Il fatto Quotidiano (3 dicembre)

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Quasi tutti i berluscones all’attacco del presidente della Camera. Non sappiamo se si voterà ma si contano già le truppey(7HC0D7*KSTKKQ(

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Giovedì 3 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 62 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

SPIE, RICATTI ED ELEZIONI ANTICIPATE

Premio Mangano di Marco Travaglio

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De Benedetti denuncia, Feltri parla di altri video Un’aria mefitica di Antonio

Non si placa la guerra nel Pdl. Berlusconi manda a dire a Fini: ormai sei fuori dal partito. Il premier minaccia il ritorno alle urne. I finiani: allora ci saranno le nostre liste. L’Ingegnere: Tecce, Nicoli, Gomez, Lillo e Ferrucci pag. 2-3-6-7 z manomessa la mia auto

Padellaro

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Quell’ospedale chiuso in fretta da Marrazzo

di Rosaria Talarico e l’ingegner Carlo De Benedetti, proprietario del gruppo Repubblica-Espresso, denuncia la manomissione dell’auto non escludendo un’azione di spionaggio ai suoi danni, sa quel che dice. Se Vittorio Fellavoratori precari iscritti tri, direttore del Giornale, rivela l’esiall’Inps sono quasi due stenza di altri video hard con trans in milioni. Loro forse una pencompagnia di politici, dice quel che sa. sione non l’avranno mai, Non è casuale che nella stessa giornata comunque per ora pagano giungano, clamorosi e inequivocabili contributi – frammentati nuovi segnali sulla furibonda guerra di come le loro esperienze di veleni e ricatti in corso sotto la superlavoro – preziosi per finanficie della palude Italia. Che poi spioni ziare le pensioni dei dirie viados rispuntino mentre deflagra lo genti. pag. 11 z scontro tra Berlusconi e Fini e si torna a parlare di elezioni anticipate, tutto sembra meno che fortuito. Né sembra reggere più la distinzione tra cronaca Consigli a Fini: 1) usare il telefono il politica e cronaca nera (tutto è nero). meno possibile 2) non farsi O tra cronaca vera e cronaca falsa (fa lo microfonare 3) andare dal barbiere stesso). Se, per esempio, all’origine solo su appuntamento 4) non del caso Marrazzo vi sono evidenti eleindossare calzini turchesi (Bandanax) Interno dell’ospedale San Giacomo durante una manifestazione di protesta (F A ) menti di fatto (un video compromettente, forse due), il caso Mussolini scoppia sulla base del solo annuncio di “NO ALLA DIRETTA DEL TG3” x Viale Mazzini: “C’è RaiNews24” un video altrettanto intimo, di cui però nessuno può dimostrare l’esistenza. Calunniate, diceva quel tale qualcosa resterà. Tanto più che nel nostro strano paese se qualcuno ha qualcosa di ricattabile in mano, chissà perché, corre subito a dirlo al presidente del Consiglio. Lungi da noi l’idea che esista una centrale di arsenico e pugnali. Ma che esperti del ramo stiano, come si dice, attenzionando l’editore di Repubblica, il giornale delle dieci domande al premier sulle sue frequentazioni No B. Day, le spine democrat per la manifestazione a Roma: di escort e fanciulle in fiore, qualche interrogativo lo pone. Né la Roma del i veltroniani ci saranno, i bersaniani no. Il palco pagato dall’Idv, potere può stare tanto tranquilla se a Telese e Mello pag. 4-5 z contributi per le trasferte bus da Rc e Pdci. parlare della nuova produzione di vidi Luca Telese deo-trans è il giornaMarco Travaglio alter Veltroni ha fatto sapepresenta la nuova milano lista che ha distrutto il re che lui andrebbe. Ha un edizione de direttore dell’AvveniL’odore dei soldi matrimonio, altrimenti sarebre Boffo e costretto lo be in piazza. Il suo storico Walstesso Fini a sporgere venerdì 4 dicembre a ROMA ter Verini, invece, alla manifequerela dopo un artialle ore 11.00, stazione del 5 ci andrà: lo ha presso la sede della colo nel quale lo si acBarbacetto pag. 18z Stampa Estera, in scritto nella sua sua rubrica costava a una storia di via dell’Umiltà 83/c sull’Unità con un pronunciaprostituzione. Non congo Interverrà Furio mento appassionato: “Mi hansappiamo se i lampi Colombo. no convinto i miei figli”. Giordi queste ore preangio Tonini altro dirigente velnuncino altre tempetroniano di primo piano: “Queste di fango. Certo è sto No-b-day bisogna guardarche tira una bruttissilo con simpatia. pag. 5 z ma aria. Battistini pag. 12z

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PENSIONI PIÙ PRECARIE DEL LAVORO

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CATTIVERIE

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CORTEO DI SABATO PD IN CRISI DI NERVI W

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La giunta Moratti e l’incredibile storia Madaffari

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EDITORI RIUNITI

La scelta di un medico senza frontiere

n effetti, come fanno notare Il Giornale, Libero, Il Predellino e la loro succursale denominata Corriere della Sera, Fini l’ha fatta grossa. Il fuorionda col procuratore di Pescara – ci illumina Massimo Franco, pompiere-capo di via Solferino – è “un incidente che rischia di isolarlo ancor di più” perché “trasmette una sensazione sconcertante: la terza carica dello Stato incontra per la prima volta un alto magistrato, Nicola Trifuoggi, a un dibattito”. E questo, diciamolo, è già preoccupante: i magistrati bisogna fare in modo di non incontrarli mai, salvo che da imputati (nel qual caso, ok). Se poi uno ci va a sbattere contro per caso, allora li dovrebbe perlomeno insultare (che so, dicendo loro che sono ”golpisti”, anzi “matti, mentalmente disturbati, antropologicamente diversi dal resto della razza umana”), per dissipare ogni sospetto di collusione con la Giustizia e non trasmettere “sensazioni sconcertanti”. Non contento, Fini al magistrato rivolge addirittura la parola e – denuncia Franco tutto spettinato – “gli confida di considerare il suo principale alleato irrispettoso di qualunque istituzione”. Davvero bizzarra l’affermazione di Fini, tale da sorprendere anche un osservatore attento come Franco. Fa il notista politico da trent’anni e non l’aveva mai sfiorato il minimo dubbio sul sacrale rispetto per le istituzioni da parte di un tizio che ogni giorno attacca l’opposizione, la stampa libera, i rari programmi tv non suoi, il pur servizievole Quirinale, il Parlamento, tutti i magistrati penali e civili di ogni ordine e grado dai pm ai gip ai tribunali alle Corti d’appello alla Cassazione alla Consulta alla Corte dei conti al Tar al Consiglio di Stato alle Corti europee di Strasburgo e di Lussemburgo alle Nazioni Unite, con l’eccezione del giudice Sante Licheri di “Forum” e dei tre o quattro che Previti teneva a libro paga. Stupefatto per quel giudizio così originale, Franco parla di “frasi imprudenti”, anzi molto peggio perché, invece di smentirle alla maniera berlusconiana, Fini le ha poi ”autenticate”. Giusto: è estremamente imprudente dire che un premier deve rispettare le altre istituzioni, non deve confondere il consenso con l’immunità e la magistratura deve indagare su mafia e politica riscontrando scrupolosamente le parole dei pentiti per evitare errori giudiziari. La prossima volta Fini faccia come tutti gli altri: dica in pubblico il contrario di quel che dice in privato, poi all’occorrenza smentisca tutto e dia la colpa alla stampa comunista che l’ha frainteso. O dica subito che “con la mafia bisogna convivere” (Lunardi), anzi “la mafia non esiste” (Dell’Utri) e le stragi del 1992-’93 sono “roba vecchia” (B.) e chi indaga ancora “cospira contro di noi” (B.) e “Vittorio Mangano è un eroe” perché non ha parlato (Dell’Utri e B.), mentre Spatuzza e gli altri pentiti sono infami perché parlano (Riina, Dell’Utri e B.) e naturalmente “se trovo chi ha fatto la Piovra e chi scrive libri sulla mafia, lo strozzo” (B.). Ecco, queste sì sono frasi da statista: infatti il Pompiere della Sera non le ha mai giudicate “imprudenti”. Imprudente è Fini che, non contento di non avere processi per corruzione né inchieste per mafia, di non elogiare sinceri democratici come Gheddafi, Putin e Lukashenko, di non minacciare col gesto del mitra giornaliste russe, partecipa spudoratamente al Premio Borsellino anziché attendere il Premio Mangano, che sarà presto istituito dal senatore Dell’Utri sotto l’alto patrocinio di James Bondi e il basso patrocinio di Berlusconi. Ergo – come chiede il premier – deve “dare spiegazioni o dimettersi”. Perché – come osserva Bossi, lo stesso che dava del mafioso al Cavaliere – “è un fascista amico dei comunisti”. E poi – come osserva Gasparri – “certe cose non basta non dirle: non bisogna neppure pensarle”. Lui infatti, per non sbagliare, sono anni che non pensa.


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Giovedì 3 dicembre 2009

Il fuorionda sul Cavaliere fa scoppiare la bufera nel Pdl

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GUERRA A DESTRA

i trova a un convegno a Pescara, il 6 novembre, Gianfranco Fini. E parla amabilmente con Nicola Trifuoggi, procuratore della Repubblica. Il presidente della Camera non sa che i microfoni sono accesi e le sue parole saranno ascoltate, qualche settimana dopo, da tutto il paese. Fini ride e scherza, mentre parla di Berlusconi. Dicendo cose del

tipo: “L’uomo confonde il consenso popolare che ovviamente ha e lo legittima a governare con una sorta di immunità nei confronti di qualsiasi autorità di garanzia e di controllo... magistratura, Corte dei conti, Cassazione, capo dello Stato, Parlamento”. Insomma, rincara Fini “confonde la leadership con la monarchia assoluta”. Per di più, il presidente della Camera afferma che le

dichiarazioni del pentito Spatuzza saranno “una bomba atomica”. E tireranno in ballo il presidente del Consiglio. Un fuorionda esplosivo, intanto, è quello di Fini. Che si è attirato le ire dei fedelissimi del capo e del premier: “Ora deve spiegare”, chiedono dal Pdl. Fini, che ieri sera ha telefonato in diretta a “Ballarò”, ha detto invece che non ha nulla da chiarire.

LA TENTAZIONE DI FINI: “AL VOTO? DA SOLI” IL PRESIDENTE DELLA CAMERA NON ROMPE NÉ FRENA di Carlo Tecce

n taglio, una cucitura. Il video rubato e le rassicurazioni, l’intervento a Ballarò e la nota concordata con Italo Bocchino. Gianfranco Fini promuove la strategia del logoramento di Silvio Berlusconi, una resa lenta e inesorabile. Non vuole esagerare: le dimissioni del presidente del Consiglio sono un rischio concreto. Non vuole frenare: il rapporto è ormai irrecuperabile, le strette di mano a uso dei fotografi sono ipocrisia. Anche se gli ex colonnelli di An rinascono berlusconiani convinti,

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Fini è il cofondatore del Pdl, può gestire un’eredità politica: che può spendere a sua dicrezione e che potrebbe spaccare il partito. Il deputato Fabio Granata è una sorta di ventriloquo di Fini: “Si vota a marzo? Il Pdl si rompe. Non esiste più”. Fini poteva provare a impedire la diffusione del fuorionda di Pescara, a disposizione dei suoi collaboratori da almeno due giorni. Non l’ha fatto. Non serviva. E pensava di archiviare la giornata di martedì con Ballarò. Un chiarimento per marcare la distanza con Berlusconi: “L’ho detto in pubblico e l’ho ripetuto in privato nella registrazio-

INFELTRITI

La video-calunnia è un venticello...

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l video annunciato è un venticello, un’immagine assai gentile, che insensibile sottile, leggermente dolcemente incomincia a mostrare”. L’aria del Barbiere di Siviglia riadattata ai tempi (politici) e ai mezzi (tecnologici) contemporanei e declinata al ritmo di Vittorio Feltri ben s’attaglia all’ennesima puntata del videoannuncio ricattatorio del direttore del Giornale: “Girano video hard probabilmente realizzati da alcune trans che ritraggono politici colti sul fatto. Quelli che fanno i ricatti non sono le trans, sono altri che approfittano del materiale, lo riciclano, e attraverso questo materiale, ricattano”. Il riferimento è al video della Mussolini di cui tanto si parla e poco s’è visto; ma la coincidenza dei tempi politici richiama l’estate, quando Feltri ricordò che ci sono in giro dossier compromettenti che riguardano Fini. E fu subito querela.

di Alessandro Ferrucci

spielberghiano, trasformazione kubrikiana. Acianocronimo ET, al secolo Elisabetta Tulliani, ex compagna di LuGaucci, avvocato, emanazione del generone romano, madre di due figli avuti dall’attuale presidente della Camera e ragazza in grado di ribaltare amicizie, riferimenti e universo del nuovo Fini proteso verso magnifiche e progressive sorti. In luogo dei vecchi notabili di un tempo, che uscendo dalla storica foto della squadra calcistica del Secolo d’Italia 1980, hanno abbandonato Fini uno a uno (chi per convenienza, chi perché morire berlusconiani, sembra meglio di qualunque alternativa), un pantheon rinnovato. Lo ha deciso “Eli”, cambiandoli come un vecchio vestito inadatto ai tempi correnti. Niente più occhiali da carabinero sudamericano, niente impermeabili Cefis, né spaventose camicie a maniche corte o cravatte fantasia che facevano somigliare l’amato, al cronista Rai Castellotti, quello di “Novantesimo Minuto”. Giovani di pensiero (FareFuturo), divertimento moderato, eleganza, completi scuri, sobrietà. Ogni rivoluzione necessita di un assestamento. Così le gite a Capri su motoscafi d’alto bordo con Andrea Ronchi (poi futuro ministro) e i momenti hot al largo di Port’Ercole immortalati da Chi, le incursioni con muta e multa nella riserva naturale di Giannutri hanno subìto la sostituzione che più conveniva a un’immagine diversa di un politico in carriera. Lui e lei, impegnati ad accreditarsi, a iniziare dal congresso Pdl, in cui ET si presentò in pantaloni, i capelli legati, l’ovale se-

ne. Il presidente eletto dal popolo ha il dovere di rispettare gli altri poteri: l’ordine giudiziario, il Parlamento, la Corte costituzionale, le altre magistrature. Non cambio opinione”. All’improvviso la notte di Fini s’è spinta più in là, interrotta e prolungata da una telefonata di Gianni Letta: “Silvio è furioso. Vuole rovesciare il tavolo. Devi fare qualcosa di significativo”. Vana diplomazia. Fini riprende la parola nella sala della Lupa, per la cerimonia che ricorda Nilde Iotti a dieci anni dalla scomparsa. Non cambia la forma – sorriso d’ordinanza e cravatta celeste – e nemmeno la sostanza. Più sottile. Altro messaggino per Berlusconi: “Il presidente Iotti offrì un esempio di imparzialità e di equilibrio che le valse il riconoscimento e la stima di tutte le parti politiche. Non rinunciava, però, alle sue idee.

Il presidente della Camera Gianfranco Fini con Italo Bocchino (FOTO ANSA)

Essere super partes non significava per lei rimanere estranei al confronto delle opinioni. Ciò non diminuì affatto l’apprezzamento che la circondava, perché la cultura democratica si fonda, a ben vedere, sul confronto delle idee. E’ da lì che viene la capacità di dialogo e di ascolto”. Toni pacati per ammorbidire. Nessuna contraddizione. Il copione prevede una botta, una ferita e un cerotto: “Mi vogliono destabilizzare. La maggioranza è solida.

Berlusconi ha diritto a governare”. Non c’è fretta, insomma. All’ora della colazione aveva informato i suoi: “Non mi farò trascinare alle elezioni anticipate. Non a marzo. Non con le regionali”. Tradotto: guai a provocare un plebiscito di Berlusconi. Una crisi lontana da scadenze elettorali, al contrario, potrebbe far rientrare Fini tra i candidati per la guida di un governo tecnico. E così il capogruppo Bocchino aspetta Fini nel suo studio di Montecitorio, a pochi

passi dalla sala della Lupa, per dettare alle agenzie un comunicato di temerario ottimismo, proprio quando i vari Capezzone e Scajola cercano lo scontro dialettico: “Fini e Berlusconi rappresentano la più solida coppia politica italiana e nonostante – precisa Bocchino – un momento di evidenti difficoltà interne al Pdl. Hanno il dovere verso gli elettori di ricreare un clima di armonia e collaborazione”. La famosa carezza nascosta in un pugno.

IL RITRATTO

LA TULLIANI E LE METAMORFOSI DI GIANFRANCO

rio e compunto, senza mai alzarsi dalla sedia per l’intera durata del congresso. Gli altri ignobilmente stravaccati, lei dritta, fino alla fine. Lodata dai notisti, mondata dai video in cui con Gaucci tubava come un’adolescente nel castello di Torre Alfina. Non sempre è andata così. C’era un Fini diverso, perduto nella memoria. Dissolvenza a nero, anno 1971. “Guarda che ti viene il colpo della strega, non c’è mica bisogno che te chini così bella, sai?”. Davanti alle generose scollature che le vestali “donne senza dignità”, mostravano maliziosamente al capo della destra durante gli incontri ufficiali, Daniela Fini tornava Di Sotto. La tastierista del Secolo d’Italia, gelosa e possessiva, che in un lontano giorno all’alba dei ‘70, incontrò Gianfranco in una sede del Movimento sociale. Era un’epoca di fiamme ardenti, maggioranze silenziose e piazze urlanti. Lei, una militante sposata con Sergio Mariani ex parà spedito al confino obbligato in Sardegna. Lui, sulla strada per diventare il protodelfino di Giorgio Almirante, più una divinità che un segretario di partito. Prima che Daniela lo scegliesse, provocando il tentato suicidio di “Folgorino”, a colpirla erano stati particolari all’apparenza insignificanti: “Lo chiamavano ‘tortellino’, era appena arrivato da Bologna e indossava un lungo e orribile capottone di pelle”. Quarant’anni dopo, dopo trentasei di convivenza, una figlia, Giuliana, e una separazione tumultuosa, a ricordare il Gianfranco che fu, con tutto il corollario di saluti romani, occhiali fuori misura, maglioni a collo alto, scarpe a punta e sciarpe nere, è paradossalmente un’immagine fiabesca. La cesura più dolorosa, la lunga traversata della destra italiana, da “voce della fogna” a invitata d’onore a Buckingham Palace. Sulla carrozza (le truppe inglesi in rassegna, l’aria immobile) in un piovoso giorno di marzo del 2005, ammantata da un tailleur di Gattinoni, c’era ancora Daniela. Fu l’ultima volta e il minuto conclusivo, durò una vita intera. Nel mezzo, un attimo prima che Fini svoltasse verso il laicismo e molto tempo dopo il primo lavacro, quello di Fiuggi che trascinò dietro di sé abiure, strappi e scissioni, Gianfranco era già lontano. In viaggio verso la metamorfosi. Stanco di consessi ristretti, di tribune d’onore a sconvolgente tasso di lazialità (Mimun, Daniela, Previti, quasi una trinità), cene nei circoli sportivi della Capitale. A Maggio, due mesi dopo la trasferta tra i reali

inglesi, Fini irruppe nel dibattito sulla fecondazione eterologa, spiazzando elettori, sodali e osservatori. “Voterò tre sì e un no”. Più di una rivoluzione. L’allora ministro delle Pari opportunità Stefania Prestigiacomo, alla testa del comitato promotore, incassò l’adesione con trattenuta esultanza: “Ne sono confortata”, qualcuno, maligno, legò l’improvvisa svolta dell’ex fascista del 2000, a una passione bruciante per la Prestigiacomo stessa, capace di dividere con Fini l’attrazione per le immersioni subacquee, detestate dall’ex signora Di Sotto. Tra una smentita e l’altra, piovve anche l’anatema di Daniela: “Mi è dispiaciuto che il pettegolezzo riguardasse una signora sposata. Dietro alla vicenda c’erano calunniatori e cretini, bastardi schifosi”. Anche di quel linguaggio naïf, ampiamente emerso nelle intercettazioni telefoniche sullo scandalo sanità nel Lazio: “Sono andata a sbattermi il culo con Storace”, Gianfranco che meditava trasvolate in Israele, discorsi sul male assoluto e platee in grado di recepire un salto filosofico che non si limitasse agli slogan, era saturo. Così ruppe. Consensualmente. Affidando all’avvocato Giulia Bongiorno (sempre lei), un comunicato in cui quasi mezzo secolo di convivenza, subiva la mesta liquida-

zione in sorte a ogni storia d’amore alle prese col naufragio: “Percorsi di vita differenti hanno determinato un progressivo allontamento (...) impossibile continuare il rapporto coniugale con la serenità e lo spirito di convinzione necessari”. Stop. Per ripartire, Elisabetta. Piombata senza preavviso nell’universo delle potenziali first lady, genere in disgrazia tra una richiesta di risarcimento danni e una riservatezza ormai ritenuta anacronistica. Dietro ogni statista c’è una donna. Angelo del focolare, Livia Danese, la pudìca vestale del divo Giulio, nascosta tra le stanze di un potere che pareva impenetrabile, “sono una donna pazientissima ho fatto da padre ai nostri quattro figli” o anche, cambiando genere, origine e inclinazione politica, Carla Voltolina, compagna di Sandro Pertini, ex staffetta partigiana, due lauree: “Lui mi ha amato moltissimo, certo. Ma anch’io l’ho amato. Forse di più”. Da quei modelli, Eli è distante. Vive il suo tempo. Modernamente. Gite minimal a Fregene e sedute tra forbici e mechès nel locale chic di Roberto D’Antonio in piazza Di Pietra, a due passi da Montecitorio, dove il taglio dei capelli è il banale pretesto per incontrare un mondo, farsi vedere, esserci a prescindere dall’essenza. Come nel salotto di Giuseppe Consolo, avvocato, senatore del Pdl, dove ET cicaleggia con l’amica Nicoletta Romanoff e si incontra col suo fidanzato Giorgio Pasotti, trascinato (suo malgrado?) alle presentazioni letterarie di Fini. Il nuovo potere va edificato. Ci vuole pazienza. Dove porti davvero la crasi tra i due, la giovane erinni ora rinsavita e l’uomo delle svolte ritrattate, ora diretto alla ricerca di arche perdute e scenari fantascientifici, non è dato sapere. Sono in viaggio. Camminano insieme. La luna di miele, è appena iniziata.

A sinistra il “nuovo” Fini; a destra un’immagine insieme all’ex moglie, Daniela Di Sotto (FOTO ANSA)


Giovedì 3 dicembre 2009

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La maggioranza in Sicilia va in fumo e Lombardo cerca una nuova sponda

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GUERRA A DESTRA

a maggioranza di centrodestra in Sicilia è andata in frantumi. “Con il voto che ha bocciato il Dpef – ha detto ieri il governatore Raffaele Lombardo – si è verificata una dissoluzione della maggioranza”. La crisi covava da molte settimane, ma il no trasversale al programma di Bilancio ha dato il colpo finale. Lombardo però non molla la presa e dice che si ripartirà con un nuovo

programma “con chi ci sta e con chi ci crede”. Aggiungendo che i siciliani “non vogliono le elezioni anticipate. Dico con franchezza che ho il dovere morale di portare avanti il mio impegno. Lo devo ai siciliani. Rivolgo un appello alle forze politiche e ai gruppi, non escludo nessuno”. E un primo segnale di disponibilità è arrivato dal Pd, che però pretende la rottura ufficiale tra Lombardo e Berlusconi. I

democratici hanno infatti diffuso un documento in cui si dichiarano pronti a fare la propria parte, per “realizzare le riforme necessarie a cambiare la Sicilia”. Ma prima il governatore deve “sancire il fallimento della maggioranza, condizione primaria per verificare la possibilità di aprire una stagione delle riforme su punti essenziali”. Lombardo ha chiesto almeno un mese per la ricerca di una nuova maggioranza.

