Dovrebbe difendere i consumatori ma è difficile da avviare e inefficace. La class action all’italiana
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Domenica 3 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 2 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
IL PARTITO DELL’AMORE ODIA LA COSTITUZIONE Brunetta: va modificata anche la prima parte Assalto finale di Antonio Padellaro
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urtroppo va preso sul serio il ministro Brunetta quando propone di cambiare l’articolo uno della Costituzione. Non per quello che dice. Ma per quello che ancora non può dire. Brunetta è tante cose ma non uno stupido e se ha dato un’intervista a Libero non era per comunicare al mondo che la frase “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” non gli piace, “perché non significa nulla” e che lui preferisce “merito” e “concorrenza”. Parole, queste sì, strampalate. No, il ministro ha voluto portare il suo dono votivo a chi della Costituzione non sopporta soprattutto l’articolo tre: quello della legge uguale per tutti. Ha lanciato un petardo per dire: eccomi qua, a un tuo ordine sta’ costituzione la cambiamo eccome, anche da soli. Berlusconi lo va dicendo da mesi che la Carta è un frutto del cattocomunismo di stampo resistenziale (subito scimmiottato da Brunetta che infatti dà la colpa “al clima del dopoguerra”). Ora che il clima è cambiato succede che il mitico don Verzè reduce dalla stanza ospedaliera del premier appena colpito da Tartaglia se ne esca con una dichiarazione sulla Costituzione che va cambiata. Frase del tutto sconnessa dal contesto. Il clima, appunto, è quello del partito dell’amore che si oppone al partito dell’odio che ha armato la mano dell’attentatore. È il clima del “dialogo”, delle “riforme condivise”, delle “intese a tutto campo”, offerte all’opposizione con la mano tesa mentre l’altra nasconde un nodoso bastone. Per ora di dialogare non se ne parla. Le elezioni amministrative di marzo sono troppo vicine e il Pd di Bersani sta già rischiando di suo l’osso del collo ( 7 regioni su 11 sono in bilico) e non è certo il momento di offrire l’altra guancia all’avversario. Ma se il centrodestra dovesse fare bottino pieno dalla Padania alle Calabrie, allora sì che sarebbero guai seri. Più forte che mai Berlusconi potrebbe procedere a tappe forzate contro l’ultimo baluardo che ancora si oppone al disegno di ampliare i poteri dell’esecutivo (i suoi) e di sottomettere la magistratura dopo avere, di fatto, svuotato il Parlamento, reso ormai un ente inutile. Le apparenti divagazioni di Brunetta ci preannunciano l’assalto finale. Non resta che prepararsi. Il resto (ha ragione Bossi) sono solo chiacchiere.
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Il ministro: “Riscriviamola a partire dall’art.1, sul lavoro: non significa nulla”. Damiano: “Questi non scherzano”
Dissesti
L’ITALIA CHE VA IN FRANTUMI
Ferrucci e Tecce pag. 5 z
Udi Luigi Zoja SCEGLIERE DI MORIRE anno che si chiude è stato L’La valanga atroce per France Télécom. di ansia aveva cominciato a rotolare già nel 2006: da allora l’azienda di telecomunicazioni ha eliminato un dipendente su cinque e la doppia pressione (meno impieghi, più prestazioni) continua. pag. 18 z
Una frana ha causato una vittima vicino ad Amalfi. Ma l’intero territorio italiano si sta sfaldando. E nessuno fa manutenzione straordinaria. pag. 9 z
LE INTERVISTE Beppe Grillo
Giorgio Bocca
“LA CASTA HA PAURA “CRAXI? LI CONTROLLEREMO FACEVA POLITICA CON LE WEB CAM” COME UN BANDITO” di Luca
Telese
di Gianni
Barbacetto
ono contento che un “S giornale senza finanziamenti come il Fatto mi
iorgio Bocca in via CraGterebbe. xi proprio non ci abiÈ ormai abituato
dia spazio. Invito i lettori a ricordarsene”
ai i tentativi di riabilitazione.
pag. 4 z
pag. 7 z
Udi Furio Colombo
nanno diplomatico
IMMIGRATI E RADICALI
Torna la sindrome dell’Italietta, gregaria nel mondo
a sera del primo gennaio reLve programma sta accesa la radio dopo il bre“ I giornali di domani” di Radio Radicale. E invece del consueto “ Archivio della notte” (discorsi, dibattiti, eventi del passato, due anni o trent’ anni fa) c’è una “diretta” da una piazza di Roma. pag. 6 z
Gramaglia pag. 12z
CATTIVERIE L’uomo del 2009 è Giulio Tremonti. Del resto è stato un anno di merda. www.spinoza.it
Un Pellegrino a Palazzo di Marco Travaglio
on ‘sta pioggia e con ‘sto vento, chi è che bussa al suo convento? Bartolo Pellegrino, già vicepresidente della Regione Sicilia e assessore della giunta Cuffaro, ex socialista, ora leader di “Nuova Sicilia” (per distinguerla da quella vecchia), celebre per una telefonata intercettata in cui dipingeva un tizio che aveva parlato coi carabinieri come uno che “fa l’infame con gli sbirri”, poi arrestato a Palermo per concorso esterno in mafia e corruzione, infine assolto dalla prima accusa e salvato dalla prescrizione per la seconda, ma sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di firma perché “soggetto pericoloso”. Lo statista trapanese ha fatto una capatina ad Arcore per gli auguri di fine anno al premier convalescente. Ma la Presidenza del Consiglio precisa sdegnata: “Non è assolutamente vero che il presidente Berlusconi abbia ricevuto l’onorevole Pellegrino”: il suddetto “si è recato ad Arcore, ha chiesto di incontrare il presidente Berlusconi, che però era impegnato e non l’ha ricevuto. Pellegrino non è nemmeno entrato nella residenza”. Ecco. Non che il capo del governo ritenga sconveniente ricevere un sorvegliato speciale: era semplicemente in altre faccende affaccendato e possiamo immaginare quali (che avete capito: era al centro commerciale a comprarsi una faccia nuova). Non abbiamo motivo di dubitare della versione di Palazzo Chigi. Sia per la proverbiale sincerità del premier, che mai mentirebbe al Paese. Sia perché Pellegrino è sprovvisto dei requisiti minimi per accedere alla reggia: infatti è stato assolto dall’accusa di mafia, dunque è inaffidabile. Fosse stato condannato in tribunale come Dell’Utri, l’avrebbero fatto entrare. Ma per gli assolti non c’è posto: c’è un limite a tutto, perdìo. Chissà cos’è saltato in mente a un politico navigato come il povero Bartolo di lasciare il sole della Sicilia e percorrere 2mila chilometri per sfidare le brume e le nevi della Brianza, presentarsi a sorpresa al cancello di Arcore, suonare il campanello e vedersi respingere, insalutato ospite, dallo sgarbato padrone di casa. Forse, sopravvalutandosi, aveva pensato: se lì ha risieduto per due anni un mafioso camuffato da stalliere, un posticino lo troveranno anche per me. O contava di mescolarsi all’incessante pellegrinaggio di pregiudicati, inquisiti, papponi ed escort che tradizionalmente allieta le residenze presidenziali. O pensava che aver definito “sbirri” i carabinieri e “infami” quelli che ci parlano gli valesse la fama di eroe già tributata dal premier all’impavido Mangano. O si era lasciato illudere dal clima festoso che in Lombardia circonda Craxi e i suoi cari accusati di tangenti: non che pensasse di meritare addirittura una strada, una piazza, un giardino, ma in un tetto e in un pasto caldo ci sperava. Invece niente. Quando l’usciere gli ha chiesto la parola d’ordine (“Quante condanne, figliolo?”), ha allargato desolatamente le braccia: “Nessuna, per la mafia mi hanno assolto. Però ho una prescrizione per corruzione e un obbligo di firma”. E l’altro: “Eh, dotto’, dicono tutti così. Sapesse quanti prescritti vorrebbero entrare. Spiacente, ma senza condanne non si va da nessuna parte”. Respinto con foglio di via come un clandestino e costretto a dormire all’addiaccio come un terremotato. Resta da capire perché il piccolo fiammiferaio abbia dichiarato ai carabinieri (pardon, agli sbirri) del suo paese e di Arcore di essere in missione per portare gli auguri al Presidente, se nemmeno l’aveva avvertito. Forse ci teneva tanto a visitare comunque la ridente località brianzola, piena di attrazioni turistiche e ricca di capolavori d’arte. O forse voleva evitare la figuraccia. O magari nella tenuta è riuscito a entrare davvero, ma dalla porta di servizio, accolto segretamente da James Bondi che l’ha poi ricoverato nelle scuderie travestito da stalliere. Al Cavaliere, quando l’ha scoperto, è parso di tornare bambino: l’ha persino perdonato per quella brutta assoluzione.
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Domenica 3 gennaio 2010
La procura di Perugia e i “problemi” a causa del segreto di Stato
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SERVIZI
a Perugia il processo all’ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari e al suo fido collaboratore Pio Pompa, sul centro studi di via Nazionale, a Roma, dove venivano schedati e dossierati magistrati e presunti avversari politici. In questo processo il premier Silvio Berlusconi si è avvalso della possibilità di consentire ai
due imputati il segreto di Stato durante gli interrogatori. Inoltre la procura ha chiesto l’archiviazione per parte dei reati di cui erano accusati i due 007. Ancora ignoti i motivi di tale decisione. Leggendo i fax sembra di capire che il magistrato abbia deciso di chiudere le indagini sulle presunte violazioni della privacy delle persone finite
nel mirino di Pompa, mentre resterebbe ancora in piedi l’inchiesta per peculato in cui i due indagati sono accusati di aver utilizzato fondi e beni pubblici per finalità estranee ai servizi.. Non è quindi da escludere che il pm abbia dovuto prendere atto di come il segreto di Stato abbia reso ingiudicabili i due ex funzionari.
Viaggi, promozioni e ospedali in Polonia: gli affari della Pollari-don Verzè Spa I PIANI DEL SISMI DEVIATO NELL’ARCHIVIO DI PIO POMPA di Peter Gomez
he cosa è stato il Sismi di Nicolò Pollari? Un comitato d’affari? La longa manus di don Luigi Verzè, il prete amico di Silvio Berlusconi, che aspirava ad utilizzare gli 007 quasi fossero una lobby per far ottenere al suo ospedale San Raffaele fondi pubblici? Un centro di potere al servizio non dello Stato, ma del premier e dei suoi sodali? Sono molti, e francamente inquietanti, gli interrogativi che emergono dalla lettura degli atti depositati a Perugia, dove il pubblico ministero Sergio Sottani ha chiuso la sua inchiesta per peculato contro Pollari e Pio Pompa. Dalle carte sequestrate nell’appartamento di via Nazionale a Roma, dove Pompa organizzava schedature di magistrati e dei presunti avversari politici del premier, saltano fuori documenti in cui il funzionario elenca a don Verzè gli affari da affrontare “con maggiore e puntuale efficacia, immediatamente dopo la nomina dell’amico N (Nicolò ndr)”. In una lettera, o meglio in un “report” del 2001, Pompa - in quel momento consulente sia di Pollari che di Don Verzè, ma in procinto di essere assunto in pianta stabile al Sismi- mette, per esempio, in fila sette diverse “iniziative” da concludere al più presto. Un “programma vasto e impegnativo” che grazie alla “caparbietà, la capacità e l’entusiasmo”, lo 007 spera di realizzare cogliendo “quei risultati che il buon Dio e la Divina Provvidenza vorranno concederci”. Verosimilmente si tratta di un piano discusso direttamente
L’ex direttore del Sismi Pollari In alto, don Verzè (ANSA)
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con Pollari, visto che il report per don Verzè si chiude con il post sciptum: “un caro e affettuoso saluto dall’amico N.”. Un programma che ha ben poco a che fare con le finalità istituzionali dei servizi segreti, ma che almeno finora non ha spinto il comitato parlamentare di controllo sull’intelligence (il Copaco, oggi Copasir) a interventi decisi. Eppure di materia su cui pronunciarsi ce n’è a iosa. Il progetto dello strano trio Poma, Pollari, don Verzè, spazia infatti dalle raccomandazioni in fa-
vore dell’attuale ministro della Salute, Ferruccio Fazio, per un posto all’agenzia nazionale del farmaco (“siamo in contatto con il sottosegretario Possa”, ricorda il funzionario), fino ai business immobiliari. Non per niente il secondo punto del report riguarda il tentativo di “acquisizione” di “Palazzo Rivaldi” a Roma per il quale c’è stato un “intervento di Franco F. (probabilmente l’attuale ministro degli Esteri, Frattini ndr)”. “Siamo in condizione”, scrive Pompa, “di incidere fattivamente sui soggetti, regione,
La lettera
Mafia, i miei familiari ammazzati e umiliati entile direttore, pur essendo uno Goggidei collaboratori del suo giornale, le scrivo da lettore, da semplice cittadino che ha alle spalle un’infanzia segnata dagli omicidi del nonno e dello zio, ammazzati l’uno dopo l’altro per mano mafiosa, per non aver ceduto la loro azienda alle richieste di cosa nostra, pur sapendo che questo sarebbe costato loro ciò che di più prezioso avevano: la vita. Senza timore essi decisero di barattarla con qualcosa che forse allora valeva di più, la dignità, la capacità di poter guardare negli occhi fino in fondo noi, piccoli nipoti che crescevamo in cattività, lontano dai mostri che attanagliavano la Sicilia. Decisero di morire ma di farlo liberi e portando con loro l’onore , la certezza di aver vissuto a testa alta, e di non averla abbassata mai, nemmeno di fronte alla grande e solenne cosa nostra, che all’epoca, come oggi, decideva su ogni cosa, dall’assegna-
zione dei lavori pubblici alle nomine ministeriali. Avevano 32 e 52 anni. Mio zio Paolo Borsellino, omonimo del giudice, aveva due figli, uno di 2 e l’altro di 5 anni. Fu ucciso il 21 aprile del 1992. Mio nonno, Giuseppe Borsellino, di anni ne aveva 52 e di voglia di vivere tanta. Dopo essere riusciti con sacrifici indicibili a mettere in piedi il loro impianto di calcestruzzo a Lucca Sicula (Ag), e dopo aver suscitato gli appetiti delle cosche locali, che li minacciarono ripetutamente di morte, incendiando i loro mezzi e i loro frutteti, decisero di non mollare. Avrebbero potuto cedere, magari entrare nel giro, magari allearsi con il più forte. Avrebbero avuto in cambio denaro, magari potere, beni per loro e per la nostra famiglia. Magari oggi saremmo estremamente ricchi, magari sarebbero amministratori. Purtroppo o per fortuna andò diversamente, e oggi siamo una famiglia che ha raccolto dal
comune, ecc; nell’ambito delle azioni concordate con l’avvocato A.”. A Mostacciano, dove il San Raffaele ha un ospedale, don Verzè e Pompa, hanno invece in mente la “costituzione di un ‘centro studi’ (una definizione spesso utilizzata per descrivere i centri Sismi ndr) utilizzando in affitto la villa limitrofa al Parco Biomedico [...] abbiamo la possibilità di avvalerci degli ottimi rapporti di amicizia, resi disponibili dall’amico N., con i vertici del Polo Tecnologico, il presidente Geronzi e i responsabili degli organismi deputati al finanziamento”. Ma Pollari, per Don Verzè, è disposto a fare molto di più. Lo si comprende leggendo la descrizione della “Operazione Roma”: cioè di una visita negli Usa del religioso “sotto la direzione e la regia dell’amico N.”, dove il prete vuole aprire una fondazione dopo alcuni incontri con “i vertici dei soggetti interessati sui quali insistono anche le amicizie, di altissimo livello, facenti capo a N.”.
Quello che Pompa descrive è insomma una sorta di network messo in piedi per bussare a quattrini. Per questo considera: “Saremo in grado, dopo l’avvenuta collocazione di N. (al Sismi ndr) di gestire, con una rete propria e riservata, l’approvazione e il finanziamento dei progetti d’interesse del San Raffaele in ambito nazionale, europeo e internazionale”. Così l’ospedale di Segrate potrà sviluppare “il business della telemedicina” nelle carceri e “l’ampliamento e il rafforzamento dell’attività di lobbying”, porterà più soldi per tutti. Mentre all’estero “in combinazione con le finalità istituzionali che fanno capo all’amico N.” potrà essere realizzato “’un centro studi’ o un altra ‘entità’ in Gerusalemme” e potrà essere acquistato un ospedale a Cracovia. Il tutto per la felicità dei contribuenti finora conviti che gli 007 servissero solo a garantire la loro sicurezza. Ma quelli di Pollari facevano di più. Pensavano pure alla loro salute.
di Antonella Mascali
GIUSTIZIA À LA CARTE
PROCESSO BREVE & CO: DIALOGO A GO-GO P
rove tecniche di dialogo del partito dell’amore. La maggioranza approverà le leggi processo breve e legittimo impedimento. Se qualche ingenuo (o finto ingenuo) non lo avesse capito, il sottosegretario Bonaiuti l’ha detto forte e chiaro: “Non si tratta di leggi ad personam. C’è invece una giustizia ad personam che ha colpito il presidente del Consiglio”. Naturalmente è solo una coincidenza che con il processo breve, moriranno i dibattimenti Mediaset e Mills. Pazienza, se con essi altre decine di migliaia di processi. L’interesse del premier, su tutto. Il calendario è pronto: il 12 gennaio nell’aula del Senato approda il processo breve, il 25 gennaio alla Camera, il legittimo impedimento. Il vice segretario
sangue per due volte due nostri cari. Una famiglia che ha visto i fori che lasciano nel corpo i proiettili. Che ha visto come un caricatore intero di mitraglietta può ridurre un uomo in carne e ben messo. Tutto questo per essere stati corretti, leali e dignitosi. Per aver agito in virtù della legalità, rifuggendo da scorciatoie e compromessi. A loro nessuno ha dedicato una via, una piazza, un giardino. Anzi, nessuno c’ha mai pensato. Nessun sindaco, nessun presidente di Provincia o di Regione si è mai accorto di questi due morti di serie D. Ogni tanto, di notte, sogno di essere in una qualche città del mondo e di alzare gli occhi, e leggere su una targa “Giuseppe e Paolo Borsellino, padre e figlio, uccisi dalla mafia ma morti liberi e vincitori”. E mi è successo anche una di queste notti. Solo che all’indomani ho scoperto sul nostro giornale che quella targa magari ci sarà presto, in una qualche via
del Pd, Letta, ha detto che il suo partito può discutere delle riforme, “ma il Pdl e Berlusconi devono assolutamente ritirare il provvedimento sul processo breve”, (e il legittimo impedimento?), “che è dichiaratamente una legge ad personam”. Non perde tempo neppure il presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, Vizzini, che vuole avviare le riforme a metà gennaio. All’orizzonte il ripristino dell’immunità parlamentare. Ma per il ministro Brunetta si deve cambiare anche la prima parte della Costituzione “a partire dall'articolo 1. Stabilire che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla”. Sicuramente è andato dritto al cuore di Berlusconi.
di Milano, ma al posto del nome dei miei parenti ci sarà quello di Bettino Craxi. Bettino che la mafia non l’ha mai combattuta, ma in compenso ha fatto ciò che di peggio può fare un politico: si è venduto al miglior offerente, ha rubato denaro pubblico per i suoi piaceri e, in minima parte, per il suo partito. Mio nonno e mio zio non ebbero la fortuna di essere condannati a 5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai e a 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese. Craxi sì. Furono degli idioti? O suona meglio coglioni per dirla come la direbbe il premier? Di certo furono illusi. Mi fa un certo senso pensare che mentre loro fronteggiavano a viso aperto mafia e mafiosi, Craxi rubava e si arricchiva. Negli stessi esatti momenti. E questo ora gli frutterà una bella targa, una via, magari un giardino in cui i bambini cresceranno,
chiedendo ai genitori chi sia stato Craxi, cosa abbia fatto di così grande di meritarsi un parco. Una via verrà dedicata a chi è morto fuori dall’Italia per non finire in galera. E a chi invece è morto proprio per rimanere nella sua terra, la Sicilia, a lottare da solo di fronte da un esercito? Oblio, maldicenze, infamia. Se questo è quello che siamo diventati, se una sollevazione pacifica e popolare non fermerà questo orrore, io benedirò quelle armi e quei killer che hanno devastato le nostre vite, perchè hanno fatto sì che mio nonno e mio zio non assistano oggi ad un criminale che viene innalzato al rango di eroe, ricordato dal Presidente della Repubblica, e riverito dai compagni di Pio La Torre, che in quegli anni si pulivano la coscienza dopo averlo venduto alla mafia. Loro non possono vederlo, e questo è il mio unico sollievo. Benny Calasanzio
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De Magistris (Idv): salvacondotto per Silvio, destinazione Cayman
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SEGRETI
n “lodo de Magistris” per il presidente del Consiglio. Lo propone l’eurodeputato Idv che afferma: “La proposta di fondo è questa: garantiamo a Berlusconi la possibilità di lasciare l’Italia senza conseguenze. Non c’è trucco e non c’è inganno: solo il bisogno di ritornare a essere una nazione democratica e civile”. Il tutto,
continua Lugi de Magistris con “un volo di Stato, con annesso Apicella e magari una graziosa signorina. Destinazione? Consigliamo le isole Cayman. Nella patria liberata non ci saranno più scudi fiscali e lodi ad personam, decreti razzisti e leggi fondamentaliste, emendamenti che ridanno alle mafie ciò che lo Stato ha tolto loro. Fantascienza? Forse. Sicuramente la stessa a cui
ci ha abituati con le sue dichiarazioni e le sue azioni politiche surreali: diciamo degne di un altro pianeta, se esiste”. Immediate le repliche dei berluscones. Bondi: “Parole di gravità inaudita”. Capezzone: “Avvilente il silenzio del Pd”. Boniver: “Se questo significa abbassare i toni, stiamo freschi”. Dulcis in fundo, Stracquadanio: “Squadrismo da bullo”.
