Anche Bersani se ne è accorto. Il partito dell’amore è l’ennesimo imbroglio di B. per continuare a farsi gli affari suoi
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LA LE BIOGRAFIA PROPOSTE INEDITA DIPER UNO CAMBIARE DEGLI LA UOMINI POLITICA PIU’ DEL POTENTI PAESE D’ITALIA
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Martedì 12 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 9 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
CALABRIA CRONACA DALL’ANTISTATO Q Dove i boss comandano anche la politica
Battista il cassazionista
di Marco Travaglio
La fede e la spada di Marco Politi
dc
on i “negri” il mondo cattolico italiano si è schierato subito, senza esitazione. Pronunciando una parola, che molti libertari in pensione si vergognano di ricordare. Sfruttamento. Al cinico commento di Maroni sul lassismo verso i clandestini hanno reagito il parroco e il cardinale, l’Avvenire, l’Osservatore e il Papa. “Sfruttamento, caporalato, controllo della criminalità”, ha scritto dal primo giorno il giornale dei vescovi, denunciando la realtà degli “schiavi stagionali”. Di immigrati sfruttati ha parlato il segretario di Stato vaticano Bertone. Fino all’Angelus pregnante di Benedetto XVI: “Ogni migrante è un essere umano”. Nel silenzio tombale del Piazzista dell’Amore (ma come può il premier occuparsi degli schiavi in Italia e di rispetto della legalità, quando è occupato a trovare immunità per chi corrompe testimoni e redige falsi bilanci?) fa impressione ascoltare un Papa, mentre ricorda la semplice verità che ogni immigrato “differente per
C
cultura, religione e storia, è pur sempre una persona da rispettare, con i suoi diritti e i suoi doveri” e mai ci sia la tentazione di sfruttarlo. E ora l’Osservatore Romano rincara, rammentando l’odio razzista che alligna fra gli italiani. Prontamente il fariseo Calderoli ha tentato di scippare le parole papali, dichiarandole “impeccabili, sacrosante, da sottoscrivere”. E invece no. Non ci può essere contiguità tra una Chiesa fedele alla sua dottrina sociale e l’impudenza dei leghisti che si travestono da araldi di crocifisso e presepe e poi da anni lasciano loro esponenti invocare la “caccia” agli immigrati, portare maiali sui luoghi di future moschee, proclamare “White Christmas” per organizzare deportazioni. Non c’è nazione in Europa occidentale, dove un partito di governo alimenti così apertamente il clima di isteria xenofoba, che porta un paziente d’ospedale a rifiutare l’“infermiera negra” o un fuciliere di Rosarno a sentirsi in diritto di sparare sull’immigrato. Rosarno è un monito anche per la Chiesa. Per molti credenti è stato difficile digerire l’avvento recente di atei furbescamente devoti. Ma lasciare che i seminatori di razzismo continuino a sventolare il vessillo cristiano è stomachevole.
Rosarno in piazza: abbandonati da tutti, non siamo razzisti. Ma viene tolto uno striscione contro la mafia. Napolitano il 21 a Reggio per ripristinare la legalità
Udi Enrico Fierro
Udi Silvia Truzzi
a Calabria è una bomba pronta ad LBisogna esplodere e la miccia è a Rosarno. venire qui per toccare con
TABUCCHI: ITALIA A RISCHIO RIVOLTA
mano le piaghe provocate dall’abbandono: disperazione, bisogni veri, impotenza, rabbia antica. Una miscela pericolosissima che qualcuno sta maneggiando. pag. 2-3 z
siste in Italia un partito chiamato Eall’incirca Lega nord. Nato recentemente, con una base elettorale del dieci
INGIUSTIZIA
per cento, fa parte del governo Berlusconi. pag. 4 z
1 x Al via processo breve e immunità a raffica
L’impunito torna e ordina “Mai davanti ai giudici”
Nicoli pag. 6 z
Detenuti nel carcere di San Vittore e sopra, Silvio Berlusconi. In basso a sinistra Ferruccio Fazio (FOTO ANSA)
INGIUSTIZIA
Si è spento Rohmer Addio alla Nouvelle Vague
Ma se le carceri esplodono a lui non interessa nulla
Pagani pag. 14z
Udi Marco Lillo FAZIO E LA VILLA D’ORO DI DON VERZÉ on è più possibile girarsi Nno dall’altra parte. Qualcudovrà pur accendere un faro sugli affari del Sismi con i “raffaeliani”, gli uomini di don Luigi Maria Verzé che hanno scalato le istituzioni. pag. 8 z
2 x Detenuti stipati, 30 mila in attesa di giudizio
ncinema
nogni maledetta domenica Da Balotelli alla Coppa d’Africa, neri e non per caso Beha pag. 15z
CATTIVERIE Il Pd dichiara: “Su Rosarno, il ministro riferisca in Parlamento”. Ehi, stavolta si sono incazzati sul serio (www.spinoza.it)
di Silvia D’Onghia
e pene non possono con“L sistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”: se si pensa ai 65.774 detenuti ammassati nelle carceri italiane, a fronte di una capienza di 43.220 persone, l’articolo 27 della Costituzione sembra fantascienza. I detenuti aumentano in media di 800 unità al mese. pag. 9 z
uando uno qualunque finisce in carcere e sotto processo, cerca di smontare le accuse e, se è innocente, spera di convincere i vari magistrati che si occupano di lui. Se invece, puta caso, ha la doppia fortuna di chiamarsi Ottaviano Del Turco e di aver frequentato Craxi, nulla di tutto questo. Appena uscito di galera, entra di diritto a Porta a Porta, poi beneficia degli articoli innocentisti di commentatori che non hanno mai letto una riga delle carte processuali: cioè di Pigi Battista sul Pompiere della Sera. Quando poi si avvicina l’udienza preliminare, fabbrica una bella bufala e strappa paginoni e titoloni a edicole unificate. La Stampa: “Crollano le accuse a Del Turco”, “L’ex governatore: mi ha ferito la viltà del Pd, i fatti mi danno ragione”. Corriere: “Del Turco: su di me affiora la verità”, “Del Turco paga il suo passato socialista”. Il Giornale: “L’accusatore di Del Turco? Meritava la galera”, “Sgarbi: ora il pm deve pagare”. La gente legge e si dice: toh, hanno assolto Del Turco. Poi magari legge il Fatto e scopre che non è vero niente. Nessun’assoluzione, nessun elemento nuovo, tantomeno a discarico. Il tanto strombazzato dossier dei Nas sulle Asl abruzzesi risale a prima dell’arresto di Del Turco, i pm che l’avevano commissionato lo citavano ampiamente nella richiesta cautelare a conferma delle accuse, gli avvocati lo conoscevano benissimo ma non si erano mai sognati di considerarlo una prova favorevole. I Nas si limitavano a scrivere che la Regione era stata costretta a ridurre il budget sanitario dal governo Prodi per contenere il buco miliardario. Ma Del Turco non è imputato per aver speso troppo, bensì per aver intascato tangenti da 6 miliardi di lire dal re della sanità convenzionata, Vincenzo Angelini. I Nas ne chiedevano l’arresto, ma gli arresti fino a prova contraria li decidono i magistrati, che nel suo caso non ravvisarono esigenze cautelari perché Angelini collaborava: confessando di aver truffato la Regione e di aver pagato Del Turco e il suo staff per continuare a truffarla. Del Turco ovviamente nega, ma questo ovviamente non basta: è raro trovare un imputato (a parte l’orrido Angelini) che confessi. Né basta il fatto che i giudici non abbiano trovato conti esteri intestati a Del Turco: nessuno è così stupido da intestarseli. Al supergiudice galattico Battista però questo basta e avanza: l’altroieri si è ritirato in camera di consiglio a sezioni unite e, dopo breve discussione, ha sentenziato unanimemente e irrevocabilmente sul Pompiere: “La giustizia ha decapitato la giunta abruzzese e si è dimostrata ingiusta… Qualora il processo appurasse in via definitiva ciò che appare sempre più evidente, si sarà scritta una orribile pagina della magistratura e della politica”. Resta da capire perché, se è armato di elementi difensivi così poderosi, Del Turco li abbia finora nascosti ai pm e al gip, avvalendosi della facoltà di non rispondere, come ha fatto pure la sua compagna sulla provenienza dei 600 mila euro usati per l’acquisto di una casa intestata a lei. E perché il suo segretario Lamberto Quarta non riesca a spiegare i 200 mila euro in contanti usati per comprare una villa. E perché la difesa Del Turco non si affretti a chiedere il giudizio abbreviato in base alle carte dei pm, se sono così favorevoli. Noi naturalmente non sappiamo se Del Turco è colpevole o innocente: aspettiamo che ce lo dicano i giudici, che sono pagati per questo. Ma invidiamo molto il collega Battista che, dotato di virtù divinatorie, sapeva dell’innocenza di Del Turco fin dal giorno del suo arresto. Lui del resto è innocentista anche dopo le condanne definitive: infatti ha appena beatificato con trasporto il pluripregiudicato Craxi. Con Del Turco si è semplicemente portato avanti col lavoro. Così, in attesa di sapere se Del Turco è innocente, già sappiamo come si regolerà Battista: se sarà assolto, griderà al complotto; se sarà condannato, anche.
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L’ “Osservatore Romano”: sono episodi di odio muto e selvaggio
L’
GUERRIGLIA A ROSARNO
Osservatore Romano ieri ha condannato gli episodi di razzismo che “rimbalzano dalla cronaca”, definendoli “disgustosi” e ha notato come ci riportino “all’odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato”. “Noi italiani dal nord in giù – ha scritto nel suo articolo Giulia Galeotti, giornalista del quotidiano
vaticano – non abbiamo mai brillato per apertura”. E ha aggiunto: “Né siamo stati capaci di riscattarci quando il diverso si è fatto più vicino, nel mulatto, a prescindere dalle diversissime cause per cui ciò è avvenuto. Sia stato il risultato di un atto d’amore o di uno stupro, ben difficilmente abbiamo considerato quel bambino come nostro, al pari dei nostri. Anzi, la doppia appartenenza – ha
proseguito – è sembrata (e continua a sembrare) una minaccia ulteriore”. Il quotidiano della Santa Sede, riferendosi all’esempio americano, ha lamentato: “In questo non è servito a nulla: l’Obama-mania che imperversa trasversalmente, dalla politica all’arte, dallo stile al linguaggio, non ha fatto breccia alcuna nel dimostrare il valore dell’incontro tra razze diverse”.
DOVE LO STATO NON ESISTE PIÙ Duemila persone in strada per dire “non siamo razzisti” In un paese dominato dalla criminalità organizzata
di Enrico Fierro Rosarno
a Calabria è una bomba pronta ad esplodere e la miccia è a Rosarno. Bisogna venire qui per toccare con mano le piaghe provocate dall’abbandono: disperazione, bisogni veri, impotenza, rabbia antica. Una miscela pericolosissima che qualcuno sta maneggiando con estrema raffinatezza. Bastava vedere la manifestazione di ieri. Duemila persone. I negozi del paese sbarrati. Un corteo silenzioso e rabbioso. Contro “lo Stato che ci ha abbandonato”, “i mass media che ci criminalizzano”. Noi che “non siamo razzisti”. Questo diceva l’unico striscione che gli organizzatori del “comitato spontaneo” hanno consentito di esporre. Severamente vietati gli altri. Lo si è capito a metà corteo quando tre ragazze-tre del locale liceo srotolano il loro. “Speriamo di poter dire c’era una volta la mafia”. Un oltraggio nel paese dei Pesce e dei Bellocco, capi di quella ’Ndrangheta che qui è padrona di tutto. Della vita dei rosarnesi e del loro futuro, delle arance che marciscono sugli alberi e del destino dei “negri”. “Chiudetelo”, impone uno degli organizzatori, “abbiamo dato direttive precise”. Le ragazze capiscono e lo arrotolano mestamente. Non c’è libertà nel paese dei signori della ‘Ndrangheta, dove il ricordo di Peppino Valarioti, consigliere comunale del Pci, ucciso la sera dell’11 giugno 1980 dalla mafia delle arance a trent’anni, è ormai sbiadito. Scoloriscono i murales che raffigurano un “Quarto stato” calabrese. Il monumento alle vittime della mafia arrugini-
L
sce offeso dall’incuria e dalle deiezioni dei cani. Tante facce nel corteo. Di onesti e malacarne. Tanti interessi, tantissimi bisogni. “Il lavoro nero colpisce anche noi giovani calabresi”, dice una ragazza ai cronisti. Bersaglio degli insulti quando finisce la manifestazione. In prima fila nel corteo ci sono anche uomini e donne di colore, sono gli integrati, quelli che qui vivono da anni nelle case disastrate del centro storico. Gli altri, le braccia a poco prezzo, sono tutti andati via dall’inferno della “Rognetta” e della “Ex Opera Sila”. Spontaneamente cacciati. Non servivano più e quei lager erano monumenti alla vergogna. Sulla protesta una regia accorta. Opera di Mimmo Ventre, ex assessore della giunta comunale sciolta per infiltrazioni mafiose. Trascina in prima fila un uomo di colore. “Vieni Mustafà”. Un ragazzo lo rimprovera: “Si chiama Hussein, chiamiamoli almeno con il loro nome”. L’ex assessore fa spallucce e se ne fotte. “Ma questi si chiamano tutti Mustafà”. Già gli organizzatori, le menti politiche che hanno cavalcato la protesta e che fanno a gara per conquistare microfoni e telecamere. Soprattutto per dire che “a Rosarno lo Stato non c’è, qui c’è un commissario della Prefettura”. Nominato dall’Antimafia perché i Pesce e i Bellocco erano ormai diventati i padroni del comune. “Nel sistema politico e dell’informazione, il subdolo esercito degli strumentalizzatori asserviti è il cancro della nostra società”. Tre cartelle, linguaggio da Ventennio. Firmate Sante Pisani, che ha mobilitato il suo “Partito dell’Alleanza”, per difendere i rosar-
nesi. Pisani di arance se ne intende. Troppo, per i magistrati della Procura di Palmi che hanno scoperto una truffa di 45 milioni di euro ai danni dell’Unione europea proprio sui contributi alla coltivazione degli agrumi. Per l’accusa lo sdegnato rosarnese onesto sarebbe stato una delle menti che gestirono il business. Ma dietro la protesta dei cittadini di Rosarno non c’è solo questo. Dietro la violenza esplosa nei giorni scorsi non c’è solo la ‘Ndrangheta, con i rampolli delle “famiglie” mandati a fare le barricate e il tirassegno contro i neri. “Lo Stato non c’è”. Ed è vero, ma quando lo Stato si presenta con il volto umile e la determinazione di un suo funzionario donna scoppia la rivolta. Maria Giovanna Cassiano, di professione funzionaria dell’Inps, vive sotto scorta. Un anno fa denunciò lo scandalo dei falsi braccianti (mille solo a Rosarno) e delle cooperative fasulle che assumevano mogli, figli e fratelli di mafiosi. Una sola cooperativa arrivò a produrre un monte salari di 1 milione e 800 mila euro senza lo straccio di un documento contabile. C’era posto per tutti, per i “braccianti da bar” e
Qui la procura ha scoperto una truffa da 45 mln di euro ai danni dell’Unione sui contributi agli agrumi
per qualche “lavoratore” in galera che percepiva regolarmente tutte le indennità (disoccupazione, malattia, pensione) previste dall’Inps. Uno scandalo da 15 milioni di euro. Quando l’inchiesta passò nella mani del procuratore Leonardo Leone de Castris, e dall’Inps arrivò l’ordine perentorio di sospendere i pagamenti sospetti, scoppiò la rivolta. “Così si è messa in ginocchio l’economia della zo-
I Pesce e i Bellocco: ecco chi comanda nella Piana SONO DUE FAMIGLIE CRIMINALI ASSOCIATE CON GLI ALTRI GRANDI GRUPPI DI GIOIA TAURO sono i Pscheesce-Bellocco, padroni di Rosarno. Codi 'ndrangheta, famiglie estese, affari miliardari. I due clan, da tempo alleati delle famiglie Piromalli-Molé, gestiscono tutti i traffici dell'area di Gioia Tauro. Dal porto alla droga, dalle estorsioni al controllo dei mercati agricoli. Ma è il business dei centri commerciali, fiorentissimi nella zona, ad aver incrinato i rapporti tra i vari “casati” della 'ndrangheta. I Bellocco, si legge nell'ultima relazione della Commissione antimafia, “hanno una forte proiezione internazionale”, come emerge in varie indagini sui traffico di droga in Olanda e Belgio. Nulla
sfugge al controllo delle cosche, consociate in un unico cartello, della Piana di Gioia Tauro. Il Porto della città, uno dei più importanti scali commerciali del Mediterraneo, fin dalla sua costruzione è sotto il loro dominio. “L'accordo tra le cosche – scrive l'Antimafia – prevedeva anche il controllo della movimentazione merci. Con il pagamento di una sorta di tassa fissa di un dollaro e mezzo su ogni container trattato, in cambio della sicurezza”. Un affare da capogiro: a Gioia Tauro si movimentano ogni anno 3 milioni di container. La procura di Palmi, nell'inchiesta battezzata “Porto”, scoprì che “il pro-
getto non riguardava solo il pagamento della tassa sulla sicurezza, ma anche quello di ottenere il controllo delle attività legate al porto, dell'assunzione della manodopera e i rapporti con i rappresentanti dei sindacati e delle istituzioni locali”. Insomma, la 'ndrangheta della Piana “coglieva l'occasione che le consentiva di uscire dalla sua condizione di arretratezza per diventare protagonista dinamica della modernizzazione della Calabria”. L'inchiesta è di qualche anno fa. Ma oggi cosa accade? E' sempre l'Antimafia a dirci come stanno le cose. “Il progetto è stato in parte realizzato ed ha portato
al sostanziale dissolvimento di qualunque legittima concorrenza da parte di imprese non mafiose o non soggette alla mafia, estromesse dai lavori e ha introdotto elementi di scarsa trasparenza nei comportamenti di enti e istituzioni locali”. Tanti i Comuni sciolti per mafia, da Rosarno a Gioia Tauro. Tante le vittime della violenza mafiosa. L'ultima aveva 18 anni. Francesco Maria Inzitari è stato ucciso la sera del 6 dicembre scorso a Taurianova, suo padre Pasquale, era un esponente dell'Udc ed è stato condannato a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
na”, tuonò un assessore del comune. Antonio Caravetta, politico di spicco dell’Udc, denunciò “l’arroganza e l’insensibilità nei confronti di tanti lavoratori agricoli”. E furono scontri, blocchi della Statale Jonica. Proteste. Maria Giovanna Cassiano, volto gentile dello Stato onesto, finì sotto scorta. Esplode Rosarno, esplode la Calabria. La terra che brucia, come racconta in un suo bel
LA MANIFESTAZIONE
libro l’antropologo Francesco Minervino. Bruciano i suoi boschi d’estate e le speranze dei calabresi onesti divorate da “famelici stomaci” politici. Già la politica. Assente a Rosarno. Nei lager di “Rognetta” e dell’Opera Sila, c’erano tre cessi chimici per centinaia di disperati. Dei soldi promessi per l’accoglienza degli schiavi neppure un euro. Convegni e consulenze sull’immigrazione, alla regione e alla provin-
di Federico Mello
PARTE IL NO MAFIA DAY U
na giornata contro le mafie in Calabria. A lanciare il No Mafia Day, a Rosarno, è il gruppo di ragazzi che ha già dato vita alla fiaccolata per la legalità dopo la bomba alla Procura di Reggio Calabria. Ora si sono dati appuntamento su Facebook per sabato 23 gennaio e aspettano solo la conferma dalla Questura. “Volevamo farla il prima possibile - spiega Anna Leonardi, 24 anni, una delle promotrici dell’iniziativa - vogliamo far vedere subito che Rosarno, la provincia di Reggio e tutta la Calabria sono contro la mafia e sono solidali con chi si ribella”. La proposta di un No Mafia Day era stata lanciata negli scorsi giorni anche da Claudio Fava, di Sinistra Ecologia e Libertà, e rilanciata da Beppe Giulietti sul sito di MicroMega. “La faremo sicuramente entro febbraio, c’è bisogno di tempo per organizzarla bene a livello nazionale” conferma Fava. Troppo tardi per i ragazzi di Rosarno che sono già al lavoro.
Martedì 12 gennaio 2010
Gugliemo Epifani (Cgil): esistono altre realtà pronte a scoppiare
I
GUERRIGLIA A ROSARNO
l segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ieri nel corso di una conferenza stampa ha fatto il punto sui fatti di Rosarno: “Serve un governo trasparente nell’utilizzo della manodopera, che tolga questo mercato dalle mani della criminalità organizzata”. E ha aggiunto: “Il sindacato ha fatto la sua parte. Da decenni è in prima fila contro questo stato di
cose, non solo in Calabria. Il problema non è la Cgil, ma chi per tempo ha chiuso gli occhi e ha fatto finta di non vedere”. Epifani ha spiegato come nel nostro paese diverse siano le situazioni simili a quella esplosa a Reggio Calabria: “Di Rosarno ne abbiamo tante, pronte a scoppiare. Sono problemi da tempo segnalati. Non si può dire che quello che è accaduto non era prevedibile”. Il leader della Cgil
ha condannato “la retorica tutta ideologica” e ha preso nettamente le distanze dalle affermazioni del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dicendo che non è vero che “la clandestinità favorisce l’illegalità, nel caso di Rosarno è vero esattamente il contrario”. Per Epifani “l’uso della forza e della mobilità coatta non risolve il problema, ma finisce per il crearne altri”.
vista dall’estero " Un occhio particolare della stampa estera riguardo ai fatti di Rosarno. In particolare l’“Herald Tribune”, versione internazionale del “New York Times”, dedica un ampio servizio, dentro il quale cita il “Fatto Quotidiano”, ribattezzato “The Daily Fact”, con il titolo uscito domenica “Pulizia etnica”.
Ti sparano addosso come al Luna Park
Qui sotto la demolizione delle baracche a Rosarno; in alto le operazioni di trasferimento degli extracomunitari
GIÀ UN ANNO FA GLI AFRICANI AVEVANO INVOCATO LA SICUREZZA CONTRO LE CONTINUE AGGRESSIONI di Antonello Mangano*
giorno in scadenza, sta per averne un altro per protezione umanitaria. Ma soprattutto non vede l’ora di andare via da questa geografia dell’orrore. Uno schieramento di uomini e mezzi degno di una zona di guerra ha protetto per diverse ore i migranti dagli italiani. Ore paradossali in cui sono stati evacuati in poco tempo duemila uomini, contemporaneamente una deportazione e un salvataggio. Migranti protetti da italiani: una situazione opposta rispetto alla propaganda che ha portato al pacchetto sicurezza. A Rosarno, la realtà ro-
void shooting blacks”, hanno scritto sul muro dell’ex fabbrica abbandonata dove dormivano, prima di andare via. Dai primi anni Novanta a oggi sono tantissimi gli episodi di violenza che hanno colpito i lavoratori migranti. L’ultimo dei quali – “una ragazzata” per molti rosarnesi – ha scatenato la rivolta. Aiya ha ancora in pancia un pallino di piombo che non sarà estratto. È venuto dal Togo a chiedere asilo politico, ha in tasca un permesso di sog-
“A
cia, tanti. La politica pensa alle elezioni regionali. Nel Pd è ormai regolamento di conti tra il governatore uscente, Agazio Loiero, e gli altri pezzi da novanta del partito. Da una parte Peppe Bova, politico eterno, dall’altra Doris Lo Moro, ex assessore alla disastrata sanità. Stravinsero nel 2005, ma il blocco di potere che li portò al governo col 65% dei voti ha cambiato cavallo. Scelgono il centrodestra, soprattutto i
consiglieri regionali uscenti gravati da pesanti accuse per mafia. Arricchiranno le liste a sostegno del sindaco di Reggio Peppe Scopelliti. E guai a chi nel centrodestra si azzarda a chiedere pulizia. “Attento o farai la fine di Fortugno”. Francesco il vicepresidente della regione ucciso nel 2005. Inizia così la lettera anonima arrivata sul tavolo di Luciano Marranghello, un sindaco dirigente del Pdl di Cosenza.
vescia l’ideologia della Lega e del governo. Già un anno fa gli africani avevano chiesto “sicurezza”, ovvero molto banalmente che nessuno sparasse loro addosso, per una rapina o per gioco. Sono state fatte ipotesi fantasiose, richiamate regie occulte e coreografie preordinate. Nessuno che accetti la più semplice delle spiegazioni: gente che non sopporta di essere usata per il tiro al bersaglio e si ribella. La politica ha dimostrato di non aver compreso la portata storica di quanto accaduto. Nei momenti caldi della rivol-
Giovedì ore 18
Venerdì ore 10.26
DUE IMMIGRATI VENGONO FERITI DA COLPI DI FUCILE
È CACCIA ALLO STRANIERO CON AGGRESSIONI RIPETUTE
Giovedì ore 18.54
Sabato
PARTE LA RIVOLTA: CENTINAIA DI EXTRACOMUNITARI PER STRADA
INIZIANO I PRIMI TRASFERIMENTI NEI VARI CIE DEL SUD ITALIA
Giovedì ore 22.26
Domenica
CARABINIERI E POLIZIA CARICANO: SCATTANO I PRIMI ARRESTI
LE RUSPE DEMOLISCONO LE BARACCHE DELLA CITTÀ
INTERVISTA A ENZO CICONTE
“TUTTO È SCOPPIATO PERCHÉ SONO DIVENTATI INUTILI” di Alessandro Ferrucci
la riaffermazione della si“È gnoria della ’Ndrangheta”. Così, secco. Pochi fronzoli o giri di parole. Nessun sofismo, per Enzo Ciconte, su Rosarno. Scrittore e politico italiano, docente di Storia della criminalità organizzata a Roma Tre, è tra i massimi esperti di dinamiche delle grandi associazioni mafiose e più volte consulente della Commissione Antimafia. È nato a Soriano Calabro. Da dove nasce questa necessità di riaffermare un ruolo? È fondamentale analizzare i mutamenti economici della zona. Un tempo gli extracomunitari erano necessari per la raccolta degli agrumi, mentre da un paio di anni a questa parte, grazie ai finanziamenti della Comunità
europea, conviene lasciarli sugli alberi, e poi farli marcire a terra. Tanto i soldi arrivano ugualmente. Quindi niente più lavoro? Esatto. Già un paio d’anni fa ci sono stati i prodromi di quanto accaduto giovedì, con scontri e denunce. Oltre a un ampio servizio giornalistico della Bbc. Ma nessuno ha fatto niente. Chi doveva intervenire? Bè, sia il ministro dell’Agricoltura sia quello dell’Interno. Ma tutti e due sono la perfetta espressione di una cultura leghista applicata alle ragioni di governo. Maroni, in particolare, un anno fa ha promesso finanziamenti. A Gioia Tauro non sono mai arrivati. E oggi (ieri, ndr) dichiara: “Dobbiamo colpire il lavoro nero”. Ah sì, e come? Forse non sa che in Italia non esiste
il reato di caporalato e che per il lavoro nero esiste solo una sanzione amministrativa. Torniamo alla ’Ndrangheta: come è intervenuta? Gli africani hanno reagito perché si era sparsa la notizia dell’uccisione di quattro di loro. Con la contro-reazione di Rosarno le ’ndrine hanno mandato un segnale: qui comandiamo noi, il territorio è nostro. Quali famiglie comandano a Rosarno? Due: i Pesce e i Bellocco. Gente di primo piano, famiglie confederate e posizionate ai confini di Gioia Tauro. La serie “A”... Sì, eccome. Non stiamo parlando della ’Ndrangheta stracciona, ma di criminalità in grado di associarsi, di fare affari con i grandi gruppi internazionali.
