Il Fatto Quotidiano (11 Dicembre 2009)

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Cosentino non andrà in galera e resterà al governo. Alla Camera la destra esulta. Ecco la loro lotta alla camorra

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Venerdì 11 dicembre 2009 – Anno 1 – n° 69 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

ANCHE NAPOLITANO DICE BASTA “Dal premier attacco violento alla Costituzione” Mafia, intercettazioni trafugate, processo Mills Berlusconi chiede il silenzio urlando Rottura irrimediabile di Antonio Padellaro

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he Giorgio Napolitano abbia detto a Berlusconi ciò che Berlusconi da tempo meritava gli fosse detto è il segno di una spaccatura forse salutare certamente non più occultabile. La spaccatura tra un premier che usa il consenso del 35 per cento degli elettori (alle ultime europee) come una clava con cui colpire il resto degli italiani che non la pensano come lui. Un premier il cui ego dispotico e violento lo porta a travolgere chiunque a lui si frapponga: a cominciare dal cofondatore del Pdl nonché presidente della Camera Gianfranco Fini. Un premier con tanti scheletri nell’armadio e tanti reati nei cassetti da buttare per aria tutto quanto, governo, maggioranza, Parlamento pur di arrivare alle elezioni anticipate. Lo scontro finale e disperato, dal quale egli conta di uscire con un plebiscito, e non importa se al prezzo della guerra civile da lui stesso evocata. Un premier su cui si addensano cupe domande sul traffico ricattatorio di video e intercettazioni compromettenti per i suoi avversari e a lui regolarmente recapitati. Un premier esagitato, fuori controllo che si esibisce nei consessi internazionali sparando accuse sulla magistratura del suo paese, dai pm alla Corte costituzionale. Un premier che, in un modo o nell’altro, tiene sotto il tallone quasi tutta l’informazione scritta e parlata: tanto che ormai grandi giornali evitano perfino di accostare il suo nome a vicende disdicevoli. Un premier che si è circondato da una corte di mazzieri, che tutto gli devono e tutto sono disposti a fare a un suo ordine. Tra un personaggio siffatto e l’Italia che preferisce invece inchinarsi alla Costituzione della Repubblica ormai non possono esserci compromessi. Perché costui della Costituzione vuol farne uno zerbino per i suoi comodi. La speranza è che dopo il duro comunicato del Quirinale non si torni più indietro. Non parliamo naturalmente dei doveri costituzionali del presidente della Repubblica. Egli saprà come rispondere allo strappo del premier-padrone e alla sua pretesa di sciogliere le Camere. Quello che non è più accettabile è la continua mediazione sul nulla. Perché nulla Berlusconi può offrire ai continui appelli al dialogo se non il suo totale disprezzo per le istituzioni. Ieri, mentre quello a Bonn strillava insulti, a Roma si ricordava Paolo Sylos Labini. E si leggevano i suoi scritti nitidi e preveggenti. Una frase pubblicata sull’Unità di Furio Colombo ha colpito il folto pubblico: “Datemi un’opposizione vera e non mi dimetto da italiano”. L’articolo è del 24 novembre 2001.

A poche ore dalla deposizione dei boss Udi Peter Gomez Graviano al processo Dell’Utri, B. apre e Marco Lillo una crisi istituzionale. E con Fini torna “PAGINE UTILI” Marra e Vasile pag. 2 e 3 z AGLI AMICI il gelo

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DEI GRAVIANO izzini, affari, “Pagine Pnuove Utili”: da una parte le rivelazioni di Ciancimino jr ad Annozero; dall’altra la scoperta di nuovi affari tra il senatore Dell’Utri e gli amici dei fratelli Graviano. pag. 5 z

Udi Luca Telese DI PIETRO: NON C’È SOLO QUEL NASTRO Le foto segnaletiche dei due boss Giuseppe e Filippo Graviano (FOTO ANSA)

TORINO x Iniziato il processo Eternit

L’AMIANTO UCCIDE ANCHE OLTRE LA FABBRICA

er molto meno, in un paese civile come l’America è scoppiato Pil Watergate. Ormai Berlusconi è il grande ricettatore della Repubblica”. Dal 3 ottobre a oggi, il giorno in cui è andato in procura, Antonio Di Pietro si è tenuto dentro un segreto. Era stato contattato – proprio lui – pag. 6 z da Fabrizio Favato.

Udi Massimo Fini

La testimonianza del giornalista Novazio, parte civile nel procedimento contro i vertici dell’azienda

IO E TOBAGI, L’ALBA DELLA FINE stata l’ultima persona a vederlo Èscrivevivo. A parte mia madre. E me Benedetta Tobagi nel li-

Caselli pag. 8 z

bro dedicato a suo padre: “Come mi batte forte il tuo cuore”. Quella persona sono io. Ero con lui in quella che doveva essere la sua ultima notte. pag. 7 z

Un momento della manifestazione ieri a Torino davanti al Palazzo di Giustizia (FOTO ANSA)

nricerca

nliriche

Zeffirelli: bidet, Fisici nucleari diventano prostitute e l’amico Silvio eterni precari Tecce pag. 14z

CATTIVERIE

Perniconi pag. 9z

Dopo il voto, una processione di onorevoli si è messa in fila davanti a Cosentino per congratularsi. Poi tutti al cinema a vedere “Gomor ra” (Bandanax)

Rag. Ugo Fantozzi, segretario del Pd di Marco Travaglio

hissà che aspettano i diversamente concordi del Pd per urlare alto e forte chi è Silvio Berlusconi. Forse aspettano che li faccia arrestare a uno a uno, modello Putin o Lukashenko. Fino a quel momento, dialogo e prudenza. Si pensava, anni fa, che bastasse la Telekom Serbia, quando il Pdl costruì una commissione parlamentare per fabbricare a tavolino tangenti immaginarie da Milosevic a Prodi, Fassino e Dini sui leggendari conti Mortadella, Cigogna e Ranocchio. Niente da fare: dialogo e prudenza. Ora si scopre che Berlusconi ricevette in dono per Natale 2005 l’intercettazione segretata Fassino-Consorte (“Abbiamo una banca?”) e una settimana dopo il suo Giornale la sbattè in prima pagina avviando la campagna elettorale. Non male per l’ometto di Stato che tuona da 15 anni contro le fughe di notizie, brandisce la privacy e il “segreto istruttorio”, vuole abolire le intercettazioni (tranne quelle degli altri). Basterà a far insorgere i diversamente concordi? Ma no che non basta. Al loro posto i berluscones avrebbero già tirato giù il governo, l’Ue, e forse anche l’Onu. Invece, dal fronte pidino, è tutto un pigolare distinguo fra se, ma, però, magari, forse, avrebbe, eventualmente, se fosse confermato... Dialogo e prudenza. La scena ricorda quella del rag. Ugo Fantozzi pestato a sangue da una gang di teppisti che sventrano pure la Bianchina e, fra un ceffone e una testata, prima di perdere i sensi esala: “Badi, signore, che se osa alzare la voce con me...”. Ogni giorno la cronaca sforna tre-quattro assist, a beneficio di un’eventuale opposizione: tutte palle alzate in attesa di qualcuno addetto alla schiacciata. Impresa titanica per il Pd, notoriamente acronimo di Per Disperazione. Ieri il Corriere pubblicava un commento di Salvatore Bragantini sulla mega-fideiussione prossimamente emessa da Intesa Sanpaolo per garantire il debito di Berlusconi & Fininvest verso De Benedetti per avergli fregato la Mondadori con una sentenza comprata da Previti (una cosina da 750 milioni): “Immaginiamo se Obama convocasse a Washington il gotha bancario Usa per garantire un suo debito personale: non sarebbe concepibile”. Anche perché in America l’opposizione c’è. E anche perché in America porcherie come l’operazione Alitalia, pilotata da Intesa Sanpaolo, finiscono in tribunale. Sempre ieri La Stampa raccontava come Previti abbia appena staccato un assegno da 17 milioni per evitare un processo per riciclaggio e chiudere il contenzioso con la stessa Intesa Sanpaolo, proprietaria dell’Imi a suo tempo derubata di 1000 miliardi di lire dalla famiglia Rovelli grazie a un’altra sentenza comprata dalla premiata ditta Previti & C. Naturalmente i 17 milioni, secondo La Stampa, han fatto il giro del mondo fra le Bahamas e il Liechtenstein, nella migliore tradizione del nostro centrodestra off shore. Stiamo parlando di un soggettino che Berlusconi portò al governo nel ‘94 e in Parlamento nel ‘94, nel ‘96, nel 2001 e nel 2006: lo voleva addirittura ministro della Giustizia e solo grazie alla vista aguzza di Scalfaro, molto fisionomista, fu dirottato alla Difesa. A questo punto anche l’opposizione del Madagascar o dell’isola di Pasqua, con tutto il rispetto, chiederebbe conto al premier di questa vergogna a cielo aperto e, appena ciarla di complotti giudiziari e toghe rosse, lo incalzerebbe con qualche domandina semplice semplice. Scusi, ometto, ma se era tutto un complotto, perché Previti ha restituito 17 milioni sull’unghia? E ora che aspetta a chiedere scusa a Stefania Ariosto, ai pm di Mani Pulite e ai giudici di primo, secondo e terzo grado che condannarono il suo amico corruttore di giudici ed evasore fiscale e che lei e i suoi house organ avete diffamato e calunniato per 13 anni? Ancora una cosa, ometto: se i complotti ai suoi danni sono tutti come quelli che han colpito Previti, non sarà per caso colpevole anche lei? Infatti i diversamente concordi queste domande non le fanno. Mica siamo in Madagascar o nell’isola di Pasqua.

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Venerdì 11 dicembre 2009

Il Colle, Capanna e Piazza Fontana

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LO SCONTRO

l capo dello Stato risponde alla lettera di Mario Capanna pubblicata ieri dal Fatto Quotidiano, ringraziandolo “per avermi voluto rappresentare in sintesi le tue valutazioni e opinioni sulla strage di Piazza Fontana”. Ma ci tiene a riportare le parole esatte usate il 9 maggio per la celebrazione del Giorno della Memoria: “Ricordare quella strage e con essa l’avvio di un’oscura

strategia della tensione, come spesso fu chiamata, significa ricordare una lunga e tormentatissima vicenda di indagini e di processi, da cui non si è riusciti a far scaturire una esauriente verità giudiziaria (...) È parte – dobbiamo dirlo – dolorosa della storia italiana della seconda metà del Novecento anche quanto è rimasto incompiuto nel cammino della verità e della giustizia, in special

modo nel perseguimento e nella sanzione delle responsabilità penali per fatti orribili di distruzione di vite umane. Il nostro Stato democratico (...)porta su di sé questo peso: voglio dirlo nel nodo più responsabile e partecipe a quanti hanno sofferto non solo per atroci perdite personali e familiari, ma per ogni ambiguità e insufficienza di risposte alle loro aspettative e ai loro appelli”.

IL PRESIDENTE FURIBONDO

Il Quirinale: da Berlusconi “attacco violento”. Il principale scontro ai vertici dello Stato in 17 anni di Vincenzo

Vasile

uello sferrato da Berlusconi a Bonn davanti al congresso del Partito popolare europeo è un proclama bellicoso, un “violento attacco” contro le istituzioni. E soprattutto contro le massime istituzioni di garanzia create nel 1948 dai Padri costituenti. Si tratta di “istituzioni fondamentali” (la Corte costituzionale, la presidenza della Repubblica”). E queste frasi sono tanto più gravi perché pronunciate davanti a una “importante platea politica internazionale”, come quella dei dirigenti del Ppe. Le parole che certificano lo scontro più grave e pesante ai vertici dello Stato che abbia coinvolto il Quirinale negli ultimi diciassette anni vengono stilate di getto da un furibondo Giorgio Napolitano poco dopo le 2 e 40 di ieri pomeriggio, in un giovedì nero che rimarrà consegnato agli archivi. Una risposta ferma e chiara del capo dello Stato era nell’aria sin dalle prime battute del comiziaccio, consegnate dai funzionari dell’ufficio stampa nello studio del presidente a mano a mano che le agenzie rilanciavano il testo, durante una densa routine di riunioni. A un certo punto è stata interrotta la registrazione di un filmato promozionale per la raccolta di fondi per la ricerca di Telethon. Ma a convincere Giorgio Napolitano a intervenire con una tempistica da botta e risposta che non gli è congeniale è stata la

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (FOTO GUARDARCHIVIO)

sprezzante replica che Berlusconi ha riservato a Fini davanti ai microfoni dei giornalisti che a Bonn gli riferivano della richiesta di una qualche precisazione da parte del presidente della Camera: “Non c’è nulla da chiarire”(14,42). Nulla? La replica del Quirinale (15,04, il tempo di mettere mano a penna), non prevede solo l’espressione – se vogliamo ovvia – del “profondo rammarico” e della “preoccupazione” di Napolitano, ma specifica il carattere “violento” dell’attacco. Il solco tra Palazzo Chigi e il Colle, già tracciato dopo la bocciatura al lodo Alfano diventa, dunque, un fossato: da allora, come si dice in gergo, si sono rotti i telefoni, qualunque

messaggeria istituzionale è interrotta, rimane qualche straccio di rapporto formale: Berlusconi e Napolitano si vedono talvolta di sfuggita durante le cerimonie canoniche. La nota del Quirinale, del resto, ieri rimarcava una sorta di inconciliabilità tra il programma di stravolgimento della Costituzione espresso con brutalità da Berlusconi a Bonn (una specie di “dichiarazione di guerra”, la definiscono persone che hanno potuto incontrare ieri Napolitano), e la filosofia del capo dello Stato: i problemi del paese si risolvono con spirito di “leale collaborazione” e di “condivisione”, lo stesso che è stato auspicato “concordemente” dal Sena-

LE 1000 PIAZZE

BERSANI: “FERMIAMO LA DERIVA PLEBISCITARIA, IL PREMIER A CASA” di Paola Zanca

on so che cos’hanno in testa…con que“N ste frasi violentissime Berlusconi allude ad una Repubblica che non è costituzionale. Noi non andremo dove vuole andare lui”. Pierluigi Bersani arriva al teatro Vittoria di Roma per presentare la mobilitazione che vedrà il Pd impegnato in “mille piazze” domani e dopodomani e si schiera subito dalla parte di Napolitano: “Come sempre le sue parole sono ferme e sagge: questo Paese ha la forza di difendersi, siamo in una democrazia dove chi vince le elezioni non diventa padrone di tutto”. Queste cose Bersani le dice ai giornalisti che lo aspettano all’ingresso del teatro. Dentro, ai cittadini e ai militanti venuti ad ascoltarlo, ribadisce che “Berlusconi va mandato a casa sul serio

perchè è un problema: cercherà di forzare la mano – spiega Bersani – Noi dobbiamo fermare la curva plebiscitaria, dobbiamo prendere una chiara linea di opposizione, unendo il tema democratico e quelli economico e sociali”. Prima di lui, dal palco, ha parlato un rappresentante dei ricercatori dell’Ispra (che lo invita ad andarli a trovare sul tetto dove da settimane stanno protestando) e Franco La Torre, figlio di Pio, che racconta la brutta vicenda della vendita dei beni confiscati alla mafia. A Bersani il compito di parlare del “Paese reale”: quello a cui dei processi ora importa poco, perché è troppo impegnato a fare i conti con la crisi, con questa finanziaria che è “un insieme di coriandoli, come fossimo al Carnevale”. Bersani dice che parliamo “sempre dei problemi suoi, mai dei problemi nostri”. In questo senso le “mille piazze” di domani e dopodo-

Il Pd: “Dobbiamo tenere insieme l’indignazione dei giovani del no B. Day e la rabbia dei lavoratori”

to pochi giorni fa con le mozioni sulle riforme istituzionali. Il presidente tiene a chiarire di volere tuttavia evitare, per quel poco che sia ancora possibile, una personalizzazione dello scontro. E infatti si riferisce nel suo comunicato alla necessaria difesa delle istituzioni di garanzia, cioè la Consulta (accusata da Berlusconi di sabotare il Parlamento) e la Presidenza (secondo la grottesca vulgata di Bonn tutti gli ultimi tre inquilini del Colle sarebbero “di sinistra”, e cioè l’ex scelbiano Scalfaro, il tecnico Ciampi, e il riformista Napolitano). Nell’ormai lontano aprile 2008, quando Berlusconi attaccò in un “f lashback” Ciampi, Napolitano ricordò come “chiunque ne sia il titolare” il Quirinale rivesta un ruolo neutrale. È la quarta volta che il Colle risponde a dichiarazioni di Berlusconi.

Ma c’è stato un crescendo del duello: l’ultimo battibecco sullo stesso tema, con Berlusconi che ancora aveva l’aria di celiare: “…lo sapete da che parte sta il presidente…” e con il Quirinale che rimbeccava “…tutti sanno che sta dalla parte della Costituzione…”, è del 7 ottobre scorso. Anche se forse esagerò chi derubricò il tutto a una manfrina, questo poteva sembrare un minuetto rispetto al tintinnare di spade incrociate ieri pomeriggio. Il 27 novembre una nota del Colle invitava ancora a fermare la spirale delle esternazioni rissose di tutti coloro che “rivestono cariche istituzionali”, e non tutti colsero l’allusione paludata a chi riveste l’incarico di vertice dell’esecutivo. Adesso, la provocazione del discorso di Bonn ha segnato un salto di qualità, e si navigherà a vista. Le forzature imposte

LA MAGISTRATURA

LA COSTITUZIONE NON SI TOCCA

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uella che per Silvio Berlusconi è una Costituzione famigerata, per i magistrati è una manna. Lo sostiene l’Anm, rispondendo all’annuncio del Premier di voler mettere mano alla Carta. Per il sindacato delle toghe “uno stravolgimento del sistema democratico”. Scrivono il presidente Palamara, il vice presidente Natoli e il segretario Cascini: “Per fortuna l'ordinamento italiano e la Costituzione prevedono organi di garanzia e il controllo dell'operato di qualsiasi potere, magistratura compresa”. Poi respingono l’ossessione del cavaliere: “La magistratura non accetta classificazioni che di volta in volta la colorerebbero di rosso o di nero”. Quanto alla Consulta spiegano, a chi non vuol capire: “Ovviamente la Corte costituzionale, come in ogni Paese del mondo che ne preveda l'esistenza, giudica le leggi approvate dalle maggioranze parlamentari. E la Costituzione, come spiega qualsiasi manuale di

mani sono l’anti-NoBday: più che di dimissioni e di giustizia, dice Bersani, “in queste due giornate diremo cosa c’è da fare: alzare i redditi bassi, dare liquidità alle imprese e non alle banche, fare investimenti subito, non come il Ponte di Messina”. Quando parla del governo, Bersani usa sempre il plurale: “dicono”, “promettono”. In realtà è lui stesso ad ammettere che “Berlusconi controlla la maggioranza”. Sarà sotto scacco anche sul voto Finanziaria: “Vedrete, mettono la fiducia”, dice Bersani. “E voi non vi presentate!”, gli consigliano dal pubblico: “E loro godono ancora di più – replica – van via ancora più lisci”. Una luce, però, Bersani la intravede: “Stanno maturando delle criticità, si apre una fase di passaggio crucialissima: il nostro compito è

da Berlusconi sui tempi delle leggi ad personam dovrebbero approdare a un esito interlocutorio in Parlamento entro la pausa di fine anno: perciò è ancora presto per fasciarsi la testa sull’eventuale promulgazione o bocciatura da parte di Napolitano. Il calendario del Quirinale prevede, però, almeno tre appuntamenti solitamente importanti, adesso importantissimi, sul piano delle esternazioni del presidente: il saluto alle alte cariche dello Stato (cui partecipa solitamente in silenzio il presidente del Consiglio), gli auguri al corpo diplomatico, il messaggio di fine anno a reti unificate. Stavolta, a differenza che nel passato, con un magma politico così fluido e ribollente è immaginabile che non sia stata ancora buttata giù neanche una traccia della “scaletta” dei tre discorsi.

educazione civica, la colloca tra gli organi di garanzia”. Non manca il sarcasmo: “Non spetta alla magistratura chiedersi se l'immagine del Paese sia messa a repentaglio più dalle sentenze, dalle indagini e dai libri sulla mafia, o piuttosto da interventi pronunciati da tribune europee”. Speranzoso il presidente emerito della Consulta, Valerio Onida, che a Il Fatto dice: “Quella di Berlusconi è una caricatura della realtà. Credo che i suoi siano attacchi a parole. Se però va oltre, se mette mano alla riforma della Corte costituzionale, allora occorre mobilitarsi”. Per la professoressa Lorenza Carlassare, le dichiarazioni di Berlusconi dimostrano anche “ un’ignoranza giuridica. I giudici sono obbligati a rivolgersi alla Consulta se ravvisano che una legge abbia aspetti incostituzionali”. E l’accusa di una Corte di sinistra? “E’ ridicola per chiunque conosca la composizione, ci dice ancora la costituzionalista. Per esempio, il professor Paolo Grossi, nominato dal presidente Napolitano, è notorio che sia lontanissimo dalle idee di sinistra o comuniste. È stato scelto per i suoi meriti di studioso”. (Antonella Mascali)

quello di tener insieme l’indignazione dei giovani di piazza San Giovanni con la rabbia e lo spaesamento dei lavoratori. Tocca a noi essere la cerniera intelligente”. Già, la cerniera intanto va ancora costruita. Alla presentazione delle “mille piazze” non c’è nessun big nazionale del partito, molte poltrone vuote, soprattutto tra i franceschiniani. Quelli che ci sono se ne vanno dopo l’intervento di La Torre, “l’unico che valeva la pena di ascoltare” mormorano uscendo. Qualcuno insinua che Riccardo Milana, segretario della federazione romana, si sia dimenticato di mandare gli sms con l’invito per l’iniziativa. L’unico assente che dal palco sentono il bisogno di giustificare è Nicola Zingaretti, in volo per il vertice sul clima di Copenhagen.


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Imbarazzo dal Ppe che prende atto e non si sbilancia

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LO SCONTRO

orse i vertici del Ppe non si aspettavano un’incursione a tutto campo della politica interna italiana con l’intervento di Silvio Berlusconi dal palco del congresso di Bonn, ma le loro reazioni sono state molto caute. Dai padroni di casa, i cristianodemocratici tedeschi, sono venute due reazioni diverse. Se la cancelliera Angela Merkel si è limitata ad allargare le braccia allontanandosi senza

rispondere alle domande dei giornalisti, per un esponente di primo piano della Cdu, Peter Hintze, appena rieletto alla vicepresidenza del Ppe, il discorso di Berlusconi è stato “splendido, davvero splendido”, da vero “combattente” che “lotta contro la sinistra europea”. Il capogruppo del Ppe all’Europarlamento Joseph Daul, ha sottolineato che i processi devono fare il loro corso e che i giudici devono rimanere

nell’ambito delle loro competenze. Il presidente, Wilfred Martens, si è limitato a dire che il premier italiano “è il primo presidente del Consiglio, dopo la Prima guerra mondiale, ad avere una maggioranza così forte”. Il segretario generale, Antonio Lopez Isturiz e il presidente dell’Europarlamento Jerzy Buzek, hanno usato praticamente le stesse parole liquidando le uscite di Berlusconi come una questione interna italiana.