I politici in processione ad Arcore visti da Emanuele Fucecchi Sotto, l’onorevole Pellegrino
L’ON. SORVEGLIATO E IL FANTASMA DI CASA ARCORE “B. NON HA INCONTRATO PELLEGRINO”. MA PERCHÈ ERA LÌ? di Sandra Amurri
e Rino Giacalone opo che Il Fatto Quotidiano ha raccontato che l’onorevole Bartolo Pellegrino, sorvegliato speciale per mafia, il 29 dicembre si è recato a fare visita a Berlusconi nella sua villa di Arcore, la presidenza del Consiglio dei ministri ha smentito accusando il nostro giornale di aver scritto il falso: “Non è assolutamente vero, come scrive Il Fatto Quotidiano, che il presidente Berlusconi abbia ricevuto l’onorevole Bartolo Pellegrino. Pellegrino si è recato ad Arcore, ha chiesto di incontrare il presidente Berlusconi, ma il presidente era impegnato e non lo ha ricevuto. Pellegrino non è nemmeno entrato nella residenza”. Peccato perché se la notizia è priva di fondamento, a dire il falso, per giunta ai carabinieri, è stato l’onorevole Pellegrino e non il nostro giornale che ha solo riportato le sue dichiarazioni a verbale. Questi i fatti. Il 29 mattina, l’on. Pellegrino, come gli impone la misura restrittiva a cui è sottoposto, si è recato alla stazione dei carabinieri di Paceco, dove risiede, per comunicare che stava andando ad Arcore a trovare Berlusconi. Alle ore 18 dello stesso giorno, si è recato presso la stazione dei carabinieri di Arcore e ha detto che in serata sarebbe andato nella residenza del premier per lo scambio degli auguri. Il giorno dopo, 30 di-
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cembre, alle ore 12.10 è andato di nuovo alla stazione dei carabinieri di Arcore per comunicare che stava partendo. Dunque, secondo quanto afferma la nota di Palazzo Chigi, l’onorevole sarebbe un mitomane al punto da dichiarare ai carabinieri quello che gli sarebbe piaciuto che accadesse e non ciò di cui aveva la certezza che sarebbe accaduto. E per rendere ancor più credibile la finzione la notte del 29 ha alloggiato all’Hotel Borgo Lecco di Arcore. Ma siccome stiamo parlando di un politico navigato che mai avrebbe rischiato una simile figura, la versione berlusconiana ha tutta l’aria di essere stata partorita dalla fretta di smentire un incontro molto ma molto imbarazzante. Ma non perché ha ospitato un sorvegliato speciale - figurarsi, è abituato a ridere delle bombe “gentili” ad opera del
boss-stalliere Vittorio Mangano ma imbarazzante politicamente che rischia di rompere le uova nel paniere del Pdl. Eh sì, perché Berlusconi ufficialmente sta con l’ala del Pdl siciliano che fa riferimento al presidente del Senato Schifani che definisce un ribaltone la nuova Giunta di Raffaele Lombardo, mentre sotto sotto, pare proprio che sostenga l’ala scissionista del Pdl capeggiata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianfranco Miccichè, da sempre legato a Marcello Dell’Utri. E l’onorevole Pellegrino - come ha detto in una recente intervista a Trapaniok.it - è pronto a tornare in pista proprio contro il suo “nemico” Lombardo: “Sono un vecchio leone che può dare qualche zampata in direzione di una Sicilia dove oggi fanno il governo dell’inciucio che la ri-
caccia indietro di tantissimi anni”. Tesi, quest’ultima, che troverebbe conferma anche nei malumori che la notizia dell’incontro svelata da Il Fatto Quotidiano avrebbe generato in Miccichè e nella sua maggiore alleata, la capogruppo del Pdl all’Ars, Giulia Adamo. Dunque, Berlusconi ha salvato capra e cavolo accusando Il Fatto Quotidiano di propagare falsità. Smentita che Pellegrino ha incassato obtorto collo per poi tuffarsi in un rischiosissimo slalom fuori pista, come conferma la versione affidata al suo avvocato Vito Galluffo: “L’onorevole si è recato a Milano
per ragioni personali e in taxi è andato ad Arcore da dove ha telefonato alla signora Marinella, segretaria di Berlusconi per chiedere di essere ricevuto in villa. Quando si è sentito rispondere che il presidente era impegnato ha consegnato alla segretaria il suo attestato di solidarietà e i suoi più cari auguri di buon anno per Berlusconi”. Primo: se l’onorevole Pellegrino non aveva appuntamento con Berlusconi come mai ha dichiarato ai carabinieri di Paceco che stava partendo per Arcore? Secondo: perché per telefonare alla segretaria di Berlusconi si è recato ad Arcore, forse a Milano non c’era campo? Terzo: perché dopo aver appreso che il presidente non l’avrebbe ricevuto è rimasto a dormire ad Arcore e non è tor-
nato a Milano? La sola risposta credibile e non offensiva per tutti gli attori in scena è che l’incontro sia avvenuto ma quando Il Fatto Quotidiano l’ha reso noto ci hanno messo una pezza. In maniera maldestra. Come sempre.
Costretto all’obbligo di firma, aveva detto ai carabinieri di essere stato dal premier
DOPO LO “SCONTO” A GRAVIANO
PIZZINI NELLE MUTANDE E STRANE GRAVIDANZE: I “BUCHI” DEL 41 BIS di Giuseppe
Lo Bianco
“pizzini” tra i cambi della biancheria portati in carIinterni cere. I messaggi nelle lettere degli avvocati. I ‘postini’ che da un piano all’altro delle carceri veicolano
verso l’esterno gli ordini dei boss. E il più fantasioso, nella violazione del 41 bis, è stato proprio Giuseppe Graviano: nell’estate 1997 sua moglie, e quella di suo fratello Filippo, hanno partorito due bambini in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l’una dall’altra, nonostante i mariti fossero detenuti da oltre tre anni in regime di carcere duro. La procura di Antonio Massari ROTTA SU ROMA aprì un’inchiesta ipotizzando una fecondazione in provetta realizzata illegalmente, ma l’inchiesta non riuscì ad accertare nulla. Ora che i giudici di Palermo hanno tolto al cainchiesta sulla Wind lascia Crotone per Ropomafia di Brancaccio ma. Pierpaolo Bruni ha già trasmesso gli atti l’obbligo di isolamento e il direttore della security, Salvatore Cirafici, lascia gli diurno lasciandogli più arresti domiciliari, commutati nell’obbligo di firma. spazi dentro il carcere con un 41 bis di fatto attenuaLa novità è giunta, dal tribunale del Riesame di Catanto, magistrati antimafia e zaro, il 30 dicembre. Il gip Adalgisa Rinaldo ha stabilito
L’inchiesta Wind finisce nella nebbia
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l’incompetenza della procura di Crotone. E non solo. Non ha convalidato l’arresto di Cirafici per due dei tre reati contestati, ovvero il favoreggiamento e la rivelazione del segreto d’ufficio. Le prove non sarebbero sufficienti. Cirafici, secondo l'accusa, avrebbe avvertito il maggiore dei Carabinieri Enrico Grazioli, indagato da Bruni, che aveva il telefono sotto controllo. Resta l’obbligo di firma, invece, per il terzo reato imputato a Cirafici: il falso ideologico. Quando la procura aveva chiesto alla Wind da chi fosse utilizzata, la sim card dalla quale Cirafici parlava, aveva ottenuto in risposta che, dai terminali, risultava “disattiva”. Invece era in uso.
funzionari del ministero della Giustizia si interrogano su un sistema che negli anni ha presentato una serie incredibile di falle scoperte da numerose inchieste che hanno portato a galla complicità interne degli agenti di custodia ma anche superficialità, disattenzioni e lassismi nella gestione interna del “carcere duro”. Il consigliori di Riina e Provenzano, Pino Lipari, faceva uscire le istruzioni per gestire il patrimonio occulto dei boss nei ‘pizzini’ nascosti tra canottiere e mutande da lavare consegnate alla moglie; il catanese Giuseppe Garozzo, detto “Pippu u' maritatu” per comunicare dalla sua cella del carcere di Spoleto con il mafioso Salvatore Cappello utilizzava addirittura un computer; e Paolo Iannò, ora pentito di ‘ndrangheta all’interno del carcere de L’Aquila si manteneva in contatto “attraverso un passeggio” con i boss Giuseppe Lezzi, Croce Valanidi, e Filippo Barreca. E Vincenzo Santapaola, fratello del boss Nitto, è riuscito persino a farsi pubblicare una lettera, “dall’eclatante carattere intimidatorio’’, come ha detto Claudio Fava, dal quotidiano “La Sicilia” di Catania. Oggi chi è sottoposto al 41 bis - 588 detenuti in tutto, 79 nuovi nel 2008 - può avere al massimo due colloqui al mese solo con i familiari e conviventi in locali che impediscono il passaggio di oggetti, e i colloqui possono essere registrati. Ma, come dice il procuratore nazionale antimafia Piero
588 boss in regime speciale, le “falle” dell’isolamento Grasso: il nodo sono i colloqui con i familiari
Grasso, “non tutti i colloqui con i familiari vengono intercettati” e spesso i messaggi vengono trasmessi attraverso codici criptici, perfettamente decodificati dai familiari. Rinchiusi nelle gabbie dell’aula bunker dell’Ucciardone, a Palermo, i fratelli Brusca riuscivano perfettamente a lanciare messaggi ai familiari ospitati nelle zone riservate al pubblico facendosi capire con il solo sguardo accompagnato da gesti impercettibili ma eloquenti. E se la corrispondenza con i familiari è sottoposta per legge a censura, quella con i propri legali, invece, è, per la Costituzione, inviolabile, costituendo, oggettivamente, un’altra possibile falla del sistema, segnalata tempo fa dal procuratore aggiunto della Dda di Napoli Franco Roberti che ha evidenziato “il rischio concreto che gli avvocati, loro malgrado, vengano individuati come veicoli di informazione dal regime di isolamento verso l’esterno” dal momento che la corrispondenza con i legali dei detenuti non è sottoposta a censura. E se la “socialità’’ è limitata a quattro ore e non può svolgersi in gruppi superiori alle cinque persone il boss calabrese Giuseppe Piromalli la sfruttava per riunirsi e discutere di affari e strategie con altri boss detenuti come lui nel carcere di Tolmezzo col 41 bis. Tra questi, anche un boss del calibro di Antonino Cinà l’uomo del “papello’’, con i quali si confronta, scrivono i magistrati nel decreto di fermo del blitz “Cento anni di storia” dello scorso anno, sullo “speciale regime detentivo di cui all’art. 41 bis contro la cui applicazione le organizzazioni mafiose calabrese e siciliana cercano di fare fronte comune attraverso l’elaborazione di una strategia unitaria”. Anche da un punto di vista normativo: se lo chiede la mafia e si interroga anche la società civile sull’efficacia di una legge che istituendo il 41 bis contemporaneamente lo nega, perché afferma che quando il reo dimostra di aver tagliato i ponti con l’esterno, potrà tornare a carcere normale. “Ma come farà mai il mafioso, ad avere contatti con l’esterno – si chiede Giovanna Maggiani Chelli, vice presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili - se il 41 bis è stato sancito proprio perché quei contatti non ci fossero? Ma chi vuole prendere in giro la giustizia di questo Paese?”.
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Domenica 3 gennaio 2010
Comico e blogger, dai V-Day alla politica
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MOVIMENTI
on il “V-day”, davanti ai Municipi di oltre ottanta città italiane e in venticinque Paesi esteri, l’8 settembre 2007, Beppe Grillo ha lanciato una legge d’iniziativa popolare per “pulire” il Parlamento italiano. Capisaldi: l’impossibilità di un cittadino condannato in via definitiva di candidarsi e il limite massimo di due legislature
per ogni eletto a una carica politica. L’iniziativa ha raccolto 336.144 firme. Così Grillo ha deciso di rilanciare. Con “V2-Day”, del 25 aprile 2008, si è scagliato contro quella che ritiene la “casta” dell’ordine dei giornalisti; e ha portato come richiesta tre proposte di referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria e la fine dell’ordine dei
giornalisti. Autore di un blog aperto cinque anni fa e tra i più cliccati di Internet, nel 2009 ha lanciato ufficialmente le liste civiche del “Movimento a cinque stelle”, che il “comico-blogger” ha definito: “Parto di una lunga gestazione iniziata nel gennaio del 2005”. Parole d’ordine dei militanti: legalità e temi ambientali. (l.a.)
“HANNO PAURA FOLLE DI NOI”
Beppe Grillo e le sue liste: “Ci basta un ragazzo con una webcam in ogni consiglio per controllare i politici” di Luca Telese
ono contento che un giornale senza finanziamenti come il Fatto mi dia spazio. Invito i lettori a ricordarsene perché sarà una eccezione.... Vedrete: da adesso in poi i quotidiani ci oscureranno come e più di prima: zero!”. Adessoper Beppe Grillo è “il discorso dell’elmetto”. Quello che si è messo in testa per il suo messaggio di fine anno. Casco bianco, tuta, elicotteri in mano, sopra un tetto. E poi un altro passo verso la politica: In principio è stato il Vaffa Day. Ora le “Cinque stelle”. Dapprima meet up e consigli comunali. Ora liste in cinque regioni italiane. “Passo dopo passo questo movimento arriverà in Parlamento”. Vuol dire che alle politiche in lista potrebbe esserci anche Grillo? (Ululato) Nòòooo!!! Come no? Grillo ha 62 anni e un processo senza Lodo, quindi è ineleggibile: Porteremo un ragazzo di trent’anni con una web cam e sarà meglio. Una rivoluzione. Dicevano: Grillo non vuol fare politica davvero. Era una balla, e ora si vede: corriamo in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Campania. Perché solo in queste regioni? (Ride) Perchè qui è tutto autofinanziato e di più non ci potevamo permettere.... Davvero? “No, scherzo. Perché dove abbiamo le forze partiamo”. E il risultato elettorale che sogni quanto è? Chissenefrega dei numeri... Basta piazzare uno in ogni consiglio. Se fosse più di uno... No, uno solo. E’ come portare un milione di persone che controllano i politici. Per questo hanno una paura fottuta di noi. Il prossimo passo? Un giro in Europa: vado a Parigi, Londra, Bruxelles, Francoforte, Monaco, Zurigo...”. Per le regionali? Per scaldarmi. Poi prendo un camper e, tra febbraio e marzo, mi metto a girare con questi ragazzi. Perchè il messaggio di fine anno parte dal tetto? E’ ora di scendere dai tetti della disperazione. C’è un progetto eversivo, il nostro, che parte dal rovesciamento della piramide democratica. Deciderai tutto tu? Nemmeno per sogno: io nulla. Decide chiunque si iscriva. Mette nome, cognome, riceve un password: si iscrive, vota. C’è un non-statuto straordinario: democrazia pura. Però potrebbero esserci degli infiltrati? Oh, se è per quello già ci hanno provato. E’ inevitabile. Pensa, un giorno ci siamo ritrovati un meet up messo su da gente di Scajola! La cosa è preoccupante. Per nulla. Li abbiamo scoperti e buttati fuori. La rete per noi è così: un’onda che non si ferma mai. Quanti sono i meet up “doc”? Erano 440: 100mila persone, poi
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120, poi 100... Sale e scende, ma continua a crescere. Tutti votano tutto? E tutti propongono tutto: cosa fare, chi boicottare.... Farete concorrenza a Di Pietro? E perchè? Quello è un partito. Noi siamo un movimento dal basso: andiamo a cercare il 50% di gente che non vota più perchè si è rotta i coglioni. A Veltroni davi del topo Gigio, Bersani è Bersanator. Chi preferisci dei due? Ma come si fa a preferire uno che è il nulla assoluto? Bersani è una stampella della destra... Sembra uno normale, e poi, con quella parlata emiliana, ti dice che va data in concessione l’acqua pubblica a Veolia... ...Che tu non ami. Non io, ma il sindaco di Parigi, che è un socialista, l’ha appena cacciata da lì a calci in culo. E lo sai il risultato? Risparmia? 30 milioni di euro l’anno! Dicono che le municipalizzate restano ai Comuni. Già. Ma hanno privatizzato i Comuni! Ormai sono Spa. Anche quelli di centrosinistra? Tutti. Il sindaco Zanonato a Padova ha fatto comprare al comune i derivati: 6 milioni di euro di debiti. Mica è l’unico... Tutti i sindaci si sono messi a giocare in borsa con i nostri soldi e li hanno persi. Mica li ha obbligati nessuno. E Berlusconi? Oddìo, lo psiconano è di una tristezza infinita, un vecchio. Non gli hai mandato un messaggio di solidarietà... Ero tentato. Ma poi mi sono ricor-
dato che lui ha Bondi che gli scrive poesie d’amore... va bene così. Cosa hai pensato del gesto di Tartaglia? Che può valorizzare dei monumenti dimenticati. Oddiò... La mole Antonelliana, tirata in un certo modo può lasciare dei segni importanti. L’Acropoli, per dire, può disegnare un profilo greco Sei spietato, questo è troppo... No, io temo davvero che finiremo per esportare il berlusconismo in Europa. Te lo immagini la Merkel che corrompe i minorenni, Sarko-
zy che corrompe i giudici, Gordon Brown che incontra i mafiosi a Downing street? Mi pare improbabile... Mica tanto. Ricordati che noi italiani abbiamo inventato il fascismo e le banche. Hai paura di essere normalizzato dalla politica? No: io non vivo di politica. Io la faccio. E’ molto diverso. Hai iniziato appena. Aspetta... Mannò, la faccio da sempre! Era politica i processi Parmalat, la lotta alla Telecom, le auto elettriche alla Fiat... Ora però fate le liste. Ma continuiamo a pensare in modo diverso, come e più di prima. Esempio? Tutti sanno quanto consuma una macchina. Nessuno sa quanto consuma la sua casa. Capisci?
Altro esempio. Noi abbiamo un programma: energie sostenibili, efficienza energetica, identità digitale gratuita, rifiuti zero.. Loro di minchiate colossali come il nucleare sicuro. Per una delle 5 interviste di Terra reloaded ho chiesto a Joseph Stigliz, uno dei più importanti economisti del mondo, consulente di Obama... E lui? Mi ha spiegato che prima di tutto è una follia da punto di vista economico. Ecco il Grillo millenarista. Macché, sono ottimista. Siamo un
SUI TETTI COL CASCO: Grillo nel suo messaggio di fine anno (a lato) Qui sotto, sul palco (ANSA)
network online. E intanto la Apple in Cina censura il Dalai Lama. Tutti vogliono censurare la rete. Ma non ci riesce nessuno. Dici? Siamo governati da cadaveri ottantenni. Adesso un ragazzo con una webcam può più di un partito. Punta un i-phone sulla torre di Pisa e sa tutto sulla torre di Pisa. Punta un politico e dalla rete scopre in tempo reale la sua fedina penale. Ci sarà un leader oltre te? Certo. Certo. Tutto il Movimento, ognuno conta uno.
FINANZIARIA CAMPANA
Bassolino parla anche l’albanese
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on bada a spese la Regione Campania per tutelare la minoranza albanofona di Greci, minuscolo Comune dell’avellinese ai confini con la Puglia popolato da appena 946 abitanti. Nella Finanziaria approvata con un accordo bipartisan sono sbucati 200mila euro per sostenere l’inserimento della lingua albanese - arbëreshë - nelle scuole materne e dell’obbligo di Greci. I corsi devono essere tenuti da docenti laureati in lingue “con preferenza per i docenti di parlata locale”. I fondi serviranno anche per promuovere gli scambi culturali con l’Albania, e per iniziative artistiche, premi letterari e pubblicazioni di grammatiche in albanese. La Regione prevede pure di stipulare convenzioni con tv e radio locali per mandare in onda “trasmissioni giornalistiche e programmi di lingua arbëreshë”. (vin. iur.)
Giorgio Merlo, il democratico che dà ragione a Bossi QUEL DEPUTATO NOSTALGICO DELLA DC E LE SUE CROCIATE CONTRO ANNOZERO E DI PIETRO di Paola
Zanca
ha dato persino raI“Leeri gione al ministro Bossi: riforme possono decollare se prevale la volontà di farle senza alcuna scorciatoia consociativa”. E almeno stavolta si è guadagnato un titolo di agenzia. Giorgio Merlo ha contribuito alla cacciata del vaticanista del Tg3, reo di aver offeso il Papa. Si attovaglia con Gasparri e Quagliariello. Ha attaccato Annozero. E i giornali tutti lì, a pendere dall’ultima dichiarazione di Paola Binetti. E al povero Giorgio Merlo, neanche una riga. E sì che lui ce la mette tutta ad andare contro l’ortodossia di partito. Piemontese, tifoso del Toro, a luglio compirà cinquant’anni. Laureato in Lettere, giornalista Rai, dal ‘96 siede in Parlamento. La sua carriera politica, cominciata nella Dc con Donat Cattin (poi Ppi, Margherita e Pd), è quella di un “democristiano doc”: parola di Paolo Cirino Pomicino. Già nelle scorse settimane aveva appoggiato “la fase costituente sulle riforme auspicata dal ministro Rotondi” e ricordato la necessità di “isolare politicamente tutti coloro che hanno una concezione estremista e insultante della politica.
Tanto nella maggioranza quanto nella opposizione”. Intervenite, fermateli, è il suo leit motiv. Con Di Pietro, con i “suoi” piemontesi alleati con i notav, con D’Alema e Penati. Intervenite, fermateli. A settembre commentava con un lapidario “Condivido” l’appello di Gianni Letta che invitava il mondo dell’informazione a darsi una calmata. “Basta leggere i giornali per rendersi conto che è drammaticamente attuale”. Da vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai ha avuto modo di farsi notare. Dopo il terremoto in Abruzzo, non gradì la puntata di Annozero in cui si attaccava la Protezione Civile: “Ora – diceva – serve una grande coesione politica. Le cassandre e i dissacratori vanno battuti e messi ai margini”. Plaude all’arrivo sugli schermi de “l’antipatico” Belpietro che finalmente potrà bilanciare quella “zona franca dove qualcuno può dire ciò che vuole, quando vuole e come vuole” che è il programma di Santoro. Si deve a Merlo, inoltre, uno degli attacchi più decisivi nella cacciata del giornalista del Tg3 che aveva parlato di “quattro gatti” ad ascoltare il Papa: una “anacronistica, e volgare, deriva anticlericale”, la chiamò. E Balducci venne rimosso. Da buon piemontese, nell’ultimo anno si è messo in capo alla cordata incaricata di redimere i ribelli democratici, colpevoli di essersi alleati con i no-tav della Val di Susa. Intervenite, fermateli. “Quell’accordo è un fatto di estrema gravità – scriveva Merlo – ed è in aperto contrasto
con la posizione espressa dal Partito democratico”. Anche durante il congresso si è dato da fare. Per lui, franceschiano, Bersani, D’Alema e Penati sono i “laicisti”, quelli della “deriva a sinistra”. Marino invece è “il nuovista”, “il finto rinnovatore”. Intervenite, fermateli. Soffre per l’uscita dal partito di Dorina Bianchi e di Gianni Vernetti, si chiede cosa abbia da spartire il Pd con i socialisti europei. Ha difeso Paola Binetti dalle accuse di omofobia, vorrebbe Mina senatrice a vita. “Dalla torre del mio partito butterei giù tutti i giustizialisti” ha detto pochi giorni fa. Per intenderci, sul caso Cosentino, “in punta di piedi” ha sostenuto che tocca al Pdl decidere che fare con la sua candidatura in Campania. L’unico modo per scongiurare “ulteriori imbarbarimenti” è “avviare un serio dialogo sulle riforme”. Lui ha già cominciato. Il 3 ottobre scorso era a Saint Vincent, per partecipare a una tavola rotonda su “Il ruolo dei democratici cristiani nella costruzione del Pdl”. Che ci faceva? Discuteva con Gasparri, Quagliariello, Cutrufo e Bernini. “Quando abbiamo dato origine al Pd – spiega agli esponenti della maggioranza – avevamo la grande ambizione di sperimentare se il principio della mescolanza culturale reggesse o meno l’urto della storia. La Dc non torna più – si rammarica – si tratta, lo dico all’amico Gasparri, di far vivere nei rispettivi campi, per il momento, ciò che la miglior tradizione democristiana è stata”. Intervenite, fermateli.
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Domenica 3 gennaio 2010
Il “duello” tra Silvio e Gianfranco sui principi della Carta
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ASSALTI
ontro i giudici cambieremo la Costituzione”, disse Silvio Berlusconi a Bonn prima dell’aggressione di piazza Duomo”. Ma Gianfranco Fini, accostando due dichiarazioni distanti un mese, una di novembre e una di dicembre, avvertiva sulle sinistre tentazioni. Prima di
piazza Duomo: “La Costituzione va difesa da meccanismi di potere. No a strumentalizzazioni”. E dopo: “Spero in una riforma della Seconda parte nel 2010”. Perché nel frattempo era fiorito il dialogo. Dal Pd ogni giorno ripetevano: “Ci siamo, se…”. E anche l’IdV, con Bellisario, aveva annunciato: “Se il Pdl ritira le leggi ad
personam, possiamo collaborare”. Addirittura, per cominciare, c’era un testo condiviso, la cosiddetta bozza Violante dell’ex presidente della Camera: uno slancio verso il presidenzialismo, Senato federale, riduzione dei parlamentari. Mai nessuno aveva osato come Brunetta: mettere in discussione i principi dell’Italia repubblicana.
