Il Fatto Quotidiano (6 Gennaio 2010)

Page 1

Trent’anni fa veniva assassinato a Palermo Piersanti Mattarella, politico e galantuomo. Non si sa ancora da chiy(7HC0D7*KSTKKQ(

+z!"!=!"!.

www.ilfattoquotidiano.it

€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Mercoledì 6 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 4 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

Rubavo, ma solo un po’ di Marco Travaglio

vochi Gambadilegno e viene fuori tutta la banda. Ieri sul Pompiere della Sera si autoriabilitavano i meglio pregiudicati di Tangentopoli, da Forlani a Pomicino, da Di Donato a Greganti. Intanto il Riformatorio riesumava Carlo Tognoli, già sindaco della Milano da bere. A suo avviso, Tangentopoli fu una “campagna d’odio” dei “media dei poteri forti”. E le tangenti, che triplicarono i costi della metropolitana milanese? “Tutte balle”. Sarà dura: infatti la linea 3 della Mm costò 192 miliardi a km contro i 45 di quella di Amburgo. Il quadruplo. Tognoli nega persino che il governo Craxi abbia raddoppiato il debito pubblico (“non è vero, iniziò ad aumentare solo dopo il 1992”): in realtà, dal 1984 all’87, balzò da 400 mila a 1 milione di miliardi e il rapporto debito-Pil passò dal 70 al 92%. Fra le “balle” della “campagna d’odio”, Tognoli infila pure le tangenti: “Rappresentavano il 2, massimo 3% sul totale”. Ecco: per lo statista ambrosiano rubare il 3% su appalti da centinaia di miliardi è come non rubare. È la modica quantità di mazzette per uso personale. Viene in mente quella ragazza “incinta, ma solo un po’”. Teoria interessante: autorizza chiunque a introdursi in casa Tognoli e a portar via solo il televisore, lo stereo e qualche quadro, ma senza superare il 3% degli arredi. Il noto galantuomo rivela pure di essere stato assolto: dimentica la condanna definitiva a 3 anni e 3 mesi per ricettazione al processo Aem. “Io – dice – non sono un ladro e sfido chiunque a dimostrare il contrario”: infatti era un ricettatore. Prendeva il pizzo sulle tangenti che gli amministratori delle municipalizzate incassavano dagli imprenditori. Augusto Scacchi, dg dell’Aem, racconta di “avere erogato al Tognoli fra l’86 e l’89 somme compendio di accordi corruttivi pari a 350 milioni, sempre in contanti, nello studio privato di via Olmetto 8/A. Denaro proveniente dalle elargizioni fatte a favore dell’Aem” dai costruttori che vincevano gli appalti”. Idem col Pio Albergo Trivulzio, come racconta il tognoliano Mario Chiesa: “Ho portato soldi a Tognoli e lui non mi ha mai detto: ‘Cosa sono? Non li prendo’”. Scrivono i giudici: “Chiesa asserisce di aver corrisposto al Tognoli dall’84 all’87 nello studio di via Olmetto 500 milioni in contanti”. Tognoli non pagava nemmeno i francobolli per scrivere agli elettori: provvedeva il suo ex autista Matteo Carriera. Già barelliere, promosso commissario dell’Ipab, Carriera racconta di avergli “elargito francobolli per 24 milioni nelle campagne elettorali del 1980 e ’84. Informato della mancanza di denari per affrancare le lettere di presentazione della candidatura, Carriera ricevette mandato ad acquistarli coi mezzi economici a disposizione”: i soldi dell’Ipab, cioè dei contribuenti. Pure Sergio Radaelli, consigliere socialista Atm, confessa di aver girato a Tognoli e Pillitteri una tangente da 500 milioni del costruttore Romagnoli per l’appalto del nuovo Palasport, nonché quelle sui parcheggi di Italia ‘90 e sulla nuova sede Atm: “Non v’era necessità che io spiegassi a Tognoli la provenienza del denaro, anzi non ci dicevamo proprio nulla: tutti sapevamo come stavano le cose e ognuno recitava il suo copione”. I giudici concludono che Tognoli svolgeva “il ruolo di esattore di parte delle tangenti elargite dalle imprese… prassi delinquenziale protrattasi per oltre un decennio e fonte di irreparabili pregiudizi alla cosa pubblica, alla politica, all’economia di mercato” e alla “cittadinanza, su cui si sono funestamente riversati i costi sociali dell’abituale pratica tangentizia”. Condanna confermata in appello (tranne il capitolo Aem) e in Cassazione. Oggi lo statista è presidente dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica. E Lottizia Moratti, in attesa di dedicargli una via o un monumento equestre, sta per promuoverlo a presidente della Metropolitana. Così Carletto potrà tornare sul luogo del delitto. Si attende con ansia il ritorno di Chiesa al Pio Albergo Trivulzio.

E

Dossier Sismi e spionaggio Telecom Berlusconi avalla le schedature illegali di Peter Gomez

oprire con il segreto di Stato i rapporti tra il Sismi e la Telecom e quelli tra il servizio e l’ufficio di via Nazionale a Roma, dove venivano schedati i magistrati e i presunti avversari del premier, è una scelta che spiega bene perché i cittadini debbano temere le riforme costituzionali minacciate dalla nostra mediocre classe politica. Le due decisioni di Silvio Berlusconi ci dicono che molto poco di quanto avveniva in Telecom e nel Centro analisi romano, è accaduto senza l’avallo di Palazzo Chigi. Anche perché è provato, come leggerete sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, che alcune delle notizie raccolte dal Sismi venivano poi passate dagli 007 al governo o a singoli parlamentari di maggioranza e opposizione. Berlusconi ha spesso sostenuto che viviamo in “uno Stato di polizia”. Lo ha fatto nel ‘95 per protestare contro le indagini sul suo gruppo; lo ha ripetuto nel ‘99 e nel 2000 per contestare un piano contro la criminalità ideato dal centrosinistra e una relazione della commissione stragi in cui si ipotizzava il coinvolgimento di alcuni leader della destra nell’eversione nera dei primi anni Settanta. Lo ha ribadito, infine, tra il 2006 e il 2008 quando ha accusato più volte Romano Prodi e il ministro Vincenzo Visco di aver instaurato uno “Stato di polizia tributaria”. Adesso sappiamo che aveva ragione. Davvero nel nostro paese, come accadeva nella Germania dell’est, le vite di migliaia di cittadini sono state controllate. Le loro amicizie, idee politiche, abitudini sessuali e personali sono state passate al setaccio. Anche se a farlo non è stato il ministero dell’Economia tramite il fisco, ma Palazzo Chigi (Berlusconi) grazie ai Servizi segreti. Eppure di fronte alla scelta di insabbiare col segreto gli scandali del Sismi, la reazione dell’opposizione è timida sino all’inverosimile. Tace Pier Luigi Bersani. Tace Pier Ferdinado Casini. Resta in silenzio Massimo D’Alema che molti vorrebbero alla testa del Copasir, il comitato parlamentare sull’intelligence. A parlare sono solo le seconde linee. Se tutto questo sia dovuto ai dossier raccolti sui vertici dei Ds e dell’Udc dagli uomini di Telecom. O se tanta prudenza nasca dalla volontà di non interrompere il dialogo per le riforme, non è chiaro. E’ certo, invece, che le mancate prese di posizione su una simile violazione dei diritti civili dei cittadini sono un’omissione grave e significativa. Per fare politica è necessario avere dei principi irrinunciabili. Primi tra tutti quelli liberali dello Stato di diritto. Solo rispettandoli e perseguendoli si può (eventualmente) trattare con gli avversari. Per questo, da oggi, chi ha davvero a cuore il futuro del nostro paese dorme meno tranquillo.

C

Lillo, Massari e Vasile pag. 2, 3 z

REGIONALI x Lazio, la candidatura radicale

Udi Antonio Tabucchi

Emma Bonino spiazza il Pd Che continua a “esplorare”

CRAXI IL GRANDE ILLUSIONISTA

Calapà pag. 7 z

anni fa moriva BettiDdenzaieci no Craxi nella sua resitunisina. Fuggiasco, con due mandati di cattura sul capo e due condanne definitive a dieci anni per corruzione e finanziamento illecito. pag. 5 z

Udi Gian Carlo Caselli QUASI QUASI RINGRAZIO BRUNETTA schiettezza Lblicaadelruvida ministro della Pubamministrazione

Emma Bonino

DESTRA x Testate di famiglia

Brunetta offre anche un profilo non negativo: la mancanza di scarto fra pensiero reale ed esternazioni. pag. 18 z

Tecce e Telese pag. 4 z

“Giornale” e moschetto Feltri perfetto

Da Fini alla Polverini, a Casini: il direttore preferito dal premier non fa prigionieri

su iPhone e iPod touch

npremi dal ministero

Palermo e Catania in rosso ma per Tremonti sono virtuose Barbacetto pag. 10z

Garzantina Universale l’enciclopedia più venduta in Italia prezzo speciale di lancio 9,99 € fino al 31 gennaio 2010

CATTIVERIE

Più che un partito il Pd si è trasformato in un gruppetto di scout, con lupetti e coccinelle. E con Bersani capo degli esploratori


pagina 2

Il vincolo utilizzabile al massimo per 30 anni e il ruolo della Consulta

I

SORVEGLIANTI SPECIALI

l segreto di Stato è un vincolo posto su atti, documenti, notizie, attività, cose e luoghi la cui divulgazione può danneggiare gravemente gli interessi fondamentali dello Stato. Si tratta di un atto politico che può essere disposto esclusivamente dal presidente del Consiglio. Impedisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione delle notizie sulle quali è apposto. La legge prevede dei limiti

all’esercizio di questa prerogativa del premier: il segreto non può mai riguardare informazioni relative a fatti eversivi dell’ordine costituzionale o concernenti fatti di terrorismo, delitti di strage, associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale di stampo politico-mafioso. Il premier deve inoltre comunicare i casi di conferma del segreto di Stato al Copasir che, se ritiene infondata l’opposizione, ne

riferisce alle Camere. La durata del vincolo è fissata in 15 anni, ulteriormente prorogabili dal presidente del Consiglio. La durata complessiva non può essere superiore a 30 anni. La legge dispone che se l’opposizione del segreto di Stato determina un contrasto con l’autorità giudiziaria, a decidere sia la Consulta, organo nei cui confronti il segreto di Stato non può, in nessun caso, essere opposto.

GRANDE FRATELLO SILVIO

Segreto di Stato su fascicoli Sismi e schedature telefoniche Il premier “utilizzatore finale” e lo scambio con i Servizi di Peter Gomez

desso non ci sono più dubbi. Il mandante, o meglio "l'utilizzatore finale", era Silvio Berlusconi. Dietro le schedature di massa dei magistrati e dei presunti avversari politici del premier da parte del Sismi; dietro lo spionaggio operato dalla security Telecom di almeno cinquemila cittadini, tra i quali compaiono i nomi di big della finanza come Cesare Geronzi o della politica come i vertici dei Ds, dell'Udc e della Lega (senza dimenticare qualche parlamentare di Forza Italia), c'era l'avallo del governo. Perché sia l'ufficio di via Nazionale a Roma, dove i servizi militari monitoravano l'attività di chi era considerato nemico del premier, sia la compagnia telefonica, rientrano in qualche modo negli "assetti operativi" del Sismi. È questa l'unica chiave di lettura possibile delle decisioni di Palazzo Chigi che, a fine dicembre, ha autorizzato prima l'ex di-

A

rettore del Sismi, Nicolo Pollari, ad avvalersi del segreto di Stato durante gli interrogatori sul centro di via Nazionale. E poi ha fatto lo stesso con Marco Mancini, l'ex responsabile del controspionaggio, imputato a Milano di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di notizie di cui è vietata la divulgazione, per lo scandalo dei dossier Telecom. Mancini, arrestato il 12 dicembre del 2006, per i suoi rapporti con l'ex capo della security del compagnia dei telefoni, Giuliano Tavaroli, e con l'investigatore privato fiorentino, Emanuele Cipriani, lo scorso 13 novembre durante l'udienza preliminare aveva sostenuto di poter spiegare ogni cosa: dalle informazioni passate a Cipriani e finite nei dossier della sicurezza capeggiata dal suo ex commilitone Tavaroli (con i nomi di battaglia di Tortellino e Tavola erano stati entrambe sottufficiali dei carabinieri), fino alle somme di denaro ("a titolo di rim-

I PM: PECULATO

“DOSSIER, PROCESSATE POLLARI E POMPA” di Marco Lillo

segreto militare italiano diretto da Nicolò PolIblicillariservizio dal 2001 al 2006, ha sperperato uomini e mezzi pubper spiare magistrati e giornalisti considerati nemici del premier. È questa la tesi del pm di Perugia Sergio Sottani che ha chiesto il rinvio a giudizio per Pollari e per il suo fidato funzionario Pio Pompa che dirigeva l’ufficio di via Nazionale a Roma, dove furono sequestrati i dossier incriminati. Le carte sono state finalmente depositate e si scopre che tra i personaggi schedati ci sono anche due colleghi de Il Fatto Quotidiano. Nel 2006 la Digos ha sequestrato in via Nazionale una nota che Pompa aveva dedicato nel 2003 alla presenza contemporanea a Roma su un palco di tre persone libere e incensurate, e probabilmente per questo pericolosissime per l’allora pluriindagato presidente del consiglio: Marco Travaglio, Peter Gomez e Armando Spataro, procuratore aggiunto di Milano. Pompa descriveva preoccupato nel suo report l’imminente presentazione del libro Lo chiamavano impunità che si sarebbe svolta il 23 luglio del 2003 in piazza Santa Maria in Trastevere alla presenza dei tre noti sovversivi. Ancora peggio è andata al settimanale La voce della Campania, oggetto di un dossier con tanto di grafico, sul modello di quelli che la Dia usa per descrivere i collegamenti tra un latitante e i suoi favoreggiatori. Nello schema tentacolare attorno alla Voce della Campania c’erano una dozzina di fiancheggiatori monitorati perché (nella mente di Pompa) rappresentavano una minaccia per lo Stato: dall’associazione “Società civile”, fondata dal pacioso Nando Dalla Chiesa al settimanale Il diario. Il pm Sottani ha chiesto di processare Pollari e Pompa per l’uso distorto dei soldi pubblici nonostante Berlusconi avesse opposto il segreto di stato rifiutandosi di comunicare alla Procura chi avesse dato ordine a Pompa di affittare un ufficio di 20 stanze per raccogliere dossier su magistrati e giornalisti. Il pm Sottani ritiene che per sostenere l’accusa bastino le carte raccolte in via Nazionale (e non coperte da segreto). Oltre al peculato, Sottani contesta anche la violazione della corrispondenza di un’associazione di magistrati e il possesso ingiustificato di documenti di spionaggio da parte di Pompa. Il pm ha presentato invece richiesta di archiviazione per accesso abusivo a sistemi informatici, per raccolta illecita di dati in violazione della privacy, calunnia e diffamazione. L’avvocato Stefano Aterno, che difende Mario Vaudano, uno dei magistrati spiati, presenterà però opposizione.

borso spese" sostiene il detective fiorentino) ricevute in cambio delle notizie. Solo che per farlo avrebbe dovuto parlare degli "assetti organizzativi del Sismi", dei suoi "rapporti con le fonti sotto copertura" e delle "direttive" ricevute in proposito dai superiori. Ma questo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale dell'11 marzo 2009 sul caso Abu Omar, dice Mancini, è vietato anche per gli imputati. E alla fine il presidente Berlusconi gli ha dato ragione. Accanto a questa ricostruzione tecnico-giuridica, ve ne è però un'altra. Molto più inquietante. Le informazioni raccolte da Cipriani e dagli uomini della Telecom, attorno ai quali gravitavano pure ex agenti della Cia, come John Paul Spinelli e dei sevizi segreti francesi come Fulvio Guatteri, spesso finivano in mano al Sismi e venivano utilizzate per finalità politico-finanziarie. A raccontarlo ai magistrati è stato un altro degli imputati dell'inchiesta Telecom, l'ex ufficiale del Ros dei carabinieri Angelo Jannnone, poi passato alla corte di Tavaroli. Jannone ricorda una singolare vicenda che ha come (involontario) protagonista il manager, Paolo Dal Pino. Quand’era responsabile di Tim Brasile, ma stava per passare alla guida della strategica Wind, Dal Pino viene contattato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che gli dice di aver avuto notizie sul suo conto dai servizi segreti. In buona sostanza, gli 007 avevano riferito a Letta che Dal Pino, ogni volta che rientrava in Italia, era solito portare con sé delle pietre preziose senza dichiararlo alla dogana. La notizia era falsa, ma circolava negli ambienti di Telecom. Ma chi era la fonte delle barbe finte? Dal Pino si convince che fosse proprio Janno-

ne. Così lo affronta a muso duro, dicendogli che anche Tavaroli gli ha confermato come la storia provenisse da lui. "Cominciai allora a comprendere lo strano gioco di Tavaroli", spiega Jannone, "Infatti l’unica persona con cui avevo riferito queste voci su Dal Pino era proprio Tavaroli e, come spiegai a Dal Pino, dedussi che era stato Tavaroli stesso a parlarne, forse con Mancini, per poi dire a Dal Pino che ero stato io". Fatto sta, comunque, che Palazzo Chigi, lasciando di stucco il manager, utilizza immediatamente la presunta notizia. Anche per questo il potere di Mancini e di Tavaroli aumenta a dismisura. Tanto che Letta con i vertici Telcom difenderà il capo della security a spada tratta, mentre Berlusconi, nel 2006, prometterà a Mancini la direzione del Sismi nel caso che il centrodestra avesse rivinto le elezioni. Gli 007 però avevano ottimi rapporti anche a sinistra. E quando finiscono sotto inchiesta usano pure queste relazioni (e conoscenze) per cercare una via d'uscita. Così i messaggi alla politica si moltiplicano: sia durante gli interrogatori che sui giornali. Tra le carte maneggiate da Tavaroli & Co ci sono infatti molti fascicoli scottanti - a partire dal dossier Oak sui presunti fondi esteri dei Ds - che il Parlamento, su iniziativa del governo Prodi tenta immediatamente di far distruggere per legge. Il 27 gennaio 2007, il potere (di ricatto?) degli spioni, irrompe poi su due quotidiani che pubblicano il primo interrogatorio di Mancini. Il quale, subito dopo l’arresto, e senza che nessuno gli avesse chiesto niente, aveva tirato in ballo il numero uno del Sismi, Nicolò Pollari, i Ds e l'Udc. "Dopo il 2003", ricorda Mancini, "Cipriani mi disse che

tal generale G. aveva documentazione riferita all’onorevole Lorenzo Cesa (segretario dell'Udc, ndr). Avuta questa notizia, andai da Pollari e chiesi se era interesse del servizio avere questi documenti. Alla risposta affermativa, mi feci dare da Cipriani questo foglio che consegnai a Pollari. In seguito Pollari mi disse che Cesa, dopo aver letto le informazioni su di lui, le definì fesserie. Altra notizia che ebbi da Cipriani fu quella di avere concretamente la possibilità di avere i nomi di società all’estero riconducibili a personaggi della sinistra, specificatamente ai Ds. Anche in questo caso andai da Pollari a riferire. Lui mi invitò ad andarlo a dire al senatore Nicola Latorre, il quale mi disse pure che erano fesserie". Sia Cesa, Latorre smentiscono di aver mai ricevuto i dossier. Pollari invece tace. Ma subito dopo la pubblicazione dell'interrogatorio, il 29 gennaio, durante l'udienza preliminare dell'inchiesta sul sequestro di Abu Omar, chiede

Le operazioni coperte e quelle “attenzioni” che tengono sotto scacco tutta la politica che vengano sentiti in sua difesa Prodi e Berlusconi. Poi domanda che il procedimento venga interrotto, sollevando un'eccezione di legittimità costituzionale, perché per difendersi do-

vrebbe citare documenti coperti dal segreto di Stato. Il giudice gli risponde picche. La legge in quel momento in vigore non lo consente La sera del 30 gennaio la commissione Affari costituzionali della Camera, presieduta dal ds, Luciano Violante, approva

Dal Sid a “Gladio” di Vincenzo Vasile

In letteratura, persoSBelli,sssssss… naggi del potere tratteggiati da Pirandello, Pavese e Soldati, per imporre il silenzio usano il motto: “Zitti, e mosca!”. Come dire, stiamo fermi e muti, in modo che si possa sentire volare persino una mosca. Nel 1968 sembrava che tutto dovesse cambiare. E annusando l’aria, un esperto come il generale Giovanni De Lorenzo, ex direttore del Sifar, violò a metà l’intimazione: “Io sto zitto finché non crepo. Bisogna stare zitti. Se no cosa facciamo, inguaiamo i governi, inguaiamo i ministri?”. Un altro generale dei Cc, Giovanni Celi coprì il ronzio degli insetti con un consiglio: “In tribunale atteniamoci al segreto militare. Per salvare il salvabile”. Diciannove anni dopo, il presidente della commissione stragi Libero

Gualtieri stimò che dietro rimbombava un vulcano di ricatti: “Esistono 15 milioni di fascicoli, centinaia di milioni di fogli. Fogli segreti”. In epoca di galoppante privatizzazione, oggi sono cambiate un po’ le cose: all’ombra della Telecom, era cresciuta, infatti, una nuova centrale di spionaggio. Parallela. Giuliano Tavaroli, l’ex capo della security di Pirelli e Telecom, aveva ai suoi ordini un esercito di 500 dipendenti ed era al centro di un network fuorilegge che secondo i magistrati di Milano formava “una vera e propria ragnatela parallela” in grado di usare “tutti i mezzi concretamente esistenti sul mercato” per raccogliere “qualsiasi tipo di informazione”, violando “i principi costituzionali”. Gli spiati erano Benetton, De Benedetti, Della Valle, Geronzi, Tanzi, ma i “file” illegali sono più di centomila e compren-

dono anche giornalisti e uomini politici, vicende pubbliche, private e privatissime. Tre anni dopo la magistratura avrebbe voluto guardarci dentro, ma Berlusconi ha opposto il segreto di Stato. Ripercorre un copione antico. Con un paradosso: si perdona e si secreta una montagna di intercettazioni illegali, mentre quelle disposte dalla magistratura rischiano di essere abolite dai progetti legislativi del governo. Eppure bisogna dire che la pastetta con le barbe finte è bipartisan: la stessa compagnia di giro di spie ha potuto avvalersi, nell’inchiesta-madre sul rapimento dell’imam Abu Omar, del segreto di Stato concesso ripetutamente sia da governi di centrosinistra sia di centrodestra. Ma questa è una storia che possiamo comprendere meglio se sfogliamo le puntate pre-


Mercoledì 6 gennaio 2010

Il Csm: a spiare 200 magistrati furono gli 007 (non deviati)

P

SORVEGLIANTI SPECIALI

iù di 200 magistrati, anche stranieri, oggetto di dossier e schedature a partire dal 2001, sul presupposto che erano portatori di “strategie destabilizzanti” contro il governo allora in carica. E a spiarli, con l’obiettivo di “intimidirli” e far “perdere loro credibilità”, era il Sismi “in quanto tale”, non semplicemente suoi “settori deviati”. Queste le conclusioni alle quali arrivò tre anni

fa il Csm sulla vicenda dell’archivio segreto di via Nazionale. Palazzo dei Marescialli si formò questa convinzione sulla base delle carte che vennero sequestrate in quell’archivio; ma anche dopo aver ascoltato i pm romani che in prima battuta si occuparono dell’inchiesta, poi trasferita a Perugia. Documenti e testimonianze da cui ricavò che a partire dall’inizio dell’estate del 2001, e cioè subito dopo le

elezioni che portarono al governo Berlusconi, “ebbe inizio nei confronti di alcuni magistrati italiani ed europei e delle associazioni di loro riferimento un’attività di intelligence da parte del Sismi”, che non solo mise in atto “un capillare monitoraggio” di ciò che facevano, dei loro movimenti e della loro corrispondenza informatica, ma arrivò in qualche caso persino a pedinarli.