BERLUSCONI VUOLE LE ELEZIONI MA I SUOI LO FRENANO Scajola all’attacco: “Fini è lontano dal Pdl” di Sara Nicoli

eri pomeriggio, a Milano, era in vena di battute: “Vado a Panama e mi mancheranno i pm, i giornali e Annozero”. Solo dodici ore prima la sua rabbia era risultata incontenibile. “Dobbiamo isolarlo e poi andare alle elezioni!”. Urlava così, il Capo, al telefono prima con Gianni Letta poi con Denis Verdini e, in ultimo, con Fabrizio Cicchitto. Dopo aver sentito l’ennesima presa di distanza di Fini a Ballarò, era diventato una furia. Valentino Valentini, che con Bonaiuti gli stava accanto, lo ha descritto come “stravolto dall’irritazione e dalla rabbia”. Con Letta, il Capo è andato giù pesante, intimando di “trovare una soluzione per farlo dimettere (Fini, ndr), per tirarlo giù da lì; non possiamo andare alle elezioni con questa spina nel fianco che vuole solo logorare me e non capisce che invece logora anche se stesso…”. Così, lo sfogo notturno. Poi, di prima mattina, le sue parole hanno trovato immediata traduzione nello

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schizzo di vetriolo lanciato dal ministro Scajola in direzione della terza carica dello Stato. “Si discute e si ragiona – ecco la frase – ma la linea deve essere comune; da troppo tempo ci sono dei distinguo fuori dalla linea del programma”. Come a dire: quella è la porta, il signor Fini si accomodi pure. Il Capo, insomma, ha capito che non se ne esce. I suoi, invece, che non vogliono andare a casa come si conviene a un Parlamento di nominati, hanno fatto da pompieri e da pontieri per tutta la giornata, cercando un riavvicinamento, anche piccolo, ma pur sempre un “segnale”, come ha detto Frattini, per scongiurare la frattura definitiva. Nell’ala dei falchi del Pdl si è finalmente capito che Fini mantiene il punto, che non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro e quindi, per il bene di tutti, tocca ricucire. Per il bene di tutti, certo. Ma il Capo il suo bene lo vede diverso. Vede, soprattutto, un complotto ordito alle sue spalle per soffiargli Palazzo Chigi e, quindi, insiste; alle elezioni, per

scrollarsi dalle spalle il “traditore”, “l’infame”, “il rinnegato”, solo per fare qualche esempio di come i fedelissimi militanti Pdl hanno apostrofato Fini sul sito di Forza Italia. Ormai la distanza tra i due è siderale: per Berlusconi, Fini è un nemico da abbattere. Soprattutto, il Capo è ossessionato dal logoramento a cui il presidente della Camera lo sta sottoponendo. L’azione del governo è praticamente cristallizzata intorno alle emergenze (le sue) e nonostante tutto, Fini non perde occasione per smar-

Il 18 gennaio l’ultima data utile per sciogliere le Camere e votare con le regionali

carsi vistosamente da un esecutivo in forte difficoltà. Berlusconi teme che Fini possa tendergli delle trappole nel percorso a marce forzate che dovrebbe contrassegnare l’approvazione del processo breve. E teme, soprattutto, la sponda del Quirinale su Fini nel segno della pacificazione del clima politico e delle riforme. Dice Giorgio Stracquadanio, animatore Web del “Predellino”, fedelissimo scudiero dell’Imperatore: “L’unica cosa che in questo momento preoccupa Berlusconi è come giustificare davanti all’elettorato il ricorso alle urne”. “Ma d’altra parte – prosegue – una situa-

zione come questa ormai la si può risolvere solo così”. Con le elezioni, appunto. Anche se Sandro Bondi, sempre ieri, avrebbe fatto riflettere il Capo: “E se Napolitano – avrebbe detto il ministro dei Beni culturali – desse poi l’incarico proprio a

La situazione di Silvio Berlusconi secondo Manolo Fucecchi

Fallisce “l’inciucio trasversale” di Latorre e Quagliariello SULLE RIFORME I DUE PONTIERI AVEVANO LAVORATO A UNA MOZIONE UNITARIA di Paola

Zanca

giorno dopo il fuorionda di Fini, ILegalnessuna battaglia. Al Senato, Pdl e da una parte, Pd e Udc dall’altra si esercitano in quello che Di Pietro chiama “l’inciucio trasversale”. Oggetto del (non) contendere, le riforme. Al voto ci sono due mozioni, praticamente identiche, nonostante siano presentate da schieramenti opposti. Entrambi chiedono “un adeguamento del testo costituziona-

il Pd) era quello di arrivare in Aula con una mozione unitaria. Ma qualcosa è andato storto, e poco prima dell’inizio della discussione, il senatore Pd Luigi Zanda annuncia che si è scelta un’altra via: il Pd lascerà l’Aula al momento del voto della mozione Pdl, il Pdl si alzerà dagli scranni quando al voto ci sarà il testo del Pd. Così va, ed entrambe le mozioni vengono approvate. L’accordo di Zanda – al congresso sostenitore di Franceschini – il dalemiano Latorre non lo prende bene: “Apprendo ora che abbiamo cambiato stratedi Carlo Tecce gia. Questo trambusto dà un’immagine discutibile: sembra che ci fosse un inciucio preventivo che poi è saltato. La mia idea era quella di arrivare in AuLontano, lontano: “Dai magistrati, da la e vedere se c’erano alcuni Pm, da certa stampa italiana, gli spazi per una moda Annozero”. zione condivisa. AbBuon soggiorno, presidente. Nell'iPod – biamo buttato via una cioè, nel giradischi – potrebbe aggiungegiornata”. Ma il punto re la canzone di Fiorella Mannoia. Un mapolitico, ammette Lanuale per sopravvivere alla nostalgia di torre, è un altro: “È che palazzo Grazioli. Una colonna sonora per il centrodestra le riforil volo con quel barboso di Bonaiuti. Anme non le vuole fare”. zi, intonatela insieme: “Di andare ai cocE allora perché dialoktails con la pistola non ne posso più. Pigare? “Perché è l’unico na Colada e Coca Cola non ne posso più modo per impedire le di trafficanti e rifugiati ne ho già piena la leggi ad personam. Di vita maledetta attraversata non sarà mai Pietro preferisce che finita. Ma vedete a nove nodi appena, c’è un punto fermo nel mare che sa di nafta e lo nasconde con l'odore del tè e dell'erba da fumare. Oh mamacita, Panama dov’è ora che stiamo in mare sull'orizzonte ottico. Non c’è, si dovrà pur vedere”.

le” fondato sulla riduzione del numero dei parlamentari, sul superamento del bicameralismo perfetto e sull’introduzione del Senato federale. Per il Pd, la conquista è aver scritto in quel testo che le modifiche alla Carta dovranno essere approvate “dalla più ampia maggioranza parlamentare”. Il Pdl incassa, ma aggiunge sul piatto il presidenzialismo e la riforma della giustizia. Obiettivo dei pontieri tra i due schieramenti (Quagliariello per il Pdl, Latorre per

LEGITTIMI IMPEDIMENTI

La sindrome del predellino rescono i capelli, cresce il predellino. Ce forse Che diventa uno scatolone, un podio un palchetto. Silvio Berlusconi ha chiesto un microfono per l'atrio della stazione di Milano, un balconcino stile piazza Venezia. All'arrivo del treno Frecciarossa che inaugura la linea veloce con Torino, sabato pomeriggio all'ora dell'aperitivo, il presidente del Consiglio vorrebbe improvvisare un'altra San Babila. Lì parto cesareo del Pdl, qui semmai la prematura scomparsa. Chissà. Berlusconi ormai è moto perpetuo. Annuncia l'ennesima visita: “Scusate parlo poco, ho fretta, devo fare le valigie perché vado a Panama. Paese dalle tante attrattive, anche quelle che mi stanno molto a cuore”. E infatti a Panama è ancora possibile evadere le tasse.

ci siano, così può andare in piazza”. Ne è convinto anche Zanda: “Il dialogo è l’unica via d’uscita da questa dinamica improduttiva: Berlusconi che fa le leggi che gli servono, Di Pietro che va in piazza a dire che non le deve fare. Ovvio che il tema dell’immunità rimane aperto, ma affrontarlo in un clima di dialogo è diverso che subire il Lodo Alfano”. La “larghissima maggioranza” necessaria per approvare le riforme (giustizia compresa) per il Pd quindi è l’antidoto al pugno duro del Pdl. Peccato che nella maggioranza tiri un’altra aria: Gasparri dice subito che “cercheremo il confronto ma non lo consideriamo un diritto di veto”. Quagliariello chiarisce ogni dubbio. Di riforma della legge elettorale, ad esempio, non ne vuol parlare: “Caso mai lo faremo a fine legislatura”. Il suo chiodo fisso è il rafforzamento dell’esecutivo, uno dei punti su cui è saltato l’accordo con il Pd. “È un problema che ci portiamo dietro dall’Assemblea costituente: prima della Guerra c’era un Re a bilanciare i rapporti tra governo e Parlamento, poi c’è stata la dittatura e i padri costituenti non potevano all’epoca pensare all’elezione diretta di un primo ministro. Il problema è rimasto in sospeso, ora lo dobbiamo risolvere”. Il Pd non si illuda di trovare accordi. Alla maggioranza serve un Re.

Il Pd si spacca e i veltroniani si fanno protagonisti della soluzione: astensioni incrociate

Fini di tirare su un governo istituzionale e portare a termine la legislatura?”. “E chi gliela dà la maggioranza? Con chi lo fa il governo? Non certo con i nostri”, avrebbe risposto stizzito, ma preoccupato, Berlusconi. Il tarlo, dunque, ha cominciato a fare il suo lavoro. Una maggioranza che sostenga Fini in verità c’è eccome, ma è parere diffuso nel Pdl che il rischio si possa anche correre, perché tutte le altre strade appaiono più in salita. Con Cicchitto e Quagliariello, Berlusconi ha fatto anche il punto sulla scansione temporale degli avvenimenti che lo separano dal 18 gennaio, la dead line per sciogliere il Parlamento. Oltre quella data sarebbe impossibile indire l’Election Day per il 26 marzo e si prefigurerebbe lo scenario trapelato nelle parole del ministro Rotondi; prima il voto sulle regionali poi si scioglie il Parlamento e si vota a fin e maggio, inizio giugno. Berlusconi, ovviamente, considera l’eventualità impercorribile: si deve andare a votare il più presto possibile. Perché, ormai, è anche abbastanza certo che per approvare definitivamente il processo breve prima delle regionali i tempi potrebbero non esserci. “Si dovrebbe approvare al Senato entro il 22,23 dicembre – spiega un uomo vicino al Cavaliere – poi calendarizzarlo alla Camera per i primi giorni di gennaio; secondo lei, Fini gli darebbe una corsia preferenziale? Io non ci credo…”. Visto il numero di emendamenti, poi, giusto ieri il capogruppo Pd in commissione Giustizia, Felice Casson, ha detto chiaramente che “non ce la possiamo fare ad approvare tutto in commissione per il 16 dicembre”. C’è di più. Il 21, alla Camera, si comincia a discutere la Sarubbi-Granata sulla cittadinanza agli immigrati, ma prima ancora, il 10, sono in ponte due voti delicatissimi sul caso Cosentino, uno per l’autorizzazione all’arresto, l’altro per la mozione sulle dimissioni: a Montecitorio si dice che in quest’occasione il fronte del Pdl potrebbe liquefarsi come neve al sole. Se, come è presumibile, dalla seconda votazione usciranno dei numeri diversi, scatterà immediata la conta. Il Pdl è in assoluto stato confusionale. “Spero che gli equivoci si superino – ha commentato mesto il Guardasigilli Alfano – perché il Pdl è figlio di una grande intuizione che non va dispersa ma valorizzata”. Invece, pare proprio che le comiche finali siano in pieno svolgimento.


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Quella svolta del ‘93 e i paletti per l’arresto degli onorevoli

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LA PROTESTA

eri sono arrivate le adesioni alla manifestazione di Daniele Luttazzi, Fiorella Mannoia e il Piotta. Si aggiungono alle decine di “personaggi pubblici” che hanno aderito finora. Tra questi Daniele Luttazzi, Sonia Alfano, Carlo Lucarelli, Ascanio Celestini, Andrea Camilleri, Don Farinella (il sacerdote che si è fatto conoscere

Furio Colombo, Salvatore Borsellino, Miriam Mafai, Piergiorgio Odifreddi, l’europarlamentare ventiduenne del Partito dei Pirati Amelia Andersdotter, Don Giorgio De Capitani, Gioacchino Genchi, Margherita Hack, Piero Ricca, il guru del free software Richard Stallman, Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi.

su Internet per le sue parole contro Berlusconi), Giorgio Cremaschi, Nichi Vendola, Paolo Flores d’Arcais, Beppe Giulietti, Antonio Tabucchi, il costituzionalista Domenico Gallo, Dacia Maraini, Andrea Scanzi, Beppe Grillo, Ivan Scalfarotto, Ignazio Marino, Dario Fo e Franca Rame, Paul Ginsborg, Tana de Zulueta, Lidia Ravera, Moni Ovadia,

IL NO B. DAY E LA MANCATA DIRETTA DEL TG3 Dal direttore di rete c’era disponibilità Ma Viale Mazzini: basta Rai News 24 di Federico Mello

ancano solo due giorni al No Berlusconi Day. Il clima all’antivigilia è di attesa e di gioia per i manifestanti. Anche se si apre un giallo sulla diretta del Tg3. Erano già partiti i primi sopralluoghi a Piazza San Giovanni della troupe del Tg3. Il direttore Bianca Berlinguer aveva avanzato una richiesta formale alla rete, richiesta accolta dal direttore Di Bella che ha garantito la disponibilità nel palinsesto. Quindi, da prassi, è partita la richiesta alla Rai per la diretta di un’ora, dalle 17 alle 18. Richiesta negata: “E’ già prevista una diretta di Rai News 24” la risposta di viale Mazzini. In effetti, nella Rai di Masi potrebbe creare troppo imbarazzo una Piazza piena, in diretta sulla televisione analogica, nella quale la società civile chiede le dimissioni di Berlusconi (“Secondo l’Ansa – scrivono sulla pagina Facebook – Berlusconi è indagato dalla Procura di Firenze nell’inchiesta sui mandanti delle stragi del ‘93. Se qualcuno ancora ha dubbi sulla richiesta di dimissioni vuol dire che questo paese non ha speranza)”. Intanto l’evento di sabato cresce di ora in ora. I manifestanti sono al lavoro per mettere a punto gli ultimi preparativi. L’appuntamento di sabato a Piazza della Repubblica sembra ormai esploso. E mentre continuano a piovere adesioni illustri (ieri quella di Fiorella Mannoia, di Daniele Luttazzi e di Tommaso Zanella ovvero “Er Piotta”) anche i media internazionali accendono i riflettori sul No B. Day. “El último movimiento popular contra Il Cavaliere ha nacido en Face-

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book” scrive El Paìs online: “L’ultimo movimento popolare contro Berlusconi è nato su Facebook, si chiama No B. Day e trabocca di democrazia, fantasia e impegno digitale”. Nel pomeriggio di ieri, nel cuore di Roma, si è svolta un’altra viola-azione: le iniziative che i militanti viola stanno organizzando in questi giorni per dare pubblicità all’evento. È stato il momento del gospel, nella centralissima Piazza di Spagna. I No B. Day si sono ritrovati sulla scalinata che porta a Trinità dei Monti con indosso una tunica viola, tutti a cantare “No Berlusconi Day” sulle note di “Oh Happy Days”. Il concerto improvvisato è gradito dai passanti già impegnati nello shopping natalizio. Alcuni ragazzi di passaggio si sono uniti al coro, mentre tutto intorno c’era un battimano: “Non sapevo di questa manifestazione – ci dice una signora – ma leggo No Berlusconi e mi va bene”. A cantare in viola, invece, c’è anche Lia una donna toscana già reduce di molte altre manifestazioni: “Le ultime volte che ci siamo trovati in piazza, eravamo sempre noi, vecchiotti e delusi. Qua invece sono tutti giovani”. Colpisce, infatti, la presenza dei giovani, e della ragazze. Francesca Ornella e Annamaria sembrano amiche, tutte tre in questi giorni hanno fatto i volantinaggi ma “non ci conoscevamo prima – dicono – tutto è nato sulla pagina Facebook e poi ai volantinaggi”. Non hanno mai fatto politica ma questa volta è diverso: “Subito dopo il lodo Alfano, è stato bello sentirsi meno soli, su Facebook, capire che non eravamo gli unici a pensarla in questo modo”. An-

namaria, in particolare, ha un vecchio conto aperto da saldare: “Mio padre è nato sotto il fascismo ed è morto sotto il Berlusconismo – ci dice – era sempre a gridare davanti alla televisione. Se sono qua è anche per lui”. Intanto si vanno definendo tutti i particolari. L’appuntamento è alle 14:30. Per i pullman ci sono tre punti di raccolta all’Eur, Tiburtina e Ana-

Un momento della manifestazione di ieri a Roma (FOTO AGF)

gnina. Con la metro si scende alla fermata “Repubblica” della linea A (i manifestanti che arrivano a Termini, invece, si trovano già vicinissimi a Piazza della Repubblica). La partenza del corteo è prevista alle 14:30. Il percorso sarà: Terme di Dio-

www.ilfattoquotidiano.it

QUOTA 50MILA ADESIONI Ci siamo. Mancano due giorni all’appuntamento di Piazza San Giovanni a Roma. Il sito ha toccato quota 50 mila adesioni. Per partecipare basta entrare nella nostra homepage e cliccare sul banner.

cleziano, Via Amendola, Via Cavour, Piazza dell’Esquilino, Santa Maria Maggiore, via Manzoni, Piazza San Giovanni. In piazza i manifestanti saranno accolti da un “antipasto musicale”, poi gli interventi dal palco (senza volti noti) e alle 18:30 quelli artistici: dagli interventi comici ai concerti (aprirà Vecchioni). Il palco è già montato, è lungo dodici metri. I soldi sono stati recuperati con le donazioni online (oltre 10.000 euro) e con il contributo dei partiti. “Con i partiti siamo stati molto chiari – dice Gianfranco Mascia dell’organizzazione – gli abbiamo detto che avremmo accettato contributi con finalità specifiche (l’Idv ha pagato il palco, Rifondazione e Pdci hanno contributo a pagare alcuni pullman) a patto che rimanessero a noi tutte le decisioni riguardanti la manifestazione,

Anche le testate straniere stanno monitorando la giornata El Paìs ha dedicato un intero servizio il percorso, e gli interventi”. Sulla pagina Facebook intanto continuano gli appelli, in particolare si cercano disponibilità per gli steward e gli info-point. Già cinquanta sono pronti. Domani conferenza stampa, con ogni chiarimento logistico che rimbalzerà, naturalmente, su Internet. E parte il conto alla rovescia.

OLIVIERO DILIBERTO DEL PDCI

“CI SARÒ PER DIFENDERE LA COSTITUZIONE” di Wanda

Marra

i sono pericoli molto seri per la “C nostra democrazia. Mentre vedo peggiorare le condizioni di vita di milioni di donne e uomini e un continuo attacco alla scuola e all’università pubblica. Si tratta di un quadro abbastanza pesante. Per questo, noi saremo in piazza sabato. Non vedo, e non comprendo le titubanze di quel tipo di opposizione che ha deciso di non partecipare”. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, così spiega la sua adesione al No B. Day. Perché sarete in piazza sabato? Io ci sarò soprattutto come cittadino, in difesa dei valori fondanti della nostra Costituzione. E poi, come dirigente di una sinistra che deve riprendere a pieno titolo il suo posto all’interno della vita politica italiana. Non a caso, sabato mattina, noi, Rifondazione comunista e altre sigle della sinistra alternativa daremo vita alla Federazione della sinistra. Voi avete aderito subito? Ferrero andò alla conferenza stampa con l’Idv in cui si annunciava la manifestazione a nome della Federazione della sinistra. Io ero in Cina, se no ci saremmo stati anche noi. La manifestazione è importante per dare un segnale a tutta la popolazione italiana. Non era mai accaduto che si chiudesse la Camera per una settimana. E va sottolineato che a farlo è stato Fini.

A proposito di Fini. Come giudica il video con il fuorionda ? In realtà, Fini ha sempre detto cose analoghe, anche pubblicamente. Il Pdl fa due parti in commedia: il governo e l’opposizione insieme. Il rischio di implosione è molto alto. Se così fosse, chi dell’opposizione ci guadagnerebbe? Ne guadagnerebbe il paese, perché loro divisi non vincerebbero le prossime elezioni. Cosa pensa del Pd di Bersani? La fisionomia del Pd con la nuova segreteria di Bersani non è ancora chiarissima. Ho letto con qualche sgomento le dichiarazioni di Letta sulla giustizia. Allo stesso modo, non sono chiare le posizioni di politica economica. Pensa che sarà mai possibile un’al-

“Non vedo e proprio non comprendo le titubanze di quel tipo di opposizione che ha deciso di non partecipare”

leanza della sinistra radicale con questo Pd? Sicuramente, l’aggregazione ci dà più forza, perché mettendoci insieme noi, le forze a sinistra del Pd, si crea un raggruppamento con cui non si può non fare i conti. Non avete qualche imbarazzo a manifestare con Di Pietro? L’abbiamo fatto decine di volte. Sono stato quello che si è battuto più di tutti per far tornare Di Pietro nel centrosinistra, dopo che nel 2001 era andato da solo alle elezioni. Però, le sue tematiche di riferimento – a partire dalla sicurezza – non sono certo quelle della sinistra radicale... Non c’è dubbio, se no saremmo nello stesso partito. Condividiamo il peso della legalità e della democrazia. Ma non le sembra un po’ poco che la sinistra radicale si ricompatti solo contro Berlusconi? Io ero in piazza anche con i lavoratori che sono sfilati nei giorni scorsi. Ma la prima cosa è la democrazia, che è il presupposto per condurre le lotte sociali. Ma come sinistra radicale da che parte intendete ripartire? Noi stiamo con molta umiltà ricominciando dai luoghi di lavoro. E dalla riaggregazione. Sabato sfileremo sotto la stessa bandiera. Da tanti anni non aveva più senso quella divisione di allora.


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“Caro Papi Natale”: nasce l’istant book per la manifestazione

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LA PROTESTA

a creatività del “popolo della Rete” è pressoché inesauribile. Spunta infatti, a due giorni dalla manifestazione, l’istant book per il No B. Day nato sul Web e scaricabile dal blog www.lerane.wordpress.com Il libro si chiama “Caro Papi Natale - 101 domande al Reticente del Consiglio”. Un pamphlet scritto a “5000 mani”, come si legge nell’introduzione. Il libro infatti non è

firmato, perché l’autore ha raccolto le domande che le persone vorrebbero porre al premier riguardo a mafia, P2, corruzione, tangenti. E non solo. Alcune sono di pura, fulminante, ironia. Le domande sono 100 e alla fine c’è il “domandone finale”. Che recita: “Scusi, presidente del Consiglio, quand’è che ci restituisce l’Italia?”. Ma le perle si sprecano. Leggendo qua e là: “Una domanda semplice: se lei

fosse al mio posto, cosa penserebbe di se stesso?”. Oppure: “Lei è stato il miglior statista italiano degli ultimi 150 anni. Perché nell’arco di questo secolo e mezzo la fortuna è capitata proprio a noi?”. La postfazione è di Umberto Bossi. E non è uno scherzo. Si tratta di una “collection” di interventi del Senatur datati 1994-1999. Quando Bossi aveva rotto con il Cavaliere. E non ne parlava proprio benissimo.

I BERSANIANI A CASA, I VELTRONIANI A SAN GIOVANNI Il Pd non aderisce e si divide sulla partecipazione spiega perchè secondo lui il problema non è aderire o meno: “Non ci andrò non perchè sono ostile: rispetto tutte le manifestazioni, ma di solito partecipo a quelle che organizzo. Il toto-chi-partecipa è un gioco imbarazzante”. Allo stesso modo, sempre nella segreteria, altre due dirigenti della mozione Franceschini sono favorevoli. Spiega con entusiasmo l’emiliana Francesca Puglisi: “Sarò su uno dei quattro pullman da Bologna, con

giorno. Non abbiamo impedito a nessuno di andarci, nella Sinistra Giovanile, sia chiaro. Ma per essere davvero sinceri conclude Raciti - non ci piace che qualcuno abbia strumentalizzato questo appuntamento, fuori dal Pd, ma anche dentro, per trasformarlo in una sorta di No-Pd-Day”. Chi? Raciti sorride e sfuma: “Lo hanno capito tutti” (ma ovviamente si riferisce a Veltroni e ai suoi). Perplesso Davide Zoggia, il nuovo responsabile enti locali: “Sabato ho un impegno di partito a Venezia. Non sono contrario, ma credo che la linea giusta sia quella del partito, che aggiunge alla protesta anche una proposta di governo. Non sono critico con gli organizzatori, anzi: ma la nostra strada è un’altra”. Non andrà al corteo anche un altro bersaniano, Matteo Mauri: “Credo che resterò a Milano. Non no nulla contro, ma avendo ricevuto la delega sui trasporti, cerco di concentrare le energie sul territorio lombardo”. Favorevole, invece, Enzo Amendola, il coordinatore dei segretari regionali: “Il partito non aderisce, ma i singoli sì. E io, personalmente, ci vado volentieri. Sarà una bella passeggiata romana”. Ci sarà, ma con un distinguo, anche l’economista Stefano Fassina: “A piazza San giovanni si riuniranno delle energie democratiche che ci interessano. Ma deve essere chiaro che come Pd, anche simbolicamente, noi privilegiamo l’opposizione sociale a quella antiberlusconiana”. In sintesi: il Pd sarà in piazza. Ma anche no.