BRUNETTA “CHIAMA” LE TRUPPE CONTRO LA CARTA COSTITUZIONALE “Anche l’art.1 non significa assolutamente nulla, va rivisto” di Carlo Tecce
uando le parole sono fannulloni. Renato Brunetta vorrebbe rimuovere ai tornelli il nulla scritto nella Costituzione: “La riforma non dovrà riguardare - propone in un’intervista a Libero - solo la seconda parte, anche la prima. A partire dall’articolo 1: stabilire che ‘L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro’ non significa assolutamente nulla”. Eppure il presidente della Repubblica, appena tre giorni fa, avvisava i naviganti delle riforme condivise: “La Costituzione può essere rivista - come d’altronde si propone da diverse sponde politiche - nella sua seconda parte”. Il ministro fa sul serio: citazioni popolari, escursioni mentali, stirature in politichese. E premette, ovvio: “Per carità, una mia opinione”. L’opinione del chirurgo in sala operatoria, pronto a tagliare e cucire una Carta ridotta a brandelli: “La parte valoriale della Costituzione ignora temi e concetti fondamentali come quelli del mercato, della concorrenza, del merito. È figlia del clima del dopoguerra. Adesso siamo in un’altra Italia. Capisco che alcuni costituzionalisti sostengano che non si riesce a cambiare la seconda parte, proprio perché non abbiamo aggiornato la prima”. Un po’ di sostanza e un po’ di materia, l’assemblea Costituente riunita in un solo corpo. Politico. Il Popolo delle Libertà oppure, per senso di ospitalità, nella sua versione di governo con la Lega Nord: “La nostra Costituzione prescrive essa stessa come deve essere riformata. Se le modifiche vengono approvate a maggioranza dei due terzi,
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non si va a referendum confermativo. Se questa maggioranza non viene raggiunta, e se viene richiesto, si fa il referendum. È fin troppo facile dire che è meglio fare le riforme senza avere bisogno del passaggio referendario”. Passaggi multipli, disegnati sulle curve. Per Brunetta le funzionalità della Carta sono ridotte. E se assenti, non giustificate: “Perché gli articoli 39 e 49, che riguardano i sindacati e i partiti, non sono mai stati seguiti da leggi. Bisogna intervenire sia sulla Costituzione sia sulle leggi”. Qualcosa di utile c’era, forse: l’articolo 68 sull’immunità totale dei parlamentari, sterilizzato dall’indignazione nazional popolare con Mani Pulite, ripescato oggi con Milano che vuole dedicare una strada a Bettino Craxi. Il numero esatto, 68: “Tornare al testo originale? Assolutamente sì. Le opzioni sono multiple, ma la più semplice è proprio quella di recuperare il testo malamente violentato nel 1993”. I buoni propositi del ministro sono tanti e vari, mai dimenticare i fannulloni del pubblico impiego: “Saranno introdotti il merito, la trasparenza, la mobilità, i premi e le sanzioni”. Innovazione, sul serio. Rock. Non lenti: nelle classifiche di Brunetta, la Giustizia è più (o meno?) arretrata della Costituzione: “La giustizia è organizzata in modo pre-industriale, agricolo-pastorale. Se introducessimo un’organizzazione efficiente, dando ad un manager l'organizzazione dei tribunali, il 90 per cento dei problemi sarebbe risolto”. L’agenda 2010 del ministro è il compendio dei desideri del governo. Finanche enorme: “Io sono del parere che non dobbia-
In alto il ministro Brunetta; a sinistra Agazio Loiero; sotto Cesare Damiano (FOTO ANSA)
Caute le reazioni della Lega E Bonaiuti: “Non dobbiamo mai mettere troppa carne al fuoco” mo mai mettere troppa carne al fuoco – dice il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti – però… tutto si può vedere». Quelli della Lega non sono affezionati alla Costituzione. A sorpresa, stavolta, mostrano più prudenza di Brunetta. Il ministro Roberto Calderoli è timoroso: “Io non sono un entusiasta dell'art. 1 della Costituzione, ma fa parte della nostra storia e penso che se si vogliono fare le riforme adesso, dobbiamo limitarci a cambiare la seconda parte della
Costituzione». E che dicono dal Pd? Alla vigilia della riunione per le candidatura alle regionali. Brunetta ha indovinato: “Dal Pd mi aspetto poco”. Vero. Vannino Chiti evita perifrasi: “La maggioranza dice cose diverse e spesso opposte. La modifica della prima parte della Costituzione - aggiunge il vicepresidente del Senato - non è all’ordine del giorno. Non siamo disponibili. Anzi, le modifiche nella seconda parte devono essere coerenti con i principi guida della
Costituzione. Se la linea della destra è quella di Brunetta, il discorso sulle riforme diventa non possibile intesa ma sicuro scontro”. Antonio Di Pietro (Idv) l’aveva intuito: “Come volevasi dimostrare: dai un dito e si fregano il braccio. All’indomani dell'invito del presidente della Repubblica a collaborare la seconda parte della Costituzione, subito la maggioranza, a cominciare dal ministro Brunetta, si affretta a chiedere di cambiare addirittura l'articolo 1. È il solito disegno di stampo piduista portato avanti dal governo Berlusconi”. Brunetta ha riservato una carezza pure ai sindacati. E la Cgil risponde. Con il segretario Guglielmo Epifani: “Per me valgono le parole espresse dal presidente Napolitano l’ultimo dell’anno”. Brunetta è fisicamente coinvolto nelle risse dialettiche: urla al microfono, incrocia le braccia, sbuffa alle telecamere, tortura i capelli. Immagina l’avversario o il contendente di fronte a sé, allenta il nodo della cravatta o ritira il maglione troppo lungo, e ragiona, riflette e poi sbraita: “Basta culturame dei cineasti parassiti”. Tiè, il Festival di Venezia – e Michele Placido – sono sistemati. Per il regista Paolo Virzì il ministro ‘parla da teppista’. E quindi odia la pula: “In polizia troppi panzoni”. Mai guai a rinfacciarli l’offesa di Massimo D’Alema: “E’ un energumeno tascabile”. Inventore: “Gli stipendi dei conduttori Rai nei titoli delle trasmissioni”. Segugio: “Fannulloni? Daremo la caccia agli imboscati”. Ribelle: “Sinistra oppressa da elite di merda”. Un consiglio? “Vada a morire ammazzata”.
INTERVISTA A CESARE DAMIANO
“NON È UNA BATTUTA, QUESTI CI STANNO PROVANDO REALMENTE” di Alessandro
Ferrucci
“Cosa ha detto? Orca!”. Espressione (forse) di origine piemontese per una reazione stupita. Anzi, allarmata per Cesare Damiano, esponente del Partito democratico, ex ministro del Lavoro durante il governo Prodi. Lui quasi sempre moderato nelle parole e ancor più negli atteggiamenti è stato “stuzzicato” dall’ultima intervista rilasciata da Renato Brunetta. Sulle colonne del quotidiano Libero: secondo il ministro della Pubblica amministrazione, le riforme non dovranno riguardare solo la seconda parte della Costituzione, “ma anche la prima, a partire dall'articolo 1: stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla”.
Quindi è stupito... Aspetti, non c’è niente di nuovo: è l’assalto finale dopo un lungo-breve percorso. Iniziato con... Prenda tutte le iniziative adottate dal collega di Brunetta, il ministro
Maurizio Sacconi, e vedrà il risultato. Cosa in particolare... Dall’inizio della legislatura ha fatto di tutto per abbassare le tutele dei lavoratori, per attuare una sorta di contro-riforma: dall’impiego a chiamata, fino alla scomparsa della responsabilità del committente negli appalti. E non solo, in un futuro prossimo sarà anche peggio, visto il calendario messo in piedi a partire dal 12 gennaio in Commissione lavoro, con tutta una serie di norme indirizzate a rivedere le regole per l’arbitrato. Quindi lei non intende derubricare l’uscita di Brunetta al “ruolo” di boutade... Assolutamente. Ribadisco, parte da lontano: in tempi passati, dal centro-destra, è anche arrivata un’altra proposta di riforma dell’articolo 1 della Costituzione. Che recitava...
Alla lettera? Eccolo qua: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e sull’impresa. Capito? Perfetto con un premier “imprenditore”. Del resto Silvio Berlusconi non ha mai mancato di sottolineare la sua divisione tra Costituzione materiale e quella formale. E il Partito Democratico come risponderà? Bè, una cosa del genere non può essere accettata, e utilizzeremo tutte le sedi, sempre, per ribadire i valori della Costituzione.
“Gli attacchi sono molteplici, basta riprendere le ultime iniziative messe in campo da Sacconi”
N REGIONALI
In Calabria il Pd lancia le primarie
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i svolgeranno il 17 gennaio le primarie per indicare il candidato alla Presidenza. Sono: il presidente uscente, Agazio Loiero, quello del Consiglio regionale, Giuseppe Bova, la deputata Doris Lo Moro ed il consigliere regionale Bruno Censore.
MALTEMPO
Turisti bloccati alle Eolie
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a pioggia ma soprattutto il vento forte continuano a flagellare gran parte della penisola. E se ieri mattina hanno ripreso servizio i traghetti che collegano Palermo e Napoli, fermati venerdì sera dal maltempo, non si sblocca la situazione alle Eolie, dove circa trecento turisti sono bloccati dalle cattive condizioni del mare. Violente mareggiate in Liguria e in Calabria.
LOCRI
Trovata pistola in ospedale
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na pistola calibro 38 con matricola cancellata è stata trovata in un deposito dell’ospedale di Locri. Un medico ha segnalato la presenza dell’arma agli agenti del commissariato di Siderno che sono intervenuti e l’hanno sequestrata. La pistola era in un cassetto di un mobile posto all’interno di una stanza adibita a deposito del reparto di medicina generale.
BOTTI DI CAPODANNO
Bimbo veneto colpito a Miami
L
a vacanza di Capodanno a Miami ha rischiato di trasformarsi in dramma per una famiglia trevigiana. Un proiettile vagante, forse esploso con un fucile, ha centrato all’addome uno dei due figli di una coppia di Oderzo, un bambino di 6 anni, operato d’urgenza nell’ospedale della città costiera della Florida. Il piccolo è fuori pericolo: la pallottola gli ha perforato un polmone fermandosi poco prima del cuore.
Domenica 3 gennaio 2010
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OPPOSIZIONI
IL “POETA” CONTRO IL “GLADIATORE” La guerra che sta sconvolgendo la Puglia VENDOLA VA AVANTI. DOMANI IL VERTICE PD CON BERSANI LA LETTERA
DOV’È LA DEMOCRAZIA NEL PARTITO?
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bbiamo ricevuto una lettera significativa su quanto accade in Puglia. La firma l’avvocato Enrico Volpe, figlio di Nino, storico legale della Camera del Lavoro barese. “È stato veramente deludente l’atteggiamento dei delegati del Pd pugliese che il 28 dicembre 2009 hanno rinunziato a tenere l’assemblea per la scelta del candidato presidente alle prossime elezioni regionali, a causa della presenza di una rappresentanza della società civile. Tanti iscritti al Pd hanno chiesto di comprendere i motivi per i quali la candidatura di Vendola non debba essere più sostenuta e hanno chiesto che Emiliano continui a essere il Sindaco di Bari. La base non è più rappresentata e non ha più voce in capitolo! Il “partito liquido” voluto da
Veltroni si è solidificato secondo un assetto rigido per il quale gli interessi della dirigenza nazionale sono in contrasto con il metodo democratico. La massiccia partecipazione di tanti aderenti al Pd, addirittura definiti come “truppe di Nichi”, ha impedito che i delegati, nel rispetto di giochi preconfezionati, potessero designare Emiliano. I portatori di vecchie logiche di partito stanno riuscendo a dissolvere passione ed entusiasmo che hanno legato baresi e pugliesi ai loro amministratori locali. Bisognerebbe considerare che la tanto auspicata alleanza con l’Udc potrebbe incrinare la compattezza di quel centrosinistra che, in passato, ha consentito la vittoria del “rivoluzionario gentile” e del sogno da lui proposto. D’Alema e il suo staff hanno colonizzato la Puglia! Che Emiliano rifletta e lasci che atavici interessi personali di alcuni dirigenti possano dissolversi senza danni nel laboratorio politico pugliese che ha già saputo offrire prova di maturità”.
Qui sopra, Michele Emiliano. In alto, Nichi Vendola (Foto Ansa) di Antonio
Massari
mani, troppo umani. Lo scontro del centrosinistra, in Puglia, è il conflitto di due forti personalità. Nichi Vendola detto il “poeta”: presidente uscente e segretario nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà. I suoi detrattori lo accusano: troppa poesia e pochi segni di rottura col passato, rispetto alle aspettative, senza contare i passi falsi nella sanità. Un ex assessore indagato, poi dimissionario, infine promosso parlamentare, con annesse guarentigie, proprio dal Pd oggi presieduto da Michele Emiliano. A cosa tenga di più Vendola, se alla vittoria in Puglia, o al rafforzamento nazionale del neonato partito SeL, è una domanda che si pongono in tanti. Presentando un candidato di SeL - e quindi compattando Udc e Idv, co-
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me gli è era stato chiesto da Emiliano - Vendola avrebbe potuto risolvere in partenza il dilemma pugliese: questa è la tesi di Emiliano. Vendola ha un’altra tesi: posso vincere, e vincerò. Con o senza Udc: “Mi candido, soltanto le primarie potranno farmi cambiare idea”. Legittimo. E soprattutto: comprensibile. Per tutti. Ha messo all’angolo Michele Emiliano, detto “il gladiatore”, aspirante governatore, nonché presidente del Pd regionale, capace di aggregare l’Udc, ben visto dall’Idv, e quindi - in base agli ormai famosi sondaggi del Pd - predestinato a conquistare la Regione. IL “POETA” ha battuto il “gladiatore” in un lampo: le primarie non sono state necessarie. La passione di Nichi ha battuto i calcoli, e i sondaggi, di Emiliano. Eppure, ad appassionare le
cronache, è stato Emiliano che, senza calcolare i danni, ha dato vita a un thriller. “Non mi candido”. “Sì, mi candido. Ma voglio l’unanimità del Pd”. Figurarsi: l’assemblea del Pd non s’è neanche riunita. “Ora le primarie le voglio io, ma alle mie condizioni: ritirate la legge incostituzionale che mi obbliga a dimettermi da sindaco”. Non l’ha ascoltato neanche Bersani, figurarsi Vendola. Infine: “Mi ritiro dalle primarie, non ci sono più le condizioni, ma non è una rinuncia”. Esaurite le condizioni, e le parole, non gli resta che tacere. E le quotazioni di Vendola, e di SeL, salgono di ora in ora. Vendola vincerà contro tutto e tutti: questo è lo spirito che si fa largo. In pochi, però, ricordano che pure Vendola aveva (inutilmente) corteggiato l’Udc: è stato il primo a corteggiare Casini. Ha persino
Democratici a un bivio: primarie o elezioni con un nuovo candidato infilato un assessore dell’Udc in Regione, soltanto pochi mesi fa, ma non ha conquistato il leader dei centristi, innamorato ormai del sindaco di Bari, Michele Emiliano. HA UNA FAMA da statista ma in pochi ricordano che, senza la nascita di SeL, partorita dopo la sconfitta di Vendola al congresso nazionale di Rifondazione comunista, la sinistra avrebbe su-
perato la soglia delle elezioni europee, incassando dei parlamentari a Bruxelles. E la differenza tra Prc e SeL, in Puglia e altrove, non la trovano neanche con il microscopio. Ma quali sono, dunque, le vere ragioni politiche, dietro lo scontro pugliese? Forse risiedono in una sola domanda: può D’Alema sposare Casini, a Roma, se non riesce a farsi valere neanche in Puglia, cioè proprio a “casa” sua? Emiliano, che univa PdD e Udc, s’è fatto da parte. Vendola resta sgradito all’Udc. E quindi: che farà, domani, il Pd? Proporrà un terzo candidato, che sia gradito all’Udc e sfidi Vendola, ma direttamente alle elezioni, saltando le primarie? In questo modo salverebbe il patto nazionale con Casini. Ma perderebbe le elezioni pugliesi: impensabile che, dividendo i voti del centrosinistra, si possa bat-
tere il centrodestra. Non solo: Vendola, in caso di sconfitta, potrebbe addossare la responsabilità al Pd. ALTRO SCENARIO : il Pd sceglie un nuovo candidato per le primarie. Difficilmente, però, un altro candidato – che non sia Emiliano – può battere Vendola alle primarie. E allora: Vendola – alle quotazioni attuali – resta comunque il candidato per la Regione. Con l’Idv, ma senza Udc, e – in base ai calcoli del Pd - il centrosinistra perde comunque. E s’incrinerebbe pure il matrimonio con Casini. Ci sarebbe però un vantaggio: la responsabilità della sconfitta sarebbe tutta di Vendola. E quindi: pare che nel Pd siano dinanzi a un bivio: scegliere in che modo perdere. E poi saldare i conti. Con Vendola. E con Emiliano. Entrambi umani, troppo umani.
Regolari-clandestini e la battaglia dei Radicali. Perché non si può tacere LO SCIOPERO DELLA FAME DI OUTTARÀ E GLI ALTRI 240: TUTTI IN REGOLA, TUTTI SENZA PERMESSO DI SOGGIORNO di Furio Colombo
a sera del primo gennaio resta acLgramma cesa la radio dopo il breve pro“I giornali di domani” di Radio Radicale. E invece del consueto “Archivio della notte” (discorsi, dibattiti, eventi del passato, due anni o trent’ anni fa) c’è una “diretta” da una piazza di Roma. Eppure piove ed è passata la mezzanotte. Ecco quello che accade. Outtarà Gaousou, immigrato niente affatto clandestino ma privo del permesso di soggiorno, dal 13 dicembre è in sciopero della fame, sostenuto da altri 240 immigrati, tutti in regola, tutti senza permesso di soggiorno, perché per rinnovarlo ci vogliono mesi, a volte un anno. Si intende che se hai depositato per tempo i tuoi documenti (il penoso rito va ripetuto identico ad ogni scadenza e l’arbitrio della burocrazia può rinnovarti il permesso anche per tempi più brevi dell’attesa o addirittura consegnarti un permesso già scaduto), ti danno una ricevuta e quella ricevuta dichiara che sei legale. Che stanno lavorando alla tua pra-
tica in Questura. In altre parole: il contrario di clandestino. Ma nei luoghi denominati “Centri di Identificazione ed Espulsione”, lager privi di umanità, di servizi, di normali strutture mediche, ho incontrato molti uomini e donne arrestati, separati all’improvviso (al lavoro o per strada senza alcun reato) dalla famiglia, e portati in lager lontani per l’espulsione, mentre erano in attesa dell’arrivo del permesso e in possesso di ricevuta che avrebbe dovuto costituire prova di legalità e salvacondotto. Ma la manifestazione, nella piovosa notte di Roma del primo gennaio 2010, è stata organizzata dall’immigrato regolare-clandestino Outtarà perché Outtarà fa parte dei Radicali italiani. E molti dei Radicali italiani erano in piazza con lui, insieme a centinaia di immigrati regolari-clandestini, e tutti gridavano al ministro Maroni e ai suoi ubbidienti impiegati: “Regolari siamo noi, illegali siete voi”. Gli immigrati trattati come merce scaduta, il primo marzo, ci dicono i Radicali, proclameranno un giorno di sciopero nazionale, un giorno
senza i regolari-clandestini creati dal gioco perverso di quella parte della burocrazia che si è piegata al grido di incitazione incivile “saremo cattivi” del ministro dell’Interno Roberto Maroni o all’eccesso di felicità cattiva del sottosegretario Roberto Castelli che, subito dopo l’ultima vittoria di Berlusconi ha annunciato euforico: “Riempiremo le carceri”. Lo hanno fatto. Ed è per questo che Marco Pannella e Rita Bernardini hanno trascorso la notte di Capodanno nella casa di reclusione “Due palazzi” di Padova. È un po’ penoso che qualcuno trovi l’argomento “da ridere” (“Un po’ di digiuno dopo gli eccessi delle feste”, hanno detto) ma ognuno ha la sua sensibilità e il suo minimo di dignità. È la stessa notte (leggo su Il Fatto di ieri) in cui il detenuto regolare-illegale Said Stad, marocchino, arrestato dopo 19 anni di vita e lavoro in Italia, arrestato mentre era in attesa del dovuto rinnovo del permesso di soggiorno, è stato “punito” in una cella del Cie lager di Gradisca da agenti di custodia con un pestaggio selvaggio, di fronte ad altri detenuti
affinché, nella tradizione tipica dei lager, quelle botte servissero da “esempio” per tutti. Ora devo spiegare perché parlo così spesso di eventi come questi e perché cito così spesso i Radicali. La ragione è che l’apparente ingenuità e fiducia negli esseri umani, sia coloro che subiscono, sia coloro che, per ora, comandano (o almeno assecondano gli ordini perversi di cui sto parlando) è rimasto il solo modo di fare politica. C’è in questo una lezione pedagogica: identificare e affrontare un problema anima e corpo, con la dichiarazione ma anche con la presenza fisica. E non smettere mai, pronti a ricominciare pazientemente e sfacciatamente da capo. Questa visione politica non è un dilaniarsi interno e continuo su ruoli, poteri e strategie, come avviene nella maggior parte dei partiti. La vita accade ed è meglio essere sul posto. Potete dissentire – come io dissento – in mille cose dei Radicali, per esempio sulla loro idea di riforma della Giustizia in tempi di governo degli imputati o del totem del libero mercato in un mondo di carte truc-
cate. Però è impossibile non capire che c’è un percorso che non si può ignorare: quando si va sul posto, dagli ammalati che non possono nè vivere nè morire; quando si resta ostinatamente accanto a chi è privo di diritti umani e civili ma anche senza voce per chiederli; quando si fanno arrivare fin qui le testimonianze vive e inconfutabili dei perseguitati del mondo; quando si ha la pazienza e la tenacia di ripetere con migliaia di emendamenti i delitti, compiuti e da compiere, che si nascondono, e anzi si autorizzano e si legalizzano nel trattato di integrazione militare Italia-Libia; quando, insieme ai carcerati, si denuncia e si rende visibile ciò che avviene nelle carceri italiane. La politica è adesso, in questa testimonianza non da ispettori ma da partecipi della tragedia italiana dell’immigrazione in cui tutto il potere privato e tutto il potere dello Stato sfruttano gli immigrati, compresi i contributi versati per la pensione, e poi danno loro la caccia in un gioco feroce. I Radicali ci sono. Possiamo dire la stessa cosa per il resto della politica?