Come dimostra il blitz di un paio di settimane fa a Gioia Tauro, con i cinesi in primo piano. In che ambiti investono? Droga, riciclaggio e investimenti vari. Hanno in mano quasi tutti i centri commerciali della zona; hanno subappalti sull’Autostrada del Sole. E ramificazioni al centro-nord e all’estero. La forza riconosciuta della ’Ndrangheta è quella di non far mai parlare di sé. Eppure questa volta... Non cambia niente. Voi giornalisti accendete i riflettori per qualche giorno. Poi torna il silenzio, assieme al risultato acquisito. Tra poco ci saranno le elezioni, è già si sta parlando di pacchetti di voti “venduti”... Sì, ma oltre alle regionali, anche Rosarno avrà il suo nuovo sinda-
co: sono proprio curioso di vedere chi sarà eletto. Ma il vero problema sono i segnali che arrivano a livello nazionale. Quali? Lo “scudo fiscale”, i beni mafiosi all’asta, le intercettazioni telefoniche e la riorganizzazione tra magistratura e polizia giudiziaria. Il segnale è chiaro: i latitanti dentro e spazio libero ai “colletti bianchi” della grande criminalità organizzata. Insomma, quest’ultimi possono anche alzare la testa, in tutta tranquillità, esattamente come a Rosarno.
ta, Maroni affermava che “l’immigrazione clandestina a Rosarno alimenta criminalità e degrado”. “Assenza di regole e buonismo”, dice il ministro Gemini. “Si sono concentrati troppi immigrati”. “Adesso bisogna, prima di tutto, ristabilire l’ordine a Rosarno”, dicono i giovani del Pdl. I gruppi di estrema destra dicono che a Rosarno bisogna riportare la tranquillità. Lo stesso Maroni parlava di normalità da ripristinare. Qui non c’è mai stata la pax mafiosa, ma una cronaca nera spaventosa. Qual è la “normalità”, quale “tranquillità”? Quella dei morti ammazzati a colpi di kalashnikov dopo una lite per un posteggio? Quella delle autobombe? Quella dei razzi anticarro di provenienza jugoslava trovati in normali appartamenti? Quella dei ragazzini di 14 anni ammazzati con un colpo alla nuca? Nel marzo del 2009, proprio alla fine della raccolta, Maroni arrivava a Reggio Calabria e colpito dalla situazione dei migranti nella Piana - annunciava 200 mila euro del Pon Sicurezza per l’emergenza migranti, in particolare “primi interventi assistenziali in relazione alla situazione di forte disagio presente a Rosarno ed in altre aree della provincia”. Oggi quei fondi sono arrivati, anzi di più: cifre imponenti per il “recupero urbano delle aree degradate” di Rosarno. Come sono stati spesi? Perché l’emergenza annunciata (che si presenta ogni inverno dal 1990) non è stata affrontata? L’alibi è quello dei “clandestini”. Non tutti sono irregolari, e non sempre è facile stabilire un confine netto. Tanti lavoratori hanno il permesso di soggiorno in scadenza, sono stati licenziati nelle aziende del Nord e rischiano di perdere i documenti se non trovano un altro contratto. Sono le regole disumane della Bossi Fini. Tanti irregolari sono denegati (richiedenti asilo a cui è stato opposto un rifiuto). I migranti irregolari della Piana hanno sempre chiesto di poter lavorare in condizioni dignitose. *Giornalista e scrittore, un anno fa ha pubblicato il libro: “Gli africani salveranno Rosarno”
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Martedì 12 gennaio 2010
Nell’agroalimentare fondamentali gli extracomunitari di Silvia
Truzzi
siste in Italia un partito chiamato Lega nord. Nato recentemente, con all’incirca una base elettorale del dieci per cento, fa parte del governo Berlusconi. Senza la Lega, Berlusconi non potrebbe governare. Berlusconi è alleato a partiti dalla connotazione politica di estrema destra. La Lega nord non dichiara precise connotazioni politiche. Ha una base “culturale” neopagana, fatta di croci celtiche e di venerazione del dio Odino e del dio Po, fiume nel quale ogni anno vengono praticati riti di purificazione. La Lega ha diffuso la convinzione che la Lombardia e una parte del Veneto siano terre privilegiate e di sua proprietà. Essa vanta la superiorità della “razza” ariana e detesta le altre (i neri, gli ebrei e, in particolare, gli arabi). Più in generale, detesta tutti gli “stranieri”.Parole di Antonio Tabucchi, in un intervento pubblicato dal quotidiano francese Le Figaro (non proprio un pericoloso foglio comunista). L’articolo così si concludeva: Se l’Europa ignora deliberatamente ciò che sta avvenendo in Italia, qualcosa dovrà succedere. È inevitabile. È nella logica della storia. Un uomo non bianco (ne basta uno) avrà forse un giorno un coltello per difendere il proprio corpo e la propria dignità. E lo utilizzerà. E capiterà come a Soweto. Non è ciò che mi auguro. È al contrario ciò che mi preoccupa, che mi allarma, che mi fa paura, e che mi abbatte. L’intervento è datato 30 dicembre 2009: quasi un vaticinio di quello che sarebbe accaduto, una settimana dopo, a Rosarno. Professore, il suo discorso su Le Figaro era un’amara profezia. Io non sono un veggente e non ho la sfera di cristallo. Ma basta la logica. Anche un cane docile, se lo maltratti, si ribella. Queste persone vivono in condizioni di schiavitù, sono in mano alla ‘Ndrangheta, con il consenso dello Stato e dei ministeri degli Interni e del Lavoro. Dove sono gli ispettorati del lavoro? E la polizia, a cosa serve? Solo a sedare i tumulti? Il fatto grave è che il ministro degli Interni sia un esponente della Lega. Maroni non è contento però: dice che c’è troppa tolleranza... Vede, questo rientra perfettamente nella logica berlusconiana, che voleva Previti
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GUERRIGLIA A ROSARNO
elle campagne italiane sono circa 90 mila gli immigrati extracomunitari che lavorano regolarmente, di cui quasi 15 mila con contratti a tempo indeterminato. Il dato deriva da un’analisi della Coldiretti diffusa dopo gli incidenti scoppiati a Rosarno: con circa il dieci per cento di extracomunitari – sul totale dei lavoratori agricoli – gli immigrati rappresentano una componente
strutturale dell’agroalimentare made in Italy. Gli extracomunitari impegnati nei campi italiani – secondo gli archivi Inps – appartengono a 155 diverse nazionalità. In molti “distretti agricoli” i lavoratori immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale. Come nel caso della raccolta delle fragole nel veronese, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in
TABUCCHI: ITALIA A RISCHIO RIVOLTA In un articolo su Le Figaro aveva previsto Rosarno ministro della Giustizia. Chiedo: il ministro vorrebbe applicare certe parole tristi di alcuni esponenti del suo partito, coloro che vorrebbero sparare agli immigrati come conigli selvatici? Il sindaco leghista che ha pronunciato queste frasi, forse non pensa che si possa verificare l’ipotesi contraria e cioè che i conigli selvatici possano sparare a lui. Seminare l’odio in questo modo, scatena una reazione. L’insegnamento del cattivo maestro, torna indietro... Ma no, è tutto amore. Sono il partito dell’amore. Sono persone che lanciano dei boomerang, più che altro. Ma il boomerang è un attrezzo pericoloso perché se non colpisce la preda torna indietro. Nel suo contributo sul quotidiano francese si appellava all’Unione europea, perché intervenisse. Scarsa vigilanza, diceva: per mancanza di volontà politica o perché i cittadini italiani non investono l’Europa del problema? Ricordo che Jaques Chirac, quando era presidente della Repubblica francese, chiese all’Ue sanzioni contro le parole razziste pronunciate da Haider. In Italia non si tratta di parole, si tratta di fatti gravissimi. Persone uccise, immigrati cui viene dato fuoco o che sono presi a sprangate. Ne traggo la conclusione
che l’attuale Consiglio d’Europa e la Commissione hanno dimenticato i principi su cui si fonda la Carta europea, fortemente voluti dai Padri fondatori. I quali, si noti, sono principi molto alti e sono indipendenti da ogni ideologia politica, perché appartenevano a De Gasperi e a Spinelli, a Jean Monnet e ad Adenauer. Di sinistra o di destra non importava, perché si trattava di valori universali come i diritti dell’uomo. Gli attuali responsabili dell’Europa, è evidente, hanno soprattutto valori economici, la loro etica è distratta dalla contabilità. Se l’Europa non presta l’attenzione dovuta a questi gravissimi casi, poi sarà un affare dell’Italia. Così come lo è quello strettamente politico dell’elusione della Costituzione. Rilancio il problema, perché io vedo un’emergenza a proposito della Carta. Il Pdl la sta facendo troppo facile. Perché? Prendo a prestito le parole di un grande economista italiano, Carlo Maria Cipolla, che divideva gli stupidi in tre categorie. Al primo livello ci sono gli stupidi che arrecano danno agli altri per trarne un vantaggio. Al secondo, gli stupidi che arrecano danni senza trarne alcuna utilità. Nella suprema categoria, la più pericolosa, ci sono gli stupidi che arre-
cando danno agli altri lo arrecano anche a se stessi. Ora, se le istituzioni di garanzia e le opposizioni tendono a questa terza categoria, il disastro si può anche immaginare. Quindi la sua previsione di fine d’anno era, semplicemente, molto probabile. La maggioranza pensa di poter pianificare tutto a tavolino. Ma non ha pensato a ciò che Keynes chiamava l’imprevisto. Chi assicura a coloro che adesso vogliono fare leggi speciali per annichilire la Costituzione – fondata sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge – che non si andrà incontro a imprevisti? Non è detto che gli italiani siano disposti a perdere la Costituzione e la democrazia grazie a un gioco di prestigio. Che nesso c’è tra le politiche xenofobe e il tentativo di manomettere la Carta? La ribellione può venire dai cittadini italiani. Io credo che la maggior parte dei cittadini non voglia modifiche di questo tipo. Supponiamo che succeda qualcosa, poi potrebbe divampare un incendio. “Berlusconi unto dal popolo”: è una leggenda che ha messo in giro
Piemonte, della preparazione delle barbatelle in Friuli e degli allevamenti in Lombardia, dove a svolgere l’attività di “bergamini” sono soprattutto gli indiani. Sono circa 30 mila le aziende agricole italiane che assumono lavoratori extracomunitari – per lo più albanesi, indiani, marocchini, tunisini, macedoni – dove, per le caratteristiche del lavoro – legato ai tempi della raccolta – prevalgono rapporti lavorativi stagionali.
lui. Basta contare i voti e considerare l’attuale legge elettorale, per capire che non è così. Se si continua a tirare la corda in questo senso e poi succede qualcosa, questi signori sono responsabili. E lo sarà anche l’opposizione, se accetta una modifica della Costituzione così grave, insieme con le istituzioni di garanzia. Guardiamo la situazione internazionale: gli Stati Uniti non manderebbero certo i marines a difendere quattro golpisti e due piduisti. E l’Urss non manderebbe i carriarmati, come fece per soffocare la rivolta dei democratici ungheresi. E allora che succede? Ce la vediamo tra di noi? Torniamo agli immigrati di Rosarno: si ha la sensazione di una terra abbandonata alla criminalità. Com’è possibile che lo Stato abbia abdicato alle sue funzioni? È possibile se il potere politico è colluso con la malavita organizzata. Con rapporti di questo tipo, nel corso degli anni, si è arrivati a questa situazione. Ed è una miscela esplosiva: il problema è che la ‘Ndrangheta non maltratta solo gli immigrati, ma anche i cittadini calabresi. E a un certo punto la gente non ne potrà più. Ma se le istituzioni lasciano correre, la situazione sarà matura per brutti episodi. Questo è il nodo di un cattivo governo, di una cattiva gestione della Cosa pubblica. Scusi, ma per come funziona la democrazia, l’opposizione dovrebbe avere un ruolo d’argine. Dov’è finito? Il ministro del Lavoro o il ministro dell’Agricoltura dovevano recarsi sul posto pronta-
Se l’opposizione si rende complice di illegittime modifiche costituzionali, si assume la responsabilità di quello che può succedere nel paese, dell’imprevisto mente perché si tratta di lavoratori schiavizzati e di lavoratori agricoli. L’opposizione deve chiedere conto al governo di questo vuoto, di questa assenza. E soprattutto deve pensare che l’Italia non è il Palazzo, molti cittadini hanno troppo cara la loro libertà in una Repubblica nata dalla Resistenza. Sanno che la democrazia si difende a ogni costo. Se l’opposizione si rende complice di illegittime modifiche costituzionali, si assume la responsabilità di quello che può succedere nel paese. La responsabilità dell’imprevisto.
Antonio Tabucchi nell’illustrazione di Emanuele Fucecchi
“Cannibali”, “selvaggi”: ecco il leghista che non fa sconti IL SENATORE TORRI: “CHI LAVORA PER 25 EURO AL GIORNO LO HA SCELTO. PERCHÈ NON CHIEDE LO STESSO STIPENDIO DEGLI ITALIANI?” di Carlo Tecce
i chiedo se questi selvaggi debbano essere “M considerati fratelli dalla dottrina cattolica”, dice Giovanni Torri della Lega nord, nato a Parma e residente in provincia di Bergamo, giornalista pubblicista, da anni consulente parlamentare, membro della quarta commissione Difesa. Senatore, gli extracomunitari sono selvag-
gi? E’ tra virgolette? Sì. Mi riferivo al nigeriano che ha morso all’orecchio un poliziotto di Modena. Non c’entra Rosarno? Quel nigeriano è un cannibale. In Calabria hanno fatto una gazzarra. Li hanno presi a fucilate. Capito. Ma se ti rompono le scatole non puoi prendertela con la popolazione? Caccia al nero. E’ una frase grossa. Per pochi lavori fatti ai caporali, io cittadino comune non posso sorbirmi tutto. Giustifica i rastrellamenti e i
“Loro sanno bene che trovano lavoro perché sono disposti a spaccarsi la schiena per pochi soldi”
blocchi stradali? No. Sono contro la violenza e il razzismo. Mia moglie è albanese, eh! Sono stato in Albania, vent’anni fa, prima dei barconi. Cosa notò di strano? Che gli albanesi guardavano i telegiornali italiani. Sapevano che alcune ragazze emigrate facevano le prostitute. Crede che erano tutte schiave? Chi lavora a 25 euro al giorno l’ha scelto. Accetta con coscienza. E non perché costretti? Loro sanno bene che trovano lavoro perché sono disposti a spaccarsi la schiena per pochi euro. Perché non chiedono uno stipendio come un ragazzo di Como? Vedrà, tornano a casa di spontanea volontà. Come aiutarli? Ci sono i flussi. La regola della domanda e
dell’offerta. Perché abbiamo tanti transessuali sulle strade, eh? Perché sanno che c’è richiesta. L’imprenditore sa che può farli lavorare pagandoli meno: cinquanta euro al mese, va bene? Finché c’è posto ben vengano. E poi? Li respingiamo. Non possiamo fare il mercato dei poveri. I cittadini sono stanchi. Sa che in Nigeria c’è il petrolio? Perché non sfruttano le materie prime, invece di farsi sfruttare qui in Italia? Andiamo dai loro governanti e gli diciamo: te li tieni! Lei è una persona ragionevole, ritratta sui “selvaggi”? Quando Tyson ha rosicchiato l’orecchio a Holyfield, l’abbiamo catalogato come atto selvaggio e non sportivo, ok? Se gli avesse dato un pugno nello stomaco... Capisce cosa voglio dire?
Martedì 12 gennaio 2010
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In crescita i fligi degli immigrati, ma meno di qualche anno fa
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DISCRIMINAZIONI
orpresa: il ritmo di incremento degli alunni stranieri nelle nostre scuole non accelera, ma rallenta. Nell'anno scolastico 2008-2009 gli alunni stranieri sono risultati 629 mila, con un aumento di 54.800 unità rispetto all'anno precedente. Nel quinquennio 2003-2008, invece, l'incremento medio annuo era stato di 72 mila alunni, con una punta di 79 mila nell'anno scolastico 2004-2005. La
spiegazione sta nella perdita di posti di lavoro, che avrebbe convinto migliaia di famiglie ad abbandonare l'Italia. Del resto pochi mesi fa le autorità romene hanno fatto sapere che la pressione nelle scuole del paese è aumentata, per il ritorno in patria di molte famiglie dall'estero. I dati dell'anno scolastico 2009-2010 non sono ancora noti, perché vengono rilevati a gennaio-febbraio, per tener conto dei
ricongiungimenti familiari tardivi. Visto che la crisi ha picchiato proprio l'anno scorso, la tendenza già manifestatasi potrebbe consolidarsi. Assai allarmanti, da qualche anno, i dati sul “ritardo scolastico”: gli alunni stranieri hanno un'età maggiore rispetto alla classe frequentata nel 30 per cento dei casi nella scuola primaria, nel 50 per cento e oltre alle medie e nel 70 per cento alle superiori.
CONFUSIONE GELMINI
In tv dice che i bimbi nati in Italia sono esclusi dal tetto del 30 per cento, nella circolare ufficiale no di Vittorio d’Almaviva
na tempesta in un bicchier d'acqua. Se il limite del 30 per cento per classe non vale per i bambini stranieri nati in Italia, come Mariastella Gelmini ha giurato in tv, allora poco o nulla cambierebbe rispetto ad oggi. Le scuole da cui periodicamente si levano lamenti di genitori italiani sono infatti quelle frequentate dai più piccini. Ma, secondo stime dello stesso ministero dell'Istruzione, ben il 70 per cento dei bimbi stranieri che frequentano gli istituti dell'infanzia e quasi il 50 per cento di quelli delle scuole elementari, è nato in Italia. Per loro, dunque, non cambierebbe un bel nulla. Pura propaganda e basta. “Ma nella circolare spedita l'8 gennaio dal ministro a tutte le scuole non si dice affatto che gli stranieri nati in Italia sono automaticamente esclusi dal tetto – osserva Massimiliano Fiorucci, docente di Intercultura all'Università di Roma tre – E io sono del parere che le disposizioni scritte valgano ben più di una dichiarazione domenicale del ministro in tv. A meno che non venga modificata la circolare. In ogni caso, un bel pasticcio”. Nel documento ministeriale si dice esattamente che “il limite del 30 per cento può essere innalzato – con determinazione del Direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale – a fronte della presenza di alunni stranieri (come può frequentemente accadere nel caso di quelli nati in Italia) già in possesso delle adeguate competenze linguistiche”. Si decide volta per volta, dunque. L'ufficio scolastico regionale “potrà” alzare il limite, ma non sarà obbligato a farlo. C'è almeno un'altra discrepanza, fra quello che ha detto la Gelmini e le dieci pagine di circolare firmate dal suo direttore generale,
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Mario G. Dutto. Nel documento non si quantificano i fondi necessari a organizzare l’intervento, che scatterà dall'inizio del prossimo anno scolastico. Il ministro, invece, ha parlato di 20 milioni di euro, senza specificare da dove verranno presi. Ma a che cosa serviranno c'è scritto chiaro e lo ha ripetuto il ministro: alle “classi di inserimento”. Torna così in auge, senza peraltro specificare come, un progetto della Lega Nord che sembrava essersi fermato in Parlamento: quello di creare delle classi “ad hoc” per gli stranieri che non conoscono bene la lingua. “Chiamiamole pure classi differenziali – chiosa il professor Fiorucci – Una soluzione banale, costosa e inattuabile. Solo assieme agli altri ragazzi si impara l'italiano. Si prevedano laboratori linguistici nel pomeriggio, ma collegati alla normale attività di classe. Per giunta, il ministero dell'Istruzione aveva calcolato che solo il 10 per cento dei ragazzi stranieri nella nostra scuola ha reali problemi linguistici”. Al di là delle correzioni televisive, per Fiorella Farinelli, direttore generale al ministero dell'Istruzione prima che arrivasse la Gelmini, il messaggio che il ministro ha lanciato è che “la presenza di ragazzi stranieri nelle nostre scuole è un flagello, come l'inquinamen-
L’ex direttore generale all’Istruzione: “Ma resta il messaggio che gli stranieri siano un flagello”
CITTADINANZA
di s.d.
Alemanno doppia Fini
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a stragrande maggioranza degli immigrati non vuole la cittadinanza, ma vuole poter tornare in patria dove continua a mandare la maggior parte delle proprie rimesse”. Parola del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che, durante il convegno sull’immigrazione organizzato ieri dalla fondazione Nuova Italia, di cui è presidente, ha anticipato i contenuti della piattaforma sulla cittadinanza firmata insieme al sottosegretario Alfredo Mantovano. Sempre più lontano da An e da Fini, Alemanno dice no ai cinque anni: “La cittadinanza non deve essere uno strumento di integrazione, ma il termine di un processo”. Per questo andrebbe conferita dopo dieci anni. Perchè “chi vuole diventare cittadino italiano deve esserne ben convinto”. Astenersi perditempo.
Bambini in una classe multietnica
to dell'aria. Produce difficoltà agli altri e bisogna contenerlo”. Fa notare che sul sito del ministero è apparso prima il comunicato stampa della circolare, che anzi è costruita con una certa abilità e fa tutti i riferimenti possibili al testo unico sull'immigrazione. “Ma in altri due punti chiave introduce elementi peggiorativi rispetto alle norme attuali – spiega l'ex direttore che fu anche assessore alle politiche scolastiche del Comune di Roma – Dà infatti la possibilità di inserire gli stranieri in classi inferiori rispetto alla propria età anagrafica, aggravando così il dramma del ritardo scolastico, e prevede addirittura la possibilità di classi con una quota di stranieri inferiore al 30 per cento. Non va dimenticato che il Direttore scolastico della Lombardia proponeva un tetto del 20”. Interessante, invece, l'osservazione che le indicazioni del documento non vanno intese come vincoli posti ai genitori che iscrivono il ragazzo, ma come un criterio organizzativo assunto dalla scuola. Se è così, però, una famiglia si potrebbe opporre alla de-
portazione del figlio in un'altra parte della città. C'è poi il riferimento ai ragazzi che arrivano in Italia in seguito ai ricongiungimenti familiari, quando hanno già 13 o 14 anni. Sono i casi più complicati. Dovrebbero essere presi in gestione da delle “scuole polo”, ma non si capisce bene come funzioneranno e se i ragazzi
dovranno finirci senza il consenso dei genitori. Vero è che quasi tutti i problemi verranno scaricati sulle spalle dei singoli dirigenti scolastici. Elio Gilberto Bettinelli, ex dirigente scolastico di Milano, fra gli animatori del sito scuolaoggi.com, è preoccupato per quanto poco si spenda per l'insegna-
mento dell'italiano come lingua due: “É mai possibile che in provincia di Milano negli ultimi dieci anni c'è stato un aumento esponenziale di alunni stranieri, ma gli insegnanti “facilitatori” sono passati da 700 a novanta?”. Sono queste le risorse da non lesinare, se davvero si vuol fare integrazione.
ACCADE A BOLZANO
LA DISCOTECA ALLA MODA CHE NON VUOLE GLI ITALIANI di Chiara Paolin
oi ragazzi c’è poco da ragionare, quando una discoteca va “C di moda vogliono andare solo lì. Ma non li fanno entrare, perché parlano italiano”. Tiziana è una mamma giovane, contemporanea. Lavora al Comune di Bolzano, poi corre a casa a preparare la cena per i due figli adolescenti, e intanto li consiglia sul look per la serata in discoteca: lui un bel jeans, lei un top carino, e poi via al Juwel di Appiano, a pochi chilometri da Bolzano. É il locale del momento, ci vanno i grandi dj da Molella in su, la fila per entrare è lunga ogni sera nonostante la temperatura polare. Anche il 26 dicembre faceva molto freddo, e i figli di Tiziana hanno fatto la coda tre volte nel tentativo di andar dentro. Ogni volta, alla porta, la stessa risposta: nein. Erano con amici italiani. Scherzi, risate per non congelare, e poi il rimbalzo dei buttafuori. Non è un episodio isolato. Un gruppo di ragazze ha scritto al giornale locale, l'Alto Adige, una lettera di protesta: chi si avvicina all’ingresso e dice “Ciao” viene subito scartato, se invece arrivano i tedeschi con il loro “Servus” ecco sorrisi e cordoni che si aprono. A volte, secondo il racconto delle giovani, non si riesce neanche ad arrivare davanti al locale, perché il filtro linguistico funziona già alla navetta che raccoglie i clienti in centro città per portarli a ballare. Markus Regele gestisce lo Juwel e smentisce tranquillo: “Ma quale razzismo, noi facciamo entrare tutti. Certo devo dare la priorità ai clienti abituali, quelli che consumano tanto e non fanno danni. Non è un problema di lingua”. A dir la verità, il sito ufficiale della discoteca non sembra particolarmente accogliente con chi parla italiano. Tutte le informazioni sono in tedesco, dall'indirizzo del locale (Eppan, Mureni Ohg Kaltererstrasse 55) al frequentatissimo blog dove i ragazzi commentano gli ultimi fatti con slang giovanile altoatesino. Molti dicono che non è giusto bloccare tutti gli italiani solo perché qualcuno in passato s'è comportato male, altri invece riempiono i messaggi di battute maliziose e faccine ammiccanti per sottolineare che – tutto sommato – ogni tanto si sta pure bene senza italiani tra i piedi. Già a fine estate il piccolo centro aveva lanciato un messaggio chiaro a Regele, che nel periodo estivo gestisce anche il discobar Baila. Il sindaco e cinque assessori comunali avevano
detto basta a risse e schiamazzi fino all'alba: i turisti cercano pace, mucche e serenità. Il problema è che i confronti accesi tra ragazzi non mancano in tutte le stagioni, e di solito si arriva alle mani proprio citando i clichè più tradizionali: italiani traditori e terroni, tedeschi razzisti. “Il confronto tra culture è l’unico strumento di libertà. Certo che ragazzi così giovani non riescano a trovare un terreno comune lascia perplessi”. Marcello Fracanzani, ordinario di diritto amministrativo, dirige l’Istituto Internazionale di Studi Europei Antonio Rosmini di Bolzano, ente nato nel 1955 per fondere la cultura italiana e quella tedesca nel più ampio contesto dell’Europa postbellica. Mezzo secolo abbondante di studi e legami tra Italia, Austria, Germania, Spagna, eppure ecco ancora lì davanti gli spettri di pericolose incapacità di dialogo. Spiega Fracanzani: “Ormai il Trattato di Lisbona è legge, siamo tutti cittadini europei. Pensare a litigi tra meranini e bolzanini dovrebbe far davvero sorridere. Invece no, perché il tema vero è quello del confronto guidato da chi ha la responsabilità di gestire i grandi temi sociali. Non basta l’economia, nè un atto parlamentare, occorre incidere sulla cultura. Siamo in grado di farlo, oggi, in Italia? Certo non si può imporre una visione superiore, il pensiero unico, ma bisogna saper toccare i tasti giusti per favorire la comprensione reciproca”. Intanto anche sul sito del Gazzettino, il più diffuso quotidiano del Nord-Est, le voci si incrociano, più spesso si bloccano muro contro muro. Un lettore spiega: “Noi italiani siamo odiati dai tedeschi. E non mi sento di dargli torto. Nella prima guerra mondiale li abbiamo traditi in modo vergognoso. Nella seconda invece, finché i tedeschi vincevano siamo stati con loro e poi quando hanno cominciato a perdere siamo passati con gli americani”. Dall’altra parte c’è chi arriva ai giorni nostri: “Bolzano è provincia autonoma e da quel che mi risulta prende molti più soldi delle regioni a statuto speciale. I crucchi mi sa che siamo noi”.
