Il Fatto Quotidiano (5 Gen 2010)

Page 1

L’inflazione non è mai stata così bassa da 50 anni. Quelli erano gli anni del boom. Oggi c’è solo crisi

y(7HC0D7*KSTKKQ( +"!z!#!"!\

www.ilfattoquotidiano.it

LE PROPOSTE PER CAMBIARE LA POLITICA DEL PAESE

FINALMENTE ALLO SCOPERTO LA VITA DI UNO DEGLI UOMINI PIU’ POTENTI D’ITALIA

EDITORI RIUNITI

EDITORI RIUNITI € 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Martedì 5 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 3 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

NOVANTANOVE MOSSE CONTRO LA COSTITUZIONE D

I fatti separati da Pigi

di Marco Travaglio

Così la destra cerca di stravolgere la Carta

Manifesti elettorali

AL VIA LA CAMPAGNA DELL’AMORE Il Pdl di un comune in provincia di Milano, Basiglio, lancia per primo la campagna con in primo piano il viso di Silvio Berlusconi dopo l’aggressione di Tartaglia. L’immagine è stata concessa dal blog di San Precario

Valanga di proposte di legge nelle Commissioni parlamentari: dal “governo senza fiducia” alla stretta sui magistrati E in arrivo c’è un Lodo B. Zanca e Nicoli pag. 2 e 3 z

Udi Bruno Tinti

Udi Lorenza Carlassare

NAPOLITANO PARLI CHIARO

LA BUSSOLA DEI PADRI COSTITUENTI

ha già notato Marco Trae elezioni del 2 giugno 1946 L’2/1):vaglio (Il Fatto Quotidiano, L ebbero come risultato il presidente della Re- l’emergere in Assemblea costipubblica ha auspicato, nel suo discorso di Capodanno, un dialogo senza pregiudiziali per le riforme condivise. pag. 3 z

tuente di due gruppi praticamente equivalenti, la Dc da un lato e i partiti della sinistra dall’altro; assai distaccate, alcune formazioni minori. pag. 2 z

PUGLIA x Nel Pd confusione alle stelle

VENDOLA, EMILIANO E ORA BOCCIA MA FORSE NON È ANCORA FINITA L’ultima dei Dem: il nuovo anti-Nichi è il suo sfidante (perdente) alle primarie 2004 di Carlo Tecce e Luca Telese

riunione d’emergenza del UconPdnail persegretario le regionali della Puglia, Bersani all’estero, si conclude con la designazione di Francesco Boccia per un “mandato esplorativo” di 48 ore in cerca di alleanze. pag. 6 z

CORRIERE x Le due versioni

YEMEN x Venti di guerra

Viva Craxi, la virata improvvisa di via Solferino

Se Obama è costretto a seguire l’esempio di Bush

su iPhone e iPod touch

Garzantina Universale l’enciclopedia più venduta in Italia prezzo speciale di lancio 9,99 € fino al 31 gennaio 2010

Bonazzi pag. 4 z

La sede del “Corriere della Sera” a via Solferino. A destra, Bin Laden (FOTO ANSA)

nreferendum Tutti i migliori e i peggiori del 2009. Per votare: www.ilfatto quotidiano.it Allegrini pag. 15z

nogni maledetta domenica Fausto Coppi, lo stile e la memoria Beha pag. 15z

CATTIVERIE Nonostante le polemiche la Moratti non si ferma: avrebbe proposto di intitolare un dosso ad Andreotti. www.spinoza.it

di Giampiero

Gramaglia

li episodi di terrorismo Gsale.s’inanellano, la paura A meno di un anno dal primo anniversario alla Casa Bianca, Barack Obama, il presidente nero degli Stati Uniti, si ritrova alla casella di partenza: a fare i conti con la guerra al terrorismo e con le conseguenze delle inefficienze mai sanate dei suoi predecessori. pag. 12 z

opo la brillante intervista di un’intera pagina a Checco Zalone, anziché concentrarsi sul filone demenziale che fa proprio il caso suo, Pigi Battista è tornato ad avventurarsi sul terreno impervio della politica e della giustizia: per informare i lettori del Pompiere della Sera che Craxi “è stato un grande del socialismo europeo”, “bandiera del riformismo”, campione della “sinistra liberale e libertaria” nonché della “nuova modernità soffocata dal dirigismo statalista” (dev’essere per questo che gestiva le Partecipazioni statali come il cortile di casa e si oppose a tutte le privatizzazioni, dalla Sme in giù). Ma la notizia più sensazionale è che – scrive Battista – Craxi “fu l’unico leader politico condannato perché non poteva non sapere”. Naturalmente non è vero niente. Anche perché fu lo stesso Craxi a dire alla Camera, il 3 luglio 1992, che sapeva: “Buona parte del finanziamento pubblico è irregolare o illegale” (ma non spiegò perché non l’aveva mai denunciato e si guardò bene dal mettersi a disposizione della magistratura). Chissà dov’era quel giorno Battista. Craxi poi fece di più: al processo Cusani ammise la sua complicità nella maxitangente Enimont, come del resto gli altri segretari di partito coinvolti. Tranne Forlani, che però non fu creduto dai giudici e venne condannato per finanziamento illecito come i colleghi rei confessi Craxi, La Malfa e Bossi. Era il 17 dicembre 1993 quando Bettino rispose alle domande di Di Pietro: “Sia il gruppo Ferruzzi, sia la Montedison hanno versato contributi all’amministrazione del partito: da quando non saprei, ma certamente da molti anni e fino alle elezioni del 1992. Ero al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito. L’ho cominciato a capire da quando portavo i pantaloni alla zuava!”. Chissà dov’era, quel giorno, Battista. Il 7 febbraio 1993 l’architetto Silvano Larini si consegna al pool di Milano dopo mesi di latitanza, finisce a San Vittore e riempie verbali su verbali sul suo ruolo di pony express delle tangenti sugli appalti della Metropolitana milanese: “Ho raccolto 7-8 miliardi di tangenti sulla Metropolitana e in buona parte sono finiti personalmente a Craxi. Portavo i soldi al quarto piano di piazza Duomo 19. Ero io a confezionare il pacchetto, utilizzando buste marroncine. A volte le posavo sul tavolo della segretaria, a volte le lasciavo sul tavolo della camera di riposo di Bettino… Fu lo stesso Craxi a confermarmi l’incarico di provvedere a raccogliere il denaro proveniente dalla Mm… Tutto ciò che prendevo lo portavo sempre nell’ufficio dell’onorevole Craxi e non trattenevo nulla per me. Era un servizio che io rendevo a Craxi per amicizia e per comune militanza politica”. Di qui la condanna a 4 anni e mezzo più 5 miliardi di lire di risarcimento. Altro che “non poteva non sapere”: Craxi non solo sapeva, ma intascava personalmente quei miliardi che Larini depositava sul suo letto e che poi finivano sui conti svizzeri di Bettino. Il 31 dicembre l’ha ricordato anche il Corriere, in un articolo di Luigi Ferrarella. Chissà dov’era, quel giorno, Battista. Forse non legge nemmeno il giornale su cui scrive. Anche perché, se lo leggesse, non potrebbe scrivere certe corbellerie. E’ la sua personale versione del principio “i fatti separati dalle opinioni”: non legge i fatti per non disturbare le sue opinioni. Ps. In una memorabile lettera alla Stampa, Stefania Craxi, donna nota per il suo equilibrio, schiuma di rabbia per un eccellente articolo di Michele Brambilla sulla Milano da bere e lo attribuisce a un complotto della Fiat che “non gradisce la forte eredità craxiana che c’è nel Popolo della libertà”. Che ingrata: dimentica che l’allora presidente della Fiat Cesare Romiti fu condannato per una tangente di 5 miliardi a Craxi. Ma papà non le diceva proprio niente? Davvero la Craxina, alla sua veneranda età, pensa ancora che le mazzette le portasse la cicogna?


pagina 2

Martedì 5 gennaio 2010

Da sinistra, la bozza Violante: a Camere differenziate

N

ASSALTO FRONTALE

ella cosiddetta “Bozza Violante” c’è la fine del bicameralismo perfetto. La Camera Alta viene trasformata in Senato Federale, una “camera delle regioni”. E il numero dei parlamentari viene ridotto: i deputati passano da 630 a 512 (500 eletti in Italia e 12 nella circoscrizione Estero), mentre i senatori da 315 diventano 250.

La funzione legislativa sarebbe, secondo la bozza, esercitata da entrambe le Camere insieme (com’è adesso) solo nel caso venissero trattate leggi costituzionali ed elettorali, o in materia di organi di governo ed Enti locali, funzioni dello Stato, informazione ed emittenza radio-tv, ratifiche di trattati, amnistia e indulto. In tutti gli altri casi soltanto la Camera che

manterrebbe la funzione legislativa. I poteri del premier, invece, aumenterebbero. Al presidente del Consiglio viene riconosciuta la funzione di nominare e revocare i ministri. Mentre la fiducia al governo la dà solo la Camera dei deputati, ed è prevista la mozione di sfiducia firmata da almeno un terzo dei componenti, da approvare a maggioranza assoluta.

CARTA STRACCIA

na legge fatta molti anni fa, sotto l’influenza della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello”. Che a Berlusconi la Carta andasse stretta, non è una novità. Da 15 anni va ripetendo che è “vecchia”, “filosovietica”, che va cambiata, costi quel che costi. Nessuno si era illuso fossero solo minacce, ma scavando nei lavori delle commissioni parlamentari, stupisce scoprire che in 20 mesi, a demolirla ci hanno già provato 99 volte. I processi del premier incombono e la Costituzione è troppo democratica per andargli a genio. Così, prende vita quel lavoro di sottobosco, affidato alle seconde file che non danno nell’occhio. Per sfasciare la Carta, per cucirsela addosso, non serve lavorare d’accetta. Si può anche cominciare con la lima. Piccole ma essenziali innovazioni La definizione è del deputato leghista Giacomo Stucchi. Lui pensa all’autonomia della provincia di Bergamo. Qualcun’altro si spinge più in là. Il senatore Pdl Lucio Malan vorreb-

“U

be revisionare “l’ordinamento della Repubblica sulla base del principio della divisione dei poteri”. Anticipando di un anno il ministro Brunetta, nel novembre del 2008 Malan proponeva di modificare l’articolo 1 e trasformarci in una Repubblica “fondata sui princìpi di libertà e responsabilità, sul lavoro e sulla civiltà dei cittadini che la formano”. Una Repubblica, così la sogna Malan, dove i senatori a vita non votano, il presidente del Consiglio non presta giuramento, il governo non ha bisogno della fiducia. Funziona così: con la stessa leggerezza, i parlamentari della maggioranza discutono dell’istituzione della “regione Romagna” così come della “Corte di giustizia disciplinare della magistratura”. “Cambiamo la Costituzione” è un gioco in cui le squadre hanno ruoli definiti. I leghisti si esercitano nel taglia e cuci geografico: statuti speciali, autonomie, distacchi e aggregazioni. Qualcuno osa di più. Istruzione, cittadinanza, Europa Davide Caparini si impegna a sopprimere cinque parole dell’articolo 33 secondo cui la scuola privata vive “senza oneri per lo Stato”. Andrea Gibelli fre-

LA LEGGE

LA DOPPIA APPROVAZIONE DELLE MODIFICHE

L

a procedura di revisione costituzionale è regolamentata dall’articolo 138 della Carta stessa: dice che ogni modifica va votata da ogni ramo del Parlamento per due volte, lasciando passare almeno tre mesi tra un voto e l’altro. Per l’approvazione basta la maggioranza assoluta, ma in questo caso la modifica costituzionale può essere sottoposta a referendum. Se invece è stata approvata da due terzi dei parlamentari, diventa legge. All’esame delle commissioni ci sono due proposte di riforma anche dell’articolo 138.

un lato e i partiti della sinistra (socialisti e comunisti) dall’altro; assai distaccate, alcune formazioni minori. L’elemento tutte comune a tutte, dopo l’esperienza vissuta, era l’antifascismo. La Costituzione del 1948 ha la sua premessa nella resistenza, nel ripudio dello stato autoritario e dei suoi dogmi, nella volontà di ripristinare la democrazia e i principi dello Stato di diritto. Ciò spiega la forza delle idee liberali, ben superiore alla forza numerica del gruppo. Sulla base dell’idea liberale che vuole il potere regolato e sottoposto a limiti giuridici per garantire diritti e libertà, storicamente congiunto all’idea democratica, s’innestano alcuni elementi propri delle dottrine delle due forze dominanti, cristiano sociale e socialista. Ma il conto delle forze in campo e il loro confronto numerico, certamente assai rilevante, vale fino a

ha già notato Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 2/1): il presidente della Repubblica ha auspicato, nel suo discorso di Capodanno, un dialogo senza pregiudiziali per le riforme condivise. Come al solito, il “veniamo ai fatti” non fa parte del lessico presidenziale: sicché quali siano le “riforme condivise” intorno alle quali Napolitano auspica un “confronto costruttivo” è rimasto nel vago. Quindi provo a mettere in fila quelle che B&C da tempo hanno detto essere necessarie; intorno alle quali, ahimè, pare davvero essersi formato un “confronto costruttivo”, nel senso che l’opposizione (?) non ha manifestato preoccupazioni soverchie. Cominciamo dall’ultima, il lodo Alfano costituzionale. Perché una legge costituzionale?: perché le leggi ordinarie per l’impunità di B, il lodo Schifani prima e il lodo Alfano dopo, sono state dichiarate incostituzionali e dunque l’ultima chance, secondo il think tank giuridico di B&C, è trasportare nella Costituzione ciò che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale. Insomma, il ragionamento è il seguente: se diciamo con legge ordinaria che le quattro alte cariche (in realtà tre non hanno problemi) non possono essere processate violiamo l’art. 3 della Costituzione; ma se lo diciamo

S

arà che da un po’ frequento l’Europa, ma questo Paese sta perdendo l’umorismo. Il mio era un pezzo scritto su un blog e va letto per quello che è. Così Luigi De Magistris, eurodeputato dell'Idv, è intervenuto a Radio 24 per commentare il suo Lodo lanciato qualche giorno fa (“Berlusconi vada in esilio alle Cayman in cambio dell'impunità giudiziaria”): “Sono convinto che Berlusconi vada

me per “costituzionalizzare il principio dello ‘ius sanguinis’”: italiani si nasce. Roberto Cota, quando nemmeno immaginava di diventare il candidato Pdl in Piemonte, provava a mettere paletti all’articolo 11 per dire che sì, l’Italia è nell’Ue, ma fino a un certo punto. Giustizia e Parlamento Il Pdl giocare in difesa. Come al solito, soprattutto di uno. Il deputato Edmondo Cirielli non dev’essere soddisfatto dall’aver indissolubilmente legato il suo nome alla prescrizione breve, visto che in questa legislatura ha proposto due leggi sempre in materia di giustizia. In una evidenzia “i limiti della finalità rieducativa” per chi deve scontare una pena, nell’altra si preoccupa di “tutelare le vittime di reati”: lo Stato protegge chi ha subìto dei danni, peccato Cirielli non

spenda una parola sui casi in cui la vittima è lo Stato stesso. Entrambe le proposte giacciono nella commissione Affari costituzionali della Camera. Assegnate ma ferme, così come almeno 4 disegni di legge per il ripristino dell’immunità parlamentare. Si lavora anche su come semplificare il procedimento legislativo. Giorgio Jannone, per conto del Pdl, vorrebbe modificare l’articolo 72 e fare in modo che “non sempre l’Assemblea sia chiamata a votare i progetti di legge approvandoli articolo per articolo e con votazione finale”. Raffaello Vignali non disdegna l’ipotesi di modificare pure gli effetti delle sentenze della Corte costituzionale. La proposta è stata presentata il 10 dicembre scorso, a Lodo Alfano ancora caldo. Sulla parte che riguarda la magistratura ov-

viamente c’è da sbizzarrirsi. Giuseppe Valentino propone una Corte di giustizia disciplinare, Antonino Caruso un’Alta Corte di Giustizia, Gaetano Pecorella, oltre a fare l’avvocato del premier, si occupa di pm e procure. Tasse e diritti civili A Carmelo Briguglio tocca aggiungere una postilla all’articolo 47: l’imposizione fiscale deve avere un limite massimo. Giusto per scongiurare la fuga in Svizzera dei soliti operai e pensionati. Infine, un occhio oltre Tevere. Benedetto Francesco Fucci, dopo la morte di Eluana, ha chiesto la messa per iscritto dell’inviolabilità del diritto alla vita. Per l’infaticabile Malan, invece, un’altra impresa. Aggiungere all’articolo 29, cheparla di matrimonio, una precisazione: “Tra un uomo e una donna”.

Qui sopra: la Costituzione stracciata, vista da Marilena Nardi Nella pagina accanto, foto in basso: il ministro della Giustizia Angelino Alfano

Non solo Brunetta sull’articolo 1: i primi venti mesi di legislatura e i lavori delle commissioni

un certo punto; le idee circolavano, in Italia e fuori. La Costituzione va collocata in uno scenario più ampio, addirittura mondiale, traversato da idee e speranze comuni maturate attraverso esperienze tragiche che non si volevano ripetere, aperto o orizzonti diversi e nuovi. Proiettandola in uno scenario meno angusto, meglio si comprendono le forti convergenze e i tra i Costituenti e il loro perché. È giusto, ma riduttivo, vedere nella Costituzione solo il prodotto dell’antifascismo, il rigetto della dittatura come esperienza italiana. La lotta antifascista si iscrive nell’ampio scenario di una guerra mondiale condotta e vinta contro tutti i ‘fascismi’ dominato dall’intento di costruire un mondo diverso e migliore, che potesse ridare dignità alla persona. Il valore della persona era nella cultura comune dei Costituenti, decisi nell’affermarne i diritti non solo come garanzia di una sfera intoccabile di libertà e di partecipazione politica, ma anche come tutela effettiva dei diritti stessi attraverso l’assicurazione di condizioni esistenziali dignitose. Riecheggia nel testo della Carta italiana il pensiero

espresse al di là dell’oceano nel pieno della seconda guerra mondiale (1941) da Franklin Delano Roosvelt, presidente degli Stati Uniti, nella famosa proclamazione delle quattro libertà, dove a quelle tradizionali - libertà di pensiero e di espressione , di religione - si affiancava la libertà dalla paura e la libertà dal bisogno. Non stupisce dunque che nella Costituente subito si parlasse di dignità della persona e di diritti sociali. Le idee girano. Tanto è vero che alcuni dei più significativi articoli della Costituzione, ad esempio l’art.3, comma 2, riprendono affermazioni di persone, elette poi alla Costituente, neppure appartenenti alle formazioni politiche maggiori. Penso a Piero Calamandrei del Gruppo autonomista, una piccola formazione che si ispirava al pensiero di Carlo Rosselli, che considerava il problema della libertà individuale e il problema della giustizia sociale “un problema solo”: non basta assicurare al cittadino “teoricamente le libertà politiche, ma bisogna metterlo in condizione di potersene praticamente servire”. Di libertà politica “potrà parlarsi solo in un ordinamento in cui

essa sia accompagnata per tutti dalla garanzia di quel minimo benessere economico”, senza il quale la possibilità di esercitare i diritti viene meno. I tradizionali diritti vanno dunque riempiti di “sostanza economica”, integrati da quel minimo di giustizia sociale, la cui mancanza “equivale per l’indigente alla loro soppressione giuridica”. Ai diritti sociali “corrisponde l’obbligo dello Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono alla libera espansione morale e politica della persona umana” . In termini analoghi si esprimevano Mortati e La Pira, cattolici entrambi. Si può parlare dunque di una cultura comune dei Costituenti, decisi nell’affermazione dei diritti della persona non solo come garanzia di una sfera intoccabile di libertà e di partecipazione politica, ma anche come tutela effettiva di quelli stessi diritti, attraverso l’assicurazione di condizioni esistenziali dignitose. Fin dal primo articolo si parla del “lavoro”, base della democrazia, condizione prima della dignità umana. Eliminare questo riferimento, è già rovesciare il senso dell’intera Carta.

sconfitto politicamente - ha aggiunto De Magistris -. Volevo anche smitizzare il lodo”. Poi però l’ex pm ha attaccato duramente il premier: “Se vogliamo pensare che l’Italia è caduta nel basso impero e quindi c’è un sultano che sta stravolgendo la democrazia, allora l’esilio potrebbe essere una conseguenza, ma si può anche intendere come una scelta addirittura vantaggiosa per Berlusconi. Perché rispetto agli altri

cittadini che si fanno fare i processi, lui fa leggi per non subire conseguenze giuridiche. Io ho molto rispetto di chi ha votato Berlusconi - ha aggiunto De Magistris -. Però chiediamoci questo consenso come è stato formato. Io sfido un Paese ad avere un’informazione libera, pluralista e indipendente e non controllata come è in parte da Berlusconi e poi vediamo se Berlusconi ha o meno lo stesso consenso”.