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Domenica 3 gennaio 2010
NEGAZIONISMI
“LA VIA DI UN BANDITO”
Giorgio Bocca contro le celebrazioni a Craxi: “Paragonarlo a Giordano Bruno rivela un’ignoranza abissale” di Gianni Barbacetto
iorgio Bocca in via Craxi proprio non ci abiterebbe. È ormai abituato ai periodici tentativi di riabilitazione, o addirittura di santificazione, del segretario socialista. E dietro la voce del sindaco di Milano Letizia Moratti, che ha lanciato la proposta d’intitolare una via o un parco a Bettino proprio nei giorni in cui ha preso la tessera del Pdl, vede l’ombra di Silvio Berlusconi, di cui – dice – Craxi era il gemello politico. Stupito della proposta di Letizia Moratti? No, non mi stupisce affatto. La vicenda di Craxi è così assurda, come del resto la vicenda di Berlusconi, che ormai sono pronto a tutto. Tutti sanno che Craxi ha rubato miliardi alle aziende pubbliche e a quelle private e alla fine li ha passati a un barista di Portofino che è andato a spenderli in parte in Sudamerica: se pensano che questo sia normale, va bene così. A me invece non pare affatto normale che uno possa ignorare le leggi e fare i comodi suoi come ha fatto Craxi. Ma Letizia Moratti dice che Craxi è come Garibaldi, l’eroe dei due mondi, o come Giordano Bruno: anche loro furono condannati, ma oggi hanno piazze e vie a loro dedicate. Che una sindachessa come la Moratti dica queste cose dimostra che siamo arrivati a un livello di follia impensabile. E rivela un grado di ignoranza abissale. Roba da pazzi: Garibaldi, Giordano Bruno... Ma Craxi era uno che faceva politica come un bandito. Per questo piace tanto a Berlusconi. Perché era uno che, se qualcuno non gli andava a genio, chiedeva che fosse licenziato. Lo ha fatto anche con un Giorgio Bocca che lavorava a Canale 5... Sì. Allora lavoravo per la tv di Berlusconi. E Craxi chiese all’amico
G
Silvio di mandarmi via. Io ero di idee socialiste, ma con Craxi si entrava in un’area di illegalità totale, per cui se uno dava noia, veniva cacciato. Ricordo che ero appena arrivato a Canale 5 e Berlusconi mi disse: “Arriva Craxi, dovresti intervistarlo tu”. Craxi arrivò e venendomi vicino mi disse: “Ciao professore, come va?”. Me lo disse con la stessa voce, con la stessa superbia con cui aveva detto “intellettuali dei miei stivali” a Norberto Bobbio e ad altri professori di area socialista. Feci l’intervista, in cui lui era ripreso sempre di faccia e io sempre di nuca. Ormai in Italia si era creato un clima sudamericano. Alcuni di coloro che lo vogliono riabilitare sostengono che avrà fatto anche degli errori con i finanziamenti al partito, ma è comunque un grande politico, un uomo di Stato, anzi secondo Gianni De Michelis “il più grande statista della fine del vente-
più che al riformismo della tradizione socialista, all’aver dato voce, negli anni Ottanta, alla borghesia emergente della moda, degli stilisti, degli architetti: i protagonisti della “Milano da bere”. Ceti che, a conti fatti, non hanno poi dato un gran contributo alla società, ma si sono fatti principalmente i loro interessi. Molti, per rivalutare Craxi, ricordano l’episodio di Sigonella ed esaltano la sua autonomia dagli Stati Uniti. Vanterie ridicole. Lo stesso modo di far politica di Berlusconi che si vanta di aver messo pace tra gli Usa e la Russia di Putin o addirittura di aver risolto lui il conflitto in Georgia. La verità è che l’Italia in passato ha sempre avuto scarsa autonomia dagli Stati Uniti e ancora oggi in politica estera conta pochissimo. Altri ricordano soprattutto i suoi aiuti al dissenso nei paesi
“Quella volta che disse: per andare al potere ho bisogno di soldi e i ladri nel partito me li portano”
“Non fu un vero riformista: fece emergere una nuova borghesia che non ha dato contributi alla società”
simo secolo”. È una follia. Macché statista. La filosofia di Craxi era quella che mi spiegò un giorno un giovane e intelligente dirigente del Psi a cui io chiesi: “Ma gliel’hai detto a Bettino che il partito è pieno di ladri?”. E lui: “Sì, gliel’ho detto, e lui mi ha risposto: io per andare al potere ho bisogno di soldi e questi ladri i
Sopra Craxi visto da Marilena Nardi; a destra, Giorgio Bocca. Sotto Red Ronnie (FOTO ANSA)
soldi me li portano; quando poi sarò al potere, allora darò la caccia ai ladri”. Ma vi pare che si possa fare politica in questo modo? È una teoria un po’ strana, una teoria della politica assolutamente senza principi. Rino Formica ha detto che Craxi è stato un grande innovatore e che proprio per questo fu alla
fine stroncato “da una congiura di palazzo”. Rino Formica è quello che definì il Psi craxiano un partito di “nani e ballerine”. Dunque è uno che conosce bene i suoi polli. Oggi se n’è dimenticato? Ma Craxi non è stato il campione del riformismo? Mah, il successo di Craxi è dovuto,
nel Pantheon del Partito democratico e Piero Fassino si è dimostrato aperto alla proposta di Letizia Moratti. Piero Fassino e Massimo D’Alema sono fantastici. Non perdono occasione per dare una mano a Berlusconi. Riabilitare Craxi significa sconfessare Mani pulite. Davvero di Mani pulite “non rimane più niente”, come dice anche Carlo Ripa di Meana? Mani pulite è stata un tentativo di purificare la politica italiana. Siccome la politica italiana è piena di corrotti, tutti d’accordo hanno cercato di seppellire Mani pulite. Si spiega così l’odio della destra per Antonio Di Pietro: viene considerato il demonio solo perché chiede alla politica di essere una politica di persone per bene e non di ladri. Ma oggi Berlusconi e i suoi predicano la politica dell’amore, per sconfiggere i seminatori di odio... Questo poi è il colmo. La politica di Berlusconi è la seguente: grande generosità verso chi lo serve fedelmente; chi invece esce dalla schiera dei servi viene colpito durissimamente, basta vedere che cosa hanno fatto all’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo, stroncato dalla stampa di Berlusconi. Altro che amore!
comunisti. Ecco, la fortuna politica di Craxi, anche presso una certa borghesia socialdemocratica, è spiegata dal suo anticomunismo. È la stessa chiave che spiega la politica di Berlusconi. Non a caso i due erano grandi amici. Anche una parte dell’attuale Pd è pronta ad accogliere Craxi
La strana coppia: Red Ronnie sempre al fianco di Donna Letizia CONSULENTE DEL COMUNE, IL MUSICOFILO DEL ROXY BAR È DIVENTATO L’INTERVISTATORE “UFFICIALE” DEL SINDACO MORATTI
di Giuliano Di Caro
on esistono parti politiche “N giuste o sbagliate. Le mani devono lavorare insieme”, catechizza in rete l’ex rockettaro Red Ronnie. E “Donna Letizia”, Sindaco di Milano, cita Lincoln: “Una casa divisa non si regge in piedi”. Spezzoni di una ampia collezione di duetti, reperibili online. Staranno salvando il mondo? No, è solo marketing politico. E la conseguenza di quando i cinquantanovenni scoprono i social network. Red Ronnie qualche decennio fa fondava radio libere con Dalla e Guccini. Ma i tempi cambiano. Da quando ha creato per l’amica il
canale YouTube “LetiziaMoratti2015” – una collezione di video in piano sequenza, senza montaggio, perché “la Verità non ha bisogno di tagli, io riprendo i tempi umani: il segreto del successo dei reality”, ci spiega – il Delegato per l’Expo si porta Red Ronnie ovunque vada. La Carmen di Bizet apre la stagione della Scala? Ecco il fidato amico (“ci conosciamo dal 1984”) salire in macchina col Sindaco, telecamerina in spalla, a documentare la sua serata, abbagliata dai flash come un concorrente del Grande Fratello. L’attendeva anche la Rai per un’intervista. Ma il Sindaco ha occhi soltanto per il suo web intervistatore di fiducia. Pensato per svecchiare l’immagine, questo format da reality giova anche al suo spirito. Quanto sorride Letizia Moratti! Altro che la figura austera a cui ci ha abituato sui desueti media tradizionali. La rivoluzione digitale permette a Red di camminare nel centro di Milano al fianco del Sindaco e farle una “sorpresa”: guidarla al totem pubblicitario dell’iniziativa musicale LiveMI. La Moratti ammicca: “Assomiglia alla locandina che abbiamo visto insieme a Bogotà. Ma la nostra è meglio!” Vuoi mettere, il know how italiano? I due lo esportano ovunque, dal
Sudamerica all’Africa, nei loro viaggi ufficiali ripresi in maniera un po’ ossessiva dall’inventore del “Roxy Bar”. Che nell’amministrazione cittadina ha parecchi amici, primo fra tutti l’assessore Giovanni Terzi, impegnato a catturare il consenso dei giovani con la mostra di memorabilia della musica Rock’n Planet: dalla collezione privata di Ronnie (di chi, sennò?) direttamente a Piazza del Duomo. Questo reality a puntate sulla Moratti lo pagano extra i contribuenti. Red, fino al 31 dicembre, ha avuto un contratto di consulenza per il settore tempo libero del Comune. Compenso annuale inferiore a 25 mila euro, dunque erogabile senza delibere di Giunta. “Non è il primo caso, sarebbe bene capire quando e come viene utilizzato questo meccanismo” critica Davide Gentili, consigliere del Pd. Cifra non da capogiro, per filmare ogni mossa della Moratti come un fidanzato geloso. Forse Red spera in futuri incarichi: “Chi lo sa che un giorno non accendiamo il Roxy Bar un’altra volta”, butta lì in un video. O forse è solo tardivo buonsenso, dopo la condanna inflitta alla Moratti dalla Corte dei Conti per le “assunzioni d’oro” di persone esterne
all’amministrazione, ma fedeli ai partiti. Sta di fatto che i siparietti online Ronnie/Moratti ormai sostituiscono qualunque confronto pubblico. “Anziché rendere conto in consiglio della vicenda per cui è stata condannata, la Moratti ha risposto su Youtube, al microfono supino di questo signore: una farsa”, attacca il consigliere
di minoranza Basilio Rizzo, costretto a replicare a sua volta sul web. L’idealismo di Ronnie l’innovatore sembra impermeabile alle critiche: “Daremo voce ai giovani, a chi non ce l’ha!”. Sarà. Intanto parla Letizia. E ci delizia con l’ennesimo duetto, sulla figura di Bettino Craxi. Ronnie la imbocca:
MAPPE
“Fu un personaggio incredibile”. Letizia abbocca: “Ha ridato orgoglio al Partito Socialista”. Lui, informatissimo: “E quell’sms che hai ricevuto oggi?”. Lei, serissima: “Garibaldi fu condannato a morte. Giordano Bruno bruciato sul rogo. Eppure a loro sono dedicate vie e piazze”. Ah beh, sì beh…
di Silvia D’Onghia
PAESE CHE VAI, BETTINO CHE TROVI etizia Moratti è arrivata decisamente tardi. La sua proposta, che tante polemiche sta scatenando, di intitolare una via (o qualcosa di simile) a Bettino Craxi è vecchia. Vedi alla voce Googlemaps. Cercando via (o piazza) Bettino Craxi in Italia, il risultato è inaspettato. Ben sette amministrazioni hanno scelto di dedicare al politico morto latitante una strada o una piazza della propria città o del proprio paese. Si comincia con Valmontone, ridente paesone di 15 mila abitanti alle porte di Roma. Il viaggio continua con la Puglia. A Foggia
L
via Bettino Craxi è una stradina quasi ai confini con la statale 16, quella che unisce il sud al nord Italia. Viuzza periferica, tra la statale 613 e la tangenziale, anche a Lecce. Che bissa in provincia: a Botrugno, per l’esattezza, dove via Craxi interseca via Giacomo Leopardi. Incrocio di menti. Anche il cosentino fa la sua parte: Marano Marchesato, paese del 1600, e la turistica Scalea hanno le loro vie Bettino. A Grosseto, invece, esiste una piazza Craxi: fa parte dell’asse via Fanfani-Via Moro. Per non fare torto a nessuno.
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STORIE ITALIANE
Nella scuola dove si insegna il coraggio La parabola di Pino Tilocca, da sindaco anti-clan di un Comune sardo a preside, con intatta passione civile di Nando
Dalla Chiesa
a terza bomba ha colpito al cuore. Pino Tilocca sindaco alla testa di una lista civica di centrosinistra, Solidarietà e progresso, stava sconvolgendo le abitudini di Burgos, piccolo comune montuoso della provincia di Oristano. Si era messo in testa di fare politica in una zona in cui chi vince le elezioni pensa a favorire la coalizione di famiglie e di clan, variamente etichettate, che l’hanno sostenuto. Mentre l’Italia civile era in rivolta contro le leggi ad personam o contro la guerra in Iraq, questo sindaco dallo sguardo mite e dal sottile strato di barba color carbone, conduceva la sua rivolta e la sua guerra contro un’idea atavica di politica e contro tradizioni antiche di omertà. L’urbanistica e l’apertura al mondo esterno; con le rivalità di partito (lui era iscritto a Rifondazione comunista) pronte a salire in carrozza sugli odi più sordi. La prima bomba nel febbraio
L
del 2002, il mese di piazza Navona e del Palavobis. Di notte, sulla porta di casa del padre Bonifacio, un ex operaio che per fare studiare bene i cinque figli si era andato a cercare un lavoro a Oristano. La seconda bomba quaranta giorni dopo, stessa ora stesso posto; gli era pur scappato, no, di dire una volta che se se la fossero presa con il padre avrebbe lasciato tutto. Lui reagì con fierezza, invece. Consigli comunali straordinari, interviste, mobilitazione delle scuole. Allora in settembre lo raggiunsero a Oristano e gli incendiarono l’auto. Subito dopo il messaggio con ritagli di giornale: “adesso cambieranno i fucili”. Decise di resistere. Part-time a scuola come maestro alle elementari di Siamanna, mille abitanti. Poi in municipio a Burgos. Sempre sul filo del fuorigioco. Denunciò una banda di giovani delinquenti che durante le vacanze di Natale del 2003 vandalizzarono le pubbliche vie a colpi di fucilate. E denunciò pure l’inerzia delle forze
Un primo cittadino tenacemente contro la criminalità, che lo colpì uccidendo suo padre
dell’ordine. Così per punizione profanarono a martellate la tomba della madre Natalia. A febbraio del 2004 l’ultima bomba. Nemmeno le undici di sera, la notte della Pentolaccia, festa dopo Carnevale. I carabinieri passano, vedono qualcosa che sembra una miccia davanti al portone di Bonifacio Tilocca, urlano l’allarme, l’anziano inquilino accorre richiamato dalle grida e la bomba lo uccide. Ma il sindaco resta al suo posto, gli sembrerebbe di scappare, di mancare di rispetto al genitore. E termina il suo mandato di guerra e di politica. Chiedendo invano ai vertici di Rifondazione, anche a Bertinotti in persona, di difenderlo dalla micidiale faida di partito che, nel viluppo di odi di clan, lo sta schiacciando mentre lotta per dare a Burgos un’amministrazione progressista non solo di nome. ine dell’esperienza ammiF nistrativa. Amarezza tanta. Voglia di continuare a dare futuro alla sua terra, ancora di più. Il sindaco torna a Oristano, nella sua casa ospitale e piena di libri appena fuori la città insieme alla moglie Patrizia e al figlio Matteo. E vince il concorso a preside per il quale ha continuato a studiare nei mesi più incanagliti.
Una classe delle elementari (FOTO ANSA) Sotto, un momento della festa a Ponte Mammolo (FOTO RAFFAELA SCAGLIETTA)
Così nel settembre del 2007 va a dirigere un centro comprensivo, dalla materna alla media inferiore, a Cabras, profumo di mare, uno dei più bei tratti di mare della Sardegna, novemila abitanti. Ci si butta anima e corpo. “Settecento allievi in tutto. Si chiama De Amicis, e avrei voglia di cambiare il nome se non fosse che oggi, con questi rancori furibondi, finisce per essere una trincea anche De Amicis. Settecento allievi sono un piccolo pezzo di umanità, che ci è affidato dai tre-quattro anni fino ai quattordici. La mia prima preoccupazione è di accompagnarli nella crescita, senza che dall’infanzia all’adolescenza si scardini il modo di vivere. Per fortuna ho grandi collaboratori”. Ed ecco l’indice di nomi sardi doc: Chiara Sanna, Pietrina Podda, Lorella Pinna. “Quali principi educativi? Intanto il rapporto della scuola con il suo territorio. A Cabras c’è l’area marina protetta, e questo vuol dire che biologia, fisica, chimica, le scienze insomma, devono partire da questa grande risorsa. Lo stesso per la musica; se ne fa molta collegandosi con le tradizioni del luogo e con la scuola civica di
musica. Poi l’identità sarda”. Ha un bagliore d’orgoglio l’occhio del preside, poco incline a concedere che “possa esservi una cosa chiamata sole anche al nord”. “L’identità sarda”, continua, “non è inchiodata al passato, però; si costruisce continuamente a contatto con altre culture, per questo qui fanno inglese già dalle materne. E poi la legalità, il senso delle regole. Ci siamo chiesti spesso perché con i ragazzi spesso le regole non funzionino. E siamo arrivati a una conclusione: perché sono fatte per loro, ma non per chi le fa. E invece devono capire che come si chiede a loro di essere seri e preparati, altrettanto lo si chiede a noi stessi. Per questo l’anno venturo realizzeremo un grande esperimento: rifaremo insieme con loro tutte le regole e poi varranno per tutti. Il rispetto, è importante che imparino il senso del rispetto.” É anche ospitale, il preside. Ci tiene che della sua terra si apprezzi tutto. L’aria e il mare, il profumo dei fiori. Anche il pesce che viene dalla settecentesca Peschiera dello stagno, bacino azzurro in mezzo a cento tinte di verde. Spiega l’ altro progetto a cui dedica energie, il concorso Cinzia Turbato. “Cinzia era un’ex allieva della scuola che
si uccise a vent’anni. Io non l’ho conosciuta. Ha però ricordato a tutti il disagio della vita. Il premio è diretto alle terze medie. E ha un tema sempre diverso ogni anno. La fatica di vivere la prima volta, poi la legalità, quest’anno la letteratura. Ogni volta con testimoni. Aspettiamo Alidad Shiri, il ragazzo afghano che ha scritto Fuga dalla sporca guerra, Michela Murgia e Marcello Fois. Ospiteremo anche il Macbeth di Shakespeare. Vede, per me fare scuola è un altro modo per proporre i miei valori. La questione non è fare o no politica. Il fatto è che esiste una politica della buona scuola. Cabras è una roccaforte del centrodestra, il Pdl qui prende l’80 per cento. Ma finora non ho avuto problemi perché la scommessa è quella di una scuola di qualità, che sia una garanzia per i genitori. E poi c’è l’alleanza con i ragazzi. L’altro giorno mi sono incontrato con un centinaio di miei allievi, dai diciotto ai trent’anni, mi hanno ringraziato di avergli fatto leggere in classe, da bambini, Voltaire e Calvino. E quanto a oggi, pensi che la metà circa dei miei allievi delle medie è in collegamento con me su Facebook. Che le pare, che non sia facendo una politica più bella?”.
Capodanno a Ponte Mammolo, baraccopoli alle porte di Roma
di Raffaela Scaglietta
nella baraccopoli di Ponte Mammolo Eminintrare il 31 dicembre 2009 e trovare giovani uoafricani e donne ucraine che escono dalle case di legno contenti e felici, pronti ad abbracciarti con le lacrime agli occhi, è surreale. Eppure succede. In questa baraccopoli, che sembra a prima vista più brutta di una di Bangkok, si arriva in pochi minuti di macchina dal centro di Roma. Al confine con le case popolari di Pietralata si arriva a un grande parcheggio, che era stato costruito per accogliere i pullman di pellegrini per il Giubileo, si attraversa una strada frequentata solo da macchine che corrono veloci e si procede con cautela in un sentiero di fango e travi di legno per poi scendere in una dimensione dall’apparenza subu-
mana. “C’è nessuno?” si chiede, sperando di non trovare nessuno che abiti lì. E quel sentimento di disagio e timidezza che assale quando si entra nelle zone di povertà diventa, al terzo passo, un sentimento di vergogna. La prima domanda arriva in mente inesorabile. “Ma questa è Roma o l'ultima fermata del mondo?”. Perchè esistono posti cosi in Italia? “Adesso andremo in un luogo inverosimile” raccontava poco prima in macchina Francesco Dante, della comunità di Sant'Egidio che da dieci anni porta cibo e conforto ai poveri e agli immigrati che vivono in uno stato di emergenza. Svetlana in ucraino significa portare la luce. E Svetlana esce di colpo da una casetta di legno. Barcolla gioiosa tra gli effetti della fine dell’anno e dell'alcool e chiede con voce rauca: “Tu fumi? Me la troveresti una sigaretta?”. E rispondo: “Non fumo, ma posso vedere se i miei amici hanno qualche sigaretta”. Svetlana stringe subito un abbraccio contento e chiama un’altra signora russa e un uomo serbo. Felici usciamo dalla baraccopoli e arriviamo al parcheggio. Piove a dirotto, ma le macchine che sono arrivate hanno portato lasagne, spumante, strumenti musicali e sigarette. Si prepara una piccola festa.
Svetlana è commossa e racconta la sua vita. “Sono stata a zappare la terra in Calabria. Ho raccolto pomodori e poi sono arrivata a Roma. Ho lavorato per due dentisti che mi hanno comprato anche un paio di stivali bellissimi. Adesso aspetto di rinnovare il permesso di soggiorno perchè vorrei tornare a Kiev e vedere la mia nipotina. É piccolina piccolina e cosi dolce al telefono. Non vedo l'ora”. Svetlana dice: “Io non abito qui. Sono venuta solo a trovare i miei amici per il Capodanno. Ti immagini che brutto vivere qui?”. Ma questa signora bionda, che ha scolpito negli occhi un pensiero malinconico delle sue terre lontane, abita proprio a Ponte Mammolo. In questo limbo dell’umanità nascosto dai cespugli e dagli alberi della periferia romana. Intanto, sotto la tettoia del parcheggio vuoto i balli stanno per iniziare. I volontari della comunità di Sant’Egidio sono organizzati e hanno portato oltre al cibo le chitarre, i bongo e un repertorio di canzoni divertenti. Piano piano arrivano anche i ragazzi eritrei. Sono solo uomini, accompagnati da una signora coperta da un velo bianco che non si lascia fotografare. “Ciao sono Stefano” dice uno di loro suonando uno strumento africano a cinque corde che aggiusta mentre suona . “Questo strumento porta fortuna. Noi siamo arrivati dall’Eritrea , lì c’è la guerra. E speriamo di trovare la pace qui”.
Cantano e ballano tutti. Non è ancora arrivato l’anno nuovo, ma è arrivato un pensiero positivo. “Voi siete buoni in Italia” racconta Leonid, un ex comandante dell’armata russa che ha raggiunto questo piccolo ritrovo festivo. Leonid, è elegante, in ordine. Ha lo sguardo sveglio e vivo. Fa un saluto militare e intona subito con i suoi compagni dell’Ucraina e dell’ex Jugoslavia una canzone. “Spasibo – dice Leonid con lo spumante del nuovo anno – e buon anno a tutti”. Poi se ne va. Poco dopo la festa finisce. L’anno nuovo è alle porte, e tutto, forse, a Ponte Mammolo tornerà a essere come prima. Mentre nel centro di Roma, vicino al Colosseo, i turisti venuti da tutto il mondo, festeggiano sotto una pioggia torrenziale l'arrivo del 2010.
Svetlana, Leonid e gli altri: brindano in un parcheggio, assieme ai volontari della comunità di Sant’Egidio
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L’ITALIA CHE CROLLA
FRANE ANNUNCIATE
Un uomo travolto ad Amalfi l’Europa aveva avvertito: lì peggio di Sarno di Vincenzo Iurillo
ra una tragedia più che annunciata la frana che ha travolto il ristorante “Zaccaria” al confine ad Atrani, vicino Amalfi, uccidendo lo chef Carmelo Abate, 44 anni. Era una tragedia già scritta. In un articolo comparso on line a novembre su Positanonews.it ma non solo. Era già messa nero su bianco sui documenti preparatori del programma Safe Land, finanziato dall’Unione europea con lo scopo di prevenire il rischio idrogeologico e agire sui siti di principale pericolo. Il programma venne rivelato in un convegno a Maiori dall’assessore provinciale all’Ambiente Giovanni Romano. In quella sede Romano spiegò che secondo le valutazioni della Ue “il comprensorio sorrentino e amalfitano è più a rischio di Sarno ed è per questo che siamo riusciti a farlo dichiarare ‘emergenza europea’. Ci sono delle situazioni di dissesto idrogeologico che tolgono il sonno. Qui può succedere qualcosa di serio ed è il momento di agire”. La frana, l’ennesima, ha ucciso prima delle auspicate opere di risanamento e delle buone intenzioni dell’assessore, che vorrebbe convocare gli Stati generali dell’Ambiente per la prossima primavera. Parla di “tragedia annunciata” sen-
E MALTEMPO
UN DISPERSO A FIUMICINO
A
nche un uomo disperso a Fiumicino ieri per il maltempo, caduto in un canale navigabile. Ancora frane e famiglie isolate in provincia di Lucca. Strade allagate a Pisa e Livorno. Problemi per il forte vento a Milano e a Roma.
za troppi giri di parole anche il sindaco di Atrani, Nicola Carrano: “Ora dobbiamo smetterla, basta con le promesse mai mantenute di interventi mai effettuati. Da Vietri a Positano, i costoni non sono mai stati risanati: è uno scandalo”. L’ultimo intervento secondo Carrano risale al 2006. Riguarda la realizzazione di un’imbracatura del costone, che termina al confine tra Amalfi e Atrani, proprio cinque metri prima del luogo della frana. Se l’imbracatura fosse proseguita anche sul tratto di montagna sovrastante il ristorante, il povero Abate si sarebbe salvato? Forse no e comunque nessuno al momento può dare questa risposta. Ma Carrano riflette ad alta voce: “Non è possibile che un uomo si svegli una mattina per andare a lavorare e trovi la morte in questa maniera assurda”. Assurdità accentuata dall’incredibile serie di circostanze che ha segnato la sorte dello chef. Abate, residente a Tramonti, era rimasto bloccato lungo il tragitto verso il ristorante da una piccola frana in località Castiglione. Costretto a lasciare l’auto, ha superato l’ostacolo a piedi e ha raggiunto il luogo di lavoro grazie a un passaggio, che lo ha fatto arrivare puntale all’appuntamento con il destino. Secondo la ricostruzione dei vigili del fuoco, poco prima delle 10, un enorme macigno si è staccato dalla montagna e ha investito la cucina e parte di una veranda interna del ristorante, subito dopo la galleria che collega Atrani e Amalfi. Il masso ha ridotto il locale in un ammasso di macerie e di lamiere ondulate distrutte. Lo chef era l’unico presente: era nello spogliatoio a cam-
biarsi, avrebbe dovuto preparare un pranzo per una comitiva in festa. Lascia una moglie e due figlie di 11 e 16 anni. Il ristorante si trova a pochi passi dalla piazzetta e dalla spiaggia di Atrani, nel 1999 location de ‘Il talento di Mister Ripley’, protagonisti star come Matt Damon, Jude Law, Gwyneth Paltrow. Hollywood scelse Atrani perché la sua suggestiva urbanistica è ferma agli anni ’50, gli anni dell’ambientazione del film. Ferme al passato, purtroppo, anche le politiche di prevenzione del rischio. Maltempo e piogge intense sono sufficienti per gettare nel panico i residenti della costiera amalfitana, dell’agro-nocerino, di Ischia. L’elenco delle vittime di frana è un bollettino di guerra ormai. Eppure si continua a bucare i costoni. A meno di venti metri da “Zaccaria” campeggia il tabellone di un parcheggio pubblico da costruire, dove? Nella roccia. Dovrebbe costare circa cinque milioni di euro. Negli anni scorsi, i residenti della zona hanno inviato degli esposti per protestare contro la potenza delle mine utilizzate per i lavori di scavo.
