Il Fatto Quotidiano (10 Dicembre 2009)

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Il voto sulla Finanziaria? Bersani dice che è un cazzotto in faccia. Speriamo lo ascoltino i predicatori di dialogo

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Giovedì 10 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 68 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

FASSINO, IL “GIORNALE” E L’UTILIZZATORE FINALE I

Guardie svizzere a mezzobusto

di Marco Travaglio

La telefonata “secre ta ta” con Consorte portata a Berlusconi

Tutti i nastri per Silvio

L’Unità racconta l’inchiesta della procura. B. tuona contro le sue intercettazioni ma traffica con quelle degli avversari politici. L’ex leader ds: è come la storia di TeleKom Serbia

di Antonio Padellaro

dc

icordate la telefonata Fassino-Consorte sulla scalata Bnl, quella per capirci dell’“abbiamo una banca”? Ricordate lo scoop del Giornale che pubblicò la conversazione (segreta) tra il segretario Ds e l’amministratore delegato Unipol? Ebbene, ieri mattina sulla prima pagina dell’Unità si poteva leggere di un’indagine della Procura di Milano relativa al numero uno di Rcs, società che si occupa di intercettazioni telefoniche per conto della magistratura. Si racconta del viaggio ad Arcore di costui, il giorno 24 dicembre 2005, per donare il prezioso file nientemeno che a Silvio Berlusconi. Di come, secondo testimonianze dirette, il presidente del Consiglio abbia ascoltato e ringraziato vivamente i suoi ospiti. Di come, soltanto pochi giorni dopo, il giornale di famiglia diretto da

R

Barbacetto, Marra, Sisti pag. 2 e 3 z “I tre bari”, Caravaggio. Interpretazione di Roberto Corradi

Belpietro abbia “sparato” la telefonata che provocherà uno sconquasso nel centrosinistra lanciato verso le elezioni politiche del 2006. Davanti a una notizia del genere in un paese normale scoppia il finimondo. È l’apertura dei tg, l’opposizione si mobilita in Parlamento mentre il premier chiamato in causa dice qualcosa per smentire o per spiegare. Qui da noi, invece: silenzio di tomba. A parte qualche dichiarazione giustamente indignata la stessa opposizione

sembra come intorpidita, rassegnata. Ma come? Colui che grida ai quattro venti contro le intercettazioni (sue) potrebbe aver trafficato ai danni del suo principale avversario politico, e non si muove foglia? E poi: possibile che dai nastri riservati ai video con i trans tutto l’armamentario per sputtanare e intimidire questo o quello finisca sempre sulla stessa scrivania? Domande di un paese che sta lentamente asfissiando in una nube plumbea di conformismo.

Udi Luca Telese COFFERATI: “POPOLO VIOLA BENE COSÌ” ergio Cofferati da StrasburSpopolo go ti spiazza tre volte. Sul viola: “Esprime energie interessanti”. Sulla Cgil: “Mi interessa la presunta minoranza”. E sulla crisi: “Il governo risponde con strumenti archeologici” pag. 8 z

I GIUDICI x E Provenzano disse: “Con Forza Italia siamo in buone mani”

Udi Gian Carlo Caselli

“RAPPORTI CERTI GRAVIANO -DELL’UTRI”

UNA LETTERA A MARONI SULLA MAFIA

Nella sentenza di I° grado che condanna il senatore Pdl i legami con i mafiosi pag. 4-5-6-7 z e la nascita del partito. E domani i boss depongono a Palermo.

Da oggi Smart-Time, percorsi di tempo libero: un’agenda per il weekend in edicola pag. 16 – 17 z tutti i giovedì

CATTIVERIE

Oltre due milioni di italiani senza lavoro. E poi dicono che questo governo non è in grado di riempire le piazze (spinoza.it)

entile ministro Maroni: ho Gprocuratore, lavorato a Palermo, come per quasi sette anni, dal ‘93 al ’99. Anni difficili, densi di risultati importanti, che hanno consentito alla democrazia del nostro paese di non precipitare. pag. 22 z

l Papa ha detto una cosa saggia, sul meccanismo di assuefazione indotto dall’overdose di notizie negative che tv, giornali, radio, Internet riversano sull’umanità: “Ogni giorno il male viene amplificato abituandoci all’orrore e intossicando le coscienze”. Giusta constatazione, nemmeno troppo originale: a furia di vedere orrori, ci si fa il callo, si diventa cinici, ci si sente “spettatori” e mai responsabili, mentre il disvalore di certi comportamenti evapora nelle coscienze. Naturalmente Benedetto XVI parla alla cattolicità universale. Pensa alle guerre, alle violenze, alla fame, a tutte le forme di sfruttamento. Potrebbe aggiungere che l’ossessione delle gerarchie per la morale, i divieti, gli anatemi e le scomuniche oscura spesso l’essenza del cristianesimo, che è resurrezione, redenzione, misericordia, perdono, gratuità, ma lasciamo stare. Poi un giornale, La Stampa, interpella i mejo direttori del bigoncio per un “commento a caldo” alle parole del Papa. E questi personaggini piccoli piccoli, il cui orizzonte non va al di là della buvette di Montecitorio, rispondono sui casi D’Addario e Marrazzo, come se il Papa non pensasse ad altro. Il più in forma è Bruno Vespa, dicesi Bruno Vespa, quello che racconta l’Italia come un film di Dario Argento e gl’italiani come un popolo di serial killer, avendo trasformato lo studio di “Porta a Porta” in un istituto di medicina legale dove si sezionano cadaveri, si effettuano autopsie, si periziano brandelli di organi a favore di telecamera, e nei momenti più lieti si sguazza fra i trans di via Gradoli e dintorni. Bene, quel Vespa lì congiunge le mani in preghiera e salmodia: “Il Papa ha perfettamente ragione. Qualche volta, in buona fede, rischiamo di amplificare le situazioni più scabrose”. Ecco, porello: lui non vorrebbe mai, ma poi, in buona fede, gli scappa ora un plastico, ora un cranio spappolato di bambino, ora un mestolo insanguinato, è più forte di lui. Feltri, colto sull’inginocchiatoio nel raccoglimento del vespro di mezza sera, turibola: “Parole sagge, speriamo che le ascoltino tutti. La vita pubblica si è inasprita e i giornali sono schierati”. Lui del resto, quando pubblicò la falsa informativa di polizia che dava del gay a Dino Boffo, già presagiva l’alto monito pontificio. Anche l’altro giorno, quando ha dato dei “picciotti” mafiosi ai ragazzi del NoB.Day, l’ha fatto per anticipare l’appello del Papa raccontando le cose buone che accadono in Italia. Poteva mancare, nella fiera del tartufo, un salmo di Augusto Minzolini? No che non poteva. “Il mio Tg1 – si macera il pio Scodinzolini, stretto nel tradizionale saio di frate penitente – fa già ciò che auspica il Papa: si veda come ha trattato le vicende delle escort e il caso Marrazzo con un profilo basso, da servizio pubblico. Se tutti si fossero adeguati, non saremmo qui”. Ecco, si veda. Per la verità, quelle che lui chiama “le vicende delle escort” lui le ha censurate, mentre il caso Marrazzo l’ha amplificato come non mai. Ma, si badi bene, non s’è trattato di censura, bensì di devozione preventiva all’ammonimento del Santo Padre. Se i telespettatori del Tg1 non sanno nemmeno chi è la D’Addario, non è perché entrava e usciva da casa Berlusconi, ma per evitare che le coscienze vengano assuefatte da un eccesso d’informazione che potrebbe abituarle all’orrore. Se gl’italiani sapessero che il premier che vuole sbattere in galera le prostitute e i loro clienti (escluso, si presume, se stesso) riceve prostitute a domicilio e poi le fa mettere in lista per le comunali di Bari, resterebbero intossicati dal meccanismo perverso dei mass media. Dev’essere per questo che quell’altra guardia svizzera di Antonello Piroso ha censurato su La7 il servizio di Silvia Resta sulle trattative fra Stato e mafia nel 1992-’93: per non addolorare vieppiù il Santo Padre.


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Giovedì 10 dicembre 2009

Alfano dà consigli ai magistrati, i quali rimandano al mittente

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L’UTILIZZATORE FINALE

lfano ha lanciato un siluro ai magistrati che osano parlare di mafiosi e complici. Il ministro della Giustizia si è congratulato con il procuratore di Palermo, Messineo, per i recenti arresti, tra cui quello di Gaetano Fidanzati: “Si può battere e vincere la mafia senza fare il giro di tutte le tv nazionali, senza fare convegni. Anzi, lavorando di più in procura e dando

l’esempio ai colleghi, di un lavoro senza le luci accese delle telecamere, si arrestano più latitanti”, ha detto Alfano. Pronta la replica del procuratore Antimafia Grasso: “Non ci facciamo distogliere dall’attenzione mediatica”. E riferendosi a Berlusconi: “Non so se oggi parlare di mafia possa provocare problemi, certo si rischia di essere strozzati”. Nei giorni scorsi sono stati in tv il procuratore aggiunto di Palermo,

Antonio Ingroia, che sta indagando sulla trattativa Stato-mafia, e il procuratore di Torino Gian Carlo Caselli. A “Che tempo che fa”, Caselli ha osato dire la verità sul processo Andreotti: il senatore a vita, è stato riconosciuto colpevole di aver avuto rapporti con Cosa Nostra fino al 1980, ma il reato è stato prescritto. Il magistrato si è schierato anche contro la modifica della legge sui beni confiscati. a.masc.

GLI “AIUTINI” PER SILVIO

Intercettazioni, documenti e dichiarazioni false: tutte portano “acqua” dalla stessa parte di Leo Sisti

uante volte? Sì, quante volte, dagli anni di Mani Pulite in avanti, Silvio Berlusconi ha ricevuto dei “regali”, come quello sul quale sta indagando la Procura di Milano e nel quale è coinvolta la Research control system, la società incaricata di gestire le intercettazioni richieste da magistrati di tutta Italia? Eccone un’antologia ragionata, sulla base dei documenti giudiziari del passato. Un blocchetto di assist che avrebbero potuto spianare la strada di Berlusconi nel mantenere il potere o nel toglierlo da impicci e impacci processuali.

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D’Adamo. “Siamo nelle sue mani!”. L’ingegner Antonio D’Adamo, costruttore di Milano, si sente così implorare, da Silvio Berlusconi, quando viene intercettato, nel settembre ‘95, nell’ambito dell’inchiesta su Antonio Di Pietro, successivamente imputato a Brescia per corruzione (e poi assolto), grazie ai suoi rapporti, appunto con l’ingegner D’Adamo. Berlusconi vuole sfruttare l’amicizia di D’Adamo con Di Pietro per guadagnarlo alla sua causa contro il simbolo di Mani pulite. E sa come fare. La società di D’Adamo, molto esposta in Libia, è in grave crisi finanziaria e potrebbe saltare. Occorrono miliardi dalle banche. E il Cavaliere assicura il suo intervento presso istituti di credito che aprono i cordoni della borsa a D’Adamo. Ma tutto questo non basterà. Al processo D’Adamo non riuscirà a sostanziare la sua posizione anti Di Pietro. E la congiura di Berlusconi fallirà. Mills. “Ho cominciato ad avere rapporti con la Fininvest spa nei primi anni ’80. La prima persona che ho contattato fu l’avvocato Massimo Maria Berruti, che chiedeva informazioni e consulenze”. Con queste parole l’avvocato inglese David Mills rievoca, come testimone, la natura delle sue relazioni d’affari con Berlusconi e la Fininvest. E’ l’interrogatorio davanti ai magistrati di Milano che in seguito lo indagheranno per corruzione, fino alla sentenza, confermata di recente in appello, a quatto anni sei mesi. Avrebbe “aiutato”, in cambio di 600 mila dollari, con dichiarazioni false, Ber-

Dal caso D’Adamo, a Mills, fino alla vicenda legata al Sismi di Pollari e Pio Pompa

lusconi in due casi giudiziari: per le tangenti alla Guardia di Finanza e per All Iberian. E se il professionista di Londra è il corrotto, Berlusconi è il corruttore e, quindi, è imputato al processo omonimo che in questi giorni il presidente del consiglio tenta in tutti i modi di evitare, con nuove leggi ad personam. L’avvocato Mills parla di Berruti, guarda caso l’ex ufficiale delle Fiamme Gialle, autore di una famosa ispezione, nella seconda metà degli anni ‘70, all’allora Edilnord di Berlusconi. Quello stesso Berruti passato, ancora guarda caso, al gruppo del Biscione, come avvocato, dopo rapide dimissioni dal corpo della GdF. Mills apre così il libro dei suoi ricordi: “Berruti mi spiegò che (alla Finivest, ndr) volevano utilizzare l’Inghilterra come luogo di transito dei diritti cinematografici”. Ecco, l’antefatto del processo per l’acquisto, da parte di Fininvest, di film a prezzi gonfiati, preso le case di Hollywood, scatta da qui. Con Berlusconi ancora imputato. Così Consulta decretò, annullando il lodo Alfano. Sismi. E’ il 5 luglio 2006 quando agenti della Digos, sventolando un ordine di perquisizione della Procura di Milano, entrano negli uffici del Sismi, il servizio segreto militare, a Roma. Frugando qua là, in cerca di materiale legato al sequestro dell’imam egiziano Abu Omar del 2003, si

imbattono in Pio Pompa, stretto collaboratore del generale Niccolò Pollari, capo del Sismi dal 2001 per volere del premier Berlusconi. Ed ecco spuntare, in mezzo a migliaia di documenti, un appunto anonimo, esplosivo, di 23 pagine datato 24 agosto 2001. E’ la traduzione di un piano d’azione strategico, che ricalca il programma, poi seguito dal governo Berlusconi, in materia di giustizia, sicurezza e libertà. Vi vengono descritti, sotto i titoli “Area di sensibilità”, “Area di Supporto” e “Sicurezza del Palazzo”, tanti bei “suggerimenti”, volti a proteggere il gabinetto Berlusconi e a coltivare le “fonti”, vale a dire tutte le notizie carpite da spie presso tribunali e ministero di Giustizia. Con un obiettivo: mettere, nero su bianco, l’elenco dei nemici, da “dissuadere”, perfino con ”provvedimenti” e “misure traumatiche”. Si tratta di politici, giornalisti, intellettuali e magistrati, tutti facilmente riconoscibili (spesso a fianco, viene citata la città di provenienza). Tra i politici: Massimo Brutti, Elio Veltri, Vincenzo Visco. Tra gli intellettuali: Paolo Flores D’Arcais. Tra i magistrati: Gerrado D’Ambrosio, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Fabio De Pasquale, Felice Casson, Paolo e Libero Mancuso, Francesco Saverio Borrelli, Ilda Boccassini, Edmondo Bruti Liberati, e lo spagnolo Baltasar Garzon.

PROCESSO BREVE

FINI AI SUOI: TROVATE LA MEDIAZIONE di Antonella Mascali

e Sara Nicoli Csm dirà no al processo breve nel plenum di IPdl,llunedì prossimo perché è incostituzionale. E il di contro, da una spinta energica al disegno di legge che cancellerà i processi per reati commessi fino al 2006. Proprio quello che serve a Berlusconi per togliere, intanto, dal suo orizzonte la possibile condanna, sia pure solo di primo grado, ai processi Mediaset e Mills. Per la maggioranza sono giorni di grande tormento. Dalla Camera al Senato, i fedelissimi del cavaliere cercheranno in ogni modo di accelerare i progetti di legge ad personam, nonostante, proprio all’interno del Pdl, si evidenzino delle crepe. Con i finiani per nulla convinti di dover lavorare a marcia forzata solo per la salvaguardia del presidente del consiglio. Ieri alla commissione giustizia di Montecitorio sono approdate le proposte di legge sul legittimo impedimento che hanno l’obiettivo di renderlo assoluto per il premier ( ministri e parlamentari) e quindi quello di impedire ai giudici, al contrario di adesso, di verificare se si tratti davvero di un impedimento dell’imputato o se sia un espediente per non farsi processare. Il relatore del pacchetto della maggioranza, Enrico Costa, ha parlato di “ una legge tregua ”, ammettendo quindi implicitamente che c’è una guerra

contro i magistrati. Costa è l’autore, insieme al leghista Matteo Brigandì, della legge che prevede, per politici di governo e del parlamento, il riconoscimento del legittimo impedimento fino a sei mesi e fa galoppare la prescrizione del reato. Ma la fretta dei fedelissimi del cavaliere, si scontra con la calma che il presidente della Camera, Fini ha “ imposto” a Giulia Bongiorno. A quanto si apprende, Fini avrebbe detto alla presidente della commissione, di avere il massimo rigore nel trovare la sintesi, anche politica, delle proposte sul campo. E infatti la Bongiorno ha lanciato il segnale alla sua stessa coalizione: per l’approvazione del legittimo impedimento “se ne riparla a gennaio”. A palazzo Madama, invece, si gioca la partita del “processo breve”. I senatori presenteranno emendamenti, suggeriti dagli avvocati Ghedini e Longo, che peggioreranno- se possibile- l’attuale schema. Pur di non incappare nella Consulta la legge si estenderebbe anche ai processi d’appello in corso, e per quanto riguarda gli imputati, si allargherebbe anche ai recidivi “ ravveduti”. Contro il ddl definito “ un colpo di spugna dagli effetti devastanti”, l’Anm ha lanciato una settimana di protesta dal 20 al 27 gennaio. In ogni Tribunale gli uffici saranno aperti alla società civile per illustrare quello che serve per far funzionare la giustizia. «Non possiamo as-

In alto un apparecchio per le intercettazioni; in basso Niccolò Ghedini (ANSA)

LA SOCIETÀ

RCS, LEADER DEL MERCATO CON PROPRIETARIO IGNOTO

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ietro una fiduciaria; “davanti” una delle principali società italiane nel campo delle intercettazioni. Si chiama “Rcs spa”, acronimo di Research control system: ufficialmente senza un proprietario noto. Almeno dal luglio del 2008, da quando il gruppo Urmet, della famiglia torinese Mondardini, è entrato in crisi e ha venduto la controllata specializzata nel “tendere l’orecchio”. Da allora, l’unico dato certo, sono l’amministratore delegato, Roberto Raffaelli, il presidente del consiglio di amministrazione, Alberto Chiappino e il vicepresidente, Aurelio Maria Voarino. L’acquirente è ignoto, ma di certo l’intero pacchetto azionario è depositato presso la Sofir, la Società fiduciaria e di revisione con sede a Bologna. Una società sconosciuta alla finanza italiana, il cui capitale è in mano per il 51,33 per cento a un professionista, Giuseppe Chieffo. Le restanti azioni sono equamente divise tra Alfonso Venturi e Amedeo Cazzola (24,33% ciascuno). Il passaggio di mano della Rcs è avvenuto a luglio dello scorso anno in concomitanza con l’accentuarsi della crisi del gruppo Urmet. Lo scorso anno la Rcs ha fatturato oltre 33 milioni con un utile di un milione.

sistere in silenzio a riforme che sacrificano del tutto le esigenze di tutela delle vittime dei reati.. e comportano vistose violazioni del principio di uguaglianza di tutti i cittadini…”. E l’Anm fa il lungo elenco dei reati impuniti. Una vera catastrofe: sarà «di fatto impossibile l'accertamento di delitti come gli omicidi colposi realizzati nell'ambito dell'attività medica, le lesioni personali, le truffe, gli abusi d'ufficio, la corruzione semplice e in atti giudiziari, le frodi comunitarie e fiscali, i falsi in bilancio, la bancarotta preferenziale, le intercettazioni illecite, i reati informatici, la ricettazione, il traffico di rifiuti, lo sfruttamento della prostituzione, la violenza privata, la falsificazione di documenti pubblici, la calunnia, la falsa testimonianza, l'incendio, l'aborto clandestino». E settimana prossima il Csm boccerà senza appello il processo breve perché viola i principi costituzionali dell’obbligatorietà dell’azione penale e del giusto processo. Inoltre rimarcherà che nessun paese europeo per accorciare i tempi della giustizia ha intrapreso questa via.


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L’estate bollente delle scalate a banche e Corriere della Sera

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L’UTILIZZATORE FINALE

utto comincia nel 2005 con Gianpiero Fiorani, padre padrone della Banca popolare di Lodi. Con una compagnia di amici, banchieri, finanzieri e immobiliaristi, e con la benedizione del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, dà il via alla stagione delle scalate: a due banche (Antonveneta e Bnl) e al gruppo Rcs che controlla il Corriere della sera. I suoi principali

alleati sono Chicco Gnutti, Stefano Ricucci (impegnato soprattutto in Rcs) e Giovanni Consorte (attivo soprattutto su Bnl). Nel luglio 2005 gli scalatori sono convinti di avere vinto. Fiorani con i suoi soci occulti ha sconfitto l’opa su Antonveneta lanciata degli avversari olandesi della Abn Amro. Consorte comunica trionfante a Piero Fassino e a Massimo D’Alema di aver battuto i baschi

della Bbva e di avere conquistato la maggioranza di Bnl. Ricucci ha rastrellato con l’aiuto (e i soldi) di alcune banche il 20 per cento di Rcs. Poi le inchieste di Milano smontano gli entusiasmi, svelando le irregolarità compiute dagli scalatori. Ricucci è bloccato. Fiorani ha le azioni sequestrate e viene poi arrestato. Consorte è infine fermato dalla Banca d’Italia: no, i Ds, alla fine, “non hanno una banca”.

B. HA L’ORECCHIO LUNGO (SUGLI ALTRI) NEL 2005 ARRIVA AL PREMIER IL DIALOGO FASSINO-CONSORTE di Gianni Barbacetto

n salone nella villa di Arcore, con un grande albero di Natale tutto bianco. È il pomeriggio del 24 dicembre 2005. Il padrone di casa, Silvio Berlusconi, è sprofondato in poltrona, con il capo reclinato all’indietro e gli occhi socchiusi. Suo fratello Paolo sta parlando con due ospiti arrivati da Milano. I due armeggiano con una chiavetta Usb e un apparecchio elettronico da cui escono alcune voci: la registrazione di un colloquio telefonico. Quando nel silenzio del salone si sente risuonare una voce inconfondibile, l’accento torinese di Piero Fassino (“Siamo padroni della banca?”), Silvio si scuote dal torpore in cui pareva sprofondato. Ascolta attentamente. È la telefonata del luglio precedente in cui Fassino, allora segretario dei Ds, veniva informato sulla scalata in corso alla Banca nazionale del lavoro. Ad aggiornarlo sugli ultimi avvenimenti era Giovanni Consorte, il presidente di Unipol, che si diceva sicuro di avere ormai conquistato la Bnl. Questo incontro natalizio avvenuto esattamente quattro anni fa è il centro di una delicata inchiesta giudiziaria in corso a Milano. Tra gli indagati, i due interlocutori di Silvio e Paolo Berlusconi quel giorno a villa San Martino. Il primo è Roberto Raffaelli, manager della Research control system, azienda che realizza intercettazioni telefoniche per le procure italiane e che nell’estate 2005 aveva regi-

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strato anche quelle in cui a parlare erano i “furbetti del quartierino”, i protagonisti delle scalate a Bnl, Antonveneta e Corriere della Sera. La Research control system stava allora cercando appoggi autorevoli per avviare un business all’estero, in Romania (che poi non decollerà). Il secondo ospite di villa San Martino è un imprenditore amico di Raffaelli, rimasto impigliato in passato in brutte storie che gli hanno lasciato sul groppone un soggiorno in carcere e precedenti penali per bancarotta ed estorsione. Questo imprenditore, F.F., è all’epoca amico di Paolo Berlusconi. Tanto amico da essere tra gli invitati al matrimonio della figlia di Paolo, Alessia, ma anche socio di fatto nella Solari, l’azienda di Paolo Berlusconi che commercializzava i decoder tv del digitale terrestre. Nel dicembre 2005, i file audio delle intercettazioni ai “furbetti”, non trascritti, se-

gretissimi e inaccessibili agli stessi indagati, vengono riprodotti in più copie, messe a disposizione degli investigatori e dei magistrati milanesi che stanno indagando sulle scalate. Raffaelli pensa che quello sia il momento giusto: a quanto racconta F.F., gli chiede di metterlo in contatto con l’amico Paolo Berlusconi: “Ho un regalo di Natale per suo fratello”. Così nasce l’incontro ad Arcore, che si conclude, sempre secondo quanto racconta F.F., con grandi ringraziamenti e una “promessa di eterna riconoscenza”. Non è poi chiaro che cosa sia successo in seguito. Ma è certo che sette giorni dopo, il 31 dicembre 2005, il Giornale di Paolo Berlusconi esce con il testo dell’intercettazione segreta. Titolo di prima pagina: “Fassino a Consorte: Siamo padroni di Bnl?”. Il Giornale torna poi sul tema il 2 gennaio 2006. È la svolta che fa cambiare il clima politico italiano:

il centrosinistra guidato da Romano Prodi, che secondo i sondaggi era avanti di una decina di punti sul centrodestra, viene colto e mostrato nella sua compromissione con le scalate; comincia a perdere progressivamente il suo vantaggio, fino al risultato di quasi parità che uscirà dalle urne nell’aprile del 2006. Dunque il “regalo di Natale” a Berlusconi è stato davvero una strenna preziosa. Ma è stata poi mantenuta la “promessa di eterna riconoscenza”? No, secondo quanto racconta F.F. che, passato a riscuotere nel 2008, in un momento di diffi-

A consegnare la conversazione a Berlusconi sono due personaggi vicini al fratello Paolo coltà economiche, si sarebbe sentito rispondere: “Troppo tardi. È come se chiedessi il rimborso della benzina di un viaggio fatto due anni fa”. È la verità? È quanto sta cercando di scoprire la procura di

“Strano, ma tutti questi dossier finiscono nelle sue mani” L’EX LEADER DEI DS: LE VICENDE UNIPOL E TELEKOM SERBIA SONO STATE GESTITE PER DELEGITTIMARCI di Wanda Marra

dà una lettura netta e decisa. E nel Pd prendono posizione denunciando la “vicenda allarmante e inquietante” sia i e le cose fossero come appaiono e dovrà dircelo la capigruppo di Camera e Senato, Franceschini e Finocmagistratura avremmo la conferma di ciò che si era chiaro, sia il vicepresidente del Senato Chiti e il responfacilmente capito fin dall’inizio. Sia le vicende Unipol sia sabile Giustizia, Orlando. Telekom Serbia sono state gestite con un obiettivo di de- Se la questione raccontata dall’Unità fosse vera, colegittimazione politica mia personale, dei Ds e del cen- sa significherebbe? trosinistra”. Sullo scoop pubblicato ieri dall’Unità, secon- Naturalmente è doveroso aspettare le conclusioni della do il quale Berlusconi avrebbe ricevuto il file dell’inter- magistratura. Ma sembra si tratti della ripetizione della cettazione tra Fassino e Consorte (“Abbiamo una ban- vicenda Telekom Serbia in cui Igor Marini era solo uno ca”), pubblicato solo pochi giorni dopo sul Giornale (il strumento in una trama preordinata. Anche in quel caso il 31 dicembre 2005), il diretto interessato, Piero Fassino Giornale fu megafono e amplificatore. Sulla questione Unipol, la mia era una conversazione privata con una battuta ironica, talmente innocua che la magistratura la valutò irriledi Carlo Tecce LEGITTIMI IMPEDIMENTI vante. Una battuta rimasta negli annali... Proprio perché è stata usata in modo spietato e cinico per un’operazione di battaglia politica. Lei che idea si è fatto? A me non spetta fare illazioni: la magistraanno inventato le inaugura- comoda a Silvio Berlusconi tura vada fino in fondo. E se ci sono responzioni in differita. Il taglio per marinare il tribunale. sabilità emergano con chiarezza e a quel del nastro lungo fa il paio con il Il presidente mani di forbici è punto risulterà evidente all’opinione pubprocesso breve. Oggi un tratto pronto, e disponibile solo o con blica l’attacco strumentale di cui sono stato vittima. dell’autostrada Catania-Siracusa ministro accompagnatore, a preIn questi ultimi mesi sembra che Palazsarà aperto al traffico, una lingua senziare qualsiasi evento pubblizo Chigi sia una centrale di smistamendi asfalto compresa tra la tangen- co e privato: un brindisi per i to di notizie scomode, che finiscono diziale di Catania e lo svincolo di nuovi marciapiedi di Roma, un rettamente sul Giornale... Villasmundo. discorso per la raccolta delle meÈ certamente anomalo e per qualche aspetUn giorno di raccoglimento per i le di Cles, un papello per un asto anche inquietante che tutti coloro che disastri di un progetto del solo del sassofonista Maroni, vogliono usare fatti, informazioni o dossier 2005 (governo Berlusconi) – un’amichevole del Milan per il diper attaccare questo e quello sentano il doannunciato da un terzetto di sco di Apicella. All’occorrenza revere di farlo sapere al presidente del Con“posa della prima pietra” e gala ciondoli d’oro ai compleansiglio. Non credo che avvenga in nessun paese civile e normale. Come in nessun paeche costa 30 milioni di euro a ni di minorenni e maggiorenni, se civile e normale capita che l’avvocato dichilometro – viene trasformaorganizza aperitivi, cene e veglie fensore del presidente del Consiglio sia to in una sagra di paese. Con notturne. Per la lista ospiti chiel’ispiratore di provvedimenti legislativi non la festa rinviata al 21 dicemdere di Giampi. di interesse generale ma del suo assistito. bre, lunedì, perché la data è Nello stesso periodo della vicenda Unipol c’è stato un episodio sconcertante mai chia-

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L’inaugurazione sì, basta che sia di lunedì

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Milano, con indagini riservatissime, perquisizioni e interrogatori eseguiti dal sostituto procuratore Massimo Meroni. Il pm anzi, per prima cosa, sta cercando di verificare se davvero il “regalo” ci sia stato, o se il racconto sia solo un’invenzione di F.F. Questo personaggio, infatti, a partire dal 2008 ha cominciato a prendere contatti con diversi giornalisti di diverse testate, filogovernative e d’opposizione, a cui ha offerto la sua storia. Ha avuto contatti anche con lo studio di Niccolò Ghedini, che difende Silvio Berlusconi (e smentisce tutto). La Solari era naufragata e F.F. aveva bisogno di soldi. A un certo punto si presenta anche alla Procura di Milano e comincia a raccontare brandelli della sua storia. Promette in principio di spiegare come Silvio Berlusconi abbia salvato il fratello dalla bancarotta della Solari. Poi parla del “regalo di Natale”. Risultato: F.F. finisce sotto inchiesta per estorsione, mentre l’amico Raffaelli è sospettato di violazione del segreto, per aver trafugato il file audio dei “furbetti” che ha cambiato la storia d’Italia. La storia è contorta e intricata, come tutte le vicende che hanno a che fare con materiali segreti e spioni, professionali e improvvisati. In procura le bocche sono cucite e le facce scure per le fughe di notizie dei giorni scorsi. Sanno che in questa inchiesta non potranno fare il minimo errore.

rito di invasione delle banche dati del ministero delle Finanze per rovistare nelle documentazioni fiscali e patrimoniali di Prodi. Ricordo che negli Usa un presidente, Nixon, per aver fatto spiare i suoi avversari politici ha dovuto dimettersi. Alla luce di quel che sta dicendo, non crede che il Pd avrebbe potuto fare una scelta diversa rispetto al NoB.Day? Non ho detto che Berlusconi deve dimettersi, ho solo fatto l’esempio di quel che succede Piero Fassino (F in altri paesi. Noi abbiamo guardato con simpatia e fiducia alla manifestazione, nella quale c’era tanta gente nostra, oltre a dirigenti autorevoli e rappresentativi, come Bindi e Franceschini. Bersani ha avuto un atteggiamento di rispetto, ma non di dissociazione. Quando uscì quell’intercettazione, i sondaggi registrarono un calo consistente, perché l’opinione pubblica cominciò a dubitare della superiorità morale della sinistra. Quanto ha inciso la vicenda Unipol sulla vostra vittoria di misura alle politiche del 2006? La causa principale per cui il nostro vantaggio elettorale forte fu eroso dipese da alcuni errori, come la proposta di tassare il 20% dei titoli di Stato in un momento in cui Berlusconi proponeva di ridurre le tasse. Non credo che la vicenda Unipol abbia avuto un’incidenza particolare. Ma è chiaro che si scelse la vigilia delle elezioni per metterci in difficoltà. Anche se non mi risultano particolari cali nei sondaggi. Nel pezzo dell’Unità si adombra l’esistenza di una centrale di intercettazioni in Italia, ma con impianti in un paese dell’est Europa. Berlusconi sembra continuare a scavare negli archivi del Kgb. Cosa potrebbe trovare che vi danneggi? Non so se sia vero che va a cercare negli archivi. Ma il Muro di Berlino è caduto da 20 anni e la maggior parte dei protagonisti della vita politica di oggi non ha nulla da temere.