Nicolò Pollari

Marco Mancini

Giuliano Tavaroli

Generale della Guardia di finanza è stato direttore del Sismi dal 2001 al 2006. Portato al vertice del Servizio segreto militare da Berlusconi, nel 2007 è stato invece Romano Prodi a nominarlo consigliere di Stato a Palazzo Chigi alle dirette dipendenze del presidente del Consiglio

Era il numero 3 del Sismi di Pollari. Nel 2007 è stato rinviato a giudizio assieme allo stesso Pollari, 26 agenti della Cia e altri del Sismi per concorso in sequestro di persona. Sul rapimento di Abu Omar il 4 novembre scorso la sentenza di primo grado: non luogo a procedere per Mancini come per Pollari

Ex capo della security di Telecom e Pirelli. Negli anni ‘80 è stato nei reparti Antiterrorismo di Carlo Alberto Dalla Chiesa: lì ha conosciuto Mancini. Lasciata l’Arma è arrivato al gruppo di Tronchetti Provera per curarne la sicurezza interna

I segreti di Berlusconi visti da Marilena Nardi. In basso: il generale De Lorenzo e la strage di Piazza Fontana (FOTO ANSA)

Quella rete tra Wind e Telecom SU SPIONI E AFFARI SCENDE LA NEBBIA di Antonio Massari

a Telecom a Wind la domanda, ormai, è la stessa: qual è il rapporto tra gli 007 nostrani, imprecisati “personaggi delle istituzioni”, e compagnie telefoniche? Sul caso Telecom è calato ufficialmente il silenzio. Sulle connessioni tra dossieraggio illegale – riguardava magistrati, politici e giornalisti – e uomini del controspionaggio militare, sull’interferenza tra il servizio d'intelligence d’una compagnia telefonica (privata) e il servizio d’intelligence di Stato (pubblico), su tutto questo, il governo Berlusconi, ha calato il velo d’un “parziale” segreto di Stato. Riguarda Marco Mancini, numero tre del controspionaggio militare, e gli atti del processo in cui è accusato di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di notizie riservate. Avrebbe passato notizie riservate, in cambio di denaro. Mancini non ha risposto alle domande dell’accusa – i pm di Milano Fabio Napoleone, Stefano Civardi e Nicola Piacente – e potrà continuare a farlo. Grazie al segreto di Stato “parziale” non sapremo mai la verità sul collegamento tra il Sismi e l’intelligence della Telecom diretta, all’epoca dei fatti, da Giuliano Tavaroli. E si fa strada il sospetto che, altrettanta nebbia, possa scendere sul ca-

D

all’unanimità (destra e sinistra) la riforma dei servizi segreti in cui spunta a sorpresa un articolo, mai discusso nelle settimane precedenti, che ricalca in toto l’eccezione di legittimità costituzionale proposta dalla difesa Pollari. Il trucco viene però smascherato dai alcuni giornalisti e

la maggioranza, di fronte alle polemiche, è costretta a fare marci indietro. A risolvere il problema ci penserà comunque la Consulta, investita della questione proprio dal governo di Prodi. Perché le informazioni degli 007, a destra come a sinistra, fanno paura.

so Wind. Il 30 dicembre, infatti, l’inchiesta giudiziaria sul capo della security Wind, Salvatore Cirafici, traslocava da Crotone alla Procura di Roma, detta anche la “procura delle nebbie”. Questioni di competenza: i reati sarebbero stati commessi nella Capitale. Quindi legittima richiesta della difesa, accolta dal Riesame, nel silenzio totale dell’informazione che dall’inizio ha snobbato l’inchiesta. Eppure, dalle carte dell’indagine emerge un grave sospetto: che esistano schede sim “criptate”. Che all’anagrafe Wind risulta-

Security e schede sim criptate Casson e Rosato (Pd): “Diciamo no all’immunità” no “disattive”, ma sono perfettamente funzionanti. Qual è il rischio? Difficile per le autorità giudiziarie risalire al reale intestatario delle schede. Secondo un indagato, queste schede, sa-

40 anni di insabbiamenti cedenti. Sigillandole con il “segreto politico militare” (denominazione originaria del “segreto di Stato”) proprio il generale De Lorenzo nel 1957 dispose che rimanessero “strettamente occulte” le strutture “di mobilitazione e ausiliarie di antisabotaggio” realizzate “oltre che nei confronti del nemico esterno anche nei confronti del nemico interno”. Fino al 1991 – quando Andreotti si deciderà a parlarne seppure a spizzichi e bocconi - questa materia e quella connessa di Gladio rimarrà secretata. La motivazione ricorrente è sempre stata quella di non scoprire il fianco dell’alleato americano. Ma che c’entra la fedeltà atlantica con l’elenco – parziale – che segue? 1964, arresti e deportazioni di politici di opposizione previsti dal “piano Solo” stilato dal generale De Lorenzo sono derubricati gra-

zie al segreto militare a una specie di innocua esercitazione. 1969, i rapporti dei servizi con terroristi neri protagonisti della strage di Piazza Fontana vengono occultati. 1971, il segreto sulle schedature di massa degli operai Fiat viene opposto da Andreotti. 1976, c’è il no di Aldo Moro agli accertamenti sui fondi Usa passati al Sid per finanziare politici italiani. 1979, Craxi e De Mita sbattono la porta agli inquirenti che vogliono saperne di più sulle triangolazione di armi con l’Olp e con le Br, carte poi solo in parte desecretate da Prodi nel 1998. 1980, Cossiga mette il coperchio sul caso Eni Petronim (petrolio e tangenti), ma quelle carte “segrete” saranno poi ritrovate nell’archivio di Gelli. 1980, Craxi chiude ogni spiraglio sulla scomparsa in Libano dei giornalisti Italo Toni e Graziella

De Palo. Due episodi possono illuminare meglio questa montagna di sabbia. Andreotti e poi Moro per tre volte impediscono, per esempio, che il giudice istruttore di Torino Luciano Violante faccia luce sul “golpe bianco” messo in atto nel 1974 da Edgardo Sogno, beatificato fino alla morte come vittima di accanimento e fieramente reo confesso in una beffarda intervista postuma. Ancora lui, Andreotti sul banco dei testimoni nel 1978 nega che esista il segretissimo “servizio parallelo” di cui ha parlato alla Corte d’assise di Roma un imputato eccellente come il generale Vito Miceli (ex capo del Sifar), che per i dettagli aveva opposto il segreto e rinviato alle “massime autorità dello Stato”. Un ricatto tra spie e governanti di cui sta saltando fuori qualche traccia tra le carte del processo in corso

sulla strage di Brescia. In quegli atti si parla di un Servizio parallelo, denominato “l’Anello”, al diretto servizio del presidente del Consiglio dell’epoca, forse creato proprio da lui. Ma di quel processo non si parla sui giornali. A volte non c’è bisogno del segreto di Stato.

De Lorenzo, Andreotti e Moro: i misteri d’Italia e i faldoni nascosti

rebbero state offerte anche a imprecisati “personaggi delle istituzioni”. Una formula che può ben includere i nostri servizi segreti. E quindi la domanda torna: quali sono i reali rapporti tra “personaggi delle istituzioni”, a partire dai nostri 007, e le security delle compagnie telefoniche? La domanda torna anche per un altro motivo. Nel 2006, in pieno scandalo Telecom, Marco Bernardini - ex agente del Sisde - dichiarò a Repubblica che il carabiniere Luciano Pironi, per entrare nel Sismi, aveva chiesto aiuto, piuttosto che a Mancini, al direttore della security Telecom Tavaroli. Bene. Tre anni dopo, un altro carabiniere, il maggiore Enrico Grazioli, interrogato dal pm Pierpaolo Bruni, dice d’aver chiesto aiuto per entrare nell’Aisi al direttore della security Wind, Salvatore Cirafici, in stretti rapporti con il numero due dei servizi Paolo Poletti. Tornando alla vicenda Mancini e alla security Telecom formato 2006 – quella dove regnava Luciano Tavaroli e s’affacciava Emanuele Cipriani, capo della “Polis d’Istinto”, un’altra agenzia di sicurezza privata – fu Cipriani a confezionare circa 7mila dossier illegali su magistrati, politici e giornalisti. Alla Telecom e alla “Polis d'Istinto” confluivano quindi migliaia di notizie riservate. Confluivano anche da Mancini, che però, ha

sempre sostenuto di non aver commesso reati e, soprattutto, d’aver espletato attività “previamente autorizzate”. Secondo l’accusa Mancini avrebbe passato, in cambio di denaro, informazioni riservate a Cipriani. Interrogato, non ha risposto. Difendersi, ha spiegato, equivarrebbe a svelare gli assetti del Sismi. E il segreto di Stato è arrivato, spianando per Mancini una via giudiziaria in discesa. Un segreto di Stato “parziale”, spiega il governo, “in quanto riferibile alle sole relazioni internazionali, tra servizi di informazione, e agli interna corporis degli organismi informativi”. Quindi merita la massima protezione, spiega Berlusconi al gup di Milano, Mariolina Panasiti, spiegando che “il disvelamento di informazioni di siffatta natura potrebbe minare la credibilità degli organismi informativi nei rapporti con le strutture collegate, e pregiudicarne capacità ed efficienza operativa, con grave nocumento per gli interessi dello Stato”. “Berlusconi risponda dinanzi al Copasir”, ha commentato l’ex pm di Venezia, Felice Casson, oggi parlamentare Pd: “L’esistenza del segreto di Stato, in questa vicenda, può determinare conseguenze gravissime per la nostra democrazia”. “Segreto di Stato - gli fa eco l’altro democrat Ettore Rosato non significa immunità”.

“SENSO NAZIONALE”

MA NAPOLITANO E FINI INSISTONO: CONCORDIA nfuria la bufera: servizi in tempesta, Pdl al vento della guerriglia Feltri-Fini. Ma ieri Napolitano e proprio il presidente della Camera hanno rilanciato – ricordando la figura di De Nicola a Napoli – appelli alla coesione. “La libera dialettica di posizioni e di ruoli tra maggioranza e opposizione – afferma il presidente della Repubblica – non esclude che si riproponga in momenti di serie prove per il Paese, l’esigenza di non smarrire il senso del comune interesse nazionale”. Per Fini “l’affermazione di quella che è la cosiddetta democrazia dell’alternanza in Italia e la fine delle contrapposizioni ideologiche – continua – ripropongono l’esigenza di valori unificanti e condivisi essendo comunque accettata l’idea che in un sistema bipolare ciò che unisce è altrettanto importante di ciò che divide”. Da Arcore nessun commento.

I


pagina 4

Mercoledì 6 gennaio 2010

Una carriera nata nella sua città, Bergamo, tra le pagine dell’“Eco”

V

COSE LORO

ittorio Feltri nasce a Bergamo il 25 giugno 1943. La sua carriera inizia a L'Eco di Bergamo nel 1962. Viene poi assunto come redattore dal quotidiano La Notte. Nel 1974 Gino Palumbo lo chiama al Corriere d'informazione: dopo tre anni arriva al Corriere della Sera, allora diretto da Piero Ottone. Nel 1983 diventa direttore di BergamoOggi, ma nel 1984 torna al Corriere come inviato speciale.

Nel 1989 assume la direzione del settimanale l'Europeo. Nel 1992 sostituisce Ricardo Franco Levi alla guida de l'Indipendente, in crisi di vendite. Nel gennaio 1994 accetta la direzione de Il Giornale, edito da Paolo Berlusconi. Nel dicembre 1997 si dimette dalla direzione de Il Giornale. Il 1° settembre 1998 passa alla guida del settimanale Il Borghese. Il 1° giugno 1999 diventa direttore editoriale del Gruppo

Monti-Riffeser. Il 1° agosto 1999 assume l'incarico di direttore editoriale del Quotidiano Nazionale (Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno). A fine febbraio lascia l'incarico e fonda Il Giornale libero. Il 18 luglio 2000 dà vita a Libero: ne è direttore per 9 anni, fino al 30 luglio 2009, quando si dimette. Il 21 agosto 2009 Feltri assume nuovamente la carica di direttore responsabile de Il Giornale, subentrando a Mario Giordano. (g.p.)

TERRORIZZATI DA FELTRI

Su “il Giornale” il bollettino quotidiano dei “nemici” di B. Da Fini a Casini, anche se (a volte) le notizie non sono vere di Luca Telese

esto articolo si apre con un esercizio alla Giucas Casella. Se la sua tesi è vera, aprendo Il Giornale di questa mattina, potete raccogliere scommesse: o c’è un articolo contro Fini, o c’è n’è uno contro Casini. Più probabilmente c’è ne sono sia uno contro Fini sia uno contro Casini. “Littorio” - come lo definisce genialmente Dagospia - sa essere equanime. Su Renata Polverini, invece, non dovreste trovare nulla: ne ha già fatto parlare male, ieri e l’altro ieri. Oggi riposo festivo, poi si riparte anche con lei. Magari oggi parla male di Flavia Perina o di Fabio Granata, altri due resistenti finiani. Di solito i prestigiatori sono tutti un po’ bari. Ma di sicuro il trucco è riuscito, perché stavolta parliamo del grande mago del giornalismo di destra, di Vittorio Feltri. Al mago Otelma delle tirature è riuscito un gioco di prestigiditazione che a nessun altro sarebbe riuscito: ogni

Q

giorno sui suoi giornali si toglie la pelle a un nemico del suo editore (e questo sarebbe persino legittimo). Ma ogni volta che lo fa, tutti dicono: “Mica li attacca perché sono nemici del suo padrone. Li attacca perché è Feltri”. Geniale. Qualcuno dei tartassati persino si scusa. L’altra cosa che bisogna aggiungere invece (un altro prodigio) è che nel centrodestra adesso di lui hanno paura. Quarto trucco del mago: lui bastona le sue vittime con la clava. E quelle il giorno dopo gli scrivono in punta di fioretto. A volte Feltri risponde, il più delle volte no. Il giorno dopo riprende in mano la clava e giù. Ieri il direttore in prima pagina bastonava Casini e Filippo Rossi, l’animatore di FareFuturo (un altro pericoloso finiano, dunque). E, al lato, Ignazio La Russa, era di turno nella posta dei “f lagellati”: “Caro direttore: Gianfranco non è come Di Pietro”. Quando uno deve difendere Fini dall’accusa di essere uguale a Di Pietro (sia detto senza offesa per

nessuno dei due) al mago Otelma è già riuscito il trucco. La quinta cosa da spiegare, poi, è che il giornalismo di Feltri è un miracolo perchè è un giornalismo senza notizie. I primi due presunti scoop che questa estate hanno inaugurato l’era del “giornalismo intimidativo”, infatti, erano due notizie riciclate. La prima - quella che ha mascariato il direttore di Avvenire Dino Boffo - era già apparsa nel sito del blogger Mario Adinolfi. La seconda, quella che ha mascariato il direttore di La Repubblica era già apparsa in un blog del vicedirettore di Libero, un giornale concorrente. Il capolavoro, in questo caso, è stato un altro esercizio di prestigio: la firma del vicedirettore concorrente campeggiava sulla pagina de Il Giornale, ma non su quella del suo giornale. La riprova del trucco era semplice: quelle due non-notizie venivano riciclate perché in quel momento erano utili alla nuova proprietà e prima no. Il Vittorio Feltri direttore di Libero, pur aven-

Vittorio Feltri visto da Emanuele Fucecchi

guerra intestina "

DIETRO LA PENNA

E DALLA BONGIORNO ARRIVA LA QUERELA er scambiarsi i doni natalizi Gianfranco Fini aveva spedito a Vittorio Feltri una confezione di Valium, un “calmante per evitare allucinazioni”. Il direttore del Giornale aveva ricambiato con una bottiglia di lambrusco e un biglietto: “Ci vada piano con il rosso, ultimamente ha esagerato”. Piccante folklore. Ma su Feltri pende una querela chiesta da Fini e depositata il 15 settembre scorso dall’avvocato e deputata Giulia Bongiorno. Fini vuole risarcimenti per il danno d’immagine subìto da un editoriale “infamante” di Feltri

P

intitolato “Il presidente Fini e la strategia del suicidio lento”. “Delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Specialmente - scriveva il direttore - se le inchieste giudiziarie si basano su teoremi. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente, per dire, ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme”. La settimana prossima sono attese le prime novità.

Continua lo scontro tra il “Giornale” della famiglia Berlusconi e il “Secolo d’Italia”. Dopo Fini, ieri il “Giornale” attaccava Casini, definito “banderuola”. Mentre il “Secolo” lancia l’appello contro Feltri: “Fermiamo gli sfascisti”

“Noi ex An spiazzati da tutto questo. Ma pronti a reagire” FLAVIA PERINA, DIRETTRICE DE IL SECOLO: È INDICATIVO IL SILENZIO DI BERLUSCONI. TRA NOI C’È MALCONTENTO di Carlo Tecce

lavia Perina ha le copie del Secolo Fginad’Italia sulla scrivania. In prima pac’è una foto di Vittorio Feltri pensieroso. Ormai l’album è pieno, uniche tracce visive di un fuoco incrociato scatenato da il Giornale. Direttore, ancora Feltri? E che dobbiamo fare? Abbiamo il dovere di rispondere. Annoiati della polemica infinita? Direi infastiditi, o peggio. Sono mesi... Per il Giornale la Polverini sarebbe Epifani in gonnella, il presidente Fini l’altro Di Pietro. Le critiche sulla candidatura della Polverini erano soltanto un mezzo per rimettere Fini nell’obiettivo. Un titolo enorme per paragonarlo a Di Pietro è inaccettabile. Ma Feltri è libero di fare i titoli che vuole. E allora? Noi replichiamo. Diciamo ai nostri

elettori: “Fermiamo gli sfascisti”. Noi prendiamo posizione, come è ovvio. E gli altri? L’altra metà del Pdl? I dirigenti nazionali, gli ex di Forza Italia, i deputati e i senatori: perché tollerano le operazioni di Feltri? Non abbiamo letto o sentito una parola di solidarietà sino ad ora. Silenzio assenso. Grave, e mica sul piano personale: l’immobilismo in questa partita ha un valore politico. Così, all’inizio di una campagna elettorale, di fronti inesplorati e di esami per il giovane Pdl. Avevamo intravisto delle aperture, i famosi dialoghi. A chi giova? Il Giornale non è Libero, è il quotidiano della famiglia Berlusconi. E Berlusconi stavolta gira la testa. Forse dirà qualcosa tra un po’, chissà, il ritardo sarebbe ugualmente rilevante. Potrebbe sembrare che sostenga gli as-

salti di Feltri a Fini. Altre volte Berlusconi s’è dissociato... Stesso schema: uno contro tutti, il Giornale contro Fini. E la fondazione FareFuturo in mezzo. Infatti, non ci appassiona più. Qualsiasi cosa riguardi Fini è criticato da Feltri. Siamo stanchi delle basse manovre. E nervosi? Tra gli ex di An c’è tensione. Chi può negarlo? Qualche perdita dell’orientamento. Andrete a sbattere, a rompere il Pdl? Faccio politica, sono un deputato, ma sono una giornalista e cerco di osservare i fatti. Servono dei segnali chiari, fermi, anche simbolici. Urgenti. Altrimenti costituirete un gruppo autonomo in Parlamento? Non lo so. Non posso esprimermi con esattezza perché gli umori e le sensazioni sono in divenire. Fuggite dallo scontro?

Noi crediamo nel Pdl, ma dobbiamo crederci insieme. Nel Lazio c’è unità d’intenti, sulla Polverini ci sono convergenze comuni. Protetti dalle baruffe in politichese nazional popolare. Possiamo riassumere. Se Feltri scrive per il Giornale può fare qualsiasi scelta, replicheremo nel merito come abbiamo fatto. Se Feltri scrive per dar voce – contro Fini – a un’area politica, dovremo adeguarci di conseguenza. Sarebbe? Vedremo. Dipende da loro. Noi siamo una reazione all’azione. Tutto qui. Per fortuna c’è Renata Polverini. Una bella proposta. Non mi sembra abbia vecchie tessere di An nel cassetto... La Polverini ha inaugurato il laboratorio elettorale. Non giochetti di politica sulla carta stampata. Quel che può far male al Pdl.

do un quotidiano - quando erano uscite - non le aveva ritenute degne. Il Vittorio Feltri direttore de Il Giornale ha dedicato loro tre giorni di prime pagine. Così Il Giornale, che fino al suo arrivo era una potente macchina da notizie, è diventato sostanzialmente un giornale che piega le notizie alle opinioni: talvolta ci sono notizie reciclate per servire opinioni (il che è legittimo, ma nel campo della narrativa) e molto spesso ci sono solo opinioni al servizio delle opinioni. Grottesco l’epilogo con Boffo. Il 4 dicembre Feltri torna sul caso: “Si trattò di una bagattella e non di uno scandalo”. A Boffo la bagattella è costata la fama di omosessuale attenzionato e molestatore. Poi venne il turno della Mussolini: la sua foto sparata in prima pagina con la notizia di un video hard (che nessuno ha mai visto, a partire da Feltri). Altra bagattella? In un caso, poi, il feltrismo ha stabilito un primato. La notizia allusa, e non data. Minacciata, piuttosto. E’ successo con Gianfranco Fini, bersaglio, a cui Littorio scriveva: “Oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente, per dire, ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di An per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme”. Questo fascicolo, poi, Feltri non lo ha ripescato. Il che può significare solo due cose: o minacciava di usarlo ma in realtà non lo aveva. Oppure lo aveva e lo ha usato come minaccia, e poi si è tirato indietro. Certo, il mago qualche talento deve averlo. Memorabile il suo primo colloquio di lavoro con Nino Nutrizio, raccontato da lui stesso. Feltri aveva lavoricchiato per L’Eco di Bergamo. Evidentemente non doveva aver brillato, perché Nutrizio gli disse: “Quello è il giornale più brutto del mondo. Se non vi hanno assunto nemmeno lì ho il sospetto che siate un cretino”. Gli capitò poi fra le mani la cronaca di un delitto. Scrisse. Il giorno dopo non trovò il suo pezzo. Nutrizio chiamò: “Lei non è cretino e assunto”. Era in prima, ma Feltri non l’aveva visto. Feltri è stato leghista, e oggi è berlusconiano. E’ stato manettaro, oggi attacca i magistrati. E’ stato anche espulso dall’ordine dei giornalisti per aver pubblicato foto di pedofili con bimbi che lui stesso aveva definito “bestiali”. Applicando il suo metodo si potrebbe sparare la sua foto con quelle dei pedofili, oggi. Ma noi non facciamo bagattelle.

Dino Boffo, ex direttore di Avvenire, si è dimesso dopo le accuse, ritirate in un secondo momento


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 5

A Milano un sit-in contro l’intitolazione organizzato da Piero Ricca

I

BETTI BOOM

l sindaco di Milano ha parlato della sua decisione di intitolare una strada a Craxi (probabilmente via dell’Innovazione) nel decennale della morte (19 gennaio 2000) in una intervista a Red Ronnie e pubblicata su YouTube il 31 dicembre. Nel frattempo gli oppositori della via a Craxi si stanno organizzando per far sentire la propria voce: l’associazione di Piero Ricca “Qui

Milano libera”, sostenuta da un gruppo di blogger, ha fissato per sabato 9 gennaio - dalle 14 alle 17,30 - un sit-in di protesta contro la proposta del sindaco. I manifestanti saranno in piazza Cordusio, all’angolo con via Mercanti. Secondo loro, “onorare i politici condannati per corruzione e fuggiti in latitanza è un pessimo esempio per i cittadini”. E aggiungono: “È necessario esprimere

un civile e fermo dissenso rispetto a questa scelta che assume un valore simbolico, in un paese in cui le classi dirigenti si sottraggono sempre più facilmente alle proprie responsabilità, anche attraverso un’impressionante sequenza di leggi su misura, mentre magistrati e giornalisti in prima linea contro mafia e corruzione vengono criminalizzati”.

BETTINO CRAXI Il più grande illusionista del ‘900 È riuscito a far sparire la fine del secolo, come i miliardi dalle banche: l’Italia è ancora negli anni Ottanta di Antonio

Tabucchi

ieci anni fa moriva Bettino Craxi nella sua residenza tunisina. Fuggiasco, con due mandati di cattura sul capo e due condanne definitive a dieci anni per corruzione e finanziamento illecito: miliardi di lire imboscati in conti esteri. Oggi i suoi fan lo commemorano: ogni categoria ha il suo santo patrono. Il “Pride” ideato dalla signora sindaco di Milano partirà da quella città diretto al Senato della Repubblica. E intanto giungono i “messaggi”. Il ministro Frattini dichiara che si deve “lasciare ai professionisti delle manette la prospettiva di seminare odio e inimicizia”. Dove per “professionisti delle manette” altro non si può intendere che le forze dell’ordine (carabinieri, polizia, guardia di finanza) cui lo Stato affida il compito di arrestare i professionisti del crimine. Ma se arrestare criminali pare sconveniente al ministro, è strano che faccia sapere al presidente della Repubblica che nella sua prossima visita ufficiale in alcuni paesi africani non potrà esimersi dal fare una deviazione in Tunisia per sostare in raccoglimento sulla tomba di Craxi. Non si capisce perché un nostro ministro in carica si rechi in un paese come la

D

Tunisia che il Consiglio d’Europa ha più volte censurato per le torture e le feroci repressioni del dittatore Ben Ali. Altri messaggi provengono da Gianni De Michelis, già pluricondannato per corruzione (tangenti autostradali nel Veneto e scandalo Enimont), con pene sospese con la condizionale. In America un rottamato del governo Nixon non scriverebbe neppure su un giornalino dello Iowa. In Italia De Michelis merita l’attenzione della grande stampa. Cito: “La stragrande maggioranza degli italiani riconosce il ruolo politico di Craxi, cioè del più grande statista della fine del Ventesimo secolo. Grillo, Travaglio, Di Pietro rappresentano una minoranza molto esigua che esiste in tutte le società del mondo”. (Repubblica, 31/12/09). Non si capisce bene con quali motivazioni De Michelis affermi che le persone da lui indicate esprimano una minoranza. È esattamente il contrario. Nonostante la sua frequentazione delle aule di giustizia, si è dimenticato che i tribunali della Repubblica pronunciano le sentenze in nome del popolo italiano. Ma se vuole una revisione del processo a Craxi può portare le prove. Ma a De Michelis interessano so-

CONSIGLI DA EX

E Rutelli evoca le procure sul Pd

T

utti pazzi per Rutelli? Ieri giornata di grande spolvero per il leader della neonata Api – alleanza per l’Italia – incastonato in due interviste su “Il Giornale” e su “Il Tempo”. E se Feltri lo incorona come l’anti-Fini – celebrandone l’antimulticulturalismo per bocciare la legge sulla cittadinanza agli immigrati su cui il presidente della Camera sta giocando molto del suo mazzo di carte – , il quotidiano un giorno diretto da Gianni Letta lo erge a gran suggeritore per i peccati del Pd. Il ragionamento dell’ex verde-ex pd? I democrat si tengono avvinghiati a Di Pietro perché Tonino li garantirebbe da un’assalto delle toghe, a cui evidentemente terrebbe salda la museruola di fantomatici avvisi di garanzia. Da ex presidente del Copasir c’è da credere che abbia svelato magari un segreto?

prattutto gli statisti. Si veda la sua opera, purtroppo l’unica finora pubblicata, Dove andiamo a ballare stasera? Guida a 250 discoteche italiane, Mondadori 1988, un esemplare trattato per diventare statisti, politici e ministri. Craxi ne fu entusiasta e la preferì al socialismo liberale di Norberto Bobbio, un filosofo che gli pareva troppo scomodo e che definì fuori di testa. Forse De Michelis voleva dire un grande statistico: e infatti Craxi i 150 miliardi di introiti illeciti li suddivise con un fine senso della statistica in conti personali sparsi fra Svizzera, Liechtenstein, Caraibi ed estremo oriente, e nel ‘98, quando la Cassazione ne dispose il sequestro, i soldi erano spariti. Ma finalmente De Michelis esplicita i tre motivi per cui lo consi-

buttarono a mare, la prese in un altro modo. Il fatto è che per la prima volta nel dopoguerra Craxi impose alla comunità internazionale l’idea che un atto di terrorismo possa essere considerato lecito. Quanto al prurito alle mani in Cile, resta il mistero. Gli durò a lungo? Come se lo fece passare? Su un evento biografico così importante De Michelis purtroppo

