa nel deserto del Polissario occupato militarmente dal Marocco quando la Spagna lo ha abbandonato. La gente scappa nelle tende profughi dell’Algeria. E chi resta è schiacciato dalle polizie se sbandiera le proteste internazionali per violazioni dei diritti usurpati. Da 50 anni Rabat rimanda il referendum ordinato dall’Onu. Haida lo chiede, espulsa. Preferisce morire sotto gli occhi del mondo. Noi, silenzio. Ma perché le barbe solenni del Nobel non fanno un giro in Africa anziché sfogliare le biografie che arrivano per Internet? mchierici2@libero.it
L’imam simbolo degli oppositori iraniani di Hamid
Ziarati
Islam sciita, oltre a rispettare le festività celebrate da tutto il mondo islamico, ha una lunga serie di ricorrenze legate alla nascita e/o al martirio dei suoi dodici imam, tutti discendenti del Profeta e gli unici, secondo gli sciiti, legittimati a regnare dopo di lui. Pertanto il calendario degli sciiti è colmo di compleanni e di martiri da ricordare e festeggiare. Tra tutti gli imam, il martirio dell’imam Hossein, il nipote del profeta, è la ceIl 26 e 27 sono rimonia funebre a cui gli sciiti sono i giorni del ricordo più legati perché quest’ultimo nel di Hossein, il più 680 d.c., diversadagli altri importante martire mente imam, è morto sul sciita: un’occasione campo combattendo contro il regnanper l’opposizione te di quell’epoca. Pertanto ogni anno, di manifestare nei due giorni che ricordano la battaPerciò il regime glia del bene contro il male, gli sciiti, anha fatto scattare che quelli dalla fede la repressione labile, si sottopongono a una serie di preventiva autof lagellazioni
L’
dal sapore medioevale per espiare le proprie colpe e per mostrare la propria devozione. Già nel dicembre del 1978, dopo mesi di manifestazioni non autorizzate contro la monarchia ed emulando le gesta dell’imam Hossein nella lotta armata, la ricorrenza del martirio dell’imam Hossein si trasformò nella più grande contestazione contro il regime, gli scontri finirono in un bagno di sangue e come conseguenza si ebbe l’inizio delle diserzioni tra le file dell’esercito che portò da lì a due mesi, nel febbraio del 1979, alla vittoria della rivoluzione. Conscio di questo pericolo, l’attuale e illegittima Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei, si è preparato a fermare sul nascere il tamtam che vorrebbe in piazza tutto il movimento verde per il 26 e 27 dicembre approfittando oggi come allora della ricorrenza religiosa più importante per manifestare contro il regime. Ancora una volta le argomentazioni retoriche presentate da Khamenei ai suoi seguaci per condannare le contestazioni e legittimare l’uso della forza, anche ricorrendo a un bagno di sangue da parte dei Pasdaran, sono i valori sacri e intoccabili della Repubblica islamica: una massiccia dose di superstizione che giustifica ogni sorta di sopruso e la venerabilità del fondatore del regime, Khomeini, la cui effigie veniva bruciata da parte di alcuni manifestanti in un filmato andato in onda l’altro giorno in una sorta di loop ininterrotto sulle tv del regime. Anche se il gesto è stato fortemente condannato
da parte dei due capi moderati, Mussavi e Karubi, ed è stata rinnovata la richiesta di un’autorizzazione, mai concessa fino a ora, per poter manifestare liberamente il proprio dissenso, Khamenei è conscio di poter far presa su quella parte della popolazione che vive la propria fede praticata in una lingua ad essa sconosciuta e quindi plasmabile di volta in volta attraverso le sue prediche e disposta persino al martirio e all’omicidio pur di guadagnare l’aldilà da lui promesso. Forte di quest’appoggio incondizionato da parte del suo gregge armato fino ai denti Khamenei gioca la sua doppia partita in Iran e sul piano internazionale con l’inesauribile tira e molla sulla questione nucleare che gli ha permesso fino a oggi di accusare il dissenso interno di collaborazionismo con le potenze straniere. L’ultimatum americano sulle trattative nucleari scadrà pochi giorni dopo la cerimonia del martirio dell’imam Hossein e una massiccia manifestazione interna prima di sedersi al tavolo delle trattative vedrebbe i rappresentanti della Repubblica islamica delegittimati a decidere sulle sorti della Nazione. Questo timore ha condotto l’ayatollah Khamenei a dare l’ultimatum ai moderati, giocando così d’anticipo su tutti i fronti, sia per evitare che la Storia, quella del 1978, si possa ripetere, sia per evitare di perdere la credibilità internazionale dopo aver ricevuto il Nobel per essere stato il più grande dittatore del 2009 con il quale il mondo intero si sente costretto a trattare.