OTO

ANSA)


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Giovedì 10 dicembre 2009

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IL DOSSIER

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“B. ci ha dato il Paese”: ora i boss alla prova dell’aula

Alla vigilia della deposizione dei capimafia, la sentenza di I° grado ricostruisce gli intrecci del braccio destro del premier con Cosa Nostra e gli accordi con Forza Italia pagine a cura di Peter

Gomez e Marco Travaglio

di Marco

Lillo

“S

E NON ARRIVA niente da dove deve arrivare è il caso che cominciamo a parlare anche noi con i magistrati”. Questa frase attribuita dal pentito Gaspare Spatuzza a Filippo e Giuseppe Graviano, i suoi capi, turba i sonni di molte persone. Domani ascolteremo la versione dei fratelli capi del mandamento di Brancaccio, interrogati in videoconferenza dalla Corte di appello del processo Dell’Utri. Spatuzza, ha raccontato le confidenze ricevute al bar Doney nel gennaio del 1994 da Giuseppe Graviano, poche settimane prima dell’annuncio della discesa in campo da parte di Silvio Berlusconi. “Giuseppe Graviano era raggiante e mi disse”, racconta Spatuzza, “che avevamo ottenuto

quello che volevamo e avevamo il paese nelle mani. Mi disse che le persone che ci avevano dato garanzie erano serie, a differenza dei socialisti, e mi fece i nomi di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri”. I Graviano hanno già smentito le sue parole davanti ai pm di Firenze. Ora ci provano quelli di Palermo, incuriositi dallo strano atteggiamento dei due boss che non hanno avuto parole di disprezzo verso la scelta del collaborante nei confronti effettuati con lui. Filippo Graviano ha chiuso il suo verbale così: “Sogno solo una sera di addormentarmi e di non risvegliarmi al mattino. Può sembrarvi strano ma è così. Io in questo modo sarei in pace con tutti”. Parole e atteggiamenti inusuali per boss di quella caratura. Che fanno ben sperare i pm di Palermo. Certo che ne avrebbero di cose da raccontare i due fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. A partire dalla pazza stagione del-

le stragi del 1993 quando, mentre mettevano le bombe a Roma, Firenze e Milano, uccidendo, giravano i posti più belli d’Italia aiutati (magari involontariamente) da una serie di personaggi legati aella famiglia dell’ex manager di Publitalia, e attuale sottosegretario Gianfranco Micciché, o in rapporti con Marcello Dell’Utri (ora senatore e allora capo di Publitalia). Quando si parla dei fratelli Graviano e di Gaspare Spatuzza, tutti i commentatori ricordano i 40 omicidi, le sei stragi, la morte orribile di Giuseppe Di Matteo, sequestrato per un anno, a dieci anni, poi strangolato e sciolto nell’acido. O l’uccisione di padre Pino Puglisi. I due fratelli che guidavano il mandamento di Brancaccio non hanno solo maneggiato tritolo ma centinaia di milioni di euro. Al prestanome dei boss, Giovanni Ienna, è stato sequestrato un patrimonio di 200 milioni di euro comprendente il San Paolo Palace, un mega hotel a 5

stelle nel quale si organizzavano le prime convention di Forza Italia. Altri immobili per 50 milioni di euro sono stati confiscati a un altro referente dei Graviano, quel Giuseppe Cosenza che è stato cliente dell'attuale presidente del senato, l'avvocato Renato Schifani. Ai boss hanno sequestrato anche un impianto da 5 milioni di euro adibito a torrefazione e zuccherificio. Li arrestano a Milano, dove erano latitanti seguendo le tracce di un loro complice, il padre del calciatore Gaetano D’Agostino, che oggi è un nazionale e allora era un aspirante pulcino del Milan. Quando sarà sentito l’allenatore delle giovanili rossonere racconterà ai pm di Palermo: “lo aveva raccomandato Dell’Utri”. I Graviano la presero talmente male che volevano uccidere il padre del campione, che si salvò pentendosi. continua a pag 6–7

I GIUDICI: “RAPPORTI CERTI TRA DELL’UTRI E I GRAVIANO” I

RAPPORTI tra i Graviano e Dell’Utri. Le rassicurazioni che Forza Italia ha fornito ai boss alla vigilia del ‘94 e il patto elettorale con il partito di Berlusconi. Nella sentenza che ha condannato in primo grado il senatore Pdl a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa la chiave degli ultimi 15 anni di storia italiana. Dopo la puntata di ieri, ecco nuovi stralci del documento dei giudici di Palermo. Alla vigilia della deposizione - domani - proprio dei fratelli Graviano in una nuova puntata del processo d’Appello a Palermo al braccio destro del premier.

La Standa di Catania Nel gennaio del 1990, i grandi magazzini Standa di Catania e provincia sono bersaglio di vari attentati incendiari, opera del clan Santapaola. La Standa appartiene da un paio d’anni alla Fininvest e Dell’Utri siede nel consiglio di amministrazione. Il fatto piú grave avviene all’ipermercato di via Etnea, il 18 gennaio 1990: l’intero edificio distrutto, danni da 14 miliardi di lire. Altri episodi meno gravi si susseguono il 21 gennaio, il 12, il 13 e il 16 febbraio. Poi la catena s’interrompe all’improvviso perché – scrivono i giudici – Dell’Utri si fa protagonista «di un’ennesima condotta di mediazione tra gli interessi di Cosa nostra e quelli del gruppo» Fininvest. Santapaola, essendo latitante, opera tramite il fratello Salvatore e il nipote Aldo Ercolano, figlio di sua sorella. Sia Nitto sia Aldo verranno condannati dalla Corte di Assise d’appello di Catania come mandanti degli incendi alla Standa e della tentata estorsione che ne seguí. Nello stesso periodo, anche i magazzini della Sigros (Rinascente, gruppo Agnelli) subiscono attentati estorsivi di stampo mafioso: se ne occupa un altro uomo di Santapaola, Salvatore Tuccio. Alla fine la Fiat, come racconteranno i suoi dirigenti, paga il pizzo a Cosa nostra e alla Sigros torna la quiete. Ma fra le estorsioni alla Standa e quelle contemporanee alla Sigros c’è un abisso. L’esecutore materiale degli attentati alla Standa, il mafioso catanese Severino Claudio Samperi, “accenna l’esistenza, accanto alla causale estorsiva, di ulteriori scopi perseguiti dai mandanti dei fatti criminosi, riferibili esclusivamente alla vicenda Standa e non all’estorsione ai danni del Sigros”. Anche l'ex senatore repubblicano Vincenzo Garraffa racconta che la sua amica Maria Pia La Malfa, moglie di Alberto Dell’Utri (gemello di Marcello), gli parlò degli attentati alla Standa: “Mi disse che Marcello Dell’Utri aveva risolto questo problema parlando con un certo Aldo Papalia, ma non so neanche chi sia. E mi disse anche che scese personalmente da Milano a Catania”. Chi è Aldo Papalia? Un imprenditore catanese processato e poi assolto dall’accusa di traffico d’armi, in affari con Publitalia e in ottimi rapporti sia con Alberto sia con Marcello Dell’Utri. Ma anche con Aldo Ercolano. Insomma, per i giudici Garraffa ha “colto nel segno” ed è totalmente “attendibile”: pur ignaro di chi fosse Papalia, l’ha indicato con nome e cognome. Diversi funzionari della Standa e poi gli stessi Berlusconi e Confalonieri raccontano però ai giudici che, dopo gli attentati, nessuno si fece vivo per chiedere alla società di pagare né lanciare altre minacce. Per i giudici, nessuno di loro dice la verità. Visto che è stata “acquisita la prova della mediazione di Dell’Utri” (sono stati trovati persino una serie di voli aerei di Dell'Utri a Catania nel periodo successivo agli attentati ndr), è “logico” che il Cavaliere “non abbia voluto fornire alcuna conferma in ordine all’effettiva sussistenza dell’«intervento» effettuato dal suo manager e amico [...], considerato il costante atteggiamento assunto da Silvio Berlusconi (e da Fedele Confalonieri) rispetto a tutte le condotte contestate a Dell’Utri in questo processo, una linea improntata all’assoluta protezione e tutela dell’imputato, fin dalle prime dichiarazioni risalenti al 1974”. .

Lo sponsor della Pallacanestro Trapani Nell’estate del 1990 la Pallacanestro Trapani viene promossa dalla serie B alla serie A2. Il titolare, Vincenzo Garraffa, un medico e senatore nelle fila del partito repubblicano, si interessa per trovarle uno sponsor e si rivolge alla Publitalia, che lo mette in contatto con la multinazionale della birra Dreher-Heineken. Cosí, in agosto, firma il contratto con un marchio di quel gruppo, la Birra Messina, per un miliardo e mezzo di lire. Il denaro gli viene versato in due rate e lui, per i “diritti di agenzia”, gira come d’accordo a Publitalia prima 70 e poi 100 milioni in contanti. Ma a questo punto – come racconterà Garraffa agli inquirenti palermitani – si fanno vivi due uomini di Publitalia, Piovella e Biraghi, per battere ancora cassa: pretendono altri 530 milioni, in contanti e in nero, a titolo di “provvigione”. Garraffa chiede regolare fattura, ma gli rispondono picche. Allora propone di soddisfare la richiesta con una sponsorizzazione gratuita per la stagione successiva. Niente da fare. Cosí, tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, Garraffa vola a Milano per incontrare Dell’Utri. Il quale gli conferma che la società non rilascerà alcuna fattura e gli ricorda che “i siciliani prima pagano e poi discutono”. Lui ribadisce di non avere fondi neri e di non poter pagare fuoribusta. Allora Dell’Utri lo ammonisce, scrivono i giudici, “con la frase, percepita come pregna di inquietante e minaccioso significato: «Ci pensi, perché abbiamo uomini e mezzi per convincerlo a pagare...». Dopo qualche mese e, comunque, prima della sua elezione a senatore della Repubblica (avvenuta in occasione delle elezioni politiche del 5 aprile 1992), il Garraffa riceve la visita presso il nosocomio di Trapani, dove allora era primario, di due individui: Virga Vincenzo e Buffa Michele”. Virga è il boss di Trapani: sarà arrestato nel febbraio 2001 e condannato all’ergastolo per mafia e per vari omicidi. Buffa è il suo guardaspalle. Sono le sette del mattino quando i due rendono visita a Garraffa. Virga gli rivolge poche, ma indimenticabili parole: “Sono stato incaricato da Marcello Dell’Utri e da altri amici di vedere come è possibile risolvere il problema di Publitalia”. Garraffa ripete: “Senza fattura, non intendo pagare”. Virga non si scompone: “Capisco, riferirò. Se ci sono delle novità la verrò a trovare, altrimenti il discorso è chiuso”. Garraffa aveva già incontrato Virga qualche anno prima. Per sua fortuna aveva curato il giovane figlio del boss, ridotto in fin di vita da un incidente con un trattore. Per questo il capomafia non se la sente di fare la voce troppo grossa con lui. In ogni caso non appena i due uomini d'onore se ne vanno, Garraffa racconta quella visita a due suoi collaboratori, Valentino Renzi e Giuseppe Vento. A quest’ultimo confida pure che “se gli fosse successo qualcosa si doveva trovare la spiegazione nel fatto che era stato avvicinato da personaggi di primo livello, uomini sentiti”. Poi rompe con Publitalia e si rivolge a un’altra agenzia. che però non riesce a trovargli uno sponsor per via – sostiene Garraffa – dell’ostracismo di Publitalia, la cui “influenza in quel campo era terribile”. Alla fine si inventa una specie di auto-sponsorizzazione antimafia, applicando sulle divise dei giocatori lo slogan pubblicitario “L’Altra Sicilia”. La Pallacanestro Trapani, intanto, viene promossa in serie A e viene invitata al Maurizio Costanzo Show, su Canale 5. Ma all’ultimo momento l’invito viene annullato da Costanzo in seguito – sostiene Garraffa – all’intervento personale di Dell’Utri. Allora l’imprenditore scrive tutta la sua amarezza in una

lettera a Costanzo. Secondo i giudici di Palermo, “la versione dei fatti fornita dal dott. Vincenzo Garraffa [...] ha trovato sostanziale conferma nel risultato delle indagini”. Il Tribunale ascolta come testimone Maria Pia La Malfa, moglie di Alberto Dell’Utri e amica di Garraffa. La signora conferma che Garraffa andò a incontrare Marcello a Milano accompagnato da Alberto per parlare della “sponsorizzazione”. Ma non raggiunse alcun accordo. E, al ritorno, si lamentò con lei e col marito perché “fu trattato proprio... fu sbattuto fuori all’ufficio”. Dunque “le dichiarazioni rese dalla La Malfa offrono obiettivo riscontro alla versione dei fatti fornita dal Garraffa e smentiscono quella di Marcello Dell’Utri, il quale ha sostenuto che i suoi incontri con il Garraffa erano dovuti a motivi del tutto diversi”. Perché Dell’Utri spinse il braccio di ferro con Garraffa al punto da mandargli un boss mafioso? “La spiegazione dell’arcano, ad avviso del Collegio, risiede nel forte ed illecito interesse di Publitalia e conseguentemente di Marcello Dell’Utri, nell’operazione di sponsorizzazione da parte della Dreher-Heineken, quale è stato reso palese dalle risultanze processuali che hanno riscontrato la denuncia del Garraffa, e cioè quello di ricevere denaro in contanti ed in nero al fine di costituire fondi occulti, attraverso la restituzione a Publitalia da parte della Pallacanestro Trapani della somma di 750 milioni, pari alla metà dell’intero importo della sponsorizzazione. E che la costituzione di fondi occulti sia stata una «esercitazione» di contabilità in nero non inusuale in Publitalia è comprovato dal processo penale celebrato davanti l’autorità giudiziaria torinese a carico di Marcello Dell’Utri”. Infine, secondo il Tribunale di Palermo, sono provati i rapporti di Dell’Utri con la mafia trapanese, oltreché con quella catanese e palermitana: “La notizia, appresa de relato, della vicinanza di Marcello Dell’Utri agli uo-

La Standa di Catania bersaglio di attentati del clan Santapaola ma lo scopo non è estorsivo: la finalità è “agganciare” politicamente il senatore mini d’onore del mandamento di Trapani (i quali «l’avevano nelle mani») deve ritenersi attendibile perché proveniente da un uomo d’onore, Vito Parisi, molto vicino a Vincenzo Virga, capo di quel mandamento, e pertanto ben a conoscenza delle relative dinamiche interne e dei rapporti con persone estranee a Cosa nostra ma contigue alla stessa”. Per questo caso, nel 2004 il Tribunale di Milano ha condannato sia Virga sia Dell’Utri a 2 anni di carcere ciascuno per tentata estorsione aggravata ai danni di Garraffa, condanna confermata in appello, ma pio annullata in cassazione, che ha rinviato il acso a un nuovo processo d’appello. Qui i giudici hanno derubricato l’accusa di tentata estorsione in minacce gravi e dichiarato il reato ormai prescritto. Chi sollecitò Virga a intervenire su Garraffa per conto di Dell’Utri? I giudici di Palermo non hanno dubbi: “L’intervento del Virga non poteva che essere stato sollecitato da altri «uomini» e cioè da influenti esponenti della Cosa nostra trapanese, proprio come riferito da Vincenzo Sinacori il quale, ottemperando all’incarico ricevuto da Matteo Messina Denaro, affidò al Virga l’incombenza di «contattare» Vincenzo Garraffa al fine di risolvere la «questione» che interessava Dell’Utri. Il collaboranteha dichiarato di avere ap-

preso da Messina Denaro (l'attuale numero uno di Cosa Nostra, responsabile delle stragi del '93 ndr) che il Garraffa doveva essere contattato per un «discorso», relativo a somme di denaro, al quale era «forse» interessato Dell’Utri ma che «era tramite Mangano”. I Graviano, boss di Brancaccio Anche i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia del quartiere palermitano di Brancaccio e organizzatori delle stragi del ’93 a Milano, arrestati il 27 gennaio 1994 dai carabinieri nella trattoria milanese “Da Gigi il Cacciatore” dopo anni di latitanza, avevano “accer tati rapporti e contatti, diretti o mediati da terze persone” con Dell’Utri. Insieme a loro, vengono arrestati i cognati Salvatore Spataro e Giuseppe D’Agostino, anch’essi palermitani, che avevano favorito la loro latitanza. Quando gli chiedono che cosa ci faccia a Milano, D’Agostino spiega di esserci giunto nel ’92 insieme a Francesco Piacenti e a Carmelo Barone, i quali gli avevano promesso un interessamento presso il “sig. Dell’Utri” per trovargli un lavoro. Poi però Barone morí all’improvviso e non se ne fece nulla. Interrogato dai carabinieri, Dell’Utri sostiene che D’Agostino, Barone e Piacenti sono per lui dei perfetti sconosciuti: mai sentiti nominare. Ma, secondo il Tribunale, mente. Nella sue agende il nome “Barone Melo” (diminutivo di Carmelo), compare spesso, pure seguito dai numeri telefonici dell’abitazione e dell’auto. Risentito sul punto a Palerm all’inizio Dell’Utri dice di non ricordare nessun Barone “nel contesto di cui qui si sta parlando”. Ma poi Giuseppe D’Agostino viene riarrestato: non piú per favoreggiamento, ma per mafia, e decide di collaborare con la giustizia. “Le dichiarazioni rese dal D’Agostino hanno fornito la chiave di lettura del contenuto di alcune significative annotazioni riportate nelle agende curate dalla segretaria dell’imputato. In particolare, sotto la data del 2 settembre 1992, è stata rinvenuta una annotazione nell’ambito della quale si parla di tale «Melo», con un cognome non riconoscibile accanto, e l’indicazione: «interessa al Milan». Altre conferme alle dichiarazioni del D’Agostino si rinvengono in altre annotazioni quali l’indicazione «10 anni» (quanti ne contava all’epoca il figlio del collaborante), «in ritiro pullman del Milan, interessato D’agostino Giacomo (Patrassi – Zagatti)». I due cognomi indicati tra parentesi sono quelli di due tecnici della società di calcio del Milan ai quali si sarebbe dovuto presentare il figlio del D’Agostino [...] In alto Berlusconi in una foto degli anni ‘Settanta’70 e, a fianco, un’immagine della strage di via dei Georgofili a Firenze: nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993 un’autobomba uccise 5 persone. Qui a fianco, la “piovra” dei fratelli Graviano vista da Emanuele Fucecchi.

“NON MI PROTEGGONO” Il pm anti-‘ndrangheta lascia la Dda o lasciato la Dda di Catanzaro non per sulle cosche lametine. Basta pensare che “H paura ma perché ho notato che intor- prima del mio arrivo, l’ultima condanna no al problema della mia sicurezza c’è stata per mafia risaliva al 1992”. una certa sottovalutazione e non da oggi”. Parole del pm della Dda catanzarese Gerardo Dominijanni, nei confronti del quale, secondo quanto ha riferito un pentito, c’era un progetto di attentato da parte delle cosche di Lamezia Terme, la zona di cui il magistrato si occupa dal 2000. “Episodi gravi – aggiunge il magistrato – ce ne sono stati anche in passato e non ho mai pensato di abbandonare la Dda. Il progetto di attentato ai miei danni è solo l’ultimo episodio. Da tempo, anche da prima di conoscere questo progetto, ho segnalato a chi di competenza che c’erano problemi per la mia sicurezza. Per rendersene conto e capire che sono a rischio era sufficiente leggere gli atti e le sentenze delle inchieste

per essere sottoposto ad un provino”. Anche il cognato Salvatore Spataro collabora e conferma il racconto di D’Agostino. “In sintesi, dal complesso delle dichiarazioni rese dai due collaboranti emerge che il D’Agostino, intenzionato a far entrare il figlio Gaetano nel settore giovaniledella squadra del Milan, aveva interessato Melo Barone, appassionato del gioco del calcio e presidente di una squadra dilettantistica locale, il quale si era rivolto a Marcello Dell’Utri ottenendo che il giovanissimo D’Agostino Gaetano, che contava 10 anni, effettuasse un provino per il Milan nell’anno 1992. Dopo il decesso del Barone, avvenuto alla fine di quell’anno, il D’Agostino non si era perso d’animo e, allo scopo di raggiungere l’obiettivo prefissosi, si era rivolto ai fratelli Graviano, i quali si erano detti disponibili a favorirlo e gli avevano fatto capire che non sarebbe stato un problema per loro contattare i responsabili del Milan e procuragli un posto di lavoro a Milano presso una catena di esercizi commerciali, che gli inquirenti hanno, poi, individuato nell’«Euromercato» facente parte del gruppo Fininvest”. Dunque, nel 1996, Dell’Utri dice di non sapere chi sia Melo Barone, anche se compare nelle sue agende con il diminutivo “Melo”. Allora gli leggono le dichiarazioni del pentito Pasquale Di Filippo, il quale racconta che Barone – legato al clan Graviano – era stato titolare di un negozio di abbigliamento a Palermo. A quel punto gli torna la memoria e ricordato di aver conosciuto un Barone, commerciante di tessuti, presidente della squadra di calcio “Juventina”, mai piú rivisto dopo il suo allontanamento da Palermo. Ma anche questa è una bugia: “Che tra il Barone e l’imputato non vi fosse stata soltanto una lontana conoscenza, dovuta alla comune passione per il pallone, è dimostrato da documentazione, reperita presso le

Il forzista disse di non sapere chi fosse Barone, legato ai Graviano, ma di fronte alle prove della loro conoscenza cambiò versione aziende Fininvest ed acquisita agli atti, dalla quale risulta che: la “dott.ssa Lattuada di Fininvest”, segretaria personale dell’imputato, aveva, nel gennaio 1993, segnalato per l’acquisto un immobile, ubicato in Via Lincoln a Palermo, il cui proprietario era il “sig. Barone”, cioè il Melo Barone”. Francesco Zagatti, nel 1993-94 capo degli osservatori delle Giovanili del Milan, conferma il pentito Spataro e inguaia Dell’Utri. Il Tribunale conclude: “È lecito affermare che, negli anni 1993-94, c’è stato un interessamento nei riguardi del figlio di D’Agostino Giuseppe da parte di Marcello Dell’Utri e che, essendo già deceduto Melo Barone, tale interessamento non poteva che essere stato caldeggiato al prevenuto, direttamente o in via mediata, dai fratelli Graviano di Brancaccio. La conclusione alla quale perviene il Collegio poggia sulla constatazione che il giovane D’Agostino ha effettuato un altro «provino» ad inizio del 1994 (ne ha dato conferma il teste Buriani Ruben) e cioè nel periodo in cui D’Agostino Giuseppe era vicino ai fratelli Graviano, favorendone la latitanza, ed aveva ottenuto, per il figlio Gaetano, il loro intervento diretto presso la dirigenza del Milan e, in particolare, presso Marcello Dell’Utri, il quale in effetti aveva «segnalato» il promettente calciatore al tecnico che doveva visionarlo, come candidamente e spontanea-

mente affermato dal teste Zagatti Francesco”. La stagione politica Dalla metà degli anni ‘80, a Berlusconi e al suo entourage, Cosa nostra non chiede piú soltanto soldi: il legame si sposta progressivamente da “un primario e immediato interesse di natura economica, sfociato in rapporti a base estorsiva” a un interesse “politico”. Riina spera di agganciare Craxi tramite il Cavaliere. Vota e fa votare Psi nel 1987. Ma non si sa se poi l’aggancio al “gotha socialista” si sia realizzato “attraverso il canale costituito da Dell’Utri-Berlusconi-Craxi, oppure se tale risultato fosse stato ottenuto attraverso l’ausilio di altri soggetti […]. L’assenza di prova in ordine alla realizzazione di trattative, accordi, favori politici fatti, o semplicemente richiesti, da Cosa nostra a Berlusconi, per il tramite di Dell’Utri, permane, ad avviso del Tribunale, fino al 1993, epoca in cui l’imprenditore milanese aveva deciso di lanciarsi in prima persona in politica, portando con sé, quale primo paladino di tale importante scelta, l’imputato Marcello Dell’Utri, un uomo che da circa venti anni aveva ripetutamente intessuto, con piena consapevolezza, rapporti di vario genere con soggetti mafiosi o paramafiosi”. L’appoggio dato una tantum al Psi, per punire la Dc di non aver ostacolato a sufficienza il maxiprocesso non portò a Cosa nostra i vantaggi sperati. Tant’è che “proprio dalla constatazione di tale insuccesso [...] aveva preso le mosse quell’efferata e sanguinosa rivolta contro lo Stato voluta da Salvatore Riina, culminata negli eclatanti omicidi e stragi a partire dalla prima metà del 1992; quando all’insoddisfazione per i «nuovi» politici, che non avevano mantenuto le promesse, si era sommato identico rancore verso i «vecchi», vieppiú alimentato dalla principale delle cocenti sconfitte subite sul fronte giudiziario da Cosa nostra e cioè il passaggio in giudicato, il 30 gennaio 1992, della sentenza emessa all’esito del procedimento penale maxi-uno”. La strategia stragista di attacco allo Stato dimostra, nel 1992, “l’assenza di contatti sicuri tra la mafia ed il mondo della politica, la mancanza di accordi, referenti, garanzie, canali ecc., suc-

“Ho avuto la sensazione – prosegue Dominijanni – che a Catanzaro il problema della sicurezza sia visto come un fastidio. A me è stata tolta l’auto blindata da un giorno all’altro. Adesso mi è stata riassegnata, ma ancora non conosco i motivi per cui mi era stata tolta. Lo Stato si preoccupa di sistemare le carte, ma nei fatti poi, le cose vanno in maniera diversa. La Prefettura di Catanzaro ha stabilito, due anni fa, che la mia abitazione, così come avviene per tutti coloro che sono a rischio, fosse dotata di difese attive e passive, ma niente di tutto questo è stato fatto. Non solo. Formalmente ho la scorta per 24 ore al giorno, ma quando sono a casa se devo uscire devo farlo con la mia auto”.

cessivamente alla perdita di quelli precedentemente esistenti, vecchi o giovani che fossero stati”. I vecchi referenti, ormai incapaci di garantire l’impunità a Cosa nostra, vacillano sotto i colpi delle prime indagini milanesi su Tangentopoli, il che fa maturare in Cosa nostra

Riina spera, tramite Berlusconi, di arrivare a Craxi: l’appoggio al Psi serve a punire la Dc per non aver ostacolato il maxi processo di Palermo “un’idea politica di tipo separatista, o almeno autonomista, il cui obiettivo era quello di costituire una nuova forza politica, tutta siciliana e tutta mafiosa”. Il che non esclude che “nello stesso preciso torno di tempo in cui questo progetto si stava realizzando e prendeva corpo, vi fossero rassicuranti e definite alternative politiche, frutto di accordi e promesse ottenute dai soggetti mafiosi attraverso altri referenti”. Sicilia Libera Per due anni, prima del suo arresto nel 1995, Tullio Cannella viene incaricato di «curare» la latitanza del boss corleonese Leoluca Bagarella, cognato di Riina, balzato ai vertici di Cosa nostra dopo l’arresto di Zu’ Totò il 15 gennaio 1993. Nato e cresciuto a Brancaccio, vicinissimo ai fratelli Graviano, Cannella ha fatto politica nella Dc. I giudici lo considerano un collaboratore attendibile per le sue «dichiarazioni coerenti, logiche, particolareggiate» sull’evoluzione dei progetti politici di Cosa nostra nei primi anni 90: “Il delatore ha precisato che Bagarella era stato suo ospite nel villaggio Euromare «intorno alla metà di giugno, fino alla fine di agosto e i primi di settembre del 1993» [...]”. continua a pag 6–7


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Giovedì 10 dicembre 2009

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IL DOSSIER

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LE DICHIARAZIONI DEL PENTITO E IL LIBRO DEL GIUDICE segue da pagina 4-5

Chi sono gli uomini di Brancaccio Quando Filippo e Giuseppe finiscono dietro le sbarre, la guida degli affari passa alla sorella Nunzia che non si trasferisce a Corleone ma a Nizza e progetta di comprare attici (con il giardino pensile) e ville in Costa Azzurra. Il calendario del 1993 rende l’idea della loro doppia vita. A febbraio sono a Venezia con le rispettive mogli, per partecipare ai festeggiamenti del carnevale, per una coincidenza organizzato quell’anno da Publitalia, diretta da Marcello Dell’Utri. Il primo aprile deliberano con i boss della cupola nella villetta di un signore che si chiama

“Tranquilli, con Forza Italia siamo in buone mani” segue da pag 4-5

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UNQUE, partorito dalla mente di Leoluca Bagarella (ma, per quel che lo stesso diceva, era interessato anche il suo amico Provenzano), il progetto politico indipendentista, che sfocerà nella costituzione del partito Sicilia Libera a Palermo, era stato affidato dallo stesso boss corleonese al Cannella”. Nello stesso periodo fioriscono in tutto il Sud Italia movimenti indipendentisti, e in quel filone Bagarella pensa di inserire il progetto politico-mafioso di Sicilia Libera. “Con alcuni esponenti di tali agglomerati politici, il Cannella, dopo aver ricevuto la delega dal Bagarella, si era incontrato in diverse occasioni, una dell quali, particolarmente ricordata, svoltasi a Lamezia Terme, alla fine del 1993. Tra gli altri, presenti a quell’incontro vi erano alcuni esponenti della Lega Nord, in quanto tale movimento era interessato «a che si potesse effettuare un’operazione del genere nel meridione d’Italia», i quali erano stati accompagnati alla riunione politica dal principe Domenico Napoleone Orsini. […] Nella fase iniziale della vicenda, Bagarella aveva finanziato l’attività di proselitismo dello stesso Cannella [...] Poi, però, il boss non aveva voluto affrontare altri costi, pretendendo che fosse il collaborante a sostenerli”. È importante la scansione temporale del passaggio di Cosa nostra da Sicilia Libera a Forza Italia: “Si è detto che la nascita del movimento a Palermo, per opera del Cannella e su input di Bagarella, era avvenuta a ottobre del 1993; fino al mese di novembre, certamente, la questione non era ancora chiusa. Invece il cambio di direzione verso Forza Italia e l’abbandono definitivo del progetto si era apprezzato «intorno al gennaio del 1994». [...]. Il collaborante, a quel punto, [...] aveva interpellato il Bagarella sulla eventualità che qualche candidato di Sicilia Libera potesse essere inserito nelle liste di Forza Italia, il nuovo partito che il suo interlocutore aveva deciso di appoggiare”. Secondo Cannella, nel gennaio ’94, un mese e mezzo prima delle elezioni, “Bagarella mi disse che avrebbe parlato con una persona che sarebbe stato in grado di ordinare, allora si sapeva, noi sapevamo che l’onorevole Miccichè si occupava della formazione delle liste qui in Sicilia insieme ad un certo La Porta [...]. Allora disse: «io ho la persona che è in grado di dire a questo Miccichè quello che deve fare». Io me ne andai, aspettai qualche giorno, non ricordo se venne Calvaruso o Nino Mangano [uomo d’onore della famiglia di Brancaccio, ndr] a dirmi che di lí a breve mi dovevo ritenere rintracciabile in ufficio perché [...] mi avrebbero fatto incontrare un certo Vittorio Nangano o Mangano. [..]. ma l’incontro con questo Mangano non avvenne. Successivamente [...] mi capitò solo di incontrare Bagarella... e gli chiesi: «ma come è finita?». Dice: «niente, purtroppo non c’è piú niente da fare». Lui mi disse [...] che non c’era piú il tempo per metterlo in lista”. Per i giudici «le dichiarazioni di Cannella, assoluto padrone della materia, sono state pienamente riscontrate da una mole di elementi esterni». Un lan-

Giuseppe Vasile, la stagione stragista al nord. L’idea dei Graviano e di Totò Riina è quella di fare la guerra allo Stato per poi costringerlo a fare la pace. In cambio di benefici carcerari. A maggio Giuseppe Vasile, mediante un suo amico palermitano, contatta Enrico Tosonotti, un imprenditore milanese perché affitti una villa in Versilia per il vecchio padre di Vasile. In realtà sarà usata come base logistica delle stragi. Tosonotti contatta un’agenzia e prenota la villa di Forte dei Marmi nella quale a luglio e ad agosto passeranno alcune settimane Matteo Messina Denaro e i fratelli Graviano, cioé i boss che tra maggio e luglio semineranno il terrore a Roma, Milano e Firenze, uccidendo dieci persone. Gli assegni usati per prenotare la villa risulteranno cambiati da un’agenzia del Banco di Sicilia di Palermo che aveva effettuato un’operazione non

prevista dalla corretta prassi bancaria. Il dirigente era il fratello di Gianfranco Micciché, Guglielmo. Un anno dopo le stragi, Tosonotti incontra a pranzo Gianfranco Micciché (nel frattempo passato da Publitalia a fare il sottosegretario ai trasporti) per chiedergli di inserire una sua società nell’albo dei fornitori delle Ferrovie. Le persone che li avevano messi in contatto erano amici del fratello del sottosegretario. Anche quando i Graviano, tra una bomba e l’altra, si rilassano in Sardegna scelgono Porto Cervo. Saranno ospiti nel residence “I Tramonti”, che fa capo a una società gestita da Maurizio Pierro, un commercialista milanese ucciso nel 1997 in circostanze misteriose, che amministrava anche una serie di cooperative in cui lavorano le figlie e gli amici del fattore di Arcore, Vittorio Mangano.