BERLUSCONI ATTACCA LA CONSULTA FINI SI DISSOCIA A Bonn uno show contro la magistratura e il Quirinale di Wanda Marra

n Italia abbiamo un premier forte e con le palle”. Sembra la solita boutade alla quale Silvio Berlusconi ha abituato i cittadini del mondo intero. Certo, la scelta del luogo è inusuale: l’intervento al congresso del Partito popolare europeo a Bonn, un palcoscenico internazionale. Ma per il Cavaliere è solo il punto di partenza: “La sovranità, dice la Costituzione, appartiene al popolo" e il Parlamento "fa le leggi, ma se queste non piacciono al partito dei giudici questo si rivolge alla Corte Costituzionale" attacca Berlusconi. Dunque, la Corte costituzionale “non è più un organo di garanzia, ma è diventato un organo politico". La “sinistra, infatti, è allo sbando e utilizza i processi”. Per questo, annuncia, "stiamo lavorando per cambiare la situazione anche attraverso la riforma della Costituzione”. E poi va oltre, prenden do di mira frontalmente il Presidente della Repubblica: “La Con-

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Silvio Berlusconi. (FOTO ANSA)

sulta ha 11 componenti su 15 che appartengono alla sinistra e 5 li nomina il presidente della Repubblica e sono tutti di sinistra in quanto abbiamo avuto purtroppo tre presidenti della Repubblica consecutivi tutti di sinistra". Una sfida in piena regola. L’ennesima. Ma questa volta da un palcoscenico internazionale e con un attacco esplicito al Colle. In un momento di pressio-

ne enorme per il Cavaliere sul fronte giudiziario e di continua tensione interna al Pdl. Anche stavolta, non si fa attendere la reazione di Fini. “È certamente vero - afferma -che la sovranità appartiene al popolo, ma il presidente del Consiglio non puo' dimenticare che esso la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Per questo, “le parole di Berlusconi secondo cui la

Consulta sarebbe un organo politico, non possono essere condivise; mi auguro che il premier trovi modo di precisare meglio il suo pensiero ai delegati del congresso del Ppe". Lui, il Cavaliere, non molla e subito contro-replica, secco: “Niente da chiarire, stanco di ipocrisie”. Che i rapporti tra i due siano sempre più deteriorati non è più un segreto per nessuno. In questi mesi si è assistito agli scontri più feroci finiti sempre con riconciliazioni dovute all’impossibilità di separarsi più che alla convinzione nel restare insieme. Questa volta però interviene anche Napolitano con una posizione di una durezza inedita. “Attacco violento”, denuncia. Il premier ancora una volta sembra andare alla prova di forza. Con il tentativo evidentemente di mettere tutti alle strette: chi non è con me è contro di me. D’altra parte, mercoledì ha dovuto incassare la bocciatura da parte del Csm del processo breve, oltre alla rivolta dell’Anm contro il ministro della Giustizia, Alfano (“i magistrati la-

VOTI SCONTATI

PER COSENTINO DALLA CAMERA NÉ SFIDUCIA NÉ AUTORIZZAZIONE ALL’ARRESTO di Sara

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l caso di Nicola Cosentino è chiuso. Anzi, forse non Ihanno c’è mai stato. Almeno a giudicare dai numeri che accompagnato le due annunciate bocciature all’autorizzazione all’arresto e alla sfiducia del sottosegretario all’Economia accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Insomma, per dirla con Di Pietro, l’aula di Montecitorio non ha avuto “senso di responsabilità, senso del limite: come il governo, non solo non gli dà l’autorizzazione all’arresto – ecco le parole di fuoco dell’ex pm – ma gli permette di rimanere sottosegretario con delega al Cipe e di diventare governatore di quel territorio dove in via perdurante, secondo l’accusa, sta svolgendo l’attività mafiosa". Eppure è stato un plebiscito. Persino maggiore di quello che anche i più ottimisti tra gli uomini Pdl avevano pronosticato come auspicabile. Neppure quella pattuglia di undici finiani che, si diceva, erano pronti al voto contrario di testimonianza si sono, alla fine, manifestati. Contro l’arresto hanno votato 360 sì e 226 no. Compatto, invece, il voto di Pd e Idv per l’arresto. I dipietristi presenti al voto erano 21, che sommati ai 195 del Pd (cioè 200 meno i cinque radicali – Marco Beltrandi era assente – che hanno votato con la maggioranza), fanno 216 voti sui 226 favorevoli all’arresto. I dieci voti di scarto potrebbero essere arrivati dall’Udc (presente con 31 deputati). Granitica, come si diceva, la maggioranza: 253 i partecipanti al voto del Pdl, 56 della Lega che sommati fanno 309 voti sui 360 contrari all'arresto di Cosentino. Cinquantuno voti di scarto che potrebbero essere arrivati da parte dell’Udc, dalla pattuglia radicale, dai 25 presenti gruppo misto. Stessa musica sul secondo voto; su tutte e tre le mozioni Pdl e Lega hanno votato contro. L’unico che ha mantenuto il punto è stato il finiano Fabio Granata che si

Fini manda un “pizzino” a Casini per complimentarsi del suo intervento in Aula

vorino di più e vadano meno in tv”, aveva detto). Nel frattempo, le posizioni divergenti tra Lega e Fini hanno fatto slittare la discussione sul testo sulla cittadinanza agli immigrati. Cosa che ha avuto un immediato contraccolpo sul legittimo impedimento, anch’esso slittato a metà gennaio. Senza contare che il premier si rende sempre più conto che nessuna delle leggi che si sta facendo preparare è davvero al riparo dal giudizio negativo della Consulta (lo stesso Longo, il maestro del suo pool di avvocati ha dichiarato in un’intervista al Corriere della sera che sia legittimo impedimento che processo breve finiranno davanti alla Consulta). Per di più, le tensioni interne alla maggioranza non fanno certo star tranquillo Berlusconi, in un momento in cui oltre ai guai giudiziari ordinari si trova a combattere con le dichiarazioni dei pentiti che lo chiamano in ballo per mafia. Oggi toccherà ai Graviano deporre nell’udienza del processo a carico di Dell’Utri. Evento peraltro del tutto oscurato ieri dallo show del Cavaliere. Potrebbe dunque essere arrivato il momento della “battaglia finale”. Per domenica è prevista una manifestazione del Pdl a Milano, presente Berlusconi. Tra le voci che corrono, anche quella che al Cavaliere piacerebbe dar vita a una sorta di Predellino 2, spaccando il partito e tentando di giocare la carta delle elezioni (sempre Napolitano permettendo). Scenari tutti da vedere alla

è sempre astenuto: la sua lucina bianca era l’unica accesa tra tutte quelle rosse dei colleghi del Pdl. E pareva proprio un lumino cimiteriale. Da Napoli, i magistrati hanno fatto sapere che le indagini proseguiranno: il rischio è che si trovino con le mani legate anche qualora Cosentino dovesse essere eletto presidente della Regione. Una beffa seria. Ma l’aula di Montecitorio ieri è stata anche teatro di un piccolo ma significativo episodio che ha sancito, di fatto, il cambiamento di marcia per le nuove alleanze all’ombra del tramonto del Cavaliere. Pier Ferdinando Casini aveva appena fatto un accenno alla “morte” della Prima Repubblica, quando Fini ha preso dal suo banco un foglio di carta intestata “presidente della Camera dei deputati” e ci ha scritto solo due parole: “Veramente bravo”. Dopodiché, lo ha chiuso in una busta e lo ha inviato a Casini con un commesso . Una rapida lettura, poi tra i due saluto con la mano. Una fotografia destinata a far parlare di sé a lungo nei prossimi mesi a testimonianza dell’esistenza di un asse BENI MAFIOSI tra Casini e Fini che viaggerebbe su due binari distinti ma destinati, alla fine, a convergere in un progetto politico che attirerebbe i mora un impegno e l’altro, Fini ha derati del Pd e del Pdl, oggi incontrato i familiari delle vittime scontenti delle rispettive di mafia che aderiscono a Libera. Hanno leadership. Ma per arrivare a questo è necessario un pasvoluto esprimergli la loro contrarietà saggio istituzionale, quello alla vendita dei beni confiscati. Un di un governo tecnico o di regalo ai mafiosi. Pensavano di trovare garanzia che cambi l’attuale nel presidente della Camera una sponda legge elettorale. Napolitano per bloccare l’emendamento, ma non è non potrebbe che essere stato così. Davanti ai figli di vittime d’accordo. Quell’occhiata della criminalità organizzata, Fini ha d’intesa e il saluto con la maalzato le braccia. E come Maroni e no tra i due sono stati riportati immediatamente alle Alfano, ha negato che con la modifica orecchie del Cavaliere che, a della legge i beni torneranno ai boss quel punto, ha capito di esperché, ha promesso, ci sarà l’agenzia sere rimasto davvero solo. unica che controllerà anche la vendita. Anche per questo vuole andare all’affondo finale.

L’opposizione denuncia compatta. Di Pietro: “Se non è fascismo questo, cosa ci vuole?”

prova dei fatti. Ma quel che è certo è che i berluscones fanno tutti quadrato. Spiega Bonaiuti: "C'è da chiedersi perché quando viene attaccata un'istituzione votata dalla maggioranza degli italiani come il Presidente del Consiglio, nessuno esca in sua difesa". Sandro Bondi, coordinatore nazionale del Pdl, afferma: "La sovranità del popolo da oltre un decennio subisce un violento condizionamento a opera di poteri variamente interessati a esercitare un magistero politico e a 'guidare' il Paese". E Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl: "Si tratta della difesa della sovranità popolare e della contestazione di un meccanismo che smonta sistematicamente la legislazione approvata dal Parlamento". Insomma, stando a sentire gli uomini del Presidente si tratterebbe di legittima difesa e per giunta “solitaria” dopo continui attacchi di fronte ai quali nessuno prende posizione. Fa un passo avanti Stracquadanio, sottolineando “la necessità di procedere alle riforme e basta”. E anche Bossi si schiera con il Cavaliere. Dal canto loro, i finiani Granata in testa - fanno notare la contraddittorietà del Cavaliere nell’aver scelto uno scenario internazionale, anche visto quanto il capo del Governo sostiene di tenere all’immagine dell’Italia. Lo stesso Presidente della Camera avrebbe detto ai fedelissimi: “Berlusconi ha rimesso tutto in gioco. Non vuole chiarire? E’ un errore. Non fa certo fare una bella figura al Paese”. Compatta l’opposizione. Il più duro, il leader dell'Idv Antonio Di Pietro: “Berlusconi sta stracciando la Carta Costituzionale, prima riducendo il Parlamento a un servizio privato ora volendo eliminare la Consulta. Se non è fascismo questo, che cosa ci vuole, l'olio di ricino?” Per il Pd, Anna Finocchiaro in testa parla di “ennesimo show indecente del presidente del Consiglio”. E Pier Ferdinando Casini: “Parole del tutto improprie. Chi vince le elezioni non è padrone del Paese”

A.Masc.

IL PRESIDENTE DELLA CAMERA ALZA LE MANI T Una messa all’asta necessaria, secondo lui, perché ci sono beni non assegnati. Gabriella Stramaccioni stava per rispondergli che non è così, ma è stata stoppata. Il presidente è andato in aula per il voto su Cosentino. L’esponente di Libera avrebbe voluto spiegargli che ci sono 3 mila beni non assegnati perché il 36% di questi è sotto ipoteca e il 30% occupato ancora da mafiosi. Che si riprenderanno anche gli altri beni in vendita. Ma Fini ha concesso solo pochi minuti. Prima, aveva trovato il tempo di inaugurare la mostra “ la pittura sacra a Montecitorio”.


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Don Vito, Salvo Lima i Corleonesi e il “Sacco di Palermo”

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on Vito per gli amici. Il sindaco per gli altri. Ciancimino senior per tutti. Nato a Corleone nel 1924 (e morto a Roma nel 2002), è il protagonista del cosiddetto “Sacco di Palermo” tra la fine degli anni ’50 e i ’60. In quel periodo, nel capoluogo siciliano, si consuma la più grossa espansione edilizia

con lui assessore comunale ai lavori pubblici: record di licenze edilizie, gestite dalla mafia di Corleone, ma intestate a tre persone nullatenenti. Eletto sindaco della stessa città per la Democrazia cristiana nel 1970 era, assieme al suo predecessore Salvo Lima (ucciso nel 1992), il leader siciliano della corrente politica

“Primavera”, guidata a livello nazionale da Giulio Andreotti. Nel 1984 il pentito Tommaso Buscetta lo definisce “organico” alla cosca dei corleonesi: nello stesso anno Ciancimino viene arrestato, e nel 2001 condannato a tredici anni di reclusione per favoreggiamento e concorso esterno in associazione mafiosa.

IO, OSTAGGIO DEI SERVIZI

Le verità di Ciancimino jr ad Annozero: il ricatto degli apparati dello Stato. Ecco i pizzini della trattativa di Marco

Lillo e Antonio Massari icatti dei servizi segreti e trattative in corso, dimostrati da alcuni pizzini, fino all’agosto del 2000: è questo lo scenario emerso dall’inchiesta condotta da Annozero, in onda ieri, e dalle interviste di Sandro Ruotolo a Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo. Se le rivelazioni venissero confermate in sede processuale, l’ipotesi della trattativa tra Stato e Cosa Nostra, ne uscirebbe rafforzata. E non solo quella. È Massimo Ciancimino a spiegare, in più riprese, come e perché ha deciso di raccontare tutto. “Devo finire di proteggere alcune persone: perché non mi protegge nessuno”, spiega, rivelando una serie di ricatti subiti dai servizi segreti, che già nell’aprile 2006 l’avevano avvertito dell’imminente arresto. “Dieci giorni prima che m’arrestano, me lo dicono. Prendo tutta la documentazione e vado a portarla all’estero. Mi viene detto che tutto si sarebbe risolto”. A quanto pare, però, tutto sarebbe finito bene per lui a una condizione: “Dovevo restare zitto sulla trattativa”, spiega Ciancimino. Che resta perplesso già dall’inizio, poiché nel suo appartamento

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Massimo Ciancimino (ANSA)

erano stati sequestrati molti documenti: “Un foglio dove c’è scritto Berlusconi (quello scritto da Provenzano, ndr)”, per esempio, oltre a una scheda telefonica sim con i riferimenti dei “signor Franco” (uomo dei servizi segreti, ndr) e un foglio con le azioni di politici”. Ciancimino racconta di essere stato tranquillizzato: “Stai sicuro”, mi dissero, “che questa documentazione, a livello processuale, non emergerà”. E nessun do-

Nei riquadri appaiono i sei pizzini portati ieri sera in trasmissione in ad Annozero da Massimo Ciancimino. Sarebbero la prova dei contatti intercorsi tra il padre, Don Vito e il boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano

cumento di questo tipo”, conclude, “è stato mai posto alla mia attenzione, a livello processuale”. Massimo Ciancimino, però, si spinge oltre, spiegando il “ricatto” dei servizi: “nella fase processuale sono stato ostaggio di uomini legati al famoso signor “Franco”. Tutte

le fasi processuali venivano anticipate da questi soggetti, che hanno permesso che non si perquisisse la cassaforte, a casa mia, dove c’erano il “papello” e i pizzini di Provenzano”. Qualcuno gli diceva che, della trattativa, non avrebbe mai dovuto raccontare nulla a nessuno: “Il capitano (del Ros dei carabinieri, ndr) De donno mi ha sempre detto che non dovevo parlare di questi argomenti”. E tra i documenti, esisterebbe anche un appunto, di Ciancimino padre, dove si legge: “Buscemi e Bonura uguale Berlusconi”. I due erano imprenditori di Palermo, legati a Salvatore Riina. Ciancimino non fornisce ulteriori dettagli, spiegando che ci sono indagini in corso: “Ci sono investimenti di costruttori, che in quegli anni non erano sottoposti a indagini, poi definiti mafiosi, che hanno investito in attività imprenditoriali del nord. Di più non posso dire”. Un ulteriore riscontro alla tesi della trattativa tra Stato e Cosa Nostra, poi, giunge da sei nuovi pizzini svelati da Annozero, se davvero furono inviati da Provenzano a Cianci-

mino. “Carissimo Ingegnere (…) ho riferito i suoi pensieri al nostro amico sen.”. Il pizzino sarebbe dell’agosto 2000 e confermerebbe, quindi, che la trattativa tra Stato e Cosa Nostra, iniziata nel 1992, sarebbe proseguita. Chi è il “sen.”? S’ipotizza che possa essere Dell’Utri, che all’epoca, però, non era senatore. Il pizzino prosegue con il riferimento all’amnistia: sarebbe meglio se arrivasse con un governo di centrosinistra. In un altro si legge: “Se lei pensa che parlare con questa gente ci porti qualcosa di buono a Lei non manca”. Secondo la ricostruzione, lo scritto risale agli inizi di giugno del 1992, dopo la strage di Capaci e prima di quella di via D’Amelio. La chiave di lettura potrebbe essere quella

dell’ok alla trattativa con i carabinieri. Un ulteriore riscontro giungerebbe dal pizzino nel quale, Provenzano, scrive “Carissimo Ingegnere, ho ricevuto la notizia che ha ritirato la ricetta dal caro Dottore”. La “ricetta” potrebbe essere proprio il “papello”: le richieste avanzate da Riina allo Stato. Pretese altissime, che avevano scoraggiato lo stesso Ciancimino, e in questo senso possono leggersi le righe successive: “Credo che è il momento che tutti facciamo uno sforzo (…) il nostro amico è molto pressato”. Se l’“amico” è Riina, all’epoca capo di Cosa Nostra, c’è da chiedersi, allora, chi e perché possa averlo “pressato”. Quale “entità” era in grado, all’epoca, di pressare un boss del calibro di Riina?

NUOVI DOCUMENTI

COSA NOSTRA DICEVA: VOGLIAMO L’AMNISTIA DAL CENTROSINISTRA la ricostruzione della trattativa tra Stato e Cosa Nostra, P“M”eri seisarebbe pizzini che mostriamo risultano molto importanti. Massimo Ciancimino, l’Ingegnere sarebbe suo padre Vito, mentre lo scrittore sarebbe Bernardo Provenzano. Per certi aspetti, questi scritti, offrono riscontri chiave all’ipotesi che quella trattativa – all’indomani dell’omicidio Falcone, di sua moglie e della sua scorta; e prima della strage in cui morì Borsellino – ci fu per davvero. Ipotesi smentita dal colonnello dei Ros Giuseppe De Donno e dal prefetto Mario Mori, ex comandante dei Ros, che ha sempre sostenuto: “Non ci fu alcuna trattativa”. Se questi sono davvero i pizzini scritti da Provenzano a Vito Ciancimino, innanzitutto, confermano che tra i due c’era un filo diretto e che “M”, ovvero Massimo Ciancimino, ne era testimone diretto. Il che dimostrerebbe la forza delle sue dichiarazioni. In alcuni passaggi si legge di “uno sforzo” da fare con un “amico”. L’amico sarebbe Riina e l’accenno allo sforzo potrebbe rappresentare l’inizio di una “divaricazione”, all’interno di Cosa Nostra, proprio tra Provenzano e Riina, che potrebbe risultare “prodromica” al successivo arresto di Riina. Eppoi: la trattativa sarebbe ancora in corso nell’agosto del 2000, data del pizzino nel quale viene menzionata l’amnistia e il “sen.”, che dovrebbe appartenere al centrodestra, posto che all’epoca governava il centrosinistra. Ulteriori riscontri giungono dai riferimenti all’affare del “Gas”: effettivamente Cosa Nostra era interessata alla metanizzazione della Sicilia. Altri mostrano i sospetti di Provenzano rispetto ad alcuni accadimenti: “Dobbiamo essere prudenti”, scrive, “gli stessi con cui parliamo adesso hanno affittato un appartamento di fronte a casa sua. Hanno piazzato un ufficio per guardare e senan.ma. tire”. Il riferimento sarebbe ai carabinieri.

Tra le righe si legge anche la probabile frattura tra Provenzano e Riina


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Oggi la Corte d’appello di Palermo interroga i due boss siciliani

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COSE LORO

l pubblico sarà di nuovo quello delle grandi occasioni con centinaia di giornalisti e decine di telecamere che affolleranno l’aula della seconda sezione della Corte d’appello di Palermo che sta processando Marcello Dell’Utri. Oggi è in calendario l’interrogatorio in videoconferenza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, i due boss di Brancaccio condannati per le bombe di mafia del ‘ 93, e

di Cosimo Lo Nigro, uno dei loro uomini. Nessuno di loro è pentito, ma è quasi scontato che almeno i Graviano accetteranno di rispondere alle domande di accusa e difesa. A partire dallo scorso luglio i Graviano sono stati ascoltati più volte dai pm che indagano sui mandanti occulti e gli esecutori materiali delle stragi. E, a sorpresa hanno detto di “rispettare” Gaspare Spatuzza, il pentito che ha parlato del loro presunto

accordo politico raggiunto con Silvio Berlusconi e Dell’Utri intorno al natale del ‘94. Secondo molti osservatori i Graviano si sentono traditi dal Cavaliere e lanceranno qualche messaggio. Proprio Giuseppe Graviano a settembre aveva detto: “Sono venuti i pm di Firenze a farmi domande sui colletti bianchi. Ho chiesto di vedere i verbali. Sto ancora aspettando”. Ma ora i verbali di Spatuzza sono depositati.

GLI AFFARI “UTILI” TRA DELL’UTRI E AMICI DEI GRAVIANO Una concessionaria di pubblicità, il veicolo di contatto con il senatore di Peter Gomez

e Marco Lillo on ci sono solo le parole di Spatuzza a legare i mondi lontani del gruppo Berlusconi e del clan Graviano. C’è un filo che corre tra Segrate e Brancaccio e lega la società Pagine Utili, controllata dalla Fininvest, e un uomo considerato dagli investigatori un riciclatore delle cosche (ma uscito dal processo grazie alla prescrizione). “Il Fatto Quotidiano” ha scoperto negli archivi delle camere di commercio di Palermo un documento importante. E’ il fascicolo camerale della New Trade System, una società che a metà dagli anni novanta era stata un partner privilegiato per la raccolta pubblicitaria della società “Pagine utili”, guidata proprio da Marcello Dell’Utri e che aspirava a diventare mandatario esclusivo per il sud Italia di Telepiù, la pay tv allora ancora controllata

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Le “Pagine Utili”della Fininvest e il business con l’agenzia di un presunto riciclatore

occultamente da Silvio Berlusconi. Il documento va letto con attenzione perché il padrone della società era Fulvio Lima, un commercialista parente dell’onorevole Salvo Lima, poi processato nel 1999 per avere riciclato tre miliardi di lire dei fratelli Graviano. A rendere ancora più impressionante la scoperta è che in tempi non sospetti un’informativa della Direzione Investigativa Antimafia indicava Fulvio Lima (mai indagato per questo) come il canale attraverso il quale fluivano i capitali dei Graviano a Dell’Utri. Il documento risale al novembre del 1996 ma è stato depositato al processo dell’Utri venti giorni

fa. Due funzionari che indagano sulle bombe di mafia del 1993 scrivono di avere ricevuto una serie di informazioni da un indagato. Il confidente, terrorizzato, si era rifiutato di verbalizzare ma i funzionari, avevano messo nero su bianco le sue quattro rivelazioni: 1) aveva ascoltato due telefonate tra Filippo Graviano e Dell’Utri nelle quali si parlava di affari “consistenti” in Lombardia e Sardegna; 2) i fratelli Graviano gli avevano detto che “tramite Fulvio Lima trasferivano ingenti capitali a Dell’Utri”; 3) i fratelli trascorrevano la latitanza a Milano proprio per seguire i loro affari, nei quali era

coinvolto anche il finanziere Rapisarda; 4) aveva accompagnato i Graviano al ristorante “L’assassino” di Milano per incontrare Dell’Utri. “Il Fatto Quotidiano” ha cercato di verificare le dichiarazioni del confidente scoprendo l’esistenza di una società che rafforza una di quelle lontane rivelazioni anonime. La società nasce nel 1986 con il nome di Nuova Sudgessi e si occupa di “estrazione e commercializza-

zione di solfato di calcio e dei pannelli di gesso per l’edilizia”. il 12 aprile 1995 viene rilevata da Fulvio Lima (66 per cento delle quote) e da Giovanna Barresi (34 per cento) e cambia il nome (New Trade System) e amministratore unico: Nerio Tassinari. Oggi a “Il Fatto Quotidiano” Tassinari spiega: “ci occupavamo di cambi merci per la Promoservice del gruppo Publitalia (la concessionaria di Mediaset che raccoglie gli spot per le reti del Cavaliere

SPATUZZA: un killer di “fiducia” affiliato alla famiglia di Brancaccio i mafia, politica e affari, sa molto poco. Perché lui era solo Dviano, un killer, era solo il braccio armato e violentissimo dei Grala famiglia di Brancaccio che ancora oggi, nei suoi verbali, dice di “adorare”. Ma quello che Gaspare Spatuzza sostiene di sapere è bastato per terremotare la politica. Spatuzza spiega infatti che le stragi del ‘93 erano “un’anomalia”. Perché Cosa Nostra non mirava ad uccidere i nemici come nel caso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma invece colpiva le cose e le persone. Per questo il pentito, non ancora ammesso definitivamente nel programma di protezione, dice di aver fatto parte “di un’organizzazione terroristico-mafiosa”. E ricorda un incontro con Giuseppe Graviano avvenuto a Campofelice di Roccella nel novembre ‘93, in cui Il boss, in arrivo da Milano dove era latitante, “spiegò a me e Cosimo Lo Nigro che dovevamo uccidere un bel po’ di carabinieri nel territorio romano”. “Io gli dissi”, continua, “che ci stavamo portando

LEGITTIMI IMPEDIMENTI

di Carlo Tecce

Signori del Pdl, state più attenti alle date

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In alto Marcello Dell’Utri; in basso Gaspare Spatuzza all’uscita dal Tribunale di Torino (FOTO ANSA)

ogliono fare il partito solido e poi sbagliano le date. I coordinatori del Pdl hanno invitato Silvio Berlusconi in piazza Duomo a Milano. Domenica mattina. Poveri bauscia: non sanno che il settimo giorno riposò? Per il tesseramento meglio il lunedì oppure il sabato, mai la sera, nemmeno la notte. Lunedì mattina è l’ideale, in giro ci saranno soltanto disoccupati che – una volta persa la cassa integrazione – potranno sempre sventolare la carta del Pdl ricavata con i residui dei plastici di Bruno Vespa. Per stuzzicare il presidente del Consiglio sotto le guglie del

Duomo ci saranno i presidenti Guido Podestà (provincia), Roberto Formigoni (regione) e il sindaco Letizia Moratti: “Berlusconi dovrebbe consegnare le tessere e designare le candidature”. Un’operazione politica: il Pdl non è più liquido né liquame. Gli iscritti potranno comprare con carta di credito e avvalersi della formula famiglia: paghi tre prendi quattro più panettone con o senza canditi. Sul sito la campagna sembra replicare una pubblicità della Standa anni Ottanta. Altri tempi. Quando Bondi era comunista, Fini no. La Russa avvocato civilista, Maroni apprendista attacchino.

un bel po’ di morti che non ci appartenevano. Che a Firenze avevamo anche ucciso una bambina. Lui mi rispose che era meglio che ce li portassimo, così chi si doveva muovere si sarebbe dato una smossa. Mi disse che questi morti avrebbero portato dei benefici, specie ai carcerati”. Intorno al 16 o al 17 gennaio del ‘94, Giuseppe Graviano e Spatuzza si vedono di nuovo al bar Doney di Roma: “Giuseppe aveva un atteggiamento gioioso, come chi ha vinto all'enalotto o ha avuto un figlio. Ci siamo seduti e disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo e questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa storia, che non erano come quei quattro 'crasti' socialisti che avevano preso i voti dell'88 e '89 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi..., Graviano mi disse che era quello del Canale 5, aggiungendo che di mezzo c'è un nostro compaesano, Dell'Utri. Grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo praticamente il Paese nelle mani”. Le promesse però vengono solo in parte rispettate. Tanto che nel 2002 Filippo Graviano, rinchiuso con lui nel carcere di Tolmezzo, avrebbe detto a Spatuzza: “Se non arriva niente da dove deve arrivare sarà il caso di cominciare a parAndrea Cottone lare con i magistrati”.

ndr) ma”, aggiunge Tassinari, “non ricordo il ruolo di Lima. L’ho visto solo una volta”. Nell’oggetto sociale, dopo l’ingresso di Lima e amici, compare: “la rappresentanza nel campo della pubblicità su pagine utili affari e su pagine utili famiglia”. Il primo luglio del 1996 la New Trade System di Palermo apre un ufficio a Verona. Nella nota integrativa del bilancio si spiega: “la società ha stipulato un mandato di agenzia con la società Pagine Italia per la ricerca pubblicitaria sugli annuari Pagine Utili. Lo sviluppo dell’attività ha comportato la realizzazione di un ufficio in Verona, essendo la zona del Veneto e del Trentino quella di esclusiva competenza della società”. La società era stata premiata anche “quale migliore agente promotore dell’anno”. Non solo. Prosegue la relazione “è continuata nell’esercizio la collaborazione con ‘Telepiù pubblicità’”. Anche se era sfumato il grande affare: “non sono prevedibili particolari sviluppi riguardo alla stipula del contratti di agenzia in esclusiva per l’Italia meridionale per Telepiù”. Di lì a poco il controllo della pay-tv passerà dal Cavaliere a Vivendi. Mentre Pagine Utili sarà travolta dalle perdite e - per non appesantire la Mondadori, quotata in borsa - sarà assorbita dalla Fininvest, e poi ceduta nel 2002 alla Telecom. Intanto Lima finisce nei guai per alcune vecchie operazioni del 1986-87 a Palermo. Nel 1999 lo rinviano a giudizio con l’accusa di avere riciclato 3,5 miliardi con un funzionario della Sicilcassa, Salvatore Cuccia. Cuccia chiede il patteggiamento. Lima ricusa i giudici e, dopo vari rinvii il 13 gennaio del 2003 spunta la prescrizione grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche.