Il pacco ad personam delle “riforme condivise” UNICO REGALO: GARANTIRE L’IMPUNI TÀ IL QUIRINALE ADESSO PARLI CHIARO con legge costituzionale il problema si annulla perché la Costituzione non può violare se stessa. Naturalmente non è così: anche le leggi di revisione costituzionale soggiacciono al giudizio di costituzionalità. In altri termini, non è che nella Costituzione si può inserire quello che si vuole: per esempio, purtroppo per Brunetta, non vi si potrebbe inserire una norma che dica: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sulla rendita finanziaria”; perché sarebbe in contrasto con il principio fondamentale previsto dall’art. 1, quello che dice: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Perciò una norma del genere, anche se prevista con una legge di revisione costituzionale, sa-

LA CAMPAGNA DEL GIORNALE

LA LIBERTÀ E I DIRITTI DELLA PERSONA: LA BUSSOLA DEI PADRI COSTITUENTI e elezioni del 2 giugno 1946 ebbero come risultato l’emergere in Assemblea Costituente di due gruppi Lpraticamente equivalenti, la Democrazia Cristiana da

Una provocazione”

L’

I VALORI FONDAMENTALI

di Lorenza Carlassare

“Silvio alle Cayman?

di Bruno Tinti

La Costituzione nel mirino. Dal “governo senza fiducia” allo scacco ai pm: le 99 proposte indecenti della destra di Paola Zanca

De Magistris:

ASSALTO FRONTALE

Feltri punta Fini La Russa lo fulmina

A

nno nuovo, bersaglio vecchio: il “Giornale” ancora contro Fini, stavolta addirittura “come Di Pietro”. Feltri sciorina un uno-due su patrimonio immobiliare di An e rimborsi elettorali, un frontale. Su cui però è guerriglia. Farefuturo, la fondazione del presidente della Camera: “Feltri si è autoproclamato unico depositario delle idee degli elettori del centro destra. Può farlo (...) grazie anche al fatto che lo stesso quotidiano appartiene, casualmente, alla famiglia del leader del centrodestra”. Poi La Russa, che scrive al “Giornale” per dire che quelle accuse sono “nella migliore delle ipotesi un colossale abbaglio, nella peggiore sono invece un calunnioso tentativo di addebitare a Fini comportamenti scorretti”, premurandosi però di leggere la lettera anche a “Matteoli, Alemanno, Gasparri, Bocchino e Ronchi”. Pare un movimento di truppe. Ma nel Pdl - ovviamente - a parole tutto bene.

Lodi “riveduti e corretti”, dialoghi ambigui: ma il nostro testo fondamentale non può violare se stesso rebbe essa stessa incostituzionale. Così, anche un lodo Alfano costituzionalizzato sarebbe sempre incostituzionale perché in contrasto con l’art. 3, quello che dice “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”. E quindi l’impunità di B&C, che sia prevista da legge ordinaria o da legge costituzionale, sempre incostituzionale rimane. Allora la domanda al presidente della Repubblica è: non c’è dubbio che trattasi di “riforma condivisa” sulla quale si è aperto un “confronto costruttivo” – Bersani, Letta, Vietti, per non citare che alcuni dell’opposizione (?) – : ma è una riforma auspicabile? E passiamo alle altre “riforme condivise” sulle quali si è sviluppato un “confronto costruttivo”. Non c’è dubbio che la separazione delle carriere tra pm e giudici veda l’intero Parlamento (con l’eccezione della Idv) completamente d’accordo. Su questo ho scritto tanto (Il Fatto Quotidiano del 27/10, 3/11, 11/11): si tratta di una riforma che non ha nulla a che fare con l’efficienza e la rapidità del processo penale; che non ha altro scopo se non quello di permettere al governo di controllare l’attività delle procure e di impedire le indagini (e quindi i processi) per i delitti commessi dalla classe dirigente

Il premier Berlusconi

del Paese; e anche di mettere le mani su un terribile strumento di persecuzione giudiziaria nei confronti degli avversari politici; che pregiudica la tutela delle persone non in grado di pagarsi una costosa assistenza legale. Sfortunatamente questo tipo di revisione costituzionale non sarebbe in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; e dunque se fosse realizzata dovremmo tenercela, come è avvenuto per quell’obbrobrio che è l’articolo 111 della Costituzione, quello che ha reso immodificabile il processo penale nella sua forma più inefficiente, irrazionale, lenta e favorevole ad ogni tipo di delinquenza. Della serie, state attenti a quello che desiderate, potreste ottenerlo. Ma di nuovo dobbiamo chiedere al Presidente della Repubblica: trattasi di una “riforma condivisa” sulla quale il “confronto costruttivo” è già assicurato da tutti i partiti (non l’IdV); ma è auspicabile? E che dire dell’immunità parla-

mentare? Non vi è dubbio che l’articolo 68 della Costituzione potrebbe essere riscritto (ne ho parlato ne Il Fatto Quotidiano del 20/11) reintroducendo l’immunità che salvò Craxi, ultimo di una serie di ladri, corrotti, corruttori, falsificatori di bilanci, peculatori, diffamatori, calunniatori, concorrenti esterni e interni ad associazione mafiosa, favoreggiatori, falsi testimoni o istigatori alla falsa testimonianza che il Parlamento ha salvato nel corso degli anni con le motivazioni più impudenti e arroganti. Potrebbe certo, e legittimamente; e si tratta di una “riforma condivisa” su cui il “confronto costruttivo” è aperto, altro che se è aperto. Ed è una riforma che può essere auspicata? E la riforma dell’intero ordinamento della Repubblica? Perché dobbiamo ricordarcene delle esternazioni di B: “Così non si può andare avanti, non si possono fare leggi con questa lentezza; non si può aspettare l’esame del Parlamento, avanti e indietro, ogni modifica un nuovo esame delle due Camere; e poi la firma del capo dello Stato. Che può anche dire di no!” Nessuno se ne ricorda? Che ne sarà del nostro Paese con un Parlamento ridotto ad una sola Camera (che farà il Senato delle Regioni è abbastanza oscuro); e comunque entrambe al servizio del Governo, semplici notai di quanto deciso in quella sede. Ho detto dal Governo? Mi sono sbagliato: perché nel pacchetto della riforma è compreso il super premier, il capo di tutti, con ministri suoi esecutori, soggetti da un momento all’altro al licenziamento. E che succederà quando questo Ras, Sultano, dittatore, come comunque lo si chiami, non avrà nemmeno quel contropotere costituito da un Presidente della Repubblica che debba controfir-

mare le leggi e condizionarne l’emanazione? Anche questa sembra una “riforma condivisa” su cui si può avviare un “confronto costruttivo”. E Napolitano può considerarla auspicabile? Poi c’è la modifica del Csm: un tribunale speciale per i provvedenti disciplinari a carico dei magistrati (Corte di giustizia disciplinare ovvero Alta Corte di Giustizia), composto in prevalenza da persone nominate, direttamente o indirettamente, dalla politica. Una spada di Damocle sospesa sulla testa di ogni magistrato che voglia azzardarsi a indagare o celebrare processi non apprezzati da, ecco da chi? Perché qui la cosa si fa drammatica. Non sarà solo l’imputato parlamentare, ministro, sottosegretario che potrà servirsi di questa Alta Corte trasformata in tribunale speciale per la sterilizzazione delle iniziative giudiziarie scomode; saranno i tanti amici degli amici, complici, favoreggiatori, sovvenzionatori di una classe dirigente fondata sul malaffare che potranno, attraverso i loro referenti, richiederne l’intervento; tutti per conseguire l’impunità, attraverso l’intimidazione del magistrato e, se non basta, il suo trasferimento o destituzione. Se c’è una “riforma condivisa” è questa, è la famosa bozza Violante; “confronto costruttivo” se mai ce ne è stato uno. Ma è una riforma auspicabile? Non constata ogni giorno, Napolitano, l’arroganza della classe politica, il suo prosperare nel malaffare, la sua contiguità alle forme più pericolose di delinquenza? Naturalmente si può continuare: “Riforme condivise” su cui trovarsi in “confronti costruttivi” ce ne è un mucchio: il blocco delle intercettazioni, la mordacchia all’informazione, il legittimo impedimento (un Lodo Alfano truffaldino, una mascherata per non far processare B, una patente violazione del principio di uguaglianza dei cittadini), la sottrazione al pm della polizia giudiziaria, il processo breve, l’ultima finanziaria con il blocco dei fondi ancora una volta per impedire le intercettazioni. Ma questo giornale si paga da solo la carta su cui scriviamo; e non può darmene quanta ne servirebbe, decine di fogli. E così non resta che chiedere al presidente della Repubblica: ma, per piacere, quali sono le riforme che Lei auspica? Su quali pensa sarebbe bello un “confronto costruttivo”?

Ecco il lodo B: presidenzialismo e responsabilità civile per i magistrati IL PIANO SCATTERÀ DOPO LE REGIONALI: FEDERALISMO COSTITUZIONALE E BLOCCO SALVA-PROCESSI di Sara Nicoli

stare attenti BCapoaisogna dire quello che il pensa davvero. E come vuole fare la sua “rivoluzione”. Il rischio che si corre è che poi ne se ne esca il solito Brunetta e sintetizzi mirabilmente, con una frase ad effetto, le vere intenzioni del premier in merito alle riforme e alla Costituzione. È bastata la battuta, la definizione della Costituzione come di un “compromesso all’italiana che non significa nulla”, a far capire che Silvio, attorniato ad Arcore dai suoi falchi fedeli, aveva già pensato e fatto molto di più. Secondo quanto risulta a Il Fatto, il premier ha scritto e pensato molto in questi giorni di convalescen-

za. In particolare, ha scritto il Lodo B. Appunti, per carità, ma sempre un elenco di priorità che subito dopo le elezioni europee prenderanno la forma di “seconda Costituzione - è l’ipotesi che avanza Gaetano Quagliariello, vice presidente dei senatori Pdl - e che vorremmo portare avanti in accordo con il Pd, anche se ci rendiamo conto che su alcuni fronti trovare la sintesi sarà pressochè impossibile”. Silvio scenderà nuovamente in campo il giorno dopo la Befana, ma il tempo che impegnerà da qui alle Regionali sarà ufficialmente puntato alla campagna elettorale. Dietro le quinte, però, lavorerà alla sua “rivoluzione”. E quello che farà il Pd, almeno a sentire i suoi e malgrado l’aedo Bonaiuti continui a tentare di accalappiarne la complicità, non gli importa nulla. Dopo il 27 marzo, dove conta di vincere 10 a 3 con un plebiscito di voti che riconfermeranno la sua granitica leadership, Silvio metterà sul tavolo questo Lodo B per cambiare l’Italia. La priorità resterà ovviamente la giustizia; fatti salvi il processo

breve, il legittimo impedimento e il nuovo Lodo Alfano presentato in forma Costituzionale (che servono per salvarlo dai processi), l’indice verrà puntato direttamente sui magistrati, con la separazione delle carriere e l’introduzione della responsabilità civile per i magistrati. Quindi verranno avviate due distinte riforme, “per modernizzare l’Italia - dice Fabrizio Cicchitto, capo dei deputati Pdl - e dare più potere a chi la governa”: il presidenzialismo e il federalismo. Ma in modo ben più netto per entrambi rispetto alle formule che siamo stati abituati a maneggiare fino ad oggi. Sul primo, l’ipotesi del Lodo B prevede un sistema alla francese molto robusto (più di quello contenuto nella bozza Violante) con poteri al premier superiori non solo nell’azione di governo, ma anche nella scelta e revoca dei ministri senza consultazioni con una più alta carica (Presidente della Repubblica, ndr). Da questo, ne discenderà una diversa forma dello Stato in senso federale. Non solo fiscale, bensì istituzionale, tale da

rendere necessario il disegno di un bicameralismo costituito dalla Camera e da un Senato delle Regioni con compiti nettamente distinti fra loro e con un potere legislativo che, nella formulazione che Niccolò Ghedini avrebbe suggerito al Cavaliere, potrebbe essere affidato solo al Senato. Alla Camera resterebbero questioni regolamentari, così da ridurre drasticamente il numero dei parlamentari. Ma chi dovrebbe essere l’organismo deputato a trasformare il Lodo B nella seconda Costituzione Repubblicana? Un’assemblea appositamente eletta, come vuole Bossi, o questa maggioranza, come si augurano Gasparri, Cicchitto e co. ? La seconda, al momento, va per la maggiore. Il calcolo è semplice: “Per eleggere un organismo costituente - spiega Giorgio Stracquadanio, falco del Pdl - ci vuole una legge votata dai due terzi del Parlamento. Se si lascia tutto nelle mani dell’attuale maggioranza, sarebbero assai meno i compromessi necessari con il Pd o con l’Udc”. Proprio quello che pensa il Capo.


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 4

Dalla Moratti una proposta per “unire” il Paese Infatti l’insulto continua

T

STORIA E POTERE

utto è cominciato con la proposta del sindaco di Milano Letizia Moratti – a suo dire – avanzata per unire in tempo di divisioni: “Intitoliamo una piazza o una strada della città a Bettino Craxi”. Arrivando anche a paragonare il leader del Psi a Giuseppe Garibaldi e, addirittura, a Giordano Bruno, il filosofo arso vivo in Campo de’ Fiori nel 1600. Bruno capì per

intuizione, fra le altre cose, che la Terra non è piatta. Craxi morì ad Hammamet, latitante, in fuga dai suoi processi. Giorgio Bocca, infatti, parlando al Fatto bolla il paragone come rivelatore di “un’ignoranza abissale”. La proposta della Moratti ha avuto successo anche nel Pd. Anche se Piero Fassino, che considera Craxi nella storia della sinistra e non preludio berlusconiano,

non trova utile parlare di intitolazione di strade, ma in un’intervista a La Stampa ha definito Craxi “capro espiatorio”, perché “continuare a dipingerlo come un criminale è una caricatura sciocca e inaccettabile”. Bocca, invece, è convinto che si tratterebbe di dedicare una strada ad “un bandito”. Immediata reazione del Giornale: Bocca è razzista e fascista.

Alexander Stille

Craxi, toccata e fuga del “Corriere”

“Galleggiare tra notizie e rimedi” di Giampiero Calapà

e Bortoli ha una strate“D gia precisa, galleggiare: non nascondere le notizie

DOMENICA UN TITOLO SULLE SENTENZE DA RISPETTARE, IERI LA VIRATA di Carlo Tecce

ieci anni dalla morte di Bettino Craxi. Sufficienti per scrivere la storia, insufficienti per capire come. Tra vie e parchi da intitolare, tra proposte e frustrazioni, il Corriere della Sera con Luigi Ferrarella prova a separare i colori politici, i fatti dai pareri, le emozioni dalle speculazioni. Poi ci ripensa con Pierluigi Battista. Domenica in prima pagina c’era un commento di Ferrarella, cronista di giudiziaria, già il titolo è un repellente contro le interpretazioni vaghe: “Le sentenze su Craxi sono carta straccia?”. E Ferrarella argomenta. Spiega: “Può un pluricondannato essere uno statista? Certo che sì, a patto di non pretendere che il riconoscimento del suo oggettivo rilievo storico passi la spugna sulle responsabilità accertate”. Quelle sentenze esecutive elencate dal Corriere che, al riparo dalle opinioni, rendono una latitanza l’esilio volontario – per gli amici – nella tu-

D

nisina Hammamet. L’equilibrio è caduco, dura un giorno, pende all’improvviso da una parte: indica il Craxi statista e rigoroso, il presidente della scala mobile e del no di Sigonella agli americani. Il Corriere rilegge il Corriere con una pagina intera piegata sui risvolti privati dell’ex segretario socialista: apertura sulle dichiarazioni della figlia Stefania a Lucia Annunziata durante la trasmissione di RaiTre In 1/2 ora (“Craxi come Berlusconi. Giusto non farsi processare”) e taglio basso con intervista a Biagio Agnes, l’ex direttore generale della Rai conterraneo di Ciriaco De Mita (“Non ho mai capito perché Bettino non tornò. Con me fu un potente ma dalla grande umanità”). L’articolo di Ferrarella viene corretto, quasi lettera per lettera, dalla rubrica di Battista: “Non riduciamo Craxi ai suoi guai giudiziari”. E più nel merito: “Anche Helmut Kohl ha avuto i suoi guai giudiziari, ma nessuno – prosegue Battista – si sognerebbe di disconosce-

L’elenco dei fatti giudiziari dell’ex segretario Psi e il controcanto sul Bettino privato e perseguitato re la sua statura di statista o di oscurare il suo ruolo. Ha ragione Luigi Ferrarella a ricordare che ha subìto condanne passate in giudicato. Ma una feroce damnatio memoriae ha sin qui avuto l’effetto di annullare o immeschinire la figura di Craxi”. Ferrarella aveva evitato qualsiasi allusione, neppure un anelito alla damnatio memoriae, aveva disteso in poche righe un semplice concetto: perché i politici chiedono sentenze definitive e poi all’arrivo le ignorano? “Non si scioglie l’ipocrisia che, a ogni inciam-

La sede del Corriere di via Solferino a Milano (ANSA)

po giudiziario di un potente, fa salmodiare la litania ‘aspettiamo, attendiamo che la giustizia faccia il suo corso...’ – e qui Ferrarella cita la fedina penale di Craxi – ecco che quelle stesse sentenze, così tanto invocate quando servono a rinviare un’assunzione di responsabilità, di colpo è come se non valessero più nulla”. Sbagliato, vira forte all’indomani il Corriere. Perché per Battista il Craxi da riportare nei libri di scuola è “un grande del socialismo europeo, un riformista, un difensore di vittime e dissidenti”. Per farla

breve, insomma: uno statista. Che avrebbe diritto a un posto nella toponomastica di Milano. Quella città che – aveva ammonito Ferrarella – per la metropolitana aveva speso 192 miliardi di lire a chilometro contro i 45 di Amburgo. La città delle tangenti e del faccendiere Mario Chiesa. Smontato Ferrarella, il Corriere – sin dal 29 dicembre – discute sulle targhe e le strade. E chiede a Gianni Cervetti, ex del Partito comunista: “Io sono d’accordo, superiamo l’astio”. D’accordo tutti. O quasi.

LIGRESTI, MARINA B. E L’OMBRA DI BETTINO IN CDA Gli azionisti di via Solferino, i loro legami storici con l’ex leader socialista e la gelida aria di inchieste che oggi soffia su Milano di Francesco

Bonazzi

bei tempi, i compagni genovesi si Aperistupivano della passione di Craxi i garofani. In Liguria, quei fiori si portano ai morti e nei prossimi giorni ne partiranno parecchi per il “santuario” di Hammamet. Ma se c’è un santuario del potere dove il profumo di garofano aleggia ancora, questo è il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. Sul tavolo del consiglio di amministrazione, nel patto di sindacato, tra gli azionisti diretti e indiretti di via Solferino, ci sono tante persone, tante famiglie, tante fortune imprenditoriali che hanno incrociato Craxi e che in molti casi gli devono molto. Ligresti, Berlusconi, Ben Ammar, Doris e perfino Rotelli potrebbero tranquillamente inserire un fiore di garofano reciso nelle asole dei loro doppiopetti. E a Geronzi, Pesenti e Romiti toccherebbe almeno una prece. Anche perché a Milano tira da settimane una gelida aria da “Tangentopoli due”, e forse anche questo spiega l’ondeggiare “pallido e assorto” del Corriere intorno alla santificazione di quella che è stata la vittima politica più

celebre di Mani Pulite. L’onore di aprire il Pantheon vivente del potere post-craxiano non può che spettare a Salvatore Ligresti, e non solo perché nel 1992 il costruttore siciliano si fece ben 112 giorni di galera senza fiatare (nel senso che proprio non parlò). Ligresti ha sempre foraggiato l’ascesa dell’amico Bettino e il suo cognome ancora oggi è associato al ricordo del sacco urbanistico di Milano. Attraverso Fondiaria-Sai, “don Salvatore” controlla il 5,2% di Rcs, fa parte del patto di sindacato che governa (con il 65%) i destini di via Solferino ed “esprime” la figlia Jonella nel cda. Il primo azionista del Corriere resta però sempre quella Mediobanca (13,7%) dove al posto di Enrico Cuccia, che poco amava i politici e tantomeno Craxi, oggi regna Cesare Geronzi, che invece i politici li tratta e li “gestisce” da sempre. Ai tempi di Craxi imperante, Geronzi era ancora un andreottiano e quindi un semplice alleato. Il “dopo” però, ha visto Geronzi nel ruolo di un traghettatore che avrebbe strappato il suo plauso. Nel ’93-’94, quando Fininvest rischia di affogare nei debiti, il ca-

