Berlusconi elogia il dittatore bielorusso Lukashenko: è amato dal suo popolo. Assieme a Putin, il suo uomo idealey(7HC0D7*KSTKKQ(
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Martedì 1 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 60 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
GIRAVOLTA DEL PD B. PUÒ EVITARE I PROCESSI L’
SCENDILETTA
di Marco Travaglio
Nessuna obiezione al legittimo impedimento del premier GUERRE DI RELIGIONE
Enrico Letta (e Bersani conferma): “Non da statista ma legittimo difendersi nel processo e dal processo”. Intervista al Corriere che scrive: parole dette dopo un
colloquio con Napolitano. Ma la nuova posizione crea malumore nel partito. Di Pietro: così l’alleanza con noi Ferrucci e Mascali pag. 2 z è a rischio
Udi Luca Telese MOANA, REVISIONISMI HARDCORE (FOTO ANSA)
Udi Marco Politi NO AI MINARETI: INSORGE L’EUROPA rritazione e disagio emergono Irendum dall’Europa civile dopo il refedella vergogna, che in Svizzera ha proibito la costruzione di minareti. Hanno vinto gli xenofobi, che inalberavano manifesti con donne pesantemente velate e minareti a forma di missili. pag. 7 z
Udi Mimmo Lombezzi IL BRANCO MIA FIGLIA E AHMED ere fa mia figlia Giulia (21 anni) è andata a far due passi “in Colonne”, cioè alle Colonne di San Lorenzo, nel pieno centro di Milano, con un amico che conosco da anni. Lo chiameremo Ahmed. pag. 7 z
S
nato il pornorevisionismo. In Èriscrivere un paese da anni impegnato a la sua storia prima o poi doveva accadere: i partigiani da buoni possono diventare cattivi, gli eroi risorgimentali da santi sono diventati demoni, per la Padania Mameli era “un ladro”, per il regista Martinelli il Barbarossa diventa il proto-eroe leghista in una improbabile fiction finanziata (senza scandalo) dallo Stato. pag. 14 z
CATTIVERIE Berlusconi ha trasmesso “I Soprano’s” su Italia1, ma strozzerebbe chi ha scritto “La Piovra”. Per timore che diventi “I Graviano’s”? (Bandanas)
Violante Placido in una scena della miniserie “Moana” (FOTO ANSA)
INCHIESTA x La cooperativa con un costruttore mafioso
Schifani e Casa Nostra Strani inquilini a Palermo di Peter Gomez
Un rapporto del Ros sulla strage Borsellino punta il dito contro un suo socio e condomino
e Marco Lillo
Udi Gianfranco Pasquino
nsalute
sua vita Renato Schifani è stato molto sfortuNnatoella negli affari. Socio di tre
CHI SPARA E CHI FA SPARATE
Francesco e gli altri Le cure innovative del Bambin Gesù
società in decenni diversi, in tutte e tre ha incontrato soci che (anni dopo) sono stati arrestati, talvolta per mafia. E non è andata meglio con le case: il palazzo di via D’Amelio, nel quale ha abitato per 25 anni è stato sospettato, per colpa di un suo condomino mafioso. pag. 12 z
a doppia sequenza è oramai arci-collaudata. Il presidente Berlusconi esterna al di sopra delle righe. Le sue parole vengono battute da tutte le agenzie. Poche ore dopo segue una dichiarazione della Presidenza del Consiglio. pag. 18 z
L
D’Onghia pag. 10z
nambiente Auto ecologiche Sfida tra elettricità, idrogeno e gas Martini pag. 11z
elettore del Pd, si sa, è nato per soffrire. Ma non è dato sapere quale peccato mortale, o addirittura originale, debba espiare per meritarsi questo martirio quotidiano. Martedì scorso è costretto a sorbirsi a Ballarò le elucubrazioni di Luciano Violante, responsabile Istituzioni del Pd: i processi a Berlusconi creano un conflitto insanabile fra “democrazia e legalità”, ergo bisogna regalargli uno scudo costituzionale in cambio del ritiro del “processo breve” (così il Cavaliere eviterà di andare a sbattere con l’ennesima legge incostituzionale e godrà di un’impunità a prova di bomba, prevista addirittura in Costituzione). I cinque giorni di silenzio di Bersani fanno ben sperare il povero elettore. Invece domenica, intervistato da Repubblica, Bersani sposa la linea Violante: “Il governo ritiri il provvedimento che cancella i processi e si apra un confronto parlamentare a partire dalla bozza Violante… In quel contesto si possono affrontare anche le questioni del rapporto sistemico tra esecutivo, Parlamento e magistratura. Il problema della magistratura c’è e non ha trovato un punto di equilibrio in tutti questi anni”. La legge è uguale per tutti, un bel guaio, occorre rimediare. Quanto al NoBDay di sabato, bontà sua, Bersani autorizza “militanti e dirigenti” a partecipare. Magari mascherati da Arlecchino, Brighella e Colombina. Intanto il premier accusa i magistrati di volere la “guerra civile” e Napolitano zittisce i magistrati. Violante, demolito da Barbara Spinelli sulla Stampa, risponde che, “mentre tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”, qualcuno è più uguale degli altri: “Gli eletti alle massime cariche dello Stato possono essere esentati dalla responsabilità penale o, in modo assoluto, per determinati reati, o, a tempo, sino a quando rivestono una carica politica. E’ la prevalenza del principio democratico sul principio di legalità”. Siccome nessuno chiama l’ambulanza per portarlo via, l’elettore comincia a domandarsi che differenza passi fra Pdl e Pd, a parte la elle. La risposta la dà ieri il vicesegretario Pd Enrico Letta al Corriere della Sera. L’organo dell’inciucio, che spende un capitale per reclamizzare la propria indipendenza mentre pubblica editoriali degni del Giornale e del Predellino, chiede per la penna di Sergio Romano una nuova “forma di immunità” per Berlusconi. Le accuse di mafia sembrano (a Sergio e a Silvio) “poco plausibili” e tanto basta: chissenefrega se sono vere o false. Mettiamoci una pietra sopra e lasciamoci governare da un possibile amico della mafia visto che “ha una consistente maggioranza”. Anziché domandare a Romano se gli capiti mai di arrossire mentre scrive certe scempiaggini, il piccolo Letta dice che “il grido d’allarme di Romano è condivisibile” e che “mai le forze politiche sono state tanto vicine a un’intesa sul merito delle riforme” con il noto statista che accusa i giudici di “guerra civile”. Dopodiché il Lettino giura che il Pd si guarda bene dal “cercare scorciatoie per far cadere il governo e liberarsi di un Berlusconi che non è un ‘ingombro’”. Quella è roba da oppositori e lui, modestamente, non lo nacque. Poi spiega che, dopo un colloquio al Quirinale con Bersani e Napolitano, “il Pd non opporrà obiezioni al ricorso al legittimo impedimento”. Anzi, dice Enrico scavalcando lo zio Gianni, “consideriamo legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal processo”. Insomma “l’opposizione si attiene a quanto detto dal capo dello Stato”. Notiziona: il Pd delega a Napolitano la guida dell’opposizione e, dopo averlo incontrato, autorizza il premier a fuggire illegalmente dai processi “come ogni imputato” (è noto infatti che ogni imputato, tipo i marocchini imputati di spaccio di hashish, possono sottrarsi alle udienze, impegnati come sono a Dubai o al Consiglio dei ministri). A questo punto ben si comprende la riluttanza dei vertici Pd a partecipare al NoBDay. Gli elettori potrebbero riconoscerli.
Martedì 1 dicembre 2009
Lodo Mondadori, oggi udienza su sospensione del risarcimento
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GIUSTIZIA AD PERSONAM
i svolgerà oggi in tarda mattinata nell’aula della Seconda Corte d’appello bis l’udienza sul ricorso in cui Fininvest chiede la sospensione dell’esecutività della sentenza che la condanna a risarcire la Cir con circa 750 milioni di euro, nell’ambito della vicenda sul lodo Mondadori. Il verdetto era stato pronunciato il 3 ottobre
scorso dal giudice Raimondo Mesiano. Contro il magistrato si scatenò immediatamente una campagna denigratoria, “lanciata” e annunciata dal premier: “Ne sentirete delle belle”, avvertì Berlusconi la sera stessa del verdetto. A eseguire ci pensò “Mattino 5”. Brachino lanciò il servizio con il giudice pedinato fin davanti al barbiere, con
allusioni calunniose sulla sua salute mentale, per concludere con la notazione sui suoi calzini turchesi. Oggi, davanti a tre giudici, presieduti da Luigi De Ruggiero, si terrà la discussione tra le parti con il deposito di memorie scritte, poi il giudice si riserverà di decidere entro una decina di giorni.
“B. si difenda nel processo e dal processo” E nel Pd scoppia la grana Letta CASSON E D’AMBROSIO CRITICANO L’APERTURA di Alessandro Ferrucci
e Antonella Mascali occhi l’articolo, muta la sostanza. Sembra un semplice problema semantico, figlio del caposcuola della materia, Ferdinand de Saussurre. È, al contrario, il campanello d’allarme scattato ieri dopo l’intervista rilasciata al Corriere della Sera da Enrico Letta, vicesegretario del Pd, dopo un incontro con il presidente Giorgio Napolitano e il leader del Pd: “Come ha detto Bersani, consideriamo legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal processo. Certo legittimo non vuol dire né opportuno, né adeguato al comportamento di uno statista...”. Questa la parte “incriminata”; “nel” e “dal”: gli articoli che hanno fatto diventare paonazzi molti dei vertici del Partito democratico, giuristi e magistrati. Vista anche la (non) precisazione dello stesso segretario: “Ci si può difendere nel processo e dal proces-
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Qui in alto un’aula di tribunale; a destra Enrico Letta (ANSA)
PROCESSO BREVE
ALFANO PROVA A SEDURRE IL SENATO ANM E CSM SMENTISCONO I SUOI DATI ministro Angelino Alfano è andato in Irarelcommissione giustizia del Senato a perola causa di Berlusconi . Il premier vuole far approvare velocemente il ddl “processi brevi”, in attesa di altre trovate che azzerino non solo i dibattimenti ma anche le inchieste a suo carico. Questo disegno “a nostro avviso avrà il merito - ha detto Alfano - di dare un termine certo alla durata del processo penale in Italia”. E giù a snocciolare dati che nei giorni scorsi sono stati smentiti dagli addetti ai lavori. Il ddl prevede che un processo di primo grado, anche in corso, si prescriva se la sentenza arriva dopo 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, e riguarda un imputato incensurato. Il ministro, invece, ha riproposto una percentuale di rischio prescrizione in base a tutti i procedimenti: “Il livello di impatto del ddl processo breve è dell'1% e fa riferimento a oltre 3,3 milioni di procedimenti pendenti”. Poi, però, ha concesso altre percentuali, sempre molto più basse di quelle fornite dai magistrati, che arrivano a punte del per cento: “Se si fa il calcolo sulla fase dibattimentale di primo grado, e quindi si cambia il parametro, su oltre 391mila processi pendenti in quella fase”, si estinguerà il 9,2% dei processi. Alfano è stato attento a legittimare i suoi numeri per cercare di dimostrare, al contrario di quanto dicono magistrati e avvocati, che la legge non garantirà l’impunita a centinaia di imputati: “Mi auguro che la commissione sappia operare la distinzione tra il profilo politico e quello più squisitamente di impatto sul sistema. Questo fa riferimento a cifre e numeri che sono oggettivi”. Tanto oggettivi, che persino il prudente vice presidente del Csm, Nicola Mancino ha parlato di “serie ragioni di allarme” per quanto riguarda “la rilevazione dei tempi di definizione sul primo grado” che “in alcun modo riescono ad essere definiti nel termine indicato di due anni e che ricadrebbero inevitabilmente nell'estinzione”.
so secondo le norme vigenti – spiega Pier Luigi Bersani –, alle quali si possono attenere tutte le persone, incluso il premier che non va in udienza se ha altro da fare e se i giudici accettano i motivi dei suoi impegni”. Quindi ecco la nuova querelle con l’Idv: “Non so se è solo un’ingenuità o qualcosa di più pericoloso – interviene Antonio Di Pietro –, ma questa è un’affermazione grave, che mette a rischio la possibilità di alleanze”. “Di Pietro monta una polemica sul nulla – risponde Letta –. Ribadisco quello che ho detto: penso che sia inopportuno ma legittimo che Berlusconi, come qualunque imputato, usi gli strumenti della legislazione vigente per difendersi”. Tradotto può voler dire certificati, agenda istituzionale per impegni improrogabili nell’esercizio delle sue funzioni, influenze o malattie varie, insomma “legittimi impedimenti”. Così ecco lo sbandamento nel Pd: “Ci si dovrebbe difendere nei processi. Quella di difendersi dai processi è una brutta abitudine che stanno prendendo molti altri oltre al presidente del Consiglio. E comunque un conto è rinviarli quanto più è possibile, altro è pretendere di avere delle immunità diverse da tutti gli altri”, spiega il senatore del Pd Gerardo D’Ambrosio. Magari con il legittimo impedimento. “Tutti – sottolinea Felice Casson – devono difendersi nei processi e qualsiasi provvedimento che preveda altro, solo per qualcuno, è palesemente incostituzionale”. Per il vicepresidente dell’Anm, Gioacchino Natoli, già pm del processo a Giulio Andreotti “difendersi nel processo è legittimo, lecito, opportuno e degno di un paese civile. Difendersi dal processo, invece, assume
A parlare chiaramente ci ha pensato Ezia Maccora, presidente della sesta commissione del Csm: la forbice dei processi di primo grado a rischio di estinzione “è compresa tra il 10 e il 40% in base ai dati che ci hanno riferito i dirigenti delle nove principali realtà giudiziarie del paese: Bari, Bologna, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia”. Con questa legge, ha rivelato Maccora, ci sarà anche una moria delle richieste di patteggiamento della pena e del rito abbreviato: “Siamo al di sopra del 50%” e in alcuni casi si arriva al 70%. Ad essere ascoltati per ultimi dalla commisLEGITTIMI IMPEDIMENTI sione giustizia, i vertici dell’Anm. Il presidente, Luca Palamara, ha confermato i dati disastrosi dei procedimenti a rischio prescrizione e ha spiegato che la media del a coincidenza è sospetta. Le 40-50% si riferisce “non memorie di Patrizia D’Addario ai soli procedimenti che circolavano da poche ore, nel fratrisulterebbero già pretempo il presidente dell’Anas Piescritti al momento dell'entrata in vigore della tro Ciucci lanciava il Salerno-Reglegge, ma anche a tutti gio Calabria day, una ricorrenza quelli per i quali, è prevebuona per qualsiasi mese di qualdibile l'estinzione prima siasi anno per i prossimi due sedella pronuncia della coli. Il 4 dicembre sarà abbattuto sentenza di primo grado, un diaframma della galleria Barritsi pensi ad esempio a teri, e chi può officiare la titaquei procedimenti per i nica azione di sforamento se quali sono trascorsi un non Silvio Berlusconi? Al terzo, anno, 11 mesi e 20 giorquarto brindisi sulla terrificanni”. L’Anm ha poi riferito la denuncia di cinque sete autostrada A3, a cinquant’anzioni del tribunale di Pani dall’inaugurazione del prilermo e di una sezione mo tratto. Ogni scusa è buona della corte di Assise sul riper marinare il Tribunale di Mischio estinzione per lano. “cento processi di particolare rilevanza”. a.m.
LEGITTIMO IMPEDIMENTO
SE GLI IMPEGNI DEL PREMIER EVITANO L’UDIENZA
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l 19 novembre è stata presentata alla Camera una legge che stabilisce un riconoscimento “automatico” del legittimo impedimento a comparire in udienza, per premier e ministri. “L’esercizio della funzione di governo (...) costituisce, a esclusione dei procedimenti per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, legittimo impedimento”. Attualmente la legge non prevede che un impegno istituzionale sia di per sé legittimo impedimento: “Quando l’imputato non si presenta e risulta che l’assenza è dovuta a impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice rinvia (...)”. Una sentenza della Cassazione sul caso Previti, stabilì che i giudici devono armonizzare il calendario sugli impegni parlamentari di un imputato e sulla durata del processo. La Consulta ha ricordato che “nella sua pratica applicazione va modulato in considerazione dell’entità dell’impegno addotto dall’imputato”. Quindi, non è scontato che tutti gli impegni istituzionali siano legittimo impedimento.
una valenza di tipo diverso, soprattutto se questa difesa dal processo viene assunta da chi ha la responsabilità di rappresentare il paese, per l’effetto di imitazione che può indurre nel comune cittadino”. E ancora: “Ovviamente un partito è libero di assumere la posizione che ritiene giusta su tutto, ci mancherebbe altro. Fermo restando che l’assunzione di una posizione, rispetto a una materia così delicata, come la scelta di porre in essere eventuali ostacoli al corretto fluire del processo, comporta un’oggettiva assunzione di responsabilità agli occhi dei cittadini e degli elettori”. Già, si parla di processi a poten-
di Carlo Tecce
L’eterno nastro della Salerno-Reggio C.
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Benvenuto all’ultimo pargolo di famiglia: il lodo Ciucci, il taglianastro tascabile. Ecco il programma dell’infaticabile: “A dicembre avremo anche l’apertura della Catania-Siracusa, bellissima. Il 4 saremo tra Gioia Tauro e Scilla, giorno di Santa Barbara protettrice dei minatori. Confidiamo nella presenza di Berlusconi”. Ci mancherebbe. Sarà la festa degli italiani riuniti e degli automobilisti ricoverati in psichiatria per nevrosi da traffico. La A3 è un successo dei sette anni di governo: “In otto lotti la situazione è un disastro, nomineremo un commissario”, citazione di tale S.B. a “Matrix”, giugno 2009.
Di Pietro: è un’affermazione grave che mette a rischio la possibilità di alleanze ti, ed esce il nome del “ Divo”: è quasi un’equazione. Così è lo stesso con il professor Stefano Rodotà: “Andreotti si è presentato in aula, ogni volta: lui si è difeso nel processo. Rispetto al ‘dal’ rimango molto colpito, direi basito: è una formula che legittima ogni cittadino a evitare il tribunale”. Quindi il costituzionalista Michele Ainis: “Facciamo un esempio, prendiamo il Fisco: cosa vuol dire difendersi da lui? Semplice, non pagare i contributi. Allo stesso modo per il processo, vuol dire evitarlo. Purtroppo un’altra volta la politica ha utilizzato un’espressione infelice per manifestarsi”. Qualche interrogativo anche per Debora Serracchiani: “Di professione faccio l’avvocato – spiega – e dunque so bene che chi è imputato considera il processo una minaccia in sé. Penso che dovrebbe essere non solo suo dovere di uomo pubblico ma anche suo interesse personale sgombrare tutti i dubbi e cercare un’assoluzione piena. E ciò può accadere solo “in” un processo”.
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Alfonso Sabella: i fratelli Graviano potrebbero parlare
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GIUSTIZIA AD PERSONAM
ex pm Alfonso Sabella fa un ragionamento a margine di un convegno del Csm sul narcotraffico: “I Graviano potrebbero parlare, collaborare”. Cosa c’è dietro il comportamento dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, i boss del quartiere Brancaccio, che sembrano “morbidi” con l’ex
killer del clan, ora pentito, Gaspare Spatuzza? Il giudice Alfonso Sabella conosce le dinamiche che muovono le logiche mafiose, nella sua carriera investigativa ha arrestato 300 mafiosi anche sfruttando le testimonianze dei pentiti, e dunque prova a spiegare l’incontro in carcere tra Filippo Graviano e Spatuzza: “Appare inquietante l’atteggiamento
di Filippo Graviano che, evidentemente d’intesa con il più influente fratello Giuseppe, non solo ha accettato di sottoporsi al confronto con Spatuzza e che, invece di denigrarlo, come i mafiosi sono soliti fare con i pentiti, ha avuto per lui parole benevole lasciando preludere che potrebbe anche parlare”.
PADRINI E CONDOMINI
Schifani, la villa e l’appartamento a via D’Amelio Quegli strani soci col vizietto di Cosa Nostra di Peter Gomez
e Marco Lillo ella sua vita Renato Schifani è stato molto sfortunato negli affari. Socio di tre società in decenni diversi, in tutte ha incontrato alcuni soci che (anni dopo) sono stati arrestati. E non è andata meglio con le case: il palazzo di via D'Amelio, nel quale ha abitato per 25 anni è stato sospettato, per colpa di un suo condomino mafioso, addirittura come base logistica della strage Borsellino. Mentre la villa di Cefalù del presidente è stata comprata da un costruttore ora indagato nell’inchiesta riaperta recentemente sui rapporti tra Fininvest e mafia. Schifani ha comprato nel 1994 una villa nel residence “Baia dei sette emiri” di Cefalù proprio dalla Progea, la società di Francesco Paolo Alamia (indagato in passato con Berlusconi e Dell’Utri e ora, di nuovo ma da solo) e di Antonio Maiorana (l’imprenditore scomparso con il figlio nel 2006, probabile vittima della lupara bianca). La vendita però è stata impugnata nel 1999 dal curatore subentrato nell’amministrazione della Progea dopo il crack, che ha chiesto di revocarlo perché lo ritiene un depauperamento dell’attivo della società. A leggere la storia di Schifani a volte sembra di esser di fronte a un Forrest Gump dell’antimafia. Si dichiara nemico delle cosche eppure incappa spesso in acquisti di case e quote con persone che poi si riveleranno mafiose. Forrest-Schifani svicola inconsapevole tra questi mafio-imprenditori ma i suoi nemici delle cosche per un gioco del destino talvolta sono suoi soci e talvolta suoi condomini. Uno dopo l’altro poi finiscono arrestati e condannati. Mentre Forrest-Schifani dribbla tutti e corre senza ostacoli da Palermo a Roma fino ad arrivare alla seconda carica dello Stato. Il 27 novembre scorso abbiamo raccontato la prima parte della storia di Forrest-Schifani, concentrandoci sulla società Sicula Brokers. Ben quattro soci e un vicepresidente della società anni dopo saranno arrestati. Ma lui dichiara: “entrai nella società con una partecipazione simbolica su richiesta del vecchio Giuseppe La Loggia e dopo un anno e mezzo ho dismesso la quota perché non avevo nessun interesse alla società”. Secondo i Carabinieri però tre anni dopo, il 10 giugno 1983, la Sicula Brokers delibera “di cooptare il consigliere Schifani in sostituzione del dimissionario Mandalà Antonino”, poi arrestato come capomafia di Villabate. Non risulta se Schifani abbia accettato ma la cooptazione (almeno tentata) dimostra che era considerato un uomo fidato. Proprio nel 1983 Schifani lascia lo studio La Loggia e si lancia
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nella professione da solo. Sceglie un partner più anziano ed esperto: Nunzio Pinelli. Guadagna bene e pensa a mettere su casa. Per fortuna c’è una cooperativa che ha un bel terreno in via D’Amelio e gli Schifani non si lasciano sfuggire l’occasione. Renato e la sorella Rosanna, diventano soci della cooperativa Desio (senza badare troppo a chi c’è nella società) e comprano in via D’Amelio 46 due appartamenti. Nella stessa strada, al civico 19 abitava la mamma di Paolo Borsellino e proprio dopo avere suonato a quel portone il giudice salterà in aria il 19 luglio del 1992 con i cinque agenti della scorta. Ancora una
Gli slalom del senatore tra imprenditori dei clan e cooperative mafiose volta le storie di Borsellino e Schifani si incrociano per un palazzo (vedi “Il Fatto Quotidiano” del 24 novembre). Il civico 19 di via D’Amelio, dove abita tuttora la famiglia Borsellino, è un simbolo dell'antimafia. Mentre il civico 46, dove ha abitato per 25 anni la famiglia Schifani, ha una storia diversa. Partiamo dall'inizio. La Cooperativa Desio ottiene la concessione e accende un mutuo con il Banco di Sicilia. Nel 1980 consegna i primi appartamenti. Alla conservatoria risulta che Renato Schifani è socio della cooperativa Desio che gli assegna l’appartamento nel 1986 per 34,9 milioni di lire. Il presidente ha venduto l’ottavo piano solo a luglio del 2009 mentre la sorella resta proprietaria del secondo piano. Scorrendo l'elenco degli altri 33 soci assegnatari degli appartamenti troviamo cognomi noti a Palermo: Buscemi, Scarafia, Marcianò, Barbaccia. Al quinto piano c’è l’appartamento di Vito Buscemi, arrestato per l’inchiesta mafia-appalti nel 1993 e condannato a 3 anni e 3 mesi di carcere. Secondo gli investigatori Vito era legato ai cugini più famosi processati per il tavolino tra impresa, mafia e politica e per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Vito Buscemi è entrato in galera nel gennaio del 2007 e ne è uscito nell’aprile scorso. In un rapporto del 1993 il capitano del Ros Sergio De Caprio, alias Ultimo, segnala al pm Ilda Boccassini: “Buscemi Vito è
detenuto per una serie di vicende che dimostrano la partecipazione del gruppo imprenditoriale collegato a Totò Riina nella gestione irregolare degli appalti pubblici”. Poi l’uomo che ha arrestato Riina aggiunge: “Buscemi risiede in via D’Amelio 46 e pertanto ha la possibilità di disporre in loco di soggetti di assoluta fiducia”. Ergo, sempre per Ultimo, era “accertata la possibilità da parte della famiglia Buscemi di svolgere una funzione di supporto logistico nelle aree interessate aIle stragi”. Effettivamente il palazzo della Desio vede quello di Borsellino dal quale è separato da un campo verde, il fondo Marasà. L’intuizione di Ultimo è solo una suggestione che nessuno ha mai sviluppato. “Il Fatto Quotidiano” ha chiesto a Gaetano Giambra e Francesco Sanfilippo, ex soci e assegnatari della Desio (come Buscemi e Schifani), di raccontare la storia del palazzo di via D’Amelio 46. Secondo i due
anziani condomini: “il palazzo è stato costruito da Gaetano Sansone”. La circostanza non è secondaria: Sansone è stato arrestato nel 1993 e condannato per mafia perché curava la latitanza di Totò Riina, arrestato in una villetta di via Bernini. Continuando a spulciare gli archivi si scopre poi che tra i soci della cooperativa Desio ci sono Agostino Gioeli e Francesco Barbaccia, due cognati di Salvatore Sansone, arrestato con il fratello Gaetano nel 2000 e poi assolto. In quell’indagine Francesco Barbaccia fu intercettato casualmente mentre parlava con i Sansone e i pm chiesero (ma non ottennero) la sua sorveglianza speciale. Non basta. Tra i soci della Desio che hanno avuto un appartamento come Schifani troviamo Claudio Scarafia, un costruttore che nel 2000 è stato coinvolto nell’indagine sui Sansone e che nell’ordinanza del Gip era considerato una sorta di prestanome di un boss di prima grandezza: Francesco Bonura, arrestato nel 2006 come come capomanda-
MAL DI DESTRA
In alto, la strage di via D’Amelio e, sotto, il boss Totò Riina, condannato come mandante (FOTO ANSA) In basso, Renato Schifani visto da Emanuele Fucecchi
mento di Palermo centro. Non basta. Tra i soci-assegnatari della Desio c’era anche un cugino (morto da pochi mesi) dei fratelli Vincenzo e Giovanni Marcianò, arrestati per mafia perché considerati i capi del mandamento di Boccadifalco. “Il Fatto Quotidiano” ha cercato ieri senza successo Renato Schifani per un chiarimento. A persone vicine al suo staff però il presidente ha detto: “è stato mio padre, che abitava lì, a segnalarmi che una persona aveva rinunciato a comprare quell’appartamento. Così sono diventato socio e ho preso il mutuo per comprare e stare vicino a mio padre. Ma non ho mai fatto vita sociale nella Desio. Era solo una cooperativa edilizia”. Nel 2002 l’avvocato Schifani ha difeso la cooperativa Desio davanti ai giudici amministrativi. Il presidente della società è sempre Pietro Gambino. Schifani ha dichiarato: “dal 2001 ho lasciato completamente la professione di avvocato e faccio solo il politico”. Per la Desio ha fatto un’eccezione.