cio Ansa del 26 settembre 1993 conferma la riunione di Lamezia Terme. Dai tabulati telefonici «incrociati» dal consulente della Procura Gioacchino Genchi, risulta «la prova di numerosi contatti tra vari soggetti indicati da Cannella» a proposito di Sicilia Libera. Tanto per cambiare, salta fuori anche Dell’Utri, in contatto nel febbraio del 1994 con il principe Domenico Napoleone Orsini, il cui nome è anche presente nelle agende del manager. Ma Dell’Utri dice di non conoscerlo. Le sue negazioni, smentendo anche l’evidenza, diventano così un «elemento indiziante». Anche perché un altro riscontro alle dichiarazioni di Cannella arriva dal pentito Tony Calvaruso, autista di Bagarella. Riscontro tanto piú importante in quanto nemmeno lui, come Cannella, parla direttamente di Dell’Utri. Ma racconta che “andò scemando questo discorso di Sicilia Libera, tanto si rafforzava il discorso di Forza Italia «perché c’era la voce unanime di votare Forza Italia, anche quando si parlava del partito Sicilia Libera». In ogni caso, egli aveva saputo da Bagarella che il partito di Forza Italia andava sostenuto in quanto aveva una linea garantista e, quindi, «o volutamente o non volutamente», avrebbe aiutato i boss di Cosa nostra”. Ora, osservano i giudici: “Che nelle elezioni politiche del 1994, scomparso il partito della Democrazia cristiana (da sempre destinatario dei voti della mafia, eccezion fatta per il 1987), all’interno di Cosa nostra si fosse deciso di votare per Forza Italia, non è circostanza che può essere messa in discussione, tale è la mole delle dichiarazioni rese da tutti i collaboratori di giustizia che hanno fatto riferimento al tema, in assoluta sintonia”. Naturalmente l’adesione di Cosa nostra a Forza Italia non è un reato per i promotori del nuovo partito. E non è nemmeno un fatto sorprendente, visto che una politica ipergarantista era «destinata fatalmente (o non volutamente, come ha detto Calvaruso) ad aiutare gli affiliati a Cosa nostra (e non solo)». Il problema è un altro: “In questa sede occorre stabilire soltanto se siano emerse prove in ordine al fatto che gli imputati Dell’Utri e Cinà (in particolare il primo) abbiano, in qualche modo, collaborato con uomini di Cosa nostra, tramite accordi, promesse o quant’altro, contribuendo a far nascere o, anche semplicemente, a rafforzare il convincimento politico dei loro interlocutori ma-

scendere in campo politico per curare da vicino gli interessi di Cosa nostra, che aveva perso i suoi referenti politici. Secondo il Tribunale, “le motivazioni che possono avere indotto l’attuale presidente del Consiglio dei ministri a fondare un nuovo partito sono state molteplici e trovano ampia giustificazione su altri piani [...]. Berlusconi si sentiva «perseguitato» dall’autorità giudiziaria di Milano, come risulta da un passo del libro [di Federico Orlando, allora condirettore de Il Giornale di Indro Montanelli: Il sabato andavamo ad Arcore, 1995, ndr] in cui si racconta di una riunione ad Arcore del 3 luglio 1993 (sono del 22 giugno precedente le perquisizioni della Guardia di finanza alle sedi della Fininvest di Milano e Roma, eseguite dietro ordine dei giudici di Milano). Ma già il 4 giugno 1993 Berlusconi avrebbe annunciato ad Indro Montanelli l’intenzione di «scendere in politica per ricomporre l’area moderata». Dunque vi erano pressanti e gravi ragioni [...] perché questo impegno in politica avvenisse ed altrettanto ampie motivazioni perché il nascente partito assumesse, sul fronte giudiziario, una linea ideologica di tipo garantista. […] Ragioni e motivazioni che non possono essere ritenute, tout court, inquinate dal fine di agevolare Cosa nostra ma che, ovviamente, non potevano non essere apprezzate da qualunque soggetto che, in quel periodo storico, si fosse trovato ad avere a che fare con la giustizia, a qualsivoglia titolo”. Dell’Utri è fin da subito un tifoso accanito della discesa in campo del Cavaliere, come testimoniano Confalonieri e Letta, all’epoca contrari . E alla fine, dopo un periodo di incertezza, Berlusconi si schiera con Dell’Utri. Lo conferma Ezio Cartotto, politico della Dc lombarda e consulente della Fininvest fin dagli anni 70. I giudici sintetizzano il suo racconto: “Nel settembre 1992, in occasione di una convention, Berlusconi aveva fatto per la prima volta un accenno al tema politico, affermando che bisognava guardare alla situazione politica italiana con grande preoccupazione ed attenzione; nell’aprile del 1993, nel corso di un incontro tra lo stesso Berlusconi e l’onorevole Craxi, quest’ultimo aveva fatto presente al suo interlocutore che si sarebbe dovuto dare da fare per creare un movimento politico al Nord Italia, per contrastare l’offensiva della Lega e che sarebbe stato opportuno che qualcuno, come lui, creasse un «canestro» in cui convogliare i voti in libera uscita dai partiti tradizionali di area moderata, ormai in crisi irreversibile; nell’estate del 1993, ad Arcore, Silvio Berlusconi aveva incontrato Vincenzo Muccioli e si era parlato della situazione politica italiana; nell’autunno 1993, Berlusconi aveva incontrato gli onorevoli Amato, Segni e Martinazzoli, ma già era sorta in lui l’idea di scendere personalmente in politica”. Intanto, a Palermo, “sino alla fine del 1993, in Cosa nostra si stavano cercando nuovi sbocchi politici e, in assenza di «agganci», si realizzavano stragi in tutta Italia e si cercava di costituire un partito sicilianista tutto mafioso [...]. E fino all’abbandono dell’idea autonomista, alla fine del 1993, per quel che si è anticipato, Cosa nostra non aveva ottenuto «certezze» e «garanzie» politiche provenient da altri «canali». Ulteriore dimostrazione di tale assunto è l’affermazione di Giuffrè (Nino, capomafia di Caccamo, ndr) in ordine al fatto che, solo in un secondo momento [...], Bernardo Provenzano, scettico rispetto all’ideologia autonomista di Bagarella, «esce allo scoperto» e si fa sostenitore dell’appoggio a Forza Italia, a partire dalla fine del 1993, epoca in cui sarebbero arrivate delle «garanzie» in tal senso”. Provenzano sponsorizza Forza Italia Fedelissimo del superboss Michele Greco fino al 1981, «reggente» del mandamento di Caccamo dal 1987 per volontà di Riina, Giuffrè ha fatto parte fino al ‘92 della commissione provinciale di Cosa nostra, diventando dal ’93 uno dei piú stretti collaboratori di Provenzano. Arrestato il 16 aprile 2002, decide di collaborare . E la sua attendibilità è «fuori discussione», anche «sul tema della politica» dove «è stato pienamente riscontrato». “Nella primavera del 1993 il collaboratore aveva appreso da Provenzano che, dopo l’arresto di Riina (15 gennaio 1993),

“A inizio ‘94 la mafia sceglie il nuovo partito: ‘garantiscono’ Massimo Maria Berruti, Dell’Utri e Vittorio Mangano” fiosi di sostenere il nuovo partito, del quale, come è noto e come meglio ancora si vedrà, Dell’Utri era stato, in prima persona, promotore e nel cui organico è stato eletto deputato e poi senatore, carica tuttora rivestita. Se, cioè, si siano evidenziate, anche in relazione a siffatto ambito avente ad oggetto la politica, condotte compiute dai prevenuti, sussumibili nell’alveo dei capi di imputazione, la cuiforma «libera» consente di ritenere rilevanti anche le «promesse elettorali» o i «patti politico-mafiosi»”. È «incontestabile», per il Tribunale, che “proprio nel periodo riferito da Cannella (fine 1993-inizi 1994), era stato ufficialmente costituito il partito di Forza Italia [...] e che, secondo la versione dello stesso Dell’Utri, il proposito di Berlusconi di fondare il nuovo partito si era definitivamente concretizzato alla fine di settembre del 1993 [...]. La pubblica accusa ha sostenuto essere emerse prove in ordine al fatto che Dell’Utri, prima dell’ufficializzazione della scelta politica di Berlusconi nell’autunno del 1993, avesse già cominciato ad interessarsi in prima persona alla costituzione di una nuova forza politica, benché non avvezzo ad occuparsi di siffatti compiti.”. Nasce Forza Italia Secondo l’accusa, Dell’Utri spinse Berlusconi a

SPATUZZA E IL LANCIAMISSILI PER UCCIDERE CASELLI

Il giudice Gian Carlo Caselli

all’interno di Cosa nostra si erano create due linee di pensiero, rappresentative di due fazioni mafiose «contrapposte»: la prima, della quale faceva parte il collaborante, aveva come leader il Provenzano e ad essa erano aggregati alcuni importanti «uomini d’onore», come Benedetto Spera, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Raffaele Ganci; un’altra, facente capo a Bagarella, nella quale si riconoscevano altri importantissimi esponenti mafiosi, come Giovanni Brusca, i fratelli Graviano, i Farinella, Salvatore Biondino ed altri. In particolare, una delle due fazioni non concordava sulla scelta di una strategia stragista propugnata dall’altra”. Ma anche sui rapporti con la politica, Cosa nostra è divisa: il gruppo Bagarella puntava su Sicilia Libera; Provenzano preferisce cercare referenti nelle forze politiche nazionali, sul modello dei rapporti intrecciati a suo tempo con la Dc. Il Tribunale ritiene dimostrati “singoli «agganci» ottenuti da Cosa nostra nella ricerca di referenti all’interno di una nuova, grande compagine politica come Forza Italia, sul modello ideologico fatto proprio da Provenzano (cui accederà anche il gruppo di Bagarella)”. Giuffrè prosegue nel suo racconto: “Verso la fine del 1993 già si aveva dei sentori che si muoveva qualcosa di importante nella politica nazionale. Cioè si cominciava a parlare della discesa in campo di un personaggio molto importante. [...] Berlusconi... Queste notizie venivano portate all’interno di Cosa nostra, per un periodo è stato motivo di incontri, di dibattiti all’interno di Cosa nostra, di valutazioni molto, ma molto attente. Cioè tutte le persone che avevano sentore, notizie di questo movimento che stava per nascere, venivano trasmessi ed arrivavano dentro Cosa nostra. Queste, in modo particolare di Provenzano, se ne cercavano l’affidabilità. Cioè persone che di un certo valore e di una certa serietà e inizia, appositamente, un lungo periodo di discussione e nello stesso tempo di indagine, per vedere se era un discorso serio che poteva interessare a Cosa nostra per potere curare quei mali che da diverso periodo avevano afflitto Cosa nostra, che erano stati causa di notevoli danni. [...] Abbiamo fatto anche degli incontri, delle riunioni, assieme, appositamente per discutere, fino a quando il Provenzano stesso ci ha detto che eravamo in buone mani, che ci potevamo fidare. Per la prima volta il Provenzano esce allo scoperto, assumendosi in prima persona delle responsabilità ben precise. E nel momento in cui lui ci dà queste informazioni e queste si-

Il collaborante Cucuzza: “A Milano ‘lo stalliere’restava capomandamento di Porta Nuova per mantenere rapporti con il senatore” curezze, ci mettiamo in cammino, per portare avanti, all’interno di Cosa nostra e poi successivamente estrinsecarlo all’esterno, il discorso di Forza Italia”. Cosí, a fine ’93, Provenzano riceve “garanzie” e si decide a «uscire allo scoperto». Cioè, scrive il Tribunale, “a sponsorizzare il partito di Forza Italia all’interno di Cosa nostra, invitando i suoi componenti a votarvi ed, evidentemente, convincendo anche la fazione legata a Bagarella, il quale, infatti, nello stesso torno di tempo di fine 1993, aveva deciso di abbandonare al suo destino Sicilia Libera”. «Garanzie» da chi? Giuffrè dice di aver saputo dai boss Carlo Greco e Giovanni Brusca i nomi di alcuni intermediari, come il costruttore Giovanni Ienna (secondo i giudici «legato ai fratelli Graviano, il quale sarebbe stato direttamente in contatto con Berlusconi» e «condannato definitivamente per mafia»); l’avvocato Massimo Maria Berruti (consulente della Fininvest e infine deputato di Forza Italia); Mangano; e Dell’Utri (quest’ultimo –scrivono i giudici – era secondo Giuffè «reputato dai suoi interlocutori mafiosi persona seria, affidabile e vicina a Cosa nostra»).

La notizia era stato lo stesso Gian Carlo Caselli a raccontarla: “L’allora questore di Palermo Arnaldo La Barbera – grande poliziotto, al quale resto profondamente grato – venne a sapere, da fonti evidentemente attendibili, di un attentato in preparazione – scrive oggi il procuratore a Torino nel suo ‘Le due guerre. Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia’, Melampo editore –: un missile o un bazooka a lunga gittata per colpire il mio appartamento dal monte Pellegrino, proprio davanti al parco della Favorita (armi del genere Cosa Nostra ne aveva in abbondanza: sequestreremo, nei loro arsenali, anche moltissimi Rpg 18 di produzione sovietica, i micidiali ‘martelli di Allah’ impiegati dai mujaheddin afghani per abbattere gli elicotteri di Mosca”. “Quella volta – prosegue ancora Caselli – venni allontanato dalla città in gran fretta. Senza neanche avere il tempo di fare le valigie, fui spedito dal questore all’aeroporto militare di Boccadifalco. Ero l’unico civile ad abitarci, circondato da esercito, polizia e carabinieri. Per la mia sicurezza ero costretto

L’ultimo covo di Fidanzati

QUELLA VILLA IN VAL SERIANA A Parre, verso la val Seriana si trova l’ultimo covo di Gaetano Fidanzati, il boss arrestato il 5 dicembre nel centro del capoluogo lombardo. In questa villa, a ridosso di una montagna, don Tanino ha abitato nell’ultimo mese e mezzo prima dell’arresto. Qui Fidanzati ha condotto una vita normale: pranzo e cena nel ristorante del paese e sul comodino ancora il Corriere della Sera del 4 dicembre. Il giorno dell’interrogatorio di Spatuzza.

“In ogni caso, il sostegno a Forza Italia da parte dei mafiosi era stato profuso in tutte le competizioni elettorali successive, fino a quelle del 2001 [...]. Il resto delle dichiarazioni di Giuffrè, nella parte rappresentativa piú generale appare assolutamente esente da critiche e deve essere positivamente apprezzato, anche in relazione a ciò che attiene all’indicazione di «garanzie» ottenute da Provenzano” ”. Il ritorno di Mangano Il fatto che Mangano rispunti al fianco di Dell’Utri anche nel 1994-’95, dopo i 10 anni trascorsi in carcere per le condanne definitive per mafia e droga, suscita nel Tribunale «seria preoccupazione e vivo disappunto, a prescindere dall’aspetto prettamente penalistico». Perché “si può affermare senza tema di smentita che Mangano Vittorio, dopo l’arresto di Salvatore Cancemi nel luglio 1993, aveva assunto un incarico mafioso di rango, a coronamento di una lunga e gloriosa carriera criminale”. Anche in campo politico. Ne parla Salvatore Cucuzza, «collaborante di sicura attendibilità»: “Per come riferitogli da Bagarella, uno dei motivi per i quali il Mangano veniva mantenuto nella reggenza del mandamento di Porta Nuova era costituito dal fatto che egli garantiva rapporti con Dell’Utri e, quindi, era reputato utile in tal senso perché era notorio il rapporto che legava quest’ultimo a Silvio Berlusconi. [...] Il collaborante ha dichiarato di aver saputo da Mangano che questi si era incontrato «un paio di volte con Dell’Utri». [...] Dell’Utri aveva promesso che si sarebbe attivato per presentare proposte molto favorevoli per Cosa nostra sul fronte della giustizia, in un periodo successivo, a gennaio del 1995 («modifica del 41 bis, sbarramento per gli arresti relativi al 416 bis»). Infatti, vi era stato un primo tentativo a livello parlamentare che, però, non era riuscito a concretizzarsi. Inoltre Dell’Utri aveva detto a Mangano che sarebbe stato opportuno stare calmi, cioè evitare azioni violente e clamorose, le quali non avrebbero potuto aiutare la riuscita dei progetti politici favorevoli all’organizzazione mafiosa”. Le conclusioni del Tribunale sono raggelanti: “La promessa di aiuto politico a Cosa nostra [...], aveva un effetto rassicurante per il sodalizio criminale; lo orientava verso il sostegno a Forza Italia, incoraggiandolo a nutrire aspettative favorevoli in un momento di crisi profonda. Siffatta condotta rafforzava Cosa nostra, ingenerando il convincimento di raggiungere obiettivi fondamentali nella sua strategia criminale, addirittura contando sui massimi vertici della politica nazionale. Una promessa reputata, in quel frangente, seria ed affidabile negli ambienti mafiosi, in quanto proveniente da un soggetto influente che, in passato, aveva dato buona prova di sé, dimostrandosi disponibile verso Cosa nostra. Una promessa fatta ad un mafioso come Vittorio Mangano, altrettanto importante nel

suo «campo», ad un capomandamento in stretto contatto con coloro i quali erano posti al vertice del sodalizio criminale in quel torno di tempo.”. Che poi, come sostiene la difesa, il primo governo Berlusconi – naufragato dopo 7 mesi – non sia riuscito a varare misure favorevoli alla mafia, o che invece, come ribatte la Procura, abbia inviato precisi segnali a Cosa nostra, non interessa “Quel che conta, ai fini della decisione, è stabilire se può ritenersi provato che la promessa politica a Cosa nostra, effettuata dal senatore Dell’Utri per mezzo di Mangano (nel frattempo diventato un capo di un mandamento mafioso), avente ad oggetto un progetto di aiuto sul fronte giudiziario in relazione al tema del 41 bis ed altro, siccome riferito da Cucuzza, si fosse effettivamente verificata in quel torno di tempo delicatissimo in cui la politica nazionale stava veramente cambiando e l’organizzazione mafiosa era alle corde e senza referenti politici sicuri”. [...] La prova per il tribunale c'è. E a incastrare Dell’Utri, provvedono non i pentiti o i magistrati, ma sempre le sue agende dove “si sono ritrovate due annotazioni,

Dalle intercettazioni ambientali a Guttadauro, reggente del mandamento Brancaccio, emergono gli accordi e gli impegni reciproci relative ad incontri tra lo stesso e Mangano Vittorio, sotto le date del 2 e 30 novembre 1993. Trattasi di un dato documentale incontestabile ed altamente significativo della condotta tenuta da Marcello Dell’Utri [...] Dell’Utri, ancora nel 1993, nonostante la crescita del suo prestigio personale anche in campo politico, aveva continuato ad intrattenere rapporti di frequentazione con un mafioso conclamato ed importante come era Mangano in quel periodo, e nonostante tutto quello che era successo in passato”. Dell’Utri non può negare quel che è scritto nelle agende: “Si limita ad addurre impacciate giustificazioni di facciata, affermando che Mangano, di tanto in tanto, era solito andarlo a trovare in ufficio (a Milano!), ove si intratteneva pochi minuti per esporgli non meglio identificati problemi di carattere personale, precisando che egli «subiva» tali rapporti e non ricordando quali fossero i problemi personali che Mangano gli avrebbe sottoposto il 2 e 30 novembre 1993, periodo in cui era in corso l’organizzazione del partito Forza Italia e Cosa nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica, anche attraverso l’abbandono del progetto autonomista di Sicilia Libera”.

all’isolamento più totale”. Ora la conferma di quel piano omicida di 15 anni fa arriva da Gaspare Spatuzza, il superpentito del processo Dell’Utri. “Tramite la ‘ndrangheta, la cosca dei Nirta, abbiamo acquistato delle armi, due mitra, due macchine-pistole e un lanciamissili. Era un carico d’armi per fare un attentato a Caselli che sapevamo si muoveva con un elicottero dell’elisoccorso che partiva dall’ospedale Cervello” ha raccontato nelle centinaia di pagine di verbali riempiti dai magistrati di Firenze, Palermo e Caltanissetta. Siamo nel ‘94, l’anno dell’arresto dei Graviano, l’anno in cui Spatuzza diventa capo mandamento. “Avevo la reggenza del mandamento di Brancaccio e tramite Pietro Tagliavia mi dicono che devo ‘curarmi’. Questo lanciamissili – dice Spatuzza ai magistrati – era custodito in un magazzino della nostra famiglia che venne poi perquisito dalla Dia. Era nascosto nell’intercapedine di un divano e non fu trovato”. Al giudice in quel periodo arrivarono in procura a Palermo diverse lettere anonime di minaccia di morte. Non solo per il procuratore ma anche per tre imprenditori, politici e per l’allora presidente della regione, Giuseppe Campione. Ma in particolare quella per Caselli – alla luce delle ultime dichiarazioni di Spatuzza – si rivela esattissima e inquietante per i riferimenti: “Ti facciamo saltare con un missile terra-aria che ci è arrivato dalla Jugoslavia. Spariamo contro l’elicottero che ti porta da Punta Raisi a Boccadifalco”.

Due incontri a Milano, proprio come diceva Cucuzza. Quale miglior riscontro si potrebbe trovare? In seguito, nel 1995, Mangano viene di nuovo arrestato (stavolta per omicidio). Ma Dell’Utri, eletto nel ’96 al Parlamento italiano, nel ’99 al Parlamento europeo, e nel 2001 di nuovo in quello italiano, continua a intrattenere rapporti con la mafia, come risulta da alcune intercettazioni ambientali. Microspie nell’autoscuola Nel 1999, subito prima delle elezioni europee del 13 giugno in cui Dell’Utri è candidato nel collegioSicilia-Sardegna, l’Arma intercetta le conversazioni di alcuni fedelissimi di Provenzano nell’autoscuola «Primavera», gestita da Carmelo Amato, poi arrestato. Da anni quello è un ritrovo abituale dei piú stretti collaboratori di Provenzano, talora alla presenza del boss medesimo. Altre volte alla presenza di Tanino Cinà. Nelle intercettazioni, Amato parla spesso di Dell’Utri. Il 5 maggio 1999 ne discute con l’amico Michele Lo Forte e fa riferimento al voto della Camera che ha appena salvato Dell’Utri dall’arresto chiesto da quei «cornuti» dei giudici , e alla necessità di mandarlo al Parlamento europeo per renderlo intoccabile: Amato – ...maaah, ma dobbiamo portare a Dell’Utri! Lo Forte – Minchia... ora c’è Dell’Utri! Dell’Utri... Amato – Compare, lo dobbiamo aiutare, perché se no lo fottono! Lo Forte – È logico, perché non lo tocca nessuno, nemmeno qua! [o simile]. Amato – Eh, compa’, se passa lui e acchiana [sale] alle europee, non lo tocca Due giorni dopo, i due riparlano della cosa, poi Amato ne ragiona con altri “amici”. Amato dice, tra l'altro, che per far eleggere Dell'Utri “c'è un impegno”. Riassumendo le conversazioni, i giudici scrivono: “Emerge a chiare lettere, per quanto attiene alla posizione dell’imputato Marcello Dell’Utri, che nell’ambiente mafioso era stata presa una netta e precisa decisione in ordine al candidato da votare e fare votare in occasione delle imminenti consultazioni. [...] E che si trattasse di un proposito non facente esclusivamente capo alla persona di Amato Carmelo, ma che fosse maturato e deciso in seno al sodalizio criminale, è circostanza emergente da alcuni passaggi, come quello che si evidenzia nella conversazione del 22 maggio, quando l’Amato specifica al suo interlocutore (Gioacchino Severino) il fatto che «i cristiani si stanno preparando», evidentemente riferendosi[...] ad una moltitudine di persone della cui disponibilità a votare Dell’Utri l’Amato era certo perché, evidentemente, persone facenti parte del suo stesso sodalizio criminoso o ad esso vicine. [...] Inoltre, che non fosse una determinazione, frutto di una libera scelta, anche di ordine collettivo, si coglie in diversi passaggi delle conversazioni intercettate, nei quali l’Amato mostrava di aderire a questa decisione con riluttanza, espressa dalla considerazione che «purtroppo» si doveva votare per Dell’Utri, perché c’era un impegno in tal senso”.Ancora una volta la prova contro Dell’Utri non arriva dalla voce di un pentito, ma da intercettazioni: cioè da «elementi obbiettivi di prova, formatisi in un contesto assolutamente genuino e scevro da qualsivoglia condizionamento. Il patto con la mafia Nella primavera del 2001 è di nuovo campagna elettorale, stavolta per le politiche nazionali e per le regionali. La Procura infila alcune microspie nell’abitazione del medico mafioso Giuseppe Guttadauro, «reggente» del mandamento di Brancaccio, appena uscito dal carcere. Anche in queste conversazioni ricorre il nome di Dell’Utri, candidato stavolta al Senato. Il 9 aprile 2001 Guttadauro parla con Salvatore Aragona, anche lui medico, anche lui già condannato per fatti di mafia e dice: “Dell’Utri, si presentò alle europee, compreso Musotto, hanno preso degli impegni, dopo le europee ca acchianaru [furono eletti] non si sono visti piú con nessuno”. Il 20 maggio Guttadauro si lamenta di nuovo: “Ma lui se

viene deve pigghiari impegni e l’ava a manteniri però”. Poi il 29 maggio il boss rivela a un amico persino il nome del capomafia con cui Dell'Utri si era accordato. Dice Guttadauro: “Dell’Utri non è piú venuto a Palermo... perché l’unica persona con cui parlava Dell’Utri lo hanno arrestato, quello con cui Dell’Utri ha preso l’impegno, ca fú ddu cristiano, chistu Iachinu Capizzi.”. Poco importa che Dell’Utri non abbia mantenuto gli impegni: “Quel che importa è che l’imputato la promessa, quella particolare promessa sopra descritta, l’avesse fatta e fosse stato ritenuto credibile dai suoi referenti mafiosi nel momento in cui si era verificato l’accordo. [...]. l’ennesima emergenza obbiettiva conferma l’effettiva verificazione di un patto di scambio politico-mafioso tra Cosa nostra e Dell’Utri, relativamente alle elezioni europee del 1999, quelle a cui fa riferimento nel 2001 il boss Guttadauro quando dice che Dell’Utri aveva «preso impegni»; quelle stesse consultazioni alle quali si era fatto riferimento nelle conversazioni intercettate [...] all’interno dell’autovettura in uso ad Amato Carmelo”. Fondamentale il riferimento che il boss Guttadauro fa a “Gioacchino Capizzi, il vecchio capomafia con il quale Dell’Utri aveva parlato ed aveva preso impegni (si ricordi che, a quell’epoca, Mangano era detenuto). E Gioacchino Capizzi, è stato compiutamente identificato [...] nel responsabile del mandamento della «Guadagna o Santa Maria di Gesú», cioè quello stesso mandamento comandato, molti anni prima, da Stefano Bontate, al quale erano succeduti i fratelli Pullarà ed al quale apparteneva anche Vittorio Mangano fino a quando la sua «famiglia» non era passata sotto il comando di Pippo Calò. E, ancora, non a caso, Capizzi era uno dei soggetti, ritenuti responsabili di numerosi omicidi, in stretti rapporti di frequentazione con Amato Carmelo, proprio nel [...] 1999”. La conclusione fa rabbrividire: “Ritiene il Tribunale che le emergenze dibattimentali abbiano consentito l’acquisizione di certi e sufficienti elementi di prova in ordine alla compromissione mafiosa dell’imputato anche relativamente alla sua stagione politica, [...]. l’indagine dibattimentale ha evidenziato [...] inoppugnabili elementi di prova della responsabilità dell’imputato in ordine ai reati contestatigli”. Considerazioni conclusive Per Dell'Utri la pena deve essere “più severa” rispetto ai 7 anni comminati a Cinà “e deve essere determinata in anni 9 di reclusione, dovendosi negativamen-

“Inoppugnabili elementi di riscontro” del reato: “L’imputato ha voluto mantenere vivo per circa trent’anni il suo rapporto con l’organizzazione” te apprezzare la circostanza che l’imputato ha voluto mantenere vivo per circa trent’anni il suo rapporto con l’organizzazione (sopravvissuto anche alle stragi del 1992 e 1993, quando i tradizionali referenti, non piú affidabili, venivano raggiunti dalla «vendetta» di Cosa nostra) e ciò nonostante il mutare della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso e pur avendo, a motivo delle sue condizioni personali, sociali, culturali ed economiche, tutte le possibilità concrete per distaccarsene e per rifiutare ogni qualsivoglia richiesta da parte dei soggetti intranei o vicini a Cosa nostra [...]. Infine, si connota negativamente la sua disponibilità verso l’organizzazione mafiosa attinente al campo della politica, in un periodo storico in cui Cosa nostra aveva dimostrato la sua efferatezza criminale attraverso la commissione di stragi gravissime, espressioni d un disegno eversivo contro lo Stato, e, inoltre, quando la sua figura di uomo pubblico e le responsabilità connesse agli incarichi istituzionali assunti, avrebbero dovuto imporgli ancora maggiore accortezza e rigore morale, inducendolo ad evitare ogni contaminazione con quell’ambiente mafioso le cui dinamiche egli conosceva assai bene per tutta la storia pregressa legata all’esercizio delle sue attività manageriali di alto livello”.


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Giovedì 10 dicembre 2009

OPPOSIZIONI

ANTIBERLUSCONISMO? NON È UNA PAROLACCIA Sergio Cofferati spiazza: “Il popolo viola, energia interessante

N LOMBARDIA

Sindaco dice no alla D’Addario

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Il premier incarna un modello culturale a cui ci opponiamo” di Luca Telese

a notizia che ti spiazza arriva quando l’intervista è quasi finita, e la domanda sul congresso della Cgil spinge Sergio Cofferati a ricordarsi di due vite fa: “Certo che partecipo... Sono iscritto al sindacato pensionati, se il congresso della mia Lega si terrà quando non sono impegnato a Strasburgo voterò”. Silenzio. Chiedo: per quale documento? Cofferati fa un’altra delle sue pause leggendarie: “...Che il congresso sia per tesi contrapposte non è una novità e non deve stupire. Per quel che mi riguarda trovo molto interessanti i ragionamenti e le tesi contenute nella mozione di... presunta minoranza”. Ovvero: l’ex segretario se va a votare non vota per il suo erede, Guglielmo Epifani, e simpatizza per i suoi avversari. Ma le sorprese non finiscono: nell’intervista il riformista Cofferati (“Gli altri si definiscano come vogliono, io penso di potermi fregiare di questo titolo”) apre al popolo viola, rilancia la necessità di un’opposizione senza complessi, e spiega perchè per lui “antiberlusocnismo” non è una parolaccia.. Cofferati, lei non era contrario al No-B-Day? Assolutamente no. Non ho capito tutti i timori di alcuni miei compagni di partito. C’era il rischio di essere appiattiti sulla protesta? Noi dobbiamo essere un grande partito di alternativa riformista. Se siamo sicuri della nostra identità quale può essere il rischio di sfilare al fianco del popolo viola?”. C’era paura di parole d’ordine massimaliste Invece il ritorno che ho avuto io è molto positivo. Per carità, non c’è solo lo spontaneismo, c’erano anche spezzoni organizzati, però la novità di una manifestazione nata nella rete c’è stata. Quali novità vede? Avverto energia interessante. Il Pd è sembrato geloso della sua autonomia politica. (Sorride) Mi pare che i partiti tradizionali siano gelosi della capacità

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di mobilitazione, piuttosto. C’è chi si sente scavalcato. Io credo che sia giusto stare un passo indietro quando a organizzarsi sono i cittadini. Ma lei condivideva quelle parole d’ordine radicali? Allora: ‘Berlusconi dimettiti’ non è il mio slogan. Ma non c’era solo quello: condivido l’idea di cambiamento che quei ragazzi hanno espresso anche con quello slogan. Ci sono state critiche al Pd per le aperture sulla giustizia al centrodestra. Nemmeno a me piace la proposta di Letta sul diritto di Berlusconi a difendersi dal processo. Credo che la posizione di Bersani, molto netta, sia un’altra. Il Pd adesso deve farla vivere in Parlamento. Altra obiezione al popolo viola: c’è troppo antiberlusconismo. (Sorride ancora). Mi piacerebbe fare chiarezza anche su questo. Se antiberlusconismo è opporsi in modo ossessivo e pregiudiziale a una persona non condivido.... Invece... Se devo oppormi a un governo presieduto da Berlusconi faccio fatica a prendermela con Alfano o la Carfagna. L’antialfanismo.... Capisco che alla destra sia utile. Ma Berlusconi non è solo una persona. E’ una responsabilità politica, un modello culturale, un’idea

dei rapporti istituzionali che a me non piace per nulla. Se ci si riferisce a questo, l’antiberlusconismo è un sentimento non legittimo. Anche lei giacobino? Beh, non da solo. Ci sarà un motivo se Fini difende il parlamento da questa concezione un giorno sì e l’atro pure. Non lo metta nei guai. Per carità. Solo che la crepa che si è aperta nel Pdl, l’idea di una destra più europea e rispettosa delle regole che prefigura, dovrebbe far riflettere anche noi. In Europa cosa le dicono di noi? A Strasburgo le battute su Berlusconi fioccano. E non solo per pregiudizo politico. Molti conservatori, ad esempio inglesi, non hanno nulla a che vedere con quel modello. Ma c’è anche chi è affascinato dal leaderismo di Berlusconi. Come giudica la risposta del governo alla crisi? Andrebbe spiegato, magari, che il governo non ha affatto risposto. E’ così duro? Ha soltanto spostato i problemi più avanti, senza trovare soluzioni. Mi faccia un esempio. Gli strumenti adoperati sono vecchissimi. Gli ammortizzatori sociali? Sono quelli predisposti

per la crisi del 1971! Ci sono gli incentivi industriali Archeologia industriale. Non puntano a premiare ricerca e qualità, ma solo la produttività. E i prepensionamenti? Li conosco bene. Sono nati, in questa stessa forma, per la crisi della Pirelli del 1973!. Cosa dovrebbero dire, di più, oggi, i dirigenti del Pd? Che l’Europa deve difendere la sua capacità industriale. Si dice: gli operai sulle gru sono

“Al congresso della Cgil voto, sono iscritto”. Per chi? “Le tesi più innovative sono venute dalla.... presunta minoranza”

anacronistici. Sono un grido che segnala un problema. Ma hanno più ragioni gli operai dell’Innse che difendono il loro lavoro, quelli di Porto Torres che difendono la chimica, e quelli di Termini che non vogliono far scappare la Fiat, dei liberisti che vorrebbero lasciar decidere al mercato delocalizzando tutto! E’ ingiusto dislocare la produzione dove costa meno? Spostare le nostre industrie nel sud del mondo non è intelligente e non è utile. Bisogna fare la chimica in Italia, e farla pulita. Bisogna tenere Termini imerese, e investire nella ricerca. La crisi è finita? Quella finanziaria sì. Quella economica e quella sociale no. Arriviamo a 2 milioni di disoccupati. Ma il numero crescerà quando verranno meno gli ammortizzatori sociali. Ma la sinistra ha cose da dire? Sulla crisi sociale siamo gli unici attrezzati. Su quella finanziaria gli unici a parlare delle regole che servono ad impedire al mercato di ricaderci. Il fatto che sia finita, non vuol dire che non possa ripetersi.