Problemi di convivenza con i giovani tedeschi e accesi diverbi a suon di clichè: “sei un terrone”
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Martedì 12 gennaio 2010
INGIUSTIZIA
IL FATTO POLITICO
Berlusconi avanti tutta: “Leggi ad personam? No, ad libertatem”
dc
L’agenda del rientro di Stefano Feltri
VERSO LA FIDUCIA SU PROCESSO BREVE E LEGITTIMO IMPEDIMENTO di Sara Nicoli
eggi ad personam? No, ad libertatem!”. Di tutti? No, solo “suam”. Ieri mattina, appena rientrato a Roma Berlusconi non ha mancato di arringare una modesta folla raccolta davanti palazzo Grazioli spacciando la solita moneta bucata: la riforma della giustizia è “a beneficio di tutti” ed è “una tale priorità che bisogna farla in fretta”. Ogni promessa è debito, dunque avanti. Nel summit di ieri mattina, presente lo stato maggiore Pdl (tutti i coordinatori) più l’avvocato Ghedini, il ministro Alfano e Giulia Bongiorno, si è parlato praticamente solo di giustizia. D’altra parte, non gli interessa altro. L’ha pure candidamente confessato al suo adorante uditorio. “Che ci volete fare - ha spiegato - ogni tre giorni devo occuparmi di un processo, invece dovrei governare perchè i cittadini mi hanno dato questa responsabilità e invece sono costretto a distogliere sempre l’attenzione...”. Sulla giustizia si procede, dunque, a marce forzate. Prima il processo breve al Senato. Giuseppe Valentino, senatore Pdl e relatore del provvedimento, presenterà questa mattina a Palazzo Madama (dove nel pomeriggio il provvedimento arriverà in aula) un maxi emendamento che “ rimuove ogni dubbio di costituzionalità - osserva Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia del Senato - e accoglie tutte le questioni sollevate dall’opposizione”. In breve: dal testo scompaiono le esclusioni soggettive e oggettive degli imputati ri-
“L
spetto ad alcuni reati che avrebbero potuto incorrere nello stop costituzionale da parte della Consulta. “Quindi - racconta ancora Berselli - per i reati fino a dieci anni, i tempi per i tre gradi di giudizio diventano tre anni per il primo, due per il secondo e un anno e mezzo per il terzo, per i reati con pena pari o superiore a dieci anni i tempi diventano 3 anni per il primo grado, due anni per il secondo e un anno e sei mesi per il terzo”. “Sui reati di mafia e terrorismo, infine - sostiene sempre Berselli - i tempi saranno di cinque anni per il primo grado, 3 per il secondo e due per il terzo, ma in casi eccezionali, il giudice potrà chiedere l’aumento del tempo di un terzo per ogni grado di giudizio”. Una norma transitoria, poi, darà applicazione immediata alla nuova legge per tutti quei reati commessi fino al 2 maggio del 2006 già indultati, sottolinea Berselli: insomma, se ce ne fosse stato bisogno, ecco un altro bel colpo di spugna, anche perchè decadrà la differenza tra incensurati e recidivi. Il Pdl conta di
Tornato a Roma il premier, ieri un vertice sulla giustizia. Bersani: “A rischio le riforme”
arrivare all’approvazione definitiva di questo provvedimento entro il 24 febbraio. E laddove si presentino problemi con l’opposizione, la maggioranza “non esiterà a mettere la fiducia”, trapela da palazzo Grazioli, perchè il Cavaliere vuole che il campo politico sia sgombro dalle questioni della giustizia fin dall’inizio della campagna elettorale. Dove, a quanto si apprende, parlerà prevalentemente di “tagli
alle tasse, riforma fiscale e semplificazione del sistema; è obsoleto, dobbiamo cambiarlo”. Nel Pd, Bersani ha dato uno stop: “Sarebbe questa la prima mossa del partito dell'amore? Andando avanti a testa bassa sui suoi provvedimenti il governo sa bene che mette a repentaglio una discussione di sistema sulle riforme istituzionali, ivi compreso il rapporto tra Parlamento e magistratura. Contemporaneamente
Dirette televisive
TORNA PAOLINI E FA CADERE LA SARNO
Blitz di Gabriele Paolini a via del Plebiscito: il noto 'disturbatore' delle dirette televisive voleva apparire nell’inquadratura del Tg1 mentre un tecnico cercava di allontanarlo si è aggrappato alla giornalista Sonia Sarno e l’ha fatta cadere in diretta.
al processo breve, alla Camera proseguirà il legittimo impedimento che il Pdl vuole approvare in modo definitivo entro il 14 febbraio, sempre - se necessario - ricorrendo alla fiducia. L’opposizione ha già alzato le barricate: “Sarebbero queste le proposte del partito dell’amore?”, ha sbeffeggiato Bersani. E nella maggioranza, l’area dei finiani non gradisce affatto l’idea che sui due provvedimenti “ad personam” possa essere posta la fiducia per fare presto. Berlusconi, però, accelera contando sul fatto che Fini (che concorda sulle riforme e sul fisco, a patto "di trovare le coperture") non strapperà fino a dopo le regionali per non mettere a repentaglio alcune candidature come quella della Poli Bortone in Puglia. Quanto al Pd, “il dialogo va bene - ha detto ieri ai suoi - ma basta che siano d’accordo con me”. Figurarsi. Ciò che è più grave - e che è emerso sempre nel summit di ieri mattina - è che le idee di riforma costituzionale rimangono assai bellicose nella mente del Cavaliere. Lo ha spiegato chiaramente il ministro Alfano: “Definiremo presto anche il testo base sulla riforma della forma di Stato e di Governo’’. Dopo le elezioni, dunque, i piatti forti saranno il presidenzialismo e il federalismo costituzionale. Ma "intanto andiamo avanti così - ha spiegato un esponente di primo piano del Pdl poco dopo aver lasciato palazzo Grazioli - poi se qualcuno presenterà anche un Lodo-bis o si parlerà di immunità vedremo. E non dipenderà solo da noi, ma anche dall'atteggiamento dell'altra parte". Che, in questo caso, è anche Fini.
Incontro-disgelo tra il presidente del Consiglio e Napolitano IL QUIRINALE CHIEDE IL RISPETTO DEL PARLAMENTO E LEGGI NON LEGATE SOLO ALLE SUE VICENDE di Antonella Mascali
tabilito durante il vertice di palazzo Grazioli, che le leggi ad personam non si toccano ma si approvano, Silvio Berlusconi è andato al Quirinale insieme al grande “tessitore”, Gianni Letta, poco prima delle 18.30. È stato proprio il Premier a chiedere al Presidente della Repubblica per parlargli delle riforme che vuole fare e per dimostrare che ha rispetto istituzionale, contrariamente a quanto dicono i suoi avversari, soprattutto quelli del “partito dell’odio”. Con Napolitano c’era stata una brusca interruzione di rapporti quando Berlusconi durante la riunione dei popolari europei tornò ad attaccare la Corte costituzionale e disse che la Carta andava cambiata. Il presidente del la Repubblica parlò di “attacchi violenti”. Tra palazzo Chigi e il Quirinale calò il gelo, come quando Napolitano si rifiutò di firmare il decreto legge sul caso Englaro. Poi c’è stata l’aggressione in Piazza Duomo e naturalmente il presidente della Repubblica ha sentito Berlusconi per esprimergli solidarietà. Non poteva che essere così. Ma i rapporti sono tornati normali quando Berlusconi ha sentito musica per le sue orecchie, durante il discorso del presi-
S
dente della Repubblica di fine anno. Napolitano ha parlato della necessità di fare le Riforme “che il Paese non può più aspettare”. Rispetto a quelle sulla giustizia, che tanto stanno a cuore a Berlusconi per la sua sorte, Napolitano a reti unificate disse che "non possono essere ancora tenute in sospeso perché da esse dipende un più efficace funzionamento dello Stato al servizio dei cittadini e dello sviluppo del paese". Un discorso elogiato da Berlusconi, che si sentì al telefono con il presidente della Repubblica, e da tutto il Pdl che usò i toni del “ partito dell’amore”. Ieri pomeriggio Napolitano ha ascoltato l’elenco delle riforme che Berlusconi vuole fare, dalla giustizia, al fisco e al presidenzialismo, e poi avrebbe raccomandato al Premier di non strafare con il ricorso al voto di fiducia. Ha ribadito la richiesta di avere il massimo rispetto del ruolo del Parlamento e di cercare in ogni modo di costruire un dialogo con l’opposizione per varare riforme il più possibile condivise, nell’interesse del Paese. Come dice Fini, anche se il presidente della Camera ha negato anche ieri pomeriggio che esista un’asse Quirinale-Montecitorio. Quanto ai provvedimenti ad personam, (natural-
mente questa espressione non è mai stata usata) , Napolitano, secondo ambienti vicini al Quirinale, avrebbe suggerito a Berlusconi di utilizzare nella stesura delle leggi tutti gli accorgimenti perché non siano esclusivamente legate alle sue vicende giudiziarie. Il presidente del Consiglio,
PROCESSO BREVE
CAMBIA IL TESTO NON IL RISULTATO
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all’uscita dal Quirinale, ha sfoderato il suo ritrovato sorriso e ha ostentato un’intesa ritrovata con Napolitano: “È andato tutto bene. Abbiamo parlato
dell'attività di governo dei prossimi mesi e delle cose da fare”. Detto questo, si è infilato in un negozio vicino palazzo Grazioli.
LEGITTIMO IMPEDIMENTO
PER 6 MESI SI POSSONO EVITARE LE UDIENZE
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lla Commissione giustizia della Camera è in discussione il ddl sul legittimo impedimento, frutto di un accordo maggioranza e Udc. Pd e Idv hanno presentato 170 emendamenti. La discussione in Aula è stata fissata per il 25 gennaio. Si tratta di una legge a tempo (18 mesi) in attesa di un lodo Alfano costituzionale, o di una legge che ripristini la vecchia immunità parlamentare. La normativa prevede che sia sempre riconosciuto, fino a 6 mesi, al premier e ai ministri, il legittimo impedimento a presenziare a un processo per impegni “ connessi con le funzioni di governo”. Un modo per consentire, se sarà necessario, a Berlusconi-imputato, di saltare le udienze ai processi Mills e Mediaset.
l ddl processo breve approda oggi nell’aula del Senato. Con il maxiemendamento, la legge si applica a tutti gli imputati (e non solo quelli incensurati) di reati indultabili, commessi fino al 2 maggio 2006, e con una pena inferiore ai 10 anni. La normativa vale per i processi di primo grado in corso ma cambiano i tempi della “tagliola”: i procedimenti vengono prescritti in primo grado dopo 3 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, in appello dopo 2 e in Cassazione dopo un anno e mezzo. Altra novità: nei processi per reati con pene pari o superiori a 10 anni, i tempi di estinzione saranno invece di 4 nni in primo grado, 2 in appello e uno e mezzo in Cassazione. Per reati come mafia e terrorismo, i termini sono rispettivamente di 5, 3 e 2 anni. Il giudice può prorogare di un terzo i termini.
opo un mese Silvio DRoma. Berlusconi è tornato a E i punti sulla sua agenda sono praticamente gli stessi rispetto a prima del ferimento in piazza Duomo a Milano. Con l’aggiunta di uno nuovo: le tasse, argomento su cui Berlusconi conserva margini di ambiguità. Prima dice a Repubblica che “sogna” di ridurle poi, nel vertice a porte chiuse di ieri, pare abbia detto che “auspica” di farlo entro il 2010 e che comunque serve un segnale “immediato” (cioè in tempo utile per beneficiarne nelle urne alle regionali). Gli elogi di Gianfranco Fini di ieri al rigore contabile del ministro dell’Economia Giulio Tremonti fanno pensare, però, che per Berlusconi non sarà indolore far passare dentro il Pdl una riforma che avrà un costo ancora non quantificabile. L’opposizione, non avendo per ora un vero testo da analizzare, formula desiderata fiscali. li altri due punti Gsonosull’agenda, invece, rimasti la giustizia e le regionali. Ieri Berlusconi ha incontrato il capo dello Stato Giorgio Napolitano, per sondare il terreno alla vigilia della prima settimana decisiva per i disegni di legge su legittimo impedimento e processo breve (che è in fase di cambiamento), le due misure salva-premier discusse rispettivamente in aula e in commissione Giustizia. Se questi restano la priorità per Berlusconi, il Pdl nel suo complesso deve risolvere quanto prima i problemi ancora aperti riguardo le elezioni regionali di primavera, per sfruttare al meglio l’impasse del Pd in varie regioni (su tutte Lazio e Puglia). ggi il Pd dovrebbe OEmma decidere di appoggiare Bonino come candidata nel Lazio, mentre il giorno decisivo per il Pdl, come ha detto ieri il ministro Ignazio La Russa coordinatore del partito, sarà giovedì con la riunione dell’ufficio di presidenza, l’organismo che in questi mesi si è delineato come quello titolato a prendere le decisioni strategiche.
IMMUNITÀ
UNA LEGGE E UN LODO
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Palazzo Madama è stata presentata la proposta di legge della senatrice del Pd, Chiaromonte e del collega del Pdl, Compagna, per reintrodurre l'immunità parlamentare, abolita nel ’93. Si tornerebbe alla necessità per i magistrati di ottenere l’autorizzazione a procedere non solo per i provvedimenti restrittivi, ma anche per le indagini, a carico dei parlamentari. Il Pdl, dal canto suo sta anche lavorando a un lodo Alfano da approvare con legge costituzionale. Peggiorativo, rispetto a quello bocciato dalla Consulta: le alte cariche dello Stato non possono rinunciarvi e ne hanno diritto non soltanto una, ma più volte, se passano da un’alta carica all’altra. (schede di Antonella Mascali)
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OPPOSIZIONE
Bersani contro le primarie: ”Non vincolanti” Ceccanti: “Lo statuto del Pd non dice questo” di Luca Telese
olpo di scena: dopo giorni di silenzi e di attese, Pier Luigi Bersani prende una posizione ufficiale sulle primarie, richieste da un capo all’altro dell’Italia, dalla Puglia all’Umbria. Le parole del segretario del Pd, in qualche modo (e malgrado lo statuto del partito sia chiaro su questo punto) producono un qualche choc e gettano acqua fredda sui sostenitori della democrazia diretta. Dice infatti Bersani: “Le primarie non sono un vincolo ma un’opportunità”. E subito dopo spiega cosa intende: “Il partito non è un notaio – precisa il leader del Pd che stila solo il regolamento delle primarie. Penso che nelle situazioni dove la destra è già in campo debba essere privilegiata l’immediatezza e l’efficienza della scelta”. Cosa vuol dire esattamente? Che le consultazioni di elettori, iscritti e simpatizzanti non vanno più considerate un vincolo (come in realtà prevede lo statuto del partito) ma come una delle ipotesi possibili. Una posizione che, come vedremo, nel Pd suscita perplessità. Mariniani & veltroniani. Le parole del segretario, infatti, non piacciono per nulla ai di-
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rigenti delle minoranze interne, i sostenitori della ex mozione Marino e della ex mozione Franceschini. In Puglia, a chiedere il voto non è solo Nichi Vendola, ma metà del Pd locale, e una rosa consistente del Pd nazionale. Persino la presidente del partito, Rosy Bindi (che fa parte della maggioranza bersaniana e annuncia che voterebbe Boccia) si è espressa per una consultazione degli elettori: “Non possiamo rimuovere Vendola senza un voto, se lui non accetta altre soluzioni”. In Umbria, altra regione in cui la situazione è in stallo, il principale oppositore della presidente uscente, Maria Rita Lorenzetti, è l’ex tesoriere veltroniano, Mauro Agostini. In Calabria le primarie sono addirittura regolamentate con una legge regionale. In Campania, dove le mediazioni – per ora – sono in alto mare, sono già convocate. La mozione Marini si spinge più in là, e chiede “che sia convocata una direzione nazionale del Pd sulle candidature”. E’ gelida, invece Emma Bonino: “La questione primarie, riguarda il Pd”. “Ampliare la coalizione”. Bersani però su questo (ora) sembra avere le idee chiare: “Ho detto che la Bonino è una fuoriclasse, fuori dagli stereo-
tipi e non deve essere imbrigliata. Si è capito come la penso, nel rispetto delle scelte degli organi del partito. Per quanto riguarda la Puglia, il tema non è l’esclusione di questo o quel candidato ma le opportunità per un ampliamento dello schieramento”. Cosa dice lo statuto? Dice e ripete da giorni Nichi Vendola: “Io credo che sia difficile dire no alle primarie, per un partito che le ha addirittura nel suo statuto”. Ma è veramente così? Citato molto spesso, lo statuto del Pd viene raramente letto. In realtà, malgrado quello che si pensa dedica due articoli importanti ai diversi casi, e fornisce indicazioni anche in caso di primarie di coalizione. Gli articoli in questione sono due. Tolti quelli che parlano dell’elezione del segretario, il primo che prevede le primarie è l’articolo 18, che al comma 4 recita: “Vengono in ogni caso selezionati con il metodo delle primarie i candidati alla carica di sindaco, presidente di provincia e presidente di regione. Qualora il Partito democratico concorra con altri partiti alla presentazione di candidature comuni per tali cariche, valgono le norme contenute nell’articolo 20 del presente statuto”. Un altro comma dello stesso ar-
ticolo (non meno importante), il 9, indica le primarie come strumento di selezione anche nelle assemblee rappresentative. Insomma, l’unico caso in cui secondo lo statuto non si dovrebbe votare, è quello in cui c’è un solo candidato. Primarie di coalizione. Ma, obiettano molti, tutti i problemi che il Pd affronta in queste ore sono dovuti alla presenza di diversi alleati nella coalizione. Questo nodo era stato previsto proprio dall’articolo 20. Ecco il comma uno: “Qualora il Partito democratico stipuli accordi preelettorali di coalizione con altre forze politiche in ambito regionale e locale – recita infatti il testo del’articolo – i candidati comuni alla carica di presidente di regione, pre-
Due articoli, il 19 e il 20 dicono: vanno fatte. Il leader: “Non siamo notai, prima scelte efficaci”
Umbria, l’altolà di Verini: “La Lorenzetti non può correre, Agostini ha diritto al voto” di Paola Zanca
ino non aver paura di sbagliare un calcio di “N rigore”. Quando pensa alle regionali in Umbria, a Walter Verini viene in mente De Gregori. Deputato, già uomo-macchina di Veltroni, oggi primo sponsor del candidato Mauro Agostini, se ne va in giro “con il petto di fuori”. Combatte una battaglia per la legalità. Vuole che il Pd rispetti il suo statuto, faccia le primarie, riconosca ad Agostini il diritto a gareggiare. Secondo la presidente Lorenzetti voi le chiedete solo di farsi da parte, non contestate il suo lavoro di governatrice. Diciamo che durante il congresso in Umbria c’è stato un certo dibattito sul lavoro della sua giunta in questi dieci anni. Molti sostenevano servisse uno sviluppo meno fondato sulla spesa pubblica e che non fosse stata fatta quella semplificazione amministrativa che era necessaria. Negli ultimi tre anni in Umbria abbiamo regalato al centro destra 9 comuni che erano delle roccaforti rosse. Non dico sia colpa della Lorenzetti, ma certamente una riflessione va fatta. Gli
“Le regole sono chiare Alla presidente serve una deroga che non ha ottenuto. E noi abbiamo 1.700 firme”
stessi risultati del congresso parlano chiaro: la mozione Bersani era espressione della giunta, il candidato alla segreteria era un assessore della Lorenzetti, eppure si è fermata al 49 per cento. La Marino prese il 10, voi “franceschiniani”, con il 41 per cento, siete l’altra metà. Non ne faccio una questione di mozioni, ma è ovvio che in questa situazione la Lorenzetti non ha potuto chiedere la deroga allo Statuto per candidarsi al terzo mandato. Non poteva andare incontro a una bocciatura. Voci sulla candidatura di Agostini si rincorrevano da mesi. Ma il grande passo è arrivato solo due settimane fa. A fine novembre l’assemblea regionale del partito ha messo in moto la macchina delle primarie. Evidentemente qualcuno non ci credeva già allora, visto che il segretario Bottini ha continuato a cercare l’intesa su un nome. Il 29 dicembre ha detto di non esserci riuscito. È lì che Agostini ha annunciato la sua candidatura. In due giorni ha raccolto 1700 firme a suo sostegno. Non male per essere a Capodanno. Invece... Invece siamo ancora qui a cercare la convergenza su un candidato, quando l’esplorazione è già fallita due settimane fa. Il punto è questo: non si vorrebbe né convergere su Agostini né fare le primarie. Francamente è inaccettabile. La Lorenzetti infatti va avanti per la sua strada. Voi avete fatto ricorso. Più che altro è un ricorso cautelativo, perché nessuno potesse dire: ‘Non ci sono state proteste’, ma mi auguro che la cosa si possa risolvere politicamente. L’articolo 20 dello Statuto parla chiaro: le
sidente di provincia o sindaco vengono selezionati mediante elezioni primarie aperte a tutte le cittadine e i cittadini italiani che alla data delle medesime elezioni abbiano compiuto 16 anni”. Anche in questo caos, dunque, una indicazione molto perentoria. Senza possibilità di eccezione? Sì, in un solo caso. Anche questo regolamentato da un apposito comma, il numero 3: “Qualora, al fine di raggiungere l’accordo di coalizione, si intenda appor-
tare modifiche ai principi espressi nel comma 1 del presente articolo o utilizzare un diverso metodo per la scelta dei candidati comuni – sostiene infatti lo statuto – la deroga deve essere approvata con il voto favorevole dei tre quinti dei componenti l’Assemblea del livello territoriale corrispondente”. Insomma, per fare a meno delle primarie (cosa che non è accaduta, per ora, né in Puglia, né in Umbria, né nel Lazio) occorre un voto a maggioranza qualificata. I dubbi di Ceccanti. Ecco perché uno dei principali estensori della carta fondativa del Pd, il senatore Stefano Ceccanti, esprime tutte le sue perplessità sul discorso del segretario: “Mi pare che lo statuto sia molto chiaro. Esiste una regola, chiara: si sceglie sempre con le primarie. E poi esiste una possibilità di deroga solo in un caso”. E invece? “Invece – aggiunge il senatore – di fatto le primarie sono state ostacolate quasi dappertutto. Si modifica di fatto lo statuto, con l’introduzione di un nuovo principio, che è il corollario del discorso di Bersani: le primarie si possono fare, ma anche non fare. Quindi, di fatto, non si fanno più perché spesso creano dei problemi al gioco delle alleanze. Bersani – conclude Ceccanti – aggiunge che è necessario un voto delle assemblee locali. Il che è vero. Ma è un dettaglio rispetto al ribaltamento delle nostre regole interne”.
REGIONALI
LA CARICA DEL PD: “NOMI PRONTI IN 8-10 REGIONI”
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andidature in dirittura d’arrivo in 8-10 regioni”. Suona la carica il segretario del Pd Pierluigi Bersani, che ha detto di volere subito “candidati forti” per le regioni dove il Pdl ha già scelto il suo cavallo. Il segretario dà fiato alle trombe per superare i ritardi e le incertezze dei giorni scorsi. Nel Lazio le primarie del centrosinistra sono finora l’unico “avversario” della candidata presentata dai Radicali, Emma Bonino, che Bersani e l’80% della dirigenza laziale del Pd, che si riunirà oggi, sono intenzionati a sostenere. Incassato l’ok dei cattolici Giuseppe Fioroni e Franco Marini, rimane l’opposizione di un gruppo della corrente dell’ex segretario Franceschini, che chiede comunque le primarie. Nel Lazio l’Idv è pronto a sostenere la Bonino, programma permettendo. E in Puglia aspetta che sia il Pd a scegliere. Sabato i vertici del partito regionale dei democrat si riuniranno per sciogliere i nodi. Il probabile candidato del Pd Boccia ha dichiarato di essere disponibile a correre solo se la coalizione verrà allargata all’Udc, che lo appoggerebbe. E ha aggiunto: “Tra me e Vendola non c’è una corrida personale”. Nelle Marche i prossimi giorni saranno decisivi per capire chi appoggerà la ricandidatura del governatore in carica Gian Mario Spacca. La coalizione potrebbe andare dall’Udc alla sinistra radicale. Altro si muove nel Pd: secondo indiscrezioni sarebbe ormai fatta la nomina di D’Alema al Copasir. (Lorenzo Allegrini)
primarie non si fanno solo se il candidato è uno solo. Esatto. E lo Statuto non è un optional. Agostini ha le firme, ha il diritto di essere riconosciuto come candidato. Basta. Se si pensa che non sia lui la persona giusta si cerchi un altro candidato e li si faccia sfidare per questi dieci giorni (le primarie sarebbero il 24 gennaio, ndr). Siamo disposti anche a riaprire i termini per le candidature. Le primarie sono nel dna del Pd, i nostri elettori le considerano una cosa seria. Qualcuno potrebbe dire: come faccio a fidarmi di chi non rispetta nemmeno le regole di casa sua? Non capisco di che cosa abbiano paura: Agostini alle primarie potrebbe anche perdere, ma se anche fosse, il giorno dopo andrei in giro a dare i volantini per il vincitore. Difficile che la questione si risolva a Perugia.