Gli inquirenti: “I capitali dei Graviano arrivavano a Dell’Utri tramite Fulvio Lima”


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L’UTILIZZATORE FINALE

“SILVIO IL RICETTATORE”

Di Pietro: “Ormai ogni nastro compromettente arriva sul suo tavolo. L’ho denuciato perché...” di Luca Telese

er molto meno, in un paese civile come l’America è scoppiato il Watergate. Ormai Berlusconi è il grande ricettatore della Repubblica”. Dal 3 ottobre a oggi, il giorno in cui è andato in procura, Antonio Di Pietro si è tenuto dentro un segreto. Era stato contattato - proprio lui - da Fabrizio Favato, l’uomo del “regalo di Natale” (con nastri delle intercettazioni di Piero Fassino, “Abbiamo una banca!”) a Silvio Berlusconi. Allora Di Pietro aveva rinunciato a una denuncia politica. Oggi invece può parlare. E non risparmia fendenti. Onorevole Di Pietro, perchè non aveva denunciato pubblicamente che questo signore era venuto da lei? Avevo fatto un esposto in procura, ero vincolato da un segreto istruttorio finché non si fosse saputo delle indagini. Cosa voleva da lei Favato, in cambio di questo retroscena incredibile sul regalo dei nastri a Berlusconi? Questo signore, prima di me, aveva battuto diverse parrocchie. Voleva soldi. O meglio, per usare le sue parole: aiuto economico, commesse.... E non era incredibile che venisse a bussare da lei? A prima vista sì. Aveva provato con dei giornali. E mi disse che era stato anche da Ghedini! Prima aveva parlato con un suo collaboratore, e poi proprio con lui. A loro offriva silenzio. Le aveva riferito anche la risposta? Sì. Ghedini gli aveva detto: parla pure, se vuoi. Tanto non ti

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crederà nessuno, noi siamo credibili, tu sei un fallito, sarà la tua parola contro la mia. Favato pensa: questi non mi filano, passo a Di Pietro. Ma scusi, lei gli crede subito? Quando ci parlo a me torna in mente quello che diceva sempre il maresciallo Nicotera. Chi lo diceva? (Sorriso). Distretto di polizia. Il mio, però: tanti anni fa.... E cosa le diceva, il maresciallo nel “suo” distretto? “Ragazzi, vi spiego cosa fare con un certo tipo di persone che arrivano, perchè vogliono dire un certo tipo di cose”. Cosa si doveva fare questo “tipo” di persone? La prima volta ascolti. La seconda registri. La terza le arrresti, diceva Nicotera.

“Ci sono altri tre episodi che ho scritto in una memoria ai pm. E’ c’è un problema politico” LEGA

Saviano e i ratti di Castelli

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ono decisamente soddisfazioni. Nella giornata milanese di Roberto Saviano, cui ieri è stato consegnato il titolo di Socio onorario dell’Accademia di Brera e il diploma di secondo livello in Comunicazione e didattica dell’arte, il riconoscimento più gradito sarà invece stato quell’invito garbato del viceministro leghista Castelli: “Ma va a ciapà i ratt!”. Tipica espressione milanese che non ha bisogno di traduzione. Saviano aveva avuto l’infausta idea di definire Milano “la più grande città del sud d’Italia”. “Poveri milanesi – la risposta di Castelli –. L’ultimo maestrino arrivato, di cui sentivamo tanto il bisogno, è l’ennesimo professionista dell’antimafia Saviano, il quale viene da una terra che per condizioni politiche e sociali, sicuramente ha molto da insegnare”. I meridionali ringraziano. (sil.d’on.)

Così lei è passato alla fase uno. All’inizio pensavo che fosse una bufala. Oppure peggio, un trappolone per incastrarmi. Mi sembrava impossibile che fosse vero. L’ho ascoltato. Invece il nastro esisteva? Sì. Favato ce l’ha fatto anche sentire. E anche la storia stava insieme. Il giorno dopo sono andato in procura. Ho chiesto del procuratore aggiunto e ho denunciato. Dopodiché l’ho rivisto ancora. Fase due. Seguendo le regole del maresciallo, col registratore? Su questo non posso dire. Favato le ha confermato che il nastro era stato portato al premier? Sì. Era chiaramente un reato: una intercettazione acquisita illecitamente, offerta a Berlusconi perchè la utilizzasse contro un leader politico rivale. Ma c’era di più.... Cosa? Altri due episodi poco chiari. Il primo, con il precedente governo, riguardava una serie di appalti di quella soAntonio Di Pietro visto da Emanuele Fucecchi

cietà - la Research control system in Romania. Il secondo, una ipotesi di falsificazione di fatture per poter accumulare dei fondi liquidi in nero. E lei? Ho preso nota di nomi, fatti, circostanze che la magistratura ha verificato. Il personaggio cardine di queste operazioni era Paolo Berlusconi. Ho scritto tutto in un memoriale, e ho consegnato pure quello Perchè lei ha escluso he fosse una bufala? Perchè ci sono stati riscontri, a partire dai nastri, che hanno confermato come le parole di Favato fossero fondate Cosa insegna questa storia? Sul piano giudiziario le somme le tirano i magistrati. Su quello politico un fatto enorme: non solo su Berlusconi. In che senso? Abbiamo scoperto il retroscena perchè è finito sui giornali: perché si colpiva, con Fassino un personaggio pubblico. Lei dice che ce n’è altri? Le faccio una domanda. Ma se la ditta che faceva le intercettazioni era disposto a regalare al premier quelle utili a lui, a quanti altri le avrà date? E’ un ipotesi. E’ qualcosa che fa saltare la distinzione fra colpa e dolo. Addirittura! Ma scusi! Io so che mi intercettano perchè me lo dice tizio. Allora chiamo il mio complice con cui devo scambiare un partita di coca e faccio la verginella: voglio solo caramelle.... Una scenetta per gli inquirenti? Ha presente la battuta ‘Saluti al brigadiere’ per fargli capire che si sa di essere ascoltati? Qui siamo al paradosso che l’intercettato sa e il brigadiere no. Siamo alla precostituzione artefatta della buona fede. Riguarda solo quattro vip? E chi lo ha detto? Una volta che il sistema è avvelenato, nel momento in cui la ditta di appalto gira con i nastri, qualsiasi cittadino può essere spiato. Anche qui la politica c’entra. Perchè? Prima non si danno soldi alle forze dell’ordine. Poi si dice che siccome non ci sono soldi il governo dice: bisogna appal-

I soldi di Favato e le diverse verità Di Gianni Barbacetto

ono arrivati molti soldi, recentemente, a Fabrizio Favato, Sportato l’imprenditore che nei mesi scorsi ha raccontato di aver ad Arcore, il 24 dicembre 2005, uno specialissimo regalo di Natale: il file audio segreto della telefonata di Piero Fassino (“Siamo padroni di una banca?”). Proprio la telefonata il cui testo è poi comparso, sette giorni dopo, sul Giornale. Gli investigatori della Procura di Milano stanno cercando di capire la provenienza del denaro. Certo è che Favato, così loquace fino a qualche tempo fa, ora ha smesso di parlare. Il “regalo di Natale” era stato sottratto dagli archivi della procura – secondo quanto raccontava Favato – da Roberto Raffaelli, manager della Research control system, l’azienda che aveva realizzato le intercettazioni telefoniche sulle scalate dell’estate 2005. Raffaelli, che ora si è dimesso dall’azienda, ha confermato di aver fatto con Favato la visita ad Arcore. Ma sostiene di essere arrivato a mani vuote, senza il suo prezioso “regalo di Natale”. Semmai la visita era servita a chiedere un aiuto per un business che la Research control system voleva avviare in Romania. Una versione diversa da quella che Favato aveva raccontato, in passato, a giornalisti dell’Espresso, di Panorama, del Foglio. Ad Antonio Di Pietro. Ma anche a un collaboratore dell’avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, parlamentare Pdl, che replica: le indagini “dimostreranno la totale estraneità” di Silvio e Paolo Berlusconi alla pubblicazione sul Giornale dell’intercettazione di Fassino. Poi erano stati i magistrati della procura ad ascoltare le storie di Favato: prima il procuratore aggiunto Alberto Nobili, poi il sostituto Fabio De Pasquale, infine Massimo Meroni. L’imprenditore, pregiudicato per bancarotta ed estorsione, ha raccontato spezzoni di diverse vicende: come per realizzare una sorta di vendetta per non aver avuto, in un momento di difficoltà, alcun aiuto economico dai fratelli Berlusconi. Ha raccontato il presunto, spericolato salvataggio finanziario che Silvio Berlusconi avrebbe fatto del fratello Paolo, dopo le disavventure della sua azienda Solari e della controllata IpTime, di cui Favata era collaboratore. Poi ha accennato alla storia del tentato rapimento di un ex socio di Paolo Berlusconi. Infine ha parlato del “regalo di Natale” e del file che Raffaelli avrebbe fatto ascoltare e poi passato su chiavetta Usb ai fratelli Berlusconi. A indagini avviate, Favato si è chiuso nel silenzio. E ora gli investigatori cercano di fare chiarezza su un terreno alle porte di Milano che Favata avrebbe tentato di vendere. È questa o altra, la fonte delle sue recenti, misteriose entrate?

tare fuori le intercettazioni! Una mela marcia vuol dire che tutto il sistema lo è? Ma perché correre il rischio? Perchè appaltare fuori? Ha letto il libro di Genchi? Perchè me lo chiede? Dovrebbe. Ne esce un quadro incredibile... Lui è stato crocifisso perchè ha monitorato i tabulati di intercettazioni

le-ci-te! E poi dobbiamo accettare che qualcuno faccia il mercatino illecito con il premier? Cosa pensa del suo intervento di ieri a Bonn? Uno che fa la scenata di fronte ai leader di mezzo mondo... Ormai quando sento Berlusconi non capisco se siamo al piano preordinato, o al caso di scuola per la psichiatria forense.

Previti paga ed evita l’accusa di riciclaggio L’EX AVVOCATO SBORSERÀ 17 MILIONI A INTESA SANPAOLO, “EREDE” DI IMI l difensore storico di Cesare Previti, l’avvocato AlesIFatsandro Sammarco, si è rifiutato di rispondere a Il to sui 17 milioni di euro che Cesare Previti ha accettato di pagare alla banca Intesa Sanpaolo, in quanto “erede” dell’istituto Imi. Una cifra astronomica, che l’ormai non solo ex ministro ed ex parlamentare, ma anche ex avvocato (è stato radiato dal’albo alcuni giorni fa), ha dovuto sganciare suo malgrado. Altrimenti avrebbe rischiato di ficcarsi in nuovi guai con la giustizia. Questa volta non per corruzione o corruzione in atti giudiziari, ma per riciclaggio di una mega mazzetta che ha fatto il giro del mondo. La cifra pagata da Previti corrisponde a 34 miliardi delle vecchie lire, tanti – secondo una sentenza definitiva della Cassazione – l’ex avvocato ne ha incassati dalla famiglia Rovelli, come ricompensa della “mediazione” perché ci fosse una sentenza a favore del petroliere Nino Rovelli e contro l’Imi. E quel verdetto ci fu: nel 1993 l’Imi fu condannato a pagare quasi 1000 miliardi di lire. Un risarcimento che non ha eguali nella storia italiana. Nel 2006, dopo i processi di Primo grado e d’appello a Milano, la Suprema corte ha confermato in via de-

finitiva le condanne a 6 anni oltre che per Previti, anche per l’ex giudice Vittorio Metta e per gli ex avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. Sono gli stessi protagonisti condannati per il lodo (comprato) Mondadori. Della trattativa extragiudiziale – avviata da Intesa Sanpaolo con i legali di Previti – ha dato conferma il professor Romano Vaccarella, pur avendo seguito la vicenda “soltanto nella prima parte e non in quella conclusiva”. Forse perché impegnato a tempo pieno nel ricorso contro la sentenza di condanna della Fininvest a 750 milioni di euro a favore della Cir di De Benedetti. L’accordo Intesa Sanpaolo-Previti è, come sempre in questi casi, con la clausola della riservatezza delle parti e prevede che l’istituto bancario non potrà più rivolgersi a un tribunale. Insomma il contenzioso si è chiuso, dopo un tira e molla sulla cifra da sborsare. Previti ha cercato di avere uno sconto consistente, ma non l’ha ottenuto. Anche Primarosa Battistella e Felice Rovelli, rispettivamente moglie e figlio del petroliere defunto, hanno raggiunto un accordo con Intesa Sanpaolo. Devono pagare, in base a una transazione del 2008, 200 milioni di dollari. Per adesso la banca si è dovuta (a.masc .) accontentare di 67 milioni di euro.


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LA TESTIMONIANZA

di Massimo Fini

stata l’ultima persona a vederlo vivo. A parte mia madre. E me” scrive Benedetta Tobagi nel libro dedicato a suo padre: “Come mi batte forte il tuo cuore”. Quella persona sono io. Ero con Tobagi in quella che doveva essere l’ultima notte della sua vita. La sera di quel 27 maggio del 1980 ero andato al Circolo della Stampa di Milano a un dibattito sul segreto istruttorio che Tobagi, quale presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, presiedeva. C’ero andato un po’ per incontrar lui, un po’ per rivedere il mio vecchio maestro, Gian Domenico Pisapia, e perché il segreto istruttorio è un mio antico pallino. Così, quando fui fra gli antichi stucchi del circolo non seppi resistere e feci un intervento in cui difendevo le ragioni del segreto. Ero, e sono, convinto che il segreto istruttorio non è un intollerabile limite alla libertà di stampa ma un indispensabile istituto a difesa della dignità delle persone che siano coinvolte, a qualsiasi titolo, in un’inchiesta penale e che hanno diritto, in un’indagine che è ancora ai suoi incerti inizi, a non essere sbattute indiscriminatamente in prima pagina. Un tema, come si vede, molto attuale. Solo che oggi, con logica berlusconiana, non si tende tanto a ripristinare il segreto quanto, soprattutto per i reati di “lorsignori”, a rendere impossibili le indagini. Ma trent’anni fa, quando ad essere colpiti dalle inchieste erano gli stracci e Mani Pulite era di là da venire, la sensibilità era diversa e il mio intervento aveva sollevato mormorii di disapprovazione fra i giornalisti – la sala ne era piena – che ogni volta che gli si parla di segreto istruttorio si mettono a strillare all’offesa del “sacro diritto-dovere di informare”. Ma Tobagi nel suo intervento conclusivo mi aveva dato manforte. E mentre parlava, di quando in quando, mi aveva lanciato un’occhiata d’intesa perché erano cose che ci eravamo detti tante volte e, da qualche tempo, anche in lui, come in me, erano sorti dei seri dubbi sul nostro mestiere.

“E’

“Non voglio finire ammazzato” Dopo, assieme a un altro collega, Giorgio Santerini, eravamo andati a mangiare in una scalcinata pizzeria di via Moscova, vicino al Corriere. E avevamo chiacchierato e allegramente malignato. Io ero l’unico con la macchina (a Walter non piaceva guidare) e ho accompagnato a casa prima Santerini e poi Tobagi che abitava vicinissimo a me. Si erano ormai fatte le tre di notte ma, da viziosi e incalliti giornalisti di quotidiani, non ci pareva ancora abbastanza tardi. E siamo rimasti a parlare una mezz’ora sotto casa sua in macchina. Fuori cadeva una pioggerellina leggera. Tobagi mi ha raccontato dei suoi problemi al Corriere. In quel periodo non andava molto d’accordo con Di Bella, il direttore che sarebbe stato di lì a poco travolto dallo scandalo della P2. Poi, quasi d’improvviso, aveva aggiunto che da un mese aveva smesso di occuparsi di terrorismo. Aveva una voce tranquilla, come sempre, ma mi ha detto: “Sai, non voglio proprio finire ammazzato per questi qua” intendendo Di Bella e Barbiellini Amidei, il vicedirettore. È stato a questo punto che ho pensato che eravamo de-

IO E WALTER: quell’addio sull’uscio di casa L’ultima sera di Tobagi, il “buon cronista” inviato del Corriere e leader sindacale gli incoscienti a rimanere lì fermi in macchina davanti al suo portone. E ho avuto l’impulso di guardarmi attorno al di là dei vetri della macchina bagnati dalla pioggia. Ma non l’ho fatto per non spaventarlo e non spaventarmi. Ci siamo lasciati con l’intesa di portare, appena possibile, i nostri bambini allo zoo dove, un paio di domeniche prima, ci eravamo fanciullescamente divertiti, ritagliandoci un paio di ore in quegli anni convulsi. Ho ancora negli occhi la sua sagoma massiccia mentre con le mani grassocce armeggia con le chiavi per aprire il signorile portone di legno. L’ultima immagine che ho di lui.

“Non sai niente? L’hanno ammazzato” Me ne andai a letto e, poiché ero in uno dei miei periodi di disoccupazione, dormii beatamente fin verso le undici. Mi svegliò una telefonata del collega Gian Franco Venè che mi ringraziava per un favore che gli avevo fatto “anche se”aggiunse “con quello che è successo le nostre piccole cose paiono senza senso”. “Che cosa è successo?” feci io, con voce insonnolita. “Ma come, non sai niente?”. “No”. “Hanno ammazzato Walter, Walter Tobagi”. Per me che l’avevo lasciato pochi minuti prima (così mi pareva nell’intervallo incosciente del sonno: nella mia mente lui era ancora lì che apriva il portone) fu un’emozione violentissima. Buttai giù il telefono, mi vestii in fretta, uscii e feci a piedi i pochi passi che mi separavano dalla casa di Tobagi. In testa mi risuonavano quelle parole: “Sai, non voglio proprio finire ammazzato per questi qua” e mi gelavano il sangue. Quando arrivai davanti alla casa di Tobagi, in via Solari, c’era il solito canaio d’inferno, poliziotti, fotografi, curiosi, giornalisti nella doppia veste di amici e di gente che era lì per lavorare. Vidi uscire dal portone, con gli occhi rossi di un pianto che non facevano nulla per nascondere, due colleghi, Raffaele Fiengo e Gabriele Pantucci, che più avevano seminato odio, un odio che in certe riunioni sindacali si tagliava col coltello, contro Tobagi. Quelle lacrime mi colpirono. Io non piangevo. Mi feci coraggio ed entrai in casa. C’era molta gente che sicuramente conoscevo ma che oggi non ricordo. Ricordo solo Santerini che fa giocare i bambini e Stella Tobagi, pallidissima, che esce da una porta e si abbandona piangendo sulla mia spalla: “Tu... eri tu stanotte con lui”. Sono rimasto lì, con Stella che piangeva, senza sapere cosa fare e cosa dire. Quando Stella si è ripresa sono uscito e mi sono ritro-

vato sulla strada mentre fotografi e giornalisti facevano il loro mestiere, quello solito di sempre, ma che a me, quel giorno, è sembrato particolarmente turpe. “Vuoi andare a vederlo all’obitorio?”, mi ha chiesto qualcuno. Ho risposto di no. Mi sarebbe sembrato di violare il pudore di Walter. Anche i funerali mi disturbarono. Non solo nel vedere un’Oriana Fallaci, che non aveva mai conosciuto Tobagi, stringersi affranta al braccio di Bruno Tassan Fini e Tobagi, la sera prima dell’assassinio. Foto dell’archivio della famiglia Tobagi contenuta nel libro “Come mi batte forte il cuore”

anni, era lui – così più maturo – a fare la parte del fratello maggiore. Assumeva un’aria quasi protettiva nei miei confronti. È una parte che accettavo volentieri e che in Tobagi mi è sempre parsa naturale.

“Studiava da direttore” C’eravamo conosciuti molto giovani ai tempi in cui lui lavorava all’Avvenire e io all’Avanti!. Allora, nell’ambiente dell’Avvenire, Tobagi era soprannominato “il viperotto” in contrapposizione alla “mangusta” che era un altro bravissimo collega, Corrado In-

La figlia Benedetta, nel suo libro, lo toglie dall’empireo dei martiri all’italiana per restituirlo “vivo”

Din, che non c’era bisogno che fosse scoperto con le mani sul tagliere della P2 per capire che era un mascalzone, ma per la Rolls Royce e tutto l’apparato, pomposo, barocco, esagerato che aveva confezionato il Corriere. L’opposto della sobrietà di Walter. L’amicizia fra me e Tobagi era di natura piuttosto bizzarra. Eravamo diversissimi di carattere. Forse ci trovavamo proprio per questo. Lui era riflessivo, pacato, calmo. Io tutto il contrario. Utopico io, realista lui. Io melodrammatico, lui ironico. Lui riservato, io esibizionista. Io ribelle, lui con i piedi per terra. Io provocatore, lui mediatore nato. Lui mi trasmetteva un po’ della sua serenità, io, forse, lo incuriosivo con i miei eccessi, la mia smodatezza d’allora. Nonostante fosse più giovane di me di tre

certi. Perché Tobagi, al di là dell’immagine oleografica che gli è stata cucita addosso dopo morto, era uno che, sotto quel suo aspetto d’acqua cheta, sapeva mordere e sapeva difendersi. Fra noi si diceva, con affettuosa malignità, che “studiava da direttore”. A quell’epoca però, per me, Tobagi era una conoscenza come un’altra. Divenimmo amici do-

po, quando fummo eletti consiglieri dell’Associazione lombarda dei giornalisti. Scoprimmo, oltre a una simpatia di pelle, di avere molte idee in comune. Anche se cercavamo di farle valere in due modi diversi, io con l’irruenza, lui con la mediazione per la quale aveva un’inclinazione e un talento istintivi. Ricorderò sempre quella sera del 1978 quando Tobagi, Ciccio Abruzzo e io rompemmo la maggioranza socialcomunista dell’Associazione lombarda che si ispirava al marxismo-leninismo, tanto in voga allora, cosa particolarmente grottesca perché i sedicenti “rivoluzionari” appartenevano al più borghese dei giornali italiani, il Corriere della Sera. Era un’operazione molto delicata e dolorosa perché noi, socialisti e libertari, ci alleavamo con i “fascisti” di Autonomia e sapevamo che ci saremmo esposti ad accuse di tutti i generi, che ci avrebbero dato dei “traditori” e coperto di insulti (cosa che poi puntualmente avvenne, soprattutto nei confronti di Tobagi che, come giornalista del Corriere, era il più esposto e questo contribuirà a indirizzare su di lui il mirino dei terroristi). Tobagi aveva in mano la mozione di sfiducia che avevamo preparato, ma esitava. La girava e rigirava fra le dita, ma non si decideva. Per lui, che non faceva le cose alla leggera, era un momento lacerante. E poi, visibilmente, ne temeva le conseguenze (“Non era

NAPOLI

un cuor di leone, papà”, ha scritto Benedetta con uno sforzo di lucidità e di sincerità che deve essere costato non poco al suo amor filiale, smitizzando anche i “falsi miti”dell’“eroe”e del “martire” di cui dà prova, in tutto il libro, di aver piene le tasche). Io che gli sedevo a fianco lo incoraggiavo, lo incitavo, lo pungolavo, lo spingevo quasi fisicamente. “E dai Walter”. Mi feci dare il foglietto e dissi: “Presidente, c’è una mozione di Tobagi”. Quante volte, dopo quel che è successo, ho pensato che se non gli avessi forzato la mano con la mia spensierata insistenza, forse Tobagi sarebbe ancora vivo. Perché quella secessione lo portò alla presidenza dell’Associazione lombarda dei giornalisti. E Tobagi è stato ucciso per il doppio ruolo simbolico che aveva: come inviato del Corriere e come leader del sindacato dei giornalisti lombardi. Non perché avesse capito chissà che del fenomeno terrorista come vuole l’agiografia postuma.

“Buon cronista non cronista buono” Un’altra cosa che non mi sento assolutamente di condividere, proprio per l’affetto e la stima che mi legavano a lui, è la retorica, partorita dal Corriere della Sera, del “cronista buono”. La melensa, insulsa, triste, ingiusta retorica del “cronista buono”. Tobagi non era affatto “buono” nel significato zuccheroso che si vorrebbe dare a questo termine. Era un “buon cronista”, che è cosa diversa. Era un ragazzo che aveva lavorato e sudato e sacrificato molto per arrivare, a soli trentatré anni, dove era arrivato. E per farlo, in quell’ambientino tremendo che è la famosa “famiglia del Corriere”, aveva dovuto difendersi, anche lui, con gli artigli, sia pure degli artigli felpati che gli derivavano dalla sua educazione cattolica (era un esemplare, piuttosto raro, di “catto-socialista”) e che consistevano in una grande capacità di mediazione, un notevole senso della realtà e dei rapporti di forza, un certo istinto politico. Il tutto accompagnato da un “sense of humor” assai affinato e, quando si andava sotto la prima buccia, da una partecipazione umana autentica. Beatificarlo, stamparlo in un’immagine da santino, com’era stato fatto finora, significa umiliare la sua memoria e far torto alla sua intelligenza che era, essa sì, notevole. Ora finalmente l’amorosa testimonianza della figlia lo toglie dall’empireo dei santi, degli eroi e dei martiri all’italiana per restituirci, al posto di quello sepolto dalla retorica e dalle pallottole di due imbecilli, un Walter Tobagi vivo.

di Vincenzo Iurillo

PD E CLIENTELE L’ASSESSORE DICE ADDIO “E’

gravissimo che le partecipate del comune di Napoli non siano amministrate in nome della collettività, ma per fabbricare clientele in favore del Pd. Ho provato a combattere questo modo di fare, ma sono stato ostacolato in tutti i modi”. Riccardo Realfonzo motiva così le dimissioni da assessore al Bilancio della giunta di Rosa Russo Iervolino. E’ il primo professore che se ne va tra quelli ingaggiati a gennaio per ridare credibilità a un esecutivo travolto dagli arresti di Global Service. Ha gettato la spugna con una lettera di poche righe. Coi cronisti, l’ormai ex assessore è più loquace. E cita a esempio di andazzi indifendibili la Napoli Servizi, partecipata al 100%. Il Cda, ricorda Realfonzo, ha nominato uno dei suoi membri direttore generale dell’azienda. Un ex assessore Ds, lautamente retribuito (145 mila euro lordi annui). Amaro il commento dell’eurodeputato Idv Luigi De Magistris: “Se il Pd è questo, meglio andare da soli”.