PROMESSE TERREMOTATE

I 3.000 e l’ultima sconfitta di Bertolaso

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remila aquilani non avranno la casa promessa entro dicembre. Otto mesi dopo il sisma, Guido Bertolaso ammette la sconfitta, sua e del governo; ma le responsabilità vanno cercate in quelle imprese che pur d’accaparrarsi gli appalti “strapagati” hanno fatto il passo più lungo della gamba: aziende “inadempienti” con le quali “stracceremo i contratti” se non recupereranno il tempo perduto. Il capo della Protezione Civile (che finisce il suo incarico il 31 dicembre) pubblica nomi e cognomi sul sito del Dipartimento: 6 consorzi di imprese che dovevano chiudere i cantieri dei Moduli abitativi provvisori entro fine anno, e lo faranno un mese dopo. In città sarà poi pronto il 60-70% di quanto preventivato, in provincia meno del 50%. E vi sono ancora 20mila persone sparse tra alberghi e case sulla costa, hotel e caserme a L’Aquila.

Sergio Cofferati visto da Manolo Fucecchi

A ROVAGNATE C’È UN PARROCO INSULTATO DAI FEDELI PERCHÉ CRITICA BOSSI

leghisti “sono dei subumani, dei bastardi ignoranti e ciechi che pensano solo ai loro interessi, a riempirsi la pancia, noncuranti del mondo che intanto va a rotoli”. Non usa toni diplomatici il brianzolo don Giorgio De Capitani, parroco di Rovagnate, in provincia di Lecco. Una battaglia, quella contro il celodurismo leghista, in cui è solo, perché “tutti i miei parrocchiani sono della Lega, come elettorato e come mentalità. Sono sempre in mezzo a loro e li conosco, sono egoisti, gretti, indifferenti”, racconta don Giorgio. La Brianza è il covo della Lega ma, dopo alcune prese di posizione pubbliche, a don Giorgio sono arrivati messaggi dai toni usati di solito a Corleone e dintorni: “In questi giorni hanno giurato che mi faranno esplodere. Dicono che mi ammazzeranno – racconta don Giorgio scorrendo sul computer le decine di mail di minaccia ricevute – e capita che, dopo la messa, alcuni

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RU486

Ok alla vendita della pillola

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stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’autorizzazione all’immissione in commercio del “medicinale per uso umano ‘Mifegyne’”, la pillola abortiva Ru 486. L’autorizzazione è pubblicata dalla Gazzetta in uscita oggi, ma consultabile già ieri on line.

SARDEGNA

Catturato il latitante Arzu

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ra nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia, ma Raffaele Arzu (30 anni, latitante dal 2002 e condannato a 14 anni per due rapine), conosciuto come il re delle rapine ai furgoni portavalori, non ha resistito al desiderio di vedere il figlioletto di 7 mesi avuto dalla fidanzata. I carabinieri lo hanno catturato mente cercava di nascondersi in un soppalco del garage di casa.

VIA GRADOLI

La guerra solitaria di don Giorgio contro il leghismo di Beatrice Borromeo

a Nazionale italiana solidale invita Patrizia D’Addario a dare il calcio d’inizio a una partita di beneficenza di un quadrangolare di calcio previsto a Paderno Dugnano (Milano) sabato 19, ma il sindaco ritiene inopportuna la presenza dell’escort e la donna ha declinato l’invito.

parrocchiani mi insultino anche a viso aperto. Persino il medico personale di Silvio Berlusconi, il dottor Alberto Zangrillo, è venuto in chiesa e ha urlato che sono un terrorista”. Entrato giovane in seminario perché “a quei tempi non si poteva scegliere”, don Giorgio è diventato prete a 25 anni. Col tempo è cresciuta la spinta alla ribellione verso una Chiesa che non condivide: “Dal Papa in giù, questa Chiesa mi sta stretta. È vittima di troppi dogmi e moralismi, basti pensare che continua ad osteggiare la distribuzione dei preservativi anche a costo di far morire migliaia di persone di Aids. Io sono favorevole all’estensione dei diritti ai gay, agli immigrati, a tutte le persone in quanto persone. Hanno cercato di scomunicarmi perchè ho firmato la petizione per il testamento biologico”. Ma – sua sponte – don Giorgio non se ne andrebbe mai perché “le cose si cambiano dall’interno”, e perché i rapporti col suo superiore, il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi (attacca-

to in questi giorni dalla Lega e considerato il punto di riferimento da un certo cattolicesimo non ciellino) sono buoni: “L’ho visto a settembre. Lui e il suo predecessore, il cardinale Carlo Maria Martini, sono uomini coraggiosi criticati perché non si fanno intimidire. Ma sbaglia il segretario di Stato, Tarcisio Bertone a difendere Tettamanzi in quanto arcivescovo, va difeso perchè dice cose giuste”. Secondo don Giorgio “è una vergogna che il Vaticano taccia sui comportamenti di Berlusconi solo per otte-

“E’ venuto qui in chiesa anche il medico personale di Berlusconi e mi ha urlato che sono un terrorista”

nere leggi favorevoli”, e del presidente del Consiglio dice che “è amorale (ma usa termini anche più crudi, ndr) perchè disprezza sia le donne che il bene comune”. Il parroco parla della sua Lombardia come della regione più xenofoba d’Italia, in cui “la mafia è legale. Chi governa è Comunione e liberazione, il vero cancro della Chiesa. La Compagnia delle opere, ramo finanziario di Cl, diventa sempre più forte, soprattutto da quando Roberto Formigoni guida la regione. Cl gestisce ospedali, giornali, parrocchie. Questo è un Sistema, non uno Stato di diritto”. Il parroco predica anche dal sito dongiorgio.it ma denuncia: “Noi preti non possiamo parlare. Invece – spiega – dovremmo raccontare la violenza che cresce ogni giorno nelle persone. Il Vaticano deve rendersi conto di quanto è indecente l’alleanza con queste forze politiche che uniscono Dio al dio Po e ai riti celtici, che non rispettano la vita degli altri, che lasciano morire gli immigrati in mare”.

Esplode bombola di gas

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iccolo incendio in via Gradoli: una bombola di gas è esplosa, provocando un piccolo incendio, in un appartamento seminterrato in una palazzina di quattro piani in via Gradoli al civico 96, a Roma. Un’altra bombola di gas era esplosa sempre a via Gradoli il 28 novembre.

LEGA-TETTAMANZI

Giallo sull’incontro riparatore

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i sarebbe dovuto essere un incontro “riparatore” dopo gli attacchi degli ultimi giorni tra la Lega e Tettamanzi. Ma in realtà di tale incontro, annunciato da Bossi, non risulta nessuna richiesta ufficiale alla Curia


Giovedì 10 dicembre 2009

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REATI DI STATO

Dentro le gabbie gelide di Ponte Galeria BASTA ESSERE SENZA DOCUMENTI PER DIVENTARE DETENUTI di Furio Colombo

i apre un immenso cancello scorrevole e al di là c’è un soldato che verifica e trattiene i documenti. Noi siamo deputati (Ferrante e io del Pd) o politici (l’ iniziativa è del giovane segretario del Partito Radicale, Mario Staderini e di Rita Bernardini) e questo determina una curiosa estraneità, come una differenza di mondi. Passano veicoli militari nella striscia d’asfalto che separa il grande cancello dagli edifici del luogo in cui stiamo per entrare e che – da fuori e da lontano - sono lastroni di cemento senza aperture. Avete visto il film “2012” sull’ imminente fine del mondo, e il senso di condanna che incombe su strutture poderose e inutili? L’ atmosfera è quella, minacciosa e allo stesso tempo non vera, come una cupa scena di Hollywood. Qui, alle porte di Roma, a Ponte Galeria, un contenitore di cemento e metallo grande e sigillato è stato preparato per chi viene catturato in un gioco perverso: il gioco dei clandestini. Gente che vive e lavora in Italia dopo essere sfuggita alla morte di guerra e alla traversata del mare, viene fermata, mentre porta i bambini a scuola o ha commesso l’imprudenza di andare in un ospedale, viene “catturata” mentre va o viene dal lavoro. E - come in quei Paesi estranei alla democrazia - i catturati sono portati qui, nelle gabbie grandi all’ aperto e in piccole stanze gelide con dodici o quindici letti sul fondo delle gabbie. In quelle stanze i catturati - che non sanno perché e per quanto saranno qui cercano di dormire, indossando tutti gli indumenti che possiedono, per non sapere la vita che stanno vivendo. Come sempre succede in questa Italia, non ci sono soldi, non ci sono Enti responsabili, non ci sono cure. Qui un essere umano costa alla Repubblica Italiana 47 euro al giorno, quasi solo per piatti precotti con giorni di anticipo e che tutti uomini e donne, ucraini e africani, descrivono come immangiabili, un bel vantaggio per chi - Dio sa con quali regole - ha vinto l’ appalto. La nostra visita non porta pace. I detenuti ci parlano con affanno e si capisce subito che non incontrano mai nessuno, che il giudice di pace, quando viene qui, non può che certificare che “mancano i documenti”, “ gli avvocati d’ ufficio” scompaiono subito, dopo la prima formalità di finto processo. I poliziotti, cercano di essere d’ aiuto agli strani visitatori. Capisci al volo che sono precisi in quello che fanno, ma sono come l’ equipaggio volenteroso di un’ astronave sperduta. Il loro vero lavoro è fuori, per le strade a protegge-

S

re i cittadini. Quelli che incontriamo hanno l’ aria di saperlo fare. Trasformati all’ improvviso in secondini (insieme ai soldati che abbiamo visto all’ esterno e che, quando sono in missione nel mondo, proteggono la stessa gente che qui è rinchiusa nelle gabbia) sembrano anch’essi sul punto di chiedere “perché siamo qui, che cosa è successo”? Invece correttamente ti spiegano tutti i passaggi della procedura arbitraria e assurda che porta qui, in detenzione e poi all’ espulsione, lavoratori che erano in Italia da anni e che hanno famiglie italiane che li aspettavano, giovani madri che l’arresto ha separato di colpo da bambini piccoli, badanti sorprese un passo lontano dall’ assistito e prive di “quel documento” (il permesso di soggiorno). I poliziotti ripetono, per chiarire, “così vuole la legge”, come per separare la loro vita di uomini e donne normali da questa vicenda che farebbe venire il cuore in gola in un film. Il visitatore “politico” come me, come Ferrante, come deputati e dirigenti dei radicali italiani che hanno organizzato questo giorno di civiltà sanno già che molti, detenuti qui, non hanno mai commesso alcun reato e stavano lavorando in Italia. Qui ci sono anche persone, portate nelle gabbie dopo aver scontato anni nelle prigioni italiane. Sono i primi a dirtelo. Qui nessuno pensa di farti pena, nessuno implora, anche se il parlare delle madri che non sanno dove sono e con chi sono i bambini è concitato, nervoso. L’ emozione è difficile da controllare, anche se l’uomo che hanno portato via mentre tornava a casa dopo il lavoro per cenare con moglie e figli e raccontare la giornata e

sentire le storie di casa, non può far finta di non piangere. Ma coloro che hanno scontato condanne te lo dicono. Ti dicono il reato. Ti dicono il luogo e il tempo. E ti raccontano il momento imprevisto e terribile. Famiglia e amici li aspettavano fuori insieme ai parenti degli altri scarcerati per fine pena. Ma loro non sono mai usciti. Li ha prelevati una polizia di frontiera che non avrebbe giurisdizione su territorio italiano. E li ha portati qui, all’

Sopra un immigrato davanti alla scritta “Cie Lager di Stato”. Sotto, al centro, il clochard Sher Khan (FOTO ANSA)

due medici della Croce Rossa (uno nero, uno bianco, il dottor Amos Dawodu è il responsabile) provvedono da soli e senza mezzi, come nell’ avamposto assediato di una guerra. Infatti le Asl del Lazio di questi malati non ne vogliono sapere. E non ci sono nomi o numeri di telefono per cercare l’ aiuto di un avvocato. Ho già detto - e devo ripeterlo - che l’ 80%, di donne e uomini portati nelle

Gli immigrati vengono “catturati” e portati nei Cie perché non identificati, spesso li aspetta un volo per il rimpatrio insaputa di tutti, senza avvocato, senza difesa, senza spiegazioni, senza diritti. A carico e a danno degli ex detenuti si verifica il fatto giuridicamente più illegale e umanamente più umiliante. Queste persone hanno subito un processo, spesso anche di appello, hanno scontato la pena. Il che vuol dire che la Repubblica Italiana sa chi sono, lo sanno la Polizia e i tribunali, c’ è scritto nella sentenza e in prigione. Ma questo, Ponte Galeria, con i gabbioni all’ aperto per muoversi, e le stanze gelide per dormire, è un “Centro di Identificazione ed Espulsione”: dunque bisogna identificare, il resto non conta. Dunque i detenuti aspettano nel vuoto del tempo e nello squallore del posto, dove nessuno ti difende, nessuno ti ascolta, nessuno ti cura. Ho già detto- e vorrei ripeterlo- che

gabbie, di Ponte Galeria non ha commesso alcun reato, non è accusato di nulla. Resta ti dicono ma rimangono detenuti in queste gabbie e in queste stanze tra 12 o 15 letti finché i poliziotti, che non dispongono di mezzi o connessioni internazionali, li avranno identificati. Il momento più temuto sono due agenti che ti affiancano e ti portano all’ aeroporto in qualunque momento per farti salire insieme a loro su un aereo diretto in un luogo che il più delle volte i deportati non conoscono perché tutto ciò che hanno, dai figli al lavoro, è in Italia. Una legge detta “il pacchetto sicurezza”, che tratta tutti gli immigrati come criminali, li deporta fuori dal Paese che hanno arricchito con il loro lavoro (uso l’ argomento dell’ economista conservatore Milton Friedman), fuori dalla Co-

Muore di freddo a Roma Sher Khan, leader dei clochard di Carlo Tecce

hissà da quante ore quel corpo morto Cvisibile faceva da corredo a piazza Vittorio. Inallo sguardo della gente. Mohammed Muzaffar Alì - detto Sher Khan - aveva lottato, opponendo il suo corpo sofferen-

te di rifugiato politico, per impedire che un emigrante, un barbone, un poveraccio di qualsiasi colore potesse consumarsi e poi diventare cadavere, così, tra la notte e il giorno. Proprio com’è successo a lui. Ucciso dal freddo, un colpevole sempre impunito. Il pachistano Sher Khan aveva steso il suo letto di cartoni sui marciapiedi di Roma, tre giorni fa l’avevano cacciato dal centro accoglienza di Ponte Galeria. La strada era la sua casa, i barboni la sua famiglia. E lui, scappato alla morte, aveva rischiato la galera per la vita degli altri. Aveva partecipato all’occupazione dell'ex pastificio “Pantanella”, insieme a don Luigi Di Liegro, il fondato-

stituzione Italiana, fuori dal corpo giuridico dei Paesi civili, lontano da ogni riferimento alla Carta dei Diritti dell’ Uomo. Perché tanti italiani tacciono? Il cardinale Tettamanzi, ha certo voluto dire che non lui bisogna difendere ma gli immigrati, le loro famiglie, le madri portate nelle gabbie di Ponte Galeria centinaia di chilometri lontani dai loro bambini, l’ operaio che stava tornando dal lavoro nel solo Paese che conosce, mentre stava tornando

dalla sola famiglia che ha e adesso gli spetta un volo a caso, verso un luogo che non lo riguarda, uno che non ha mai violato la legge. Fuori ci sono le camionette dell’ esercito, ma qui non sono in missione di pace. È una strana missione incivile di cui o non sanno o cercano di non sapere. Soldati dell’ Esercito Italiano col tricolore sul braccio sono agli ordini della Lega Nord per l’ indipendenza della Padania.

LA SCHEDA

QUASI 2000 PERSONE NEI 13 CENTRI IN ITALIA

I

Cie (Centri di identificazione ed Espulsione) in Italia oggi sono 13 destinati però ad aumentare. Il Ministro Maroni ha preannunciato di volerne aprire uno nuovo anche in provincia di Brescia. I Centri sono dislocati lungo tutta la Penisola. La vita al loro interno si svolge tra tre appuntamenti: alle 8 per la colazione, alle 12 il pranzo e alle 18 per la cena. In mezzo, il nulla di cemento e sbarre di ferro. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno, a fine agosto, le persone presenti nei Cie erano 1.806. Nel dettaglio 132 nel Cie di Milano, 248 Gorizia, 60 a Modena, 90 a Torino, 96 a Bologna, 364 a Ponte Galeria a Roma. Scendendo verso sud nell’area portuale di Bari gli stranieri in attesa di essere identificati erano 196, a Crotone 124, a Restinco in provincia di Brindisi invece 83. Poi ci sono i 75 di Catanzaro mentre in Sicilia troviamo 96 persone nel Cie di Caltanisetta, 43 a Trapani e 200 a Lampedusa. Complessivamente, nell’arco dell’anno sono stati oltre 4000 gli immigrati irregolari transitati nei Cie italiani di cui solo 1.640 sono stati messi su un volo per il rimpatrio. La procedura rispetto all’introduzione del reato di clandestinità prevede che l’immigrato irregolare trovato senza documenti venga denunciato. Nel caso in cui lo straniero rifiuti di fornire le generalità viene portato in un Cie dove può essere trattenuto fino a 6 mesi. Una volta identificato come irregolare compare dal giudice di pace. L’iter prevede la condanna con la conseguente espulsione. (Elisabetta Reguitti)

re della Caritas romana. Non mollava, proteggeva metro su metro, arruolatosi con una fascia verde tra i capelli. L'inizio degli anni '90, la speranza. Uomini e donne sperduti che fuggivano per disperazione e scoprivano il paese dei diritti. Da conquistare. Sher Khan ha organizzato le prime associazioni di migranti, sceglieva nomi inglesi e universali: United Asian Workers Association, i lavoratori. L’avevano condannato per un coltello. Non era un violento, aveva paura, doveva difendersi da una banda di spacciatori che l'aveva minacciato e contro la quale, da rigoroso cittadino, aveva presentato denuncia. Quella sera che macchiò la sua fedina penale, nel buio della stazione Termini, girava in auto a fari spenti con tre connazionali. Il posto di blocco, la pattuglia, la colluttazione: resistenza a pubblico ufficiale, detenzione di arma bianca. Quando la giustizia è perentoria, e pure veloce: cinque mesi di reclusione e 50 mila lire di multa. Alessandra Caligiuri della

bengalese “Dhuumcatu” conosceva il leader dei senza fissa dimora. Tre parole per lavarsi la coscienza, per evitare l’antico barboni: “Ha subito una vera e propria persecuzione da parte delle autorità”. Sbattuto da un posto all’altro, sgomberato dallo stabile di via Salaria. Qualche anno fa, alla fermata di via Cavour, dei bulli l’avevano aggredito in gruppo. Era il dirigente più in vista della comunità di pachistani, doveva pagare per quel presidio in piazza della Repubblica - che semmai aveva intasato il traffico - e per lo sciopero della fame. Aveva intralciato, dovevano rimuoverlo. E lo stesero con la moto, lo presero a calci e ancora con la moto, immobilizzato, volevo frantumargli la testa. Era duro, se la cavò con la spalla lussata e le solite escoriazioni. Non lasciò la strada, non aveva dove andare. Passati i giovani furori, il freddo l’ha ucciso a 55 anni. Il Comune di Roma aveva previsto un “piano freddo” dal 1 dicembre al 31 maggio. Forse è iniziato con una settimana bianca.


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Giovedì 10 dicembre 2009

IMPRESE DI BANDIERA

Anche il passato all’asta per fare cassa LA NOTTE DEI QUADRI ALITALIA di Stefano Feltri

ono pochi secondi, ma raccontano la fine di Alitalia meglio di tutti i bilanci e le relazioni dei tribunali fallimentari. Dal podio Georgia Bava, banditore della casa d’aste Finarte, alza il martelletto per la centoquarantaseiesima volta in tre ore e dichiara invenduto il murale di tre metri per quattro “Zeus partorito dal sole” di Gino Severini. Era il quadro più importante della collezione di Alitalia che è andata all’asta martedì sera, in un palazzo di via Margutta, a Roma. Un quadro con una quotazione minima di 350 mila euro che riassume l’atmosfera di un’epoca diversa, quando il talento futurista del romano Severini veniva messo al servizio delle ambizioni della compagnia di bandiera. Era il 1954 quando la Lai e Alitalia inauguravano l’agenzia comune di Parigi, con l’enorme quadro di Severini ad accogliere i clienti, mastodontico biglietto da visita della frenesia italiana negli anni del boom. Oggi la nuova Alitalia, parola del suo amministratore Rocco

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Sabelli, sogna di essere una compagnia low cost tagliando tutte le voci di spesa. Ma per una breve stagione, una ventina d’anni prima di sprofondare nel quindicennio infinito che ha portato alla privatizzazione pagata dai contribuenti, l’Alitalia voleva dare ai suoi passeggeri “l’impressione di essere non già su un soffice tappeto di nuvole ma in una galleria di via del Babuino”, come recitava un cinegiornale d’epoca proiettato in apertura dell’asta. Poi il collasso finanziario, il passaggio dell’attività a Cai (la compagnia degli imprenditori italiani raccolti da Silvio Berlusconi per evitare la conquista da parte di Air France). E il compito affidato al commissario Augusto Fantozzi di vendere tutto il possibile, per ripagare i debiti. “La vendita della collezione artistica è un atto dovuto”, dice il vice di Fantozzi, Antonio Leozappa presente all’asta. In sala – nella notte romana dell’Immacolata – c’erano oltre 400 persone attirate dai prezzi bassi di partenza (il catalogo indicava una base di 50 o 70 euro per dei De Chirico poi venduti a oltre mille euro).

Ma c’era anche quello che i “mercanti” presenti, come si definiscono tra loro i galleristi, hanno definito “il sovrapprezzo Alitalia”. Per un gallerista, un quadro che ha nel “curriculum” la provenienza Alitalia significa la certezza di spuntare un prezzo più alto, e per un collezionista la spartana cornice di legno a prova di turbolenza vale quasi quanto il dipinto. L’asta parte a rilento, i primi lotti non si vendono. Poi le cifre iniziano a salire, arrivano i pezzi pregiati, il martelletto si alza e si abbassa mentre scrosciano gli applausi nella sala laterale che riesce a seguire l’asta solo grazie a un funzionario della Finarte che, arrampicato su una colonna, grida le offerte di quelli troppo lontani dal banditore. “Non ho mai visto tanti telefoni a un’asta di questo genere”, dice un giovane gallerista, osservando la fila di ragazze che dai cordless trattano le cifre alte per clienti che preferiscono restare a casa, senza esporsi agli sguardi della platea. E così, un pezzo dopo l’altro, la collezione che fu vanto della compagnia di bandiera, celebrata dalle co-

I quadri della collezione storica di Alitalia all’asta martedì sera a Roma (FOTO ANSA)

pertine di una rivista indimenticata dagli antiquari, “Freccia Alata”, si frammenta nelle case romane dei collezionisti che alzano il cartoncino numerato. Qualcuno riesce anche a fare un affare, come l’acquirente (misterioso perché telefonico) di un quadro di Francesco Lo Savio a soli 20 mila euro. “Regalato”, commentano tra loro gli esperti in sala, anche se tutti i prezzi vanno maggiorati di quasi il 50 per cento, tra Iva e commissioni della casa d’aste. Poi c’è chi, già sconfitto più volte, si intestardisce a rilanciare e finisce per strapagare un pittore con poco mercato come Toti Scialoja. Ma per lo “Zeus” di Severini l’effetto Alitalia non basta: costa troppo ed è un quadro che po-

chissimi privati – “forse solo il presidente del Consiglio”, dice un esperto del settore – potrebbero permettersi. Banche e istituzioni, in questo periodo, disertano le aste, perché i soldi a disposizione sono pochi e non si spendono, anche se con la crisi i prezzi dell’arte sono crollati e questo è il momento per fare affari. E così Alitalia si trova, come sempre, associata a problemi dal lato finanziario: la Finarte si deve accontentare di incassare poco più di 800 mila euro, meno della base d’asta di un milione di euro stimata alla vigilia, perché non è riuscita a piazzare il quadro che doveva fare la differenza. E che resta così a Fantozzi, anche se Finarte ha già annunciato di volerci riprova-

re ad aprile, quando tornerà a offrirlo al pubblico. Dopo la delusione sul Severini – il pubblico sperava in un duello a colpi di decine di migliaia di euro, invece niente – la sala comincia a svuotarsi. Nel cortile di Palazzo Patrizi si riversano ex dipendenti di Alitalia, quasi tutti a mani vuote, e i galleristi che hanno mancato il quadro obiettivo. Con il disincanto degli sconfitti rievocano capolavori “misteriosamente scomparsi o sostituiti da copie ben fatte, perché negli anni i dipendenti si sono portati via di tutto”. E si celebra il ricordo di “un capitello romano in una sede di Tokyo che vale una fortuna” e che chissà quale sorte gli è toccata.

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Giovedì 10 dicembre 2009

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POLITICA ECONOMICA

IL FATTO POLITICO

IL “CAZZOTTO IN FACCIA” DELLA FINANZIARIA BLINDATA Il Pd di Bersani attacca una legge

dc

Il problema Bossi di Stefano Feltri

i può obiettare che sono Sla maggioranza equilibrismi formali, ma è riuscita a

da 9miliardi di euro che spariscono in mille rivoli di Rosaria

Talarico

’asso nella manica verrà giocato solo dopo Natale. Mentre la Finanziaria è entrata nella fase finale del suo iter parlamentare (ieri è iniziata la discussione in aula alla Camera) è con il decreto legge annunciato per gennaio che si potrà parlare della vera e propria operazione di bilancio preelettorale. Lì saranno infatti concentrate le misure a sostegno dei consumi (e delle imprese), quelle più sensibili per i cittadini chiamati alle urne per le regionali. Come sottolineato dallo stesso ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, nel decreto ci sarà la proroga degli incentivi per le auto e degli elettrodomestici che non è stata inserita in Finanziaria. Forse per iniziare il nuovo anno all’insegna dell’ottimismo e dopo una Finanziaria in cui i tagli si notano più delle spese.

l’editoria (che cancella il diritto soggettivo a ottenerli) metteva a rischio i giornali di partito. Ieri però il pericolo per testate come l’Unità, La Padania e il Secolo d’Italia è rientrato, grazie all’intermediazione di Gianfranco Fini con Tremonti che ha promesso un intervento (per via legislativa, il finanziamento avverrà attraverso un ministero) in uno dei decreti legge di inizio anno.

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IL CAZZOTTO. “Nella manovra non c’è niente che riguardi il reddito e la famiglia” fa notare Pier Paolo Baretta, capogruppo del Pd in commissione Bilancio “le misure che più impattano sulla vita della gente saranno contenute nel decreto di gennaio”. E da lì in poi potrà considerarsi aperta la campagna elettorale per le elezioni regionali della primavera. La Finanziaria è oggetto di una dura critica da parte del leader del Pd, Pier Luigi Bersani, in particolare per quanto riguarda le modalità di discussione: “Non si era mai vista una fiducia in commissione. Formalmente è tutto regolare, ma nella sostanza è un cazzotto in faccia a una discussione seria”. Il riferimento è alla votazione con cui i 200 emendamenti dell’opposizione sono stati respinti in commissione con i soli voti della maggioranza. Tanto da indurre i rappresentanti dell’opposizione a lasciare l’aula per protesta.

Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti durante la discussione della Finanziaria (FOTO ANSA)

Le misure di spesa pre-elettorali sono state rimandate a un decreto legge di gennaio “Siamo qui non per discutere del metodo ma sul merito”, ha liquidato la faccenda il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Mentre la replica di Daniele Capezzone, portavoce del Pdl è stata: “Siamo alle solite. Bersani e il suo partito non propongono nulla rispetto alla Finanziaria, ma passano il tempo a lagnarsi e a recriminare”. DAI MUSEI AL BELICE. La Finanziaria approdata ieri all’esame della Camera non è più una manovra “leggera” e vale 9 miliardi. Tra gli interventi più rilevanti spicca quello per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero, il cui stanziamento è lievitato fino a 750 milioni di euro. Ma ad avere la loro

fetta di spesa pubblica sono anche una serie di micro interventi, da sud a nord. Il documento in cui vengono dettagliati è in realtà un criptico elenco di leggi con rimandi ad articoli e commi anche più oscuri. Ma spulciandolo si scopre che a beneficiare della cifra complessiva di 200 milioni di euro saranno il Museo tattile statale Omero di Ancona, le iniziative culturali degli esuli italiani dell’Istria-Fiume-Dalmazia, la imprescindibile Biblioteca italiana Regina Margherita di Monza, la Fondazione dell’Istituto mediterraneo di ematologia, l’Unione italiana ciechi. Ma anche mini interventi di settore come la polizza contro i danni del maltempo in agricoltura o il programma triennale della pesca e acquacoltura, C’è posto anche per i terremotati del Belice, che riceveranno una quota dei 200 milioni. Non lo stesso può dirsi per quelli de L’Aquila, per i quali è prevista solo una proroga della sospensione dal versamento dei tributi. Niente del tutto anche per altre due tragedie accadute nei mesi scorsi, l’alluvione di Messina e l’incidente ferroviario di Viareggio. Sulla ripartizione dei 200 mi-

IL TFR TOLTO ALL’INPS

IL NUOVO DEBITO MASCHERATO i provvedimenti che stanno suscitando più Tne rapolemiche nella Finanziaria 2010 in discussioalla Camera c’è il ricorso ai Tfr dell’Inps per finanziare la manovra: 3,1 miliardi di euro che rappresentano il 33,5 per cento delle coperture delle spese previste. Si tratta delle liquidazioni (i trattamenti di fine rapporto) di lavoratori di aziende con più di 50 dipendenti che, quando c’è stata la riforma del 2007, non li hanno destinati ai fondi di categoria e non hanno chiesto che venissero lasciati in azienda. “Nessuna novità sostanziale, nessun problema per i lavoratori”, dice il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. La Cgil, il Partito democratico e l’Italia dei valori protestano. Abbiamo chiesto il parere di Maria Cecilia Guerra, docente di Scienze delle finanze all’Università di Modena e Reggio Emilia, oltre che economista del sito lavoce.info.

Il governo spende il Tfr: le liquidazioni non rischiano ma è come emettere debito pubblico

lioni però nulla si sa, visto che sarà Tremonti a decidere con un decreto successivo. I libri di testo scolastici saranno ancora gratuiti per chi ne ha diritto, visto che è stata rifinanziata la spesa su questo punto (103 milioni). Gli altri interventi di peso sono quelli relativi all’autotrasporto (400 milioni), il trasferimento agli enti locali delle compensazioni per l’Ici, la nascita della Banca del Mezzogiorno (con il suo travagliato iter legislativo che ha portato alla fine a inserirla nel maxiemendamento alla Camera). Altri 370 milioni sono a disposizione dei comuni interessati a stabilizzare i lavoratori socialmente utili. Il limite inserito in Finanziaria allo stanziamento dei contributi per

I TAGLI. Tra gli altri, i tagli riguarderanno anche gli stanziamenti per la rete consolare e i servizi offerti alle imprese all’estero. E nonostante i proclami berlusconiani durante il G8 a L’Aquila, la lotta alla fame nel mondo dovrà attendere tempi migliori: si registrano riduzioni delle risorse anche anche per quanto riguarda i fondi per la cooperazione internazionale. Lo scontro politico sulla Finanziaria sta crescendo in queste ore anche a causa della volontà del governo di porre la questione di fiducia (sarebbe la ventisettesima da inizio legislatura) per assicurare un’approvazione senza problemi. L'intenzione di blindare il testo da parte dell’esecutivo è fortemente criticata dalle opposizioni: Pd, Udc e Idv si dicono pronti a “ridurre drasticamente” i propri emendamenti alla Finanziaria per evitare che il governo ponga la fiducia sulla manovra.