Resistono i Servizi deviati, la mafia che lavora coi politici il conflitto d’interessi e Porta a Porta

tace. E infine i soldi che elargiva all’Olp di Arafat “senza andare troppo per il sottile”. Viene spontanea una domanda: ma chi glielo aveva ordinato, a Bettino Craxi, di dare soldi sottobanco all’Olp di Arafat? Se fossero stati soldi di famiglia sarebbe solo un problema politico, ma dato che erano soldi di tangenti, cioè denaro sporco, la faccenda si complica. E poi: il grande statista lo sapeva che anche Arafat, i soldi, invece di usarli per la sua organizzazione li imboscava come lui su conti personali in Svizzera e in Francia? Ma De Michelis dimentica le imprese che fanno del Nostro uno statista sui generis: per esempio la sua amicizia con Siad Barre, un sanguinario dittatore che con un colpo di Stato, dopo aver fatto fucilare intellettuali, giornalisti e oppositori, aveva instaurato dal 1969 una feroce dittatura in Somalia e che ricevette da Craxi montagne di denaro. Era la cosiddetta “cooperazione italiana”. Per il solo quadriennio 1981-84, Craxi stanziò per la dittatura di

dera un grande statista: “Penso a come prese di petto la vicenda di Sigonella. Penso al viaggio sulla tomba di Allende nel Cile di Pinochet: in quel cimitero gli prudevano davvero le mani. Penso ai soldi dati ai movimenti di liberazione, senza andare troppo per il sottile, come fu per l’Olp di Arafat” (Repubblica, cit.). La vicenda di Sigonella Craxi la prese di petto, eccome. Il signor Leon Klinghoffer, l’ebreo americano in carrozzella che i terroristi

Barre 310 miliardi di lire. Tralascio le armi italiane alla Somalia, oltre agli aiuti “tecnici” e le magnifiche autostrade costruite nel deserto. Del grande statista il suo devoto dimentica poi la legge Mammì, la revisione del Concordato del 1984 con l’attribuzione dell’8 per mille alla Chiesa, il debito pubblico che da 400 mila passò a 1 mi-

L’INTERVISTA

BENEDETTO IN ODORE DI SANTITÀ

G

iovedì 14 gennaio i fan di Benedetto (detto Bettino) si ritroveranno al Teatro Capranica di Roma per assistere all’intervista concessa da Craxi a Luca Josi, ex giovane socialista promosso a collaboratore durante la stagione d’oro di Mani Pulite. La più completa mai trasmessa. Dicono così.

lione di miliardi di lire, l’Alfa Romeo regalata alla Fiat e sottratta alla Ford che l’avrebbe pagata, le amicizie con Licio Gelli, le parole di sostegno ai generali argentini contro la Gran Bretagna durante la crisi delle Falkland. E infine la Tunisia. Craxi la scelse come punto di fuga nel 1994. In quel paese dal 1987, con un colpo di Stato sostenuto dal nostro Sismi, aveva preso il potere un certo Zine El-Abidine Ben Ali, instaurando un regime di terrore dove sparizioni, omicidi e torture erano all’ordine del giorno. Evidentemente a Craxi piaceva, non gli prudevano le mani. Ben Ali, si noti, è “presidente” della Tunisia da 21 anni, perché “ama il suo popolo e ne è riamato”, come dice la sua propaganda. Il devoto del grande statista conclude con un messaggino al presidente della Repubblica: “Alle elezioni del ’92 cominciammo ad ospitare nelle liste del Psi alcuni miglioristi: Borghini, Minopoli, Francese. Altri, più vicini a Napolitano, saltarono solo per un’esi-

tazione dell’ultimo secondo. Poi, venne Mani Pulite (…) Non gli tiro la giacca, il capo dello Stato sa cosa fare. Avrà un grande ruolo, perché Bettino offre a tutti una grande occasione…”. Bettino offre a tutti una grande occasione. Meglio girar la testa dall’altra parte e fare finta di non avere sentito. Ma c’è una cosa che De Michelis non può dire, ed è una cosa che fa di Craxi a suo modo un “grande”. Non certo il più grande statista della fine del secolo, ma il più grande illusionista della fine del secolo. Perché Craxi, con l’aiuto dei suoi fidi, la fine del secolo è riuscito a farla sparire, come i miliardi dalle banche. Non ha imboscato solo i soldi delle tangenti, ha imboscato anche il Tempo. Dove abbia nascosto la fine del secolo, in quale remoto conto off-shore o in quale Buco Nero dell’universo non si sa, ma è sparita. Il Novecento è finito e il nuovo secolo (anzi il nuovo millennio) si è portato via il vecchio, con la sua storia e i suoi detriti, che in occidente sono volati via dappertutto, in America come in Europa. Meno che in Italia, che probabilmente non appartiene all’Europa. Gli italiani non sono nel Duemila, sono ancora nel millennio scorso: ci sono ancora i comunisti (lo dice Berlusconi), c’è ancora il Sillabo, ci sono ancora i Servizi deviati, c’è ancora la mafia che lavora coi politici e i politici che lavorano con la mafia, c’è ancora il conflitto d’interessi, c’è ancora senza esserci l’Alitalia, c’è ancora “Porta a Porta”, c’è ancora D’Alema e soprattutto c’è ancora Bettino Craxi, e dunque c’è Berlusconi. Voi siete (noi siamo) ancora negli anni Ottanta, cari connazionali, quando c’era la Democrazia cristiana, la P2, la Milano da bere e De Michelis componeva la sua fondamentale opera sulle discoteche italiane. È la notte dei morti viventi. E per fortuna siamo agli anni Ottanta, perché se va avanti (anzi indietro) così, domani potremmo leggere sui giornali: “Individuati i responsabili della bomba al tribunale o alla questura tal dei tali. Si chiamano Pietro Valpedra e Giuseppe Pinelli”. Una strada intitolata a Craxi? Ma che gli diano pure un vialone. Purché l’eventuale via che Ilaria Alpi meriterebbe ne sia a debita distanza. Dove andiamo a ballare stasera? Ma al Senato, tesoro.


pagina 6

Mercoledì 6 gennaio 2010

Campania, il Pd resta solo: Idv e Sel disertano il tavolo

M

REGIONALI

entre prosegue il pressing per strappare un’alleanza alla riottosa Udc di De Mita, il Pd in Campania rischia di perdere Idv e SeL e di morire elettoralmente di solitudine. E si allontana la possibilità di svolgere primarie di coalizione per il candidato Governatore, per il momento fissate al 24 gennaio. Il tavolo

convocato ieri dal segretario regionale Pd Enzo Amendola per definire i dettagli della consultazione, il primo con inviti allargati a tutti i segretari del centrosinistra, compreso Verdi, socialisti e Prc, è stato disertato dai dipietristi e dai vendoliani. Nello Formisano, Idv, ha ritenuto la sua presenza “inutile, in assenza del chiarimento nazionale chiesto da

Di Pietro a Bersani”. Per il coordinamento campano di SeL invece “non persistono ancora le condizioni politiche: la situazione generatasi in Puglia a causa dei comportamenti ondivaghi del Pd merita un approfondimento sul tema delle alleanze”. Ne discuteranno nel coordinamento nazionale domani a Roma. (Vin. Iur.)

LO SCISSIONISTA RILANCIA IL PARTITO DEL SUD Miccichè: “Il Pdl sta a guardare mentre la Lega decide i governatori” di Giuseppe

Lo Bianco

ultima provocazione l’ha lanciata ieri sul suo blog: “É sotto gli occhi di tutti come la componente forzista del Pdl stia rimanendo a guardare, mentre Lega e An fanno incetta di candidature in tutta Italia”. Per Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla Presidenza del consiglio, leader del Pdl Sicilia, quel che resta di Forza Italia dentro il Pdl è ormai “in liquidazione”. “Spero in un’inversione di tendenza – dice – ma dubito che accadrà. Ed è questo dubbio che mi spinge, ogni giorno sempre di più, verso il partito del Sud”. Dopo avere lasciato fuori dal governo Lombardo il suo partito, spaccandolo in due e diventando di fatto il “ventre molle” del Pdl e stampella del governatore siciliano, l’ex uomo di Publitalia adesso accelera, almeno a parole, verso la scissione. L’occasione è la caccia alle candidature per le prossime regionali: “Nulla da ridire – scrive Micciche' nel post del suo blog, Sud – sulle qualità dei candidati. Ma è il quadro complessivo che mi lascia perplesso, cioè il fatto che Forza Italia non

L’

riesca più a imporsi e a imporre i suoi uomini, come si converrebbe alla componente politica dal maggior peso consensuale, e quindi politico, all'interno del partito e della coalizione tutta”. Per Miccichè “questo Pdl è destinato al naufragio definitivo se continuerà ad annichilire la sua componente di maggior forza e rappresentativita”. L’alternativa, dunque, è il partito del Sud: “lì sì – scrive – che si potrà di nuovo respirare l'atmosfera di un tempo e si potrà tornare a fare grandi cose per il Meridione e per il Paese, con Silvio Berlusconi”. Sembra una farsa, ma non lo è: staccarsi dal Pdl restando sotto l’ombrello di Papi. Con il suo piccolo drappello di deputati e senatori, di 13 deputati regionali, di decine di consiglieri provinciali e comunali in Sicilia, Miccichè è ormai una mina vagante, l’enigma piu’ misterioso della politica italiana. E se in molti, a Roma, iniziano ad interrogarsi sulle sue reali intenzioni e prospettive, ancora una volta le sue parole vengono accolte dal più rumoroso silenzio del premier, che non ha mai commentato l’avventura scissionista del

suo ex pupillo. Quello che qualche anno fa gli consegnò la vittoria del 61 a zero nei collegi siciliani. Questo ha autorizzato Miccichè ad andare avanti per la sua strada, continuando a comunicare ad amici ed avversari di avere la benedizione di Berlusconi; e loro, a furia di sentirselo ripetere, ormai cominciano a crederci. Come il presidente dell’assemblea regionale Francesco Cascio, uno dei più accesi “lealisti” che ha dichiarato come non sia possibile che Miccichè vada avanti senza l’avallo del premier. Secondo le indiscrezioni siciliane resiste, invece, il “via libera” di Marcello Dell’Utri che ufficialmente ha preso le distanze

Berlusconi come sempre non reagisce alle parole del pupillo di Dell’Utri, che fondò Fi nell’isola

Sopra Gianfranco Miccichè; sotto Nichi Vendola (FOTO GUARDARCHIVIO)

dall’avventura scissionista del funzionario di Publitalia cui 15 anni fa affidò la fondazione di Forza Italia in Sicilia, rivendicandone, in privato, l’amicizia. Forse è anche per questa ragione, e per il silenzio ostinato del premier, che in pochi prendono sottogamba l’iniziativa politica di Miccichè, che in questi mesi ha lavorato sottotraccia per radicare il suo

partito anche in Calabria, Campania e Basilicata. Con quali risultati non è dato saperlo. Con nessuna prospettiva di successo secondo il suo principale antagonista siciliano, Giuseppe Castiglione, che nel suo blog ha elencato tutti gli errori politici compiuti dal sottosegretario, minimizzandone il peso politico: “meglio sabotare il Pdl e ci guadagno un

“SVOLTE”

LOMBARDO È IL MALE, ANZI NO (E IO ENTRO IN GIUNTA)

P

roblema di identità: Mario Centorrino, economista siciliano e neo assessore di area Pd (ma lui rifiuta quest’etichetta) della terza giunta di Raffaele Lombardo, descrive il Governatore come un innovatore che potrebbe risolvere i problemi siciliani e intravede nel nascituro Partito del Sud una possibilità per l’isola. Solo due anni fa, un allarmato Centorrino, in un’intervista a l’Unità, sosteneva che il lombardismo è peggio del cuffarismo. Per la precisione così si esprimeva il Nostro: “Lo Stato non

po’ io, è stata la logica di Micciche’ – scrive il coordinatore regionale del Pdl – probabilmente se fosse umile e intellettualmente onesto riconoscerebbe tutto questo, ma è inutile illudersi perché, se lo fosse stato, non avrebbe compiuto tutti gli errori che lo hanno portato a non essere candidato a presidente della Regione”. Dove sono in molti a guardare con attenzione al partito del Sud, anche una parte consistente del Pd, che da tempo ha manifestato la sua voglia autonomista e federativa: “Il Pdl in Sicilia è allo sfascio – dice Antonello Cracolici, capogruppo del Pd a Sala D’Ercole – e la sua crisi apre scenari non facili da prevedere. Il partito del Sud? Aspettiamo che nasca e poi vediamo. Con la rottura di Lombardo, che ha reciso il cordone ombelicale, la vicenda siciliana è l’apripista di uno scenario nazionale nuovo. Berlusconi oggi non sa che pesci prendere, fino a quando tutti dichiarano di essere suoi amici non credo che sceglierà chi è “più amico”. Credo che abbia consapevolezza della fine di un’epoca”.

si è preoccupato di esercitare le sue prerogative, lasciando spazi che altri hanno riempito e alimentando una forte posizione di antagonismo dei siciliani. Finora tutto ciò è stato vissuto come un incidente della storia, come se non avesse avuto una sua identità culturale. Adesso invece Raffaele Lombardo si preoccupa di dare a questo fenomeno una dimensione culturale da utilizzare nel mercato della politica. Se si forma un ideologia, i cittadini meno attrezzati e meno informati sono autorizzati a sentirsi parte di un progetto culturale. Molto meno folkloristico dei cannoli di Cuffaro e molto piu conflittuale e belligerante”. Quale dei due Centorrino è quello vero? Giuseppe Giustolisi

Casini dà il via libera a Boccia, Vendola non retrocede e si candida I SOSTENITORI DEL PRESIDENTE: “ORA SI FACCIANO LE PRIMARIE, PER RISPETTO DEGLI ELETTORI PUGLIESI” di Enrico Fierro

ierferdinando Casini è staPgiochini to lapidario: “Basta con i di Vendola, faccia quello che vuole. Il nostro candidato è Francesco Boccia”. Caos pugliese. Ultima puntata. L'Udc ha scelto. Ora il Pd ha 48 ore di tempo per sciogliere tutti i nodi. Quello più intricato si chiama Nichi Vendola. Il governatore poeta non è in Italia, ma sa cosa è accaduto e risponde: “La mia candidatura rimane confermata. Contesto il metodo, non il nome di Boccia. Si fac-

ciano le primarie, l’unica modalità per rispettare gli elettori e preservare l’unità della coalizione”. Anche Nicola Fratoianni, senese trapiantato a Bari dal 2005, dirigente di Sel, ma soprattutto strettissimo collaboratore di Vendola, è all’estero ma sa tutto e risponde a muso duro: “Si facciano le primarie, Boccia rispetti gli elettori pugliesi, soprattutto quelli del suo partito”. Si affilano le armi per una guerra che devasterà il Pd dal Gargano alle candide spiagge leccesi. “Non c’è uno sprazzo di razionalità in quello che sta

Con Nichi si schierano apertamente anche deputati e assessori Pd

accadendo – dice ancora Fratoianni – non si capisce quale sia la ratio dell’incarico esplorativo a Boccia, roba da politica degli anni Sessanta, e non si capisce Casini che pochi giorni fa aveva giudicato Boccia un candidato debolissimo e che oggi cambia idea. Qui l’unica novità è Di Pietro, che sul vostro giornale si è detto disponibile ad appoggiare Vendola”. Francesco Boccia sa che andrà incontro a giorni difficili. Sulla sua esplorazione, e ancora di più sulla sua candidatura, pesa lo schiaffo del 2005, quando a sorpresa venne sconfitto proprio da Vendola alle primarie. E non hanno contribuito a rasserenare gli animi gli atteggiamenti delle settimane passate. L'economista legato a Enrico Letta si è fatto fotografare insieme a Stefano Dambruoso, il magistrato tra i possibili candidati del centrodestra, ironizzando sui “poeti leopardiani” che si

danno alla politica. “Ora vedremo come Boccia metterà insieme i cocci anche del Pd”, dice un esponente pugliese del partito di Bersani preoccupato da quelle che chiama “le truppe vendolate”. Assessori regionali, consiglieri, deputati dello stesso Pd, esponenti della società civile e intellettuali. L'appello per Nichi presidente lanciato da due studiosi di valore, il meridionalista Gianfranco Viesti e il sociologo Franco Cassano, in pochi giorni ha raccolto oltre cinquemila adesioni. Con Vendola si sono schierati pubblicamente deputati con tessera Pd in tasca come Paola Concia, e gli ex della Margherita Giusi Servodio e Gero Grassi, cinque anni fa segretario regionale del partito e sostenitore di Boccia alle primarie. Assessori regionali come Mario Lizzo (Trasporti), Elena Gentile (Servizi sociali), oltre agli “esterni” Fiore (Sanità), Barbanante (Urbanistica),

Godelli (Cultura), Introna (Ambiente), Losappio (Lavoro). “Quello che sta accadendo è incomprensibile: il partito del concreto Bersani si appresta a sacrificare sull'altare di scelte politiche nazionali un’esperienza di governo tra le più positive nel desolante quadro del Mezzogiorno. La verità è che qui si sta facendo di tutto per perdere”. Il professor Viesti, che Vendola ha voluto in giunta affidandogli università e beni culturali, è tra coloro che non ci stanno. “Certo, è un duro attacco alla Primavera pugliese, ma c'è una grande reazione e gente che non si rassegna”. Il professore si fa leggere le agenzie con la decisione di Casini: “Ma perché si parla di politica e non delle politiche che abbiamo realizzato come giunta regionale? Dal lavoro ai giovani all'istruzione, al trasporto. Certo, abbiamo fatto anche tanti errori, ma abbiamo operato in un quadro di difficoltà

enormi, con governi di centrosinistra distratti e governi di destra nemici. Ho 240 scuole in emergenza sicurezza e non ho i soldi per intervenire, ma lo vogliamo dire che i fondi Fas sono fermi in attesa che cambi la geografia politica nelle regioni? Se perdiamo noi dall'altra parte non c'è la Merkel, ma Bossi e Tremonti, gli estremisti berlusconiani. E smettiamola con la favola del radicalismo: noi abbiamo realizzato politiche moderatamente riformiste, non certo di stampo sovietico”. E allora? “Se c’è un nome alternativo a quello di Vendola, si facciano le primarie e si vada avanti”. L'oggetto primarie non interessa a Casini. Ha già scelto. “Boccia è apprezzato da tutti noi ed è un vero moderato. L'Udc è disponibile a perdere con lui perché questo finisce per creare una frattura fra la sinistra dei no global e dei veti e una sinistra riformista come serve all'Italia”.


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 7

Umbria: la Lorenzetti cerca il terzo mandato nonostante lo statuto

A

REGIONALI

nche in Umbria il Pd non ha pace. La governatrice Maria Rita Lorenzetti, che conclude il secondo mandato, si è ufficialmente ricandidata alla presidenza. Tuttavia lo statuto dei democratici non prevede il terzo giro a meno di non ottenere una deroga con il 66% dei consensi dei delegati all’assemblea regionale del Pd. Partita ancora aperta, questa, sebbene la governatrice

abbia portato in dote 130 firme a sostegno del proprio nome (i delegati sono 250). Ma c’è un altro nodo da sciogliere, politicamente assai più intricato. Mauro Agostini, senatore ed ex tesoriere Pd (di “provenienza” veltroniana) aveva annunciato la propria candidatura poco prima di Capodanno. La Lorenzetti, bersaniana, ha di fatto rotto la pax aurea in vista delle primarie (che, forse, si terranno il 24

gennaio). Il tutto, insomma, ha il sapore dell’ennesima faida tra le correnti del partito. La Lorenzetti non è (ancora) tecnicamente candidabile ma il suo peso in termini di consensi è importante. Cosa succederebbe, quindi, se si arrivasse alle primarie, bypassando la deroga, per rivendicarla dopo la (probabile) vittoria su Agostini? Chissà se la guerra, nella riunione di domani a Roma, troverà una tregua.

BONINO SVEGLIA TUTTI

Lanciata la candidatura nel Lazio della leader radicale La risposta di Bersani: Zingaretti esploratore, guardando all’Udc di Giampiero Calapà

entrosinistra, c’è un nome forte per il Lazio: Emma Bonino. Panico nel Pd, che alla fine se la cava con un mandato esplorativo a Nicola Zingaretti: per ora non esclusa la possibilità di un appoggio alla senatrice radicale, ma sottolineando la necessità “di una nuova e larga coalizione” il Pd sembra guardare con molto più interesse alle mosse dell’Udc (molto più gradite Oltretevere). E’ un fulmine nel cielo per nulla sereno delle prossime regionali quello arrivato con l’annuncio dei Radicali: liste Bonino-Pannella ovunque e, soprattutto, candidatura di Emma Bonino alla presidenza del Lazio (Oliviero Toscani in Toscana e in pista anche Marco Cappato, presidente dell’Associazione Luca Coscioni e Mario Staderini, segretario di Radicali italiani). Un fulmine che, “se il Pd ne approfittasse, potrebbe rappresentare una via d’uscita più che dignitosa dall’imbarazzante stallo in cui si è cacciato anche nel Lazio, non riuscendo a prendere una decisione chiara neppure su primarie e alleanze, mentre il centrosinistra rischia l’estinzione”, dicono i Verdi. Pd, nì. Dopo lo scandalo che ha colpito Piero Marrazzo, nessuna risposta in grado di riportare entusiasmo nell’elettorato: ieri l’annuncio della Bonino e già spuntano nuove crepe nel Pd. La reazione è la decisione di Pier Luigi Bersani: mandato esplorativo a Nicola Zingaretti, attuale presidente della provin-

C

cia, “per costruire una nuova e più larga coalizione”, con l’intenzione di “guardare anche all’esterno del Pd”, come affermato dallo stesso Zingaretti. Secondo Davide Zoggia, responsabile Enti locali dei democrat, Bonino corrisponde “ad una fortissima personalità politica: se il tema è quello dell’allargamento della coalizione, però, non credo possa essere quello giusto”. Nome che per Zoggia potrebbe, invece, corrispondere, ritornando dentro al Pd, a quello del vice di Marrazzo, Esterino Montino? “Senz’altro ha lavorato molto bene – afferma Zoggia – e anche dopo i fatti accaduti a Marrazzo, il consenso per Montino è ampio in tutta la regione”. Resta il dato del mandato esplorativo a Zingaretti, che suona come una sorta di commissariamento della segreteria laziale: una immediata bocciatura di Alessandro Mazzoli, eletto da appena due mesi, che ieri ha scelto la via del silenzio. Anche se per lui la candidatura della Bonino rappresen-

ta un’idea valida, che andrebbe quanto meno valutata al tavolo con tutta la coalizione. Insomma, una parte del Pd è pronta ad aprire alla Bonino, ma un altro pezzo di partito preferisce l’accordo con i cattolici, quindi “l’allargamento” (con buona pace della Bonino, sicuramente non apparentabile con lo “scudo crociato”). Idv, nì. Per i dipietristi rimane in corsa il nome di Stefano Pedica: “Fare le primarie sarebbe ormai un’operazione suicida, non c’è tempo. Bonino? Se tut-

ta la coalizione è d’accordo, ma a quel punto ticket con me: Bonino-Pedica, perché deve essere rappresentata anche la parte cattolico-moderata e io posso farlo”. Comunisti, forse. Il portavoce della Federazione della sinistra (Rifondazione, Pdci e Socialismo2000) Paolo Ferrero non chiude la porta all’ipotesi Bonino, ma pone condizioni programmatiche: “Sanità pubblica, no alle grandi opere, no al nucleare e intervento pubblico sulla casa”. Verdi, sì. Il presidente del “Sole che ride” accoglie con entusiasmo la candidatura Bonino: “Valutiamo molto positivamente questa scelta, ora il Pd valuti bene”. Sinistra ecolib, primarie. Luigi Nieri, assessore regionale al Bilancio, continua a chiedere le primarie e a voler correre, ma sulla Bonino apre: “Candidatura autorevole”.

A destra Emma Bonino; sotto Renato Nicolini (FOTO GUARDARCHIVIO)

Ps, no. Dai Socialisti di Riccardo Nencini un “no” secco: “I Radicali si muovono in uno schema di separazione dal centrosinistra, noi no”. Lista Bonino-Pannella, l’investitura. La candidatura di Emma Bonino per Marco Cap-

pato “impone a tutti un chiarimento” e, comunque, correrà anche da sola: “Sono un’opportunità per il Pd – dice Bonino –, vediamo se avranno coraggio. Fino a qui abbiamo visto solo un patetico panorama di alleanze a geometria variabile”.

“La mia candidatura alla Regione è un’opportunità per i democrat: se solo avessero questo coraggio” L’IMPRENDITORE CALABRO

CALLIPO, LA LEGA E IL TONNO IN BARILE

P

ippo fa il leghista. Stiamo parlando di Pippo Callipo, industriale calabrese del tonno, da mesi in corsa per conquistare la presidenza della regione. Ha il sostegno di De Magistris e del leader Idv Di Pietro, conta sull’appoggio di una parte della società civile, ma il Pd – impegnato a dilaniarsi sul dilemma primarie – non guarda alla sua discesa in campo con simpatia. Sentimento che lui osserva con indifferenza: Callipo guarda a Bossi. Quanto di più lontano si possa immaginare dalla Calabria. Pochi giorni fa l’industriale ha incontrato il senatore Enrico Montani, della Lega, promotore di una lista federalista per le prossime regionali calabresi. I due hanno parlato a lungo e l’esponente leghista avrebbe accolto con interesse le proposte di Callipo. Che ieri ha detto: “La Calabria deve camminare con le proprie gambe e liberarsi dalle catene della vecchia politica. La Lega dice cose giuste: uno dei nodi che stritolano le speranze dei calabresi è l’uso distorto delle risorse pubbliche nazionali e comunitarie”.