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FABBRICHE ASSASSINE

ETERNIT, PARENTI E MALATI CHIEDONO GIUSTIZIA Le parti civili potrebbero essere 5mila A Torino arrivano da Francia e Belgio di Stefano Caselli

Torino

a portata storica del maxiprocesso Eternit, aperto ieri mattina a Torino, la vedi a occhio nudo. Centinaia di persone su via Giovanni Falcone, a lato dell’ingresso principale del Palazzo di Giustizia, tra bandiere, striscioni e telecamere. E dentro, ancora di più: il presidente del Tribunale Luigi Casalbore occupa la prima ora di dibattimento soltanto per l’appello di avvocati e parti civili già costituite all’udienza preliminare (oltre 700), mentre il resto della giornata prosegue con la costituzione delle altre parti civili. Centinaia di malati di tumore, mesotelioma pleurico, asbestosi più i parenti delle 2.191 vittime uccise dell’amianto dell’Eternit (finora accertate) a Casale Monferrato, Bagnoli (Napoli), Cavagno-

L

lo (Torino) e Rubiera (Reggio Emilia). Una partecipazione senza precedenti, che valica i confini nazionali: dieci pullman da Casale, un volo charter da Napoli e cinque autobus dalla Francia, folte delegazioni anche da Svizzera e Belgio. Il Palazzo di Giustizia di Torino, oltre alla maxi aula uno in cui si celebra materialmente il dibattimento, ha messo a disposizione delle parti civili – che potrebbero essere quasi 5.000 – l’adiacente aula due, l’aula magna del primo piano e l’aula cinque per cancellieri e forze dell’ordine. La provincia di Torino, che a sede poco lontano, ha contribuito aprendo al pubblico l’auditorium del piano terra, raggiunta da un centinaio di francesi provenienti dalla Borgogna, dove è ancora attivo uno stabilimentoEternit. Anche il colle-

PONTE GALERIA

GLI TOLGONO IL GESSO PER RIMPATRIARLO

S

i chiama Mizaar Trabedin ed è un ragazzo tunisino trattenuto da mesi nel Cie di Ponte Galeria. Ieri è stato espulso: scortato in aeroporto e imbarcato su un volo per la Tunisia. Mizaar fino a ieri aveva una gamba ingessata a causa di una frattura e si muoveva per il campo saltellando perché non gli sono state date le stampelle. Al momento dell’espulsione, però, Mizaar denuncia che il gesso gli è stato tolto perché nel suo paese non lo avrebbero accettato: nell’ingessatura si possono nascondere armi. Il dottor Amos Dawodu, medico che, assieme alla Croce Rossa, lavora nel Cie di Ponte Galeria, esclude che questo possa essere accaduto: “Il collega che si è occupato di Mizaar mi riferisce che si trattava soltanto di un bendaggio non più necessario. Per questo è stato tolto”. Chi ha incontrato Mizaar ultimamente, però, racconta che il gesso c’era.

gio difensivo delle parti civili – prima volta per una causa di danno ambientale in Europa – è composto da avvocati di diversa nazionalità. L’intento è dimostrare che il sistema di lavorazione dell’amianto fosse lo stesso in tutte le fabbriche d’Europa, frutto quindi di una politica cosciente dei vertici aziendali e non dei dirigenti locali. I pubblici ministeri infatti, coordinati dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, accusano lo svizzero Stephan Schmidheiny (assistito da un esercito di 26 avvocati) e il belga Louis De Cartier, ultimi proprietari della multinazionale, di disastro ambientale doloso permanente: avrebbero deliberatamente omesso le necessarie precauzioni, nonostante la pericolosità dell’amianto fosse nota da tempo. I due, 61 e 88 anni, non erano presenti in aula. Si parla di vittime finora accertate perché di amianto si continua a morire. Proprio ieri, in contemporanea con l’apertura del dibattimento, a Casale Monferrato si è celebrato un funerale; altri tre la scorsa settimana. Il “processo più grande d’Europa” potrebbe non essere che la prima puntata: “Purtroppo – dichiara Bruno Pesce, coordinatore dell’Associazione vittime amianto – c’è già materiale a sufficienza per un Eternit 2”. Migliaia di storie, simili e preziose, sfregiate dalle microfibre killer lasciate liberamente circolare nell’aria, finite non soltanto nei polmoni di chi all’Eternit lavorava ma anche (almeno 500 nella sola Casale Monferrato) di semplici cittadini. Accanto alle vittime, associazioni, sindacati e d Enti locali: “È un giorno storico – dichiara il presidente della regione Mercedes Bresso – per la tutela dei cittadini di fronte alla ricerca del profitto nel totale disprezzo della salute e della civiltà”. Cittadini che – nonostante tutto – dimostrano di credere ancora nella giustizia italiana.

La manifestazione a Torino davanti al Palazzo di Giustizia (FOTO ANSA)

IL GIORNALISTA NOVAZIO

“MI HANNO UCCISO MADRE E MOGLIE” ia madre e mia moglie non hanno mai M messo piede all’Eternit. Sono morte a vent’anni di distanza l’una dall’altra, uccise da un mesotelioma. Che vuol dire amianto”. La privatissima tragedia di Emanuele Novazio, corrispondente diplomatico de La Stampa, è anche la storia di un’intera comunità, quella di Casale Monferrato. Una cittadina di 35 mila abitanti che in pochi decenni ha visto morire oltre 1.500 persone per le stesse cause: “Ho cominciato la mia carriera di giornalista – racconta Emanuele – al bisettimanale Il Monferrato, che tuttora leggo e ricevo. Ebbene, ancora oggi non c’è numero del giornale che non riporti la morte di almeno un casalese per mesotelioma. Io ho perso amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro. Tutti uccisi dall’amianto. La mia vita, e quella degli altri, è stata scandita da queste morti”. I morti dell’Eternit, la fabbrica assassina che per decenni ha dato lavoro a migliaia e migliaia di casalesi: “L’Eternit fa parte dei miei ricordi di bambino – racconta Novazio – perché ho lasciato Casale molto presto. Se guardo indietro nel tempo, vedo una fabbrica che sulla città incombeva anche fisicamente, e che nella mia memoria si manifesta anche in modo giocoso. C’era infatti un trenino che tutti i giorni, 24 ore su 24, viaggiava dal deposito ferroviario fino all’Eternit; per me era un giocattolo a grandezza naturale. Peccato che trasportasse amianto e spandesse continuamente in giro grosse quantità di polveri”. L’inviato Emanuele Novazio comincia a lavorare a New York, poi torna in Europa: “Nel 1983 mi sono trasferito a Parigi. Io e mia moglie Or-

Le due donne sono morte di mesotelioma non avendo mai lavorato in fabbrica

nella ci eravamo appena sposati. Poi mi ha seguito anche a Bonn, Mosca e Berlino. Sempre a centinaia di migliaia di chilometri da Casale Monferrato. Ma qualcosa che aveva respirato da bambina le è rimasto nei polmoni”. Il nome di Ornella, oggi, è tra gli ultimi inseriti dal procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello nell’elenco delle vittime dell’amianto. È mancata cinque anni fa, a quarant’anni, diciannove anni dopo la suocera, uccisa a 75 anni dallo stesso male, dopo una vita di lavoro lontano dall’Eternit. “La città era piena di queste polveri sottili – ricorda Emanuele – che uscivano dalle ciminiere, cadevano dal trenino, ma non solo. L’azienda regalava ai dipendenti gli scarti di produzione, tubi rotti che venivano polverizzati e poi usati nelle intercapedini delle porte, nei solai per isolare i tetti dal freddo. Tutto senza alcuna precauzione. La percezione del pericolo si è fatta strada a fatica. Ricordo una netta volontà di negare l’evidenza anche di fronte ai primi studi scientifici che confermavano ciò che da tempo era più di un sospetto. Un atteggiamento perdurante, che dimostrava scarsa coscienza del pericolo, ma che aveva una ragione precisa: il vero fantasma da tenere alle spalle, allora, era la chiusura della fabbrica, che avrebbe lasciato senza lavoro migliaia di casalesi. Poi un gruppo di coraggiosi operai e sindacalisti – per tutti voglio ricordare Bruno Pesce della Cgil, ancora oggi coordinatore dell’attività dell’Associazione Vittime – hanno cominciato una dura e lunga battaglia, a favore di tutti. A quel punto le cose sono cambiate. L’amianto a Casale è fuorilegge dal 1987, un anno dopo la chiusura definitiva dell’Eternit”. Emanuele Novazio si è costituito parte civile. Ora che il traguardo della giustizia, o almeno della chiarezza, sembra davvero all’orizzonte, gli chiediamo che effetto faccia: “Per molti anni, sinceramente, ho dubitato che si sarebbe fatta giustizia. Poi ho conosciuto la tenacia di persone come Bruno Pesce e ho capito che saremmo arrivati fino (ste.ca.) in fondo”.


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CERVELLI ADDIO

I geni della fisica in Italia sono eterni precari INFN: A RISCHIO DECINE DI CONTRATTI LA STORIA

N GARLASCO

Chiesti 30 anni per Stasi

I

l pm Rosa Muscio ha chiesto al gup di Vigevano la condanna a 30 anni di reclusione (il massimo della pena per il rito abbreviato) per Alberto Stasi, ritenuto colpevole dell’omicidio di Chiara Poggi. Contro di lui, secondo il pm, “c’è un quadro indiziario grave e preciso che lo rende l’unico responsabile”.

TRE FIGLI E NESSUNA CERTEZZA on ho potuto nemmeno vivermi la maternità con serenità, ho dovuto pensare per tutto il tempo a cosa inventarmi per vivere. Sarei disposta a fare le pulizie per loro. Il problema è questa situazione di eterno precariato, non si vede mai la luce. Quando me la potrò comprare una casa? Il direttore ce l’ha una casa, perché ora non pensa anche a noi?”. Sabrina D’Antonio è una tecnologa del’'Istituto nazionale di Fisica nucleare, ha 40 anni, dieci dei quali trascorsi come precaria all’Infn, e tre bambini. Venti giorni fa ha ricevuto una lettera di licenziamento dall’ente, con decorrenza dal 31 dicembre. Sabrina si è laureata in Fisica con 110 e lode nel 1999, con una tesi sperimentale, fatta proprio all’Infn. Entra nello stesso anno a pieno titolo nell’istituto dove resta per due anni grazie a una borsa di studio prima, e un assegno di ricerca poi. “Nel frattempo mi aiutava la mia famiglia – racconta Sabrina – perché i soldi erano pochi, ma finalmente nel 2002 cambia qualcosa”. Infatti Sabrina viene assunta a tempo determinato dall’ente con un contratto nominativo “a chiamata”. Sostanzialmente “hanno bi-

“N

di Caterina Perniconi

na volta il problema dei ricercatori era quello di essere precari. Oggi il precariato è un lusso. Dopo i 600 contratti interrotti dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), è la volta dei quasi 500 lavoratori dell’Infn (Istituto nazionale di Fisica nucleare). Il 20 novembre, infatti, la direzione dell’ente ha inviato decine di lettere di licenziamento ai precari “stabilizzandi”, cioè coloro che, grazie alla legge finanziaria del 2007, varata dal governo Prodi, potevano essere assorbiti dalla Pubblica amministrazione. Mentre il Cern di Ginevra ha fatto ripartire l’acceleratore di particelle a più alta energia al mondo grazie al contributo dell’Infn, molti dei ricercatori protagonisti di questo successo rischiano di restare disoccupati. Ieri, una delegazione di precari ha occupato la sede della presidenza dell’Infn a Roma durante la seduta del consiglio direttivo. Arrivati in treno da Frascati, se-

U

de centrale dell’ente, i lavoratori sono saliti al primo piano dello storico palazzo di via dei Caprettari dove hanno chiesto di poter parlare di fronte al consiglio e al presidente, Roberto Petronzio. La questione, di grande rilievo per il mondo scientifico dato il prestigio dell’istituto, ha determinato l’impegno di tutte le sigle sindacali, unite nell’intento di salvare ricerca e ricercatori. Presenti anche i tecnici, gli amministrativi e gli assegnisti de L’Aquila che lavorano nel centro di ricerca del Gran Sasso. Il presidente Petronzio, accusato di avvalersi di una circolare emanata dall’ex ministro della Funzione pubblica Luigi Nicolais che non ha valore di legge e di troppo lassismo nei confronti di un governo che non si preoccupa della ricerca, ha assicurato che rinnoverà i contratti a tempo determinato, e che la sua era una provocazione per ricevere risposte dalla Funzione pubblica. Il terrore dei lavoratori è quello dell’esito negativo del ministro all’ennesimo rinnovo: “Dal nostro istituto sono usciti calibri come il premio No-

Da diciotto giorni sul tetto i lavoratori dell’Ispra attendono risposte dal governo che non arrivano LA PROTESTA

Nella foto la mostra “Astri e particelle” organizzata dall’Infn al Palazzo delle Esposizioni di Roma

bel Carlo Rubbia – dice un ricercatore – e ora che hanno assunto moltissimi precari per far fronte al blocco delle assunzioni, rischiano il posto”. I ricercatori accetterebbero anche un’alternativa, come un concorso pubblico: “Ma stiamo ancora aspettando i 37 posti previsti dai finanziamenti straordinari stanziati da Fabio Mussi”. Nel frattempo, il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta ha varato una legge che riduce a quattro i comparti della contrattazione nella Pubblica amministrazione. Perciò la ricerca, che ha solo 20 mila addetti, non avrà più un contratto autonomo e vedrà il ritorno del concorso pubblico per i ricercatori, anziché l’assunzione a chiamata che il ministro Mariastella Gelmini ha vantato nella sua riforma universitaria. Peggiore la situazione dei precari dell’Ispra, che non hanno un interlocutore con cui confrontarsi e attendono l’audizione della commissione Cultura della Camera prevista per martedì. Sul tetto da 18 giorni, sono stati contattati dalla segretaria di Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl, per chiarimenti. Del parere di Stefania Prestigiacomo, titolare dell’Ambiente e quindi dell’Ispra, ancora nessuna notizia.

di C .Pe.

SCUOLA, RICERCA E STATALI: CGIL IN PIAZZA “C

ontro le politiche miopi di questo governo e l’impoverimento dei nostri settori” scendono in piazza oggi i lavoratori della conoscenza della Cgil insieme a quelli della Funzione pubblica, gli statali guidati da Carlo Podda. Coinvolte le università, gli enti di ricerca e di alta formazione, i dipendenti pubblici dei ministeri, degli enti locali, della sanità e di tutte le funzioni dello stato. La mobilitazione del sindacato prevede otto ore di sciopero e tre manifestazioni: a Milano, Napoli e, quella principale, Roma dove ci sarà anche il segretario generale Guglielmo Epifani.

La Flc-Cgil, il sindacato della scuola che sarà in piazza oggi, critica fortemente l’azione del governo “che non prevede nella prossima legge finanziaria risorse sufficienti e adeguate per i rinnovi contrattuali dei nostri comparti”. Nello sciopero a fianco della Cgil anche l’Italia dei valori e Rifondazione comunista, “per conquistare una scuola e un’università migliori - dichiara il segretario del Prc Paolo Ferrero - qualificate, democratiche e pluraliste”. Alla manifestazione saranno presenti anche le rappresentanze dell’Infn e dell’Ispra dove sono a rischio centinaia di posti di lavoro.

sogno di una persona e la chiamano se rispetta gli standard richiesti, come all’estero”, spiega. Il contratto prevedeva 2 anni rinnovabili fino a 5, e Sabrina li completa, ma a quanto pare non basta. “Quando è uscita la norma in Finanziaria sulla stabilizzazione, a chi come me era entrato a chiamata è stata richiesta un’ulteriore abilitazione. Un centinaio di noi hanno quindi affrontato un concorso. Pensate cosa significa mettersi a studiare a 40 anni, con i bambini a casa e nel frattempo lavorare”. Sabrina supera il concorso ma anche questo non basta. “L’Infn è un ente pubblico – dice Sabrina – quindi deve saper gestire i soldi della comunità. Se mi tieni precaria per 10 anni significa che non puoi fare a meno di me. O che stai spendendo male le risorse dello Stato”. Sabrina ha avuto anche l’opportunità di andare in America: “Mi ha chiamata una mia collega, è partita dall’Italia che guadagnava 800 euro e ora guida un progetto di ricerca di enormi proporzioni negli Stati Uniti. Conosceva il mio lavoro mi ha chiesto di andare con lei. Ma io non volevo lasciare l’Italia e l’Infn”. Forse, dovrà farlo adesso e senza un lavoro in America. c .pe.

Protezione civile spa dipendenti in rivolta di Carlo

Tecce

a Protezione civile spa richiede una lunga e laboriosa Lsettimane, gestazione. Il decreto legge è pronto da un paio di cinque giorni fa è stato discusso, accantonato e poi rinviato dal Consiglio dei ministri. Mercoledì era pronto per l’inserimento all’ordine del giorno di Palazzo Chigi, avevano già previsto il capitale sociale e le nomine per il consiglio di amministrazione. Un violento diverbio – raccontano le indiscrezioni – tra Gianni Letta e un tecnico del ministero dell’Economia ha provocato l’ennesimo stop. Dagli uffici di Giulio Tremonti fanno sapere che “la conversione del dipartimento in spa necessita di un investimento al momento indisponibile, se non alzando le tasse”. I dipendenti della Protezione civile, però, cercano di giocare d’anticipo. Ieri il sindacato della Cgil ha convocato un’assemblea: la spa è l’ultimo atto di un’operazione che stravolge i compiti primari della Pc. Non più prevenzione, soltanto intervento. A disastro compiuto. I lavoratori si sono riuniti nel piazzale antistante la sede di via Vitorchiano a Roma, per protestare contro una nota della presidenza del Consiglio dei ministri che – inviata la sera prima con tempismo perfetto – vietava l’ingresso ai giornalisti. La Cgil è convinta che la spa sia solo un pretesto: “La trasformazione per decreto nasconde la volontà politica di trasformare le emergenze in un business. Temiamo la ‘privatizzazione’ del dipartimento si trasformi in una nuova tassa per la collettività per sostenere le spese iniziali per le sedi e gli equipaggiamenti, che – sottolinea Giovanni Ciancio – non rientrano nello stanziamento di un milione previsto dal decreto che copre il solo capitale sociale”. Risorse dello Stato, risorse umane: “Oltre a questo i lavoratori sentono il rischio di trasferimenti forzati, dal momento che per legge in questi casi è prevista la mobilità a livello nazionale dei dipendenti”. Entro Natale, forse il 17 dicembre, sarà costituita la società per azioni.

VIP E RICATTI

Condannato Fabrizio Corona

T

re anni e otto mesi per aver tentato di estorcere 5.000 euro ai calciatori Adriano e Francesco Coco e al pilota di MotoGp Marco Melandri. Li ha inflitti il Tribunale di Milano al fotografo Fabrizio Corona. “Mi vergogno di essere italiano”, il commento del paparazzo, assolto invece dal presunto ricatto ai responsabili della Fiat per la vicenda di Lapo Elkann. Condannato a due anni e otto mesi il suo ex collaboratore, Marco Bonato, per il quale l’accusa aveva chiesto l’assoluzione.

MARRAZZO

Arrestata a Parigi la trans Michelle

E’

stata arrestata ieri mattina a Parigi Michelle, la trans che appariva insieme con Brenda nel secondo video Marrazzo. Si era trasferita nella capitale francese a luglio, prima dello scandalo. Dopo un primo interrogatorio, Michelle è stata trattenuta ufficialmente per “motivi di immigrazione clandestina”. Intanto gli investigatori hanno ascoltato anche un amico di Brenda, che sarebbe stato contattato alcuni mesi fa per cancellare alcuni file del suo computer.

LEGALITÀ

Suvignano, firma Bersani

H

anno firmato anche Pier Luigi Bersani, Walter Veltroni, Rosy Bindi e Gianni Letta: ha già superato quota mille la petizione lanciata dal Pd di Monteroni d’Arbia per bloccare la vendita all’asta, resa possibile dal maxiemendamento del governo alla Finanziaria, del più grande bene confiscato alla mafia nel centro-nord Italia, la tenuta da 30 milioni di euro a Suvignano, nel senese, appartenuta all’immobiliarista di Cosa Nostra Vincenzo Piazza.


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CONTI PUBBLICI

LO SCUDO FUNZIONA, FORSE UN PO’ TROPPO Adesso Tremonti deve difendere

Contro la Finanziaria

SINDACI: È ROTTURA CON IL GOVERNO

il “tesoretto” dagli altri ministri di Francesco Bonazzi

el governo più mediatico degli ultimi sessant’anni, c’è il paradosso di un ministro costretto a godere in silenzio delle proprie fortune. Giulio Tremonti, l’inventore dello scudo fiscale, è seduto su una montagna di denaro molto superiore alle attese e probabilmente vorrebbe tanto alzare le braccia al cielo in segno di giubilo. Già, perchè il ministro dell’Economia ha sempre detto di aspettarsi 3,7-4 miliardi massimo di gettito dalla manovra di rientro dei capitali. Ma a soli due giorni lavorativi dalla scadenza del 15 dicembre, le voci che arrivano dal “fronte” di banche e fiduciarie parlano di quota 100 ampiamente sfondata. Che con quelll’aliquota fiscale generosamente fissata al 5 per cento, significano comunque non meno di 5 miliardi per le casse dello Stato. E se poi dovesse scattare la proroga di cui si vocifera da giorni, a quel punto solo il dio degli evasori sa quanti altri ne potrebbe

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tornare quaggiù in Italia. Intanto, c’è la pacchia di questi cinque miliardi da accogliere nell’erario. Tanti, pochi? Certo, in astratto si sarebbe potuto alzare l’asticella del perdono di Stato per chi negli anni scorsi ha esportato illegalmente la ricchezza. Ma con questa Finanziaria “di guerra” (solo 5,6 miliardi di deficit, sui 9,2 totale della manovra) ancora in discussione, e con la solita lista infinita di richieste di spesa da parte dei colleghi, il ministro di Sondrio si trova nella medesima situazione di quei centravanti che segnano un gol pazzesco, e però sono costretti a far finta di nulla. A Palazzo Chigi, il duo Berlusconi-Letta si rammarica da giorni di avere quattro miliardi scarsi da spendere, a neppure quattro mesi da elezioni importanti come le prossime Regionali. In Via XX Settembre, invece, aspetteranno almeno una settimana per ammettere che c’è un bel tesoretto in arrivo. Il 15 dicembre verranno versate le tasse che comprendono i capitali scudati tra settembre e ottobre. Men-

Il ministro aspetta a cantare vittoria perché valuta l’ipotesi di una proroga OPPOSIZIONE&FINANZIARIA

tre il 18 vi saranno i primi dati di cassa relativi ai “rientri” di novembre, che secondo i boatos di mercato sarebbero molto più sostanziosi rispetto alla partenza diesel del bimestre precedente. Un’indagine accurata condotta dal quotidiano finanziario MF tra i dodici maggiori operatori, pubblicata ieri, ha rivelato che il traguardo dei 100 miliardi sarebbe già stato superato a cavallo di Sant’Ambrogio. E anche al Fatto Quotidiano, il manager di una delle più antiche e solide banche private d’investimento milanesi conferma che “stiamo raccogliendo adesioni oltre ogni più rosea aspettativa e si fatica a soddisfare tutte le richieste”. LA FACCIA FEROCE. A funzionare, probabilmente, è anche la faccia feroce che il Fisco sta provando a fare con l’evasore medio-piccolo, tra perquisizioni di banche estere e pubblicizzazione di accertamenti milionari su personaggi dello sport e dello spettacolo. Ieri, l’Agenzia delle entrate è stata “costretta” ad ammettere che, grazie a maggiori accertamenti per 7,4 miliardi, a fine novembre gli obiettivi per il 2009 sono già stati centrati. “Significa che l’incasso di dicembre sarà tutto in più”, ha spiegato il direttore Attilio Befera. Ma il suo ministro continua a tacere sull’andamento dello scudo, in uno studiatissimo gioco delle parti. Con il meccanismo del rimpatrio “giuridico”, in base al quale si possono far emergere (pagando subito il famoso 5%) anche soldi che stanno ancora fisicamente all’estero, è ancora

di Superbonus

MA DOV’È IL RIGORE CONTABILE DEL PD? N

ulla, nulla e ancora nulla. Questo èil riassunto della politica economica del Partito democratico. Invece di guardare nei conti pubblici e mettere in luce sprechi, iniquità e privilegi, il Pd chiede soldi a pioggia. Sul sito Internet del Partito alla voce emendamenti alla legge finanziaria si legge: “Sostegni al lavoro, sostegno ai redditi, intervento a favore delle imprese, sospensione del patto di stabilità per gli enti locali”. Talmente generosi da non essere credibili. Avrebbero fatto prima a scrivere: promettiamo tutto a tutti perché non siamo al governo ma quando ci torneremo vi ricorderemo che “le tasse sono una cosa meravigliosa”. Perchè il Pd non affronta il governo sul campo aperto di una politica economica e fiscale rigida con abolizione degli sprechi e reali incentivi all’economia anche attraverso la diminuzione delle aliquote ? Perché non mettere in difficoltà Tremonti sul suo stesso terreno dell’efficienza della spesa e del liberismo economico?La risposta la si trova guardando Campania, Calabria, Puglia, e Lazio. Regioni con i conti stremati dal clientelismo sprecone e da una sanità debordante. Eppure pochi giorni fa il Pd poteva trovare un inaspettato aiuto nelle parole del governatore della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet: “Raccomandiamo che gli stati membri mettano in atto tempestivamente politiche di consolidamento fiscale

basate su ipotesi di crescita realistiche e con un focus su riforme di spesa strutturali, tenendoconto dell’età della popolazione”. Per convincere gli Stati membri, Trichet ha cambiato il metodo di rifinanziamento della Banca centrale annunciando di fatto un aumento dei tassi d’interesse per il prossimo anno. Risultato: la curva dei tassi inizia a scontare il rialzo, le banche restringeranno ancora di piùil credito alle imprese e Tremonti dovrà collocare 150 miliardi di titoli di debito pubblico a tassi crescenti. Con grande probabilità tra luglio e settembre Tremonti si presenterà nuovamente e dirà che per mantenere il debito entro il 117,3 per cento del Pil e il deficit al di sotto del 6 per cento avrà bisogno di una manovra compresa fra i 15 ed i 20 miliardi di Euro. Quando i mercati presenteranno il conto dell’eccessivo debito pubblico con un’economia stagnante e il governo dovrà fare una manovra finanziaria, chi del Pd potrà dire “lo avevamo detto e ora vi offriamo una proposta economica e di sviluppo differente”?Nessuno, niente, nisba. Perché i dirigenti del Pd sembra auspicare non un governo in alternativa al Pdl, ma la scorciatoia di un bel governo tecnico o una grande coalizione. Per fare questo occorre arrivare alla fine del 2010 con gli angoli smussati anche sulla giustizia. Così Enrico Letta propone un accordo per salvare Silvio. In Economia come sulla Giustizia, “tutti insieme appassionatamente”.

necessario “spaventare” per un po’ la platea dei contribuenti dubbiosi. O anche solo di coloro che sono vittime delle mille resistenze burocratiche che le banche straniere, a cominciare da quelle svizzere, pare stiano facendo sulla liquidibilità di investimenti più o meno complicati da “smontare” in tempi rapidi. Poi, però, gli stessi banchieri di casa nostra stanno spiegando ai clienti più facoltosi che il termine del 15 dicembre potrebbe non essere così definitivo, in pieno stile italico. Un gioco delle parti, quello fra mercato finanziario e ministero, che sta raggiungendo il suo apice nella continua e sempre più pubblicizzata richiesta di proroga dei termini. Anche qui Tremonti non può dire nulla a sanatoria aperta, perchè rischierebbe di compromettere questo rush finale; ma i segnali che al governo stiano pensando seriamente a una dilazione non mancano. Del resto, per tornare alla banale metafora calcistica, il goleador che non esulta di solito ha due motivi. O ha segnato il gol dell’ex; ma qui Tre-

Gianni Alemanno, Sergio Chiamparino e altri 500 sindaci protestano a Roma contro il governo e chiedono la restituzione dell’autonomia finanziaria ai comuni minata dalla legge di bilancio 2010

monti, da ex tributarista, verrebbe certamente perdonato da tutti i professionisti che grazie a lui stanno fatturando alla grande. Oppure non si capacita che la sua rete sia stata convalidata; ma qui le regole le fa il ministro e quindi è tutto buono per definizione. Ecco allora che serve una terza ipotesi per spiegare perchè Tremonti non sia ancora apparso a telegiornali unificati per dire che “lo scudo

è un successo”: tira una forte aria di proroga, magari con aliquota alzata al 7 per cento, per rastrellare più denari possibile. Visto dalla prospettiva di un signore che si trova a gestire uno dei debiti pubblici più imbarazzanti d’Europa, con un rapporto deficit-pil al 117 per cento, il basso profilo è comprensibile. Sarebbe come correre a braccia alzate dopo aver segnato la rete della bandiera.