di Sara Nicoli
RAI, ADDAVENI’ MELLONE e porte della Rai, ancora una volta, si spalancano per accogliere le menti più brillanti del centrodestra. Sta per essere assunto, con un contratto da dirigente di prima fascia in radiofonia – oggi feudo dell’aennino Bruno Socillo – Angelo Mellone, giovane intellettuale vicinissimo a Fini, animatore di FareFuturo e impegnato nel dare uno spessore culturale alla destra di governo come forza “dinamica, post ideologica, riformista”. In Rai che lo spediscono proprio per questo; siccome è pieno di “comunisti”, è giunta l’ora che le migliori menti di destra veicolino in tv (o in Radio) valori nuovi, nel segno di un centrodestra “moderno, radicato
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nella società, capace di muoversi fra i fenomeni di costume, le culture popolari, l’immaginario diffuso”. Insomma, c’è da ridisegnare, attraverso la Rai, il tessuto connettivo del paese virandolo sempre più a destra, e della genialità di Mellone pare non si possa fare a meno. Così, nell’attesa di compiere l’impresa, il giovane braccio destro di Fini prenderà un grasso stipendio dalla tv pubblica, un po’ più alto, forse, di quello che si mette già in tasca da un mese Fabrizio Casinelli, ex capo ufficio stampa di Palazzo Chigi, oggi portavoce del dg Rai Masi, assunto come caporedattore. A tempo indeterminato. I precari Rai ovviamente, ringraziano.
IL FATTO POLITICO dc
Effetti collaterali di Stefano Feltri
e l’intervista al Corriere Snumero della Sera di Enrico Letta, due del Partito democratico, era un messaggio agli alleati, ha funzionato. Letta dice che Silvio Berlusconi “come qualunque imputato” ha il diritto di difendersi “nel processo e dal processo”. Prevedibile conseguenza: Antonio Di Pietro dice che l’Italia dei valori non può essere alleata con i partiti che riconoscono a chi è al governo la possibilità di mettersi “al riparo dai processi”. Il messaggio di non ostilità alla maggioranza (mentre si discute di riforma costituzionale della giustizia e di processo breve per legge ordinaria) ottiene tra gli altri effetti di spingere l’Alleanza per l’Italia di Francesco Rutelli a dichiarare che non sta “né con il Pd né con il governo”. In Puglia, intanto, proseguono le trattative tra Pd e Udc in vista delle regionali 2010. entro la maggioranza il Dquello dossier giustizia resta centrale, anche perché oggi arriverà il verdetto sull’esecutività della sentenza sul risarcimento Fininvest a Cir: il gruppo della famiglia Berlusconi è già stato condannato a pagare 750 milioni di euro, poi ha ottenuto uno stop provvisorio ma è difficile che riesca a strappare un altro rinvio. A complicare la posizione di Berlusconi arrivano poi le deposizioni di Calisto Tanzi da Parma. L’ex padrone della Parmalat ha raccontato di aver indirettamente finanziato la nascita di Forza Italia comprando spot a prezzo maggiorato sulle reti Mediaset. Ma soprattutto sostiene che nei mesi difficili del crac (nel 2003) il presidente del Consiglio Berlusconi si impegnò – con successo, dice Tanzi – a pretendere un atteggiamento più morbido della Consob sul titolo Parmalat. lla Camera continua la AFinanziaria, discussione sulla ma sono solo preliminari, quella vera partirà tra due settimane quando arriveranno i soldi dello scudo fiscale. La Lega, che ha rinunciato ad avanzare pretese economiche, continua la sua strategia identitaria adottata nell’ultima settimana, cavalcando la polemica sul referendum svizzero contro la costruzione di moschee. Ma se Gianfranco Fini dice a “Porta a Porta” che non vuole lo “scontro finale”, la Lega invece è pronta per il suo: le candidature alle regionali, di cui prestissimo si tornerà a parlare. E su quello i leghisti non sono disposti a cedere, vogliono almeno il Veneto e il Piemonte.
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Martedì 1 dicembre 2009
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econdo Gaspare Spatuzza, ex killer del clan Graviano ora pentito, “negli ultimi vent’anni” la famiglia mafiosa palermitana di Brancaccio costruì un impero lontano dalla Sicilia, soprattutto a Milano, dove i fratelli Graviano furono arrestati il 27 gennaio 1994, all’indomani della discesa in campo di Berlusconi. E a Palermo controllavano “le tre Standa affidate a un prestanome”. Anche negli anni Ottanta fino al
Ciancimino jr, Spatuzza e i soldi dei fratelli Graviano di Elio Veltri e Marco Travaglio
l 26 novembre 2002, dopo molti rinvii, il Tribunale di Palermo che sta processando Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa si reca finalmente a Palazzo Chigi per ascoltare il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in veste di “testimone assistito” (in quanto a suo tempo indagato in vari procedimenti connessi per associazione mafiosa e riciclaggio, poi archiviati), a domicilio e a porte chiuse, come gli consente il Codice di procedura penale e come lui ha espressamente chiesto. E’ stato lo stesso Dell’Utri a indicarlo nella lista dei testimoni della sua difesa. Niente telecamere né giornalisti, per carità: “Motivi di sicurezza”. La scena, poi, non è delle più edificanti. I giudici Leonardo Guarnotta, Giuseppe Sgadari e Gabriella Di Marco, assieme ai pm Antonio Ingroia e Domenico Gozzo, ai loro consulenti tecnici, agli avvocati difensori e di parte civile, vogliono ascoltarlo a proposito delle origini delle sue fortune e dei suoi rapporti con alcuni mafiosi, soprattutto Vittorio Mangano. Ma lui ha già fatto sapere che intende avvalersi della facoltà di non rispondere: lui, il capo del governo che dice di “non avere nulla da nascondere”. E dire che le domande preparate da giudici e pm non sembrano difficili, per chi non abbia scheletri nell’armadio. Domande che lo inseguono da un quarto di secolo, senza mai ottenere risposta. Nell’ultima campagna elettorale del 2001 il Cavaliere ha assicurato che, sulle origini delle sue fortune, “non ci sono misteri”. Ma al processo Dell’Utri qualche dubbio l’ha lasciato trapelare persino il consulente della difesa, il professor Paolo Iovenitti dell’Università Bocconi, ingaggiato dagli avvocati di Dell’Utri per tentare di rintuzzare le consulenze di Francesco Giuffrida (dirigente della Banca d’Italia, consulente della procura, ndr) e della Dia. Il 25 giugno 2002, incalzato in udienza dai pm, Iovenitti ha dovuto ammettere che certe operazioni di finanziamento e aumento di capitale delle 22 holding che dal 1978 controllano la Fininvest “potremmo definirle potenzialmente non trasparenti”. Ha detto proprio così: “Non trasparenti”, a proposito delle “operazioni non di aumento di capitale gratuito”, quelle che i consulenti dell’accusa classificano secondo la dizione di “franco valuta”, già censurate nel 1994 dagli ispettori della Bnl. Un mezzo autogol, almeno per l’imputato Dell’Utri, che deve rispondere proprio dell’accusa (lanciata da diversi pentiti) di aver procurato a Berlusconi decine di miliardi di provenienza mafiosa, per riciclarli nelle televisioni sullo scorcio degli anni Settanta. Nemmeno Iovenitti ha potuto consultare l’intera documentazione su quel tourbillon di operazioni da capogiro – parte (14 miliardi) in contanti, parte in assegni circolari e bonifici – compiute fra il 1978 e il 1983, per 99 miliardi di lire dell’epoca. Tutti quattrini ancora in cerca di autore.
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mistero più buio, che solo BerluscoIdi lnidocumenti può sciogliere, riguarda un pacco che lui stesso ritirò nel 1998 presso Servizio Italia spa, una delle due fiduciarie Bnl che agivano per suo conto (l’altra è Saf spa). L’operazione è dimostrata da due lettere indirizzate a Servizio Italia, firmate l’una da Berlusconi e l’altra dal suo legale Ennio Amodio. Siamo nell’estate 1998, all’indomani del primo blitz della Dia nelle banche e nelle fiduciarie legate alla Fininvest. Il 30 luglio Amodio chiede “di poter accedere alla documentazione
NASCITA DI FININVEST ’95, quando la Standa era della Fininvest. Dopodiché, aggiunge Spatuzza, dal carcere “Filippo Graviano tiene in considerazione la questione Fininvest, gli investimenti pubblicitari… la Fininvest era un terreno di sua pertinenza, come un suo investimento, come se fossero soldi messi di tasca sua, la Fininvest”. Anche Massimo Ciancimino, come rivelato dal Fatto, avrebbe consegnato ai pm di Palermo documenti sul ruolo del padre Vito come mediatore di
investimenti delle famiglie mafiose nel gruppo Fininvest a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Per comprendere l’importanza delle ultime rivelazioni di Spatuzza e Ciancimino jr, pubblichiamo un capitolo della riedizione aggiornata de “L’odore dei soldi” di Elio Veltri e Marco Travaglio (Editori Riuniti), che sarà presentato dagli autori venerdì 4 dicembre alla Stampa Estera (via dell’Umiltà 83 C, Roma) insieme con Furio Colombo e Carlo Freccero.
Imputato Berlusconi chi le ha dato quei soldi? “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”
in vostro possesso” per “ricostruire le operazioni poste in essere dalla Fininvest Roma srl nel periodo 1978-1984”. Un mese dopo Berlusconi scrive alla fiduciaria: “Con la presente vi confermo che il dr. Salvatore Sciascia è autorizzato, a mio nome e conto, a prendere visione ed estrarre copia dei documenti relativi ai mandati fiduciari conferitiVi a partire dal 1975 per la gestione della società Finanziaria d’Investimento Fininvest spa”. Il 24 settembre 1998 Sciascia, capo dei servizi fiscali della Fininvest, ritira i dossier. Tre anni di buio: di quelle carte non c’è traccia nei documenti depositati dalla difesa Dell’Utri, né in quelli messi a disposizione del consulente della difesa. Strano: Amodio, nella lettera, giura di averne bisogno “al fine di esercitare il diritto di difesa”. Ma si accontenta di quelli a partire dal 1978 (anno di nascita delle holding). Berlusconi invece chiede anche le carte dal 1975 (data di nascita della Fininvest, prima con sede a Roma e poi a Milano) al 1978, ma poi non le trasmette ai difensori e al consulente di Dell’Utri. Tre anni della sua vita coperti da omissis. Quelle carte contengono per caso qualcosa di segreto, delicato, compromettente? Il 25 giugno 2002 Ingroia rivela a Iovenitti che Berlusconi ha fatto spazzolare i documenti sul 1975-‘78. Il professore cade dalle nuvole: “Non ne ero al corrente… Non ne ho preso visione… L’incarico che mi è stato assegnato era quello di esaminare criticamente l’elaborato del dottor Giuffrida relativo ai flussi che hanno interessato le cosiddette holding dal 1978 al 1985… Le holding sono state costituite a metà del 1978…”. Prima, meglio non avventurarsi. Il triennio 1975-‘78 è fra i più misteriosi della biogra-
Consulente di Dell’Utri: finanziamenti alla Fininvest “non trasparenti”
fia berlusconiana: il Cavaliere non figura quasi mai ai vertici delle sue società. Sono gli anni di Mangano ad Arcore e dell’iscrizione alla P2. Ma in sostanza, secondo Iovenitti, quella montagna di quattrini servita a Berlusconi per finanziare le sue holding proviene dallo stesso Berlusconi. Per l’accusa, resta pur sempre da capire chi gli ha fornito la “provvista”. Dove ha preso i soldi. a quando il 26 novembre 2002 i giuM dici siciliani entrano nella sala verde di Palazzo Chigi per porgli quella domanda semplice semplice – signor presidente del Consiglio, ci può dire dove ha preso i soldi? – lui taglia corto: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. I pm Ingroia e Gozzo hanno pre-
Nel 2002 B. viene sentito come “testimone assistito”, ma non parla parato un lungo “papello” di domande. Quasi cento interrogativi che abbracciano trent’anni di biografia. Perché nel 1974 Berlusconi ingaggiò come stalliere o fattore Mangano, nonostante i suoi gravi precedenti penali? Perché due anni dopo Mangano se ne andò da Arcore: licenziato perché sospettato del sequestro D’Angerio dopo una cena in casa Berlusconi, come ha sempre sostenuto il Cavaliere, oppure per sua scelta autonoma, come ha riferito il boss? Perché Mangano continuò a frequentare Arcore? Perché Dell’Utri seguitò a incontrarlo anche dopo la condanna per mafia nel processo Spatola e per traffico di droga nel maxi-processo alla Cupola, nei giorni caldi della nascita di Forza Italia (1993) e del primo governo Berlusconi (1994)? Perché nel 1987, quando esplose una bomba contro la sede Fininvest di Milano, Berlu-
sconi telefonò a Dell’Utri per dirgli che sospettava di Mangano? Che rapporti ha avuto il Cavaliere con il finanziere Filippo Rapisarda, amico di Vito Ciancimino e di altri mafiosi, con Gaetano Cinà, uomo d’onore del clan Malaspina, e con gli altri boss indicati da Rapisarda come suoi frequentatori ed elemosinieri? La Fininvest ha mai pagato il pizzo alla mafia per le televisioni in Sicilia e per la Standa di Catania? Mai saputo niente di rapporti tra la Fininvest siciliana e un lontano parente di Buscetta? Perché nel 1998 Berlusconi mandò a prelevare copia delle carte sulle holding e poi le nascose al consulente della difesa Dell’Utri? Perché quelle casalinghe, quei disabili colpiti da ictus, quei disoccupati a fare da prestanomi? E da dove arrivavano tutti quei soldi di provenienza ignota, 99 miliardi di lire dell’epoca pari a 30 milioni di euro attuali, affluiti nelle holding Fininvest fra il 1978 e il 1983? E quei 14 miliardi in contanti? E così via. Quando il Cavaliere, affiancato dall’on. avv. Niccolò Ghedini, oppone il suo “mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, Ingroia non si arrende e prova a stuzzicarlo, spiegandogli che la procura è stata molto garantista, riconoscendogli la veste di indagato in procedimento connesso archiviato e dunque la facoltà di non rispondere; però molte domande riguardano la posizione del solo Dell’Utri, sulla quale il premier sarebbe un semplice testimone e potrebbe rispondere senza accusare se stesso, ma anzi fornendo un prezioso contributo all’accertamento della verità. Poi, “a titolo esemplificativo”, ne espone qualcuna. Il premier fissa con sguardo interrogativo l’avvocato Ghedini. Come a dire: ma quando finisce questa tortura? Finisce in dieci minuti.
Verso la decima domanda, il presidente Guarnotta si riprende la parola: “Presidente, lei ha capito la situazione: che intende fare? Potrebbe tacere sulle questioni che la riguardano direttamente e risponderci a proposito di Dell’Utri, che fra l’altro l’ha indicata come testimone della difesa...”. Ancora un’occhiata a Ghedini, che anticipa la risposta: “Convengo che su certe questioni il presidente è testimone. Ma la sua deposizione sarebbe inutile. Pertanto gli consiglio di continuare a tacere”. Il premier raccoglie l’invito. Il giudice Guarnotta lo licenzia. I difensori di Dell’Utri chiedono di cancellare il Cavaliere dalla loro lista testi: “Non ha più nulla da chiarire”. Bocca cucita per tutti. Anche per l’amico Marcello. 11 dicembre 2004 arriva la sentenL’ni per za di primo grado su Dell’Utri (9 anconcorso esterno in associazione mafiosa) e Cinà (6 anni per partecipazione a Cosa Nostra). Nelle motivazioni depositate il 5 luglio 2005 i giudici scrivono che il gruppo Berlusconi ha ricevuto finanziamenti “non trasparenti” a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. E ha versato “per diversi anni somme di denaro nelle casse di Cosa Nostra”. Dell’Utri infatti, “anziché astenersi dal trattare con la mafia [...], ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze, di mediare tra gli interessi di Cosa Nostra e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di stare tranquillo)”. Quanto all’origine delle fortune di Berlusconi, “la scarsa trasparenza o l’anomalia di molte operazioni Fininvest negli anni 1975-‘84 non hanno trovato smentita dal consulente della difesa Dell’Utri; non è stato possibile risalire [...] all’origine, qualunque essa fosse, lecita od illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding Fininvest. E allora le ‘indicazioni’ dei collaboranti e del Rapisarda (sul riciclaggio di denaro mafioso) non possono ritenersi del tutto ‘incompatibili’ con l’esito degli accertamenti svolti”. Poteva chiarire tutto Berlusconi. Ma “si è avvalso della facoltà di non rendere interrogatorio e si è lasciato sfuggire l’imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone, avrebbe potuto illustrare. Invece ha scelto il silenzio”.
IL CASO PIROSO
Polito, (quasi) niente di personale
C’
è aria pesante nella redazione del Riformista, il quotidiano usato dal direttore del Tg di La7 per la sua battaglia contro i propri giornalisti (iniziata dopo lo stop a un servizio sulla trattativa Stato-Mafia). In seguito a un’accesa assemblea di redazione, lo scorso venerdì, sul giornale arancione appare un comunicato “approvato a maggioranza” (tradotto: la redazione era spaccata tra lealisti e contestatori). Si rimprovera al direttore Antonio Polito la “mancanza di contradditorio”, che è un modo garbato per dire che il giornale è stato trasformato nel microfono di Piroso, editorialista con una rubrica settimanale. La replica di Polito è sintetica e dice, in pratica, che il direttore dirige, decide e si prende la responsabilità di quello che fa. Il fatto che direttore e giornalisti si parlino a mezzo stampa indica che il clima è un po’ teso. Anche perché, par di capire, il confronto interno avviene a colpi di comunicati e non, come sarebbe fisiologico, nella riunione di redazione del mattino.
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Concorso esterno: il processo al senatore del Pdl
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COSE DI COSA NOSTRA
di concorso esterno in associazione mafiosa l’accusa che pesa su Marcello Dell’Utri nell’ambito del processo d’Appello che si sta celebrando a Palermo. In primo grado il senatore del Pdl è stato condannato alla pena di nove anni di reclusione. Ed è proprio nel processo Dell’Utri che sarà
chiamato a deporre il superpentito Gaspare Spatuzza, che ha fornito nuove rivelazioni sulla trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato e sui referenti dei boss. In particolare di fronte ai magistrati della procura di Firenze - che indagano sui mandanti esterni degli eccidi del '93 a Roma, Firenze e Milano - il pentito ha sostenuto che
tra i boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, Berlusconi e Dell’Utri, ci furono “contatti diretti” per avere una sorta di copertura politica dei piani stragisti. Spatuzza parlerà venerdì 4 dicembre a Torino. La decisione di ascoltare Spatuzza nel capoluogo piemontese è stata decisa dalla Corte per motivi di sicurezza.