Il candidato Nicolini: “I dirigenti del Pd? Troppo legati al passato” L’INVENTORE DELL’ESTATE ROMANA: “EMMA É UN BUON NOME MA IO HO PIÙ CHANCES DI LEI” di Alessandro

Ferrucci

enato Nicolini di nome, “Estate RTutRomana” di cognome. t’uno, a Roma. È lui, nel 1977, ad aver riportato lo spirito goliardico in una città martoriata dalla stagione terroristica: grandi eventi cinematografici, teatrali e musicali nel centro storico. Un successo. Dall’eco lunga trent’anni. E ora? Sì, si candida alla regione Lazio. Bè, ha risolto tutti i problemi del Pd a trovare il nome giusto... Dice? In realtà non mi ha chiamato nessuno del partito. Proprio nessuno? Solo due: Furio Colombo e Sandro Bianchi, per il resto basta. Altri attestati di stima? Il tassista che l’altro giorno mi ha

portato a casa, poi altri amici e sostenitori. Anche gente che non sentivo da anni. Allora come è nata la decisione? Ci pensavo da un paio di mesi, poi ho seguito l’impulso. Cosa ne pensa dell’attuale dirigenza democratica? Che alla maggior parte di loro manca l’esperienza giusta, riescono solo a costruire progetti effimeri, così come è accaduto con Walter Veltroni, dove tutto doveva essere bello, a prescindere. Sono tutti così? No, certo. Ma con molti di loro ho tagliato i rapporti dal 1993. Come mai? Trovai insopportabi-

“Con molti ex compagni ruppi nel ‘93 quando candidarono Rutelli a Roma, mentre ero il più amato del partito”

le, quasi offensiva la candidatura di Francesco Rutelli a sindaco di Roma. Sarebbe dovuto toccare a me. E invece? Non se ne fece niente. Puntai i piedi e diedi lo stesso la mia disponibilità: in fin dei conti, da anni, ero il più votato del partito dopo Pietro Ingrao, con un consenso trasversale nato dal mio ruolo in Consiglio Comunale. Ha presente cosa vuol dire, in quegli anni, ricoprire il ruolo di capogruppo? Mi dica... Erano gli anni di Tangentopoli e sporcarsi le mani era facile. Inoltre c’erano ‘spiriti’ caldi, ricordo ancora una zuffa a pugni tra Bettini e Rossetti. Ah, Goffredo era più agile, pesava meno di adesso... I dirigenti di allora come presero la sua ostinazione nel volersi candidare? Molto male. Ricor-

do Massimo D’Alema, alla fine di una riunione, avvicinarsi a me e dirmi: ‘Perché lo fai? Non ti conviene, in fin dei conti Rutelli fa quello che vogliamo noi. Anzi, quando segue i miei consigli è perfetto, quando ascolta Occhetto sbaglia’. Torniamo ai dirigenti di adesso: qual è la sua opinione su di loro? Al recente Congresso mi sono schierato con Ignazio Marino. Bersani proprio non mi convince come quasi tutti gli altri. Va bene, ma qual è il punto che più di ogni altro non la convince? Sono troppo legati all’eredità del passato, al centralismo democratico del Partito comunista. Prima danno voce agli elettori attraverso le primarie, poi si riservano la possibilità di decidere in totale autonomia. Insomma, non amo questo loro culto del capo. E poi nei miei confronti c’è un pregiudizio generazionale. Da parte di chi? Molti, a partire da Veltroni e D’Ale-

ma, che sono poco più giovani di me, e da me hanno tratto ispirazione per molte delle loro iniziative. Anche D’Alema? ...forse no, lui no. In effetti ci siamo solo sfiorati, quando ho organizzato la Festa dell’Unità a piazza Navona. Si rende conto? È stata l’unica esperienza del genere. Cosa ne pensa della Bonino candidata alla regione Lazio? Ho più chances di lei. Al limite potrei prenderla in squadra. Oltre alla Bonino, chi altri porterebbe in squadra alla regione? Lionello Cosentino e Walter Tocci. Quest’ultimo ha uno sfondo di malinconia che me lo rende simpatico. E Furio Colombo? Perfetto come assessore alla Cultura. E come punto di riferimento per il Pd: con la sua moralità e la sua etica, rappresenta la perfetta sintesi, intelligente, della sinistra mondiale non toccata dal comunismo... (silenzio)... Come sono andato?


pagina 8

Mercoledì 6 gennaio 2010

Via Gradoli, i video, gli arresti e le dimissioni dalla regione Lazio

È

CRONACHE

il 23 ottobre scorso: vengono arrestati quattro carabinieri. Scoppia il caso Piero Marrazzo. I quattro rappresentanti delle forze dell’ordine avrebbero ricevuto assegni per 20-30 mila euro dal presidente della regione Lazio. Le immagini ritrarrebbero Marrazzo in compagnia di una transessuale in atteggiamenti intimi in un appartamento di via Gradoli. Il governatore si affretta a prendere le

distanze: “Mi vogliono colpire alla vigilia delle elezioni. Sono amareggiato e sconcertato per il tentativo di infangare l’uomo per colpire il presidente. Quel filmato, se davvero esiste, è un falso. È stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Non ho mai pagato e nego di aver mai versato soldi. Bisogna vedere se l’assegno che dimostrerebbe il pagamento l’ho firmato io”. Poi ribadisce: “Quanto è successo

dimostra che nel nostro paese la lotta politica ha raggiunto livelli di barbarie intollerabili. Ma io non mi dimetto”. Il 24 ottobre Marrazzo cambia linea e ammette il suo coinvolgimento: “Mi autosospendo, questa vicenda è frutto di una mia debolezza della vita privata”. Con queste parole il governatore lascia la poltrona di presidente del Lazio. E spiega: “Ho agito da solo”.

CARABINIERI, SOLDI E OMBRE: I PM ORA ASPETTANO MARRAZZO Via vai in Procura dei militari del ricatto-trans: troppi dubbi A breve nuovo interrogatorio dell’ex governatore di Rita Di Giovacchino

ran via vai di carabinieri al primo piano della Procura nell’affollato ufficio dell’aggiunto Giancarlo Capaldo. Carabinieri in divisa, carabinieri in borghese, carabinieri dei Ros, ma soprattutto carabinieri della Compagnia Trionfale che entrano sorridendo ed escono con le facce cupe. I primi come si sa indagano sui secondi, nell’ambito di quel filone dell'inchiesta Marrazzo sui cc infedeli coinvolti nel tentativo di ricatto. A più di due mesi dall’inizio dell’inchiesta che si è andata via via complicando con omicidi di trans, video scomparsi, sospette overdose - l’attenzione di Capaldo è tornato al punto di partenza e cioè alla caserma che ospita la compagnia Trionfale dove erano di stanza i quattro carabinieri arrestati due dei quali, Simeone e Tagliente, ancora in carcere. Molti elementi non quadrano, lacune che il magistrato vuole colmare prima del terzo

G

interrogatorio di Piero Marrazzo, previsto per la prossima settimana, reso indispensabile dalla testimonianza di Paloma, l’ultimo trans entrato nel mirino delle indagini. L’interrogatorio dell’ex governatore è slittato a dopo le festività non per motivi di riguardo nei suoi confronti, ma per appurare alcune circostanze. E quella di Marrazzo a piazzale Clodio stavolta non sembra una passeggiata, anche se la sua posizione resta quella di vittima e non di indagato. Ma si sa che Capaldo, responsabile della Dda, ovvero della sezione antimafia della Procura di Roma, non ha simpatia per il registro degli indagati cui ricorre soltanto quando l’inchiesta è in dirittura d’arrivo e tutte le responsabilità sono state accertate. Preferisce ascoltare “persone informati dei fatti”, più utili ai fini investigativi dal momento che il teste, contrariamente all’indagato, è obbligato a dire la verità se non vuole incorrere in sanzioni di legge. E così è sta-

to per i sei o sette carabinieri della compagnia Trionfale, ascoltati nelle ultime quarantotto ore. Un risultato concreto è che non esiste un quinto carabiniere coinvolto nella trattativa per la vendita del video in via Gradoli. I sospetti si erano appuntati su un militare, già coinvolto in una brutta storia, ma il giornalista Giangavino Sulas, contattato dal pusher Cafasso (poi stroncato da un’overdose) alla fine non l’ha riconosciuto. Ma gli inquirenti non sembrano convinti che il cerchio possa chiudersi attorno ai quattro arrestati la cui attività gravitava nella zona della Cassia e della Flaminia frequentata da trans e clienti Vip. Si indaga sul livello superiore di quella “struttura” dedita al ricatto di cui facevano parte viados, spacciatori, confidenti e anche rumeni dediti a percosse e minacce. Al sospetto si legano altri interrogativi: possibile che alla compagnia Trionfale nessuno si era accorto di niente? Cosa era stato ri-

L’ex governatore del Lazio (ANSA)

ferito ai superiori delle frequentazioni di Marrazzo, che nella zona sembra fosse conosciuto come cliente abituale di almeno una decina di trans? Ad aggravare la sua posizione è stata proprio Paloma, il trans ascoltato dopo Natale, che è apparsa affidabile forse perché ha quasi 50 anni ed è padre di due figli. Con Paloma l'argomento è tornato sui soldi, i troppi soldi del caso Marrazzo.

Anche con lei l'ex governatore si sarebbe mostrato particolarmente generoso, almeno quando l’ha ricevuta negli uffici della Regione dove disponeva a suo dire di molto denaro in contante, pezzi da 100 e 500 euro. L’ex governatore aveva un buono stipendio, più di 10 mila euro, ma anche molti impegni economici, prestiti, mutui, spese ordinarie per la gestione di due ville e due appartamenti, che assorbivano oltre due terzi delle entrate. Un’indagine finanziaria sui movimenti bancari in realtà non è stata ancora fatta, ma non sembra navigasse nell’oro. Perché dunque pagare così tanto prestazioni che sul mercato hanno un prezzo inferiore, non più di cento o duecento euro? E anche a voler aggiungere il costo della cocaina i conti non tornano. Era già sotto ricatto e da quanto tempo prima che il caso esplodesse? Una brutta storia, dicono in procura, che solo Marrazzo se vuole potrà definitivamente chiarire.

IL CARTOON DI HOT-SILVIO IMPAZZA SULLA TV DI PUTIN Un premier da burletta: sul canale di Stato russo parodia di B. tra balli con modelle e battute piccanti

N INQUINAMENTO ACUSTICO

Movida a Milano: Moratti indagata

L’

accusa è omissione in atti d’ufficio in seguito a una diffida (diventata poi denuncia) dell’associazione Arco della Pace contro gli schiamazzi notturni nella zona Sempione. Il sindaco, secondo la denuncia, non avrebbe adottato provvedimenti adeguati a far cessare il baccano.

SISMA DE L’AQUILA

Studentato, non c’era il pilastro

L’

ala nord della casa dello studente de L’Aquila ha collassato anche per la mancanza di un pilastro portante, causando la morte di 8 studenti la notte del 6 aprile scorso. Lo si afferma nella perizia consegnata alla Procura della Repubblica de L’Aquila dai consulenti Francesco Benedettini e Antonello Salvatori, nell’ambito dell’inchiesta che vede indagati, per omicidio colposo, disastro colposo e lesioni, 15 tra tecnici e costruttori con l’ipotesi di reato di omicidio colposo, disastro colposo e lesioni.

NAPOLI, COLPO AI CLAN

Estorsioni e droga: 29 arresti Alcune immagini degli sketch su Berlusconi trasmessi da “1tv” di Federico Mello

ad una tv che comuAdeibituati nica un’immagine serafica politici e a una scarsa libertà dei mezzi d’informazione, i telespettatori russi hanno gradito molto una serie di cartoni ironici trasmessi il 31 dicembre dal canale di Stato 1Tv. Dopo il consueto discorso di fine anno, sono andati in onda gli sketch con protagonisti il pre-

mier Dmitry Medvedev, il presidente Vladimir Putin e altri leader internazionali. Vero mattatore, della serata, però, è stato il personaggio di Silvio Berlusconi. Le battute accompagnano ballate che ricordano tanto le serate a bere vodka per difendersi dal freddo delle steppe. Il cartone Medvedev-Putin dura un paio di minuti: il duo al comando della Russia moderna, saltellando

con in mano fisarmonica e tamburello, commenta l’attualità. Poi è il turno del premier italiano. Il set è una conferenza stampa: “Buongiorno signorini e signorine” l’esordio in italiano di Berlusconi. “Lieto da impazzire nel vedervi qua”. Partono le domande dei giornalisti: “E’ vero che ha passato una settimana in compagnia di giovani modelle?”; “come commenta le sue av-

venture notturne con delle donne di facili costumi?”; “Silvio ci dica, tutti questi scandali non le faranno perdere la poltrona di presidente del Consiglio?”. Parte la musica: “Signori, rispondo a tutti quanti insieme”. Comincia un ballo sfrenato di Berlusconi con Hillary Clinton, Angela Merkel e Yulia Tymoshenko che gli saltellano intorno; continua con delle modelle che

cantano con lui dentro una limousine. “Capita che torno in camera e ci sono delle prostitute – dice Berlusconi nel cartone tra un urlo e l’altro – in Italia non esistono più donne che non siano state con me”. La parodia russa si unisce a numerose prese in giro dei comici Bbc a Berlusconi. Anche un cartone messicano ha ironizzato sugli scandali sessuali che hanno riguardato il premier.

L’

accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di droga, estorsioni e violazione della legge sulle armi. Colpiti esponenti di punta e affiliati di 6 clan della provincia a nord di Napoli che arrivarono a fronteggiarsi anche in scontri con kalashnikov e bombe a mano.


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 9

Quattro milioni di stranieri: il 25% parla regolarmente la lingua

L’

POLITICA E SOCIETÀ

Italia ha superato nel 2008 i 60 milioni di abitanti, soprattutto grazie all’aumento della popolazione di immigrati che nel 2009, è stato calcolato, hanno superato i 4 milioni (regolari). Dopo dieci anni di residenza in Italia, uno straniero su 4 utilizza la lingua italiana anche al

di fuori dell’ambiente di lavoro. Lo afferma l’Istat in un’inchiesta sull’integrazione degli stranieri e dei naturalizzati italiani realizzata nel secondo trimestre 2008. Usa l’italiano ritenuto particolarmente importante per l'integrazione degli immigrati - la quasi totalità degli intervistati (da 15 a 74 anni) che la ritengono una “condizione spesso necessaria

per l’impiego ma poi si riduce sensibilmente nei contesti non lavorativi, in particolare in quello familiare”. La comunità che più utilizza l’italiano nella quotidianità è quella polacca (29,3%), segue quella peruviana (19,5%), albanese (19,4%) e romena (19,3%). Praticamente inesistente invece, l’uso corrente dell’italiano fra i gruppi cinese (1,2%) e filippino (2,4%).

PICCOLI ITALIANI NEGATI

Quasi un milione di figli di immigrati aspettano la legge per la cittadinanza: ma il Pdl prende tempo di Corrado

Giustiniani

a una parte 860mila minori stranieri, nati o comunque cresciuti in Italia, e il sogno di poter conferire al maggior numero possibile di loro la cittadinanza italiana. Magari con una cerimonia organizzata a scuola, i complimenti degli insegnanti e gli applausi dei compagni. Dall’altra, una legge crudele, la numero 91 del 1992, varata in piena sindrome da “assedio albanese”, che impone ai bimbi stranieri nati in Italia di trascorrere ininterrottamente 18 anni nel nostro paese, prima di poter rivendicare la naturalizzazione. Una legge - vale la pena di rinfrescare la memoria - che rappresenta un cadavere nell’armadio della sinistra, perché all’epoca venne votata all’unanimità dalla Commissione Affari costituzionali della Camera in sede deliberante: 28 presenti e 28 sì. Il governo Prodi tentò nel 2006 di riparare al guasto, per dare all’Italia norme omogenee a quelle di tutti i paesi europei più avanzati, come il Regno Unito, la Francia e la Germania. Ma il disegno di legge Amato, non adeguatamente sostenuto, si arenò in Parlamento. Una proposta di legge bipartisan presentata a fine luglio del 2009 dal finiano Fabio Granata e dal democratico Andrea Sarubbi ha ripreso e rielaborato i punti più importanti di quel progetto: il bimbo nato in Italia è italiano se la sua famiglia è già sufficientemente integrata, se cioè uno dei due genitori stranieri soggiorna legalmente nel nostro paese da almeno 5 anni. Nel caso invece di un minore nato all’estero e arri-

COSÌ IN EUROPA

D

PAESE CHE VAI, DIRITTI CHE TROVI

G

ERMANIA. A partire dal 2000 acquisiscono la cittadinanza i figli nati in Germania da genitori stranieri, purché almeno uno vi risieda da 8 anni e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato. Per i cittadini svizzeri è sufficiente un permesso di soggiorno. I bambini che diventano tedeschi per luogo di nascita, acquisiscono anche la nazionalità dei genitori ma, una volta maggiorenni, hanno 5 anni per optare fra l'una e l'altra. FRANCIA. Previste tre fattispecie. Un bambino nato in Francia da genitori stranieri diventa francese alla maggiore età, se ha la propria residenza in Francia o l'ha avuta per 5 anni a partire dagli 11: il periodo può essere continuo o discontinuo. Secondo: la cittadinanza automatica può essere richiesta a 16 anni. Terzo, può essere reclamata a 13 anni dai genitori e con il suo consenso: così ci vogliono 5 anni di residenza abituale dall'età di 8 anni. REGNO UNITO. Prima della maggior età il figlio nato nel paese può far domanda se uno dei genitori ha ottenuto il diritto di stabilirsi. Può egualmente fare domanda se ha vissuto nel Regno Unito per i primi 10 anni, senza assentarsi per oltre 90 giorni.

Bambini stranieri in classe (FOTO ANSA)

vato in Italia successivamente, questi potrà ottenere la cittadinanza italiana “dopo aver completato un percorso scolastico o professionale nel nostro paese”. Ma un autentico colpo di scena è avvenuto l’11 dicembre scorso in Commissione Affari costituzionali, quando la relatrice sulla cittadinanza, Isabella Bertolini del Pdl, dopo aver esaminato i 14 progetti sul tappeto, ha presentato e fatto approvare a maggioranza un testo unificato che, anziché migliorare la legge 91 del 1992, se possibile, la inasprisce. Rimane infatti l’obbligo di aver trascorso senza interruzioni nel nostro paese

tutti i 18 anni a partire dalla nascita: per intenderci, se il minore deve seguire il padre che ha trovato lavoro in Svizzera, poniamo per due anni, e poi torna in Italia, niente da fare: l'occasione di diventare italiano a 18 anni sfuma. Ma il testo della Bertolini chiede qualcosa in più al giovane straniero: “Che abbia frequentato con profitto le scuole almeno fino all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione”. Quel “con profitto” è una condizione che non viene richiesta ai ragazzi italiani. I minori stranieri hanno già oggi il diritto-dovere di andare a scuola fino a 16 anni, cosa che

Harpreet, under 15 il Balotelli del cricket ive con i genitori in una cascina di Pasquero, Vda frazione di poche case a un tiro di schioppo Mondovì, dove il padre, come tanti altri indiani nelle fattorie dell'Italia settentrionale, cura il bestiame e munge le mucche. Figlio unico, è la grande speranza del cricket italiano, il punto di forza della nazionale ‘under 15’ che l'estate scorsa ha vinto il titolo europeo di categoria. Si chiama Harpreet Singh, è venuto dal Panjub quando aveva 11 anni e da pochi giorni ne ha compiuti 16. “Vorrei essere cittadino italiano. Ne sarei orgoglioso. Amo questo paese di cui ho avuto l'onore di difendere i colori”. È un ragazzo giudizioso, Harpreet. A Mondovì frequenta l'Istituto professionale di meccanica, che dalla cascina dista un quarto d'ora di pullman. E in Italia ha già fatto le scuole medie: avrebbe dunque le carte in regola, secondo la proposta sulla cittadinanza Granata-Sarubbi, per diventare italiano subito, pur non essendo nato nel nostro paese. Con la legge attuale, invece, dovrà aspettare lo scoccare dei dieci anni di residenza, e non sarà comunque una passeggiata.

“Il primo anno sono stato bocciato – racconta - perché non conoscevo bene la lingua. Poi tutto è andato liscio. I miei punti di forza sono inglese e meccanica. I compagni di scuola sono tutti amici”. Ogni domenica, l'anno scorso, si metteva in treno per andare a Varese, dove giocava nella squadra di cricket dell'Euratom. Ma la grande notizia è venuta un mese fa: “Sono stato ingaggiato dal Genoa, in serie B. Forse giocherò anche in prima squadra, un sogno”. Se così sarà, questo ragazzo risulterà il più giovane giocatore di cricket d'Italia. Del resto, l’‘under 15’ che ha vinto l'Europeo era formata per dieci undicesimi da stranieri, quasi tutti del Sud Est asiatico, che hanno indossato la divisa azzurra grazie a delle particolari norme internazionali. “Tra le tante cose, la cittadinanza agevolerebbe i loro spostamenti, quando giochiamo all'estero”. Chi parla è l'allenatore, nonché nazionale azzurro, Kelum Perera, 25 anni, nato a Firenze ma di origine srilankese: lui, almeno, è stato naturalizzato a 12 anni, quando i genitori hanno ottenuto la cittadinanza italiana. C .G.

nella sua relazione la Bertolini ha mostrato di ignorare. “Forse ‘con profitto’ significa semplicemente andare a scuola”, osserva Vinicio Ongini, esperto del ministero dell’Istruzione, autore del fresco manuale di accoglienza per studenti stranieri Una classe a colori. E si chiede Sergio Briguglio, che cura su Internet un’enorme e aggiornata banca dati sull’immigrazione: “Come se la caverà chi per invalidità psichica e fisica grave non possa proprio accedere al percorso di istruzione e formazione?”. Il 22 dicembre, in aula, sul testo della Bertolini ci sono stati 37 interventi, e i falchi del Pdl e la Lega in blocco hanno ga-

rantito il loro appoggio. “Ma attenzione, sul problema dei minori ho contato 28 interventi a nostro favore”, avverte Andrea Sarubbi, che assieme a Granata sta tentando una mediazione. Fra questi, Ignazio La Russa, che ha proposto la concessione della cittadinanza alla fine delle scuole medie. Il Parlamento riapre il 12 gennaio ma una decisione sul destino della riforma della

cittadinanza verrà presa la settimana dopo. La relatrice, Isabella Bertolini, sembra orientata a rispedire il testo in commissione e a rinviare concretamente la legge al dopo-elezioni. Ipotesi fieramente avversata da Dario Franceschini e Livia Turco, ma non da Granata e Sarubbi. Tanto adesso, con il fuoco di sbarramento della Lega, non passerebbe nulla di buono.

La norma attuale obbliga a passare i primi 18 anni di vita ininterrottamente nel nostro paese

Beibei, “la preziosa” rischia perché troppo brava rischiato di non prendere la cittadinanza Hdi. Daaitaliana per essere... troppo brava negli stunon credere quanto è capitato a Beibei Zhang, dolcissima ragazza cinese, ingegnere oggi trentenne con doppia laurea, al Politecnico di Milano e all'Ecole centrale di Parigi. Beibei, nome che nella sua lingua vuol dire ‘preziosa’, arriva nel nostro paese a 9 anni, al seguito del padre Haicun, ricercatore chimico di fama internazionale. Ha lasciato il Nord Est della Cina, quella regione che in Occidente chiamiamo Manciuria, e una città, Chang Chun, che letteralmente significa ‘La Lunga Primavera’, ma dove in realtà quella stagione è brevissima, perché si passa dal caldo torrido estivo ai meno quaranta dell'inverno, con i blocchi di ghiaccio usati, per la gioia dei bambini, per costruire scivoli, castelli e ponti. Non essendo nata in Italia, l'unica possibilità di abbracciare la cittadinanza della sua seconda patria è che trascorrano dieci anni di residenza nel nostro paese. Cambia diverse città, trasferendosi assieme a mamma e papà, ma negli studi è brillantissima. All'Università sce-

glie Ingegneria. Ed ecco il paradosso: al Politecnico fanno una selezione fra gli studenti per un programma di doppia laurea, a Milano e a Parigi e lei la vince, assieme ad altri sei ragazzi. Così, si trasferisce momentaneamente a Parigi, interrompendo per forza di cose il periodo di residenza legale. La sua domanda di cittadinanza viene allora respinta: i dieci anni previsti dalla legge 91 del 1992 non ci sono più. “Non riuscivo a darmi pace – racconta - . Ma come, ho preso parte a un'iniziativa del Politecnico di Milano, sono riuscita a vincere una selezione, e voi dite che ho abbandonato l'Italia?”. Fortemente delusa, se non quasi disperata, decide allora di scrivere al Presidente della Repubblica. Il Quirinale coinvolge gli uffici del ministero dell'Interno che sovraintendono alla domanda di cittadinanza, e questi rivedono la loro decisione. Finalmente – siamo alla fine del 2008 – il sospirato decreto arriva. Messaggio finale di Beibei: “Credo che la capacità di riconoscere il simile nel dissimile sia il presupposto della pace. Italiani, teneteC .G. ne conto”.


pagina 10

Mercoledì 6 gennaio 2010

Da una parte il sindaco Stancanelli, dall’altra Cammarata

R

ECONOMIA

affaele Stancanelli è stato eletto sindaco di Catania il 15 giugno 2008. Stancanelli, candidato del Popolo della Libertà (Pdl) appoggiato anche dal Movimento per le Autonomie (Mpa) e dall'Unione dei Democratici cristiani e di centro (Udc), si è imposto con il 54,6 per cento delle preferenze sull'eurodeputato de La Destra Nello Musumeci (25,16 per cento).