Eutelia occupa Palazzo Chigi IL 23 DICEMBRE PARTE IL COMMISSARIAMENTO di Beatrice Borromeo

lavoratori di Eutelia, al centro di uno scandalo che coinvolge oltre diecimila persone che rischiano il licenziamento, due sere fa hanno “occupato palazzo Chigi”, come dicono loro, per ottenere il commissariamento dell’azienda. La situazione è critica da tempo: stipendi non pagati da mesi, oltre mille persone già licenziate, una proprietà (quella di Omega, il gruppo che ha comprato i lavoratori da Eutelia) che non dà risposte nè ai sindacati nè alla stampa. E che ha la propria sede legale in uno scantinato, a Londra, dove vengono fabbricate società schermo per nascondere quella che i lavoratori definiscono una gestione irresponsabile. Il 17 novembre gli impiegati con il posto a rischio hanno manifestato a Roma bloccando via del Corso per un intero pomeriggio e hanno strappato al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta la promessa di occuparsi delle loro sorti. Una sola priorità: commissariare Omega e sollevare la proprietà (Claudio Marcello Massa e Sebastiano Liori, che nel loro passato sono stati coinvolti in innumerevoli fallimenti societari) da ogni compito di gestione. Mercoledì avviene l’incontro nella sede del governo tra Letta, una delegazione di Eutelia e i sindacati. Assenti i vertici aziendali, fatto di cui anche Letta si è detto rammaricato. Poi lo strappo: i rappresentanti dei lavoratori, non soddisfatti dall’esito della vertenza, hanno deciso di restare ad oltranza nella sala Verde di palazzo Chigi. A quel punto Letta s’impegna a convocare “una specifica riunione alla presenza del commissario, dopo il 23 dicembre, al fine di valutare lo stato della situazione”. Un commissario che ancora non c’è ma che dovrebbe arrivare a breve, visto che tra dieci giorni è prevista l’udienza in tribunale per dichiarare l’insolvenza dell’azienda. La situazione si sblocca. Fabrizio Potetti della Fiom: “Bene il governo sul commissariamento”, dice, annunciando che il 23 dicembre ci sarà un nuovo presidio. Nella nota diffusa da Palazzo Chigi si afferma inoltre che “gli stessi rappresentanti del gruppo Omega hanno ammesso di non

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aver rispettato l’impegno di pagare gli stipendi arretrati entro il 5 dicembre scorso”. Massa, durante l’ultimo – e unico – incontro con Letta (il 26 novembre), aveva negato di essere in arretrato con i pagamenti, mentre il suo socio Liori aveva promesso che avrebbero saldato i conti entro il 5 dicembre, cosa poi non avvenuta. “Governo e organizzazioni sindacali – è scritto tra l’altro nella nota – hanno preso atto delle dimissioni degli amministratori”. Davanti a palazzo Chigi ieri si è presentato anche il leader dell’Italia dei Valori Antonio di Pietro, che ha criticato il modo in cui il governo sta gestendo l’emergenza Eutelia e ha definito la situazione “paradossale”. Nel frattempo la procura di Milano sta indagando su Eutelia. La società aretina, quotata in Borsa, è accusata dai lavoratori di aver ceduto un ramo aziendale a Omega per licenziare duemila persone senza pagare loro le liquidazioni, che sarebbero ammontate a 54 milioni di euro. L'ex amministratore delegato Samuele Landi si era reso protagonista dell'irruzione nella sede occupata di Eutelia nella quale, assieme a 15 vigilantes, si è finto poliziotto e ha tentato (fallendo) di sgomberare il presidio. Ora all'indagine della procura di Arezzo che vede coinvolti Samuele Landi e suo fratello Raimondo, si aggiunge quella del pm di Milano, Francesco Greco, che dovrebbe portare a sviluppi già nelle prossime settimane.


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ECONOMIA REALE

VERSO IL NATALE: I CONSUMATORI SONO OTTIMISTI MA ANCORA IN CRISI Il carrello da crisi della “stressata resistenza” delle famiglie eri il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli ha detto che questo sarà “un Natale sobrio, non certamente un Natale di crisi”. La prova – dice Sangalli – è l’indice dei consumi calcolato dall’associazione dei commercianti che è rimasto positivo anche nell’ultima rilevazione di ottobre, per la quinta volta consecutiva. Anche il dato di ieri dell’Istat sembra invitare all’ottimismo, visto che ha confermato una crescita del Pil nel terzo trimestre dello 0,6 per cento (su base annua però crollerà del 4,6). “Di solito l’ottimismo arriva prima dell’aumento dei consumi”, avverte Albino Russo, capo dell’ufficio studi della Coop. E infatti, da giugno, l’indicatore dell’ottimismo tra i consumatori calcolato da Confcommercio è per la prima volta stabilmente superiore all’andamento dei consumi reali. “Viviamo da molti mesi in apnea, in vitale resistenza alle pressioni degli eventi”, ha scritto il Censis nel suo rapporto annuale descrivendo una situazione che – sperano molti, a cominciare dal governo – potrebbe finire con la stagione dei consumi natalizi. O forse no. Magari se i consumatori che possono cambiare il segno al bilancio delle feste – cioè quelli più giovani – determinassero il successo di massa di un prodotto a sorpresa, come è stato lo scorso anno con la console Nintendo Wii. Secondo l’azienda di consulenza Deloitte i consumi italiani nelle festività 2009 scenderanno del 2,5 per

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cento rispetto a quelli del 2008 (già un Natale di crisi, anche se soprattutto finanziaria), contro una media europea di -6,3. Anche se le cose cambiano da regione a regione perché dove la disoccupazione è meno grave, come a Roma (città di statali e molti reddiri fissi), i consumi quasi non cambiano. MENO RICCHI. E’ difficile stimare quanti soldi ci saranno nelle tasche degli italiani al momento di comprare i regali. Ma chi lavora nella grande distribuzione si è già fatto un’idea del clima. Francesco Pugliese, direttore generale del Consorzio nazionale Conad ammette: “Devo dire la verità, noi di segnali di miglioramento ne stiamo vedendo pochi e per mantenere i livelli di vendita stiamo aumentando le promozioni”. Eppure. Tornando al rapporto Censis, si possono leggere i numeri alla base di quella che l’istituto guidato da Giuseppe de Rita chiama “la stressata resistenza delle famiglie”: nel 2009, l’anno del boom della cassintegrazione e dei licenziamenti, il 40 per cento delle famiglie ha cambiato abitudini alimentari e dice di aver tagliato soprattutto gli sprechi. Il 39,7 per cento spiega di considerare sempre di più la convenienza del prezzo come criterio di scelta al momento dell’acquisto. Se si osservano i dati regione per regione, si scopre che è soprattutto nel ricco nord est che scende il cosnumo alimentare (18,3 per cento delle famiglie ha cambiato abitudini di consumo, contro la me-

dia nazionale del 15,6). Pugliese spiega che questo si vede bene tra gli scaffali del supermercato: “Il menu sta cambiando, si comprano più uova e meno carne, per avere proteine a un prezzo più basso. Perché, per quanto il prezzo della carne possa scendere per adeguarsi al calo della domanda, le uova saranno sempre più competitive, scendono le vendite di pane e salgono quelle di farina e lievito, segnale che qualcuno preferisce fare da solo”. MA NON PIÙ POVERI. La Cgil, commentando il dato sul Pil di ieri, ha detto che “il governo deve intervenire con interventi radicali a partire dalla legge finanziaria”. Ma per ora gli interventi radicali sono quelli dei consumatori sul loro carrello della spesa secondo quello che Russo, dall’ufficio studi della Coop, definisce “un downgrading dei consumi, cioè un comportamente più austero razionalmente concepito”. La strategia di sopravvivenza dei consumatori, soprattutto di quelli che hanno visto un’improvviso calo del reddito (cassa integrazione o mancato

rinnovo del contratto) prevede: primo, riduzione degli sprechi e dei consumi non necessari, con un’attenzione diversa alle date di scadenza e alla conservazione; secondo, abbandonando i prodotti di marca e puntando su quelli senza marca (con il solo marchio del distributore) e sui “primi prezzi”, come li chiamano nel settore, cioè i più economici in assoluto. Alla Conad non sono troppo preoccupati per i consumi alimentari di Natale e capodanno, qualcosa si venderà comunque. Il problema è il dopo. Perché, spiega Russo della Coop, “abbiamo già visto comportamenti che si sono confermati anche dopo che la causa scatenante è venuta meno”. Il passaggio dai prodot-

ti di marca a quelli generici è cominciato con l’arrivo dell’euro, nel 2002, poi si è consolidato con l’inflazione del 2007-2008 e ora con la riduzione di reddito da crisi. E chi si abitua a conservare circa lo stesso stile di vita (o almeno volume di acquisti) spendendo meno, più difficilmente tornerà indietro. (Ste. Fel.)

La grande distribuzione è rassegnata: certi stili di consumo non torneranno, almeno non subito

hi salverà il Made in Italy? I calzaCl’avrebbero: turieri veneti una soluzione ce investire in Puglia. Ma partiamo dall’inizio, dalla mancanza di manodopera, artigiani e operai specializzati, che già affligge le regioni ricche, Veneto e Lombardia in testa, e che rischia di peggiorare. “Quando la crisi sarà finita, speriamo nel 2011, la richiesta di prodotti Made in Italy sarà in forte ascesa, e le aziende del Nord non riusciranno a soddisfare la domanda per mancanza di manodopera”. La previsione è di Giuseppe Baiardo, 57 anni, presidente di una delle più importanti reti produttive d’Italia, l’Acrib, associazione calzaturifici della Riviera del Brenta, nel veneziano. “Quando il mercato si rimetterà a camminare – prosegue Baiardo – e due Paesi in forte espansione come Cina e India riprenderanno la loro richiesta di produzioni a marchio italiano, ci troveremo ad avere molta più domanda che offerta. Il rischio di riempirsi le fabbriche di stranieri a quel punto sarà altissimo – e già ce ne sono molti ora – perché sarà l’unica manodopera disponibile a fare lavori stancanti e socialmente poco considerati. Ma che Made in Italy sarà?” Per questo Baiardo, a capo della Iris di Fiesso D’Artico, Venezia – 250 dipendenti diretti e 50milioni di fatturato – è già corso ai ripari. “Ho aperto un sito produttivo in Puglia, a Casarano in provincia di Lecce, e ho assunto 120 addetti ma conto di raddoppiare il numero dei dipendenti entro tre anni”. E spiega così i motivi della scelta: la zona del Salento è un giacimento d’oro di manodopera specializzata nella lavorazione

della calzatura, racconta Baiardo, perché due importanti aziende locali (Filanto e Adelchi) hanno delocalizzato qualche anno fa lasciando a casa almeno 3mila dipendenti, che oggi sono sul mercato. “E’ un’opportunità enorme per le aziende venete, che qui ‘si rubano’ i dipendenti a suon di superminimi, premi produzione e aumenti di stipendio. Ci sono da 3 a 5mila operai specializzati nella lavorazione delle calzature in quella parte di Puglia, che potrebbero produrre sei milioni di scarpe l’anno. Allora sì, il Made in Italy sarebbe garantito”. Segue le scelte del suo presidente anche l’Acrib, la corazzata veneta delle scarpe, radicata in una zona – la Riviera del Brenta che da almeno un secolo lavora e produce calzature, e che raggruppa 725 aziende (il 65,5 per cento del totale veneto e il 9,7 per ento dell’Italia) tra calzaturifici (168, dei quali il 92,2 per cento realizza esclusivamente prodotti col marchio Made in Italy), aziende di accessori (424), modellisti (73) e ditte commerciali (60). L’associazione dei calzaturieri del Brenta infatti, che impiega complessivamente 12.337 addetti e produce un giro d’affari di 1.930 euro l’anno,(il 52 per cento del fatturato realizzato in Veneto nel settore) ha deciso di aprire proprio in provincia di Lecce una scuola professionalizzante per formare tecnici specializzati nella lavorazione delle calzature. La scuola dei professionisti delle calzature, che dovrebbe partire – tramite una partnership mista tra Acrib, Regione Veneto e Provincia di Venezia – dall’anno scolastico 2010-2011, ha già una probabile sede e un corpo docenti quasi al completo. “L’intero comparto manifatturiero ha subìto un duro colpo dalla cri-

Il nuovo scontro di Stefano

Feltri

internazionale usa toni anche più forti di quelli a cui è abituato in Italia. Dal congresso del Partito popolare europeo a Bonn spiega che in Italia comandano i giudici ai quali sarebbe addirittura passata la sovranità popolare, e anche la corte costituzionale sarebbe un organo politico (lo aveva già detto dopo la bocciatura del lodo Alfano, in ottobre). Esternazioni che, per toni e contesto, hanno ricordato l’attacco al socialista Martin Schultz all’Europarlamento nel 2003 (“la proporrò per il ruolo di kapò” in un film, disse Berlusconi). Questa volta il presidente del Consiglio non cerca di minimizzare, ma rivendica: “Ma è possibile che io debba essere l’unica carica a non poter rispondere agli attacchi?”. e reazioni in Italia Lparte, sono, almeno in quelle

LE IMPRESE VENETE DELLE CALZATURE COMINCIANO A DELOCALIZZARE IN SALENTO Venezia

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ncora una volta Silvio Apalcoscenico Berlusconi da un

Made in Italy: quando la Puglia è meglio della Cina di Erminia della Frattina

IL FATTO POLITICO

si, ed è a serio rischio di sopravvivenza. Le cose peggiorano quando, come accade qui in Riviera del Brenta, le aziende italiane subappaltano lavoro alle ditte di subfornitura gestite da cinesi”. Come funziona? “Le ditte di titolari cinesi regolarmente in Italia e con cittadinanza italiana offrono una qualità buona, pari a quella delle omologhe ditte italiane, a prezzi dimezzati, perché sfruttano e sottopagano i loro connazionali-schiavi arrivati in Italia con un debito di 20-30mila euro”. Accade poi spesso che gli stessi subfornitori italiani acquisiscano la commessa e la “girino” di nascosto ai cinesi, perché rimane comunque conveniente. “Moralmente è riprovevole, ma c’è di peggio. C’è proprio chi delinque e fa realizzare interamente le calzature in Cina, le assembla li (la legge infatti permette di produrre all’estero, ma i pezzi devono necessariamente essere assemblati in Italia) e le marchia Made in Italy. Il porto di Napoli è pieno di container col marchio Made in Italy, ed è tutta roba prodotta in Asia”. Un business che si capisce meglio ragionando di cifre: un paio di scarpe griffate, di alta moda, con le varie fasi della lavorazione fatte all’estero ma assemblato in Italia costa dai 50 ai 70 euro. “Poi il marchio, il costo delle royalties, di marketing e commercializzazione portano il prezzo in negozio a 300-350 euro”. Lo stesso paio di scarpe realizzato e assemblato interamente fuori Italia costa 25 euro, ma finisce in negozio agli stessi 300-350 euro. “E’ una truffa ai danni degli operai italiani, che vengono derubati di soldi che dovrebbero intascare, mentre invece meno della metà di quei

soldi vanno in tasche di poveracci sfruttati cinesi. Il Made in Italy invece è un giusto riconoscimento alla manodopera italiana”. Una brutta faccenda, alla quale una legge in discussione in Parlamento in questi giorni sta cercando di mettere dei paletti. Ma non basta. “E’ un inizio, ma è necessario imporre ai negozianti di esporre solo prodotti con il marchio Made in Italy. E poi è il Parlamento europeo che deve davvero limitare i danni. E’ una faccenda che riguarda l’Europa, non solo l’Italia”. L’Acrib ha costituito una lobby con alcune associazioni di imprenditori calzaturieri europei, e andrà a Strasburgo a presentare le proprie istanze. “Prima facciamo delle regole chiare, poi andiamo sul mercato – conclude Baiardo – nella mia azienda oltre alle scarpe di alta moda per Jill Sander, Galliano, Chloé e Mark Jakob produco una linea interamente Made in China. Un paio di scarpe costa 30 euro, sono di qualità inferiore, ma io non truffo il compratore. Ho fatto mettere un marchio Made in China grande e chiaro. Mi hanno criticato tutti i miei colleghi, ora sono in tanti a fare come me, prima, seconda e terza linea di produzione, quella più scadente fatta in Cina. L’importante è essere chiari, non truffare”.

Gli industriali del Brenta pensano al dopo-crisi e preferiscono la manodopera italiana

prevedibili. Il presidente della Repubblica esprime profondo rammarico e preoccupazione, parlando di un “violento attacco”, con un linguaggio più esplicito di quello seguito agli attacchi nei giorni del lodo Alfano (Napolitano si limitò a scrivere che “tutti sanno da che parte sta il presidente”, cioè da quella della Costituzione). Prende le distanze da Berlusconi anche il presidente della Camera Gianfranco Fini che, in questi mesi, ha sempre cercato di affermare la centralità del parlamento e di consolidare un asse con il Quirinale nella comune difesa delle istituzioni. E cita la Costituzione per ricordare che la sovranità resta al popolo. Chiede al presidente del Consiglio di “precisare” ma questi dice di non aver nulla da chiarire. a vera novità della Lposizione giornata è la presa di di Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd afferma: “Bisogna mandare a casa Berlusconi sul serio perchè è un problema”. Una dichiarazione che si avvicina molto a quella richiesta di dimissioni che la piazza del No B. Day (a cui Bersani non ha partecipato) avrebbe voluto sentire sabato scorso. E questo lascia intendere che il messaggio dell’iniziativa presentata ieri, “Le mille piazze per l’alternativa” sarà di netta contrapposizione.


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DAL MONDO

ENERGIA A IMPATTO ZERO LA DANIMARCA DÀ IL BUON ESEMPIO di Diletta

Varlese

rodurre energia a impatto zero si può”, questo il motto delle nuove tecnologie. Oltre a ridurre notevolmente le nostre emissioni di Co2, personali e comunitarie, è necessario pensare a forme di energia pulita che emettano il minimo possibile di anidride carbonica nell’ambiente. Ci sono molte buone notizie e possibilità per sostenere il livello di fabbisogno energetico del mondo e far arrivare energia anche nelle zone più povere del globo, senza bruciare foreste e fossili. Cominciamo con una novità neppure tanto nuova. È il biogas, l’energia prodotta dagli escrementi degli animali e degli esseri umani e dai rifiuti organici che dalla fermentazione producono gas e ottimi fertilizzanti. Nasce in Cina molti secoli fa, ad oggi ha una messa a punto eccellente e rappresenta un perfetto esempio di un ciclo completamente autosostenibile. Quello che viene consumato dalla famiglia viene emesso sotto forma di scarti organici e biologici, e scarti degli animali appartenenti alla famiglia se si parla di una realtà in area rurale. Produce tanti metri cubi di gas quanti di scarti biologici. Il tutto viene indirizzato verso un grosso container posto all’aperto, si aggiunge il 40% di acqua, la fermentazione fa salire i livello e aziona una valvola che attraverso un sistema di tubi porta il gas nelle condutture di casa. Ci si può cucinare, cuocere il pane, scaldare

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da della risorsa idrica. Segue l’eolico. Il costo di installazione è relativamente contenuto – circa 1,5 euro per watt rispetto ai 5 euro per il fotovoltaico – il costo ambientale di produzione è strettamente legato ai materiali di cui è fatto il generatore, ed è per lo più usato per produzioni di grandi quantità di energia, per ammortizzare i costi e per sfruttare al meglio la Qui sopra la Concert House di Copenaghen, opera “ecologica” di Jean Nouvel; forza del vento. sotto la Panda a idrogeno della Fiat (F A ) Chi non ricorda i mulini a vento tieri delle città. Ad oggi in Da- dell’Olanda o della Danimarnimarca è diffusissimo nelle ca, raffigurati nei disegni tracittadine tra i 3000 e 5000 dizionali accanto a bionde abitanti. donnine in zoccoli di legno? Segue l’energia idrica, che Possedere un piccolo muliutilizza la forza di fiumi e ca- no non è più così comune, scate. Anche questa cono- ma il principio è lo stesso. sciuta sin dalla notte dei tem- Basti pensare che il 50% del pi, ha dei costi ecologici di fabbisogno della Danimarca strumenti e installazione è sostenuto dall’energia eomolto contenuti e funziona lica e la ibrida eolico-idrogecon un semplice mulino e no, che permette di immauna dinamo, che produce gazzinare i megawatt proelettricità proprio come dotti. quando autoproduciamo la Il solare è ad oggi l’energia luce del faro della bicicletta. domestica che va per la magl’acqua e scaldare la casa. So- La forza cinetica ce la mette giore senz’altro perché l’inprattutto non puzza, elimina l’acqua, che ha un moto co- stallazione è la meno comil problema delle fogne, si stante e perpetuo. È ovvia- plessa, permette il totale dipuò usare come concime an- mente più indicata per aree stacco dalla gestione comuche per l’orto e le piante, si geografiche in cui siano pre- nale, prende un piccolo spapuò installare per intere co- senti situazioni idrogeologi- zio sul proprio tetto e l’ecmunità, villaggi, piccoli pae- che favorevoli. È a portata fa- cesso lo si può vendere si. Con un po’ d’organizza- miliare, comunitaria, piccoli all’azienda competente. Rizione, anche per interi quar- villaggi, paesi e città a secon- scuote molti dubbi sull’efOTO

fettivo ammortizzamento tra il costo ambientale di produzione di un singolo pannello, in termini di emissioni di Co2, e il risparmio energetico su scala domestica. Soprattutto perché i pannelli sono fatti con un buona percentuale di derivati del petrolio e con materiali minerari. La geotermia è un’ultima avanguardia, che sfrutta il calore naturale prodotto dall’interno della terra, ma è ancora in fase di studio e ad oggi i costi per la esplorazione e l’estrazione sono ancora piuttosto elevati. Pioniere è l’Islanda grazie alla sua natura vulcanica e l’enorme quantità di geyser, e ne beneficiano le zone termali, che usano l’acqua naturalmente calda per i sistemi di riscaldamento

delle abitazioni. Si annoverano tra le nuove tecnologie anche i biomateriali che permettono di costruire case energicamente efficienti, ecosostenibili e a ridottissimo impatto. La maggior parte delle “perdite” di Co2 pro capite vengono dall’area domestica. Una casa costruita con tecnologie della bioedilizia, e secondo i principi della bioarchitettura, con arredamento naturale e riciclato, combinata con uno dei suddetti sistemi di approvvigionamento energetico, può arrivare ad avere un impatto pari a zero e pari comfort. Volontariamente non nominiamo il biodiesel: checché ne dica il Brasile, costa migliaia di ettari di Foresta Amazzonica dati in pasto alle fiamme ogni anno.