I garofani non appassiscono mai: il ruolo di Ben Ammar e il sogno in marcia del Cavaliere verso Rcs

po della Banca di Roma diventa il regista dello sbarco in Borsa della Mediaset. In poche parole, assieme ad altre banche come Monte dei Paschi e Bnl, Geronzi salva dal baratro Silvio Berlusconi, orfano di Bettino. E oltre dieci anni dopo, mentre l’ultimo governo Prodi fronteggia una lunga agonia, il banchiere di Marino conduce Marina Berlusconi nel santuario di Mediobanca, dove già l’aveva preceduta Ennio Doris, socio storico di “Papi” Silvio in Mediolanum. Un’operazione gestita insieme con un altro antico sodale del premier come Tarak Ben Ammar. Il finanziere franco-tunisino è un altro snodo fondamentale nella marcia di avvicinamento di Berlusconi su via Solferino. Ben Ammar ha un passato di tutto rispetto nella prima Tangentopoli. La sua indisponibilità a farsi interrogare dal pool milanese ha dato una bella mano alla Fininvest, sotto inchiesta per i fondi ai partiti (Psi in testa, ovviamente). Ma prima ancora, il nipote del mitico Bourghiba era stato anello di congiunzione tra Craxi e l’Olp di Arafat. Con Berlusconi, il rapporto risale almeno dal 1984, come ha raccontato lo stesso Tarak parlando della “comune passione per le belle ragazze” che univa, in Tunisia, lui, Silvio e Bettino. Più seriamente, i vecchi amici di Craxi si raccontano spesso che fu proprio “l’esule di Hammamet” ad affidare Ben Hammar a Berlusconi. O viceversa. Ma nelle retrovie di Rcs Mediagroup si muove con discrezione un altro ex socialista di nome Giuseppe Rotelli. Alla guida del colosso della sanità privata

“Gruppo San Donato”, l’avvocato pavese custodisce il secondo pacchetto azionario (12%), ma non può entrare nel patto di sindacato perché la sua quota renderebbe una farsa la quotazione in Borsa del titolo. Come risarcimento, Rotelli è in corsa per la presidenza di Rcs in aprile, nonostante una fastidiosa inchiesta della Procura di Milano sui rimborsi gonfiati della sanità lombarda che lo vede invischiato come presidente del San Donato (in base alla nuova legge sulla responsabilità penale delle aziende). Rotelli è uomo di cultura che oggi si atteggia molto a liberale, ma viene da lontano e pochi sanno che ha un passato “politico” in senso lato: a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta è stato tra gli ideatori della riforma sanitaria lombarda ed è in quella veste che aveva stretto buoni rapporti con Craxi. Più complessi, invece, i rapporti con il mondo Fiat. Craxi e Gianni Agnelli non si piacevano, ma al momento di finanziare “la partitocrazia” neppure Torino andava troppo per il sottile. E se a metà degli anni Ottanta l’Alfa Romeo non finì alla Ford, il “merito” politico va tutto a Craxi. Però i vecchi socialisti non dimenticano che, all’esplodere di Mani Pulite, gli Agnelli e Cesare Romiti non lesinarono l’appoggio di Stampa e Corriere ai magistrati di Milano. Non sarebbero storie da ricordare, se il terzo azionista di via Solferino non fosse sempre il Lingotto, con Franzo Grande Stevens e John Elkann schierati nel cda del primo giornale d’Italia. Quello che anche nel 2010 si chiede come saldare i conti con l’eredità di Craxi.

che riguardano il premier compensando con i suoi opinionisti quasi tutti di destra per non essere accusato di anti-berlusconismo”. Alexander Stille, docente di Giornalismo alla Columbia University, ripercorre i momenti storici in cui il Corriere della Sera è apparso sotto scacco, “colpito” da poteri esterni al corpo redazionale. Che i partiti influiscano sul Corriere “non è un fatto nuovo, in più oggi c’è in Italia un premier che ha la naturale propensione a voler interferire su tutti i mezzi di comunicazione, figuratevi sul principale giornale italiano”, afferma Stille, per il quale “non si può parlare di una situazione simile a quella del 1982, quando la P2 di Licio Gelli “governava” il Corriere, ma una piccola analogia c’è: anche oggi la proprietà è debole”. Resa debole “da azionisti che hanno fatto o fanno affari con il primo ministro: quindi il giornale è spaventato e quando viene pubblicato un pezzo come quello di Luigi Ferrarella, che ricorda la corruzione sistematica introdotta da Craxi in Italia, bisogna subito rimediare con una pagina intera dedicata ai pregi e agli estimatori del segretario del Psi”. Stille ritiene che il direttore Ferruccio de Bortoli adotti una strategia ben precisa: “Dare le notizie sempre, anche quando, come spesso accade in Italia, sono sfavorevoli al premier. Ma l’80% degli editoriali sono favorevoli a Berlusconi. Quindi uno che come De Bortoli è già stato ‘punito’ una volta, già cacciato dalla direzione del Corsera, in questo modo tutela il suo lavoro riuscendo nella non facile impresa di dare le notizie”. Di pressioni esterne sul direttore del Corriere Stille ne sa qualcosa: “Le subì anche mio padre (Ugo Stille, direttore dal 1987 al ‘92, ndr), ma quando accettò di mettersi al timone di via Solferino, lo fece perché dietro c’era una proprietà forte, mentre rifiutò nell’84 quando la situazione era simile a quella di oggi. Prima delle elezioni politiche dell’87 si sentì chiedere da un collega quale linea politica avrebbe dovuto tenere il giornale. La sua risposta fu: nessuna, solo i fatti. Un’altra volta ero a cena con mio padre – ricorda Stille – e nello stesso ristorante c’era Claudio Martelli. Si avvicinò per chiedere a mio padre spiegazioni sull’allontamento del fratello dal giornale, collaborava per le pagine scientifiche, di cui il direttore non sapeva nulla e comunque non se ne occupò dopo la sfuriata di Martelli”. Poi Tangentopoli, la barra dritta tenuta nel non oscurare le notizie: “Mio padre stava già male, ma condivise in toto le scelte del co-direttore Giulio Anselmi”.


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 5

L’indagine sull’attentato resta di competenza del capoluogo calabro

L’

ATTACCO ALLO MAGISTRATURA

inchiesta sulla bomba alla Procura generale di Reggio Calabria non sarà spostata a Catanzaro. Rimane a Reggio e sarà condotta dalla Procura distrettuale antimafia. Lo ha deciso il procuratore capo Giuseppe Pignatone che coordinerà direttamente le indagini assieme ai sostituti Francesco Tripodi (magistrato della procura

ordinaria, di turno la notte dell’attentato) e Giuseppe Lombardo. Quest’ultimo è un sostituto della Dda che si è occupato del processo “Testamento”, una lunga indagine sui rapporti tra mafia e politica nella città dello Stretto. Reggio reagisce, con i sindacati Cgil, Cisl e Uil, che hanno indetto una manifestazione per il prossimo 7 gennaio invitando “reggini onesti

che vogliono il riscatto del territorio a manifestare il loro disgusto nei confronti della 'Ndrangheta”. Libera, l’associazione antimafia di don Luigi Ciotti, è in prima linea. “Ogni giorno dedicheremo dieci minuti di silenzio stando sul luogo dell’attentato, in solidarietà ai nostri amici magistrati”, ha detto Luigi Nasone, referente dell’organizzazione.

QUI A REGGIO NON SI AGGIUSTANO PIÙ I PROCESSI IN APPELLO Dietro l’ordigno l’attivismo della procura contro la ‘Ndrangheta di Enrico

Fierro

ualcuno si era illuso che tenessimo un profilo basso, cosa sbagliata. Perché noi non ci arrendiamo mai”. Salvatore Di Landro, procuratore generale di Reggio Calabria, conosce bene la sua città, la 'ndrangheta e il sistema affaristico che domina lo Stretto. Quei dieci chili di tritolo che solo per un caso non hanno devastato la palazzina di via Cimino, nel centro storico, sono un segnale preciso. Contro l'attivismo della procura generale e la fine di un andazzo che recitava più o meno così: in Appello si aggiusta tutto. “L'ufficio funziona e questo disturba le cosche”, ricorda un magistrato dell'antimafia. “C'erano tempi in cui le avocazioni delle inchieste erano dirette contro i pubblici ministeri più esposti, e capitava spesso che i ricorsi per Cassazione non venivano presentati nei tempi giusti”. Le antiche protezioni ora sono finite, i patteggiamenti e le scandalose riduzioni di pena a boss importanti pure. Quegli sconti che il 26 aprile 2001 indussero un gruppo di magistrati dell'antimafia reggina a sottoscrivere un documento di protesta contro la procura generale. Firme di pm che hanno fatto la storia dell'antimafia in Calabria, come Salvatore Boemi, Nicola Gratteri, Alberto Cisterna, Roberto Pennisi, Franco Mollace, Roberto Verzera e Vincenzo D'Onofrio. Avevano portato a conclusione un processo importante contro i clan dell'area di Gioia Tauro, il processo Porto, con la condanna dei capi delle famiglie

“Q

Pesce-Bellocco e Piromalli, che fu letteralmente demolito in appello con scandalose riduzioni di pena. Giuseppe Piromalli, uno dei capi della famiglia di Gioia Tauro, ottenne la rriduzione della pena da 21 anni a 11, suo nipote, l'avvocato Gioacchino, da 11 a 4 anni e 6 mesi. “Non è possibile che si arrivi a tale tipo di patteggiamento”, scrissero i pm contestando la decisione del sostituto procuratore generale Francesco Neri. “I criminali – è la riflessione del procuratore Di Landro – sono portati a credere che nel processo di appello le cose si sistemano, quando questo non avviene, quando anche qui si rendono conto che i processi vengono trattati con pari impegno, qualcuno reagisce”. Raramente la 'ndrangheta sceglie di scontrarsi frontalmente con lo Stato. “Se lo hanno deciso e fatto – dice Vincenzo Macrì, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia – è perché ormai per loro la situazione è insostenibile. La 'ndrangheta non fa battaglie ideologiche, quando decide di colpire lo fa per lanciare segnali precisi”. Gli investigatori non si pronunciano, ma negli uffici giudiziari di Reggio qualcuno consiglia di rileggere alcuni episodi sottovalutati. Quello dell'attentato subito dal magistrato di Corte d'Appello Vincenzo Pedone il 21 agosto 2004. Un killer sparò con un fucile di precisione contro una finestra della sua abitazione. Il giudice si era opposto per ben due volte alla richiesta di accordo tra gli avvocati difensori di alcuni mafiosi e la procura generale. Il proiettile di grosso calibro

sfondò la finestra e penetrò nell'appartamento bucando l'arazzo che ornava una parete. E vanno anche riprese le indagini su un altro episodio inquietante accaduto qualche anno fa negli uffici della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, quando la scorta del pm Nicola Gratteri scoprì alcune microspie piazzate in una stanzetta che il magistrato usava per gli interrogatori. Gratteri, impegnatissimo sul fronte della lotta al narcotraffico internazionale, è stato il pm che più di tutti, anche scontando un forte isolamento, si è battuto contro il patteggiamento in Appello per gli imputati di mafia. Alla fine ha vinto la sua battaglia, quando nel primo pacchetto sicurezzza del governo, la norma – già proposta da Giuliano Amato – è stata approvata. Una bomba che “parla” a una Corte d'Appello che ha sul tavolo delicatissimi processi di mafia. Quello contro killer e mandanti dell'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno, quello sui fiancheggiatori dei boss Pasquale Condello ('o supremu) e Francesco De Stefano, il processo sulla faida di San Luca e la strage di Duisburg, e quello sugli affari delle cosche di Rizziconi. Altri processi importanti, come quello a carico dell'ex poliziotto Francesco Chiefari, si sono chiusi grazie al ruolo attivo della procura generale. Chiefari venne condannato a 13 anni per le bombe piazzate all'ospedale di Locri e Siderno (dove lavoravano la moglie e il fratello di Fortugno). In Appello la pena è stata legger-

Una manifestazione davanti alla Procura di Reggio Calabria (FOTO ANSA)

mente ridotta ma la Corte ha deciso di aggiungere l'aggravante mafiosa. Intervento anche sul processo, concluso in primo grado con quattro ergastoli, per l'omicidio del vigilantes Luigi Rende, con la decisione del procuratore generale Di Landro di sostituire il sostituto Francesco Neri con l'avvvocato generale dello Stato Francesco Scuderi. Chi ha dato l'ok per l'atten-

Sono finiti i patteggiamenti e le scandalose riduzioni di pena a boss importanti

FALSO ALLARME

PAURA-BOMBA A VENEZIA: ERANO SOLO REGALI DELL’ENEL Di Benny

Calasanzio

er un'intera mattinata Venezia è rimasta con il fiato Pmodesto sospeso per tre caricabatterie e una lampada, pure di voltaggio. E’ bastato che quattro pacchi senza destinatario, contenenti all’analisi dello scanner dei fili elettrici, giungessero alla sede della giunta regionale del Veneto, lo storico Palazzo Balbi, perché il pensiero di tutti corresse alla bomba di domenica scorsa a Reggio Calabria. Gli addetti alla sicurezza della regione avevano intercettato i quattro pacchi tra la corrispondenza e insospettiti dalla mancanza del mittente li avevano inviati all’esame dello scanner: tre buste di plastica indirizzate agli assessori regionali Renato Chisso, Renzo Marangon, Giancarlo Conta e una scatola di cartone, che indicava come destinatario Franco Miracco, por-

Panico nella città lagunare per tre caricabatterie e una lampada: il sospetto a causa dei fili di rame

tavoce del presidente della Regione, avevano al loro interno fili di rame, che potevano essere parte dell’innesco di un ordigno. Immediatamente a Palazzo Balbi è scattato il protocollo di sicurezza e un’intera ala del palazzo, che ospitava circa una cinquantina di persone, è stata evacuata. Sul posto si sono precipitati gli artificieri che hanno fatto brillare una delle tre buste: al suo interno, per fortuna, niente polvere da sparo ma un semplice caricabatterie universale. E il mittente non era una organizzazione criminale ma l’Enel, che aveva inviato l’oggetto agli assessori come regalo di Natale. Dopo la conferma da parte dell’azienda – che ha specificato cosa si trovasse nella scatola, una lampada –, l’allarme è rientrato e tutto si è concluso con un codazzo di spavento e tensione. Una versione diversa dalla prima data dall’Enel: in merito ai pacchi recapitati presso la sede della Regione Veneto, Enel precisa che si tratta di semplici omaggi inviati nel periodo natalizio, del modesto valore commerciale di poche decine di euro e volti essenzialmente a promuovere la brand image aziendale. Le confezioni recapitate a mezzo corriere erano chiaramente identificabili come provenienti dall’azienda e recavano l’indicazione del mittente.

tato? Investigatori e magistrati non hanno dubbi: le cosche più influenti del Reggino. Quelle della città e della Piana di Gioia Tauro, le più potenti tra le 73 'ndrine che controllano il territorio della Provincia. “Che ci possa essere una nuova strategia della 'ndrangheta è una ipotesi da approfondire”, dice Franco Gratteri, direttore del Dipartimento centrale anticrimi-

ne. Ma è solo mafia? Probabilmente no, perché a Reggio la 'ndrnagheta da sempre è un intreccio di affari e politica. E proprio dalla Procura generale è partito un monitoraggio su alcune inchieste che parlano dell'intreccio tra interessi mafiosi e settori della politica e delle istituzioni, incredibilmente ferme. Anche di questo parla la bomba di Reggio.

CLIMA D’“AMORE”

“QUESTO È UN PAGLIACCIO LO DOBBIAMO AMMAZZARE”

“I

l clima di odio nei confronti dei pm che rappresentano il baluardo nella lotta alla criminalità organizzata, rende quest'ultima più forte. È necessario dire basta a questo clima di odio nei confronti di magistratura e pm", afferma il deputato dell’Idv Federico Palomba. A ben guardare, giudici e pm, per il centrodestra calabrese, a volte sono risultati sgraditi. Non si tratta di esternazioni pubbliche, bensì private, e divulgate poi dalle cronache di questi anni. Riferendosi a De Magistris, e ascoltato in un'intercettazione telefonica, l'ex governatore Giuseppe Chiaravalloti, poi vicepresidente del garante per la privacy, diceva: "Questo è un pagliaccio, ha dato fastidio a un sacco di gente... Se Dio vuole che le cose vadano come devono andare... lo dobbiamo ammazzare. No, gli facciamo una causa civile e ne affidiamo la gestione alla camorra". Nessun intento omicida, come è ovvio, ma Chiaravalloti, che fu indagato da De Magistris, continuò in questo modo: "C’è quel principio di Archimede... a ogni azione corrisponde una reazione e mò siamo così tanti ad avere subito l’azione...". Indagando su un affare che spazia dall'energia a presunte schede criptate della Wind, il pm di Crotone Pierpaolo Bruni, interroga il maggiore dei carabinieri Enrico Maria Grazioli, che di un senatore del Pdl, l'avvocato Giancarlo Pittelli: “Ritengo che Pittelli e Carchivi (nessuno dei due è indagato, ndr) volessero utilizzarmi per colpire appartenenti alle istituzioni che, secondo loro, compivano e compiono attività investigative nei confronti di soggetti a loro vicini”. Non sappiamo se quanto riferisce Grazioli sia vero oppure no, ma si tratta di dichiarazioni inquietanti.


pagina 6

Martedì 5 gennaio 2010

La Befana fa visita ai democratici che anche in Lazio attendono l’Udc

L

REGIONALI

a Befana, con un sacco di carbone, si è presentata inaspettatamente nella sede del Pd di Roma ieri. A promuovere la bizzarra iniziativa è stato il Comitato per le primarie del Lazio, composto da cittadini ed esponenti del Pd e di Sinistra e libertà. I manifestanti hanno una richiesta: le primarie. “Non vogliamo scelte verticistiche”, ha detto la consigliera regionale democratica Laurelli, mentre il

consigliere provinciale di Sel Gianluca Pecola reggeva un cartello che recitava “O Nichi o niente”. Perché “gli elettori di centrosinistra non possono più accettare accordi sottobanco e geometrie che variano a seconda della disponibilità dell’Udc”. Nel frattempo, però, il segretario regionale del Pd laziale, Alessandro Mazzoli, annunciava da Viterbo (provincia di cui è presidente): “L'intesa con l'Udc? Sono fiducioso che si possa

concretizzare entro pochi giorni. Stiamo attendendo che il partito di Casini, che ha deciso di assumere posizioni diverse nelle varie regioni, si esprima”. Sul nome del possibile candidato Mazzoli resta abbottonato. Chissà se la prognosi verrà sciolta giovedì 7, quando Bersani, Enrico Letta, e il coordinatore della segreteria Migliavacca si incontreranno per parlare delle candidature in Lazio, Campania e Calabria.

BOCCIA DEVE FARE CENTRO “Un’investitura vera, ma non chiusa”: per la Puglia il Pd non decide e nomina l’esploratore delle alleanze

di Carlo Tecce

er sbrigliare il nodone sulla candidatura in Puglia, riunita una segreteria d'emergenza, il Partito Democratico ha stretto un nodino di 48 ore su Francesco Boccia: “Un'investitura vera, non chiusa”. Meno di una nomina ufficiale, più di una decisione interlocutoria: il deputato Boccia sarà l'esploratore, dovrà sfilare malumori e cucire alleanze. Il comunicato del Pd, inzuppato nel burocratese, si espone a varie interpretazioni: “In relazione alla situazione determinatasi per la preparazione delle elezioni regionali, abbiamo dato mandato a Boccia di ricercare e costruire attorno a sé le condizioni politiche e programmatiche di un'ampia alleanza da proporre agli organismi dirigenti del partito, nei tempi più brevi possibili”. Il tempo è scandito dall'Udc: oggi Pier Ferdinando Casini peserà con i dirigenti locali la proposta di Boccia. Le premesse sono deboli, anzi debolissime: “Boccia? Sul piano personale – ha spiegato Casini due giorni fa al Gazzettino – lo sostengo, però è debolissimo”. Il Pd aveva fretta di muoversi, di sembrare l'attore principale della trattativa. Andava talmente di fretta che al Nazareno erano in tanti, tra deputati pugliesi in missione e vice dei capi, da escludere Pier Luigi

P

Bersani, in volo transoceanico, di ritorno dalle vacanze natalizie. Il Pd doveva accendere la luce, e passare: “Non abbiamo passato la palla - dicono dalla sede – Con onestà possiamo rivelare che abbiamo passato il cerino all'Udc. Ora tocca a loro: volevano Emiliano, non Vendola, e adesso cosa pensano di Boccia?”. Sul Pd hanno le idee chiare, troppo: “I democratici hanno in corso uno scontro di potere inaudito – accusa Maurizio Ronconi, responsabile enti locali dell'Udc – che ha ben poco della ricerca dei migliori candidati, ma è una guerra per bande di chi sta perdendo ogni capacità di confronto con i cittadini. La questione inizia a imbarazzare chi ha immaginato la possibilità di aprire un sereno ma costruttivo confronto programmatico”. E in tarda serata, Boccia ha incontrato Angelo Sanza, coordinatore pugliese dell’Udc. Le strategie si frantumano all'uscita del caminetto politico, ma forse c'erano schegge già intorno al tavolo presieduto da Enrico Letta, affiancato da Migliavacca e dal dalemiano Latorre. Il senatore Alberto Maritati di Lecce ha presto rescisso il nodino Boccia: “Il sindaco Emiliano e il governatore Vendola sono ancora in lizza. Nessun candidato è escluso, non si esclude neanche il ricorso alle primarie”. Non si esclude niente. E

persino Boccia, sconfitto alle primarie del 2004 proprio da Vendola, evita fughe solitarie: “Oggi abbiamo detto una parola: noi stiamo costruendo una nuova alleanza e coalizione e sentiremo tutti i segretari di partito Vendola compreso. Con lui ci confronteremo sui numeri Francesco Boccia (a sinistra) ( ) e sui contenuti e confidiamo che Sotto, Michele Emiliano, visto da Emanuele Fucecchi la decisione si basi sul bene della Puglia e non ca sponde all'esterno e deflagra su alchimie e tattiche che non all'interno. L'assessore Guglielci porterebbero da nessuna mo Minervini, vicino a Franceparte”. E Letta: “Con Nichi? Ra- schini, giudica con severità le gioniamo”. Il Pd spera di rimor- tre ore al Nazareno: “L'idea che chiare Sinistra Ecologia e Liber- a Roma possano scegliere per tà agitando la figura neutra di Bari è un'ulteriore offesa all'auBoccia, né dalemiano né fun- tonomia e all'intelligenza dei zionario. Il partito di Vendola pugliesi. Invece di riconvocare sembra irremovibile: “Le con- l'assemblea, per recupere la ficlusioni del vertice del Pd sono gura poco edificante dei giorni incomprensibili e inapplicabi- scorsi – prosegue Minervini – il li. Incomprensibili – spiega Mi- Pd continua sordo e insofferenchele Losappio, assessore re- te a perseverare nell'errore di gionale – perché la debolezza costruire un'improbabile alterdella candidatura Boccia è già nativa, non a Vendola ma a se stata pubblicamente e politica- stesso e al proprio popolo”. mente stigmatizzata da Casini e L'Idv preferisce il Vendola bis, dall'Udc. Inapplicabile perché ma accetta Boccia. I comunisti senza le primarie non si può ri- aspettano. Il Pd teme di dover muovere la candidatura del Pre- convocare un’altra riunione. sidente della regione”. Il Pd cer- Stavolta con Bersani. FOTO ANSA

CALABRIA

LA LISTA ANTIBERSANI DI AGAZIO LOIERO

É

bastata una notizia su “Affaritaliani.it” per far sobbalzare dalla sedia lo staff di Agazio Loiero. Per la Calabria Bersani vorrebbe puntare su un altro candidato, quindi l'ex ministro, governatore dal 2005, farebbe di testa sua: una lista col suo nome nel simbolo contro Pd e Udc. “Noi non sappiamo ancora cosa abbia in testa Bersani, però proprio pochi minuti fa abbiamo concluso un vertice del Pd regionale per definire le regole delle primarie”. In Calabria contro Agazio Loiero sono scesi in campo Giuseppe Bova, presidente del Consiglio regionale, e Doris Lo Moro, deputata ed ex assessore regionale alla Sanità. E volano stracci. “Non lasciatemi solo – ha detto Loiero in una recente convention di suoi supporters – c'è una congiura contro di me”. “Chi parla di congiura è un irresponsabile”, è la replica di Bova. La terza incomoda, Doris Lo Moro, in una recente intervista ha sparato a zero contro Loiero e la gestione della sanità pubblica: “Sono stata cacciata perché ho bloccato pagamenti per 200 milioni di euro”. L'Idv ha un suo candidato, Pippo Callipo, industriale del tonno. Gira pure lui, ma nel centrosinistra non c'è ancora uno straccio di accordo.