Diego Cammarata (Pdl) è stato eletto sindaco di Palermo il 25 maggio 2001, al primo turno, con il 56,1 per cento dei voti. Nelle consultazioni del 2007, Cammarata è stato rieletto sindaco con il 53,5 per cento delle preferenze, nonostante la forte opposizione di Leoluca Orlando, che ha denunciato la presenza di forti brogli elettorali. Nel 2009 l'amministrazione comunale guidata da

Cammarata è stata investita dagli scandali relativi alla precedente gestione dell'Amia, l’azienda ex municipalizzata per la raccolta dei rifiuti e da quello relativo alla barca di sua proprietà che sarebbe stata custodita dal dipendente di un'altra ex società comunale (la Gesip), il quale l'avrebbe affittata in nero a terzi. La magistratura ha aperto due diverse inchieste. (g.p.)

LE VIRTÙ SECONDO TREMONTI Piovono milioni di euro su Catania e Palermo nonostante i loro bilanci disastrati

di Gianni

Barbacetto

l ministro Giulio Tremonti, con l’avallo di Roberto Maroni, premia per decreto i comuni virtuosi, quelli che hanno saputo ben amministrare i soldi dei cittadini. Ma, a scorrere l’elenco dei premiati, proprio tra i comuni virtuosi compaiono, a sorpresa, due amministrazioni notoriamente in grave dissesto: Palermo e Catania. Avranno un premio di 1.562.860 euro la prima e di 983.411 la seconda. Il premio maggiore andrà comunque a Milano che, prima nella classifica dei comuni virtuosi, avrà ben 6.815.598 euro, malgrado le incognite che pesano sul suo bilancio reale a causa di quella bomba a orologeria che sono i derivati.

I

I premi di questa generosa lotteria di fine anno sono dispensati da un decreto datato 22 dicembre 2009 e firmato da due ministri, quello dell’Economia, Tremonti, “di concerto” con quello dell’Interno, Maroni. Il meccanismo attivato è quello previsto della legge 133 del 2008, che premia gli enti locali che mantengono il “patto di stabilità”. Ossia che riescono a mantenere la spesa entro certi parametri stabiliti. I due indicatori considerati sono il grado di autonomia finanziaria (la capacità di trovare risorse finanziarie locali, grazie per esempio a tributi e tasse comunali, a prescindere da trasferimenti statali o regionali) e il grado di rigidità strutturale (cioè la capacità di tenere basso l’indice della spesa corrente). L’Unione europea, che veglia sul rispetto del patto di stabilità, ha concesso all’Italia, per il 2009, di sforare di 700 milioni di euro sugli impegni assunti con l’Europa. Il governo ha girato questa possibilità agli enti locali. Saranno dunque i comuni a poter spendere di più, secondo la classifica stilata da Tremonti. Gli impegni di spesa dovranno essere messi nel bilancio 2009. Così Milano potrà spendere

Alla città etnea l’Enel arrivò a tagliare la corrente per l’illuminazione pubblica delle strade

quasi 7 milioni in più, Palermo 1 milione e mezzo, Catania quasi un milione. Clamoroso che sia premiata come virtuosa una città come Catania, a cui l’Enel arrivò a tagliare la corrente elettrica per l’illuminazione pubblica. È in corso un’indagine giudiziaria su un dissesto che non è arrivato alla completa bancarotta soltanto grazie ai soldi arrivati dal governo. Palermo, poi, non sta molto meglio. La spazzatura nelle vie cittadine ha reso evidente la crisi dell’Amia, la società per l’igiene ambientale posseduta al 100 per cento dal comune: ha chiuso il 2008, dopo varie rettifiche di bilancio, con 180 milioni di perdite e un patrimonio netto negativo di 92 milioni e la Procura ne ha chiesto il fallimento (l’udienza è prevista nei prossimi giorni davanti al Tribunale). I suoi ex amministratori, dal presidente (il parlamentare del Pdl Vincenzo Galioto) al direttore generale, Orazio Colimberti, sono stati rinviati a giu-

dizio per falso in bilancio. E il comune, di fronte ai maneggi contabili avvenuti in questi anni, s’è rivelato incapace di esercitare qualsiasi forma di controllo. Nonostante la responsabilità delle società partecipate sia direttamente del direttore generale dell’amministrazione, Gaetano Lo Cicero, nominato l’estate scorsa dal sindaco di Palermo, Diego Cammarata, anche presidente dell’Amia. Il comune ora ha varato un aumento di capitale dell’Amia per 99 milioni con il rischio – ha sottolineato

La prima nella classifica tremontiana è Milano, su cui pesa la grande incognita dei “derivati”

nei giorni scorsi il ragioniere generale – di un depauperamento del patrimonio dell’amministrazione. Ma la società ha già ingoiato e distrutto altri 80 milioni che il sindaco ha ricevuto dal governo Berlusconi con il decreto “mille proroghe”. Senza contare altri 150 milioni stanziati dal Cipe l’estate scorsa a favore del comune, e non ancora utilizzati, per investimenti nel campo dell’igiene ambientale. La società palermitana dei trasporti, l’Amat, ha 10 milioni di debito. Quella del gas, la Amg, 2 milioni. La società di servizi Gesap, altra macchina mangiasoldi, è sull’orlo del fallimento: ha chiuso il 2009 con un “rosso” di 9 milioni e prevede per il 2010 un deficit di 14 milioni. Ora sta addirittura per decidere un taglio del 20 per cento degli stipendi dei dipendenti. Evidentemente c’è qualcosa che non va nel meccanismo che valuta la virtuosità degli enti e stabilisce i premi. «Tremonti guarda solo i conti che le amministra-

La spazzatura per le strade di Palermo, con l’azienda municipale in crisi

zioni gli presentano, senza alcun controllo», protesta Davide Faraone, capogruppo Pd a Palermo. Non sono considerati i servizi offerti ai cittadini (tanto che città come Reggio Emilia e Massa, Forlì e Ravenna,

sono in classifica molto dietro a Palermo e Catania). E non sono calcolati i soldi persi dalle aziende controllate. Così le amministrazioni incassano, senza migliorare di un millimetro le loro virtù.

Il microcredito esiste, ma non lo applicano di Paola Zanca

n italiano su quattro non ha accesso al credito. ULi chiamano Ovvero, se va in banca, non gli prestano un euro. soggetti “non bancabili”: sono quelli che non hanno nessuna garanzia da offrire, né una casa, né un contratto a tempo indeterminato. Precari, immigrati, famiglie disagiate, aspiranti imprenditori. Quelli che di un prestito avrebbero più bisogno e invece si ritrovano nella spirale del “non hai, quindi non avrai”. E rischiano di finire nelle “fauci” delle finanziarie e dei subprime. La loro unica alternativa si chiama microcredito. “Ritmi” è la rete italiana che raccoglie 21 organizzazioni che si occupano di offrire credito a chi non ne ha. “L’Italia – spiega il presidente Daniele Ciravegna – con il suo 25%, ha uno dei tassi di esclusione sociale e finanziaria più alti d’Europa”. Per combatterla servirebbero 50 miliardi di euro (12 da destinare alle fa-

miglie, 11 agli immigrati, 27 alle imprese in difficoltà). In Francia solo il 2 per cento dei cittadini è escluso, in Germania il 3, nel Regno Unito il 6 mentre perfino in Spagna la percentuale si ferma all’8. Secondo Alessandro Messina, responsabile del settore Crediti Retail dell’Abi, le ragioni del nostro primato negativo sono dovute a “infrastrutture culturali”: “Da un lato c’è un’altissima propensione al debito. Nel nostro paese il 95 per cento dei pagamenti avviene in contanti: c’è una rarefazione delle relazioni fiduciarie, che le varie fusioni di banche non hanno che aggravato. E poi c’è un’altra questione: in Italia le banche non hanno ancora superato del tutto la transizione tra pubblico e privato. Tornano di moda le attenzioni pubbliche sul mercato del credito”. Per fortuna, non sempre sono negative. Il Lazio, ad esempio, è una delle regioni italiane che più ha investito nel microcredito: per il triennio 2009-11, sono stati stanziati 18 milioni di euro. “Per noi si tratta di un intervento di

che dimostrino la capacità di restituzione. La differenza con i circuiti del credito ordinario, però, stanno non solo nei tassi di interesse e nei tempi di restituzione più dilatati, ma anche in quella che chiamano la “centralità della persona”: una valutazione etica e sociale dei beneficiari. Al prestito, inoltre, segue un percorso di accompagnamento e monitoraggio che dura fino alla restituzione. Finora, i risultati scarseggiano. Il governo Prodi nel 2007 ha istituito il Comitato nazionale per il Microcredito. Dipende dalla presidenza del Consiglio dei ministri e lo presiede Mario Baccini. L’ultimo comunicato risale al 2 marzo del 2007. Le ricerche realizzate o promosse dal Comitato sono ferme al 2006. Tre quarti delle pagine del sito web risultano “in allestimento” e manca ancora la legge che ne regolamenti le funzioni. “A breve ci sarà una circolare del governo” promette Baccini. Ma chi tutti i giorni lavora su questi temi, non ci crede troppo: “Nel Libro Bianco sul Welfare pubblicato dal ministro Sacconi – denuncia Sabina Siniscalchi della Fondazione culturale di Banca Etica – la parola ‘microcredito’ non è scritta nemmeno una volta, così come non compare in nessuno delle decine di progetti di legge per uscire dalla crisi depositati alla Camera e al Senato”. Anche l’Abi ha chiesto al governo di riconoscere le specificità del microcredito come strumento finanziario: i suoi tassi di interesse soglia, il suo numero massimo di operazioni, e così via. “Ci sono già 250 banche impegnate a vario titolo in programmi di microfinanza – spiega Messina dell’Abi – ma le riforme di sistema possono passare solo attraverso una strategia di mercato, che non ha valenza né etica, né solidaristica, né mutualistica”. Lo sanno gli imprenditori: “Con l’avvento della crisi, non ho trovato nelle banche atteggiamenti diversi da quelli prima della crisi – spiega Carmelo Rigobello, coordinatore nazionale di Confartigianato Persone – Sempre la stessa: ‘Se mi dai garanzie ti do i soldi, se no niente’. Va a finire che si dà il denaro a chi lo ha già”.

Lanciato dal governo Prodi nel 2007 per aiutare il 25% della popolazione snobbata dalle banche

Consulente al lavoro in una filiale (FOTO ANSA)

welfare – spiega Luigi Nieri, assessore al Bilancio – L’azione che abbiamo provato ad attivare è quella di smontare nel cittadino temporaneamente povero lo status di ‘assistito sociale’ cercando invece di spronarlo a risolvere i problemi che lo hanno indotto a indebitarsi attraverso degli aiuti economici e una rete di sostegno diretto che potremmo definire di ‘filiera sociale’”. Il microcredito non è solo “sociale”, ma è soprattutto uno strumento per la creazione di nuove realtà imprenditoriali. Sia chiaro, nessuno fa beneficenza. Servono documenti che giustifichino la richiesta (preventivi di spesa, bollette insolute, ecc.) ed altri


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 11

Aduc raccoglie le firme per una class action contro Microsoft

L’

ECONOMIA

Aduc, associazione dei consumatori, propone la prima causa collettiva italiana contro il colosso Microsoft. La class action chiede il rimborso del sistema operativo Windows preistallato nei personal computer al momento dell’acquisto. Riguarda esclusivamente chi ha comprato un pc per uso privato, senza partita

Iva. Altri requisiti fondamentali non aver mai accettato la licenza d’uso del software della Microsoft e non averlo mai utilizzato. “Una causa pilota - spiega l’Audc - è già stata promossa presso il giudice di pace di Firenze, ed è già stata vinta”. Ma le cause individuali sono costose per i singoli cittadini, così “l’azione collettiva diventa necessaria dal momento che gli

utenti coinvolti, che vorrebbero il risarcimento, dal momento che non hanno mai utilizzato Windows, sono davvero molti”. Proprio per verificare questo interesse collettivo l’Aduc annuncia una campagna di adesione sul proprio sito web (www.aduc.it). Aderire non comporta alcun impegno, ma se saranno raggiunti buoni numeri l’Aduc avanzerà la class action.

ALTRO CHE INFLAZIONE BASSA IN ITALIA NON C’È UN EURO IN CASSA Il fabbisogno dello Stato vola. Ma non viene attuata nessuna misura Con il governo immobile per l’imminente campagna elettorale

di Superbonus

uando una famiglia spende abitualmente più di quanto guadagna, se vuol mantenere il proprio consueto tenore di vita dovrà indebitarsi per un importo pari alla differenza fra entrate e uscite. Ogni alternativa concreta a questa regola di elementare economia domestica è legata al caso (gioco d’azzardo, eredità imprevista), alla violazione della legge (una rapina in banca) o a tutte due le cose insieme (mettersi in mano agli strozzini). Se dalla famiglia passiamo

Q

La spesa corrente complessiva è aumentata di 20 miliardi rispetto al 2008

allo Stato, il cosiddetto “fabbisogno” non èaltro che la differenza fra quanto il Tesoro incassa e quanto spende. Se il saldo è negativo, come una qualsiasi famiglia, lo Stato dovrà tagliare le spese o finanziarsi con nuovo debito. Da noi, di fatto, si preferisce la seconda strada. Questa saggezza di stampo familiare forse è troppo elementare per impressionare il dibattito politico e l’informazione italiana, che di fronte alla notizia dell’impennata del fabbisogno statale a quota 86 miliardi ha sostanzialmente ignorato la faccenda. Tutta la grande stampa nazionale, al seguito dell’informazione radiotelevisiva, ha dedicato commosse articolesse al raffreddamento dell’inf lazione, “la più bassa degli ultimi 50 anni” (sai che notizia, in tempi di crisi), e si è dimenticata di raccontare come e perché l’ottimo professor Giulio Tremonti ha speso 86 miliardi di euro in più di quanto ha incassato. Eppure siamo di fronte a una crescita del 57% rispetto al 2008, con una cifra – quegli 86 miliardi - che vale poco più del 5% del Pil. La faccenda, ulterior-

A destra il ministro dell’Economia Giulio Tremonti; in basso il direttore de il Sole 24 Ore”, Gianni Riotta

mente semplificata, significa che se tutte le imprese italiane, pubbliche e private, volessero ripagare questo debito, dovrebbero rinunciare a circa20 giorni di fatturato. Sempre in base ai dati resi pubblici lunedì, nonostante l’inflazione bassa, il governo è riuscito a spendere 5 miliardi in più per beni e servizi e la spesa corrente complessiva è aumentata di 20 miliardi rispetto al 2008. Il ministero dell’Economia ha subito tenuto a sottolineare come il dato finale del fabbisogno 2009 sia stato però leggermente inferiore alle stime di ottobre. Una precisazione che sarebbe comica se non fosse un tentativo di dire all’opposizione e ai giornali: “Non c’è notizia, ve l’avevamo detto che sono tempi bui!”. Viste le dimensioni del debito pubblico rispetto alla ricchezza nazionale, con il rapporto deficit-pil arrivato al 117%, è come se un

dottore vi comunicasse che avete una grave malattia. Però avendo cura di aggiungere che, in fondo, un po’ ce lo si immaginava da qualche tempo. Sai che soddisfazione. Ci hanno anche detto, ma mol-

to tra le righe, che il prossimo anno il governo brucerà altri 20 giorni della vita dei nostri figli caricando sulle loro spalle un ulteriore debito. Abbozzando una stima veloce, a meno che si rimetta mano alla Finanziaria

Sole 24 Ore: Riotta premia Giulio, la redazione si ribella SOTTO ACCUSA L’ELEZIONE A “UOMO DELL’ANNO”. IL CDR: “NON SAPEVAMO NULLA”. E IL DIRETTORE SORVOLA

di Carlo

Tecce

l Sole 24 Ore giovedì 31 dicembre ha sorpreso i Idelsuoi lettori e pure i redattori. “Le grandi firme Sole scelgono...”, titolo per il premio all'economista del 2009, un podio a tre che gli allibratori avrebbe pagato spiccioli: primo il ministro Giulio Tremonti, secondo Sergio Marchionne della Fiat, terza appena Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria e di fatto proprietaria del quotidiano. Gianni Riotta aveva lanciato un sondaggio nella riunione tra i capi e e i pochi scampati alle ferie. Era il 30: “Questi tre nomi vincono”, il direttore anticipa la risposta alla domanda. “Noi giornalisti del Sole - spiega un cronista - abbiamo appreso la novità con la lettura in edicola”. E le “grandi firme”? La Voce .info fa un sondaggio, vero, e raccoglie zero riscontri: “Ne abbiamo interpellati alcuni a caso, tra gli economisti che collaborano al Sole. Nessuno aveva mai sentito parlare del concorso e del premio”. Nemmeno tra le scrivanie del giornale: “Era un'idea di Riotta, ha informato pochi e indicato molti”, aggiunge il cronista. Tra la pattuglia di elettori di Tremonti – 'il ministro dell'Italia che produce meno 5 di Pil e il 117 per cento di debito pubblico del pil', scrive la Voce .info, scappano via i redattori che, in una nota

del Cdr, comunicano il proprio dissenso: “Sentiamo l'esigenza di chiarirci con i lettori a proposito della scelta del ministro Tremonti come uomo dell'anno. L'articolo potrebbe indurre il lettore a pensare che il corpo redazionale, o almeno i colleghi che si occupano di politica o di vicende legate a Tremonti, siano stati consultati o abbiano fatto parte del panel. Così non è stato: la decisione è stata presa dalla direzione”. E quindi da Riotta in persona, e quindi senza scomodare firme. Il Cdr trova spazio in un angolo di pagina 12. Il direttore è uno sfoglio davanti, alla 10, nei commenti. Severo e ironico: “Stilando, alla vigilia di capodanno, la classifica dei personaggi del 2009 ci sembrava al massimo di aver peccato per mancanza di originalità (confessiamo: […] nessuno aveva ancora toccato lo spumante!). I nomi votati dai colleghi includono...”. E giù con la lista. Ma quali colleghi avevano votato? Riotta sorvola: “Ricor-

BUONE NOTIZIE

diamo l'Epitteto studiano da giovani, il Manuale: l'infelicità del servo è credere che tutto il mondo sia popolato solo da servi, suoi simili infelici”. I colleghi del Sole raccontano che Riotta rischiava di mordersi i polsini della classica camicia bianca, nel tentativo di fermare le rotative: all’ultimo secondo, pare abbia deliberato il sorpasso di Tremonti su Marchionne. Anche la Voce .info ha distribuito delle medaglie, a Riotta assegnano il premio Indipendenza 2009: “Per il coraggio mostrato”. E chiede con irriverenza: “Come avrà accolto la Marcecaglia il terzo posto per ‘uomo dell’anno?”. Riotta sigilla la faccenda all’esterno con un editoriale di venti righe - “Non dico altri, basta quanto pubblicato” - eppure all’interno della redazione crescono i malumori. L’alloro di Tremonti è soltanto un ornamento che scopre e copre i mugugni al Sole 24 Ore recepiti dal comunicato del Cdr.

a cura della redazione di Cacaonline

ACQUA PRIVATA E CARNE “PUBBLICA” La privatizzazione dell’acqua Cinque Regioni dicono NO alla privatizzazione dell'acqua. E una della amministrazioni è pure di centrodestra! Piemonte, Toscana, Puglia e Liguria hanno annunciato di voler impugnare davanti alla Corte Costituzionale il decreto legge Ronchi sulla gestione dei servizi pubblici locali, tra cui l'acqua,, mentre l'Abruzzo ha usato un cavillo legale. La legge 166/2009 riguarda infatti i servizi di interesse economico e la Regione Liguria ha dichiarato l'acqua un servizio “privo di rilevanza economica”. E' la prima Regione italiana amministrata dal centrodestra a votare

una delibera di questo tipo. Passateparola! Le virtuose mense scolastiche di Ancona Le mense scolastiche pubbliche anconetane sono un modello da imitare per quanto riguarda alimentazione sana e controlli sul cibo. Distribuiscono già carne certificata di provenienza locale e prodotti freschi da agricoltura biologica. Dal primo gennaio 2010 inoltre sarà biologica anche la pasta, uno degli alimenti più consumati (230 quintali all'anno). (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)

appena approvata, alla fine del 2011 i tre governi guidati da Berlusconi dal 2001 a oggi avranno aggravato il debito pubblico di circa 360 miliardi di euro: il 20% dell’intera astronomica somma giunta a sfondare quota 1.800 miliardi. Ma la finanza allegra aiuta nella costruzione del consenso e soprattutto con i mezzi d’informazione. Un’editoria “impura” come è assai sensibile al fatto che il più grande committente di servizi, beni e opere pubbliche continui a lasciare aperti i cordoni. I maggiori quotidiani italiani si guardano bene dal chiedere rigore. Questo giornale, i cui padroni non costruiscono e non finanziano né ponti, né cliniche, né automobili, né centrali, scrive invece dal primo giorno che c’è un problema grave nei conti dello Stato. Invece l’élite dei beneficiati della spesa pubblica non cambia mai e ha interesse che tutto vada come al solito, nella speranza di agganciarsi a una qualche ripresa internazionale: minimizza sempre, nella convinzione che l’importante sia partecipare al banchetto. Ricordatevelo quando “autorevoli commentatori” scriveranno che ci vuole una riforma fiscale “condivisa”, come ha annunciato Tremonti sotto Natale. Tradotto, significa che prima o poi toccherà aumentare la pressione fiscale, camuffandola con una riforma delle aliquote.

L’esecutivo di Berlusconi è riuscito a spendere 5 miliardi in più per beni e servizi


pagina 12

Mercoledì 6 gennaio 2010

DAL MONDO

Gli occhi dell’angelo della morte e la Auschwitz argentina PROCESSO AL TORTURATORE ALFREDO ASTIZ IN AULA DAVANTI ALLE SUE VITTIME di Anna Vullo Buenos Aires

arlos Lordkipanidse si appoggia a un tavolo fuori dall’aula e si accende una sigaretta. Ha gli occhi arrossati. “È un gran sollievo vedere i repressori alla sbarra”, si lascia andare. “Questo processo è un evento straordinario, il primo risultato dopo un’attesa di oltre trent’anni per ottenere verità e giustizia”. Qualcuno si asciuga le lacrime, altri si abbracciano. Ci sono le madri dei desaparecidos con i fazzoletti bianchi in testa, i figli e i nipoti di uomini e donne inghiottiti dal nulla e mai più ritrovati, gli amici delle trentamila persone sequestrate e scomparse negli anni bui della dittatura argentina. Si è da poco conclusa la quarta giornata del mega-processo Esma, l’ex Scuola Meccanica della Marina, uno dei principali centri di detenzione, tortura e morte tra il 1976 e il 1983. I pubblici ministeri lasciano l’aula stremati dopo la lettura dell’interminabile sequela di orrori perpetrati all’Esma. I calci e i pugni, le bruciature con i mozziconi di sigarette, le

C

torture con la picana elettrica, le visite dei medici militari per saggiare la resistenza delle vittime a nuove scariche. I “trasferimenti” dei detenuti sui famigerati voli della morte dai quali venivano lanciati vivi nelle acque del Rio de La Plata, il fiume su cui affaccia Buenos Aires, e la sottrazione illegale di decine di neonati, nati tra le mura dell’ex Scuola Meccanica della Marina da giovani detenute e dati in adozione a famiglie di militari. “È dura rivivere quell’inferno dopo tanti anni. Ma siamo decisi ad andare avanti finché non saranno condannati tutti i responsabili”. commenta Ana Maria Careaga, figlia di una delle madri di Plaza de Mayo uccise all’Esma e a sua volta sequestrata e torturata in un altro campo di prigionia, il Club Atletico. Ana ha ancora il corpo devastato dai segni delle torture. Quando fu sequestrata aveva appena 16 anni ed era incinta di 3 mesi. “Sono rimasta 5 mesi incappucciata e incatenata”, racconta. “Mi slegavano solo per scaricarmi addosso la corrente elettrica”. Ciononostante, il bebè che portava in grembo è soprav-

vissuto. Gli imputati vengono portati via in manette, a coppie di due. In tutto 18, una minima parte di coloro che sequestrarono, torturano e uccisero presunti oppositori al regime all’interno dell’Esma. Jorge Acosta, detto el Tigre, Adolfo Donda, Antonio Pernias, Juan Carlos Rolon, il capitano Ricardo “Serpico” Cavallo, per citare i più conosciuti. E l’ex capitano di corvetta Alfredo Astiz, detto l’“angelo della morte”, simbolo dell’orrore di quegli anni. Astiz è chiamato a rispondere di crimini contro l’umanità per numerosi omicidi, tra cui quello della fondatrice delle Madri di Plaza de Mayo, Azucena Villaflor, di due monache francesi e del giornalista e scrittore Rodolfo Walsh. L’ex capitano di corvetta porge il braccio destro alle manette, lo sguardo azzurro appannato dagli anni. Nell’altra mano stringe “Il processo” di Kafka. Una nuova provocazione dopo quella dell’udienza di apertura, quando Astiz ha mostrato al pubblico “Tornare a uccidere”, un libro scritto dall’ex responsabile dei servi-

zi segreti Juan Bautista Yofre. Con quale libro si presenterà alla prossima udienza, il 14 gennaio? Al piano superiore, su una balconata che affaccia sull’aula, siedono amici e familiari degli ex torturatori. Mogli e figlie ben vestite e pettinate, molte con un’espressione di sfida o fastidio, come se essere qui fosse solo una sgradevole incombenza. Nell’inferno dell’Esma sono passate circa 5500 persone, gran parte delle quali uccise o scomparse. Una “piccola Auschwitz argentina”, secondo la definizione dei pubblici ministeri. Carlos Lordkipanidse, 57 anni, è tra i sopravvissuti a quell’inferno. Aveva 26 anni quando fu sequestrato, a poche ore di distanza da sua moglie e suo figlio. Ricorda ancora le parole del Tigre Acosta: “Vos te vas para arriba”, tu te ne vai in cielo, gli disse alludendo ai voli della morte. “Mi salvai accettando di lavorare nel settore di falsificazione dei documenti di identità all’interno dell’Esma”, spiega Carlos. “Ero fotografo grafico e il mio contributo per i militari era

“Educato a distruggere” “Io dico che a me, la Armada ha insegnato a distruggere. Non mi hanno insegnato a costruire, mi hanno insegnato a distruggere. So come usare mine e bombe, so infiltrarmi, so disarmare un’organizzazione, so uccidere. Tutto questo lo so fare bene. Io dico sempre: sono un bruto, ma ho compiuto un solo atto lucido nella mia vita, che fu quello di arruolarmi nella Armada”. Alfredo Astiz, 1998 (FOTO ANSA)

prezioso”. In cambio furono liberati sua moglie e suo figlio. Due anni e mezzo dopo, mentre era in regime di libertà vigilata, grazie all’appoggio delle Madri di Plaza de Mayo e al Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel è riuscito a scappare in Brasile e poi in Svezia, dove ha vissuto diversi anni prima di tornare a Buenos Aires. “La paura mi accompagna sempre”, confessa. “Quando esco di casa, mentre vado a prendere mio figlio a scuola. Dopo quello che è successo a Julio Lopez (un ex muratore scomparso nel 2006 dopo aver testimoniato nella causa contro

Miguel Etchecolatz, ex repressore condannato all’ergastolo, ndr) e Héctor Febres (ex ufficiale di Marina avvelenato nel 2007 mentre attendeva il giudizio per crimini commessi durante la dittatura, ndr), ho capito che i militari hanno ancora il potere di fare ciò che vogliono”. La storia di Carlos si incrocia con quella di Victor Basterra, anch’egli grafico e mano d’opera “schiava” all’interno dell’Esma. “Fotografavo i militari per produrre documenti falsi”, spiega. Tra questi c’erano anche quattro passaporti per Licio Gelli, fuggito dall’Italia e rifugiatosi in Uruguay in attesa di raggiungere la Svizzera. Rischiando la vita, Basterra è riuscito a nascondere e a sottrarre all’Esma centinaia di foto, non solo di militari ma anche di detenuti, che al termine della dittatura ha consegnato alla Commissione preposta alle indagini sui desaparecidos. Materiale preziosissimo per riconoscere e identificare i repressori e in parte perduto o fatto sparire nel passaggio da un tribunale all’altro. “Uno choc”, ammette. “In questi anni ho visto tanta complicità tra il potere giudiziario e i militari, mi riesce difficile aver fiducia nella giustizia”. “Oggi c’è chi preferisce parlare di una guerra civile”, aggiunge Basterra. “Ma noi sappiamo che si è trattato di un vero e proprio piano di sterminio con un obiettivo preciso: annichilire, attraverso il terrore, una società profondamente politicizzata per implementare un modello economico di esclusione, poi culminato nell’elezione di Meném del 1989”.