LODO MONDADORI

Il banchiere e la fideiussione

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hi, se non il “banchiere di sistema”, poteva farsi carico di gestire la fideiussione più importante della Seconda Repubblica? Ieri Corrado Passera, capo operativo di Intesa Sanpaolo, ha ammesso: “Ci stiamo lavorando”. I dettagli si sapranno il 22 dicembre, quando Cir e Fininvest discuteranno la fideiussione da 750 milioni di euro che le due parti – cioè Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi – hanno individuato come compromesso in attesa della decisione definitiva sul maxi risarcimento per la corruzione giudiziaria nel lodo Mondadori. Passera si inserisce così in un’altra operazione politicamente sensibile, primo interlocutore bancario del governo. Ma, stando alle voci che circolano, il telefono di Pasquale Cannatelli, ad di Fininvest, era rovente nelle ore dopo la sentenza, tutti volevano quello che Passera ha ottenuto. E perfino Alessandro Profumo avrebbe cercato di occuparsi della fideiussione con Unicredit.

Professoressa Guerra, i lavoratori che hanno il tfr all’Inps devono preoccuparsi? Un po’ sì. Mentre prima della riforma del 2007 il tfr rimaneva a disposizione delle imprese, come un prestito forzoso, ora quello delle imprese con più di 50 dipendenti viene affidato in gestione all’Inps che resta il soggetto responsabile del debito definitivo. Quindi, se l’Inps resta responsabile ma il governo spende i soldi, è come se il debito si trasferisse dall’Inps allo Stato? Credo che definirlo un indebitamento mascherato sia un’analisi corretta. Come tutti gli interventi su welfare e pensioni ha un costo che viene differito nel tempo: questo governo spende, ma sarà un altro, magari tra quindici anni, a pagare il conto. Succede lo stesso con le agevolazioni fiscali per i fondi pensione il cui costo verrà pagato in futuro. Il vero rischio sembra dunque che lo Stato si trovi senza soldi quando dovrà pagare il debito. La differenza la fa il modo in cui le risorse, in questo caso i tfr presi dall’Inps, vengono impiegate. Si possono investire in modo produttivo, preservando o forse aumentando il loro valore,

risolvere (o congelare) molti dei problemi al suo interno tranne uno: Umberto Bossi. Le polemiche sulle moschee prima, e gli attacchi al cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi poi, stanno complicando un rapporto con la chiesa che per la Lega stava diventando importante. Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, liquida le iniziative leghiste come battaglie “in chiave etnica o para-religiosa”. Assente dal dibattito di politica economica sulla Finanziaria, per conseguenza del compromesso trovato con una parte del Pdl sul ruolo del ministro Giulio Tremonti, il Carroccio resta nei titoli dei giornali con le campagne identitarie. Ma questa volta potrebbe aver esagerato, muovendosi con troppo impeto in una regione, la Lombardia, che Bossi continua a sognare di avere alle regionali del 2010. Anche se non se ne parla quasi più, sta per riaprirsi lo scontro sulla presidenza del Veneto: ieri Giancarlo Galan, governatore uscente del Pdl, ha ribadito che non vuole lasciare la poltrona a un leghista. er il resto il governo sta Palmeno riuscendo a saltare, o ad aggirare, diversi ostacoli. E’ ormai chiaro che sulla Finanziaria ci sarà il voto di fiducia, ma i finiani – e lo stesso Gianfranco Fini – possono rivendicare di aver ottenuto che non ci sia il voto di fiducia su un maxiemendamento (ma questo è possibile solo perché il testo è già stato blindato in commissione Bilancio, salvando la forma ma non la sostanza). Dopo aver tenuto qualche centinaio di giornalisti in ansia per due giorni, ieri il governo ha annunciato anche l’intenzione di conservare i finanziamenti pubblici ai giornali. Nessuna misura strutturale o riforma del settore, ma un provvedimento promesso per gennaio frutto, anche in questo caso, di una mediazione di Fini (direttamente interessato a preservare il suo quotidiano d’area, Il secolo d’Italia). a questione su cui Ltrovare sembra improbabile soluzioni di

oppure spendere per finanziare, per esempio, una missione in Afghanistan. Nel secondo caso il governo potrebbe precludersi la possibilità di ripagare il dovuto. E comunque sarà un governo diverso da questo a doversi confrontare con il problema. Nel complesso che impressione le fa questa Finanziaria? Doveva essere una manovra leggera e alla fine non lo è, visto che vale ormai quasi nove miliardi. Non tutti i provvedimenti sono da criticare, ci sono diverse cose che si salvano come gli interventi sugli ammortizzatori. Il problema è che non ci sono scelte caratterizzanti, si percepisce la mancanza di un progetto, non ci sono punti su cui il governo metta la faccia facendo scelte nette. (Ste. Fel.)

compromesso resta quella del processo breve. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha intimato ai magistrati di andare meno in televisione e l’Associazione nazionale magistrati annuncia mobilitazioni per gennaio. Lunedì anche il Consiglio superiore della magistratura dovrebbe pronunciarsi contro la norma. Su questo terreno lo scontro è appena iniziato.


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Giovedì 10 dicembre 2009

DAL MONDO

IL NATALE IN ROSSO DI ATENE Stato in bolletta e scontri studenteschi: sta già svanendo il sogno dei socialisti

di Giorgio Arbatov

rima gli scontri di Atene, poi la crisi in Borsa. Sono giorni difficili per George Papandreu, il premier socialista che guida il governo della Grecia da 6 settimane. Gli analisti dell’agenzia Fitch hanno appena abbassato il rating del paese, un segno di sfiducia che ha avuto ripercussioni immediate sui mercati europei. Il problema più grande riguarda i conti pubblici: nel 2009, il debito ha raggiunto il 130% del Pil, il ministero dell’Economia rassicura i risparmiatori ma molti temono che, di questo passo, sarà impossibile rimborsare i titoli di stato. È una grana che mette in allerta diversi governi d’Europa. I “sirtaki bond”, così li chiama la stampa internazionale, spaventano Francia e Germania, che hanno investito 115 miliardi di dollari su questo mercato. Secondo il presidente di Deutsche Bank, Josef Ackerman, la Grecia è diventata “una bomba a orologeria” e alcuni ministri tedeschi hanno già avuto incontri bilaterali con i colleghi di Atene per avere garanzie; a Parigi non fanno commenti ma lo stato d’animo è lo stesso. L’Italia sarebbe meno esposta a questo pericolo. La situazione preoccupa l’Unione europea: negli ultimi giorni è intervenuto il numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, che segue gli sviluppi “da

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vicino”, mentre il commissario europeo per gli Affari monetari, Joaquin Alumnia, dice che l’Europa è pronta a intervenire. Nessuno si augura che l’Unione debba arrivare a tanto: la Grecia è nella zona euro, ha firmato un patto che non prevede clausole di uscita. Il prezzo di un eventuale crack non lo pagherebbe soltanto Atene, ma anche la reputazione della moneta unica. L’osservato speciale è il ministro dell’Economia, George Papaconstantineu, che volerà a Bruxelles a gennaio per spiegare la ricetta greca contro la crisi: “Sappiamo quanto siamo difficili le decisioni che dovrà assumere nei prossimi giorni”, ha detto Alumnia. Papandreu ha vinto elezioni in autunno. Il suo programma prevedeva una serie di riforme verdi per rilanciare l’economia, ma la situazione delle finanze pubbliche ha congelato i progetti: di questi tempi è impossibile programmare nuove spese, figuriamoci una rivoluzione. Ora il premier pensa di intervenire in modo deciso sulle banche, il settore più colpito dalla crisi. La scorsa settimana si è dimesso il capo di Nbg, l’isti-

tuto di credito più antico del paese, e ci sono dubbi anche sul futuro di George Provopoulos, il governatore della Banca centrale: si è già tagliato lo stipendio del 20%, forse è la mossa giusta per mantenere il posto, ma la fiducia degli investitori sembra svanita. Nei prossimi giorni, altre agenzie di rating potrebbero rivedere i giudizi sul mercato greco. Nelle strade i problemi sono ancora più gravi e questo rende terribilmente difficile il lavoro dei socialisti. Lo scorso fine settimana, migliaia di giovani (molti provenienti dal resto d’Europa) hanno affrontato in piazza 6mila agenti in assetto antissommossa per ricordare Alexandros Grigolopoulos, il ragazzo di 15 anni ucciso un anno fa dalla polizia. Il grosso degli scontri è avvenuto nel quartiere Exarchia di Atene, ma disordini sono stati segnalati anche a Patrasso, Rodi e Salonicco. Alla vigilia delle manifestazioni, il ministro della Protezione civile, Michalis Chryssochoidis, ha promesso il pugno di ferro contro “i vandali e i teppisti”. Risultato: Atene sotto assedio per tre giorni, 150 arresti e una

Per il resto d’Europa la Grecia è diventata una bomba a orologeria che mette a rischio i mercati globali

Gaza off limits per la Ue di Alessandro Cisilin

sraele rompe con l’Europa, e Frattini Igoverno corre a Gerusalemme a ribadire che il Berlusconi è solidissimamente filoisraeliano. La missione del titolare della Farnesina si è compiuta all’indomani della dura presa di posizione dei 27 sul quadro mediorientale, accompagnata da cervellotici distinguo: “È prevalsa la linea di chi non vuole interferire”, aveva esultato il ministro, alludendo a un presunto ammorbidimento ottenuto nella risoluzione adottata a Bruxelles. Ma nessuno ha compreso la precisazione, neppure Israele,

che ha gridato allo scandalo. Il documento finale ribadiva le critiche a Tel Aviv per l’eterno assedio ai territori palestinesi, e sanciva l’orizzonte di “Gerusalemme capitale di due Stati”, alludendo a una disponibilità a riconoscere la futura Palestina e ricordando “di non aver mai riconosciuto l’annessione israeliana di Gerusalemme Est”. Nulla di nuovo, trattandosi di concetti ribaditi da decenni dall’Onu. Tel Aviv si è però “rammaricata”, definendo l’Europa “parziale” e spiegando che la colpa dello stallo dei negoziati è della controparte. Il governo israeliano non si è però limitato alle parole. Una delegazione

trentina di feriti, compreso il rettore dell’Università, Christos Kittas, ricoverato in ospedale per un trauma cranico. Sull’episodio, le ricostruzioni non sono univoche. La polizia dice che è stato aggredito nel campus, i manifestanti rispondono che si tratta di una montatura e Indymedia pubblica alcune fotografie che mostrano Kittas allontanarsi industurbato dall’Università. Tra le persone finite in arresto ci so-

no anche 5 italiani, quattro uomini e una donna, che andranno a giudizio mercoledì prossimo. Diversi commentatori greci dicono che la vera ragione dei disordini sia proprio la situazione economica in cui versa il paese. Secondo le ultime rilevazioni dell’Istituto nazionale di statistica, il 24% dei giovani fra i 15 e i 24 anni è senza lavoro, un altro grosso problema per il governo di Papandreu.

Effetto “viola”: Parigi pensa al no Sarkozy day di Federico Mello

er una volta all’estero si parla del nostro paese non per le leggi vergogna, non per un presidente “unifit” non adatto a governare. ma per “un modo nuovo di fare politica” che ha fatto scuola. La manifestazione del No Berlusconi Day si è dimostrata un’onda, anche dal punto della comunicazione, che si riverbera in Europa ma non solo. In Cina, la televisione pubblica ha dato spazio alla manifestazione di San Giovanni, omettendo però un particolare fondamentale, ovvero che la mobilitazione è nata su Internet: il regime di Pechino - non troppo diversamente dal Tg1 che spesso ha parlato della “manifestazione di Di Pietro” - non ha voluto dare ai cinesi un esempio per mobilitazioni dal basso. In Francia, invece, come segnalato dal blog l’Anticomunitarista, è nata sempre su Facebook un No Sarkozy Day che si prefigge di organizzare una manifestazione per chiedere le dimissioni del premier francese, sull’esempio del No B. Day italiano. La pagina parigina, però, non sta riscuotendo grande successo: in quattro giorni ha raccolto a stento 2.000 iscritti. Discorso diverso per il “Popolo viola” la nuova pagina dove si sta organizzando il popolo del No B. Day: gli iscritti della pagina creata lunedì sono quasi 100.000. Sono indignati contro Feltri che li ha definiti “amici una Spatuzza” (premettono querela), stanno preparando nuove mobilitazioni (a cominciare da una manifestazione contro il Ponte di Messina) e si stanno confrontando su una “bozza di manifesto del popolo viola” pubblicata anche su noberlusconiday.org.

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ufficiale del Parlamento europeo aveva ottenuto il via libera israeliano a visitare la Striscia di Gaza. Ma a un paio d’ore dal pronunciamento europeo l’esecutivo di Tel Aviv ha deciso di sbattere la porta agli eurodeputati, adducendo “ragioni di sicurezza”, ovvero la stessa motivazione usata in tutte le sue misure politiche e militari verso i palestinesi. Rosario Crocetta, del Pd, ha protestato invocando l’intervento del ministro. Ma lo sdegno era bipartisan, con la delegazione a ricordare a Israele che “la pace in Medioriente non può essere raggiunta affamando o distruggendo la volontà del milione e mezzo di abitanti della

Striscia di Gaza”. “Tutti vogliono la pace”, ha ribadito Frattini, al quale premeva però altro: consolidare l’intesa stretta col premier Netanyahu per evitare l’avvicendamento del generale Graziano con lo spagnolo Asarta al vertice dell’Unifil, previsto a settimane, in quanto “Madrid troppo filo-araba”. Si trattava di rassicurare Israele dopo l’annuncio italiano di mille soldati in più in Afganistan, “riducendo il contingente in Libano”. Annuncio che aveva contraddetto l’impegno preso da La Russa e anche Frattini a informare preventivamente sia il Parlamento che i paesi alleati. Il Pd dimentica, Israele no.

N USA-NOBEL

“Il presidente non è Mandela”

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l presidente degli Stati Uniti Barack Obama è consapevole di non essere né Nelson Mandela né Madre Teresa. Lo ha detto il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs, citando i due predecessori di Obama alla vigilia della consegna del Nobel della Pace al presidente Usa.

ROMA

Greenpeace, clima e Colosseo

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li attivisti di Greenpeace sono saliti sul Colosseo appendendo sul monumento romano uno striscione di 300 metri quadrati con scritto “Copenaghen: Accordo Storico Adesso, Make History Now!”.

(foto di Raffaela Scaglietta)

PARIGI

Ronde di donne

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a ronda nella banlieue insicure di Parigi la faranno gruppi di donne (tra i 35 e i 45 anni): è il progetto di alcuni comuni della periferia parigina a partire da gennaio.

SPAGNA

Sì europeo alle nozze gitane

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a Corte europea dei diritti umani ha riconosciuto valido un matrimonio di rito gitano contratto in Spagna e ha condannato Madrid a pagare alla ricorrente, Maria Luisa Munoz, la pensione del marito in quanto sua vedova.


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DAL MONDO

Il Cile e l’ombra lunga di Pinochet Vigilia elettorale nell’anniversario della morte del dittatore: il miracolo economico copre il passato di Vincenzo

Marra * Santiago del Cile

ono nella capitale cilena nella settimana delle elezioni presidenziali e alla vigilia del terzo anniversario della morte di Pinochet. Cammino per le strade e mi immergo, come sempre faccio quando vengo da queste parti, nella realtà di questa terra a cui sono indissolubilmente legato. Tra pochi giorni, comunque vada, si chiuderà il ciclo della Bachelet, l’attuale presidentessa. Una legge cilena le impedisce di presentarsi in due mandati consecutivi e quindi la “Presidenta” come dicono qui, se ci saranno le condizioni, potrà ripresentarsi alle elezioni del 2013. Per questa volta, quindi, alla Bachelet, non rimane che appoggiare Eduardo Frei, il candidato della “Concer tacion” (il nostro centro-sinistra) anche lui ex presidente (1994-2000). Gli altri “uomini nuovi” sono: Piñera, uomo di destra e richissimo, appartenente a una delle sette famiglie più importanti del Cile, il 700° uomo più ricco del mondo, padrone del la compagnia aerea Lan Chile, della squadra di calcio più famosa del paese (Colo Colo) e il canale di tv a pagamento, con più abbonamenti (Chile

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BUONE NOTIZIE

Vision): il Berlusconi cileno. La vera partita è tra loro. Poi ci sono l’outsider, Marco Enriquez Ominami figlio del fondatore del Mir, Miguel Enriquez, movimento di sinistra rivoluzionario che lottò contro la dittatura Pinochet. Quando il padre fu assassinato dai militari, la madre fu esiliata in Francia, dove si risposò con un politico socialista cileno, Carlos Ominami. Marco Enriquez decise di aggiungere al nome del suo vero padre il cognome di quello con cui era cresciuto. Da qui il nome con cui si presenta ora alle elezioni Marco Enriquez-Ominami. Marco studia filosofia, poi diventa regista cinematografico, produttore di tv e poi entra in politica con il partito socialista. Ora ha 36 anni ed è il vero volto mediatico dell’ultima generazione: indipendente, né di destra né di sinistra e per questo molto criticato. L’ultimo candidato è Arrate, immancabile presenza solitaria della sinistra radicale, economista ex ministro, vicino ad Allende. Uno di questi uomini molto diversi tra loro diventerà il nuovo presidente. Gli exit-pool parlano chiaro: 36% Pinera, 26% Frei, 19% Marco, 5% Arrate. Mi sono bastati pochi giorni

nel paese sud americano più stabile di tutti, per capire ancora una volta il potere dei media, l’incredibile possibilità dei mezzi pubblicitari e di propaganda di Piñera e Marco Enriquez, finanziato da un ricchissimo ex comunista rivoluzionario del Mir, Max Marambio, uno degli uomini più ricchi del latino-America, padrone di decine di imprese, soprattutto a Cuba, che ha deciso di appoggiare con grandi mezzi il figlio del suo vecchio amico e compagno. Questo è il panorama politico del Cile. Ma questo paese e questa città, sono tanto altro: 16 milioni di persone, senza debiti pubblici ma anzi con risparmi pubblici; un paese che non ha sentito la crisi economica mondiale, grazie a un’economia accorta e alla fortuna d’esser il maggiore esportatore di rame al mondo, quasi totalmente controllato dallo Stato. Un paese che cresce, cresce moltissimo, ogni giorno che passa. Si calcola che nel 2012 anche quella fetta di popolazione più in difficoltà, circa un milione di persone, miglioreranno di tanto il loro livello di vita. Ma anche se qui a differenza della maggior parte dei paesi sudamericani, esiste la classe media, il Cile mantiene disparità sociali evidenti (5 milioni di abitanti vivono con cento dollari al mese), con retaggi postdittatoriali. Qui per esempio per votare devi essere iscritto e una volta iscritto dovrai votare sempre e in ogni caso, se non lo fai, dovrai pagare una salatissima multa, e se non paghi vai in galera. “Grazie” a questo sistema solo 4 milioni di cileni vota. Un paese dove ancor oggi non si possono bere alcolici in luoghi pubblici, per strada, nei parchi, pena la galera. Così come un uomo che gira a torso nudo

a cura della redazione di Cacaonline

INTERNET E ALBERI ECOSOSTENIBILI Ecosia, il motore di ricerca veramente ecologico Ufficialmente presentato lunedì a Berlino il nuovo motore di ricerca online http://www.ecosia.org/. Tutti i server sono alimentati da energia rinnovabile e l'80% dei profitti ricavati dalla vendita della pubblicità - secondo lo stesso sistema usato da Google - verrà destinato a un progetto del Wwf per la salvaguardia della foresta amazzonica. Secondo i calcoli di Christian Kroll, uno dei fondatori del motore di ricerca, se solo l’1% degli utenti di Internet usasse Ecosia, ogni anno si potrebbe salvare una foresta pluviale grande quanto la Svizzera. Attenzione: se digitate “energia

nucleare” formatta l'hard-disk! L’albero di Natale ecosostenibile Invece del tradizionale albero di Natale illuminato con energia da fonti fossili, quest’anno il municipio di Copenaghen ha allestito un albero alimentato a dinamo: chi vuole vederlo illuminato deve pedalare su speciali biciclette che generano corrente. Come riporta Yeslife, l’utilizzo di questa tecnologia permetterà di risparmiare circa 9 tonnellate di Co2 nell’atmosfera. Per fortuna a Copenaghen ci sono più di 350 chilometri di piste ciclabili! (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)

I funerali di Augusto Pinochet il 10 dicembre 2006. Sotto, una veduta di Santiago (FOTO ANSA)

per le strade, rischia la galera. Dove una persona che va al Pronto soccorso pubblico mezzo morto, deve comunque prima dare un assegno in bianco a garanzia altrimenti, non sarà soccorso. Un paese con evidente e discriminante disparità educativa; è incredibile la differenza tra scuola pubblica e privata: se uno si forma in una scuola pubblica praticamente non può competere con uno che si è formato in un collegio privato, non c’è partita. E i collegi pri-

vati sono molto cari e inaccessibi ai più. È normale vedere in una delle città più sicure, pulite, ordinate ed efficienti in cui sono stato, paragonabile a una città svizzera, piazze, affollati luoghi pubblici senza rumori, senza un clacson che suona ,interi e ricchissimi quartieri residenziali con filo spinato elettrificato a protezione delle proprietà dove non si vede nessuno, dove l’unica presenza umana è rappresentata dalle domestiche vestite in divisa. La gente si riunisce nei Mall, grandi centri commerciali,

edifici mostruosi dove si vende di tutto e anche da queste parti hanno sostituito le piazze e le strade. Un paese ricco pieno di storia e di futuro dove sembra prevalere la voglia di dimenticare invece di affrontare il tema della dittatura. È come se qui non si fosse vissuto il lutto, come se si fosse preferito mettere da parte invece di affrontare il problema. Anche questo è il Cile che come straniero un po’ integrato curioso e mai stanco di vedere, chiedere e capire non smetto di osservare nella sua corsa verso il futuro. (* regista)

La “Famiglia” e i cattivi cugini GOTTI JR TORNA LIBERO, MA LA MAFIA USA CONTA SEMPRE MENO di Angela Vitaliano New York

e qualcuno avesse dei dubbi sull’esistenza Sdovrebbe di Babbo Natale, o meglio di santa Claus, fare una chiacchierata con John Jr. Gotti, dal 1992 capo della potente famiglia Gambino e imputato, dal 2004, in quattro processi, tutti finiti senza il raggiungimento di un verdetto. L’ultimo ad alzare bandiera bianca, dopo 11 giorni consecutivi, è stato il giudice federale P. Kevin Castel che ha dovuto annunciare la chiusura del processo e rimandare a casa un Gotti incontenibile nella sua felicità. “Eroi”, così il gangster, ha definito i membri della giuria per il coraggio dimostrato nel decidere che le prove contro di lui non erano abbastanza forti da giustificare un verdetto di colpevolezza. Parte della responsabilità spetta proprio all’accusatore numero uno, il “pentito” John Alite, che, durante la testimonianza contro l’ex amico, ha anche parlato di una sua presunta relazione con la sorella di Gotti, Victoria, ritenuto poco credibile dalla giuria. Né sono servite le immagini dell’imputato che, in maniera visibile, minacciava Alite, durante la sua deposizione, mormorando “io ti ammazzero”. “Mio padre mi stava proteggendo – ha detto Gotti ai giornalisti – riferendosi al potente capo della ‘famiglia’ Gambino, morto in prigione nel 2002, dove scontava un ergastolo. Senza smentire, poi, la più popolare letteratura cinematografica sui mafiosi, John jr ha abbracciato e baciato tutti, ed è corso a far visita a sua madre prima di ritornare nella sua abitazione da due milioni di dollari a Oyster Bay a Long Island, dove lo aspettavano la moglie e i 6 figli. La famiglia Gambino resta una delle più potenti di Cosa Nostra, in competizione soprattutto con la famiglia Genovese, soprannominata dagli esperti la Rolls Royce della criminalità’ organizzata. Entrambe fanno parte delle “Cinque Famiglie” di New York che controllano attività criminali (e non), sia in città che in altri Stati. Nell’ottobre del 1963, quando Joseph ‘Joe Cargo’ Valachi ammise, per la prima volta, l’esistenza della Mafia, davanti alla commissione presieduta dal senatore dell’Ar-

kansas John L. McClennan, la sua testimonianza fu trasmessa in tv, alla radio e riportata dai giornali. Valachi, che, fino al giorno prima, era stato un affiliato alla potente famiglia Genovese, diventava il primo pentito della storia di Cosa Nostra. Oltre a quelli dei Gambino e dei Genovese, Valachi fece il nome delle famiglie dei Bonanno, dei Colombo e dei Lucchese che negli anni hanno sempre continuato a spartirsi gli affari, sebbene fortemente indeboliti da problemi di leadership. John Gotti divenne il capo della famiglia Gambino dopo aver commissionato l’omicidio del boss Paul Castellano che lo aveva scoperto a trafficare eroina, all’epoca ancora “invisa” da alcuni capi. Fra i vari omicidi compiuti da Gotti sr, anche quello di John Favara, un vicino di casa che aveva accidentalmente investito suo figlio Frank e che per questo venne sciolto nell’acido. Nel 1992, John Gotti fu arrestato ma continuò a dirigere gli “affari” attraverso suo figlio John jr che ha già scontato una condanna a 77 mesi di carcere fra il 1999 e il 2005. Tornato in libertà, John jr ha sempre dichiarato di aver abbandonato il crimine organizzato senza però convincere del tutto l’Fbi che continua a stargli alle calcagna, al momento senza successo. Nel frattempo però la mafia italiana è stata in parte “rimpiazzata” da quelle cinesi, russe e albanesi che, a volte, coprono giri d’affari diversi e “poco tradizionali”. Mentre le famiglie italiane continuano a gestire, per lo più, la prostituzione, il traffico di droga e le scommesse illegali legate allo sport, i russi, a esempio, si occupano di diamanti, armi, frodi sanitarie e di carte di credito e crimine informatico. Il loro insaziabile “appetito” per la violenza si sposa perfettamente con traffici pericolosi, ma lucrosi, come quello della vendita di armi ai terroristi. La mafia cinese ha iniziato la sua “escalation” sostituendosi a quella italiana, in città, in particolare per lo spaccio di droga: man mano che Little Italy scompariva lasciando spazio a Chinatown, il crimine organizzato asiatico cresceva in maniera esponenziale. La mafia cinese “impiega” anche molte donne in maniera attiva. Alla russa e cinese si è aggiunta poi la mafia albanese conosciuta come la Rudaj Organization, dal nome di uno dei suo capi, Alex Rudaj, affiancato da Nikolla Dedaj e dall’italiano Nardino Colotti, in passato legato ai Gambino attraverso Phil Loscalzo e oggi loro nemico giurato.

Russi, cinesi e albanesi sempre più agguerriti; agli italoamericani resta poco più del folklore


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CONVERSAZIONE

CAPOSSELA

Sotto il cappello i ricordi ll cantautore si racconta: politica, religione e radici di Marco Travaglio

re quei posti, tipo Bologna. Milano no, Milano è un vuoto da riempire, un teatro dell’assenza. Quando un posto non è bello, ti ci costruisci la tua geografia emotiva. Io vivo ai margini della Stazione Centrale, il più grosso mobile decò d’Europa. Ho molti più punti di contatto con i tram e le rotaie che con la Moratti. Motivi politici? Mah, parola grossa… La Moratti ha fatto l’ecopass pensando si possa combattere lo smog con metodi estorsivi. Non ti dice: non prendere l’auto. Ti dice: prendi l’auto, ma paghi. Così multa chi va col camioncino a fare le consegne, e vederlo così, modello base non acnon chi sputazza veleni col Suv. Incessoriato, senza costumi sberluctanto si scava dappertutto per fare cicanti, fuori dal suo circobarnum parcheggi, invece di piste ciclabili di trapezisti, domatori, maghi, e zone pedonali. E’ un po’ la logica mangiafuoco, scimmie in unifordel “processo breve”: non danno i me, unicorni, licantropi, renne e mezzi ai giudici per fare processi babbinatali, megafoni e organetti a più rapidi, fulminano i processi a manovella, piumaggi e pennacchi, metà strada. Vinicio Capossela è un ragazzo maLa musica, la canzone può camturo che sembra timido perché biare le cose? non si leva mai il cappello scuro e si All’inizio la canzone impegnata mi arrotola continuamente un ricciopiaceva molto. Diceva cose imporlo della barba nera. Ma è tutt’altro tanti, spazzava via tutti gli orpelli, che timido: parla deciso come un era legata a quei tempi. Fabrizio libro stampato. Un libro polveroso De André è stato fra i pochi a riudi un altro tempo ma senza tempo, scire a diventare da testimoni del perché evoca un passato che non suo tempo a coscienza di una staesiste, o forse non è di questo mongione. Ma io non ho mai sentito di do. Da un anno gira i teatri d’Italia appartenere a un tempo. Sono un col suo “Solo Show”, ora raccolto apolide del tempo e non potrei in un cofanetto con il dvd “Alive” e mai essere testimone né tantomeun cd di canzoni ai confini della no coscienza di un tempo che non realtà, anzi ben oltre. Sottotitolo: sento mio. Però chi riesce a diven“Tutto vivo niente morto!”. Un tarlo fa bene a impegnare le sue programma di vita. canzoni, anche se temo che questi Se lo leva mai, il cappello? siano tempi senza coscienze. Una Mai. Ho sempre paura di perdere volta le voci si distinguevano di qualcosa, gli oggetti, i ricordi. Fatipiù, oggi è difficile eleggere dei co ad andare a tempo e allora mi portavoce. Come scriveva Céline, porto sempre dietro tutto. Il cap“ogni buco di culo si guarda allo pello è il tappo per tener dentro specchio e vede Giove”… Le piace Céline? E’ il mio scrittore preferito Vinicio, da Hannover ad Auschwitz per l’uso che fa della lingua. La sua parola è musicale. Vinicio Capossela è nato ad Hannover, in Germania, nel 1965. Il suo Anche lui adorava le canzoprimo album “All’una e 35 circa” (1990) vince la Targa Tenco come ni vecchie. miglior opera prima. Seguono “Modì”, “Camera a Sud”, Il ballo di A che serve una canzone? San Vito”, “Liveinvolvo”, “Canzoni a manovella”, “L’indispensabile”, E’ un ottimo strumento per “Ovunque proteggi”, “Nel niente sotto il sole”, “Da solo”. Esce oggi lasciare le cose a metà: tu nelle sale “Dieci inverni” di Valerio Mieli dove Capossela recita se metti i puntini e chi ascolta stesso. Dal 25 al 30 gennaio 2010 parteciperà, con altri artisti e li deve congiungere, come scrittori, al viaggio “Un treno per Auschwitz” con 600 ragazzi di 32 nella Settimana Enigmistica. istituti superiori della provincia di Modena. Un progetto della Non succede così con la Fondazione Fossoli di Carpi in collaborazione con il circolo Fuori scrittura: è troppo precisa, Orario di Taneto di Gattatico (Reggio Emilia). Il Fatto seguirà lo scrittore ti tira troppo l’intero percorso del viaggio. dentro nella sua vicenda. Il

A

ogni cosa e impedire l’evaporazione dei ricordi. I ricordi non sono anche una comoda fuga dall’oggi? Per me no. L’oggi è sempre un regalo, infatti si chiama presente. Lei nelle sue canzoni infila tante citazioni che alla fine è impossibile distinguere ciò che è suo da ciò che è altrui. Le citazioni sono ami per catturare l’attenzione delle persone che poi devono andare avanti da sole per completare la storia. Raccolgo tutto, accatasto, ammucchio. Poi cerco il pezzo di ricambio giusto per la riparazione. Quello che più amo è il motto, la frase tipica, il linguaggio. Che è l’unico posto dove mettere, se non la vita, la tua visione della vita. Mi diverte ascoltare i mille dialetti, forse perché sono figlio di una piccola diaspora. I suoi genitori sono dell’Alta Irpinia, ma emigrarono ad Hannover dove nacque lei, che però vive a Milano anche se è residente a Scandiano, nel reggiano. Tutto molto complicato. Non proprio Scandiano: Ca De Caroli, una frazione. A fine Ottocento c’era la fornace di una manifattura, si respira l’aria di una cittadina mineraria, una piccola Manchester. Lì siamo tutti molto spiritosi, cantatori e ciarlatani. E allora perché abita a Milano? Perché non mi è mai piaciuta. E’ una città un bel po’ morta, nessuno accetta di vivere in un posto così. Ti condanna a una solitudine reiterata, ti allontana da tutti senza darti una meta in cambio. Ma favorisce il mio disegno, mi regala clandestinità interiore e autoemarginazione. Non capisci mai se è un rifugio o una prigione. Ci sono dei posti che finisci per esse-

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cantante non può, la canzone non deve essere esatta. Non lo sa nemmeno lei che significano le sue canzoni? Io lo so perfettamente, ma per gli altri il senso può esser diverso. La canzone dev’essere evocativa, essere recepita da chi la abita. Non spiega: provoca un’emozione. Evoca momenti vissuti o ancora da vivere. Non basta ascoltarla, va fatta propria. E’ un artificio emotivo. Per questo lei è sempre immerso fra strumenti strambissimi? Gli strumenti musicali sono come tanti cappelli che ti danno il timbro. Quando scrivo una canzone mi diverto a imbandire il banchetto e a pensare chi inviterò al matrimonio. Gli ottoni sono padri di famiglia che la sanno lunga e danno buoni consigli. Gli archi sono più narcisi, epici. Poi ci sono il teremìn, cioè la sega musicale, il cristalloarmonio, cioè l’organo a bicchieri e così via: spettri inconsistenti. Ti affidi alla timbrica per completare il disegno, regali vie di fuga alle parole tracciate e sparse. Battiato mi ha detto: quest’estate mi sono incazzato per quel che diceva Berlusconi sui suoi festini e ho scritto “Inneres Auge”. A lei è mai capitato? Non scrivo mai canzoni perché mi incazzo. Deve succedere un evento emotivo. Inizialmente le scrivevo nella fase finale di un amore. Poi ho smesso di pescare dalla mia vita e ho cominciato a prendere da storia, geografia e scienze. Come nel sussidiario delle scuole elementari. Storia, geografia e scienze? Sì, io non ho mai fatto la guerra, ma rielaboro l’immaginario e i residui che la storia ci ha lasciato. Case già abitate, vecchi pianoforti, mobili di legno, segni del passato prossimo. Mi sento oberato dal tempo, ma contemporaneamente riesco a fare molte cose. Subisco il fascino del mito, lo puoi adattare a molte cose. Mi affascina il tempo verticale del mito: non c’è mai il divenire del tempo orizzontale, è un eterno presente. Ecco, io cerco sempre di ribaltare la linea orizzontale verso il verticale, come Atlante. Per andare avanti bisogna lasciarsi qualcosa indietro, è un sacrificio, una ferita che cerco di lenire trasportando le cose in un tempo mitico. De André ci riusciva, partendo da un tempo molto contingente. Non cita mai altri cantanti, ma De André sì: è il suo preferito? Ogni chiave ha la sua stanza. Io per esempio ho ascoltato Matteo Salvatore più di tutti gli altri: è stato la mia chiave di accesso a un vecchio mondo fatto di freddo, vento, fame, miseria, lupi mannari. Il testimone dello sfruttamento nella società contadina. Ma il passato delle canzoni di Capossela è mitologico, non è mai esistito. E’ come lo “Strapaese” di Leo Longanesi.