“Nel Pd c’è uno scontro di poteri che non c’entra con la ricerca del miglior candidato”chiosa l’Unione di Centro

Il viale del tramonto dello “sceriffo” Emiliano NELLA CORSA ALLA POLTRONA È RIMASTO IN SELLA PER UN MESE, AL SUO POSTO ARRIVA (PER ORA) “UN CAVALIERE PALLIDO” di Luca Telese

erto che la politica ai tempi del Pd è CPrendete più logorante dell’acido muriatico. il caso Puglia. Due palle un soldo - bang, bang! - ieri si è eclissato malinconicamente il mito dello sceriffo Emiliano. Bionde e Hashish. Per un mese ha ballato nel saloon del duello con Nichi Vendola, ha dettato le regole, ha affisso proclami, ha fatto girare vorticosamente le sue pistole e il suo sorriso generoso... E ieri - improvvisamente - il sindaco di Bari è passato da tutto a nulla, da king maker candidato in pectore a controfigura. Era l’uomo perfetto per la politica moderna, fino a due mesi fa: il sindaco che mangia frutti di mare crudi al mercato, nulla a che vedere con i radical-chic. Uno che aveva girato con la pistola nella cintura, da magistrato, e che piaceva pure a destra... Bang, bang!. L’uomo che diceva di se: “Ho vissuto in mezzo a bionde, hashish, panetti e neve bianca, ho arrestato albanesi, scafisti e intoccabili...”. Bang, Bang!. L’uomo che diceva del Pd: “Vorrei un partito strutturato come

Al Quaeda... Orizzontale. Ogni gruppo autonomo e capace di espandersi all’infinito”. Bang Bang!: “Il Pd deve essere un partito europeo, occidentale e anticomunista”. Esploratori & trapper. E adesso? Da ieri gli passa davanti un giovane-vecchio come Francesco Boccia, il cavaliere pallido, l’uomo dell’Arel di Enrico Letta, investito - nientemeno! - di un “mandato esplorativo”. Che poi, è vero che c’è stato un precedente Marini, ma di “mandati esplorativi” dopo il pleistocene della Prima Repubblica, dopo i governi Goria non se ne ricordavano. Per giunta: il mandato sulle primarie allo sconfitto in quelle precedenti: se si poteva immaginare un messaggio simbolico, peggiore di questo era difficile: ma si sa, nel Pd è l’ora del merito. Eppure è fatale, anche nella grammatica del western bonelliano: se arriva il trapper, l‘esploratore, il segugio, è perché l’eroe che risolve con la pistola ha la stella di latta appannata. Solo sei mesi fa Emliano era quello che vin-

“Ho vissuto in mezzo a bionde, hashish, neve bianca, ho arrestato albanesi, scafisti e intoccabili”

ceva a Bari con il 59%. Così spavaldo da ripetere: “Io e Vendola siamo fratelli! Nessuno è meglio di lui. Gli organizzo io la campagna elettorale, Massimo capirà!”. Nemmeno Nichi fosse il suo Kit Carson. Poi

il buio, la sovraesposizione, la febbre terribile della vanità che ti fulmina come una lampadina, ed è Massimo (D’Alema) che fa cambiare idea a lui. Ci sono problemi sulla candidatura di Vendola. Emiliano cambia marcia: “Le tre grandi personalità della Puglia (Vendola D’Alema e lui stesso, Ndr.) si devono sedere intorno a un tavolo per trovare un soluzione”. Ovvero: la soluzione potrebbe essere lui stesso. Lo sceriffo smette di parlare in terza persona e quasi si arrabbia: “Sputatemi in un occhio se mi candido a presidente della regione!”. Ma Vendola non molla. E’ il governatore uscente, dice, ha diritto alle primarie: “Se vince un altro mi tiro indietro e lo sostengo”. Anche se fosse Emiliano? Il governatore con l’orecchino sorride: “Sapevo che voleva fare campagna per me, ma se vince sarei lealmente al suo fianco. Deve riuscirci, però”. I vendoliani fanno di peggio: cartellone in barese con scritto: “Emiliano, japr l'ecchie!” (“Apri gli occhi...”). Emiliano tris cambia ancora e si indigna bang, bang!: “Io che corro contro Nichi? Non esiste”. Passa solo una settimana e il sindaco pistolero cambia di nuovo spartito: “Io non corro. Ma Nichi si deve fare indietro”. Ari-bang! “Io candidato? Non ci penso proprio. Solo se me lo chiede Nichi”. Ma Vendola non ci pensa

manco morto, e continua a dire che lui vuole le primarie. Allora - bang bang! - arriva l’Emiliano che dalle colonne di Repubblica ulula: “Nichi è un traditore!”. Adesso c’è solo la prima persona: “Solo io posso battere Fitto!”. Bang, boom!: “Anche se Vendola non corresse nel centrosinistra, io posso vincere da solo contro tutti”. Ratatatà: “Sono già al 60%!”. Ad personam. Però si dà il caso che anche nel saloon del centrosinistra pugliese ci sia un problema. Una legge che non consente al sindaco di candidarsi. E che problema c’è? Si chiede lo sceriffo: “Quella legge va cambiata subito”. E le primarie? “Non si possono fare”. E il Pd? Bang, bang! “Corro solo se mi votano all’unanimità”. E così si arriva a un altro Ok Corral. Il 28 dicembre l’assemblea del partito tutt’altro che unanime, è spaccata. Si fanno i conti: forse Emiliano non ha i numeri. Per di più irrompono i campesinos vendoliani (molti con tessera del Pd) e provvidenzialmente non si vota più: “E’ stato squadrismo, dice il sindaco sceriffo”. Ma il giorno dopo, bang, bang (e cinque) cambia ancora: “Accetto le primarie. Ma a patto che Nichi mi garantisca che i suoi votano la legge ad personam”. Invece Vendola fa l’indiano: “Non posso”. E da Roma arriva la doccia scozzese di Bersani: “Non si fa nessuna legge ad personam”. A questo punto il pistolero estrae per l’ultima volta. Ma la pistola è scarica. Click, click: “Non mi candido più”. Augh!


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 7

Primarie: ancora molte incertezze a tre mesi dal voto

P

REGIONALI

rimarie per i candidati alle regionali di marzo solo se necessarie: il Pd e i suoi alleati hanno deciso di iniziare ad invertire la tendenza. In Piemonte riconfermata Mercedes Bresso, in Liguria e in Emilia Romagna, Claudio Burlando e Vasco Errani concedono il bis. Anche nelle Marche c'è la conferma senza primarie di Gian Mario Spacca. Lo stesso per Vito

De Filippo in Basilicata. In Lombardia Filippo Penati è l’unico finora in corsa. In Umbria si decide in queste ore la sorte della governatrice uscente Maria Rita Lorenzetti. Nel Lazio tutto è ancora incerto. Ancora problemi in Campania e in Calabria, dove per sfidare il governatore uscente Agazio Loiero si sono fatti avanti in quattro. Per il centrosinistra in Veneto contro il ministro leghista

Luca Zaia potrebbe esser scelto un candidato dell’Udc. In Toscana, invece, unica regione che regola le primarie per legge, l’assessore alla sanità Enrico Rossi non ha trovato avversari e si è votato solo per la composizione delle liste di Pd e Sinistra ecologia libertà. Oggi, invece, Emma Bonino e Marco Pannella annunceranno le decisioni dei Radicali per le elezioni regionali.

“SÌ AI NOMI PULITI, NESSUN VETO SU NICHI VENDOLA” Antonio Di Pietro (FOTO GUARDARCHIVIO) di Luca Telese

a come devo dirlo? Non esiste nessun veto dell’Italia dei valori su Nichi Vendola! Anzi, dirò di più: temo che il Pd stia usando noi come alibi per dire no a Vendola”. E’ un fiume in piena Antonio Di Pietro. I rapporti con il Pd, dopo gli attacchi di Enrico Letta sono ai minimi termini. Le critiche fioccano da destra e da sinistra. E il leader dell’Italia dei valori si sente designato nel ruolo di capro espiatorio per la crisi della coalizione. Onorevole Di Pietro davvero si sente ingiustamente sotto accusa? Ma scusi, proviamo a raccontare cosa sta accadendo davvero... Perché, qualcuno non dice la verità? Allora: il nostro partito non ha chiesto una poltrona, non una! Né ha avanzato una sola candidatura, chiaro? A dire il vero in Lombardia lei

“M

aveva detto di essere pronto a correre... Per l’amor di Dio, quando nessuno si faceva avanti: avevo dato una disponibilità a una battaglia difficilissima. E poi com’è andata? Non mi hanno fatto nemmeno una telefonata per dire Tonino-sì-o-no. Passano le settimane, e vedo che fanno una conferenza stampa in pompa magna per presentare Penati. E lei si è arrabbiato... Ma nemmeno per sogno! Ce ne fossero di Penati. Gli do un bacio in fronte, lo sostengo con piacere e lealtà. E allora perché non riuscite ad allearvi dappertutto? Oooh, questo è il bello! Le alleanze non si chiudono perché ci sono dei problemi nel Pd. Che cosa c’entriamo noi se in Umbria litigano? Che colpa abbiamo noi se nel Lazio si accapigliano? E in Lombardia? Cosa ne so io della guerra che stanno facendo in Puglia a Vendola?

Di Pietro non ci sta: “Siamo il capro espiatorio per la crisi della coalizione” Quindi non è vero che è lei ad opporsi? Ma è vero il contrario! Le racconto un aneddoto? Prego. Volevo metterlo nero su bianco. E ho mandato una lettera a l’Unità perché fosse chiaro. Non l’avevo vista... Per forza! Non l’hanno pubblicata! Si stanno scannando nel Pd. E al-

“Additati come estremisti, serviamo sempre, però, quando c’è bisogno di prendere voti”

lora danno la colpa a Di Pietro che viene comodo. Ma gli elettori credo che l’abbiano capito bene. Però in due regioni voi avete posto dei veti. Abbiamo fatto un discorso, con molta onestà e molta trasparenza. Quale? Che è ora di chiudere la pagina del loierismo e del bassolinismo. Che non si possono candidare in Campania persone sotto inchiesta. Ma la cosa bella è che anche nel Pd sono d’accordo... Non volete approfittare per mettere i vostri? Ma scherziamo? In Campania abbiamo detto: diteci chi votare e noi lo votiamo. Basta che non si tolga Bassolino per mettere De Luca. Perché se non è zuppa è pan bagnato: pure lui è inquisito. Invece in Calabria avete Callipo. Non è che l’abbiamo noi. Allora: Callipo è un imprenditore coraggioso. E’ stato presidente di Confindu-

stria quindi prende voti a destra e a sinistra. Ha denunciato la mafia. Averne gente così! Ne vede tanti? Io no. E quindi? E quindi abbiamo detto, al Pd: bene, se c’è lui noi lo votiamo convinti. E come è andata a finire? Che si sono divisi in qua-ttro! Noi cosa c’entriamo? Lo richiedo: con le primarie in Puglia, voi sosterrete chi vince? Anche Vendola? Oh Gesù! Noi lo sosteniamo anche senza le primarie. Così come nel Lazio, in Umbria, in Campania, Lombardia: dicano un nome pulito, noi lo votiamo, senza contropartite. Magari qualche presidente di Consiglio regionale... Ma scherziamo? Ce lo hanno offerto, ma a noi non interessano trattative sottobanco. Passiamo alla nota dolente, la polemica con Letta...

Con il Pd... Bersani non ha parlato. Sì, ma se parla Letta, e nessuno lo smentisce, che penso? E’ la linea del partito. E che linea è? Di offesa gratuita e strumentale. Anche perché noi non abbiamo attaccato Napolitano per il suo messaggio. No? No, è un falso! Quando le dobbiamo dire le cose lo facciamo a viso aperto, è noto. Abbiamo detto che quello era un messaggio buonista. In cui il Pdl si inserisce per il suo tornaconto. Non crede alle riforme? (Ride) Ma quali? Le uniche calendarizzate sono quelle ad personam. E quelle in calendario sono le uniche vere. Non è l’ora dell’amore? Altro che partito dell’amore! Questi ti lisciano il pelo e ti fregano il cuore. Il Cuo-re! E il Pd? Ecco, giusto! Lo chieda a loro! Prima dicono che bisogna liberarsi di Di Pietro. Poi si offendono, anzi, pretendono: sosteneteci, sennò vince la destra. Cosa vuol dire? Glielo dico io. E’ un ricatto. Noi siamo il brutto anatroccolo, gli estremisti. E però dobbiamo portare i voti. Che dirà all’incontro del 12? Non ci vado. Ho cercato Bersani con la batteria, non mi ha manco risposto! Staccato. E’ a New York... E allora congeliamo tutto: quando decideranno cosa vogliono, riprendiamo. Ma la finiscano di ripetere a pappagallo parole di Cicchitto e Capezzone! Sono dei... boccaloni. “Boccaloni”? Si bevono tutto quel che gli propina la destra. Ma se è così, che vogliono da noi?

Nelle Marche i democratici scelgono l’Udc e scaricano la Sinistra radicale IL SEGRETARIO REGIONALE UCCHIELLI: “L’ACCORDO CON IL PARTITO DI CASINI È PRIORITARIO” di Sandra Amurri

er il Pd è prioritario l’ac“P cordo con l’Udc”. Sono queste le parole più chiare pronunciate finora dal segretario regionale del Pd marchigiano Palmiro Ucchielli che, senza alcun velato imbarazzo, sembra scrollarsi di dosso la sua storia di operaio-senatore del Pci e a braccia aperte accoglie l’Udc di Casini e Cuffaro. Partito che nelle Marche ha come segretario Antonio Pettinari, vicepresidente della provincia di Macerata governata dal Pdl, strappata al centrosinistra alle scorse elezioni, proprio grazie ai voti dell’Udc. E “prioritario” sta a significare che il Pd ha già deciso di fare propria la richiesta non negoziabile dell’Udc. Ovvero che la coalizione uscente, presidente Gian Mario Spacca, si liberi della cosidetta sinistra radicale, cioè di Rifondazione, Comunisti italiani e Sinistra ecologia e libertà, che ora ha sei consiglieri regionali. Ed ecco pronto il “nuovo riformismo per il futuro delle Marche” come lo definisce Ucchielli: Udc, Pd e Idv. Nessun timore di sorta sembrerebbe esserci per una eventuale candidatura (per la “sinistra radicale”) di Massimo Rossi, ex presidente della provincia di Ascoli Piceno con il 55,7 per cento dei voti,

a cui alle scorse elezioni il Pd (nonostante il sondaggio del Sole 24 Ore lo desse a oltre il 57%) ha contrapposto un suo candidato consegnando la provincia al centrodestra in quanto, sono sempre parole di Ucchielli: “Il rapporto con la sinistra radicale l’ha già compromesso il popolo”, riferendosi ai risultati della tornata elettorale del 2008. Trascurando che quei numeri rischiano di non avere più lo stesso peso con la nuova variabile che si chiama astensionismo, derivante da un calo di credibilità della politica, e il fatto che nelle Marche due province e un comune siano state conquistate dal Pdl che è divenuto così, per la prima volta, il primo partito. Rossi aggregherebbe Rifondazione, Comunisti italiani, Sel e una miriade di associazioni che si fondano sulla partecipazione dei cittadini alle scelte del futuro dei territori e che hanno particolarmente a cuore i beni comuni, le nuove economie, il lavoro giovanile, le energie alternative, si battono contro gli inceneritori, contro la privatizzazione dell’acqua e contro la nascita della centrale nucleare nel Parco naturale della Sentina di San Benedetto del Tronto, sito indicato dal piano del governo Berlusconi come ottimale, in quanto vicino al ma-

re, al porto e non sismico. E proprio su questi punti ogni accordo di programma con il partito di Casini risulterebbe impossibile visto che proprio il deputato marchigiano dell’Udc Amedeo Ciccanti è uno dei maggiori sostenitori in Parlamento della privatizzazione dell’acqua a cui si aggiungono l’idea di una sola famiglia possibile quella tra uomo e donna, le questioni etiche come il biotestamento e molto altro. Temi che, per la verità dovrebbero allontanare anche il Pd dall’Udc, ma evidentemente il “nuovo riformismo” è a prescindere dai valori, un metro allungabile che si adatta alla necessità di vincere senza avere a cuore “come” e “con chi”. Un’alleanza che genera malumori anche nella base dell’Idv, ritenuto dal Pd, a livello nazionale, partito estremista anche sulle questioni della legalità e che invece nelle Marche è pronto a stare senza se e senza

ma con il Partito democratico e con il partito di Cuffaro, condannato in primo grado a 5 anni per aver favorito singoli boss e con sulla testa una richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Malumori che sembrano essere ignorati dal deputato regionale dell’Idv, David Favia, ex FI, ex Udeur che guarda a senso unico per entrare nel governo della regione. Oggi Pd e Udc si ritroveranno attorno al tavolo per sancire l’accordo ma nono-

L’Idv locale accetta l’alleanza e sostiene Gian Mario Spacca, governatore uscente

stante i giochi siano ormai fatti manca all’appello la parola del governatore uscente Spacca, accusato dall’ex vicepresidente della regione, oggi deputato del Pd Luciano Agostini, di aver ufficiosamente appoggiato alle scorse provinciali il candidato Massimo Rossi contro quello contrappostogli dal Partito democratico. Per lui parla il segretario regionale del Pd Ucchielli: “Spacca? Gli ho preparato un vagone d’oro, cosa vuole di più?”. Come dire: ci manche-

PIEMONTE

PRC: GIÙ LE MANI DALLA SANITÀ

C

ome scaricare Rifondazione per imbarcare anche l’Udc? Senza mostrare incoerenza dopo cinque anni in cui la politica sanitaria, che significa oltre il 70% del bilancio regionale, è stata gestita dai comunisti Mario Valpreda prima e Eleonora Artesio poi? Per il Pd piemontese, il cui segretario è l’ex Dc doc Gianfranco Morgando, è questo il problema da risolvere in fretta nella costruzione della coalizione a sostegno della presidente uscente Mercedes Bresso. Rifondazione non ha più parlamentari, zero

rebbe pure che si lamentasse. Intanto nel Pdl è buio pesto sulla scelta della candidatura a meno che An non ceda sul nome, proposto dal segretario del partito Remigio Ceroni, vicino a Bondi e Dell’Utri, di Otello Lupacchini, magistrato di origine marchigiana titolare di inchieste sulla Banda della Magliana, sull’omicidio Amato, Calvi, Hunt e D’Antona e sulle stragi di Bologna e di via Prati di Papa. A riprova che, semmai, le toghe non sono solo “rosse”.