Bersani prima o poi dovrà dire la sua. Le decisioni si prenderanno in Umbria, ma mi auguro che il partito nazionale possa darci una mano. In ogni caso per noi esistono solo due soluzioni possibili: o Agostini o le primarie. Nel libro “Il tesoriere”, Agostini ha picchiato duro contro le gestioni economiche precedenti di Ds e Margherita. Può darsi che qualcuno non abbia voglia di sostenerlo? Lo escludo, Agostini è stato un tesoriere stimato da tutti. Comunque, se è così lo devono dire. Ci sono dinamiche locali da cui nessuno dei protagonisti è immune, ma l’Umbria ha una grande tradizione di civiltà politica. Le primarie possono essere un’occasione per dimostrare che siamo un partito serio. Lo diceva De Gregori: ‘Un giocatore si vede dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia’
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Martedì 12 gennaio 2010
CRONACHE
FAZIO E LA VILLA D’ORO
Dieci milioni per l’acquisto di un immobile di Don Verzé messi a disposizione dal ministro
La villa di Pollari in primo piano e, sullo sfondo, la ex sede del Sismi pagata 9 milioni dallo Stato di Marco Lillo
on è più possibile girarsi dall’altra parte. La magistratura romana e il Copasir, il Comitato di controllo dei servizi segreti devono accendere un faro sugli affari del Sismi con i “raffaeliani”, gli uomini di don Luigi Verzé che hanno scalato le istituzioni. Personaggi come l’ex funzionario del Sismi Pio Pompa, che dopo aver servito per anni la causa del prete-manager ha continuato a lavorare per il sacerdote amico di Berlusconi anche dagli uffici del servizio segreto militare diretto allora da Nicolò Pollari. Ma anche ministri come Ferruccio Fazio, che a don Verzé deve molto, e ha firmato nel 2009 un decreto che ha permesso al suo ex datore di lavoro di incassare 9 milioni di euro. “Il Fatto Quotidiano” ha già raccontato il 31 dicembre 2009 la storia di “villa Pollari”, la sontuosa magione acquistata nel 2005, quando Pollari era in carica, per un prezzo stracciato (500 mila euro) dal San Raffaele. Ora, dopo avere consultato gli atti dell’ufficio del Sismi diretto da Pio Pompa, il Fatto Quotidianoè in grado di ricostruire l’intera vicenda, che aveva interessato i pm mi-
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lanesi e che è stata approfondita in parte anche a Roma. Il pm capitolino Saviotti ha chiesto al Sismi di spiegare gli appunti sequestrati a Pompa nel suo ufficio sugli affari immobiliari tra il San Raffaele e il Sismi. Pompa li aveva scritti nel 2001 quando vergava dossier su giornalisti e magistrati che potevano minacciare il premier. Il Sismi ha risposto a Saviotti confermando l’esistenza di un contratto di affitto stipulato nel 2001 per un complesso immobiliare in via Chianesi 3, a Roma, zona Eur-Mostacciano. Alla luce di questo elemento, fornito dall’attuale vertice del Sismi (nominato da Romano Prodi), si può dire senza tema di smentita che il generale Nicolò Pollari, quando comandava il Sismi, dopo essere stato raccomandato per quella poltrona da don Verzé e dal suo fido Pompa, ha fatto due affari con il San Raffaele: il primo pubblico nella qualità di capo del Sismi e il secondo privato. Il San Raffaele aveva comprato nel 1994 due complessi residenziali a Mostacciano. Uno più grande composto di due villini è stato affittato al Sismi di Pollari nel dicembre 2001 per farne la sede segreta della divisione economica del ser-
Accanto alla villa svenduta a Pollari, un complesso simile strapagato dallo Stato vizio. Il canone di 10 milioni di vecchie lire mensili non è esorbitante ma si spiega nell’ottica (dichiarata da Pompa in un appunto scritto a don Verzé) di una cooperazione tra i “raffaeliani” e i “Pollariani” per sviluppare il “business” del San Raffaele. poi c’era una seconda villa, più “piccola” (ma comunque dotata oggi - dopo la ristrutturazione - di 24,5 vani catastali su quattro livelli con parco e piscina) che è stata ceduta dallo stesso San Raffaele nel luglio 2005 a Pollari e alla moglie, privatamente, per 500 mila euro, meno della metà del prezzo di acquisto. Ora “Il Fatto Quotidiano” ha scoperto anche cosa
hanno fatto i “raffaeliani” della villa più grande, quella affittata al Sismi dal 2001 al 2007. Il 21 luglio del 2009 il San Raffaele ha venduto i tre villini all’IFO, l’ente regionale che gestisce l’ospedale Regina Elena che si trova lì accanto. Il prezzo è di 9 milioni più imposte. E’ vero che quando Pollari compra allega all’atto una perizia con foto che dimostrano il cattivo stato dell’immobile abbandonato mentre la villa più grande è stata tenuta come un gioiellino per sei anni a spese dei contribuenti, ma la differenza di valutazione è davvero difficile da spiegare. Villa Pollari dal 1995 al 2005 dimezza il suo valore. Quella dell’Ifo comprata con i soldi pubblici invece lo raddoppia dal 1994 al 2009. Questa storia dovrebbe esser chiarita dalle autorità anche perché è densa di conflitti di interessi per i troppi Raffaeliani coinvolti. I milioni pubblici per comprare la villa più grande di don Verzé sono stati messi a disposizione dal ministero della salute con un decreto firmato nel marzo scorso dall’attuale ministro Ferruccio Fazio, che è un “raffaeliano” di ferro. Quando è stato nominato nel 2008 a capo della Sanità (prima sottosegretario e ora ministro) era direttore dei servizi di medicina nucleare e di radioterapia al San Raffaele di Milano, presidente del Consorzio del Laboratorio del San Raffaele di Cefalù. Socio della Tecnodim che ha sede nel San Raffaele e si occupa di progettare reparti avanzati (anche nel settore della Tomografia). Il ministero precisa che “l’iter amministrativo per l’acquisto delle villette era cominciato nel 2004 con un decreto ministeriale che stanziava 7,2 milioni di euro per ‘acquisto immobili e terreni confinanti con l’Ifo per funzioni di supporto all’attività ospedaliera del San Gallicano’”. Allora però la terza villetta non era stata ceduta ancora a Nicolò Pollari, chissà se i 7 milioni comprendevano anche quella. Comunque altri 11,5 milioni erano stati stanziati per ristrutturare l’ospedale mentre nel decreto firmato da Ferruccio Fazio i soldi per
le villette aumentano a 10,2 milioni, mentre quelli per la ristrutturazione dimiuiscono nettamente e compaiono 4 milioni per comprare una macchina per tomoterapia, una cura della quale Fazio al San Raffaele è stato un pionere. Le carte però sono a posto. Spiegano al ministero della salute che la rimodulazione del finanziamento è stata chiesta dal direttore generale dell’Ifo, Francesco Bevere, nominato da Piero Marrazzo. Quanto al prezzo pagato: “nella documentazione trasmesa dall’Ifo è citata la perizia dell’Agenzia del Territorio di Roma del 13 gennaio 2009 che giudica congruo il prezzo di 9 milioni”. Il Fatto ha chiesto all’ufficio stampa e al direttore generale dell’Ifo perché una regione con un disavanzo come quello laziale, abbia deciso di comprare due villette (non due sale operatorie) spendendo 10 milioni di euro. Ma non abbiamo avuto risposta. Comunque, forte della richiesta e della perizia inviatagli dall’Ifo, il 26
marzo del 2009 il sottosegretario Ferruccio Fazio ha stanziato 10 milioni e 260 mila euro (poi utilizzati al 95 per cento) per pagare due ville al suo ex datore di lavoro. Pompa, preveggente, scriveva a don Verzé nell’estate del 2001, per convincere il prete amico di Berlusconi a perorare la nomina dell’amico Pollari a capo del Sismi. “Caro Presidente, Le invio un report inerente le iniziative sulle quali potremo intervenire, con maggiore e puntuale efficacia, immediatamente dopo la nomina dell’amico N.” (Pollari Ndr). Al punto 1 c’era la possibilità di far nominare Ferruccio Fazio nella potentissima commissione sui farmaci. Purtroppo il tentativo dei raffaeliani fallì. Nessuno poteva immaginare allora che Fazio sarebbe tornato utile per il punto 3 del programma di Pompa. Lì si parlava della villa di Mostacciano e della creazione del centro Sismi, in affitto, in quei locali. Cosa puntualmente accaduta.
LA PROPOSTA LEGHISTA
CASTRATI A MILANO astrazione chimica a Milano? Sì, grazie. Parola del parlamentare europeo e vice presidente nazionale della Lega Matteo Salvini. “Presenterò in consiglio comunale una mozione per l’introduzione di una sperimentazione che parta proprio dai condannati per stupro a Milano” ha affermato l’esponente leghista all’indomani del fermo di Demba Niang, presunto stupratore di una giovane in via Cenisio e sospettato di essere responsabile di altri due episodi simili. Non si smentisce, quindi, il consigliere comunale Salvini balzato agli onori della cronaca anche per la simpatica esibizione canora: “Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani... son colerosi e terremotati... con il sapone non si sono mai lavati”. Oppure, ancora, per la proposta dei bus riservati ai soli milanesi. (e.reg.) Nessun ripensamento.
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Beppino Englaro ha agito secondo la volontà di Eluana IL GIUDICE ARCHIVIA L’INDAGINE A CARICO DEL PADRE: “LA PROSECUZIONE DEI TRATTAMENTI NON ERA LEGITTIMA” di Elisabetta Reguitti
l gip del Tribunale di Udine, Paolo Milocco, Ilativo ieri ha emesso il decreto di archiviazione realle indagini su Beppino Englaro e altre tredici persone, per il reato di omicidio volontario per la morte di Eluana Englaro, avvenuta il 9 febbraio 2009. E’ stata dunque accolta l’istanza di archiviazione presentata lo scorso 26 novembre dalla Procura di Udine dopo un anno di indagini. Oggi è scritto nero su bianco e in modo incontestabile che sulla vicenda Eluana Englaro non ci sono state zone d’ombra. Il primo a non essere sorpreso del decreto è lo stesso Beppino Englaro, che però ammette: “Mi sento liberato dalle ingiurie, dalle falsità, dalle accuse, ma soprattutto dal sospetto. Quello sì. Ho sempre agito nella legalità rifiutando ogni altra soluzione che molti, al contrario, avrebbero preferito imboccassi”. Il 2 febbraio 2009 Eluana Englaro era stata trasferita nella struttura sanitaria “La Quiete” di Udine per dare corso all’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale. Da quel momento la Procura della Repubblica di Udine è stata tempestata da una serie di esposti, denunce e querele con richieste dei più disparati interventi. La stessa procura lo aveva definito un caotico diluvio di sollecitazioni. “Ad un anno di distanza il clima culturale però è
cambiato – afferma Englaro –. Le persone si sono rese conto che è diritto di ognuno poter scegliere di rifiutare l’offerta terapeutica. Allora io sono andato fino in fondo per Eluana, ma oggi continuo la mia battaglia per il cittadino Beppino. Il testamento biologico rappresenta l’unico strumento di diritto possibile che garantisce al paziente di poter scegliere”. Nel decreto il gip di Udine scrive che va preliminarmente sgomberato il campo dal sospetto che il decesso di Eluana sia stato conseguente a pratiche diverse da quelle autorizzate e specificate nei provvedimenti giudiziari. Ma nel testo viene anche riportata la dicitura secondo cui: “Il contesto informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario e forma di rispetto per la libertà dell’individuo”. Beppino Englaro si è sempre definito un randagio che ululava alla luna della politica. “Nessuno voleva sentire parlare della nostra vicenda. Io e la madre di Eluana avevamo scritto alle massime cariche dello Stato ma senza ricevere mai alcuna risposta concreta”. La risposta era arrivata dalla magistratura, prima con la sentenza della Corte d'Appello di Milano nel dicembre del 1999 . “Però non era ancora chiaro dal punto di vista clinico se l’alimentazione e l’idratazione forzata potessero considerarsi terapia oppure mezzo di sostentamento sempre dovuti. Quella sentenza tuttavia è stata determinante per apri-
re il varco nel mondo dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica su questioni ineludibili”. Il passo successivo è stata la sentenza della Corte Suprema di Cassazione del 16 ottobre del 2007, che stabiliva “principi di diritto in uno Stato di diritto” e nel caso Englaro poneva due condizioni per autorizzare la sospensione dell’alimentazione e idratazione forzata. Vale a dire: la condizione di stato vegetativo e irreversibile e il fatto che i convincimenti etici filosofici, culturali e religiosi di Eluana andavano in quella direzione. E ieri, infine, il decreto di archiviazione, che stabilisce, tra l’altro, che “il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla in tutte le fasi del-
“Mi sento liberato dalle ingiurie, dalle falsità, dalle accuse e dal sospetto”
la vita anche in quella terminale”. Lo sguardo di Beppino Englaro oggi è rivolto verso il futuro nonostante il silenzio assordate calato all’indomani del decesso di Eluana. Di una cosa è certo: “Non permetterò mai a nessuno schieramento politico di strumentalizzarmi. Mi muoverò assieme agli amici dell’associazione “Per Eluana”, magari anche appoggiando le persone che, come tantissime oggi, credono nella nostra battaglia. Ma non ci sarà altro. Ho sostenuto la mozione del candidato segretario al Pd di Ignazio Marino perché credevo nella persona”. E a proposito della scelta del cantante Povia di portare al Festival di Sanremo una canzone ispirata alla vicenda di Eluana, Beppino Englaro sbotta: “Lui è un artista. Ci siamo parlati. Ha dimostrato grande sensibilità”. Il decreto di archiviazione di Udine oltre a Beppino Englaro coinvolge anche lo staff del professor Amato da Monte, direttore del dipartimento di Anestesia dell’azienda ospedaliera dell’Università di Udine. “E’ stato un anno molto difficile per tutti noi. Personalmente mi sentivo anche gravato per aver coinvolto gli infermieri in questa inchiesta che ha certamente segnato in modo indelebile le vite non solo professionali di tutti. Questo decreto è il riconoscimento che il nostro operato è stato nella piena legalità e nella correttezza di un protocollo già definito giuridicamente”.
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CRONACHE
Nelle carceri trentamila dimenticati in attesa di giudizio TUTTI I NUMERI DELLO SCANDALO di Silvia D’Onghia
e pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”: se si pensa ai 65.774 detenuti ammassati nelle carceri italiane, a fronte di una capienza di 43.220 persone, l’articolo 27 della Costituzione sembra fantascienza. I detenuti aumentano in media di 800 unità al mese: questo significa che, se non si interviene subito, il loro numero nel giugno 2012 raggiungerà quota 100 mila. Altro che bacchettate dal Consiglio d’Europa, che in più di un’occasione ha richiamato il nostro paese al rispetto dei diritti umani. Bisogna fare qualcosa, e farlo subito: lo chiedono i Radicali, che ieri hanno presentato una mozione alla Camera firmata da 93 deputati (che impegna il governo a varare una riforma radicale in materia di custodia cautelare, tutela dei diritti, esecuzione della pena e trattamenti sanzionatori e rieducativi) e stamane manifestano con un sit-in dinanzi Montecitorio. Tre anni dopo l’ultimo indulto, il sistema penitenziario è di nuovo al collasso. Basta guardare con attenzione le cifre: secondo uno
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studio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, circa la metà dei detenuti è costituito da persone in attesa di giudizio e un 30 per cento di loro verrà assolto al termine del processo. E’ quasi nullo il ricorso alle misure alternative al carcere, le uniche in grado di far abbassare il tasso di recidiva. Il 68 per cento di coloro che scontano la pena in cella torna a delinquere, mentre il tasso di recidiva è del 28 per cento tra chi paga il suo debito allo Stato con una misura alternativa. Eppure il 32,4 per cento dei detenuti deve scontare un residuo di pena per una condanna definitiva inferiore ad un anno, il 64,9 inferiore a tre (e sono proprio i tre anni il limite sotto il quale si può aver accesso alla semilibertà o all’affidamento in prova). Soltanto uno su quattro ha la possibilità di lavorare e uno su dieci può partecipare a percorsi professionali. Fino allo scorso 10 novembre, gli stranieri rappresentavano, con le oltre 24 mila unità, il 27 per cento del totale delle persone recluse. Ancora di più, circa 26 mila, secondo un rapporto dell’associazione Antigone, sono i detenuti per reati di droga, mentre il 27 per cento della popolazione penitenziaria è sieropositiva. Ciò
dimostrerebbe allora come si ricorra sempre meno all’approccio terapeutico (nel 2007 sono state 16 mila le persone ricoverate nelle comunità terapeutiche). Numeri che, dall’esterno, parlano di grandi fallimenti, ma che, dall’interno, mettono a rischio la salute fisica e mentale. Non è un caso che il 2009 sia stato l’anno record per i suicidi in carcere: l’associazione Ristretti Orizzonti ha contato 72 persone che si sono tolte la vita impiccandosi all’interno della propria cella. 175 le morti negli istituti penitenziari. E il 2010 certo non è iniziato bene: nei primi otto giorni del nuovo anno si contano già quattro suicidi. E si perde il conto dei tentati suicidi o dei gesti di auto-
Mozione dei Radicali alla Camera Oggi in piazza anche i poliziotti penitenziari
Lo strano fenomeno dei mafiosi laureati di Giuseppe
Giustolisi
sentir parlare i fratelli Giuseppe e Filippo GraAcento viano, con quella voce incerta dal marcato acsiciliano e dalla sintassi non proprio fluida, non è facile immaginare che i due siano prossimi laureandi rispettivamente in Matematica ed Economia. Eppure è così. E per di più con voti altissimi. Mai una bocciatura. E non sono i soli. Sì perché, fra mafiosi 41-bis e quelli della cosiddetta fascia ad alta sicurezza (meno rigida), sono tanti i mammasantissima di mafia, Camorra e ‘Ndrangheta che da un po’di tempo a questa parte macinano esami all’università. I più scelgono (per ovvi motivi) Giurisprudenza. Ma non mancano altre opzioni. Alcuni esempi? Pietro Aglieri, già condannato in via definitiva per la strage di via D’Amelio, s’è iscritto a Lettere e Filosofia, con indirizzo teologico, e ha cominciato la sua carriera universitaria con un bel trenta e lode in Storia del cristianesimo. Il boss Antonio Libri, della famigerata cosca calabrese dei Libri-De Stefano, invece ha scelto Sociologia. Salvatore Benigno, condannato per le stragi del ‘93, ha preferito Medicina. Naturalmente ci sono anche quelli che riescono ad arrivare fino al tanto sospirato alloro. Come il boss di Barcellona Pozzo di Gotto Giuseppe Gullotti, già condannato a trent’anni quale mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, laureatosi qualche anno fa in Giurispruden-
Sempre più criminali danno esami, prendono ottimi voti, sono plurititolati: ma se ci fosse una strategia?
lesionismo. La commissione Giustizia del Senato ha constatato come appena il 20 per cento dei detenuti risulti in buone condizioni di salute, il 38 per cento sia in condizioni mediocri, il 37 per cento scadenti e il 4 per cento gravi. Moltissimi sono coloro che soffrono di depressione e altri disturbi psichiatrici (spesso sono le stesse condizioni penitenziarie a determinarli: sovraffollamento, lontananza da casa e quindi impossibilità di incontrare familiari, assoluta inattività) ma, nonostante questo, rimangono dentro. Tra le patologie più diffuse anche problemi di masticazione, osteo-articolari, Aids ed Epatite B. Per far fronte a questa situazione, spesso la medicina
CIRCOLARI
penitenziaria è povera di risorse, di strumenti e di mezzi. Ma i problemi non sono soltanto dei detenuti. Un decreto ministeriale del 2001 prevedeva 41.268 agenti penitenziari: “Il 30 novembre 2009 risultavano essercene 38.537. Non si perda ulteriore tempo”, spiega il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Donato Capece. E’ per questo che oggi, in piazza, oltre agli stessi Radicali, ci saranno anche loro, i sindacati dei poliziotti (Sappe, Uilpa penitenziari, Osapp, Fpc Cgil) e i dirigenti degli istituti aderenti al Sidipe. Perché l’articolo 27 della Costituzione non resti ancora carta straccia.
di Ranieri Salvadorini
Suicidi senza responsabili
S
uicidarsi in carcere non conviene. Non inalando il gas dei fornelletti in dotazione, almeno. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha emanato una direttiva nazionale in cui si “suggerisce” di far firmare ai detenuti un documento dove si “dichiarino consapevoli della pericolosità di un uso improprio dei suddetti dispositivi”. E così il Dap si esonera da quell’uso improprio che può essere, ad esempio, il suicidio. Perché sono in molti a scegliere il gas per darsi la morte. Ecco come uscirne: “Se tale accorgimento non risolve il problema”, tuttavia “si ritiene che possa costituire uno strumento utile a ridurre o addirittura eliminare la responsabilità dell’Amministrazione nei casi dei contenziosi”. La disposizione stravolge lo spirito di una sentenza che aveva condannato il ministero di Giustizia a risarcire i familiari di un giovane suicida.
za. O il boss della Camorra Ferdinando Cesarano, fresco di laurea in Sociologia e che si sta ora cimentando in un’altra facoltà. Un fenomeno anomalo segnalato quattro anni fa alle autorità dall’attuale direttore generale del Dap Sebastiano Ardita, con una lettera inviata alla Procura nazionale antimafia: “Alcuni elementi potrebbero far ritenere utile una maggiore analisi sotto il profilo della riconducibilità a strategia di talune condotte. Senza giungere ad affrettate conclusioni, va tuttavia ricordato che un educatore penitenziario ha segnalato il pericolo che, anche la conduzione di studi universitari, possa essere un mezzo per il mantenimento di una posizione di supremazia”. Dunque i capimafia che capitalizzano anche i profitti universitari. Una novità. Prima che Ardita se ne occupasse direttamente, il fenomeno aveva un risvolto inquietante: “Fino a pochi mesi fa”, scrive sempre Ardita, “molti detenuti 41-bis avevano in corso iscrizioni universitarie presso sedi molto distanti dal luogo di detenzione e spesso coincidenti con le proprie origini criminali e territoriali. Ciò ha comportato, in passato, il passaggio di detenuti presso carceri del sud Italia per sostenere gli esami, così di fatto vanificando parte degli effetti di prevenzione”. Adesso i 41-bis possono sostenere esami solo in videoconferenza. Mentre quelli della fascia ad alta sicurezza possono iscriversi solo in una sede vicina a quella in cui sono detenuti. E il professore può anche venire ad esaminarli in carcere. Certo non è la stessa cosa che trovarsi di fronte a timide matricole diciottenni. Ma se qualcuno insinuasse il dubbio di una possibile soggezione psicologica del prof. davanti al boss, verrebbe smentito dall’entusiasmo con cui taluni docenti incoraggiano il fenomeno. Come Emilio Santoro, che insegna Filosofia e Sociologia del diritto all’Università di
Firenze: “Le tre università di Siena, Firenze e Prato hanno sottoscritto una convenzione col Dap per creare delle speciali sezioni universitarie nel carcere di Prato, dove tenere lezioni e sostenere esami”. Santoro parla giustamente della necessità di dare un senso alla detenzione ma non esclude però che nella scelta dei boss ci possa anche essere uno scopo strumentale: “Bè sì, è chiaro che la sezione universitaria è più vivibile, mentre le altre lo sono di meno, a causa del sovraffollamento”. E se anche uno scrittore come Vincenzo Consolo, siciliano dall’antica militanza antimafia, vede nei boss chini sui libri di testo gli effetti positivi della detenzione, “purché sia tutto regolare”, precisa al Fatto Quotidiano, di diverso parere è Angela Napoli, parlamentare calabrese del Pdl e da anni nemica giurata della ’Ndrangheta, che rivela: “Nel mio paese, a Taurianova, ce n’è uno, Marcello Viola, che ha conseguito addirittura due lauree”. Viola è un caso da primato: s’è laureato negli anni Novanta prima in Biologia e poi in Medicina e chirurgia e adesso s’è pure iscritto a Economia aziendale. Ma più di un operatore del carcere, dove Viola è detenuto, storce il naso per la sproporzione tra le sue capacità espressive e gli allori conseguiti. E se ci fosse dietro una strategia? Dice Angela Napoli: “La strategia è quella di dotarsi del titolo accademico per avere quella caratterizzazione di invisibilità ed entrare nel mondo delle istituzioni”. Come dire che la laurea è un viatico per l’ingresso della mafia militare nel mondo dei colletti bianchi.
N AGGRESSIONI
Cerca di dar fuoco a un marocchino
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eri mattina a Firenze un uomo ha tentato di dar fuoco a un clochard marocchino, dopo un litigio per banali motivi. L’uomo, il 38enne Simone Vinattieri, è ora accusato di tentato omicidio. Il marocchino, 43 anni, è stato portato all’ospedale di Careggi per accertamenti. Gravi, invece, le ustioni riportate da un barbone non lontano da piazzale Lugano nella periferia di Milano. I carabinieri stanno indagando per capire se l’accaduto sia accidentale, dovuto a una stufetta usata per difendersi dal freddo, o se qualcuno abbia voluto dare fuoco al clochard.
PROCESSO BREVE
Sciopero penalisti: alta l’adesione
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desione massiccia, in molti casi totale allo sciopero degli avvocati penalisti secondo l’ Unione delle camere penali che hanno manifestato, con l’astensione dalle udienze messa in atto ieri, contro il processo breve. La partecipazione allo sciopero è stata totale a Milano, Venezia, Catania, Bari, Palermo, Roma, Napoli, Modica e Lucca, molto alta a Firenze e Torino. Celebrati quindi solo i procedimenti a carico di detenuti e quelli in cui l’astensione non è consentita.
AMIANTO
Marina, a giudizio otto ufficiali
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i apre oggi a Padova il processo a carico di sei ammiragli e due generali della Marina militare, accusati di omicidio colposo per inosservanza delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro, ovvero le navi militari. Gli ufficiali sono chiamati a rispondere della morte di un comandante e di un maresciallo per mesotelioma pleurico da amianto.
PEDOPORNOGRAFIA
Dieci arresti in tutta Italia
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ono una settantina gli indagati nell’ambito dell’inchiesta sul commercio di file pedopornografici che ieri ha portato all’esecuzione di undici arresti in varie regioni italiane. Tra gli indagati militari, professionisti e dipendenti della Pubblica amministrazione.
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Martedì 12 gennaio 2010
ECONOMIA
MILANO, LA RISCOSSA DEL GAROFANO Le poltrone che contano vanno ai craxiani ALLA FIERA ARRIVANO CANTONI E IL PRESCRITTO MARIANI EXPO E MAFIA
di Simonetta Marchi Milano
ll’ombra della Madonnina i socialisti craxiani hanno davvero trascorso l’ultimo Natale con Letizia. Dopo la decisione del sindaco Moratti di dedicare una strada a Bettino Craxi, il garofano milanese ha subito avuto la prova di come l’aria sia davvero cambiata. E in attesa di festeggiare la nuova via intitolata all’ex latitante, ha ricevuto in regalo da Palazzo Marino ben due poltrone nel Consiglio generale della Fondazione Fiera di Milano. La prima è quella del nuovo presidente, andata all’attuale senatore del Pdl, Giampiero Cantoni, indimenticato numero uno della Banca Nazionale del Lavoro all’epoca di Bettino e poi protagonista di due patteggiamenti per corruzione e bancarotta. La seconda, passata sotto silenzio, e invece quella da semplice consigliere assegnata a un altro ex Psi, Tiziano Mariani, pure lui molto vicino alla famiglia Craxi, pure lui al centro di un inchiesta per tangenti (da cui è uscito per prescrizione) e infine condannato dalla Corte dei Conti. Originario di Cesano Maderno, nella vita assicuratore di successo e fondatore nel 1975 di Radio Lombardia, Mariani grazie ai legami con il leader socialista e i suoi eredi negli anni Ottanta era stato messo al vertice della municipalizzata dei servizi pubblici di Seregno, in Brianza. Allora tra i collaboratori della sua radio figurava il sindaco-cognato (di Craxi) Paolo Pillitteri. Oggi invece è Letizia Moratti in persona, cioè il primo cittadino che lo ha designato in Fiera, a rispondere alle domande dei milanesi da un microfono dell’emittente. Tanta disponibilità verso i potenti, fa così passare in secondo piano il fatto che Mariani come amministratore pubblico si sia dimostrato un mezzo disastro.
L’INFILTRATO CHE VIGILA SULLE INFILTRAZIONI
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LE TANGENTI. A dirlo non sono gli avversari politici. Ma una sentenza d’appello della Corte dei Conti (la numero 429 del 15 ottobre 2008) che lo obbliga a pagare 103.291,38 euro di risarcimento danni al comune di Seregno. Il capo d’imputazione: procurato danno d’immagine allo stesso ente pubblico. La vicenda risale ai primi anni Novanta. Allora il presidente della municipalizzata, secondo i pm, aveva “taroccato” una gara pubblica prendendo “una tangente in occasione dell’affidamento, nel 1990, dell’appalto del servizio di nettezza urbana del comune alla ditta Igm Spa, in violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità della Pubblica amministrazione”. L’inchiesta su Mariani era scattata dopo un esposto presentato da un democristiano seregnese che oggi milita pure lui nel Pdl. Il procedimento penale si era poi chiuso con la prescrizione, ma quello della Corte dei Conti no. Erano stati proprio i giudici brianzoli a inoltrare la documentazione ai magistrati contabili che due anni fa hanno sancito l’obbligo al risarcimento dopo una assoluzione in primo grado. Questi ultimi, anzi, hanno rimarcato che dal fascicolo penale emergevano elementi “che attestano il coinvolgimento nella vicenda tangentizia quale soggetto investito di
di Fabio Abati Milano
C’ è il rischio che le armi che lo Stato contrappone alla criminalità organizzata, impegnata nell’infiltrarsi negli appalti delle grandi opere pubbliche, nascano già spuntate. Al nord, dove l’attenzione è tutta rivolta ai primi lavori per l’Expo di Milano del 2015, si moltiplicano gli appelli a tenere alta la guardia. Persino Lucio Stanca, l’amministratore delegato della Società di Gestione Expo, l’ha detto chiaramente: “E’ necessario costituire una barriera rinforzata all’infiltrazione delle organizzazioni criminali”. E così per i nuovi cantieri appena decollati (il 7 gennaio) della Brebemi, l’autostrada che collegherà Milano a Bergamo e Brescia, prima opera “accessoria” all’Expo, sarà usato un software per migliorare la trasparenza negli appalti.
Un manifestante protesta, sabato scorso a Milano, contro l’intitolazione di una via a Craxi (FOTO ANSA)
Deve al comune risarcimenti per oltre 100 mila euro, ma la Moratti lo premia con una poltrona di peso importanti funzioni istituzionali di garanzia nella corretta aggiudicazione del contratto d’appalto”. A incastrarlo, gli interrogatori di tre garofani doc come Gianmario Cazzaniga, Gianstefano Milani e Loris Zaffra, un ex assessore processato per Mani Pulite (ha patteggiato) e oggi tornato anche lui in gioco come presidente dell’Aler Milano. Dei soldi che Mariani deve al comune di Seregno, finora, non si è comunque visto un centesimo. Nonostante la carriera imprenditoriale, le consistenti finanze e una dilazione nei pagamenti, il risarcimento è rimasto solo sulla carta. Da un anno. E il bello è che l’altro condannato in solido sta così pagando per tutti e due. Dopo le inchieste, Mariani si è ributtato in politica alla guida di una lista civica, Amare Seregno, e ha diversificato gli interessi. Da presidente di una onlus benefica ha sostenuto la Lega acquistando su alcuni giornali intere pagine pubblicitarie. E naturalmente mettendo tutto sul conto della onlus. La sua penultima avventura, sfortunata, è invece legata alla nascita della nuova provincia di Monza e Brianza. A poche settimane dalle elezioni, Mariani aveva annunciato la sua futura nomina a vicepresidente in caso di vittoria del candidato da lui sostenuto. Giornali, televisioni e la sua radio gli avevano fatto da grancassa. Una fuga in avanti, appoggiata da Stefania Craxi e Letizia Moratti, conclusa in una débâcle: il candidato di Mariani ha vinto, ma poi ha scelto come vice un altro. Uno smacco che la poltrona in Fiera farà presto dimenticare. Come tutto il resto.