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Vinicio Capossela

Non scrivo mai canzoni perché mi incazzo Deve succedere un evento emotivo E’ vero, il mio passato non esiste. Gliel’ho detto che ribalto l’asse del tempo. Il passato può essere strettissima attualità. Ma pure i versi di un salmo ti parlano di qualcosa che sta succedendo anche adesso. E’ religioso? Subisco il fascino, oltreché del mito, del rito. Mi sento animista, non nel senso delle religioni africane: mi relaziono con le cose come se avessero tutte la loro anima. Però mi interessano solo le religioni monoteiste. Nel suo tempo verticale, hanno un senso parole come destra e sinistra? E’ paradossale: viviamo in un paese che, a parole, sembra radicalizzare al massimo la destra e la sinistra in una perenne infiammazione politica. Ma solo in teoria. Poi vai a vedere i programmi e, stringi stringi, tutta questa differenza non la trovi. Ma lei ci va a votare? Sempre: il mio seggio è nella mia vecchia scuola elementare di Ventoso, altra frazione di Scandiano come Ca De Caroli. Vota per rivedere la sua scuola? No, per rispettare il voto degli altri. Dalle mie parti i vecchi comunisti, cioè i vecchi, dicono: “La sinistra l’è sempre stè un partì d’opposissiòn”. Ma lì il potere è sempre stato della sinistra, cioè dell’“opposissiòn”. Io da piccolo nemmeno ci credevo che esistessero i democristiani. Non ne avevo mai visto uno.

A fine gennaio lei sarà sul treno per Auschwitz con centinaia di studenti del modenese e altri artisti e scrittori.Come si prepara? Come dice Primo Levi, se una cosa è accaduta vuol dire che può accadere sempre. Fare memoria significa affacciarmi al pozzo che c’è in fondo all’uomo. Sul treno credo che leggerò, forse ad alta voce, il libro di Giorgio Agamben “L’archivio e il testimone”. Che sarebbe stato Auschwitz senza la testimonianza dei sopravvissuti? Tutta la storia è la testimonianza di chi ce l’ha trasmessa. Poi quando arriveremo, la seconda sera, faremo un piccolo concerto in un teatrino: intoneremo vecchie canzoni con un piano e un vecchio grammofono, come la “Rosamunda” e gli altri brani allegri che – racconta Levi – suonavano nel lager per i prigionieri. Tragicamente grottesco. Hanno mai cercato d’intrupparla politicamente? Di coinvolgerla in qualche battaglia politica? Preferisco impegnarmi su piccoli obiettivi. Una volta, chiamato da Paolo Rumiz, ho fatto il masaniello per le panchine di Trieste: una giunta folle voleva sradicarle per impedire ai barboni e agli immigrati di sdraiarsi. Un’altra volta sono andato a protestare contro la discarica del Formicoso, nel gran granaio dell’Alta Irpinia. Battaglie vinte? Chi può dirlo. Contro il silenzio e l’indifferenza si vince sempre. Però è diseducativo rivolgersi a questo o quello per dare visibilità a una battaglia. Sarà, ma se certe battaglie non le prendessero a cuore Beppe Grillo, o Dario Fo e Franca Rame, sarebbero perse in partenza. Lo so, infatti ogni tanto assecondo questa tendenza. Ma è ingiusto che un uomo di spettacolo venga usato per dare appeal mediatico a chi lotta ogni giorno per una causa giusta. Un problema deve avere visibilità perché è serio, non perché lo sponsorizza il tale. Altrimenti è la resa alla società del reality.


Giovedì 10 dicembre 2009

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SECONDO TEMPO

PIAZZA FONTANA 40 ANNI DOPO

VITTIME DIMENTICATE

In un documentario di Giovanna Gagliardo le storie cancellate dei bersagli innocenti di Malcom Pagani

erano progetti e viaggi da affrontare, famiglie da riunire, figli da crescere e fotografie da conservare, nelle vite interrotte dalla violenza e dalla follia. Giovanna Gagliardo, documentarista, ha sessantasei anni. E’ nata nelle terre di Fenoglio, ha trasportato una partigianeria non partigiana alla ricerca delle ragioni che all’improvviso, spinsero volti e pensieri normali nell’angolo stretto dell’anormalità. “Vittime” è qualcosa di più di un film, un salto nell’abisso degli anni ‘70. Un’immersione nel dolore sordo e silenzioso degli innocenti che sentirono fischiare sulla loro pelle il vento di una rivoluzione al contrario. Giovanna si è rimessa a pensare alla strage di Piazza Fontana, piombata al termine di un autunno caldissimo. E ha messo in fila nomi, ritagli di giornale, memoria condivisa e divisione mai rimarginata. Piazza Fontana, Peteano, Piazza della Loggia, Italicus, rapido 904, Bologna. Undici anni di terrore, boati, servizi deviati, infiltrati, tassisti loquaci, anarchici e malori attivi. Dodicimilasettecentosettanta episodi di violenza terroristica dal ‘69 all’85, oltre cinquemila feriti, 342 morti. Le immagini della Banca Nazionale dell’Agricoltura, il cratere al centro dell’edificio, il sangue, le schegge di vetro, le domande inevase, frammenti di un passato che ci insegue nonostante da quel pomeriggio prenatalizio, siano passati 40 anni. Il 12 dicembre del 1969, Giovanna Gagliardo aspettava a Roma. Appuntamento amoroso: “Con l’uomo che sarebbe diventato mio marito”. Una cena trasformata nel rito collettivo di una

C’

nazione. Tutti davanti alla tv, per un bianco e nero gonfio di tetri simbolismi, false notizie, mostri sbattuti in prima pagina, processi sommari. “L’eco di Milano mi colse nel tardo pomeriggio. Rimasi attonita per un tempo lunghissimo. Poi aprii la porta e alla persona che attendevo, spiegai in un’altra lingua la paura individuale. Ancora non sapevo sarebbe diventata la malattia senza quartiere, quella di una parte consistente dell’Italia di allora”. è pacifiL’sopaltra, co, intenta a ravvivere,

gabbie e rifiutavano il processo dei tribunali “borghesi”. In “Vittime”, “Un film volutamente di parte, senza contraddittorio perchè crediamo che di fornire platea e risonanza ai non ascoltati, ci fosse estremo bisogno”, come dice Mario Gianani, coraggioso produttore di Vincere di Marco Bellocchio e di Private di Saverio Costanzo. All’epoca dei fatti narrati, Gianani era solo

sud, al centro del cuore operaio. Cos’altro potevano fare calabresi, pugliesi, siciliani, se non entrare in fabbrica o indossare la divisa?” La domanda è retorica. “In molti scelsero questa seconda opzione e estinsero il debito in prima persona”. Il ‘Pagherete caro caro tutto’ come pedaggio obbligato. Lo scempio di corpi sepolti da verbosi comunicati di rivendi-

cazioni, la pietà assente, per “i luridi servi del sistema”. “Furono lasciati soli contro un nemico infinitamente più astioso di quanto loro stessi potessero immaginare. I riformisti, sempre loro in prima linea. Galli, Alessandrini, Tobagi, Casalegno. Magistrati, giornalisti, sindacalisti. Cercavano il dialogo e il compromesso. Gente che rinnegava l’estremismo e nel solco

La regista del film: “Le piccole storie private danno il senso di uno spaventoso dramma collettivo”

guardava il fiume indifferente al quotidiano bollettino di morte. Quattro decenni più tardi, quando ormai le sigle del terrore hanno scavato nella memoria goccia dopo goccia, Gagliardo ha radunato i superstiti ed eredi, incollato le ragioni di tutte le esistenze spezzate in coincidenza con timer che squassarono membra, edifici e coscienze. Dopo le impudìche autocelebrazioni di decine di terroristi, le presentazioni letterarie trasversali (rossi e neri, abbracciati), i comitati d’opinione unidirezionali, la regista sposta il punto di vista. Dallo sterminato archivio Aiviter, la banca dati delle vittime del terrorismo, Gagliardo ha estrapolato le voci meno conosciute, le lamentazioni senza ugola di tutti quelli costretti a tenere tra le mura di casa interrogativi, dietrologie e proteste. A iniziare dagli agenti della polizia carceraria, nebbia senza valore nell’invisibile, topi da eliminare nelle segrete in cui i brigatisti arringavano dalle

un bambino, “ma non mi etichettate come giovane, solo in Italia, un signore di quarant’anni è considerato tale”. Nel tono del compagno della Gagliardo nell’avventura sostenuta anche dal Ministero dei Beni culturali e da Rai Cinema (soldi, ma anche l’essenziale contributo dello sterminato archivio), brillano lampi di orgoglio. in presa diretta coRdreacconti me quello dell’anziana madi Salvatore Lanza, guardia

visuale che ha trasciAnelngolo nato Gagliardo a fari accesi suo lavoro. “interessante,

carceraria uccisa a Torino nel 1978, a 21 anni. “Non si ricordano mai gli agenti di polizia carceraria vittime del terrorismo, ma sono stati tantissimi”, argomenta con voce roca e pensieri fermi Gagliardo. “Dove c’erano i grandi processi ed erano rinchiusi i brigatisti, le guardie erano sotto tiro. Figli del Il cratere al centro della Bna di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969 (FOTO ANSA)

LA LETTERA

CAPANNA: “PRESIDENTE NAPOLITANO, LO STATO CHIEDA PERDONO PER QUELLA STRAGE” aro Presidente, l’eccidio di Cza del Piazza Fontana, nella cosciennostro popolo, è ricordato non a caso con una definizione inequivocabile: strage di Stato. Quarant’anni dopo è maturo il momento – ed è giusto e doveroso – che lo Stato chieda formalmente e pubblicamente scusa a tutti i cittadini, in primis ai familiari delle vittime, per le sue responsabilità connesse all’ignominioso attentato. Responsabilità emerse in modo

inoppugnabile nelle sedi processuali, sebbene manchi ancora la verità “ufficiale” sui mandanti. Nel rivolgermi a Te, so bene che non ho alcuna “autorità” se non quella che mi deriva dal fatto che il 12 dicembre 1969 avevo 24 anni e, assieme a molti altri, dovetti prendere decisioni rischiose: per fortuna il Movimento Studentesco milanese non si fece piegare dal terrore – e dalla sospensione, di fatto, dei diritti costituzionali. Con la storica manifestazione del 31 gennaio 1970, dopo la repressione subita da due nostre precedenti iniziative (il 18 dicembre e il 21 gennaio), Milano superò la paura e attivò la riscossa democratica, poi propagatasi in tutto il paese. In quell’immenso corteo risuonò per la prima volta lo slogan: “Valpreda è innocente, la strage è di Stato”. Ricordo le parole impegnative che il 9 maggio scorso hai pronunciato al Quirinale, di fronte alle vedove Calabresi e Pinelli. Dicesti che lo scopo della strage era quello di determinare “una

destabilizzazione del sistema democratico fino a creare le condizioni per una svolta autoritaria nella direzione del paese”, dando vita alla “strategia della tensione”, complice “l’attività depistatoria di una parte degli apparati dello Stato”. Un disegno, dunque, chiaramente liberticida, volto a ricacciare indietro le grandi conquiste delle lotte popolari, che fallì per la coraggiosa resistenza degli studenti, dei lavoratori e dei settori democratici. Oggi però, alla luce della riflessione storica, bisogna amaramente riconoscere che quel disegno ha prodotto effetti perniciosi di lungo periodo. La strage di Milano fu uno spartiacque perverso e micidiale. Prima nessuno, nei movimenti di lotta che si svolgevano alla luce del sole, si era mai organizzato per uccidere, pur subendo diverse vittime per la repressione. E’ solo dopo che il paese viene insanguinato da ben tre diverse forme di terrorismo: quello di Stato, che va avanti (strage del treno Italicus, di Brescia ecc.),

della tradizione socialista, cercava alle dinamiche del mondo del lavoro e nei protagonisti dello scontro in atto, un punto di contatto che per alcuni suonava inconcepibile”. “Volevamo che le testimonianze componessero un insieme che avesse il respiro di una storia universale, che sapesse legare ricordo a emozione, intimo a sfera pubblica”. “Vittime” ci riesce senza effetti speciali. I suoni di Francesco De Gregori, i versi di una delle sue canzoni più belle “Tutto più chiaro che qui”, le parole stese al sole di un apologo senza boria che perpetua le sue rifrazioni impedendo al paese intero una crescita armoniosa. “Come sempre, e in questo gli americani sono maestri, le storie private danno il senso compiuto di un percorso generale che ha stordito l’Italia. Le strade accidentate che ho attraversato, scandagliando dolore e spazi sentimentali custoditi con amore, non senza provare empatìa con i miei intervistati, si somigliano tutte. Per anni, l’attenzione è stata fagocitata dai terroristi, dalla loro sfida cieca, dalle biografie dei guerriglieri capaci di oscurare completamente la lettura personale delle vittime e dei loro familiari”.

quello di sinistra (Br e altri), quello di destra (Ordine Nuovo, Nar e altri). La sequenza storica è decisiva per capire e spiegare (altra cosa è giustificare). L’albero velenoso del 12 dicembre 1969 ha purtroppo alimentato frutti tossici per decenni. Lo Stato, chiedendo con chiarezza scusa ai suoi cittadini per la strage di Stato, compirebbe un atto limpido di responsabilità, premessa indispensabile per costruire quella memoria condivisa che da troppo tempo manca. Dello Stato Tu sei il supremo rappresentante. Sei l’uomo giusto, al momento giusto, nel posto giusto: non solo per il Tuo ruolo istituzionale, ma anche per la Tua sensibilità morale, culturale e politica. Nessuno, più autorevolmente di Te, può compiere il gesto storico che è necessario, proprio a quarant’anni dall’immensa ferita. Sono qui a chiederTelo con fiducia, assieme all’affetto e la stima più profondi. Con viva cordialità Mario Capanna

terribilmente interessante. La rimozione assoluta di quell’angolo inesplorato, è un peccato di cui non riesco a fornirmi valide giustificazioni. Ce ne siamo dimenticati tutti, di questo piccolo popolo che soffriva disprezzato, tra una corona di fiori e un invito a tacere”. Per Gagliardo, la questione è ancestrale. “Risale ad Antigone e fa parte integrante dei doveri di una comunità. Prima ancora di arrovellarsi sui perchè di un delitto, una Nazione degna di questo nome, deve pensare a seppellire i morti, a dar loro e agli esseri umani cui sono stati sottratti senza un saluto, la giusta consolazione e il doveroso conforto”. Niente è stato fatto e chi ha macchiato il quadro, oggi si occupa di altro. “Delfo Zorzi vive sereno in Giappone, Franco Freda scrive libri, Giovanni Ventura fa il ristoratore in Sud America, Tutti con una doppia vita, capaci di ricreare un universo che alle vittime è stato negato”. Così che Bondi abbia sostenuto il film con convinzione e qualcuno ne abbia voluto fare strumentalmente, il contraltare a Prima Linea di De Maria, a Gagliardo interessa relativamente. “Nessun imbarazzo per il sostegno del Ministero. Mi hanno chiesto di partecipare a un progetto che approvavo e ho messo a disposizione impegno e buon senso”. Mentre scorrono le immagini degli uomini caduti per terra e degli omologhi indisposti a guardare, fermarsi, comprendere, dei funerali blindati e dei morti di serie B, come il missino Giralucci, ci si sente piccoli. Vittime. Per un momento che nelle esistenze degli altri, è diventato eterno.


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PERCORSI

¡TIME

SMART

a cura di Eugenia

Romanelli

PERCORSI

smartime@ilfattoquotidiano.itper

NICCOLÒ AMMANITI

CHE LA FESTA COMINCI U

Da non perdere

SPORCO CHITARRISTA

è TORINO Chiusi dentro al museo Gli artisti Bros e Tommaso Lipari vivono accampati nella Caserma Cavalli, ex Arsenale Borgo Dora, abbandonata a uno dei quartieri multietnici più interessanti dello Stivale dal 2 al 15 del mese autoproducendo la loro opera d’arte: due istallazioni da non perdere (info@brosart.com).

Treviso

n altro successo, in tasca da una settimana, quando, a Roma, Andrea Vettoretti ha inaugurato l’Arc Rome Guitar Festival presentando il suo nuovo cd, il sesto: perché si chiama “Oh sole mio?”. “E’ stato realizzato in occasione del centenario della morte del compositore spagnolo Francisco Tárrega, il 15 dicembre di un secolo fa. Gliel’ho voluto dedicare dopo che ho scoperto alcuni suoi inediti”. In effetti non si può non rimanere inchiodati al suono con musiche come “Capriccio Arabo” o “Gran Jota”, e nemmeno ignorare il “Gran Vals”, oggi tormentone delle suonerie Nokia. Il cd (sinfonica.com), diventato colonna sonora di “Lullaby” e sotto speciale osservazione della critica internazionale, gli per-

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pensieri di cuore Y

Leggere e partecipare nutrienti e ossigenare la terra ari lettori, benvenuti su tura? “Mi viene spontaneo tra- dilatato, quasi country, amortutta: oltre che studiando e queste due nuove pagine sformare in narrazione fanta- fo, merita un ascolto, se non lavorando, un po’ si cresce stica tutto ciò che vivo, come altro perché è diverso dal so- del giovedì. Il progetto “Smart anche facendo esperienza l’altro giorno che Mantova era lito”. Prossimo romanzo? Time” nasce come bussola per (intelligente) di quanto deserta: mentre camminavo “Una storia d’amore. In fondo, orientare al tempo libero. Il sperimenta la collettività mi raccontavo una storia cata- tranne uno strano accenno in nostro impegno è servire creativa intorno a noi. Eccoci strofica su questa desolazione. “Ti prendo e ti porto via”, non intrattenimento evoluto, cioè quindi pronti esploratori alla Nella scrittura trasformo le ne ho mai scritto”. Intanto tut- segnalare eventi, iniziative, ricerca di contenuti piccole illuminazioni quoti- ti a Orvieto, il 18, dove Nicco- situazioni e ambienti indisturbati da cui importare conoscenza. Anche diane in grandi bagliori, e mi lò aggiungerà una tappa alla sperimentali, underground, inclusivi, peer2peer se piccoli, nascosti, periferici. Anzi: punteremo sua tournée letteraria con la (alla pari) in modo solidale e responsabile. incanto”. (Incantando). l’attenzione sui fenomeni emergenti, gli artisti E adesso lavori un po’ lei: ci lettura di tracce del suo libro Insomma rispettando il criterio di qualità e (bravi) meno conosciuti, gli spettacoli ad alto criticità dei contenuti e cercando sempre, guidi al weekend. “Bene. An- assieme all’attore Antonio contenuto e a basso budget, daremo voce a chi, ovunque, le zone più fertili dove pascola senza date a vedere “Il nastro bian- Mazzini (info: 339.4939097). pur avendo da dire cose nuove e di sostanza, non recinti quella specie in via co” al cinema, leggene ha, a chi osa battere strade difficili, alle d’estinzione che è la libertà di tevi – assolutamente iniziative che si appoggiano all’arte, opinione. Il vostro compito – Boyle (“Donne”, freall’intrattenimento e alla cultura per cercare di invece, se ci darete un po’ della sco di stampa) e comtrasformare la parte meno ricca dello status quo. fiducia di cui siete padroni pratevi il cd doppio E voi, cari lettori, seguiteci, sosteneteci: perché assoluti, sarà fruire del nostro ANNI ‘80 DA BALLARE “White lunar” di Nick è così che si rigenera la cultura, che si crea lavoro. Alla base, sta la Cave e Warren Ellis”. convinzione che il tempo “libero” libertà: partecipando. Insomma, niente serre né Firenze, Brescia, etc. Gli anni Ottanta, in discoteca, Perché? “1. Ci sono cattività, solo due pagine dove scorrazzare sia un campo da arare che, se ben scrittori americani non sono ancora finiti. Personaggi, modi e mode di quel allegramente tra iniziative che non hanno seminato, può produrre frutti marginali che sono periodo fanno ancora ballare, soprattutto chi in quel periodo controindicazioni. Infine (chi di voi straordinari. 2. Il cineancora non c’era. A Brescia il “Seven” chiama “Yuppies” il suo è un bazariano lo sa già: non esiste ma europeo, quando venerdì sera con Smaila, Calà & compagnia, mentre il informazione pura senza è interessante, ha una celeberrimo “Pineta” di Milano Marittima sta per trasformarsi condivisione di risorse in copy left: forza che nemmeno il in uno scrigno bianco finalmente privo di luci accecanti: già, bazarweb.info, e anche se non si cinema americano LA DOPPIA VITA DI RIMBAUD perché ovviamente qualcosa è cambiato: tutto è perfetto, dai clicca da qui, tutto questo, in possiede. 3. Un folk suoni al servizio al tavolo, e del caos di allora non resta qualche modo, ne è un’estensione) Alzi la mano chi, maschio granché. Una mia amica l’altra mattina mi scriveteci, queste sono pagine In alto Niccolò adolescente di ogni generazione, diceva che pure nell’arte contemporanea la aperte, interattive e per creare Ammaniti (F S C )) leggendo “Il battello ebbro” non forma ha preso il sopravvento sul contenuto. cultura viva, c’è bisogno di continui abbia avuto l’impulso di mettersi Certe similitudini impossibili, ma ci sono. stimoli, dei più vari e mossi. a scrivere versi trasognati, Sotto gli appuntamenti più eighties che mai.

C

PERCORSI DI TEMPO LIBERO

Serendipity

IMONA

diluendoli con ardite metafore, frutto di una vita percepita ribelle e maledetta. Recluso in un collegio del Mid-west nei Fifties, anche Edmund White subì il fascino dell’iconoclasta Rimbaud: attratto dall’improntitudine con cui visse liberamente il sodalizio omosessuale con il più anziano poeta maritato Verlaine, che arrivò a sparargli e poi a consacrarlo in una delle più note antologie della storia della poesia. Divenuto un brillante e maturo saggista White ha deciso di fare i conti con lo scandalo Rimbaud: quello di un talento visionario rivelatosi a 15 anni e abbandonato a 24, in fuga da tutto e tutti, compreso se stesso. Fino alla morte prematura in Africa, dove commerciò in armi (e non in schiavi come vuole la leggenda). La doppia vita di chi disse – anticipando il Novecento – l’io è un altro: anelito a superare se stessi per esprimere il dolore del mondo.

è AVANGUARDIE Swoooosh!

Lorenzo Tiezzi tiezzi@bazarweb.info

Roma. Città che fuggono, spazi che si frantumano, monocromie impressionanti, gesti veloci, fabbriche abbandonate circumnavigate dall’entropia, spiagge vuote e afflitte, acqua che riflette, corpi nudi che fluttuano nella tela, vagamente inquietanti, spesso ripresi dall’alto. Papetti racconta la vita attraverso immagini tremolanti, in movimento appunto, piene di grigio e bianco perché il colore, se ci fosse, sarebbe davvero troppo. Sbrigatevi (fino al 15) e guardate quel “Non necessariamente verso sera”: le macchine fuggono, i palazzi fuggono, di pedoni non v’è ombra, l’esistenza – SWOOSH!! – corre. Fermarla forse? A farlo non ci prova con nessuno di questi dipinti, “Milano”, “Bosco”, “Genova”, “Periferie”: tutto corre veloce. Perché, dai, in fondo è vero: la vita non riesci a prenderla neanche per la coda. Alessandro Papetti, First Gallery, Roma, via Margutta 14, tel. 063230673, fino al 15 dicembre Amanda Freiburg freiburg@bazarweb.info

Festa! DJS:RICHIE HAWTIN E ALAN1

Riccione, Roma, Senigallia. Il Re è morto, viva il re. Dieci che se ne vanno, si portano via le gerarchie come fossero stati gli stuzzichini di un aperitivo che nessuno ricorderà. Il decennio escatologico torna alle radici nella New Year’s eve del beat. E così Roma non sarà il Caput, Milano se la vivacchierà, Torino clubberà e il Cocoricò si riconquista il suo primato. Il Re sarà Richie Hawtin che nell’agosto dell’anno Edmund White è ON AIR scorso fu protagonista di una Riserva culturale protetta Minimum fax, 14 performance clamorosa. euro Eruttatore di un beat prodotto Roma. La sapiente combriccola di “Radio da tecnologie estreme, Fahrenheit”, capitanata da Susanna Tartaro, fa del Ciro Bertini smuove le critiche di tutti e bertini@bazarweb.info libro il suo verbo in seconda persona: “You Book”, tutto. Da Karlheinz due minuti al giorno di “letteratura altra” recensita Stockhausen ai suoi stessi fan. in mp3 da chi nella vita non fa l’ermeneuta, ma il ERRATA CORRIGE: il Re è pubblico a casa. Un attimo sano di notorietà, reality vivo. Il Principe lo fa Alan1, per raccontare a proprio sguardo la parola scritta, funkista elektrista. Remix letta e piaciuta. Intanto, domani a Roma, improbabili, groove a manetta celebrazioni a patriottica testa alta per il papà e un talento come pochi. italiano della radio, Guglielmo Marconi: alla Sala Richie Hawtin, 31/12 Promoteca in Campidoglio (con tanto di (cocorico.it), Alan1, 18/12 presidente della Repubblica), a un tecnosecolo di (lanificio159.com), 19/12 (Gratis distanza dall’assegnazione del Nobel al genio Club, Senigallia) bolognese, ci si incontra e si ragiona sul telecomunicare futuribile Marcello Nardi (giornatemarconiane.fub.it). nardi@bazarweb.info Segreteria Fahrenheit: 06 3724737, fahre@rai.it, fahre .it Pietro Romeo romeo@bazarweb.info

di Parigi o, a Londra, la Queen Elisabeth Hall, ha montato cattedre come l’Università Centrale della Florida. Da dove viene questa ridondanza di estro? “Mio nonno viveva nel Teatro Garibaldi, qui a Treviso, faceva il custode. Il massimo era quando spegneva le luci in sala e mi puntava l’occhio di bue sul palco: a sì e no cinque anni già mi sentivo il re. Insomma, credo una questione di imprinting”. Intorno ad Andrea anche una sorta di Shubertiade in salsa 2009, decisamente unica nel suo genere, per lo meno per l’Italia: “L’auditorium polivalente che ho allestito nella mia villa ricalca l’esperienza di Parigi, a casa del presidente dell’Associazione dell’École Normale. Lui metteva a disposizione il suo salotto per fare incontrare artisti,

è MILANO L’infanzia in arte Da oggi (18.30) 30 lavori in un unico contenitore, “Kindergarten”. I bambini e il loro mondo condiviso da 10 artisti che propongono dieci visioni dell’infanzia. nell’“Immagine Art Gallery”, in collaborazione con Unicef, destinerà l’8% della vendita a sostegno della campagna “Ciad, acqua per i bambini nomadi” (info: 373.7199965).

Scene

Lubriano. Lavorare sul racconto e sulla memoria. Magari direttamente a contatto con i centri anziani. Proprio quelli lì: gli spazi di un liscio strascicato e della fiaschetta dove il racconto e il sorriso sono un miracolo affettuoso che nemmeno siamo capaci di immaginare. Ma anche su laboratori di teatro, scrittura e ricerca musicale. Questa la fucina che ha dato vita a “La strada bianca”: un racconto a più voci, storie e testimonianze degli abitanti dei paesi del Lazio a cura e per la regia di Gloria Sapio e Maurizio Repetto e con le elaborazioni musicali di Silvestro Piontani. Gli attori in scena sono allievi dei laboratori: Fausta Rota, Eclario Barone, Rocco Franco, Matteo Rinaldi e Anna Rita Tola. Il progetto è inserito nella rassegna del Teatro Incivile diretta da Gianni Abbate. La strada bianca, 13 dicembre Teatro dei Calanchi (Lubriano, via Roma 32): tusciafactory.it Lorenza Somogyi lorenzasomogyi@bazarweb.info

re le arti, avvicinare tutti”. Niente male, considerando che in questa remota saletta da 40 posti nascosta in una casa colonica circondata da un parco di 10 mila mq. hanno suonato Muriel Anderson o Massimo Delle Cese. Intanto, domani si presenta “Io sono Medusa” di R. Tamiso, il 17 L. Monti presenta il suo libro di foto in Libia e il 21 applausi al compositore Palumbo. Sopra, Andrea Vettoretti. A sinistra e in basso, alcuni attori degli spettacoli di Scene e Queer

COMMUNITY E NUOVE CLASSI CREATIVE

Psichedelia raffinata e testi intimi si mescolano in un lavoro di autentica ricerca. Dario Antonetti non è uno che si lascia condizionare da schemi e convenzioni. Anzi, lui è un sovvertitore di ogni logica musicale. Difficile etichettarlo, né a lui interesserebbe. Quello che conta è ciò che trasmette con le sue canzoni. A partire dalla traccia “Verso Sera”, caratterizzata da atmosfere allucinate e metafisiche in cui un sottofondo di cicale accompagna un sound visionario. Sonorità smorzate e lente delineano la silhouette del brano “Risveglio” che ipnotizza con un testo scarno dalla dolcezza struggente. Il brano “L’artista indipendente” contiene una evidente citazione al Lucio Battisti di “Due Mondi” in cui lo stile delle voci in falsetto diventa protagonista di un gioco comunicativo di grande espressività. Ironia e spirito di denuncia permeano tutto il cd anche nelle altre canzoni, e persino un brano d’amore “Se tu fossi una di quelle” viene declinato con raffinato sarcasmo.