PARLARE ALLA MAFIA
Dallo “strozzerei quelli de La Piovra” al 41 bis e ai pentiti: le frasi di B. e Dell’Utri “tradotte” insieme a Claudio Fava
di Vincenzo Vasile
edicato a quelli che, quando Berlusconi dice che strozzerebbe Saviano, pensano che è una delle solite gaffe, un boomerang, una barzelletta. A quelli che si illudono di racimolare consensi presentandosi con la faccia paciosa, evitando di nominare S. B, principale esponente dello schieramento avversario. A quelli che invitano ad abbassare i toni e scendono in piazza, se scendono, a titolo personale. A quelli che si sono scordati che due secoli di storia italiana sono ormai trascorsi con pezzi di politica e pezzi di mafia che si lanciavano segnali di fumo, alternando pa-
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role, ammiccamenti, trattative, minacce, delitti e stragi. A loro dedichiamo un nostro tentativo di “traduzione interlineare” delle parole dette e non dette, delle allusioni sussurrate, dei cenni sibilati. Un manualetto, redatto con la consulenza di Claudio Fava, (che è candidato nella lista di quelli da strozzare, se non altro come sceneggiatore di I cento passi e del Capo dei capi ed è orfano di Giuseppe, giornalista che fu ucciso, in mezzo a una fantasmagoria di analoghi segnali cifrati, di trattative e di proiettili, a Catania, Italia, 1984). Una guida. Come quelle che si usavano a scuola per le versioni. Da tenere sotto il banco pronta per consultazione. Perché le cronache ci di-
FINI E I PENTITI Accertare le loro parole e dichiarazioni dei pentiti devono essere garantite dal“L lo scrupolo e dall’onestà intellettuale della magistratura, che deve trovare i necessari confronti”. Così ieri Fini a
Dell’Utri e il premier Berlusconi (FOTO ANSA)
NAPOLI
Il parroco si ribella: non pago il pizzo
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on Mario Ziello è stato chiaro con i suoi parrocchiani: non ho alcuna intenzione di pagare il pizzo. Durante l’omelia di domenica, pronunciata nella Santa Maria del Carmine alla Concordia, nei quartieri Spagnoli di Napoli, ai fedeli ha riferito che qualcuno aveva chiesto la tangente sui lavori di ristrutturazione dell’edificio. Gli emissari della camorra non hanno avvicinato direttamente lui ma avrebbero avanzato le richieste alle maestranze. Don Mario non vuole dare soldi alla camorra perché, come ha spiegato ai fedeli, non ha alcuna "intenzione di collaborare con quei criminali". Pagare? “Sarebbe stato diseducativo, soprattutto per i bambini: i soldi li avete donati voi fedeli - ha detto dall’altare il sacerdote - Se avessi pagato quella tangente lo avrei fatto con i soldi vostri".
cono che è vigilia di un’emergenza. Come nel giorno precedente tanti episodi feroci, che furono precorsi spesso da parole vaghe e segni similmente oscuri. E dunque oggi occorre decifrare i segnali di fumo che – calcisticamente - il “tridente” di Berlusconi, Dell’Utri e Renato “Betulla” Farina sta lanciando in questi giorni con uno straordinario gioco di squadra. Il primo nega l’esistenza della mafia, e minaccia lo strangolamento – uno scherzo, maddai! – degli autori delle nove Piovre e dei libri di mafia “che ci fanno fare una bella figura”. Per poi correggere che
no, la mafia ci informano che forse esiste, e se esiste lui l’ha combattuta in maniera tosta. L’ex giornalista, amico di Feltri, se ne va nelle stesse ore nel carcere di Opera a Milano e dichiara che i mafiosi dietro le sbarre al 41bis stanno peggio che a Guantanamo. E il senatore di fiducia, promotore di Forza Italia agli albori, condannato per concorso in mafia, dice che bisogna togliere il concorso esterno - e “magari aboliamo anche quello interno?” - , abbandonare la strada dei pentiti, e torna a indicare lo stalliere Mangano (che non si pentì), come un eroe. È arrivato dall’altra parte nei mesi scorsi qualche segnale di grave delusione, non bastano più le solite promesse. La trattativa è ripresa, la trattativa continua. Un lavoro di traduzione, de-
In giorni che assomigliano alla vigilia di un’emergenza, un piccolo manuale per captare certi segnali
Porta a Porta. Il presidente della Camera ha detto di condividere la presa di posizione del sottosegretario Mantovano sul fatto che pentiti non possono dare le loro testimonianze errate: “La legge dà sei mesi di tempo, e mi sembra - ha sottolineato Fini - che vada bene così”. Fini si è detto contrario poi a modificare il regime carcerario del carcere duro, come ha proposto Marcello Dell’Utri: “Sulla 416 bis e l’associazione esterna come lesa maestà non sono d’accordo con il senatore Pdl. Penso che la magistratura, alla quale devono andare tutta la nostra stima e riconoscenza, debba farsi garante del fatto che non ci sia solo la dichiarazione di qualche pentito ma che ci siano i fatti”. Infine il processo breve: “Comprendo le perplessità dell’opposizione ma spero che non subordini la riforma del nostro sistema giudiziario alla norma sul processo breve, altrimenti la sintesi che cerchiamo da quindici anni si allontana. Il provvedimento sarà oggetto di una ampia discussione parlamentare. In linea di principio non sono contrario, anche se tutti sappiamo che ne beneficerà anche Berlusconi. Ma bisogna verificare se esistano profili di incostituzionalità che vanno approfonditi in sede parlamentare come può essere la differenza di trattamento se si è censurati o incensurati”.
crittazione, contestualizzazione di queste frasi è, dunque, necessario. Lo dedichiamo a quelli che si sono scordati della lezione di coloro che simili segnali di “trattativa” sapevano ben interpretarli. E per saperli leggere e volerli combattere hanno perso la vita: il comunista La Torre, il democristiano Mattarella, i carabinieri Basile D’Aleo e Dalla Chiesa, i poliziotti Giuliano, Montana e Cassarà, i magistrati Costa Terranova Chinnici Falcone Borsellino, i giornalisti Fava Impastato e Rostagno. E tutti gli altri, vittime della mafia, strozzati nella came-
ra della morte, immersi in un grande lago di sangue. Morti che furono gettati come una posta sanguinosa sul tavolo della trattativa, tra un pizzino e una dichiarazione ai giornali. Si tratta di una galleria di “eroi” veri, da onorare. Anche e soprattutto nei giorni che il dolore e l’indignazione si sono dileguati, come negli acidi della mafia. E così rischiamo di assuefarci al chiacchiericcio delle parole approssimate, delle spiritosaggini. Che celano, sospettiamo, una fitta corrispondenza di bigliettini, minacce, strattonamenti, cedimenti, lusinghe, intese.
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Da ieri a sabato “violaazioni” quotidiane per attirare l’attenzione
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MANIFESTAZIONI
partito il conto alla rovescia per il 5 dicembre. Le giornate che portano a sabato saranno scandite da “viola-azioni” quotidiane: ovvero azioni di “Guerrilla marketing” per attirare l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica. Ieri la prima, a Roma, in via del Corso, dove si sono ritrovati alcuni militanti armati di cartelli tutti
I NO B. DAY A BERSANI: “SEI IN TEMPO PER VENIRE” Gli organizzatori del 5 dicembre: dal palco racconteremo storie reali di Federico Mello
o non sono un politico. Non entrare nel dibattito politico. Loro parlano politichese io parlo il linguaggio della strada” dice Giuseppe Grisorio, il Griso, uno dei portavoce del comitato No Berlusconi Day. Eppure a Bersani direbbe “che per me non è ancora tutto perduto e che siamo ancora in tempo per fare una grande festa, un grande evento di piazza che avrebbe come principale effetto benefico quello di iniziare un confronto non tra i partiti ma tra le basi”. Mancano ormai pochi giorni alla manifestazione per “chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi”. Appuntamento sabato alle 14:30 in Piazza della Repubblica, a Roma, per un corteo che arriverà in Piazza del Popolo (secondo gli ultimi dati sono 500 gli autobus “pagati e confermati”). Mentre aumentano le pressioni nei confronti del Pd per una sua aperta partecipazione, ieri, dalle colonne di Repubblica, il segretario Bersani ha fatto una timida apertura: “Non ho mai guardato al 5 dicembre con ostilità e sufficienza – dice Osservo anche mutazioni evidenti in quel corteo, sia dal punto di vista dei promotori che delle parole d'ordine. Sembrava essere nata più per strattonare il Pd che Berlusconi. Ora forse appare un'altra cosa. Un'iniziativa dei movimenti e non dei partiti. Se nessuno ci mette il cappello,
“I
se nessuno punta a creare una frattura delle opposizioni facendo un regalo al premier, saranno presenti militanti e dirigenti democratici”. Un’apertura felpata con tanti “se” che Griso fa fatica a comprendere: “Le parole d'ordine sono sempre quelle, quelle dell'appello” dice al Fatto Quotidiano. Che è rimasto immutato dal 9 ottobre, giorno della sua pubblicazione su Facebook, e vale ancora oggi: “Non capisco – dice Grisorio – questo 'mutamento' dove l'abbiano visto. Noi abbiamo detto sempre le stesse cose. Su questo si sono aggregati tutti. E bisogna dire anche che se questa iniziativa è cresciuta, è stato perché le parole d'ordine erano poche e molto chiare. Sono solo due, infatti: Berlusconi dimettiti”. Non ha confini precisi questo movimento No B. Day. E anche “se a noi non ci ha chiamato nessuno” non sarebbe stato facile per il Pd avere come interlocutori decine di migliaia di persone: “Se mi chiedono chi sono gli organizzatori, io dico che sono i 340.000 che per ora hanno aderito al gruppo Facebook”. Poi, certo, nessuno sa come sarà questa piazza. “Gli interventi dal palco parleranno di questioni reali, di storie, persone di solito escluso dalla visibilità mediatica saranno leggitimate a dire la loro dalla vita che vivono ogni giorno”. Quello che sa il cittadino Giuseppe Grisorio è che il 5 dicembre è già stato un successo: “È stato strano, ci siamo parlati tra
tutti, senza sapere l’appartenenza di ognuno. Questo è stato possibile solo perchè avevamo un obiettivo comune. È la base che parla in maniera circolare. In questi giorni mi sono trovato a parlare con gente che si firma come ‘nonno preoccupato’: non mi sarei mai sognato di parlare al telefono con un uomo di 83 anni che diceva ‘andate avanti’”. Inutile chiedergli anche di Enrico Letta, vicesegretario Pd,
rigorosamente viola. I manifestanti, ieri, si sono rivolti anche alla Rai: “Abbiamo pensato di scrivere alla Rai per sollecitare il ruolo del servizio pubblico dei TG (della Rai) anche nei confronti di questa imponente manifestazione autorganizzata dal popolo della Rete e della società civile”. E promettono un presidio per questo pomeriggio,
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VERSO 50.000 ADESIONI In vista del No B. Day continuano le adesioni (ora a quota 49.000) all’appello del nostro giornale “Adesso basta” contro le leggi ad personam. Continuate ad aderire sul nostro sito.
che ha detto di considerare legittimo che Berlusconi si difenda dal processo e nel processo”. “Da giurista – risponde Grisorio - A me hanno insegnato come difendere un imputato nel processo e non dal processo. Poi, io penso che se una persona è innocente ha tutto l'interesse che la sua posizione sia chiarita”. Per questo Berlusconi si deve dimettere e farsi processare, come tutti cittadini, in Tribunale.
ADORAZIONI BERLUSCONIANE
Il culto della mamma (Rosa)
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robabilmente Marco Siclari anonimo consigliere comunale di Roma, non pensa solo a farsi pubblicità, e non è consapevole del suo potenziale comico quando spiega la sua proposta di intitolare una via di Roma a Mamma Rosa (Berlusconi). Leggere per credere: “È un riconoscimento non tanto alla mamma di Berlusconi - spiega l’ottimo Siclari ma ad un persona semplice che grazie alla sua dedizione ha concorso a scrivere una pagina della nostra storia recente, contribuendo alla decisione del figlio di scendere in campo”. Forse Siclari non diventerà mai deputato (e ci dispiace). E forse non avremo mai “via Mammarosa”, un nuovo elemento di culto della personalità (per interposta madre). Di sicuro gli apologeti del Cavaliere hanno il pregio di essere più grotteschi che intelligenti. Ma molto utili. Fra una risata e l’altra ci fanno sempre capire quanto siamo messi male. (Lutel)
dalle ore 15.30 davanti agli uffici di Viale Mazzini “per spiegare fino in fondo le nostre ragioni”. Sulla pagina Facebook, intanto, continuano incitamenti e testimonianze: “Ho appena letto che stamattina una persona che non conosco ha distribuito centinaia di volantini...e questi volantini l'avevo stampati io in questi giorni e dati a un'altra persona... che bello!”, scrive un utente.
Prc in piazza contro B., “L’unico modo per esistere” di Wanda Marra
abato Rifondazione comunista sarà in piazza per il No B Snifestazione, Day. Con l’Idv è stato il primo partito ad aderire alla malanciata sulla rete. “Abbiamo aderito per primi e invitato tutti i partiti e tutte le forze sociali a partecipare”, spiega il segretario, Paolo Ferrero. D’altra parte, insieme al Prc, ci saranno tutte le sigle della sinistra radicale ora extraparlamentare. Che con l’occasione riemerge dall’ombra. Perché avete deciso di partecipare? Si tratta di una grande manifestazione nata dalla società civile. Per noi è importante che le diverse istanze prendano voce: i diritti delle donne e dei migranti, l’acqua, la lotta alla mafia. Per noi, il punto fondamentale è che sia un grande passaggio di popolo che evidenzi che i problemi dell’Italia non sono il colore delle mutande delle amanti di Berlusconi o i minareti. Ma la giustizia, che in questo momento è al centro dell’agenda politica, non è uno dei temi a voi più cari.... Noi abbiamo raccolto le firme insieme a Di Pietro sulla questione Lodo Alfano. Per noi, la democrazia e la giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia. Per quanto ci riguarda, non c’è nessun giustizialismo, ma siamo fermamente per la difesa della Costituzione. Ma non sarà che è un’occasione di visibilità che non potete perdere? È soprattutto l’occasione per l’allargamento e l’esplicitazione dell’opposizione a Berlusconi che va fermato. Anche all’interno di questo contesto la sinistra di alternativa si sta ricostituendo. Il 5 mattina parte la Federazione della sinistra con una serie di altre forze tra cui il Pdci, che noi proponiamo essere la casa di tutte le sinistre di alternativa. E la manifestazione è anche nostra: infatti, ci andremo lavorando per la partecipazione. Ma non vi mette a disagio manifestare con Di Pietro, che da sempre cavalca tematiche molto diverse dalle vostre? Nella misura in cui siamo d'accordo con la piattaforma, non abbiamo nessun imbarazzo. Noi accentuiamo le questioni sociali che sono le grandi dimenticate del dibattito politico. Cosa avete in comune con l’Italia dei valori? L’opposizione a Berlusconi e la necessità che l’opposizione sia molto forte e non compromissoria. Dopodiché, Di Pietro sul piano politico è legato a una famiglia politica come quella liberale che è di destra. Noi siamo di sinistra. Quanti dei vostri elettori tradizionali sono ora con l’Italia dei valori? Questo non sono in grado di dirlo. Di Pietro in questa fase ha goduto del fatto di essere molto visibile mediaticamente perché presente in Parlamento, mentre noi siamo completamente oscurati. Dobbiamo recuperare un po' di visibilità, la cui assenza ci penalizza moltissimo. E vogliamo ripartire dal tema del lavoro e della precarietà.
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Bossi, la bandiera, il crocifisso e il ministro Frattini
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DISCRIMINAZIONI
ino a poco tempo fa Bossi e i suoi dicevano che con il tricolore ci si potevano pulire il culo. Adesso uno dei leghisti più belli che intelligenti, l’ingegnere Castelli, propone che su quel tricolore si debba aggiungere il crocifisso, detto sull’onda del referendum svizzero contro la diffusione dei minareti. Su Castelli si è riversata una valanga di no, a cominciare dai suoi principali alleati di governo. Il
ministro Ronchi ha detto che si tratta di una “fesseria” mentre il governatore Formigoni, fervente credente, ha detto che la bandiera italiana “è quella che è”. Punto e basta. Uno, però, si è voluto distinguere: il ministro degli esteri, Franco Frattini, il capo della diplomazia, non l’ultimo sottosegretario al Turismo. Da genio qual è, il ministro ha definito “suggestiva” la proposta di Castelli, una proposta “normale” e vediamo se, più
avanti, “si può fare un po’ di più”. Frattini si sente confortato dal fatto che “nove Paesi europei hanno il crocifisso nella loro bandiera”. A parte il fatto che si tratta, casomai, di croce e non di crocifisso, cambiare la bandiera italiana implica una modifica dell’articolo 12 della Costituzione. Si attende con trepidazione la una proposta di legge costituzionale dagli uffici della Farnesina. Un Lodo Frattini. (di Giusto Lipsio)
LA SVIZZERA CONTRO I MINARETI, L’EUROPA IN IMBARAZZO E per il Vaticano è “un colpo all’integrazione” di Marco Politi
rritazione e disagio emergono dall’Europa civile dopo il referendum della vergogna, che in Svizzera ha proibito la costruzione di minareti. Hanno vinto gli xenofobi, che inalberavano manifesti con donne pesantemente velate e minareti in forma di missili. Il 57 per cento degli elettori elvetici si è schierato per il divieto. “Scioccato” è il ministro degli Esteri francese Kouchner, turbato il Consiglio d’Europa, per Fini è un “formidabile regalo” all’islamismo radicale, per il presidente dell’Ue Bildt è un “segnale negativo”. In Vaticano il presidente del Consiglio pontificio per i Migranti, monsignor Vegliò, condivide la posizione dei vescovi svizzeri: “duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione”. L’Osservatore equipara il veto alla proibizione dei crocifissi. Lo stesso governo svizzero tenta di tranquillizzare invano i musulmani residenti nella Confederazione, dove rimarranno le quattro moschee con minareti Nel panorama spicca la provocazione della Lega. “Ora bisogna mettere la croce nel Tricolore”, ha esclamato il viceministro Castelli. Una boutade surreale se l’idiozia aggressiva leghista – che un giorno vuole buttare nel cesso la bandiera nazionale, un altro è ansioso di insignirla della croce e ad ogni buon conto ogni tanto fa marciare propri esponenti con maiali mandati a orinare su terreni previsti per la costruzione di moschee – non rispondesse sempre ad un obiettivo preciso: scardinare la comunità nazionale, frenare l’integrazione fra gli italiani e gli “altri”. Troppo facile, però, indignarsi solo per il voto svizzero. La
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contribuire alla crescita del Paese. Quando ci sono i mondiali, cantiamo l’inno di Mameli con i calciatori”. Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per il Medio Oriente (uno degli organizzatori del convegno di Torino) sottolinea che l’islam non è qualcosa di esterno, ma è parte della storia europea, ne è “elemento costitutivo, insieme alle più antiche radici cristiane, ebraiche ed anche laiche”. Giustamente Cingoli sottolinea che non si tratta soltanto di parlare di diritti e doveri, ma in primo luo-
gando, sotto gli auspici di Amato, una Federazione dell’Islam italiano con la partecipazione della Coreis, della Lega islamica mondiale in Italia, dell’Associazione delle donne marocchine, del Centro islamico culturale che gestisce la Grande Moschea di Roma. Il ministro Maroni ha invece congelato tutto. Non ha più convocato la Consulta né preso iniziative. Giugno scorso i membri della futura “Federazione” gli hanno scritto ufficialmente per riprendere il confronto, il ministro degli Interni non ha nemmeno risposto. É più facile lasciare che nei comizi la Lega agiti il vessillo dell’identità cristiana e intanto non discutere concretamente di rappresentanza, di costruzione delle moschee, di formazione degli A sinistra un minareto del Cairo; a destra un fotomontaggio di come potrebbe essere il tricolore con una croce azzurra (F A ) imam, di assistenza ai fedeli musulquestione oggi è decidere co- Omar Jibril, ventiseienne mila- go di individuare un “accesso mani negli ospedali e nelle carme affrontare l’immigrazione nese di padre egiziano e mam- guidato alla cittadinanza”. Per- ceri. Paolo VI aveva favorito la e l’integrazione dei musulma- ma sarda e presidente dell’As- ché il fenomeno dell’immigra- nascita della Grande Moschea ni che abitano e lavorano in Ita- sociazione Giovani Musulma- zione abbandonato a se stesso di Roma. Gli odierni cristiani lia. Intanto l’islam è da noi la ni, sospira dopo il referendum non può che alimentare le senza Cristo – che amano seconda religione con un mi- svizzero: “Come si può votare spinte negative di chi lo con- riempirsi la bocca del vecchio lione e mezzo di aderenti. sui diritti di una minoranza? É sidera una minaccia. parere del Consiglio di Stato Qualche centinaio di migliaia inaccettabile”. Poi spiega: L’Italia è in stand-by. Nel pre- secondo cui la croce è simbolo di giovani appartengono già al- “Non siamo qui per caso, se cendente governo Berlusconi religioso in chiesa e simbolo la seconda generazione. Tra qualcuno pensa che chi è ar- l’ex democristiano Pisanu, mi- “altamente educativo” in aml’altro, nelle province del voto rivato si fermi per fare soldi e nistro degli Interni, aveva mes- bienti laici – lasciano che i muleghista, gli slogan xenofobi si poi andarsene, sbaglia”. Jibril, so mano ad una Consulta isla- sulmani d’Italia, adoratori delaccompagnano notoriamente oggi a Torino (Circolo dei Let- mica. Il suo omologo Amato, lo stesso Dio di Abramo, pread un intenso impiego di ma- tori) protagonista di un conve- nell’ultimo governo Prodi, ghino per strada o in scantinanodopera extracomunitaria. gno sulla seconda generazio- aveva continuato formando ti, garage, penosi locali di forPerché il “negro” in fabbrica o ne islamica, soggiunge: “Sia- anche una Consulta giovanile tuna. Censire le settecento conelle cucine dei ristoranti va mo giovani come gli altri, chie- interreligiosa. Primo passo di siddette ‘case di preghiera’ bene, ma come essere umano diamo di poter professare la un percorso che avrebbe do- musulmane in Italia è censire titolare di diritti dovrebbe an- nostra religione e al tempo vuto portare ad una rappre- una vergogna. darsene “ai paesi suoi”. Esatta- stesso ci sentiamo coinvolti sentanza dell’Islam italiano. Ma fare incancrenire la situamente ciò che non avverrà co- quando si parla della Finanzia- Così come esiste in Francia, zione è utilissimo per agitare il me non è avvenuto negli altri ria, della Fiat ad Arese o della Gran Bretagna, Germania, fondamentalismo. Così i conti paesi d’Europa. disoccupazione. Vogliamo Spagna. Si stava inoltre aggre- tornano. OTO
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Abbandonare l’Italia è più facile che ricostruirla PIER LUIGI CELLI, DIRETTORE DELLA LUISS, INVITA IL FIGLIO ALLA FUGA: E SE NON FOSSE UNA BUONA IDEA? di Francesco Bonazzi
adre nostro che sei dei nostri, ma “P anche un po’ dei loro, non temere per noi. Padre nostro che sei nei cda e in ogni dove, grazie per il Paese che ci lasci. Ma noi non lo lasciamo”. Se fossimo i tanti figli di Pier Luigi Celli, quelle centinaia di ragazze e ragazzi che studiano all’università privata che egli dirige, risponderemmo così alla lettera pubblicata ieri su Repubblica. Perché è vero che l’Italia non è un paese per giovani e non è la patria del merito, come denuncia l’ex direttore generale della Rai (e prima ancora, manager di successo in Olivetti, Enel e Unicredit). Ma questo suo invito ad abbandonare l’Italia proprio non ci va giù. E non solo perché siamo appena sbucati dal nulla – nulla finanziario e nulla di potere – con un giornale tutto nuovo e tanta voglia di fare il nostro dovere. Ma perché forse ab-
biamo un’idea di patria che non prevede la fuga. E se proprio la prevede, è la fuga degli altri. Di quelli che non rispettano neppure le regole che si sono dati liberamente. Certo, anche noi del Fatto riteniamo che debbano contare anzitutto “la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati”. E scommettiamo che neppure i nostri lettori siano entusiasti all’idea di lasciare ai propri figli un paese di furbastri. Dal respiro corto ma dalla mano lesta. E al pari di Celli, per una volta ci guarderemo bene dal fare qui i nomi e i cognomi di chi ha ridotto così la nazione. Non perché ce ne manchi il coraggio, ma semplicemente perché i problemi profondi di una nazione non scompaiono con questo o quel potente di turno. Si risolvono con pazienza e dal basso. Allora proviamo a dire che forse saremo una nazione quando a scuola chi copia
sarà guardato con un po’ di compassione. Gli si passerà il compito, e senza farsi pagare, ma non gli si ‘regalerà’ il fascino del più furbo. Saremo una nazione quando la lettura di un libro in più sarà guardata come un’attività preferibile all’acquisto dell’ultimo telefonino. Saremo una nazione quando i genitori smetteranno di lamentarsi del costo di un testo scolastico, salvo allungare 50 euro a botta, e senza battere ciglio, per la discoteca dei pargoli. Saremo una nazione quando i cittadini che hanno pagato le tasse saranno più “italiani veri” di uno stilista con la holding in Lussemburgo e i suoi quattro stracci cuciti dai cinesi sotto casa. E potremmo andare avanti così per ore, perorando la causa di chi non parcheggia in doppia fila come di chi dedica il tempo libero ai bambini malati. Tanti comportamenti del genere, moltiplicati per milioni di persone e centinaia di giorni, fanno una “patria” molto più di
quattro bare con la bandiera sopra. É vero: quando prendiamo in mano la Costituzione, ci vengono quasi i brividi per quanto poco ce la meritiamo. E anche noi, come Celli, non possiamo accettare l’idea che un tronista guadagni dieci volte più di un ricercatore. Ma l’Italia non è né quella che si vede in televisione, né quella che dipingono i sondaggi del Principe. Ognuno di noi, e basta guardarsi intorno, sa che c’è un’altra Italia che privilegia la sostanza all’apparenza. Che studia, lavora e cerca la propria strada senza trucchi. Non sappiamo se tutti costoro vadano a votare, se frequentino le università “giuste” e gli altri misteriosi luoghi dove si prepara la sedicente classe dirigente di domani. Sappiamo però che non è scappando – o invitando a scappare – che si risolvono i problemi. Anche perché presto o tardi, quei problemi potrebbero venirti a cercare.