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SECONDO TEMPO
MAIL Le fiction servono per capire le cose Durante l’ultima puntata di “Annozero”, Michele Santoro ha detto che l’autorità competente vuole vietare le ricostruzioni fatte con attori di procedimenti giudiziari. Qual è il problema, che noi popolo ciuccio poi capiamo troppo bene quello che succede? Io, ad esempio, mi sono fatta l’idea che se così tanti pentiti parlano di Berlusconi un motivo ci sarà. Credo che non sia stato il presidente del Consiglio a organizzare le stragi, perché non avrebbe avuto senso se davvero, come dice Spatuzza, aveva raggiunto un accordo per andare al potere. L’accordo c’era, e al contrario serviva tranquillità. E allora perché nessuno s’interroga sui veri mandanti delle stragi? Tutti gli interventi delle persone importanti sono sempre e solo tentativi di non farci arrivare alla verità, e non capisco come la gente possa essere così miope da non accorgersene. Viva le ricostruzioni, se aiutano quelli come me a capire le cose. Fernanda
Il prezzo del gas continua ad aumentare Un triste annuncio: un altro (l’ennesimo) aumento del gas durante l’inverno. La cosa mi lascia assolutamente basito alla luce dei rapporti personali tra il premier italiano e il leader russo Putin. Un premier tanto amico e tanto impegnato nel sostegno al progetto dei due nuovi gasdotti russi Blue Stream e South Stream e contro il gasdotto degli Stati fuoriusciti dall’orbita russa (appoggiato dagli Stati Uniti e dalla Nato) denominato Nabucco, dovrebbe avere la forza di garantire all’Italia condizioni di approvvigionamento privilegiate. Invece niente di tutto questo. Il gas naturale (grazie al tentativo di soffocamento energetico ed economico messo in atto dalla Russia-Gazprom) aumenta anche in Italia, come, se non più che nel resto d’Europa. A questo punto nasce spontanea una domanda. L’amicizia del premier Berlusconi con la Russia, la Bielorussia e le varie satrapie mediorientali (la Libia di Gheddafi, l’Algeria, il Sudan, etc.) è finalizzata al bene dell’Italia o solo a più o meno confessabili interessi privati? Gli ultimi aumenti del gas credo che siano una risposta piuttosto chiara. Michele Trancossi
Bloccano le cure per la sclerosi multipla La sperimentazione di cura della sclerosi multipla mediante intervento di dilatazione vascolare nota come Ccsvi, insufficienza venosa cerebrospinale, condotta dal prof. Zamboni dell’Università di Ferrara e dal dr. Salvi del Bellaria di Bologna è stata misteriosamente bloccata, nonostante il grande interessamento della comunità scientifica mondiale, riportato da molta stampa estera e quasi ignorato da quella italiana, salvo un inserto sul Sole 24 Ore del 30 novembre. Decine di migliaia di malati sperano in questa cura e nella
Furio Colombo
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BOX A DOMANDA RISPONDO IL CALDO D’AFRICA CHE NON FA RIDERE
gregio dottor Colombo, scrivo a proposito delle condizioni del Cie di Roma che Lei descrive minuziosamente nell’articolo apparso in prima pagina sul Fatto Quotidiano. Gradirei avere delle risposte alle seguenti domande: 1) se nel nostro paese le condizioni sono quelle che Lei descrive, perché tutti vogliono venire in Italia? 2) se nei Cie fa freddo perché non restano nel loro paese, visto che in Africa ad esempio fa sempre caldo? 3) se Lei è italiano perché tira l’acqua al mulino altrui, pur essendo abbastanza intelligente da sapere che in questo modo perderà le elezioni per i prossimi 50 anni? Nella speranza che Lei legga anche chi la pensa diversamente, Le porgo distinti saluti. Alessandro Lazzarotti