LA STRADA BIANCA

critici e persone del mondo della cultura. Noi studenti suonavamo. L’unione di artisti di livello con informalità e umanità creava un’atmosfera unica”. Il progetto Musikrooms (musikrooms.com) infatti è mescolanza di arti: il musicista suona, il conferenziere parla, il filmaker proietta, il tutto con una cucina design open space dove si servono chiccosissimi aperitivi. “Siamo un’associazione di intellettuali e artisti, vogliamo diffonde-

Due punto zero

Si vive una volta sola e quella volta eccola qua

ALEO

25/12 riapertura del Pineta (Milano Marittima, Ra, pinetadisco.com); 31/12 Clubmodà (Erba -Co): capodanno a Las Vegas, clubmoda.it; ogni we No Limit (Firenze): show in stile Moulin Rouge dedicati al gentil sesso, nolimitclub.org; ogni venerdì sera al Seven (Brescia), suoni e protagonisti degli anni Ottanta (info 3293642434)

mette, finalmente, di azzardare: che ci dice del “Duo Chakra”? “Bè, se non amate le sperimentazioni, lasciate perdere”. Dolcemente polemico, visto che con Yagmur Sivaslioglu, turca, bellissima, in questo periodo sta contaminando il concertismo internazionale: “Le suggestioni etniche e new age sono una specie di bestemmia nel mio ambiente”. Quando parla, Andrea, perfora la retina, ha un’intensità che solo i bambini conoscono. Gli chiedo, un po’ ammaliata, qualche “perché”: “Col Duo cerco di avvicinarmi al pubblico, voglio sporcare il mondo distillato della musica classica con un po’ di pop”. Diciamolo, questo giovane 35enne che naviga Treviso (dove vive e dirige il Festival Chitarristico Internazionale “Delle due Città”) con una MX5 Mazda verde (sedili riscaldati e tettino scoperto) se lo può permettere: partorito all’École Normale con diploma di concertista da uno dei maestri più noti al mondo, Alberto Ponce (“per me è stata l’esperienza artistica e umana più importante della vita”), ha bazzicato nomi come Rostropovich e De Larrocha, ha riempito di note sale come la Salle Cortot è SUONI

Carta

OTO DI

C

Un cd in memoria di Francisco Tárrega

Lo scrittore il 18 a Orvieto per presentare il romanzo

na voce concentrata, un ascolto attento e un pizzico di diffidenza, tra sorsate di disponibilità. Caro Niccolò, vorrei chiederle: perché leggere questo nuovo libro? Lui risponde senza fare troppa teoria: “Sia quando scrivo che quando leggo cerco il piacere di seguire una storia, di appassionarmi ai caratteri dei personaggi. Insomma non credo ci sia un motivo oggettivo e specifico per cui valga la pena leggerlo se non perché credo e spero di riuscire a creare un’empatia intensa con i lettori”. Tant’è, visto che sia Saverio, capo di una barbarica setta satanica, sia Ciba, scrittore stranoto un po’ arrogantello, sono personaggi irresistibili nonostante gli aspetti repellenti del loro carattere e di alcuni loro atti: “Ogni mio personaggio, come anche me stesso, ha ombre e luci e nessuno mai si esaurisce con ciò che compie. E’ definito casomai da ciò che suscita nel lettore”. Uno scrittore audace nel descrivere le ambivalenze, come nella scena dello stupro: “Esiste una parte di buono anche nel personaggio negativo. Cerco sempre di evidenziare l’origine di ombra e cattiveria, per questo uno stesso personaggio può provocare simpatia e repulsione, paura e attrazione”. Perfino ilarità, visto che durante Che la festa cominci le risate cadono dalla bocca (imperdibile il passo della festa a Villa Ada). E poi, domanda classica: quanto vi è di lei nel libro? E’ lei lo scrittore un po’ depresso che se la tira? “Per descrivere una cosa basta averne vissuto un accenno, non è questa la capacità di uno scrittore? Certo, parlare di cose che conosco bene mi facilita, ma anche raccontare la violenza brada è possibile senza averla realmente compiuta: basta averne assaporato, anche per un attimo, l’istinto. Un uomo mite si può identificare con un assassino, no? Altrimenti leggeremmo solo cose che ci assomigliano”. Interessante il nuovo registro di Niccolò, ancora una volta diverso, dopo ennesime e coraggiose sperimentazioni: da attore (“Cresceranno i carciofi a Mimongo”) a saggista (“Nel nome del figlio”), fino a sceneggiare film importanti (Risi, Salvatores, Infascelli). E poi, al top col Premio Strega (“Come dio comanda”). Oggi i suoi libri sono tradotti in francese, tedesco, spagnolo, greco e russo. Oso: la sua vita è la scrit-

ANDREA VETTORETTI

Dario Antonetti, Il ritorno del figlio dell’Estetica del Cane. UDU Records www.myspace .com/darioantonetti myspace.com/darioantonetti Vera Risi risi@bazarweb.info

Sono sempre di più e sempre più attive, spesso fucine di progettazione o baluardi di libera informazione che corre prima di tutto in rete. A volte dettano nuovi life style, mode e tendenze, ma quel che più conta è che sono in grado di produrre sviluppo economico. Le community creative, in origine legate al territorio e a progetti di riqualificazione ambientale, hanno partorito una nuova classe composta da giovani attivi nel web, nel design, nella multimedialità. A Milano, "BaseB-metriquadraticreativi" , "Zona Tortona" e "Zona Mecenate". A Torino, la community di designer "Turn" e "Atelier" sono uno dei piu' piccoli ma anche piu' interessanti progetti di incubazione creativa degli ultimi anni. Respiro nazionale per “Mistero della grafica” mentre la veneta design “Peopler” nasce con il supporto della “Venice International University”. turn.to.it, progettoatelier.it, misterodellagrafica.org, designpeople.it Gabriella Serusi serusi@bazarweb.info

è QUEER Non è una voglia X

Tacchi a spilloi CAMBIA IL MONDO!

Vale la pena di far sentire la propria voce partecipando ai forum di discussione organizzati per la prossima Commissione sullo status delle donne (CSW), a New York, dall'1 al 12 marzo 2010. Perché si discuterà di come attualizzare - per gli ultimi 5 anni la Piattaforma d'azione di Pechino (ONU 1995) che identifica gli interventi per migliorare la condizione delle donne. Per questo le Nazioni Unite hanno avviato i forum di discussione che si concluderanno a fine febbraio. Dopo quello su “Violenza contro le donne”, tocca ora a “Donne ed economia”, coordinato dalla Banca mondiale (fino al 23 dicembre) e “Donne e salute”, condotto insieme da OMS e UNAIDS, fino al 31 gennaio. In programma poi i forum su “Conflitti armati” (5/1-1/2), “Istruzione e formazione” (10/1-7/2), “Povertà” (11/1-12/2), “Media” (1-28/2) e in date da definire i forum su “Diritti umani”, “Ambiente”, “Potere e meccanismi decisionali”, “Bambine”.

Per iscriversi: www.un.org/womenwatch/beijing15/ Cristiana Scoppa scoppa@bazarweb.info

Roma. Il caso Marrazzo invade l’immaginario e ci fa chiedere cosa determini questa certa “voglia di”. Ma se, passando dall’avere, o meglio dal desiderare di avere, all’essere, scoprissimo molto di più di un semplice stimolo erotico? Mettiamoci per una volta nei panni di chi è desiderata, e sa far essere felici. Ci pensa “Nuvole Teatro”, mettendo in scena “Non è una voglia X” a rispondere a tutto ciò e pure al perché ci si nasconda anche di fronte a se stessi, per non prendere coscienza di verità scomode che conducono spesso alla solitudine, ma anche a un’autentica serenità. Uno spettacolo che analizza la natura dei rapporti che legano due persone, I desideri e le “voglie X” di cui purtroppo a volte ci si vergogna. Ma che ci farà capire, senza biasimare. E non solo Marrazzo, anzi. Non è una voglia X, Teatro dell’Orologio via Filippini 177a, Roma 1-20 Dicembre Helena Velena helena@helenavelena.com

è CALDOGNO C4 Bunker night Al Centro Cultura Contemporanea Caldogno una notte esclusiva al bunker della Seconda guerra mondiale tra danza contemporanea, performance e videoarte: domani ore 21 (prenotazione obbligatoria, 0444327166) è FORLÌ Città di Ebla È fresco di stampa Pharmakos (Edizioni Bolis) un libro fotografico che racconta uno dei giovani gruppi più interessanti del panorama teatrale italiano, “Città di Ebla”, e per presentarlo ai Magazzini Interstock nel we è in programma “Festa Chtonia”, due giorni di spettacoli, esposizioni e incontri (prenotazioni: 347.3169141). è BOLOGNA Luci di pubblica piazza Da domani (18.30) a fine gennaio piazza Verdi darà la sensazione di un grande salone a cielo aperto con un lampadario circolare in formato gigante al centro che, come una luce domestica, illuminerà tutta la piazza (installazione di Zimmer Frei). Il 14 gennaio (18.30) in piazza VIII agosto sopra a un kubrickiano parallelepipedo nero orbiterà un piccolo pianeta che riflette la luce solare di giorno e proietta un’ombra lunare di notte (installazione di Nikola Uzunovski). è SIENA Workshop gratuito sulla biodiversità Nell’ambito dell’iniziativa “Cantieri della Biodiversità” Federparchi, Ispra e provincia di Siena promuovono il workshop “Ibridazione tra animali selvatici e domestici, una minaccia per la biodiversità” (Palazzo Squarcialupi, 10-11 dicembre, tel. 0577 241416). è MILANO Il Natale degli altri Dove e come festeggiano gli stranieri? “Insieme nelle Terre di mezzo” onlus ci porta a conoscere la Milano nascosta dei luoghi di culto degli stranieri, i riti, le credenze e le tradizioni di comunità religiose: sabato ore 15 messa latinoamericana con balli e canti e Casa di Cultura islamica, domenica cena organizzata dalla Chiesa ortodossa russa (info e prenotazioni: 347.3961139).


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Giovedì 10 dicembre 2009

SECONDO TEMPO

il disco di dente

WEEKEND manuale di sopravvivenza

di Battistini, Colasanti, Collo, Pontiggia, Pasetti

TRISTI VITE DA CLANDESTINI

¸CINEMA da vedere èèèè Drammatico

Welcome Francia/ 2009. Di Philippe Lioret. Con Firat Ayverdi.

“Quel che accade oggi mi ricorda ciò che è accaduto nella Francia occupata: aiutare un clandestino è come aver nascosto un ebreo nel ’43, si rischia il carcere”. L’ha detto il regista di Welcome, Philippe Lioret, ed è scoppiata la querelle: al centro, l’articolo L622/1 della legge sull’immigrazione di Sarkozy, che punisce con cinque anni di reclusione i cittadini francesi che aiutano i clandestini, come quelli della “giungla” di Calais. Realtà tragica, ma ordinaria, portata sullo schermo con due corpi del reato di solidarietà: il 17enne curdo Bilal, in fuga dalla guerra e alla ricerca dell’amore (Mina che vive a Londra), e l’istruttore di nuoto Simon, ripiegato su se stesso da un matrimonio agli sgoccioli. Dopo un viaggio di tre mesi per l’Europa, Bilal arriva a Calais e prova a raggiungere le bianche scogliere di Dover nascondendosi in un tir: non va, e qualcuno ci lascia pure la pelle. L’estrema possibilità – cronaca, non finzione – è affidata alle sue braccia e gambe, in stile libero: il celebrato “corridore” (bazda) di Mosul deve trasformarsi nel “nuotatore” per attraversare la Manica. Lo aiuterà Simon, che sfiderà la legge con un occhio all’ex moglie, impegnata nel volontariato. Simon ha la forza calma e sofferta di Vincent Lindon, in una delle sue prove migliori, Bilal è il non professionista Firat Ayverdi: due fuorilegge capaci per intensità ed empatia di dare il benvenuto a Welcome nel cinema che rimane. Aggiungendo qualcosa allo “strettamente indispensabile” che rende capolavori i film dei Dardenne, Lioret concede qualche didascalismo enfatico – la musica di Nicola Piovani non lo aiuta, e “welcome” sullo zerbino ce lo saremmo risparmiato… – ma, senza ricattare il pubblico, rimane attaccato a questa “frontiera messicana” in Europa. Così ci troviamo a nuotare al fianco di Bilal, nell’acqua fredda 7 gradi per 33 chilometri, in uno dei mari più trafficati al

&

LIBRI

Da leggere èè

Padri Aa. Vv. a cura di A.M. Crispino Iacobelli

Tre memoir di tre italo-americani – Ned Balbo insegna a Baltimora, Carol Bonomo Albright ad Harvard, Edvige Giunta alla New Jersey City University – per raccontare di un’identità perduta, per far riemergere frammenti di memoria di un’appartenenza che

mondo. Quando si esce, si ha la pelle d’oca: perché sembra fantascienza distopica, ma è realtà. (Fed. Pont.) èè Fantascienza

Moon Usa/ 2009. Di Duncan Jones. Con Sam Rockwell

Voleva la luna, ma papà David Bowie ha preferito che se la conquistasse da solo. E così il figlio d’arte Duncan Jones è partito alla volta del suo spazio interiore, approdando sulla Moon delle solitudini. Da qui è tornato vincitore, non solo di numerosi premi tra cui come miglior film britannico indipendente dell’anno (i Bifa), ma consapevole che la gavetta paga. E lui, 38enne già videoclipparo, figlio della prima signora Bowie e destinatario della splendida Kooks, ne ha fatta parecchia, anche con Tony Scott. Il suo lungo d’esordio Moon ha girato il globo prima di approdare, purtroppo quasi invisibile, in Italia dal 4 dicembre. Sam Bell (Sam Rockwell) è astronauta in un ipotetico e ottimistico mondo post Copenaghen, in cui i problemi dell’inquinamento terrestre sono stati risolti grazie all’ecologico Elio3. Della sua estrazione sulla luna si occupa la società energetica Lunar, che sul satellite ha una base gestita da un uomo solo – lui – a permanenza triennale. Unica compagnia il robot “con emoticon” Gerty. Ma alla vigilia del rientro terrestre, un imprevisto apre nuove domande e antichi dubbi. Dai tratti della fantascienza intimista dai Settanta in poi, Moon rielabora il cine-food di cui Jones si è visibilmente nutrito: dall’ovvio Kubrick a Lynch, da Trumbull a Hyams, ma anche da Kafka e Orwell. Film sui destini della (mancanza di) comunicazione, sull’esplorazione della paradossale “unicità ripetibile”, sui vizi degli universi virtuali e non per ultimo sulle ultime frontiere del rapporto uomo-macchina, alias con se stesso. Moon è una sintetica opera bianca, metafisica somma dei colori creata per sondare le oscurità dell’anima. (A.M.Pas.)

èè Sentimentale

Dieci Inverni Italia/ 2009. Di Valerio Mieli. Con Isabella Ragonese e Michele Riondino

Inverno 1999. Camilla e Silvestro, appena arrivati a Venezia per cominciare l’università, si incrociano in vaporetto e si piacciono a prima vista. Ma passeranno dieci anni prima che i due si mettano assieme. “Dieci Inverni”, nato tra le aule del Centro Sperimentale e co-prodotto da Rai Cinema è un buon saggio di fine anno. Strizzando l’occhio a Truffaut e guardando a “Un amore” di Tavarelli (1999), Valerio Mieli racconta la vicenda dei due ragazzi attraverso dieci sequenze che corrispondono a dieci anni intercalate da ellissi. Come esordio è rispettabile: buona fotografia, giusta glaciale ambientazione per il racconto di un amore trattenuto, buoni attori (soprattutto la Ragonese). Peccato che il film sia del tutto innocuo, un po’ perbenista (il sesso è totalmente assente in questa “pro-

Un’immagine del film Moon, sotto un lavoro di Francesca Woodman (FOTO ANSA)

filassi amorosa”) e la sceneggiatura non del tutto convincente. (El. Ba.)

da non vedere è Drammatico

La cosa giusta Italia/ 2009. DI Marco Campogiani. Con Paolo Briguglia e Ennio Fantastichini

Il giovane idealista Eugenio (Paolo Briguglia), l’esperto e ispido Duccio (Ennio Fantastichini): due po-

liziotti sulle tracce – progressivamente solidali – del presunto terrorista Khalid (Ahmed Hafiene). E’ la cosa giusta di Marco Campogiani, prodotto da Cinecittà Luce, girato e ambientato tra Torino e Tunisia, sorretto solo dalle buone prove degli attori. Perché La cosa giusta fa il film sbagliato: indifferenza stilistica, debiti televisivi e sceneggiatura da chiudere nel cassetto – e buttare via la chiave – per un triangolo improbabile e deleterio. Quanto può far male il buonismo... (Fed. Pont.)

ARTE

FRANCESCA WOODMAN INDAGINE INTIMA breve vita, bioLca,agrafica e artistidi Francesca Woodman è un esempio di come sia possibile rendere visionario uno stato d’animo in bilico fra disagio interiore e raffinata ricerca formale. Un percorso apparentemente salvifico, che la pone nella storia come una delle più grandi fotografe del Novecento, ma non sufficiente a salvarle la vita, cui lei stessa porrà fine a New York a soli ventidue anni. Dalla prima foto, scattata nel 1972 a tredici anni, comincia l’indagine su di sé: prevalentemente in bianco e nero, nuda o in abiti desueti e consunti, in spazi decadenti o anonimi, dove oggetti e cose ruotano inseguendo la sua anima ir-

requieta. Gli oltre cento scatti di questa mostra non seguono la cronologia, ma in maniera tematica scandagliano zone lungamente analizzate, come il rapporto con lo specchio, mai frontale o compiaciuto, bensì smanioso e tormentato. Intenso anche il rapporto con il video e la performance, dove il corpo si mortifica imprimendo sagome di colore o lacerando grandi teli di carta. Un diario emotivo della durata di soli otto anni, nel quale viene segnato in maniera indelebile il senso claustrofobico, nutrito di ineffabile grazia, di una fine annunciata. Claudia Colasanti

Francesca Woodman, Santa Maria della Scala, Siena. Fino al 10 gennaio 2010

SÁBATO DI AMORE E DI FOLLIA più non è. Ad unirli il ricordo del padre – “figura concreta e allo stesso tempo simbolica” di un legame con il passato – e la presenza di una patria immaginata o piuttosto immaginaria. Tre storie per nulla nostalgiche, e che ben si propongono nell’attuale, e spesso penoso, smemorato dibattito sul “migrare”. èè

Polli per sempre Bruno Gambarotta Garzanti

Una divertente riproposizione dell’orwelliana Fattoria degli animali. Un camion carico di polli cade da un viadotto dell’autostrada. I pennuti che si salvano – finalmente liberi – intraprendono strade diverse: c’è chi rimpiange la comoda schiavitù dell’allevamento; chi decide di darsi alla macchia e di dar vita a un movimento rivoluzionario; chi vive, come può, alla giornata, cercando di sopravvivere; e chi pensa alla “purezza della razza”.

Un’esilarante epopea che può aiutarci a riflettere su noi stessi e sulla nostra società.

Da rileggere èèè

Sopra eroi e tombe Ernesto Sábato trad. di Jaime Riera Rehren, Einaudi

Finalmente è uscita una nuova edizione di questo grande libro ormai quasi dimenticato (parte una vecchia e introvabile edizione – incompleta –

EINAUDI RIPUBBLICA “SOPRA EROI E TOMBE”, CHE MAGRIS DEFINÌ UNO DEI GRANDI ROMANZI DEL NOVECENTO

di Feltrinelli del ’65 e un’altra degli Editori Riuniti). Definito da Claudio Magris “uno dei grandi romanzi del Novecento”, Sopra eroi e tombe è un romanzo “oscuro”, impegnativo, che racconta di amore e di follia, di luce e di buio, di storia argentina, della solitudine dell’essere umano e della sua ansia di vivere in un tempo “furioso e insensato”, mescolando stili diversi in modo magistrale. Ma nonostante ciò, un romanzo che, come scrisse Gombrowicz, si legge d’un fiato “e che quando l’abbiamo finito ci si accorge che sono le quattro del mattino”. (P .C.)

è SUICIDIO Faust'o 1978 - CGD Squilla un telefono, la cornetta viene alzata, si sente un bambino che piange e, dall'altro capo, Fausto che ride a crepapelle. Così inizia uno dei dischi italiani più belli di tutti i tempi. Di morte, sesso, emarginazione, incubi e amore sono fatte queste canzoni che catturano l'ascolto anche grazie alla personalità di Faust'o che canta come solo lui sa fare e sputa le sue storie dentro le orecchie di chi lo ascolta. Arrangiato insieme ad Alberto Radius, onnipresente chitarrista-produttore della discografia Italiana, l'album ha una forte vena glam-cantautorale, una cosa nuova, innovativa per l'epoca e che forse ancora oggi ha molto da insegnare. Indiscutibile, infatti, è l'influenza che Fausto Rossi, così si firma oggi, ha avuto e ha nella buona musica del nostro paese. Dopo più di trent'anni dalla sua uscita questo disco riesce a stupirci perché c'è dentro un uomo che urla e sussurra, che è sbruffone e impaurito, che nella foto di copertina ha un’espressione che ti fa venire da piangere solo a guardarla e perché intorno a lui ci sono giri di basso killer, pianoforti martellanti, canzoni bizzarre e indelebili. Questo è, in troppe poche parole, Suicidio, il primo album di un artista che nel tempo è stato capace di rinnovarsi e mutare, confezionando una dozzina di dischi, tutti degni di nota, stupefacenti per originalità e ricchezza, consiglio l'intera discografia a occhi chiusi e orecchie ben aperte.

CD in uscita

³

è THE FALL Norah Jones Non deve essere un caso che tra i migliori dischi del 2009 figurano solo donne (Nannini, Consoli, Norah Jones, Mina, Anjulie, Nina Zilli). Il quarto album di Norah è un piccolo capolavoro, grazie alle sapienti mani del tecnico del suono di Tom Waits, Jaquire King. Questo “mago” trasforma in delizia “Chasing pirates” e “Light as a feather”, scritta con Ryan Adams: due perle. Steve Jobs ha voluto Norah per lanciare il nuovo formato iTunes Lp (oltre ai brani materiale multimediale): un caso? è MIDWINTER GRACES Tori Amos Altra donna, altra ottima intuizione. Se vi occorre un cd d’ispirazione natalizia lasciate perdere i tentativi di Bob Dylan e Sting e puntate su questo magnifico album. Lo stupore di Tori è presente nelle rielaborazioni di brani tradizionali e appositamente scritti (“Star of wonder”, bellissima). Dolce ma mai stucchevole. (Guido Biondi)



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Giovedì 10 dicembre 2009

SECONDO TEMPO

+

TELE COMANDO TG PAPI

La mafia? “È vinta” di Paolo

Ojetti

g1 T Come si fa pubblicità a un prodotto? Ci vuole uno slogan convincente, una bella confezione, una frase persuasiva e – quasi sempre – una campagna martellante finché ti resta scolpita in testa l’immagine complessiva di quello che, di sicuro, finirai per comprare. Ebbene, il Tg1 di ieri sembrava un press-agent, un creativo pubblicitario, un “copy” al servizio del governo. Apertura con Maroni e Alfano: la guerra alla mafia è finita, vinta, sono tutti in galera sotto il giogo del 41bis, vecchie cariatidi dell’onorata società e giovani rampanti; non hanno più una lira, tutto sequestrato; chi pensa che Berlusconi non sia il più grande odiatore di mafia di tutti i tempi, si sbaglia; provare per credere, Berlusconi lava più bianco. Il Tg1 è assente,

non verifica, non discute, si inchina e retrocede rinculando. I proclami dei dittatori avevano più problemi: per occupare la televisione di Stato dovevano prima far uscire i carri armati dai garage. g2 T La Finanziaria approda in aula e il Tg2 ne fa l’argomento di apertura. Ma siamo ancora alle prime schermaglie, anche se appare certa la “fiducia”. E’ un'altra legge che non ammetterà repliche. Ciò che nessun telegiornale ha ancora chiarito è come mai il ministro Tremonti non profferisca verbo: aveva coniato una Finanziaria da 4 miliardi e se ne ritrova un’altra più che raddoppiata. Stravagante la polemica innescata dal ministro Alfano: i magistrati non vadano in Tv e lavorino di più. La replica dell’Anm – letta in studio da Dario La-

ruffa – è flebile: avrebbe potuto chiedere ad Alfano (è solo un esempio) cosa fa Gasparri in quei cinque minuti al giorno che passa lontano dalle telecamere. g3 T Se la forza dell’opposizione è quella che appariva ieri sera durante il Tg3, allora meglio chiudere presto questa Finanziaria, ringraziare e amen. Bersani parla di “cazzotto in faccia” sul “metodo” ed Enrico Letta di provvedimenti che “non aiutano le imprese e, soprattutto, le famiglie”. Fine. Invece di cose da dire ce ne sarebbero state parecchie, a cominciare dallo scippo del Tfr, già versato dai lavoratori nelle casse dell’Inps, per “far fronte alla spesa corrente” (cioè fare cassa sul futuro previdenziale dei dipendenti) una ruberia che non si era mai vista, nemmeno in tempo di guerra. E le teste d’uovo della sinistra scazzottata avrebbero anche potuto chiedere via etere: e questi soldi da dove rientreranno e quando? Da altri condoni o da future imposte? Dal Superenalotto? Ma il Tg3, sfiaccato, non affonda, preferisce ricordare che le “provvidenze statali per le testate storiche” saranno reiterate “per decreto”.

di Nanni

Delbecchi

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Sorrisi più canzoni

dei reality si ritira dai palinsesti che cosa resta? Le canzoni. Non si è Lmaiae marea cantato, anzi stracantato in televisione così tanto. Da questo punto di vista, “Due” è uno dei programmi più rappresentativi della stagione nella sua pianificata, inoffensiva trasparenza (che d’altronde parrebbe essere un obbiettivo più generale del nuovo direttore di rete, Massimo Liofredi). Una prima serata di stampo minimalista, nient’altro che un teatro, un palcoscenico e una platea di dimensioni ridotte, più una coppia di stelle nostrane padrone assolute della situazione martedì è toccato a Tiziano Ferro e Laura Pausini - perché due ugole suonano meglio di una. Non è previsto nemmeno il conduttore, e questa è oggettivamente una buona trovata. Sembra poco, ma se si pensa che il conduttore potrebbe essere Carlo Conti oppure Barbara D’Urso, tanto poco non è. E poi bisogna calcolare l’effetto domino; nessun conduttore significa nessun ospite, nessun ospite significa nessun fuoriprogramma, nessun Laura Pausini, live set fuoriprogramma sisu RaiDue gnifica nessun incicon Tiziano Ferro dente o nessuna polemica. Meglio ancora sarebbe non avere proprio il programma, ma perché bruciare le tappe? Se il mezzo è il messaggio, qui il messaggio è canta che ti passa. Più chiaro di così. Questa ostilità alla

parola parlata avrà anche le sue brave radici inconsce; tuttavia, dopo la prova della prima delle tre puntate previste, l’esperimento sembra riuscito. La coppia Ferro-Pausini è apparsa affiatata proprio perché inedita, i protagonisti erano giovani ma già affermati, affermati ma relativamente umili ed emozionati. Qualche duetto, un po’ di complimenti reciproci, la Pausini che se la tirava da sorella maggiore, Ferro che si atteggiava a suo fan e via andare. L’unica altra strada collaudata, oltre a quella maestra del conduttore, poteva essere quella del cazzeggio con il cantante padrone di casa che racconta la sua favola bella, riceve ospiti di riguardo e ritrova i vecchi amici, si commuove rievocando gli esordi, racconta aneddoti divertenti. Insomma, si trasforma nel carloconti di se stesso. Né Pausini né Ferro sono parsi rimpiangere minimamente questa possibilità; anzi, essere costretti di continuo a presentarsi l’un l’altra ha bloccato sul nascere l’eventuale rischio. C’è stato un attimo in cui si sono messi comodi e hanno tentato di intervistarsi, sfoderando perfino una scaletta; ma la cosa è riuscita così sbilenca che non poteva esserci miglior incentivo, anche per gli ascoltatori, al riprendere a cantare. “Due” è un programma astuto, sempre ascoltabile, tendenzialmente vedibile ma trasparente fino all’invisibile, che sa come il miglior modo per non avere grilli per la testa è non avere la testa. Come imparammo a vedere l’invisibile, e perfino ad applaudirlo; sotto questo aspetto non solo uno degli esperimenti più rappresentativi, ma anche uno dei più riusciti della stagione.


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SECONDO TEMPO

MONDO

WEB

Niente banda larga nel paese-tv noto che l’Italia non sia un E’ paese per giovani. Com’è noto che la questione banda larga sia diventata ormai oggetto di un quotidiano teatrino: in Parlamento tutti si dicono favorevoli (è stata anche approvata una risoluzione bipartisan), ma poi gli 800 milioni che erano stati previsti per lo sviluppo dell’infrastruttura, puntualmente non vengono sbloccati. Ora arrivano i dati Eurostat, il servizio statistico dell’Unione europea, che certificano come in Italia siamo al di sotto della media europea per il numero delle famiglie che si collegano a Internet e per diffusione della banda larga. Dai dati emerge che nei 27 paesi membri una persona su due naviga in Internet mentre tra i giovani sale a tre su quattro. Inoltre sono il 65 per cento le famiglie connesse (più 5 per cento rispetto al 2008) e il 56 per cento quelli raggiunti da Internet ad alta velocità (più 6 per cento rispetto al 2008). L’Italia, come detto, insegue: le famiglie italiane connesse alla Rete sono il 53 per cento (comunque più 6 per cento rispetto al 2008), poco in confronto al 79 per cento della

LO SPORT

I FILM SK1= Cinema 1 SKH=Cinema Hits SKMa=Cinema Mania

Germania, 71 del Regno Unito e 63 per cento della Francia. Da paese in via di sviluppo i dati sulla banda larga: la usa solo il 39 per cento delle famiglie, contro l’80 per cento della Svezia, il 65 della Germania e il 57 della Francia. Da notare, che queste medie sono falsate dai dati sui più giovani: il 70 per cento dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni naviga ogni giorno, un dato molto vicino a quello Ue (73 per cento). Rispetto a questa realtà, non ci stanchiamo di chiedere al governo – che fa cassa, a debito, con i contributi dei lavoratori – perché non si decida ad investire in modo strutturale sulla banda larga. Certo, ci sono concessioni da fare a pioggia in vista delle regionali. Ma non sarà anche che B. mette i bastoni tra le ruote a Internet per continuare a difendere il business delle sue televisioni e la grancassa dei suoi tg?

SKF=Cinema Family SKM=Cinema Max

17.40 Girl, Positive SKF 19.00 Vicky Cristina Barcelona SK1 19.05 Cocktail SKH 19.10 Joshua SKM 19.15 Dirty Dancing SKF 19.20 Il Commissario Wallander SKMa 21.02 Ultimi della classe SKF 21.02 Deadly Visions - La morte negli occhi SKM 21.03 Prima visione Miracolo a SK1 Sant Anna 21.05 Amore a prima svista SKMa 21.18 Chocolat SKH 22.40 Figlia del silenzio SKF 22.40 Riflessi di paura SKM 23.03 Blow Out SKMa 23.25 Bambole russe SKH 23.50 Il mio sogno SK1 pi grande 0.15 La storia infinita SKF 0.35 Double Bang SKM 0.53 Castaway, la ragazza Venerd SKMa 1.30 Un segreto tra di noi SK1 1.40 La casa del Diavolo SKH

SP1=Sport 1 SP2=Sport 2 SP3=Sport 3

17.30 Golf, PGA European Tour 2009 HSBC Champions SP3 Highlights 18.00 Basket, Serie A maschile 2009/2010 7a giornata Siena SP2 Roma (Sintesi) 18.30 Calcio, UEFA Champions League 2009/2010 Fase a gironi 6a giornata - Girone F Inter SP3 Rubin Kazan (Replica) 21.00 Golf,Alfred Dunhill Championship 2009 1a giornata (Replica) SP3 21.07 Calcio, UEFA Champions League 2009/2010 Fase a gironi 6a giornata Juventus - Bayern SP1 Monaco (Replica) 22.03 Basket, NBA 2009/2010 Atlanta - Chicago (Replica) SP2 0.47 Calcio, Bundesliga 2009/2010 15a giornata Schalke SP3 04 - Hertha Berlino (R) 1.45 Basket, Serie A maschile 2009/2010 9a giornata Montegranaro - Roma (Replica) SP2

RADIO “Radio3Mondo” La Turchia di Erdogan nel mirino dei militari “Operazione Gabbia Piano D’Azione”: questo è il nome di una cospirazione per destabilizzare la Turchia e creare un caos che richiedesse l’intervento dell’esercito. I dettagli in un CD che la procura di Istanbul ha potuto decodificare mentre è bufera sulle forze armate dopo l’arresto di tre colonnelli indagati. Un gruppo occulto dell’esercito cercava di attaccare non-musulmani per danneggiare la reputazione del partito di governo Akp agli occhi dei suoi alleati occidentali. Erdogan adesso chiede un’epurazione nelle Forze Armate. Intnato si sono aperte le udienze della Corte Costituzionale relative al filo-curdo Partito della Società democratica (Dtp), per il quale il procuratore ha chiesto la chiusura nel 2007. Il partito, l'unica formazione politica curda presente nel parlamento di Ankara, è accusato di legami con il gruppo terroristico Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), di violazione della Costituzione e di tentativo di minare l'unità dello stato. Chi ha paura della Turchia di Erdogan? Qual’ è il paese che può raggiungere le porte della UE?

Radiotre 11,30

è FALCONE-BORSELLINO FALSI EROI UN GRUPPO SU FACEBOOK PIENO DI INSULTI

E’ di pessimo gusto il gruppo aperto su Facebook “Falcone e Borsellino falsi eroi”. Nella pagina si legge: “Per chi come me odiava e odia Falcone e Borsellino, morti per sete di fama”. L’idea, naturalmente, non ha avuto molto consenso: dei 196 iscritti la maggior di Federico Mello parte sono lì per insultare i fondatori (inoltre sempre su Fb è già nato un controgruppo in cui si chiede la chiusura di quello anti-magistrati che ha già 2000 membri”). Anche Walter Veltroni ha chiesto la chiusura di questa pagina che è I VIGILI CONTRO IL CLOCHARD offende la memoria dei magistrati IL VIDEO ONLINE scomparsi. Resta da chiedersi però chi Sul Web è spuntato ieri (via You Reporter) possa aver avuto un’idea tanto idiota? un video girato a Verona nel quale due Qualche balordo? E con che interessi, con vigilesse, con metodi piuttosto spicci, quali fini? Forse un’indagine della polizia cercano di allontanare un senzatetto postale aiuterebbe a fare chiarezza. seduto sotto uno dei portici del cortile dell’ex Palazzo di Giustizia. L’episodio è accaduto martedì pomeriggio e non è ancora chiaro perché alcuni componenti del collettivo che hanno realizzato il video siano stati denunciati dalla polizia municipale.

feedback$ è ANTEFATTO SU FACEBOOK Commenti allo status: “Il Papa dice: ogni giorno il male è raccontato dai media abituandoci all’orrore. Ma l’orrore è nei media o nella realtà?” Stessa cosa che ho pensato ieri sentendo le parole del Papa: come se la colpa dell’orrore fosse di chi lo riporta e non di chi lo commette (Vittorio F.) E poi cosa è preferibile? Abituarci all’orrore o rimanere ignari di ciò che ci circonda? (Fabio B.) Il Papa forse ha perso il contatto con la realtà quindi non la può conoscere. Forse quello che percepisce dai media non lo riguarda (Piero C.) L’orrore è nella realtà, nei media, nelle nostre menti (cuore, anima per chi crede ecc.) perché abbiamo ricevuto un nutrimento malato (inquinato) o non ne abbiamo ricevuto abbastanza (cultura) (Anna Maria V.)