deputati europei, nessun consigliere provinciale. Un peso elettorale, quindi, inconsistente per il Pd, a cui si aggiunge la voglia di Morgando di essere ancora precursore del progetto romano di alleanza con l’Udc (accordo già fatto alle ultime provinciali di Torino, dove Saitta è stato sostenuto anche dallo “scudo crociato”), magari scaricando anche la Sinistra ecolibertà dello scomodo “no Tav” Antonio Ferrentino. L’Udc, che nel frattempo ha già annunciato l’accordo con l’Api di Francesco Rutelli, ha chiesto la vicepresidenza della giunta e almeno due assessorati, tra cui proprio le chiavi della sanità piemontese.


pagina 8

Martedì 5 gennaio 2010

CRONACA

LA FEBBRE DEL VACCINO E IL BUSINESS DELLE DOSI “S C O M PA R S E ” Accordo milionario per 24 milioni di fiale, ma ne sono state utilizzate meno di un milione LE DOMANDE

5 PUNTI PER UNO SCANDALO 1) Perché il governo già nel 2005 ha stipulato dei contratti per 6 milioni di euro con tre aziende per la produzione di vaccino in caso di pandemia? 2) Perché il contratto con la Novartis ha clausole così vessatorie, come: la mancanza di penalità in caso di ritardata consegna dei vaccini, e la sollevazione per Novartis da responsabilità legali tranne che per difetti di fabbricazione? 3) Perché paghiamo il vaccino H1N1 quasi il doppio del normale vaccino antinfluenzale? 4) Perché l’Organizzazione mondiale della sanità a inizio 2009 ha cambiato la definizione di una pandemia, eliminando il criterio dell’“enorme numero di morti”? 5) Cosa ci facciamo ora con 23 milioni di vaccini inutilizzati? Esami di laboratorio sul vaccino dell’influenza A (FOTO ANSA) di Monica

Raucci

opo Gigio è depresso. Ce l’aveva messa tutta, lui, a convincere gli italiani che dovevano vaccinarsi. Ma quelli niente. E così, dei 24 milioni di vaccini acquistati dall’Italia, finora ne sono stati utilizzati solo 840.000. Gli altri ventitré milioni si stanno accumulando nei centri di stoccaggio. Una spesa di 184 milioni di euro andata, almeno per ora, in fumo. Anzi, nelle tasche della Novartis, la multinazionale che ha prodotto il farmaco. E con cui il governo ha un rapporto stretto, che risale sin dal 2004. È l’anno dell’aviaria, un’ influenza che non colpisce l’Italia, ma che mette in agitazione il secondo governo Berlusconi: preoccupato per una pandemia che fino ad allora non c’è mai stata e forse non ci sarà mai, decide che bisogna prendere precauzioni. E di stipulare dei contratti che riconoscano allo Stato italiano un diritto di prelazione sulla produzione futura di vaccini. Un paradosso: io governo ti pago ora affinché in caso di emergenza tu faccia il tuo interesse, ossia vendere a me i farmaci. Neanche due mesi dopo, il ministero chiama a raccolta attorno a un tavolo cinque aziende, che mettono sul piatto le loro proposte

T

di contratto. Il ministero ne sceglie tre: tra queste quella della Chiron, una azienda senese specializzata in vaccini che pochi mesi dopo verrà acquisita dalla Novartis. A quella seduta partecipa anche Reinhard Gluck. Allora è il presidente di Etna Biotech, una società siciliana. Anche lui fa la sua proposta. “Quando entrai nella stanza capii subito come sarebbero andate le cose – racconta – e che il mio progetto non sarebbe mai passato. Era evidente che tra i rappresentanti del governo e i senesi ci fosse un rapporto consolidato. Ero terribilmente dispiaciuto”. Anche perché la posta in gioco è alta: sulla base di quei contratti verranno stipulati i successivi in caso di pandemia. Una bella torta per le aziende del farmaco. I tre contratti costano in tutto al governo 6 milioni e mezzo di euro. Oltre a sancire un diritto su un bene futuro di cui il governo potrebbe non godere mai, vengono stipulati in modo carbonaro senza alcuna gara di appalto. L’accordo più oneroso è quello con la Chiron-Novartis: da solo costa 3 milioni di euro ed è alla base del contratto di fornitura per il vaccino H1N1, stipulato il 21 agosto 2009 tra il governo e la Novartis. L’accordo del 2005 garantiva al ministero la fornitu-

La cifra investita è di 184.000.000 euro, in buona parte finita nelle casse della Novartis ra in caso di pandemia di 15 milioni di dosi di vaccino entro tre mesi dalla consegna del seme da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ma nel contratto di quest’anno, che di pubblico ha solo il nome, quella clausola fondamentale scompare. Viene sostituita da tre date di consegna (con le relative forniture) che però nel testo sono oscurate. “Motivi di riservatezza”, commenta il ministero. L’unica cosa certa è che al momento del solo picco pandemico, a inizi novembre, la richiesta di vaccino è più alta dell’offerta. Il contratto, come segnala subito la Corte dei Conti, è totalmente sbilanciato a favore della multinazionale: in caso di mancata consegna nei tempi prestabiliti, per esempio, non sono previste multe o penalità per la Novartis. Altro punto critico: se l’azienda non avesse otte-

nuto l’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco, il governo avrebbe dovuto comunque corrisponderle 24 milioni di euro. Una specie di premio per la partecipazione. La Novartis poi è manlevata legalmente, tranne che per difetti di fabbricazione del prodotto. Il costo del vaccino è piuttosto alto: sette euro e novanta a dose, quando quello di un normale antinfluenzale, che ha le stesse spese di produzione, viene pagato dalle Regioni circa quattro euro. Quattro euro di differenza che non si spiegano solo con i costi di ricerca. Contratti simili sono stati stipulati in realtà dalla maggior parte dei governi europei, che nella corsa all’accaparramento del vaccino hanno accettato condizioni vessatorie. Eppure si sapeva fin da subito che il virus non era così pericoloso. A inizio 2009 i membri dell’unità di crisi dell’Organizzazione mondiale della sanità (alcuni ora sotto inchiesta per presunti conflitti di interesse con le case farmaceutiche) avevano eliminato dalla definizione di pandemia il criterio dell’“alto numero di morti”. E in un batter d’occhio quello che fino ad allora era un normale virus influenzale a bassa mortalità diventò il virus-killer.

A inizio 2009 gli esperti dell’Oms abbassarono di molto la definizione di rischio del virus Con la conseguenza che centinaia di milioni di vaccini ora giacciono nelle celle frigorifere di mezza Europa. Al di là di quello che dice il neo ministro della Salute Ferruccio Fazio, difficilmente il farmaco, che ha durata di un anno, potrà essere riutilizzato il prossimo inverno, a meno che, evento improbabile, il ceppo non rimanga esattamente lo stesso. Intanto in Italia le Asl cominciano ad avere problemi di stoccaggio. E ancora deve arrivare l’ultima fornitura, prevista per il 31 marzo, quando probabilmente la suina sarà solo una barzelletta. L’unico a ridere per ora è Ewa Kopzac, Ministro della Sanità polacco, che di vaccino non ne ha comprato neanche uno. In tempi di isteria pandemica disse: “Il nostro Stato è molto saggio, i polacchi sanno distinguere la verità dalla truffa”.

N BOLOGNA

Detenuto muore, Dap condannato

G

eorges Alain Laid, morì, quasi certamente suicida, in carcere a Bologna il 24 settembre 1996. Tredici anni dopo, l’amministrazione penitenziaria (Dap) è stata condannata a pagare 100 mila euro (con la rivalutazione e gli interessi dal ’96) per quella morte.

MALTEMPO

Neve e pioggia dal nord al sud

N

on accenna a lasciare l'Italia l'ondata di maltempo che ha investito il nostro paese nelle ultime ore (nella foto il Vesuvio imbiancato): nelle prossime ore gli esperti prevedono ulteriori nevicate anche a quote di pianura sulle regioni settentrionali, mentre su quelle centrali saranno ancora le piogge a provocare disagi. Il Dipartimento della Protezione Civile ha dunque emesso una nuova allerta meteo che prolunga ed estende quello diffuso ieri e che prevede precipitazioni diffuse e temporali localmente anche molto intensi sul centro Italia.

MILANO

In 5 nudi a letto e poi l’incendio...

S

e il grado di passione non è di per sé misurabile, qualche indizio si può trarre dal fatto che non si fossero minimamente accorti di quel che succedeva nell’appartamento al piano di sotto. Le fiamme, il fumo, le sirene, i vigili del fuoco. Niente. Così quando i pompieri, per precauzione e per verifica su eventuali danni, hanno bussato alla porta, li hanno più o meno interrotti nel pieno del loro intrattenimento. Accoppiamento di gruppo, tra soli uomini, cinque intorno a un letto, tutti stranieri, qualcuno un po’ alterato da alcol. Era la sera del primo dell’anno, in un palazzo alla fine di viale Monza, estrema periferia.


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 9

CRONACHE

PROFONDO NORD, TRIONFA IL DIO DELLA LEGA I “cattoleghisti” sempre meno “catto” e sempre più leghisti di Elisabetta Reguitti

rescia, ore 12, semaforo di Piazza Repubblica. Nonostante il rosso due studenti attraversano la strada. Un automobilista protesta suonando il clacson. Un attimo successivo stessa scena. Ma questa volta sono due stranieri a non rispettare lo stop. Sopraggiunge un centauro metropolitano a bordo del suo grosso scooter. “Negher de m...” urla tra l’indifferenza dei passanti. Stazione dei bus che da Brescia centro portano verso l’estesa provincia. Studenti e lavoratori; tra loro molti stranieri. Le persone prendono posto sul mezzo pubblico: davanti gli italiani, dietro gli altri. Nessuno lo ha imposto. Eppure è così. C’è però chi sceglie di sedersi accanto a un giovane senegalese che sgrana gli occhi incredulo. Gli italiani osservano di sguincio la scena. “Quando mio figlio gioca con i suoi amici ci sono anche alcuni marocchini e kosovari. A me questo non piace. Sarei più sicura se mi figlio trascorresse il suo tempo con gli italiani e non con gli altri” aveva detto una signora intervistata a Coccaglio (provincia di Brescia) nelle giornate calde della vicenda White Christmas. Fatti e storie di quotidiana intolleranza vissuti nei luoghi della profonda tradizione cattolica. Città e paesi che ogni anno “sfornano” missionari sparsi per il mondo ad annunciare il Vangelo. La diocesi di Brescia si

B

distingue per il numero di adozioni a distanza di seminaristi, sacerdoti e associazioni-onlus impegnate per la cooperazione. Senza parlare delle famiglie che fanno volontariato e di quelle che ogni anno adottano bambini stranieri. Le strade e le piazze descrivono una società già multiculturale con momenti di integrazione e confronto reciproco, specie tra le giovani generazioni che si ritrovano tra i banchi di scuola o nelle partite di pallone. Eppure è qui che il leghismo intollerante riesce a unire e cementare la paura dell’altro in quanto tale alimentando un cortocircuito dagli esiti devastanti per il vivere civile. In tutto ciò la religione viene usata come pre-

La religione utilizzata come pretesto per dare peso alla politica: dilagano xenofobia e intolleranza testo per dare peso alla politica; poco importa se dal pulpito del Duomo di Milano, nel primo giorno dell’anno, pure monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile delle relazioni ecu-

meniche e interreligiose, rivolgendosi al cardinale Dionigi Tettamanzi lo ha esortato “a non temere le critiche che nascono dall’ignoranza della parola di Dio” e provenienti “da chi si dice cristiano senza esserlo”. Ma c’è chi ha pensato di sferzare un colpo a un certo perbenismo che impone il silenzio su taluni argomenti. Come nel caso di don Fabio Corazzina, parroco di Santa Maria in Silva a Brescia, Claudio Treccani, animatore del Centro missionario diocesano che insieme con Francesca Martinengo (giovane studentessa) hanno scritto una lettera alla “Brescia cattolica” che è molto aperta verso il sud del mondo ma altrettanto chiusa verso gli immigrati: “Cresce, anche nelle nostre parrocchie e fra i preti e religiosi – si legge nella lettera – una cultura leghista ben lontana dal Vangelo. Si raccolgono firme per difendere il crocifisso, brandendolo come una spada e urlando che nessuno potrà mai privarci dei nostri simboli, della nostra storia e della nostra identità. Dilaga la violenza verbale, culturale e aumentano i gesti di avversità contro gli stranieri”. Ci domandiamo perché le nostre comunità si siano così incattivite. Ci domandiamo perché, anche nei nostri consigli pastorali e fuori dalle chiese, in paesi di maggioranza cattolica, sia più facile sentire una bestemmia piuttosto che una parola di speranza”. E ancora: “Chiedere giustizia e legalità non ci esime dal coraggio dell’ospitalità e

Statuette “nere” nel presepe. Sotto, padre Poletti assieme a don Vitaliano nel 2003 incatenati alla Prefettura di Caserta, per difendere i diritti degli immigrati (FOTO ANSA)

dall’accoglienza. Chiedere sicurezza e meno violenza non ci esime dalla valutazione della mole di violenza che noi abbiamo e stiamo seminando nel mondo. Chiedere identità significa fare seriamente il punto sulla qualità della nostra vita e scelta cristiana, di singoli e comunità. Se le destre e le sinistre che inneggiano al crocifisso e al bianco Natale, se chi vuole mettere la croce sulla bandiera italiana si fermasse a leggere e vivere il Vangelo nulla di questo sarebbe accaduto. Intanto le comunità cristiane balbettano o tacciono”.

I “carusi” di Pippo Fava in trincea a Catania 26 anni dopo di Antonella Mascali

giovani catanesi sono “I bravi a fare i giornalisti, Pippo Fava continua ad essere il modello, ma quando del giornalismo vogliono fare il loro mestiere, devono andare via da Catania”. Lo ammette Gianfranco Faillaci che poco dopo l’omicidio mafioso di Fava, è stato tra gli studenti che hanno fatto parte de I Siciliani Giovani, la costola del mensile I Siciliani, fondato da Pippo Fava. Fu l’unico giornale a scrivere del sistema politico-mafioso ben consolidato anche a Catania. Fava venne ucciso la sera del 5 gennaio 1984 davanti al teatro Stabile. I killer, armati dal boss Nitto Santapaola, gli spararono alla nuca. Il direttore e i suoi giovani redattori avevano denunciato, in solitudine, il potere dei cavalieri del lavoro, Rendo, Costanzo, Graci e Finocchiaro. Il processo Fava si è concluso nel 2003 con la condanna definitiva di Santapaola, Aldo Ercolano e il pentito Maurizio Avola. Il collaboratore ha definito Santapaola “mandante esecutivo”. Chi ha ordinato la morte del

giornalista oltre il capomafia catanese? Il pm Amedeo Bertone aveva aperto un’indagine a carico del cavaliere Gaetano Graci, ma dopo la sua morte l’inchiesta fu archiviata. I Siciliani provò a resistere, alcuni giornalisti firmarono anche cambiali pur di non chiudere. Ci riuscirono fino all’86, senza fondi e senza pubblicità. Nel 2008 la burocrazia ha chiesto il conto con gli interessi, per quei miseri debiti: 100 mila euro e le case pignorate, compresa quella di Pippo Fava. E’ partita una mobilitazione straordinaria perché, come ha scritto il figlio di Pippo, Claudio Fava, esiste un’Italia civile, e i fondi sono stati raccolti. La storia di Pippo ha segnato tante persone, non solo catanesi. Diversi dei “carusi” di Fava sono sparsi in giornali di Milano e Roma, compreso il Fatto. Hanno nel cuore il suo insegnamento: raccontare i fatti come sono. E questo vale, come ci ripete Faillaci, anche per i ragazzi di oggi. Gianfranco fa l’insegnante, ma di giornalismo se ne occupa ancora. Insieme con Rosa Maria Di Natale e Roberta Marilli, ha crea-

to un laboratorio alla facoltà di Lingue, “Step1.it”, diventato un riferimento perché ancora adesso, l’unico quotidiano catanese resta La Sicilia dell’editore Mario Ciancio. Ecco perché molti giornalisti liberi lasciano Catania. La Sicilia recentemente ha pubblicato una lettera minacciosa di Vincenzo Santapaola, figlio del capomafia, sottoposto al 41-bis. “Sono in qualche modo ‘faviane’ anche altre realtà d’informazione libera che in gran parte ruotano intorno a Riccardo Orioles, tra i giornalisti più vicini a Pippo. Insieme con Graziella Proto, ha pubblicato il mensile Casablanca, costretto a chiudere l’anno scorso. Adesso lo si può leggere su “Ucuntu.org”. Sempre Orioles è l’ispiratore di due giornali, La Periferica, distribuito a Librino e I Cordai a San Cristoforo, zone ad alta densità mafiosa. C’è anche un giornale distribuito ai semafori ogni 15 giorni, è la free-press Catania possibile, con Renato Camarda in trincea. L’ultima novità è che anche a Catania si può leggere l’edizione palermitana di Repubblica: fino al

18 settembre scorso nella Sicilia orientale (zona de La Sicilia di Ciancio) non era possibile. In cambio Ciancio, stampava con uno sconto Repubblica nell’isola. L’intesa è cambiata grazie a Liberainformazione di Roberto Morrione, al presidente dell’Fnsi, Roberto Natale, a “Stpe1” che al festival del giornalismo di Perugia ne hanno parlato con il direttore Ezio Mauro. Anche Repor t dedicò alla questione un’inchiesta di Sigfrido Ranucci. Il giornalista riceverà oggi pomeriggio il “premio nazionale Giuseppe Fava” assegnato dall’omonima Fondazione (presidente Elena Fava, vicepresidente Resi Ciancio). La sezione giovani è andata a Giulio Cavalli, attore e autore teatrale di Lodi, sotto scorta per i suoi spettacoli contro la mafia. Stasera reciterà un monologo dedicato a Pippo: “Sono Giuseppe, per gli amici Pippo, e ho costruito, nell’isola delle parole da non dire, la casa di marzapane più resistente della città”. Perché, come scriveva Pippo, “a che serve essere vivi se non si ha il coraggio di lottare?”.

IL PARROCO DEGLI IMMIGRATI

“GRAZIE AL CARROCCIO DIVENTEREMO DAVVERO ATEI”

E’

stato trasferito da poco, padre Giorgio Poletti (classe 1942) missionario comboniano nato a Ferrara che per quindici anni è stato il parroco (scomodo) nella chiesa di Santa Maria dell’Aiuto a Castel Volturno. In questo luogo ad alta intensità di immigrazione, Poletti è stato promotore anche della campagna dei “permessi di soggiorno in nome di Dio” nata dalla mobilitazione per circa 1000 stranieri della provincia di Caserta la maggior parte richiedenti asilo. Padre Giorgio è stato mandato al nord, in Padania, anche se ancora non sa esattamente dove. Chissà come verrà accolto, lì, il suo credo che arriva dritto dritto dal Vangelo secondo Matteo: “Ero straniero e mi avete accolto”. “Lo straniero è l’altro e in quanto altro è me stesso – dice Poletti – Sono stato in Africa per 15 anni in mezzo a due guerre civili e gli africani non mi hanno mai mancato di rispetto. Ho visto come le compagnie petrolifere anche italiane facevano interessi sporchi nelle raffinerie rubando il petrolio alla Nigeria. Eccola l’ipocrisia occidentale”. Da anni padre Giorgio si dedica agli immigrati vivendone tutti i problemi. “A volte sento parlare di integrazione raggiunta: dal mio osservatorio a Castel Volturno proprio non mi sembra. Viviamo in mondi sommersi e paralleli che si incontrano ogni tanto perché ci sono dei bisogni reciproci. L’immigrazione, assieme all’acqua naturale, è l’affare di questi anni. Un fenomeno con cui molti fanno denaro, anche le istituzioni”. Il sacerdote non nasconde che in questi ultimi anni associazioni, gruppi, istituzioni e realtà ecclesiastiche ci si sono “buttate sopra come avvoltoi su una preda”. Si moltiplicano i progetti, le iniziative. Spesso per accaparrarsi denaro facile. “Siamo – dice – all’interno di un sistema politico-economico-religioso che si sostiene”. Ma come vivono tutto questo i credenti, i cristiani? “La risposta non così facile. E’ necessario prima di tutto trovare termini comuni per intenderci. Spesso si pensa che l’essere buoni cattolici includa automaticamente l’essere bravi cittadini e può essere anche vero. Però non bisogna cadere nell’errore di chi fa corrispondere l’espressione “cattolico” con “cristiano”: questa è un’equazione del tutto illegittima. Si può essere ottimi cristiani ma diventare cattivi cittadini, specie di fronte a leggi non calibrate su valori evangelici”. Padre Giorgio parla dell’attuale situazione politica caratterizzata dal potere espresso dalla Lega nord come di un fenomeno che rischia di trasformare gli italiani in “atei con alcune tradizioni religiose”. Alla domanda perché è stato trasferito da Castel Volturno padre Giorgio risponde: “I comboniani non rimangono mai tanto tempo in un territorio: siamo dei missionari. Le ragioni sono tante, da tempo sapevo che avrei dovuto rifare le valigie. Ma a Castel Volturno non è mai stata accettata la mia azione di protezione nei confronti degli extracomunitari e anche da un punto di vista religioso non sono mai stato tanto gradito. Non mi sono mai allineato a chi decide e dispone”. (El. Reg.)


pagina 10

Martedì 5 gennaio 2010

Dal primo gennaio 2011 le buste di plastica vanno in pensione

B

ECONOMIA

uste di plastica, addio. Il primo gennaio 2011 ne sarà vietata la produzione perché costituite da materiali altamente inquinanti e pericolosi per l'ambiente. Il divieto di produrre e commercializzare sacchetti per la spesa non biodegradabili, stabilito dalla Finanziaria del 2007, varata sotto il governo Prodi, sarebbe dovuto entrare in vigore il primo gennaio di quest'anno, ma a luglio del

2009 un emendamento al decreto legge Anticrisi ha rinviato la sentenza di dodici mesi. Ogni anno sono prodotti più di 500 miliardi di sacchetti, utilizzati prevalentemente per trasportare la spesa dal supermercato a casa. I tempi per lo smaltimento variano da 15 a 20 anni e soltanto tre sacchetti su dieci vengono riciclati, mentre il resto viene bruciato, con 200mila tonnellate di anidride carbonica immesse

nell'atmosfera. Queste cifre hanno portato molte catene di distribuzione a sostituire le comuni buste di plastica con sacchetti realizzati mediante materiali biodegradabili, riutilizzabili per la raccolta differenziata di rifiuti organici o come terriccio per la coltivazione e il giardinaggio. Nei principali paesi europei da qualche anno i sacchetti di plastica sono stati sostituiti da borse di stoffa o tessuto, riutilizzate dai consumatori. (g.p.)