NSA

Nel paese del vertice, la metà del fabbisogno é sostenuto da eolico e idrogeno

Nella battaglia alla Co2 l’Italia ha già perso

ULTIME DA COPENAGHEN

I paesi emergenti puntano i piedi

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are che la paura dei cambiamenti climatici sia meno diffusa rispetto al 2007 (affligge il 37% delle persone contro il 41%). Ma forse è esponenziale negli Stati atollo come le Fiji, le isole Cook o le Tuvalu, che verranno sommersi se il livello dei mari continuerà ad alzarsi e che ieri al Vertice di Copenaghen hanno lanciato l’allarme. Ma ieri, soprattutto, ha tenuto banco il “documento confidenziale” messo a punto dai paesi emergenti e pubblicato da Le Monde. Cina, India, Sudan, Sudafrica e Brasile vogliono che il protocollo di Kyoto resti vincolante fino al 2020 e che i paesi ricchi riducano le emissioni di Co2 fino al 40% nei prossimi 11 anni. La riduzione, inoltre, dovrebbe avvenire senza ricorrere al meccanismo di scambio ma solo attraverso “misure interne”. E’ la risposta alla bozza danese che smentirebbe il fondamento di Kyoto, ovvero che chi ha inquinato di più deve “tagliare” di più. I paesi in espansione non ci stanno e la battaglia (economica) è solo all’inizio. (El. Ba.)

LE NUOVE REGOLE EUROPEE PER LE AUTOMOBILI PENALIZZANO LE UTILITARIE E LA FIAT di Daniele Martini

nche dall’ultima rilevazione risulta che tra i 25 costruttori che vendono auto in Europa, la Fiat è l’azienda con le carte più in regola dal punto di vista ambientale. Ma per ora il braccio di ferro tra lobby europee è stato stravinto dalla Germania che è riuscita a imporre un approccio all’auto pulita cucito addosso alle sue aziende, Audi, Bmw e Mercedes e Volkswagen, produttrici di vetture pesanti e di grossa cilindrata. Hanno perso l’Italia e la Fiat con la sua gamma di modelli piccoli e medi (e i francesi del gruppo Psa Peugeot-Citroën) che non hanno ottenuto granché pur risultando proprio tra i più attenti all’ambiente assieme al gruppo di Torino. Conferma Guido Rossignoli, direttore generale dell’Anfia, l’associazione della filiera italiana dell’automobile: “L’orientamento dell’Europa svantaggia i costruttori delle auto di massa e attive nei segmenti più bassi,

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cioè proprio i gruppi che in questi anni avevano raggiunto i risultati più significativi nella lotta contro l’inquinamento”.

(138,1), Renault (138,9), Ford (140,4), Opel (149,5), Volkswagen (152,5), Audi (162,6), Mercedes (178,8).

L’ACCORDO. Negli ultimi 15 anni le grandi imprese non si sono sottratte all’impegno in favore dell’ambiente. Gli elementi inquinanti sono stati ridotti a livello continentale di oltre il 90 per cento dai maggiori produttori. Ma il problema dei problemi resta la Co2, l’anidride carbonica che anche in seguito all’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, è considerata l’inquinante più responsabile del riscaldamento climatico. Le emissioni delle auto fino a oggi sono state tenute fuori da Kyoto ma i produttori europei riuniti nell’Acea (European Automobile Manufacturers’ Association) hanno stipulato con la Commissione europea un’intesa parallela su base volontaria per ridurre la quantità di emissione tollerabile di Co2 da un’auto nuova per ogni chilometro percorso da 180 grammi a 140 entro la fine del 2008. L’obiettivo, però, non è stato centrato. Solo la Fiat ci è riuscita, con 133,7 grammi per chilometro in media su tutta la gamma e a settembre 2009 l’azienda di Torino ha rafforzato il primato scendendo a 129,1 grammi, addirittura sotto la soglia dei 130 grammi concordata come traguardo da raggiungere tra il 2012 e il 2015 a livello europeo. Il risultato Fiat è stato certificato da un’autorità terza, la Jato, società leader a livello mondiale per la consulenza e la ricerca nel campo automotive. Anche le altre grandi aziende hanno ridotto le emissioni di Co2 in maniera considerevole, addirittura di 7,4 grammi in media per chilometro rispetto ai 145 grammi di media del 2008. Dietro Fiat la graduatoria 2009 è questa: Toyota (132 grammi per chilometro), Peugeot (134,5), Citroën

L’ITALIA PENALIZZATA. Nel nuovo regolamento sulla riduzione delle emissioni di Co2 in vigore da questa estate, con una martellante operazione di lobby, la Germania è riuscita a far inserire il “parametro massa” dell’auto. Questi gli effetti secondo l’Anfia: l’applicazione di quel coefficiente impone “obiettivi più impegnativi per le vetture piccole e meno severi per quelle grandi”. Premia i costruttori delle auto di grossa cilindrata e di lusso (i tedeschi) e sfavorisce i gruppi specializzati in utilitarie e auto medie, come Fiat e Peugeot, proprio quelli in testa alla classifica dei produttori più virtuosi. Fino al 2018 i trasgressori dovranno pagare da 5 a 25 euro ad auto per i primi 3 grammi di Co2 oltre la soglia consentita e 95 euro per i grammi eccedenti successivi. Ovvio che chi immatricola più auto (i costruttori di massa) è più colpito rispetto a chi ne immatricola meno (i costruttori di gamma alta). Oltretutto ottenere riduzioni di Co2 sulle auto di grossa cilindrata è relativamente più agevole perché i margini di miglioramento sono più ampi. Tagliare, invece, su modelli già a basso tasso di emissioni costa uno sproposito. All’Anfia hanno calcolato che l’applicazione del regolamento europeo può incidere sui costi di produzione di un’auto di media e piccola cilindrata da 1.800 euro fino a 3.600 euro.

Tra le conseguenze c’è che prima di cambiare l’auto (piccola) la gente ci pensa dieci volte e poi magari si tiene la vecchia che ancora funziona, anche se dal punto di vista della Co2 è diventata una mina vagante. In Italia l’età media del parco circolante è tra le più vecchie d’Europa, 7 anni e mezzo. LE MOSSE DEL GOVERNO. La sconfitta dell’Italia nella trattativa europea sull’auto di conseguenza non solo colpisce il più grande costruttore nazionale, ma si ripercuote negativamente anche sulla battaglia per un ambiente più pulito. Il governo italiano neanche ha provato a rimediare a livello interno per mitigare le conseguenze dello smacco comunitario. In Gran Bretagna è stato lanciato un piano che prevede garanzie ai prestiti pari a 2,3 miliardi di sterline per le aziende auto, più 27 milioni di sterline a Jaguar e Land Rover per sviluppare veicoli a carburante alternativi; in Spagna il piano per l’automobile è di 4 miliardi di euro; in Francia sono stati concessi incentivi alla rottamazione, prestiti per 6 miliardi e mezzo di euro, 400 milioni per la ricerca e sviluppo di veicoli puliti, elettrici e ibridi; in Germania è stata sospesa la tassa auto annuale, aperta una linea di credito di 100 miliardi per le aziende in crisi e concessi 500 milioni per due anni per la ricerca sui carburanti alternativi. In Italia il governo si è limitato a concedere gli incentivi alla rottamazione che scadranno il 31 dicembre e forse saranno rinnovati con un decreto a gennaio.

I tedeschi sono riusciti a imporre parametri sulle emissioni adatti alla loro industria e non alla nostra


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DAL MONDO

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“PER DIFENDERE LA PACE A VOLTE SERVE LA GUERRA”

AUSTRIA

In arrivo le unioni civili per i gay

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l parlamento austriaco ha approvato a larga maggioranza l’istituzione delle unioni civili fra omosessuali. Le coppie gay non potranno però adottare bambini.Si parla di una legge “compromesso”. Per la destra una “crociata contro la famiglia”, per la sinistra ancora troppo discriminante.

Tra dubbi e dissensi, Obama ritira il Nobel citando la dottrina di Kennedy di Alessandro Cisilin

he vinca il migliore”, gli disse il cronista. “Speremo de no”, replicò in perfetto triestino Nereo Rocco, che allenava il Padova alla vigilia di una partita con la più titolata Juventus. Il trionfatore del Nobel per la Pace non era neppure nato quando la provincia italiana produsse questa gag calcistica, ma Barack Obama è uomo di spirito e di sport, e ci riderebbe sopra. Di più, sarebbe d’accordo e il condizionale stavolta non serve. “Altri lo meritano di più”, ha spiegato

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BUONE NOTIZIE

lui stesso in conferenza stampa a fianco del premier norvegese Stoltenberg. Poi è arrivata la cerimonia ufficiale di Oslo, coi discorsi, le musiche e gli applausi. E il presidente degli Stati Uniti è stato schietto, illustrando le ragioni della guerra e la continuità della politica estera americana. “Il conflitto non è un fine in sé ma talvolta è necessario per difendere la pace”, ha detto, rivendicando inoltre “il diritto di agire con le armi anche unilateralmente”, senza omettere il richiamo alle gesta dell’America dalla Rivoluzione settecentesca all’Afghanistan, dalla Seconda guerra

I coniugi Obama nella City Hall di Oslo; sotto Fidel Castro che proprio ieri ha criticato il Nobel per la Pace al presidente degli Stati Uniti (FOTO ANSA)

mondiale all’Iraq. I norvegesi per definizione non mugugnano e non rumoreggiano, ma qualche sopracciglio in sala si è alzato, mettendo a tratti la disciplinata platea in simbiosi con l’irritazione esplosa all’esterno della City Hall. Insolita per Obama e insolita per Oslo. Migliaia di manifestanti a esprimere dissenso

a cura della redazione di Cacaonline

IMPARIAMO DALLE SCIMMIE: ESSERE EGOISTI È CONTRONATURA La giustizia innata Mediante esperimenti comportamentali con un gruppo di scimmie cappuccine, Sarah Brosnan e Frans de Waal, ricercatori dell’Emory University, hanno dimostrato che esse possiedono un innato senso della giustizia. Se si distribuisce a tutte le scimmie un biscotto per un lavoro svolto non ci sono problemi e le scimmie collaborano volentieri. Ma se a una delle scimmie viene invece dato un chicco d’uva, questa si arrabbia e smette di collaborare. Dunque non solo viene percepita la mancanza di imparzialità, ma viene messa in atto una vera e propria azione di protesta. Il senso di giustizia a più alto livello è poi presente tra i bonobo: una

femmina rifiuta le migliori leccornie se non vengono offerte anche agli altri bonobo. Essere egoisti è contronatura. Detersivi self service La regione Piemonte traccia il bilancio del progetto “Detersivi self service” per la vendita dei detergenti alla spina. In tre anni, dal dicembre 2006, hanno aderito 9 catene di supermercati e sono stati installati 45 distributori automatici che hanno erogato 950 mila litri di prodotti, con un risparmio di 55 tonnellate di plastica. Il Piemonte è certamente la regione più ecopulita d’Italia. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)

FRANCIA per l’assegnazione del Premio, tra i pacifisti in arrivo da tutta Europa, inclusi i vicentini del No Molin, e gli ambientalisti in trasferta da Copenaghen. Come non bastasse si è aggiunto il diffuso fastidio per il no di Obama alla colazione con i sovrani Harald V e Sonia, per scatenare sulla stampa locale le accuse di “arroganza americana”, le ironie sulla “Globamazation” – ovvero l'infatuazione globale per il Capo della Casa Bianca – e ampie citazioni dei suoi detrattori internazionali a cominciare da Fidel Castro, che contesta a Obama il “cinismo” di aver incassato il premio per la Pace avendo appena inviato altri trentamila soldati a Kabul. A riportare il rituale sui giusti binari ci ha provato Thorbjørn Jagland, presidente della Commissione per il Nobel, strappando applausi nell’esprimere il “piacere che la Sua presidenza abbia incarnato i sogni di Martin Luther King”. Obama ha ringraziato ma ridimensionato: “La non violenza di Gandhi e King è un punto di riferimento ma in altre circostanze storiche non avrebbe funzionato”. “Meglio

– ha aggiunto – la visione pratica della pace di Kennedy”, che, in effetti, come lui aumentò le truppe in Asia sperando in una rapida vittoria nel conflitto in Vietnam. Il presidente ha quindi ribadito che continuerà a combattere in ogni latitudine e con ogni mezzo per difendere l’umanità dalle aggressioni e dalle oppressioni, chiamando però al proprio fianco i paesi della Nato e gli altri alleati in quanto “l’America non può fare tutto questo da sola”. E qui Obama ha potuto marcare le distanze da Bush e agganciarsi alle motivazioni del Nobel: la chiusura di Guantanamo, “perché non possiamo fare come i nostri nemici”, nonché la ricerca del dialogo e del multilateralismo sulle più delicate emergenze mondiali, dal disarmo nucleare alla lotta ai cambiamenti climatici. “Il premio di quest’anno è indubbiamente un’esortazione per il futuro” ha precisato Jagland. Si attendono ora i fatti, e ad attendere Obama al varco sono anzitutto gli stessi scandinavi: appuntamento tra soli sette giorni, al Vertice di Copenaghen.

L’alcolista Pánfilo, nuova icona degli anticastristi UN NUOVO PERSONAGGIO ENTRA NELLA GUERRA (A COLPI DI BLOG) TRA SOSTENITORI E DETRATTORI DI FIDEL di Alessandro

Oppes

l nuovo eroe dell’anticastrismo è un povero alcolizzato di nome Pánfilo che un giorno, in evidente stato di ebbrezza, è stato ripreso da una telecamera sul Malecón dell’Avana mentre urlava in modo scomposto “Jama, jama”, che in gergo cubano vuol dire cibo. “Ciò di cui c’è bisogno è cibo. C’è una fame terribile a Cuba”. Frasi scontate, verità indiscutibili che qualunque turista che frequenti l’isola si sente ripetere fino alla sazietà. Eppure in un baleno la potente macchina della propaganda di Miami è riuscita a farle proprie creando dal nulla un caso internazionale. Basta andare su YouTube per trovare decine di video che hanno Pánfilo come protagonista, seguito dai tg della Florida come se si trattasse di un’autentica star. Naturalmente, il gioco funziona solo quando il tasso etilico ha superato il livello di guardia. Così, da settimane c’è chi fa a gara per offrirgli bottiglie di whisky o “ron”, per potergli strappare una nuova “dichiarazione esplosiva”. Quando è sobrio, Pánfilo non merita la minima attenzione: arriva a pronunciare frasi tanto banali come “lasciatemi in pace, non voglio problemi, non mi occupo di politica”. Ma le esigenze del reality show finiscono per avere la meglio, e il poveretto non sa più come venir fuori da questa situazione assurda. E’ il solito meccanismo che si ripete ogni volta che si parla di Cuba. A cinquant’anni esatti dalla Revolución, la patria di Fidel continua a suscitare passioni spropositate, molto al di là del peso reale che un piccolo paese dei Caraibi possa vantare nel contesto internazionale, soprattutto

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in un mondo che si è ormai lasciato alle spalle la Guerra fredda. Basta un niente per scatenare il dibattito a livello planetario. E sempre sopra le righe. Con il regime castrista che, ovviamente, non è da meno. Nei giorni scorsi, il quotidiano ufficiale Granma ha dedicato un lunghissimo articolo all’ormai celeberrima Yoani Sánchez, liquidandola in modo sprezzante come “una lupa travestita da agnellino”. Come sempre, il regime dell’Avana può contare su schiere di corifei in ogni parte del globo, con l’Italia immancabilmente in prima linea. Su un’infinità di siti web, si sprecano gli insulti contro la blogger e contro chiunque osi difenderla. Nel mirino, indistintamente, il Corriere, Repubblica, La Stampa (colpevole di pubblicare le riflessioni della giovane cubana su “Generación Y”) e Il Fatto Quotidiano, reo di aver organizzato una raccolta di firme a sostegno di Yoani. Il sequestro di cui sarebbe stata vittima la “bloguera” è diventato oggetto di derisione, e persino il lavoro impeccabile e neutrale di un giornalista serio come il corrispondente della Bbc all’Avana viene manipolato e utilizzato a senso unico. Fernando Ravsberg (lo stesso che ha raccontato nel suo blog la storia di Pánfilo scatenando decine di reazioni pro o anticastriste) è andato a casa della Sánchez pochi giorni dopo la presunta aggressione per verificarne le condizioni di salute. L’ha trovata in ottimo stato, e così non ha potuto far altro che chiederle di mostrargli i segni della violenza. Lei ha risposto: “Ho diverse contusioni, in particolare sui glutei, purtroppo non posso mostrarli”. Ravsberg racconta, non trae conclusioni e non esprime giudizi. Ma ce n’è abbastanza perché un blogger nostrano ridicolizzi in un articolo pieno

Fuori i mariti delle donne in burqa

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roposta shock della ministra della Giustizia francesce, Michele Alliot-Marie che vorrebbe rifiutare la cittadinanza agli uomini con la moglie in burqa. La guardasigilli parla di valori inconciliabili con quelli della Republique: “un uomo che ha una moglie con il velo integrale è una persona che non condivide i valori del nostro paese. In questo caso bisogna rifiutarlo”, ha detto anticipando alcuni contenuti della futura legge sul tema.

GIORNATA DEI DIRITTI UMANI

Critiche al voto anti-minareti

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ella giornata mondiale per i diritti umani, il presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Lluis Maria de Puig, ha parlato del referendum svizzero contro la costruzione di nuovi minareti dello scorso 29 novembre. “I diritti fondamentali – ha detto de Puig nel suo messaggio ufficiale – non dovrebbero mai essere sottoposti al voto popolare”. E ha aggiunto: “I referendum nazionali hanno un ruolo importante per la democrazia, tuttavia in Europa molti dei valori fondamentali sono protetti dalla Convenzione europea per i diritti umani e questi valori chiave non dovrebbero essere sottoposti a un plebiscito”.

MIGRAZIONI di certezze “la blogger con i lividi al culo”, scatenando, anche in questo caso, decine di reazioni. A favore e contro. Se Yoani Sánchez sia stata sequestrata (per venti minuti, come lei stessa ha dichiarato) probabilmente non lo sapremo mai. Non ci sono le prove. Tutto qua. E forse non è così importante. Quel che conta è che, nei giorni scorsi, un’organizzazione prestigiosa come Human Rights Watch, in un dettagliato rapporto dal titolo “Nuovo Castro, stessa Cuba”, ha denunciato che, dal suo avvento al potere, Raúl “non ha affatto smontato la macchina della repressione, ma al contrario l’ha mantenuta vigente e pienamente attiva”, facendo ricorso a “leggi draconiane e processi farsa” per scatenare una nuova ondata di arresti contro gli oppositori.

Un miliardo ”in movimento”

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l mondo non ha mai registrato così tanti migranti: 214 milioni di persone risultano emigrate all’estero e 700 milioni all’interno del loro paese. Lo ha reso noto ieri il responsabile dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), William Swing. Che ha quindi messo in guardia dagli stereotipi legati agli immigrati.


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Venerdì 11 dicembre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

EDUCAZIONE LIRICA

ZEFFIRELLI SHOW Prostitute, bidet e l’amico B.

Eriksson Sven Goran vuole acquistare il Notts County

Mourinho La polemica continua: “Pensavo che i risultati contassero”

Cage L’ex ragazza, Christina Fulton, gli chiede 13 mln di dollari

Rane Disney Con la favola di Natale, ritorno al classico

Il regista cita Marrazzo per raccontare la sua “Traviata”. E alla giornalista che obietta “Berlusconi ha un casino in casa”, risponde: lei è una stronza

di Carlo Tecce

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rova a trattenere la maleducazione. Tra il palato e le labbra. Poi scivola mischiata a parolacce varie, braccia invocanti e fiamme sul viso. Sir (davvero) Franco Zeffirelli irrompe con stile in una sfarzosa conferenza stampa e spiega: “La signora è ben piazzata e con un aitante marito che la cura sempre”. Lei è la soprano che doveva debuttare al Teatro dell’Opera con la Traviata di Giuseppe Verdi. Daniela Dessì è la femme fatale che ha cantato, e incantato, con Riccardo Muti e Claudio Abbado: Aida, Tosca, Madama Butterfly, premi e riconoscimenti. Per sei mesi la biglietteria ha incassato soldi e velleità degli ammiratori della Dessì. Fin quando il regista e sceneggiatore Zeffirelli, re di Roma nel pantheon di Gianni Alemanno, riscrive la scaletta, l’ordine dei posti e dei ruoli. Guai a dilungarsi in prove e contrasti, disquisizioni e barbose giornate sul palco. Zeffirelli discende da Leonardo da Vinci – “un mio pro-nonno mise incinta la contadina che generò Leonardo” – e quindi decide d’imperio: esclude la Dessì a un mese dalla Prima e conferma un organico già rodato, affiatato e forse scontato. La soprano e il marito Fabio Armiliato, tenore, scrivono un sobrio comunicato per onorare la loro rinuncia. Sono criptici, formali, lasciano per “un insieme di circostanze legate alle scel-

Polemiche anche per l’estromissione della Dessì: è ben piazzata, troppo per essere la mia Violetta

te compiute nelle regie degli allestimenti”. Legate a Zeffirelli che, nervoso e spazientito, aspetta la domanda. E invece casca ai preliminari. Sulla politica. Non sulla lirica. Raccontava della festa di Violetta all’Opera di Amburgo, ambientata in una casa di prostitute che, dietro una parete trasparente, erano riprese accovacciate sui bidet. Il maestro ha chiosato: “Del resto sono puttane, hanno bisogno di lavarsi, sono lì

non fa Falstaff? Bè, mi spiace. Quanto alla Traviata immagino sia per prudenza. Lei che ha avuto una gran carriera, nello stato in cui è ora, sente un confronto rischioso con il pubblico. Abbiamo preferito non esporla”. Persino Maria Callas aveva turbato l’archetipo femminile del maestro. Negli annali è scolpita indelebile: “La conobbi che era grassa e goffa, un anno dopo aveva perso 30 chili, era diventata una don-

na di insuperabile fascino. Una trasformazione che ha segnato la lirica. Da allora si può datare a.C. e d.C.. Prima e dopo Callas”. Riparazione postuma o in differita. In tempo reale sulla Dessì, interviene Gianluigi Gelmetti, il direttore d’orchestra che, più del regista, aveva competenza sulle voci: “Sul fatto vocale non sono d’accordo. La Dessì ha una forma vocale eccellente. E come uomo devo ammettere che mi piace.

Un appuntamento con la Dessì io lo prenderei”. Zeffirelli ammanta con la diplomazia, peraltro sottile, un giudizio severo e scortese sul soprano genovese già applaudito alla Scala di Milano e al Metropolitan di New York: “La Dessì è magnifica per fare Alice, non più Violetta, non è più vicina alla mia concezione di Violetta. Ho visto le Violette di questa produzione, molto vicine alla mia idea di Violetta, che non è certo una signora ben piazzata con un aitante marito che la cura sempre. Mi piace pensare a una Traviata giovane, una cosa di ragazzi. Questa è forse la più bella Traviata che ho fatto, anche di più di quella che feci con la Callas, mi emoziono nel vedere questi due

ragazzi con una vera credibilità. Il mio giudizio sulla Dessì non è all’artista, ma al fatto che non mi dia la Violetta che ho nel cuore”. Insomma, parafrasando una prosa già aspra: la Dessì è grassa, vecchia e appassita. Quel che basta, un enorme insulto, per chiamare gli avvocati. Armiliato è al Petruzzelli di Bari per la Turandot: “Mia moglie è una donna bellissima. Nei Pagliacci interpretavo Canio, Zeffirelli mi disse che ero troppo magro, elegante e raffinato. Ha due visioni diverse. Volevamo incontrarlo, ha rifiutato. Ci vuole rispetto per gli impegni presi con il pubblico, l’arte e il teatro”. E la moglie, vincitrice dell’Abbiati 2008, fugge dalle polemiche: “Sono colpita. Mi è sembrato un attacco inutile. Non so a chi possa servire. Forse così parleranno di più di Zeffirelli”. Anche se i viaggi stancano e Roma è una città caotica e disordinata, il maestro doveva reggere il megafono degli intellettuali del sindaco Alemanno. Maestro con le chiavi della città. Che sull’arte mai cambiò idea né partito: “Una cosa che non perdonerò mai a Berlusconi è di aver privato il teatro italiano di una grande attrice com’era Veronica Lario”. Nella foto grande Franco Zeffirelli a fianco Daniela Dessì (FOTO ANSA)

per fare cose, un po’ alla Marrazzo”. La giornalista Livia Bidoli, del sito di recensioni Gothic Network, ha replicato sull’immediato: “Mettiamoci pure Berlusconi. Le feste nei Palazzi. Ha un casino in casa”. E dinanzi al vituperio dell’amico, Zeffirelli s’è sporto per coprirlo dal presunto fango. E col fango ha inveito: “Lei sta insultando una persona di valore. Questo è un teatro serio, vada via mascalzona, cretina. Lei è una stronza, vada a fare in culo: in culo! Lei non ha cittadinanza qui, non si deve permettere. Berlusconi è un amico mio è un uomo straordinario”. Un signore in tuta e scarpe da ginnastica, e da quel fisico che sa di botte, minaccia la Bidoli: “Stronza, stronza”, le ripete. I commessi della sala liberano la rabbia del Sir dall’ingombro del microfono. Pausa. Il rancore cova solitario, cerca un appiglio per violare le ultime trincee del buon gusto. E semmai del decoro nel glorioso Teatro dell’Opera. Zeffirelli è morbido sul morso iniziale: “La Dessì

Anniversario

diziarie del premier è stata affidata alla voce di Gian Carlo Caselli: “Guai a disperare”, scriveva Sylos Labini. L’unico antidoto alle bugie e ai soprusi è l’informazione, perché “più sarà diffusa la conoscenza, più sarà difficile l’insabbiamento”. Non si poteva ricordare Sylos Labini, però, senza parlare di economia: Enzo Cipolletta ha letto un brano del Saggio sulle classi sociali, Giuseppe Guarino ha parlato di oligopoli e concorrenza, Marcello De Cecco ha riportato il punto di vista di Sylos Labini sul mercato e su “quell’involucro giuridico” che “condiziona e può assecondare ovvero frenare lo sviluppo”. “È la legge – ha ricordato Giorgio Ruffolo leggendo un altro brano – che crea gli argini tra i quali scorre l’acqua dell’economia; senza quegli argini l’acqua diventa palude o dà luogo a inondazioni”. E poi la scuola: Tullio De Mauro non ha dimenticato che già nel 1963 Sylos Labini invitava a “rivalutare nei fatti e nel giudizio sociale