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 13

DAL MONDO

LO YEMEN E I “CATTIVI RAGAZZI” TORNATI DA GUANTANAMO Dietro il fallito attentato aereo di Detroit ex prigionieri sauditi di Leo Sisti

“ui”, Said e Ibrahim, li conosce bene. Sa tutto di loro, e di altri 9 bad guys, cattivi ragazzi, su 570, come li aveva definiti, in un'intervista esclusiva per Il Fatto Quotidiano del 5 novembre scorso. “Lui” sua altezza reale è il principe Turki, della famiglia reale dell'Arabia Saudita. Con una punta d'orgoglio aveva circoscritto a quella, a parer suo, modesta cifra, il numero di chi, pur avendo seguito nel suo paese un programma di riabilitazione dopo essere stati liberati tra il 2006 e il 2007 dopo anni di detenzione nel carcere di Guantanamo, si erano dati alla macchia. Erano ritornati a essere militanti di Al Qaeda, lasciando gli altri 559 compagni ormai “redenti” al loro destino e varcando il confine del vicino Yemen. Pronti alla battaglia ed ad atti terroristici nel nome Osama Bin Laden. Said è Said Ali al-Shihri. Ibrahim e Ibrahim è Suleiman al Rubaish. Il primo è il vice capo di Al Qaeda nello Yemen, e il secondo ne è il consigliere ideologico. È pensando anche a loro due e al gruppo di yemeniti, una novantina, su 200, ancora oggi ospiti della prigione, accusati di essere militanti dello “sceicco del terrore”, che martedì 5 gennaio il presidente americano Barack Obama ha aperto il libro di ciò che ”è andato storto”, insomma i buchi, nel fallito attentato di Natale del ragazzo nigeriano Umar Abdulmutallab. Distribuendo i suoi “j'accuse” nel summit convocato alla Casa Bianca con il segretario di stato Hillary Clinton, i segretari della difesa e della sicurezza nazionale, Robert Gates e Janet Napolitano, nonché i big della Cia e dell'Fbi, Leon Panetta, e Robert Mueller. Gli ex di Guantanamo attivi in Ye-

“L

men sono una dozzina. Tutti yemeniti o sauditi, ora uniti dopo la fusione del gennaio 2009 tra le rispettive “filiali” di appartenenza di Al Qaeda. Shiri, il leader più “autorevole”, era stato raggiunto mesi fa da un altro saudita, Mohammed al-Aufi, già “studente” del programma di riabilitazione fissato da Riyadh. Ma poi l'ha perso. Mohammed, convinto dai suoi parenti, si era consegnato alle autorità saudite. Uno degli uomini più fidati di Shihri era Hani Abdo Shaalan, yemenita, uscito da Guantanamo nel giugno 2007. Ma è morto, ucciso il 17 dicembre durante un raid aereo in una zona a nord della capitale Sana'a. Secondo fonti dello Yemen stava per organizzare un attacco a suon di bombe contro l'ambasciata inglese. Ora chi guida la filiale yemenita di Al Qaeda, oltre a Shiri, è il suo capo, lo yemenita Nasser al-Wuhayshi, che ha un carnet di guerra di prim'ordine, l'assalto dell'ottobre 2000 al cacciatorpediniere americano “USS Cole”, nel golfo di Aden: 17 marines straziati da un barchino suicida carico di esplosivo. Se Nasser continua la sua opera di distruzione, è perché Sana'a ha usato una mano morbida nei confronti dei qaedisti locali. Alcuni di questi, sospettati per i fatti della “USS Cole” sono stati rilasciati. Altri, come Wuhayshi, sono riusciti ad evadere di prigione nel 2006. Un altro saudita legato ad Al Qaeda e fuggito nello Yemen è, anzi era, Abdullah Hassan al-Asiri. Il 27 agosto del 2009 si presenta a Riyadh. Aveva chiesto un colloquio con il vi-

ce ministro dell'Interno, il principe Mohammed bin Najef, supervisore del programma di riabilitazione. Voleva arrendersi personalmente nelle sue mani, assicurando che avrebbe convinto altri a fare lo stesso. Peter Bergen, esperto di terrorismo, autore di un libro sul suo incontro con Bin Laden pubblicato una settimana prima dell'11 settembre 2001, rievoca l'episodio: “Aveva anche lui il micidiale Petn nelle mutande. Proprio come il giovane Umar. Abdullah è saltato in aria, mentre il principe Najef è rimasto praticamente illeso. La cosa incredibile è che il Petn non era stato rivelato dal metal detector al quale Abdullah era stato sottoposto. Un'esperienza che

Nel vertice sulla Sicurezza Obama striglia i suoi che studiano piani per una risposta efficace ai terroristi

non ha insegnato nulla per la vicenda del volo Amsterdam-Detroit”. Per la serie “lezioni apprese”, adesso Guantanamo, come ha ammesso lo stesso presidente Obama, non sarà chiuso per la data promessa l'anno scorso, e cioé entro un anno dal 22 gennaio 2009, due giorni dopo l'insediamento alla Casa Bianca. Le incognite sono molte, non ultima la questione degli yemeniti là ancora ospitati nell'isola di Cuba. Ce n'erano 97, sei sono rientrati a casa una settimana prima di Natale. Quindi sono ancora esattamente 91, poco meno della metà del totale. Sono ritenuti i più irriducibili, anche se una trentina di loro ha già ottenuto il permes-

so di andarsene, essendo lì da anni senza imputazioni formali. Probabilmente chi dovrà decidere sul loro destino si starà rileggendo tutte le note su Said Ali al-Shihri, 36 anni. Era stato accusato di far parte di Al Qaeda, di aver finanziato con 1.867 dollari il viaggio di altri combattenti dal Bahrain all'Afghanistan. Aveva sostenuto d’esser un musulmano e non un terrorista; e che Bin Laden s’era allontanato dall'Islam e dal popolo. Certo frasi che possono esser state estorte con la tortura. Infine fa quasi sorridere la motivazione con cui Shihri ha giurato di cambiar vita: “Se mi libererete - ha detto - farò ritorno a Riyadh, dove i miei gestiscono un negozio di mobili”.

scià, aveva l’onore di tenere la predica del venerdì all’Università di Teheran. I padri dei ragazzi che adesso vengono bastonati e incarcerati per suo ordine lo ascoltavano perché, fra i personaggi del clero militante, era uno dei più dotti e raffinati. Di quella cultura, ma soprattutto di quella raffinatezza, adesso è rimasto ben poco. Dalla sua roccaforte di Qom egli comanda, proclama, manovra per reprimere ogni vento di libertà. Lui e il suo sagrestano Ahmadinejad per tutti questi anni hanno sabotato ogni apertura democratica verso occidente compiute da due fra i presidenti della Repubblica islamica passati sotto il loro torchio. Non solo ma tanto Rafsanjani quanto Khatami hanno dovuto seguire le sue indicazioni in tema di nucleare, sul quale pure avevano grosse riserve. Prima di Moussavi i leader “laici” della nomenclatura iraniana hanno dovuto tirare il freno per salvare la testa, lasciando gli studenti e i liberali al loro destino, dopo esserne stati il maggior punto di riferimento per anni e anni. Khamenei non teme una rivolta come quella che depose lo scià perché i mostazafin, le immense masse di manovra sottoproletaria che sostennero la guerra degli intellettuali e gli studenti nel 1989, questa volta stanno dalla sua parte. Come dalla sua parte sta il

Cina: sanzioni non ora

L

a Cina ha detto oggi all'Onu che questo non è il momento giusto per far scattare nuove sanzioni contro l’Iran. L'ambasciatore cinese alle Nazioni Unite Zhang Yesui ha detto a New York che per risolvere il problema “occorrono più tempo e pazienza. Questo non è il momento giusto per le sanzioni perché i tentativi diplomatici sono ancora in corso”, ha detto il rappresentante di Pechino. Il segretario di stato americano Hillary Clinton aveva detto lunedì a Washington che gli Usa hanno già iniziato consultazioni con i paesi alleati per discutere "pressioni e sanzioni" nei riguardi di Teheran per ottenere la rinuncia al suo programma nucleare.

BODY SCANNER ANCHE IN ITALIA INDIA

Baby star si uccide a 11 anni

N I ministri Frattini e Maroni hanno dato l’ok all’installazione di body scanner (valore circa 700.000 euro l’uno) a Fiumicino e Malpensa. L’ex parlamentare trans Vladimir Luxuria ha definito la misura “un’umiliazione per i trans”. L’ambasciata Usa a Sana’a (FOTO ANSA)

IL RELIGIOSO IRANIANO RIMANE NELL’OMBRA DIETRO LA REPRESSIONE COMPIUTA DAL FIDATO AHMADINEJAD

er quei dilanianti contrasti che la storia Pnei,spesso ci offre, l’ayatollah Ali Khameai tempi della Rivoluzione contro lo

IRAN

Sicurezza aeroporti

Khamenei, la Guida Suprema senza carisma di Giancesare Flesca

N

clero, per nulla interessato ad allargare le maglie della teocrazia. Ma come si spiega la grande forza di Khamenei? L’ayatollah supremo iraniano Ruhollah Khomeini morì nel giugno dell’89. Cinque mesi più tardi, e dopo un’occidentalissima lotta per il potere, Khamenei fu designato suo successore, come guida spirituale dei fedeli sciiti. Spiegare (e spiegarsi) che cosa sia la “guida spirituale” per la religione che si pratica in Iran è impresa assai complicata. Essa non ha poteri o responsabilità politiche, ma veglia dall’alto sull’indirizzo complessivo della classe dirigente. Sotto di lei il presidente della Repubblica democraticamente eletto è un semplice vassallo che, almeno in teoria, deve conformarsi alle grandi linee indicate dal Capo supremo. Quest’ultimo infatti possiede, per la religione sciita, il cosiddetto Velayat al Faquiyt, che è cosa ancora più complicata da spiegare: si tratta di un potere derivante direttamente da Dio, e quindi un potere assoluto, che fa di lui il Capo supremo di tutta la nazione. Con l’intransigente Khomeini non era difficile capire cosa fosse davvero il Velayat al Faquiyt. Nessuno osava ostacolarlo, contrastarlo o prendere decisioni a lui sgradite. L’eredità piombata sul cinquantenne Khamenei fu tremenda. Lui non aveva il glorioso curriculum del suo predecessore, non ispirava autorità e dominio come faceva Khomeini con un semplice movimento degli occhi. Né aveva il carisma del Grande Esule.

Nato a Mashhad, una delle città sante del nord-est iraniano, aveva fatto i suoi bravi studi coranici nelle madrasse locali, prima di arrivare a Teheran dove si fece notare per una fine oratoria e un’altrettanta fine capacità nell’intrigo politico. Quando era in corsa per la sua eredità Khomeini disse di lui che era un moderato, ma con forti risentimenti verso l’occidente. Il vero erede di Khomeini era il moderato Montazeri, quello morto poche settimane fa. Nel periodo della successione lanciò un attacco a Khamenei. Era il 14 novembre, un mercoledì. Due settimane dopo l’ufficio di Montazeri fu invaso da decine di sostenitori di Khamenei, i mobili distrutti, gli scritti dell’ayatollah sequestrati, lui stesso e alcuni sostenitori col turbante nero, simbolo di una diretta discendenza dal

Nato a Qom, astuto oratore, ha sbaragliato, senza pietà, la concorrenza alla successione di Khomeini

Profeta, picchiati a sangue e umiliati. Khamenei rifiutò qualsiasi paternità dell’attacco. Ma questo episodio permette di tentare una fioca luce sugli ultimi venticinque anni in Iran. Il paese si apriva verso occidente prima col presidente Rafsanjani e poi con il presidente Khatami, ma l'ayatollah supremo dalla città sacra li sbugiardava o organizzava battaglie contro di loro. Quanto ai presidenti americani, Bush, per Khamenei è solo un uomo assetato di sangue che ha condannato l’Iran in quanto colpevole di voler “esportare il terrorismo” e di star preparando. l’atomica; né meglio si sta dimostrando Barack Obama. Che prima dice di volere il dialogo e poi lo sabota sostenendo gli oppositori. Intanto le molte fondazioni presiedute da pezzi grossi del regime, raccogliendo elemosine e afferrando appalti statali posseggono un forte potere economico, che quasi sempre viene destinato agli “eroici combattenti” hezbollah, senza che Khamenei venga formalmente coinvolto. Il che non gli ha impedito di pronunciare un discorso di grande ammirazione per i kamikaze islamici, che offrono a Dio la loro vita. Tanto bastò a Washington per inserire l’Iran nella lista degli Stati rogue, canaglia. Una mossa che molto ha nuociuto ai democratici iraniani. Così come oggi il sacrosanto sostegno dell’occidente ai giovani in rivolta rischia di soffocarli nell’abbraccio amoroso e mortale della Repubblica islamica.

eha Sawant, una bambina indiana di 11 anni famosa per aver partecipato con successo in reality show di ballo a Mumbai, si è impiccata a casa sua con una sciarpa. Lo scrive The Times of India secondo cui una possibile ragione del suicidio sarebbe la decisione della famiglia di farle abbandonare l’attività artistica per intensificare gli studi scolastici.

USA

Suicida erede Johnson&Johnson

L’

erede del gruppo americano Johnson & Johnson, Casey Johnson, 30 anni, è stata trovata morta nella sua abitazione di Los Angeles. La donna, secondo quanto riferito dalle autorità, sarebbe deceduta per cause naturali, ma sulla vicenda si attendono i risultati delle analisi del medico legale: gli investigatori non escludono però extra ufficialmente che sia morta a causa di una overdose.

CILE

Crolla il palco del candidato Frei

A

due settimane dal ballottaggio presidenziale in Cile, il candidato del centrosinistra, Eduardo Frei è franato insieme al palco mentre stava tenendo un comizio nella città di Puerto Montt; illeso il politico, la stampa ha ironizzato: “Ha toccato il fondo”.


pagina 14

Mercoledì 6 gennaio 2010

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

VIA ETERE

SABELLI & LAURO Giorni da pecora belando in duplex

Lutto È scomparso il regista teatrale Giancarlo Nanni

Principi Emanuele Filiberto: a Sanremo mi faranno nero

Ivana Trump Divorzio da Rubicondi: abbandonò il tetto coniugale

Toy boy Noah Mills sarà protagonista di Sex and the city II

Al via la seconda edizione (e mezza) della fortunata trasmissione di RadioDue. L’inossidabile coppia si concede a un’intervista (poco seria) di Luca Telese

L

i cerchi per un’intervista e finisci per ritrovarti in una puntata del loro programma. Infatti Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro si negano al faccia a faccia e parlano solo da un duplex di un numero Rai: uno a un capo del telefono, uno all’altro. Io, che avrei dovuto fare le domande, mi ritrovo nel format di Un giorno da pecora (RadioDue, tutti i giorni alle 13.40) come se fossi un ospite. Le regole di ingaggio, in stile con il tono demenziale della trasmissione, sono queste: se chiedo qualcosa difficilmente mi rispondono. Se rispondono, danno risposte demenziali. Quando raccontano è molto difficile discernere la realtà dalla fantasia. Quello che segue è solo un tentativo di reseconto. Presentiamo ufficialmente la seconda serie del programma. Lauro: Ma sei sicuro che è la seconda serie? Sabelli: Direi che è la seconda serie e mezzo. Avete iniziato come un settimanale.

Sabelli: Sì, nella prima al posto di Giorgio c’era Federica. Poi lui, approfittando del fatto che era autore l’ha fatta fuori. Lauro: Non è vero. L’hai fatta fuori tu. Siete due epuratori. Sabelli: Abbiamo fatto fuori anche Fiorello, che andava alla nostra ora. Lauro: E poi abbiamo spostato Gli spostati, che ora, poveretti, vanno in onda all’alba. Sabelli: Infatti li incontriamo nei corridoi e sono sempre incazzati e dormienti. Ci odiano, ma li capisco, poveretti. Volete fare fuori tutti? Sabelli: Bè sì. Il prossimo obiettivo è Caterpillar. Ma non lo scrivere. Lauro: C’è l’effetto sorpresa. Siete presuntuosi. Sabelli: No, siamo il programma migliore della Rai. Per tutti quelli che non l’hanno mai sentito. Siete demenziali. Sabelli: Grazie. Lauro: Ci proviamo La puntata più demenziale? Sabelli: Tutte, direi. Lauro: Abbiamo fissato un record mondiale: un’ora di intervista a Mariotto Segni, dopo il referendum. E’ uno scherzo? Sabelli: Non ci siamo nemmeno addormentati. Qualche ospite si è arrabbiato per il trattamento? Sabelli: Giorgio mi ha fatto rompere un’amicizia ventennale con Alba Parietti. Lauro: ...avevo solo detto che sarebbe stata la prima donna a passare dallo spettacolo alla politica.

Sabelli: Si è incazzata come una Iena. Cosa vi ha detto? Sabelli: Fascisti! Lauro: No, peggio: siete peggio che fascisti, nazisti! Sabelli: Un po’ è vero. Ma la missione del programma quale sarebbe? Sabelli: Raccontare il teatrino della politica. Prendiamo l’ultima puntata... Sabelli: C’era Urso che ha cantato Bandiera rossa. Come l’avete convinto? Sabelli: Quelli di destra, purtroppo, hanno sempre molto più sen-

BERLUSCONEIDE

LE AVVENTURE NEL BOUDOIR A TEATRO l buco della serratura dà sul palcoscenico: gli eccessi della vita privata di Berlusconi diventano una pièce teatrale. “Berlusconeide Vox Populi” è lo spettacolo dell’Accademia di Spettacolo e Comunicazione di Cesare Lanza, che debutterà stasera al Teatro Cassia di Roma. Novanta minuti ideati dal giornalista, per la regia di Giancarlo Nicotra, che saranno in scena fino al 14 gennaio. Dentro ci sono tutti gli scandali recenti della vita privata del premier, che hanno occupato le prime pagine dei quotidiani: dalle escort nelle cene a

I

Palazzo Grazioli, al divorzio da Veronica Lario. Restando in tema: Noemi Letizia, alla ribalta delle cronache per la partecipazione di Berlusconi alla sua festa dei 18 anni, sembra non essere sazia di riflettori. Lo confessa alla rivista Diva e Donna: “Mi sarebbe piaciuto partecipare a ‘Ballando con le stelle’ e se mi invitano vado; ma la notorietà legata a Berlusconi, nella professione, mi penalizza molto: mi hanno negato lavori senza nemmeno concedermi un provino”. Ma senza Berlusconi, chi l’avrebbe notata?

so dell’umorismo di quelli di sinistra. Controprova? Sabelli: Laura Morante se n’è andata via. Lauro: Ha detto: “Ma che trasmissione è? Potete fare a meno di me, devo recitare Amleto!”. Scherzava? Lauro: Purtroppo no. Sabelli: E Signorini le ha detto: ‘Ecco, brava, vattene a recitare l’Amleto. Come? C’era Signorini? Lauro: Ossì Sabelli: Forse se n’è andata per quello...

Sabelli: Comunque lui si è incazzato davvero: “Se non avete capito non ripeto”, ha risposto. Ed è stata la cosa più brillante della puntata. Uno che agognate e che non è ancora venuto. Sabelli: D’Alema stava per venire. Lauro: Ha detto no per colpa tua!. Sabelli: il fatto è che io ho una ru-

Torniamo a Urso. Sabelli: Gli ho chiesto: posso darti del tu? Lauro: Ha risposto: “Certo!”. E poi? Sabelli: Gli ho detto: “Che bello, Adolfo, ti ricordi? Eravamo picchiatori insieme!” Si è incazzato pure lui? Sabelli: Macché, si divertito e si è messo a ridere. Quelli di destra... Controprova. Un altro ospite di sinistra bizzoso? Sabelli: Anche Bertinotti ci ha sfanculato. Che avevate fatto? Lauro: Gli avevamo chiesto per quale settimanale aveva scritto il suo articolo. Non ci credo. Tutto qui? Sabelli: Sì, non avevamo capito davvero. Lauro: Dai, Claudio. Facevamo finta.

brica su IO donna che non legge nessuno, in cui ho detto che non ama i giornali. Lauro: Purtroppo lo abbiamo chiamato il giorno dopo: ci ha detto no, grazie. Un altro ospite desiderato? Sabelli: Berlusconi. Anzi, lancio un appello approfittando del Fatto. Venga a raccontare le sue barzellette da noi. Lo hanno già fatto tutti i vostri politici ospiti? Sabelli: Infatti fanno cagare. Lui invece sa come si fa, è un professionista. Il segreto di Un giorno da pecora?. Lauro: Le accoppiate. Esempio? Sabelli: Ti piace Burlando-Ela Weber? Lauro: Mai come Tabacci-D’Addario.

Sabelli Fioretti e Lauro in studio con (dall’alto in senso orario): Tonino Di Pietro, Afef, Oliviero Diliberto e Adolfo Urso

Ma chi Patrizia? Lauro: Siamo stati il primo programma ad averla ospite. Pensavo fosse Annozero. Sabelli: Quei bastardi hanno mentito. E’ la prova che Ghedini ha ragione. Una scoperta del programma? Sabelli: Vattimo e la Canalis. La Canalis aveva letto tutti i libri di Vattimo. Un’altra sorpresa? Sabelli: il talento innato di Dini. Spettacolare. Fai sarcasmo? Sabelli: E’ stato geniale. L’ho chiamato per tutta la puntata rospo e non ha battuto ciglio. Anche tu, Giorgio? Lauro: Non mi piace il fatto che Claudio dia del tu a tutti. Io lo chiamavo “signor rospo”. Un antipatico, invece? Sabelli: Lotito si è indignato. Lauro: Ha sbottato indignato: “Ma questo è avanspettacolo!”, ha detto. Era vero. Sabelli: “Se è per questo è anche vero che lui è il re dei cessi no? E’ notorio. Il più accattivante? Lauro: Mastella. Ha dato il suo numero di telefono in diretta: “Se avete problemi chiamatemi qui”. Sabelli: Ed era lo stesso che avevamo noi. Un altro incontro memorabile? Sabelli: Non c’è dubbio. Quello fra la Binetti e il divino Otelma! Chi il mago? Lauro: Proprio lui. Sabelli: La cosa curiosa è che la Binetti voleva sapere tutto di Otelma, e a Otelma non fregava nulla della Binetti. Un bel problema Sabelli: Pensa, lei voleva una cosa impossibile, l’oroscopo del Pd. Lauro: E lui non si è sottratto. Aveva previsto persino la vittoria del centrosinistra. E la vostra convivenza com’è? Sabelli: Se questo stronzo la smettesse di darmi sulla voce... Lauro: A me basterebbe che la smettesse di dormire in trasmissione. Giorgio, Tu lo chiami l’anziano. Lauro: Ma tu l’hai mai visto da vicino come me? E’ cadente! Ditemi almeno una cosa seria, abbiamo riempito una pagina di cazzate. Sabelli: Giusto. Abbiamo un imperativo quest’anno... Lauro: Ripartire dalla Bozza Violante. Sabelli: O almeno leggerla...