È L’ORA DEI FICHI SECCHI

Per il 2010 previsioni negative nella grande distribuzione alimentare In crescita solo il settore legato ai discount di Giovanni Pasimeni

obilità per oltre 3mila lavoratori, contratti part-time in aumento, ipermercati sempre più in crisi. Il 2010 non sarà un anno facile nemmeno per il settore della grande distribuzione, nonostante gli entusiasmi suscitati dal trend delle vendite durante il periodo natalizio, quando si è più propensi ad aprire il portafogli. Con la recessione le abitudini dei consumatori sono cambiate: si tende ad acquistare con più frequenza ma per importi sempre più piccoli, per lo più in supermercati e discount. Nel mercato specializzato (no-food) la crisi si sente da mesi, ma con l’accordo raggiunto nei giorni scorsi tra i due giganti Upim e Coin, si intravede uno spiraglio di luce. Con l’intesa – perfezionata entro la fine di gennaio – l’Italia potrà contare su un colosso di settore. Con il salvataggio di Upim, storico marchio che ha inventato la grande distribuzione nel nostro Paese – il primo magazzino è stato aperto a Verona nel 1928 – si è compiuta un’operazione di notevole impatto industriale. La fusione, dopo anni di ipotesi, colloqui e trattative più volte interrotte, rappresenta per Upim un’occasione di riscatto. Il bilancio a settembre 2008, infatti, presentava una perdita di 19,2 milioni (nel 2007 era di -0,9 milioni) a fronte di ricavi scesi da 520 a 493 milioni. Grazie all’intesa, i punti vendita Upim – 387 grandi magazzini tra diretti (140) e affiliati (247) – si aggiungono agli oltre 533 negozi del gruppo Coin, compresi i 450 a insegna Ovs (nuovo nome di Oviesse). Ma nei prossimi mesi il nuovo gruppo dovrà chiarire le decisioni su occupazione ed eventuale riduzione dei costi. IL SETTORE. Tra le aziende che operano a livello nazionale – secondo la Filcams Cgil, sindacato di categoria – sono 16.227 i dipendenti che lavorano nel settore del commercio per i quali sono state aperte procedure di mobilità (cassa integrazione, contratto di solidarietà o esubero). I dipendenti della grande distribuzione (ipermercati, supermercati, catene specializzate) colpiti sono 3.410, anche se da tempo la struttura dei costi di lavoro è molto flessibile. Dal 2006 ad oggi in supermercati e ipermercati la presenza del part-time è cresciuta fino ad assestarsi tra il 70 e l’80 per cento. Sono quasi tutte donne. All’atto dell’assunzione è richiesta la massima flessibilità: turni pianificati con una settimana di anticipo e senza cadenze precise, comprese domeniche e festivi. “Il part-time superiore alle quattro ore

nuerà a scontare le conseguenze della recessione”. Riguardo alla situazione dei tanti che hanno avuto un crollo del reddito, Martini non è ottimista: “L’andamento non fa pensare a un’inversione di tendenza”. E infatti qualche accenno di tensione si comincia a percepire. Nei giorni scorsi si sono interrotte le trattative tra le organizzazioni sindacali e Carrefour Italia – una delle più importanti catene della grande distribuzione italiana con 1563 punti vendita e diversi marchi, tra cui GS, DìperDì, Docks Market e Gross Iper – per il rinnovo del contratto integrativo aziendale. Una questione che va avanti dai primi di luglio, quando l’azienda ha comunicato la disdetta del contratto. Da allora si sono svolti due scioperi nazionali – il 18 luglio e il 3 ottobre – e diverse iniziative a livello territoriale, ma dopo diversi incontri le parti non hanno raggiunto un accordo. “Gli oltre 26 mila lavoratori dei punti vendita Carrefour e di quelli a marchio Gs e DìperDì – si legge in un comunicato diffuso da Filcams Cgil – dal primo gennaio non sono più tutelati dal contratto integrativo aziendale e sono in stato di agitazione e sciopero”. A iniziare le proteste, il 30 dicembre, sono stati i dipendenti dell’ipermercato di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna. Il 2 gennaio a Milano e Pisa in molti si sono astenuti dal lavoro per tutta la giornata.

La Coop Italia è leader del mercato; a seguire Conad e i francesi di Carrefour

M

Sono oltre 16 mila i dipendenti del settore per i quali sono aperte procedure di mobilità giornaliere – spiegano da Filcams Cgil – può essere suddiviso nell’arco della giornata e la maggior parte dei lavoratori part-time ha un orario che varia dalle 16 alle 24 ore settimanali. Il reddito netto mensile per 16 ore settimanali è inferiore a 500 euro; il netto mensile per 20 ore settimanali non arriva a 600 euro. In questo caso la precarietà non è lavorativa – la maggior parte dei lavoratori part-time ha un contratto a tempo indeterminato – ma salariale”. Nel 2008, per la prima volta dopo quasi un decennio di aumento a ritmo elevato – i dati derivano dall’ultimo Rapporto annuale sul sistema distributivo stilato dall’Osservatorio commercio del ministero dello Sviluppo economico – il saldo tra aperture e chiusure di esercizi commerciali è stato negativo. I negozi sono diminuiti di oltre 3mila unità. E anche nella grande distribuzione (settore non alimentare) si è registrata una diminuzione di fatturato, mentre il numero di punti vendita è continuato ad aumentare: tenendo conto delle nuove aperture, l’andamento delle vendite è stato strutturalmente negativo. Per il 2009 i dati ancora non ci sono, ma difficilmente saranno migliori. Andrea Meneghini della società Gdo Consulting, uno degli esperti che cura il sito internet Gdonews.it e da anni direttore commerciale e consulente di diversi gruppi di di-

stribuzione, spiega che il grande cambiamento nell’universo delle vendite è arrivato con l’euro, non con la recessione: “In Italia la grande distribuzione ha registrato un significativo cambiamento con il passaggio dalla lira all’euro e con il processo di aggregazione delle centrali di acquisto, attraverso cui diversi gruppi hanno unito le forze”. I CONSUMI. Con la disoccupazione all’8 per cento e oltre due milioni di italiani in cerca di lavoro, i consumatori che hanno dovuto fronteggiare un improvviso calo del reddito – cassa integrazione o mancato rinnovo del contratto di lavoro – sono molti e questo si riflette anche sui loro acquisti. La strategia di sopravvivenza si basa sulla riduzione del superfluo e sull’abbandono di prodotti di marca a favore dei cosiddetti “primi prezzi”, i più economici. “In Italia il format dell’ipermercato – sotto-

linea Meneghini – è in crisi: la spesa media di uno scontrino è di 50 euro; in un supermercato di 17”. Con l’arrivo della crisi, dice Meneghini, “si tende ad acquistare con sempre più frequenza, ma spendendo meno”. Una minore fidelizzazione, la distanza e il tempo – spesso gli ipermercati si trovano fuori città – sono tra le cause “della pesante crisi che ha colpito ipermercati come Carrefour e Auchan, in estrema difficoltà”. A trarne profitto sono i discount, che negli ultimi anni hanno visto crescere il loro fatturato: “Il consumatore – spiega Meneghini – oggi è in grado di autodeterminare le proprie scelte di acquisto e fa più attenzione prima di spendere. Preferisce i discount e i prodotti a marca commerciale come Coop, Conad ed Esselunga. Le ‘grandi marche’ resistono, ma sono sotto attacco: influenzano di più i consumi dove è presente

Speranze nel mercato del no-food dopo l’accordo per la fusione tra due giganti: Coin e Upim un minor grado di cultura”. L’andamento delle vendite nel periodo natalizio non deve illudere. Si intravede una lieve ripresa, ma la risposta alla crisi nel settore del commercio è più lenta che altrove. Franco Martini, segretario generale della Filcams Cgil, avverte: “Occorre ripensare l’idea di sviluppo dell’intero settore. Il 2010 sarà un anno difficile. La grande distribuzione conti-

L’inflazione 2009 “canta” quei favolosi anni ‘50 PER L’ISTAT LA VARIAZIONE È DELLO 0,8 PER CENTO: LA PIÙ BASSA REGISTRATA DAL 1959 n televisione si guarda “Lascia o raddoppia”, al Festival Inicelli di Venezia trionfano “La Grande Guerra” di Mario Moe “Il generale della Rovere” di Roberto Rossellini. E’ l’Italia del 1959, anno al quale bisogna tornare per avere un tasso di inflazione basso come quello registrato per il 2009 dall’Istat: 0,8 per cento. Un Paese che si affaccia sulla soglia di un boom economico che l’avrebbe trasformato radicalmente. A cominciare dalla politica. Il 1959 è l’anno delle dimissioni di Amintore Fanfani e dell’inizio dell’ascesa di Aldo Moro, nuovo segretario della Democrazia cristiana. La questione sociale più dibattuta dell’anno è quella dei “Teddy Boys”, le prime forme di gruppi giovanili. Entra in vigore il Codice della strada e nelle fabbriche il sabato diventa, per la prima volta, giorno di riposo. Ma è anche l’anno del premio Nobel al poeta Salvatore Quasimodo. E un altro riconoscimento fa scalpore: si tratta del premio Crotone, assegnato a “Una vita violenta” di Pier Paolo Pasolini, che suscita le polemiche di molti giurati perché considerato “eccessivo”, e si dimettono dal premio. Sulla copertina del numero del 27 settembre di “Tv Sorrisi e Canzoni” spunta una giovanissima Mina, la “Tigre di Cremona”. Nel1959 il Milan vince il settimo scudetto e ci lasciano due storici politici italiani: Enrico De Nicola e don Luigi Sturzo. Cambiano

anche gli stili di vita delle persone: nelle case arrivano frigoriferi e lavatrici. La Fiat vende a 590 mila lire la “600”, destinata a diventare il vero simbolo del “boom economico”. Per comprarla un operaio è costretto a mettere da parte circa tredici stipendi. Oggi, l’inflazione allo 0,8 per cento, è un “dato grave”. E corrisponde “a un aggravio di 240 euro annui a famiglia, che andranno a decurtare ulteriormente il potere di acquisto, già duramente provato dalle pesanti ricadute di cassa integrazione e licenziamenti, che nel 2010 dispiegheranno ancora i loro effetti”. Lo affermano in un comunicato Federconsumatori e Adusbef, commentando le stime pubblicate ieri dall’Istat. E il dato relativo al rialzo del tasso di inflazione ha registrato un’ultima impennata a dicembre, con una crescita dell’1 per cento rispetto allo stesso mese del 2008. Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, presidenti di Federconsumatori e Adusbef: “Il 2009, ormai, si è concluso senza che nessuna manovra sia stata avviata a favore delle famiglie. Ora è indispensabile cambiare rotta”. I presidenti delle due associazioni hanno chiesto al governo di mettere in campo misure strutturali, a partire da una detassazione del reddito fisso “per almeno 1.200 euro annui” e di “mantenere la promessa di un blocco delle tariffe”.


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 11

Dal 24 novembre 2009 sul tetto dell’Istituto a Casalotti, Roma

L

ECONOMIA

a protesta dei ricercatori dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale è cominciata il 24 novembre scorso. Da allora gli scienziati sono sul tetto dell’ente in attesa che il ministero dell’Ambiente, dal quale dipendono, si occupi della loro situazione. Dopo un mese di silenzio da parte di Stefania Prestigiacomo – indifferenza

che ha contraddistinto la protesta – il ministro si era appellato il 23 dicembre ai ricercatori affinché scendessero dal tetto, e al governo per risolvere la situazione. Mentre gli studiosi trascorrevano Natale e Capodanno lontani dalle famiglie, con piogge e vento da regata, non si era mosso niente, se non le forze dell’ordine, chiamate più volte a intervenire dai commissari

dell’Istituto per impedire a politici e giornalisti di varcare l’ingresso dell’Ispra. Il 31 dicembre i parlamentari pd Ignazio Marino e Roberto Della Seta hanno provato a contattare Stefania Prestigiacomo senza risultato. Al telefono ha risposto invece Renato Brunetta che ha procurato ai ricercatori l’incontro di ieri al ministero.

LA PRESTIGIACOMO INCONTRA L’ISPRA “MA È STATO SOLO UNO SHOW” Delusione tra i ricercatori dopo la riunione con il ministro “Sbagliate le cifre sul precariato e disattese le richieste”

Un ricercatore dell’Ispra; in basso Vincenzo Visco (ANSA)

di Caterina Perniconi

iù che un incontro è stato un one-Prestigiacomo-show. Il ministro ha parlato della situazione dell’Ispra in generale, ha dato numeri sbagliati sul precariato, ma quando abbiamo provato a farglielo notare non ha ascoltato. E ci ha detto di non affrontare tematiche

“P

tecniche perché lei di quello non si occupa. E allora noi che ci siamo andati a fare?”. Non è un buon bilancio quello che stilano i ricercatori dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale dopo l’incontro di ieri con Stefania Prestigiacomo. L’impegno in prima persona del ministro era arrivato il 31 dicembre, in seguito alle ten-

sioni tra i ricercatori (da quarantatré giorni sul tetto) e la polizia, accorsa dopo la chiamata da parte dei vertici dell’istituto. Oggetto del contendere, la visita dei parlamentari del Partito democratico Ignazio Marino e Roberto Della Seta, costretti a scavalcare le cancellate dell’ente per raggiungere gli scienziati. A stemperare gli animi ci aveva pensato Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica, che si era impegnato a ricevere i ricercatori. Ma Stefania Prestigiacomo non ha voluto incursioni nel suo territorio e ha convocato un incontro con sindacati e precari al ministero dell’Ambiente. E, nonostante i proclami, i toni della riunione non sono stati dei più distesi: “Noi vi stiamo venendo incontro – ha detto Prestigiacomo, scortata dai vertici commissariali (escluso il presidente Vincenzo Grimaldi, rimpiazzato dal suo braccio destro Marco Lacommare) – adesso vi invitiamo a scendere dal tetto, e se deciderete di non farlo ne prenderemo atto”. Una richiesta suonata come una minaccia, che non ha impensierito i ricercatori, temprati da cinque settimane di gelo, rimasti freddi anche di fronte alle parole del ministro. Intorno al tavolo sedeva inoltre Antonio

Naddeo, capo dipartimento del Ministero della Funzione pubblica, inviato da Brunetta a “sorvegliare” sull’operato del ministro dell’Ambiente. Al termine della riunione, le facce dei ragazzi che uscivano dalla sala erano sconsolate. Si aspettavano impegni più chiari, che non ci sono stati. Dopo qualche minuto, nonostante la Prestigiacomo si sia rifiutata di parlare davanti ai giornalisti e alle telecamere, è stato diramato un comunicato stampa: “Non vi è stato alcun ‘abbandono’ della ricerca – si legge nella nota – come è stato affermato a più riprese in questi mesi. Semmai è avvenuto esattamente il contrario: un progetto organico di valorizzazione e promozione delle attività dell’Ispra, proiettato nel futuro e tendente alla stabilizzazione del personale addetto. E per ripianare questa situazione di forte anomalia, dove il precariato rappresenta il 38 per cento della forza lavoro, è stato posto in campo un piano di assunzioni volto a portare nel triennio ad assunzioni a tempo indeterminato per quasi 400 unità, così da ridurre l’area del precariato a una percentuale fisiologica”. Peccato che il ministero si sia dimenticato di specificare che il piano di stabilizzazione è quello reso

“Dopo lo scudo fiscale, faranno un altro condono” VISCO: NON TASSERANNO MAI LE RENDITE FINANZIARIE, PER LORO È IMPENSABILE e lo ricordate Vincenzo Visco Vdei“modello” ministro sulle pagine giornali di centrodestra? Viso arcigno, mani rapaci, occhi insanguinati. Un chiodo fisso: tasse e ancora tasse. Erano lui e Padoa Schioppa gli emblemi della campagna contro il governo Prodi; loro i protagonisti dell’assalto al portafogli degli italiani. Sono passati quasi due anni dalla caduta del “Romano-bis”, è scoppiata la crisi mondiale, i Berlusconi-boys sono nuovamente a cavallo dell’economia nostrana e c’è stato un bel condono. Pardon, “scudo fiscale”. E la maggioranza non ama parlare di tasse sulle rendite finanziarie... Allora onorevole, tracciamo un piccolo bilancio: cosa l’ha maggiormente stupita, o amareggiata delle misure prese da Tremonti e company? Niente. Prego? Stanno ripercorrendo la stessa strada delle altre volte. Tutto qui. Appena eletti, parte il segnale: tranquilli, non si fa più nulla, sarete intoccabili. Un esempio? La tracciabilità dei compensi e dei ricavi, con noi era partita una decisa stretta, adesso completamente annullata. Eppoi... Si riferisce ai condoni? Già, il vero marchio di fabbrica. L’altra volta hanno prima incassato 70 miliardi per poi prolungarlo. Adesso la stessa procedura con lo “scudo fi-

scale”. E scommetto su un’altra misura simile in un prossimo futuro. Magari si chiamerà “concordato di massa...”. Sulle pagine di Repubblica, Tito Boeri domenica ha rilanciato la proposta di una tassa sulle rendite finanziarie. Ho letto... E quindi? ...la storia è semplice: è dal 1983 che propongo di unificare tutte le aliquote di imposta; poi durante il primo governo Prodi sono riuscito a far votare la riforma che porta il mio nome, con le due diverse aliquote. E ancora nel 2000, quando ero responsabile del Tesoro, non sono riuscito a completare la riforma. I primi intoppi... Confermati dal 2006 in poi... Per forza, con una maggioranza come la nostra era impossibile. Non solo i numeri giocavano a nostro sfavore, ma una parte guardava già all’opposizione. Il refrain era quello della vecchietta: volete mettere le mani in tasca alle fasce più deboli, urlavano. E così si sono salvati i soliti ricchi. Bè, l’argomento tasse era il preferito da Silvio Berlusconi e dai suoi... Conoscono la comunicazione e avevano capito come e a chi parlare. Eppoi era uno dei nostri punti di debolezza, così come la politica estera. Lei, insieme con Padoa Schioppa,

era stato preso di mira dall’opposizione. Ma anche da parte della maggioranza... Eppure sono l’unico ad aver ridotto le tasse. Dove? Con me l’Irpeg è calata di cinque punti e mezzo; l’Irap dal 4,25 è passata al 3,9. Ho anche forfettizzato la tassazione sul lavoro autonomo. Il problema, in questi casi, è la manipolazione mediatica che viene messa in campo. Errori? Senta, vuole sapere qual è la differenza tra noi e questi nominati adesso? Che, in parte, sono gli stessi di allora. Sì, dica... Semplice: non ho e non ho avuto nessun conflitto di interesse. Ho sempre e solo risposto al mio credo, agli elettori, alla coalizione. Basta. Inoltre sono un professionista, un economista che da una vita studia certi argomenti e conosce il sistema tributario. Vada a vedere che c’è adesso e capirà molte cose dello stato in cui versa il nostro al.fer. Paese.

possibile dall’intervento di Pier Luigi Bersani nella legge finanziaria del 2007. Ma non solo: Stefania Prestigiacomo ha affermato davanti ai ricercatori che “la protesta riguarda soltanto 21 persone rimaste fuori dal processo di assunzione, di cui 11 già respinte da concorso e 10 raccomandati assunti a chiamata”. Ma le organizzazioni dei lavoratori precisano che sul tetto si manifesta per 534 posti di lavoro, la metà dei quali scaduti a giugno e mai rinnovati, gli altri in attesa di giudizio dal 31 dicembre. In ogni caso il ministro non ha mostrato aperture verso possibili assunzioni e si è rimessa “alle norme di legge vigenti secondo le quali cercheremo una soluzione”. Infatti, al termine del doppio incontro di questa mattina – quello con i sindacati confederali e di base che rappresentano i ricercatori precari che stanno occupando il tetto dell’Ispra – Stefania Prestigiacomo ha dato la sua disponibilità ad avviare “da lunedì prossimo un tavolo di confronto tecnico al ministero, così da esplorare tutte le soluzioni possibili, anche alla luce delle proposte avanzate a mezzo stampa dalla regione Lazio e dalla provincia di Roma e che già da domani verranno verificate”. Intanto la protesta continua, e i ricercatori hanno lavorato tutto il giorno per rimettere in piedi uno dei tendoni travolti dal vento di Capodanno: “Noi aspettiamo qui e scenderemo solo quando potremo sederci di nuovo alle nostre scrivanie”.