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HO LETTO la sua lettera con sorpresa non per il cattivo umore con cui me l’ha scritta (a tutti noi capita un giorno difficile) ma per gli argomenti, che non sono né veri né logici. Lei mi scrive, devo immaginare, per correggere informazioni o fatti o dati inesatti o per confutare un punto di vista. Lei però mi indica in tre punti chiaramente formulati cose che non sa, che non vuole sapere e che, così come le dice, non sono vere. Seguo i suoi punti. 1) Tutte le persone di cui io ho parlato e di cui lei sta parlando sono venute in Italia per due ragioni, le stesse che nei millenni hanno mosso il mondo: la fame e il lavoro. Ho vissuto anni in America e ho appreso molto della immigrazione italiana. 27 milioni di italiani sono emigrati in successivi decenni per fame. Quanto al lavoro, tutte le persone detenute
che ho visto nei campi lavoravano, prima dell’arresto. L’Italia (le può dire ogni Camera di commercio, verifichi) trae un grande beneficio dal lavoro degli immigrati. Le condizioni che ho descritto sono quelle di una prigione. Come potevano le persone di cui stiamo parlando temere (o volere, come lei sembra dire) la prigione, se non hanno compiuto alcun reato? 2) Caldo in Africa? Ha provato ad accamparsi all’aperto in un deserto di notte? Persino i turisti sanno che è indispensabile il sacco a pelo per sopravvivere. E poi ponga mente a un dettaglio. Circa la metà è fuggita da guerre, in Somalia, in Eritrea, in paesi allo sbando e senza governo, dove si può solo morire. Lei non scapperebbe? E quanto al caldo e al freddo, non erano pochi nei campi di detenzione da me visitati, i polacchi, gli ucraini, i russi. Nessuno avrebbe apprezzato la sua barzelletta sul caldo. 3) Come posso tirare l’acqua al mulino altrui? Prima di tutto condivido con lei e con gli immigrati la qualifica (superiore alla cittadinanza) di essere umano. E quello è il mio mulino. E poi, come le ho detto, ho conosciuto figli e nipoti di italiani fuggiti dall’Italia, analfabeti e privi di tutto. I loro discendenti oggi sono giudici e industriali, presidenti di università, poeti celebrati, generali. Qualcuno, che pure non sapeva nulla dei loro nonni disperati, ha tirato l’acqua al loro mulino, appena cent’anni fa. O nell’ultimo dopoguerra. Lo faccia anche lei. Quanto a perdere le elezioni, mi lasci dire: non le vorrei mai vincere in compagnia di chi vuole un mondo razzista. Auguri. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
IL FATTO di ieri15 Dicembre 1841 Quando, nel dicembre 1841 , il The Chamber’s Journal di Edimburgo pubblicò “The Purloined Letter”, La lettera rubata, Edgar Allan Poe aveva 31 anni e una tormentata storia adolescenziale alle spalle che già gli aveva fatto scrivere di se stesso “…nella mia infanzia mostrai di avere ereditato i caratteri di famiglia… discendo da una razza che si è sempre distinta per temperamento facilmente eccitabile”. Molti dei suoi classici del terrore come “Berenice”, “Ligeia”, “La Caduta della casa Usher”, sono già andati alle stampe nel corso del suo peregrinare tra Baltimora, New York e Philadelphia. L’attrazione verso il mistero, il fascino perverso del mare sono già entrati, come esperienze visionarie, nella tematica onirica delle sue opere. Per lo scrittore e poeta maledetto ci saranno poi gli anni della “fantasia analitica”, degli scritti “del mistero e del raziocinio”, gli anni del racconto poliziesco e della trilogia costruita sulla figura di Auguste Dupin, investigatore immaginario, antesignano del metodo psicologico deduttivo. Trilogia in cui spicca “La lettera r ubata”, elogio psicanalitico della semplicità investigativa alla quale Lacan e Derrida dedicheranno seminari. Giovanna Gabrielli