La manifestazione diventa un referendum interno che riproduce le dinamiche congressuali di Luca Telese

alter Veltroni ha fatto sapere che lui andrebbe. Ha un matrimonio, altrimenti sarebbe in piazza. Il suo storico braccio destro, Walter Verini, invece, alla manifestazione del 5 ci sarà con convinzione: lo ha scritto nella sua sua rubrica su l’Unità con un pronunciamento appassionato: “Mi hanno convinto i mie figli”. Giorgio Tonini altro dirigente veltroniano di primo piano spiega: “Questo No-B. Day bisogna guardarlo con simpatia. Diamine! Tre quarti di quelli che vanno sono iscritti del Pd”. Dario Franceschin è altrettanto netto: “Ci saranno comunque tanti nostri elettori. E io sarò tra loro”. Basta pesare questi nomi e que-

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ste dichiarazioni per capire che nel Pd si è aperto una specie di referendum sulla manifestazione del 5. La linea di Pierluigi Bersani (“Il partito non aderisce, ma alcuni suoi dirigenti ci saranno”) ha di fatto riprodotto una dinamica para-congressuale: ufficialmente non c’è una direttiva di corrente, ma buona parte di coloro che al congresso sostennero Franceschini scelgono di partecipare. Ma anche tra coloro che hanno sostenuto il nuovo segretario ci sono delle eccezioni. Katiuscia Marini, uno dei giovani “Giovani sperimentati” della nuova segreteria, si definisce “Una compagna che viene dalla base” e spiega: “Sono favorevole alla manifestazione, la guardo con simpatia”. Ma se poi passi a Matteo Orfini, dalemiano di rango, subi-

to l’entusiasmo si congela: “Io tendenzialmente non andrei. Il Pd ha le su e manifestazioni e le sue piattaforme. Questa manifestazione non è del Pd e non ha la nostra piattaforma. E’ semplice. Lo ha spiegato bene Bersani”. Già Bersani. Ieri il segretario ha parlato ancora, per spiegare che sulla giustizia e sui temi del No-B. Day non ci sono novità: “Non spacchiamo il capello in quattro e non inventiamoci questioni di lana caprina - ha detto ai giornalisti Io ho detto che noi mettiamo al centro il problema del lavoro, che siamo disponibili a modernizzare il paese ma contro la deriva populista. Ma che sulla giustizia - ha concluso il segretario - siamo contro scorciatoie o leggi ad personam”. Anche un altro bersaniano di ferro, l’organizzatore Nico Stumpo

marito e tre figli al seguito!”. Le fa eco Annamaria Parente un’altra neo-eletta del vertice di via del Nazareno: “Ci sto pensando, ma sono orientata ad andare: mi piace che sia una mobilitazione dal basso”. tentateanche un’altra veltroniana, Stella Bianchi (“Ci sto pensando”) e Roberta Agostini, 42enne, romana, della maggioranza: “Ci penso su sopra altre 48 ore. A me le manifestazioni piacciono. Ma non vorrei nemmeno - spiega la Agostini - che così ricompattassimo il centrodestra”. Quasi gelidi, invece, i vertici della sinistra giovanile, Andrea Pacella (il numero due) e Fausto Raciti il segretario, che spiega: “Non sono polemico con chi la fa. Ma se le manifestazioni fossero il modo per opporsi a Berlusconi ne dovremmo fare almeno una al

Idv, Prc e gli altri: voci politiche nella piazza del Web TUTTI ASSIEME PER IL 5 DICEMBRE, MA IL “CORO” NON CANTA ALL’UNISONO di Elisa Battistini

l copyright è della Rete, la manifeIpiazza stazione è nata dal basso, ma nella del No B. Day non mancheranno le bandiere dei partiti che hanno aderito: Idv, Prc, Pdci, Verdi, Sinistra e Libertà. E che hanno – chi più, chi meno – messo in moto quel pizzico di organizzazione in più che certo aiuta lo spontaneismo nato dal Web. Maurizio Zipponi, responsabile Welfare dell’Italia dei valori, è fiero di essere di quelli della “prima ora”. Tanto da affermare: “Per il 5 dicembre abbiamo ‘arato’ tutto il territorio nazionale”. Girando per le aziende in crisi. Come la Phone Media di Novara, l’ex Eutelia, il call center Answer di Pistoia. “Molti ragazzi, in questi luoghi di lavoro – dice Zipponi – si stavano organizzando da soli senza l’aiuto di sindacati e partiti. Stava nascendo

una ‘macchina a idrogeno’, a basso impatto ma efficiente. Allora gli abbiamo dato una mano”. Idv ha messo a disposizione circa 200 pullman. “Abbiamo intercettato la voglia di mobilitazione, non per mettere il cappello sulla manifestazione ma per dare il nostro contributo”. Zipponi dice che l’Idv sta diventando “Un partito dei lavoratori. Abbandonati dai partiti che dicono di essere di sinistra. A Ferrero, che afferma che noi siamo un partito di destra, rispondo che se lui è di sinistra io sono Babbo Natale. Nelle fabbriche, a organizzare i lavoratori, ci siamo noi dell’Idv”. Ovvero, dice sempre Zipponi “Il partito del cambiamento. Che, a differenza del Pd, sa da che parte stare e lo dice senza problemi”. Rosa Rinaldi, di Prc, racconta invece che il suo partito ha organizzato parecchi pullman in tutto il paese. E molti proprio as-

sieme all’Idv. “Rifondazione ha messo a disposizione circa 250 autobus. Organizzati anche assieme all’Italia dei valori, perché dai piccoli centri ha senso fare ‘cordata’, il modo migliore per valorizzare questo movimento spontaneo. Fin dal primo momento abbiamo riconosciuto piena autonomia a chi ha voluto la manifestazione. Che non è una provocazione, ma una giornata democratica, gioiosa, di popolo”. Anche per la Rinaldi il Pd avrebbe dovuto aderire. Soprattutto dopo l’elezione di Bersani. “Non si possono – dice – chiamare le persone al voto per le primarie e non ascoltarle quando promuovono iniziative. Non aderire è un errore politico”. Non hanno predisposto autobus né Sinistra e Libertà né i Verdi. Sul primo fronte, Beatrice Giavazzi spiega che Sl non si è ancora veramente costitui-

to come partito: poco da fare, quindi, per quanto riguarda l’organizzazione. Ma, soprattutto, Giavazzi afferma che “Sinistra e Libertà ha aderito consapevole, però, che la mobilitazione del 5 dicembre non basta. Berlusconi si combatte solo facendo politica”. La posizione del Pd, pertanto, non sorprende l’esponente di Sl. “E’ una posizione rispettabile. La manifestazione ha un valore proprio perché non nasce dai partiti”. I Verdi, invece, a Roma andranno in treno. Il segretario Bonelli sostiene pienamente le ragioni della mobilitazione. “Una manifestazione anche in favore dell’ecologia. Dove la giustizia manca anche l’ambiente soffre. Il ddl sul processo breve manda in prescrizione processi importanti legati all’inquinamento o all’avvelenamento alle persone. Scenderemo in piazza, insomma, anche in nome del popolo inquinato”.

IL FATTO POLITICO dc

Problemi in pillole di Stefano

Feltri

entre si parla di M ricatti, video hard, inchieste, pentiti di mafia, avvisi di garanzia, fuorionda e microspie, quella della battaglia sulla pillola Ru486 può sembrare una questione laterale. Però, se davvero si dovesse andare a elezioni anticipate, il tema potrebbe ritrovare centralità, soprattutto agli occhi di quella parte di elettorato cattolico che è sempre più diffidente verso Silvio Berlusconi per il suo stile di vita. In sintesi il nodo è questo: secondo la legge 194 gli aborti devono avvenire in ospedale. Ma la pillola abortiva, per ora, potrebbe essere somministrata anche a domicilio. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha sollevato il problema con l’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, che però non ha accolto i rilievi. l Pdl rischierebbe così Il’ipotesi – sempre ammettendo di elezioni anticipate che torna a circolare in queste ore – di presentarsi a marzo davanti all’elettorato cattolico, già turbato dal caso del direttore di Avvenire Dino Boffo e dagli scandali intorno a Palazzo Grazioli, come il principale partito del governo che ha di fatto introdotto la pillola abortiva. E questo, considerando che è sempre più probabile un apparentamento tra Udc e centrosinistra, potrebbe rivelarsi pericoloso. a questi sono i M problemi di dopodomani. Per ora la priorità è risolvere il caso Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, dopo il suo fuorionda diffuso due giorni fa, è di nuovo in una posizione contrapposta all’asse portante del Pdl. Il ministro Claudi Scajola ha detto che le parole di Fini (sul caso del pentito Spatuzza pronto a fare i nomi dei politici coinvolti nelle stragi di mafia e su Berlusconi che “confonde il consenso con l’immunità”) dimostrano “una volontà e un’azione diversa dalla considerazione e dalla linea del Pdl”. Come dire che Fini è di nuovo ai margini. Poi ci sarebbe la Finanziaria, che continua il suo esame alla Camera, ma per ora resta sullo sfondo. Almeno finché, il 15 dicembre, non sarà chiaro quanti soldi sono arrivati dallo scudo fiscale.


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Giovedì 3 dicembre 2009

Da Boffo a Marrazzo la strana stagione dei ricatti

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POLITICA E VELENI

a politica da mesi si combatte con cineprese, scandali, ricatti e finti scoop. Con la scusa di un finto documento che parlava dei gusti sessuali di Guido Boffo, “attenzionato”, il Giornale inaugura la linea aggressiva di Vittorio Feltri. Guida alla quale s’era sottratta Mario Giordano.

Feltri colpisce e affonda il direttore di “Avvenire”, presto costretto alla dimissioni. Poi il mirino si concentra su Gianfranco Fini, solo minacce, cui non seguono i fatti. Un avvertimento, comunque. Non ci sono rivelazione, ma una continua e incessante opera di distruzione politica - peraltro ancora in corsa - del presidente della Camera. Poi

ecco l’altro video, quello di Piero Marrazzo, che viene offerto al quotidiano della famiglia Berlusconi. Feltri nemmeno ci pensa troppo quando annuncia l’esistenza di un video - cje nessuno ha mai visto - che ritrarrebbe Alessandra Mussolini e Roberto Fiore in atteggiamenti intimi nella sede di Forza Nuova.

DE BENEDETTI: MI SPIANO La denuncia dell’Ingegnere. La lunga guerra sul lodo Mondadori. Feltri: girano altri filmati

di Peter Gomez

D’Alema. “Da editore”, aveva aggiunto il premier, “ho stracciato molti servizi e molte fotografie”. Una frase che a molti era suonata come una minaccia: quello che è finito nel cestino, si può infatti sempre recuperare. Pochi giorni dopo, ai primi di luglio, Marrazzo era stato intrappolato in via Gradoli da un gruppo di carabinieri infedeli e il primo a vedersi offrire il video era stato Feltri, allora direttore di Libero. A fine luglio Feltri passa a Il Giornale dove l’ex direttore Mario Giordano si congeda dai lettori con un editoriale fin troppo chiaro: “Quello che fanno le persone dentro le loro camere da letto (siano essi premier, direttori di giornali, editori, ingegneri, first lady, body guard o avvocati) riteniamo siano solo fatti loro. E sia-

e Marco Lillo li uomini più vicini a Carlo De Benedetti parlano senza mezzi di termini di spionaggio. La scoperta di un alloggiamento, ideale per installare un sistema di localizzazione satellitare Gps , nel paraurti dell’auto utilizzata a Roma da l’editore del gruppo Espresso-Repubblica più il sospetto che documenti legali riservati siano stati trafugati forse dalla sede della Cir, la holding dell’Ingegnere, hanno spinto De Benedetti ha presentare una denuncia alla magistratura. Per tutta la giornata di ieri le riunioni tra gli avvocati dell’imprenditore più odiato dal premier Silvio Berlusconi si sono succedute freneticamente. La convinzione del gruppo, per il momento non ancora suffragata da prove, è che De Benedetti sia finito nel mirino degli 007 (privati?) subito dopo la sentenza con cui in ottobre il giudice milanese Raimondo Mesiano aveva condannato la Fininvest a versare a Cir un risarcimento da 750 milioni per il caso Mondadori. Come sono andate davvero le cose cercherà di stabilirlo il pool per i reati informatici della procura di Roma. Ma l’esposto di De Benedetti è un segnale preciso del clima in cui sta precipitando il Paese. A partire dalla scorsa primavera, in seguito alle inchieste giornalistiche sulle decine di ragazze a pagamento che frequentavano le residenze del premier, si sono moltiplicati i rumors su informative, video foto imbarazzanti riguardanti politici di destra e di sinistra, giornalisti, alti prelati e manager. Vittorio Feltri, il direttore

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Carlo De Benedetti e Vittorio Feltri (FOTO ANSA)

L’editore del gruppo L’Espresso va dai magistrati: auto sotto controllo, forse rubati dei documenti de Il Giornale che ha maneggiato, e in qualche caso pubblicato molto di questo materiale, in un’intervista a Klaus Davi, ha detto: "Girano video hard probabilmente realizzati da alcune trans che ritraggono politici colti sul fatto. Quelli che fanno i ricatti non sono le trans stesse, sono altri che approfittano del materiale dei trans”.

MATRIMONII

Farina “Betulla” messaggi da Kgb

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mo convinti che i lettori del Giornale non apprezzerebbero una battaglia politica che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento sulle rispettive alcove”. Come dire: fino alle “escort del clan di D’Alema” ci sono arrivato. Ma più in là non mi spingo. Con Feltri la musica cambia: in rapida successione Il Giornale colpisce il direttore di Repubblica Ezio Mauro (presunti pagamento in nero per una casa), quello di Avvenire Dino Boffo (una storia di molestie telefoniche e presunta omosessualità). Poi la palla passa a Canale 5 che fa pedinare e filmare di nascosto Mesiano, il giudice della sentenza da 750 milioni di euro. Ora Carlo De Benedetti è molto preoccupato. Difficile dargli torto.

erché il Pd ha paura dei dossier del Kgb”. Perentorio l’articolo sul Giornale di Renato Farina. In due parole: Berlusconi è tornato dalla visita di cortesia in Bielorussia portando l’inaspettato pacco dono del riconoscente Lukashenko: un buon numero di faldoni dell’archivio segreto degli ex Servizi sovietici. Che c’è dentro? In attesa che magari proprio il Giornale riesca magicamente a svelarlo – dopo il precedente del report dedicato a Corrado Augias e al suo caffè con un funzionario dell’ambasciata cecoslovacca, roba da spioni chiosò il quotidiano di Feltri – l’esperto Farina-ex-informatore-del-Sismi avvisa. Già, perché in quelle carte potrebbero conservarsi “salmerie di sacchi d’ossa, di scheletri e di tradimenti”. Sotto a chi tocca.

Il riferimento è tutto per il caso Marrazzo, l’ex presidente di centrosinistra della Regione Lazio, costretto alle dimissioni da un video che lo ritraeva con una trans e della cocaina sul tavolo. Tanti altri filmati sono stati ritrovati nel computer di Brenda, il viado morto in circostanze ancora misteriose (ma i pm romani propendono per l’omicidio) che era solito riprendere i suoi clienti vip con un videofonino. I consulenti informatici stanno verificando il contenuto del pc trovato nel suo appartamento. Secondo le indiscrezioni, i video sono molti, anche se non è semplice riconoscere i volti dei protagonisti. Nel Palazzo il panico è palpabile. E spesso a soffiare sul fuoco sono i quotidiani più vicini al Cavaliere. L’obiettivo principale sembra chiaro. Annacquare il caso delle escort a Palazzo Grazioli in

decine di altri presunti scandali. Tanto che ora nel mirino è finita persino Alessandra Mussolini per una vicenda (la presunta relazione con il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore) che comunque, se non fosse provato un ricatto nei suoi confronti, resta privata. Si segue, insomma, un copione preciso. E a dare il la alle danze è stato il 25 giugno scorso proprio Berlusconi. “Sono stato facile profeta quando ho previsto che l’imbarbarimento provocato da una ben precisa campagna di stampa avrebbe messo in moto una spirale che va assolutamente arrestata”, aveva detto il presidente del Consiglio commentando gli articoli del quotidiano edito da suo fratello Paolo che riguardavano un vecchia indagine del 2000 su un giro di ragazze squillo offerte a uomini vicini al leader Ds, Massimo

“ERRORE CLAMOROSO”

PROCESSI DI B. SPATARO CONTRO LETTA

E

nrico Letta ha fatto “una gaffe politica” o “un clamoroso errore giuridico”. E netta la critica che il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro ha mosso al vice segretario del Pd, per aver avallato la strategia di Berlusconi di usare il legittimo impedimento per difendersi “dal processo”. “Ho visto che l'on. Bindi, e l'on. Ferranti - ha detto Spataro - hanno preso le distanze da questa singolare affermazione, per cui, dal loro punto di vista, potrebbe anche trattarsi di una gaffe politica. Altrimenti sarebbe un'affermazione sul piano giuridico e scientifico priva di fondamento”. Il magistrato ha spiegato che il legittimo impedimento, previsto dal codice, non si può usare in maniera strumentale perché “ il sistema non consente agli imputati di evitare che il processo si celebri”.

Torino, tutti gli occhi sullo Spatuzza-Day MAFIA, DOMANI LA DEPOSIZIONE DEL PENTITO CHE ACCUSA BERLUSCONI E DELL’UTRI di Stefano Caselli

si prepara al d-day, dove d sta per deposizione. Venerdì Tdi orino 4 dicembre, alle nove del mattino, Gaspare Spatuzza parlerà fronte alla Corte d’Appello di Palermo in trasferta nel capoluogo piemontese. Niente aule bunker, audizioni a porte chiuse e simili. L’udienza del processo di secondo grado a carico del senatore Marcello Dell’Utri, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e condannato a nove anni di reclusione in primo grado, si terrà al Palazzo di Giustizia. A porte aperte, nella maxi aula numero uno del piano interrato. La stessa dove si ammassavano gli appassionati del caso Franzoni; la stessa che in questi mesi ospita il processo per la strage della ThyssenKrupp; la stessa, infine, che lo scorso 6 aprile accolse, senza intoppi, oltre trecento cittadini, costituitisi parte civile all’udienza preliminare del processo per i morti dell’Eternit, che si aprirà giovedì 10 dicembre con un afflusso di almeno ottocento parti lese (ma potrebbero essere il doppio). E proprio il buon esito della maxiudienza Eternit deve aver consigliato il presidente della Corte d’Appello di Palermo Claudio Dell’Acqua a trasferire a Torino, per motivi logistici e di sicurezza, la deposizione dell’ultimo collaboratore di giustizia di Cosa Nostra, che con le sue rivelazioni potrebbe riscrivere un pezzo di storia dello stragismo mafioso dei primi anni Novanta.

A occuparsi di tutto nei minimi dettagli, come in altri casi simili, l’avvocato generale di Torino Luigi Riccomagno: “Questa mattina (ieri, ndr) ci siamo riuniti con il personale di polizia, carabinieri, polizia penitenziaria e con gli addetti alla vigilanza esterna per mettere a punto le operazioni di sicurezza e la tutela dei magistrati della Corte d’Appello e della Procura generale di Palermo. La Corte d’Appello ha autorizzato oltre cento giornalisti – dichiara Riccomagno – il che ha reso insufficiente la capienza dell’aula inizialmente prevista. La decisione definitiva su dove tenere l’udienza spetta ora alla Corte d’Appello di Torino”. Dunque, salvo improbabili sorprese, si trasloca nell’aula uno, grande abbastanza per contenere giudici, avvocati, troupe televisive e giornalisti accreditati provenienti da tutta Italia e dall’estero. Potrà accedere anche il pubblico. In caso di sold out è pronto il video-collegamento con la vicina aula due o addirittura – ce ne fosse bisogno – con l’aula magna. “Gli unici disagi – conclude Luigi Riccomagno – potrebbero derivare da alcune restrizioni alla viabilità su corso Vittorio Emanuele, ma l’interferenza con la normale attività del Palazzo di Giustizia sarà minima”. Un palazzo intitolato alla memoria di Bruno Caccia, procuratore capo di Torino ucciso dalla ‘Ndrangheta il 26 giugno 1983, il cui ingresso principale da su via Giovanni Falcone, che poco più in là diventa via Paolo Borsellino.


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“Qui, Quo e Qua” e le elezioni regionali nel Lazio del 2005

L

POLITICA E VELENI

a chiamavano vicenda “Qui, Quo e Qua”, dove Qui stava per Alessandra Mussolini, Quo per Piero Marrazzo e Qua per un personaggio che non è stato subito identificato. Con i tre nomi alcuni degli arrestati nell’inchiesta sui detective privati corrotti e sulle intercettazioni abusive definivano gli oggetti del presunto “spionaggio” politico alla vigilia delle elezioni regionali nel Lazio del 2005.

Così il 9 marzo del 2006 la Procura di Milano dispose l’arresto di 16 persone tra investigatori di agenzie private, due finanzieri, un poliziotto e due dipendenti di società telefoniche. Gli “spioni” avevano ricevuto l’incarico di raccogliere informazioni riservate sul conto di personaggi di ogni genere, anche di rilievo politico. Uno “strumento per gettare discredito sul concorrente, per mascherare un socio che si presume

infedele, per sconfiggere un avversario sgradito e pericoloso”. Gli inquirenti, inoltre, portarono a dimostrare che l’incarico di investigare sui tre personaggi venne affidato alla fine di febbraio 2005 a Pierpaolo Pasqua, titolare della Security Service Investigation, “da un soggetto inserito nella regione Lazio e interessato all’esito delle elezioni regionali del Lazio che si sono svolte il 3 e 4 aprile del 2005”.

MUSSOLINI, BLITZ A CANALE 5 PER ATTACCARE “IL GIORNALE” Notizia del video hard: “Berlusconi dice che è sotto attacco, ma i nastri sono offerti a Palazzo Chigi” di Alessandro

Ferrucci

ì, Alessandra Mussolini ha accusato il colpo. La storia lanciata da il Giornale di Vittorio Feltri sul ricatto legato a un video hard con lei protagonista insieme a leader di Forza Nuova Roberto Fiore, l’ha centrata allo stomaco. Occhi gonfi, viso congestionato, movimenti a scatto e nessuna voglia di sorridere, di sdrammatizzare. Sembra sua zia, Sofia Loren, nella “Ciociara”. Da eterna ragazza del Parlamento, a volte un po’ verace, è improvvisamente diventata una madre, una moglie intimorita dal baratro. Dal ricatto. La chiamiamo alle 16 per ricostruire l’intera querelle, ma non può: “Devo fare un blitz a Canale5: non avevo voglia di tornare su questa vicenda ma l’articolo di Sgarbi mi ha ferito, come donna. Anzi, ha insultato tutte le donne! Così vado in trasmissione, dalla D’Urso, a sbattere in faccia questa robaccia”, urla. “Quindi - continua - possiamo sentirci dopo?”. Bene. La stiamo per salutare. Eppure continua a parlare: “Se non mi ribello cade tutto il significato del mio fare politica, di dare battaglia al maschilismo”. Passo indietro quindi, riprendiamo l’articolo reietto. Il capoverso incriminato, scritto dall’ex parlamentare del Pdl, è questo: “In

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cosa la Mussolini è stata offesa o sputtanata? Se il fatto non è vero, pur essendo vero il ricatto, in breve tempo passerà da colpevole di scopata privata (reato non gravissimo e non penale, e praticato da molte donne di destra e di sinistra, a destra e a sinistra) a vittima di un odioso ricatto cui nessuno ha creduto. Nell’uno o nell’altro caso la sua onorabilità, anche per la coerenza politica erotica, non apparirà scalfita. (...) Il filmato un altro significato, visti i principi proclamati dalla Mussolini, se si fosse trattato della documentazione di un rapporto saffico con Rosy Bindi o Rosa Russo Iervolino”. E così avanti. “Ma si rende conto!”, continua la Mussolini. “Pensi che sabato mi ha chiamato Berlusconi per dirmi che la maggioranza è sotto un’offensiva incredibile, compresa me. Eppure il video è stato offerto a Palazzo Chigi”. Esattamente come quello con Piero Marrazzo. “Il problema - prosegue è che in questa storia ci sono troppe cose strane, situazioni che non tornano, coincidenze inquietanti. Forse a destra do fastidio a qualcuno”. E non è la prima volta: alle elezioni Regionali del 2005 nel Lazio, fu vittima di una vicenda di spionaggio, con agenti ingaggiati per “monitorare”, e altro, la situazione. I “controllori” avevano il compito di “control-

finito l’incubo per trenta bambini (di età compresa tra gli 8 mesi e i 5 anni) dell’asilo privato “Cip e Ciop” di Pistoia. Una maestra e la responsabile sono state arrestate ieri, dopo che alcune telecamere nascoste hanno mostrato al procuratore capo di Pistoia, Renzo Dell’Anno, i maltrattamenti subiti dai bimbi: picchiati, percossi, chiusi al buio nei bagni, lasciati senza acqua da bere e, particolare raccapricciante, costretti a mangiare anche il proprio vomito. Gli arresti sono avvenuti ieri mattina, in flagranza di reato. La polizia ha ritenuto di intervenire dopo l’ultimo episodio sconcertante ripreso: un bambino di otto mesi che vomita, la maestra lo prende a schiaffi sulla nuca, per poi lasciar cadere il piccolo sul vomito e riprenderlo per un braccio sollevandolo da terra con violenza. Davanti a quest’ultima sequenza, ha spiegato il procu-

È

Bimbo morto: non era influenza A

A

vvisi di garanzia ai medici. Il piccolo è risultato positivo all’influenza A grazie al tampone nasale (l’esame immediato e di routine per accertare se ci sia stato contatto con portatori del virus) ma non è stato riscontrato il virus nel liquido cerebrospinale raccolto a livello della colonna vertebrale.

Fumi uccidono piccola cinese

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La lite in diretta su rai2 di martedì tra la Mussolini, Sgarbi e Pennacchi (FOTO ANSA)

lare” tre soggetti: Qui, Quo e Qua i nomignoli in codice. Lei, la Mussolini, era Qui è l’obiettivo era “l’eliminazione della concorrenza tramite l’invalidazione delle schede” spiegavano i Pm. Coincidenza: “Quo” era Marrazzo. Ancora loro due, ancora ricatti, ancora vicende oblique... “Mi scusi ma devo salutarla, vado in trasmissione”. Quindi il “blitz”. Dove strappa in diretta il giornale diretto da Feltri, attacca il suo direttore e l’estensore: “Ma vi rendete conto? Solo perché sono donna, in caso

contrario nessuno si sarebbe permesso di dire certe cose. Inoltre non faccio più vita, non è giusto”. Primo accenno di lacrime. E ancora: “I miei figli sono sotto pressione, con i ‘paparazzi’ fuori scuola in attesa di ottenere chissà cosa. È una vergogna assoluta, che fa sicuramente piacere a qualcuno...”. Sempre qualcuno. Ecco, a chi? La ricontattiamo alle 18: all’uscita dagli studi, si fa negare. Ancora dopo, niente da fare. Chi risponde ha la voce imbarazzata, della se-

rie: non è il momento. Tra i corridoi della politica i suoi colleghi sibillano che l’exploit dalla D’Urso è stato forte, forse troppo. Andare in casa dell’editore-presidente a urlare certe cose, a stracciare il quotidiano di famiglia, non è un gesto da sottostimare. La faccia della conduttrice e le sue parole di pace lo dimostravano ampiamente: “Alessandra, non fare così, non è giusto cadere in certi atteggiamenti. C’è la libertà di parola”. “Sì, ma non di diffamare. Come fa il Giornale”.