IL SOFTWARE. Bravosolution, società attiva nella fornitura di servizi e soluzioni informatiche di “supply management”, per la nuova autostrada lombarda curerà infatti la tracciabilità degli espropri, dell’assegnazione dei lavori e della loro direzione. Una schedatura su computer di tutte le figure e le imprese coinvolte nella partita, per ga-
rantire legalità. Bravosolution è nata nel Duemila per iniziativa del Gruppo Italcementi, la Spa già al cento di vicende giudiziarie proprio per presunte contiguità di sue controllate con la criminalità organizzata. Nel luglio 2006, infatti, i magistrati di Caltanissetta iniziano un procedimento a carico dei vertici della Calcestruzzi spa: un’azienda, forse quella più importante, del Gruppo Italcementi. L’accusa è pesante: associazione mafiosa e falso in bilancio. Nel gennaio del 2009 il gup di Caltanissetta, Stefania Di Rienzo, rinvia a giudizio l’amministratore delegato della Calcestruzzi, Mario Colombini, che nel frattempo si dimette; le motivazioni parlano di frode in pubbliche forniture e intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di avere agevolato la mafia. Con l’ad vanno sotto processo anche Fausto Volante, direttore di zona per la Sicilia e la Campania, in carcere, e l’ex capo area per la provincia di Caltanissetta Giovanni Laurino, immediatamente licenziato dalla Calcestruzzi. Le infiltrazioni quindi ci sono, anche se l’azienda bergamasca potrebbe esserne vittima a sua volta. Fatto sta che affidare a una software house di famiglia l’incarico di vigilare sulla legalità negli appalti, proprio sul fronte dell’antima-
fia, a molti è apparso incauto. Anche a Caltanissetta ci vanno coi piedi di piombo. Vogliono evitare proprio quello che si rischia di fare al nord: pescare nella galassia Italcementi col rischio di pericolose aderenze e arbitri contestabili. Del resto il gruppo bergamasco è la principale azienda italiana del cemento e delle costruzioni, dall’alto dei suoi 140 anni di esperienza e con un fatturato che nel 2008 ha sfiorato i 6 miliardi di euro. Sono otto gli stabilimenti della Italcementi in Sicilia. La lente dei magistrati si è concentrata sugli impianti in provincia di Caltanissetta e su quello di Gela, in modo particolare. Nell’inchiesta “Compendium” del dicembre scorso, tra le altre cose è stato chiarito il meccanismo di penetrazione delle cosche. Il clan di Cosa Nostra dei Madonia s’è infiltrato nello stabilimento presente nella zona industriale di Gela. Secondo i magistrati tale Giuseppe Bevilacqua, 43 anni figlio di Antonio Bevilacqua, pezzo da novanta nell’organigramma mafioso nisseno e caduto nella guerra di mafia degli anni Ottanta, sarebbe arrivato a contaminare i vertici della Calcestruzzi spa gelese, attraverso la sua impresa di trasporto di cemento. Bevilacqua oggi è in carcere; negli archivi della Bravosolution personaggi come lui, è il caso che non abbiano mai spazio. Ma la domanda che in molti si pongono a Milano in questi giorni è se la grande famiglia Italcementi riuscirà davvero ad essere più forte delle ingerenze di certi criminali che hanno covato al suo interno.
LE TRUCCATRICI MEDIASET
IL PRIMO PICCHETTO DI COLOGNO MONZESE di Giuliano Di Caro Cologno Monzese
qualcosa che la gigantesca antenEcoracco na Mediaset di Cologno Monzese annon aveva visto: un picchetto di protesta in piena regola. Dentro la sede di Mediaset si realizzano i patinati programmi della tv commerciale. Fuori, all’incrocio tra viale Europa e via Cinelandia, al freddo come in un film neorealista, le scioperanti del “trucco e parrucco” silurate dall’azienda mettono musica e si passano il thermos del thè caldo. Le bandiere sindacali sventolano in faccia allo stemma del gruppo, fanno capolino colleghi che sostengono gli scioperanti e un’Ape scassata strombazza solidale. Apriti cielo: anche nel cuore dell’impero si fa sciopero. Oggi è il terzo giorno, picchetto dalla mattina alla sera. Non che vengano arringate folle oceaniche: “ma queste cento persone a casa del Cavaliere contano come mille”. OGGI LE TRUCCATRICI. Ce l’hanno sempre descritta come “una famiglia più che un’azienda”, “un’isola felice” nel tumultuoso mare delle imprese italiane. E invece no. Anche qui “esternalizzano” cioè cacciano. Il giorno prima dell’Epifania “Mediaset ci ha comunicato di punto in bianco che dal primo febbraio non saremo più parte della famiglia” spiegano Antonella, Romana, Nicoletta, Patrizia, truccatrici e sarte, cinquantasei tra Milano e Roma. Tutte trasferite a Pragma srl, un service per lo spettacolo di cui nessuno, qui, sa nulla. “Esternalizzare è una forma nemmeno troppo elegante per licenziarci e privarci di alcuni benefici del contratto Mediaset” sostiene Simona
Brambilla, truccatrice e rappresentante sindacale. “E una volta che sei fuori, sei fuori”, aggiunge Barbara. Nel succinto comunicato dell’azienda le professionalità delle 56 dipendenti vengono definite “accessorie” – maè possibile immaginare le facce dei vip senza trucco? – e la pillola indorata come occasione “per sviluppare nuove opportunità professionali”. “E pensare che siamo tutte in Mediaset da almeno vent’anni!” raccontano, dai tempi in cui la tv commerciale era una scommessa tutta da vincere. Protestano “per delusione, incredulità. E continueremo a farlo”. Senza cori o eccessi, ma con l’agguerrita sobrietà di questi giorni. DOMANI GLI ALTRI. Poiché tagliare i loro 1300 euro al mese non può fare grande differenza in un colosso come Mediaset, la sensazione, nettissima, è che le truccatrici non abbiano pescato la pagliuzza più corta, ma siano le prove generali per ristrutturazioni più ampie. Così, fuori a protestare, trovi tecnici delle luci, cameraman e altri, preoccupati che al prossimo giro tocchi a loro. “Le gelatine e altre attrezzature indispensabili per lavorare scarseggiano da anni. Da un bel pezzo si è incrinato il rapporto con i capi”, racconta Luca, tecnico delle luci in azienda da 27 anni. E i divi che fanno? Rita Dalla Chiesa ha mandato in onda una replica di Forum per solidarietà, Gerry Scotti sta valutando la situazione, Federica Panicucci approva la protesta. I giornalisti del Tg5, cui è stato im-
pedito di leggere in video un comunicato, non hanno firmato i pezzi. All’orizzonte, sul modello Sky Tg24, c’è la creazione di All News, che toglierà budget e organico a Tg4 e Studio Aperto. Direzione a Mario Giordano (quattro cause a lui intentate per mobbing). Intanto dal primo gennaio i giornalisti Mediaset non hanno più accesso all’agenzia stampa Reuters. Segnale discordante se l’intento è creare un nuovo polo d’informazione. PRAGMA. Aria pesante a tutti i piani. “Venerdì Piersilvio è sceso alle prove della Stangata, fatto inusuale”, raccontano le scioperanti, “crediamo per tastare il polso. Alcune colleghe si sono fatte avanti e si sono presentate”: forse l’ultima occasione di conoscere il Gran Capo prima del salto nel buio. Dove finiranno? Risalendo gli organigrammi proprietari della Pragma si arriva alla società Movicoop. Vecchia conoscenza. Nata nel 1973 come cooperativa dai “fini solidaristici” (col nome attuale dal 1982) ha incrementato esponenzialmente il fatturato. Era l’azienda dei cossuttiani, snodo chiave del giro di affari miliardario tra le cooperative rosse e la Fininvest, con agganci di business fino all’America Latina. Nel 1998, l’anno della Bicamerale dalemiana, il quotidiano leghista La Padania denunciava l’inciucio, l’ambiguo reticolo d’affari tra neocomunisti e le aziende del re dell’anticomunismo. Leggere per credere? Non si può più. Gli articoli sul tema del 1998-2000 sono stati rimossi dal sito del giornale. Not Found.
Martedì 12 gennaio 2010
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ECONOMIA
IRPEF, IVA, QUOZIENTE E TAGLI QUEL (POCO) CHE SI SA DELLA RIFORMA Berlusconi vuole cambiare il fisco entro il 2010 di Stefano Feltri
eri Silvio Berlusconi è tornato a Roma, un mese dopo il suo ferimento a Milano, e ha annunciato l’intenzione di intervenire entro il 2010 in materia fiscale. Vediamo per punti che cosa potrebbe succedere. Di che cosa si discute? Per il momento non c’è molto di concreto. Le ipotesi sono due: una riforma fiscale di ampio respiro, come vorrebbe il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, oppure un progetto più semplice di riduzione delle aliquote Irpef, come promette Silvio Berlusconi dal 1994. Infatti l’unico documento ufficiale disponibile, pubblicato sulla home page del sito del ministero dell’economia (mef.gov.it), è il “Libro bianco” scritto proprio da Tremonti nel 1994. Cosa cambierebbe? Stando al “libro bianco” di Tremonti il progetto dovrebbe portare a un cambiamento nella struttura delle aliquote. Nel 1994 si facevano quattro ipotesi, per un Irpef (cioè l’imposta sul reddito delle persone fisiche) a una, due o tre aliquote. L’ipotesi prevalente sembra quella a due aliquote, probabilmente 23 e 33 per cento (ma nel progetto originale erano 27 e 40). Oggi le aliquote sono sei, dal 23 al 43 per cento. Quella del 43 per cento diventerebbe 33 (per chi dichiara un reddito superiore a 100mila euro). Per gli altri un’aliquota unica al 23 per cento. Chi ci guadagnerebbe? Stando alle dichiarazioni 2008, gli italiani che guadagnano più di 200 mila euro sono soltanto 75 mila. Per i 21 milioni che già pagano il 23 per cento o meno non cambierà nulla. Per 13 milioni sarà una differenza minima (-4 per cento dell’aliquota), mentre i benefici più consistenti andranno a
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chi guadagna dai 55 mila euro in su. I più contenti di tutti saranno quelli che oggi pagano il 43 per cento e si ritroveranno inseriti nello scaglione di chi paga il 23, con un taglio del 20 per cento. Si tratta di 380 mila contribuenti che dichiarano tra i 75 e i 100 mila euro. Quale sarebbe il risparmio? Questa è la domanda più complicata. Per due ragioni: ogni caso è diverso e bisognerebbe avere informazioni più precise sulle contropartite. Secondo una simulazione della Cgia di Mestre, due coniugi con un figlio a carico e un reddito pro capite di 21.500 euro risparmierebbero 530 euro. Un lavoratore dipendente con 30mila euro, un figlio e una moglie a carico ne risparmierebbe 820. Dov’è il trucco? Nel libro bianco del 1994 si legge che il peso dell’Irpef sul totale del gettito scenderà dal 35 al 31 per cento. Nel complesso le imposte sulle “cose” saliranno dal 40 al 46 per cento e quelle sulle “persone” scenderanno dal 60 al 54 per cento. Tradotto: se da un lato si taglia, da un altro si dovrà aumentare. C’è l’ipotesi di una parziale tassa patrimoniale, per tassare non soltanto il reddito ma anche il patrimonio, concepita in funzione anti-evasione. Un’altra fonte di copertura dei tagli
all’Irpef dovrebbe essere il riordino dell’Iva, ritoccando al rialzo le aliquote che gravano sui consumi tassati meno del 20 per cento (alcuni beni alimentari come pane e pasta, l’editoria, l’elettricità e il gas). La conseguenza negativa, almeno da un punto di vista teorico, è che si procede a tagli fiscali mirati mentre gli aumenti sono generalizzati, perchè riguardano beni di consumo di uso diffuso. E per chi resta alla stessa aliquota? I 21 milioni che non beneficiano della riduzione dell’aliquota si troveranno comunque a finanziare gli sconti fiscali per i più abbienti pagando i beni con l’Iva aumentata. Quindi, anche per rispettare l’articolo 53 della Costituzione che impone la progressività dell’imposizione fiscale (i ricchi devono pagare di più anche in percentuale), dovrebbe essere previsto un meccanismo di quoziente famigliare. Questo è il punto più confuso, perchè tutti quelli che invocano il
quoziente hanno in mente obiettivi e strumenti diversi per aiutare fiscalmente la famiglia. L’orientamento che sembra delinearsi è quello di superare il sistema attuale di micro-incentivi orientati soprattutto al sostegno della demografia preferendo un intervento più unitario che consideri l’ampiezza del nucleo famigliare (e non soltanto il numero di famigliari a carico) oltre al reddito complessivo. Si farà davvero?
Difficile. Anche considerando l’innalzamento dell’Iva e le altre coperture servirebbero forse altri 20-30 miliardi che non ci sono (e l’ipotesi di procurarseli emettendo nuovo debito pubblico non sembra percorribile). Lo scenario più probabile è che il gettito proveniente dalla proroga dello scudo fiscale, ancora ignoto ma nel probabile ordine di 4-5 miliardi, potrebbe essere usato per un intervento una tantum a beneficio delle famiglie, da annunciare a ridosso delle elezioni regionali di primavera.
Del passaggio a due scaglioni dovrebbe beneficiare soprattutto chi dichiara almeno 75 mila euro
Ispra: prime trattative ma senza il ministro DOPO 50 GIORNI SUL TETTO I RICERCATORI DEVONO FARE I TURNI PERCHÉ COMINCIANO AD AMMALARSI di Caterina
Perniconi
ono passati cinquanta giorni e i ricercatori dell’Ispra sono ancora sul tetto della sede di Roma. Ieri, le rappresentanze sindacali degli scienziati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale si sono sedute al tavolo del ministero dell’Ambiente per trattare dei loro contratti e del loro futuro. Il ministro Stefania Prestigiacomo ha lasciato l’edificio poco prima dell’inizio della riunione. Niente interesse diretto nel problema quindi, che viene lasciato al vice capo di gabinetto Bernadette Nicotra, al funzionario del ministero della Funzione pubblica Maria Barilà, ai commissari dell’Ispra Stefano La Porta ed Emilio Santori. Di fronte a loro, in due riunioni separate, il sindacato di base Usi-Rdb e i confederali Cgil e Uil. La Cisl ha preferito non partecipare, mostrando il fianco al divide et impera. “E’ stato un incontro interlocutorio ma ci è sembrato proficuo – ha detto Michela Mannozzi, delegata Usi-Rdb – abbiamo aperto una trattativa, chiesto il mantenimento dei rapporti scaduti e in scadenza e una prospettiva futura di rapporti subordinati che si trasformino in un chiaro piano occupazionale”. I presupposti ci sono, ma non si fanno
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illusioni: “Adesso aspettiamo il riscontro della disponibilità mostrata oggi al tavolo – spiega Mannozzi - sia attraverso il verbale che sarà redatto dopo le riunioni, sia con la convocazione del prossimo incontro che deve avere all’ordine del giorno le nostre richieste”. I ricercatori Ispra erano presenti al ministero con una piccola delegazione perché è stato difficile per loro dividersi in due gruppi per mantenere il presidio sul tetto. Infatti questi ultimi sono stati i giorni dell’influenza, della tosse e della febbre. L’umidità e la pioggia hanno provato la salute degli studiosi oltre al loro morale. I contratti, infatti, sono scaduti il 31 dicembre, e più di 200 persone sono rimaste senza lavoro, dopo gli altrettanti terminati a giugno. Lunedì scorso il ministro dell’Ambiente aveva accettato di ricevere i ricercatori in seguito alle tensioni natalizie che avevano costretto i deputati dell’opposizione a scavalcare i cancelli scortati dalla polizia, e durante la riunione era stata decisa l’apertura del tavolo di trattativa. In attesa dei prossimi passi, è stata convocata un’assemblea cittadina, venerdì mattina presso la sede Ispra di via Casalotti, durante la quale saranno verificate le condizioni per interrompere la protesta o continuarla.
LA CRISI DELLA SARDEGNA
di Cinzia Simbula
ALCOA: IL GIORNO PEGGIORE a notizia, temuta, arriva a metà mattina di un lunedì grigio e assai piovoso: l’Alcoa ha ufficialmente avviato le procedure per la cassa integrazione. Ma a Portovesme, zona industriale della provincia Carbonia-Iglesias, nella Sardegna sud-occidentale, non è solo il cielo ad essere nero. Nero è l’umore dei lavoratori della multinazionale produttrice di alluminio primario (900 che operano tra azienda madre e “service”, cui se ne aggiungono oltre 1000 dell’indotto) che tra 25 giorni, il tempo necessario per completare tutto l’iter, potrebbero ritrovarsi senza lavoro. Un’eventualità che sembra ogni giorno più concreta e che si tenta di scongiurare. Cassa integrazione significherebbe fermata degli impianti (normalmente in attività 24 ore al giorno per tutto l’anno) e, sono certi lavoratori e sindacalisti, chiusura definitiva della fabbrica. “Bisogna impedire che ciò accada - dice Francesco Sanna, senatore del Pd - è
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necessario che il Governo intervenga immediatamente convocando l’ambasciatore americano affinché faccia da mediatore con l’Alcoa, dato che siamo di fronte a una vertenza non soltanto sarda, ma di portata internazionale”. A Portovesme (la questione riguarda anche i 100 lavoratori di Fusina, in Veneto) c’è timore, ma anche la consapevolezza che gli strumenti per evitare lo stop degli impianti ci siano. Per questo i lavoratori hanno sollecitato, e ottenuto, anche l’appoggio del governatore Ugo Cappellacci. La cassa integrazione dovrebbe diventare effettiva ai primi di febbraio. A meno che, durante l’incontro previsto al ministero nei prossimi giorni, la società non comunichi di accettare la proposta del governo, relativa al contratto con l’Enel che permetterebbe di avere energia scontata per i prossimi sei mesi. In attesa di una soluzione definitiva.
Luisa Todini, la fusione, la finanza e i posti di lavoro aro direttore, la ringrazio, con Cla pagina qualche giorno di ritardo, per dedicatami dal suo giornale martedì 29 dicembre 2009. Mi sono concessa un po’ di vacanza prima di prendere carta e penna (ormai tramutatesi nella tastiera di un computer) e, prima di tutto, le faccio i complimenti poiché il suo quotidiano, nonostante la giovane età, è già ampiamente diffuso e ho avuto la fortuna di trovarlo in più copie anche in una edicola della meravigliosa Val Badia dove ho avuto il privilegio di sciare con mia figlia per qualche giorno. La ringrazio, dicevo, però le devo tirare le orecchie perché i suoi acuti ed attenti giornalisti si lasciano andare a più di una inesattezza. Ma non voglio calcare la mano su questo: un po’ di romanzo si perdona. Ciò che mi ha più amareggiata è la mancanza di totale considerazione sulla vera e profonda motivazione per cui un imprenditore decida liberamente di rinunciare ad essere “padrone” scegliendo di essere gestore congiunto di una attività industriale (Salini-Todini) che rappresenta, ad oggi, la terza realtà imprenditoriale del comparto costruzioni offrendo lavoro a 17.000 persone in 40 paesi al mondo su 4 continenti. E qual è il problema nel riconoscere che si può essere complementari? Dov’è il disvalore nel ricercare un partner più grande, più bravo e più forte? Lo chiedo a lei, direttore di un giornale attento alla voce della sinistra che dovrebbe difendere il lavoro e i lavoratori. Non le sembra abbastanza nobile cedere parte del comando per salvaguardare il maggior numero di posti di lavoro e, possibilmente, crearne di nuovi? Mio padre Franco, nato nell’Umbria contadina degli anni Trenta, non aveva altro che tante idee, tanta tenacia e tanta umiltà. Granello dopo granello ha costruito una fortuna, anche economica, ma soprattutto fatta di forza umana affezionata e dedicata, rispettosa e resistente che ha dato molto e merita di ricevere certezza del presente e speranza nel futuro. E allora cosa importa se si possegga o meno la maggioranza o meno delle azioni di una azienda quando non si persegue il dominio ma l’espansione, non il patrimonio ma la crescita? Se tutto ciò significa essere stata “salvata” da una fusione… felice ed orgogliosa di averla provocata! Quanto alla politica, ognuno di noi, in ogni gesto quotidiano fa politica. A maggior ragione chi, come l’imprenditore, tutti i giorni versa il contributo per sostenere la vita di tante famiglie. Ringrazio lei e i suoi lettori per l’attenzione Luisa Todini
Ringraziamo la dottoressa Todini per il garbo ormai raro della sua lettera. Non crediamo che le inesattezze che lamenta siano tali, anche perché ci siamo limitati a ragionare sui numeri comunicati al mercato e a ricavarne che non si potesse parlare di “matrimonio alla pari”, come si è invece lasciato intendere nella conferenza stampa di annuncio dell’operazione. Tutto qui, e dalla sua lettera ci pare che questa osservazione esca confermata. Peraltro, senza che questo coincida con un giudizio negativo sull’operazione e, specie alla luce della sua lettera, sulle motivazioni che ne stanno alla base. Francesco Bonazzi e Marco Lillo
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“Il fiume dei gamberi”, ex colonia e la dittatura “democratica” di Biya di Mimmo Lombezzi * Bamenda
n romanzo di Jonathan Lethem immagina un carcere costruito con i corpi dei detenuti murati nelle pareti. Le galere africane realizzano spesso questo incubo che si realizza nel fatto di non essere mai soli, vivere notte e giorno a contatto fisico con i corpi degli altri e sempre sotto i loro sguardi. Nella prigione minorile di Bamenda, in Camerun, un gruppo di detenuti mi accoglie danzando sotto gli occhi delle guardie sui ritmi di un inno religioso. Il vicedirettore, in divisa militare, partecipa alla danza per sottolineare la spontaneità dell’evento. Un detenuto, riottoso, riceve uno spintone da uno dei guardiani che, appena mi volto, mi sorride dietro i RayBan neri con 32 denti. “Quando piove – dice un ragazzo nei dormitori – l’acqua ci cola addosso. Qualcuno che ha cercato di fuggire ha danneggiato il tetto, così siamo costretti a raccogliere l’acqua piovana con i piatti, se no finisce nei letti”. 80 adolescenti, quasi tutti in attesa di giudizio, passano il giorno ammassati come polli in un piccolo cortile annerito dai fuochi della cucina e la notte schiacciati come sardine in un dormitorio che potrebbe accoglierne a stento la metà. In mezzo ai letti, che formano un continuo appiccicoso di coperte e materassi disposti su due piani, una tv rovescia il tg nazionale sulla testa di un ragazzo febbricitante. Chi si ribella – dicono voci esterne alla prigione – viene picchiato e vedo che alcuni detenuti sono incatenati. Quanto li lasciate in queste condizioni?, chiedo al direttore che risponde: “Dipende se nel periodo in cui sono in catene commettono o meno altri errori e da quanto tempo impiegano a capire di aver commesso il primo…”. “Vedete questo minore?”, dice Gioacchino Catanzaro il cappuccino che mi guida nella visita: “Per legge non potrebbe stare in carcere e se io lo richiedessi, il direttore me lo lascerebbe portare fuori ma dove lo metto? La direzione collabora volentieri con noi, ma la galera risale al periodo coloniale e le condizioni dell’edificio rendono la punizione preventiva spropositata rispetto ai crimini”. Fuori dal carcere Gioacchino mi mostra un garage che i frati vorrebbero ristrutturare per offrire ai detenuti uno spazio in cui fare sport e attività formativa. Dall’alto il vocio che sale assieme al fumo dal cortile del carcere evoca gli inferni affollati disegnati da Dorè, ma, paradossalmente, questi detenuti, quasi tutti accusati di piccoli furti – come un cellulare, un computer o un’autoradio – possono considerarsi fortunati. Sebbene la pena capitale sia “congelata” da oltre 20 anni, infatti, il furto in Camerun viene punito con la morte del (presunto) colpevole.
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DAL MONDO
x colonia prima tedesca (1884-1918) poi franco-inglese (il territorio venne diviso dalle due potenze vincitrici), indipendente dal 1960, grande una volta e mezza l’Italia e con oltre 18 milioni di abitanti (di oltre 200 etnie diverse), il Camerun è governato dal 1982 dal presidente Paul Biya, una delle dittature “democratiche”
d’Africa ma che ha permesso al paese di non cadere in un’aperta guerra civile. Ricca di materie prime (delle quali il petrolio è sempre più rilevante), il Camerun ha dei rapporti piuttosto conflittuali con i vicini, in primis la Nigeria. Il paese prende il nome dal Rio dos Camarões (“Fiume dei Gamberi”), come denominarono
l’area i primi esploratori portoghesi. La maggioranza della popolazione è cristiana, ma la presenza musulmana (soprattutto nel nord) è in aumento (oltre il 22%). Oltre alle materie prime, il paese produce prodotti agricoli (dalle piantagioni di banane a caffè, tè, cacao), con circa il 70 per cento della popolazione impegnata.
LEGGE DELLA JUNGLA CAMERUN I dannati del giustizialismo reale, dove le ronde non perdonano
stasse dei banditi e che poi venissero liberati. Così la gente preferisce bruciarli”. “Se trovo uno di questi banditi lo uccido con le mie mani”, racconta un giovane mentre un barbiere di strada gli strofina la testa tosata. Chiedo: Che ti hanno fatto?. Risponde: “Per rubarmi la moto mi hanno passato una corda attorno al collo e mi han tirato giù. Ho passato 6 mesi a casa. Quando ne hanno catturato un altro qui vicino ho partecipato al pestaggio; se non fosse arrivata la polizia l’avremmo ucciso”. Un capannello di curiosi approva battendo le mani.
“Ogni giorno troviamo corpi calcinati”… continua Maitre Augustin Mbami “la gente pensa che lo Stato non la protegga e i banditi sono pronti a uccidere per un cellulare. Recentemente, hanno messo un bimbo in un congelatore per ricattare la famiglia e il bambino è morto. Ovviamente questa non è una ragione sufficiente perché la gente si faccia giustizia da sé. Questa incapacità dello Stato di garantire la sicurezza è l’altra faccia di una Repubblica a dir poco presidenziale. Governato per 30 anni dallo stesso uomo il Camerun è uno dei pochi paesi africani che abbiano schivato l’incubo della guerra ma chi scende in piazza viene pestato come un tamburo come accadde due anni fa a migliaia di dimostranti che protestavano contro il caro vita su un ponte a Duala: ne morirono 140 sotto i colpi della polizia o precipitando in mare travolti dalla folla. “Le autorità non fanno niente – dice Augustin Mbami – Pensate che qualche anno fa hanno istituito un corpo speciale per combattere la criminalità ed è stato un fiasco totale. A Bamenda 9 uomini accusati di aver rubato delle bombole di gas sono scomparse e si è scoperto che erano stati giustiziati subito dopo l’arresto. L’ufficiale che comandava l’operazione è stato condannato a 3 anni”. * articolo tratto da un reportage di “Storie di Confine”, programma Mediafriends-Videonews in onda sabato 16 gennaio alle 00.30 su Rete4.