Il dicastero: “Da lunedì prossimo attiveremo un tavolo di confronto tecnico”

Da pasta e pane le prime questioni sul piatto del 2010 astai italiani, a rapporto. Pvocati Mister Prezzi li ha conper controllare le cifre al dettaglio della pasta rispetto a quelli all’ingrosso e della materia prima. Roberto Sambuco, garante per la Sorveglianza dei prezzi, ha convocato il tavolo di confronto per il 19 gennaio nella sede del ministero dello Sviluppo economico. Perché l’aumento vertiginoso dei prezzi appare inspiegabile. I dati indicano che nell’ottobre 2006 il frumento duro costava 0,15 euro, un chilo di semola semilavorato 0,27, un chilo di pasta 1,18 euro. A fine novembre 2009 i prezzi sono aumentati del 4,2 per cento per il frumento (a 18 centesimi), del 7,1 per la semola (a 31 centesimi), del 39,7 per la pasta (a 1,65 euro). Federconsumatori è pronta a dare battaglia: “Stiamo prendendo in considerazione – spiega il presidente Rosario Trefiletti – l’ipotesi di un’azione collettiva contro i pastai per il periodo che va dallo scorso 16 agosto fino adesso. Per una famiglia che consuma un chilo di pasta al giorno la spesa è aumentata di 146 euro l’anno”. Ma Trefiletti avverte che “non sarà semplice perché è opportuno che i cittadini abbiano conservato gli scontrini della pasta”. Convocati al tavolo – oltre al Saco, braccio operativo del ministero delle Politiche agricole e Alimentari che si occupa di qualità e tutela del consumatore – i rappresentanti di tutta la filiera produttiva e commerciale. Lo scorso febbraio l’Antitrust aveva inflitto al “cartello della pasta” una multa per oltre 12 milioni di euro. E a metà dicembre la Guardia di finanza su ordine della Procura di Roma aveva perquisito le sedi della Barilla a Parma, della De Cecco a Pescara e Roma, della Divella a Rutigliano, in provincia di Bari, della Garofalo a Gragnano e della Amato a Salerno. Il reato ipotizzato era quello di manovre speculative sulle merci. L’impennata dei prezzi della pasta sarebbe sotto verifica a partire da settembre 2007. Sempre a dicembre Federconsumatori parlava di “calo vertiginoso” del prezzo della materia prima senza che a questo avesse corrisposto un calo della pasta. Mentre il prezzo della pasta cresce, quintali di pane vengono buttati ogni giorno e per fermare questo spreco si mobilitano anche Slow Food, universitari e l’ipermercato Conad di Bo(g.p.) logna.


pagina 12

Martedì 5 gennaio 2010

DAL MONDO di Maurizio Chierici

amore non può essere imposto come un dovere da caricare sulle spalle di ragazzi inconsapevoli di tragedie lontane. Nascondere la storia è impossibile, ma a volte conviene. Marcela e Felipe Herrera de Noble sono eredi del dolore e di una immensa fortuna che dalla nascita li accompagna nel paradosso. Fratelli per cognome, non di sangue. Eredi dell’impero editoriale Clarin, giornalone argentino; eredi di Canale 13, grande tv di Buenos Aires; eredi di radio, fogli sportivi e chissà quali intrecci editoriali nei paesi latini. Per Forbes appartengono alla famiglia che occupa il posto numero 147 fra i paperoni del mondo. Ma il potere che li attende non sono solo soldi. Impasto di media e affari, ambiguità che preoccupa la politica. Possono due ragazzi nati nel 1976 in una prigione della dittatura militare, madri e padri spariti nei voli della morte; possono riappropriarsi della vera identità e gestire il potere arrivato dal cielo come se i delitti che li hanno privati della famiglia naturale non fossero mai esistiti? Dubbi che al momento non vogliono sciogliere. Non un melodramma nell’alta società, ma la tragedia che sta cambiando, nel calcolo delle convenienze, la scelta morale. Marcela e Felipe sono i nomi inventati dalla signora che li ha adottati: Ernestina Herrera de Noble, oggi ha 84 anni. È entrata nella vita ballando il flamenco. Affascinante, intelligente, diventa la compagna di un signore di una certa età, Roberto Noble, fondatore del Clarín e intellettuale della politica vissuta non dimenticando gli entusiasmi gio-

L’

IL DESTINO DESAPARECIDOS NEL DNA LA STORIA DELL’ARGENTINA I figli di due vittime del regime eredi dell’impero Clarìn vanili per il socialismo. Apre il Clarín nel 1945. Cinque anni dopo incontra la ballerina, più o meno vivono insieme fin quando il vecchio signore divorzia dalla moglie e la sposa: è il 1967. Si ammala e muore due anni dopo. Ernestina eredita il Clarín e altre cose. Le difende in tribunale dalle pretese di Guadalupe, figlio del marito scomparso. Per resistere nel controllo delle proprietà chiede a un vecchio amico 10 milioni di dollari riunendo nella partnership La Nación (giornale storico-conservatore) e Papel Prensa, produttore di carta. Comincia la carriera di direttrice del Clarín, carriera formale nella regia degli antichi consiglieri del marito. Proprio mentre la dittatura dei militari P2 prende il potere; proprio quando le pretese di Gudalupe rifiutano conciliazioni, Ernestina adotta due bambini: 1976. “Li ho trovati un mattino davanti alla porta della casa di San Isidro e mi è mancato il cuore abbandonarli in un orfanotrofio”. Va dal giudice con due testimoni. Per amore, ma anche un piccolo calcolo, bambini che diventano eredi e le proprietà restano per sempre dietro i cancelli del suo giardino. Esistono tante argentine: il paese

dei politici che “rubano per la corona”, regno di Menem, e i politici che arrivano dalla provincia alla Casa Rosada quando la crisi minaccia la speranza. C’è anche l’Argentina delle madri di Piazza di Maggio, madri che diventano nonne alla ricerca dei nipoti rubati ai figli nei sotterranei delle caserme. Estella Carlotto e Tina Boitano incrociando il Dna rintracciano 190 nipoti cresciuti in famiglie dove pensavano d’essere nati. Figli immaginari di padri militari che se li erano portati a casa o venduti o regalati a potenti ricevendone riconoscenza. Comincia un dolore difficile da raccontare. Ragazzi che scoprono di avere amato assassini o complici di chi ha ucciso i genitori. Eppure la tenerezza non va sempre in frantumi: sentimenti complicati ondeggiano tra il ripudio e la riconoscenza. Nei registri delle Nonne di Piazza di Maggio mancano notizie di 19 nipoti che i familiari dei giovani uccisi 30 anni fa continuano a cercare. Il giorno del ritrovamento di Marcela e Felipe coincide con la nascita in carcere di un bambino e una bambina, madri e padri diversi. Genitori svaniti dopo il parto. E le nonne chiedono la prova del Dna. Ernestina Herrera

Marcela e (dietro di lei) Felipe Herrera de Noble (FOTO ANSA)

de Noble, dal trono del Clarìn, rifiuta con sdegno. Un magistrato chiacchierato, Roberto Marquevich, la manda in galera appena scopre che i suoi testimoni confessano il falso e che la madre alla quale la signora aveva raccontato di essersi rivolta per chiedere l’adozione, non è mai esistita. Lo scandalo scuote Buenos Aires. Si parla di libertà di stampa minacciata e di una magistratura che fa politica per intimidire il grande

giornale. Marquevich rimosso, Ernestina De Noble libera, ma il nuovo giudice non può che richiedere “ immediatamente” la prova Dna: due famiglie riconoscono nelle immagini dei ragazzi “incredibili somiglianze” con le figlie svanite. Passano sette anni. Ingiunzione rallentata dai grovigli del foro. Alla fine si arrendono. Ma il decreto nel frattempo è cambiato sfidando la legge: l’esame al quale Marcela e Felipe do-

vevano sottoporsi non si fa alla Banca Nazionale dei Dati Genetici, autorizzata a emettere sentenze in quanto raccoglie il Dna di tutti i desaparecidos. Marcela e Felipe offrono il loro sangue al Corpo Medico Forense, il quale non avendo né autorità, né laboratori, si affida ai risultati di laboratori privati. Se il Dna delle due famiglie indicate non coincide con quello dei ragazzi, caso chiuso e Marcela e Felipe non sapranno mai di chi sono figli non essendo previsto un riscontro alla Banca della Genetica col Dna delle famiglie che cercano. Tornano i sospetti, ma donna Ernestina e i ragazzi rispondono tranquilli: abbiamo fatto il nostro dovere, caso chiuso. Caso aperto per Estella Carlotto e le Nonne di piazza di Maggio. Non si arrendono: la Boitano ha perso un figlio e una figlia, portati via quando erano studenti. Continua a cercare i nipoti di altre famiglie. Estela Carlotto rivuole il bambino messo al mondo dalla sua ragazza nel sotterraneo della Scuola Meccanica della Marina, ormai museo del dolore. Prima di sparire la madre gli ha dato un nome: Guido, il nonno di Marostica. Lo ha scritto in un biglietto passato non si sa a chi: così Estela ha saputo. Ecco perché non si rassegna. Impasto di dolore, vergogna, disgusto che non travolge Marcella e Felipe: loro sanno ma non vogliono sapere. Alta finanza ed editoria respirano sollevate: tanto potere nelle mani di chi scopre lo sterminio della famiglia da parte di poteri che prosperano attorno ad ogni governo, minacciava ripensamenti, una pena destabilizzante. Finalmente sono per sempre e solo eredi di donna Ernestina. Passato sepolto; salva la libertà di stampa.


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 13

DAL MONDO

Il vespaio Yemen sull’orlo di una crisi mondiale

N USA

Spari a Las Vegas due morti

U

n uomo armato ha aperto il fuoco nella lobby di un edificio federale a Las Vegas, uccidendo un agente addetto alla sicurezza e ferendo gravemente un agente federale, prima di essere a sua volta ucciso mentre tentava di allontanarsi dall’edificio.

AL QAEDA E UNO STATO DEBOLE: MIX ESPLOSIVO di Barbara Schiavulli

a tutti i requisiti per essere il paradiso della Jihad. Un governo debole e corrotto che non riesce a controllare intere regioni del paese. Un conflitto a nord dove la minoranza sciita influenzata e sostenuta dell’Iran combatte per l'autonomia e la costituzione di un emirato. Una guerra separatista a sud. Un confine poroso e un accesso al mare dal quale entrano ed escono militanti, droga e armi di ogni tipo che arrivano ad armare perfino i ribelli Somali. Un burrascoso rapporto con l’Arabia Saudita e un sistema tribale spesso molto radicale che di fatto ha più potere del governo. Ignoranza, povertà e mancanza di infrastrutture, Al Qaeda non poteva chiedere di meglio. Ci sono anche altri vantaggi rispetto a paesi come l'Africa o l'Afghanistan, dove i combattenti arabi per quanto accaniti e devoti alle cause, restano pur sempre degli stranieri. In Yemen, perché è questo l'ultimo paradiso di al Qaeda, invece sono tutti “fratelli”. È un po' una storia che si ripete, la mancanza di controllo, la mal distribuzione delle risorse tra la popolazione e il radicalismo imperante, fa si che un posto di millenaria bellezza,

H

apra le porte al terrorismo. Si è visto in Pakistan. In Afghanistan e in Iraq. Sono un po' di anni che lo Yemen chiedeva aiuto agli americani, che declinavano ogni invito a partecipare perché impegnati nelle loro guerre. Ma ora sono costretti ad aprire un nuovo file e firmare qualche altro assegno. Non che questo migliorerà le cose, ormai dovrebbe essere provato che finanziare la guerra, non impedisce il proliferare dei gruppi terroristici, come dice un analista yemenita: “Il mio paese è come un nido di api, se lo prendi a bastonate, volano ovunque e se riescono ti pungono anche, ma non se ne vanno”. Eppure la minaccia è altissima, le ambasciate chiudono, quella americana e britannica completamente, mentre in modo parziale quella francese e tedesca. I servizi segreti che pullulano nel paese parlano chiaro: potrebbe essere imminente un attacco, e la paura di qualche falla nell'intelligence, come è accaduto ad alto livello per l'11 settembre, ma anche solo qualche giorno fa con il fallito attentato sul volo di Natale che stava atterrando a Detroit con un nigeriano imbottito di esplosivo nelle mutande, fa si che tutti siano iperparanoici. D'altra parte lo Yemen è un paese dove fino a qualche anno fa, si pianificavano attentati verso

estero e soprattutto verso obiettivi occidentali, ma con la trasformazione nel 1990 del paese in una Repubblica e l'unione tra nord e sud, è entrato nel mirino degli integralisti come qualsiasi altro posto considerato alleato degli infedeli o troppo debole. Nel 2006 in Yemen qualcosa è cambiato. Al Qaeda si è trasformata. I suoi membri sono diventati quella della nuova generazione che ora paralizza il mondo. Solo ieri l'esercito yemenita ha ucciso due militanti ad Arhab, a una quarantina di chilometri dalla capitale Sana'a. Volevano stanare Nazih al Hanq, considerato il leader del gruppo affiliato ad Al Qaeda. Non l'hanno presto, ma i due uccisi secondo l'intelligence yemenita sarebbero coinvolti con le minacce che hanno fatto chiudere l'ambasciata americana e inglese. Hanq, insieme a molti altri, 300 dice il governo yemenita, ma molti di più per gli analisti, fa parte di quella generazione di Al Qaeda che ha combattuto in Iraq, sotto il comando del “feroce” (tanto da far

intervenire il numero due di Bin laden per calmarlo) Zarqawi ucciso dagli americani 2006. Gli anziani di al Qaeda, che ormai quattro anni fa si sono fusi con quelli di Zarqawi, invece erano quelli fedeli a Bin Laden, che tra l'altro vanta le sue origini in Yemen, i sauditi, gli eroi delle guerra in Afghanistan, quelli che trovarono rifugio tra i Taliban nella seconda metà degli anni '90.

Il santuario del terrorismo che gli Usa vogliono colpire vive di una rete di interessi tribali e l’antagonismo con i sauditi

In tutto questo pullulare di militanti, ci sono i capi tribali e forse presto i leader religiosi che appoggiano la loro presenza anche perché le recenti dichiarazioni del presidente americano Obama e del premier britannico Brown, fanno infuriare gli yemeniti nello stesso modo in cui gli iracheni non gradirono l'arrivo degli americani in Iraq. Ma il governo logorato, quello del presidente Saleh, come l'ex presidente Musharraf in Pakistan non sa dire di no ai soldi che pioveranno, il prezzo da pagare sarà di trasformare il paese in un campo di battaglia, non che non lo sia già, tra sud, nord ed est, la situazione è ormai da anni tesissima e già da mesi, anche se gli occidentali sono restii ad ammetterlo ci sono membri delle forze speciali americane che addestrano i militari yemeniti.

STRATEGIE&PAROLE

SE OBAMA DIVENTA COME BUSH di Giampiero Gramaglia

attentato di Natale sul volo Delta Amsterdam – Detroit, L’agenti fallito solo per l’imperizia del kamikaze. La strage di della Cia che, dalla Base Chapman nella provincia di Khost (Afghanistan orientale), coordinavano i raid dei Predator senza pilota sulle aree tribali lungo il confine afgano-pachistano. Gli allarmi a Time Square e all’aeroporto di Newark (provocazioni?, emulazioni?, burle criminali?, sventati pericoli?, falsi allarmi?). Gli episodi s’inanellano, la paura sale. A meno di un anno dal primo anniversario alla Casa Bianca, Barack Obama, il presidente nero degli Stati Uniti, si ritrova alla casella di partenza: a fare i conti con la guerra al terrorismo e con le conseguenze delle inefficienze mai sanate dei suoi predecessori. Bill Clinton ignorò, o comunque sottovalutò, la minaccia di al Qaida e il rischio Yemen, nonostante la trappola micidiale al cacciatorpediniere Cole all’ingresso nella baia di Aden il 12 ottobre 2000, che fece 17 morti e decine di feriti. George Bush rispose agli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001 contro New York e Washington più sul piano militare che dell’intelligence e della politica, creando i presupposti per due guerre non vinte (l’Iraq e l’Afghanistan) e infoltendo, con le bombe, i ranghi dell’integralismo e dell’estremismo. Così, Obama deve di nuovo promettere, in un contesto poco credibile, le vacanze alle Hawaii, che renderà l’America sicura, mentre i servizi di sicurezza civili e militari fanno acqua. E convoca oggi alla Casa Bianca un vertice delle 16 organizzazioni statunitensi che si occupano d’intelligence: sigle che dovevano già essere unificate, fin dal 2005, sotto un unico ‘zar’ – il primo fu John Negroponte, ambasciatore a Bagdad - e che, invece, continuano ad avere difficoltà di comunicazione fra di loro oltre che – figuriamoci! - con i servizi segreti e anti-terrorismo dei Paesi alleati. Al punto che accade che un giovane nigeriano integralista dichiarato e aspirante attentatore denunciato (dal padre) sale indisturbato su un aereo Usa diretto negli Stati Uniti, due mesi dopo aver ricevuto un regolare visto. Nel 2001, mesi dopo gli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono, i servizi d’immigrazione Usa recapitarono a domicilio, a due componenti dei commando suicidi, ormai deceduti, le proroghe dei permessi di soggiorno. Pare il trailer di un film già visto. Al pari delle ipotesi di

Barak Obama. Sopra, militari yemeniti a Sana’a (FOTO ANSA)

CANADA

La bara d’oro di “Nick” il boss

F

unerale con una bara color oro a Montreal, in Canada, per il figlio di un capo mafia. Nicolò “Nick” Rizzuto, 42 anni, ucciso il 28 dicembre in un conflitto a fuoco tra bande rivali, è stato sepolto in un feretro color oro dietro al quale per le vie di Little Italy, a Montreal, sono sfilate in corteo decine di persone a vario titolo legate al boss Vito Rizzuto, padre di Nick. Tra imponenti misure di sicurezza, il funerale è stato celebrato in italiano presso la chiesa intitolata a Nostra Signora. Riccardo Padulo, amico di famiglia, ha ricordato “Nick” parlando in italiano: “Agli occhi di Dio Nick era una bella persona, e la folla dei funerali lo dimostra”.