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 15

SECONDO TEMPO

SPOR T &DINTOR NI

MINUTO PER MINUTO

Cinquant ’anni di “Tutto il calcio”, che ha cambiato il modo di fare informazione di Giancarlo

Padovan

uori dagli agguati passatisti e lontano dagli impacci emotivi, il cinquantesimo anniversario di “Tutto il calcio minuto per minuto” rappresenta uno snodo cruciale non solo per capire l’informazione sportiva, ma anche per distendere la nostra visione all’informazione nella sua globalità. Sia che si tratti di radio, sia che si tratti di televisione. E, per i più avvertiti, perfino se si parla del Web. Riccardo Cucchi, caporedattore dello sport del Giornale RadioRai e prima voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”, lo spiega che meglio non si potrebbe: “Nel 1960 Guglielmo Moretti, Roberto Bortoluzzi e Sergio Zavoli fecero la radio, inventando un modello cui tutti hanno attinto: aprire finestre sul mondo e raccontarlo in diretta. Allora erano le partite, adesso è anche il resto. Dal 1960 a oggi “Tutto il calcio” è germogliato intaccando altri generi”. La mis-

F

Riccardo Cucchi: “Dal 1960 a oggi Tutto il calcio è germogliato intaccando altri generi”

sione: esserci, il qui e ora, nel momento stesso in cui i fatti accadono e raccontarli con una tempestività che, a ben vedere, non è l’ossessione di oggi, ma di sempre: “La nostra forza è questa. E i dati d’ascolto dell’ultimo trimestre confermano sia la validità della formula, sia i meriti originari”. Molto, dunque, se non tutto, cominciò il 10 gennaio del 1960. Nello studio centrale c’era Roberto Bortoluzzi e, per ragioni tecniche, erano solo quattro i campi collegati. Venivano trasmessi i secondi tempi perché la Lega calcio temeva che la diffusione delle partite potesse sottrarre spettatori allo stadio. Allora, e almeno per tutti gli anni Ottanta, era il botteghino, cioè la vendita dei biglietti (non la cessione dei diritti tv) il maggior introito delle società di calcio. Per chi avesse voluto seguire le partite in diretta c’era solo “Tutto il calcio”, già con le mitologiche figure di Ameri e Ciotti, ma anche con Martellini che, prima di diventare il principe dei telecronisti al posto di Carosio, era uno della radio (raccontava calcio e ciclismo), così come Paolo Valenti, aedo del pugilato e di Nino Benvenuti campione del mondo. Eppure Valenti, dieci anni dopo, cioè agli albori degli anni Settanta, divenne un volto noto grazie alla televisione e alla trasmissione di punta della domenica pomeriggio, “90° minuto”. Quando, in una stessa giornata, dalle dirette della radio (si arrivarono a toccare i nove-dieci milioni di ascoltatori) si passava alla

Sandro Ciotti (FOTO ANSA)

differita tv. Ispirazione e aspirazioni erano le stesse di “Tutto il calcio”. Aprire finestre, come dice oggi Cucchi, su tutti i campi della Serie A per far vedere i gol in un carosello di regionalità e spirito di campanile che, a volte, scolorivano nel macchiettismo. Probabilmente “90° minuto” fu l’anello di congiunzione tra “Tutto il calcio” e il “Processo”, non a caso inventato da Enrico Ameri, allora indiscusso primattore della radio, e tuttavia rea-

RIVINCITE Briatore torna in F1 Il tribunale annulla la squalifica

lizzato da Aldo Biscardi che provvide a farne un genere a sé, assai imitato e con gli stessi effetti hard dell’originale. Però, la differenza tra il prodotto radiofonico e, più in generale, quello televisivo (e le sue degenerazioni) risiedeva nel linguaggio. E, ora come allora, nel taglio. Mentre, infatti, la tv tracimava in furiose e schiumanti rappresentazioni di risse biliose, la radio e “Tutto il calcio” si qualificavano come il contenitore ben as-

B

riatore può tornare di nuovo in pista. La squalifica a vita inflittagli dalla Fia (Federazione internazionale dell’automobilismo) è stata annullata dal Tribunale di Grande Istanza di Parigi. Flavio Briatore, ex team principal della Renault, era stato allontanato dalle gare per aver ordinato a un suo pilota, Nelson Piquet Jr, di simulare un incidente al Gran Premio di Singapore del 2008, per favorire la vittoria della “prima guida” Fernando Alonso. Il cosiddetto “Singapore-Gate”. Briatore si era rivolto alla corte francese lo scorso 24 novembre, chiedendo la sospensione della sua squalifica e un milione di euro di danni alla Fia. Ieri è arrivata la risposta dei giudici francesi, che hanno ritenuto “irregolare” la sentenza della Federazione e le

sortito di ritmo e racconto, passione e misura. E, pur dovendo transitare dal rigore dell’ufficialità imposta dell’etica del servizio pubblico (assolutamente vietate critiche agli arbitri e riguardo anche per i calciatori meno bravi o non in forma) ad una struttura di resoconto più moderna, più aderente alla realtà e, soprattutto, a forme di giudizio sulla qualità del gioco o su episodi più o meno dubbi, le caratteristiche di questi primi cinquant’anni

hanno ordinato di comunicare immediatamente l’annullamento della radiazione a tutti i suoi membri, e in particolare alle tredici squadre che compongono la Formula Uno. Altrimenti, per ogni giorno di ritardo, dovrà pagare una multa di 10.000 euro. Per quanto riguarda la richiesta di risarcimento danni, l’ex numero uno della Renault dovrà accontentarsi però di mettersi in tasca appena 15.000 euro. Briciole per lui, Briatore ha detto che per ora si dedicherà solo al figlio nascituro e ha smentito di nutrire “spirito di vendetta” contro l’ex presidente Fia, Max Mosley. Il Sottosegretario con delega allo Sport Rocco Crimi ha commentato: “Restituito al mondo dei motori un grande manager e un simbolo dell’Italia vincente”. Discutibile commozione.

sono state la ricerca dell’equidistanza, la spiegazione di ciascuna affermazione, la fedeltà al mandato di ogni ascoltatore. Non potendo vedere, egli si fida. Spiega ancora Riccardo Cucchi: “Se in diretta diciamo che una squadra sta giocando male, dobbiamo esserne sicuri e motivare il perché o in rapporto a cosa. Non possiamo né essere, né fare i tifosi perché noi parliamo all’intera Italia calcistica”. Da un decennio ormai “Tutto il calcio” c’è pure in televisione. Cominciò Telepiù nel 2000, continuano ora sia Sky, sia Mediaset Premium. Anche quelle sono finestre sul calcio (oltre a “Diretta Gol”, su Sky è stato lanciato il canale tematico Sky Sport 24), così come finestre sul mondo ha aperto Sky Tg 24. “Però noi della radio – obietta Cucchi – siamo l’ultimo baluardo del servizio pubblico. La diretta vera e gratuita ce l’abbiamo solo noi. Vera perché la radio non contiene i ritardi di due, tre, anche cinque secondi del satellite. Gratis perché il calcio in televisione è quasi tutto a pagamento. E io non escludo che, in tempi economicamente duri, la radio possa essere, per il grande pubblico, altrettanto affidabile e assai più conveniente. Anche perché noi puntiamo sulla ricchezza dell’offerta: a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno ci siano le partite; che giochi la Serie A o la B; la Coppa Italia o le Nazionali; la Champions o l’Europa League, dalla radio scatta il collegamento e il racconto. Tutto ciò costituisce un elemento di continuità che porta ad una forte fidelizzazione”. Già, ma al di là della nicchia dei romantici, chi sono gli ascoltatori del calcio radiofonico? “Certamente gli automobilisti, sempre più numerosi e sempre più a lungo in macchina. Poi, quelli che si piazzano davanti alla pay-tv per vedere la propria squadra del cuore e con l’auricolare vogliono le variazioni dagli altri campi. Infine, i cultori delle emozioni, lo zoccolo duro che preferisce la radio perché li fa viaggiare con la fantasia e, contemporaneamente, consente di ‘vedere’ una partita del tutto speciale”. A tutti questi vanno affiancati i competenti. Sanno che la radio fa giornalismo senza bisogno di dopare gli eventi. Come sanno che chi è al microfono ha visto tanto calcio, da tanti anni, e ad ogni partita conferisce la propria quota di sorpresa e di memoria. Sanno, infine, che per descriverla servono tante parole, una diversa dall’altra: belle, ficcanti, rotonde, ritmate. Un lessico familiare in cui ritrovarsi, vagare, naufragare, riemergere.


pagina 16

Mercoledì 6 gennaio 2010

SECONDO TEMPO

+

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

ne di Di Pietro, che scrive a Bersani e che, sganciata da ogni riferimento contestuale, appariva come quella di un folle: “Ci dica chiaro se vuole allearsi con noi o se sta con Berlusconi”, Fabrizio Frullani del Tg2 ripiega in una innocua catacresi. E cioè in una metafora abituale, abusata, non più avvertita come tale: “Il caso Puglia continua “ad agitare le acque” nell’opposizione”. Basta unire le metafore e così il quadro informativo diventa completo: una scacchiera, i pezzi che si muovono e il tavolo che balla perché le acque sono agitate. Era Calvino, ricordiamo, che già nell’85, nelle “Lezioni americane”, redigeva alcuni appunti di scrittura per il “prossimo” millennio – il nostro, appunto – parlando della modernità e della “peste del linguaggio”. Inascoltato profeta.

Minzo mantiene il Segreto di Luigi Galella

g1 T Nei titoli dell’edizione principale, quella delle 20.00, non appare affatto. Nell’edizione delle 13.00, la conduttrice Nicoletta Manzione, incerta nella lettura, forse perché lei stessa stentava a comprendere, esponeva il seguente testo: “Con una lettera al Gup di Milano la Presidenza del Consiglio ha posto il segreto di Stato ma con limiti sui rapporti tra la Telecom e l’ex numero 3 del controspionaggio militare Marco Mancini. La Presidenza del Consiglio precisa in una nota che la tutela del segreto attiene agli atti di quel processo solo in quanto riferibile alle relazioni internazionali fra servizi e agli Interna corporis degli organismi informativi. La vicenda riguarda il presunto dossieraggio illegale del capo della Security privata di Telecom e Pirelli e di altre 34 persone”. C’è qualcuno di grazia che vorrebbe informarci di che cosa si tratta? Post scriptum. Alle 20.15 il conduttore legge una sintesi della medesima notizia. Nessuna censura. Tranne che alla comprensione. g2 Se Simona Sala del Tg1 era ricorsa all’ardita metafora degli scacchi per il suo “pastone” di politica, nel quale spiccava una citazione della dichiarazio-

T

g3 T E’ il tg3 delle 19.00, diversamente dal Tg1, che prova finalmente a spiegare. Lo fa Romolo Sticchi. E’ un affare di spionaggio, di dossieraggio e del rapporto fra servizi segreti e un’azienda privata come la Telecom. Marco Mancini, braccio destro di Pollari, era coinvolto nello scandalo del rapimento di Abu Omar, da parte della Cia, con il presunto supporto dei servizi segreti italiani. Mancini aveva dichiarato che non poteva spiegare i suoi rapporti con Tavaroli senza rendere pubblico un segreto di Stato. “Se è vero – si chiede Sticchi – che c’è il segreto di Stato sui rapporti fra Mancini e Tavaroli (uomo Telecom), allora i servizi segreti militari avrebbero collaborato con un’azienda privata, per attività legate a interessi dello Stato talmente delicati da essere coperti dal segreto…” Possibile che bisogna fare il giro delle sette chiese dei notiziari per sapere e capire almeno qualcosa?

di Nanni

Liberateci dai talent show Delbecchi

ci scampi dal talento a Ddaiiomisura di tv. Dio ci liberi talent show. Ormai è una caccia senza quartiere, un’epidemia, una pandemia, una suina delle ugole d’oro per cui non esiste vaccino che tenga (ma tanto vale, considerata l’efficacia dei vaccini). E dire che cinquant’anni fa la televisione italiana rigurgitava di talenti; quello meno dotato si chiamava Walter Chiari. Come era possibile? Semplice: la televisione era stata appena inventata. Da quel momento ci ha pensato lei a fare il deserto, a inzeppare i palinsesti di zuzzurelloni ribattezzati opinionisti e di vallette negate perfino nel tacere; ci ha pensato la tv a fare tabula rasa di ogni minima traccia di valore. Ora che la desertificazione è completa, contrordine compagni: tutti a caccia dei nuovi talenti. a raschiare il baL’di ultimo rile è stato il noto esperto miss Fabrizio Frizzi, costretto agli straordinari durante le feste di Natale, quando tutti gli altri presentatori si erano messi in ferie. Ancora intronato dal Gran

Galà del Capodanno, Frizzi si è ripresentato per due sere su Raiuno a condurre “Mettiamoci all’opera”, talent show riservato ai cantanti lirici. Quattro tenori e altrettanti mezzosoprano a sfidarsi davanti al solito palchetto della giuria castigamatti, dove hanno scambiato i loro autorevoli punti di vista tra gli altri Katia Ricciarelli, il comico Gabriele Cirilli e Orietta Berti. E non si pensi che la (peraltro simpaticissima) interprete di “Finché la barca va” fosse fuori posto; la gara tra le ugole d’oro prevedeva un repertorio dove c’era da trasformare in acuto tutto e il contrario di tutto, da Verdi a Gianni Bella, da “Lucean le stelle” a “Mi ritorni in mente” passando per “Funiculì-funicolà”. E’ la lirica-lasagna secondo la ricetta brevettata da Luciano Pavarotti, grande interprete finché, per non arrendersi al declino del tempo, non decise di trasformarsi in una discutibile icona pop. Se perfino un mostro come big Luciano, passato nell’impastatrice televisiva, ne usciva irriFabrizio Frizzi, conduttore di “Mettiamoci all’opera”, talent show per cantanti lirici

conoscibile, ne consegue una conclusione molto semplice: il talento, se c’è, ha da tenersi alla larga dal ciarpame senza pudore dei talent show alla moda. “X Factor” ha fatto eccezione proprio perché dedicato alle specifiche competenze della musica leggera, che bene o male in tv gioca in casa; come diceva un vecchio Carosello a proposito della fiducia, il talento è una cosa seria che si dà alle cose serie. invece già per sabato prossimo è annunciato Esu Canale 5 “Io canto”, ennesimo talent show questa volta dedicato ai bambini canterini che erano riusciti a scampare il Peter Pan di Bonolis. E siccome le categorie disponibili si assottigliano a vista d’occhio, la caccia prosegue; attendiamo con ansia un talent show riservato ai pensionati e perché no, un altro per i disoccupati (i potenziali concorrenti, ahimé, non dovrebbero mancare). E com’è che nessuno ha ancora pensato a un talent show per animali-prodigio con Topo Gigio e il Pulcino Calimero pronti a scazzarsi nella giuria? Forse perché la tv è già fin troppo affollata di altri animali.


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 17

SECONDO TEMPO

MONDO

WEB

Su YouTube la mafia al nord e mafie nostrane, tutte, “L ’Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra, sanno quanto vale Brescia”. Con queste parole si apre il documentario “La leonessa e la piovra”: un’inchiesta sulla mafia al nord realizzata dai giornalisti Fabio Amati e Igor Greganti. Il documentario, di cinquanta minuti, è visibile interamente su YouTube (diviso in sei parti: “La_leonessa_e laPiovra”). E’ una testimonianza cruda e durissima sulla presenza mafiosa in particolare a Brescia. “La leonessa d’Italia – recita la voce fuori campo, sulle immagini del funerale di un colletto bianco ucciso con la convivente e il figlio – la terza provincia più produttiva d’Italia dopo Milano e Roma è, al di là delle apparenze, un crocevia del narcotraffico internazionale e una piazza dove riciclare il denaro grazie ai colletti bianchi e all’edilizia. I night sul lago di Garda sono base logistiche, l’estorsione e l’usura vengono usate come classico metodo di controllo del territorio”. Le immagini non sono in nulla diverse da quelle che siamo abituati a vedere nelle città del meridione

a più forte penetrazione mafiosa. Colpisce l’omertà dei cittadini che non rispondono alla domanda: “C’è la mafia a Brescia?”; o chi scuote la testa rassegnato: “La mafia ormai è dappertutto”. Colpiscono le storie delle vittime di estorsione: “Ringrazio Dio che sono ancora vivo” dice un imprenditore edile che preferisce non farsi riprendere. “Il Web è l’unico canale che abbiamo trovato per diffondere il documentario” ci dice Fabio Abati; scuole e atenei, invece, organizzano proiezioni e dibattiti. “E’ un lavoro – aggiunge l’autore – che percorre il territorio dalla pianura alla montagna, per far vedere quanto la criminalità è ramificata nella provincia bresciana. Abbiamo dovuto fare una selezione: le storie erano troppe per allargare ulteriormente il campo”. Un documentario che rifugge dagli stereotipi, e che apre gli occhi.

è FIASCO PER L’IPNOSI DI MASSA SUL WEB L’APPUNTAMENTO LANCIATO SUI SOCIAL NETWORK

Alla maniera di Giucas Casella, Chris Huges, un “ipnoterapeuta” britannico, aveva promesso un ipnosi di massa su sito Social Trance. Ieri sera sono accorsi migliaia di utenti da tutto il mondo per sperimentare la promessa ipnosi, ma di Federico Mello prima i troppi contatti hanno reso irraggiungibile il sito, poi Huges si è limitato a pubblicare sul sito un file mp3 rilassante di venti minuti: a questo si è limitato il suo esperimento che ha provocato scarsi effetti. Gli aspiranti è A CINISI “RADIO CENTO PASSI” ipnotizzati non l’hanno presa molto bene: IN MEMORIA DI PEPPINO IMPASTATO “O sei un genio del marketing o forse hai Ieri Peppino Impastato, simbolo voluto scherzare – uno dei commenti – ma dell’antimafia in Sicilia, avrebbe compiuto 62 io mi sento preso in giro”. anni. Per tenere vivo il suo ricordo, dalla sua Cinisi ha cominciato le trasmissioni “Radio 100 passi”, un web radio che nasce nel solco di Radio Aut la radio che fondò Peppino per denunciare le attività criminali di Tano GRILLO DOCET Badalamenti, il boss che risiedeva solo a 100 LETTA'S DYNASTY passi dalla sua abitazione. “Questa radio Gianni Letta è stato servirà soprattutto ad informare” ha sottosegretario alla dichiarato Giovanni Impastato, fratello di presidenza del Consiglio Peppino. Le trasmissioni sono ascoltabili in nel 1994, primo governo streaming all’indirizzo Radio100 passi.net. Berlusconi. Lo stesso incarico che ricoprì nel secondo e terzo governo Berlusconi, dal 2001 al 2006. Il nipote Enrico Letta divenne a sua volta sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel 2006 fino al 2008 nel secondo governo Prodi. Con il nuovo governo Berlusconi, nel 2008, Gianni Letta ha ripreso dalle mani del nipote la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio assieme alla delega ai Servizi segreti. E’ una Dynasty all’italiana, chiunque sia il presidente del Consiglio, il sottosegretario è un Letta. I Letta di lotta e di governo dettano la politica italiana giorno per giorno. Il nipote Enrico ha oggi rampognato Kriptonite Di Pietro affermando che “trascina il centrosinistra nell’abisso”. Enrico pecca di modestia. Nell’abisso il centrosinistra lo hanno già trascinato lui e Bersanetor, il portavoce muto di D’Alema. Lo zio, come le stelle, resta a guardare.

Un fotogramma de “La leonessa e la piovra”; il sito social trance; la web radio 100 passi; il sito di Matt Dunne

DAGOSPIA DELL’UTRI INSEGNA

1) Al ristorante milanese La Risacca, Marcello Dell’Utri impartisce una lezione di politologia all’imprenditore Enrico Preziosi, presidente del Genoa calcio: “Quelli di destra si svegliano al mattino e pensano a produrre per il Paese, quelli di sinistra invece si fanno venire in mente a chi rompere le scatole”. Preziosi sembrava gradire di più i gamberi alla catalana. 2) Passaggio alla stazione di Milano. Alle 22 chiude l’unico baretto, pure zozzetto! Si va ad aspettare lungo la banchina ma è zeppa di sacchi di monnezza. Malgrado il freddo pungente, la puzza ti entra nei polmoni. Intorno c’è una disumanità di barboni e disperati da “Fuga da New York”. Uno schifo che va avanti da due anni! (Non lo dite alla sciura Moratti). In compenso, saliti sul vagone-letto diretto per Roma delle 23:20, ci crolla addosso la tazza del cesso! Si cambia scompartimento e la nuova cabina è simile a una cella del freezer! (Non ditelo a Moretti). 3) Non dite al Cavalier Berlusconi che il miglior alleato del comunista ultraortodosso Corradino Mineo, ancora aggrappato a dispetto dei santi alla direzione di RaiNews24 è è GLI U2 CONTRO IL FILE SHARING proprio il suo “AD ARRICCHIRSI SONO SOLO I PROVIDER” fidatissimo Paolino Cosa vorrebbe per il 2010 Bono Vox, Bonaiuti che non a leader delgi U2, star messianica? Un caso viene “festival che celebri l’origine delle religioni è GOVERNATORE “GOOGLE”? inter vistato abramitiche”, “il recupero dell’auto come ALLE PRIMARIE DEL VERMONT spessissimo dallo oggetto sessuale” e – tra i desideri – il E’ un uomo Google al 100 per cento stesso Mineo... controllo dei contenuti scambiati free su e si è candidato alla primarie Web. “Un decennio di file sharing ha reso democratiche come governatore evidente che a soffrirne è chi crea musica dello Stato americano del Vermont. – soprattutto i giovani – mentre i Matt Dumme, 40 anni, già beneficiari di questo robinhoodismo al responsabile del motore di ricerca per lo Stato del contrario sono ricchi provider i cui Vermont e ora senatore, ha le idee molto chiare: “Con la profitti riflettono il calo di fatturato del mia storia di manager e ‘public servant’ innovativo, ho tutta music business. Le leggi della banda larga ci l’esperienza necessaria per portare il Vermont nel futuro”. dicono che siamo a pochi anni da quando Manco a dirlo, Dunne punta tutto sulla tecnlogia: più banda sarà possibile scaricare una serie in 24 larga per tutti, più connessioni per i cellulari, energia pulita min.”. Che Hollywood riesca dove le label grazie alla tecnologia i suoi punti forti. Punto di partenza è hanno fallito, “difendendo l’economia più la sua stessa biografia: “Google ha sviluppato un ambiente creativa che contribuisce al 4% del Pil”? in cui chi ha nuove idee viene valorizzato, non messo da “Pensate al prossimo Cole Porter, che non parte: è questo l’approccio che vogliamo portare nel sia ridotto a scrivere jingle pubblicitari”. nostro governo”. Generazione Internet avanza. Bono, insomma, si schiera contro il file sharing. Eppure non sembra che gli U2 siano diventati poveri con l’avvento della banda larga. (Valerio Venturi)

feedback$ è ANTEFATTO SU FACEBOOK Commenti allo status “L’inflazione non è mai stata così bassa da 50 anni. Quelli erano gli anni del boom. Oggi c’è solo crisi” Chissà non ci sia un nuovo boom economico... d’altronde non ce lo insegna il nostro amato premier che bisogna essere ottimisti? (Gianluca) Lo scudo fiscale ha fatto rientrare 95 miliardi, ora possiamo dormire sonni tranquilli! (Lektro) I costi delle revisioni auto/moto sono saliti in modo spropositato, le autostrade, i treni idem; il prezzo dei carburanti pure, la pasta ha avuto dei rincari da farsi notare dall’Antitrust.. ma allora non ho capito io cosa sia l’inflazione. Sì, in fondo va tutto bene, siamo nel Paese dei Balocchi, nell’era dell’ottimismo. La mia busta paga è triste; sarà perché comunista e disfattista (Rossana) I soldi dello scudo fiscale non sono rientrati ma sono stati lasciati al sicuro nei paradisi fiscali: ora però sono “puliti”!!! (Salvatore) E il pedaggio autostradale aumenta del 2,4% in cambio di qualche guard-rail nuovo e qualche riasfaltatura... (Michele) Non c’è inflazione perché si sta erodendo lentamente la bolla finanziaria che s’è formata per via dell’eccesso di liquidità del mercato. E’ come una sorte di fase di stallo poiché le banche a questo punto hanno già chiuso i rubinetti, quindi si sa che il sistema non può aumentare in liquidità (Rinaldo) Sarebbe interessante vedere il tasso di inflazione scorporato per prodotti e servizi. Ma come sempre è la teoria della gallina, se tu te la mangi tutta e io niente, per l’Istat ne abbiamo mangiata mezza per uno (Enrico) Io ho cominciato a farmi l’orto da un pezzo... e mi sa che quest’anno dovrò aggiungere qualche filare in più... e magari compro anche qualche gallina... (Nico) L’inflazione è stata tenuta volontariamente bassa dall’Istat con un paniere dei beni ridicolo che sembra fatto da Crozza quando imita Friedman. Hanno rinviato l’inflazione a gennaio per non adeguare al costo della vita stipendi e pensioni con la rivalutazione di fine anno. Furbata tremontiana. Accendete il cervello (Francesco) Ci credo, con la contrazione dei consumi che c’è stata, solo un idiota potrebbe prenderlo come un fatto positivo (Dick) Non è che diminuiscono i costi, diminuisce il tasso con il quale aumentano... con la crisi ci mancava solo che qualche pazzo aumentasse a dismisura i prezzi (Maurizio) Segno di stagnazione dei consumi ma il popolo loda il governo... (Ezio)


pagina 18

Mercoledì 6 gennaio 2010

SECONDO TEMPO

il badante

PIAZZA GRANDE

É

SE FLAIANO PIANGE I

Brunetta docet di Gian Carlo Caselli

a ruvida schiettezza del ministro Brunetta offre anche un profilo non negativo: la mancanza di scarto fra pensiero reale ed esternazioni. La formuletta del “processo breve”, per nascondere la mannaia che farà strage di una moltitudine di processi innocenti, non l’ha certo inventata lui. Se una legge è “ad personam”, equilibrismi e sofismi per sollevare cortine fumogene su presunti interessi generali non gli appartengono. Gli oppositori devono “morire ammazzati”, altro che filosofeggiare di amore e derivati. I magistrati sono fannulloni da sistemare con tornelli e manager nei tribunali; vale a dire che i problemi della giustizia vanno affrontati con burbanzoso piglio aziendalistico, e poco importa se una simile improvvida impostazione rischia di sacrificare il ruolo tipico della giurisdizione (imprescindibile fattore di equilibrio del sistema istituzionale): che è ricerca della verità e non solo dell’efficienza; rispetto di codici, regole e procedure nel contraddittorio fra le parti; garanzia dei diritti dei cittadini e tutela della civile convivenza; difesa dell’uguaglianza delle persone, non come semplice aspirazione ma come dato normativo fondamentale; controllo di legalità a 360°... Ma il punto – nelle parole del ministro – resta la corrispondenza di esse col sincero sentire. Pane al pane… senza melassa o giri di parole. Così, con le carte “giuste” sul tavolo, il confronto può essere più franco. Sostiene il ministro Brunetta che la Costituzione va cambiata non solo nella seconda, ma anche nella prima parte, a cominciare dall’art. 1, perché “Repubblica fondata sul lavoro” è un’espressione che non significa assolutamente nulla. Se per un attimo si potesse dimenticare il dramma del lavoro che con scandalosa continuità si trasforma in un pericolo per la sicurezza, la salute, la vita stessa dei lavoratori, alla tesi del ministro si potrebbe rispondere utilizzando argomenti a metà fra l’ironia e il paradosso. Viviamo purtroppo una lunga stagione di crisi economica, di inoccupazione e disoccupazione crescenti. E il lavoro spesso manca. Quando c’è, è sempre più frequentemente precario o nero o sommerso. Per cui, contestare che a fondamento della Repubblica ci sia proprio il lavoro può risultare – in questi tempi di magra – suggestivo e in qualche modo consolatorio. Esorcizzata la parola, eliminato il problema. Semplice, no? Ma l’art. 1 della Costituzione democratica non si esaurisce con le parole sul lavoro. C’è una seconda parte, che stabilisce : “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Toccare l’art. 1 comporta – inevitabilmente – modificare anche questo principio. Ed è una prospettiva che cancella ogni voglia di ragionare per paradossi. Il primato della politica – in democrazia – è fuori discussione. Nel senso che governo della società e motore del “vivere giusto” appartengono alla politica e a nessun altro. Ma il primato della politica non è assoluto, proprio perché la sovranità de-