“Safe Land”, un programma finanziato dalla Ue, annunciava smottamenti
Il Belpaese dei 5500 comuni a forte rischio idrogeologico di Laura Biffi
e grandi smottamenPne,iccoli ti, strade interrotte per fracase evacuate sotto montagne che si sfaldano o sotto la minaccia dei fiumi in piena, persone isolate, disperse, spesso morte sotto il fango o sotto le rocce. Un copione che, quando piove, si ripete identico da decenni. E non solo a sud: la mappa del territorio fragile riguarda il Veneto, la Liguria e la Toscana, come la Calabria e la Sicilia. E’ l’Italia intera a essere sotto scacco, vittima e carnefice di un uso indiscriminato del suolo, dove milioni di persone vivono esposti a pericolo costante, in luoghi rischiosi o in case fatte con poco cemento. Perché, se da un lato siamo un
Paese che gode di una straordinaria ricchezza geomorfologica, dall’altro in nome della speculazione edilizia si continua a scegliere di sfidare la natura e la sorte. Il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo, scandalizzata dall’abusivismo edilizio a Messina, parlava di “tragedia annunciata”, ma dimenticava di aver votato ben due condoni edilizi. Intanto l’Italia continua a franare e a fare vittime. Negli ultimi dodici mesi sono state centinaia le tragedie sfiorate, decine quelle avvenute: in costiera Amalfitana, a Ischia, in Toscana, in Friuli, in Veneto, in Valtellina, in Liguria e in tante provincie della Sicilia. Ma il 2009 rimarrà l’anno dell’alluvione di Messina, dove il 2 ottobre poche ore di inten-
sa pioggia hanno scatenato l’inevitabile. A Giampilieri la montagna disboscata dagli incendi e abbandonata dall’agricoltura non ha retto ed è crollata a valle. A Scaletta Zanclea, la devastazione ha colpito e trascinato in mare le abitazioni costruite nel letto della fiumara. Secondo i dati di Legambiente e Protezione civile, oltre 5.500 comuni italiani, il 70%, sono a rischio idrogeologico. L’ultimo rapporto dell’Ispra ha censito la bellezza di 470 mila frane in 50 anni, con una media di 4 vittime al mese. I costi delle alluvioni, tra soccorsi, bonifiche e ricostruzioni dei centri abitati e delle infrastrutture, sono altissimi. Solo la fase di prima emergenza a Messina è costata 45 milioni di euro, per
la messa in sicurezza ne occorrono altri 550. Secondo il Governo, per fare fronte al dissesto idrogeologico nel nostro Paese servirebbero 44 miliardi di euro. Il ministro Prestigiacomo, abbozzando una protesta per i tagli della finanziaria di Tremonti, ha chiesto fondi extra per interventi di “risanamento ambientale” e ha ottenuto dal Cipe un contributo di 900 milioni, prelevati dal fondo per le infrastrutture, e altri 100 milioni anticipati dalla Presidenza del consiglio. Soldi che però non è ancora chiaro come e dove verranno destinati. Ma si rinuncia a interventi di gestione del territorio che possono essere fatti subito e senza spendere un euro. Se nel Messinese una piccola parte dei 30
Il ristorante “Zaccaria” ad Atrani travolto dalla frana, morto lo chef
mila operai forestali, il 50% del totale nazionale, fosse stata impiegata per la messa in sicurezza della montagna, non ci sarebbero stati costi aggiuntivi e forse neanche vittime. Allo stesso modo, impedire che si facciano case dove non si deve, è una operazione a costo zero. Certo è che mentre l’Italia frana e si allaga, nessuno ha
messo mano a un serio intervento di manutenzione straordinaria del territorio, l’unica grande opera di cui il Paese ha davvero bisogno. Infoltire un bosco o sistemare un costone roccioso, negare una licenza edilizia, sono imprese che non prevedono inaugurazioni in pompa magna con ministri e sindaci a tagliare nastri.
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Veneto, 2009 Il dramma di tre imprenditori
U
CRISI
n dirigente d’azienda di Treviso si è tolto la vita lo scorso maggio. Aveva 43 anni, da qualche tempo gestiva le relazioni con le organizzazioni sindacali e doveva avviare una procedura di cassa integrazione per parte del suo personale. Sempre nel trevigiano, solo pochi giorni prima, si è
ucciso il titolare di una piccola azienda del legno in forte difficoltà finanziaria a causa della crisi. Aveva 58 anni e si è impiccato a Fontanelle, all’interno della stessa ditta. Era ossessionato dall’idea che la crisi che aveva colpito anche il suo settore di attività lo costringesse a dover licenziare qualcuno dei suoi otto dipendenti. La depressione per
motivi familiari e la crisi economica hanno portato un imprenditore edile padovano di 60 anni a prendere la stessa decisione, uccidendosi lo scorso ottobre con un colpo di pistola al petto. Viveva nella preoccupazione che qualcuno, con cui aveva contratto debiti, potesse fare del male ai suoi familiari.
SCEGLIERE DI MORIRE
L’epidemia di suicidi a France Télécom suscita molti interrogativi: chi parla di malattia, chi di libertà
Proteste dei lavoratori di France Telecom ad Auch lo scorso ottobre, dopo l’ondata di suicidi (ANSA) di Luigi
Zoja
anno che si chiude è stato atroce per France Télécom. La valanga di ansia aveva cominciato a rotolare già nel 2006: da allora l’azienda di telecomunicazioni - uno dei massimi datori di lavoro francesi - ha eliminato un dipendente su cinque e la doppia pressione (meno impieghi, più prestazioni) continua. È un dato comune ai Paesi ricchi, che raschiano il barile per conservare competitività di fronte a quelli emergenti (soprattutto la Cina). Allora, cosa spaventa tanto France Télécom? L’“epidemia di suicidi”. Ma anche questo è comune al mondo industrializzato. L’American Bureau of La-
L’
Considerare il suicidio come male anziché come decisione non è affatto l’unica possibilità bour Statistics ci dice che negli Stati Uniti i suicidi legati al lavoro sono aumentati del 28% durante il 2008. Tenuto conto del fatto che i dipendenti di France Télécom sono in maggioranza uomini, e che in Francia gli uomini hanno un tasso di suicidi tre volte più alto di quello delle donne, la percentuale di chi si toglie la vita a FT è in linea con con la media della Francia (The Economist, 11 – 16
ottobre 2009, p. 33 e p. 68). In Francia si sceglie di morire più che negli altri Paesi occidentali: più che in Svezia, Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, per non parlare dei paesi cattolici (dati Ocse 2005). La novità FT è un’altra. La relazione tra il tormento individuale e il tormento dell’azienda è esplicita: in diversi casi, il suicida ha accusato l’azienda e l’atto viene addirittura compiuto sul luogo di lavoro. Questa componente psicologica ha avuto come conseguenza una novità istituzionale: il suicidio è stato riconosciuto come infortunio sul lavoro. Torniamo all’origine del problema. Perché la Francia ha un tasso di suicidi più alto fra i maggiori Paesi dell’Occidente? Perché la Francia, che fa pensare alla canzone La vie en rose, oggi evoca anche una Vie en noir? Sono in gioco diverse componenti. Da un lato la Francia ha difeso più a lungo le proprie tradizioni di solidarietà sociale e subisce ora, al declinare del primo decennio del secolo, i colpi della globalizzazione, della americanizzazione, della liberalizzazione estrema che gli Stati Uniti stessi (ma anche la Gran Bretagna) avevano assorbito più gradualmente nei decenni. Dall’altro, le tendenze al suicidio non sono solo stagionali, hanno anche profonde radici nella cultura: il suicidio potrebbe essere un dono paradossale della laicità repubblicana, di quella libertà iscritta nella bandiera della Rivoluzione Francese (Liberté, egalité, fraternité). Albert Camus lo nomina come “libertà assurda”. Il suo Le mythe de Sisyphe inizia dicendo: “C’è un unico problema filosofico veramente
serio: il suicidio”. Il suicidio può esser visto da prospettive molto diverse. Si può considerarlo un problema sanitario: male da combattere secondo un modello medico, erede laico neppur troppo mascherato del male morale ebraico-cristiano. La Bibbia di questo laicismo è oggi il DSM, manuale standard della psichiatria americana, che tratta i pensieri di suicidio come patologia. Una posizione che non viene spiegata, ma ritenuta auto-evidente. Nessun suicidio può originare da una mente sana, nessun suicidio è considerato libera scelta. Paradossalmente, lottando per far riconoscere il suicidio come infortunio o patologia da lavoro, i sindacati francesi contribuiscono
Il mondo classico lo vedeva come una delle poche forme di libertà, in una vita già pre-scritta dagli dei e dal destino alla vittoria di quel modello tecnocratico americano contro cui credevano di essersi arruolati. Paradossalmente, proprio le istituzioni ufficiali degli Stati Uniti si oppongono a questo riconoscimento. Come già Bush, come già Clinton, anche Obama, che pure ha fatto sua bandiera l’immedesimarsi nelle sofferenze individuali, non manda la tradizionale lettera di condo-
glianze alla famiglia dei soldati morti per arma da fuoco, se chi ha tirato il grilletto era il soldato stesso (International Herald Tribune, 26.11.2009, p. 6). Le famiglie sono piene di risentimento: il loro ragazzo, dopo aver perso la vita, ha perduto anche la qualifica di eroe? Ma il Pentagono non ha scelta. I suicidi dei soldati continuano a crescere, dall’inizio della guerra in Iraq sono più che raddoppiati e nel 2009 dovrebbero superare il numero di quelli morti in combattimento (IHT 3.8.2009, p. 2): quali Forze Armate possono permettersi di glorificare una maggioranza di morti che ha rifiutato così radicalmente di continuare a servire la patria? Quale esercito può fare una simile apologia della diserzione? Per assolverli bisognerebbe considerare il suicidio patologia grave: ma allora si dovrebbe ammettere che le Forze Armate americane sono altamente patogene. Considerare il suicidio come male anziché come scelta non è affatto l’unica possibilità. Il mondo classico lo vedeva come una delle poche forme di libertà, in una vita già pre-scritta dal mito, dagli dei, dal destino. Aiace, impazzito per volere di queste forze superiori, massacra agnelli invece di nemici. Ma gettandosi sulla spada si riscatta: dimostra contemporaneamente sia di accettare la primaria giustizia per cui gli sbagli si pagano, sia di avere un supremo coraggio. Paradossalmente, recupera un posto nella società proprio uscendone col suicidio. In questo, la nostra antichità
ANTITRUST
non è lontana dall’Oriente. L’antico e il moderno soldato giapponese terminano il combattimento volgendo l’arma contro di sé, se non riescono a prevalere sui nemici. Ma spesso anche l’amministratore la cui azienda sta scivolando nella sconfitta può compiere quel gesto (a differenza dell’occidentale che a volte scappa con il denaro, lasciando ai dipendenti il vuoto della cassa e della vita). Casi limitati ai discendenti dei samurai? No. In tutto l’Estremo Oriente il suicidio è opzione individuale in un mondo i cui principi di comportamento sono più collettivi dei nostri. La Corea del Sud che aveva, fino a pochi decenni fa, uno dei tassi di suicidio più bassi del mondo, ora ha uno dei più alti. Qualcosa di simile, in scala apocalittica, sta avvenendo in Cina: che ha il maggior numero di suicidi del mondo ma anche la percentuale più alta: 300.000 all’anno, sei volte il numero dei soldati americani morti in Vietnam, una intera città di dimensioni medio-grandi. La Cina ha stabilito anche un altro primato storico assoluto: più della metà è ormai costituito da donne (Xie Chuanjiao, Chinadaily.com. 11.9.2007) Il miglioramento economico complessivo, confermano i dati, corrisponde a un peggioramento delle disuguaglianze sociali ma anche della condizione femminile. È un costo atroce della modernizzazione e dell’arricchimento. Vale la pena, anzi è necessario chiedersi se questo prezzo sia accettabile: i costi sociali delle libertà individuali vanno valutati via via nelle circostanze stori-
di Gianni Barbacetto
I REGALI DI NATALE PER LE TV DEL CAV. el clima natalizio è passata quasi inosservata l’ultima legge ad personam di Berlusconi. Tagliata su misura per favorire le sue tv. Nel decreto varato dal governo poco prima di Natale, sono infatti contenute tre norme che rafforzano Mediaset. La prima, quella che taglia la pubblicità sui canali Sky, non è potuta passare sotto silenzio. Ma ce ne sono altre due. 1) Le reti a pagamento e quelle di repliche “non creano palinsesto”. Quindi i Premium e quelli che replicano le reti via etere sul digitale terrestre (Canale 5+1, etc.) è come se non esistessero. Se fossero conteggiati, Mediaset supererebbe il già larghissimo limite antitrust della legge Gasparri (nessuno può irradiare più del 20% delle reti totali disponibili). Ma da oggi, oplà, quei canali per legge diventano fantasmi e Mediaset è a posto. 2) I diritti dei programmi trasmessi tornavano, dopo alcuni anni, ai loro produttori. Da oggi, non più: per Mediaset bottino pieno.
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che. Ma è pericoloso cedere alla tentazione di inserire tali libertà – anche quelle “assurde” come il suicidio – fra le malattie. In passato, sono state considerate patologie mentali anche l’accattonaggio, l’omosessualità, l’ateismo ed alcune ideologie di sinistra: oggi, neppure la destra propone di tornare a simili classificazioni. Lo psichiatra e lo psicanalista devono spesso discutere col paziente la possibilità del suicidio. Il terapeuta riconoscerà che, quasi sempre, sarebbe stato errato usare la libertà di uccidersi per uccidersi: compiendo quella scelta non si può più esercitare nessuna delle libertà future. Ma riconoscerà anche che cedere allo spavento di fronte alla morte fa parte del rifiuto di considerare la morte come naturale: il tabù della morte, ci ha insegnato Ariès, si è diffuso in Occidente nel XX secolo proprio come nel secolo XIX si era radicato il tabù della sessualità. Avrebbe senso discutere con un paziente i contenuti della vita senza mai metter in discussione il contenitore? La nostra cultura, produttivista e angosciata dal vuoto, ha finito col relegare nell’innaturale l’evento che è ovvio quanto la nascita, l’arrivo che – suggeriva Seneca nell’antichità romana – è il “porto che si deve talvolta desiderare, mai rifiutare” (Lettera a Lucilio Sulla morte volontaria). Chi difende i dipendenti di France Télécom deve lottare per la difesa di angoscianti condizioni di lavoro. In nessun caso, però, dovrebbe cedere alla tentazione di patologizzare la libertà interiore,
Questa cultura, angosciata dal vuoto, ha relegato nell’innaturale un evento ovvio quanto la nascita faticosissima conquista politica e psicologica degli ultimi secoli: per quanto estreme ed “assurde” possano sembrare le sue scelte solitarie. La tutela di chi è economicamente debole è un dovere: cui si danno, purtroppo, sempre risposte empiriche e relative. La tutela delle libertà del pensiero è un dovere al quale si possono invece dare solo risposte assolute.
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Sono circa 90 testate e vendono poco più di cinque milioni di copie
S
ECONOMIA
ono circa 90 e vendono poco più di cinque milioni di copie al giorno. I dati della Fieg sui quotidiani italiani parlano di un settore in evidente crisi. Se nel 1995 i giornali vendevano quasi sei milioni di copie, nel 2008 la media è scesa a poco meno di 5.300.000. Tra gennaio e agosto del 2009, i
principali 57 quotidiani censiti hanno registrato un'ulteriore flessione del 6%. A conti fatti, in Italia si vende una copia ogni 91 abitanti. Una delle percentuali più basse in Europa. Il rapporto del Censis sulle comunicazioni, diffuso nel novembre scorso, aggiunge sale alle ferite. La lettura dei quotidiani a pagamento è
scesa dal 67% del 2007 al 54,8% del 2009, mentre la percentuale di utenti abituali, composta da chi legge un giornale almeno tre volte alla settimana, è crollata dal 51,1% del 2007 al 34,5%. Stabile invece la free press, a conferma che in tanti ritengono superfluo spendere per informarsi. ldc
Il prezzo della crisi colpisce l’editoria: quotidiani più cari “C’È ANCHE UN CALO DI LETTORI A CAUSA D’INTERNET” di Luca
De Carolis
a “ceduto” anche il Corriere della Sera, perché la carta vale oro, la recessione succhia via pubblicità e investimenti e internet è un duro avversario. Macigni tali da spingere il più venduto quotidiano italiano ad alzare il prezzo del giornale a un euro e 20, come aveva già fatto una lunga serie di testate. “Un sacrificio che chiediamo ai nostri lettori” sottolinea un box sulla prima pagina del Corsera, in cui il direttore, Ferruccio de Bortoli, promette ulteriori spiegazioni ai lettori che lo contatteranno tramite la sua mail. Un modo per rendere meno traumatica la novità, peraltro annunciata da settimane. D'altronde nell'ultimo anno a fare il grande passo sono già stati parecchi giornali, di ogni orientamento e diffusione: dal Giornale a Libero, per passare al Manifesto (costa 1,30) e al Riformista (1,50). Nell'agosto scorso il muro dell'euro è stato superato anche dalla Stampa. “La crisi economica, un calo pesante della pubblicità e una difficoltà ormai strutturale della carta stampata ci hanno costretto a rivedere ogni spesa” spiegò in un fondo il direttore, Mario Calabresi. Il Corriere insomma non è, quindi, un pioniere. “Ma ritoccare verso l'alto i
H
prezzi non è la soluzione dei problemi dell'editoria”, sostiene Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa. Che spiega: “Mi sembra che questo aumento generalizzato sia un riflesso condizionato. Appena un paio di giornali hanno rincarato il prezzo, gli altri hanno ritenuto indispensabile imitarli. Di fatto, è lo stesso fenomeno che, come Fnsi, abbiamo visto sul fronte dei tagli e delle ristrutturazioni nell'editoria: hanno iniziato in pochi, e ora ci ri-
sità”. E i lettori? Secondo il presidente Fieg, hanno capito e capiranno: “Sappiamo che per alcuni non sarà facile abituarsi, ma la maggioranza dei lettori comprenderà che pagare un euro e 20 è un dazio indispensabile per avere un giornale di qualità”. Qualità che si sposa male con lo sfoltimento delle redazioni. Malinconico replica: “Mi auguro che almeno parte dei tagli previsti non si verifichi, ma per il 2010 non si intravede una grande ripresa. D'altronde, nessun editore
Il Corriere della Sera passa a 1 euro e 20 Il direttore Ferruccio De Bortoli: scelta inevitabile
La Fnsi attacca: “Ritoccare verso l’alto i prezzi non è la soluzione dei problemi” Testate giornalistiche (ANSA)
troviamo con circa 30 società in stato di crisi”. Uno spirito di emulazione che gli editori spiegano con vendite costantemente al ribasso e inserzionisti sparagnini. In più c'è internet, serbatoio gratuito e inesauribile di notizie. Ma Natale ribatte: “L'idea de-
Caccia allo sconto
SALDI, ASSALTO AI NEGOZI: 10 KM DI FILA A ROMA
gli editori è quella di spremere sempre di più i lettori attuali, in un Paese che legge sempre meno. Una visione rattrappita, quasi rassegnata del futuro dell'editoria. Piuttosto che alzare i prezzi, le aziende dovrebbero cercare nuove idee per attrarre i tantissimi che non leggono”. Le proposte però latitano, mentre i tagli continuano a falcidiare quotidiani e periodici. “Entro la fine del 2010, altri 700 giornalisti italiani perderanno il lavoro” sottolinea il presidente della Fnsi, reduce da un anno di trattative sfibranti con gli editori. L'avvenire appare fosco come il recente passato, tanto più che dal governo non arrivano segnali. “Alla fine del 2008 Paolo Bonaiuti aveva promesso di convocare gli
BUONE NOTIZIE
Stati generali dell'editoria - ricorda Natale - sull'esempio della Francia. A distanza di 14 mesi stiamo ancora aspettando, mentre Oltralpe gli Stati generali sono stati convocati e svolti nel giro di pochi mesi. Ma alla Fnsi interesserebbe molto ascoltare proposte contro la crisi”. Il presidente della Federazione degli editori, Carlo Malinconico Castriota, osserva: “Nei giorni scorsi mi hanno chiamato tanti editori per farmi gli auguri, e tutti mi hanno ribadito che nel 2009 hanno subito perdite molto pesanti. I conti sono quello che sono”. E i giornali alzano i prezzi. Malinconico assicura: “Per gli editori è stato un passo doloroso. C'era una forte resistenza a compierlo, ma gli aumenti erano una neces-
spera che si torni ai livelli pubblicitari di qualche anno fa o in nuovi finanziamenti dallo Stato”. Ma in diversi pensano a sviluppare i siti internet, convinti che il web chiuderà in un angolo i giornali cartacei. “Il multimediale è il futuro - conferma Malinconico - Sento sempre più spesso parlare di far pagare alcune delle notizie pubblicate sui siti. Una soluzione utile e giusta, perché fare giornalismo costa”. Intanto i giornali a un euro sono sempre meno. Tra i colossi resistono solo Il Sole 24ore e Repubblica. Tempo fa, le voci sull'aumento di prezzo del quotidiano romano fecero schizzare verso l'alto il titolo in Borsa del gruppo Espresso. Un segno dei tempi, e della crisi.
a cura della redazione di Cacaonline
LE MIGLIORI NOTIZIE DELL'ANNO/4: DIRITTI UMANI
Sulla strada Pontina, zona ovest della Capitale, è stato il caos: 10 km di fila per raggiungere un outlet. Scene di delirio. Sì, perché da ieri, in otto regioni, è partito l’assalto allo sconto. Venti, trenta, quaranta per cento: oltre, i “protagonisti” del settore, sconsigliano di fidarsi. Comunque, per i negozianti, si respira un’aria di grande fiducia per recuperare gli scarsi affari di questi mesi, non “mitigati” dal periodo natalizio.