SYLOS LABINI LE PAROLE CHE RESTANO l 7 dicembre di quattro anni fa moIa ricordare riva a Roma Paolo Sylos Labini. Ieri, l’economista nella sede romana della casa editrice Laterza, c’erano soprattutto le sue parole. A trasformarle in voce, le persone che lo hanno conosciuto e che oggi continuano a portare avanti i suoi insegnamenti. Nello Ajello, con il racconto di Un paese a civiltà limitata, ha ricordato che Sylos Labini definiva Berlusconi al potere una “sciagura nazionale” e diventava nervoso quando sentiva dire che “la Casa delle Libertà rappresenta la destra o il centrodestra: il capo è un ricco personaggio che pensa principalmente alla sua azienda e ai suoi problemi giudiziari – si arrabbiava – Che diavolo c’entra la destra?”. La versione Sylos Labini sulle vicende giu-

la funzione del docente”. L’impegno civile e l’etica politica non lo hanno mai abbandonato. Nel 2001, firmò insieme con Bobbio, Galante Garrone e Pizzorusso, che ieri ha riletto quel brano, un appello al voto contro la Casa delle Libertà. Recitava così: “A coloro che, delusi dal centrosinistra, pensano di non andare a votare, diciamo: chi si astiene vota Berlusconi”. Berlusconi vinse. Ma “guai a disperare” diceva sempre Sylos Labini. Lui preferiva combattere: qualche mese più tardi, in un articolo letto da Antonio Padellaro, chiedeva “un’opposizione vera” per non “essere costretto a dimettermi da italiano”. Si arrabbiava con D’Alema e la scelta della Bicamerale, non “bisognava farla con un socio che aveva quel po’ di conti da regolare con la giustizia (...). D’altro canto, l’unica riforma veramente urgente era quella riguardante la giustizia, per la quale quel pessimo socio aveva evidenti interessi personali”. “È vero: io non escludo di essere costretto a dimettermi da italiano. Ma per ora, come vede, non mi sono affatto dimesso”. Paola Zanca


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LA DENUNCIA

IO, PICCHIATO SENZA UN PERCHÉ S., tifoso romanista, pestato all’Olimpico

Un’immagine degli scontri di domenica sulle tribune dello stadio Olimpico (FOTO ANSA) di Giuseppe Lo Monaco

e Malcom Pagani ha un dubbio: “Se questi sono i buoni, i cattivi, allora, chi sono?”. Le domande piovono come pietre in questo giovedì romano, con le luci del derby già spente da un pezzo e la cronaca che si confonde con l’incubo. Domenica, esterno notte. Un ragazzo di ventidue anni cammina verso la pancia dello stadio. Ha un abbonamento in tasca, i sogni davanti agli occhi, il burrone della violenza gratuita a un passo. Mentre racconta, la voce corre metallica. Senza emozione. “Sento esplodere in lontananza alcune bombe carta. Sono all’altezza del ministero degli Esteri, la strada che ho sempre percorso, fin da quando ero bambino. Devo raggiungere i distinti sud”. Poche decine di metri trasformati in cal-

S.

vario. “Vedo qualche fumogeno, non mi preoccupo”. Intorno a sé, S. scorge l’agitazione che promette tempesta. “Proseguo, devo solo superare quella zona. Non ho niente da temere. Sono a volto scoperto, non corro. Non faccio parte di alcun gruppo organizzato e non dovrei destare alcun sospetto”. Deduzione errata. Fiducia eccessiva. Cento metri dopo, S. incrocia un gruppo di poliziotti. “Mi sento prendere per la giacca, poi per il collo. E’ un agente in divisa antisommossa. Credo fossero poliziotti ma potrei sbagliarmi. Non sono un esperto di divise”. Imparerà sulla propria pelle. “Per qualche minuto, subisco un violentissimo pestaggio. Calci, pugni, manganellate. Urlo ‘non ho fatto niente, guardate il documento, abito qui vicino’”. Quelli, sordi. “Vengo trascinato in mezzo. Sono in sette”. Assatanati. “Mi insulta-

no, picchiano forte. ‘Sei stato tu bastardo?’”. I colpi proseguono. “Un agente sferra un pugno, mi prende in pieno volto. Mi invita a guardarlo negli occhi, poi mi sputa in faccia”. S. si pulisce. Dall’angolo, spunta il dirigente capo “suppongo fosse il responsabile perché aveva una giacca rossa, diversa da tutte le altre” lo lascia andare. Pochi metri. S. incontra un altro gruppo di agenti. Altro giro, altra discesa negli inferi kafkiani. Subisce un trattamento non dissimile. “Puntavano a colpirmi sui testicoli”. Poi arriva il signore con la giacca rossa. “Lasciatelo stare, ne ha prese già abbastanza”. S. raggiunge lo stadio. Lo aspetta V., un’amica. Lo vede sconvolto. Si fa descrivere ogni cosa. “Guardo la partita. Non capisco bene cosa mi sia accaduto, sono scosso”. Il giorno dopo, S. va dal medico. Gli fa male il costato, la testa rimanda

immagini crude. “Avevo paura di un trauma cranico, mi preoccupava la manganellata in piena fronte”. Cinque giorni di prognosi, nessuna frattura. In bocca, l’agro sapore dell’ingiustizia. Consulta anche un avvocato, S. “Gli chiedo cosa si possa fare per avere giustizia. Mi consiglia di fare un esposto alla polizia”. Allora S. va al commissariato di Ponte Milvio. Gli dicono di andare al “Prati”, quello preposto a controllare l’ordine fuori e dentro l’arena. Guidato dagli stessi uomini che nel corso del tempo, hanno demilitarizzato l’area, per restituirla a un colpo d’occhio che prevedesse meno divise possibili. “Ho sempre rispettato le forze dell’ordine. Credo facciano un lavoro egregio per la collettività e capisco che a volte si facciano prendere la mano dalla paura. Però mi dispiace per le mele marce, che rovinano l’immagi-

ne dell’intero corpo”. S. non è un estremista. Ragiona tranquillamente. Ha paura, non riesce a confessarselo fino in fondo. Non sa se tornerà a vedere la Roma. La prima volta fu nell’anno dello scudetto. “Due anni di seguito, poi più saltuariamente. Non so, adesso mi è passata la voglia”. Prima che ritorni, ci vorrà tempo. Alternare il pallone alle lezioni di Biotecnologia alla Sapienza, rappresentava l’evasione dai libri, dalla laurea prossima, l’inseguimento di una passione pulita. Hanno sporcato il quadro. S. vuole uscire al più presto. Lamberto Giannini, capo della Digos di Roma, dirigente di esperienza provatissima, al telefono è laconico. Chiaro.

Esaustivo. “L’episodio è stato immediatamente trasmesso all’autorità giudiziaria. Ma prima che da quelle stanze venga una parola, anche noi stiamo provvedendo agli accertamenti di rito. Abbiamo le immagini. Sono molte e ci vorrà tempo per chiarire l’esatta dinamica degli eventi. Se qualcuno ha sbagliato, sarà punito. Non perseguiamo reticenze, solo la verità”. Poi chiude. S. aspetta. Qualcosa,domani, accadrà.

Il ragazzo, 22 anni, non fa parte di gruppi organizzati. La Digos: “Se qualcuno ha sbagliato, pagherà”.


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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

La difesa dell’indecenza di Paolo Ojetti

g1 T E finalmente Berlusconi ha illustrato ai rappresentanti del Partito popolare europeo il suo personale concetto di democrazia avanzata. Il “manifesto” del perfetto autocrate del terzo millennio è passato su tutte le reti televisive italiane affinché nessuno possa poi dire: non lo sapevo. Le idee di Berlusconi - a parte alcuni dettagli – sono il decalogo di una dittatura: visto che il consenso popolare mette l’eletto al di sopra degli uomini e di Dio, i magistrati dipenderanno dal governo, il Parlamento sarà imbavagliato, la Corte Costituzionale eliminata, la stampa irreggimentata (“l’ottanta per cento dei giornalisti è di sinistra”). Le televisioni sono a posto, metà asservite e metà stipendiate. Berlusconi ha anche spiegato

il segreto del suo successo: gli italiani lo votano perché è un tipetto “forte e con le palle”. Sonia Sarno era lì, inamidata, e non ha avuto il minimo sussulto, assistendo alla distruzione del proprio paese agli occhi dell’Europa intera. Particolare curioso, nel “Tg1 costume e società”, è stato reclamizzato un nuovo gioco da tavolo: “Diventa anche tu premier”. Il gioco è vietato agli eunuchi e alle donne. Vince chi ha le palle più grosse. g2 T Le palle del premier girano anche su tutte le edizioni del Tg2. Solo che nel pomeriggio scompare (chissà come mai) Ida Colucci, che aveva seguito in mattinata il “premier” che reclamizzava i propri attributi. Tocca alle “reazioni”, prima fra tutte quella di Napolitano (“rammarico e preoccupazione”: un po’ poco), poi

Fini, le opposizioni, i magistrati. Il centrodestra “fa quadrato” attorno alle due cose tondeggianti di Berlusconi, Bossi si ricorda del suo perduto “celodurismo” e applaude freneticamente il ritorno degli argomenti genito-sessuali tanto cari al fascismo. E’ stata la giornata della vergogna, ma ancora una volta questo telegiornale (assieme al complice Tg1) non ha speso una sola parola a difesa della democrazia. E della decenza. g3 T Anche le reazioni di Bersani, che il Tg3 mette in evidenza e cerca in qualche modo di amplificare, sono così caute da essere inadeguate: c’è solo un vago accenno agli italiani “che sono pronti a difendere la Costituzione” contro la voglia autoritaria di Berlusconi. Sembra che il capo del maggior partito di opposizione non abbia ancora capito che siamo alla resa dei conti, quella vera, e che non si può patteggiare, discutere, mediare, arrangiare. E’ stata una giornata pesante, ma il Tg3 ha i riflessi appannati: perché non far parlare Scalfaro, Ciampi, quei presidenti emeriti che hanno già dovuto difendere la democrazia dagli assalti del signore di Arcore?

di Luigi

Amarcord Costanzo Galella

definitivamente il sipario sul “MauCforseala rizio Costanzo Show”. L’uomo della tv più potente e popolare degli ultimi trent’anni lascia Mediaset per la Rai. E lo fa ricordando. Sui palchi del Sistina e poi del Parioli di Roma ha invitato dal 1981, per complessive 4391 puntate, 33.000 ospiti. Molti da sconosciuti sono divenuti celebri. Un salotto che poteva decretare automaticamente il successo di uno scrittore, di un attore. Che ha letteralmente creato carriere. Perfino Andrea Camilleri, ospite della puntata di mercoledì (Canale 5, 23.30), ammette un debito nei suoi confronti. Al tempo della pubblicazione del “Ladro di merendine” (Sellerio, 1996) il libro si diffondeva ancora col passaparola. Costanzo esortò il pubblico ad acquistarlo, promettendo che avrebbe restituito il denaro qualora non fosse piaciuto. E le vendite, da allora, decollarono. Il primo vero talent show, quindi, che mescolava lo spettacolo a frammenti di verità, grazie alle qualità di intervistatore dell’omino coi baffi, con lo sgabello posto più in alto dei suoi ospiti e leggermente dietro, quasi come uno psicanalista che scompare, perché fosse il “paziente”-ospite ad avere la scena tutta per sé. E mostrarsi e dichiararsi, per “ciò che era”. Scopritore dei personaggi più svariati, che esauNella foto in alto: riscono l’intera gamma Maurizio Costanzo: dei caratteri della “coultima puntata per médie humaine”, da Vitil suo show. Ora il torio Sgarbi a Gino Stragiornalista passa da, anch’egli presente alla Rai all’ultimo atto del ro-

manzo balzachiano della nostra tv. Enzo Iacchetti ricorda la sua prima volta. Lui, attore sfigatissimo che nessuno voleva, giunse ai Parioli con sei ore di anticipo e bevve dodici caffè. Dopo vent’anni di gavetta si era ripromesso che qualora, anche stavolta, non ce l’avesse fatta, sarebbe andato a fare il cameriere. Ma Costanzo quando prendeva in simpatia, quando individuava delle qualità, batteva e ribatteva finché quel personaggio non si imponesse. Tante le stagioni che bisognerebbe menzionare. Una fra tutte, quella che univa in una sorta di gemellaggio il “Costanzo Show” al programma di Santoro, in funzione antimafia, interrotta brutalmente dall’attentato di via Fauro, del 1993. L’amarcord è quasi struggente. Soprattutto quando si rivedono edizioni del passato, come quella celebrativa del 2001, che festeggiava i vent’anni. Vediamo Fiorello che imita Bruno Vespa, Gigi Proietti che canta “Nummeromperca’”, Enzo Biagi che omaggia lo stesso Costanzo riconoscendogli il merito di dare “la voce a tanti italiani che altrimenti non l’avrebbero”. E poi, sempre dalla stessa edizione, frammenti ancora più antichi, con una struttura da “mise en abyme”: scatole della memoria che ci trascinano indietro, in un riepilogo della storia della tv e della nostra di spettatori. Un’immagine, in particolare, colpisce. Quella di Massimo Dapporto, in sala, che osserva commosso sullo schermo del palco suo padre Carlo, grande attore di varietà, morto nell’89, mentre conduce per mano, invitandola alla celebre passerella, Wanda Osiris, remotissima divina.


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MONDO

WEB

l popolo viola ha messo di nuovo il naso fuori da Internet. Lo ha fatto a Firenze ieri pomeriggio, davanti al tribunale, dove si sono ritrovate un centinaio di persone, per dar vita a una catena umana. L’onda viola cresce, quindi, e c’è già un prossimo appuntamento: a Villa San Giovanni il 19 dicembre per protestare contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Reggevano un lungo striscione ieri a Firenze, ovviamente viola, per protestare contro il ddl sul processo breve: “No alla cancellazione dei processi”, l’iniziativa “unitaria per una giustizia efficiente e per il rispetto dei principi costituzionali” ha ricordato l’ormai mitica stagione dei Girotondi. Anche perché molti “neo-viola” facevano parte proprio di quei gruppi che si erano creati qui a Firenze attorno a personalità come lo storico Paul Ginsborg e l’attuale senatore

I

è ANTEFATTO.IT Commenti al videopost “Il Consiglio comunale fra le macerie. Festa per il Tg5. Protesta per le istituzioni” di Alberto Puliafito

di Federico Mello

Girotondo viola (e non virtuale) di Giampiero Calapà

feedback$

Pancho Pardi, eletto con l’Idv. Entrambi, infatti, sono ora tra i sottoscrittori della petizione lanciata dai promotori della manifestazione fiorentina, a cui hanno già aderito anche l’attore Neri Marcorè e il vignettista Sergio Staino. Presente la società civile accanto a esponenti di associazioni e partiti (che hanno partecipato a titolo personale) come Arci, Carovana per la Costituzione, Sinistra Unita e Plurale, Giuristi democratici, Pd, Idv, Sinistra ecologia e libertà, Verdi e Rifondazione comunista. Una sorta di ritorno allo spirito dell’Ulivo, ma nessun vessillo rosso, il colore dominante è stato ancora una volta il viola. E a Firenze non è difficile, infatti molti indossavano la sciarpa della Fiorentina. Tanto che qualche passante è stato tratto in inganno: “Festeggiate i successi della Viola in Champions?”, si è sentito domandare un manifestante. “Anche, se vuoi, ma siamo qui per protestare contro il disegno di legge sul

processo breve che cancellerebbe migliaia di processi ed è cucito addosso alla posizione giudiziaria dell’imputato Silvio Berlusconi”. Non si è visto il sindaco Matteo Renzi, che pure aveva dichiarato solo qualche giorno fa a La Stampa che la piazza romana era “incontrovertibilmente fresca, un segno di speranza, nata fuori dai partiti; io ho vinto le primarie anche grazie a questo approccio, a Facebook”, quindi “il Pd deve ascoltare il popolo viola”, intendendo forse non da troppo vicino. L’onda viola nata sul Web, quindi, passando per l’imponente manifestazione auto-

convocata (su Facebook) di Roma, comincia a propagarsi in tutta Italia. Quella di Firenze è solo la seconda tappa della “formazione di un ampio fronte per la democrazia e la giustizia efficiente e uguale per tutti, un percorso che prende forza e motivazione proprio dal No Berlusconi Day”. Per leggere e firmare la petizione di Firenze si può cliccare su http://www.petizionionline.it/petizione/firenze-no-alla-cancellazione-dei-processi/364.

DAGOSPIA

NON DITE A STRACQUADANIO...

E gli organizzatori della manifestazione romana hanno già buttato giù una prima bozza di manifesto (online su noberlusconiday.org), raggiungendo quasi centomila adesioni sulla pagina di Facebook. Il cantautore Daniele Silvestri ha dedicato alla già storica manifestazione del 5 dicembre un brano, “L’imperatore Tiberio”, e ha scelto di destinarla alla Rete: si può trovare facilmente online, anche su YouTube. Dopo Roma e Firenze, la prossima tappa viola è in Calabria, alla manifestazione contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, convocata dal comitato No Ponte (www.retenoponte.it) per sabato 19 dicembre a Villa San Giovanni, “come logica conseguenza di un percorso di mobilitazione contro la degenerazione della politica berlusconiana”.

1) E se avete ancora qualche dubbio sulla affermazione di Napolitano, in base alla quale sui nostri anni di piombo restano ancora "molti punti oscuri", venerdì 11 dicembre,alle 14.30 al Circolo della Stampa di Milano, Stefania Limiti, autrice de "L'anello, la scoperta di un nuovo servizio segreto. Dal fascismo alle brigate rosse" ne discuterà con un pubblico molto interessante: personaggi destinati ad essere assassinati dal "noto servizio", a storici esperti della Gladio. 2) Dite a Giorgetto Stracquadanio che bastava dire che la manifestazione del Pdl in piazza a favore di Silvio da lui proposta (il “Berlusca day”) non si faceva più è CHROME ANCHE PER MAC E LINUX perché si era saputo che i Tipini PRONTE CENTINAIA DI EXTENSION Fini non avrebbero partecipato e Chrome, il nuovo browser rilasciato da Google (i browser quindi si rischiava il boomerang, sono i software per la navigazione su Internet, come anziché raccontare la favoletta Firefox o Explorer, ndr) adesso è disponibile anche per i che non si scendeva in piazza per sistemi operativi Mac e Linux. Il programma si caratterizza non irritare Napolitano... per l’estrema velocità, la semplicità dell’utilizzo, e la 3) Possibile che quel “difendersi sicurezza: promette di difendere il computer da rischi e nel processo e dal processo” sia offre l’opportunità di navigare in incognito, in modo da un’uscita improvvida del giovane non lasciare alcuna traccia della navigazione sul computer Letta? Non proprio perché utilizzato. All’indirizzo chrome.google.com/extensions, Bersani aveva detto le stesse inoltre, sono state rilasciate centinaia di estensioni del identiche cose solo pochi giorni software che permettono di estenderne le funzioni. prima... Basato su tecnologia opersource, Chrome è il prototipo di un vero e proprio sistema operativo che, garantisce Google, svolgerà ogni sua operazione online, software applicativi inclusi, ogni documento sarà perciò sempre a disposizione.

GRILLO DOCET

PDMENOELLE ALLA RISCOSSA

In alto, uno foto del No B. Day del 5 dicembre, l’applicazione Chrome, l’iniziativa del ministro della Gioventù

è UN CONSIGLIO PER I GIOVANI CONSIGLI E CONSULENZE ONLINE

Non è mai facile districarsi tra i mille rivoli della burocrazia. Oggi, per i più giovani, nasce “Un consiglio per i giovani” un’iniziativa del ministero della Gioventù in collaborazione con il Consiglio nazionale del notariato. Al sito gioventu.it/Notariato.aspx sarà possibile avere consigli e suggerimenti per le soluzioni giuridiche più opportune in importanti momenti della vita. Anche via mail, sarà possibile avere i consigli degli esperti sui temi della casa, del lavoro e della famiglia.

Il cambiamento parte dalla scuola, dai ragazzi. Il documentario “Terra Reloaded” è disponibile gratuitamente per ogni scuola che lo richiederà. In Terra Reloaded alcuni opinion leader mondiali: Stiglitz, Rifkin, Sachs, Wackernagel, Brown, Pollan spiegano la follia che stiamo vivendo. Che sta uccidendo noi, l’umanità, non certo la Terra che sopravviverà comunque. In Italia la pazzia distruttiva sta accelerando. Ha preso il controllo dei partiti, della Confindustria, dei mezzi di informazione. I deliri dei 150 all’ora in autostrada, i nuovi incentivi per la produzione di auto, lo Smogpass a Milano con cui si può inquinare pagando. E continui atti contronatura, altro che trans, come la costruzione di nuove centrali nucleari, gli inceneritori che spargono tumori attraverso la diossina, il Ponte di Messina, la cementificazione dell’Italia. Le nuove generazioni ci malediranno, questo lo dobbiamo mettere in conto. Abbiamo rovinato, o permesso che altri lo facessero, un pianeta di bellezza inestimabile. Stiamo continuando a farlo con i balbettii della Conferenza di Copenaghen. I giovani erediteranno una Terra malata e vendicativa. Gaia si ribella ai virus. Terra Reloaded è un antivirus. Ringrazio fin da ora tutte le scuole che lo richiederanno. Le ringrazio perché lo faranno vedere agli uomini e alle donne di domani. Molte scuole hanno già scritto, le prego di usare il modulo presente sul blog per poter spedire il documentario.

La Grecia sta fallendo: i prossimi siamo noi con un debito pubblico di 1800 miliardi di euro. Quando l’Italia andrà in default questi giornalisti dovranno rendere conto al popolo per le notizie false che hanno detto fino ad oggi. Assieme ai loro padroni faranno meglio a prenotarsi il viaggio ad Hammamet. (Sarib) Il criminoso scudo fiscale non basta, per rattoppare le casse statali devono prendere soldi anche dai terremotati, ma mica lo dicono, non sia mai: dopo gli incredibili arresti, niente deve scalfire l’immagine del Cavaliere amico dello stalliere! (Danx) L’Abruzzo ha rappresentato soltanto l’impalcatura di uno stupido palcoscenico dove hanno recitato a soggetto un premier tronfio, un coordinatore (medico!) premier-dipendente e una pletora di comparse che oggi consegnano un presepe di stupidità a un culturame, in quanto tale senza ego, e a una società che di civile non ha un bel niente (Arteo) Io il Tg5 lo guardo solo quando voglio farmi passare l’appetito... sapete, per la dieta! Scherzi a parte quelli di Mediaset sono dei tg inguardabili... ma anche il Tg1 e il Tg2 non scherzano! (Mary) Itelegiornali Mediaset hanno trasmesso ampi servizi di come l’Italia goda di salute, hanno fatto vedere gente che fa lo shopping di Natale e di come queste persone hanno tanti soldi da spendere. Questa è pura propaganda come nella Seconda guerra mondiale, quando il regime di Hitler stava per cadere (Max Pride) Meno del 50% delle case (provvisorie) promesse ai terremotati per la fine dell’anno sono state consegnate. Un Bertolaso molto irato in conferenza stampa per giustificarsi ha scaricato la colpa sulle ditte fannullone, che non hanno rispettato i tempi di consegna. Per squallidi motivi propagandistici lui e il suo capo hanno fatto promesse che semplicemente non potevano essere mantenute (Pericle) Io sono aquilano e dire che sono schifato è dire poco. Un conto è far credere in tv il contrario della realtà, come si fa tutti i giorni sui tg Mediaset, su Rai1 e Rai2, un conto è farlo in maniera così spudorata (Tiziano) Bè, la verità è quella che passa in tv purtroppo... anche mio padre guardando quel servizio ha detto: “Però! Il governo si sta comportando bene! Hanno anche già tolto le tendopoli!!!”. Io l’ho guardato male e gli ho detto: “Ma se hanno consegnato 200-300 baite in legno e gli sfollati sono migliaia??? Lo vedi questo servizio? Hanno fatto passare la riapertura di due negozi come il rinascimento!” (Paky)


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nordisti

PIAZZA GRANDE

É

COMPAGNE CHE SBAGLIANO L

Porpore, cappucci e coppole di Pierfranco Pellizzetti

n principio ci fu Pietro Lunardi, indimenticabile ministro berlusconiano delle Infrastrutture, teorico della necessità-opportunità di imparare a coesistere con la grande malavita organizzata. Voce dal sen sfuggita, che esplicitava quanto altri praticavano: un nuovo “sdoganamento”, ancora più terribile di quelli della destra neofascista o di una neoborghesia possessiva e anarcoide, spregiatrice dei valori repubblicani, clonata sul modello propagandato dalle televisioni commerciali del Biscione a partire dagli anni Ottanta. Un occulto orribile su cui periodicamente si aprono improvvisi squarci, come sta verificandosi in questi giorni nelle aule del Tribunale di Torino con le rivelazioni del pentito Spatuzza. Ultimo segnale di un processo di legittimazione implicita, a fronte del mancato contrasto da parte delle forze dell’ordine, depistate da agende della politica che ormai pongono al proprio primo punto la teatralizzazione del perseguimento di fenomeni microcriminali; in perfetta simmetria con il tambureggiamento mediatico dei messaggi ansiogeni sul rom che rapisce gli infanti o il balcanico stupratore: la repressione come alibi per la totale assenza di una qualsivoglia strategia dell’accoglienza nei confronti dei nuovi migranti. Dunque, segnali che fanno intravvedere come, nella placenta protettiva di una politica focalizzata sulle priorità personali di Silvio Berlusconi, non solo sia cresciuto il malaffare strutturato. Peggio: andavano consolidandosi reti occulte di cooperazione tra le varie organizzazioni “coperte”. Non è chiaro, in assenza di raggi di luce investigativi a illuminare il fenomeno, che cosa questo lavorio abbia prodotto. Qualcosa – comunque – si percepisce ed è inquietante. Una sorta di saldatura – secondo l’espressione di Mario Guarino, in un suo saggio di dieci anni fa (I mercanti del Vaticano, Edizioni Kaos) – tra “porpore, cappucci e coppole”. Nelle modalità del network. Non in palazzi dove sottoscrivere protocolli congiunti. Dunque, la morfologia di reti relazionali e di processi comunicativi informali, in cui appartenenti alle diverse affiliazioni assumono ruoli sovrapposti e multipli. Lo conferma l’indagine di una fuoriuscita dall’Opus Dei, Emanuela Provera, pubblicata a novembre da Chiarelettere (Dentro l’Opus Dei): Marcello Dell’Utri, che sentenze hanno riconosciuto limitrofo alla mafia, fece “l’incontro della vita” con Berlusconi – guarda caso – proprio grazie ai buoni uffici di numerari Obra, la cosiddetta massoneria cattolica. Il Berlusconi presto affiliato alla Loggia coperta Propaganda Due di Licio Gelli con tessera numero 1816. Contiguità abbastanza strane, sulla carta. Se non altro in quanto, nel passato, la massoneria era considerata un covo di laicisti mangiapreti. Joseph Ratzinger, quale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ribadiva che “rimane immutato il giudizio della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche”. Solo apparentemente, visto che “grembiulini” e “baciapile” hanno smesso da tempo di farsi la guerra. Tanto che nel 1996, trami-

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Alleanze cementate dal comune interesse al business, dalla finanza al mattone; in Calabria o nel tratto parmigiano della Tav, dalla ricostruzione in Abruzzo fino alla metropolitana M5 di Milano te il cardinale Camillo Ruini, il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani fece pervenire a papa Woijtila la suprema onorificenza dell’Ordine di Galileo Galilei. Il pontefice rispedirà al mittente tale omaggio imprudentemente plateale, che comunque conferma quanto da tempo circolava: i boatos su porporati affiliati alle logge. Del resto confermati dalla lunga partnership criminosa tra il banchiere della mafia Michele Sindona, il presidente piduista del Banco Ambrosiano Antonio Calvi e il cardinale Paul Casimir Marcinkus a capo dell’Ior, la banca vaticana. Senza mai dimenticare l’affarismo collusivo di un’altra organizzazione molto attiva: Comunione e liberazione, seconda a nessuno nell’accaparramento del pubblico denaro. Ma sempre disponibile alle spartizioni funzionali al raggiungimento dei propri scopi. Alleanze di certo cementate dal comune interesse al business, dalla finanza al mattone; in Calabria o nel tratto parmigiano dalla Tav, dalla ricostruzione in Abruzzo fino alla metropolitana M5 di Mila-

no. Uno stato di fatto che oltrepassa specifiche illegalità per entrare nella dimensione degli odierni assetti nel potere reale. In questo caso il mastice è – se possibile – ancora più inquinante: la tutela del contesto a garanzia dell’impunità. Insomma, la voracità che rifiuta ogni forma di controllo e contenimento diventata progetto politico: la trasformazione dell’intera Penisola in un’immensa isola Cayman in galleggiamento nel Mediterraneo. Un luogo che nella geografia fantastica confina con Tortuga, patria salgariana di pirati e bucanieri. I fuorilegge, ripuliti nelle lavanderie della segretezza che avvolge le associazioni occulte di appartenenza, assurgono – così – a classe dirigente. E possono dedicarsi indisturbati alle loro pratiche di esproprio; di democrazia prima ancora che di ricchezze. Operando secondo gli automatismi della possessività. Senza perdere tempo a teorizzare. Tanto aveva provveduto a suo tempo a stendere le carte di riferimento (potremmo chiamarle managerialmente, la Missione e la Visione) il venerabile Licio Gelli. Con il suo ben noto “Piano di rinascita democratica”.