Piccoli branchi crescono: botte al diverso per ‘fare serata’ di Mimmo
Lombezzi
fa mia figlia Giulia Sdueere (21 anni) è andata a far passi “in Colonne”, cioè alle Colonne di San Lorenzo, nel pieno centro di Milano, con un amico che conosco di anni. Lo chiameremo Ahmed (il nome è inventato). É italo-marocchino, si mantiene agli studi lavorando ed è un ottimo disegnatore. É l’una di notte, Giulia e Ahmed stanno per rientrare e nella piazza, quasi deserta, ci sono solo tre ragazzi (uno di colore) seduti su una panchina. Uno dei tre apostrofa Ahmed : “Ehi, quella lì è la tua ragazza?”. “No. É solo un’amica” risponde Ahmed che prosegue e raggiunge uno dei bagni chimici che si trovano sulla piazza. A quel punto il tizio si alza dalla panchina e tempesta di colpi la porta del bagno. Ahmed esce e gli chiede: “Che cazzo fai?”. Quello risponde : “Ho da spiegarti due cose”. Poi – seguendo una tecnica già collaudata in altre aggressioni, come quella tragica di Verona – gli chiede una sigaretta. Ahmed risponde che non ne ha. L’altro gli strappa quella che ha in mano, e visto che Ahmed non si scompone, gli dà uno schiaffo. Ahmed mantiene la calma e questo irrita i ragazzi. Giulia si interpone, cerca di trascinar via l’amico, dice ai ragazzi “siete matti?” e quelli rispondono: “vieni qui che ce n’è anche per te”. Giulia e Ahmed si allontanano e in Corso di Porta Ticinese commentano ad alta voce quello che è accaduto: “Possibile” si chiede Ahmed “che uno venga schiaffeggiato solo perché è gay?”. Quattro adolescenti sdraiati su un prato gli urlano “ricchione!”. Ahmed risponde : “Cosa hai detto?”. Poi, nonostante la rabbia, decide di tornare a casa per non coinvolgere mia figlia in una rissa. Mi chiedo cosa sarebbe successo se Ahmed avesse accettato la provocazione. L’altra mattina, davanti a un caffè, Giulia mi racconta un mondo che le sembra incredibile, che conosceva solo dai giornali o dai film, che non avrebbe mai immaginato di vedere dal vero. Milano diventerà come Roma? Anni di battute da “telecaserma” o da talk-shock hanno seminato il terreno: ciò che conta è trovare un “diverso” da pestare per passar la serata.
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La madre di Brenda in via Due Ponti: “Verità e giustizia”
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CRONACHE
oloroso pellegrinaggio, ieri, della madre di Brenda, la transessuale morta il 20 novembre nel suo appartamento romano, in via Due Ponti. Accompagnata da China, l’altra trans amica di Brenda, la donna ha visitato l’appartamento, portando con sè un mazzo di fiori bianchi e pregando per
madre di Brenda vuole giustizia e verità che spetta a tutte le persone, a prescindere dal loro status”, ha concluso il legale. La donna, che non ha rilasciato dichiarazioni ai giornalisti, si è poi recata all’obitorio del policlinico Gemelli, dove è rimasta per un’ora e ha visitato la salma della figlia, ancora in attesa degli esami autoptici.
qualche minuto. “Stiamo attendendo il via libera dei medici legali per il rimpatrio della salma”, ha detto Nicodemo Gentile, uno degli avvocati della famiglia di Brenda. “I risultati degli esami istologici e tossicologici non sono ancora pronti - ha aggiunto parleremo con i medici per capire quando sarà possibile il nullaosta al sepoltura. La
DUE INCHIESTE, STESSO REATO
Marrazzo e Mussolini, ricatto politico da vicende sessuali Fiore: indagato il fondatore del “Partito degli Artisti” Inviò una mail alla presidenza del Consiglio per estorcere denaro in cambio di un video
di Rita Di Giovacchino
ra le inchieste sono due, due i magistrati che se ne occupano al primo piano della Procura - il procuratore aggiunto Piero Saviotti e il collega Giancarlo Capaldo - ma il reato su cui si indaga è lo stesso. Ricatto politico che trae spunto da vicende sessuali. Vicenda corredate da filmati che lasciano intravedere un’intensa attività di dossieraggio. Iniziata la scorsa primavera e tuttora in corso. Così, mentre il caso Marrazzo appare ancora lontano da una ricostruzione lineare, spunta un video che “ritrae un parlamentare europeo e una deputata mentre fanno sesso”. Questo rivelava una mail inviata alla presidenza del Consiglio all’inizio di settembre da tal Andrea Cacciotti, un produttore televisivo non sull’onda del successo, fondatore nei mesi scorsi del “Partito degli Artisti”. Il nome di Cacciotti è ora agli atti, l’ipotesi di reato tentata estorsione, perché alle indicazioni che il filmato si riferiva ad Alessandra Mussolini e Roberto Fiore il cinematografaro aggiungeva la richiesta di un milione di euro per la cessione. Anche se del video finora non c’è traccia. Altro che breccole! Nei mesi scorsi aveva legato il suo nome a quello di Fabrizio Corona, l’impresario dell’agenzia al centro dello scandalo Vallettopoli. Lo aveva proposto al cartello della Fiamma Tricolore organiz-
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Alessandra Mussolini
zando anche alcune serate in discoteca tra Colleferro e Frosinone. Ma la candidatura del fidanzato di Belen Rodriguez non fu presa in considerazione da Luca Romagnoli, leader del movimento di estrema destra e la cosa finì lì. Cacciotti, interrogato dalla Digos tende a minimizzare il suo ruolo: “Non ho
mai girato quel filmato, sono solo un intermediario. Ero a corto di soldi, speravo potesse interessare Berlusconi”. Una linea di difesa giudicata poco credibile dagli investigatori che nel frattempo gli hanno sequestrato il computer. Al momento non c’è alcun elemento oggettivo che colleghi il ri-
catto ai danni di Alessandra Mussolini e Fiore a quello che ha bruciato la vita e la vita e la carriera politica di Marrazzo. Se non che i loro nomi compaiono nella stessa inchiesta, nota come Laziogate, che vide nel 2005 impegnato Francesco Storace in una serie di azioni tese a danneggiare coloro che riteneva suoi avversari politici alla guida della Regione Lazio. In effetti fu poi Marrazzo a vincere le elezioni. E’ il primo punto di congiunzione tra due storie, che nascono in situazioni del tutto diverse, ma che riportano ad attività di dossieraggio da parte degli stessi ambienti. Storace fu imputato e poi assolto. Anche allora si parlò di video che riprendevano Marrazzo in compagnia di trans (storia cui nessuno credette) mentre per la Mussolini si trattava di un reato di intrusione informatica tesa a invalidare i nomi di quanti avevano sot-
CASO CUCCHI
Un reintegro “inatteso”
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ldo Fierro, Stefania Cordi e Rosita Caponnetti sono tornati al loro posto. I medici del reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma, trasferiti dopo la morte di Stefano Cucchi, avranno di nuovo in carico i detenuti malati. La decisione è stata presa, in seguito ad un’inchiesta interna, dal direttore generale dell’Asl Rmb, Flori Degrassi. La motivazione? Il team non avrebbe potuto prevedere un decesso “improvviso ed inatteso”. Sarà la magistratura a fare luce sulla vicenda e i medici, accusati di omicidio colposo, sono innocenti fino al terzo grado di giudizio. Ma, come denuncia l’associazione “Antigone”, lascia perplessi l’idea che la morte di Stefano possa essere considerata “inattesa”. Stefano era in ospedale da giorni, con fratture e lesioni, rifiutava il cibo e non si alzava dal letto. E ci ha rimesso la vita. (silvia d’onghia)
toscritto la nascita di Alternativa Sociale. Secondo l’accusa, Storace si sarebbe avvalso di uomini della rete che faceva capo all’investigatore fiorentino Emanuele Cipriani (indagato per lo scandalo dei dossier Telecom durante la gestione di Tavaroli). Un nome di primo piano negli ambienti spionistici.
La ricerca impossibile: i soldi finanziano solo bandi vecchi PASSANO ANNI DA QUANDO I RICERCATORI PRESENTANO LA RICHIESTA ALL’ARRIVO DEI SOLDI di Caterina Perniconi
inceramente non mi ricordo più che progetto presentai. O forse sì, perché il bando del 2007 uscì mentre ero in viaggio di nozze”. Comincia così la storia di Stefano Acierno, ricercatore di scienza e tecnologia dei materiali a Benevento, che sta aspettando, insieme ad altri 972 ricercatori, i risultati di un bando di promozione scientifica della Regione Campania, risalente al 2007. “Ho partecipato a un concorso della regione due anni fa – racconta Stefano – e mentre ero in Messico dopo il matrimonio, in pieno scandalo rifiuti, mi ricordo che i messicani ci prendevano in giro: napoletani? Avete la monnezza fino a qua!, ci ripetevano, indicando il collo con la mano. Perciò al mio ritorno, in occasione di quella selezione, pensai di presentare un progetto legato all’attualità sul riciclo”. Il bando a cui Stefano fa riferimento è quello relativo alla
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legge regionale numero 5 del 2002 per la promozione della ricerca scientifica in Campania. Ogni anno, per una strana tradizione burocratica tutta italiana, il concorso viene bandito a novembre. Da due anni, però, i ricercatori strutturati a cui era rivolto stanno aspettando i risultati. Nel frattempo è uscita l’annualità 2008, e tra poco quella del 2009. “A volte penso che facciano di tutto per renderci la vita difficile. Prima ci fanno pre-iscrivere (entro 50 giorni dalla presentazione del bando). Poi entro 60 – continua Stefano – bisogna presentare il progetto on-line e poi, non si capisce perché, anche cartaceo. Secondo me lo fanno apposta per provocare una prima scrematura del 15, 20 per cento delle domande”. Chi è stato eliminato per problemi relativi alle pratiche viene immediatamente informato dalla Regione. Per gli altri comincia un lungo periodo di attesa che fa invecchiare ricercatori e progetti. “Volevo pro-
durre calcestruzzi leggeri usando polistirolo espanso da riciclare. Era una tematica legata alla mia facoltà, ingegneria civile, che aveva una convenzione di ricerca con un’azienda che usava il polistirolo per imballaggi e quindi potevano fornirmi i materiali di scarto già triturati. Oggi, se dovessi vincere, ci riproverei, ma sarebbe più difficile, anche perché i soldi arriveranno nel 2010. E’ una follia far perdere valore ai progetti per tutta questa attesa”. Giuseppe Festinese, funzionario della Regione spiega: “Il bando relativo all’annualità 2007 è stato chiuso a febbraio del 2008. I funzionari scientifici che hanno presentato domanda sono stati 1172, e i progetti che abbiamo ricevuto 1160. Sono un numero molto alto e a quel punto l’ufficio della regione, composto da 3 persone, ha cominciato i controlli per verificare che tutte le carte fossero in regola. Sono state accettate 972 domande. 176 sono state escluse per problemi formali e 12 perché presentati oltre il limite”. Più o meno la cifra che Stefano aveva previsto. “Dopo aver reso anonime le buste, il 3 ottobre del 2008 l’ufficio trasferisce i progetti al comitato dei garanti – spiega Festinese – che a sua volta deve leggere i progetti e catalogarli per scegliere i referee (valutatori, ndr) adatti ai temi proposti. Il 22 aprile del 2009 nominiamo i referee e da quel momento scat-
tano i 60 giorni entro i quali i valutatori possono accettare l’incarico, che doveva essere concluso entro il 30 di settembre, salvo proroga”. L’estensione viene richiesta e concessa per una serie di motivi: “Perché c’era un numero molto alto di progetti – dice Festinese – per la rinuncia e le dimissioni di alcuni referee, che a quel punto andavano sostituiti, e per alcuni problemi accorsi alla piattaforma informatica”. La proroga concessa è il 30 novembre, cioè ieri, per poi passare alla fase di notificazione. Ma i tempi potrebbero ancora allungarsi perché il presidente del comitato dei garanti, Gennaro Ferrara, è divenuto incompatibile con l’incarico dopo la sua nomina a vicepresidente della provincia di Napoli. Nel frattempo, i ricercatori hanno presentato i progetti del 2008 e stanno preparando quelli del 2009. Gli unici che avrebbe senso finanziare nel 2010.
“Volevo produrre calcestruzzi leggeri con il polistirolo, ma il progetto è invecchiato e le risorse ancora non ci sono”
Fatto sta che all’inizio di settembre - negli stessi giorni in cui i carabinieri infedeli rintracciano, attraverso Cafasso, Max Scarfone, il fotografo legato alla scuderia di Fabrizio Corona - giunge alla presidenza del Consiglio questa mail sul filmato che ritrarrebbe Alessandra Mussolini in compagnia di Roberto Fiore. Cacciotti lo offre per un milione. Ma gli inquirenti ritengono che il movente economico sia solo una copertura del vero obiettivo che è e resta politico. L’impresario potrebbe avere in effetti un ruolo marginale rispetto ad altri attori non ancora individuati. Di lui si sa che è un simpatizzante di Forza Nuova, che ha bazzicato per qualche tempo la sede di Via Cadliolo alla Balduina. E a ciò si aggiunge che è legato al mondo dello spettacolo e a Corona. Insomma, se è vero che tre indizi fanno una prova, potremmo giungere alla frettolosa conclusione che un’unica “mente” stia dietro l’uso spregiudicato di questi dossier specializzati in scandali sessuali. Ma questo non è un romanzo di Agata Christie. Come aveva saputo del video Cacciotti? Il verbale è secretato ma negli ambienti di Forza Nuova gira una ricostruzione di cui ognuno può valutarne l’attendibilità. Nessuna trama contro il leader Fiore: le telecamere erano state collocate in una stanza della sede soltanto per scoprire chi fosse l’autore di alcuni furtarelli compiuti nei giorni precedenti. Solo per un caso, e con grande sdegno e stupore dei ragazzi della sede, erano venute fuori quelle immagini imbarazzanti. La vicenda risalirebbe alla scorsa primavera, il dibattito doveva restare nello stretto ambito politico. Ma si sa come vanno le cose: la notizia è cominciata a circolare, forse è venuto alle orecchie dei soliti bene informati. Fabrizio Corona però fa sapere: “Di questa storia non so niente e sto Cacciotti neppure lo conosco”.
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“A Natale regaliamo una Tac e le cure a 4 malati gravi”
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SALUTE
l primo a voler condividere il “viaggio” è stato Claudio Baglioni, testimonial della nuova campagna sociale dell’ospedale Bambin Gesù. “Compagni di viaggio”, appunto. Un’iniziativa che si prefigge di raccogliere fondi, in vista del Natale, per l’acquisto di una Tac 64 multistrato di ultima generazione, in grado di offrire una visualizzazione tridimensionale degli
organi in modo istantaneo. Un macchinario che potenzia le attività di diagnosi e di cura soprattutto in campo empatico e oncologico. Il secondo obiettivo del “viaggio” è quello di assicurare le cure a quattro bambini provenienti dall’estero, sprovvisti di qualunque forma di assistenza, di copertura economica, affetti da gravi patologie cardiache e onco-ematologiche.
Per partecipare al progetto, al quale hanno già aderito molte società, basta fare la propria donazione attraverso il bollettino di conto corrente postale n. 50695006 oppure un bonifico bancario, IBAN IT 08 J 03002 03361 000400212017, entrambi intestati a Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, causale: Compagni di viaggio.
BIMBI DEL BAMBIN GESÙ Francesco, Angela, Stefania e tutti gli altri Storie di pazienti curati con metodi rivoluzionari
Un’immagine del Bambin Gesù di Silvia
D’Onghia
rancesco era un ragazzo affetto da un’immunopatia grave, l’Ipex. Una malattia che nella maggior parte dei casi consente una sopravvivenza fino a due anni. Francesco ne aveva 22 e per tutta la sua vita era stato alimentato attraverso un sondino. Orfano dei genitori, quando è arrivato al Bambino Gesù di Roma era stanco di vivere. Poi aveva saputo che nell’ospedale pediatrico erano già stati realizzati tre trapianti di midollo, uno solo dei quali con esito positivo. Pur di non rimanere in quella condizione, Francesco aveva chiesto di poter essere trapiantato, perfettamente consapevole del rischio cui sarebbe andato incontro. Dopo un parere favorevole del comitato etico dell’ospedale, il trapianto avvenne. Da quel giorno, Francesco è vissuto soltanto un altro anno, prima che un’infezione lo stroncasse. Ma senza sondini e non più in un letto d’ospedale. Sicuramente l’anno più bello, o meno brutto, della sua vita.
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QUANDO IL PROFESSOR Alberto Ugazio racconta la storia di Francesco, si emoziona. Il direttore del di-
Le famiglie sono accolte da un intero staff di medici e da un case manager che li coordina
partimento di Medicina pediatrica del Bambin Gesù, e da ieri presidente della Società italiana di Pediatria, è un medico di 65 anni, il viso buono, tranquillizzante, di quelli che piacciono persino ai bambini. E’ arrivato a Roma da Brescia nel 2000. “Un pediatra dovrebbe iniziare la sua carriera qui, non terminarla”, racconta in un piccolo studio pieno di libri, riconoscimenti e ringraziamenti. Nel 2010 l’ospedale romano, di proprietà del Vaticano ma struttura pubblica, sarà l’unico in Europa dove verranno realizzati tutti i tipi di trapianti pediatrici. 22 mila ricoveri nel 2008, accoglienza gratuita per le famiglie che arrivano da fuori Roma, attività cliniche in oltre 40 paesi, oltre a due ospedali in Tanzania e Cambogia: i piccoli pazienti che arrivano qui sanno che potranno contare su grandi specialisti. Ma soprattutto saranno messi al centro dell’attenzione ospedaliera, non dovranno cioè spostarsi da un medico all’altro, o da un reparto all’altro, ma saranno gli stessi medici a visitarli nel loro lettino di degenza. “E’ passato il tempo delle malattie acute semplici, sconfitte con gli antibiotici, con i vaccini o con l’igiene – spiega Ugazio – oggi dobbiamo combattere con quelle croniche complesse: quelle che colpiscono più organi e dalle quali spesso non si guarisce. Patologie che colpiscono in Italia cinque milioni di soggetti. Per questo c’è bisogno del contemporaneo lavoro di tutti gli specialisti interessati”. ANGELA È UNA PAZIENTE con difetto di lipoprotein-lipasi: le manca un enzima e questo provoca un’altissima concentrazione di grassi nel suo sangue. Quan-
do è arrivata al Bambin Gesù, vent’anni fa, era già stata operata due volte. Grazie alle cure dell’ospedale, oggi Angela ha 30 anni e una figlia perfettamente sana. “Durante la gravidanza è stata ricoverata qui per cinque volte, per rendere il suo sangue più fluido – racconta Andrea Bartuli, coordinatore dell’Ambulatorio Malattie rare – accanto a lei aveva bambini che la guardavano come si guarda un alieno. Era l’unica adulta del reparto, ma non potevamo abbandonarla”. Come per tutte le malattie rare, che sono oltre settemila, il problema principale in Italia sono le cure. L’industria farmaceutica non investe nella ricerca. “All’ospedale Meyer di Firenze hanno avuto in cura una bambina affetta da congiuntivite lignea, una rara forma che può portare alla cecità – continua Bartuli – un medico ha scoperto l’efficacia di un collirio e ha chiesto alla ditta di produrne di più. L’Agenzia del farmaco, in mancanza di una regolare sperimentazione, ne ha invece bloccato la produzione. Alla fine è stato consentito alla casa farmaceutica di produrre il collirio solo per quella paziente. Ma nel frattempo è arrivata qui una bambina nelle stesse condizioni. Chi glielo dice alla sua famiglia che esistono pazienti di serie A e pazienti di serie B?”. Questo è un tipico esempio di farmaci orfani. In Italia c’è un grande spreco di risorse: basti pensare al cosiddetto “medical shopping”, le famiglie che sono costrette a girare tra mille specialisti, magari spesso ripetendo più volte gli stessi accertamenti. Per i casi di malattie rare, ad accogliere i pazienti al Bambin Gesù c’è un intero staff, con tanto di “case manager” che si occupa di illustrare agli altri medici la situazione clinica e coordinare il loro lavoro. Questo consente di risparmiare tempo e denaro. STEFANIA A 12 ANNI è stata colpita da un ictus. Era affetta da Lupus eritematoso sistemico, una malattia cronica di natura autoimmune. Ma nessuno, fino ad allora, lo aveva capito. Stefania è stata rianimata, salvata, poi presa in carico in reumatologia, dove l’hanno riabilitata. Oggi Stefania ha 19 anni, viene curata con farmaci biologici ed è iscritta a Medicina. Vuole fare il medico e salvare vite come la sua. Non è guarita, forse
non guarirà mai, ma vive e lotta. Il Bambin Gesù è anche un Irccs, un istituto di ricerca. Ne sono attive sei, tutte dirette: dal laboratorio al letto. “La ricerca è fondamentale non soltanto per le immediate applicazioni cliniche, che spesso possono non esserci – afferma Ugazio – ma è importante stare al passo con i tempi. Mi ricordo che all’inizio della mia carriera, quando lavoravo altrove, una banca locale donò all’ospedale una Tac. Per noi era fantascienza. Rimase un anno in cantina perché nessun radiologo era in grado di usarla. E, quando lo furono, la macchina era già
vecchia”. Il padiglione Giovanni Paolo II, dove il professor Ugazio lavora, è suddiviso per intensità di cura e non per patologia. Le divisioni (brutte anche nel termine) non esistono più. E anche questa è una piccola rivoluzione. Il grande difetto del Bambin Gesù è lo spazio ridotto. La struttura è rimasta nello stesso luogo di Roma in cui l’ospedale venne fondato, nel 1869, e non c’è alcuna possibilità di espandersi. Presto, però, gli uffici amministrativi verranno spostati in un nuovo edificio nel quartiere San Paolo, dove verrà inaugurato anche un centro di formazione pediatrica post universitaria.
TANZANIA
IL DONO PIÙ GRANDE, UN SORRISO Dal 1994 i medici dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù operano in oltre 40 paesi del mondo. Sono stati effettuati centinaia di interventi chirurgici e in buona parte di questi paesi si è svolta anche attività clinica e di insegnamento. Con altri è stata avviata una collaborazione, al fine di far formare in Italia medici e paramedici stranieri. Questa è la testimonianza della dottoressa Claudia Bracaglia, al suo rientro da Mwanza, in Tanzania, dove è stata allestita una struttura fissa. di Claudia
Bracaglia
chiunque mi domanda come sia andata la mia “avvenAdinaria, tura” in Africa dico che è stata un’esperienza straordura ma straordinaria! Ho trascorso un mese a Mwanza, in Tanzania, al Bugando Medical Centre, dove da inizio ottobre ha preso il via la nuova scuola di specializzazione in Pediatria dell’OPBG. All’inizio è stato davvero difficile affrontare una realtà così diversa dalla nostra. L’ospedale è molto grande, uno dei quattro più grandi della Tanzania e di riferimento per tutto il paese, i reparti di pediatria sono a dir poco “affollati”: due-tre bambini insieme nello stesso letto, con patologie diverse magari trasmissibili, in condizioni igieniche indescrivibili. I neonati più di uno in una stessa culla e i prematuri riscaldati con le stufette elettriche. Il più delle volte i bambini arrivano in ospedale in condizioni ormai troppo gravi e ogni giorno ne muoiono almeno 3 o 4. I mezzi a disposizione sono carenti e scadenti, pertanto ci si sente davvero impotenti e quasi inutili. Ma purtroppo questa è la realtà! E poiché è impossibile portare tutti questi bambini in Italia per fornire loro le cure di cui avrebbero bisogno, e che magari li salverebbero, mi sono dovuta “adattare” a questa situazione e fare il meglio che potevo con i mezzi a disposizione. Giorno dopo giorno è stato un crescendo... I pazienti si affezionano, i genitori si fidano e chiedono che sia tu a visitare il loro bambino perché sei un “Mzungo” e ti credono “migliore”. Con i bambini gravi fai tutti gli sforzi possibili, con i mezzi che hai, ma a volte, il più delle volte, non è abbastanza; ma quel bambino che migliora e poi guarisce e torna casa, ti ricompensa di tutti gli sforzi e ti ricorda perché hai scelto questo straordinario lavoro. Ma il dono più bello è il loro sorriso, costante e gratuito, e la capacità di questi genitori di saper dire sempre “Asante!”, Grazie!, anche se non hai fatto nulla, anche solo per la tua presenza, anche se poi alla fine il loro bambino muore.