ARRESTATE A PISTOIA PER MALTRATTAMENTI DUE INSEGNANTI DI UN ASILO GRAZIE A TELECAMERE NASCOSTE ratore Dell’Anno, “non potevamo attendere oltre”. La polizia, dopo l’irruzione nell’asilo ha portato via l’insegnante Elena Pesce, 28 anni, e la responsabile della scuola Anna Scuderi, 41 anni. Le due donne sono uscite dalla Questura di Pistoia soltanto dopo le 19, prima sono state messe sotto torchio per parecchie ore e quindi trasferite in serata alla sezione femminile del carcere fiorentino di Sollicciano. I parenti delle due donne sono accorsi davanti alla Questura e non è mancata la tensione al momento in cui venivano fatte salire sulle “pantere”, con imprecazioni contro giornalisti e telecamere: “Sciacalli! Avvoltoi!”. Il “Cip e Ciop” è gestito dalla società “Il giardino dell’infanzia”, della stessa Scuderi, insieme a un altro nido: il “magico bosco” a Quarrata, pochi chilometri da Pistoia. Anche questa struttura da domani sarà chiusa, per decisione del comune. La polizia ha cominciato a raccogliere denunce e

LECCE

FABBRICA CLANDESTINA?

“Le maestre obbligavano i bimbi a mangiare il proprio vomito” di Giampiero Calapà

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lamentele su quanto accadeva al “Cip e Ciop” già dallo scorso agosto. Negli stessi giorni la struttura privata, esistente dal 2002 e riconosciuta dal 2005, veniva “accreditata” dal comune di Pistoia. Quindi l’asilo non era convenzionato, ma si era guadagnato una sorta di bollino di qualità da parte del municipio. Concessa proprio mentre alcuni bambini tornavano a casa con contusioni e distorsioni, ritenute dai genitori, in un primo momento, il risultato di giochi un po’ troppo vivaci degli stessi figli. Alcuni sono arrivati poi a togliere i bambini dall’asilo e, quindi, dieci giorni fa la decisione della Procura di istallare alcune telecamere. Altri genitori, invece, hanno espresso solidarietà alle due insegnanti, dichiarando di non essersi mai accorti di nulla. E una mamma ha anche contestato l’operazione della polizia: “Non si arresta una maestra in un asilo con i bambini dentro, dovevano aspettare che i nostri figli non ci fossero”.

ALTRO CHE FUORIONDA

ZITTO E BONDI erataccia di Bondi a Ballarò. Il ministro aveva provato a fare la voce del capo sull’affaire del fuorionda del presidente della Camera: “È opportuno che Fini ribadisca le sue posizioni e le chiarisca”. Poi una tirata sul presidenzialismo e sul diritto del premier di andare avanti. Ma squilla l’imprevisto. La telefonata di Fini: “Sono presidenzialista da quando Bondi militava nel Pci. Ma il presidente eletto dal popolo ha il dovere di rispettare gli altri poteri: l’ordine giudiziario, il Parlamento, la Corte Costituzionale, le altre magistrature. Quindi non ho nulla da chiarire e non cambio opinione”. Sandrone sbianca, tenta la replica: “Ma ho detto le stesse parole di Fini. È giusto che il capo dell’esecutivo abbia rispetto degli altri poteri e ordini dello Stato. Ma Berlusconi non è mai venuto meno a questo”. Peggio, altra batosta: “Credo che gli spettatori abbiano compreso il senso delle mie dichiarazioni e quelle di Bondi” lo affonda Fini. Applausi in studio. Niente fuorionda.

S

ono state le inalazioni di solventi usati probabilmente in un laboratorio clandestino di calzature, a uccidere vicino a Macerata, una bimba cinese di 11 anni. Lo ha stabilito l’autopsia. L’uso dei solventi – secondo gli inquirenti –, farebbe pensare a un laboratorio clandestino di scarpe piuttosto che all’abitazione dove la famiglia cinese era regolarmente residente, e che ora è stata posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria.

MORTE BRENDA

Sequestrati abiti trans Barbara

G

li indumenti saranno analizzati per l’eventuale rilevazione di tracce di fuliggine o di liquido incendiario compatibili con il rogo divampato il 20 novembre scorso nell’appartamento di Brenda. Secondo quanto è stato accertato dagli investigatori, Barbara chiamò un taxi alle 3.30 del 20 novembre, dando come riferimento il suo appartamento molto vicino a via Due Ponti. La scorsa estate Barbara avrebbe denunciato Brenda per estorsione, avrebbe preteso somme di denaro dall’attività di prostituzione.

TERMINI IMERESE

Arrestato direttore banca per truffa

U

n ex direttore del Banco di Sicilia è stato arrestato per furto di denaro. È stato accertato che sarebbero spariti dai conti di alcuni clienti più di 2 milioni e mezzo di euro.


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AFFARI E POLITICA

Riciclaggio, il ruolo del dalemiano Di Cagno I PARTICOLARI DELL’INDAGINE CHE COINVOLGE SAVINO E BEGAN di Antonio Massari

onorevole del Pdl Elvira Savino s’interessava ai progetti del cassiere del clan e s’attivò persino al ministero. “La Savino”, scrive il gip di Bari Giulia Romanazzi, “era a conoscenza, quantomeno, della più importante operazione di reinvestimento degli illeciti capitali provenienti dalle attività delittuose di Michele Labellarte”. Non sappiamo se la Savino ne fosse consapevole, ma Labellarte, secondo l’accusa, era il principale riciclatore del clan Parisi. E aveva a cuore la costruzione di un campus universitario: “In seguito alla sua nomina a deputato (la Savino, ndr) si attiverà,

L’

su sollecitazione dell’amico Labellarte, a presentare il progetto al ministero dello Sviluppo economico e dell’Istruzione; dai quali otterrà una manifestazione d’interesse, utilizzata in occasione della pre-conferenza dei servizi …”. L’affare universitario, come vedremo, coinvolge anche pezzi importanti del centrosinistra. L’inchiesta dell’Antimafia barese, condotta dalla pm Elisabetta Pugliese, che due giorni fa ha sgominato un clan storico, con 83 arresti e 129 indagati, dimostra ancora una volta l’assunto: la questione morale - al di là dei processi e dei gradi di giudizio – è ormai compiutamente trasversale.

Secondo la Procura, la parlamentare Pdl, vicina a Berlusconi, s’interessava ai progetti del cassiere del clan Parisi

Lo dimostra l’entourage del “cassiere” Labellarte. Un esponente del Pd, l’ex vicepresidente della Provincia, avvocato Onofrio Sisto, gli avrebbe persino consigliato di rivolgersi a mafiosi più potenti. Nell’inchiesta in corso è indagato un noto avvocato legato al centrosinistra, Gianni di Cagno, esattamente come Sisto. E non solo. Intorno a Labbelarte si muove anche il centrodestra. Due donne molto vicine a Berlusconi - la Savino e l’attrice di fiction televisive Sabina Began – erano intestatarie d’un conto corrente bancario usato, in realtà, dal cassiere della mala. Delle due, soltanto la prima risulta indagata, ovvero l’onorevole Savino. Entrambe sono amiche di Gianpi Tarantini, il “ciclone” barese che ha scombussolato la vita del premier, presentandogli Patrizia d’Addario. Tarantini conosceva anche Labellarte. E quest’ultimo, in un’intercettazione dal significato incomprensibile, parlando con il luogotente di un boss, menziona proprio Berlu-

In alto, Elvira Savino in una foto del suo matrimonio (FOTO ANSA) A destra, Sabina Began

sconi: “Adesso anche Intini (…). Forse non hai capito (…) ognuno ha da calcolare (…) quello Berlusconi (…) 100 milioni”. Il significato è incomprensibile. I nomi sono chiari. Ci si riferisce probabilmente a Enrico Intini, imprenditore molto vicino a Massimo d’Alema. Lo stesso Intini con il quale, Labellarte, contava di chiudere un affare milionario, con il parere contrario degli avvocati Di Cagno e Sisto. Lo stesso Intini che, alla fine dello scorso anno, accompagnava Gianpi Tarantini negli uffici della Protezione Civile, per conoscerne il capo, Guido Bertolaso, e tentare nuove opportuni-

tà di lavoro. Che la questione morale non sia un’esclusiva del centrodestra, lo dimostra un altro fatto, e cioè l’accusa, per gli avvocati Di Cagno e Sisto, di “concorso in reimpiego di capitali illeciti”. I due avvocati avrebbero “concorso” con il cassiere del clan. Di Cagno, ex componente del Csm, vicino all’area d’Alema, è consigliere del cda de “Il Riformista”. Sisto è l’ex vicepresidente della Provincia di Bari in quota Pd. Entrambi compaiono nello scenario “dell’affare universitario” che premeva al riciclatore del clan. Erano muniti di un mandato professionale, conferito dalla

Uniedil, la società titolare del progetto. Il socio di maggioranza di Uniedil è Sergio Martino, “prestanome per eccellenza di Labellarte”, secondo l’accusa. E Uniedil è la società “che Labellarte ha individuato per portare avanti l’affare relativo alla costruzione del campus universitario in cui convergono … anche gli interessi di Savino Parisi”. E Parisi è il boss della mafia barese. “I due avvocati”, scrive il pm Elisabetta Pugliese, “erano a conoscenza degli inquietanti rapporti di contiguità di Labellarte con la malavita organizzata”. “Gianni”, dice Labellarte a Di Cagno, “io sto braccato da queste persone, adesso sono braccato, io ve ne ho parlato anni fa … non sto bene … perché non è possibile, come diceva Onofrio, ‘andiamo da un altro più potente’, non esiste”. “Onofrio” sarebbe l’avvocato Sisto. Scrive la procura: “Il tenore delle conversazioni che precedono è a dir poco inquietante per i due professionisti: sanno che Labellarte è ‘braccato’ da esponenti della criminalità organizzata e l’avvocato Sisto gli fornisce il singolare suggerimento di farsi proteggere da uno più potente (di spessore criminale superiore)”. Al di là della vicenda giudiziaria, quindi, siamo dinanzi a un consiglio accettabile, soprattutto se proviene da un esponente delle istituzioni?


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MISTERI

LA STRANA STORIA DI MARRAZZO E DELL’OSPEDALE SAN GIACOMO

Uno dei più antichi nosocomi romani ristrutturato, abbandonato e senza futuro di Daniele Martini

un anno dalla chiusura, l’ospedale San Giacomo di Roma appare come un nobile decaduto, un vetusto edificio del centro storico condannato ad un futuro di abbandono. Gli ingressi sono sbarrati e nessuno è in grado di dire se e quando là dentro rientrerà un po’ d’aria. Il portone su via Canova viene aperto ogni tanto per permettere agli operai lo smontaggio di qualche residuo pezzo sanitario pregiato e per consentire ai facchini di imballarlo, caricarlo sui camion e portarlo chissà dove. L’altro ingresso su via di Ripetta è addirittura inchiodato con le assi di legno come usa con quegli immobili che per una ragione o per un’altra finiscono nel dimenticatoio, lasciati ai topi e ai piccioni. Per i romani è un colpo al cuore vedere il vecchio San Giacomo ridotto in quelle condizioni. Ai non romani quel nome forse dice poco o nulla perché non conoscono le vicende che hanno portato al triste abbandono, e se le conoscono probabilmente le hanno catalogate in fretta tra i cento e cento brutti episodi della sanità contestata. In effetti è così, di malasanità si tratta, ma fino ad un certo punto, perché la storia del San Giacomo è anche qualcosa di diverso e di peggio.

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PIÙ PASSA IL TEMPO e più prende corpo l’idea che l’affare dell’ospedale chiuso sia legato da mille fili alla storia del caso Marrazzo, l’ex governatore del Lazio travolto dallo scandalo delle trans e prima ancora finito impigliato in una rete vischiosa di ricatti. Intorno a quella vicenda frullano interessi immobiliari giganteschi su cui si affacciano personaggi di spicco. Ci sono i soliti costruttori romani, l’onnipresente Franco Caltagirone, proprietario del Messaggero e di una catena di quotidiani, e Domenico Bonifaci, editore del Tempo, l’altro giornale romano. E poi gli Angelucci, i self made man per antonomasia della sanità, creatori dal nulla di un impero di cliniche nel Lazio, in Abruzzo e Puglia. Anche gli Angelucci sono editori di due giornali col-

locati in aree assai distanti: il Riformista nel centrosinistra e dall’altra parte Libero, il quotidiano che per primo a metà luglio ha visionato i video di Marrazzo e le trans. La carrellata di big affacciati sull’affare San Giacomo non è finita. Nella lista compare anche Alfredo Romeo, imprenditore campano già condannato a 4 anni ai tempi di Mani Pulite e un anno fa di nuovo coinvolto in una storia legale di appalti irregolari per la manutenzione delle strade a Napoli e Roma con contestazioni da lui sempre respinte. Romeo ha in gestione il patrimonio immobiliare pubblico capitolino ed è, come si usa dire, un affarista di area, ammanicato con tutti, ma in particolare confidenza con Claudio Velardi, personaggio poliedrico, manager, editore, politico, fino a qualche mese fa assessore nella giunta Bassolino in Campania e ancor prima uno dei più stretti consiglieri di Massimo D’Alema. E poi, dulcis in fundo, ecco l’ex governatore Pd del Lazio, Piero Marrazzo. E’ stato Marrazzo ad esporsi più di tutti per la chiusura del San Giacomo a dispetto di qualsiasi considerazione di ragionevolezza e anche a costo di contraddire se stesso. Perché la serrata dell’ospedale romano non solo è avvenuta a passo di carica, in appena 70 giorni, un record mondiale, ma è stata attuata dalla Regione Lazio dopo che la stessa Regione si era fatta carico di una gigantesca operazione di ristrutturazione dei 32 mila metri quadrati dell’immobile, con una spesa di circa 20 milioni di euro, come se la chiusura fosse un evento impensabile. Per mesi Marrazzo ha continuato ad inaugurare in pompa magna padiglioni e laboratori modello di un ospedale che poi di punto in bianco, come se niente fosse, ha deciso di sprangare. Tanto che oggi visto da fuori quell’immobile ha l’aria vecchia, ma dentro è un gioiellino tutto nuovo e lucente, con macchinari costosi ed efficienti, dalla Tac alla risonanza magnetica ad una farmacia completamente computerizzata. C’È UN MOMENTO in cui Marrazzo ha fatto l’inversione

ad U sul san Giacomo ed è il 15 luglio 2008, giorno in cui è stato nominato dal governo Berlusconi commissario per la Sanità laziale, proprio con il mandato di riparare ai suoi stessi errori oltre a quelli dei predecessori, controllore di se stesso, in pratica, un caso da manuale di conflitto di interessi indotto. Diciotto giorni più tardi il governatore-commissario firma la delibera di soppressione del san Giacomo. Motivazione ufficiale: la sanità del Lazio è in braghe di tela, indebitata fino agli occhi, l’ospedale romano costa troppo, è fuori dai parametri posti letto/abitanti e deve essere venduto per fare cassa. All’apparenza è un ragionamento serio, anche se molti addetti del ramo lo contestano punto per punto, cifre alla mano. Ma è anche un ragionamento che fa a pugni con le delibere di spesa firmate dallo stesso Marrazzo fino a cinque minuti prima e soprattutto lascia interdetti alla luce di ciò che fino a quel momento per la Regione ha significato fare cassa con l’immenso patrimonio della sanità. Dal 2004 al 2007 nel Lazio è stata perpetrata in silenzio la più grande svendita di beni

Sopra, interno del San Giacomo prima della chiusura. In basso, Piero Marrazzo (FOTO ANSA)

GLI STESSI che ora stanno puntando su un altro boccone dell’abbuffata immobiliar-sanitaria laziale, il patrimonio dell’ex Pio Istituto S.Spirito e degli Ospedali riuniti di Roma, 18 mila ettari di tenute in zone di pregio, comprese alcune affacciate sul mare a nord della Capitale, a Santa Severa e Palidoro. Più altri 41 stabili a Roma suddivisi in 266 appartamenti e un palazzo nella centralissima via del Governo Vecchio. E poi decine di fabbricati e palazzi a Monteromano, Tarquinia, Castelguido, ancora Palidoro e Santa Severa. Sarà difficile che qualcuno possa fermarli. Le proteste per il San Giacomo, per esempio, non sono state neanche prese in considerazione. A nulla un anno fa valsero le 60 mila firme raccolte, le contestazioni, i sit-in di uno schieramento composito ma unito nella denuncia di quello che considerava un inspiegabile sopruso. Si mobilitarono i pazienti in primo luogo, soprattutto i 100 in dialisi, che da un giorno all’altro vedevano sparire una struttura valida su cui avevano fatto affidamento per anni. E i 1.700 malati del reparto di oncologia poi costretti a rivolgersi al Nuovo Regina Margherita dove non erano pronti per un afflusso del genere. Scesero in piazza i residenti della zona e protestarono anche i medici, i quali fecero presente quanto fosse irrazionale una scelta così drastica in assenza di un piano sanitario generale regionale che decidesse cosa, dove e come tagliare sulla base di esigenze studiate e condivise.

L’inversione a U dell’ex Governatore, le proteste inascoltate dei pazienti e gli interessi di Caltagirone, Bonifaci, Angelucci e Romeo pubblici posseduti dalle aziende sanitarie e in parte riconducibili allo stesso San Giacomo: 950 immobili della Asl Rm A nel centro di Roma, area del Tridente tra piazza di Spagna e piazza del Popolo, 100 mila metri quadrati ceduti ad un prezzo ridicolo, poco più di 200 milioni di euro, 2 mila euro a metro quadro in media, a fronte di un valore di mercato più che doppio, forse triplo. Una gigantesca operazione di cui sono stati protagonisti l’imprenditore Romeo, la sezione immobiliare della Banca nazionale del Lavoro e la Gepra Lazio, società che, secondo quanto scritto dal Sole 24 Ore, avrebbe un’appendice in Irlanda, paese con un regime fiscale favorevole. Il complesso del San Giacomo con molta probabilità avrebbe dovuto essere il secondo tempo di quella gigantesca partita immobiliar-sanitaria. Ma, a differenza degli immobili di piccola taglia, finiti presumibilmente in mano a tanti fortunati Gastone, essendo l’ospedale un blocco unico, anche il pretendente all’acquisto non poteva che essere unico o al massimo pochi, i soliti immobiliaristi, i cavalieri del mattone capitolino interessati a trasformare il nosocomio in un residence.

MARRAZZO non volle sentir ragioni dimostrando una faccia di sé fino ad allora sconosciuta: quella del decisionista testardo. La macchina della

chiusura e del successivo business immobiliare si mise in moto e sarebbe arrivata fino in fondo se non fosse spuntato l’imprevisto: il testamento del cardinale Antonio Maria Salviati scoperto da Oliva, una sua discendente. Quel documento risalente al lontano 1592 stabiliva in modo chiarissimo che il cardinale regalava l’immobile alla città di Roma a patto che il suo uso di ospedale fosse conservato nei secoli. A un passo dalla meta il grande affare immobiliare saltava. Dal cilindro ecco che spunta allora un piano B. Lo illustra il viceministro alla Sanità, Ferruccio Fazio, alla irremovibile Oliva Salviati consegnandole un’“ipotesi di ridestinazione/riconversione dell’ospedale San Giacomo” che sembra una proposta di mediazione. Al punto 2 c’è scritto: “Mantenere per la struttura una finalizzazione sanita-

ria a carattere extraospedaliero compatibile con il vincolo di destinazione d’uso”, un modo arzigogolato per dire, in sostanza, che il San Giacomo potrebbe diventare una Rsa, residenza sanitaria per anziani. Sembra un’idea studiata apposta per gli Angelucci, specializzati proprio in cliniche di quel tipo. Il progetto bis procede sotto traccia per mesi e rispunta a pagina 203 del piano sanitario regionale 2009-2011 preparato da Marrazzo e presentato un mese e mezzo fa. Con il gergo burocratico-sanitario tipico si prevede una “riconversione del San Giacomo in ospedale del territorio a forte integrazione socio-sanitaria”. E’ una frasetta all’apparenza innocua, ma per molti è il segnale atteso, per altri, invece, è come una miccia accesa. Tre giorni dopo scoppia lo scandalo delle trans e Marrazzo salta.

CASO CUCCHI

DAP: INCHIESTA INTERNA SCAGIONA GLI AGENTI

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li accertamenti amministrativi hanno rilevato fin qui l’assenza di responsabilità da parte della polizia penitenziaria”. Come anticipato domenica dal Fatto, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, ha trasmesso in Procura gli atti dell’inchiesta interna sul caso Cucchi, secondo cui a colpire il ragazzo non sarebbero stati gli agenti in servizio al Tribunale. Anche se finora, fanno sapere dalla Procura, l’ipotesi di reato a loro carico omicidio preterintenzionale - non cambia. “Siamo perplessi - ha commentato il legale della famiglia, Fabio Anselmo- l’inchiesta medica dice che è tutto a posto, quella sulla penitenziaria pure, i carabinieri minacciano querela. Allora, chi è stato?” Intanto, emerge che la lettera in cui si accusano del pestaggio i carabinieri, potrebbe non essere stata scritta da Tarek, un detenuto tunisino che ieri è stato nuovamente sentito dai pm (senza convincerli). Unica nota di chiarezza, l’accordo tra il ministero della Giustizia e l’ospedale Pertini per cui, d’ora in poi, ai famigliari dei detenuti sarà consentito parlare con i medici. Cosa che era stata negata alla famiglia Cucchi. (si. d’o.)


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IMPRESE DI BANDIERA

IL PESSIMISMO DI ALITALIA Sabelli prevede un 2010 “difficilissimo” PRIORITÀ: ABBATTERE I COSTI di Stefano

Feltri

ilvio Berlusconi li ha elogiati pochi giorni fa, i “patrioti coraggiosi” di Alitalia che, sotto la guida del presidente Robetro Colaninno e l’amministratore delegato Rocco Sabelli, hanno riportato la compagnia aerea in utile. Almeno – per ora soltanto – nel trimestre estivo (15 milioni). Ieri, a Roma, Sabelli ha ridimensionato di molto l’ottimismo sulla ripresa di Alitalia. In un convegno organizzato dalla Cgil ha spiegato che “il 2009 si chiuderà in modo accettabile ma il 2010 sarà difficilissimo”. La strategia di comunicazione del capo operativo di Alitalia prevede anche un attacco a Ryanair “che ha registrato 92 milioni di euro di profitti operativi ma 190 milioni di contributi dichiarati”. Il messaggio è: senza aiuti pubblici anche la compagnia di Michael O’Lear y avrebbe chiuso i bilanci in rosso. Ma le low cost, che non piacciono alla Cgil perché riescono ad aggirare in parte le leggi sul lavoro italiane, e spaventano Alitalia perché entrano in competizione diretta, restano il modello da seguire. Sabelli lo spiega in modo esplicito, anche se evita di dire che Alitalia deve diventare low cost “perché mi darebbero del matto”. Ma l’analisi è questa: quando sarà passata la crisi, diventerà evidente che le abitudini di consumo sono cambiate in modo strutturale “e bisognerà avere costi inferio-

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L’amministratore delegato di Alitalia Rocco Sabelli (FOTO ANSA)

ri della metà rispetto a prima”, prerequisito per provare poi a competere in un mercato dove bisogna adattare l’offerta alle nuove esigenze del pubblico. Visto che anche i clienti di alta fascia, come quelli che viaggiano in business class, sono diventati improvvisamente sensibili al prezzo del biglietto. E il primo passo della strategia di Sabelli, che passa per una riduzione dei costi (visto che per ora non si può aumentare il prezzo sui biglietti) lo hanno già sperimentato i fornitori: pochi giorni fa, in un incontro con Alitalia, hanno ricevuto la notizia che verranno pagati a 150 giorni. “Così Sa-

belli ci guadagna due volte, perché incassa oltre 60 giorni prima, vendendo i biglietti con grande anticipo sul volo, poi paga i fornitori due volte all’anno mettendo in difficoltà i conti di imprese che dipendendono soltanto da Alitalia”, dice una fonte che segue da vicino le vicende dell’indotto Alitalia, “dove la spinta al contenimento dei costi sta portando a una precarietà strutturale, con lavoratori assunti per 4 ore che ne lavorano 10, con straordinari pagati pochissimo”. Alla vigilia della stagione natalizia, Sabelli ci tiene a mandare messaggi di distensione ai sindacati: “Non ho il timore

di un rapporto consociativo, non riteniamo che il contratto nazionale sia un problema, siamo pronti” e ancora: “La nostra priorità è stabilizzare l’occupazione”. Ma la vicenda Flightcare, la società di servizi di terra all’aeroporto di Fiumicino che nei giorni scorsi ha protestato, crea qualche preoccupazione: “In questo periodo potrebbe diventare molto difficile volare”, dice un sindacalista. I dipendenti di Flightcare erano in agitazione per le nuove condizioni di lavoro derivanti dalla privatizzazione (prima erano dipendenti di Adr Aeroporti di Roma) ma sono stati convinti dal prefetto e dall’Enac, l’ente nazionale aviazione civile, a sospendere le proteste fino al 10 gennaio. “Non volevano problemi per gli ‘altri’, cioè per i passeggeri. E per noi? Per le nostre famiglie? Come lo passeremo in Natale e Capdoanno?”, si sfoga un dipendente Flightcare con il Fatto. Spiega Sabelli che, nel medio periodo, si dovrà cambiare la disciplina degli scioperi. Ma per ora il primo obiettivo è confermare quello che il capo operativo di Alitalia definisce “un trend incoraggiante”. Nonostante le perdite di bilancio previste per fine anno e le critiche del segretario della Cgil Guglielmo Epifani (“Alitalia non può vivere alla giornata. Ci vuole un piano di rilancio”), Sabelli rivendica: “Il piano idustriale era corretto nell’approccio, rifarei tutto quello che ho fatto nell’ultimo anno”.