sua disponibilità in tutta Italia. Ho spedito una lettera a molte testate nazionali e con me tanti altri pazienti. Il tema sta molto a cuore ad almeno 58 mila pazienti e a molti medici e ricercatori, purtroppo comprensibilmente osteggiati dai portatori di enormi interessi eco-
nomici, che preferiscono imbottirci di interferoni, chemioterapici e recenti ritrovati (Tysabri, Fingolimod) da 2 mila euro a flebo, spinti da Farmindustria, capitanata da Enrica Giorgetti, moglie del ministro Sacconi. Salvatore Costanzo
Se io fossi Bersani abolirei i mezzi termini Se penso che io ho votato il Partito democratico mi sento male. La cosa grave non è tanto che Bersani non sia andato al No B. Day, quanto il fatto che non ce n’è uno che osi alzare la voce. Danno l’impressione di voler nascondere qualcosa, di essere comodi così come sono e di fregarsene di perdere voti. Sono stati assunti per perdere le elezioni e per non fare opposizione? Sono certa che anche questo sia un lavoro ormai. Ma che rabbia! Se io facessi parte della direzione Pd spaccherei il mondo per farmi sentire . Maria Rita d'Eza
Ecco perché me ne vado all’estero Ecco perché un giovane dovrebbe rimanere in questo paese, dove: i membri del governo sono collusi con la mafia, molti giudici (dicono i politici) sono comunisti, la classe dirigente si crede una nuova aristocrazia senza obbligo di rispettare nessuna legge e dunque attinge ad ampie mani nelle casse dello Stato – cioè di tutti – per consolidare il proprio potere e la supremazia sul popolo normale. Questo è un paese dove le pro-
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L’abbonato del giorno ANDREA MASCELLONI “Ciao mi chiamo Andrea, ho quasi 21 anni e mi sono abbonato al Fatto Quotidiano appena ne ho avuto la possibilità! Vivo solo da quasi 3 mesi, attualmente sono disoccupato con un diploma di Tecnico delle Industrie elettroniche. Ho tre fratelli e una sorella, e mi sono avvicinato alla politica solo attraverso il blog di Beppe Grillo che mi ha risvegliato dal torpore politico di questi anni”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
A proposito dell’asilo dell’orrore Sono un’insegnante di una scuola dell’infanzia comunale e scrivo a proposito del video terribile che dimostra senza alcun dubbio la ferocia e la pazzia che pervade la maestra del nido di Pistoia. Faccio notare un piccolo dettaglio: lo Stato e i comuni in diverse regioni hanno da tempo delegato alcuni servizi per l’infanzia a privati, perché forniscono lo stesso servizio a costi ridotti. Nella scuola pubblica episodi del genere (ma, fortunatamente basta infinitamente meno) sarebbero stati immediatamente denunciati da qualche collega che non può non aver visto; da qualche supplente, da qualche incaricata, da qualche ausiliaria o collaboratrice. Pur condannando fermamente le autrici e le complici omertose di quanto è successo, non posso non pensare che, se denunciando i fatti si rischia il licenziamento e si ha una famiglia da mantenere, ci possa essere chi tiene gli occhi chiusi anche di fronte a simili violenze. Manuela Barani
I nostri errori messe dei politici vengono puntualmente disattese. Dove da 15 anni a questa parte la “nuova aristocrazia” trasferisce risorse dai cittadini alla propria classe, approvando leggi in tal senso e usando strumenti “legali” quali le “consulenze”. Dove si varano leggi edilizie con un territorio molto compromesso e fragile, e così via. Se un giovane se ne vuole andare, come dargli torto? Francesco Degni
La foto apparsa sulla prima pagina del 13 dicembre che ritrae la targa in memoria di Giovanni Falcone, della moglie e della scorta, è di Alessio Gervasi. Per una dimenticanza la foto non è stata firmata: ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.
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