N INFLUENZA
Virus mutato anche in Italia
A
nche in Italia è stato riscontrato un caso di mutazione del virus H1N1: lo ha reso noto il ministero della Salute, secondo cui continua a essere necessario vaccinarsi contro l’influenza. La mutazione non appare comunque determinante nei casi gravi o letali”.
NAPOLI
Falsi rimborsi 900 indagati
U
na commercialista, suo marito e altre 16 persone sono stati arrestati dalla Guardia di finanza di Napoli per una maxi truffa. 900 gli indagati in varie regioni d’Italia. La donna gestiva le dichiarazioni dei redditi chiedendo allo Stato rimborsi per cure e interventi chirurgici ritenuti inesistenti. 14 i milioni che lo Stato ha già rimborsato in busta paga ai contribuenti. Tra gli indagati pensionati, impiegati e molti dirigenti d’azienda.
INCHIESTA WHY NOT
35 richieste di rito abbreviato
E’
salito a 35 – sulle 98 persone coinvolte – il numero dei giudizi abbreviati che saranno celebrati (a partire dal 15 gennaio) a carico di altrettanti imputati dell’inchiesta “Why Not”, relativa a presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici destinati alla Calabria. Nell’inchiesta, avviata dall’allora sostituto procuratore Luigi De Magistris, si ipotizzano tra gli altri reati, l’associazione per delinquere, l’abuso d’ufficio, la truffa aggravata, la frode, il peculato.
L’AQUILA
Mummie sotto i resti della chiesa
S
ono stati scoperti scheletri e resti di cadaveri mummificati sotto al pavimento della chiesa di San Giovanni evangelista, nella frazione Casentino di Sant’Eusanio Forconese (L'Aquila), uno dei comuni colpiti dal terremoto. Della chiesa erano rimasti in piedi parte della facciata, la parete destra e l’abside.
Martedì 1 dicembre 2009
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Dalla Finanziaria spariscono gli incentivi all’auto elettrica (in Italia)
M
GREEN ECONOMY stanziato 1,5 miliardi di euro per realizzare una rete di stazioni di ricarica e 900 milioni per incentivare gli enti pubblici a comprare le auto elettriche. L’Inghilterra ha al contrario predisposto più fondi (400 milioni di sterline) per gli incentivi all’acquisto che per la rete di ricarica (30 milioni). Seguono la Germania (con 500 milioni di euro) e la
anca solo un mese alla scadenza degli ecoincentivi, e la partita per rinnovarli resta aperta: nell’incontro di oggi tra governo, Fiat e sindacati, peserà anche il tema dell’auto elettrica. Nella recessione l’Europa sta investendo per agevolare l’acquisto di automobili elettriche: la Francia ha appena
Spagna (con 8 milioni). Si impegnano per l’auto pulita gli Stati Uniti, che hanno stanziato 30 milioni di dollari fino al 2010 e l’Unione europea, che ha previsto 30 milioni di euro per la rete di ricarica. In Italia, per ora, ci sono un migliaio di auto elettriche e solo un centinaio ha usufruito, nel 2009, degli incentivi statali.
Termini Imerese: Scajola chiede garanzie a Marchionne
LA STRADA TUTTA IN SALITA CHE PORTA ALL’AUTO VERDE L’obiettivo è il basso impatto ambientale La sfida tra elettricità, idrogeno e gas di Daniele Martini
sibile grande affare.
utti avanti con passo deciso verso l’auto pulita, ma in ordine sparso, ognun per sé. I maggiori costruttori mondiali hanno capito da tempo di non potersi sottrarre all’impegno per la realizzazione di vetture meno inquinanti, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica (CO2), e infatti si stanno concentrando con convinzione verso l’obiettivo. Non tutti, ovviamente, e non con la stessa intensità.
CHI IMBROCCA la tecnologia ambientale valida del futuro, ammesso che ci sia una sola tecnologia appropriata, avrà le porte del mercato spalancate. Per una volta gli interessi di parte (dei grandi gruppi automobilistici) si sposano in larga misura con gli interessi generali (dei cittadini che giustamente pretendono aria meno sporca). Ma siccome le variabili tecnologiche per la produzione di un’auto verde sono mille più uno, ecco che ogni grande casa costruttrice ha la sua ricetta. E ognuno spera di aver trovato la pietra filosofale. Ogni scelta produttiva ha i suoi pro e i suoi contro, dall’elettricità al metano al Gpl, dall’idrogeno (per ora assai futuribile) all’opzione di modelli ibridi, dai biocarburanti ai motori più piccoli ma ugualmente
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C’È ANCHE CHI continua imperterrito a immettere sul mercato modelli da incubo dal punto di vista delle emissioni, i soliti e ingombranti Suv, per esempio, di cui è espressione estrema la Porsche Cayenne, il fuoristrada di lusso diventato un esempio negativo di scuola per gli ambientalisti, con un consumo di oltre 22 litri di benzina ogni 100 chilometri in città ed emissioni di CO2 pari a più di 350 grammi a chilometro, due volte e mezzo superiori a quelle massime tollerate. Ma perfino la Rolls Royce, per dire di un’azienda che non punta di certo alla produzione di massa e alla clientela popolare, ha fatto sapere che immetterà sul mercato un modello ibrido, benzina-elettrico. E anche i produttori tedeschi di macchine di lusso tipo Bmw Serie 7 e Mercedes Classe S lavorano a modelli meno inquinanti rispetto a quelli del passato, mentre Volkswagen sta implementando la tecnologia BlueMotion già montata sulla Polo che consente minori consumi e minori emissioni. La maggior parte dei costruttori di automobili ha imboccato la strada virtuosa della riduzione degli agenti inquinanti con la consapevolezza che si tratta non solo di un’azione buona e giusta, un gesto di responsabilità sociale dovuto, ma anche del prodromo di un pos-
Emissioni zero per Ion la city car (quasi pronta) di Peugeot Costerà circa 10.000 euro la Ion di Peugeot, presentata all’ultimo Salone di Francoforte. Una city car con un’autonomia di 130 Km, 6 ore di carica delle batterie al litio.
veloci e potenti alla politica dei piccoli passi nel solco della tradizione. Come, per esempio, l’adozione della tecnologia dello start and stop che quasi tutte le case automobilistiche stanno per adottare, un sistema che consente al motore praticamente di spegnersi al semaforo o in fila, e di ripartire senza problemi e senza bisogno di una riaccensione. L’azienda che a livello europeo ha fatto la scommessa più audace e radicale è la francese Renault, in coppia con la Nissan. La casa transalpina sta puntando dritto sulla vettura elettrica, una tecnologia per molti versi matura, ma che presenta anche aspetti problematici, legati soprattutto alle batterie che si esauriscono in fretta e alla loro ricarica. Per quanto riguarda i materiali, la nuova frontiera sembra quella dell’uso del litio, già adoperato per i cellulari. Batterie prodotte con questo metallo sono montate, per esempio, dalla
Toyota Prius, ma c’è già chi paventa una guerra per l’accaparramento della materia prima dal momento che il 50 per cento dei giacimenti conosciuti si trova in Bolivia, nei laghi salati prosciugati delle Ande. Nonostante questi potenziali intoppi, i manager Renault sono molto convinti della scelta effettuata: “Riteniamo che il veicolo elettrico segni un punto di rottura in campo tecnologico”. Sul sito ufficiale hanno addirittura installato un calendario-orologio per calcolare il tempo che rimane per il lancio sul mercato della prima gamma di auto completamente a energia elettrica e a zero emissioni; da qualche tempo mancano meno di 1.000 giorni, i primi 4 modelli completamente elettrici saranno acquistabili nel 2011 e nel 2012. Saranno una berlina familiare, una citycar, una berlina compatta e
somma, di accompagnare il lancio della novità con una rete di supporto adeguata e quindi stanno prendendo accordi con gli operatori specializzati nel trattamento delle batterie in leasing e nell’installazione delle infrastrutture necessarie, con le aziende elettriche (in Italia la milanese-bresciana A2A) e con reti di enti pubblici, cioè amministrazioni locali. La Fiat, invece, punta sul metano considerandolo il carburante più pulito e nello stesso tempo più economico. Nella gamma della Casa di Torino ci sono ormai vetture alimentate esclusivamente a metano come la Qubo, mentre l’Alfa Romeo ha lanciato da poco tutta una serie di auto a Gpl come Mito, Ypsilon, Musa e Delta. Complessivamente parlando, cioè tenendo conto di tutta la gamma di veicoli, dalla Panda alla Croma, il gruppo italiano è da alcuni anni in testa alla classifica dei produttori più virtuosi, con una quantità di emissioni di CO2 nel 2009 addirittura inferiore alla soglia che entrerà in vigore in Europa a partire dal 2012. Di recente la Fiat si è concentrata sulla tecnologia Multiair, sistema che permette di controllare elettronicamente la
Dal 2012 la Renault punterà sulla Zoe Z elettrica al 100 per cento
una multispazio. Consapevoli, però, che l’introduzione del nuovo tipo di automobile comporta una serie di inconvenienti collegati in parte alla tecnologia in sé, ma soprattutto alla gestione della novità, i manager francesi stanno prendendo accordi per evitare che i modelli si inseriscano in un vuoto infrastrutturale ingestibile. Che una volta comprata l’auto, cioè, uno poi non sappia come e dove caricare le batterie dal momento che non tutti hanno un box dove sistemare l’auto per eseguire l’operazione. Alla Peugeot stanno cercando, in-
Per ora la Zoe Z è solo un prototipo, ma dal 2012 dovrebbe entrare in produzione, vettura al 100 per cento elettrica realizzata da Biotherm, marca della divisione prodotti di lusso del Gruppo L’Oréal, assieme a Renault.
composizione della miscela tra aria e benzina rendendola ottimale non solo sui motori nuovi anche se di tipo tradizionale, ma addirittura su quelli già in produzione. Con questa tecnica sviluppata nei laboratori di ricerca dell’azienda torinese e prodotta negli stabilimenti del-
la stessa società diminuiscono i consumi e si riducono le emissioni. E inoltre ha un vantaggio notevole da un punto di vista dei costi essendo utilizzabile sui motori “vecchi”, in produzione da tempo, con risparmi evidenti in termini di ricerca e sperimentazione. Il Multiair al momento è stato installato sulla Mito e poi sulla Punto Evo, la nuova Punto lanciata alcune settimane fa. L’ALTRO GRANDE costruttore europeo che da tempo affianca Fiat nella lista dei più virtuosi da un punto di vista ambientale, cioè la Psa Peugeot-Citroën, coltiva un approccio articolato all’auto verde. Nel senso che ritiene non esista al momento una tecnologia vincente sulle altre e che quindi valga la pena tenere i fari accesi in diverse direzioni in modo da non perdere alcuna occasione privilegiando la politica prudente dei piccoli passi. “Preferiamo puntare su tanti piccoli miglioramenti tecnologici applicabili alla produzione su larga scala di milioni di veicoli piuttosto che incaponirci su soluzioni ancora incerte come l’idrogeno”, spiegano i tecnici del gruppo francese. Tra i miglioramenti adottati ci sono i motori down sizing, cioè più piccoli, ma con prestazioni praticamente uguali rispetto ai più grandi prodotti finora. Peugeot fin dai primi anni Duemila ha puntato molto sul miglioramento delle tecnologie per quanto riguarda le emissioni e può vantare il merito storico di aver anticipato la ricerca e lo sviluppo di filtri attivi antiparticolato per i motori diesel. E già prima aveva immesso sul mercato una 106 completamente elettrica di cui, però, in dieci anni, dal 1995 al 2005 ha venduto appena 10 mila unità Per l’anno prossimo annuncia un altro modello tutto elettrico, la Ion, con 4 posti e 130 chilometri di autonomia ritenendo che possa risultare vincente soprattutto in ambito urbano.
di Bankomat
LA “NUOVA” ALITALIA
PATRIOTI A 150 GIORNI aranno fieri i fornitori di Alitalia-Cai, riuniti in convention il 25 novembre per abbondanti due ore da Rocco Sabelli, che ha illustrato loro strategie e successi della nuova gestione. Perché l’amministratore delegato ha sottolineato l’opportunità per le 500 aziende fornitrici di Alitalia presenti, su circa il doppio che sarebbe il parco fornitori, di partecipare a questa avventura. Alitalia nuova gestione sarebbe un “volàno” per lo sviluppo dei suoi fornitori, è stato detto, forse con infelice gioco di parole. E poi chi c’era ha saputo dall’ottimo Sabelli che Alitalia finalmente va bene. Che efficienza e trasparenza saranno le nuove linee guide della politica degli acquisti – involontaria
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ironia nel dare questa come una notizia – e infine che Alitalia, con i suoi successi commerciali sta tornando a “produrre cassa”. In realtà i molti fornitori assenti non si sono persi granché, o forse sapevano già come andava a finire: perché si è scoperto che siccome la cassa ci sarebbe, ma serve ad Alitalia, tutti i fornitori d’ora in poi saranno pagati peggio, cioè a 150 giorni. Centocinquanta. Quindi i veri finanziatori di Alitalia sono i fornitori. Loro sono i veri patrioti. Adesso speriamo che le banche italiane abbiano la stessa pazienza e accettino di scontare ai fornitori le fatture che Alitalia paga a cinque mesi. Uno sconto che, chiedete in giro, di questi tempi non è affatto scontato.
opo la minaccia da parte Dgli incentivi del governo di togliere statali alla Fiat, nel caso venisse chiusa la fabbrica di Termini Imerese (come conseguenza di una strategia di ridistribuzione dei modelli e della produzione tra i vari stabilimenti del gruppo) e le successive risposte dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, continua il negoziato. Ieri si è tenuto un incontro tecnico per preparare quello di oggi tra il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, Marchionne e i sindacati. L’obiettivo di Scajola è che il livello della produzione di auto in Italia resti quello attuale e quindi che l’occupazione venga tutelata. Scajola ieri ha garantito che il governo “farà la sua parte in termini di politiche industriali e di incentivi a sostegno della ricerca e dell’innovazione”. Il ministro poi si è rivolto ai sindacati: “Dopo la mia visita a Termini Imerese abbiamo focalizzato la nostra trattativa sul fatto che la produzione in Italia è inferiore alle nostre aspettative”. E ha aggiunto: “E’ su questo dato che stiamo poggiando la nostra azione. Ci muoviamo con l’obiettivo di aumentare la produzione. E fino al 21 dicembre – data del tavolo a Palazzo Chigi – abbiamo il tempo per lavorarci sopra”. Bisogna anche capire “quali investimenti siamo disposti a fare”, ha poi aggiunto Scajola, rivolgendosi indirettamente al Lingotto per esplicitare che il governo si muove in base all’impegno di Torino “per l’innovazione del prodotto”. Commenta Franco Piro, responsabile del dipartimento politiche economiche del Partito democratico: “Dagli incontri che si svolgeranno a Roma nei prossimi giorni deve emergere con chiarezza qual è la posizione del governo e della Fiat sulla soluzione da dare ai problemi dello stabilimento di Termini Imerese”. Piro poi si pronuncia sul tema dell’auto pulita: “E’ davvero incomprensibile e negativo l’orientamento assunto dal governo Berlusconi, che non intenderebbe estendere gli incentivi ecologici del settore auto anche alle auto elettriche, spingendo la Fiat a spostare il settore negli Stati Uniti. Quello delle auto elettriche è un segmento che avrà una fortissima espansione nei prossimi anni e che richiede forti investimenti in ricerca e innovazione tecnologica e che, pertanto, potrebbe essere una delle proposte da portare avanti per Termini Imerese”.
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Martedì 1 dicembre 2009
DAL MONDO
“LO SDOGANATORE DI DITTATORI” Prima Gheddafi, ora Lukashenko: Berlusconi e la ragion di business di Giampiero Calapà
opo Putin e Gheddafi, la politica estera italiana approda anche in Bielorussia. Fatta salva la ragion di Stato, pare che il premier Silvio Berlusconi abbia una certa facilità all’amicizia con i tiranni. Per l’ex ministro al Commercio internazionale, la senatrice radicale Emma Bonino, questo governo è impegnato nello “sdoganamento dei dittatori” con “misteriosi viaggi all’estero”. Tanto che il sottosegretario Paolo Bonaiuti attacca: “La Bonino si consoli, non c’entra nulla Agatha Christie. Si parla dei principali temi dell’agenda mondiale”. Appunto. Senatrice Bonino, che messaggio arriva alle segreterie di Stato delle altre nazioni del Patto atlantico? Magari fossimo ancora allo stadio dei “messaggi”, perché lo sdoganamento di dittatori da parte di Berlusconi è ormai universalmente noto. Tant’è che Lukashenko stesso ha detto di non credere che “Silvio mi chiederà garanzie democratiche”: lo conosce bene evidentemente. E il governo italiano è stato particolarmente attivo a Bruxelles nel chiedere di eliminare le sanzioni
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contro la Bielorussia. La nostra politica estera, se così vogliamo chiamarla, è soprattutto totalmente opaca e non rende conto a nessuno qui in Italia. Peccato che il nostro più grande partito d’opposizione non sembra preoccuparsene più di tanto”. Se lei fosse il ministro degli Esteri, in visita in Bielorussia cosa chiederebbe a Lukashenko? No guardi, una visita bilaterale non sarebbe neppure ipotizzabile. Semmai si potrebbe immaginare qualche iniziativa solo in un contesto concordato e condiviso a livello multilaterale o europeo. Da un dittatore all’altro. Gheddafi viene spesso e volentieri a Roma. L’Italia, compresa la sinistra dei D'Alema, stringe con lui patti sulla sorte dei migranti. La Libia è un partner credibile e serio per governare insieme una questione così delicata? I Radicali sono stati tra i pochi in Parlamento a opporsi a questo accordo grottesco. Non mi pare che Gheddafi abbia alcuna intenzione di occuparsi del fenomeno dell’immigrazione, se non nel peggior modo possibile, modo di cui ci giungono solo gli
echi perché l’Onu non può operare in Libia. L’unico risultato concreto di questa politica è che Gheddafi ormai a Roma è di casa, con tanto di sceneggiate con le hostess a pagamento. Grazie anche a D’Alema, non c’è dubbio. Come giudica l’attuale inquilino della Farnesina, Franco Frattini? Non è una questione di persone: esprimo giudizi politici su aspetti importanti della politica estera. Su altri aspetti, per esempio nella campagna internazionale contro le mutilazioni genitali
femminili, il livello di cooperazione è intenso e positivo. E, con buona pace di Paolo Bonaiuti, conoscere e discutere i capisaldi di una politica non dovrebbe esser ritenuto reato di lesa maestà. La Svizzera ha deciso: niente minareti. E la Lega lancia la proposta di mettere la croce nel tricolore. Mandiamo i leghisti in Svizzera o costruiamo qualche moschea in più? Se non ricordo male Bossi del tricolore voleva fare ben altri usi. Purtroppo la Lega non riesce mai a dare risposte equilibrate, neppure se si tratta di una decisione che riguarda gli svizzeri. Anche stavolta cavalca le paure per ottenere facili consensi. I minareti sono parte integrante delle moschee, sarebbe come costruire una chiesa senza campanile. Se la proliferazione delle moschee è per loro fonte di preoccupazione allora dovrebbero preferire di gran lunga che ciò avvenga alla luce del sole. Ma consentire la libertà religiosa per poi vietarne i segni esteriori è perlomeno ipocrita.
Alexandr Lukashenko, 56 anni (FOTO ANSA)
Lukashenko
DALL’URSS ALLA BIELORUSSIA IN PATTINI E BELLE DONNE Giancesare Flesca
li sport preferiti dall’ultimo autocrate comunista rimasto in EuGrotelle ropa sono il pattinaggio, indifferentemente se su ghiaccio o su e le donne. Succede così che in alcune gelide mattinate di Minsk, la capitale della Bielorussia, si veda un gruppetto di consiglieri e belle donne pattinare assieme, discutendo dei problemi del paese. Problemi che lui, il leader, ha liquidato così: “Non permetterò che il mio governo segua il mondo civilizzato”. Eletto una prima volta nel ’94 a scanso di incidenti di percorso ha fatto approvare un emendamento alla Costituzione che gli permetterà di restare al potere praticamente all’infinito. Al referendum hanno votato per lui l’80% degli aventi diritto, come nelle migliori tradizioni staliniste. Nel ‘96, temendo il contagio dalla rivoluzione ucraina, ha sciolto il Parlamento costringendo i suoi ex alleati, fra cui numerosi ministri, a fuggire all’estero, o a schierarsi fra mille pericoli con l’opposizione. Quanto alla libertà di stampa ha fatto chiudere tutti i giornali vagamente dissidenti, compresi i satirici. A Minsk la polizia segreta si chiama Kgb e il Soviet Supremo c’è ancora. La Bielorussia è l’unico paese europeo dove resta in vigore la pena di morte, senza moratorie. Dall’indipendenza (1991) più di 400 le esecuzioni. Ma Lukhashenko un certo rapporto con il suo popolo ce l’ha. Nato 54 anni fa in una campagna povera, poi fedele dirigente di un kolkhoz di pollami, ha fatto carriera alimentando un mix fra stalinismo e nazionalismo. Nel suo paese l’economia resta all’80% in mano dello Stato, e guai a chi tenta la libera impresa. Epica è stata la sua battaglia contro McDonald’s perché offre “cibo scadente”. Disposta la revoca di tutti i fast food, ha promesso la loro sostituzione con ristoranti nazionali: specialità zuppa di cavolo, salsicce e patate in tutte le versioni possibili. Di che tempra sia fatto e quanta considerazione abbia per gli Usa l’aveva fatto capire già nel ‘98 quando Clinton gli spedì un ambasciatore: prima di riceverlo lo fece aspettare 6 mesi, e sfrattò l’ambasciata perché il palazzo dove si trovava “serve al popolo”. Costretta la Bielorussia a un’economia di pura sussistenza l’interlocutore privilegiato, anzi l’unico, è stato finora la Russia. Con il Cremlino il compagno Lukashenko s’è permesso molte cose: dal no alle privatizzazioni al diniego di rimborsare il debito energetico; a Mosca lo si considera ormai un alleato tanto costoso quanto impresentabile. Così lui cerca di rilanciarsi proponendo di far incontrare a Minsk il Papa con il Patriarca ortodosso. Vorrebbe inoltre un posto nell’Unione europea. E il ministro degli Esteri Frattini, si vanta di essere “il principale avvocato di un avvicinamento della Bielorussia alla Ue”.