AMSTERDAM MULTIETNICA
Un mercato in Camerun (FOTO ANSA)
Scomparsi dalle foreste, i leoni, gli animali simbolo del paese che ha definito “leoni indomabili” la sua Nazionale di calcio, ruggiscono più che mai nei quartieri popolari di Duala, di Limbe e di altre città. Basta rubare un sacco di patate o peggio tentare una rapina perché il branco si materializzi dal nulla e inizi una caccia all’uomo che si conclude quasi sempre con la morte del sospetto. Un filmato girato da un videoamatore racconta uno di questi episodi, quotidiani, di “giustizia popolare”: si vede un uomo in fiamme che rimbalza come una palla di biliardo al centro d’una folla infuriata, finché qualcuno lo abbatte con un calcio. Pochi minuti dopo la scena è la stessa: le moto che si fermano, ruggiscono e ripartono accanto a una cerchia di sfaccendati che copre di commenti un corpo immobile, fuso assieme ai copertoni o sfigurato dalle pietre. La “giustizia popolare” detta anche “jungle justice” è annunciata a chiare lettere da cartelli scritti con vernice rossa e appesi all’ingresso dei quartieri. Dicono “ladri attenti: pena di morte!”.
Piccoli furti vengono puniti con la morte da parte del branco di cittadini che si trasformano in giustizieri Anche nelle carceri l’umanità non ha spazio
“Uno lo hanno ucciso la settimana scorsa – racconta Philippe Aristide Ngankamm, commerciante – aveva rubato un sacco di patate. Aveva 20 anni”. Chiedo: Come lo hanno ucciso? Risponde: “Con pietre e bastoni”. Chiedo: Qualcuno ha provato a fermarli?. Risponde: “Certo che c’è chi si oppone. Alcuni vorrebbero portare i ladri alla polizia, ma altri vogliono solo abbatterli”. Alcuni uomini immersi nello smog di uno dei tanti caffè di strada spiegano perché la giustizia popolare non perdona: “Se uno ruba e lo consegnano alle autorità competenti, lo si rivede presto fuori e prendersela con chi lo ha arrestato”.
Chiedo: Ma non vi sembra eccessivo uccidere qualcuno per un sacco di patate?. Rispondono: “Non è questione di patate o non patate. Se ha rubato ha rubato”. Chiedo: E nessuno ha cercato di fermare la folla? “E con cosa dovrei fermali?”, risponde un uomo in moto: “Col mio cazzetto? Quelli si fanno sotto con coltelli e bastoni ! Chi li ferma? Contestano anche la polizia quando arriva”. “Uno Stato deve assicurare la sicurezza dei beni e delle persone e lo Stato qui non lo fa”, spiega Augustin Mbami, avvocato di successo ed esponente autorevole dell’opposizione: “In molti casi è accaduto che la popolazione arre-
“Numero chiuso” per gli europei
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er diventare dirigenti del comune di Amsterdam bisognerà essere immigrati di un paese non occidentale: il comune olandese vuole rispecchiare la composizione multietnica del Paese e riservare agli extracomunitari, per i prossimi due anni, tutti i posti di comando. La proposta di laburisti e Verdi, che guidano la giunta comunale, prevede d’arrivare ad avere il 27% d’immigrati a capo dell’amministrazione locale entro il 2011. Oggi sono il 21% e per aumentare il loro numero il comune dovrà chiudere i concorsi a olandesi ed europei e bandirli solo per gli stranieri provenienti da Paesi non occidentali. Per molti, compresi alcuni degli stessi laburisti, si tratta di una forma di discriminazione contro i cittadini olandesi, e occidentali in generale, vietata dalla costituzione.
Coppa d’Africa, ora si gioca, poi chissà... PRIMI MATCH DOPO IL MASSACRO DEL TEAM DEL TOGO. ANCORA DUBBI SULLA SICUREZZA di Emanuele Piano
a Coppa d’Africa è cominciata e non poteva essere altrimenti. Il Ldell’Angola match inaugurale di domenica sera ha visto i padroni di casa pareggiare 4-4 contro il Mali. Una partita che si era messa benissimo per gli angolani, in vantaggio di 4 gol sino ad un quarto d’ora dalla fine. Lo stesso dicasi di questa competizione: doveva essere una vetrina per celebrare il rinascimento a suon di petrodollari di un paese uscito fuori da una trentennale guerra civile – sono stati spesi un miliardo di dollari per rimettere a nuovo l’Angola – ed è diventata invece una tragedia a seguito dell’attentato contro la Nazionale di calcio del Togo in Cabinda. Proprio ieri nella regione separatista nel nord dell’Angola sono state arrestate due persone in relazione all’attacco che ha causato tre vittime. Gli arrestati sarebbero membri del Flec, il Fronte per la liberazione dell’enclave della Cabinda, o di una sua fazione ribelle che non ha rispettato gli accordi di pace sottoscritti con il governo di Luanda nel 2006.
Nonostante il ritiro della squadra togolese – le salme dei morti sono rientrate in patria per tre giorni di lutto nazionale – la competizione andrà avanti. Gli angolani hanno voglia di voltare pagina una volta per tutte, il conflitto è finito definitivamente nel 2002 ma larghe porzioni della popolazione vivono ancora in estrema povertà, e hanno passato ore negli aeroporti per veder arrivare le stelle calcistiche africane. Didier Drogba, Michael Essien, Sameul Eto’o sono ormai vedette globali. Durante le partite di ieri il Malawi, considerato la squadra materasso del torneo, ha battuto per 3-0 l’Algeria, neoqualificata ai prossimi Mondiali in Sudafrica dopo un sanguinoso spareggio con l’Egitto. Ed è proprio da Johannesburg che arrivano i distinguo e le rassicurazioni sui prossimi Campionati del mondo. Politici, poliziotti e giornalisti ripetono in coro il mantra “noi non siamo come loro”. Il timore, per la verità molto remoto vista la differenza sostanziale fra Angola e Sudafrica, è quello di un contagio, almeno in termini di immagine. Perché se la festa angolana è stata, almeno in parte, rovinata, quella sudafricana deve ancora cominciare.
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DAL MONDO
Il generale Michael Flynn in Afghanistan
“Altro che spie, a Kabul sembriamo degli indovini”
N ULSTER
Mr Robinson s’autosospende
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l premier dell'Ulster, Peter Robinson, s’è autosospeso per 6 settimane, dopo le polemiche sulla relazione (perdonata) della 60enne moglie Iris con un 19enne, al quale fece avere anche un prestito non dichiarato. Robinson ha comunque ribadito di aver agito correttamente.
IL RAPPORTO CHE SVELA GLI ERRORI USA di Leo Sisti
li analisti dell'intelligence in Afghanistan “fanno un lavoro più da indovini che una seria attività investigativa”. E ancora: “Il colossale apparato di intelligence (impiegato in Afghanistan, ndr) non è in grado di rispondere alle questioni fondamentali sull'ambiente nel quale gli Usa e le forze alleate operano... Analisti e uomini dell'intelligence non sanno nulla delle economie locali, non conoscono i proprietari dei terreni di quelle aree, ignorano chi sono i
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potenti, e quindi non possono esercitare nessuna influenza nei loro confronti”. È devastante il rapporto sulle falle di un sistema che dovrebbe dare un supporto di informazioni chiave perché gli Usa e le truppe della Nato possano affrontare i Taliban nella loro terra. Un “libro bianco” dall'interno, un decalogo degli errori commessi in otto anni di guerra alla caccia dei militanti di Al Qaeda che, in nome di Osama Bin Laden, combattono la loro battaglia contro “l'invasore” infliggendo perdite di soldati, civili e dipendenti di imprese im-
INGLORIOUS BASTARD
di Federico Pontiggia
Hitler “capro espiatorio” di Stone
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egli Stati Uniti non si parla che di Avatar e del suo regista “Re del Mondo” (definizione della Bibbia Variety) Jim Cameron. Che poteva dunque fare Oliver Stone per lanciare il suo corso di storia in 10 puntate per la tv Showtime se non sparare una sonora cazzata? Detto, fatto: “Hitler è stato un facile capro espiatorio”. Il risultato? Inevitabili polemiche e tam tam mediatico assicurato, con il Guardian che mangia la foglia: “Dichiarazioni fatte solo per stupire e irritare”. Per par condicio, il tiro è stato anche mancino: “Stalin fu un quasi eroe, perché ha combattuto la macchina da guerra tedesca più di qualsiasi altro”. Con queste premesse, Oliver Stone's Secret History of America garantirà segreti di Pulcinella e revisionismi da Pinocchio. D’altronde, Oliver ad aprile porterà in sala il sequel del suo Wall Street, con sottotitolo: Il denaro non dorme mai. Mentre la ragione, almeno la sua, russa alla grande…
di Andrea Valdambrini Londra
aparbia, tenace: nessuno nega. Non solo gran lavoCgnaratrice, ma anche impegnata da anni nella campacontro la proliferazione nucleare, come ha orgogliosamente rivendicato ieri, e sensibile al tema dei diritti umani, come si conviene a una buona laburista. Ma, più ancora del presidente Van Rumpoy, con cui dovrà lavorare fianco a fianco nel delicato ruolo di alto rappresentante della politica estera per l’unione europea e vicepresidente, sconosciuta ai più. Perfino in patria. Nonché, accusano in molti, politicamente irrilevante. Se non fosse che la baronessa Catherine Ashton, Kathy per gli amici, “Lady Chi?” per i meno amici, nata in Inghilterra 53 anni fa, già a lungo capogruppo laburista alla camera dei Lord prima di prendere il posto di commissario europeo al commercio in sostituzione del collega di partito Peter Mandelson nel 2008, sta per diventare ufficialmente la primadonna d’Europa subito dopo Angela Merkel, e omologa del segretario di stato americano Hillary Clinton. Certo, a patto che il parlamento di Bruxelles, che ieri ne ha ascoltato il discorso programmatico, le voti la fiducia. Una bocciatura è improbabile ma non impossibile, come ricorda il precedente di Rocco Bottiglione, nell’autunno del 2004 giudicato non idoneo a diventare commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza dell’esecutivo Barroso a causa delle posizioni espresse sui diritti degli omosessuali. Punti a favore della Aston: l’aver seguito alla Camera dei Lord, l’iter del Trattato di Lisbona. Un po’ poco, però, per diventare ministro degli Esteri d’Europa. Punto debole, non avere nessuna esperienza in politica estera. Il Trattato le attribuisce il ruolo di rappresentare autorevolmente 500 milioni di cittadini oltre a
pegnate come contractors. Sono 26 pagine al vetriolo compilate da chi guida, da Kabul, proprio lo staff dell'intelligence militare degli americani e della Nato, il major general, in pratica il generale di divisione, Michael T.Flynn. Con due altri collaboratori, il capitano Matt Pottinger e Paul D. Batchelor, consulente della Defense Intelligence Agency (Dia), il generale Flynn, già capo di Stato maggiore al Pentagono, ha stilato un'impietosa relazione resa pubblica il 4 gennaio in un momento delicato e tremendo per la Central Intelligence Agency, la Cia. Perché 96 ore prima, il 30 dicembre aveva segnato per la “factor y” di Langley, una lacerante sconfitta: sette agenti uccisi, insieme a un agente giordano, da uno pseudo agente giordano suicida, in realtà un doppiogiochista infiltrato dai Taliban pachistani nelle file della Nato. Un lutto ancora più imbarazzante per il presidente Barack Obama per una ragione molto semplice. Il “libro bianco” sull'Afghanistan è uscito dalle pagine di un “pensatoio”, un think tank di Washington, il Center for a New American Society (Cnas), vicino al Pentagono, una creatura clintoniana. Humam al-Balawi era un medico di Amman. Come chirurgo aveva assistito i palestinesi a Gaza. Poi era stato arrestato e in carcere gli spioni del suo paese avevano tentato di votarlo alla propria causa, per spedirlo in Af-
ghanistan e sfruttarne le capacità come “quinta colonna” tra i Taliban. Sembrava che ci fossero riusciti. Il dottor al-Balawi è però stato così bravo da far intendere di avere notizie che avrebbero potuto condurre gli americani al numero due di Al Qaeda, il medico egiziano Ayman Al Zawahiri. Invece quando il penultimo giorno dell'anno scorso il chirurgo di Amman si è presentato nella base di Kost, pronto a “collaborare”, un attimo prima che venisse perquisito, ha azionato una cintura esplosiva saltando in aria insieme ai 7 della Cia e al suo connazionale. È stato un sacrificio, quello di Humam, preannunciato. Alcuni giorni prima di immolarsi aveva girato un video, poi trasmesso dalla televisione araba Al Jazeera, dove spiegava i motivi del suo gesto: una vendetta per la morte del leader Taliban pachistano Baitullah Mehsud, passato a miglior vita nell'agosto 2009 a opera degli americani. È vero, le 26 pagine firmate dal generale Flynn, ispirate da centinaia di interviste a specialisti di intelligence, non menzionano mai la Cia, si occupano soprattutto di spionaggio militare. Ma l'operato della Cia, idealmente, vi è comunque presente. Quelle pagine sono un atto d'accusa per tutti, un “j'accuse” terribile contro chi non ce la fa a raccogliere le informazioni utili per vincere la guerra. Contro chi
guarda solo alle strategie globali, solo agli avversari, i famosi insurgents, i ribelli, senza avere l'occhio di riguardo per quelle che sembrano solo minuzie. Manca la lettura delle dinamiche di un paese con le sue complessità tribali, culturali ed economiche. Chi è deputato a farlo, si legge nel rapporto, non se ne cura. E il generale Flynn sfodera pesanti critiche chiedendosi: “Quali sono le moschee e i bazar che attirano più gente settimana dopo settimana? Quel contractor locale che abbiamo pagato per un progetto di irrigazione, che cosa sta facendo? Questo è il genere di domande, al di là di quelle che riguardano il nemico in sé, alle quali si deve rispondere per aiutare chi prende le decisioni, civili e militari, sul campo”. Bisogna cioé sparpagliarsi sul terreno, acchiappare notizie su meeting tra abitanti di villaggi e leader tribali; tradurre i discorsi diffusi da radio locali; captare commenti e riflessioni dei soldati afghani e dei volontari. Il generale Flynn una sua idea di azione ce l'ha. Per lui gli uomini dell'intelligence in Afghanistan devono comportarsi come i giornalisti, ma non solo, le cui competenze vengono elogiate: “Gli analisti devono assimilare le informazioni con la profondità degli storici, organizzarle con la capacità dei bibliotecari e divulgarle con la frenesia dei giornalisti”.
CATHERINE ASHTON E LA UE
SE “LADY CHI?” DIVENTA MRS PESC
STATI UNITI
Clinton razzista su Obama
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n commento razzista di Bill Clinton (nella foto) all’indirizzo di Barack Obama fece infuriare Ted Kennedy nella fase cruciale della campagna per la Casa Bianca, rivela il libro “Game Change” uscito negli Usa. Clinton, stando al libro, disse aa Kennedy, parlando di Obama: “Qualche anno fa questo individuo avrebbe potuto solo portarci il caffé”.
CROAZIA
Josipovic presidente
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l nuovo presidente della Croazia, il socialdemocratico Ivo Josipovic eletto domenica con il 60,3 per cento dei voti, ha confermato nelle sue prime dichiarazioni di voler fare politica in modo nettamente diverso dal passato, rifiutando il patriottismo tradizionale e nazionalista e croato e mettendo in primo piano tra i valori nazionali i diritti umani e la legalità, atteggiamento che potrebbe portare a frizioni con la Chiesa che che aveva tacitamente appoggiato l'avversario, il sindaco di Zagabria Milan Bandic. Reazioni positive dell’Unione europea, dalla Serbia e dal confinante Friuli.
quello, delicatissimo, di formare e guidare la nuova ge- di ministri del governo britannico avesse premuto per avere a Bruxelles un segretario di ambito economico e nerazione dei diplomatici europei del dopo-Lisbona. “Sono la migliore per questo ruolo”, si è affrettata a finanziario in grado di salvaguardare gli interessi della dichiarare all’indomani della sua designazione, avve- City, Brown ha insistito per a imporre da Londra l’alto nuta a fine novembre, “e lo dimostrerò”. “Sono sin- rappresentante. Con il via libera soddisfatto di Merkel cera, non lo so”, ha dichiarato invece ieri la baronessa e Sarkozy, che ha salvaguardato il controllo francese quando Mario Mauro, capo delegazione italiano del sull’economia, il puzzle è stato composto. Per la quaPdl le ha chiesto quale strategia avesse in mente per dratura del cerchio mancava solo un nome. Chi meglio ottenere il seggio Ue al Consiglio di sicurezza Onu. La di Cathy? Donna, competente, caparbia, tenace. E poscelta migliore per l’Europa, o solo un’incompetente liticamente irrilevante. baronessa distratta? In realtà proprio il suo paese ha pensato a lei come soluzione dell’ultimo minuto. Prima BUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline Londra aveva puntato alla presidenza del consiglio d’Europa, proponendo il nome di Tony Blair, le cui chances sono però tramontate presto. Brown ha proposto allora il noMicrobolle per il risparmio energetico materiali in un bioreattore molto più me di David Miliband, attuale ministro degli Uno dei problemi che ostacola la rapidamente delle grandi bolle Esteri britannico che, dopo un iniziale tendiffusione dei biocarburanti di origine prodotte con tecniche di lavorazione tennamento ha rifiutato nell’intento di fare vegetale è l'elevato costo energetico del convenzionali. Il risultato è un minor capire al primo ministro che non sarebbe processo di raffinazione. consumo di elettricità. riuscito a sbarazzarsi di lui spedendolo in Ora un'equipe di ricercatori Il progetto è stato premiato con la quel di Bruxelles. Miliband, infatti, giovane dell’Università di Sheffield, guidata dal Medaglia Moulton dall’Institution of e carismatico è il candidato più accreditato professor Will Zimmerman, potrebbe Chemical Engineers. per sostituire Brown alla leadership del paraver trovato una soluzione. La tecnologia delle microbolle ha tito. O almeno lo era all’epoca della designaAdattando un “bioreattore”, in grado di svariate possibili applicazioni: lo zione della Ashton, prima che un complotto produrre microbolle di gas, è stato stesso team di ricercatori la sta andato in scena il 6 gennaio lo bruciasse alpossibile ridurre del 18% la quantità di sperimentando in un impianto per il meno fino alla elezioni generali di primaveenergia necessaria per il processo trattamento delle acque reflue dove ra. Quanto poi al dopo elezioni e all’evenproduttivo. si stima di poter tagliare i consumi tuale dopo Brown, è nebbia fitta sulle rive L'idea di base non è complicata: come elettrici di circa un terzo. del Tamigi. riporta il sito Ecologiae.com, le (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Tramontata così l’ipotesi dei due piccioni microbolle sono in grado di trasferire i Cristina Dalbosco, Gabriella Canova) con una fava, Brown ha bleffato su Blair, continuando a fare il nome dell’ex-premier solo per alzare il prezzo. Nonostante un gruppo
BOLLE ENERGETICHE
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
CINEMA IN LUTTO
Si è spento il regista francese
C. Ranieri “Nessuna rivincita, sono felice di allenare la Roma”
M. Risi Il regista ha vinto il Premio Fac 2009 per “Fortapasc”
J. Malkovich “Il cinema e la moda hanno stessi sogni e stesse frustrazioni”
ROHMER, NOUVELLE VAGUE ADDIO di Malcom Pagani
oi si incontravano. Alle sei di sera. In redazione, nella Parigi dei primi anni ‘50, faticando a distinguere le sagome per il fumo. Riconoscendosi dalle voci. Truffaut, Godard, Rivette, Chabrol. I suoi amici, i suoi rivali distanti dal trasformarsi in modelli, perchè la creazione, attinge dagli altri ma è sempre (e per sempre) la zona più intima di un artista. Parlare. Ragionare. Litigare. Il cinema e la discussione, l'approfondimento e l'esegesi, la morale da enucleare, quando il concetto, aveva, anche in prospettiva, forza maggiore di uno slogan contemporaneo. Eric Rohmer è morto ieri, a 89 anni, in un'età in cui i conti si fanno per sottrazione, distante dall'inutile avvicendarsi di luci e bagliori, che lungo l'arco di una parabola esistenziale straordinaria, aveva tenuto alla porta come si fa con un fastidio passeggero, un parente petulante, un timore mai completamente assente. Il desiderio inconfessato che nasce da un incontro casuale, l'illusione di dominare il destino, che sbatte le individualità come foglie al vento, in alto o in basso a seconda dell'inclinazione o delle stagioni, il carro bestiame della vita che gioca a dadi con le persone, labili segni sul passaggio inesausto dell'umanità. Questo interessava a Rohmer. Più in là di cicli, stagio-
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1959 diresse (senza alcun esito) Il segno del leone, scritto con Paul Gégauff. Tre anni dopo, realizzò il primo dei sei 'Racconti morali', La fornaia di Monceau (1962), prodotto e interpretato dal sodale Barbet Schroeder, seguito da La carriera di Susanna (1963), La collezionista (1967), La mia notte con Maud (1969), con Jean-Louis Trintignan e Françoise Fabian, Il ginocchio di Claire (1970) e L'amore il pomeriggio (1972), cui seguirono negli ‘80 e nei ‘90, capolavori come “La moglie dell’aviatore”, “Il raggio verde” e l’epopea dei racconti stagionali, del ciclo che per esaurirsi, ha bisogno di terreno teologico e narrativo. Uno stato d’animo per ogni temporale dell’anima, colto nell’efficace fotografia di una quotidianità non modificata, artata, trasposta. La timidezza contrapposta al chiasso, la delicatezza come arma di resistenza umana.
ni, apologhi e opere da incasellare in qualche Festival che lo applaudiva a lungo, finendo poi a volte per premiare sul traguardo, colleghi più inclini a concedere interviste, disperdendo nell’apparenza, un’ipotesi di essenza. Ci si incontra, ci si annusa, ci si sceglie. Eric il freddo, riottoso al palcoscenico, Eric che aveva scelto uno pseudoni-
Professore di Letteratura a soli 26 anni, ha diretto il Raggio verde, Leone d’Oro nel 1986
di Elisa Battistini
maestro del cinema che ha raccontato l’amore e gli interrogativi Uticenetici che nascono nelle relazioni umane. Se probabilmente il verdella filmografia di Eric Rohmer è ravisabile nel ciclo dei sei rac-
Un’immagine di Eric Rohmer con il Leone D’oro (FOTO ANSA)
siamo diventati. “Promemoria” arriva a Roma. Marco Travaglio, festeggia al Teatro Olimpico di Roma, dal 12 al 17 gennaio 2010, la centesima data di una lunga tournée teatrale. In molte città si sono dovute aggiungere repliche per l’alta affluenza di pubblico. Il tutto per un lungo monologo dove un giornalista parla al pubblico senza mai alzare la voce e senza mai fare concessioni allo “spettacolo”. In “Promemoria” sfilano i fatti e i protagonisti degli ultimi 15 anni di cronache italiane: Tangentopoli, le stragi di mafia, i ricatti incrociati della politica, l’attacco alla Costituzione. Memorandum per non dimenticare, proposto da un giornalista che, come ha detto Montanelli, “non uccide nessuno con il coltello, ma usa un’arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l’archivio”.
Valerio De Paolis, che con la sua Bim, fece conoscere Rohmer al pubblico italiano, è addolorato. “Se ne va un regista geniale. Il cantore delle piccole cose, della tenerezza che non sventola volgarità e sa approfondire, nel trionfante chiasso, ciò che a prima vista, appare secondario. Marco Muller ebbe la grande idea di premiarlo con il Leone d’Oro alla carriera. Così, in un attimo, realizzammo l’impresa che mai avevamo conseguito: portarlo in Italia. Provammo più volte, ma lui di viaggiare o sottoporsi a torme di giornalisti, flash e telecamere, non aveva nessuna voglia. L’ultima volta l’ho visto quattro anni fa, a Parigi”. Lo vedremo ancora, Rohmer, immaginandolo a discutere di Hawks a cena, alla Pergola, mentre intorno i tavoli si svuotano. Nella zona in cui non esistono malattie ma solo nuovi inizi. Ciak, azione, regìa.
Astrea e Celadon, l’altrove del cuore puro
mo in luogo del suo vero nome, Jean-Marie Maurice Scherer, Eric che lasciava parlare un cinema così profondamente connaturato con l'odore delle cose, da non cogliere (volutamente) la differenza tra la finzione e la realtà. Dove la musica è quella del vento, gli attori possono essere indifferentemente volti di gente comune alla prima esperienza sullo schermo o star affermate, e ogni cosa a partire dal tempo, ha un suo spazio preci-
PROMEMORIA Travaglio: un palco, 100 date no spettacolo itinerante. L’Italia, da nord a sud, per racconUginari, tare un paese che cambia senza mutare mai i caratteri oricento repliche, per mostrare ciò che eravamo e ciò che
A. Winehouse La cantante litiga con il padre perché in tv parla della sua vita
so. Leggero, dolce, indulgente, anatomico delineatore di caratteri indimenticabili, Rohmer iniziò come giornalista. Poi virò interessi e bagaglio culturale ai piedi di una cattedra. Professore di letteratura a soli ventisei anni. Un ragazzo affamato di sapienza che prestò, immerso nelle letture, pensiero e azione (nella ricercata distanza di stile e tematica) alla nascente Nouvelle Vague, non ancora divenuta manifesto di un’intera generazione. Insegnava per sopravvivere, nella Francia post-Vichy e poi spendeva il resto di niente, nelle fumose sale dove i capolavori di un'arte che già aveva espresso moltissimo, riempivano i pomeriggi di un sognatore a disagio con i convenevoli. Nella Cinémathèque Française di Henri Langlois, allargò le spalle a con-
tatto con i critici bellicosi come Truffaut, Godard, Claude Chabrol e Rivette. Un autobus di talenti che presto, avrebbe turbato le coscienze del Gaullismo, con la mercificazione in atto dell'universo, le troppe domande irrisolte, mettendo allo specchio opaco di un mutamento irreversibile, i dogmi di una nazione ammalata di sciovinismo e presunzione. Il primo cortometraggio è del 1950. Dodici mesi appena e Rohmer, già affermato entrò nel mitologico e chiusissimo alveo del cahiers du cinema. Il direttore, era Andrè Bazin. Grandioso monumento immobile, poi sostituito da Rohmer stesso sei anni dopo. Intanto, tra un dibattito e un saggio, Ericnon si fermava. Continuava nello studio di un'amore che non permetteva soste. Nel
conti morali (in particolare La mia notte con Maud e Il ginocchio di Claire), nel giorno della sua morte scalda il cuore ripensare all’ultimo straordinario film con cui il cineasta ci ha lasciato. Gli amori di Astrea e Celadon (2007), tratto da un testo secentesco francese (L’Astrée di Honoré d’Urfé, spesso citato letteralmente nei dialoghi) narra un amore assoluto ambientato nella Gallia del V secolo, tra ninfe e druidi. In questo setting fuori dal tempo, la pastorella Astrea viene ingannata da una rivale e si convince che il suo amato Celadon la tradisca. Offesa, la fanciulla chiede all’amato di non farsi più vedere al suo cospetto. Celadon, innamoratissimo di un sentimento assoluto, tiene fede alla richiesta, tenta il suicidio ma viene salvato da tre ninfe. Nel frattempo Astrea – venuta a conoscenza della menzogna – lo piange d’amare lacrime. Mentre Celadon mantiene saldo l’impegno di non farsi vedere al di lei cospetto. E si ritira nella foresta, senza speranza. Ma il destino farà ineluttabilmente ritrovare i due amanti. E l’ultima scena raggiunge, con una semplice spallina che cade e lascia intravvedere un seno, una densità erotica sublime. Il film è una summa di temi squisitamente rohmeriani. Ma è anche, come La nobildonna e il duca, la testimonianza di un’incessante ricerca linguistica, troppe volte sottovalutata nell’esegesi dell’opera di questo titano. Se nel film in costume del 2001 il regista rifletteva sulla finzione e sull’inganno come fondamento della rappresentazione e del cinema stesso, ne Gli amori di Astrea e Celadon l’amor cortese tra i druidi diventa il fondamento ontologico delle tante passioni declinate in tanti film. Nell’opera i dialoghi parlano della relazione tra Unità e Molteplicità, della concezione della divinità. E si ha l’impressione che Rohmer si senta a suo agio come non mai nel mettere in scena questo “altrove” in cui si racconta l’amore puro. In questo luogo fuori dalla realtà, il regista declina la sua summa teologica. Un commiato commovente.