L’omosessualità non è più un reato L'Alta Corte di New Delhi a luglio 2009 ha giudicato legali i rapporti tra adulti consenzienti dello stesso sesso. Viene così cancellata la cosiddetta “sezione 377” di una vecchia legge coloniale del 1861 che considerava i rapporti omosessuali contro natura e punibili con 10 anni di prigione e fino all'ergastolo “nei casi più gravi”. L'articolo 377 è stato giudicato una “violazione dei diritti fondamentali”. Unioni di fatto in Irlanda In Irlanda è stata approvata una legge che riconosce ufficialmente le unioni di fatto, anche tra omosessuali, e garantisce loro una serie di diritti e
doveri che finora spettavano solo alle coppie regolarmente sposate (obblighi di mantenimento, successione patrimoniale e della casa condivisa). Adozioni alle coppie gay in Danimarca Il Parlamento della Danimarca ha approvato un disegno di legge che permette l'adozione di bambini a coppie di persone dello stesso sesso. Nel 1989 era stato il primo Paese a riconoscere il matrimonio civile fra omosessuali. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
wall street dc
La finanza all’antica di Edgar Galli
opo tanto parlarne, qualDtroduzione cuno si muove. E la reindel Glass-Steagall Act, la legge varata nel 1933 e abolita nel 1999 che separava le banche d’affari da quelle commerciali ed entrambe dalle assicurazioni, approda al Congresso. Il tema riaffiora periodicamente dall’apice della crisi di un anno fa, senza aver mai trovato fino alle ultime settimane chi fosse disposto a esporsi per legare le mani dei banchieri. Due le proposte finalmente agli atti, una alla Camera e una al Senato, e non solo con il sostegno democratico. Oggi, sottolineano i sostenitori delle proposte, quattro istituti finanziari erogano metà dei mutui negli Stati Uniti, due terzi delle carte di credito e controllano il 40 percento dei depositi bancari. Il valore nominale dei titoli derivati in possesso di banche commerciali ha raggiunto 290 mila miliardi di dollari. Il 95 percento di questi derivati fanno capo a loro volta a soltanto cinque istituti. Le relazioni pericolose fra banchieri e speculatori, insomma, fioriscono come e più di prima della crisi. In un quadro del genere e sulle macerie dei disastri recenti, il Glass-Steagall Act profuma della geniale ovvietà dell’uovo di colombo: tirare una riga netta fra chi custodisce i risparmi delle famiglie e chi rischia capitali nell’azzardo del mercato dei derivati. Non una panacea contro ogni male: non può certo impedire il formarsi di bolle speculative, né isolare i mercati finanziari dai contraccolpi di shock petroliferi o valutari. Ma una volta approvato su macerie più antiche, quelle del crash del 1929, il provvedimento ha garantito, tra alti e bassi, la sostenibilità del sistema. A settant’anni dalla Grande Depressione, però la legge dovette sembrare abbastanza arcaica da giustificare un cedimento alle pressioni della lobby bancaria. Non tutti sono entusiasti sull’idea di reintrodurre steccati nei prati liberi della finanza. E anche tra i suoi sostenitori, non tutti hanno fiducia nelle possibilità della legge di superare la prova dei voti. Gli uomini di Obama, per esempio, stanno accuratamente evitando di esporsi direttamente per non restare bruciati dal possibile fallimento. Citi, Goldman e gli altri avrebbero, in caso di approvazione della legge, un anno di tempo per scegliere da che parte stare. Un eventuale fallimento del tentativo di riportare in vigore la vecchia legge verrebbe considerato come una presa d’atto che il momento buono per le riforme è già passato, che il clima è mutato. Anche perché non si vedono all’orizzonte altre proposte di una certa rilevanza.
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DAL MONDO
2010, fuga dalla leadership l’Italietta torna gregaria
Danimarca
ATTACCO AL VIGNETTISTA DI MAOMETTO
DOPO LA PRESIDENZA DEL G8 IL PAESE RISCHIA DI RIMANERE FUORI DAI CLUB CHE CONTANO di Giampiero Gramaglia
Italia, che ha vissuto tutto il 2009 della politica internazionale alla guida del G8, il Gruppo dei Grandi, rischia di ritrovarsi bruscamente ridotta, nel 2010, alle dimensioni di un’Italietta senza peso e senza potere. Per dimensioni territoriali e demografiche, per livello del Pil, per potenza militare, altri Paesi possono legittimamente aspirare al posto dell’Italia nel G8, proprio mentre è in atto una riorganizzazione della governance mondiale dove l’Unione europea appare sovrarappresentata. Senza contare le questioni di prestigio, o – meglio - di mancanza di prestigio, dei leader, che periodicamente alimentano richieste, magari speciose o spocchiose, di esclusione dell’Italia dal club dei Grandi. Il pericolo dell’Italietta è al centro di un dibattito su riviste specializzate fra ‘guru’ della politica internazionale. Stefano Silvestri, presidente dello
L’
Iai, mette in rilievo, in un articolo sulla rivista online AffarInternazionali, la storia e la tradizione che avallano la presenza dell’Italia nel gruppo leader della governance mondiale e la perdita di peso che deriverebbe da una retrocessione per mancanza di ambizione o da un ripiegamento nel ruolo di ‘media potenza’. La diplomazia italiana è conscia della prospettiva, ne conosce i vantaggi e i rischi: l’impegno, che è stato condiviso negli ultimi anni da tutti i governi e che ha spesso avuto appoggio bipartisan, a una forte presenza dell’Italia negli scenari di crisi, con missioni militari e civili, testimonia la consapevolezza della necessità d’assumere il ruolo di un grande Paese. E alcune delle priorità della politica estera italiana 2010 indicate dal ministro degli esteri Franco Frattini, in un intervento di fine anno, vanno nello stesso senso: crisi regionali come l’Afghanistan e l’Iran; sfide globali come il terrorismo e l’ambiente; un rilancio della
Ue e l’affermazione dei diritti umani perché “una politica estera credibile non può prescindere da una forte dimensione etica”. L’Italia intende, inoltre, lavorare, “sia unilateralmente che tramite l’Unione europea, per offrire un contributo di sostanza al successo dell’esercizio di riesame del Trattato sulla non proliferazione”, cioè per ridurre gli arsenali nucleari mondiali. Perché l’Italia eviti la deriva dell’Italietta, Unione europea e governance mondiale sono i due test decisivi. L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – nota Frattini – apre opportunità di rilancio del ruolo dell’Ue e prevede una maggiore visibilità europea internazionale, anche con la creazione di due figure istituzionali nuove, un presidente stabile del Consiglio europeo e un vero e proprio ‘ministro degli Esteri’ europeo. LE NOMINE. Dalla corsa alle nomine, l’Italia è rimasta finora esclusa. Sono andate a vuoto le
candidature di Mario Mauro a presidente del Parlamento europeo e di Massimo D’Alema a ‘ministro degli Esteri’ europeo. Ma il valzer delle poltrone non si ferma mai: a fine 2010, ci sarà da assegnare la presidenza dell’Eurogruppo - l’Italia potrebbe mettere in campo il ministro dell’Economia Giulio Tremonti -; e, a fine 2011, ci sarà da rinnovare la presidenza della Banca centrale europea - l’Italia potrebbe candidare il governatore di BankItalia Mario Draghi -. Nel risiko dei posti che contano nell’Unione, alcuni giochi, però, potrebbero essere già stati fatti. Francia e Germania vogliono piazzare, rispettivamente, l’attuale ministro delle Finanze Christine Lagarde alla guida del ‘club’ dei colleghi dei Paesi dell’euro e l’attuale presidente della Bundesbank Alex Weber alla Bce. Se l’Italia restasse ancora fuori dal giro, riuscirebbe il ritornello della ‘logica del bilancino’ tra le maggiori capitali europee, in cui Roma non riuscirebbe a entrare.
Un 28enne somalo ha cercato di uccidere ad Arhus, in Danimarca, a colpi d’ascia Kurt Westergaard, autore nel 2005 di caricature di Maometto. Illeso il vignettista, ferito dalla polizia l’uomo, forse legato ad Al Qaeda.
LA GOVERNANCE. Il 2010 dirà la sua sui ‘poteri’ mondiali: sopravvivenza del G8, affermazione del G20, consacrazione del G2 (Usa e Cina), peso dell’Europa. Come presidente del G8, l’Italia ha dato la sua spinta perché il G8 venga in qualche modo ‘assorbito’ dal G14 o – meglio - dal G20, formato più adatto a fronteggiare una crisi economica globale. Ma più il Gruppo si allarga più la presenza dell’Italia s’annacqua; e resta il problema della sovrarappresentanza dell’Europa
nei G del Mondo. Come simbolo dei progressi d’integrazione, l’Ue dovrebbe offrirsi il ‘seggio europeo’ nella governance mondiale: sfronderebbe così la selva di G, compreso il G5 del Consiglio di sicurezza Onu. Per arrivarci, non basterà un decennio. E per spingere in quella direzione e continuare a contare, l’Italia dovrebbe avere una posizione di preminenza, o almeno di influenza, nell’Unione europea: uomini giusti nei posti giusti e scelte da leader, non da gregario.
Domenica 3 gennaio 2010
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DAL MONDO
Anche Obama va alla guerra: missione Yemen
N FRANCIA
Sgozzate tre bambine
S
gozzate, forse dal padre, già condannato per violenze contro la moglie, che si sarebbe poi tolto la vita dando fuoco alla casa. È accaduto ad Haguenau, in Alsazia. Sabrina, 5 anni, Narjiss, 11 e Nivine 13, sono state trovate morte dai pompieri intervenuti per un incendio in una casa che si credeva disabitata.
SI PREPARA IL BLITZ CONTRO AL QAEDA di Leo Sisti
ll’attacco nello Yemen. O meglio nelle zone dove si annidano almeno 300 militanti di Al Qaeda, gli stessi che hanno accolto tra le loro file il nigeriano Ulkar Farouk Abudullattab, autore del fallito attentato di Natale sul volo 253 da Amsterdam a Detroit. I primi segnali che una nuova “guerra santa” sta per essere dichiarata sono chiari. Prima di tutto nelle parole diffuse sabato 2 gennaio dal presidente americano Barack Obama da Honolulu, Hawaii, dove si trova tuttora in vacanza: “Sembra che (Umar ndr) sia membro di un gruppo affiliato ad Al Qaeda e che questo gruppo - Al Qaeda nella penisola arabica - lo abbia addestrato e fornito di esplosivo”. Con un obiettivo: gli Stati Uniti. Al proclama di Obama ha subito fatto seguito l'alleato da sempre più vicino a Washington, la Gran Bretagna. Il primo ministro Gordon Brown ha già annunciato che il 28 gennaio Londra ospiterà i leader mondiali per un meeting internazionale. Ufficialmente per discutere di Afghanistan. Ma sarà anche l'occasione per gettare sul tappeto la nuova questione: lo Yemen, accusato di essere la nuova succursale di Osama Bin Laden, nonché rifugio dei suoi seguaci. Mister Brown lo ha già definito lo “Yemen meeting”, per il quale ha avuto “via libera” da Usa e Unione europea, per combattere la radicalizzazione islamica nello Yemen. Ma spera anche di coinvolgere Arabia Saudita e alcuni paesi del Golfo nella lotta contro “questi nemici della de-
A
mocrazia e della libertà, che ora stanno portando morte e distruzione dallo Yemen”. Allarme rosso, dunque. Il governo di Sana'a, finanziato dagli americani con un bel dono di 67 milioni di dollari, ha promesso aiuto contro i ribelli acquartierati a ovest. Il 30 dicembre il suo esercito ha martellato quell'area. È il terzo raid in poche settimane. In precedenza, qualche giorno prima di Natale, un altro raid, aereo, orchestrato da Washington, aveva puntato contro le località da dove agiscono il numero uno di Al Qaeda nello Ye-
Militari yemeniti impegnati in un’operazione contro miliziani di Al Qaeda (FOTO ANSA)
men, Nasser al-Wuhayshi e il suo vice, Said Ali al-Shihri. Quest’ultimo, insieme al “collega” Muhammad al-Harby, è una vecchia conoscenza dell'intelligence Usa. Tutti e due sono stati detenuti a Guantanamo fino al 2007, quando sono stati liberati e, dopo esser stati sottoposti a un programma di riabilitazione, si sono dati nuovamente alla macchia, per la causa di Al Qaeda nello Yemen. Proprio alcune settimane fa, secondo il New York Times, un sito Internet vicino ad “Al Qaeda Yemen” aveva reso pubblica una
INNOVAZIONI
Le ostriche e il test del topo
I
produttori di ostriche del golfo di Arcachon, nella Francia occidentale, esultano per la fine del contestato ‘test del topo’, introdotto nel 2008. Il ministero dell’Agricoltura ha infatti reso noto in un comunicato che, a partire dal 1 gennaio, a decidere sulla qualità delle ostriche e quindi sulla loro possibilità di essere vendute sarà un test chimico. Il test del topo consisteva nell’iniettare estratti di ostriche nei roditori: se due topi su tre morivano nel giro di 20 ore, i molluschi venivano considerati non commestibili. Gli ostricoltori avevano chiesto da tempo di mettere al bando questo tipo di test, affermando che dava risultati positivi anche in assenza di tossine.
Gli esperti dell’antiterrorismo: sarà un conflitto clandestino, con spie, droni e massacri IRAN minaccia di Nasser, il capo: invitava i suoi adepti a usare piccole bombe “negli aeroporti dei paesi occidentali che partecipano alla crociata contro i musulmani; oppure sui loro aeroplani, o nei complessi residenziali o nelle metropolitane”. In quegli stessi giorni, immediatamente dopo un nuovo blitz contro un campo di addestramento nel Sud Yemen, la propaganda qaedista ha lanciato un proclama come riporta ancora il New York Times: “Stiamo distribuendo ordigni per colpire i nemici di dio. O soldati, non vogliamo lottare contro voi, abbiamo soltanto un conto con l’America e i suoi agenti. Attenti, non alleatevi con l’America”. Come dire: militari yemeniti, alla larga dagli Stati Uniti. Altrimenti... Lo Yemen sta per diventare un mini-Afghanistan, magari con un conflitto di minor portata, sempre più internazionalizzato? La sensazione c'è. E lo dimostrerebbe un altro fatto, un appello che viene dalla Somalia. Da anni, questa roccaforte di Al Qaeda nel Corno d'Africa è al centro di un braccio di ferro tra il governo di Mogadiscio e i ribelli islamici del movimento Shaabab (”gioventù”), legati ad Al Qaeda, che oggi controllano buona parte del paese e un’enclave nella capitale. Il primo gennaio un loro portavoce, lo sceicco Muktar Robow, ha lo promesso: mande-
remo combattenti in Yemen. Ma è possibile che lo Yemen si trasformi in un nuovo pantano, come l’Afghanistan? Un esperto di intelligence di Washington, Jeff Stein, titolare del blog Spytalk, contattato da Il Fatto Quotidiano, lo esclude: “Pantano significa impegnare truppe occidentali. No, credo piuttosto che ci sarà una guerra clandestina, con spie, droni e massacri. Con più possibilità di successo che in Afghanistan. Perché ci sarà la collaborazione dell’Arabia Saudita”. Stein ricorda inoltre che da anni lo Yemen è nel mirino degli Usa, fin da quando la nave “USS Cole” venne assalita da uomini di Al Qaeda nel 2000 nel golfo di Aden con un pesante tributo di sangue: 17 marinai uccisi. E chi guidò le indagini allora? John O'Neill, agente dell'Fbi che si fiondò a Sana'a alla ricerca dei colpevoli. Sarà stata la nemesi, ma proprio O'Neill l'anno successivo verrà travolto, in quel tragico 11 settembre, nel crollo delle Twin Towers di New York. Conseguenza di tutto questo? La conferma quasi certa ormai che Guantanamo possa essere chiusa il prossimo 20 gennaio (scadenza del primo anno di presidenza, ndr), come aveva giurato Obama. Chissà che fine faranno i 90 yemeniti ancora là imprigionati.
IL NATALE DEI ROGHI RUSSI DECINE DI MORTI NEL SILENZIO DI MOSCA di Giancarlo Castelli
arà pur vero, come dice il ministeSnotte ro degli Interni russo, che nella di Capodanno i 589 incendi e i 127 morti a causa dei roghi non rappresentano un’emergenza e che, anzi, “c’è stata una diminuzione del 32% di disgrazie rispetto allo scorso anno”. Eppure il numero degli incidenti e delle vittime causati dal fuoco su tutto il territorio della federazione russa fa una certa impressione. Non c’è giorno dell’anno che i giornali non registrino decine di incendi. Principalmente, per l’80%, nelle abitazioni private. Ma anche strutture pubbliche come le case di riposo per anziani, le scuole, le università, persino le caserme militari che si accendono come un cerino bruciando tutto ciò che si trova al suo interno. Impianti fatiscenti, assenza di norme anti-incendio, costruzioni in legno e vetustà dei locali alimentano la combustione. Anche il recente rogo del locale “Il cavallo zoppo” a Perm, negli Urali, ha avuto un effetto moltiplicatore grazie alla presenza di materiale sintetico in plastica che rivestiva le
pareti. Ieri è morta la 154sima vittima. In violazione delle più elementari norme antiincendio. “Quella degli incendi è una tragedia di generazione - secondo Alexej Bukalov, corrispondente in Italia dell’agenzia Itar-Tass – gli impianti sono obsoleti e risalgono all’epoca sovietica. In questi anni non sono stati spesi due rubli per la messa a norma”. L’elenco delle tragedie è lungo quanto incompleto: cinque persone carbonizzate due giorni fa nella loro casa di legno a Murmansk. Nove morti e cinquantuno feriti per un rogo all’Istituto universitario di management di Mosca. Sei morti, tra cui due bambini, in una casa di San Pietroburgo. Un deposito militare andato a fuoco a Uljanovsk, sul Volga, lo scorso novembre che ha provocato un’esplosione per cui si rese necessaria l’evacuazione di 3000 residenti. Per non parlare delle case di riposo per anziani: solo nel 2007 a Tula, a Kamishevatskaja, nella regione di Krasnodar e nel distretto di Tara, nella regione di Omsk, morirono in tutto 92 persone. Quarantacinque, invece, fu-
rono le donne morte bruciate o intossicate tra le fiamme di un centro di recupero per tossicodipendenti a Mosca. “Lo stato delle strutture in Russia è in fase comatosa – spiega Eleonora Gallucci, slavista – nei prossimi dieci anni potrebbe accadere una tragedia praticamente ovunque”. Colpa delle politiche abitative di Kruschov. “Negli anni ’60 venne inaugurato un piano per la costruzione di case popolari, tutte a cinque piani e con materiale scadente. Negli anni successivi quel patrimonio è stato quasi interamente privatizzato e la manutenzione è andata a farsi benedire”. Lontani i tempi quando ancora in era sovietica lo Stato affiggeva cartelloni stradali raffiguranti un bambino con un cerino in mano e la scritta “attenzione” contro gli incidenti domestici. Non è che l’allarme sia sfuggito al Cremlino se il presidente russo, Dmitrij Medvedev, ha detto, durante la Commissione statale per l’ammodernamento e lo sviluppo tecnologico dell’economia, che “l’80% del parco degli impianti tecnologici dell’industria russa risale ai tempi sovietici, ha più di 50 anni d’età
e necessita di una sostituzione urgente. Gli analisti del ministero per le Situazioni di emergenza hanno lanciato un allarme affermando che da qui al 2012 la Russia rischia di essere scossa da un’ondata di incidenti e di catastrofi tecnologiche che potrebbero colpire i punti nevralgici dell’economia nazionale”. Era appena esplosa la centrale idroelettrica di Sajano-Shushenskaja che causò dieci morti e 70 dispersi. Un attentato rivendicato dai ribelli ceceni. Nella Russia che brucia, infatti, il fuoco provocato dagli attentati terroristici va ad aggiungersi a quello per incuria, fatiscenza degli impianti elettrici, alla presenza di case di legno che continuano ad esistere nelle campagne ma anche nelle grandi città. Nel Paese degli oligarchi e delle Bentley dorate parcheggiate in doppia fila al centro di Mosca, la vita umana vale poco. “Il problema reale è questo – commenta amaro Bukalov – il basso costo della vita. Come se diecimila persone in più o in meno non abbiano valore”. E rimpiange Dostojevskij, quello che di fronte al pianto di un bambino “perfino Dio ha torto”.
In piazza il regime
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entinaia di migliaia di persone hanno partecipato in molte città iraniane a raduni promossi dal regime, dopo i sanguinosi incidenti avvenuti domenica durante le manifestazioni dell’opposizione. E, mentre continuano le retate di intellettuali e giornalisti, il presidente Ahmadinejad (nella foto) ha avvertito che “non servirà il pentimento” il giorno in cui la nazione “si muoverà come un grande oceano” contro l’opposizione; il capo della polizia Ahmadi-Moqaddam detto che “il tempo della tolleranza è finito”.
AFGHANISTAN
Tre giorni di scontri per gli italiani
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ettantadue ore quasi ininterrotte di scontri, con i soldati della Nato - tra cui gli italiani - attaccati “con colpi d’arma da fuoco e di razzi da parte di oltre 60 insorti”. Teatro della battaglia il distretto di Bala Morghab, al confine col Turkmenistan, dove operano 120 uomini della Brigata Sassari.
GERMANIA
Protestano gli ex agenti Stasi
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n gruppo di ex detenuti della Stasi ha occupato come forma di protesta l’ex carcere della polizia segreta comunista a Erfurt, nella Turingia. I manifestanti chiedono la trasformazione dell’ex prigione in un luogo di memoria: circa 5mila persone sono state sottoposte a torture fisiche e psichiche nel carcere tra il 1952 e il 1989. La protesta degli ex detenuti è iniziata giovedì. Un portavoce ha criticato che gli ex detenuti vengano esclusi dalle decisioni sul futuro dell’edificio.
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Domenica 3 gennaio 2010
SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
TENDENZE
CRITICI ADDIO Recensioni virtuali da lettore a lettore
Elton John Aiuto Eminem a uscire dal tunnel della droga
Anniversari Su Rai storia, alle 21, i 50 anni di “Tutto il calcio”
Schumacher Michael oggi compie 41 anni (e torna al volante)
Ghini Minacce telefoniche per l’attore: “Sporco comunista”
Si chiama aNobii ed è il maggior social network letterario sulla piazza: in catalogo quindici milioni di titoli e un’utenza che viaggia verso il milione di unità
di Nicola Lagioia
I
Miserabili: titanico e geniale polpettone della letteratura moderna. Mostra i segni del tempo ma il tempo non avrebbe proceduto sugli umani come ha fatto se il suo autore (“un pazzo che si credeva Victor Hugo”, lo definì Cocteau) non lo avesse scritto. Questo sofisticato giudizio su uno dei romanzi più importanti del XIX secolo non è opera di uno scrittore, né di un critico, e nemmeno di un giornalista culturale. Si tratta di una delle tante recensioni che vi compariranno sullo schermo del computer alla voce “I Miserabili” collegandovi ad aNobii, il maggior social network letterario presente sulla piazza. Con un catalogo di quindici mi-
Tra gli oltre 55 Paesi che compongono la comunità on line, il nostro è il più rappresentato lioni di titoli e un’utenza che viaggia verso il milione di unità, questa sorta di Cafè le Procope del web 2.0 ha creato in poco tempo la più vasta e febbrile comunità di lettori che si sia mai data appuntamento in un luogo. Fondata a Hong Kong nell’agosto del 2005, la comunità telematica che prende il nome dal tarlo della carta (Anobium) si è espansa rapidamente, dischiudendo ai fanatici della lettura scenari che solo la Rete può rendere reali: riuscire a entrare in contatto nello spazio di un clic con chi ama (o
odia, o semplicemente possiede) il libro che ci interessa, scambiare idee con lui o lei, esplorare – puro voyeurismo a fin di bene – la sua libreria seguendo commenti e voti dati a ogni volume (da una a quattro stellette), quindi magari trarre ispirazione per il prossimo libro da acquistare, leggere e segnalare a propria volta on line. A chi scrive è ad esempio capitata la seguente avventura: considerando un mezzo bluff Nicolai Lilin, l’autore di “Educazione siberiana”, storia autobiografica di un giovane che cresce tra i criminali della Transnistria prima di trasferirsi nel cuneese come tatuatore e saltuario frequentatore di Casa Pound a Roma, ho cercato il suo libro su aNobii sperando in molte stroncature. Ho trovato al contrario parecchi giudizi positivi, ma tra le stroncature ce n’era una che mi ha subito conquistato. Il titolo che precedeva la puntigliosa demolizione dell’opera di Lilin, a firma EnzoB (“Sono un uomo di mondo, ho fatto il militare a Cuneo – Nicolai Lilin: educato male”), era una presa in giro che sintetizzava molto bene la velleità del libro. Ho pensato che questo EnzoB doveva essere un mezzo genio, e mi sono lanciato nell’esplorazione della sua libreria. Vi ho trovato la stroncatura di un clone di Millennium (“Stieg Larsson è morto, fatevene una ragione”), un elogio sperticato del bellissimo “Suttree” di Cormac McCarthy, fino a quando (dopo altre stellette e commenti che facevano guadagnare sempre più a EnzoB la mia fiducia) ho pescato la recensione del libro che da mesi sapevo inconsapevolmente di voler leggere: “Il fabbricante di eco” di Richard Powers. E poiché la recensione di EnzoB superava – per passione e competenza – tutti i pezzi su carta che avevo letto sull’ultimo Powers, a un certo punto ho spento il computer e sono andato finalmente a comprare il romanzo. Grazie aNobii, e grazie EnzoB. a cosa più sorprendente di Lni più aNobii (le cui 600 recensiopopolari sono state raccolte da poco su volume per Rizzoli) non è tuttavia la qualità degli interventi, ma il fatto che la maggior parte di questi provenga dall’Italia. Tra gli oltre
cinquantacinque Paesi che compongono la comunità virtuale, il nostro è il più rappresentato. “Madame Bovary”, che per esempio su aNobii-Francia conta appena 30 lettori, è finito nelle librerie di ben 6800 anobiiani d’Italia. E “Pastorale americana”? Mentre i connazionali di Roth che lo hanno inserito nella bacheca virtuale sono 39, i lettori di casa nostra ammontano provvisoriamente a 3063. Per non parlare dei best seller (“La solitudine dei numeri primi”, recensita e discussa da oltre diecimila utenti) e del fatto che sono italiani i gruppi di lettura più vitali, e le più attive costellazioni di forum che fanno capo al social network. Il che ha del miracoloso, tenuto conto che l’Italia non brilla per numero di lettori, è meno popolata di Paesi come gli Stati Uniti, e soprattutto tra le nazioni del primo mondo è molto indietro in fatto di informatica. A che imputare questo successo? Mi sono immerso tra le pagine del social network alla ricerca di una spiegazione, fino a quando di spiegazioni me ne sono venute in mente addirittura due. Uno: in un Paese come il nostro, che ha visto negli
Madame Bovary, che su aNobii-Francia conta 30 lettori, è finita nelle librerie di 6800 anobiiani d’Italia ultimi anni la cultura sempre più oggetto di disprezzo (vedi le sorti della ricerca, o le esternazioni dei vari Brunetta), trovare un luogo in cui poter condividere questa passione è quanto meno rivitalizzante. Due: i lettori italiani si fidano sempre meno dei loro tradizionali mediatori culturali. Ho assistito a molti dibattiti in cui i soloni delle nostre lettere rimestavano fino alla morte Adorno, Horkheimer e Andy Warhol per giustificare storicamente concetti quali la “morte della critica militante”. Mai
uno però che provasse a fare meaculpa sollevando il velo sulla natura di tante recensioni professionali: pezzi scritti spesso in batteria, prevedibili, mancanti di passione o in trasparenza servili o astiosi o stiticamente entusiasti quando non inutilmente cervellotici, il cui vero destinatario non è mai il lettore ma altri addetti ai lavori (“e allora perché non ricorrere alle mail collettive invece che a un quotidiano nazionale”? mi sono spesso domandato). I commentatori italiani di aNo-
bii, al contrario – troppo numerosi per non rompere il recinto di intellettuali, scrittori e aspiranti tali in cui spesso sono chiusi anche i lit blog – sono lettori accaniti e disinteressati, e mostrano di avere attraversato l’intera esperienza di un libro: hanno speso soldi per acquistarlo, e tempo per leggerlo, lo hanno davvero amato o detestato, e spesso con competenza e senza inutili puzze sotto al naso restituiscono una passione e un’intelligenza che risultano contagiose. Motivo per cui preferi-
Isabelle Huppert nei panni di Madame Bovary, film di Chabrol tratto dal capolavoro di Flaubert
scono consigliarsi i libri tra di loro piuttosto che aspettare l’ennesima recensione capace di accostarsi a un libro come a un topo morto. Forse, per una volta, i soloni di cui sopra potrebbero mettersi in discussione davanti a un’esperienza come questa. A meno che non preferiscano morire comodamente sotto il crollo delle torri d’avorio e di risentimento dentro cui si addormentano ogni sera.