Martedì 1 dicembre 2009
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DAL MONDO
Il nuovo pericolo dell’Aids
BUONE NOTIZIE
SOLE CONCENTRATO
GIORNATA MONDIALE: IL PROBLEMA-TEST allo scoppio dell’epidemia di Aids nel 1981, quasi 60 milioni di persone sono state infettate e 25 milioni sono decedute per cause legate al virus. Ma le nuove infezioni sono diminuite del 17% negli ultimi 8 anni, sostiene l’Onu, in occasione della giornata mondiale sull’Aids di oggi. Secondo i dati ufficiali quasi 3 milioni sono state salvati da terapie efficaci (i decessi sono scesi del 10% negli ultimi 5 anni
grazie alle medicine disponibili dal ‘96). Ma la malattia virale che ha cominciato a colpire prima gli africani (probabilmente dopo aver compiuto il “salto” dall’animale all’uomo) e divenuta un flagello planetario quando ha cominciato a dilagare tra le comunità omosessuali occidentali, continua a uccidere. Secondo le stime dell’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dell’Unaids,
REALPOLITIK
di Stefano Citati
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PREDICARE MALE RAZZOLARE BENE elle terre dove l’emergenza Aids è più forte e l’impegno delle chiese locali è più intenso e influente parlare dell’uso del preservativo con le gerarchie ecclesiastiche è normale. Ed è facile sentirsi rispondere che la questione vista da vicina è ben diversa da quella della “casa madre” vaticana. L’accento, in Africa e non solo, viene posto molto più sulle difficoltà culturali a far passare l’uso del preservativo tra la popolazione maschile che sui diktat papali, che negano la possibilità dei veri cristiani di usare misure anticoncezionali. Negli slums e nei villaggi dei paesi in via di sviluppo è comune imbattersi in preti di mondo che sanno bene come le prese di posizione si stemperano e si adeguano alle condizioni e situazioni sociali. Così, benché papa Ratzinger prosegua la linea di intransigenza del suo predecessore polacco Wojtyla (che sugli anticoncezionali riuscì - da cardinale - a frenare anche le aperture proposte da Paolo VI), sul campo vale il detto “predicare bene, razzolare male”, ma all’inverso.
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a cura della redazione di Cacaonline
VERTICE SUL CLIMA
Concentratore solare con specchi attivi rotanti, da Archimede a Ufo Robot Giovedì il Cnr di Firenze ha inaugurato all'Osservatorio di Arcetri il “Concentratore solare con specchi adattivi rotanti” capace di sviluppare energia elettrica a basso costo e a ridurre l’impatto paesaggistico. Spiega Francesco D’Amato, primo ricercatore all’Istituto nazionale di ottica applicata del Cnr di Firenze: “Si tratta di un binario semicircolare di 25 metri di diametro dove si muove un carrello e su questo carrello è stato montato un telaio di 8 metri quadri di specchi. Il carrello segue il movimento del sole e rimanda luce su un
nel 2008 sono stati registrati 2 milioni di decessi dovuti al virus, 1,4 milioni dei quali nell’Africa sub-sahariana. I nuovi contagi sono stati 2,7 milioni al ritmo di 7.400 al giorno, portando a 33,4 milioni il numero di persone che convivono con l’Hiv (22, 4 in Africa). “Numero più alto che mai”, secondo Unaids e Oms, anche perché le persone colpite vivono più a lungo grazie alla terapie antiretrovirali. La vera emergenza è ora la sensibilizzazione, il livello di guardia che si è abbassato, a iniziare dai paesi più colpiti: adesso che di Aids non si muore più per forza, ora che la malattia appare meno temibile, molte persone tornano a costumi sessuali meno rigidi e soprattutto diminuiscono i controlli e i test sulla sieropositività. Caso esemplare l’Uganda, fiore all’occhiello della guerra all’Aids negli anni ‘90: il tasso di sieropositivi è crollato rapidamente da oltre 30% a sotto il 6%, poi nell’ultimo paio di anni è risalito attorno al 7%, perché i fondi (occidentali) per le campagne di sensibilizzazione e le abitudini degli ugandesi si sono rilassate, facendo emergere anche un fenomeno nuovo. Sempre più spesso i malati sono mariti (o mogli), sposati da tempo, per i quali la malattia dopo anni di convivenza pareva non rappresentare più un problema, dando per scontata la reciproca fedeltà, portando a contromisure meno rigide. Altro fattore, la cultura distorta diffusa dai governi di alcuni paesi in via di sviluppo, secondo la quale l’Aids è
altro specchio speciale collocato al centro binario. Da qui, grazie a un motore Stirling, cioè un sistema che trasforma energia termica in elettrica, si crea l’energia. Con questa tecnica si possono realizzare impianti capaci di arrivare a 1500 gradi di calore e una produzione elettrica di 200 chilowatt, sufficiente per alimentare una sessantina di appartamenti”. Una nuovissima tecnologia che ricorda gli esperimenti di Archimede sugli specchi ustori, la saggezza degli antichi al servizio del risparmio energetico. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
New York
ancy Pelosi passerà alla storia per essere stata la NCiccone, prima donna speaker della Camera; Veronica in arte Madonna, è una stella nel firmamento dello star system, Jill Jacob (Giacobba) Biden, è la Second Lady e finora ha fatto egregiamente la sua parte. Robert De Niro e Al Pacino hanno regalato capolavori al cinema e Rudy Giuliani sembra pronto a correre per il Senato. Tutti, come chiaramente rivelano i loro cognomi, hanno origini nel Bel Paese, di cui si sono dichiarati (e mostrati) spesso, genuinamente fan. A seguire gli stereotipi, però, relativi alla “gente italica”, c’è da scommettere che tutti saranno stati, almeno una volta, magari sottovoce, definiti dei “Guido” o delle “Guidette”. Questo, infatti, il termine che, nello slang, definisce, con accento chiaramente negativo, una certa categoria di americani di origine italiana. Esso, indica, in buona sostanza, un aspetto fisico e un modo di vestire un po’ rozzi, un livello sociale basso e, anche, un qualche legame con la mafia. Essere un Guido (o una Guidette) non è (o non dovrebbe essere), dunque, qualcosa di cui andare fieri. A meno che, ciò non diventi il lasciapassare per apparire in tv e non in un film di Coppola o di Scorsese, bensì in un reality show di ultimissima generazione, “Jersey shore”, pronto nel palinsesto di Mtv. Il programma, che partirà gio-
L
a conferenza sul clima di Copenaghen sarà “un fallimento” se la proposta danese, che vuole che il mondo adotti il 2020 come anno nel quale le emissioni raggiungano il loro massimo, verrà approvato. Lo ha detto il ministro indiano dell’ambiente Jairam Ramesh.
AFGHANISTAN
Moore a Obama: no a nuove truppe
P Murale a Soweto, Sudafrica (FOTO ANSA)
una malattia “imposta” dall’Occidente e i metodi di contrasto sono un attentato alle libertà degli africani (vedi, tra altri, Sud Africa e Zimbabwe). Anche in occidente il problema non risolto è quello dei test e di come far emergere tutti i sieropositivi che non sanno (e spesso non vogliono sapere) di essere a rischio, con una diffusione sempre meno “settoriale” del virus,
che coinvolge infatti categorie che si pensavano inizialmente non esposte. In Italia, aumenta il numero delle persone sieropositive, stimate dagli ultimi dati, attorno alle 180mila unità (1 su 4 non sa di esserlo), delle quali circa 22mila con Aids conclamato. L’età media dei sieropositivi è di 34 anni per le donne, 38 per gli uomini. (S.C.)
Germania
PROCESSO ALL’ULTIMO BOIA NAZISTA
Gli italoamericani e lo stereotipo Guido di Angela Vitaliano
L’India contro la bozza danese
vedì, avrà come protagonisti un gruppo di ragazzi che, per essere selezionati, dovranno appunto dichiarare di essere dei “Guido” e mostrarsene fieri. DoPrima su una sedia a rotelle, poi sdraiato su una barella: John vranno, perciò, esibire scarsa cultura, Demjanjuk, 89 anni, ha seguito così, nell’aula del tribunale di difficoltà a completare una frase logica, Monaco di Baviera, le prime due udienze che lo vedono alla sbarmuscolo tatuato, capello a spazzola gera con l’accusa di concorso nell’eccidio di quasi 28mila ebrei. latinato, magliette di una taglia sotto (o camicia attillata e sbottonata), gioielleria pacchiana e intercalare i discorsi con qualche “va fa a Napoli” e “mulignana” (dispregiativo per indicare le persone di colore). intende dare una definizione globale agli italoaAd affiancarli delle pettorute (e rifatte) “Guidet- mericani. Già in passato, vibranti polemiche erate”, esagerate in tutto tranne che in cervello e no scoppiate intorno a una serie pluripremiata copronte ad accaparrarsi il Guido vincente: i “Guidi” me “I Soprano”, sempre ambientata in New Jere le “Guidette”, infatti, nella normalità, si accop- sey, che, nelle sue sei stagioni, ha raccontato la piano fra loro, così come accade negli altri so- vita di un gruppo di famiglie al servizio della macio-gruppi con rigide connotazioni. La pubblicità fia. Polemiche che ricordano quelle di chi ritenedel programma ha fatto storcere il naso a una delle va controproducenti film come “Ladri di bicicletassociazioni di italoamericani nate con il presup- ta” o, in tempi più recenti, “Gomorra”. Per quanto posto di promuovere l’immagine Italia, possibil- riguarda il reality, invece, bisognerebbe tener premente “ripulendola” da questi luoghi comuni. A sente che essi si basano proprio sull’ esasperazioprotestare, in maniera ufficiale, André DiMino, ne di stereotipi di ogni tipo (i concorrenti venpresidente di Unico Italia che ha chiesto, senza gono spesso classificati come “la bionda”, il “secmezzi termini, il blocco messa in del programma chione”, il “bello”, la “mangiauomini”). Le vicen“fortemente offensivo per l’immagine degli italia- de politiche italiane degli ultimi mesi, poi, non ni”. Mtv, dal canto suo, si difende dicendo che si hanno certo contribuito ad attutire il luogo cotratta solo di un reality che, come tutti gli altri, mune dell’italiano donnaiolo, un po’ arrogante e porterà sullo schermo un piccolo frammento del- che vive nel dispregio assoluto delle regole. Un la società reale (probabilmente il peggiore) e non “Guido” insomma, solo in giacca e cravatta.
residente, non mandi altre truppe in Afghanistan”: è l’appello di Michael Moore a Obama. Il regista, sostenitore del Presidente, chiede oggi che si eviti l’escalation militare e gli manda un messaggio. “Da parte di mio padre – ha detto Moore – e di un suo amico giapponese: Signor Obama, tu non sai cos’è la guerra. Noi lo sappiamo, e non la vogliamo più”.
NUCLEARE
Dall’Usa un forte stop all’Iran
S
top degli Usa, dopo l'annuncio dell’Iran di voler costruire dieci nuove centrali nucleari.È “inaccettabile”, ha detto Susan Rica, ambasciatrice Usa all’Onu e non potrà che “isolare ulteriormente” la repubblica islamica. “Se l’Iran continuerà a non cooperare sul nucleare procederemo lungo la strada delle pressioni internazionali”.
URUGUAY
L’ex Tupamaru vince le elezioni
L’
ex Tupamaru Jose Mujica è diventato presidente dell'Uruguay. Il neo-eletto ha fatto appello all’unità e detto che “non ci sono nè vincitori nè vinti”. Mujica, che ha sconfitto Luis Lacalle (che ha guidato il Paese dal 1990 al 1995) ha ottenuto il 51% dei voti.
CUBA
“Castro Nobel per la Pace 2010
Y
oani Sanchez., la blogger cubana, ha denunciato nuove minacce e nuove limitazioni per i dissidenti sull’isola, intanto cittadini cubani e argentini hanno promosso la candidatura di Fidel Castro a Premio Nobel per la Pace 2010. Secondo i firmatari, fra cui il cantante cubano Silvio Rodriguez, Castro merita il Nobel per i successi di Cuba nella sanità e nella pubblica istruzione gratuite.
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
LA FICTION SKY
CASO MOANA Pornorevisionismo via satellite
Ammissioni Cindy Crawford (splendidi 43 anni): sì, ho usato botox
Sondaggi Raoul (Bova) meglio di Clooney secondo i dati Meetic
Botteghino Checco Zalone batte tutti con Cado dalle nubi
Storie riscritte: Craxi e una D’Addario ante-litteram di Luca Telese
E’
nato il porno-revisionismo. In un paese che da anni è impegnato a riscrivere la sua storia prima o poi doveva accadere: i partigiani da buoni possono diventare cattivi, gi eroi risorgimentali da santi sono diventati demoni, per la Padania Mameli era “un ladro”, per il regista Renzo Martinelli il Barbarossa da signorotto locale diventa il proto-eroe leghista in una improbabile fiction finanziata (senza scandalo) dallo stato: una fiction che per fortuna non va a vedere nessuno. Ma la sua operazione mitologica passa, a prescindere dal flop. Era quindi possibile e forse prevedibile che anche Moana Pozzi, e il segno forte che ha lasciato nell’immaginario di questo paese diventassero oggetto di battaglia “culturale”. Dagli anni Cinquanta a oggi l’italia è sempre sospesa sul filo di una doppia morale sessuale, tra il mito della puttana e quello della Santa, fra la Boccadirosa di Fabrizio De André e la Santa Maria Goretti delle agiografie parareligiose. Anche Moana, dunque, non poteva che inserirsi in questo filone, non poteva che perdere la sua porno-connotazione (quella che per anni la tenne fuori dalla tv generalista con suo grande rammarico) per diventare icona pop, oggetto di contesa al pari di tutte le altre. La “doppiezza pozziana”. Però non guardate la fiction su di lei (un piccolo evento mediatico, questa sera e domani, su Sky) pensando che sia solo una storiella da fiction, o un pretesto per vedere qualche (bel) nudo. Non guardatela solo per la curiosità di apprezzare l’incredibile capacità di reincarnazione di Violante Placido (a tratti sembra una goccia d’acqua della diva). Immaginate che attraverso la
storia di Moana, e il modo in cui è stata riletta e digerita – forse persino inconsapevolmente – dalla lente e dai codici della narrazione televisiva, sia possibile capire bene, per una volta, due cose fondamentali insieme: in primo luogo il rapporto schizofrenico degli italiani con il sesso. E poi quello con le regole deformanti che il revisionismo applica alla memoria. Il pornorevisionismo – insomma – rende più chiari gli effetti di tutti altri revisionismi. Nel primo caso, il paradosso è evidente: Moana fu la prima pornodiva potabile, fruibile e spendibile per un grande pubblico. La prima che si poteva far guardare anche alle mogli e ai figli. Il prezzo da pagare, però, era una doppia morale: Moana era hard fino all’estremo nelle sue pellicole. E rassicurante fino alla mielosità nella sua facciata di massa. La Moana che vagava nuda come un’odalisca nei programmi di Antonio Ricci, o che illustrava la copertina di Panorama facendo il verso a Marylin era solo una civetta che promuoveva il mercato della Moana a luci rosse. La naturalezza, di Moana, come spiega il suo biografo Marco Giusti (Moana, Mondadori) era frutto di molte manipolazioni, di molta sofferenza, e anche di un discreto lavoro di bisturi. Diversità ciccioliniana.Se l’Italia ha conosciuto una diva “diversa”, invece, una vera boccadirosa a luci rosse, quella – ovviamente è stata Cicciolina. Cicciolina era la faccia angelicamente inquietante del porno, era un codice linguistico dirompente, era un personaggio che catalizzava il dramma, il consenso, il desiderio e la rabbia: era da sola un immaginario. Cicciolina irruppe nella politica portando l’iconografia del sesso a Montecitorio, e diventando una notizia mondiale. Moana, fu, tutto sommato, un fenomeno domestico e provinciale. Cicciolina fu scandalo, Moana rassicurazione. Cicciolina fu pioniera dell’hard, trainò il successo di Moana, che all’inizio era solo una comparsa al suo fianco, un sottoprodotto, al pari delle tante Rambe e Vampirelle. Il grande vecchio. Il porno italiano ha avuto anche un suo “grande vecchio”, un regista e un propagandista di genio in Riccardo Schicchi, l’uomo che in-
ventò l’immagine di entrambe le pornodive. Cicciolina iniziò il suo viaggio come sottoprodotto trasgressivo del 1977 – a Radioluna – per diventare l’incubo dei pretori, per le sue esibizioni oscene, combattute in nome del senso comune del pudore. Nel 1987, con l’elezione nel Partito radicale, Cicciolina divenne una parlamentare che vestiva in modo castigato (celebre mise con gonna tricolore) e che litigava nei congressi del partito apostrofando il leader indiscusso così: “Caro Cicciolino Pannella...”. Risposta: “Cara Scemolina Ilona...”. Moana non riuscì a far diventare il suo “Partito dell’Amore”, nulla di più che una operazione di marketing schicchiano. Cicciolina prese più preferenze di Pannella, diventando un “voto di protesta”, Moana niente più che una foto opportunity. Malgrado questo, Moana scalzò Ilona, proprio perché più giovane, meno conflittuale e più rassicurante. C’era materia per un grande dramma: era possibile raccontarlo in tv? Sì. Di sicuro la fiction di Alfredo Peyretti ha scelto un’altra via. Moana è stata ripulita e angelicata, trasformata – dice Schicchi – in una sorta di “Alice nel paese delle porno-meraviglie”. Il lato lunare e inquietante di Cicciolina,
Violante Placido in una scena della fiction “Moana”
invece, è stato considerato inadattabile e dunque rimosso. Cicciolina non è più pioniera ma co-fondatrice al fianco di Moana, solo comprimaria della Diva Futura. Non è più una trasgressiva, folle e spericolata iniziatrice, ma una compagna rancorosa e gelosa del successo della sua amica. Il che fra l’altro confligge con
tutte le interviste: Cicciolina, almeno in apparenza, ruppe con Schicchi senza compromettere la sua amicizia. Non si sentì mai aggredita da Moana, ma semmai sfruttata e accantonata dal comune manager. Ed ecco le due risposte alle domande di sopra: questa fiction non può o non riesce ad affrontare il dark side del
CULTURALIA
GIULIO EINAUDI? UNA FERRARI ssociare con biasimo Giulio Einaudi alla megalomania e al delirio di onnipotenza come ha fatto sabato scorso il pensionando direttore generale della divisione libri Mondadori Gian Arturo Ferrari, accusandolo di aver perseguito un “progetto culturale insensato” e dunque di essersi meritato il dissesto finanziario che portò nel ’94 la casa editrice torinese proprio nelle mani della Mondadori, significa suicidarsi intellettualmente usando come ghigliottina una delle intelligenze più affilate e ambiziose che abbiano attraversato il nostro paese nella seconda metà del Novecento. Quella di Giulio Einaudi, appunto, si può leggere come il rancoroso canto del cigno del quasi ex uomo più potente dell’editoria
A
italiana di fronte a chi al contrario, come Einaudi, è stato capace di sopravvivere culturalmente alla propria persona fisica. Senza personaggi sregolati e geniali come Giulio Einaudi (che metteva crudelmente i propri autori l’uno contro l’altro per farli rendere al meglio), o come Giangiacomo Feltrinelli (che sfidò l’Urss traducendo Pasternak), la nostra sarebbe stata una cultura di serie b. Potremmo dire che Ferrari è in realtà un’utilitaria, mentre Einaudi una fuoriserie? Ai posteri l’ardua sentenza. Certo a Einaudi non si perdona di aver sfondato il muro della posterità. Mentre, forse, la memoria di Ferrari seguirà quella delle poesie di chi lo ha appena messo a capo del Centro per il libro e la lettura: Sando Bondi.
Irlanda Mano di Henry, il Trap chiede di andare in Sudafrica
porno italiano, e lo deve rimuovere. Non può o non riesce a raccontare la complessità del drammone shakespeariano, non tocca le implicazioni di costume dell’hard e del suo pubblico. Non c’è il lato brutale del porno, nemmeno per accenni: non ci sono vibratori, set massacranti, ruvidezze e brutalità, e piogge dorate sul pubblico. Quel Craxi non è Craxi. Infine, per ovvi motivi, il pornorevisionismo è costretto a riscrivere la biografia di Moana. Ad esempio a ignorare quel libro La filosofia di Moana, che diede tanto scandalo, facendo di lei una sorta di D’Addario ante-litteram. Moana mandava in edicola un testo con tanto di pagelle dei suoi tanti amanti, rivelando tutte le sue scopate con i vip (quando le escort ancora non esistevano). “Ho paura che qualcuno si offenderà diceva – Per esempio Renzo Arbore. Gli ho dato sei, credo”. E Spiegava: “Quelli che sono sposati mi smentiranno, diranno che non è vero, io comunque per gentilezza non ho messo date”. I nomi, però, quelli sì: “Massimo Troisi e Francesco Nuti sono ragazzi carini: sei e mezzo, credo”. E Luciano De Crescenzo? Sotto le lenzuola arrivava al sette: “Un uomo intelligente, arguto, colto”. Persino il campione giallorosso, Falcao finiva in pagella: “E’ stato indubbiamente il peggiore, sei meno”. E Nicola Pietrangeli? “Un uomo che a me piaceva, una persona stimolante ma con un carattere troppo conformista”. E Marco Tardelli? Un campione vero: “Sette e mezzo, lui sì che mi piaceva”. Lo stesso voto lo prese un misterioso uomo politico di cui la prima Moana non voleva fare il nome (che poi però fece, Bettino Craxi). “Non posso e non voglio dire chi è, non è del mondo dello spettacolo, non gradisce finire su Novella 2000”. Figurarsi. Craxi invece usò la leggenda di Moana, e la aggiunse alla sua collezione di conquiste. Era nata la politica che usa il sesso (prima ancora di quella che ne è usata). Nella fiction questo simil Craxi resta, come un monaco saggio: “Non abbiamo fatto l’amore”, cinguetta lei. E lui le risponde (mavalà!) con una tirata sull’ipocrisia pubblica. Non guardate Moana solo come una fiction, questa sera, ma come un trattato sul revisionismo che ribalta le verità della storia nel suo contrario. Perché una menzogna gradevole, in questo paese, continua ad essere meglio di una verità scomoda. Se una pornodiva non può diventare Alice, un partigiano non può diventare un criminale, e persino i mille di Garibaldi non saranno mai i colonizzatori efferati che ci racconta la Lega.