Martedì 12 gennaio 2010
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SECONDO TEMPO
OGNI MALEDETTA DOMENICA
NERI E NON PER CASO
La crisi di Torino nell’Italia anestetizzata, il razzismo di ritorno tra Balotelli e la Coppa d’Africa di Oliviero Beha
è qualcosa che lega il caso Juventus al caso Torino per una doppia crisi torinese nel derby della delusione? E c’è qualcos’altro che lega queste crisi pallonare con la questione stadi-razzismo posta dal ministro Maroni e riecheggiata dal presidente della Federcalcio Abete? E la questione così delicata è una faccia di quel prisma emerso con i fatti di Rosarno, dove è saltato un tappo di malessere che rimanda a molte altre bottiglie italiane? E tutto ciò è proprio così distante dalla Coppa d’Africa, dall’Angola, dai separatisti di Cabinda, dal pullman del Togo assaltato, da quei morti, da quel ritiro dalla Coppa, dallo “show pallonaro del continente nero” che deve comunque continuare anche senza i togolesi, squadra e governo di quella Repubblica intesi insieme? Sono anelli della stessa catena oltre ad essere tessere di un mosaico contemporaneo che mette paura? Personalmente credo proprio di sì. Ma andiamo per ordine. Mentre scrivo non è stato ancora cacciato Ferrara dalla panchina della Juventus, così come è invece toccato a Beretta al Torino dove è tornato Colantuono. E farebbero bene a tenerlo, Ferrara, a condizione che la società sappia e voglia dargli quel supporto che finora è mancato. E’ evidente che la corsa a gambero della Juventus, e del Torino nella serie cadetta, non può avere soltanto e neppure tante spiegazioni tecniche, che naturalmente ci sono. Sono due club sbandati, almeno nel senso che la filiera vertici societari-staff tecnico-squadra ha
C’
sia nella Juve sia nel Torino delle smagliature evidenti. E fa impressione veder succedere all’Olimpico di Torino episodi come i sedili divelti e bruciati, le cariche della polizia dentro e fuori lo stadio, dopo aver letto in settimana delle aggressioni a giocatori del Torino a cena con le famiglie. Sono anche questi tappi che saltano, di un disagio e un degrado socio-calcistico che covano da tempo nell’ex Belpaese ma che vengono sempre rintuzzati o ancora meglio ignorati. Milioni spesi davvero in modo dubbio dalla Juve, postuma di “Calciopoli”, un’aria da precariato spinto in un club glorioso o gloriosissimo come il Toro, segnali complessivi di incapacità e di sottovalutazione dei “rischi di impatto ambientale” del calcio nel suo humus. E mentre l’Inter fatica meno del Lecce a guidare la classifica più importante e il Milan è tornato il Milan senza Kaká, cioè quasi giovandosi della perdita “sensazionale” del timorato di Dio finito al Real Madrid (è inutile, Berlusconi è sprecato come premier… se ne intende troppo di calcio), il ministro musicista Maroni ci ricorda la tolleranza zero, negli stadi come a Rosarno. Gli arbitri, ha detto esternando alla grande prima ancora di gonfiare in petto il suo cuore rossonero, devono poter fermare un match se sentono cori razzisti o vedono striscioni incriminati (devo pensare che “viva Hitler” sia rischioso come “negro di merda” oppure no?). Gli ha risposto Abete chiedendo nuove norme e nuove autorizzazioni, invece di spiegare con pazienza al ministro che intanto evidentemente finora “si è scherzato” malgrado tutta la retorica della “guerra agli striscioni” e ai
di diverso colore, la detonazione metaforica e non solo dello stadio collegata a situazioni di “non vita o di vita minore” come a Rosarno, denunciate dall’Osservatore Romano dopo l’omelia papalina. Riconsiderare il valore sociale e di comunicazione del calcio dovrebbe essere una priorità, ma per chi? Per Maroni, per Abete, per Balotelli, per tutta quella sequenza di giocatori e giocatorini (nel senso di bambini che giocano da tesserati) di pelle scura che figurano nelle serie professionistiche, tra i dilettanti, nel settore giovanile? Davvero ci vuole un genio per porre la questione “immigrazione” a contat-
La Juventus farebbe bene a tenere Ferrara, a condizione che sappia (e voglia) dargli una mano cori che ricordo al Viminale già trent’anni fa, sia pure sussurrata e non urlata con voce da Stentore. E poi che un arbitro oggi in Italia è soggetto talmente a rischio, in bilico, esposto ecc. (cfr. “Calciopoli”…), che aggiungergli la responsabilità di fischiare la fine o di non cominciare una partita sembra francamente scherzare col fuoco. Per il ministro e il suo personale specifico a dare l’ini-
zio a queste operazioni di bonifica da stadio, non è mai troppo tardi… Sono curioso di vedere che cosa accadrà, dopo una vita passata a parlarne. Nel frattempo manderei Abete a rifarsi gli occhi e le orecchie a Rosarno, per capire se c’è qualche attinenza tra l’italiano tifoso, l’italiano del “non sono io razzista, è lui che è negro”, la funzione del calcio in teoria di “calmiere”, di fratellanza nel gioco tra atleti dalla pelle
DE BERNARDI, SCRITTURA AL POTERE
I giocatori del Togo dopo l’assalto armato al confine angolano e a sinistra, lo sceneggiatore di mezzo secolo di cinema italiano, Piero De Bernardi ( FOTO ANSA)
ADDIO ALLO SCENEGGIATORE. VERDONE E LA FIGLIA ISABELLA: “AMAVA LA VITA” iero si è fermato, lasciando che il vento gli Pventurieri passasse addosso e che gli amici, i tanti avdi frontiera abituati alle freddure non prevedibili, ai colpi di genio improvvisi, alle risate liberatorie, lo piangessero lievi in una mattina distratta, lontana dalle celebrazioni che, assicura Stefano Disegni amico di gioventù: “Lo avrebbero fatto inorridire”. Piero De Bernardi, uno degli sceneggiatori più luminosi del nostro cinema, in un’epoca in cui il lampo di genio rappresentava a dovere l’istantanea di una nazione in cambiamento, se ne è andato in silenzio a 86 anni, tre giorni fa. Aveva sceneggiato con Monicelli e Germi, De Sica e Blasetti, Verdone soprattutto. Undici film. Dopo una malattia senza cura che lo aveva colto in età adulta. Isabella, indimenticabile figurina di “Un sacco Bello”: “Ah fascio, con te nun ce parlo” o anche, rivolta al prete (sempre masticando la gomma a bocca aperta: “Me sa che de me nun te puoi ricordà perchè io la messa nun l’ho mai servita”. Isabella De Bernardi, figlia di Piero, ricostruisce l’incontro con Verdone. “Carlo mi scelse per il suo film d’esordio dopo avermi visto discutere con mia sorella a casa”. Dopo quella parentesi da attrice, oggi è una stimata art-director. Per il suo nuovo lavoro, ha anche vinto due leoni pubblicitari a Cannes (sua la campagna Telecom su Ghandi). Fa scivolare i concetti lentamente, è sollevata, leggera: “È stata quasi una liberazione. Papà aveva la Sla, aveva lottato fino alla fine ma negli ultimi tempi, si era stancato anche di proseguire nella guerra”. Una malattia multifattoriale senza soluzione, tre lettere atroci, dalla genesi incerta e
dal destino sicuro. “Gli devo tutto”, dice Carlo Verdone. E nel ricordare il maestro che gli si sedette accanto “per insegnare tutto ciò che non sapevo del mestiere”, la voce si incrina. Undici film, infinite occasioni di riunirsi per quell’alchimìa speciale, inconclusa all’origine, che solo scrivere sa donare. “Piero era spiritoso, profondo, sincero. Piuttosto che adulare l’interlocutore si sarebbe fatto uccidere. Ma era autocritico più che critico. Con Benvenuti, col quale lavorava in coppia, passavamo ore sul copione. Sfrondare, aggiungere, tagliare”. Lavoro di sartoria d’alta scuola, mestiere duro in cui all’entusiasmo si alterna la depressione. Un’idea, la ricerca che anelava un obbiettivo. Per trovarlo, essenziale era non guardare l’orologio. Intorno al desco, Benevenuti e De Bernardi, i Fruttero e Lucentini della commedia all’italiana. “Leo non soffriva di afasìa. Inventava, discuteva, scherzava. Piero era silenzioso. Meditava, a volte pareva quasi assente”. Sembrava. “All’improvviso, senza alcuna avvisaglia, giungeva il lampo di Piero”. Una luce. La svolta. “Da quel punto di vista come sul piano della compagnia pura, non deludeva mai. Dividendo il tempo con lui, sapevi che l’intuizione sarebbe arrivata. De Bernardi sapeva osservare i caratteri come nessuno. Amava l’esistenza e gli esseri umani, le macchiette e i dettagli. Era un poeta, Piero. Capace di assoli meravigliosi, nel rispetto delle melodie cinematografiche che hanno tempi da rispettare, liturgie da non tradire, spettatori da accompagnare per mano, anche nel rischio”. In Compagni di scuola, ritratto di una
to della questione “razzismo nel calcio” così da fare in modo che si illuminino a vicenda? E per immaginare un futuro colorato fin da giovanissimi nel calcio come nelle scuole (ma il calcio come tutto lo sport è all’apparenza più “facile” come veicolo di educazione e di comunicazione)? Ma chi ci pensa? Il Coni? Non è affar suo? Il ministero dell’Istruzione? E che ne sa la Gelmini in un paese carente di cultura sportiva per i bianchi prima che per i neri? Forse bisognerebbe chiedere a Ghezzal. Chi è Ghezzal? E’ un calciatore del Siena, che è in Angola a rappresentare l’Algeria e manda segnali di grande preoccupazione, se non addirittura di paura: paura che venga aggredito anche il suo, di pullman, paura che questa Coppa d’Africa si trasformi in una gigantesca trappola che preluda a dei Mondiali “pericolosi” in Sudafrica tra cinque mesi. Adesso si dibatte se fosse meglio che il Togo rimanesse a giocare malgrado le vittime, oppure no: se l’Africa, la manifestazione, il Calcio con la maiuscola ne sarebbero usciti meglio. C’è un equivoco di fondo. Il continente più sfruttato del mondo non si trasforma così docilmente in vetrina per chi vende (spaccia?) una merce adorabile come il gioco del pallone, cercando nuovi mercati soprattutto televisivi. Reagisce male, come per i diamanti o il petrolio, per farla breve. E secondo gli organizzatori dovrebbero invece assistere con flemma ma anche con calore tutto africano a uno spettacolo cui forniscono il palcoscenico? In ballo non c’è il calcio, o il sogno, ci sono soldi, così come a Rosarno. Ma dirlo o dirlo a voce troppo alta non sta bene…
generazione che si ritrova vent’anni dopo, peggiorata e incattivita, uno dei film più amari e riusciti di Carlo lo sperimentatore, De Bernardi mise molto di suo. Lo immaginava come un Amici miei e si ritrovò sullo schermo una riunione virata a nero, in cui il terreno per l’indulgenza lasciava spazio al dolore e ai conti, mai come quella volta impossibilitati a ordinarsi nel giusto ordine. “Mi chiamò. L’aveva visto in anteprima ed era rimasto impressionato. ‘Oh Carlo, ma tu me l’hai fatto molto più cattivo di quanto non lo avessi immaginato’”. Verdone non negò: “Rilanciai: ‘Ma ti è piaciuto?’. Mi rispose di sì ma volle andare in sala per valutarne l’impatto sul pubblico. ‘Ti chiamo stasera e poi ti dico’”. Il telefono squillò in tarda serata. “Carlo, hai ragione, il lavoro è potente. ‘E il pubblico?’ Mi sono fermato con un ragazzo all’uscita, gli ho chiesto cosa ne pensasse e mi ha detto che una risposta non riusciva a darla. lo aveva turbato, più di quanto si aspettasse”. Tra i meriti di Verdone, quello di non aver dimenticato, nel momento dell’oblio, l’antica guida. Carlo si ricordò di De Bernardi nel 2007. Piero iniziava a stare male. “Volevo mettere in scena il remake di Bianco, Rosso e Verdone. Pensare a lui fu naturale”. Uno squillo, due, la voce affaticata, dall’altra parte, il timbro toscano che si confondeva col crescente dolore. Il richiamo dell’allievo gli diede sollievo. “Piero ti va di fare
un’avventura?”. Piero voleva, non desiderava altro. Verdone ricorda, si emoziona, combatte con le parole. “Ne fu felice: ‘Che bella notizia che mi dai, stavo sempre solo a casa’. Si risentì in pista, quando ormai credeva non sarebbe più successo. L’incasso di quel film, in qualche modo, fu una medaglia anche per lui. Per far ridere, l’anagrafe è uno dei parametri più inutili che esistano”. Così, l’emozione di Verdone, è quella di tutta la prole di un anarchico che seppe farsi voler bene. L’altra figlia, quella naturale, Isabella, sta guidando. I pensieri in movimento, la memoria inchiodata ai fotogrammi: “Mi ha insegnato a non sprecare un solo giorno. La vita, anche nella sofferenza, era per lui un regalo da rinnovare ogni giorno. Libertà e aschematismo, questo mi porterò per sempre. Amava le storie, le persone, le biografie nascoste nelle pieghe, quelle meno visibili allo sguardo. Conoscerlo è stata un’esperienza meravigliosa”. Isabella si ferma, sospira, riparte: “Non sopportava le balnalità, le analisi superficiali, le sciocchezze cui dar fiato per noia. Era esigente, ma le cadute di gusto o le reazioni incosulte, lo deprimevano. Sono felice che ora possa riposare in pace, anche se al male che lo ha colpito, spero di dare nei prossimi mesi il massimo della pubblicità possibile”.
Papà aveva la Sla, aveva lottato fino alla fine ma negli ultimi tempi si era stancato anche di combattere
(Ma. Pa.)
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Martedì 12 gennaio 2010
SECONDO TEMPO
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TELE COMANDO TG PAPI
Il premier pimpante di Paolo
Ojetti
g1 A volte non vanno mai via. A volte ritornano. E Berlusconi è tornato, ieri per la prima volta sugli schermi televisivi dopo la duomata. Come sempre scortato da Sonia Sarno, il “premier” ha mostrato un volto nuovo, talmente levigato che, delle due, l’una: o ha il gran genio di un amico che con il bisturi fa miracoli, oppure l’incidente non era poi così terribile. Berlusconi ha parlato molto di rivoluzioni fiscali prossime venture (reiterazioni preelettorali già udite) e un po’ meno di riforme giudiziarie che – fra nuovi lodi, impedimenti, processi brevi – vanno già a intasare Camera e Senato. Ma una cosa va detta. Se come presidente del Consiglio lascia a desiderare, come battutista è una spanna sopra tutti: “Le riproduzioni del Duomo? Non le
T
vuole nessuno, te le tirano dietro”. Qualche appunto sui servizi di Grazia Graziadei da Rosarno. L’inviata da battaglia era alle prese con problemi più grandi di lei: dalla somma di quanto visto e sentito, ne risulta che quella degli immigrati è stata “una rivolta”e che i bianchi di Rosarno “non sono razzisti”. Un po’ di “forze dell’ordine”, qualche ruspa e tutti a casa. g2 T E’ tornato, è tornato e Ida Colucci sa cosa ci aspetta: “Una nuova fase politica con le riforme condivise”. Sostanzialmente, una pacchia, una pacificazione generale, vogliamoci bene. E da dove si parte? Ma dal processo breve, a Ida Colucci va benone, visto che “durante il pranzo con i vertici del Pdl, il premier lo ha messo sul piatto”. La vergognosa pagina di Rosarno rimane – almeno
nel Tg2 – vergognosa. E non incantano le marce per esorcizzare le accuse di razzismo che tanto male farebbero al turismo e agli affari: segue subito la frustata della Chiesa ed è già qualcosa per fare piazza pulita di tanta ipocrisia paesana. g3 T Magari le “riforme” fiscali resteranno boutade di gennaio, magari le leggi e leggine salva premier bloccheranno ogni possibile intesa con l’opposizione, ma il Tg3 ha molto puntato sul “ritorno” di Berlusconi. Mariella Venditti lo ha placcato e non lo ha mollato più. Lui molto disponibile e – come lo ha visto Terzulli – anche “iperattivo e pimpante”. Però, visto da vicino vicino, come in un close-up, il viso di Berlusconi qualche segnetto lo porta ancora: piccole cicatrici sparse fra fronte e guancia e, ammettiamolo, spiace molto quella folle duomata prenatalizia. Notizia sottovalutata dagli altri, ma buona per il Tg3: l’Istat avverte che aumentano le famiglie da classificare come “povere”. Ma ci sono i “processi brevi”, la povertà può attendere, comodo oggetto delle esercitazioni fiscali e contabili del “premier” pimpante.
di Fulvio Abbate
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Marco l’accelerato
emianalfabeta del Web come in molti siamo, o comunque frequentatori attivi e operanti Seppure improvvisati, di più, rabberciati, cioè fantasisti del settore, da qualche tempo, sia pure senza capirci quasi una mazza, personalmente ho iniziato a provare un serio timore reverenziale verso Marco Montemagno, il tipo, l’esperto, il tecnico, il dotato che su SkyTg24 cura la rubrica “Io reporter”. Il Montemagno, infatti, si presenta come uno che di queste cose ci capisce. Il Web, sembra dire affidandosi agli stessi movimenti degli occhi e della fronte, è pane per i miei denti, per i miei polpastrelli, roba che gli consente un eloquio sull’argomento veloce e spigliato, un po’ da professionista del cosiddetto ramo “tennico” (prendo in prestito questo termine falsamente pronunciato dai leggendari agenti “Folletto” o “Avon” d’area lombarda) dove, appunto, il profano, visto che il pianeta Web per molti è ormai troppo tardi, non può fare altro che constatare la propria inadeguatezza. Esatto, sembrava dire l’altro giorno il monotipo techno Montemagno, per voi è tempo perso, per voi che non siete “nativi” del Web, ossia per tutti quelli che giungono da una condizione Marco Montemagno, “analogica”, pre-digiconduttore di “Io tale della serie: a quereporter”, in onda su Sky sto, pure se gli spieghi esattamente, per filo e per segno come funziona, che so?, un blog è comunque tempo perso, vecchie generazioni perdute in partenza, destinate a restare col ricordo della “Lettera 22” come orizzonte massimo di modernità, di tecnolo-
gia. Negàti! Il bello è che il Montemagno, intanto che tra le righe sta lì a constatare implicitamente la tua doverosa esclusione dal presente-futuro, diversamente da certi montati post-Scuola Radio Elettra Torino che invece se la tiravano e ancora se la tirano, il “tennico” Montemagno, dicevo, pur nel suo modo di parlare implacabilmente accelerato, come chi abbia chiaro in testa l’intero pannello di comando del mondo online, non ti dà mai la sensazione d’essere uno stronzo convinto di sé, anzi, ti viene quasi voglia di andare da lui al doposcuola di blogging, a farti spiegare perfino le differenze fra pc e Mac. Certo che, nonostante tu non abbia neppure il lessico adatto per indicare i tuoi problemi modello base con la tastiera, lui saprà comprenderti, e magari perfino compatirti, intanto che ti riaccompagna alla porta. Non è tutto, per renderti ancora più ampio il divario che c’è fra la tua “tribù” mediatica e quell’altra, il nostro campione ha pensato bene di firmarsi nel suo blog Marco Monty Montemagno, che nel suo caso più che far pensare all’ironia dei “Monty Python”, suggerisce invece roba da ingegneri domiciliati fra Palo Alto e Pomezia. Scopro ancora che è il fondatore e l’amministratore delegato di Blogosfere, il più grande network europeo di blog, e assistente alla Cattolica di Milano dove insegna Teorie e tecniche della comunicazione online alla Facoltà di Arte e Filosofia. Scopro ancora che, volendo, lo si può perfino “noleggiare” per forum e convention, e lui viene lì a spiegarti come pervenire alla pienezza mediatica consentita dalle nuove tecnologie. Marco Montemagno come versione post-modern del piccolo genio che nelle “Settimane Incom” di un tempo spiegava la relatività ai grandi tragicamente, irrimediabilmente di coccio. Da non perdere, anche se non ci capirete una mazza. www.teledurruti.it
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SECONDO TEMPO
MONDO
WEB
I politici cadono su Internet giorno d’oggi (quasi) ogni Aun lpolitico ha un sito Internet o blog. Sono spesso dei siti-bacheca: vengono pubblicati dichiarazioni alla stampa e non c’è alcun dialogo con i cittadini. Sul rapporto tra i politici italiani e Internet, la rivista Wired Italia ha pubblicato sul proprio sito la classifica dei “10 peggiori errori della politica italiana su Internet”. Elemento di demerito è proprio la scarsa propensione a dialogare con la Rete. Al decimo posto si piazza il presidente Napolitano: per il messaggio di fine 2009 ha inaugurato il suo canale YouTube non permettendo però di lasciare commenti. In Rete sono presto comparse numerose copie del suo video con commenti liberi e molto poco “istituzionali”. Si classifica ottavo il Partito democratico: il sito pd brilla per la totale confusione dei numerosi contenuti pubblicati. Al sesto posto troviamo Romano Prodi, autore di uno dei blog “meno longevi della storia”. Il Professore bolognese aprì il suo blog il 16 febbraio 2005, inaugurando la sua campagna elettorale. Il secondo post “scusate il ritardo”
arrivò dopo dodici giorni. Passato nemmeno un mese, abbassò la saracinesca: “Non ho tempo” dando il suo addio alla blogsfera. In terza posizione non poteva mancare il cambio improvviso (a favore di Berlusconi) di alcuni gruppi Facebook all’indomani dell’aggressione di Targaglia: molti utenti si sono ritrovati iscritti a gruppi di cui non conoscevano neanche l’esistenza. Al secondo post, l’inglese di Rutelli in un famoso video (basta cercare su YouTube). Al primo posto, infine, c’è Clemente Mastella: sul suo blog i commenti vengono filtrati attraverso maglie strettissime. Sono nate perciò alcune copie del suo blog con commenti aperti (e in molti casi irripetibili). Ma il blog ufficiale è ancora aperto. “Sono una persona per bene” scrive nell’ultimo post. Tre i commenti. Tutti e tre, guarda caso, gli danno ragione.
è SGARBI E I DIRITTI RAI SU YOUTUBE CHIEDE 10.000 EURO AL MINUTO. E LA LIBERATORIA?
Vittorio Sgarbi ha dato mandato ai suoi legali di diffidare YouTube per i filmati delle sue ospitate in tv. Nel mirino in particolare i filmati delle sue partecipazioni ad Annozero e Porta a Porta e a tutte le trasmissioni Rai. In alternativa alla rimozione dei di Federico Mello video, Sgarbi chiede 10.000 euro per ogni minuto di filmato presente online. La sua denuncia appare quanto meno fuori luogo. I video della diffida sono tutti pubblicati sul canale ufficiale della Rai su è PIRATI CONTRO IL BODY SCANNER YouTube. Da Viale Mazzini spiegano che IN MUTANDE NEGLI AEROPORTI ogni ospite, anche i politici, prima di Singolare protesta del Partito dei Pirati partecipare alle trasmissioni firma una tedesco contro l’introduzione del body liberatoria cedendo così alla Rai i diritti scanner in Germania. I Pirati hanno sfilato anche per il Web. E così è stato anche per seminudi in alcuni dei principali aeroporti le ospitate di Sgarbi. del paese. Il Partito Pirata tedesco non ha rappresentanti, ma nelle scorse elezioni ha raccolto un onorevole 2% con punte del 10% tra i giovanissimi. Tra le loro battaglie, quella per la privacy. Da questo la loro contrarietà al body scanner.
feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “La deportazione” di Enrico Fierro Ho il voltastomaco. Siamo tornati alle squadracce fasciste, non più capeggiate da fascisti ma da mafiosi (Mauro) E’ una guerra persa in partenza: perdono tutti, quei poveracci, la gente di Rosarno, le autorità, le amministrazioni locali colluse o indifferenti. Vince la ’Ndrangheta? Probabile. Il problema è che come al solito non siamo all'altezza. Ci si è subito scagliati contro la clandestinità, fino a rendersi conto che molti di loro clandestini non lo sono. Almeno loro hanno il coraggio di lottare per i propri diritti (Sinespe) Per la pulizia etnica nei Balcani l'Italia ha bombardato la Serbia. Ora dovrebbe bombardare se stessa? (Luigi)
Una manifestazione di Pirati; l’articolo su Wired; un video di Sgarbi; il blog del lavoro più bello del mondo
GRILLO DOCET
MILANO DA BERE E DA RUBARE
A Milano, con un discorso pubblico in Piazza Cordusio sotto una pioggia torrenziale, ho portato oggi la mia solidarietà a Mortizia Moratti. Il suo gesto verso il ladro Bottino Craxi è ammirevole, ma incompleto. Vanno onorati, oltre al latitante defunto, anche i parlamentari in vita condannati in via definitiva. Dedicare a loro una targa, un museo, un ospedale è un gesto che farebbe onore sia a Craxi sia alla Città di Milano. Perché lui sì e i suoi discepoli no? Per aiutare Mortizia ho preparato un elenco da mettere in approvazione al prossimo consiglio comunale e lanciare in Rete con una intervista a tu per tu con Red Ronnie: Piazzale Loreto “Berruti” (favoreggiamento); Ospedale Fatebenefratelli “Bonsignore” (tentata concussione); Inceneritore Sila2 “Borghezio” (incendio aggravato); Tangenziale ovest “Bossi” (finanziamento illecito); Piazza Cinque “Cantoni” (corruzione e concorso in bancarotta); Porta Romana “Carra” (falsa testimonianza); Museo del Crac Ambrosiano “Ciarrapico” (bancarotta fraudolenta); Via delle Bande Armate “De Angelis” (associazione sovversiva): Corso Buenos “Dell’Utri” (false fatture e frodi fiscali); Via Washington “Farina” (favoreggiamento) - Tangenziale Est "La Malfa" (finanziamento illecito); Ex zoo è TV: TUTTI I CANALI SUL WEB di Milano GRAZIE A UN SOFTWARE GRATUITO “Zanna Bianca La tv senza la tv: basta avere Internet. Maroni” (resistenza e In barba al canone – e a volte anche a oltraggio a pubblico Sky e Mediaset Premium – si riesce a è BEN È TORNATO A CASA ufficiale); Expo 2015 vedere online quasi tutto: partite di PER SEI MESI HA SVOLTO “Nania” (lesioni calcio, programmi generalisti, film in “IL LAVORO PIÙ BELLO DEL MONDO” personali). L’elenco prima visione... Nello scorso maggio la sua storia ha completo sul blog. E’ da un po' che lo streaming cerca di fatto il giro del mondo: Ben Southall, affossare il digitale terrestre: l’ultima cittadino britannico di 34 anni, venne novità in tal senso è Tvosa, un software selezionato tra 34.000 candidati per gratuito italianissimo che consente non svolgere “Il lavoro più bello del mondo”. Per sei mesi è solo di vedere Rai, Mediaset e qualche stato il guardiano dell’isola Hamilton, in Australia, nel bel altro canale satellitare; ma anche di mezzo della barriera corallina. Il concorso era stato registrare i programmi tv in modo lanciato dal governo australiano per rilanciare il turismo. automatico, come fosse un Ottima la paga, 90.000 euro per sei mesi, e buono anche il videoregistratore – solidità della lavoro: “Nutrire i pesci, pulire la piscina, ritirare la posta e connessione permettendo. assistere al passaggio delle balene”. Ora che è tornato a Tvosa, che si basa sul mediaplayer Vlc, casa, Southall dice di aver fatto più cose in questi sei mesi mette a disposizione una guida-tv e una che in tutta la sua vita. Nel suo soggiorno è stato anche lista di canali aggiornabile via Web; punto da una medusa velenosa. Ha raccontato questi suoi l’interfaccia semplice, a forma di mesi incredili sul blog bestjobben.com. telecomando, conquisterebbe anche l’ultimo degli Homer Simpson. Buone visioni. (Valerio Venturi)
Ancora non si è capito bene, tra giornalisti, opinionisti nazionali e soloni di salotto che gli scontri di Rosarno sono il risultato dell'assenza atavica dello Stato. Non c'è lo Stato a Rosarno. Se ci fosse stato, non avremmo avuto la ‘Ndrangheta, le baraccopoli, il lavoro nero che come sappiamo amalgama e favorisce ogni tipo d'illegalità e sfruttamento, i cui risultati sono, in ogni parte del mondo, miseria, violenza e indigenza (Marco) Lo Stato del pugno duro è lo stesso che finanzia progetti strampalati per la crescita della regione in generale, delle mafie in particolare (Zeta 1974) In Calabria esistono esperienze di accoglienza di immigrati che non ha eguali in Italia: Caulonia, Riace e Stignano (e prima ancora Badolato). Esempi di umanità talmente straordinari da indurre Wim Wenders a girarci un documentario sul tema. E' bene dirle 'ste cose! (Lidia) Credo che 1.500 (circa) persone al lavoro nei campi e sistemate in condizioni subumane non dovrebbero passare inosservate. Chi è che non ha visto, ha visto ma non ha detto, ha sentito ma non ha ascoltato, ascoltato ma non ha agito? Chiedo a te e a tutti, tanto per stabilire un qualche punto provvisoriamente fermo e ragionevolmente certo (Marcuse) Mi sembra una punizione degli immigrati. Capisco che sia meglio per loro, per proteggerli dalle vendette, capisco anche che abbiano francamente passato ogni limite civile nella protesta (ma anche la vita che hanno fatto era incivile, a dir poco)... ma alla fine mi pare una punizione: il succo estremo mi pare essere “se protesti ci vai di mezzo tu, e ti rimpatriano”, anche se solo il 30% sarà effettivamente rimpatriato (Parsiphal) Mi pare evidente che nessuno abbia voluto vedere. Vedere significa mettersi contro l'anti Stato, il che in assenza dello Stato (che ricordo spesso è connivente, altrimenti si sarebbe preoccupato per prima cosa di non fornire schiavi alle mafie) equivale al suicidio (P.)