Domenica 3 gennaio 2010
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SECONDO TEMPO
EVENTI /CINEMA
AVATAR SENZA LIMITI
A dieci anni da Titanic, Cameron ci riprova Incassi da record negli Usa, il 15 esce in Italia di Elisa Battistini
e Malcom Pagani on dorme e progetta. Studia maniacalmente e poi, eliminate le incertezze, si mette all’opera. Anche se tra un film e l’altro, questa volta, ci ha messo 12 anni. Dopo la pioggia di Oscar di Titanic (1997), l’ex studente di Fisica James Cameron, canadese classe 1954, ha aspettato a lungo per tornare al cinema. Ma è tornato realizzando quella che la critica americana ha già definito una pietra miliare della fantascienza, Avatar (che uscirà il 15 gennaio nelle sale italiane). Tra un successo planetario e l’altro, tra
N
le statuette dell’Academy Award e l’incoronazione presidenziale (Obama ha portato subito le figlie di 8 e 10 anni a vedere Avatar, nonostante il divieto ai minori di 13 anni e provocando perciò parecchie polemiche) Cameron lavora incessantemente. Chi lo conosce bene racconta che non smette di partorire idee, lampi da elaborare. Che pretende e ottiene. Chi ne conosce vizi e inclinazioni, lo chiama “Big Jim”. Non è un fumetto, nè un supereroe. Solo un regista pluripremiato, figlio illeggittimo del suo maestro Robert Corman, che sa prendersi il proprio tempo al riparo dalle ansie. E sa far fruttare gli incredibili
budget a sua disposizione. L’ultima volta, con Titanic Cameron fece investire alla 20th Century Fox e alla Paramount duecento milioni di dollari ma ripagò abbondantemente i propri produttori con quasi 2 miliardi di dollari di incasso (con le sole proiezioni in sala, home video escluso) e undici statuette losangeline (al pari di Ben Hur). Chissà se Cameron ripeterà l’impresa. Che, in sostanza, significherebbe “battere se stesso”, visto che il film con Di Caprio e Kate Winslet è il più grande incasso di tutti i tempi. Ma le sfide esaltano il regista, che sta già lavorando su Viaggio Allucinante, un romanzo del 1966 di Isaac Asimov portato sullo schermo anche da Richard Fleischer. E anche Avatar, trionfo stagionale elaborato per sei anni negli uffici della Demain – il suo posto delle fragole dove rilassarsi con gli amati effetti speciali – è un’enorme sfida. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, la sfida pare vinta. Uscito negli States il 18 dicembre, ha visto resse inaudite davanti alle casse, arrivando a sbancarle. Nel primo week end ha segnato un bel 75,6 milioni di dollari in biglietti staccati. Battendo già un altro record, quello che vedeva Il Cavaliere Oscuro di Nolan sul podio degli incassi del primo fine settimana negli States (75,2 milioni di dollari alla sua uscita). Del resto il kolossal di James Cameron è un’opera che promette di ridisegnare il genere. Il film è ambientato nel 2154 sul pianeta Pandora, dove una pacifica tribù di giganti bluastri viene assaltata dai terrestri all’affannosa ricerca di un minerale indispensabile per la nostra sopravvivenza. Gli uomini, infatti, a quell’epoca soA sinistra la locandina di “Avatar” di James Cameron; in basso Roberto Bettega (FOTO ANSA)
PALLONATE di Pippo Russo
tascientifico è lunga e ha rovinato il sonno di produttori del calibro di Dino De Laurentiis. Che con Dune (1984) tratto dalla fluviale saga in sei libri di Frank Herbert, ha speso 45 milioni di dollari incassandone solo 30. E a pagarne il prezzo fu anche il regista David Lynch . A Cameron e ai suoi produttori, invece, non è mai andata male al botteghino. E, per quanto riguarda la rivoluzione del genere, con buona pace del grande Spielberg, il regista ha già fatto la sua parte. Proprio nell’anno 1984, lo stesso del flop di Dune, il trentenne Cameron tirò fuori dal cilindro un capolavoro a basso costo e ad altissimo incasso: Terminator . Un
È già considerato una pietra miliare della fantascienza, che il regista ha rivoluzionato con “Terminator” plumbeo e monolitico spaccato dell’apocalisse umana. Dove, invece dei giganti blu di Avatar compariva il titanico Arnold Schwarzenneger. Chissà se Cameron riuscirà a battere se stesso sul fronte degli incassi e a realizzare un capolavoro come quello di 25 anni fa interpretato dal futuro governatore della California.
MULTE, ANTITRUST E GARANTI DEI LETTORI
ulle colonne della Gazzetta dello Sport si parla soltanto in termini positivi di ciò che succede alla Lega Calcio. Non chiedeteci come mai, perché i motivi sono imperscrutabili. Sta di fatto che così è. Per chi ancora avesse dubbi su questo stato di cose, hanno provveduto le edizioni dei quotidiani sportivi andate in edicola martedì 29 dicembre a dissolverli. Quel giorno tutti i giornali riportavano la notizia della multa di 102.000 euro inflitta dall’Antitrust alla cosiddetta “Confindustria del calcio” (mah…), per una questione di diritti televisivi sul campionato di B non venduti nella stagione 2007-2008. Anche i quotidiani sportivi, ovviamente, informavano sulla vicenda. Il Corriere dello Sport Stadio ha dedicato alla notizia un articolo firmato da Ettore Intorcia, dal titolo esplicito: “Antitrust, 102.000 euro di multa alla Lega”. Di tenore analogo il trattamento che della notizia ha fatto Tuttosport, che vi ha dedicato un articolo non firmato ma anch’esso schietto nella titolazione: “Diritti tv: l’Antitrust multa la Lega”. E la Gazzetta? Trattamento vellutato. L’articolo
S
no in un mare di guai e non resta che depredare Pandora per continuare a esistere. C’è solo un problema: l’atmosfera di Pandora non è fatta per i nostri corpi e i terrestri possono sbarcare solo come “avatar”, appunto. Doppi virtuali, simulacri, mentre la carne reale resta sull’astronave. Nel salto nel futuro pensato da Cameron batte un cuore ecologista. Ma il film si presenta anche come una riflessione sul rapporto con la natura e sul nostro progressivo allontanamento da essa. Senza prescindere da tutta la (vasta) letteratura sulla virtualità, Philip K. Dick in testa. Per essere trascinati, in 3D, sul pianeta Pandora, in Italia dovremo aspettare un paio di settimane. Per capire se davvero il film avrà un grande impatto nella storia del cinema ci vorrà forse di più. Per ora una cosa è certa: Steven Spielberg lo ha paragonato – in quanto a importanza per il genere – a Guerre Stellari (1977) di Lucas. E Spielberg, il creatore di E.T. (1982), di immaginario e fantascienza ne sa qualcosa: “Avatar è un capolavoro tecnico, emotivo e visivo. É il più bel lavoro sul tema che abbia visto da quarant’anni a questa parte e chuinque vorrà sperimentarsi in futuro con ambiti simili, non potrà precindere dalla sua lezione”, queste le parole con cui si espresso il regista di Jurassic Park. Uno sponsor d’eccezione e inusuale, insomma. Come inusuale è il 3D (Cameron ha dichiarato di non voler mai più ricorrere alla pellicola tradizionale), che segna un terreno ancora inesplorato. Chissà poi se gli incassi saranno all’altezza. La casistica degli incubi finanziari a sfondo fan-
firmato da Antonello Capone parlava praticamente di un’altra realtà, desumibile dal titolo: “Offerta novità: 30 milioni per 20 minuti a partita di A”. Il riferimento era a un nuovo pacchetto di diritti televisivi da commercializzare a partire dalla prossima stagione. Poi, secondariamente, si riferiva anche alla multa da 102.000 euro. Notizia accompagnata da una dichiarazione dell’avvocato della Lega, Bruno Ghirardi: “Multa sul minimo edittale, neanche l’1% del fatturato della Lega. Il massimo era il 10%. Infrazione giudicata minima”. Come mai tanto understatement? Leggeremo mai sulle pagine della rosea una critica all’agire della Lega di A e B? Stesso giorno, Tuttosport, sobrio commento di Claudio Colombo sul ritorno di Roberto Bettega alla Juventus: “Temendo il peggio l’uomo si abitua a tutto. Chi tiene alla Juventus (Bettega docet), vaccinato al troppo non può adeguarsi al tutto se dentro a quel tutto è contemplata la definizione sconfitta. Sarebbe troppo. Dunque s’impone la sterzata, da qui il richiamo fideistico (e non solo) all’appartenen-
I RITRATTI APOLOGETICI DI BETTEGA E LA MOGLIE INFURIATA DI TIGER WOODS
za di quella molto speciale schiatta nella quale il torinese Roberto è schierato da sempre. C’è nel ritorno alla juventinità del bianconero (assoluto, sempre lui, Bettega) un ricorso dentro il corso della storia. La Juventus, stranita Signora in evidente crisi d’identità ricorda la fragile Signorina che l’accolse 39 anni orsono”. Appena entrati nel 2010, bisogna chiudere definitivamente col 2009 indicando il frammento più imbarazzante pubblicato durante l’anno da un quotidiano sportivo. Esso non poteva che essere pubblicato dalla Gazzetta dello Sport. E non poteva che essere scritto da Beppe Severgnini. Il quale di sport non capisce nulla, ma come per ogni altro argomento si lancia volenterosamente. Nell’edizione del 13 dicembre il Severgnaus ha sfoderato il suo humour catacombale per un commento sulle disavventure di Tiger Woods. In prima pagina i poveri lettori della rosea si sono trovati a leggere quanto segue: “Quest’articolo potrebbe intitolarsi ‘La tigre e l’agnello’. Tiger, bacchettato dalla signora Woods, lascia i campi (di golf) e torna all’ovile. Be’… Anzi: beeeeeh!”. Bisognerà pur istituirla una figura di Garante del Lettore di Quotidiani Sportivi.
Luca Toni Sogni sudafricani di un acquisto last minute nell’orgoglio, è risorPgol ungolato to persino Julio Baptista. Due per il brasiliano triste nel test con la Cisco, terminato 3-0, davanti a ventimila persone assiepate allo Stadio Flaminio, per assistere all’overture romana di Luca Toni. Salutata anche da un gol di Menez, che ha voluto ricordare di esistere. I primi novanta minuti, senza gol ma salutati da una folla entusiasta, hanno chiuso il primo cerchio. Il resto verrà. I romanisti accolgono tutti nello stesso modo. Falcao o Andrade non fa differenza. Prima l’abbraccio, poi, eventualmente, il giudizio. L’attaccante di Modena, reduce da una stagione difficile al Bayern Monaco spera di guadagnarsi il Sudafrica vestendo la maglia giallorossa. Roma attendeva da tempo una punta di peso. Un nome che desse anche alla gente un segnale di stabilità e di rilancio nel panorama calcistico italiano. Dopo un mercato estivo deludente, gli umori nella capitale cominciavano a tingersi di nero. La società guidata da Rosella Sensi ha scelto di correre ai ripari. La prima mossa è stata l’acquisto di un tecnico romano e romanista. Successivamente, per rinsaldare la struttura societaria si è deciso di ricorrere all’ex mago del Volley: Giampaolo Montali, l’ottimizzatore. Poco, troppo poco per il difficile palato del popolo giallorosso. Per competere con le grandi, la Roma aveva bisogno di un nome importante a lungo atteso nel mercato estivo. Non disponendo di liquidi, poiché da anni si affida alla controversa formula dell’autofinanziamento per poter fare mercato, la Roma deve cogliere l’attimo. Luca Toni voleva andare via. La sua destinazione ideale era l’Italia, per sperare di convincere Lippi, tecnico della Nazionale, a portarlo in Sudafrica. Due erano le mete possibili, l’onnivora Inter del duo Moratti-Mou o la Roma dei Sensi. I nerazzurri avrebbero potuto garantirgli un ingaggio più vicino ai suoi standard ma la paura della concorrenza, che nel club milanese è abbondante, ha spinto Toni a optare per un contesto meno remunerativo ma con potenzialità di rilancio superiori. La decurtazione dell’ingaggio da parte del giocatore è sintomo della sua fame di soddisfazioni sportive più che del desiderio di una pensione dorata. Questa è probabilmente ciò che la Roma ha da offrirgli. Nell’Inter la punta ex viola, sarebbe stato un co.co.co, il rimpiazzo di Eto’o per il tempo strettamente necessario alla Coppa D’Africa. Nella Roma, invece, Toni può diventare protagonista della cavalcata “quarto posto”. “Sono carico, ho sei mesi per guadagnarmi la maglia della Roma”, . così si è presentato a Trigoria l’attaccante. Basterà questo ad appagare la piazza? Roma è una città dagli umori volubili che in passato ha accolto con estremo entusiasmo sia brocchi che grandi campioni e ci ha abituato a code oceaniche all’aeroporto, cellulari alla mano, per salutare l’arrivo di giocatori di tutte le risme. Da Cicinho a Fabio Junior. Roma passa dall’entusiasmo allo scoramento . Luca Toni questo lo sa bene. Chissà che la vicinanza di De Rossi e gli assist di Totti non gli facilitino (Jacopo Sonnino) il compito.
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SECONDO TEMPO
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TELE COMANDO TG PAPI
Graviano desaparecido di Luigi Galella
g1 T Com’è triste il Tg, se manca il Sig. B… Sulle note di Aznavour. Triste e un po’ depresso. Lo governa una mesta armonia e qualche nobile, futile distrazione. Ad esempio, dimenticare la scomoda notizia che le grandi testate nazionali danno e commentano: la revoca dell’isolamento a Giuseppe Graviano. Meglio concentrarsi invece sul crepitio dello shopping dei saldi, e inviare sul fronte di guerra di via Condotti una giornalista dal sorriso splendente, in stand up per 42 secondi. Il tempo è denaro, appunto. Anche il pastone di Luverà omette qualsivoglia dichiarazione dei politici sul caso del boss di Brancaccio (perfino Casini chiede che Alfano “riferisca in Parlamento”) – del resto, se manca la notizia come si fa a commentarla? – e si concentra su quello che appare come il prossimo, inconcludente tor-
mentone della dialettica opposizione governo: riforme sì riforme no. Si parta dalla bozza Violante, sostengono Bonaiuti e Gasparri, ma “integrata dal modello presidenzialista dell’elezione diretta del premier”. Idea a suo tempo già bocciata da D’Alema e che verosimilmente verrà rispedita al mittente, con buona pace di chi finge ancora di credere al dialoghismo. g2 Obama, innanzitutto. E l’esplicita accusa alla cellula yemenita di Al Qaeda. Saranno colpiti e duramente tutti coloro che hanno addestrato il terrorista nigeriano, responsabile del fallito attentato dell’aereo diretto a Detroit. Si apprende che il nigeriano è stato anche a Roma. Maroni promette di informarsi, anche perché si è ricordato d’essere il Ministro dell’Interno: “Abbiamo ricevuto la segnalazione e stiamo facendo accertamenti”. In Danimarca, intan-
T
to, un uomo di origine somala, munito di ascia e coltello, si è introdotto nella casa di Kurt Westergaard, autore nel 2005 delle vignette satiriche su Maometto, che fecero esplodere la protesta del mondo islamico. Anche Rino Pellino, autore del servizio da Berlino, offre il suo contributo omissivo alla causa comune di Tg1 e Tg2, non dicendo qui ciò che confezionerà invece per il Tg3: l’episodio di cui si rese protagonista Roberto Calderoli, in pieno marasma internazionale, che durante un’intervista mostrò in diretta televisiva le vignette dello Julland Posten che s’era fatto stampare sulla camicia. A beneficio degli smemorati, ricordiamo che a seguito della vicenda, a Bengasi vi fu una sollevazione antiitaliana, e undici libici persero la vita. g3 T In crisi d’astinenza per qualche giorno d’anonimato, Brunetta torna a spararle grosse e attacca la Costituzione, perfino nella parte degli articoli, secondo la Corte, “immodificabili”, e applicandosi sul primo, che recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Per il ministro l’articolo ignora mercato, merito e concorrenza, e quindi è obsoleto. Chiti, dall’opposizione: “Se la linea è questa andiamo allo scontro”. Non ci voleva molto per capirlo.
di Fulvio Abbate
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Chi ci salva da Sos Tata?
os tata è il programma che dovrebbe servire ai genitori negati. Ossia, incapaci di Seducare i propri figli, di più, a tutti quelli che sono riusciti a farsi prendere da questi ultimi a calci nel culo dal primo giorno della loro venuta al mondo, quando il fiocco rosa (o azzurro) svolazzava sul portone del civico corrispondente al (lieto?) evento. Si tratta quindi di un format che parla di una dura, cocente, inemendabile sconfitta, quella, cioè, familiare. Un format dardeggiante che sta lì a guardare negli occhi spenti padre e madre. Per queste evidenti ragioni, “Sos tata” viene a sua volta contemplato dal genitore inadempiente (quasi) in ginocchio, mani giunte, accompagnando la visione con un pensiero di possibile palingenesi, un “hoc signo vinces” piazzato nel cielo del possibile ritorno alla normalità, alla buona educazione, al “non si fa!”. Perfino lo scrivente, mentre stava buttando giù il “pezzo” che state vedendo, si è sentito richiamare all’ordine, cazziare dalla propria figliola di sette anni con una richiesta perentoria, da mini-stronza: “Papi, il tovagliolo?” Al tempo austero di Edmondo (De Due delle tate protagoniste Amicis), escludendo di “Sos tata” in onda su il perfido Franti, la La7 e su Fox Life bimba si sarebbe recata da sola di là in cucina, altro che papi qui e papi lì, uffa!. Oggi invece, constatata la comune disfatta educativa, non resta che attendere l’arrivo delle tate della televisione, non resta che lanciare l’Sos mediatico perfino
per uscire dall’incubo. Su La7 e su FoxLife (ogni mercoledì alle 21,00). Ma eccole, le tate. Costose a vista d’occhio (almeno se si dovesse pagarle un tanto all’ora), professionali, eloquio perfetto, niente inflessioni regionali, sicure del proprio occhio, brave a individuare dov’è l’errore, dove papi e mami hanno commesso il primo sbaglio, la madre di tutte le stronzate che ha poi dato vita a una catena di capricci e perfino ritorsioni da perfidi sicari nel nucleo acciaccato, malato. Intanto che assisti alle schermaglie, al calcio in faccia al fratello minore, al pianto del lattante, alla strafottenza del padre che invece di intervenire se ne resta sul divano a leggere “Quattroruote”, alla mamma che si accarezza la fronte in segno di resa davanti all’omogeneizzato sbattuto contro il soffitto o lo stesso zigomo, ti viene il dubbio che avessero ragioni gli autori del pamphlet intitolato “La famiglia e ariosa e stimolante. Come una camera a gas”. Nel tuo caso, nel caso del genitore-san Sebastiano, c’è però tata Lucia, la più anziana, che prova a dirti dov’è che hai peccato di leggerezza, dov’è che avresti dovuto sollevare la mazza, se non direttamente il cric per difendere la tua dignità. Alla fine, ripassando grani dopo grani il rosario disastroso delle tate improvvisate che di volta in volta, non meno di te, hanno contribuito a rendere la conduzione familiare insostenibile, ti sorge il dubbio che il programma che stai guardando meriti il premio Nobel per la pace, sì, la pace familiare perduta per sempre. Colpa dei tentennamenti della prima ora. Mentre mami ha questi pensieri, papi, pensando invece a tata Francesca, bionda, giovane e piumata, pensa invece però, mica ci starebbe male in casa nostra, questa, chiama, chiama, chiama subito. www.teledurruti.it
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SECONDO TEMPO a cura di Stefano
Disegni - rubrica.sandokan@gmail.com
SATIREu & SATIRIASI
SGOOD NEWS di Riccardo
Cochetti
Entusiasmo alle stelle in settimana per il massiccio rientro di capitali dall’estero: con un’avveduta strategia comunicativa e tributaria i responsabili dell’economia nazionale sono infatti finalmente riusciti a convincere fior fiore di delinquenti che il nostro Paese non ha ormai più nulla da invidiare agli esotici paradisi fiscali.
P.s. Disegni fa il Capodanno lungo e si sollazza in giro ma torna la settimana prossima. Buon 2010 a tutti!
Storia dell’arte di Roberto Corradi Eduardo Zamacois y Zabala ( o forse anche no) - Il ritorno del Re. Il pittore fissa qui il momento in cui il monarca torna a far visita ai suoi feroci oppositori dopo la violenta aggressione prenatalizia (si notino i decori dell’abbigliamento) e si mostra il 6 gennaio nel suo splendore: EpiNanìa.