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SECONDO TEMPO
OGNI MALEDETTA DOMENICA
AFFARI DI FAMIGLIA
I Matarrese e Cellino guidano (da anni) le sorprese del campionato di Oliviero
Beha
er citare Berlusconi, il cui Milan ha vinto in extremis a Catania anche con merito dopo che lo stesso Berlusconi in altra veste aveva ripianato a spese nostre il deficit del comune di Catania inguaiato dal suo medico/sindaco Scapagnini, per citare dicevo come sempre Berlusconi: “Se avessi per le mani gli sceneggiatori di questo campionato, li strozzerei”. E’ un Berlusconi parodiato e parafrasato, è vero, ma spesso anche lo stesso Silvio sembra godere nell’autoparodia. Perché li strozzerei? Guardiamoci intorno: tra lutti e rovine che s’affacciano da molti settori italiani anche il calcio non scherza, avendo dichiarato con nettezza domenica scorsa tutto quello che già si sapeva. E cioè che l’assassino è il maggiordomo. Agatha Cristhie si vergognerebbe di un giallo tanto scontato già a novembre, e casomai preparerebbe delle con-
P
“Piccolo è bello”: Cagliari e Bari giocano e segnano (oppure nel caso del Bari giocano e non si fanno segnare)
tromosse letterario-investigative. Per esempio, e nell’ordine: un altro scandalo del calcio che si incarichi di rispondere alla “cugina di tutte le domande”, ossia “come mai uno Scandalone che ha coinvolto il Gotha del pallone nostrano attraverso le intercettazioni telefoniche effettuate direttamente o indirettamente, per conto dei magistrati o motu proprio, dalla Telecom allora di Tronchetti Provera vicepresidente dell’Inter, non ha sfiorato l’Inter?”. Troppo facile, gli italiani sono stanchi di scandali specie i tifosi (cioè tutti…). Allora un bel ribaltone da calcio-scommesse, da partite truccate a partire da Potenza la settimana scorsa e poi su e giù per la penisola manco fosse il Virus H1N1, magari con i vaccini già bell’e confezionati? Troppo rischioso, sai come cominci ma non sai come finisci. Allora qualche sorpresa dalla Champions, per cui l’Inter purosangue dominatrice in Italia esce di scena prima della puledra Fiorentina che i Della Valle bros. cavalcano a pelo per risparmiare sulla sella a briglie economicamente tirate (domenica il centrale difensivo era diventato Comotto, per disperazione, una specie di centrale di rigore…)? Forse, ma non è così probabile.Ci vorrebbe magari una specie di rivolta arbitrale, un inno all’indipendenza invece che alla storica “sudditanza”, l’eufemismo che da sempre ci tiene com-
Giampiero Ventura, allenatore del Bari domenica vincente contro il Siena ( FOTO ANSA)
pagnia: da oggi si fischia tutto, meglio se a favore del più debole perché almeno c’è più gusto. Una specie di “piccolo è bello” che, stando così le cose del nostro pallone bucato, potrebbe ringiovanire tutto il movimento. Ma che si intende esattamente con “piccolo è bello”? Vediamo. T ra le cose più interessanti della giornata calcistica ci sono state le vittorie di Cagliari e Bari. Hanno entrambi (maschile, anche se correttamente in Puglia dicono “la Bari”)
una eccellente classifica, che forse non durerà ma discende dal gioco e dalle belle partite. Per usare l’abusato termine della effervescente stampa sportiva contemporanea, esse sono il contrario delle “squadre ciniche” di cui parlano e scrivono solitamente a sproposito sbeffeggiando il dizionario. Ma si sa, un luogo comune è appunto un luogo comune , e ci si ritrovano un po’ tutti più volentieri. Cagliari e Bari giocano e segnano, oppure nel ca-
so del Bari giocano e non si fanno segnare. Sono delle rose di campioni? Macché. Al massimo, alcuni di loro potrebbero diventarlo (Cossu?). E anzi nel caso del Cagliari fa a meno tutti gli anni di qualche bell’oggetto di mercato, vedi Acquafresca, ma senza risentirne. Il Bari addirittura viene dalla B, dove ha stravinto con Conte allenatore e ha trovato un allenatore nuovo da un giorno all’altro in giugno dopo aver rotto con l’ex mediano juventino dagli
DE ANDRÉ, LA BUONA NOVELLA A TEATRO
di Giorgio
Cerasoli
estito di sabbia e di bianco, alcuni lo dissero santo, per Vstimonianza altri ebbe meno virtù, si faceva chiamare Gesù: tedi un artista che era solito andare “in direzione ostinata e contraria”, “La buona novella”, storico album di Fabrizio De André apparso nel 1970 in un’Italia percorsa dalla contestazione e da forti contrasti politico-sociali, diventa ora uno spettacolo nel quale entrano tematiche sempre attuali, dalla condizione femminile alla pena di morte, dall’emigrazione all’intolleranza religiosa. In prima assoluta domani sera al Palladium per il RomaEuropa Festival, questo allestimento collettivo, con la regia di Roberta Lena e gli arrangiamenti musicali di Stefano Nanni, vedrà gli interventi del violoncellista Mario Brunello, a rappresentare la voce del cantautore genovese, quello di Stefano Benni, nei
panni di Giuseppe, quelli di attrici come Chiara Roberta Lena – come me aveva un forte desiderio Caselli e Maria Edgarda Marcucci, nonché la per- di fare uno spettacolo incentrato su questo belformance di Vinicio Capossela, per una toccante lissimo disco e così è diventato il compagno di “Via della Croce” . Ogni scena coincide con i questa mia avventura. Mancando l’insostituibile singoli brani del famoso Lp, più una parte cen- voce di De André abbiamo deciso insieme di aftrale – quando si girava il 33 giri – incentrata su fidare al suo strumento questo importante ruoMaria, dal momento del parto a quello in cui lo”. Come un libretto d’opera, i testi de “La buona riceve l’annuncio che suo figlio sarà messo in novella”, saranno dunque recitati, raccontati e croce. A spiegare come l’opera di De André pos- cantati da più personaggi, affinché ancora una sa trasformarsi in un lavoro teatrale, dove si in- volta si possano ascoltare le parole dell’indimentrecciano arte e linguaggi diversi, sono le parole ticabile Faber, sulle quali ancora si può riflettere della stessa regista: “Ho tentato di fare con un tanto. mio bagaglio artistico quello che De André ha fatto con la musica. Come allora ‘La buona novella’ ha suscitato in me una curiosità musicale, per esempio verso il barocco o la tradizione etnica, così ho voluto usare i vari linguaggi che oggi mi appartengono – il documentario, il disegno di animazione, il cinema, l 2009 è stato un anno cruciale per la produzione culil teatro classico e quello d’avanguardia turale e per il cinema italiano. Tutte le attività hanno ri– per incuriosire il variegato pubblico sentito non solo degli effetti della crisi economica, ma andi oggi, perché ciascuno trovi un linche dei pesanti tagli al Fondo unico dello spettacolo. Di guaggio in cui riconoscersi e si avvicini questo e altro si occuperà il convegno di Gulliver domani così al messaggio di Fabrizio. Certo, alla casa del cinema di Roma in largo Mastroianni 1 (ore quello che presento è ovviamente il 9,30–14). Dopo un’introduzione di Francesco Maselli aprimio punto di vista su ‘La buona novella’, rà il convegno Stefano Rodotà. Seguiranno gli interventi di l’ho conosciuta che ero adolescente e Roberto Barzanti, Benedetta Buccellato, Luciana Castelliha formato una parte importante della na, Silvano Conti, Giorgio Gosetti, Emidio Greco, Marco mia coscienza”. Che ci sia una profonda Mele, Stefano Rulli, Nino Russo, Riccardo Tozzi, Vincenzo visione al femminile è anche testimoVita. Interverranno inoltre Gaetano Blandini, direttore geniato dall’incontro sulla scena di tre manerale per il cinema del ministero per i Beni culturali; Rodri – impersonate da Sabina Sciubba, berto Cicutto, presidente di CinecittàLuce; Gulia Rodano, Evelina Meghnagi e Chiara Caselli – nelassessore alla cultura del Lazio; Alberto Versace, direttore le quali riconoscere alcune delle tante generale ministero per lo Sviluppo economico. sfaccettature della donna, ma l’anima poetica dello spettacolo sarà il violoncello di Mario Brunello. “Mario – spiega
L’INCONTRO Il 2009 del cinema italiano
I
occhi chiari. In questo i due club presentano non solo analogie ma anche differenze o anomalie. Il Cagliari ha un club solido a quel che pare, con lo stesso presidente attor giovane da una vita, Cellino, che si diverte in campo e in Lega, e aveva già in panchina Allegri anche lui assai giovane come allenatore reduce da una stagione molto soddisfacente. Il Bari è di proprietà annosa ma in vendita della Matarrese Family, più una saga che un gruppo etnico, qualcosa di vecchio anagraficamente con anni di delusioni alle spalle. E appunto ha scelto ad horas nel mazzo un allenatore più che stagionato, il sessantunenne Ventura nato nello stesso giorno di Andreotti. Che cosa accomuna i due “mister”, uno più che discreto regista di centrocampo in serie A, cresciuto alla scuola del “pirata” Galeone, l’altro solo tecnico con qualche successo, non troppa e non troppo fortunata serie A, serie inferiori di qualità ma non di indimenticabile impatto? Che entrambi, oltre a essere “uomini di mare” rispettivamente di Livorno e Genova, sono persone serie, si divertono a fare il loro lavoro, sono “piccoli” in un calcio solo apparentemente “grande” (anche se Allegri è appetito da club maggiori), rispettano la logica e motivano i giocatori come se fossero davvero quello che sono, cioè “professionisti del divertimento”. Fatica per fatica, la palla che rotola è meglio della fabbrica o dell’ufficio. E il gioco espresso dalle due squadre non fa nient’altro che dimostrarlo. In più l’organico del Bari che al contrario del Cagliari castigatore della Juve ha “semplicemente” battuto il Siena in casa (ma aveva pareggiato a casa dell’Inter…) sia pur di pregevole rimonta, è davvero un materiale di risulta. Quest’estate si sprecavano gli epinici per un compratore americano poi dissoltosi al sole un po’ come quel Taci petroliere albanese in eccellenti rapporti con il nostro premier. Così il Bari ha rimediato qua e là, i Barreto, gli Almiron (a proposito, nella Juve e nella Fiorentina non era stato archiviato come mezzosangue?), i Langella, i Meggiorini...Si vede la mano degli allenatori, ma ancora di più una dimensione più giusta per il calcio. Ma vallo a spiegare ai padroni del vapore, alias coloro che detengono la politica e i diritti tv! Per loro questa è minutaglia, brulichio, seconda qualità. Contorno delle ricche pietanze. Che nutrono ahimé sempre meno. Cagliari e Bari sono oggi un’ipotesi di risposta al famoso articolo quinto della vita italiana, cioè chi ha i soldi ha vinto. E questo risulta intollerabile a chi ha basato solo sul denaro il funzionamento dell’ormai ex “gioco più bello del mondo”. Il calcio? Certo, come il resto…E il rugby? Mah, speriamo bene.
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SECONDO TEMPO
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TELE COMANDO TG PAPI
La Svizzera in croce di Paolo
Ojetti
g1 T Quello che non manca mai è il famigerato “centro del dibattito politico” nel quale, da settimane, almeno nel Tg1, non si dibatte nulla di nulla. O meglio, a essere sinceri, si dibatte sempre la stessa minestra: facciamo le riforme, sì, no, non ad personam, nell’interesse generale, maddai, abbiamo scherzato, alla prossima. Ma al Tg1 manca una notizia: il 4 dicembre Berlusconi non andrà al processo Mills, deve inaugurare una tratta della Salerno-Reggio Calabria. Mettiamoci l’anima in pace, Berlusconi non andrà mai in un’aula di giustizia, anche se – mano sul cuore – aveva giurato di “affrontare” i suoi processi. Ma ieri il vero “confronto” verteva sul tricolore al quale i leghisti – dopo l’esito del referendum svizzero – vorrebbero rica-
mare, sul bianco, una croce. Sì o no? E’ un bene o un male? Il ministro Frattini, intervistato, trova la proposta “suggestiva”. Invece, sarebbe meglio soprassedere, visto l’uso che del tricolore – senza croce – voleva fare Bossi. g2 T E il referendum svizzero colpisce anche il Tg2 che ne fa la notizia del giorno. Gli elvetici l’hanno fatta grossa (oddio, il voto alle donne lo hanno dato solo nel 1971, non sono mica normali) e le ripercussioni in tutta Europa potrebbero essere devastanti, già le destre xenofobe in Danimarca, Olanda, Austria stanno cavalcando la tigre. Ma, come sempre, i telegiornali non fanno un passo avanti, non interpellano nessuno e si limitano a registrare una dichiarazione via l’altra con un risultato rasoterra. Ecco la sinistra
(“Sciocchezze”) e la destra non leghista (“Fesserie”), quasi il problema si possa risolvere con un’alzata di spalle. Gli unici che si muovono sono proprio i leghisti. Avanzano subito un’idea: i referendum propositivi che saggiamente (e non avevano conosciuto Castelli, Borghezio e Calderoli, ancora da concepire) i nostri Padri costituenti – che conoscevano gli italiani – esclusero subito. g3 T Qui il discorso si amplia e vengono in primo piano le reazioni del Vaticano, che sono di indignazione (si valutano anche i rischi per i luoghi di culto cristiano in tutta l’area mediorientale e islamica e il “rilancio” degli estremisti). L’Europa è scossa e – come racconta Giuseppina Paterniti – le destre xenofobe si fregano le mani e studiano referendum in chiave antimusulmana, dal minareto al velo, dal tappeto alla preghiera del tramonto. Alla schiera leghista che gongola, il Tg3 aggiunge il ministro Bondi, contento non si sa perché. E’ strano comunque che nessun telegiornale abbia sentito il bisogno di chiedere il parere delle comunità israelitiche.
di Luigi
Galella
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Prostitute oltre il Muro
i margini delle strade più trafficate: Anude, donne che si offrono ai clienti. Semigiovanissime. Corpi acquistati e usati: forza-lavoro redditizia per le nuove democrazie dell’est Europa del dopo ’89. Si ricordi la locuzione che in tanti evocano con implicito disincanto: il mestiere più antico. E la si coniunga con l’ipocrisia di chi finge di non vedere. Si capirà allora in che modo l’occidente liberale, evoluto culturalmente ed economicamente, possa convivere con la compravendita di esseri umani, celando la sua cattiva coscienza e rivelando al suo interno il cortocircuito morale della moderna schiavitù. Monica Maggioni (Speciale Tg1, domenica, 23.35) a distanza di vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, racconta con sobrietà e rigore il passato e il presente delle schiave del sesso e ripercorre a ritroso il viaggio che dall’Albania aveva condotto in Italia una giovane vittima del racket. E’ il primo momento dello Speciale, che da quest’anno ha un nuoMonica Maggioni, autrice vo format e ascolti dell’inchiesta cresciuti, strutturaper Speciale Tg1 to come un unico contenitore narrativo in cui i commenti degli ospiti in studio diventano parte integrante della stessa narrazione. La storia di Hilda è identica a quella di tante come lei: l’innamoramento, l’illusione, l’inganno e
il tragico svelamento finale. Era il 1998 e sulla strada resterà per sette anni. Un copione noto, un crimine seriale che ogni volta sorprende e sgomenta. torna quindi nella sua patria, in piccolo villaggio nei pressi di VaLlona,aundonna accompagnata da Sergio Paini, che firma il reportage. Ed è come un salto nel tempo, fermo alle strade sterrate, ancora piene di buche, i malmessi bunker che ricordano la Guerra fredda e le case di cemento in costruzione, interrotte chissà quando. Più si avvicina al suo paese più diventa inquieta, soffre, incapace di trattenere le lacrime, quasi pentita di aver accettato. Ci saranno quegli uomini ad attenderla? Prima di giungere all’abitazione di sua madre, che non le chiede nulla della sua vita e del suo lavoro ma le regala nel commiato due frutti dell’orto, si ferma a pregare sulla tomba della sorella, uccisa. Pochi giorni dopo la denuncia dei suoi sfruttatori un’automobile che procedeva contromano ne ha travolto il corpo. “Finita sulla strada per sempre”. Un caso o più probabilmente una ritorsione per aver fatto, Hilda, i nomi dei suoi aguzzini. La tratta è uno dei più fiorenti mercati del crimine. L’agenzia dell’Onu che se ne occupa la stima in un milione di vittime e oltre a quelli fisici produce danni psicologici incancellabili, come ricorda Oria Gargano, fondatrice dell’associazione antiviolenza “Be free”: la mente che si distacca, il cervello che si spegne per lasciare libero il corpo, pronto per essere usato. E soddisfare il “cliente”. Trascurato, dimenticato artefice-carnefice.
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SECONDO TEMPO
MONDO
WEB
Insulti: esposto contro Brunetta ’ultima crociata di Renato LPubblica Brunetta, ministro per la amministrazione e l’Innovazione è stata annunciata ieri: “La mia prossima battaglia – ha detto a Barbara D’Urso durante “Pomeriggio Cinque” – sarà l’obbligo di gentilezza e cortesia dei dipendenti pubblici”. E’ questo l’ultimo tassello alla guerra aperta dichiarata dal ministro ai dipendenti pubblici “fannulloni”. Il carattere di Brunetta, si sa, è acceso, come dimostrato lo scorso anno con le dichiarazioni anti-studenti (“Gli studenti dell’onda vanno trattati come guerriglieri”); ultimamente non si è risparmiato neanche nei confronti del collega di governo Giulio Tremonti (“Io sono un economista e lui no” l’accusa). Eppure, un linguaggio così acceso, può irritare chi si sente accusato ingiustamente. Ha scritto al nostro giornale un dipendente pubblico, Natale Sorrentino, che propone un’iniziativa di “resistenza umana”. “Da quando si è insediato il ministro Brunetta – scrive Sorrentino – non ha perso occasione di insultare i lavoratori del pubblico impiego.
Nell’ultima esternazione si è lanciato in trucide e offensive espressioni nei confronti dei lavoratori pubblici: ‘La riforma è il bastone in mano al cittadino... se non riceve quel servizio secondo lo standard, può dire al funzionario: io ti faccio un mazzo così’”. Questa ultima dichiarazione, dice il nostro lettore, è di quelle “che fanno passare il segno”. Perciò Sorrentino ha fatto preparare dal suo avvocato un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica per “segnalare un avvenuto reato. Nel nostro caso si tratta di istigazione alla minaccia”. Da qui il lancio dell’iniziativa: “Io firmerò l’esposto in ogni caso, ma penso che quante più saranno le firme tanto più aumenteranno le possibilità di successo”. Per ora è partito un suo tam tam via mail. Natale raccoglie altre adesioni e contatti a natalesorrentino@libero.it.
è BERLINO VISTA DAL CIELO (NEL 1945) LE FOTO STORICHE SU GOOGLE MAPS
In volo sopra il cielo di Berlino, “sor volando” nella storia della capitale tedesca. Google Earth ha implementato nel suo software alcune riprese americane d’epoca (effettuate da un velivolo nel marzo 1945) ovvero a un mese dalla fine della di Federico Mello Seconda guerra mondiale con la città devastata dai bombardamenti alleati. Si potrà anche navigare nei decenni successivi, con foto del 1953 mentre saranno assenti le foto del periodo 1961-1989, ovvero gli anni della è SEQUESTRATO divisione della città da parte del Muro. IL FORUM FORZA NUOVA Berlino – assieme a San Francisco e Las PROVVEDIMENTO DELLA PROCURA DI FORLÌ Vegas – è la prima delle tre città sulle quali Il forum del sito di Forza Nuova, la Google permetterà di viaggiare nel tempo. formazione politica di estrema destra, è stato posto sotto sequestro dalla polizia postale di Arezzo (su ordine della Procura di Forlì) dopo la denuncia presentata dall’esponente di una lista civica che ha denunciato di essere stato diffamato sul forum stesso. Il sito, intanto, rimane online con relativo materiale propagandistico: “Mai più morti per le guerre d’altri - si legge in un banner - militari in Italia con noi a mettere ordine”.
feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post “Silvio, rimembri ancora?” di Marco Travaglio
A Travaglio la cittadinanza ad honorem siciliana perché ha capito molto e inizia a masticare qualche vocabolo. Ammirazione massima perché non ha paura e gira senza scorta. L’ho visto con i miei occhi con il suo trolley usare il treno come un comune cittadino (Speranza) Sono certa che qualsiasi persona di buon senso e sani valori morali, non moralistici, avrebbe sciolto questo governo fatto di persone totalmente vuote che pensano di riempirsi con il potere (Donatella) Certo è ironico sentire critiche sulla fiction “La Piovra” (un successo planetario tra l’altro...), da parte del padrone di una rete televisiva che negli ultimi anni ha prodotto nell’ordine: “L’onore e il rispetto”, “Squadra antimafia” e, dulcis in fundo, “Il capo dei capi”, fiction-celebrazione di Totò Riina... (Chiara)
Il ministro Brunetta, il sito dello sceneggiatore, un’immagine della terra Google Earth, il sito del Partito di Internet
GRILLO DOCET NICHI E CALTA-PAPÀ
Cosa c’è dietro l’insistenza di Massimo D’Alema contro la ricandidatura di Nichii Vendola in Puglia? “Dobbiamo candidare chi ha più chance di vittoria”, è la linea decisa da Bersani per le regionali. E in Puglia, dice la vulgata dalemiana, si può vincere solo alleandosi con l’Udc e quindi cambiando cavallo. Non risulta, però, che la stessa foga di cambiamento venga usata in altri contesti come quello di Bassolino in Campania o di Loiero in Calabria, e il mago Dalemix ci ha tenuto a far sapere che il suo discorso non sarebbe rivolto nemmeno alla governatrice del Piemonte Mercedes Bresso. E allora una spiegazione allo scontro diretto del duo D’Alema-Casini contro il presidente uscente della Puglia, la cui giunta è stata toccata da indagini della magistratura allo stesso modo di altre regioni governate dal centrosinistra (Campania, Liguria...), prova a darla lo stesso leader della sinistra: dietro alle manovre per defenestrarlo, Vendola vede la longa manus di Calta-papà. D’altronde i rapporti dell’editore del Messaggero con i due principali oppositori alla riconferma sono noti. Di Pier Ferdinando Casini è suocero e principale sponsor economico. Con D’Alema l’amicizia è di lunga data. Una conferma della triangolazione Calta-Casini-D’Alema la si è avuta di recente proprio sull’altro colosso che si occupa di acqua, Acea. Al momento del rinnovo delle cariche, l’azienda romana di proprietà del Campidoglio, di cui Caltagirone è influente socio di minoranza, ha visto premiare un dalemiano di ferro, il direttore di ItalianiEuropei Andrea Peruzy. E chi è l’amministratore delegato di Acea? Nientemeno che Marco Staderini, è LODI: ARRESTATO casiniano di piombo, ex GRAZIE A FACEBOOK consigliere Rai in quota ACCOLTELLÒ DUE PERSONE DOPO RISSA Piercasinando. Con neanche Facebook sta diventando uno strumento è LO SCENEGGIATORE il 10% Calta ha in mano i fili importante per indagini e accertamenti di SU TWITTER dell’azienda, e certamente crimini. Il mese scorso un ladro di Roma è HA SCRITTO PULP FICTION non gli dispiacerebbe poter stato arrestato: aveva aggiornato il suo Una sua sceneggiatura ha segnato la replicare il “modello Roma” status dall’appartamento che stava storia del cinema moderno. Parliamo anche in Puglia... svaligiando. A metà novembre, invece, un di Roger Avary, non particolarmente ragazzo di New York è stato scagionato per noto al grande pubblico ma autore un furto: l’alibi era un aggiornamento sulla dello screenplay di “Pulp Fiction”, il sua bacheca Fb. Ieri l’ennesimo episodio: a cult movie di Quentin Tarantino. Roger Avary, però, sta Codogno, in provincia di Lodi, grazie a vedendo lievitare di molto la sua popolarità da quando, in Facebook due immigrati di origine albanese carcere, aggiorna con regolarità il suo account Twitter. Lo sono stati arrestati per una lite violenta sceneggiatore sta scontando un anno di detenzione avvenuta il mese scorso e culminata perché, ubriaco, uscì di strada con la sua automobile, a nell’accoltellamento di due persone. Uno Los Angeles, e una persona che viaggiava con lui rimase degli aggressori, in particolare, di cui non si uccisa (si trattava di Andreas Zini, un ingegnere modenese conoscevano le sembianze, è stato trovato di 34 anni). Avary, su Twitter, ora ha 14.000 follower ai grazie a diverse foto pubblicate sul suo quali sta raccontando la sua esperienza nella prigione profilo, da qui il riconoscimento e l’arresto californiana dove è detenuto. dell’aggressore che è risultato clandestino e incensurato, ed è stato arrestato assieme a un connazionale di 21 anni, regolare e senza precedenti.
Non ho capito bene con quale scopo in Sicilia non hanno mandato in onda l’intervista a Dell’Utri su Raitre. Siccome non ho visto l’intervista, cos’ha detto Dell’Utri da non poter essere mandata in onda in Sicilia, ma solo nel resto d’Italia? (Un abbonato) Io non voglio essere governato dalla mafia. Dovremmo fare come in “Quinto potere”, aprire la finestra e gridare proprio questo: "Sono incazzato nero, e tutto questo non lo voglio rivedere più!” (Giulio Giulio) La mafia non esiste, sono invenzioni dei comunisti... Tutto già scritto da Sciascia nel “Giorno della civetta”, ormai mezzo secolo fa. Tutto è cambiato, tutto è rimasto com’era (Sturmundrang) Qualcuno riesce per cortesia a recuperare la foto – davvero terrificante! – del Silvio inkazzato, che per circa 60 minuti è stata pubblicata ieri pomeriggio da Corsera online? Volevo tenerla per i nipoti e farla vedere a mia moglie, ma la foto è stata, magicamente e guarda caso, fatta scomparire... (Paul) Dall’Annunziata, Dell’Utri ha ribadito che il mafioso Mangano è stato un eroe... inaccettabile! (Adele) E’ come se la peste fosse esistita solo perché un criminale irresponsabile di nome Alessandro Manzoni l’ha descritta in un suo romanzetto (Rossana) “Gomorra” è edito dalla Mondadori, di cui lui è azionista di maggioranza e sua figlia Marina è presidente; “Il capo dei capi” è prodotto dalla Mediaset di cui lui è ancora azionista di maggioranza e suo figlio Pier Silvio è vicepresidente. Incredibile, anche le sue mani sono in conflitto d’interessi (Enrico)
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Martedì 1 dicembre 2009
SECONDO TEMPO
PIAZZA GRANDE Chi fa “sparate” e chi spara di Gianfranco Pasquino
a doppia sequenza è oramai arcicollaudata. Berlusconi esterna al di sopra delle righe. Le sue parole vengono battute da tutte le agenzie. Poche ore dopo segue una dichiarazione dei portavoce nella quale il presidente del Consiglio afferma di essere stato frainteso, di non avere mai detto quanto gli viene attribuito. Nel frattempo, in tutti i talk show si discute di quella dichiarazione che rimbalza a cascata e che, naturalmente, non viene mai criticata, ma sempre giustificata dai suoi corifei ai vari livelli. Quando intervengono coloro che criticano la dichiarazione, i corifei prima dicono che è stata smentita, poi che non è mai stata pronunciata. Ma qualche volta la registrazione audio rimane lì, disponibile e inoppugnabile. Se, poi, il dichiarante è Bossi, come sappiamo tutti, l’Umberto è un bravo ragazzo, qualche volta esagera, ma bisogna capirlo: è il suo stile (che piace tanto all’elettorato, non soltanto al nord). Dunque, non è vero che c’è un clima da guerra civile (mai detto!). Però, c’è un complotto della magistratura. È in corso un’operazione eversiva per rovesciare il governo del Popolo della libertà. Non è neppure vero, come va ripetendo periodicamente l’Umberto (e come aveva anticipato l’ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, finché non fu messo ai margini) che ci sono trecentomila fucili e altrettanti passa montagna pronti all’uso se non si farà il federalismo, o altre cosette del genere.