TURNI DI NOTTE

MAMME CONTRO CAI di Beatrice Borromeo

a storia delle madri “inCaivolate” di Alitalia sta per arrivare in Parlamento. Anna Finocchiaro, capogruppo del Partito democratico in Senato, si è impegnata a seguire la faccenda denunciata dai lavoratori. Quando Alitalia è passata nelle mani di Cai, i dipendenti hanno dovuto sottoscrivere una clausola: niente più esubero notturno per chi ha bambini piccoli o disabili. Altrimenti, licenziati senza neanche la cassa integrazione. “La proprietà della nuova Alitalia si è messa d’accordo con i sindacati contro i lavoratori”, racconta Alessandra, 35 anni, madre di una bimba disabile, Margherita. “Abbiamo firmato il contratto perchè ci hanno giurato che avremmo potuto occuparci dei nostri figli. Mio marito è un assistente di volo come me, io sono spesso costretta a partire anche per 5 giorni di fila. Non possiamo permetterci di pagare 1000 euro al mese una tata, e poi è difficile trovare chi sa occuparsi di bimbi down. Se non fosse per i nonni – spiega Alessandra – non saprei cosa fare”. In Cai ci sono circa duecento donne che, per legge, possono richiedere di non lavorare la notte. Non molte, in una compagnia di 14 mila dipendenti. Anche per questo è difficile spiegare per-

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ché la proprietà abbia deciso di introdurre la clausola. “Se ho diritto all’esubero notturno – dice Monica, mamma di un bimbo di 13 mesi – posso fare solo certi turni. Non copro ad esempio le tratte di lungo raggio perché devo rientrare a Roma ogni sera. La compagnia preferisce non avere il problema di rimandarti a casa in giornata”. Anche così, Monica racconta che non lavora meno degli altri: “Continuo a sfiorare il limite sindacale, volo fino a cento ore in un mese”. La vicenda si è parzialmente sbloccata quando se n’è interessato il comitato per l’Infanzia presieduto dall’onorevole Alessandra Mussolini. La compagnia di Roberto Colaninno e Rocco Sabelli ha accettato l’esubero notturno di chi ha figli che hanno meno di 3 anni, ma restano due punti in sospeso: non sono tutelate le madri di disabili né i genitori separati unici affidatari di ragazzini fino ai dodici anni. “Cai ci deve spiegare – protesta il comitato delle madri – con che coraggio una società che ha avuto tutti i possibili aiuti statali si permetta di ricattarci e di lasciare i nostri figli da soli e senza cure. Signor Colaninno, ci dia i soldi per la tata o smetta immediatamente di portare avanti questo comportamento vergognoso”.

Oggi lo sciopero a Termini Imerese di Marco Franchi

egli stabilimenti Fiat questi sono i giorni delle polemiche e della tensione. All’Alfa di Arese gli operai che sono stati trasferiti a Torino hanno bloccato l’autostrada per protestare. Il clima, dopo l’incontro dell’altroieri tra vertici Fiat, governo e sindacati, resta pesante: i lavoratori si oppongono alla conferma data dall’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che dal 2012 la Lancia Ypsilon non verrà più prodotta nella fabbrica siciliana (e nessuna informazione è disponibile su cosa vi si produrrà dopo). Il governo si dice disposto a un intervento che consenta di continuare a produrre auto a Termini Imerese, ma fra i lavoratori siciliani cresce la paura e oggi la fabbrica Fiat si fermerà dalle 6 di mattina per uno sciopero che durerà tutta la giornata. “Non si può scherzare con il futuro di Termini Imerese, che rappresenta una grande realtà produttiva della Sicilia e del Mezzogiorno”, dice il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, ricordando che a rischio ci sono 3.000 posti (anche se a Termini ce ne sono solo 1.400). “L’impegno che il governo chiede alla Fiat – spiega il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola – è che accresca sensibilmente la produzione di auto in Italia. Abbiamo fatto presente la nostra disponibilità affinché su Termini Imerese ci possano essere interventi pubblici per dare più efficienza a quello stabilimento, per continuare a produrre auto. La Fiat valuterà nel suo piano complessivo la riorganizzazione degli stabilimenti d’Italia. Termini Imerese è un polo industriale importante e, comunque sia, ci deve essere un investimento per garantire produzioni industriali che mantengano l’occupazione in Sicilia”.

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Intervengono anche gli altri sindacati: “Affronteremo il problema il 21 dicembre quando ci sarà l’incontro a Palazzo Chigi – dice il segretario generale della Uilm, Antonino Regazzi – poi decideremo cosa fare. Per ora ci sono posizioni contraddittorie anche nel governo. Scajola deve chiarire la sua, la Fiat pure, il 21 si capirà come stanno le cose”. Regazzi si dice certo che “la chiusura dello stabilimento siciliano non è in programma, l’ipotesi è di trasformarlo da produttore di auto a produttore di componentistica. Ipotesi che non piace ai lavoratori e neppure a me”. Resta critica anche la situazione dello stabilimento Fiat di Pomigliano, dove il 14 dicembre rientreranno gli operai in cassa integrazione straordinaria in cui stanno dal 16 novembre scorso. La linea del modello Alfa 159 ritornerà in funzione dal 14 fino al 18 dicembre, mentre la linea dell’Alfa 147 dal 16 al 18 dicembre. Nel frattempo, la Fiat fa sapere che chiamerà l’Alfa 149 “Giulietta” invece che “Milano” perché, visto che non la produrrà più nello stabilimento lombardo, non sembrava appropriato. Un accordo è stato raggiunto tra Fiat e sindacati alla Powertrain di Mirafiori, le ex Meccaniche, dove da due anni si lavora prima su 17 turni e poi su 18. Si lavorerà l’8 dicembre su tre turni, dal 28 al 31 dicembre su due turni (ma chi non l’ha fatta potrà usufruire della terza settimana di ferie) e il 6 gennaio, su base volontaria, su due turni. Il contratto di settanta lavoratori precari verrà trasformato in assunzione a tempo indeterminato, 70 interinali e 300 lavoratori distaccati da altri stabilimenti verranno confermati fino a giugno. "Quando la Fiat è disposta a trattare – sottolinea il segretario generale della Fiom torinese, Giorgio Airaudo –si arriva ad accordi buoni sia per l’azienda sia per i lavoratori”.

A PROPOSITO DI CORE TIER 1

di Bankomat

ZITTI TUTTI, PARLA MISTER UBI BANCA ette colonne sette, con grande foto in prima pagina sul dorso finanziario, non si concedono a tutti. Il Sole 24 Ore di martedì le ha appaltate a Victor Massiah, amministratore delegato di Ubi Banca. Breve premessa: il titolo Ubi nei giorni scorsi è crollato vicino ai 9 euro, dagli oltre 10,2 cui era arrivato a fine ottobre. Il Core Tier 1 (l’indice di patrimonializzazione della banca, ormai citato in tutti gli articoli e divenuto un parametro noto anche alle massaie) è al 7,3 (dichiarato al 30 settembre), mentre su scala internazionale si sta discutendo se portarlo – per le banche – almeno oltre il 10. Comunque Intesa Sanpaolo è già all’otto per cento, tanto per fare un esempio abbastanza virtuoso. Gli impieghi di Ubi al 30 settembre calano dell’1,5 per cento; la raccolta è ferma e gli utili crollano del 69 per cento. Ma di tutto questo il Sole non parla e non fa una domanda una. Il “top manager” viene lasciato dissertare sui problemi bancari generali, neanche fosse un premio Nobel o il ministro delle

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Finanze. E disserta, vedi il caso, proprio sul tema del “core tier 1”, del qual problema per la sua banca nulla gli si chiede . Massiah riprende la nota linea di difesa dell’Abi: hanno tutte un “core tier 1” fra il 5 e l'8 per cento, ma si affannano a dire che per la qualità dei loro attivi è abbastanza. Peccato che non sia proprio così, perché al dunque il credito lo erogano con il contagocce epiangono con il governo arrivando a chiedere una defiscalizzazione sugli accantonamenti creditizi. Mai che qualcuno ricordi che a nessuna industria è concesso di detrarre dalle tasse gli accantonamenti sui crediti verso i clienti, neppure il giornale della Confindustria solleva l’argomento. E sì che le imprese ne avrebbero bisogno, con l’aria che tira. Chi legge un giornale forse preferirebbe trovare soltanto inchieste e interviste incalzanti, non dei taccuini bianchi offerti agli uffici stampa dei grandi gruppi e ai loro “super manager”.


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SQUILIBRI EUTELIA

UNA PENSIONE PIÙ PRECARIA DEL LAVORO

Il pm Greco apre un’inchiesta

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Contributi frammentati pagano le pensioni dei dirigenti di Rosaria Talarico

eno male che esistono i precari. Che una pensione verosimilmente non la prenderanno mai (o sarà molto esigua) ma nel frattempo pagano quella degli altri. Così i lavoratori parasubordinati, come il linguaggio arido della previdenza definisce i precari, consentono di riscuotere la pensione a categorie più garantite. Per esempio, ai dirigenti d’azienda dell’Inpdai, il cui fondo è uno di quelli con il deficit più drammatico. Un meccanismo di cui probabilmente i precari non sono neanche coscienti, perché la previdenza è qualcosa di distante. Un po’ come il futuro di una pensione che è spesso un miraggio per chi a

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“In Svizzera posso riavere sempre quanto versato, in Italia non sarebbe mai successo”

trent’anni ha pochi o zero contributi versati. Alessandro Thea, genovese, dopo la laurea e un dottorato in Fisica ha lasciato il mare ligure per trasferirsi in Svizzera, nel paradiso dei fisici: il Cern di Ginevra. Qui lavora sul software che acquisisce i dati delle collisioni tra particelle. In Italia ha lasciato, senza grande rammarico, tre anni di contributi versati alla gestione separata dell’Inps. “Non credo di poterli recuperare, visto che sono andato all’estero. Dovrei arrivare almeno a 5 anni per farli fruttare”. Ma quanti contributi ha versato? Alessandro proprio non se lo ricorda, un dettaglio seppellito nella memoria e tra le carte lasciate a casa a Genova. “Avevo un assegno di ricerca da 800 euro netti al mese” racconta al Fatto “e l’università versava i contributi all’Inps”. A Ginevra le cose funzionano diversamente. “Per due anni ho avuto un contratto con il Cern che possiede un proprio fondo pensione interno. Allo scadere del contratto mi hanno restituito i soldi, 21 mila franchi svizzeri (circa 14 mila euro) che io ho trasferito al fondo pensioni nazionale svizzero, così li gestiscono loro”. Nel frattempo il Politecnico di Zurigo gli ha garantito un assegno di ricerca per altri due anni. “I soldi posso ri-

scattarli se decido di abbandonare la Svizzera”. Cosa che Alessandro esclude. “Non credo di tornare in Italia nel futuro prossimo e non ho la più pallida idea di chi mi pagherà la pensione”. A chi rimane in Italia non resta che sbarcare il lunario saltando da un co.co.pro (i contratti a progetto) ad altre forme di lavoro che in comune hanno definizioni ermetiche e retribuzioni misere. Nella categoria dei precari iscritti alla gestione separata finisce un po’ di tutto: medici specializzandi, titolari di borsa di studio per dottorato di ricerca o titolari di assegno di ricerca e venditori a domicilio. In totale sono circa 1,9 milioni i contribuenti precari iscritti all’Inps (i dati più aggiornati sono del 2007). I collaboratori, che rappresentano l’88,3 per cento del totale, sono aumentati rispetto al 2006 del +5,5 per cento, da un milione 586 mila a un milione 673 mila nel 2007, il valore più alto dal 1996, anno di nascita della gestione separata Inps. Marco ha 35 anni ed è calabrese. Dopo la laurea in Ingegneria informatica è passato per una trafila molto comune: lavoro nero, contratto a progetto, tempo determinato. Da un anno è arrivata l’agognata assunzione a tempo indeterminato. “Inizialmente

ho collaborato con un’azienda che teneva corsi in ambito informatico”. Contributi versati: zero, perché lavorava in nero. “In totale ho cinque anni di contributi. Per i due anni a progetto lo stipendio era di 900 euro lordi. Poi sono passato a 1.300 euro, però i versamenti in questo caso sono alla gestione ordinaria”. Ma i dati sui contribuenti precari sono ballerini come le loro esistenze. Nella relazione sul lavoro parasubordinato dell’Osservatorio Inps si legge che “i nuovi contribuenti rappresentano quasi un terzo del totale dei lavoratori di un anno e i cessati più di un quarto, determinando un turnover che interessa oltre un milione di persone”. Per gli iscritti alla gestione separata sono previste due aliquote contributive. Una del 25,72 per centoper i non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria e per i non pensionati. Il contributo è comprensivo dell’aliquota dello 0,72 per cento per finanziare l’indennità di maternità, l’asse-

gno per il nucleo familiare e l’indennità di malattia. Versano invece il 17 per cento i collaboratori e i professionisti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria; i titolari di pensione diretta, cioè quella derivante da contributi versati per il proprio lavoro e i titolari di pensione di reversibilità. Nel corso del 2007, dei 583 mila nuovi contribuenti dell’anno, il 47 per cento è rappresentato da giovani con meno di 30 anni. Nel 2009 l’Inps pagherà 230 mila pensioni ai – pochissimi – precari che hanno accumulato i requisiti per riscuoterne una. Sempre che si possa definire così un importo di 1500 euro l’anno. L’esborso per l’Inps è pari a 350 milioni di euro. “Avanzano” quindi circa 8 miliardi. Quelli appunto che servono a pagare le pensioni delle categorie più tutelate, che a fine mese resterebbero a secco se dovessero usare i soli versamenti dei lavoratori attivi.Nel mondo dei precari anche la solidarietà funziona al contrario.

Il regalo di Natale alle assicurazioni IL GOVERNO È PRONTO A INTRODURRE UNA POLIZZA OBBLIGATORIA SUGLI IMMOBILI di Daniele

Martini

regalo di Natale Uinizionallegigantesco assicurazioni, un pessimo del 2010 per milioni di famiglie. L’assicurazione contro le calamità naturali per tutte le case italiane infilata nel decreto di riorganizzazione della Protezione civile in discussione oggi al Consiglio dei ministri, rischia di diventare un grande affare per pochi e l’ennesimo balzello scaricato sulle spalle di molti. Perché il governo intende rendere obbligatoria la polizza, apprestandosi a ripetere con gli immobili l’operazione fatta a suo tempo con l’Rc auto. Ma se per le automobili e le moto l’introduzione dell’obbligo era in parte giustificata dalla necessità generale e sociale di impedire che per le strade circolassero individui irresponsabili privi di copertura che una volta causato l’incidente non avrebbero saputo a chi santo votarsi per risarcire i danni, con gli immobili questa esigenza è del tutto assente. Non a caso contro la polizza obbligatoria per le case è schierato un fronte ampio, dalle associazioni dei consumatori all’Antitrust alle organizzazioni dei proprietari come la Confedilizia. In ballo ci sono interessi corposi. Secondo la stima probabilmente al ribasso fornita dalle stesse compagnie di assicurazione il costo medio della polizza per ogni singola abitazione sarebbe di circa

180 euro all’anno. Considerando che le case in Italia sono più di 27 milioni (censimento Istat), il costo complessivo dell’assicurazione-casa sfiora i 5 miliardi, soldi che usciranno dalle tasche delle famiglie per transitare in quelle delle compagnie. Le più interessate alla faccenda sono le solite: Generali, Ina-Assitalia, Toro, Fondiaria-Sai, Mediolanum. Sono anni che tutte quante girano intorno all’osso della polizza anticalamità non riuscendo a ottenere da governo e parlamento l’ok definitivo per una ragione o per l’altra. Questa volta, invece, le probabilità che sfondino sono molte perché l’esecutivo Berlusconi ha inserito la novità in una bozza di decreto che, secondo autorevoli indiscrezioni, quasi sicuramente andrà in porto. In primo luogo perché il provvedimento si inserisce sulla scia dell’emozione per il terremoto d’Abruzzo, e poi perché il testo ha già avuto il placet di due tra i collaboratori più ascoltati dal capo del governo in materie di questo tipo: il responsabile della Protezione civile, Guido Bertolaso, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Favorire l’introduzione di una copertura assicurativa sugli immobili contro le calamità magari anche attraverso incentivi fiscali può essere un obiettivo condivisibile, entro certi limiti e a determinate condizioni. L’insistenza sull’obbligatorietà, però, sta rendendo l’operazione indigesta. In un pa-

rere depositato il 20 novembre di 6 anni in occasione di una proposta simile elaborata a quel tempo, l’Antitrust aveva già espresso tutta la sua contrarietà: “L’imposizione di un obbligo assicurativo contribuisce a irrigidire la domanda dei consumatori che saranno indotti ad accettare le condizioni praticate dalle imprese anche quando le considerano particolarmente gravose”. In pratica l’obbligatorietà della polizza favorisce un patto leonino a svantaggio dei cittadini. Ovvio che le associazioni dei consumatori siano nettamente contrarie. Per il presidente di Assoutenti, Mario Finzi, per esempio, «far pagare un premio assicurativo a chi vive in zone non a rischio diventerebbe una vera e propria tassa sulla casa». Dal momento poi che il decreto del governo prevede l’intervento dello Stato “in qualità di riassicuratore di ultima istanza per la parte di danno eccedente la capacità annua complessiva del sistema assicurativo privato” ecco che si profila anche la possibilità di una gigantesca privatizzazione dei profitti e pubblicizzazione delle perdite. Su questo aspetto si incentrano le critiche di Federconsumatori ed Adusbef: “Non vorremmo che i profitti derivanti dall’obbligatorietà delle polizze vengano incassati dalle imprese, mentre i rischi siano assunti dallo Stato”.

Nettamente contrario alla polizza obbligatoria anche Corrado Sforza-Fogliani, presidente Confedilizia, la più grande associazione di proprietari di case, in genere molto benevola con le decisioni di questo esecutivo. “Il governo non trova 200 milioni per risolvere il problema degli affitti ai disagiati e nel contempo prepara un provvedimento per la polizza obbligatoria anticalamità” accusa Sforza-Fogliani. La conclusione è dura: “Il governo non fa quello che era nel programma della maggioranza e fa, invece, quel che non era nel programma. In entrambi i casi ne fanno le spese, oltre che gli inquilini, i condomini e i proprietari di casa”. Secondo il presidente Confedilizia l’introduzione della polizza in alcune zone del paese funzionerebbe, inoltre, come una doppia tassa in aggiunta a ciò che i cittadini già pagano per lo stesso scopo ai Consorzi di bonifica. Nel 2008 gli italiani hanno sborsato a questi enti più di 500 milioni, con punte di contribuzione in Emilia, Toscana, Veneto e Lombardia.

La Protezione civile sostiene il progetto: tutte le case degli italiani saranno assicurate contro le calamità naturali

nche se Eutelia, società al centro dello scandalo dei presunti licenziamenti mascherati, ripete di non avere più nulla a che fare con le sorti dei dipendenti ceduti, la procura di Milano ha deciso di aprire un inchiesta penale. Il pm Francesco Greco ha infattI aperto un fascicolo sul gruppo delle telecomunicazioni guidato da Leonardo Pizzichi e dalla famiglia Landi. Tra i Landi, Samuele (ex amministratore delegato) e Raimondo (ex vicepresidente) risultano anche indagati dalla procura di Arezzo. Secondo le indiscrezioni il fascicolo è contro ignoti e non vi é un’ipotesi di reato. In Borsa le azioni Eutelia hanno perso il 5,44 per cento. “Non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione” riguardo all’inchiesta, sostiene Pizzichi, e “non ne conosciamo evidentemente il contesto e le motivazioni”.

TELECOM ITALIA

Nessuna offerta per le quote argentine

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eri si è tenuto un consiglio di amministrazione molto atteso di Telecom Italia. É stato un cda “assolutamente ordinario” secondo il presidente Gabriele Galateri di Genola. All’ordine del giorno non c’erano – come temeva nei giorni scorsi l’associazione dei piccoli azionisti – le offerte per la cessione della quota in Telecom Argentina. L’uscita anticipata dei soci spagnoli di Telefonica – che hanno altri interessi imprenditoriali in Sud America – ha fatto pensare che si fosse discusso di scenari sudamericani. Anche il socio di minoranza Marco Fossati, con Findim, aveva diffidato il cda di procedere ad altre cessioni di asset del gruppo. Ma l’amministratore delegato Franco Bernabé si è limitato a dire che “Telecom Italia intende sempre di più considerare il Brasile il suo secondo mercato domestico”, dove investirà nei prossimi anni tre miliardi di euro. Di conti, invece, non si è parlato. Dice Bernabé che si dovrà aspettare “la fine del 2009”.


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Giovedì 3 dicembre 2009

DAL MONDO

Un privilegio difficile IL CONGO E LA SCELTA DI UN MEDICO SENZA FRONTIERE di Elisa Battistini

avoravo come neurologo in una clinica ma non ero contento. L’idea di azienda sanitaria non mi apparteneva allora, tanto meno ora”. Gianfranco De Maio, responsabile medici di Msf Italia, dice che è stata la crisi dei 40 anni a fargli cambiare vita. La “chiamata” è arrivata nel 1999, quando Medici Senza Frontiere ottiene il Nobel per la Pace ed è in corso la guerra in Kosovo. “Sentivo il bisogno di fare qualcosa – racconta – e mi sono proposto a Msf, per andare in missione. Loro mi hanno detto no: non ero abbastanza preparato e non avevo mai studiato malattie tropicali”. Allora lui si licenzia, va ad Anversa, in Belgio, e frequenta un corso intensivo di sei mesi sulle malattie tropicali. Torna all’attacco, e riesce a partire. De Maio è un uomo posato e molto rassicurante. Niente a che vedere con l’idea del ‘pasionario’ che, forse, viene in mente pensando a chi sceglie di lasciare ospedali e cliniche occidentali per andare a curare la gente in zone di guerra e di crisi umanitarie. A rifletterci bene, però, la sua pacatezza non deve stupire: per fare il suo lavoro serve sangue freddo. De Maio ne ha viste tante. Ma non si scompone neppure raccontando dei bambini che ha visto morire o delle donne africane stuprate. Non si tratta di cinismo. Piuttosto della consapevolezza che il mondo non è poi un posto tanto ospitale. La sua prima missione risale al 2001: sette mesi in Congo, a Gbadolite la capitale del nord Ubangi. Zone difficili in cui da oltre dieci anni le bande armate di differenti fazioni (al soldo talvolta delle multinazionali) cercano di occupare i territori. Sterminando la popolazione quando rifiuta l’assoggettamento. L’esperienza in Congo non sconvolge De Maio. “Gli operatori di Msf non vivono nel lusso, ma neppure in condizioni di disagio: abbiamo quasi sempre l’acqua corrente in casa e sempre con i condizionatori. La vera difficoltà è tollera-

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re la sofferenza, ma ero molto abituato a gestire il dolore degli altri, per cui non ho avuto grossi problemi. E questo è il vero scoglio contro cui anche la buona volontà può infrangersi. Poi, ovviamente, non bisogna lasciarsi spaventare se qualcuno ti dice: ‘Qui c’è il bunker, quando sparano andate dentro’. Per fortuna a me non è mai successo nulla”. Dopo la prima missione, come spesso accade, De Maio vorrebbe ripartire. “Se non si resta sconvolti di solito i medici vogliono continuare. Ma non è semplice”. Gli assunti di Msf non sono molti. La maggior parte degli operatori sanitari lavora saltuariamente. “Usano le ferie, prendono l’aspettativa, negoziano con i propri datori di lavoro in attesa che magari si liberi una posizione nella nostra associazione; poi ci sono quelli che passano di missione in missione e non riescono a smettere. Ma è uno stile di vita che non si può portare avanti in eterno. Capita anche che durante i viaggi si formino delle coppie e qualcuna rimane a vivere all’estero. Ricordo una coppia che è rimasta in Ruanda, a Kigali, una città bella e ordinata: sembra di essere in Svizzera”. De Maio non è stato solo in Africa. Ha lavorato anche ad Haiti e in Brasile. Ma è il “continente nero” ad aver cambiato la sua visione del mondo. “Specie per quanto riguarda il rapporto con la morte. Nel 2004 ero in Costa d’Avorio. In ospedale arrivavano tanti bambini con la

ANNIVERSARIO BELLICO

di S. C.

Pallottoliere congolese

C’

è un conflitto a bassa intensità mediatica e ad alto costo umano, coperto dalla foresta pluviale e dall’inazione mondiale (in Congo, tra oro, diamanti, petrolio e altre ricchezze naturali, opera la più grande missione di peacekeeping Onu, 16 mila uomini, un miliardo di dollari l’anno, che scadrebbe il 31 dicembre), tranne che per sporadici impegni individuali o poco più. L’anno scorso il conflitto congolese produceva secondo alcune fonti 45.000 morti al mese: gran parte dei quali per fame e malattie e non pallottole, e il conto totale era a 5,4 milioni di vittime (escluse quelle indirette, i milioni di profughi), come nessun conflitto dalla Seconda guerra mondiale. Quest’anno il pallottoliere congolese conteggia più o meno il decimo anno di guerra variabile tra bande, ex eserciti, etnie, predatori di frontiera, e forse gli oltre 6 milioni di morti. E il conteggio continua.