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SECONDO TEMPO
fatti di vita
PIAZZA GRANDE
É
Vedi alla voce dissenso di Luigi de Magistris
gni regime fonda la sua esistenza sulla distruzione degli oppositori, l’intimidazione dell’avversario, la criminalizzazione di ogni forma di dissenso. Il peronismo berlusconiano basa molto del suo consenso sulla propaganda di regime e sulla persecuzione delle opposizioni. Questo consenso che accompagna Berlusconi è in buona parte drogato, falsato, artato. Il controllo, diretto o indiretto, di parte significativa dei mezzi di comunicazione da parte del dittatore-padrone, gli consente di costruire campagne mediatiche per accrescere il consenso attorno a lui e alla sua servente e servile maggioranza. Fa politica con le carte truccate il grande mestatore di coscienze. Il piduista non accetta la sfida di agire politicamente in condizioni di parità con l’avversario. Non accetta l’assenza di conflitti d’interesse, in quanto il consenso falsato di cui gode si ridurrebbe immediatamente. Essendosi comprato, nel corso degli anni, i mezzi di informazione, l’assenza di eticità e trasparenza che connota il suo agire non lo condurrà mai ad accettare sfide in condizioni di parità perché, come tutti i dittatori, ciò che teme è proprio il confronto alla pari. Altro aspetto tipico dei regimi neo-autoritari, fortemente impregnati di poteri occulti, è quello di agire nel rispetto apparente della legalità. È quello di crearsi norme a proprio piacimento e somiglianza in modo da ingannare il popolo facendo intendere che i governanti agiscono nel rispetto della legge. In realtà, vi è una produzione di norme illegittime tese a garantire al dittatore un agire apparentemente legale. Leggi illegittime, provvedimenti amministrativi contra legem, prassi illegali. Il governo abusa del diritto per rendere la norma autoritaria. La Costituzione è violata attraverso la legislazione ordinaria: il Lodo Alfano, lo scudo fiscale, la legge che limita i poteri del pubblico ministero, quella sulla prescrizione breve, la legge sulle intercettazioni. Il custode della Costituzione non dovrebbe più far finta di nulla. Il regime dei poteri forti, oggi personificato da Silvio Berlusconi, domani non sappiamo da chi, desidera una magistratura prona al potere politico. Una magistratura che obbedisca ai desiderata della politica, servente dei poteri forti. Parte della magistratura si sta già adeguando da tempo, come accaduto durante il fascismo. Il tutto con il rispetto, apparente, delle norme. Il regime della carta da bollo, come i legulei ai tempi del podestà. Un regime legale, ancor più pericoloso di quello dell’olio di ricino. Difatti, alla violenza fisica delle dittature si può opporre la resistenza fisica; a questo regime, che ha il volto della violenza morale e della violenza della legge, si deve opporre una sana e robusta, oltre che pacifica, resistenza costituzionale. È evidente che ogni forma di dissenso viene criminalizzata. Si prende a pretesto una banale azione di un folle o di un criminale – non tenuto a bada dalle guardie presidenziali - per aggredire l’opposizione politica e
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Il gradimento che accompagna Silvio Berlusconi è spesso gonfiato, artato, giocato sull’intimidazione dell’avversario e sulla propaganda: profondamente peronista, in una sola parola sociale, per tentare di controllare la rete, per criminalizzare le piazze. Si mettono in campi gli ‘arnesi’ del regime. La dittatura berlusconiana – ben puntellata da quella parte dell’opposizione consociativa - inculca il pericolo della sovversione e dell’estremismo. In realtà, l’eversione dell’ordine democratico è al Governo, da tempo. Un regime che sta smantellando la democrazia e lo Stato di diritto, disintegrando anche lo Stato sociale di diritto, ossia il nerbo del nostro Paese. La criminalizzazione delle opposizioni è decisiva per il regime in quanto i contrappesi costituzionali e istituzionali sono, ormai, sempre più labili. La Presidenza della Repubblica è timida nella difesa della Costituzione, agisce in maniera insoddisfacente, con un’azione fortemente sistemica. La magistratura è intimidita, resa sempre più burocratica e inconcludente nel suo agire. Il conformismo giudiziario prende sempre più corpo. Meno male che vi sono ancora magistrati dalla schiena dritta che onorano l’ordine giudiziario. Taluni oppositori parlamentari sono attratti più dal dialogo con il dittatore che da alleanze forti con chi si oppone al regime.
Quello che terrorizza il regime è il dissenso nel Paese. Dissenso che si fonda sull’informazione di giornalisti e narratori liberi. Il regime ha paura del pensiero libero e critico. Il regime teme l’organizzazione del dissenso, del suo manifestarsi, ma soprattutto teme che si possa concretizzare in agire collettivo. Ecco perché il regime passa dalla scomunica della piazza, quale antipolitica, all’allarme sovversione. Si vuole intimidire e impaurire chi partecipa. La partecipazione terrorizza la dittatura. Si vogliono creare le condizioni per criminalizzare il conflitto sociale. Si prendono gioco del dramma del lavoro. Al dittatore e ai suoi servi non interessa nulla del popolo che soffre, anzi sfruttano dolori e drammi per rendere il Paese ancora più autoritario, guidato dalla borghesia mafiosa. Il regime teme l’unione tra opposizione parlamentare ed opposizione sociale e di piazza. Il regime teme il crollo attraverso mobilitazioni di lavoratori, di senza lavoro, di precari, di studenti, di impiegati, di operai. Il regime teme il popolo informato, ha paura del pensiero libe-
IL FATTO di ENZO
l
Ieri è stato il decimo anniversario di Tangentopoli: cioè di una serie di grandi furti, peccati di omissione, corruzione, collusione che non ha eguali nella storia della patria. In futuro, come se ne parlerà nei libri di storia? Da Il Fatto del 18 febbraio 2002
ro. Allora tenta di drogarlo o narcotizzarlo con la propaganda di regime o di criminalizzarlo. È compito del popolo, custode della democrazia e della Costituzione, mettere in azione la ribellione democratica, indignata, non violenta, per far crollare questo regime populista e far ritornare nel nostro Paese la democrazia alimentata dal fresco profumo di libertà. Michelle Hunziker (FOTO ANSA)
di Silvia Truzzi
LE VELINE SE CONDO MICHELLE A
matissima da signore e signorine (nonostante possieda il lato B più invidiabile del globo terracqueo) Michelle Hunziker ha cercato di ricambiare con “Doppia difesa”, la fondazione in favore delle donne vittime di violenza. Però inciampa due volte, nella consueta intervista al Corriere della Sera che rilancia la sua conduzione di Striscia la notizia in coppia con Ezio Greggio. Primo capitombolo sul cinepanettone 2009, in cui la Hunziker è protagonista di uno pseudo triangolo amoroso con Gianmarco Tognazzi e Alessandro Gassman (scena clou: lei a testa in giù dentro una macchina esibisce, appunto, il famoso lato B agli astanti, compreso il fidanzato che non la riconosce). A proposito delle parolacce, l’attrice spiega: “Neri Parenti ne ha contate 17, effettivamente troppe. Non voglio passare per svizzera, ma nel film, come nella vita, non ne dico”. Però “culo” è una parolaccia: vale anche se non la si dice ma lo si mostra. E continua: “Però non facciamo i bigotti, abbiamo l’esempio di politici che dicono parolacce. E poi siete fatti così: gli uomini italiani per far ridere spesso ricorrono alle volgarità”. La pellicola è di interesse culturale secondo il ministero: Bondi dà ragione a Michelle. E tuttavia il bollino d’essai non copre la vergogna. Vacanze a Beverly Hills, il peggior film di Natale di tutti i tempi, è volgare non tanto per le parolacce (“I cazzi saltano una generazione”, dice De Sica a Massimo Ghini per spiegare la differenza di dimensioni tra gli attributi sessuali suoi e del figlio). Il meglio è quando Ghini, sdraiato sulle rotaie, viene investito dai liquami della latrina di un treno, oppure si lava la faccia con uno zampillo di pipì scambiato per una fontana. La Hunziker inciampa anche sulle ragazze in tv. Spiega: “Ricci fa vedere uno spaccato dell’Italia. Noi facciamo satira: quello delle veline è un ruolo ben preciso, rappresentano il maschilismo italiano, la donna oggetto. E poi hanno regole rigide da rispettare e sono super-protette: se non si comportano in un certo modo se ne vanno. Ho una fondazione che tutela le donne oggetto di violenza, se avessi il minimo dubbio che le ragazze vengono sfruttate, non farei Striscia”. Più sarcasmo che satira: non prendiamoci per il c... Ma forse non si può dire. Senza urlare allo scandalo della mercificazione del corpo femminile, almeno chiamiamo le cose con il loro nome. Le veline non prendono in giro il maschilismo, ne sono un veicolo. Tanto è vero che non parlano e non ballano. Restano in mutande e ancheggiano. Dov’è la satira? Forse nel bacino. Il loro stacchetto serve all’audience e quindi agli inserzionisti pubblicitari. Non è sfruttamento: però, per dirla con il ministro, è l’interesse culturale di milioni di adolescenti italiane . s .truzzi@ilfattoquotidiano.it
Class action, istruzioni per l’uso di Gigi Furini
nche l’Italia, dal 1° gennaio, ha la sua class action. È entrata in vigore la normativa che consente di avviare azioni collettive, promosse da uno o più consumatori, che abbiano subito pratiche commerciali scorrette. La legge è complessa, ha avuto un iter parlamentare tortuoso, è stata più volte modificata perché le lobby si sono fatte sentire ma alla fine, pur in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, anche l’Italia si è presentata ai blocchi di partenza. E ieri le prime “class action” sono partite nei confronti di Unicredit e Banca InteMolte lacune sa e contro la Voden Medical spa che ha nella nuova legge ideato e venduto un test “fai da te” per l’inPer esempio fluenza, ritenuto “un vero imbroglio” da chi chi imbroglia ha presentato ricorso. i consumatori potrà A presentare questi ricorsi, in buona sostanessere condannato za, è stato il Codacons, una delle più attività asa pagare solo sociazioni di tutela dei consumatori anche se il frutto la legge italiana, e qui c’è la prima anomalia, dell’imbroglio: dice che le azioni colti ho rubato 10, lettive non possono essere presentate dalle ti restituisco 10 associazioni, ma devo-
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no essere messe in moto dai singoli. Poco male, si dirà, perchè basta un singolo (magari un iscritto alla stessa associazione) che poi si appoggia all’associazione stessa. D’accordo, ma negli altri Paesi (negli Usa prima di tutto) non è così: sono le associazioni che si muovono in prima istanza. Non è cosa da poco perché la legge impone che i diritti da tutelare siano “identici” mentre le associazioni dei consumatori avrebbero preferito che si parlasse di “interessi omogenei”. E qui la differenza è enorme. Facciamo un esempio: le banche hanno eliminato le commissioni di massimo scoperto (che venivano applicate quando il conto andava in rosso) ma le hanno sostituite con altre commissioni. Ogni banca, però, ha scelto un nome diverso, dal “tasso di sconfinamento” al “costo di istruttoria urgente”. Dunque, sarà difficile portare le banche “sul banco degli imputati” perché i diritti dei singoli correntisti, di fronte a una giungla di diciture, potrebbero non essere “identici”. Il Codacons, comunque, va avanti e per la vicenda delle commissioni bancarie chiede 6,25 miliardi di euro a Unicredit e Banca Intesa. Le critiche alla nuova legge non finiscono qui. Manca la norma sul “danno punitivo”. Ovvero: chi imbroglia i consumatori può continuare a imbrogliarli perché sa che potrà essere condannato a pagare solo il frutto dell’imbroglio. Insomma, ti ho rubato 10 euro e (male che vada) ti restituisco 10 euro. Negli Usa (per effetto del danno punitivo), invece, si può essere condannati a risarcire una somma molto più forte e questo ha un effetto deterrente per chi, sulle prime, vuol mettere in piedi l’inganno. C’è poi un problema di costi. Chi promuove un’azione collettiva è obbligato a pagarsi la pubblicità (infatti deve far sapere a tutti di aver promosso l’azione, al fine di rac-
cogliere più adesioni possibili). E poi deve sostenere le spese di giudizio, ma qualora dovesse perdere la causa (soccombere è il termine usato dai legislatori) dovrebbe poi pagare la pubblicità per dire a tutti di aver perso e, da ultimo, risarcire l’impresa che ha chiamato in giudizio. Un altro problema riguarda i tempi. Di class action, in Italia, si è cominciato a parlare nel 2004, subito dopo gli scandali finanziari di Parmalat e Cirio che avevano lasciato sul lastrico (o certamente impoverito) centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori. Il “popolo di truffati”, da parte di Tanzi e Cragnotti, avrebbe dovuto recarsi, ciascuno investitore in prima persona, in tribunale per chiedere giustizia. C’è chi l’ha fatto e chi no (le spese da sostenere sono alte e non si ha certezza sulla cifra che verrà ricavata). Per questo, si era detto, “anche l’Italia deve avere una legge che contenta le cause collettive”. Però, fra disegni di leggi e votazioni in Parlamento, sono passati 6 anni e adesso i truffati di Parmalat e Cirio sono disarmati perché la legge consente i ricorsi “per gli illeciti commessi dal 16 agosto 2009 in poi”. Molti investitori, va detto, hanno utilizzato contro Parmalat la class action americana (perchè l’azienda di Tanzi aveva una sede anche negli Usa). Pur in assenza di questa legge, un tribunale ha già sentenziato in materia di risarcimenti collettivi. È successo a Milano nel 2008: i giudici hanno condannato la Consob (la Commissione che vigila sulla Borsa), insieme con Banca Leonardo, Deloitte & Touche e Virgilio Degiovanni a risarcire gli azionisti Freedomland che, a causa di falsità contenute nel prospetto informativo, nell’estate 2000 avevano comprato in collocamento le azioni Freedomland al prezzo iperbolico di 105 euro per azione.
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MAIL Quella via a Craxi per ricandidarsi sindaco
Furio Colombo
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La Moratti, nella sua decisione di dedicare una via o un giardino a Craxi, sta cercando di garantirsi la rielezione a sindaco di Milano. A lei, come a tutto il “politicame” che oggi ci governa, non frega assolutamente nulla di Craxi e vuole solo dimostrare nei fatti di essere supina al potere, nei ranghi. La Moratti non vuole perdere la gestione dell’Expo e il fiume di soldi che arriveranno, e, con questa mossa, cerca di garantirsi la ricandidatura. In realtà aveva già iniziato a farlo, assegnando gli Ambrogini d’oro a Marina Berlusconi e a Belpietro. Oggi il Comune di Milano, la Provincia e la Regione vedono rappresentanti del Pdl alla guida. La Lega non ci sta e vuole almeno Milano. Non ho visto esponenti leghisti applaudire alla decisione della Moratti, né tantomeno Berlusconi che probabilmente ha venduto Milano a Bossi. Personalmente, nel filmato che gira su YouTube, vedo chiaramente l’imbarazzo della Moratti nel dover sostenere la figura di Bettino: balbetta spesso ed è visibilmente nervosa, nonostante abbia imparato il testo a memoria. Dovremmo cominciare a considerare questi politici per quello
BOX A DOMANDA RISPONDO DARWIN E DI PIETRO
aro Colombo, niente meno che il vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche, un certo R. De Mattei, comunica che Dio ha fatto tutto da solo, che ha generato la vita così com’è e che Adamo e Eva sono personaggi “storici” come Mazzini e Garibaldi. Un’altra fonte altrettanto autorevole, un certo Gasparri che, come Paolini, riesce a infiltrarsi in ogni telegiornale, ci assicura che Di Pietro, da solo, è capace di fabbricare tutto l’odio che si abbatte, da quindici anni, contro Berlusconi. Berlusconi di suo, sarebbe un angelo. Commenti? Lanfranco, Elisabetta
C
POSSO dire che R. De Mattei, di cui
non si conosce la fama o un curriculum scientifico, una volta penetrato, forse a causa di omonimia o di svista degli uscieri, nel Consiglio nazionale delle ricerche è riuscito a diventare, anche in convegni organizzati dallo stesso Cnr, l’unico membro di congresso scientifico impegnato a negare la scienza. Non è un delitto. Nessuno è obbligato ad avere cultura generale anche solo al livello di laurea triennale. Di convinti negatori dell’evoluzionismo, persuasi dalle enciclopedie a rate che il mondo è stato
LA VIGNETTA
creato non più di quattro - cinquemila anni fa ce ne sono da riempire le piazze. Ma non le accademie e gli istituti di alta ricerca dove di solito non entrano. Mai uno di loro era arrivato al vertice di un organismo scientifico di portata nazionale. R. Mattei farà notizia come la farebbe un no global trovato nel consiglio di amministrazione di Callisto Tanzi. Quanto a Gasparri resterà memorabile la frase pronunciata al Tg3, del 24 dicembre, ore 14.30, in attesa del Santo Natale. Trascrivo: “Di Pietro è responsabile di tutto l’odio che così spesso induce i matti a colpire”. È una sequenza di rivelazioni. Vediamo: 1- Non solo il povero Tartaglia, ma “tutti i matti” sono intenti a colpire Berlusconi. E le questure tacciono. 2- La scienza deve avere scoperto che i matti sono attivati dalla politica. L’odioso elettroshock di un tempo non è più necessario, basta togliere di mezzo Di Pietro. 3- Non insistete con il lancio delle vostre statuette del Duomo. Noi (la destra) siamo pronti ad attivare i nostri pazzi. Gasparri dimostra che è vero. Stiamo entrando in un nuovo clima politico, come dicono in molti, a destra e a sinistra.
Gianluca Mondì
In Spagna la politica è avanti anni luce
che sono: persone senza alcuna ideologia che si scannano per avere un posto al potere. Non fanno una bella vita. Oltre alla Moratti, guardate la Santanchè, Lupi e Capezzone, Cicchitto e Bonaiuti. Devono giustificare e plaudire alle più grosse cantonate prese da Berlusconi, cercando di essere credibili. Fanno a gara per compiacere il Sultano. Ma sono perfettamente consapevoli che non contano nulla, che occupano posizioni che non sono le loro e che basta uno schiocco di dita di Berlusconi per farle tornare nell'anonimato. Certo, il comportamento della Moratti mi sorprende, sebbene di “umili origini”, è parte di una grande fa-
miglia milanese e se anche lei non può fare altro che avere queste posizioni per garantirsi un futuro politico. Michele
Contro la mafia anche il rigore morale On. Maroni, grazie per il suo bellicoso e più che pregevole intento di debellare definitivamente il cancro della mafia. Mi auguro che questo voglia dire non solo arresti e sequestri, ma anche maggior rigore morale da parte dei politici e sviluppo della cultura della legalità, così come ci hanno indicato nelle loro esperienze il prefetto Dalla Chiesa, Pio La Torre, Pier-
Visito spesso la Spagna e vorrei raccontarvi un breve passaggio di un telegiornale nazionale spagnolo. In un primo servizio si vedevano stralci di una conferenza stampa del primo ministro, Zapatero, in cui, facendo il punto sul 2009, ammetteva che il suo governo ha preso alcune decisioni che si sono rivelate non adeguate. Nel servizio successivo, si riprendevano alcuni stralci di una conferenza stampa del leader del principale partito di opposizione, Rajoy, che diceva cose del tipo: “Questo è stato un anno perso a causa dell’incapacità assoluta di questo governo e del suo leader”. Seguivano poi vari minuti in cui Rajoy si sottoponeva alle domande non filtrate dei giornalisti, i quali non avevano altro scopo che metterlo in difficoltà. Comparati con i nostri politici e i nostri telegiornali, quelli spagnoli sembrano anni luce avanti. Provate solo a immaginare un Berlusconi che ammette di aver commesso errori. Oppure un Bersani che prima critica in modo inequivocabile il governo e poi
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Giovanna Gabrielli
si sottopone alle domande piú imbarazzanti dei giornalisti. Impensabile! Le parole di Rajoy, in Italia, sarebbero subito censurate come “fomentatrici di odio e minacce alla sicurezza del premier”. Durante l’intervista, io stesso, da buon italiano abituato ad ossequiare il potente di turno, mi sentivo in imbarazzo per le domande indiscrete a cui lo sottoponevano.
vibile anche per chi negli studi si è applicato.
Giulio Giovannini
Marco Pruneddu
Maria Ciringione
Disoccupato e stufo: parto per Berlino
Diritto di Replica Il mio lavoro di magistrato
Comprendiamo la precisazione della dott.ssa Ciringione per il titolo che ha sintetizzato – come ogni titolo – il contenuto dell’articolo. L'errore di cui ci rammarichiamo è averlo virgolettato, attribuendole quella frase.
Fra un mese parto, mi trasferisco a Berlino. Parto perché ormai è quasi un anno che non lavoro e sinceramente mi sono stufato. Mi sono stufato di vedere orrende persone totalmente analfabete guadagnare centinaia di migliaia di euro, mi sono stufato di sentir pontificare dagli scranni del parlamento e del senato infimi personaggi, mi sono stufato di avere a che fare con chi distrugge la mia isola, la Sardegna. Mi sono stufato di ascoltare persone prive totalmente di un bagaglio culturale affermare universali baggianate; e di assistere al logorio costante delle cose più belle del mio Paese, della totale mancanza di meritocrazia, di vedere quanto gli italiani si siano arresi al potere. E poi sono stanco. Sono stanco di vivere in un Paese dove tutti credono di sapere e potere fare tutto. Sono stanco di tutte quelle persone che sono nate prima di me e non hanno fatto niente per far sì che l’Italia fosse un Paese vi-
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Da Vico dei Tornieri, a due passi dal Mercato Vecchio di Napoli, dove era nato il 3 gennaio ‘20, se n’era andato presto. Un diploma in pianoforte, qualche comparsata all’Opera dei Pupi e poi, ancora minorenne, via per Massaua, a suonare, con la sua band sgangherata, nei piccoli night della città a 5 lire al giorno. La carriera di Renato Carosone era nata lì, in Africa Orientale dove, anche come soldato di leva sul fronte somalo-britannico, aveva preferito suonare per il morale delle truppe più che darsi da fare come invasore. Aveva imparato a mischiare il timbro napoletano con lo swing e quando, sbollite le velleità colonialiste, era rientrato a casa, si era ritrovato nell’Italia di Sanremo e dei fazzoletti inzuppati di lacrime. Niente a che vedere con la sua verve vulcanica e con la sua anima pop, perfetta per raccontare l’altra Napoli, quella, spiritosa, delle maruzzelle, dei sarracini o dei toreri fatti sbarcare a via Caracciolo a ritmo di jazz. Piccoli capolavori recitativi fatti apposta, tra gag, tormentoni canori e pastiche linguistici, per mettere alla berlina la lagnosità partenopea del tempo. Con qualche sconfinamento nei ritmi d’Oltreoceano, arrangiati in esilaranti mix english-napoletani.
trincea delle procure del sud” (oltre ad alcune altre imprecisioni, rispetto alle mie dichiarazioni, nel testo). Rispetto il lavoro degli altri, ma non posso lasciare che mi si attribuiscano considerazioni che non mi appartengono. Non avrei mai potuto pronunciare quella frase, sia perché al momento sto semplicemente svolgendo il tirocinio, sia per il rispetto che ho dei magistrati che lavorano davvero in trincea (e della memoria di quelli che per questo hanno perso la vita). Per di più ciò che rende il titolo - oltre che non veritiero, incoerente rispetto al contenuto delle mie dichiarazioni - non ho ancora fatto alcuna scelta sul tipo di ufficio né sulla sede cui sarò destinata al termine di tale periodo. Preciso di avere avuto con il dott. Cottone una breve conversazione, a titolo di cortesia, non concernente informazioni riservate o atti relativi all’ufficio presso cui svolgo il tirocinio. Mi sono limitata, rispondendo alle domande, a indicare le funzioni cui il magistrato di prima nomina può accedere e i limiti entro i quali è consentito il passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa ”.
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santi Mattarella, Falcone, Borsellino, don Puglisi e don Diana. Mi auguro che le sue parole non sottintendano che la lotta alla mafia è solo una guerra di cifre, e che il concorso esterno in associazione mafiosa non è un reato altrettanto ignobile quanto lo è il 416-bis.
IL FATTO di ieri3 gennaio 1920
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Rilevo con rammarico che nell’edizione odierna (del 29 dicembre 2009, ndr) de “il Fatto Quotidiano” sia pubblicato un articolo - a firma Andrea Cottone - il cui titolo riporta tra virgolette, associate al mio nome, parole da me mai pronunciate: “Io, giovane PM nella
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