LA STECCA di INDRO

di Gianni Barbacetto

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E a chi si trova in mano il microfono, non c’è barba di presentatore che riesca a strapparglielo. Forse in questa campagna elettorale sono state dette anche delle cose che sarebbe valso la pena ascoltare. Ma chi riusciva ad afferrarle in mezzo a quei clangori di bùccine? Purtroppo le persone ragionevoli si portano addosso una maledizione la debolezza delle corde vocali. Parla a bassa voce, la ragione: ed è questo che la rende, in Italia, così straniera. Non vorrei dare a queste parole un’intonazione di predica. Abbiamo dovuto subirne tante, in queste ultime settimane, che solo una lunga pausa di silenzio può compensarcene. Ma sono convinto che là dove non c’è dialogo, cioè la disposizione di ognuno ad ascoltare le ragioni dell’“altro”, non ci può essere democrazia. Corriere della sera, 11 maggio 2001 Licio Gelli (FOTO ANSA)

o scandalo delle bonifiche che ha coinvolto Giuseppe Grossi e il suo amico Gianfranco Abelli, uomo forte di Roberto Formigoni in Lombardia, ha portato alla ribalta anche la moglie di Abelli, Rosanna Gariboldi, messa nei guai dal marito che l’ha fatta entrare in politica (imponendola come assessore a Pavia) e in affari (era intestato a lei il conto “Associati” a Montecarlo su cui arrivavano i soldi di Grossi). Ora Lady Abelli è finita in cella e il marito, malgrado le molte visite in carcere, non è ancora riuscito a tirarla fuori dai guai. Era andata meglio, qualche tempo fa, a Lady Giorgetti. Giancarlo Giorgetti è uno dei maggiori leader della Lega nord, per anni segretario della Lega lombarda e parlamentare del Carroccio. Sua moglie, Laura Ferrari, nel 2008 fu coinvolta in una brutta storia di corsi fantasma, finanziati con i soldi dell’Unione europea. Un furto di denaro comunitario che la Lega ha sempre denunciato e criticato, quando avviene nelle regioni del sud. Peccato che questa volta tutto sia accaduto tra Milano, Varese e Busto Arsizio. La vicenda parte nel 2006, quando viene messo in carcere Giuseppe Landucci, presidente di una onlus chiamata Forma Moda. Accusa: aver incamerato, attraverso la regione Lombardia, oltre 750 mila euro dell’Unione europea, per corsi di formazione che avevano tutto, tranne gli alunni. “Presentai in regione, per ottenere i finanziamenti, dodici progetti formativi e Laura Ferrari mi disse: te li faccio approvare io”. Così ha raccontato Landucci ai magistrati di Busto. Segue riunione alla sede del consiglio regionale, con Lady Giorgetti e il capogruppo della Lega, Davide Boni. Quest’ultimo (almeno secondo Landucci) “assicurò che avrebbe fatto approvare i corsi, di cui due dovevano svolgersi a Varese ed essere affidati a Laura Ferrari o a persone scelte da lei”. Detto, fatto: i progetti approvati sono addirittura sei. Due di questi, un corso per “operatori di campagna” a Varese e uno di equitazione per disabili ad Angera, sono tenuti personalmente dalla signora Ferrari. Eppure i corsi non avrebbero dovuto essere approvati, perché nessuno aveva un numero sufficiente di iscritti. Ma niente paura: la banda padana falsifica le liste delle iscrizioni, le firme sui moduli, i registri delle presenze... La truffa viene scoperta dai magistrati di Busto Arsizio, che mettono in carcere Landucci e chiedono l’arresto anche per Lady Giorgetti. La signora, per decisione del giudice per le indagini preliminari, riesce a rimanere libera. Non solo: riesce anche a uscire dalla brutta vicenda giudiziaria cavandosela con un bel patteggiamento. Ma attenzione: perché i giudici accettino il patteggiamento, è necessario che l’indagato prima restituisca il malloppo. Lady Giorgetti restituisce al volo 20 mila euro alla regione. Grazie a un vero e proprio miracolo politico e burocratico, scoperto da un cocciuto consigliere dell’Italia dei valori, Stefano Zamponi: “In una sola seduta della giunta regionale, è stato transato il danno, sentito il parere positivo dell’avvocato della regione, che si era costituita parte civile e aveva nominato il suo avvocato solo dieci delibere prima”. Tutto in una mattinata. Efficienza lombarda.

Il talento ci salverà di Ugo Arrigo

a tirato un bel sasso nello stagno tricolore Pier Luigi Celli con la lettera a Repubblica nella quale ha consigliato al figlio e ai giovani di talento di prendere seriamente in considerazione l’estero per la propria vita professionale. Come dargli torto? Che l’Italia sia un paese inceppato e declinante, privo di idee e prospettive, è sotto gli occhi di tutti. Che le élite che ne governano l’economia e la politica si siano asserragliate nella torre di controllo e perseguano esclusivamente la loro inamovibilità, alla stregua di una nomenklatura da paese dell’est prima della caduta del Muro, è un’analisi condivisa. Che l’ascensore sociale non funzioni più da tempo perché è stato boicottato dagli immeritevoli desiderosi di conservare le loro posizioni e di impedire La provocazione l’ascesa dei più bravi che potrebbero ambidi Pier Luigi Celli re a sostituirli è risaputo. Che le sedie sociali sulla fuga dei cervelli siano assegnate per eredità o appartenenè un bel sasso nello za e non per merito idem. Cosa dovrebbestagno. E allora: ro fare i giovani meriragazzi, andatevene tevoli che escono dai nostri atenei? Accettapure all’estero re di giocare partite nelle quali il banco usa ma sappiate notoriamente carte truccate? Partecipare che in Italia siete da meritevoli a compeassolutamente tizioni nelle quali l’ordine di arrivo è stabiliindispensabili to in partenza? Oppu-

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re aderire alla domanda di mediocrità dominante, fingersi stupidi e offrire mediocrità ottenendone in cambio una discreta posizione sociale? Oppure mandarci tutti a quel paese e andarsene in un altro paese? Celli ha sollevato un bel problema, le prospettive dei nostri giovani migliori alle prese con un’Italia che non li merita, ma esso è il duale di un altro, le prospettive dell’Italia. Sino a quando potrà permettersi di non valorizzare il merito, di non utilizzare i talenti, di non rendere contendibili le posizioni più elevate, di ostacolare l’accesso a molte professioni, di mantenere privi di concorrenza molti mercati, di conservare un settore pubblico elefantiaco e inefficiente e una classe politica autoreferenziale e inconsistente? Una società che non valorizza il merito è inaccettabile per ragioni di efficienza perché se non sa usare nell’interesse di tutti i talenti dei suoi cittadini migliori diviene immobile ed è destinata a perdere posizioni rispetto alle altre, a declinare. Ma è anche inaccettabile dal punto di vista dell’equità perché per poter conservare in capo a qualcuno un posto non meritato è necessario impedire a qualcun altro di contendere quel posto. L’esito così ottenuto non rappresenta tuttavia un equilibrio sociale sostenibile nel tempo e l’ordine legale che dovrebbe preservarlo tenderà a non essere riconosciuto e rispettato. C’è stato un tempo nel quale grazie all’Europa si poteva scommettere in una rinascita dell’Italia: nel 1998, dopo alcuni anni molto duri di risanamento delle nostre finanze pubbliche e di governi che avevano la salvezza del paese al primo posto dell’agenda, fummo ammessi senza meritarlo pienamente alla Moneta unica europea e grazie a quel risultato la rotta della nave Italia deviò dall’iceberg del debito pubblico sul quale sembrava destinata a infrangersi. In quel momento si poteva anche pensare che saremmo potuti divenire un normale paese europeo, ma così non fu. Ammessi forse per sbaglio

al party abbiamo iniziato a comportarci come Peter Sellers in Hollywood Party. Riammessi in famiglia come figliol prodigo siamo stati così generosamente beneficiati da poter tranquillamente riprendere i nostri precedenti bagordi. Il grande bonus è stato il dimezzamento del costo del debito pubblico, reso possibile dalla caduta degli alti tassi sul debito espresso in lire verso i bassi tassi del debito espresso in euro. Grazie a esso non abbiamo più avuto bisogno delle virtù del quinquennio 1993-98 che poterono essere rapidamente gettate alle ortiche. Da allora ci siamo barcamenati per un intero decennio: la nave Italia, pur navigando in acque non troppo agitate, non è riuscita ad approdare in alcun porto sicuro e la grave recessione del 2008-09 ci ha rimesso rapidamente sulla rotta dell’iceberg. Il rapporto debito/Pil è ritornato sopra il 115% nel 2009 dal 105,7% dell’anno scorso, nel 2010 sarà superiore al 117% e l’Ocse lo prevede al 120% nel 2011, esattamente quanto avvenne nel lontano 1993. Ma in quell’anno cadde anche la Prima Repubblica e per salvare l’Italia la politica all’italiana dovette fare diversi passi indietro e lasciare il passo a governi tecnici i quali, non dovendo soddisfare appetiti di parte per favorire la loro rielezione, poterono finalmente occuparsi, pur se per breve tempo, dell’interesse generale. Oggi siamo ritornati esattamente allo stesso punto, abbiamo lo stesso problema di allora senza più le soluzioni: né le grandi imprese pubbliche da privatizzare (già fatto), né i vantaggi dell’aderire alla moneta unica europea (già usati). Che succederà? E’ evidente che se si vorrà evitare l’iceberg bisognerà iniziare finalmente a usare tutti i talenti presenti a bordo, finora così trascurati. Stavolta si dovrà fare sul serio, non ci sarà permesso per la seconda volta di divenire virtuosi solo per finta. Ragazzi, andatevene pure all’estero ma sappiate che in Italia siete assolutamente indispensabili.


Venerdì 11 dicembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL Lettera a mio padre e alla mia Napoli Caro papà, questa abitudine alla corrispondenza mediatica tra padri e figli mi è subito piaciuta. Tu di certo pensi di essermi stato di poco aiuto nella vita. Ma ti sbagli. Il modo in cui mi hai cresciuto mi pone oggi di fronte a un dubbio pesante: andare via dall’Italia, o trovare qui la mia strada. Napoli, papà, offre poco, davvero poco, sia in termini di qualità di vita sia di opportunità; io ho bisogno di stimoli continui, sia come giovane medico 24enne sia come persona. Purtroppo andare via da Napoli significherebbe andare via da casa, da voi. Quello che ti chiedo, pà, è perché. In quanto rappresentante della tua generazione, io voglio sapere il perché siamo costretti ad andare via, perché in questo meraviglioso maledetto paese, di bellezze e orrori, di cultura e ingiustizia, di apparenza e poca sostanza, noi ragazzi non abbiamo spazio? Capite che ci manca il respiro? Di chi è la colpa, pà? Con chi devo prendermela? Ma sopra ogni cosa, come posso scegliere la cosa giusta? Quello a cui rinuncerei è un futuro nel quale vengo a trovare te e mamma ogni giorno, vi racconto la mia giornata, vi riverso addosso l’amore per i nipoti (e dei nipoti) che vorrò darvi; voglio le domeniche tutti insieme, con Enzo e Iole, Tiziana e Stefano, Mario e Cristina, la cucina di mamma e tutti gli sfottò che riservate al mio essere diverso dalla media dei miei coetanei. E il prezzo di questi miei piccoli e importanti desideri è la mediocrità della nostra stanca Italia. Gli approfittatori, gli imbroglioni, i maleducati e i raccomandati. La meritocrazia e la democrazia violentate e gettate nelle profondità della nostra immensa ignoranza di popolo, la mancanza di rispetto per le regole e per gli altri. Forse, sai pà, lo schifo in cui viviamo potrebbe diventare un motivo per restare: per regalare a voi, e ai miei nipoti, ai miei figli e ai più deboli, che non hanno voce nel frastuono degli ignobili che ci governano, una speranza che qualcosa cambierà, che con l’impegno di tutti quelli che hanno abbastanza forza e volontà questo paese di merda possa risollevare la testa per guardare in viso i suoi figli più indifesi. Forse, papà, sarà questa la chiave di volta della mia scelta. O forse non vedremo insieme lo stesso mondo che sarà. Ti voglio bene. Riccardo Muscariello

La dura vita dei frontalieri Buongiorno, mi chiamo Elisabetta e sono una lavoratrice frontaliera. Da quasi 20 anni tutti i giorni mi alzo alle 5,30 e vado al lavoro presso una grande azienda d’abbigliamento maschile del Canton Ticino. Da poco meno di un mese i frontalieri come me sono nell’occhio del ciclone a causa della

BOX A DOMANDA RISPONDO LA GRECIA E LA POLITICA DEBOLE

Furio Colombo

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aro Colombo, ti prego di rispondermi in modo netto e diretto. Quello che sta succedendo adesso ad Atene, e in molte altre città, cioè la rivolta di strada che prende il posto della politica, può succedere solo in Grecia? Gianni

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CIÒ CHE sta accadendo ormai da un anno in Grecia lancia a tutta l’Europa un avvertimento. Spero che sarà colto subito e sarà preso sul serio. L’avvertimento è questo. Quando la politica diventa troppo debole, i partiti appaiono incapaci o inutili e coloro che dovrebbero essere i leader sono senza volto, si crea un enorme vuoto. Così sono nati i fascismi, e anche i finti eroi “di sinistra” come Chávez. Ma questa è l’epoca della Rete. Il suo bello è la capacità di mobilitarsi da sola, come è accaduto a Teheran contro Ahmadinejad, e, a Roma, contro Berlusconi. Il lato oscuro è la capacità di agganciare e diffondere sentimenti altrettanto tenaci ma distruttivi, una lunga miccia accesa che si dirama in tante direzioni scatenando violenza, portando morte. C’è sempre un episodio tragico scatenante, come l’uccisione del quindicenne Alexandros da parte della polizia di Atene, ma non sempre porta la disgregazione anarchica che sta

attraversando la Grecia. Gli Usa degli anni Sessanta sono arrivati fino al limite della guerra civile. Chiese nere piene di bambini fatte saltare in aria, governatori che hanno tentato di impedire l’apertura delle scuole integrate, disobbedendo alle sentenze dei tribunali, studenti bianchi ( i Weathermen) e neri (Black Panthers, Black Power) pronti alla lotta armata, l’uccisione di John Kennedy, di Malcolm X, Martin Luther King, di Robert Kennedy, le rivolte sanguinose nei ghetti. Quel mondo ha tenuto perché tutti coloro che avevano responsabilità pubblica e politica non hanno ceduto, non gli intellettuali, da Norman Mailer ad Allen Ginzberg, non i docenti e presidenti delle grandi università, non i grandi dello spettacolo (soprattutto Bob Dylan, Joan Baez) , non i grandi di Hollywood, da Harry Belafonte a Sidney Poitier, da Sidney Lumet a Leonard Bernstein. I partiti erano deboli, i presidenti del livello di Nixon o Ford. Ma il paese non si è arreso. La Grecia invece è lo spettacolo tremendo del vuoto, dell’abbandono. In piazza c’è solo violenza. La conclusione è semplice e drammatica. O l’America, salvata dai suoi cittadini, dai suoi giovani, dai suoi artisti, da suoi cervelli. O la Grecia. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

mano evasori e la cosa inizia a farci girare le balle a tutti! Siamo 55.000 e nessuno parla di noi!

IL FATTO di ieri11 Dicembre 1960 Ad Algeri, la domenica di sangue comincia all’alba. La “guerre meurtrière” ha già fatto 300.000 morti quando, dopo sei anni di repressioni feroci, arresti, torture, l’11 dicembre del 1960, l’anno della Semaine Barricadière anti De Gaulle e del fallito tentativo dell’Eliseo di una pace separata, scoppia la rabbia del popolo algerino. Intonando il canto dei maquis e al grido di “Algérie musulmane”, migliaia di uomini, donne, vecchi e ragazzini escono dalla Casbah sventolando la bandiera bianca e verde del FLN. In poche ore invadono le strade di Algeri, da la Rue de Lyon al quartiere di Belcourt, rivendicano la natura popolare della lotta per l’indipendenza, gridano la loro collera contro i rastrellamenti e gli atti di violenza dei pieds noirs nei villaggi. Una marea umana contro la quale gli uomini dell’Armée in assetto da guerra, non esitano ad aprire il fuoco. Nella storia della lotta del popolo algerino quell’insurrezione spontanea, soffocata nel sangue e destinata a scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale, segnerà un punto di svolta oltre che un duro colpo alla strategia politica e militare francese. “Un formidabile detonatore”, come la definirà Sartre in Temps Modernes. Giovanna Gabrielli

legge sullo scudo fiscale. Dobbiamo presentare (in tempi brevissimi ) il modulo unico RW (cosa di cui in passato si ignorava l’esistenza, a noi frontalieri non è mai stato richiesto di compilare la dichiarazione) in cui dichiarare il saldo fiscale e gli interessi del nostro conto stipendio. In più dovremo presentare il nostro tfr aggiornato al 2008 in cui sono dichiarati gli interessi maturati. Bisogna dire che le banche, ai frontalieri, non danno interessi da nababbi e

non abbiamo nemmeno lo stesso trattamento economico svizzero. Gli italiani sono pagati di meno, le donne sono pagate meno degli uomini a parità di lavoro, se ci licenziano non possiamo ritirare il tfr, che rimane in Svizzera fino all’età della pensione, i giorni di ferie non sono come in Italia, la maternità è di soli 3 mesi. Insomma lavorare è molto più duro. Qui è mobbing: i lavoratori italiani sono i primi a perdere il posto di lavoro se accade qualcosa e in più ci chia-

entro il quinto mese. La quota sostenitore va pagata invece in unica soluzione. • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo170,00 € • Modalità Coupon * Prezzo 320,00 € - annuale Prezzo 180,00 € - semestrale • Abbonamento PDF annuale Prezzo130,00€ Per prenotare il tuo abbonamento, compila il modulo sul sito www.antefatto.it.

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Betty

La soluzione al cubo di Rubik Parlando con un mio amico ho scoperto che, nonostante usi facebook e legga i giornali, non è a conoscenza del No B. Day. Cosa ancora più sconcertante, quando gli ho chiesto cosa pensasse delle relazioni tra B. e la mafia mi ha detto che non gli interessava e che anzi l’avrebbe anche rivotato se ci fosse stata occasione. Sono un po’ depresso, ma come è possibile? Non c’è proprio soluzione a questo “cubo di Rubik” italiano?? Emanuele da Perugia

Le rivelazioni di Bruno Vespa Ammettiamolo, l’altra sera, la coppia Vespa-Dell’Utri ha rivoluzionato il nostro concetto di giustizia. Di colpo, ci ha fatto capire che stiamo sprecando fiumi di soldi per tenere in piedi un sistema giudiziario inutile. Perché mantenere magistrati, giudici, Palazzi di giustizia? Basta andare dall’imputato e chiedergli “ma lei cos’ha fatto?”. E lui ti spiega tutto. Se dice di essere innocente, si presenta con un bel completo e sa ben argomentare, allora è innocente, altrimenti, se ammette la colpevolezza o parla con un accento straniero, è colpevole e lo sbat-

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L’abbonato del giorno MARIA GRAZIA CARAPELLOTTI “Sono una mamma di 39 anni, mi ritengo un’onesta lavoratrice che paga le giuste tasse. Amo la democrazia e la Costituzione italiana, la cui lettura integrale mi commosse a 18 anni. Non transigo sui valori morali dell’uomo, che nessuno può calpestare. Mi faccio domande e voglio sapere la verità riguardo le cose che ci succedono intorno. La gente si sta svegliando e ha fame di fatti, di verità e conoscenza”! Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

tiamo in galera. Siamo pionieri per una volta: esportiamo Vespa all’estero! Mandiamolo in Francia, Germania e Inghilterra a spiegargli che stanno sbagliando tutto. Grazie Vespa per aver ristabilito il primato italiano!

sale soprattutto dopo aver ascoltato le dichiarazioni di Genchi. Se tutto questo è vero , e faccio fatica a credere il contrario, siamo proprio alla frutta; questo paese è andato, la democrazia è fritta i cittadini allo sbando. Non so chi potrà mettere ordine a questa disfatta governativa in cui tutti urlano ragioni inesistenti o inconsistenti. Non sapendo cosa fare, a parte vivere correttamente, la preoccupazione maggiore va verso i giovani, chi come me ha figli adolescenti, è preoccupato per il loro futuro non avendo garanzie che tra 10 anni l’Italia sarà un paese normale con una classe politica normale che possa gestire normalmente questo paese senza farci vergognare. La soluzione a cui si comincia a pensare è emigrare. La ruota gira come i nostri nonni sono andati in cerca di fortuna noi andremo in cerca di democrazia. Franca Fabbri

Il viola è il mio colore Un grazie di cuore sia alla redazione del Fatto Quotidiano sia a tutti quei ragazzi che hanno organizzato il No B. Day perché mi avete ridato la speranza per questa nostra amata patria. D’ora in avanti il mio colore preferito sarà il viola. Grazie ancora e continuiamo a batterci per il nostro futuro e per i nostri figli. Leomarg Seravezza

Giulio Giovannini

Il Paese descritto da Genchi Dire che sono turbata è poco c’è un’inquietudine che mi as-

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Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centro stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: poster@poster-pr.it Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599


Amore coniugale, amore paterno e filiale, amicizia e coraggio. Welcome è un colpo ben assestato alle leggi contro gli immigrati e contro l’accoglienza (SILVANA SILVESTRI - IL MANIFESTO) Bello, commovente e carico di verità. Ma anche e soprattutto un caso politico che dimostra come a volte anche il cinema possa aiutare a cambiare il mondo (GABRIELLA GALLOZZI - L’UNITÀ) I due protagonisti sono meravigliosi: l’esordiente Firat Ayverdi, curdo di strepitosa bellezza, e Vincent Lindon, con quegli occhi allargati dalla tristezza e quella specie di amore paterno che lo trasforma quasi in un eroe (NATALIA ASPESI - LA REPUBBLICA)

Una grande storia di volontà, amicizia, paternità, amore, consapevolezza. Con questi ingredienti e con l’interpretazione di un Vincent Lindon in stato di grazia, candidato a tutti i possibili premi, Welcome ha sbancato i botteghini (GLORIA SATTA - IL MESSAGGERO) Welcome è una bordata contro il moralismo benpensante dell’Occidente. Diretto magnificamente, scritto ancora meglio, interpretato alla perfezione, è impossibile rimanere indifferenti a questo capolavoro (BORIS SOLLAZZO - IL SOLE24ORE) Film straordinario tanto è coeso, fluido, emotivamente coinvolgente. Vicende eccezionali e personaggi insoliti. Lioret non filma: dà vita alle inquadrature (MORANDO MORANDINI - IL MORANDINI)

IL FILM CHE HA APPASSIONATO MILIONI DI SPETTATORI IN TUTTO IL MONDO VIERI RAZZINI PRESENTA

VINCENT LINDON

FIRAT AYVERDI

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UN FILM DI PHILIPPE LIORET FESTIVAL DI BERLINO 2009

PREMIO LUX DEL PARLAMENTO EUROPEO

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MIGLIOR FILM 2009

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