Il medico Gianfranco De Maio Accanto, un intervento umanitario di Msf in Africa (FOTO DI FRANCESCO ZIZOLA)

meningite quando ormai era troppo tardi. Una volta stavo cercando di salvare un ragazzino e non riuscivo a smettere di intervenire. Il nonno del bambino a un certo punto mi fermò: ‘Basta così’, mi disse. Il giorno dopo il padre venne addirittura da me per ringraziarmi. Io rimasi stupito: suo figlio era morto. Ma lui mi disse: ‘Hai fatto il possibile’. In Italia, una volta, la figlia di una donna di 90 anni venne da me imbestialita perché la madre in ospedale era deceduta. In Africa si impara, certo dolorosamente, quanto la morte faccia parte della vita. Una madre sa che suo figlio potrebbe morire prima di lei. Siamo noi ad avere un rapporto folle, irreale con la morte”. De Maio è tornato da pochi mesi dal nord Kivu, in Congo, dove proseguono i più sanguinari scontri del paese. E dove opera la Monuc, il più ampio contingente Onu del mondo. “La situazione è disperata. Stupri, stragi, malattie banali che falcidiano la popolazione. Msf ha aperto due ospedali e fa opera di pronto soccorso, totalmente assente nelle poche strutture sanitarie. Nel nord Kivu c’è una guerra continua per lo sfruttamento delle risorse. Il nostro compito è vaccinare, salvare vite. Lavoriamo disarmati, siamo neutrali, distribuiamo farmaci gratis. Ma recentemente, durante una vaccinazione in molti centri della zona, siamo stati attaccati dai militari. Non era mai successo. La prassi è informare le autorità che quel giorno ci sarà una vaccinazione, ma le milizie hanno sfruttato la cosa per attaccare la popolazione sapendo che si sarebbe concentrata in alcuni punti. In un tale contesto, il contingente Onu non serve a nulla. Le regole d’ingaggio sono sbagliate: la Monuc non interviene militarmente. Distribuiscono cibo, presidiano zone, ma non svolgono attività di polizia. Così è una pagliacciata”. Infine, sull’informazione italiana che si disinteressa totalmente alla situazione in Congo, De Maio dice: “Se non capiamo l’Africa, se non ne sappiamo niente, cosa possiamo capire dell’immigrazione in Europa? Crede forse che un congolese a

cui hanno sterminato la famiglia sia spaventato dalla Bossi-Fini o dalle parole di Calderoli o sappia chi sono questi politici? Mamadou, il mio ultimo

autista in Congo, mi chiedeva se davvero in Puglia esistono macchine che raccolgono i pomodori e se è vero che uno deve solo guidarle, senza fare nes-

suna fatica. Capisce? È fantascienza. Ma a uno del nord Kivu non importa niente della legge o della realtà italiana. Vuole solo fuggire dalla guerra”.


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DAL MONDO

Guantanamo e la diaspora dei “terroristi” ECCO DOVE SONO FINITI I PRIGIONIERI di Leo Sisti

due “italiani” di Tunisia detenuti a Guantanamo, e arrivati in Italia lunedì per essere qui giudicati per vecchie pendenze giudiziarie legate al terrorismo, sono l’ultimo drappello uscito dal carcere americano nell'isola di Cuba prima della smobilitazione generale. Il presidente Obama non riuscirà però a mantenere la promessa fatta nel a gennaio, due giorni dopo il suo insediamento, di chiudere quell'obbrobrio giuridico e umano entro un anno. Eppure, anche se molto lentamente, Guantanamo sta aprendo le sue celle. In origine erano poco meno di 800 i suoi ospiti, per la maggior parte arrestati in Afghanistan o in Pakistan, subito dopo la guerra del 2001, sottoposti alla tortura delwaterboarding, o finto annegamento, approvata dall’ex presidente George W.Bush. Ora ce ne sono 215. I tunisini smistati a Milano, Adel Ben Mabrouk e Riadh Nasri, nom de guerre Abu Dujana, sono stati preceduti da altri prigionieri, poco più di una dozzina, in qualche modo legati al nostro paese, ma restituiti di recente alle loro nazioni di appartenenza. Ancora, pochi giorni prima della coppia magrebina, alla fine di ottobre, erano stati liberati anche 6 Uiguri, i separatisti cinesi islamici della regione dello Xinjiang, trasferiti nell’isola del Pacifico di Palau, 500 miglia dalle Filippine, mentre altri 4 se n’erano già andati prima, accolti a Bermuda. I rimanenti 7 uiguri dovrebbero finire anch’essi a Palau. Da Guantanamo, soprannominata “Gitmo”, si va via solo alla spicciolata. Ma per accelerare il passo c'è voluta una storica decisione presa nel giugno 2008 dalla Corte suprema Usa: con-

I

sente agli “inquilini” della prigione cubana di rivolgere ai tribunali federali istanze di liberazione rivendicando l’applicazione del principio dell’habeas corpus (che in Italia non esiste...). Ben 200 citazioni, che contestano il concetto di “combattente nemico” attribuito a tutti i reclusi di Guantanamo, sono state presentate a 15 giudici di Washington. Con il seguente quesito: fino a quando dura la detenzione preventiva? Su 38 casi esaminati dal sito americano Pro Publica ben 26 sono stati dichiarati idonei alla scarcerazione, mentre in altri 5 la richiesta è stata rigettata. Tra i tanti esempi di vittoria, quello di 4 fondamentalisti algerini, uno accolto dalla Francia, gli altri 3 dalla Bosnia Erzegovina. Tutti hanno lasciato Guantanamo tra la fine del 2008 e il 2009 perchè, secondo il giudice Richard Leon, una sola prova, peraltro racchiusa in un documento “classificato, e proveniente da una fonte anonima, non era sufficiente per continuare a tenerli rinchiusi”. Un quinto algerino ha raggiunto la Francia martedì dopo 7 anni dietro le sbarre, due e mezzo in isolamento. Non è riuscito invece a spuntarla il tunisino Hedi Hammamy, 40 anni. Il 4 aprile lo stesso Leon ha respinto la sua domanda perché in base alle carte era risultato che avesse combattuto contro gli Usa e appartenesse a una cellula terroristica italiana. Sfortunato invece lo yemenita Yasin Muhammad Basardh, poco più che 30enne. Fermato al confine tra Pakistan e Afghanistan ai primi nel 2002, era stato poi accusato di essersi battuto al fianco dei talebani e in seguito nascosto nelle montagne di Tora Bora insieme a Bin Laden nell’autunno del 2001. Il giudi-

ce Elen Segal Huvelle ha stabilito sì che non dovesse più stare a Guantanamo. Yasin aveva collaborato, fornendo i nomi di altri sospetti terroristi e, inoltre, “aveva reciso i legami con il nemico”. Ma il governo si è opposto e quindi il giovane yemenita resta lì dov'era. Sfortunato anche il siriano Abdul Razak al Janko, 31 anni, addestrato in un campo militare di Kandahar. Il giudice Leon aveva decretato il suo rilascio nel luglio 2009. C’erano perfino prove che fosse stato torturato da Al Qaeda e imprigionato dai talebani per 18 mesi. Niente da fare. È così è ancora a Guantanamo. Come ha decretato il governo Obama. A Gitmo ci sono infine una quindicina di bad guys, quelli che erano vicini a Bin Laden e al vertice di Al Qaeda. Sono i vip del terrore, o almeno finora, presunti tali. Cinque di loro saranno giudicati a New York, Manhattan, a pochi isolati dalle torri gemelle del World Trade Center, dove l’11 settembre del 2001 due aerei dirottati al comando di Mohammed Atta si sono schiantati. In testa, Khalid Sheik Mohammed, detto anche Ksm, kuwaitiano, la mente della strage, zio di Ramzi Yousef, ideatore del precedente attacco al World Trade Center del ’93. Al suo fianco, Ramzi Binalshibh, yemenita, coordinatore tra Ksm e gli operativi. Doveva essere il 19° dirottatore. Non ce l’ha fatta: il visto per gli Usa gli era stato rifiutato 4 volte. Degli altri 3 vale la pena citare Mustafa al Hasawi. Saudita, ha finanziato l’attentato tramite una banca degli Emirati arabi, dotando Atta e

compagni di carte di credito. Obama vuole che questi 5 irriducibili qaedisti vengano ammessi davanti a un giudice civile. Scatenando animatissime discussioni. Per una serie di ragioni. La prima. Perché non portare Ksm e soci davanti a un tribunale militare, come invece avverrà per altri cinque pericolosissimi islamici di high value, cioé di “alto spessore”? Secondo i più critici una corte militare assicurerebbe, a differenza di quanto potrebbe accadere in un giudizio civile, che non ven-

Inizialmente erano 800, adesso ne restano 200. Dall’isola di Palau all’Italia la mappa degli ospiti ingombranti

gano diffuse informazioni ritenute “classificate”. La seconda ragione è logistica. Non potrebbe New York correre un altro rischio di “tsunami” terroristico? Poi, ultimo dubbio. Anche Obama spera che i 5 di Manhattan vengano condannati a morte. Però, soprattutto per Ksm, c’è un’incognita: una parte delle sue stesse ammissioni di colpevolezza, ottenute con la tortura, potrebbe non essere valida. Quindi i prosecutors, i pubblici ministeri, dovrebbero puntare su altre prove: ma basteranno per gli scopi che si prefiggono? E, ultimo flash, quando mai a New York, legata a una tradizione “liberal”, si ricorda l’applicazione d’una pena capitale? In ogni caso, anche se non è stata ancora scelta la data del processo, il nome del giudice che lo presiederà salterà fuori da un cilindro di legno che gira, come una ruota. Come avviene, in Italia, per i numeri del lotto.

fare il punto su come ha funzionato il sistema giudiziario degli Stati Uniti di fronte al terrorismo. Ne offre l’occasione un rapporto, reso pubblico da pochi giorni dal Center on Law and Security della New York University School of Law. Titolo: “Terrorist Trial Report Card 2001-2009: Lessons learned”. Ovvero: quali lezioni trarre dai processi. Si tratta della più completa analisi del fenomeno terroristico mai fatta prima, alla luce delle sentenze emesse nelle Corti americane. In otto anni di indagini, a partire dall’11 settembre 2001, sono state accusate 828 persone per reati legati al terrorismo. Per 235 di queste i giudizi sono

Il rapporto sul sistema giudiziario post 11 settembre

I debiti della prima guerra mondiale

L

a Germania continua a pagare il debito contratto per far fronte ai risarcimenti ai paesi Alleati legati alla Prima guerra mondiale: lo scrive il tabloid Bild, secondo cui rimangono ancora 56 milioni di euro da saldare.

RUSSIA

Attentato treno pista islamica

L’

attentato al treno Nievski Express di venerdì (26 vittime e un centinaio di feriti) è stato rivendicato da un gruppo islamico del Caucaso russo, che ha annunciato altri attacchi. La rivendicazione è apparsa sul Kavkavcenter.ru, già usato dalla guerriglia cecena per assumersi la responsabilità d’altre azioni. Stavolta si tratta del sedicente Quartier generale delle forze armate dell’Emirato del Caucaso.

GIAPPONE

Il sindacato delle nuove geishe e hostess dei bar di Tokyo hanno deciso di formare un sindacato. Lo ha affermato un sindacalista giapponese, Takeshi Suzuki, spiegando che l’obiettivo delle “geishe moderne” è quello di ottenere degli stipendi e delle condizioni di lavoro migliori. Quando vengono assunte, sono quasi sempre molto giovani e inesperte e quindi più soggette a abusi da parte dei datori di lavoro e dei clienti. “Molti credono che le ‘dame di compagnia’ dei bar conducano una vita da sogno, ma non è così. La situazione è addirittura peggiorata con la crisi economica”. Proprio come le geishe, le giovani devono intrattenere i clienti nei bar, versare loro da bere, cantare e ballare.

PROCESSI, CONDANNE E ASSOLUZIONI UNA LEZIONE LUNGA OTTO ANNI ancora in corso. Ma per l’88 per cento degli altri imputati, cioè 593, alla fine, sono arrivate le condanne (vedere il grafico qui a fianco). È una percentuale elevatissima. Poi ci sono gli altri risultati. Nel 7 per cento dei casi i capi d’accusa sono stati abbandonati dalla stessa pubblica accusa. Solo il due per cento è stato assolto. Percentuali molto minori, dallo zero al 2 per cento, riguardano esiti diversi. Ma quali “lezioni” vengono fuori da queste cifre? Eccole, secondo Karen Greenberg, direttore del Center on Law and Security: “Individuare le leggi utili per le inchieste sul terrorismo; come distinguere quali casi portare a processo; come valutare le esigenze dell’intelligence rispetto a quelle del sistema giudiziario”. (L. S.)

GERMANIA

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LE STATISTICHE

l’avvicinarsi dei processi per alcuni Cdereondeglil’articolo uomini chiave di al Qaeda (vein questa pagina), si può

N

Un detenuto nel carcere di Guantanamo (FOTO ANSA)

BUONE NOTIZIE

a cura della redazione di Cacaonline

LA CASA DELL’ACQUA E ADDIO ALLE MINE La casa dell’acqua Verrà “edificata” nel parco di via Giotto a Grosseto e al suo interno ci sarà un distributore di acqua pubblica dell’acquedotto. Si potrà scegliere tra naturale, frizzante e naturale refrigerata. “Così – spiega il sindaco Emilio Bonifazi – intendiamo promuovere una corretta cultura dell’uso della risorsa idrica potabile, ma intendiamo anche venire incontro alle esigenze dei cittadini, offrendo, gratuitamente, acqua buona e fresca”. E, aggiungiamo, anche controllata, dal momento che quasi quotidianamente l’acqua comunale viene sottoposta a centinaia di controlli e analisi da parte delle Autorità sanitarie. L’iniziativa mira anche a

ridurre i rifiuti: l’Italia è tra i maggiori consumatori di acqua in bottiglia al mondo con circa 160 miliardi di litri annui. Migliaia di bottiglie di plastica che riempiono i cassonetti. Il Rwanda è libero dalle mine Con circa un anno di anticipo sui programmi, il governo ruandese ha annunciato che il paese è stato completamente sminato. 52 aree bonificate per un totale di 2 milioni di metri quadrati di territorio. Recuperate 600 mine antiuomo, 29 anticarro e oltre 2000 ordigni inesplosi. Le operazioni di sminamento erano iniziate nel 1995. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

IL DISASTRO 25 ANNI FA

LAPIERRE La mia Bhopal nuvola di dolore

Hepburn Ottant’anni fa nasceva Audrey, icona dell’eleganza

Conti Brunetta? Quella sui compensi era una provocazione

Madonna Ferzan Ozpetek, un regista decisamente geniale

Polanski Uscirà domani di prigione per andare ai domiciliari

Lo scrittore ricorda la nube tossica che causò 300 mila morti in India: ho provato a bere l’acqua di un pozzo, è ancora veleno

di Valentina

Arcovio

per mettere a posto le cose? Ed è proprio questo lo scandalo più grave. Dopo aver ucciso tutte quelle persone, nessuno ha mai pagato per le proprie responsabilità. La Union Carbide e i suoi dirigenti sono rimasti impuniti. Nessun colpevole in cambio di 470 milioni di dollari. Di questi ben pochi sono finiti nelle mani delle vittime e delle persone che hanno pagato in prima persona il disastro. È questo il prezzo dato dal governo indiano, in accordo con la fabbrica americana, alla tragedia causata dalla Union Carbide. Se non Bhopal, l’India in generale sta cambiando, mettendo in discussione gli assetti economici e politici internazionali. È arrivato il momento della rivincita sull’occidente? Non credo si possa parlare di rivincita. C’era da aspettarselo che prima o poi l’India riuscisse a valorizzare le sue grandi potenzialità. La trovo una cosa fantastica. Però non bisogna sottovalutare la grande contraddizione che si è creata in questo paese. Siamo di fronte a due Indie: una che trionfa con le sue ricchezze, l’altra invece abitata da 400 milioni di persone che lottano ancora contro la fame e da 200 milioni di persone che non godono neanche del bene essenziale qual è l’acqua potabile. Lo sviluppo di un paese è reale quando tutti i suoi abitanti possono goderne dei frutti. Questo discorso vale per tutti. Cosa ne pensa delle conclusioni dell’ultimo vertice della Fao e dell’impegno dei grandi sul clima? La povertà e la miseria sono problemi enormi e molto complessi. Per sradicare la fame nel mondo non bastano solo i soldi. Certo, servono anche quelli. Anche la più piccola donazione è importante, ma se si vuole realmente sconfiggere la povertà bisogna cambiare strategia e calarsi direttamente nel campo di battaglia. Facile inviare un assegno da casa. L’unico modo per vincere la miseria è co-

“S

to tornando a Bhopal, 25 anni dopo il disastro: la storia non è chiusa. Affatto”. Per Dominique Lapierre, giornalista e scrittore del romanzo-inchiesta Mezzanotte e cinque a Bhopal, non è ancora arrivato il momento di mettere la parola fine a quello che successe la notte del 2 dicembre 1984 nel cuore dell’India. La grande nube tossica che fuoriuscì da una fabbrica americana di pesticidi: una strage, 30 mila i morti, oltre 500 mila i contaminati. “È una città che non ha dimenticato quello che è successo. E non può farlo visto che ancora oggi ne sta pagando le conseguenze – spiega Lapierre al telefono –. Io e mia moglie abbiamo provato a bere l’acqua di un pozzo della città. È bastato mezzo bicchiere per far infuocare le nostre bocche per diversi giorni. Le assicuro che ancora dopo tutti questi anni ci sono rimaste tantissime cose da fare per rimediare ai danni causati dalla Union Carbide, la multinazionale americana che produceva l’isocianato di metile da utilizzare come pesticida. Qual è stato l’errore di quella notte? Voler mettere le logiche del profitto prima di ogni altra cosa. Einstein diceva che l’uomo e la sua sicurezza devono costituire la prima preoccupazione di ogni avventura tecnologica. Così non è stato. La fabbrica, dopo aver iniziato a perdere soldi, ha deciso di fare economia risparmiando laddove non è possibile risparmiare: sulla sicurezza. Dopo 25 anni gli abitanti di Bhopal avranno ricevuto un risarcimento

noscere ogni sua sfaccettatura. I cambiamenti climatici sono una parte della sfortuna dei più poveri. Provocati dall’inquinamento dei paesi ricchi, le conseguenze in realtà vengono pagate dalle popolazioni più deboli che rimangono inerti di fronte ai disastri naturali che il riscaldamento globale comporta. Oltre ai soldi allora cosa ser ve? Innanzitutto, è necessaria una strategia efficace che vinca la corruzione nella distribuzione della generosità. Bisogna assicurarsi che tutti i soldi destinati ai poveri vadano realmente a finire nelle loro mani. Inoltre, è fondamentale vedere come lavorano i contadini e insegnare loro a essere autosufficienti. Un esempio? Una delle iniziative umanitarie che abbiamo adottato di recente è la concessione di mi-

crocrediti. Lo scopo è di ridare nuova dignità a chi lavora. Lo so che è solo una goccia nell’oceano dei bisogni, ma come mi diceva Madre Teresa di Calcutta, l’oceano è fatto di tante gocce d’acqua. Senza quelle non esisterebbe. Una goccia può essere una donazione, ma anche un gesto di amicizia nei confronti di chi ha più bisogno. È proprio vero quando si dice che i soldi non sono tutto e nei miei libri ho sempre cercato di raccontare quanto siano

L’analisi

rano passati solo cinque minuti dalla mezzanotte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 quando ebbe luogo il peggior disastro industriale della storia dell’umanità. Bhopal, nello Stato del Madhya Pradesh: un tempo florida capitale, sintesi delle influenze culturali e religiose di tutta l’India, oggi silente testimone dello sviluppo indiscriminato e della logica di profitto. Il serbatoio di metilisocianato, composto altamente tossico, esplose nella fabbrica levandosi in aria per decine di metri e disperdendo il suo carico di gas letale nella brezza notturna, uccidendo in poche ore oltre 8.000 persone (30mila in tutto) e contaminandone quasi 500.000. Il Mic è una composto chimico che va conservato a basse temperature e che a contatto con l’acqua sprigiona enormi volumi di gas tossico. Nei paesi occidentali, la quantità massima ammessa per lo stoccaggio non supera la mezza tonnellata, ma per le recenti perdite di quota di mercato la so-

E

cobaleno iniziato molto tempo fa da Nelson Mandela. Tutto questo è raccontato nel mio ultimo libro Un arcobaleno nella notte (edito in Italia da Il Saggiatore). Parla del Sudafrica, della sua storia, dei suoi eroi popolari e delle sue ataviche contraddizioni. Leggerlo può aiutarci a capire quello che è stato. E con ogni libro acquistato posso aiutare per una settimana ben 10 bambini lebbrosi: una goccia nell’oceano dei bisogni.

Ragazzini indiani giocano accanto al muro della Union Carbide Nella foto piccola Dominique Lapierre (FOTO ANSA)

cietà decise, per ridurre le spese, che a Bhopal ne venissero stoccate quasi 40. La criminale negligenza dei dirigenti fece il resto: l’impianto frigorifero non era funzionante al momento dell’incidente e il serbatoio venne inondato dall’acqua utilizzata per la pulitura delle tubazioni, lasciata entrare da una valvola difettosa mai controllata. La gente morì in pochi minuti, svegliandosi all’improvviso con forti bruciori agli occhi e ai polmoni, mentre coloro che non furono investiti dalla nube ancora densa dovettero affrontare anni di cure per i danni subiti. Ancora oggi è possibile incontrare le migliaia di malati che attendono almeno un rimedio che allevi le loro sofferenze. Sono passati 25 anni e la fabbrica di pesticidi della ex Union Carbide, oggi Dow Chemical, multinazionale nata verso la fine dell’Ottocento negli Stati Uniti, giace ancora con parte del suo carico tossico al suo interno. Nei giorni passati a lavorare a contatto con la popolazione, ho potuto testimoniare che la vita intorno si svolge come un tempo. In alcune zone della città, ancora oggi oltre 7.000 persone bevono l’acqua dei pozzi inquinata dagli scarti di produzione della fabbrica, risultata contaminata a livelli centinaia di migliaia di volte superiori ai limiti previsti. Gran parte delle case limitrofe a quella che un tempo era la

LA STRADA INFINITA DEL CAPITALE CINICO di Ascanio Vitale

importanti anche la dignità e l’amore verso il prossimo. Mi riferisco ad esempio alle tragiche battaglie razziali e alle tristi conseguenze dell’apartheid in Sudafrica. Che effetto le fa vedere un presidente nero alla Casa Bianca? La vittoria di Obama alle elezioni può essere letta come una rivoluzione per l’America. Un importante segnale di riconciliazione tra bianchi e neri che segue il progetto delle Nazioni Ar-

fabbrica, sono state costruite con i fanghi tossici lasciati abbandonati per anni dopo la fuga negli Stati Uniti dei responsabili della società e non propriamente contrassegnati, causando malformazioni e neoplasie nei neonati. Ad oggi, la burocrazia del diritto internazionale e la connivenza dei governi americano e indiano, hanno permesso alla società di non divulgare informazioni circa il trattamento per i casi di intossicazione da MIC, con la scusa di non voler rivelare materiale riservato. Warren Anderson, allora presidente della Union Carbide, risulta latitante e ricercato dall’Interpol, mentre continua a vivere una vita da pensionato di lusso tra golf club e villa con giardino negli Stati Uniti, nonostante tra India e Usa viga un accordo per l’estradizione dei criminali. Furono pagati 470 milioni di dollari dalla Union Carbide, meno di una tazza di tè a persona per ogni giorno di sofferenza dal giorno del disastro. Un’inezia, se si pensa a rimborsi risultati enormemente sottostimati come quello della ExxonMobil. Da anni l’ICJB (International Campaign for Justice in Bhopal), sigla che riunisce circa 20 Ong, lotta perché venga fatta giustizia e venga protetta la salute della popolazione. A noi spetta l’imperativo etico di imparare dagli errori del passato e non permettere che si ripetano. Impresa difficile, ultimamente, quando si scopre che i progetti delle due centrali nucleari di terza generazione in costruzione in Francia e Finlandia, quelle amate da Mr B. e il suo nuclearista improvvisato Scajola, non sono stati approvati poiché presentano lacune nella gestione della sicurezza.