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omprensibilmente, molti Cdo italiani reagiscono pensanche sono esagerazioni. Alcuni deplorano le modalità barbariche con le quali si svolge il dibattito politico. Altri pensano che, forse, in queste deplorevoli dichiarazioni potrebbe configurarsi un qualche reato che i magistrati complottisti dovrebbero addebitare a Bossi e a Berlusconi e che
La guerra civile di Berlusconi e i fucili di Bossi: siamo in una situazione politica a metà fra il surreale e il pericoloso che non deve essere né sottaciuta né sottovalutata il ministro degli Interni Maroni potrebbe ravvisare e perseguire poiché turbano l’ordine pubblico. Invece, “sparata”, con deplorazione o compiacimento, sulle prime pagine di alcuni giornali, la notizia recede nelle pagine successive e in pochi giorni scompare. Nel caso di Berlusconi, più della dichiarazione specifica, e gravissima, sulla possibilità di una guerra civile, da intendersi come una chiamata alle armi dei suoi sostenitori, dovrebbero valere alcune foto che lo ritraggono accigliato, invecchiato, teso e con la faccia davvero cattiva e minacciosa. Tutti i rumour e le indiscrezioni suggeriscono che questi sono i giorni peggiori da quando è entrato in politica. I processi incombono e i tempi di un salvataggio legislativo diventano strettissimi. La sfida di Fini, più che sulla successione, sul modello di partito, è ineludibile. La conta interna non del tutto rassicurante. Il leader populista non può che fare appello al popolo. Circola con insistenza la possibilità di una sua richiesta di scioglimento del Parlamento (e conseguente eliminazione di Fini dalla troppo visibile e prestigiosa carica di presidente della Camera). Raggiunto da una condanna in primo grado per la quale, in qualsiasi democrazia, l’etica politica ne imporrebbe le dimissioni, Berlusconi chiederebbe, invece, ele-
Fascismi a Varsavia di Massimo Fini
n Polonia è stata approvata, pressoché all’unanimità, una legge penale (pena prevista: due anni di carcere) che vieta “la produzione, la distribuzione, la vendita o il solo possesso di oggetti che richiamino al fascismo, al comunismo o ad altri simboli di totalitarismo”. È una norma perfettamente fascista o, se si preferisce, degna di uno Stato sovietico o comunque totalitario. Che si contraddice in sé perché si mette sullo stesso piano di ciò che pretende di combattere. Mi rendo conto che dopo la feroce spartizione del loro paese fra bolscevichi e nazisti e quasi mezzo secolo di domina-
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zione sovietica, i polacchi abbiano i nervi scoperti su certi argomenti, però mi pare che non abbiano capito – eppure proprio quelle esperienze avrebbero dovuto insegnarglielo – una cosa fondamentale: che l’antifascismo non è un fascismo di segno contrario, ma il contrario del fascismo. Per la verità non lo hanno capito nemmeno gli italiani. La “legge Mancino” che vieta “gesti, azioni, slogan legati all’ideologia nazifascista”, comminando anch’essa il carcere ai trasgressori, non si differenzia molto dal diktat polacco. Sono, entrambe, leggi liberticide che non hanno nulla a che vedere con quella democrazia che pretendono di tute-
zioni anticipate. E la sua eventuale vittoria costituirebbe la peggiore manifestazione del populismo: il “popolo” contro il sistema giudiziario. Ma sarebbe il popolo berlusconiano che “scenderebbe in campo” aprendo uno scontro che potrebbe appunto avere caratteristiche di guerra civile. a versione di Bossi è più Lto semplicistica, ma altrettanpericolosa poiché di qualche effettiva violenza da parte di gruppi d’assalto leghisti ne abbiamo già avuto esempio. L’elemento comune preoccupante in entrambe le esternazioni “guerra civile+300 mila fucili” è l’indicazione che la chiamata alla violenza, di piazza e più, fa parte del lessico di due leader al governo di un paese democratico europeo. Una parte di italiani accetta la situazione che si è venuta creando senza neppure rendersi conto della sua gravità. Addirittura, chi la denuncia, oltre a essere accusato di antiberlusconismo viscerale e di demonizzazione dell’avversario politico (il quale definisce gli altri “nemici” politici) viene trattato come un allarmista
che contribuisce direttamente al clima di scontro. Coloro che vorrebbero una competizione politica basata sul confronto di idee, di proposte e, perché no, di persone e delle loro capacità, risultano essere degli alieni che esorcizzano malamente eventi che, invece, magari non sono dietro l’angolo, ma vengono palesemente evocati. Se un partito è una caserma è assolutamente comprensibile, ma mai giustificabile che troppi suoi dirigenti non contraddicano mai le espressioni estreme del loro leader maximo e del suo alleato più stretto. Nell’atmosfera a metà tra incredulità e indifferenza, qualcuno usa la prospettiva della guerra civile per rendere più difficile, se non impossibile, l’applicazione della legge ai suoi comportamenti. Qualcun altro manda un segnale di violenza da organizzare per ottenere, dal governo al quale partecipa con grande potere di intimidazione, le riforme da lui volute. Siamo in una situazione politica a metà fra il surreale e il pericoloso che non deve in alcun modo essere né sottaciuta né sottovalutata. Vladimir Putin e Silvio Berlusconi
In Polonia una legge (pena: due anni di carcere) vieta anche il mero possesso di oggetti che richiamino a simboli di regimi totalitari Ed è una norma degna di uno Stato totalitario lare e affermare. Ne rappresentano anzi la negazione. In democrazia tutte le idee, per quanto aberranti possano apparire in un determinato momento storico, hanno diritto di cittadinanza. È il prezzo che la democrazia deve pagare a se stessa e ciò che la distingue dai totalitarismi. L’unico discrimine è che nessuna idea, giusta o
sbagliata che sia, può essere fatta valere con la violenza. Punto e fine. Una democrazia che non accetta opinioni che non siano democratiche non si differenzia da un totalitarismo o da una teocrazia che accetta solo le opinioni che restino all’interno del loro impianto ideologico. Anche la disposizione, contenuta nella legge Mancino, che punisce “l’istigazione... all’odio, per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali” mi pare di dubbia democraticità. Anzi, in un certo senso, è peggio. L’odio è un sentimento, come l’amore o la gelosia. E ai sentimenti non si possono mettere le manette. E nemmeno alle loro manifestazioni. Io ho il diritto di odiare chi mi pare e di farlo sapere. L’odio non è un reato e quindi nemmeno la sua istigazione può esserlo. Naturalmente è chiaro che se torco anche solo un capello al soggetto del mio odio si aprono le porte della galera. La libertà di manifestare le proprie idee riguarda anche quel fenomeno, oggi molto demo-
noi&loro
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di Maurizio Chierici
DUBAI, IL PAESE LAVANDERIA N
el raccontare la paura dei grattacieli che tremano in Dubai, i guru dell’economia dimenticano qualcosa: Dubai non è un paese, ma un mercato provvisorio. Dietro le vetrine, niente. Anche la vocazione commerciale è una leggenda del teatro dell’imbroglio. Quando il petrolio finisce, la globalizzazione trasforma i suk dei mercanti indiani (oro e perle) in padiglioni mastodontici dove tutto costa la metà. Trent’anni fa anni diventa paese di servizio per accogliere capitali da risciacquare. Nell’ultimo viaggio mi sono chiesto che senso ha concentrare tecnologie sofisticate, informatica e laboratori in un deserto bollente. Si può insabbiare il deserto in una Disneyland per adulti schiacciati dai 40 gradi? Manca l’acqua, ron ron dei desalinizzatori: un litro d’acqua costa più di un litro di whisky. Accanto ad ogni aiuola un’ombra del Bangladesh, pompa in mano, giorno e notte. Chilometri di aiuole nell’illusione della primavera di plastica. Il campo da golf più lungo del mondo – Tiger Woods Gold Course – asciuga 16 milioni di litri al giorno. Ma il mare è inquinato e i filtri non ce la fanno: erba che ingiallisce, acqua potabile sempre peggio. La follia di questo verde costosissimo non è solo il consumo astronomico dell’energia per l’irrigazione, la follia sono i battaglioni di emigranti attorno a battaglioni di piante rachitiche. Dietro ogni cespuglio, un extra arabo. E per mantenere la tradizione che non c’è più, Dubai ed Emirati passano un sussidio a chi in giardino alleva dromedari. Importazione di vasche da bagno: mangiatoie. L’erba arriva dal Pakistan. E nuove spese per mantenere in forma delle navi del deserto grasse come maiali: somali che li fanno correre. I padroni di casa sono meno di 300 mila. Un milione e 200 mila vengono da fuori. Yemenita il tassista che mi carica in albergo. Libanese chi controlla il biglietto. Fra i banchi di scuola e negli ospedali, laureati palestinesi. Voglio sapere dalla ragazza filippina, bar aeroporto: le piace stare qui? Gira gli occhi attorno, orientale guardinga: “A lei piace?”, risponde. Non mi piace. Sospira sollevata. “Un posto terribile. Alberi falsi, contratti di lavoro falsi, isole false. Non è un paese, un’illusione”. Chi fa i raggi alla valigia è egiziano. L’hostess olandese mi accompagna alla poltrona dell’airbus Emirate Airlines. Il pilota inglese annuncia il decollo appena i sudanesi delle pulizie fermano le scope. In fondo alla pista muratori sudcoreani sistemano la torre di controllo. Nella kufia beduina c’è scritto made in Taiwan. Ma è un islam addolcito. Se in Arabia Saudita mogli e mariti possono frequentare la piscina dell’albergo solo in giorni diversi, a Dubai è permessa la trasgressione del bagno assieme. L’aereo cammina verso la partenza. Angeli custodi, militari pachistani. Sull’Awacs-spia bandiera Usa. Paese lavanderia, specie di Las Vegas dove Berlusconi si è adagiato in visita ufficiale con un occhio agli affari di famiglia. Emiro che può diventare azionista del Milan; Cavaliere che forse prende casa in un’oasi artificiale, cascate e laghetti desalinizzati. Ecco il Dubai, spazio simbolo della finanza che nasconde i milioni nella sabbia come la spazzatura proibita nei deserti africani. Follia che deve continuare altrimenti le banche si ammalano. Il miliardo degli affamati dimenticati dalla globalizzazione non può pretendere di deprimere un paradiso così. mchierici2@libero.it
nizzato, che si chiama “revisionismo storico” e, in specie, quel particolare revisionismo che è il “negazionismo” (la negazione dell’Olocausto o il suo ridimensionamento) che, in alcuni paesi democratici, è costato la galera a un paio di studiosi. Innanzitutto la Storia è per sua natura revisionista. “Ogni storia è storia contemporanea” ha scritto Benedetto Croce, intendendo dire con ciò che la storia consiste essenzialmente nel guardare il passato con gli occhi del presente (B. Croce, “La storia come pensiero e azione”). Ogni generazione ha quindi il diritto di guardare il passato con i propri occhi e non con quelli delle generazioni che l’hanno preceduta. E di darne anche, se è il caso, un’interpretazione diversa. Poi c’è il diritto alla ricerca, al controllo e alla verifica dei fatti (che è anch’esso consustanziale alla modernità e quindi alla democrazia, altrimenti non si capirebbe la difesa di Galileo contro il cardinal Bellarmino). Nessuna verità storica è assodata per sem-
pre. Anche perché, nella vicinanza degli avvenimenti, la storia è sempre quella raccontata dai vincitori. Gli argomenti e i dati, se ci sono, dei revisionisti e anche dei “negazionisti” vanno battuti, e magari ridicolizzati, con altri argomenti e altri dati. Non con gli anatemi “a prescindere”, con la galera, con i roghi. Se non si vuole tornare al medioevo. www.ilribelle.com
IL FATTO di ENZO
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La morte di Marco Biagi provoca anche un esame di coscienza nazionale. Non è in lutto solo una famiglia, ma un paese. Adesso è già cominciata la campagna per attribuire a qualcuno una specie di complicità morale e politica. Sembra di rivivere vecchie storie e vecchi dolori. Il Fatto del 20 marzo 2002
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SECONDO TEMPO
MAIL Se la mafia si combatte così
Furio Colombo
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Mi fa piacere che almeno dal punto di vista dello spirito comico il nostro presidente del Consiglio sia ancora in perfetta forma. Ne è dimostrazione questa sua dichiarazione: “Contro la mafia ho fatto più di chiunque altro”. E come dargli torto, basti pensare al recentissimo scudo fiscale e, perché no, alla prossima approvazione dell’emendamento che consentirà di vendere all’asta i beni confiscati ai mafiosi e che non siano stati assegnati dopo 60 giorni dalla confisca. Inoltre, non è da sottovalutare il programma esposto dal senatore Dell’Utri (condannato a 9 anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa) alla trasmissione “In mezz’ora” di Lucia Annunziata: revisione della legge sui pentiti e della disciplina del reato di concorso esterno in associazione mafiosa che, secondo lui, non è un reato. Dell’Utri ha anche ribadito che il mafioso Mangano era un eroe. Bella coppia di combattenti della mafia.
BOX A DOMANDA RISPONDO ENRICO LETTA COME MOSÉ
aro Colombo, Enrico Letta scende dal Quirinale e porta al popolo del Pd le seguenti tavole: “Primo, l’opposizione non utilizzerà come arma letale eventuali avvisi al Cavaliere; secondo, il capo dello Stato ha ricordato che un governo, finché ha i numeri e la fiducia della sua maggioranza, governa; terzo, mai forze politiche, pur così divise, sono state tanto vicine a un’intesa sul merito delle riforme”. Cito dal Corriere della Sera del 30 novembre e mi domando: è la fine dell’opposizione? Ambrogio
C
SPERO E CREDO che non sia
la fine dell’opposizione, ma sono d’accordo con il lettore: ciò che dice Enrico Letta al Corriere è un gran pasticcio logico, storico e politico. Sta correndo a spingere con fervore tutta l’opposizione dentro un vicolo cieco di claustrofobica sottomissione. Il primo pericoloso equivoco di quanto Letta dichiara, sta nel far credere che il capo dello Stato sia anche il capo dell’opposizione. I leader Pd salgono al Colle e ne scendono con le tavole della legge. E’ un grave errore, perché non è vero. E’, sia pure involontariamente, una mancanza di rispetto al vincolo di super partes del Quirinale. E infatti il capo dello Stato non ha e non vuole avere niente a che fare con le strategie giuste o sbagliate dell’opposizione, che sono scelte politiche. Ma l’errore di Letta produce un altro errore. Detta dal capo dello Stato la frase “Chi ha i
Gino
Berlusconi vuole strozzare chi denuncia Cosa Nostra Scrivo questa lettera di getto, mossa da un’indignazione che mi è impossibile trattenere. Mi sono sforzata fino all’ultimo di non credere alle mie orecchie, ma Berlusconi l’ha sparata
LA VIGNETTA
numeri per governare governa” è un richiamo severo a chi va in giro a minacciare lo scioglimento delle Camere. Detto come indicazione a un partito, significherebbe che l’opposizione sta ferma e zitta fino a quando “i numeri” della maggioranza vengono meno, presumibilmente per autoscioglimento. Vi pare che sia l’atteggiamento dei repubblicani statunitensi che non danno tregua a Obama e ogni giorno lo accusano di tutto, nonostante i “numeri” consentano al presidente di governare? Vi pare che quei repubblicani, in un paese di lunga e indiscussa abitudine alla democrazia rilascerebbero a Obama che è anche il capo del partito avverso, un salvacondotto preventivo in caso di incriminazione? E poi c’è la frase chiave: “Mai forze politiche sono state tanto vicine…”. Detta nel giorno in cui il primo ministro annuncia di voler strozzare chi parla male della mafia, in cui sua figlia Marina conferma ai giornali del mondo che suo padre, il presidente del Consiglio, è il proprietario di tutta Mediaset, celebrando il conflitto di interessi, detta nel giorno in cui il braccio destro del capo del governo, il sen. Dell’Utri, conferma che il mafioso pluriomicida e dipendente di Berlusconi Mangano è “il vero eroe italiano”, la vicinanza delle due forze politiche è improbabile e la presa di posizione di Letta appare un grande equivoco. Attendiamo smentita. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
ciato ingiustizie, crea danni enormi al paese. Il presidente Silvio Berlusconi dovrebbe stare molto attento a come si esprime. Le denunce, caro Silvio, non dovrebbero far vergognare uno Stato libero e onesto. Il fatto che i cittadini combattano per la giustizia può far vergognare solo le dittature. Se non altro ora sappiamo che per il nostro presidente del Consiglio la presenza della mafia in Italia non è motivo di denuncia. Bene. Ottimo. Tra l’altro Berlusconi continua, assieme a Dell’Utri, una pratica davvero inquietante: sfrutta i media per far arrivare messaggi a qualcuno. Silvio, il tuo messaggio l’abbiamo intercettato anche noi. Forte e chiaro. E ora sono furiosa. Furiosa, oltre che indignata. E’ inaccettabile. Anna Maria Rossetti.
troppo grossa. Cito: “Se trovo chi ha fatto le nove serie de ‘La Piovra’ e chi scrive libri sulla mafia, facendoci fare brutta figura nel mondo, giuro che lo strozzo”. Silvio Berlusconi, Olbia, 28/11/09. Non me ne capacito. Mi si torcono le budella dal disagio, dall’imbarazzo della mia impotenza di cittadino: come possiamo permettere che un capo di governo si pronunci in questo modo?! Cosa pensava di fare? Minacciare Roberto Saviano o gli sceneggiatori di una
serie televisiva?! Se Berlusconi voleva chiarire una volta per tutte la sua posizione rispetto a Cosa Nostra, direi che a Olbia lo ha fatto. E secondo me non si è nemmeno reso conto dell’escremento fresco che ha pestato. Persone come Roberto Saviano vanno difese tanto dalla camorra quanto da questi attacchi. La mentalità camorrista di chi ha attaccato scrittori, giornalisti, preti, accusandoli di portare disonore alla nostra Italia per il fatto di aver denun-
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A proposito di opere antimafia (e di autori da strozzare, come vorrebbe Berlusconi): il primo regista de “La Piovra”, nel 1984, è stato Damiano Damiani; altro film, “I cento passi” (il regista è Marco Tullio Giordana), il protagonista è Peppino Impastato. Un paio di libri: uno per tutti “Cose di cosa nostra”, con interviste a un certo Giovanni Falcone. Un altro è del signor
Paolo Borsellino, “L’agenda rossa”; poi c’è “Gomorra” di tale Roberto Saviano, ma quello parla di camorra, no no che c’entra con la mafia, e soprattutto con la politica? Paola Mura
Il menefreghismo insopportabile Una persona normale, un padre o una madre di una famiglia numerosa che si senta responsabile dei suoi figli, o anche il dirigente di un’azienda in crisi, non vanno a letto la notte senza pensare alle soluzioni possibili. In Italia invece c’è un uomo, responsabile del governo di un paese di 60 milioni di persone, che in questi mesi di crisi mondiale la notte torna a casa sua e fa i festini. E’ chiaro che non gliene frega niente. E’ chiaro che il mio voto non l’avrà mai: non l’avrebbe neanche se fosse un genio. Capisco anche che molte delle persone che lo criticano o lo difendono senza rendersi conto di questo fatto al massimo, nella loro vita, sono state responsabili dei loro interessi personali: potere, successo, stima, soldi. Vi scrivo perché penso che l’opportunità del voto come possibilità di scegliere chi ci governa si stia perdendo; si concede invece il voto alla figura che appare vincente per sentirci altrettanto
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IL FATTO di ieri1 Dicembre 1966 “Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può”. Amava lo choc del paradosso, Carmelo Bene, affabulatore languido e sfacciato, maestro barocco di una teatralità pura, sospesa tra distorsione burlesca e gioco canzonatorio, tra il falsetto parodistico e la stilizzazione farsesca. Virtuosista di una vocalità che era un “recitar salmodiando”, capace di trasformare un copione in una partitura ritmica, costruita su un linguaggio scenico schizoide, disomogeneo. Un teatro no-luogo, il suo, in cui, simbolo assoluto della dissociazione narrativa, spicca “Nostra Signora dei Turchi”, andato in scena il 1 dicembre ’66 al Teatro Beat di Roma. Viaggio onirico, tra immaginario e memoria, nel “Sud del Sud dei Santi”, elogio dell’allucinazione, intesa come unica cifra stilistica possibile per legare Storia e biografia, per giustificare il voluto cortocircuito tra passato e presente, per riprodurre scenicamente lo scarto temporale tra invasori antichi e moderni. Capolavoro senza trama,dai tratti joyciani, “Nostra Signora dei Turchi” resta la più destrutturata e psicanalitica opera di Bene. “Feroce e divertita parodia della vita interiore”. O meglio, come è stato scritto, “la morte raccontata da un vivo”. Giovanna Gabrielli
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forti, e si difendono il suo operato e i suoi argomenti come se stessimo giustificando noi stessi e le nostre aspirazioni. E dubito, per molti, che questo meccanismo comune sia consapevole. Giorgio Rossi
Enrico Letta, simbolo del Pd perdente Cara redazione, leggendo l’intervista del vicesegretario del Pd Enrico Letta mi sono sentito stupido come mai prima. Stupido perché una volta il Partito democratico l’ho votato, ma
giuro che non accadrà mai più. In questa intervista Letta, che è sembrato molto più a destra di suo zio Gianni, ha detto che Berlusconi ha tutto il diritto di difendersi, oltre che “nel”, anche “dal” processo. In sostanza, per Letta non è importante la Costituzione, non conta nulla l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge né tantomeno l’importanza che chi ci governa dia un buon esempio al paese. Per il signor sottosegretario, che incarna tutto quello che mi disgusta della sinistra di oggi, che ha preso una deriva veramente immorale, è legittimo che Berlusconi non si faccia processare. Ha detto anche che il Pd non tenterà nulla per far cadere Berlusconi, che non si occuperanno più di tanto di lui. I miei complimenti: la tecnica è vincente, come ha dimostrato con uno storico fiasco l’ex segretario Veltroni, che infatti è ex e ha preso una batosta senza precedenti. Nelle stesse ore, il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, una condanna a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e una serie di amici che io non farei mai entrare in casa mia, affermava che lui si è fatto processare solo perché non avrebbe potuto fare altrimenti. Se avesse avuto la possibilità, come Berlusconi, di eludere la magistratura, l’avrebbe fatto volentieri. Siamo arrivati ad avere una classe dirigente così compromessa che nemmeno l’opposizione si distingue più dalla maggioranza. Lo trovo gravissimo. Guglielmo
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Lorenzo Marini & Associati
Il denaro non è tutto.
Tullio Pericoli: “Albert Einstein” 1987
Crediamo che i valori delle persone siano più importanti del valore del denaro. Anzi, crediamo che il valore del denaro dipenda dal valore delle persone e dei loro progetti.
Face Value