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Martedì 12 gennaio 2010
SECONDO TEMPO
PIAZZA GRANDE Nuovi ammortizzatori, vecchi buchi di Stefano Sacchi*
a recessione può essere in dirittura di arrivo, ma la fine della crisi occupazionale è, purtroppo, di là da venire. Nei prossimi mesi aumenteranno sia i disoccupati, ben oltre i 2,1 milioni del recente dato Istat relativo a novembre 2009, sia gli scoraggiati, cioè quanti rinunciano a cercare lavoro perché ritengono di non poterlo trovare. Soprattutto, il ritorno ai livelli occupazionali precedenti alla crisi sarà questione di anni. Nonostante i peana intonati alla Cassa integrazione da politici e giornalisti, il sistema di protezione sociale italiano non è equipaggiato per contrastare efficacemente una situazione di questo genere. Dei circa 15 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati che in Italia possono perdere il lavoro (esclusi quindi i dipendenti pubblici a tempo indeterminato) oltre 3 milioni sono esclusi dalle indennità di disoccupazione. Gli interventi varati dal governo hanno dimezzato questa platea, portandola a quell’1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati esclusi da qualsiasi tipo di sostegno al reddito in caso di disoccupazione di cui parla il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. A questi si possono sommare circa 5 milioni di autonomi, che la crisi ha colpito duramente. Negli ultimi tempi si registra un’ampia convergenza fra governo, opposizione e parti sociali sulla necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali, anche se nelle più recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, la questione è scomparsa dalle priorità. Ad ogni modo, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi afferma di voler introdurre (sebbene a seguito dell’attuazione di una legge delega, e probabilmente non prima del 2012) un’indennità di disoccupazione generalizzata. Tale intervento dovrà però essere di tipo esclusivamente assicurativo, cioè basarsi sulla pregressa (e sufficiente) contribuzione da parte del lavoratore. In tutti i paesi europei sono in vigore sussidi di disoccupazione di tipo assicurativo, ma accanto a questi vi sono quasi sempre schemi di assistenza sociale (che è cosa ben diversa dall’assistenzialismo) per quanti non si qualificano per il sostegno del primo tipo. Questi schemi, che prescindono da requisiti contributivi e sono invece sottoposti alla prova dei mezzi (non solo il reddito, ma anche il patrimonio), sono in molti paesi integrati con il reddito minimo garantito. Nella visione delineata dal governo, questa strada appare esplicitamente preclusa: il sussidio di disoccupazione dovrebbe essere esclusivamente assicurativo, senza alcuno spazio per schemi di assistenza sociale (né tantomeno per quello schema di reddito minimo che manca, nell’Europa a 27, solo in Italia, Grecia e Ungheria). Il problema è che, dato il funzionamento del mercato del lavoro italiano, le carriere interrotte che contraddistinguono molti lavoratori e i bassi salari che li affliggono, un’indennità di questo tipo replicherebbe le vaste esclusioni di cui si parlava prima. La soluzione non può che passare attraverso l’introduzio-
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Il ministro Sacconi vuole un’indennità di disoccupazione generalizzata, ma in Italia per farla funzionare servono almeno altre due cose: l’introduzione di un reddito minimo e uno schema che non sia soltanto assicurativo ne di un sistema a due livelli. Accanto a un’indennità di disoccupazione di stampo assicurativo, che potrebbe benissimo essere estesa agli autonomi (a condizione che ne versino i relativi contributi, legati al reddito, così da disincentivare l’evasione fiscale e contributiva) e che sarebbe interamente finanziata dai contributi dei lavoratori, dovrebbe essere introdotta un’indennità di assistenza sociale, rivolta a quei lavoratori che non riescono (a cagione della discontinuità lavorativa e/o dei bassi salari) a soddisfare i requisiti per lo schema di primo livello. Occorrerebbe poi introdurre uno schema di reddito minimo, sì da rendere l’Italia un paese civile. Tutto molto bello, si dirà, ma i costi? E’ possibile mostrare come, in un anno “medio” come il 2008, il primo livello potrebbe essere finanziato con un’aliquota contributiva inferiore a quella attuale, mentre l’indennità di disoccupazione di secondo livello e il reddito minimo potrebbero esser finanziati razionalizzando
in senso equitativo l’attuale spesa per assistenza sociale, incredibilmente inefficiente e ingiusta poiché perlopiù basata solo su criteri di reddito e non anche sul patrimonio. Ovviamente in anni di disoccupazione più elevata si spenderebbe di più, ma anche nella situazione attuale sono state stanziate risorse straordinarie (per 9 miliardi di euro), in larga parte non utilizzate proprio perché i lavoratori non riescono ad accedere alle tutele. La riforma degli ammortizzatori sociali appare, sullo sfondo della crisi e nel contesto del regime italiano di “f lex-insecurity”, difficilmente eludibile. L’impostazione della riforma che fa capolino nel dibattito pubblico rischia, però, di dar luogo a un fenomeno collettivo di illusione cognitiva: un’indennità di disoccupazione a carattere esclusivamente assicurativo, senza un forte e ben congegnato pilastro di assistenza sociale, rischierebbe di perpetuare la platea degli esclusi da qualsiasi tutela, dando a decisori pubblici e cittadini l’impressione, fallace, di aver risolto i problemi per molti anni a venire. *Università degli Studi di Milano
LA STECCA di INDROl Feltri dimentica che nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti. E questo non è mica colpa mia. Non dico che sia colpa di Berlusconi. Fa parte del ritratto di Berlusconi: come imprenditore privato io credo che sia un grosso imprenditore, anche comprensivo, intelligente ecc.; come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, lui radunò la redazione del “Giornale” per dirle: “Qui si cambia tutto”, all’insaputa del direttore. Indro Montanelli in diretta al “Raggio Verde” di Michele Santoro nel 1996. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi (FOTO ANSA)
Noi e loro
É
di Maurizio Chierici
DISARMATI DALL’IPOCRISIA N
ell’Angelus di domenica Benedetto XVI ricorda gli africani sgombrati dalle immondizie di Rosarno in quanto animali fastidiosi. Invita ad accettarli perché “esseri umani che Dio ama come me”. Lo ascoltiamo con tristezza pensando ai politici che si diranno d’accordo. Sorrisi devoti mentre Maroni impacchetta gli schiavi e li spedisce a casa. Sotto l’obbedienza del buon cristiano, gli onorevoli di governo non rinunciano alla praticità. Impossibile sgonfiare gli egoismi del popolo sovrano. E l’indifferenza ricomincia fino al prossimo Angelus. Lunga fila di “no” avvolti nell’incenso, ben decisi a non cambiare i soliti interessi. Stranieri uguale a pericolo. Andiamo avanti così. Nel paese che pretende la croce su ogni parete, le parole del Papa non valgono niente. Non è l’isolamento di Benedetto XVI, timido intellettuale; anche Giovanni Paolo II è stato disarmato dall’ipocrisia. Quando va a Montecitorio ad invocare la liberazione dai gironi delle carceri di colpevoli di colpe insignificanti – extracomunitari, soprattutto – Berlusconi lo accompagna esibendo familiarità da fratello di fede. Allarga le mani per abbracciare l’eternità. Lapide ricordo e promesse dimenticate. Chi si ama si somiglia. Bush governatore del Texas non ha mai risposto a Wojtyla che gli chiedeva di non bruciare sulla sedia elettrica adolescenti malati di mente. E il Bush della Casa Bianca ha fatto finta di non sentire la voce che pregava di fermare il disastro dell’invasione in Iraq. Il Papa mandava ambasciatori, spediva lettere. Niente. Ma quando è morto, perfino Calderoli, teologo della pulizia etnica nascosta nei rossori del buontempone, non ha trattenuto la tristezza per la “ferale notizia”. Insomma, papa Giovanni Paolo da morto va bene; da vivo, una scocciatura. La strategia dell’ipocrisia supera l’imbarazzo della coabitazione non impossibile nelle cortigianerie dei corridoi vaticani, ma infastidisce appena le tre parole della domenica inchiodando il problema in un sì o nel solito no. E l’Angelus diventa la notizia rompiballe purtroppo dovuta nella tv di mezza giornata dopo i discorsi di leghisti (in verde o in maschera) che non rinunciano al pugno di ferro per difendere la cristianità di chi li vota. Cristiani come gli africani presi a pallettoni dai boss calabresi? Per carità, i neri sono cristiani da fondo classifica. E i “no” continuano. Benedetto XVI lo sa, ma cosa può fare ? “No” sillabati con compressione rituale per le sue belle parole. Ma le guerre di pace non si toccano. Alla violenza del disordine di chi non ha acqua per lavarsi, si risponde con la violenza degli ordinati. Purtroppo il Papa merita comprensione: “Il suo compito è questo” sospirano rassegnati alle buone maniere. Ed è tale l’irrazionalità delle invocazioni che appena invita a non misurare la speranza nei segni zodiacali e a lasciar perdere i traffichini dell’illusione, subito la Rai risponde. Canale Uno, Sposini e i suoi pomeriggi accendono un dibattito con la povera Margherita Hack confusa tra Sgarbi e cartomanti. “Non sono religiosa – annuncia una maghetta – ma rispetto la Chiesa e chiedo che la Chiesa rispetti ciò in cui credo”. Maurizio Costanzo, uomo della notte Radio Rai, non perde l’occasione. L’autrice di un libro che dalla Bilancia al Sagittario spiega cosa ci capiterà nel 2010, non solo gode lo spot lungo mezz’ora, ma è subito invitata a tornare ogni mese per dare notizie in diretta, segno per segno. E dopo Costanzo, ecco l’oroscopo di Jupiter. Benedetto XVI sistemato. mchierici2@libero.it
Sprecare il pane fa male all’anima di Giovanni Ghiselli
utti i giorni in Italia si buttano via grandi quantità di pane, e non solo. Lo spreco di cibo, dice Andrea Segrè, preside della Facoltà di Agraria di Bologna, “ci sta sommergendo; gettare via il commestibile non soltanto ha una forte implicazione etica, ma anche un notevole costo economico e ambientale”. Buttare quanto è ancora mangiabile non è un fenomeno a sé stante: è solo un aspetto, anche se particolarmente visibile, del consumismo, il vizio dell’homo consumens spinto a comprare in modo compulsivo e a buttare via per comprare di nuovo. Del resto il sistema è fondato su questo presupposto e ci vorrebbe una ristrutturazione economica oltre che un’educazione estetica e morale per lanciare un altro stile di vita. I comIl sistema spinge portamenti della massa cercano di riflettere, mia consumare beni seramente e risibilmente, quelli dei ricchi e dei in modo potenti. La stessa guerra, sbandierata dagli uomicompulsivo: ni di potere come pulizia nei confronti del terroributtare e poi smo che invece ne viene comprare di nuovo incentivato, è, di fatto, una demenziale distruPer riemergere zione, ed è una metafora tragica del consumo. I dal consumismo poveri diventano inoffensivi quando vengono servirebbe condizionati a imitare i una nuova ricchi. Il condizionamento viene dal fracasso educazione estetica implacabile della pub-
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blicità che ha grande presa sulle persone prive di antidoti e difese efficaci, quali cultura, capacità logiche sviluppate, sentimento etico, sensibilità alla bellezza. Don Milani scrisse che “la pubblicità si chiama persuasione occulta quando convince i poveri che cose non necessarie sono necessarie”. Epicuro già nel III secolo a. C. stabilì una graduatoria tra i desideri: alcuni sono naturali, altri vani, e tra i naturali non tutti aspirano a cose necessarie. Comunque ciò che è naturale è a portata di mano, mentre difficile a procurarsi è quanto è vuoto. Cicerone nei Paradoxa Stoicorum sostiene che non essere consumisti è una rendita, e Marziale afferma che ha bisogno di padroni esterni chi non è padrone di sé e agogna quello che i re e i padroni peggiori bramano. Leopardi nello Zibaldone nota che l’uomo si è fabbricato bisogni i quali “si contraddicono e si nuocciono scambievolmente”. Arriviamo ai tempi moderni e prendiamo il “bisogno” dell’automobile, il primo simbolo del consumismo. Una volta questo mezzo dava un senso di libertà, di avventura, di conoscenza; ora è diventata una gabbia per individui accalcati e bestialmente infuriati, uno strumento, non raramente, di morte e distruzione. Perfino la pubblicità talora mostra automobili capaci di compiere sfaceli. Eventi rovinosi che accadono realmente a centinaia di automobilisti, ciclisti e pedoni ogni mese, con caduti da tutte le parti, come in un conflitto armato. Più in generale: il consumista mercifica pure se stesso e sente il bisogno di apparire quale un prodotto attraente; quindi usa stratagemmi, espedienti e prassi di marketing collaudate. Una gran quantità di persone scimmiotta il linguaggio e i toni della propaganda televisiva. Di qui la mancanza di autenticità nei più, la distruzione della ragione e del dubbio. La televisione, per esempio ha bandito il teatro poiché il dramma presenta l’uomo come problema. Al posto di Sofocle, Shakespeare e Bernard Shaw,
la volgarità pubblicitaria. Parlare male fa male all’anima, ha scritto Platone. Ma torniamo al cibo. Questo viene sciupato in maniera più evidente poiché è alla portata di un maggior numero di persone. Lasciarlo nei piatti, buttarlo via, dà l’illusione di essere facoltosi. Si potrebbe indicare a questi imitatori velleitari dei potenti la mimèsi dell’imperatore Augusto del quale il biografo Svetonio racconta la parsimonia, sia per quanto riguarda le suppellettili, sia a proposito del cibo: mangiava pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino e fichi freschi. Caligola e suo nipote Nerone, viceversa, i due Cesari matti e criminali, amavano ogni genere di sprechi. Il matricida lodava e ammirava il fratello della mamma, morto ammazzato, non per altro merito che per lo sperpero delle ricchezze accumulate da Tiberio. Finché, dichiarato nemico pubblico dal Senato, il figlio di Agrippina si uccise aiutato da un liberto. Un princeps che invece morì nel proprio letto e lasciò il potere ai figli, Vespasiano, ebbe la fama di risparmiatore. Tacito addirittura sostiene che sarebbe stato pari ai comandanti antichi se non ci fosse stata l’avarizia. Ebbene la parsimonia di questo imperatore valse a cambiare la moda: al lusso delle “splendidissime” famiglie senatorie, subentrò uno stile di vita più sobrio e frugale. Forse, commenta lo storiografo latino, in tutte le cose c’è una specie di ciclo (orbis), cosicché, al pari delle stagioni, si muovono circolarmente le vicende alterne dei costumi. L’idea polibiana del ciclo delle Costituzioni viene applicata all’economia e induce anche noi a desiderare che coloro i quali vengono presi a modello dalla gente comune diano esempi di stile alto, rendendo paradigmatica la semplicità invece dell’affettazione, la capacità critica invece della ripetizione scimmiesca del luogo comune, la generosità invece dell’avidità e dello spreco che sono vizi diversi eppure concomitanti. g.ghiselli@tin.it
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SECONDO TEMPO
MAIL Si è perduto il valore della manodopera Mi pare che non si percepisca più il valore delle cose. Come chi commenta il prezzo di una camicia e si stupisce dell’enormità perché la stoffa di cui è fatta vale un decimo del prezzo, e trascura i costi di lavorazione, distribuzione, eccetera. Allo stesso modo, ormai, valutiamo i costi sociali. Pretendiamo che gli extracomunitari lavorino a costi irrisori, standosene muti e nell’ombra, e ci dimentichiamo del costo dell’integrazione. Poi ci stupiamo quando le aziende chiudono e quando la situazione degenera come a Rosarno? Enrico Frangi
Mi vergogno di appartenere a un nord-est razzista Poche righe da una cittadina del “ricco nord-est”, povero di valori e affogato nell’ignoranza. Mi vergogno di appartenere a un popolo razzista abbindolabile, sedotto da successo e consumismo, vuoto di principi e dimentico del passato, anche il più recente, fatto di emigrazione e povertà. I miei concittadini hanno la “pellagra” del cervello, incapaci di elaborare un pensiero che non sia la celebrazione di se stessi e dei loro bisogni, lobotomizzati dalla non cultura televisiva, distanti dalla coscienza sociale e
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aro Colombo, la Lega ha iniziato la sua campagna elettorale. Nella vera vita perseguita chi può quando può, violando la Costituzione e la Carta dei diritti umani, scatenando paura. In televisione ha il suo spot: una immensa folla (effetto di montaggio) che, fingendo di celebrare Che Banca-Mediobanca, canta con sognante trasporto “Va Pensiero”. L’hai visto? Fiorenzo
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L’HO VISTO e l’ho trovato
indecoroso. Sappiamo tutti che “Va Pensiero” è una delle più splendide arie verdiane, con un senso e un valore resi ancora più grandi dalla bellezza musicale, dalle parole e dal contesto. Sappiamo anche che il partito razzista e xenofobo detto Lega nord, il partito di Borghezio, Tosi, Gentilini, Salvini, Bossi, Maroni, cioè il più volgare oltre che il più estraneo alla cultura e alla Costituzione italiana (pesano condanne in giudicato o in diversi gradi di giudizio per vari reati dichiarati razzisti o turbamento dell’ordine pubblico o vilipendio alla bandiera su quasi ciascuna delle persone indicate, benché due siano ministri), ha scelto “Va Pensiero” come il suo inno e non
Nel bel libro “Le procès de l’Amoco Cadiz” uscito da poco in Francia, Alphonse Arzel, coraggioso ex sindaco del villaggio bretone di Ploudalmézeau, racconta la tragedia della superpetroliera della Standard Oil di Chicago, che nel 1978, dopo essersi incagliata davanti al borgo di Portsall, sommerse il nord della Bretagna con 300 mila tonnellate di greggio. Una vera Chernobyl petrolifera, con l’Amoco spezzata in due che vomita petrolio per oltre 300 chilometri di costa e trasforma il più grande paradiso delle ostriche d’Europa in un immenso cimitero di molluschi, ricci, uccelli selvatici, aragoste. Contro la più grande marea nera di Francia, la popolazione si mobilita. Sotto la guida di Alphonse Arzel, i 90 comuni costieri contaminati si riuniscono in un sindacato misto di difesa. Ha inizio una maratona giudiziaria contro il gruppo Amoco, dichiarato, nel 1984, responsabile della catastrofe e condannato a un indennizzo di 692 milioni di franchi. Una decisione che non soddisferà la collettività bretone, risarcita il 12 gennaio 1992, dopo uno storico appello e un totale di 14 anni di caparbia class action, con 1.200 milioni di franchi. Sofferto verdetto emesso a Chicago e destinato a fare giurisprudenza. Giovanna Gabrielli
Sonia Balula
La drammatica realtà dei precari della scuola Seguo poco la televisione, ma guardando l’ultima puntata di Annozero, ho assistito a una scena davvero indegna: Castelli
A DOMANDA RISPONDO “VA PENSIERO” PADANA
Furio Colombo
IL FATTO di ieri12 Gennaio 1992
incapaci di formulare un progetto per un futuro comune sostenibile. Bramo di appartenere a una società più evoluta, che invece implode e si impoverisce velocemente. Grazie per il pubblico sfogo, ma la mia frustrazione cresce di pari passo con il disprezzo per la classe politica e le inesistenti istituzioni fantasma.
BOX
che si è permesso di prendere in giro una precaria della scuola, invitandola a smettere di lamentarsi e di darsi, piuttosto, da fare. In fin dei conti – le ha detto – lei è pure carina. Un parlamentare (già ministro!) della Repubblica! Nessuno si è degnato, tra gli ospiti, di ribattere che c’è poco da stare allegri, dal momento che a un precario, per esempio, non viene concesso il mutuo. Ma il precariato della scuola è tabù, lo abbiamo capito. E forse è opinione diffusa (e da diffondere) che i precari della scuola siano parassiti dello Stato. E anche Annozero fa la sua parte, perché non se ne parli che superficial-
perde occasione pubblica per confermarlo. Non è dato di sapere come un canto così bello, con un significato così alto, sia diventato l’inno dei respingimenti in mare. Diciamo che è una disgrazia fra le tante portate all’Italia dalla Lega. Ma Mediobanca sapeva benissimo che, autorizzando un bravo regista a montare insieme immagini di una immensa folla giovane, tutta bianca, che invade le strade di un metropoli che sembra Milano e volge in alto sguardi commossi e riconoscenti, stava confezionando non uno spot per la banca (un legame che quasi non si coglie) ma un evento elettorale per la Lega nord. Nel paese in cui gente di governo viola tante leggi, una clamorosa violazione in più. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
mente e inutilmente. Nel 2009 sono state tagliate 42.000 cattedre, a danno dei precari, che da anni (anche decenni) lavorano senza essere stabilizzati, perché allo Stato un precario costa meno (durante il precariato non matura l’anzianità di servizio). Razionalizzazione? Gli insegnanti sono troppi? Ma in Italia abbiamo gli insegnanti di religione e di sostegno, e nessuno dice che escludendo questi rientreremmo nelle medie europee. E nessuno dice che a essere tagliati sono soprattutto gli insegnanti di lettere. Non sono chiacchiere, ma una realtà drammatica. Marilena Iacomelli
Contro il pogrom a Rosarno le parole di Saviano
dominio della criminalità, essendo gli unici ad avere il coraggio di ribellarsi”. Per un attimo mi ha dato conforto, in una fase storica che mi sarei augurato di non vivere mai.
Di fronte al vero e proprio pogrom in atto a Rosarno, mi viene da dire soltanto che mi vergogno profondamente di essere calabrese: una terra di emigranti in tutto il mondo che diventa un feudo di criminalità mista a razzismo è uno schiaffo alla storia, e non mi si venga più a dire che non bisogna lasciare la propria terra o che “tutto il mondo è paese”. Sono solo scuse, banalità che si dicono per potersi mettere una benda sugli occhi e lasciare le cose esattamente come stanno. La verità è che qui l’ideologia vincente è sempre stata quella mafiosa, e guai a chi la mette in discussione! Scusatemi per lo sfogo politicamente molto scorretto, ma credo di avere tutto il diritto di dichiararmi sconfitto come reggino e come calabrese. Forse anche come italiano. Roberto Saviano ha detto: “Solo gli immigrati ci possono salvare dal
Marco Franco
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Né le “classi ghetto” né il tetto del 30 per cento Penso alla questione della scuola e agli annunci del ministro Mariastella Gelmini e mi dico: dobbiamo metterci d’accordo con noi stessi. Le “classi ghetto” (quelle che propone la Lega) sono esecrabili, ma non va bene neanche il 30 per cento. Che si deve fare? Tenuto conto della localizzazione a macchia di leopardo delle comunità straniere sul territorio nazionale, non penso che con l’approccio quantitativo possa esservi una soluzione valida ovunque. Un pensiero davvero liberale lascerebbe spazio a soluzioni legate alla specificità territoriale del problema, che comunque non può essere sottaciuto né rimosso. Lo Stato ha il compito di intervenire con gli
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L’abbonato del giorno
Mario Marziani
LOREDANA BAFFONI
Perché nessuno salva gli operai dell’Alcoa?
“Salve a tutti, sono una ragazza di trent’anni, ho appena finito il mio dottorato sperando di poter restare a fare ricerca nell’università, la mia grande passione. Erano anni che non compravo un quotidiano e in realtà guardavo poco anche i Tg: le poche notizie le ricercavo in Rete. Ho deciso di abbonarmi alla versione in pdf perché è comodo ed economico”.
Ho letto con attenzione l’articolo a pagina 11 del 10 gennaio, e ho scoperto che per 0,03 euro in più per ogni kw/h un colosso come l’Alcoa manda a casa 2.000 persone. Io sono rimasto ai tempi in cui, per produrre un kg di alluminio, occorrevano 20 kw/h; quindi stiamo parlando di un costo maggiorato di 0,6 euro/kg; tenuto conto che gli stipendi degli operai italiani sono tra i più bassi d’Europa, mi domando: a che gioco stanno giocando questi imprenditori ai quali Franceschini ha chiesto scusa? E mi domando se è davvero il caso di chieder loro scusa. Il suo articolo è carente di dati essenziali per un tecnico, perciò faccio un’ipotesi: supponiamo che vi sia un consumo annuo di 20 milioni di kw/h; ci sarebbe un aumento totale del costo di produzione di 600.000 euro; può una fabbrica enorme chiudere per 600.000 euro di costi in più? Mi sembre-
LA VIGNETTA
Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).
strumenti necessari nelle variegate realtà, supportando convenientemente il “fai da te” dei singoli dirigenti scolastici e dei docenti, encomiabile ma spesso non sufficiente.
rebbe una follia anche per una cifra dieci volte maggiore. Visto che lo Stato non può intervenire, è possibile che in tutta la Sardegna non si possa fare una colletta per evitare a 2.000 famiglie di finire sotto i ponti? Non so cosa darei per avere una risposta articolata a queste mie considerazioni, comunque vi ringrazio per l’attenzione. Angelo Annovi
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Io, cugino di emigrati e degli immigrati sfruttati Tra la fine dei ‘60 e l’inizio dei ‘70, il fratello di mio padre e il fratello e la sorella di mia madre con il loro carico familiare lasciarono San Giorgio a Cremano per cercare miglior fortuna. Quelli a cui andò meglio, almeno all’apparenza, trovarono casa ai margini di Roma, in quel quartiere Alessandrino, zona Casilina, dove si parlava calabrese, napoletano e siciliano. Gli altri trovarono le difficoltà di chi deve vivere in un posto dove la propria lingua è sconosciuta: Lancaster, Pennsylvania, terra di Amish e Mormoni. Le loro sono storie d’immigrati di lusso: i miei cugini americani hanno frequentato l’università e si sono inseriti nella realtà sociale statunitense. Eppure nei loro ricordi affiora talvolta il disagio di essere stati dei diversi, soli e sperduti, in un paese che comunque ha fatto della diversità un valore, un fattore competitivo. Pensate alla sofferenza e alla solitudine di questa moltitudine di senza speranza che giungono nel “Belpaese” per essere umiliati, come o peggio degli animali. Come gli extracomunitari di Rosarno. Penso a loro come fossero i miei cugini. Cesare Ceraso
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