L

Contestare che a fondamento della Repubblica ci sia il lavoro può risultare – in tempi di magra – anche consolatorio Esorcizzata la parola, eliminato il problema ve esercitarsi nelle forme e nei limiti della Costituzione. Con questa previsione di limiti l’art. 1 sintetizza la necessità – presente in ogni potere davvero democratico – di una sfera “non decidibile” (quella della dignità e dei diritti di TUTTI), sottratta al potere della maggioranza e presidiata da custodi estranei al processo elettorale, ma non alla democrazia. E’ il sistema del bilanciamento dei poteri fortemente richiamato dal presidente Napolitano a Capodanno. Un sistema proprio di ogni democrazia moderna, in assenza del quale la “tirannide della maggioranza” è sempre in agguato, (lo scriveva già Alexis de Toqueville). In altri termini, le democrazie costituzionali sono caratterizzate da un forte policentrismo, nel senso che oltre ai segmenti classici della politica (partiti, Parlamento, governo ecc.) vi sono altri elementi e momenti. L’obiettivo, in una società complessa come la nostra, che non accetta più un uomo solo al comando, è un governo di leggi e di uomini imperniato su pesi e contrappesi (“checks and balances”), capaci di impedire degenerazioni pericolose. C’è in particolare un limite che nessuna maggioranza potrà mai correttamente valicare: intaccare il principio di legalità,

in base a cui le leggi debbono valere per tutti. Principio che non ammette eccezioni, nemmeno basate sul consenso per quanto ampio possa essere. Principio che vale per tutti gli operatori istituzionali, politici, economici e sociali. Viceversa, questo è oggi il problema del nostro paese. La pretesa di qualcuno di sottrarsi al principio di legalità. Così come scolpita nella Costituzione repubblicana, la sovranità del popolo differenzia il nostro da altri sistemi o epoche in cui fonte della sovranità erano la divinità, la “nazione”, il re o magari l’uomo della provvidenza, non i cittadini. Con la Costituzione lo Stato perde (si spera definitivamente) la maestà del “Leviatano” di Hobbes, irresistibile e unico titolare della forza, e diventa la promessa – ancora debole, e tuttavia esistente – di una società di uguali. E non è un caso che la nostra Costituzione – a differenza dello Statuto albertino – si apra con l’affermazione dei principi fondamentali e dei diritti dei cittadini, affiancati ai doveri inderogabili di solidarietà, e non con le disposizioni sull’organizzazio-

IL FATTO di ENZO

di Oliviero Beha

l

Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un “vendicatore” capace di riparare torti ed ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Era ieri, Rizzoli 2005

ne dello Stato. Cambiare la prima parte della Costituzione significa dunque cambiare la qualità della nostra democrazia. E le riforme della seconda parte nel senso voluto dall’attuale maggioranza politica (a partire, ben inteso, dalla bozza Violante…) saranno più facili. Il ministro Brunetta, con le sue esternazioni, aiuta ad inquadrare meglio i problemi che sono davvero sul tappeto. In un certo senso, va ringraziato. Renato Brunetta (FOTO ANSA)

l famoso “la situazione è grave ma non seria” di Ennio Flaiano rischia grosso: sta diventando tremendamente serio un po’ tutto nell’ex Belpaese dopo decadi di gravità flaianea in un combinato disposto che non fa più neppure ridere. Peccato, perché la formula era una ricchezza della nazione che così viene colpevolmente sperperata. E quando oltre alla Costituzione si aggredisce anche Flaiano, allora sì che appunto la situazione implode e diviene sia grave che seria. Come e dove ti giri, ti giri, è tutta una giostra grottesca su cui saliranno forse ormai i nostri nipoti, se va bene. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Vogliamo occuparci del segreto di Stato che sta correndo il rischio opposto a quello del segreto di Pulcinella? Adesso Berlusconi mette la sordina a Mancini per le sue avventure telefoniche marca Telecom, dopo aver sistemato alla grande Pollari, Pompa e il pio “Betulla” già esecrato da tutti i botanici. Uno spione alle erbe. Se è questo il metro, tra un po’ metterà il segreto di Stato anche sulle tasse che paga, lui e famiglia/e. Preferite il ministro Brunetta, e l’avvampare del suo sdegno per l’articolo 1 della Costituzione, “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, che sostituirebbe con il concetto di “efficienza e meritocrazia”? E perché allora non salta il fosso e la dice tutta, ma proprio tutta. E cioè che l’Italia era complessivamente una “Repubblica fondata sul denaro” prima, ieri, e una “Repubblica fondata sulla mafia” ormai, oggi, a giudicare da quello che accade in giro a tutte le latitudini nostrane? Lo sa il ministro per l’Innovazione che il livello di infiltrazione della delinquenza organizzata ha rotto tutti gli argini, al sud, al centro e al nord? Certamente conosce i numeri. E allora se è il merito della meritocrazia che giustamente lo intriga, continui a lavorare in questo senso scoperchiando i pentoloni a partire da quelli più vicini, senza giocare con le tre noci costituzionali sotto le quali continua a sparire il pisello (della legalità, che avete capito?). Altrimenti invece che il merito e la meritocrazia lascia pensare che quello che sembra premere anche a lui, uomo dabbene con un passato e soprattutto un debutto politico socialista “vero”, sia soltanto la necessità di mischiare le carte e la Carta. E del resto anche questa storia delle modifiche costituzionali, in un paese con una classe dirigente lontanissima dal rispettare le regole fondanti della democrazia, con il giochetto dell’art. 138 buono a servire una maggioranza e una minoranza che si ritagliano i vestiti su misura, è diventata grave e seria, serissima. E non sarebbe grave e casomai soltanto seria la questione della via da dedicare a Craxi, uno statista latitante su cui si gioca il passato prossimo di un po’ tutti, a partire dal premier (come giustamente hanno rilevato Pirani e Bocca in questi giorni) ma continuando con il Fassino del Pantheon democratico e la miriade di lacché di Bettino ancora vivi, vegeti e ingrassati, se non fosse passato così poco tempo: un decennio che però non vuole passare, un decennio di inabissamento perfezionato, un decennio in cui sembra più vivo il transfuga di Hammamet che i contemporanei di Arcore, Lorenzago o Piacenza. Un po’ di calma e gesso, via, e poi anche Craxi avrà la sua strada a metà tra Gengis Khan e Stavisky (senza “r”, proto…). Ma per far piangere Flaiano basta dare un’occhiata alle candidature sinistrorse in Puglia: sono davvero dei Mida rovesciati dall’oro al guano, una serie di organismi geneticamente modificati dal potere o dal sottopotere, lacerati tra il privilegio e l’autolesionismo. Chapeau, sembra quasi peggio vincere (?!?!) così che perdere seriamente. Perché non ci facciamo un bel sondaggio?

Inflazione e recessione di Ugo Arrigo

l 2009 si è chiuso con un’inflazione ai minimi storici ma questa è solo in parte una buona notizia dato che la causa di una dinamica dei prezzi così contenuta è tutta nella recessione economica, nella contrazione della domanda, in scelte di consumo molto moderate a fronte di un potere d’acquisto che scarseggia. I dati provvisori sull’inflazione del mese di dicembre, resi noti dall’Istat, indicano un moderato incremento per l’indice dell’intera collettività nazionale rispetto sia al mese precedente (+0,2%), sia al dicembre 2008 La causa di una (+1%). Il 2009 chiuderebbe pertanto con dinamica dei prezzi una variazione media annua pari a solo lo così contenuta 0,8%, con una riduzione notevole rispetto al è tutta nella crisi, 2008, anno in cui l’incremento dei prezzi al nella contrazione consumo fu del 3,3%. della domanda, Per trovare un dato più rispetto al in scelte di consumo contenuto 2009 bisogna fare un salto all’indietro di un molto moderate cinquantennio esatto: nel 1959, in pieno a fronte di un boom economico, i potere d’acquisto prezzi al consumo diminuirono dello 0,4%. che scarseggia Un’inflazione così

I

contenuta avvantaggia apparentemente i lavoratori dipendenti dato che le loro retribuzioni contrattuali hanno registrato nell’anno che si è appena concluso dinamiche più robuste. I dati Istat disponibili segnalano per i primi undici mesi dello scorso anno un incremento del 3,1% rispetto allo stesso periodo del 2008, oltre due punti in più rispetto all’inflazione. Anche nel triennio precedente le retribuzioni sono cresciute lievemente più dei prezzi: nel 2006 del 3% mentre i prezzi del 2,1; nel 2007 del 2,2% e i prezzi dell’1,8 e nel 2008 del 3,5% contro il 3,3. Ha dunque ragione il ministro dello Sviluppo economico Scajola il quale ha dichiarato che il potere d’acquisto dei cittadini non è stato penalizzato dalla crisi e che in molti casi è aumentato? Se osserviamo i dati sui consumi dell’insieme degli italiani sembrerebbe di no: essi non solo languono nell’anno della recessione ma risultano problematici già negli anni precedenti. Posto uguale a 100 il valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio nel 2005, nello scorso mese di ottobre tale valore risultava di pochissimi decimi di punto più alto (100,3) e mentre per i prodotti alimentari raggiungeva il valore di 103, per quelli non alimentari era addirittura inferiore a quattro anni prima (99,2). Poiché si tratta di dati che rilevano le vendite a prezzi correnti, la loro interpretazione non può che essere univoca: negli ultimi quattro anni le famiglie italiane hanno potuto destinare ai consumi un ammontare costante di risorse economiche e sono state quindi obbligate a compensare i maggiori prezzi con minori quantità acquistate. Inoltre, poiché i consumi alimentari non sono comprimibili più di tanto, hanno dovuto ridurre in particolare le quantità consumate dei

beni non alimentari. Bisogna infine considerare il fatto che nell’ultimo quadriennio la popolazione italiana è aumentata di circa un milione e trecentomila unità (+2,2). Se teniamo conto di questo ulteriore aspetto il quadro complessivo può essere così completato: negli ultimi quattro anni un numero crescente di residenti in Italia ha potuto destinare ai consumi la stessa quantità complessiva di risorse monetarie, riducendo quindi il budget medio, e con tali risorse ha potuto acquistare quantità di beni inferiori, dato che nel frattempo i prezzi al consumo sono cresciuti. Non è certo un quadro confortante, tale da giustificare analisi ottimistiche, e non potrebbe essere troppo diverso in conseguenza della limitata crescita economica, che perdura ormai da troppi anni al di sotto della media europea, e della recessione più grave che abbiamo subito nel 2008. Il 2010 andrà presumibilmente peggio per il potere d’acquisto: le retribuzioni dei lavoratori dipendenti, che hanno risentito nel 2009 degli effetti di rinnovi contrattuali approvati prima dello scoppio della crisi, cresceranno di meno mentre l’inflazione tornerà a salire. In questo contesto l’assenza di politiche di regolazione che limitino la libertà dei grandi monopolisti pubblici e privati di farsi i prezzi che vogliono, risulta particolarmente deludente: gli aumenti recenti delle tariffe aeroportuali che gravano sui passeggeri, di quelle ferroviarie e postali, del canone Rai e delle tariffe autostradali non peseranno forse moltissimo nei bilanci della quasi totalità delle famiglie, tuttavia in un anno di grave crisi e di prezzi di mercato praticamente fermi rappresentano un’autentica presa in giro.


Mercoledì 6 gennaio 2010

pagina 19

SECONDO TEMPO

MAIL Le persone che meritano ma pagano la crisi Scrivo ancora una volta per parlare della situazione di 75 vincitori futuri funzionari informatici del ministero della Pubblica istruzione. Il nostro problema è il “blocco delle assunzioni”, relativo al decreto della Finanziaria convertito in legge in agosto 2009. Per avere un quadro della nostra “singolare” situazione (che è anche la situazione di centinaia di vincitori di altrettanti concorsi che il Miur ha concluso dopo il nostro) invito a leggere il post che ho pubblicato su http://eroi-dimenticati.ilcannocchiale.it. La situazione di noi 75 è alquanto singolare per vari motivi, tra i quali, quello che salta più all’occhio – come leggerete sul blog –, è il decreto che autorizzava le voci di spesa e la nostra assunzione, bloccata in maniera retroattiva e a dir poco coatta. Così si fa soltanto pagare la crisi economica alla gente meritevole. Ercole Amelotti

Un certificato medico per la Costituzione Se, a logica di metafora, oggi l’Italia volesse tonificare i suoi muscoli molli della politica e allenarsi nelle palestre della legalità, della giustizia, della meritocrazia e della dignità, dovrebbe recarsi dal “medico” (la magistratura, per esempio), e chiedere un certificato di sana e robusta “Costituzione”. Quella tanto cara Carta, che è il cuore di ogni Paese civile e che presuppone la salute generale di tutti i suoi organi vitali. Vale a dire: le leggi fondamentali dello Stato. Attualmente, l’Italia non può correre; ha il fiatone e non ha resistenza, perché “uomini virus” attaccano da più parti l’intera natura della sua fondazione. Modificando uno o più articoli senza il senno con cui sono stati posti in essere, ma usando invece uno stile rozzo e distruttivo. Riuscirà il nostro paese a riabilitarsi fisicamente e psicologicamente, riducendo l’alto rischio di spersonalizzarsi? Come dice Karl Popper, il futuro è aperto! Roberto Calò

Troppa ignoranza sulle partite Iva Ho 47 anni e faccio parte del tanto vituperato (in quanto tacciato “a prescindere” di evasione fiscale) popolo delle partite Iva. Sottolineo che, almeno per quanto mi riguarda, anche volendo non potrei evadere nemmeno un centesimo, in quanto lavoro (come credo faccia gran parte dei partita Iva iscritti alla gestione separata dell’Inps, quindi non iscritti ad albi od ordini professionali) solo su progetti finanziati con fondi pubblici, che richiedono la presentazione di un documento fiscale giustificativo per ogni costo sostenuto, pena la mancata possibilità per lo stesso del finanziamento. Ci tengo a specificare: questo non è un dettaglio, perché mi capita spesso di leggere

BOX A DOMANDA RISPONDO MEDIASET NON È GRATUITA

Furio Colombo

7

aro Colombo, nel rispondere al lettore Piero Cappelli (29/12/2009) lei sembra condividere la tesi, peraltro diffusissima, che le reti Mediaset siano gratuite, contrariamente a quelle della Rai alla quale si paga il tributo/canone. Non sono affatto d’accordo. Lei trascura l’incidenza della pubblicità sul costo finale dei prodotti. La “gratuità” delle reti Mediaset è pagata da noi con i costi maggiorati dei prodotti. E non mi si venga a dire che anche la Rai fa pubblicità: sfido chiunque a cronometrare gli intervalli pubblicitari della Rai e quelli di Mediaset, sarebbe come paragonare Davide a Golia. Inoltre, come ha spiegato molto chiaramente il bancarottiere Calisto Tanzi che versò a Berlusconi il 5% del fatturato Parmalat, se si affidava la pubblicità a Mediaset si avevano agevolazioni a livello politico, addirittura Tanzi ottenne la nomina di uomini suoi ai posti apicali di alcune banche. E questo sistema corrotto grava sulle nostre tasche, ma nessuno ce lo spiega. Tiziana Gubbiotti

C

C ONC ORDO, ringrazio,

ma credo di averlo suggerito nell’ultima riga della mia risposta in cui dicevo che alla fine paghiamo il costo di Berlusconi che governa. Ma sono grato, e certo lo sono i lettori, a Tiziana Gubbiotti perché, in poche righe, spiega bene come il ricco, potente e padrone dei media che gestisce le sue aziende e intanto governa in pieno conflitto d’interessi, guadagna, e guadagna moltissimo, governando. Ma non dal mercato. Guadagna da quei cittadini che lo votano dicendosi l’un l’altro: “Almeno lui non ha bisogno di rubare perché è ricco”. La lettera pubblicata qui sopra dice chiaro che il ricco, mentre abusa della legge governando, impone una serie di tasse occulte che pagano tutti, compresi coloro che cantano a squarciagola “meno male che Silvio c’è”. C’è, e costa il doppio. P.S. Il lettore Cappelli, citato nella lettera di Tiziana Gubbiotti, ha appena scritto al Fatto un’altra lettera sull’argomento a cui risponderemo al più presto. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

IL FATTO di ieri6 Gennaio 1911 Venerdì. Arena Civica di Milano. In campo, per un’amichevole di lusso, la neonata Nazionale di Calcio contro l’Ungheria, prima della classe del calcio mondiale. L’Italia, dopo il debutto vincente del maggio 1910 contro i galletti francesi, ha appena rimediato a Budapest una sonora sconfitta per 6-1 e va a caccia di rivincita. Contro i magiari in maglia bianca, la Federazione, anche per doveri di ospitalità, decide di cambiare la sua tenuta d’ordinanza. Niente maglione bianco con collo e polsini inamidati e via alla prima maglia azzurra, con tanto di scudo sabaudo rosso e croce bianca, omaggio ai colori di Casa Savoia. Ma agli undici di casa nostra, di celeste vestiti, non basterà la nuova divisa. La sconfitta, per 1-0, arriverà al 22’ del primo tempo con un gran gol del centravanti Schlosser. Rivincita fallita, ma esordio trionfale della nuova mise, in carica fino alla caduta della monarchia , con la sola breve parentesi dei Giochi Olimpici di Berlino del ‘38, in cui Mussolini, nel match contro la Francia, ordinerà alla squadra, in scherno ai francesi, di scendere in maglia nera. Sostituito nel dopoguerra lo stemma sabaudo col tricolore, l’Italia del calcio sarà per tutti l’Italia degli Azzur ri. Giovanna Gabrielli

articoli (e a volte capitoli o paragrafi in qualche libro), scritti anche da giornalisti autorevoli, che nel merito fanno affermazioni false o quantomeno fuorvianti, rivelando come su questo tema ci sia ancora poca conoscenza (o molta ignoranza): si tende a fare di tutta l’erba un fascio, senza considerare che un professionista che riceve i suoi clienti nel suo studio privato ha entrate (e occasioni di “evasione”) molto diverse da quelle di chi fa, ad esempio, il coordinatore, o il tutor formativo, o il docente in corsi di formazione finanziati dal Fse, e che spesso si è addirittura trovato costretto ad aprire una partita Iva per poter

ottenere un contratto. In quanto un collaboratore a partita Iva è meno costoso di un dipendente, ed è di più semplice gestione rispetto a un collaboratore a progetto e, soprattutto, è poco impegnativo per le organizzazioni: lo si può “lasciare a casa” senza problemi, senza remore, senza buonuscita, senza la paura di vertenze sindacali. Francesca Di Concetto

Caro Bersani, nessun inciucio con B. Sono un pensionato metalmeccanico di oltre 70 anni, che ha incominciato a comprare un quotidiano da qualche mese:

cioè il vostro! Ogni giorno vengo a conoscenza di tanti politici, che in passato, o anche nel presente, fanno semplicemente schifo. E noi continuiamo a votarli. Essendo un poveraccio sono “sinistrorso”. E non riesco a capire come tanti altri nelle mie condizioni possano votare Berlusconi. Se questa lettera venisse pubblicata avrei piacere che la leggesse l’onorevole Bersani, perché parlo con parecchi altri pensionati, e non siamo d’accordo con la scusa di essere responsabili per il bene del paese. D’altra parte gli irresponsabili sono proprio quelli che adesso ci governano. Se il Pd farà inciuci, noi, in futuro, voteremo per Di Pietro. Eugenio Tacchinardi

Ma quale Craxi, una via per i lavoratori! I lavoratori dipendenti e i pensionati, come dire la stragrande maggioranza del paese, sono poco o nulla interessati alla polemica di questi giorni sull’uomo politico Bettino Craxi e sulla proposta di dedicargli una via di Milano. Quel che sanno è che, con l’abolizione della contingenza, voluta dal suo governo nel lontano 1993, si sono impoveriti ogni anno di più sino ad avere oggi i salari più bassi d’Europa. I più arrabbiati sono i pensionati, che hanno visto sempre non onorato l’accordo che ha accompagnato la cancellazione della contingenza: quello sull’adeguamento biennale dell’inflazione programmata, da ancorare a quella reale. Come se ciò non bastasse, dal 2008 (governo Prodi) al 2010 (gover-

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica). • Abbonamento postale sostenitore (Italia) Prezzo 400,00 € - annuale • Abbonamento postale base (Italia) Prezzo290,00 € - annuale E' possibile pagare l'abbonamento annuale postale ordinario anche con soluzione rateale: 1ª rata alla sottoscrizione, 2ª rata

entro il quinto mese. La quota sostenitore va pagata invece in unica soluzione. • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo170,00 € • Modalità Coupon * Prezzo 320,00 € - annuale Prezzo 180,00 € - semestrale • Abbonamento PDF annuale Prezzo130,00€ Per prenotare il tuo abbonamento, compila il modulo sul sito www.antefatto.it.

IL FATTO QUOTIDIANO non usufruisce di alcun finanziamento pubblico

LA VIGNETTA

Modalità di pagamento • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105 Via Sardegna Roma Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su conto corrente postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. - Via Orazio n° 10, 00193 Roma Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero 02.66.505.712, con ricevuta

di pagamento, nome cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto. • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal. Per qualsiasi altra informazione in merito può rivolgersi all'ufficio abbonati al numero +39 02 66506795 o all'indirizzo mail abbonamenti@ilfattoquotidiano.it * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano

L’abbonato del giorno MIWA “Ciao! Mi chiamo Miwa e vi scrivo dal lontano Giappone. Assieme al mio papà abbiamo deciso di fare l’abbonamento al Fatto Quotidiano per poter avere notizie veritiere dell’Italia, visto che, tornando di rado a Milano, ci rimane difficile vedere le cose con i nostri occhi. E allora, per tutte le cose che ci raccontate ogni giorno, un grazie a tutti voi del Fatto. Ci piace il lavoro che state facendo. Arigatou!” Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

no Berlusconi), le pensioni si sono sempre “ristrette”. Mi domando se sia giusto far pagare, in termini economici, alle due suddette categorie, in particolare all’ultima, tutti gli errori fatti dai vari governi, in particolare dagli anni Ottanta ad oggi. Sto pensando allo scudo fiscale di Tremonti, che ha messo in evidenza una gigantesca evasione fiscale. I furbi non sono certo i lavoratori

dipendenti o i pensionati, ma le varie categorie: industria, commercio e servizi, che hanno potuto approfittare del sistema per trarne illecito profitto. Parte di questo denaro, con la contingenza, sarebbe rimasta nelle tasche dei lavoratori e dei pensionati, e avrebbe alimentato i consumi creando un circolo virtuoso per l’economia dell’intero paese. Sarebbe più giusto, a questo punto, intitolare una via in ogni città, paese e villaggio, ai lavoratori e ai pensionati vittime delle pessime decisioni di altri. Nessuna via per i politici! Luigi Nale

Date spazio al Grillo che sponsorizza il Web Ho letto l’intervista a Grillo. Penso che dovreste dargli molto spazio per far conoscere i suoi ideali e avvicinare la gente alla Rete. Informare è l’ultima spiaggia. Mauro Minardi

Diritto di Replica Intendo precisare la mia dichiarazione riportata nel pezzo “Galleggiare tra notizie e rimedi” (5 gennaio, pagina 4): mentre ho detto che molti azionisti fanno affari con il governo nella forma di appalti, non ho detto che fanno affari “privati” con Berlusconi. Alexander Stille

IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma lettere@ilfattoquotidiano.it

Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. A., 09034 Elmas (Ca), via Omodeo; Società Tipografica Siciliana S. p. A., 95030 Catania, strada 5ª n°35 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: poster@poster-pr.it Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.