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SECONDO TEMPO

CINEMA

CADICE DELLE MERAVIGLIE

Viaggio sul set di “Knight&day” Cruise e Cameron Diaz, in una Spagna felice di Alessandro Oppes

un’emozione forte, così per tutto il giorno, fino a quando – alle cinque del pomeriggio – il regista James Mangold non è convinto di aver creato la scena perfetta che, per esigenze del copione, anziché a Cadice si concluderà in realtà con l’ingresso dei tori (girato già la settimana precedente) nella storica Plaza della Maestranza di Siviglia. I commercianti della Calle Ancha, intanto, possono tirare un sospiro di sollievo: riaprono finalmente i loro negozi e in più ringraziano la Fox che li ha compensati per il disturbo pagandoli in media tra i duemila e i tremila euro per le tre giornate di chiusura del centro (tra prove e riprese). Tom e Cameron saran-

Cadice

i parlano di Tom Cruise come fosse un vecchio amico che è tornato a trovarli dopo tanto tempo. Senti i commenti sul taxi, al bar, alla reception dell’hotel. “Tom? Sì, l’altra sera ha prenotato un intero ristorante giapponese, per sé e per i suoi amici. Sarà qui di nuovo tra due settimane. Simpatico Tom, è stato gentile con tutti, si è persino scusato per i fastidi provocati dalle riprese del film”. Fastidi pagati profumatamente, peraltro, dalla 20th Century Fox, che in tre giorni ha sborsato la bellezza di un milione e mezzo di euro. A Cadice cominciano a prenderci gusto. E’ il piccolo miracolo di questa Hollywood in terra andalusa, che in pochi anni è riuscita a consolidarsi come set privilegiato per le grandi produzioni cinematografiche americane. E non c’è niente di casuale. Da quando il comune ha deciso di creare il Cádiz film office, i risultati sono arrivati rapidamente. Prima Pierce Brosnan e Halle Berry, con “007, Die another day”, poi Viggo Mortensen ed Eduardo Noriega con “Alatriste”. E ancora, Adrien Brody e Penelope Cruz con “Manolete”, e il serial italiano “Meucci”, oltre a un’infinità di documentari, programmi televisivi, corti, reportage fotografici, e videoclip, compreso quello degli U2. Ma forse mai come in questi giorni l’attesa dei gaditani è stata così grande. Un po’ per la presenza di due stelle di prima grandezza come Tom Cruise e Cameron Diaz. Ma anche per gli altri, ingombranti protagonisti di una scena super spettacolare del film “Knight&Day”, diretto da James Mangold: dieci imponenti tori che per giorni hanno trasformato il centro storico in un fortino off limits. Sono loro la vera pietra dello scandalo. Settantadue ore prima dell’inizio delle riprese, sono persino sfuggiti al

T

Una scena di “Knight&day”, film in preparazione a Cadice in questi giorni (FOTO ANSA)

controllo e hanno attraversato all’impazzata le vie della città seminando il terrore tra la gente, inseguiti dalle auto della polizia municipale che è riuscita a fermarne la corsa in riva al mare. C’è persino chi ha pensato che fosse un’operazione pubblicitaria ideata per rendere ancor più spasmodica l’attesa. Certo è che, già sabato sera, spenti i riflettori sul set, le immagini della Calle Ancha di Cadice, lo splendido scenario allestito tra edifici del XVII e XVIII secolo, hanno fatto in un baleno il giro del mondo. L’inseguimento è quello caratteristico di un’inifinità di film d’azione americani, con Tom e Cameron su una Ducati rossa, il rombo assordante di due auto sportive che sgommano in una strada angusta di un vecchio centro storico, ma su uno sfondo questa volta inedito: quello

del celeberrimo “encierro de San Fermín” di Pamplona, la corsa dei tori tanto cara a Ernest Hemingway. Pamplona in Andalusia? Già, sono i miracoli del cinema. “La scelta è stata tutt’altro che casuale”, ci spiega José Luís Escolar, produttore esecutivo di “Calle Cruzada”, a cui la Fox si è affidata per le scene girate in territorio spagnolo. “Intanto, a prima vista, Cadice ha un aspetto molto più “tipically spanish” agli occhi dello spettatore americano rispetto a Pamplona. Che tra l’altro si trova al nord, ed è molto più piovosa e fredda. Dovendo ricostruire a fine novembre una festa che tradizionalmente si svolge in piena estate, qui avevamo garantiti tutti gli elementi: sole e tempo buono”. Ecco allora che dalla Navarra, patria dei “sanfermines”, sono

no di nuovo qui tra due settimane, ma questa volta per girare una scena d’interni in un edificio storico, prima di concludere in Giamaica un tour de force cominciato un mese fa a Boston e proseguito a Salisburgo. Una “commedia romantica d’azione”, come la definisce il produttore Escolar, con Cruise – nei panni di una spia – e Diaz in fuga da un capo all’altro del mondo. La trama completa è ancora top secret. Ma qui, in fondo, importa poco: quello che conta è che il prossimo 2 luglio, quando “Knight&Day” arriverà sul grande schermo, Cadice avrà guadagnato un altro pezzetto di notorietà negli Usa e nel mondo intero.

La 20th Century Fox, in tre giorni ha sborsato la bellezza di un milione e mezzo di euro. Nella nuova culla delle stelle, cominciano a prenderci gusto

arrivati a decine i “mozos”, quei ragazzi in completa tenuta bianca e fazzoletto rosso al collo sprezzanti del pericolo che hanno la passione di correre davanti ai tori selvaggi, e assieme a loro un gruppo selezionato di “pastores”, per tenere a bada le bestie e cercare di evitare incidenti. Silenzio (o quasi). Si gira. Quando si apre il recinto, in fondo alla strada, i tori cominciano la loro folle corsa con uno scalpiccìo da brivido sul selciato. Poche decine di metri più avanti, i “mozos” in fuga, carichi di adrenalina e voglia di avventura. Da un vicolo laterale, sbuca la moto rossa e, immediatamente dopo, le due auto lanciate all’inseguimento con il loro equipaggio di uomini armati. Dieci secondi al massimo, sino ad arrivare alla fine della strada. Ma ogni volta è

GRANDE FRATELLO, ASCOLTI DA STUPRO UNA (FINTA) AGGRESSIONE FA SALIRE LO SHARE DI UN’EDIZIONE UN PO’ SOTTOTONO di Marco Franchi

tupro o non stupro? Liti spontanee o copioni Slotano mal interpretati? “S’inventano le cose”, “pii dialoghi”, dicono. La gente, sui blog, ci crede. E insulta il Grande Bordello, titolo che Lui (il mitologico GF) si è guadagnato sul campo, mostrandoci cuori infranti per copione o per davvero, sempre comunque con un margine di ambiguità. Sceneggiate napoletane e sesso in ogni posizione, anfratto, sauna o piscina. Più la gente critica, più la faccenda diverte: perché lunedì scorso Lui ha portato a casa (con la c minuscola) il record stagionale di ascolti di Canale 5, con uno share del 28,43 per cento. Roba da gongolo d’oro, da tapiro a Raiuno, che ha fatto flop, da premio Oscar agli attori-inquilini. O quantomeno agli sceneggiatori (meglio: autori, come pudicamente vengono definiti nel gergo televisivo), da premio allocchi agli spettatori, con le loro reazioni meravigliosamente prevedibili: se c’è la lite, guardano la tv. Anche se è palesemente programmata. Se non dagli autori, dai “ragazzi” stessi, che ormai non sono più ingenui come dieci anni fa – quando Lui scese in terra e volò in the Sky sul satellite (oggi digitale terrestre) per cambiare per sempre la nostra tv – ma sanno bene cosa paga e cosa fare per non

cadere nel dimenticatoio prima ancora di essere “eliminati”. Allora parliamo della molto gridata lite tra Veronica e Mauro. MM, Mauro Marin, sedicente cantante degli ZZA, misteriosa band simpatizzante della razza ariana, afferra Veronica, 24enne pluritatuata dai lunghi capelli neri e le fa vedere le sue italiche mutande. A lei scappa da ridere ma con immane sforzo, e un impegno da premiare, reprime il ghigno e cerca di calarsi nel ruolo di vittima incapace di far fronte a una tale esibizione di testosterone veneto: “Non è bello per una donna”, piange nel confessionale. Ma senza lacrime, perché proprio non le vengono. Ma già, nel mondo al di qua dello schermo, quello che si definisce “reale”, si grida “allo scandalo”. E gli autori si domandano se espellere o meno il violento Mauro dal reality: pagherà più il caos – e l’ipocrita compiacimento nel “fare la cosa giusta”, come fu per i bestemmiatori delle passate edizioni – che provocherebbe l’eliminazione o la personalità

del concorrente che è tra le più forti? Cioè, serve più vivo o morto? Non ci dormono la notte. E non in senso figurato: c’è una registrazione che impazza su YouTube, nella quale Massimo e la solita Veronica si scambiano confidenze in un raro momento di spontaneità: “Lui comunque è un grande – dice Veronica riferendosi al Grande Fratello – pure tu (Massimo) gli piaci tanto. Ieri dice che ha apprezzato molto... mi ha detto di stare vicino alle persone”. La conversazione viene interrotta da un forte suono, come uno schiarimento di voce amplificato dai megafoni. “Mi sa che era per noi”, commenta Veronica, con l’aria di chi si è fatta beccare dai genitori a fare l’unico errore che la produzione proprio non tollera. “Li hanno proprio sgamati”, commentano su Internet. Eppure, per quanto spudorato, il GF piace come e più di quando diventò il casus belli per le dimissioni a Enrico Mentana. Altro che crisi, come si diceva nelle prime puntate: basta uno “stupro” per riprendersi

Sceneggiate napoletane e sesso in ogni posizione, anfratto, sauna o piscina. Più la gente critica, più la faccenda attira

dalla débâcle nella sifda con il campione del politicamente corretto, “Un medico in famiglia”. Rientrata nei ranghi la controprogrammazione Rai, e partita la strategia delle parole grosse, la bellissima Alessia Marcuzzi ha di che gioire, e con lei Fidel Confalonieri, e con loro quelli a cui non dispiace distrarre milioni di persone, dato che da sempre la tv pop aiuta a governare. In principio fu Pietro Taricone, l’unico che è riuscito, insieme con Luca Argentero, a trasformare i suoi quindici minuti di celebrità in un decennio di – tu chiamali se vuoi – successi. Poi, dalla seconda edizione in avanti, è sempre più difficile ricordarsi chi c’era: il gay, il quasi gay, la coppia, il cieco, il rom, la lesbica, il palestrato (uno per ogni edizione)... E se li contatti, gli ex gieffini maledicono il giorno in cui hanno fatto il provino: chi ha mollato la fidanzata pensando di poter aver ogni donna, ma ora che nessuno gli domanda più l’autografo, vuole riprendere la ex e non ci riesce; chi ha lasciato il lavoro contando sul fatto che i riflettori, accecanti appena uscito dalla “Caaaaaaaaasa” ( come si chiamava quando c’era Daria Bignardi ed era una cosa radical chic) sarebbero rimasti accesi un po’ più a lungo; chi ha cominciato a drogarsi; chi è caduto in depressione. Ancora manca, come è accaduto in Inghilterra, l’ex concorrente suicida.


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SECONDO TEMPO

+

TELE COMANDO TG PAPI

Un cane da riporto (chiamato Tg1) di Paolo

Ojetti

g1 T Nessun progresso, nessun passo avanti. Il Tg1 di ieri era come un cane da riporto. Si ricominciava da capo, dal “fuori onda” di Fini, al suo intervento a Ballarò che non smentiva né parole (impossibile) né intenzioni. E di nuovo il trionfo delle banalità, le “tensioni” nel Pdl, la “amarezza” di Bondi e uno Scajola in avanscoperta: “Fini è fuori dalla linea del Pdl”. Quale sia la linea, è ovvio: Berlusconi non si tocca e se si crede l’imperatore di Bisanzio va bene lo stesso. A dirla tutta, il Tg1 mostrava ancora una volta la sua povertà, notizie asmatiche, nessuna iniziativa giornalistica, il tran tran di sempre. Avremmo voluto una caccia spietata a Fini, con giornalisti in agguato: presidente cosa ha intenzione di fare? Si dimetterà? Andrà a parlare con Ca-

sini e Bersani in cerca di fortuna? Oppure, spedire la spietata Sonia Sarno sotto Palazzo Chigi all’inseguimento di Berlusconi: Signor Premier, caccerà via Fini? Lo querelerà? Gli manderà Capezzone in piena notte? Sogni, solo sogni. Eppure Minzolini si nascondeva nei gabinetti a rubare notizie. Bei tempi. g2 T Se è vero che l’età media degli italiani si è innalzata, questo esercito di pantere grigie deve aver pensato che il mondo si è davvero capovolto ascoltando il discorso di Fini, che celebrava con toni altissimi la figura di Nilde Jotti a dieci anni dalla morte. Il Tg2 lo ha messo in apertura per rafforzare la notizia iniziale: Fini (ormai il compagno Fini) non si piega, non si spezza e non ha “nulla da chiarire”, la terza carica dello Stato è sopra le parti, ma non

necessariamente senza attributi e spina dorsale. Al seguito di Berlusconi, Ida Colucci ha immediatamente proposto il premier ridens: “Sto facendo le valige per trasferirmi a Panama, sentirò la mancanza dei giornali, di Repubblica, dell’Unità, di Anno Zero e dei piemme”. Ida Colucci ha assicurato che il “premier ha scelto la strada dell’ironia”. Uno spasso. g3 T L’inizio del Tg3 è come un film dal montaggio rapido, fotogramma dietro fotogramma, così veloce da far girare la testa: aumenta la distanza fra Berlusconi e Fini, ormai sono avversari, nessuno fa un passo indietro, Berlusconi aspetta che Fini riconosca la sua leadership ma quello non ci pensa proprio, Bossi attacca “quell’ex-fascista” e intanto sostiene che, se volesse, manderebbe anche Berlusconi a casa, Bersani vede una “confusione micidiale”. Non è una giornata normale, è piuttosto una “vigilia”, ma di cosa? Fatte le debite proporzioni e riconosciute le distanze politiche e temporali, giornate come quella di ieri annunciavano le famose crisi di governo della prima Repubblica. Il giorno dopo, qualcuno saliva sempre al Quirinale.

di Nanni

Delbecchi

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Fiction strappacuore

fiction batte dove il dente duole. Silvio LdellaaBerlusconi vorrebbe strozzare gli autori “Piovra”, ma in compenso Canale 5 produce “L’onore e il rispetto”, dove Cosa Nostra sprizza glamour da ogni lupara e la nuova generazione di mafiosi ha il volto di Gabriel Garko, il killer-tronista che, oltre che di poliziotti, fa strage di cuori. Dal canto suo, Sky Cinema rende omaggio a Moana Pozzi trasformandola in un’eroina ribelle e anticonformista, per la serie più del 68 poté il 69; e già che c’è rende omaggio (inconscio?) anche a quel cinema hard cui deve tanta parte del suo fatturato. E Raiuno? Su Raiuno è appena tornata la seconda serie di “Medicina generale” (martedì sera), fiction a prima vista non facilmente distinguibile dalle infinite altre in camice; e invece dall’identità ben precisa, perché confezionata secondo la ricetta tradizionale del mulino bianco. Ricetta che prevede un 25 per cento di “Cesaroni” con incorporato accento trasteverino, un 25 per cento di “E.R.” alla vaccinara, con casi urgenti a raffica, lettighe a reazione e fretMedicina generale, tolose corna in corla fiction sia. Ma soprattutto, in onda su Raiuno prevede un 50 per cento di libro “Cuore”, il vero sottotesto di riferimento di Raiuno. Il reparto di “Medicina generale” è in realtà una grande famiglia allargata (proprio come i Cesaroni), dove magari non tutto funziona a meraviglia; ma dove

il personale, dal direttore dalla penna rossa (Roberto Citran) al caposala-Garrone (Antonello Fassari), è fatto di pezzi di pane; e dove i tagli della Finanziaria si rammendano con trasfusioni massicce di umanità. Può essere che non si rispettino gli orari, che si prolunghino le degenze e perfino che si falsifichino le cartelle cliniche, esponendosi al rischio di ispezioni ministeriali. Però bisogna chiarire che il traffico di plasma infetto, gli appalti truccati, le mazzette e tutte quelle quisquilie che le cronache dei giornali ci raccontano non c’entrano. Anzi, non risultano proprio; qui nessuno vuol fare cattiva pubblicità alla sanità di casa nostra; qui nessuno rischia di essere non dico strozzato, ma nemmeno un pizzicotto. Qui, nella fiction del mulino e del camice bianco, il solo movente di ogni magagna sta nella voglia di aiutare gli anziani, i bambini, i derelitti. Una delle tante avvenenti dottoresse (Lidia Vitale) viene scippata del portafogli mentre va al lavoro; ma nella fuga il ladro-ragazzino è investito e ricoverato d’urgenza. Quando la dottoressa lo ritroverà esanime sul letto, invece di denunciarlo lo perdonerà. Ancor più strappacuore, distillato deamicisiano degno del Tamburino sardo e della Piccola vedetta lombarda, il ricovero del disoccupato che per non sfigurare agli occhi della figlioletta dodicenne si finge mago, mentre la bambina si sdebita con le infermiere pietose facendo loro i tarocchi. Tarocchi umili, fatti tra una flebo e un pappagallo, ma che predicono il vero. Non ce ne stupiamo. Con rivali come “L’onore e il rispetto” o “Moana” la concorrenza è agguerrita; eppure, quanto a tarocchi, questa “Medicina generale” è veramente insuperabile.


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SECONDO TEMPO

MONDO

WEB

News per 350 milioni di iscritti ark Zuckerberg è solo un ragazzo (ha 25 anni), ma se decide di scrivere una lettera aperta, si rivolge a una platea sterminata: centinaia di milioni di persone. Zuckerberg infatti è il fondatore di Facebook, il social network più diffuso nel mondo occidentale – anche in Italia ha 12 milioni di iscritti. Questa volta il ragazzo-Facebook ha preso carta e penna per annunciare novità rilevanti sulla gestione della privacy (ognuno a breve dovrà settare le proprie impostazioni): la sua lettera campeggia su tutte le bacheche degli iscritti. “La prima versione di Facebook, lanciata cinque anni fa – scrive Zuckerberg – conteneva già strumenti per controllare che cosa condividere e con chi”. Eppure Facebook era nato come il “libro delle facce” elettroniche degli atenei americani e perciò “era ragionevole che ogni studente volesse condividere contenuti con i propri compagni”. Adesso la situazione è cambiata: Fb è diffuso in tutto il mondo in oltre 50 lingue (latino compreso). Perciò: “Con reti così vaste siamo giunti alla conclusione che il modello

M

attuale non sia più il modo migliore per consentire agli utenti di controllare la privacy”. Da qui le novità. Non ci saranno più delle “reti geografiche” in base alle quali sono previste delle impostazioni della privacy (anche se ognuno già può personalizzarle) ma “un modello semplificato dove ciascuno potrà decidere a chi rendere disponibili i contenuti”. Ciò vuol dire che nei prossimi giorni comparirà un messaggio sulla bacheca che spiegherà i cambiamenti e ognuno dovrà esaminare e aggiornare le proprie impostazioni. Questo per rafforzare la privacy e responsabilizzare gli utenti. “Grazie per aver contribuito a fare di Facebook quello che è diventato e per aiutarci a rendere il mondo più aperto e connesso” il saluto dell’illuminato e giovanissimo re di Facebook agli abitanti delle terre virtuali.

è BIMBO INVESTITO DA UNA MOTO UN BLOG PER TROVARE IL MOTOCICLISTA PIRATA

Matias è un bimbo di 11 anni, di Napoli, ora ricoverato all’ospedale pediatrico Santobono in coma farmacologico. Il bimbo è stato investito lunedì da una moto pirata mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali, mano nella mano con la di Federico Mello mamma. La polizia municipale sta indagando per individuare il responsabile che dopo l’incidente si è dato alla fuga. Per aiutare le forze dell’ordine, è nato un blog, giustiziapermatias.blogspot.com nel quale è BANDA LARDA: SI MUOVE raccogliere informazioni e “divulgare la IL PARLAMENTO notizia per riuscire a trovare il colpevole RISOLUZIONE BIPARTISAN ALLA CAMERA di un atto così vile”. Matias, per fortuna, E’ stata approvata alla commissione non è in pericolo di vita. Trasporti e Telecomunicazioni della Camera una risoluzione sottoscritta da tutti i gruppi parlamentari. Si chiede al governo di sbloccare gli 800 milioni di euro per la banda larga che erano già stati stanziati ma in seguito congelati perché, dichiarò Gianni Letta, con la crisi “sono cambiate le priorità”.

feedbac$ k è ANTEFATTO SU FACEBOOK Commenti allo status: “Il No B. day del 5 dicembre si farà a San Giovanni, la piazza più grande di Roma. Buon segno. Bersani ci sarà?@antefatto -ilfatto Ci saremo noi! (Giulia C.) Veltroni partecipa alla manifestazione contro il principale esponente dello schieramento avversario? (Mariella S.) Italiani sveglia! (Alessio P.) Scusate, ma è contro Berlusconi, mi pare. Non trasformiamolo già in qualcos’altro (Pino M.) Benissimo ci vengo a piedi da casa!!! (Ettore D.) Fini sarà peggio di Berlusconi, non fidatevi troppo di lui (Nicola N.)

Mark Zuckerberg, Murdoch e Google, il blog per ritrovare il pirata della strada, una vignetta (dal Web) sulla censura cinese.

DAGOSPIA

TERMINI LABORATORIO?

Faceva una certa impressione l’immagine di Sergio Marpionne mentre stringeva la mano al sorridente ministro Sciaboletta Scajola. Da parte sua Scajola ha chiesto un aumento della produzione in Italia e ha lasciato la porta aperta sugli incentivi per l’acquisto di vetture ecologiche. Marpionne, invece, ha fatto la parte dell’uomo caduto dal pero che non sa quale sarà il destino di Termini Imerese, ma vuole giocarsi la carta siciliana per portare a casa il massimo risultato. Di sicuro a Torino nei cassetti hanno già pronto il progetto industriale per Termini Imerese. Questo progetto parte dalla considerazione che molti dei 1.400 operai avranno maturato nel 2011 i requisiti per il prepensionamento . A questo punto Dagospia può rivelare che nei cassetti del Lingotto c’è il progetto di trasformare Termini Imerese in una sorta di “laboratorio del sud” dove si sperimenteranno applicazioni innovative per l’auto elettrica. Questa idea è già stata anticipata alla regione Sicilia e al presidente Lombardo che sarà chiamato a mettere sul tavolo gran parte dei quattrini. Una volta ridimensionato drasticamente il numero degli operai, la bandierina di Termini Imerese continuerà a sventolare, ma prima il governo di papi Silvio e Sciaboletta Scajola dovranno dare garanzie sugli incentivi. La sceneggiata di è GOOGLE NEWS A PAGAMENTO ieri con stretta di ACCONTENTATO MURDOCH. FUNZIONERÀ? mano finale non è lo Nella guerra delle News a pagamento su specchio della verità, Internet gli schieramenti sono ben ma soltanto l’antipasto delineati. Da una parte c’è Google News è PARLA DI TWITTER di una trattativa dalla che aggrega, per argomenti, i link alle AGLI STUDENTI: ARRESTATO quale la Sacra Famiglia notizie pubblicate sui giornali online. UN AVVOCATO CINESE degli Agnelli uscirà Dall’altra c’è Ruperth Murdoch, capofila Tang Jingling , un avvocato cinese, è felice e contenta. degli editori che pretendono che le finito in carcere per avere parlato notizie online vengano pagate dai lettori. di Twitter e di censura online ad Per uscire dall’empasse, Google ha alcuni studenti. Poi è stato sviluppato adesso un nuovo software che scarcerato proprio grazie a un’ondata di proteste permetterà agli editori di obbligare gli partite proprio da Twitter. A raccontare l’accaduto internauti a identificarsi e a pagare una all’emittente internazionale Radio Free Asia, è stato lo “tassa di accesso” se leggeranno sul stesso avvocato, che ha dichiarato: “Mentre ero in portale del motore di ricerca più di 5 classe un agente della sicurezza che sedeva al mio news. L’opzione di scelta su quanti e quali fianco ha chiamato la polizia”. Questa, aggiunge “è la articoli leggere, spetterà ai singoli editori. più grande presa in giro della libertà accademica”. Sembrerebbe una vittoria di Murdoch. L’avvocato era stato invitato alla Facoltà di Tecnologia Ma in realtà, gli editori potevano già di Guangzhou proprio per parlare di Internet e delle personalizzare la tipologia di sue funzioni. “Twitter – dice – è uno strumento per pubblicazione dei loro articoli su Google preparare .gli studenti alla società del domani”. News. Per ora è Google che si è inventato un ottimo stratagemma. E Murdoch avrà la prova del nove: i lettori sono disposti a pagare? Si scoprirà presto.