La mobilitazione a Firenze, il “Flusso canalizzatore”, la pagina Fb contro Falcone e Borsellino, il video girato a Verona

DAGOSPIA

LA CONSULENTE DI FRATTINI

1) Venerdì prossimo Gianfry torna a visitare una scuola, a Vibo Valentia. E circola una battuta tra alcuni deputati finiani preoccupati dalla deriva del presidente della Camera: “Speriamo che almeno stavolta non dia dello stronzo a qualcuno... 2) Indovinate un po’ chi ha nominato come suo consigliere politico al ministero degli Esteri, il buon Franco Frattini? Un insigne politologo? Una personalità internazionale? Niente affatto, la nomina è andata alla deputata di Forza Gnocca Michaela Biancofiore. Curriculum? Diploma di istituto magistrale, e scusate se è poco... 3) Per parlare dell’“Italia de Noantri” di Aldo Cazzullo si incontreranno con l’autore gli arci-nemici (si fa per dire) Gianni Alemanno e Walter Veltroni. Moderatore il direttore del Messaggero Roberto Napoletano. Appuntamento per lunedì 14 dicembre al Tempio di Adriano in Piazza di Pietra. 4) “La Tband si è sciolta. I discografici che dovevano seguirci ci hanno abbandonati. Peccato, ci credevo tanto”. Lo svela Fiammetta Cicogna, la protagonista dello spot-tormentone della Tim dell’estate, a Vanity Fair, sul numero appena uscito in edicola. L’etichetta che avrebbe dovuto seguire il primo album della band creata per la pubblicità è la Sugar di Caterina Caselli, che secondo Fiammetta ha abbandonato il progetto subito dopo l’estate. Anche è TORNANO I GIROTONDI il fidanzato, “geloso DA UNA PETIZIONE ONLINE degli altri ragazzi E’ un vero e proprio girotondo quello della Tband”, si è organizzato per questo pomeriggio, a è IL FLUSSO CANALIZZATORE defilato lo scorso Firenze (appuntamento alle 18 davanti al UN’APPLICAZIONE PER IPHONE settembre. Tribunale in Piazza San Firenze). L’iniziativa La Rete è anche piena di software prende “forza e motivazione dalla grande inutili. Tra questi, ci sono anche manifestazione del No Berlusconi Day del numerose applicazioni per iPhone 5 dicembre a Roma”, l’idea è quella di una che... non fanno niente. Si chiamano “catena umana che chieda una giustizia “Inutility” e spaziano da quella che “trasforma il vostro efficiente e uguale per tutti”. “A Firenze – il iPhone in una birra da sorseggiare” al nuovo “Flusso testo dell’appello che può essere firmato Canalizzatore” ispirato al film cult “Ritorno al Futuro” anche su petizionionline – si reagisce al (è il meccanismo che fa funzionare la macchina del progetto del Pdl di cancellare migliaia di tempo, la mitica DeLorean). L’applicazione promette un processi penali, oltre ai due di Berlusconi: “Flusso canalizzatore animato con suono di la strada scelta è la formazione di un ampio sovraccarico e accensione tramite accelerometro” fronte per la democrazia e la giustizia direttamente sul vostro iPhone. Richiede un “requisito uguale per tutti. Diciamo no alla minimo per il salto temporale di 1.21 Giga Watt di cancellazione dei processi, no alle leggi ad potenza” con un’avvertenza: “Mentre siete nel passato, personam, no al processo breve. Diciamo evitate di contattare voi stessi”. Il tutto, incredibilmente sì a una giustizia che funziona, sì alla inutile, è per giunta gratis! condanna dei colpevoli, sì a una giustizia che affronti l’emergenza delle carceri perché la detenzione non sia disumana”. Sarà occasione per rivedere il popolo viola?

L’orrore è nella realtà e nei media che la riportano censurata e/o rivista (Andrea P.) L’orrore è nella realtà... avete idea dell’opulenza sfarzosa della chiesa, che Cristo predicò la povertà tra i poveri? A che serve la piena e seria preghiera di un’élite ricca? Non vale forse meno dell’accorata sofferenza di chi non mangia... e non per spontanea volontà (Vincenzo B.) Tipico stile papale: l’importante è che non si sappia (Emanuele G.) Il Papa è un finissimo teologo, a un livello che nessuno di voi potrà mai comprendere, e la domanda è retorica e ironica. Purtroppo credete di aver capito tutto della vita, grave errore, e con superbia scostante denigrate la teologia e la filosofia... ma vi dice nulla l’Harmonia Mundi predicata dai Gesuiti? Fatevi un bell’esamino di coscienza (Alessandro T.) L’orrore è e dobbiamo farcene una ragione (Flavio C.) L’orrore è nella realtà... molto di più di quello che raccontano i media... (Massimo R.) Il racconto dell’orrore non abitua all’orrore, rende consapevoli della sua esistenza e costringe a chiedersi il perché. Non è pericolosa la descrizione della realtà. È la manipolazione della realtà ad essere pericolosa. Crea paure, anestetizza le coscienze, abitua a non pensare con la propria testa (Cristiana P.) Il problema non è dove collocare l’orrore, i media hanno una grande responsabilità in merito: ma non per la narrazione dei fatti, bensì nella banalizzazione di questi ultimi (Emanuela D.)


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SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE Lettera a Maroni sulla mafia di Gian Carlo Caselli

entile ministro Maroni: ho lavorato a Palermo, come procuratore, per quasi sette anni, dal 1993 al ’99. Anni difficili, densi di risultati importanti, che hanno consentito alla democrazia del nostro paese di non precipitare nel baratro senza fondo in cui lo stragismo terroristico-mafioso dei corleonesi voleva precipitarci. Al conseguimento di tali risultati hanno contribuito in tanti, forze dell’ordine, magistrati, società civile, istituzioni e uomini politici. Fra questi un ruolo di primo piano l’ha avuto proprio Lei, come ministro degli Interni: per noi un riferimento sicuro, avendo più volte constatato la Sua disponibilità ad ascoltare prima di decidere. È ricollegandomi a quel periodo – breve ma intenso: otto mesi nel 1994 – che mi permetto oggi di sottoporLe alcune questioni. Nella lotta alla mafia, si sa, tutto si tiene. Distrarsi su di un versante, se le cose vanno bene su altri, è un lusso non consentito. Lei giustamente sottolinea i successi delle forze dell’ordine nella ricerca e cattura dei latitanti. Al riguardo non si può non registrare una continuità – nel contrasto dell’ala militare di Cosa Nostra – che non si è mai avuta prima. È da dopo le stragi del ‘92 che gli arresti “eccellenti” si susseguono ininterrotti: con Riina, Bagarella, Brusca, Aglieri Graviano e un’infinità di altri nel primo periodo; e poi via via fino ad oggi con Provenzano, Lo Piccolo, Raccuglia, Nicchi... mentre ormai le catture si intensificano anche per camorra e ‘ndrangheta. Altrettanto giustamente Lei ricorda la stabilizzazione del 41-bis, cioè di un regime carcerario di giusto rigore nei confronti dei mafiosi detenuti che dovrebbe impedire loro di spadroneggiare anche stando in galera. E sempre giustamente Lei rivendica alcune misure antimafia contenute nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”, forse solo aggiustamenti di un quadro già esistente – e tuttavia aggiustamenti significativi. Ma poste tali positività, vorrei – signor ministro – parlare anche delle ombre che rischiano di rendere l’azione antimafia disomogenea, non coerente su tutti i versanti interessati. Il primo punto riguarda la possibilità, fortemente voluta dalla maggioranza di governo, di vendere i beni confiscati ai mafio-

G

Mentre subisce duri colpi in termini di arresti, ecco che Cosa Nostra trova una sorta di rianimazione sul versante del suo potere economico: i mafiosi si ricompreranno tutti i beni confiscati si. Le cautele previste mi sembrano, obiettivamente, foglie di fico. In realtà dubbi non ve ne possono essere. Quei beni, saranno i mafiosi a ricomprarseli tutti, facendone un sol boccone: perché godono di una liquidità che nessun altro operatore economico si può sognare, perché possono utilizzare un esercito di insospettabili prestanome, e perché se qualcuno osasse mettersi di traverso partecipando all’asta o trattativa i mafiosi saprebbero bene come convincerlo a desistere. Mentre subisce duri colpi in termini di arresti, ecco che la mafia trova una sorta di rianimazione sul versante del suo potere economico. Il vecchio detto “calati iuncu ca passa ‘a china…” sarebbe ancora una volta confermato: le organizzazioni criminali risulterebbero sostanzialmente in recupero, con un forte danno per la credibilità dell’antimafia complessivamente considerata, in netta controtendenza con i successi degli arresti. Anche col recupero di un solo bene confiscato l’arroganza mafiosa potrebbe cantare vittoria, rivendicando – ancora una volta – la sua supremazia. Per non dire della diminuzione verticale che potrebbero registrare le destinazioni a finalità sociali dei beni confiscati. Con conseguente sterilizzazione dello straordinario valore che tali destinazioni hanno sul piano del coinvolgimento della società civile nella lotta alla mafia. Restituire alla collettività ciò che il crimine organizzato le ha rapinato significa fare dei sudditi della mafia dei cittadini alleati dello Stato. Un valore aggiunto delle confische che forse interessa relativamente al mini-

Amanda, Hillary e le toghe rosse di Massimo

Fini

l segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha messo in dubbio, sia pur in termini tortuosi, la validità della sentenza della Corte di Assise di Perugia che ha condannato la sua connazionale Amanda Knox per l’omicidio, in concorso con Raffaele Sollecito e Rudy Guede, della giovane inglese Meredith Kercher. La Clinton ha evocato, pur senza citarli, i giudizi della senatrice democratica Maria Cantwell che ha espresso perplessità sul sistema giudiziario italiano e ha

I

addebitato la sentenza a un “diffuso antiamericanismo” che sarebbe presente nel nostro paese. Opinione che coincide con ciò che pensa una buona parte dell’opinione pubblica degli Stati Uniti. Questa storia va divisa in due parti. Nella prima c’è la notoria arroganza degli Stati Uniti che non accettano di essere trattati alla pari con gli altri paesi. Noi italiani ne abbiamo una certa esperienza. Il pilota che, per fare il rambo tranciò la funivia del Cermis, giudicato negli Stati Uniti perché le basi americane in Italia sono extraterritoriali, sfuggo-

stro dell’Economia Tremonti, ma che non può non stare fortemente a cuore di chi come Lei – ministro Maroni – della lotta alla mafia è istituzionalmente il principale responsabile. La proposta di un’Agenzia nazionale, infine, va nel senso (positivo) che da anni e anni è auspicato da tanti. Ma ipotizzarla mentre viene “codificata” la possibilità di vendere i beni confiscati, equivale un po’ – io credo – a governare la stalla dopo aver dato il largo ai buoi. altro punto caldo riguarda la Uchenriforma delle intercettazioni, – nel progetto già approvato dalla Camera – sarebbero di fatto impedite o quasi per tutti i reati che non siano fin da subito riconducibili alla mafia. Ma tra questi, lo dimostra l’esperienza, rientra anche tutta una serie di gravi delitti (estorsioni, usura, bancarotta, corruzione, aste o appalti truccati, frodi, falsi…) che sono tipici delle mafia “economica”, per disvelare la quale però occorrono approfondite indagini che delle intercettazioni non possono fare a meno. In sostanza, con la riforma si finirebbe – di fatto – per offrire una specie di “scudo” che sarebbe assolutamente controproducente nella lotta alla mafia, una mafia che sempre più – come Lei, signor ministro, sa perfettamente – da impresa criminale va evolvendo proprio in impresa economica. Poi c’è la grave questione delle procure di frontiera che ormai sono letteralmente sguarnite. I posti scoperti per la mancanza di pm, in Sicilia come in Calabria (ma non

IL FATTO di ENZO

solo), sono ormai decine e decine. Ora, se polizia e Cc arrestano fior di latitanti ma poi non ci sono i pm per fare le indagini, si rischia la schizofrenia. E sono sicuro che Lei, signor ministro, questo non lo vuole. Si faccia allora promotore di soluzioni che pongano rimedio a una situazione insostenibile, che porterà alla catastrofe prima di tutto proprio sul versante antimafia. Per esempio consentendo di impiegare nelle procure – come in passato – i magistrati di prima nomina, prevedendo nel contempo un corso “specialissimo” di formazione, di congrua durata, mirato sulle specifiche funzioni da assolvere. Ci sarebbero, signor ministro, tante altre cose da dire. Mi limito a una soltanto, non per facile polemica, ma perché – anche in questo caso – tutto si tiene. Mi chiedo: che effetto può avere (sui poliziotti che rischiano la pelle per arrestare pericolosi criminali) sentire che da uomini con incarichi pubblici importanti un tizio come Mangano viene ostinatamente definito “eroe”? Eroi sono i poliziotti, non i mafiosi che essi assicurano alla giustizia. Controbattere queste “allegre” definizioni – mi creda – non può che far bene all’antimafia e al morale delle forze dell’ordine. RingraziandoLa per l’attenzione, Le auguro buon lavoro. Il ministro Roberto Maroni

l

Agostino Saccà, direttore di Rai Fiction, ha così spiegato perché la Rai ha deciso di non mandare in onda lo sceneggiato su Giovanni Falcone: “C’è una legge sulla par condicio da rispettare: insieme con Giovanni Falcone è protagonista anche Paolo Borsellino e sua sorella Rita è candidata in Sicilia”. L’Espresso maggio 2006

Se gli americani si permettono nei nostri confronti un’intromissione così inaudita, è perché gliene abbiamo offerto il destro no cioè alla nostra giurisdizione, se l’è cavata con un nulla di fatto. Idem per i militari americani di stanza a Napoli che si sono resi responsabili di stupri nei confronti delle nostre ragazze. Per l’uccisione di Calipari l’“amico Bush” non ci ha concesso nemmeno il placebo di un’inchiesta. E gli Stati Uniti che montano di qua e di là dei Tribunali speciali per “crimini di guerra”

(come quello dell’Aia che ha processato Milosevic) si sono sempre dichiarati contrari a un Tribunale internazionale omnicomprensivo, a meno che dai processi di questo tribunale non siano esentati i propri soldati e i propri ufficiali. Ma in tutti questi esempi rimaniamo pur sempre in ambito militare per delitti, veri o presunti, commessi da militari. È la prima volta nella pur lunga storia del mondo, credo, che uno Stato contesta una sentenza di un altro Stato che non ha alcun risvolto politico ma che riguarda un delitto di diritto comune: un assassinio. Se gli americani si permettono nei nostri confronti un’intromissione così inaudita, fuori da ogni convenzione o regola o fair play internazionale, è perché gliene abbiamo offerto il destro. Non si può delegittimare per

giustamente

É

di Bruno Tinti

SENZA AIUTINO PERDI UN’AMICA Q

ualche giorno fa una mia cara amica mi ha telefonato chiedendomi se potevo occuparmi di quanto era capitato al suo compagno. Costui, trasportatore di mestiere, era stato fermato dalla polizia stradale che gli aveva contestato la mancanza di un certificato prescritto per chi trasporta un certo tipo di merci: 150 euro di contravvenzione e sequestro del camion per 60 giorni. La mia amica era disperata: il camion è lo strumento di lavoro del suo compagno: niente camion, niente lavoro, niente soldi per vivere. Ho detto che avrei visto di cosa si trattava e che avrei fatto il possibile. E in effetti mi sono messo a studiare, ho rintracciato le norme di legge contestate e verificato che, purtroppo, non c’era niente da fare: il codice della strada e una recente circolare imponevano questo documento e le sanzioni erano quelle applicate dalla polizia stradale. Nemmeno c’era spazio per chiedere una diminuzione dei giorni di sequestro perché la legge prevedeva un periodo secco di 60 giorni, non uno di più, non uno di meno. Molto dispiaciuto per loro ho comunicato il risultato delle mie ricerche; ho detto che si sarebbe potuto fare un ricorso al giudice di pace e al prefetto ma che il risultato non poteva che essere la conferma di contravvenzione e sequestro perché questa era la legge. La mia amica non è stata contenta; ha cominciato a prendersela con queste leggi del… che ce l’hanno con le persone perbene che hanno bisogno di lavorare, che sono pure leggi stupide perché questo documento sembra sia rilasciato da qualsiasi scuola guida dietro pagamento di una somma di danaro, che quindi non ha nulla a che fare con la sicurezza; insomma una serie di esternazioni anche condivisibili. Mi sono dichiarato dispiaciuto e preoccupato per loro e la cosa è finita lì. Almeno credevo. Ieri la mia amica mi ha telefonato inviperita. Mi ha raccontato che un collega del suo compagno aveva avuto la stessa disavventura: controllo, contravvenzione, sequestro del camion. Solo che lui, che era uno che sapeva stare al mondo, si era rivolto a un suo amico che aveva telefonato a chi di dovere che aveva provveduto ad annullare la contravvenzione e il sequestro. Mi ha accusato di non essermi “interessato” del suo caso, nonostante i nostri rapporti; mi ha detto che non riusciva a capire come, dopo aver fatto il magistrato per tanti anni non avessi un amico a cui chiedere un semplice favore come questo, che evidentemente io di lei me ne fregavo etc. etc. A questo punto mi sono arrabbiato: le ho detto che io non facevo il padrino per nessuno, non lo avevo fatto per me, non lo avevo fatto per i miei parenti e certo non lo avrei fatto per lei. E anche che “padrini” si diventa con un lungo lavoro di favori scambiati, omissioni compiacenti e inciuci poco puliti e che, anche se avessi voluto aiutarla, mi mancavano gli strumenti. Dopodiché ho chiuso con stizza il telefono. Adesso: quanta gente c’è in Italia che ragiona come la mia amica? E questa gente può mai essere sensibile a discorsi di rispetto per le istituzioni, legalità, etica, democrazia, tutela delle minoranze, insomma tutto l’armamentario dell’opposizione (ops, dell’opposizione, mah...)? E ancora: sarà questo il tipo di persone che vota B&C, condividendone il disprezzo per le regole, la furbizia meschina, l’amoralità elevata a sistema di vita? E infine: sarà perché sono tanti a pensarla così che non riusciamo a liberarci di B&C?

quindici anni la magistratura italiana, come abbiamo fatto noi e continuiamo a fare, accusando sistematicamente i giudici di essere “toghe rosse”, “complottisti”, di emanare “sentenze politiche”, senza far sorgere dei dubbi, a questo punto legittimi, anche negli altri paesi. Perché mai Amanda Knox non potrebbe essere vittima di giudici “di sinistra” animati da un pregiudizio antiamericano come sostiene parte della stampa statunitense e come pare credere anche Hillary Clinton? Noi italiani – o per essere più precisi la cricca berlusconiana – abbiamo delegittimato la nostra magistratura e adesso riceviamo ciò che ci meritiamo. L’unico sussulto di dignità nazionale lo ha avuto il padre di Raffaele Sollecito, che pur è stato condannato come Amanda, che ha dichiarato:

“Io sono un cittadino italiano che risponde alle leggi e ai tribunali del suo paese. Di quello che pensano gli americani non m’importa nulla”. Dignità che non ha avuto il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, che di fronte a questa incredibile ingerenza ha fatto spallucce giudicando “normali” le dichiarazioni di Hillary Clinton. Invece sono un’offesa gravissima al nostro paese trattato come il Burkina Faso, sia detto con tutto il rispetto che merita il Burkina Faso e che noi evidentemente non meritiamo più. Anche perché continueremo a fare i “servi sciocchi” degli americani, fedeli come lo sono solo i cani e, su loro ordine, a mandar truppe per la più infame, la più ingiusta, la più ingiustificata, la più vigliacca delle guerre del Terzo millennio. www.ilribelle .com


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SECONDO TEMPO

MAIL Le centrali nucleari nelle zone sismiche Non solo mettono centrali atomiche in Italia, le collocano pure nei posti peggiori: Sicilia, Campania, Lazio, e poi Gorizia, Vercelli. Ma ad Arcore no? E’ un paese di avidi, ignoranti, e senza speranza. Le parole rischio sismico non dicono niente a nessuno? Qualcuno si ricorda il terremoto di Messina del 1908 con annesso maremoto? Altro che terremoto de L’Aquila, in Sicilia si contarono 80 mila vittime! E non era popolata come oggi. Avidi coloro che ci governano, sì, ma ignoranti – e senza memoria – noi che ci becchiamo le conseguenze terrificanti con l’ingenuità di chi casca dalle nuvole. Anche il Lazio è fortemente sismico e che dire della Campania? Gente informatevi! Effettivamente, se ci pensate bene, ci sarà un motivo per cui il nucleare in Francia e in Europa c’è, perché non sono zone sismiche, quindi è escluso il fattore di rischio numero uno. Se persino nell’avanzatissimo e ligio Giappone l’ultimo incidente nucleare risale a pochi anni fa, figuratevi che cosa potrà succedere qui. Si salvi chi può. E Celli dovrebbe aggiornare con questa nuova minaccia la lettera in cui invita il figlio ad andarsene da questo paese senza speranza che è l’Italia. Spero diate la giusta risonanza alla questione almeno voi.

BOX A DOMANDA RISPONDO LA CROCE DELLA LEGA

Furio Colombo

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aro Furio, sempre più autorevoli personaggi della Lega nord, gli stessi che compaiono sui palchi di feste e comizi accanto al ministro Umberto Bossi e agli altri ministri della Lega (tra cui il ministro degli Interni che è capo delle polizie italiane) fanno sapere, appena possibile, che nei loro uffici istituzionali (comuni, province, regioni) c’è bene in vista il crocifisso ma non il ritratto del capo dello Stato, che, come tutti sanno, è un simbolo di unità nazionale. Lei non crede che questio sia un gesto di secessione? Serena

C

C ERTO. Ho scritto molte volte, quasi da solo, che la secessione, ovvero l’intento di spaccare l’Italia, negare e disprezzare l’unione, abbandonare la Costituzione, arretrare i confini intorno a poche regioni ricche, è il progetto mai abbandonato dal partito della Lega nord. Poiché quel partito e i suoi voti sono indispensabili a Berlusconi per governare, la Lega nord, partito regionale con intento secessionista, governa tutta l’Italia con i voti raccolti quasi esclusivamente in due regioni. Ho subito trovato strano il silenzio, sia giornalistico, sia istituzionale e politico, che ha circondato questa deliberata offesa contro la Repubblica italiana. Ma il trucco del

crocifisso appare anche più ignobile. Non solo e non tanto perché il crocifisso viene eletto a simbolo del partito italiano più estraneo e anzi nemico della predicazione cristiana, il partito della distruzione (detta “trasferimento”) dei campi nomadi, del respingimento in mare di donne incinte, persone morenti, bambini. Ma anche perché il crocifisso viene utilizzato, in modo che dovrebbe apparire blasfemo ai credenti, come nuovo stemma politico della repubblica padana. Oppure, come ci informa l’ex ministro della Giustizia Castelli, potrebbe essere messo al centro della bandiera italiana come simbolo della esclusione. La croce come arma, in una antica e barbara tradizione perduta nei secoli. Strana la leggerezza con cui si accolgono e si commentano le iniziative, rigorose, politiche, coerenti della Lega nord. Eppure l’impegno di disprezzo, di distruzione e di secessione sono clamorosamente chiare. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

to a raccogliere tutto ciò che trovo lungo la strada. Dopo circa un’ora la quantità di oggetti raccolti è sconcertante: in un tratto di 4 km ho raccolto circa 300 bottiglie di plastica, svariate lattine , bottiglie di vetro, due gomme, una batteria e altri vari pezzi di auto. Sono molto orgoglioso del mio bottino, ma l’orgoglio in me si tramuta presto in rabbia e rassegnazione nel pensare a quanto sia grande la stupidità dell’uomo. Diego Biggi

Al No B. Day mi sono sentito a casa Al NoB.Day, io c’ero con i miei piedi, con la mia faccia, con la mia voce; con il foulard viola di mia moglie (a casa per l’allattamento del pupo). Mi sono sentito “a casa” in Italia, e non mi era mai successo. Ho incontrato gli italiani!!! Giuliano

Il popolo viola rialza l’immagine dell’Italia Sto piangendo dalla gioia pensando al coraggio e al grande senso civico che hanno dimostrato tutte le persone che hanno partecipato alla manifestazione No B. Day di sabato scorso. Queste persone rappresentano tutti coloro che sono morti ammazzati per difendere la libertà, la verità e l’amore per la propria patria nel corso della

Nelle librerie italiane arrivò nel ’69, pubblicato dalle Edizioni Forum, con la prefazione di Erich Fromm. Era un piccolo grande libro che parlava di scuola e felicità, di educazione e fantasia, di bambini liberi e creativi. Era Summerhill, di Alexander Neill, storia di una scuola antirepressiva e libertaria, nata nell’Inghilterra degli anni Venti come esperimento pedagogico altamente rivoluzionario. Storia di un luogo dove, per dirla con lo stesso Neill “ curare l’infelicità dei bambini, infondere loro l’amore per la vita, stimolare la spontaneità dei sentimenti, eliminare la disciplina imposta dogmaticamente”. Una scuola a misura di bambino, e non viceversa. Questa l’idea chiave della Summerhill School di Neill, una sorta di oasi felice senza obbligo di orari e di esami, in cui dar spazio al gioco, esaltare le vocazioni innate di ogni alunno, privilegiare lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Utopica o visionaria, la Summerhill School, tuttora funzionante nella vecchia sede di Leiston e frequentata da ragazzi dai 5 ai 16 anni, resta uno straordinario laboratorio di educazione alternativa, una moderna “comune” dove provare a imparare l’ar te della vita senza l’ansia di un indottrinamento coatto.

LA VIGNETTA

Giovanna Gabrielli

Tanzi, il processo breve e noi famiglie rovinate C’è un “signore” che, dopo aver rubato soldi a mezzo mondo, se ne gira tranquillamente per il suo paese alla faccia dei truffati. Non solo, ma continua a svolgere i suoi loschi affari infischiandosene della legge italiana. Questo personaggio ha mentito pubblicamente, in spregio degli Italiani e dei magistrati, dimostrando in maniera plateale la sua pericolosità sociale, motivata dalla reiterata volontà di infrangere la legge. Parlo di Calisto Tanzi, e di tutti

quelli come lui che non pagheranno mai davvero per tutto il male che hanno fatto. Noi, famiglie rovinate da quella gente, non avremo mai indietro i nostri risparmi. Bisogna togliere loro la possibilità di danneggiare ulteriormente gli onesti cittadini. Tutte le facilitazioni (domiciliari e quant’altro) devono essere abrogate, visto che se ne approfittano per reiterare e aggravare i reati. Spero che il processo breve non passi altrimenti noi perderemo la speranza di avere, prima o poi, giustizia. A. Sicardi

L’ultima intervista di Paolo Borsellino Ho visto solo su Internet l’ultima intervista al magistrato Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia. Mi chiedo, visto che fa il nome di Silvio Berlusconi, come mai non venga mai trasmessa in tv. In questi giorni, con certe rivelazioni di pentiti mafiosi, quel video mi sembra quantomeno attuale. Mario

L’isola d’immondizia più grande del Giappone Si è scoperto recentemente che nell’Oceano Pacifico si è formata un’isola (grande ben quattro volte il Giappone) formata interamente da plastica. Si tratta di un’isola nata in modo spontaneo dall’unione di tutti i rifiuti plastici presenti in mare. Sconvolgente la chiamano Pacific Trash Vortex: 4 milioni di tonnellate di rifiuti in mare che si addensano per una particolare combinazione di correnti in quella parte di mondo. Quattro milioni di rifiuti che impiegheranno 1000 anni per sparire e i poveri pesci sono costretti a ingerire quella spazzatura che inevitabilmente ingeriremo anche noi. In questi giorni leggendo i giornali mi sono imbattuto in vari articoli che parlano del Vertice internazionale che si tiene a Copenaghen, nel quale si discute dei cambiamenti climatici che stanno avvenendo nel nostro pianeta. Saranno presenti i Grandi della terra che “proveranno” a scrivere un nuovo trattato che determinerà

nuove regole in materia di inquinamento e di salvaguardia dell’ambiente. Dopo aver letto la notizia mi sono detto: “Menomale che si stanno accorgendo della gravità e dell’urgenza del problema, speriamo che oltre alle parole ci sia anche un impegno concreto, che arrivino anche i fatti”. Poi ho pensato che io, privato cittadino, nel mio piccolo posso fare qualcosa per aiutare il mio pianeta. Ma ho bisogno di un’idea piu concreta. Facendo un giro in bici, ho notato che a ogni metro che percorro lungo la strada statale Aurelia nella Val di Vara trovo con grande stupore decine e decine di bottiglie di plastica, di vetro, lattine, sacchi interi di immondizia, gomme di macchine. Mi sono chiesto come possa essere possibile un tale scempio. La rabbia in me è tanta e l’urgenza di fare qualcosa immediata. Mi sono armato di sacchetti e ho comincia-

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EMILIANO E VERONICA “Ciao sono Veronica e scrivo per presentarvi il mio compagno, Emiliano. Lui è un vostro abbonato on-line, ma ogni giorno compra il Fatto Quotidiano anche in edicola “perché la gente nella metro lo veda in giro”. Crede in voi, dice che siete l’unico mezzo per capire cosa stia davvero succedendo in Italia. Io sono spagnola, lo capisco, e sono contenta di non votare in Italia”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

una politica corrotta e clientelare, quella manifestazione è la sola prova che esiste ancora un popolo degno di essere ascoltato e seguito. Lorella

Il futuro nelle nostre mani, e quello della scuola?

Laura Lovreglio

IL FATTO di ieri10 Dicembre 1969

L’abbonato del giorno

storia del nostro paese. Nessuno ha il diritto di criticare queste persone perché ciò significa rinnegare la resistenza, la lotta alla mafia, la legalità e i diritti civili che ogni cittadino ha il dovere di proteggere. In un paese come il nostro nel quale non esiste più uno Stato di diritto per colpa di

Mi chiamo Carolina, ho 14 anni, e vorrei capire. La scuola in Italia non ha mai attraversato un periodo buio quanto quello degli ultimi anni. I docenti ricevono stipendi sempre più bassi, mentre gli studenti devono pagare rette sempre più alte. Le materie considerate superflue o con un numero di iscritti troppo basso, vengono semplicemente cancellate, annullate. Allora io mi chiedo perché i politici passano sempre più tempo a domandarsi le ragioni per cui sempre più giovani italiani, diplomati, partono subito per andare a studiare all’estero? Paesi come Francia, Inghilterra, Spagna e Germania, notoriamente più sviluppati dell’Italia sotto quasi tutti gli aspetti, ci hanno superato anche per quanto riguarda le università e una laurea conseguita all’estero può avere più valore di una conseguita nel nostro paese. Il futuro dell’Italia saremo noi, ma nessuno sembra ricordarsene. Grazie a tutti voi. Carolina Gessaga

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TI ABBIAMO REGALATO PIÙ TEMPO PER I TUOI AFFETTI.

ORE TOTALI DI TEMPO PERSO*

8,9 milioni

4,8 milioni 2006

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FA R T I P E R D E R E M E N O T E M P O P O S S I B I L E S U L L’A U T O S T R A D A È I L N O S T R O L AV O R O . Il tempo è un bene prezioso, specialmente per chi lo deve sottrarre al lavoro o agli affetti. Anche per questo, dopo la privatizzazione nel 2000, ci siamo dati l’obiettivo di ridurre il numero di ore da voi perse per rallentamenti e code. Attraverso una rete di 1500 sensori e un sistema di controllo certificato siamo ora in grado di misurare la fluidità del traffico sugli oltre 2850 km della nostra rete. E oggi possiamo dire con soddisfazione che abbiamo dimezzato (-46%) le ore di tempo perse sulle autostrade che gestiamo. Questo grazie a interventi mirati come la progressiva eliminazione dei “colli di bottiglia” attraverso la costruzione di terze e quarte corsie, la diffusione del Telepass che oggi conta 7 milioni di clienti, la riorganizzazione dei cantieri di lavoro, il potenziamento di oltre 50 caselli. Tutto questo mentre il nostro impegno sulla sicurezza consentiva di ridurre del 75% il tasso di mortalità. Abbiamo lavorato tanto per farvi viaggiare più velocemente ma senza dover “correre”, perché sappiamo che ogni minuto risparmiato sull’autostrada è un minuto in più che potete dedicare ai vostri affetti. *periodo di riferimento annuo: gennaio - novembre

www.autostrade.it


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