Contro B. e contro tutti quelli che con il loro atteggiamento avallano le “voglie” del padrone... (Gianpaolo P.) Ragazzi prima buttiamo fuori Berlusconi... e dopo vedremo cosa succederà... (Giovanna R.) Per ora pensiamo a buttare fuori il Berlusca... (Gianfranco L.) Purtroppo non posso andare a Roma ma parteciperò sicuramente alla manifestazione organizzata a Trieste (Daniela F.) Forse non l’avete ancora capito o chi organizza fa finta di niente... bisogna riempire tutte le piazze della NOSTRA ITALIA!!! (Alessandro M.) W l’Italia e viva gli italiani che lottano per la giustizia. Tutti insieme in piazza il 5 dicembre (Davide M.) Se mister B. cadrà, il suo successore sarà, purtroppo, Fini. Non ne sarei contento è ovvio, ma credetemi... mi riesce davvero difficile pensare che possa essere peggio di quello che c’è oggi... (Bruno N.) Occorre che il Pd e il suo segretario rilascino dichiarazioni che non siano contorte ma chiare: basta a tutte queste negazioni nelle frasi! Cosa vuol dire “non impedirà ai militanti di non partecipare”? Maggiore chiarezza e non dichiarazioni strampalate per non esporsi! (Alessandro)


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SECONDO TEMPO

nordisti

PIAZZA GRANDE

É

DI TASCA LORO L

Sviluppo, fermi ai preliminari di Pierfranco Pellizzetti

el corso dell’ultimo “Annozero”, Pier Luigi Bersani si esibiva nell’abituale “numero” del politico di sinistra propugnatore delle ragioni confindustriali reclamando dal governo risorse da immettere nel sistema produttivo. E il suo contraddittore Giulio Tremonti gli replicava immediatamente: “Sì, ma dove?”. Si resta tuttora in attesa della risposta. Uno spettacolo scoraggiante. Non solo perché si è consentito a un fumista della finanza creativa – quale il commercialista di Sondrio, oggi ministro – di apparire la quintessenza della concretezza e del pragmatismo. Soprattutto in quanto forniva ennesima conferma della cronica incapacità dell’intero ceto politico di andare oltre la “cultura dei preliminari” nel campo delle prospettive nazionali di sviluppo; di fornire qualcosa che assomigli vagamente a una scelta di indirizzo. Il problema è questo: i paradigmi economici novecenteschi dell’Italia sono evaporati o in rapido esaurimento. Pensiamo – in prima battuta – alla grande industria partecipata dallo Stato, che certamente qualche merito lo ha conseguito, almeno nella ricostruzione industriale e nella riqualificazione del tessuto produttivo; poi, al modello distrettuale, che negli anni Ottanta sembrava il sentiero per uscire dalla “afflizione fordista” grazie alla flessibilità competitiva dei cluster di piccola impresa. Il tema odierno è quello di come entrare nel XXI secolo individuando una prospettiva di specializzazione per il sistema-paese, coerente con i saperi e il saper fare interiorizzati nel mondo del lavoro; ma anche in grado di cogliere le opportunità che maturano nelle trasformazioni in atto, nelle mutazioni del capitalismo. Insomma, operare scelte, come altri già fecero da quel dì. Tanto per dire, la Francia ha puntato ormai decenni fa sull’infrastrutturazione della mobilità. Dal tempo in cui realizzava – con il Caravelle (anni Sessanta) – il primo aereo a reazione a corto raggio, inventava a Lille il prototipo di metropolitana totalmente automatizzata, progettava l’Alta velocità con il Tgv (risale al 1981 la prima tratta, Lione-Parigi). Una strategia, da qualcuno definita “bonapartista”, che ha generato primazia. È forse un caso se il piano trasportistico europeo si irradia da un epicentro situato nella capitale d’Oltralpe? Sempre per dire, la Germania si concentra nelle produzioni ad alto valore aggiunto che consentono di supportare un generoso sistema di welfare e le alte retribuzioni delle proprie maestranze specializzate. Dunque, scelte. E cose, da produrre e con cui competere sui mercati. Un tempo lo sapevamo fare anche noi italiani, visto che il miracolo economico si chiama anche Seicento Fiat, Moplen Montedison, Divisumma Olivetti, Vespa Piaggio… Una specificità nazionale che diventava modello competitivo. Lo facevamo anche grazie a politiche che – tutto sommato – facevano la loro parte, accompagnavano. Perché il progresso attraverso lo sviluppo era considerato que-

N

I paradigmi economici novecenteschi dell’Italia sono evaporati o in rapido esaurimento Ci vorrebbe un indirizzo chiaroMa la sinistra non sembra avere idee in proposito stione nazionale. Certo, gli imprenditori privati del tempo esprimevano ben altra vis propulsiva. Ma il management pubblico – sempre guidato dalla politica, ma prima di essere sommerso dal clientelarismo – dava contributi importanti. Vedi la grande rete autostradale (con tutti i limiti di un programma che – guarda caso, siamo nel paese della Fiat – privilegiava il trasporto privato su gomma, a scapito di quello pubblico su rotaia) e il ruolo dell’industria partecipata in settori di base come la siderurgia, nella cantieristica e nell’engineering (si pensi a quel gioiello dell’Italimpianti, che realizzava grandi opere in giro per il mondo; poi svenduta “per tre cocomeri e un peperone”). Oggi invece si balbetta, oppure ci si aggrappa a buoni propositi generici. Hi-Tech? Andrebbe deciso in che ambito. Visto che un paese a risorse limitate come l’Italia non può operare a 360°. Valga per tutti il caso della Finlandia; di certo eccellente

nell’alta tecnologia, ma con una precisa specializzazione: il wireless, non altro. Vogliamo scegliere il turismo culturale? Basterebbe promuovere l’esistente contrastando il degrado (Bondi permettendo). Riteniamo che per un paese con 8 mila chilometri di costa e 140 porti la prospettiva sia diventare la grande piattaforma logistica del sud Europa? Anche in questo caso occorrerebbe finalizzare risorse a tale opzione (con un problemino supplementare: gli spagnoli ci hanno anticipato da almeno trent’anni). È davvero singolare che una sinistra, la cui missione potrebbe riassumersi nella formula “democrazia e lavoro”, sia così disattenta a tali questioni. Senza dubbio la programmazione strategica dello sviluppo (sia chiaro, non le screditate pianificazioni) in Europa è materia bipartisan: se il piano di Barcellona fu promosso dal sindaco socialista Pasqual Maragall, quello di Lione porta il nome di un antico conservatore quale l’ex primo ministro giscardiano Raymond Barre. Oltre confine le cose sono un po’ diverse; soprattutto in mate-

ria di destre, presentabili o meno. Qui da noi, uscire dalla cultura dei preliminari in politica economica sarebbe un punto qualificante per una sinistra in cerca di identità. E non consentirebbe a Tremonti di fare belle figure immeritate.

IL FATTO di ENZO

di Gianni Barbacetto

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Ci sono, nella storia, dei numeri fatali: dai trecento intrepidi che videro la spigolatrice di Sapri (erano “giovani e forti e sono mor ti”), ai mille volontari di Garibaldi, ai trecentomila comandati che Hitler mandò a morire a Stalingrado. Adesso c’è una cifra che domina la cronaca: settecentomila. Sono i fascicoli abbandonati nei sotterranei del Tribunale di Roma: il che vuol dire che altrettanti cittadini hanno atteso invano l’intervento della giustizia. Strettamente personale, 13 gennaio 2000

Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani (FOTO ANSA)

a magistratura contabile ha già deciso: il sindaco di Milano Letizia Moratti e i suoi collaboratori dovranno pagare di tasca loro 263 mila euro per la vicenda delle “consulenze d’oro”. Per aver cioè arruolato una corte dei miracoli di dirigenti “fidati”, ma spesso senza titoli né esperienza, assunti in comune dopo aver cacciato i funzionari che da anni lavoravano per la città. Le nomine erano illegittime, secondo la Corte dei conti, e hanno provocato un “danno erariale per colpa grave”. Il giudice per le indagini preliminari, invece, sta valutando se il ruvido spoil system morattiano configuri anche reati penali o sia soltanto malcostume politico. Ma comunque vada, dentro questa brutta storia c’è una storia ancora più brutta. È l’assunzione di Carmela Madaffari. Chi è? È una signora calabrese che non ha mai vissuto a Milano ma che è stata appositamente chiamata qui come responsabile della Direzione famiglia, scuola e politiche sociali del comune. Retribuzione annua 217.130 euro. La sua storia è stranota, almeno tra gli addetti ai lavori e tra il pubblico più informato. L’hanno raccontata per primi due giornalisti, Ferruccio Sansa e Giuseppe Offeddu, nel loro libro “Milano da morire”, edito da Bur Rizzoli. Hanno fatto scoppiare un piccolo scandalo, molti si sono indignati, poi tutto è tornato come prima. E allora raccontiamola di nuovo, la storia della signora Madaffari. Andrebbe ripetuta ogni giorno, fino a smuovere le acque stagnanti dell’indifferenza. Il suo curriculum è, a prima vista, di quelli da esibire: la signora è stata direttore generale di Asl, le aziende sanitarie locali, prima a Crotone, poi a Locri, infine a Lamezia Terme. Peccato che le sue esperienze di lavoro si siano concluse quasi sempre in modo burrascoso. È stata cacciata due volte dai suoi incarichi per presunte irregolarità contabili e cattiva gestione. La prima, a Locri, perché aveva chiuso il bilancio 1998 della Asl con perdite per 22 miliardi e mezzo di lire, più un “fuori bilancio” di altri 31 miliardi. E aveva fatto schizzare la spesa farmaceutica a ben 12,3 miliardi di lire. Nel 2005, viene cacciata anche dalla Asl di Lamezia Terme. Per “gravi inadempienze” e cattiva gestione, poiché aveva truccato i conti relativi al 2004. Tra l’altro, dai bilanci “risultano in servizio quattro primari, senza che vi siano le relative unità operative”: insomma, c’erano i primari, ma non i reparti. E i ricoveri ospedalieri erano stati gonfiati fino a superare, e di molto, la media regionale. Non basta. Carmela Madaffari è anche oggetto di una pesantissima interrogazione presentata alla regione Calabria da Francesco Fortugno, il medico e politico calabrese poi ucciso dalla ’Ndrangheta nel 2005, che prima di morire aveva denunciato gli sprechi e le infiltrazioni mafiose della Asl di Locri. Fortugno cita Carmela Madaffari come uno dei “quattro cosiddetti manager” dell’Asl che hanno spinto il progetto, “illegittimo e inutile”, di un doppione del pronto soccorso: per dare un posto da primario (ancora!) a un potente medico locale con potentissimi sponsor alle spalle. Cacciata dalle Asl calabresi, nel 2006 viene candidata al Senato dall’Udc. Non viene eletta. Niente male: Letizia Moratti, il sindaco che si vanta di essere prima di tutto un manager, la recupera, la chiama a Milano. Sono passati più di due anni, più volte il sindaco è stato chiamato a spiegare la sua scelta. Non l’ha mai fatto. Perché continua a non rispondere?

I potenti con la sindrome di Achille di Mauro

Cosmai

e nel subcontinente asiatico gli “intoccabili” sono la casta al livello più basso dell’ordine (si fa per dire) sociale, nel Belpaese avviene esattamente il contrario e gli “intoccabili” sono (o dovrebbero essere) i detentori del potere, quello vero, che permette di poter fare infinitamente di più, anche ai margini o fuori della legalità, rispetto al solito uomo della strada, e senza temere di essere colpiti e/o perseguitati. Naturalmente (e per fortuna) non è sempre così, e qualche pennone ogni tanto spunta dalle nebbie, anche se le finalità di ogni alzata di bandiera sono per lo più legate alla Il politico staccato battaglia politica piuttosto che alla dalla quotidianità giustizia giusta. Ma comunque più sofferta, isolato resta qualcosa. La visione oggettiva della nella campana realtà, però, come di vetro delle auto d’altra parte in tutte le nevrosi, può blu si sente spesso sbiadirsi e deformarsi sino a portare inattaccabile il politico di turno a sentirsi praticae così rimuove mente invulnerabile. E’ la sindrome di l’insignificante Achille, che colpidettaglio sce anche grandi banchieri, indudel tallone striali, personaggi

S

pubblici e istituzionali, ma a pari merito anche i politici di professione. Achille, eroe omerico per eccellenza, era invulnerabile in quanto la leggenda narra che era stato immerso a tale scopo dalla madre nel fiume Stige, a eccezione del tallone, e da qui la ben nota locuzione “tallone d’Achille” che individua il punto debole di ogni persona, che non di rado più che un bipede si dimostra quasi un millepiedi. Il politico che vive nelle famose stanze dei bottoni, staccato dalla quotidianità più sofferta, isolato nella campana di vetro delle auto blu che sfrecciano arroganti nel traffico cittadino attestando privilegi dal sapore medievale ormai unici nel consesso dei paesi cosiddetti civili, può soffrire spesso e volentieri della “sindrome di Achille”, sentendosi spesso inattaccabile e rimuovendo così l’insignificante dettaglio del tallone. Gli esempi naturalmente non mancano. ultimi tempi un uomo politico di primo Ndi unegli piano viene “sorpreso” nell’appartamento transgender dove sono equamente distribuiti squallore e cocaina, ma al di là delle eventuali discrepanze tra ruolo sociale e orientamento sessuale, sui quali è stato già scritto sin troppo e molto spesso con superficialità e imprecisione, ad alcuni non è sfuggito un aspetto non meno importante della questione, cioè il fatto che da tempo, e senza nessuna preoccupazione legata alla riservatezza, il noto politico, senza essere paladino dichiarato della più aperta e libera sessualità, frequentava vie e appartamenti di questo piccolo mondo moderno senza ricercare in alcun modo l’anonimato, utilizzando anche automobili con targhe ben leg-

gibili, e riuscendo così a diventare una figura familiare nel piccolo universo abitualmente frequentato. La sindrome di Achille permea e condiziona l’esistenza privata e politica del noto personaggio, che infatti non esita a proclamare sino al giorno prima la totale inconsistenza dei fatti, sicuro che l’invulnerabilità derivante dal potere acquisito avrebbe alzato potenti schermi protettivi come nelle astronavi dei film di fantascienza. Ma ogni artificio di stile nevrotico (inteso in senso tecnico e non dispregiativo), pur considerato dal suo portatore la migliore soluzione possibile per l’affrontamento dei problemi, si rivela, proprio in quanto tale, un falso amico, destinato prima o poi a tradire. Solo così si può interpretare un comportamento che ai più appare per tanti versi inspiegabile, totalmente privo di quegli accorgimenti e di quella proverbiale prudenza che connotano i politici più navigati e inossidabili che comunque si spostano con l’auto blu cucita addosso, vetri oscurati e corsie preferenziali a tutti i costi, ignorando o addirittura non vedendo le espressioni infastidite o adirate dell’onnipresente (e a sua volta fastidioso) uomo della strada. Si possono anche ipotizzare, e senza essere accusati di eccessivo teoricismo, delle finalità inconsce di autopunizione, di espiazione, legate all’ambivalenza delle scelte che spinge a osare sempre di più, sino all’ostentazione più inutile o all’indifferenza più pericolosa. Per questo sarebbe molto opportuno in questi casi consigliare non il solito eremo silvestre e defilato ma un buon analista, ovviamente capace e riservato, e non certo per l’orientamento sessuale ma per il pervicace processo di autodistruzione.


Giovedì 3 dicembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL Propongo a Brunetta l’obbligo di ridere

Furio Colombo

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Il ministro Brunetta domenica ha annunciato la sua prossima battaglia contro i fannulloni: l’obbligo di gentilezza e cortesia dei dipendenti pubblici. I dipendenti pubblici praticamente dovranno obbligatoriamente sorridere. Io avrei una controproposta: l’introduzione dell’obbligo di scoppiare a ridere ogni qualvolta il ministro Brunetta ne spari una delle sue. Obbligo evidentemente inutile visto che è naturale scoppiare in una grassa risata dopo certe esternazioni.

BOX A DOMANDA RISPONDO IL GIOCO DI BERLUSCONI

aro Furio Colombo, ma qual è “il gioco di Berlusconi”? Perché ogni volta che qualcuno si muove (per esempio il vostro giornale, per andare tutti in piazza il 5 dicembre) subito i dirigenti del Pd ammoniscono “ma così fate il gioco di Berlusconi”? Esiste una spiegazione ragionevole? Alessandro

C

Giorgio

HO PAURA che una spiegazione

Silvio Berlusconi nei libri di storia

ragionevole non ci sia, perché il solo vero “gioco di Berlusconi” è di non essere disturbato mentre regna sul suo gigantesco conflitto di interessi. Infatti quando lo si disturba davvero o con argomenti fondati o con storie vere, s’infuria in un modo che è raro per uomini della sua posizione. Lancia contro accuse a volte infantili, quasi sempre fuori contesto (i giudici comunisti, i comunisti che portano lutto e miseria, il suo merito storico di aver liberato l’Italia dai comunisti). E mette subito in atto tentativi di vendetta. All’inizio di questi quindici anni i suoi modi di vendicarsi erano semplici e relativamente tradizionali se si trascura che, da editore, usava i mezzi di comunicazione che possedeva o che controllava. Per esempio Il Foglio o Panorama, il Tg1 o Emilio Fede. Faceva fare un titolo cattivo, tipo il proiettile sulla copertina di Panorama e l’editoriale di Rossella che accusava Padellaro e me di usare contro Berlusconi parole pericolose come pallottole. Oppure, l’accusa di “testata omicida” all’Unità (allora da noi diretto) esattamente un anno primo dell’assassinio di

Ho 19 anni e frequento il primo anno del corso di Scienze storiche e politiche a Catania. Studio le realtà storico-politiche passate per capire quelle presenti e interpretare, nella misura in cui è possibile, quelle probabili future. Respiro Berlusconi ad ogni pagina del saggio. Nell’analisi del Principe simulatore e dissimulatore secondo Machiavelli; in alcune delle caratteristiche della sovranità assoluta secondo Hobbes, in quella secondo Bodin. Tutti assunti del pensiero di teorici politici che, per strade diverse, servono una sola causa: quella dell’assolutismo monarchico. Ho analizzato il lodo Alfano: non fu forse un becero tentativo di vincolare Berlusconi a una legge per svincolarlo dalle altre come farebbe un sovrano assoluto cioè “sciolto”

LA VIGNETTA

Marco Biagi (amichevolmente detto “rompiballe” da Scajola). Ma poco dopo l’assassinio di Massimo D’Antona, definito da Berlusconi “conti interni alla sinistra”, segue “il gioco” delle maxi querelle con pesanti richieste di danni. Non vi sembra una vaga indicazione che il tener duro con accuse fondate, motivate, documentate sia un disturbo non da poco per il Capo? Notare, tra l’altro, che non ha mai vinto né querelle né cause civili su fatti (lui dice “calunnie”) che lo riguardano. Poi viene la fase delle commissioni parlamentari di inchiesta: sulle presunte tangenti Telekom Serbia, per provare che sono (che siamo) tutti ladri. E su Prodi uomo del Kgb, per dimostrare che siamo tutti comunisti. Di nuovo i risultati sono scarsi (benché con qualche tragica conseguenza, come l’assassinio dell’ex Kgb Litvinenko). E allora l’uomo, sempre più insofferente del “gioco” che, secondo una parte della nostra opposizione avrebbe dovuto piacergli, Berlusconi inaugura l’era Boffo. Dimostra come si liquida un direttore di giornale, anche se del Vaticano, quando parla male di lui. Segue un tentativo contro Fini, uno contro Augias, uno, il più recente, contro la Mussolini per ricordare ad An chi è il capo. Tenere viva l’immagine della vita e delle avventure di Berlusconi non è “fare il suo gioco”. Gli piace così poco che quando può si vendica. Adesso, per esempio, torna dalla Bielorussia con un faldone. (Continua). Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

questo premier e della sua corte è inutile. Ma soffrire per il timore di un quotidiano cedimento, puntualmente verificabile, del Partito democratico alle implacabili arroganze del berlusconismo, un Pd che si scolla sempre più dal proprio elettorato è veramente penoso e doloroso. In più c’è l’avvilente impressione che a contrastare il sopruso si esibisca solo il ridicolo balbettio dell’indecisione, dell’incertezza della Casta. L’ha dimostrato con una sconfortante, inequivocabile intervista al Corriere della Sera Enrico Letta. Insomma, nel confronto fra farabutti e bischeri non rimane che la disperazione. Davide Perperti

Quando la politica volava alto dall’autorità delle leggi? Mi chiedo: in virtù di quali meriti celebrano quest’uomo quale campione di libertà ed eguaglianza, tanto da inserire la parola libertà nel nome del suo partito? Gianluca Gurrieri

Chi si ispira a Kennedy e chi elogia Lukashenko Molto spesso i leader del mondo di oggi si ispirano a leader del passato come Kennedy, Thatcher, Reagan, De Gasperi ecc. Il fatto

che il nostro premier è solito elogiare dittatori come Gheddafi e Lukashenko mi fa pensare che il suo obiettivo dichiarato sia quello di riuscire a trasformare l’Italia almeno in una dittatura di fatto, come è riuscito a fare Putin in Russia. Gino

Il Pd sempre più lontano da noi elettori Dannarsi ogni giorno e sempre più l’anima per la scelleratezza di

a destra sia a sinistra. Anna Calderini

Diritto di Replica L’odore dei soldi ed Elio Veltri Il libro "L'odore dei soldi" è stato rieditato dopo l'accordo intervenuto con Elio Veltri, che prevedeva il diritto di integrare e di aggiornare il testo a cura dell'altro autore, Marco Travaglio. Elio Veltri è stato invitato alla presentazione e non aveva mai dato notizia di non voler partecipare. Non capiamo perchè assuma questo atteggiamento, scrivendo cose palesemente non vere. Leggo che Veltri ha recentemente presentato un suo libro sulla mafia, per un altro editore, insieme ad Angelino Alfano. O tempora, o mores.

Non appena ho sentito il commento di Maroni sul no ai minareti in Svizzera, ho ricordato che in gioventù ho a lungo militato in un partito di sinistra i cui dirigenti si impegnavano a sollecitare tutti verso l’alto compito della politica, che non doveva essere un mezzo (o peggio un fine) per interessi personali, né uno strumento per dar voce al populismo più bieco, ma la possibilità di prospettare una nuova strada, un nuovo modo per leggere, interpretare e ricostruire la società. Come sono cambiate le cose, sia

Alessio Aringoli direttore editoriale di Editori Riuniti

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Le ribelli di Scampia Sul numero del 26 novembre del Fatto Quotidiano è stato pubblicato un articolo a firma di Raffaela Scaglietta dal titolo “Le ribelli di Scampia”. Ci sono una serie di errori: ha utilizzato materiali non suoi per raccontare le storie delle signore Landieri e Longobardi che avevo inviato a lei con la pre-

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IL FATTO di ieri3 Dicembre 1910 Quando il 3 dicembre 1910 il fisico George Claude presentò al Grand Palais di Parigi quello strano tubo incandescente attraversato da un gas nobile, inerte e incolore, molti lo trovarono insopportabilmente luminoso. Il neon, la nuova sorgente di luce light, stava per cancellare i chiarori opachi e romantici dei vecchi lampioni e delle care, antiche lampade a petrolio. Ultimi bagliori di un Ottocento che apriva ai paradisi elettrici del nuovo secolo e a scenografie urbane colorate e luccicanti, animate dalle prime insegne luminose e dai primi cartelloni-réclame. Segni di una nuova cultura della luce e di un trend tecnologico che andava cambiando il volto delle città, delle strade, degli habitat metropolitani. E della stessa urbanistica. Nella Germania degli anni ’20, il neon, amato dai dadaisti per il suo fascino futuristico, darà il via alla Lichtarchitektur, architettura della luce, destinata a ispirare edifici avveniristici, in vetro e cristallo, modellati sul filo di quell’opalescenza artificiale. A distanza di un secolo, il vecchio neon, snobbato dai designer anni ’70 e ’80 per i suoi “lampi troppo freddi”, è oggi in piena rinascita. Protagonista duttile della nostra illuminazione quotidiana. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno CARLO E SIMONA “Ciao mi chiamo Carlo, sono un giovane ingegnere siciliano e mi sono trasferito a Milano per trovare lavoro. La mia fidanzata si chiama Simona e sta completando gli studi a Palermo. Siamo abbonati alla versione pdf già dallo scorso luglio e condividiamo questo asse Milano-Palermo dell’informazione! Vi stimiamo molto e sabato saremo a Roma per il ‘no B. day’. Grazie”! Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

cisa raccomandazione di non renderle pubbliche. Ma la cosa più grave è che la giornalista ha trasformato le storie in interviste, facendole sue e senza quindi citarne neanche la fonte. Oltre 50 donne nel corso di un anno si sono riunite per ascoltare e raccontare le proprie esperienze di vita rilette alla luce dei capolavori della letteratura greca così come faceva Simone Weil negli anni Trenta. E alla fine è arrivato il racconto: un racconto di vita lungo in cui le storie personali si sono intrecciate alle storie antiche. Tutto questo io credo non sia professionale e resto basita che sia capitato su un giornale, Il Fatto

Quotidiano, che stimo per la sua attenzione ai “fatti e a chi li fa”. Serena Gaudino, coordinatrice “Costruiamoci un Orizzonte”

Sono arrivata a Scampia il 7 Novembre e ho assistito alla manifestazione pubblica di Antigone : viaggio nel mito tra Sanità e Scampia . In questa manifestazione ho ascoltato alcune storie di donne che mi hanno emozionato e da lì ho iniziato il mio reportage sul quartiere napoletano. Ho fatto prima una ricerca, ho chiesto a Serena Gaudino una parte del testo che era stato recitato, me lo ha inviato, l’ho letto e poi ho fatto il mio lavoro. Ho incontrato alcune donne che hanno partecipato a questo progetto letterario e teatrale che mi hanno raccontato le loro storie. Sono stata con loro. Ho preso appunti sul mio taccuino, scattato fotografie e osservato con i miei occhi e i miei sentimenti laddove ho potuto. Di notte e di giorno, ho scattato fotografie e ascoltato le voci di quartiere di Napoli. In una sartoria, in un bar, in metropolitana, in una scuola, in un centro commerciale, a casa di un’amica, al cinema e nel treno. Sono rimasta in tutto quattro giorni e poi sono tornata a Roma. Ho riflettuto, elaborato le mie emozioni, scaricato le mie fotografie di Scampia sul computer, riletto i miei appunti, scritto il mio articolo e l’ho inviato in redazione. Tutto qui. Ringrazio ancora una volta le donne e le signore che mi hanno accolto con generosità , anche se per poco, e che mi hanno dato fiducia raccontandomi con intimità e coraggio attimi della loro vita. (R.S.)

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TI ABBIAMO REGALATO PIÙ TEMPO PER I TUOI AFFETTI.

ORE TOTALI DI TEMPO PERSO*

8,9 milioni

4,8 milioni 2006

2009

FA R T I P E R D E R E M E N O T E M P O P O S S I B I L E S U L L’A U T O S T R A D A È I L N O S T R O L AV O R O . Il tempo è un bene prezioso, specialmente per chi lo deve sottrarre al lavoro o agli affetti. Anche per questo, dopo la privatizzazione nel 2000, ci siamo dati l’obiettivo di ridurre il numero di ore da voi perse per rallentamenti e code. Attraverso una rete di 1500 sensori e un sistema di controllo certificato siamo ora in grado di misurare la fluidità del traffico sugli oltre 2850 km della nostra rete. E oggi possiamo dire con soddisfazione che abbiamo dimezzato (-46%) le ore di tempo perse sulle autostrade che gestiamo. Questo grazie a interventi mirati come la progressiva eliminazione dei “colli di bottiglia” attraverso la costruzione di terze e quarte corsie, la diffusione del Telepass che oggi conta 7 milioni di clienti, la riorganizzazione dei cantieri di lavoro, il potenziamento di oltre 50 caselli. Tutto questo mentre il nostro impegno sulla sicurezza consentiva di ridurre del 75% il tasso di mortalità. Abbiamo lavorato tanto per farvi viaggiare più velocemente ma senza dover “correre”, perché sappiamo che ogni minuto risparmiato sull’autostrada è un minuto in più che potete dedicare ai vostri affetti. *periodo di riferimento annuo: gennaio - novembre

www.autostrade.it


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