GRAN BRETAGNA

attacchi preventivi sul territorio yemenita, magari affidati a America. Anche l’Europa ha i suoi remake. Di fronte al riIpnosi di massa droni, cioè ad aerei telecomandati. Anche se John Bren- torno della minaccia e a un accenno di neo-decisionismo nan, consigliere di Obama per l’anti-terrorismo, assicura americano, gli europei ripropongono il copione della divia internet che non ci sarà l’apertura di un nuovo fronte, proprio men- visione. Il neo-ministro degli esteri europeo, la baronessa n ipnotizzatore tre il governo yemenita mette un veto a operazioni militari laburista britannica Lady Ashton, latita, al punto che il mibritannico ha americane e alleate sul proprio territorio, dopo che lo stes- nistro degli eEsteri italiano Franco Frattini le tira le frange, tentato ieri sera di so Brennan e il generale David Petraeus, un veterano invocando un coordinamento europeo. E, intanto, la Gran indurre in uno stato di dell’Afghanistan e dell’Iraq, hanno lodato l’atteggiamento Bretagna di Gordon Brown – proprio come fece quella di trance un numero “produttivo” del presidente Saleh. Nella guerra al terrori- Tony Blair - s’allinea su Washington sia sull’ipotesi di forrecord di persone smo, Sana’a, come Islamabad, sono alleati di Washington mare una forza anti-terrorismo multinazionale che utilizzando i network sull’idea di muoversi congiuntamente nello Yemen e in Soineludibili, ma non proprio affidabili. sociali Facebook e Nel primo anno della sua presidenza, la crisi economica e la malia. E Londra, Parigi, Berlino procedono in ordine sparso Twitter. Oltre 7.000 riforma della sanità hanno consentito a Obama di non fare alla chiusura, totale o parziale, delle ambasciate nello Yepersone in tutto il della lotta al terrorismo l’elemento centrale della propria men, mentre l’Italia e altri Paesi non lo fanno. Fortuna che mondo, tra cui molti politica interna e internazionale, come, invece, aveva pri- l’ottimo Herman Van Rompuy, presidente stabile del Conitaliani, si sono iscritte ma dovuto e poi voluto fare Bush. Ma ora la paura riporta il siglio europeo, prende l’iniziativa di convocare un vertice per prendere parte contrasto al terrorismo in primo piano. Alzando la minac- straordinario l’11 febbraio (ma per parlare della crisi ecoall’esperimento. cia, Bin Laden ha ottenuto – chissà se volontariamente - il nomica, non di sicurezza e terrorismo). risultato di rendere il linguaggio di Obama simile a quello di Bush, anche se, per il momento, le scelte restano diverse. Le promesBUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline se di “colpire i terroristi là dove loro sono perché loro non ci colpiscano a casa nostra”, l’impegno di ‘tolleranza zero’ verso chi sbaglia e gli annunci di giri di vite ai controlli si Compie 30 anni la Direttiva Uccelli miliardi di sacchetti in meno, 1,6 milioni susseguono (ma poteva già essere troppo Fu il primo atto legislativo dell’UE per la di tonnellate di petrolio risparmiate. tardi): d’ora in poi, i cittadini di 14 Paesi verprotezione della natura e in particolare dei Nonostante molti negozi eludano la ranno sottoposti a verifiche sistematiche volatili. nuova legge, il consumo rispetto allo all’imbarco verso gli Usa. A Cuba, Iran, Siria e Grazie alla Direttiva Uccelli, ancora oggi scorso anno sarebbe diminuito di 2/3. Sudan, Paesi nella lista degli ‘sponsor’ del terconsiderata uno straordinario esempio di Se nel 1969 l'uomo sbarcava sulla Luna, 60 rorismo, si aggiungono Afghanistan, Algeria, cooperazione tra gli Stati membri, esistono anni prima, nel 1909, Karl Nessler, inglese Arabia Saudita, Iraq, Libano, Libia, Nigeria, oltre 5.000 zone di protezione speciale, il 10% cambiava il corso della storia inventando i Pakistan, Somalia e, appunto, Yemen. della superficie totale dell'Europa. bigodini per i capelli. Per meritarsi la poltrona di presidente e il NoMolte specie devono la propria sopravvivenza Le barrette di metallo venivano bel per la Pace, Obama dovrà combattere il alla Direttiva Uccelli. arroventate su una fiamma e poi infilate terrorismo più con i fatti che con gli annunci Per migliorare il mondo basta scegliere il nei capelli trattati con un composto e facendo scelte non basate solo sulle opzionome giusto! chimico a base di idrossido di sodio. ni militari o di contrasto, ma sul dialogo, 12 mesi senza sacchetti di plastica L'incendio assicurava l'ondulazione l’economia, l’intelligence. Era già difficile, è Il primo giugno la Cina ha festeggiato il primo permanente dei riccioli. più difficile ora: la situazione nello Yemen anno di bando degli shopper di plastica nei (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria complica il puzzle militare e diplomatico nel supermercati. Il bilancio è più che positivo: 40 Cristina Dalbosco, Gabriella Canova) Grande Medio Oriente, dal Pakistan al Marocco. Ma i film già visti non vanno in scena solo in

U

LE MIGLIORI NOTIZIE DELL'ANNO/5: ANNIVERSARI VIRTUOSI


pagina 14

Martedì 5 gennaio 2010

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CINE-FO OD

FATIH AKIN Nouvelle cuisine alla turca

Parietti Rifiutai un contratto da 9 miliardi con Berlusconi

Beatty Seduttore da record: “Ho avuto 13mila donne”

Lutto È morta la cantante messicana Lhasa de Sela

Maradona Il Fisco mette all’asta il mitico orecchino di Dieguito

In anteprima da oggi a Roma “Soul Kitchen”, un “Heimat” ai fornelli. Il regista: “Mi sono ispirato a Buster Keaton e Celentano”

di Federico Pontiggia

P

ane, amore e… musica. Un inedito Fatih Akin, il regista Orso d’Oro de La sposa turca, aggiunge un posto alla tavola delle feste con la commedia culinaria Soul Kitchen, che Bim porta nelle nostre sale dall’8 gennaio (da oggi solo a Roma). Quasi un Heimat dei fornelli, da inserire nel b side del cineasta tedesco di origini turche, solitamente drammatico (La sposa turca, appunto, e Ai confini del paradiso), ma di pregevole fattura, eccome. A confermarne duttilità regist(r)ica e sapienza stilistica, una commedia – gli anglosassoni la definirebbero “house party of a comedy” – che all’ultima Mostra di Venezia, allergica da consuetudine ai toni (felicemente) divertiti, non è andata oltre il Premio speciale della giuria presieduta da Ang Lee, sebbene la sinergia di pubblico e critica gridasse al Leone d’Oro. Poco importa, in fondo: iscrivendosi nella lunga e succulenta storia della cucina di celluloide, che vanta ricette nichiliste da Grande abbuffata, companatici spirituali al Pranzo di Babette, formaggi cristologici come La ricotta di Pasolini, paradigmi alimentari da Mangiare bere uomo donna e il flambé del Greenaway de Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, Fatih Akin sminuzza l’abituale materia prima conflittuale, sceglie ingredienti chilometro zero (amicizia, e la sua città preferita), e mette in pentola “il miglior soul che possiate trovare fuori dall’America”. Il ghiotto appuntamento è ad Amburgo, dove il giovane Zinos, con il volto di Adam Bousdoukos (primus inter pares in un ottimo cast, dove ritroviamo anche la coppia del suo Im Juli Moritz Bleibtreu e il cuoco Birol Ünel), non naviga in

buone acque: la fidanzata Nadine si è trasferita a Shanghai, i clienti del suo ristorante Soul Kitchen stanno boicottando la cucina del nuovo chef e il mal di schiena lo debilita. Malgrado l’innovativo stile culinario finisca per essere apprezzato, Zinos si scotterà comunque: partito per raggiungere Nadine in Cina, lascia il ristorante nelle mani inaffidabili del fratello Illias (Bleibtreu), in regime di semilibertà. Entrambe le decisioni si riveleranno sciagurate: Illias perde al gioco il ristorante a beneficio di un losco agente immobiliare, Nadine si ripresenta ad Amburgo con un compagno dagli occhi a mandorla. Se la cucina è sensuale, amicale e coreografata da uno chef visuale, Akin, che meriterebbe le tre stelle Michelin, anche il soul c’è tutto, in una colonna sonora raffinata e coinvolgente, che spazia da Kool & The Gang a Quincy Jones, da Sam Cooke a Ruth Brown, con il controcampo hip hop ed elettronico amburghese. Tutto il resto è divertimento, corale e a tratti incontenibile: una gioia per gli occhi, e non solo, con il titolo “scippato” ai Doors. Jim Morrison dedicò al soul food restaurant Olivia’s, dove faceva le ore piccole fino a farsi cacciare a calci (“Let me sleep all night, in your soul kitchen”), la canzone omonima, che purtroppo non è stata inserita nel film per i diritti esorbitanti: “Da sola costava come l’intera soundtrack”, lamenta il 36enne regista. Akin, perché una commedia? Mi sentivo spossato dal mondo pesante e serio, troppo serio, che avevo inquadrato finora. Volevo uscire dallo stallo cercando qualcosa di diverso, e mettermi in gioco in prima persona: “Se non lo faccio ora, non lo farò mai più”, mi sono detto. Ero molto spaventato, il che è buffo davanti a una commedia. A prima vista, potrebbe sembrare una scelta, e una sceneggiatura, più semplice rispetto ai miei film precedenti; in realtà, è più complicato fare umorismo che mettere in scena un dramma. Non solo, la sfida più impegnativa è stata ritornare alla classica divisione in tre atti, che da tempo avevo abbandonato: è di gran lunga più difficile rispettare le convenzioni che trasgredirle.

E commedia sia… Da sempre, ho voglia di sperimentare. Mi annoio a morte quando vedo alcuni registi che fanno sempre lo stesso film. Viceversa, non hai remore a utilizzare spesso gli stessi attori, come Adam Bousdoukos e Moritz Bleibtreu. Mentre scrivevo il film, mi ispiravo proprio ad Adam e Moritz per lo sviluppo dei loro personaggi: per certi versi, si assomigliano, potrebbero davvero essere fratelli! Adam è l’uomo più forte che conosco: a volte pare caricarsi il mondo intero sulle spalle. Nella vita, è dav-

vero proprietario di un ristorante: quando lo chiamavo per parlare del film, con una mano stava al telefono e con l’altra portava i piatti in tavola... Quella che racconto è la sua storia: il fidanzamento saltato per aria e i problemi della sua Taverna greca, a cui si ispira il locale Soul Kitchen. Oltre agli attori, da chi ti sei lasciato ispirare? Per capire quale fosse il mio sense of humour, ho seguito chi mi diverte: Jim Jarmush, Adriano Celentano, Bud Spencer e Terence Hill, senza dimenticare Billy Wilder e Bu-

ster Keaton. Come nell’hip hop, ho campionato tutte queste influenze, senza imitarne nessuna, per trovare un nuovo ritmo. E il titolo, Doors a parte, da dove viene? Tutti gli immigrati, e specialmente i turchi, si identificano con la musica nera… e Amburgo è la città della Black music! Amburgo, appunto: non sembra una location, ma un personaggio a tutto tondo. Soul Kitchen è un omaggio alla città dove sono nato e dove vivo. Sono stato a Istanbul molte volte, ma nessun altro posto è come Amburgo, dove ho ambientato pure la prima parte de La sposa turca, anche se nessuno sembra ricordarsene. Dopo molti viaggi e soggiorni all’estero, l’ho dovuta riscoprire, riaprire gli occhi e vederla di nuovo: nel film, troverete molti locali che già oggi non esistono più o scompariranno tra poco, perché Amburgo è una città in costante fermento e in continua evoluzione. Purtroppo, al cinema c’è sempre Berlino, Berlino e Berlino: questa è la sua rivincita! Come te la cavi ai fornelli? Non sono un bravo cuoco. E mi spiace, perché conosco molti chef e sono tutti strapieni di belle donne, affascinate dalla loro cucina: ho sempre cercato di imparare, ma con scarsissimi risultati… In alto Fatih Akin, una foto di scena di Soul Kitchen e sotto Gianni Di Gregorio (FOTO ANSA)

Gianni Di Gregorio

accompagnate al bicchiere dall’esordiente regista: “Non sono vini da grande sommelier, che non mi pecco di essere, ma da bevitore d’esperienza”. Fatto sta, che il premiato Pranzo di Ferragosto è stato apparecchiato “rispecchiando la mia vita, quella di un romano di Trastevere: il mio amore per la cucina e il bere ha trovato libero sfogo anche sullo schermo, con un film istintivo, intimo”, dice Di Gregorio, che tra le tavolate cinematografiche preferite cita i du’ spaghi di Accattone e La ricotta di Pasolini, Il pranzo di Babette e I morti di John Huston: “La cucina è come l’amore: è il primo sostentamento, da lì nasce tutto. Inoltre, anche al cinema i momenti conviviali possono dire molto: a tavola i perso-

CIBO DI CELLULOIDE I PIATTI DEL PRANZO DI FERRAGOSTO spic di verdure innaffiato di MuscaAcocktail det, “che è un po’ il nostro Frascati”; di scampi con Prosecco di Valdobbiadene; frittata di cipolle e pancetta con un calice di Trebbiano d’Abruzzo o di Soave. Sono alcune de Le ricette del Pranzo di Ferragosto (a cura di Susanna Cascella e Simone Riccardini, Fandango, pagg. 96, 20), scelte dalle quattro arzille protagoniste (Grazia Cesarini Sforza, Marina Cacciotti, Valeria Bendoni e Maria Calì) del caso cinematografico di Gianni Di Gregorio e

naggi sono più rivelatori”. Prodotta da Matteo Garrone, l’opera prima è stata accompagnata dal regista in un tour europeo durato quasi un anno: “Il legame con il cibo ha colpito molto, anche grazie alla nostra cucina, senza dubbio una delle migliori al mondo. Gli spettatori li ho presi per la gola: dopo la proiezione, mi dicevano, veniva subito voglia di mangiare e bere”. Accantonate le padelle, ora Di Gregorio è “alle prese con la mia età: anche portati bene, 60 anni sono 60 anni, e il rapporto con le donne cambia colore, diventa un’altra cosa. Sono affascinato dall’addio melanconico al mondo femminile”, su cui verterà il suo nuovo film, che sta scrivendo. Non ancora definito il titolo, ma non sarà Il lungo addio: “Sarebbe drammatico, troppo. Viceversa, addolcirò la pillola col sorriso: d’altronde, non ci resta che ridere”. (Fed. Pont.)


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 15

SECONDO TEMPO

OGNI MALEDETTA DOMENICA

COPPI, STILE E MEMORIA

A cinquant’anni dalla scomparsa, ritratto del campionissimo simbolo dell’Italia che risaliva di Olivero

Beha

on era domenica, era soltanto un maledetto sabato di cinquant’anni fa quando se ne andava nel mito e nella malaria in un ospedale di Tortona Fausto Coppi, il principe dei superlativi. Su di lui è stato scritto tanto, ma mai abbastanza. Perché non è sufficiente trattarlo da insuperabile del pedale, da trasgressore del costume di quegli anni per la sua relazione con la “dama bianca” che oggi sarebbe incomprensibilmente banale per un giovane del nuovo millennio, da eponimo dei suivers, degli sportivi italiani e planetari. Coppi è stato comunque “altro” e sempre altro da altro. È stato la memoria del singolo e della collettività che usciva stremata dal dopoguerra, è stato sul manubrio un fenomeno della Ricostruzione, è stato l’Italia che vinceva in uno sport atrocemente duro, terragno, ma anche alato e pieno di sogni e di miraggi, è stato lo stile fatto persona che rimandava al cavaliere errante dei secoli andati, è stato un campione metasportivo in tutte le sue manifestazioni, e in tutti i ricordi delle sue manifestazioni. Come se trasmettesse un’idea di nobiltà sudata e

N

Intanto imperversa il calciomercato e alla Juventus si gioca al toto allenatore: peggio non potrebbero fare

storica che faceva da piattaforma a una generazione intiera in cerca di riferimenti. Il destino l’aveva scolpito in un certo modo, dal naso leggendario alla figura esile, dallo sforzo contenuto all’entusiasmo sempre rappreso, dall’enigma del suo inarrivabile talento alla controprova della sua esilità così fragile e resistente di stamina. Il “meglio morire con la testa bionda” del poeta, per cui rimani caro agli Dei se ti rapiscono giovane nell’alone del ricordo, si trasferisce ai quarant’anni di Coppi e alla sua leggenda che non lo prevede vecchio e ingrassato ma sempre uguale a se stesso, a quell’airone-uomo che spinge sui pedali sempre e comunque nella compostezza dello stile. Lo stile, lo stile di Fausto, lo stile di vita di Fausto, e la classe di Gino che gli era stato offerto come contraltare perché non rimanesse troppo solo nell’immaginario della bicicletta. Ma Bartali aveva attraversato più epoche, con la guerra a tagliargli le gambe e i traguardi, e la sua storia è quella di un altro campione meraviglioso ma diversissimo, di cui si ricorda la bici, la toscanaggine e l’attentato a Togliatti per avere dei riferimenti nitidi e precisi. Coppi è altra cosa, di nuovo altro da altro. Basta dire Coppi, l’uomo solo al comando, e non conta tanto dove, come, davanti a chi, quando, queste sono perifrasi giornalistiche che si sublimano fondendosi nell’emotività legata alla memoria e allo stile, una memoria dello stile e insieme uno stile della memoria, oltre il ciclismo, per una di quelle rare figure che rompono gli steccati e riassumono uno spirito del tempo, nel caso di quell’Italia di metà Novecento. Coppi in realtà viene ricordato non negli anniversari ma tutto l’anno se il pensiero corre a quell’Italia, a quella storia di uno e di tutti,

Fausto Coppi e Gino Bartali (FOTO ANSA)

alla bicicletta che resta un oggetto di culto dello sport e del cinema in un neorealismo che tingeva di sé tutto quanto. Di questa memoria condivisa ci sarebbe bisogno e il presidente Giorgio Napolitano in questa fine d’anno avrebbe fatto Bingo politicamente e culturalmente parlando di Coppi invece che delle solite, magari giuste, certo straprevedibili cose. a quel maledetto sabato a Dcasoogni domenica, in questo ancora senza campionato se non quello in buona

parte parolaio del calciomercato invernale. Un mese di campagna che per lo più finirà nelle bolle di sapone gigantesche di un artista vietnamita in questi giorni a Roma, uno che in una bolla ci fa entrare un elefante… Dalle mitologie coppiane alle bolle calcistiche e non solo, la strada è improvvisamente breve: per i tifosi i nomi sui giornali riempiono la fantasia, a spese delle banali e razionali considerazioni che il calcio e una squadra di calcio sono entità insieme lineari e complessissime. Per inten-

D’ALEMA E B: L’INCIUCIO NON PIACE IL SONDAGGIO DI FINE ANNO DEL FATTO: I DUE POLITICI BOCCIATI A PARI MERITO di Lorenzo Allegrini

Alema a pari merito con D’ Berlusconi. Anzi, con una preferenza in più. Purtroppo per “baffino”, però, non si tratta del risultato delle elezioni politiche, ma del sondaggio del Fatto Quotidiano sul meglio e il peggio del 2009: i lettori possono votare sul sito www.antefatto.it fino a dopo la Befana. Massimo D’Alema è in testa, per ora, come peggior politico nei ranghi dell’opposizione (6.227 voti), mentre Berlusconi è il suo omologo nella maggioranza (6.226 ). L’inciucio, insomma, non piace. I lettori del Fatto, nel centrodestra, gli preferiscono Fini, mentre il loro paladino, nella minoranza, è Antonio Di Pietro.

Ma non si parla solo di politica. Online si possono votare i venticinque migliori e i venticinque peggiori personaggi dell’anno 2009, scelti in un cesto di categorie molto ampio, che contiene politica e sport, vita sociale e attività culturali. Per esempio: il cinema. Come miglior film del 2009 sembra avere una marcia in più “Bastardi senza gloria”, di Quentin Tarantino, che si avvia ad accaparrarsi anche la palma di miglior regista facendo il pieno di consensi. Dall’altra parte, tra le peggiori pellicole, non ha per ora rivali “Natale a Beverly Hills”, come anche il suo protagonista, Christian De Sica, considerato l’attore meno meritevole dell’anno passato.

I lettori del Fatto amano le inchieste e odiano i salotti. Tra i programmi televisivi “Annozero” e “Report” si contendono il primo posto. Mentre le poltrone di Vespa in “Porta a Porta” e quella del confessionale del “Grande Fratello” sono rispettivamente al primo e al secondo posto nel girone infernale degli “inguardabili”. Il miglior giornalista televisivo è Michele Santoro. Il peggiore Bruno Vespa. Tra gli anchorman non giornalisti spicca Fiorello (640), seguito a brevissima distanza da Fabio Fazio (481). La peggior conduttrice è considerata Barbara D’Urso. I lettori, quando navigano in Internet, scelgono il blog di Grillo, mentre evitano ilgiornale.it, il sito del quotidiano diretto da Vittorio

Feltri, considerato anche di gran lunga il peggior giornalista della carta stampata con 3.857 voti. Infine, è stata poco apprezzata la campagna acquisti della Juventus: in testa, come peggior calciatore del 2009, c’è il flop Felipe Melo.

Migliori e peggiori del 2009: si può ancora votare sul sito di Antefatto.it

derci, il modo in cui un centravanti di valore rubato al basket come Luca Toni riuscirà nella Roma dipenderà da molti fattori, di cui forse l’aspetto tecnico non è davvero il più importante. Nell’alchimia dei rapporti, l’insieme di un gruppo è un organismo vivente, una sorta di plancton pallonaro che dipende da elementi prevedibili e imprevedibili. Voglio dire che non c’è solo “la palla rotonda che può prendere il palo oppure no”, c’è anche un’organizzazione societaria, tecnica, medica che fa delle squadre un insieme che funziona oppure no. Non sono album di figurine, anche se spesso vengono mediaticamente o societariamente spacciate come tali. Penso ad esempio che sarà più difficile immettere un altro straniero come il macedone Pandev nell’Inter pigliatutto (che se non vince la Champions rischia di diventare “piglianiente” anche con l’ennesimo scudetto), e peggio mi sentirei con altri innesti. Come sembra incredibile che alla Juventus giochino quotidianamente al toto-allenatore. Peggio non potrebbero fare. Meglio il Milan, allora, anche se bascula tra una quadratura tecnica sofisticata e il rischio di un bluff atletico se improvvisamente chi corre smettesse di correre. Ma almeno Beckham l’hanno sperimentato, e non mi stupirei se lui e Huntelaar o Borriello reggessero un bel po’ lì davanti. Quanto al discorso che facevo sulla memoria e sullo stile a proposito del marzia-

no umanissimo Fausto (non gli avranno messo nome Fausto a Bertinotti per Coppi?), calza a puntino per la Fiorentina dei Della Valle bros e di Pantaleo Corvino. Sia pure con una sessione di ritardo, risparmiando certo denari ma perdendo punti preziosi, la Fiorentina ha acquistato un ottimo difensore, Felipe. Era una questione di soldi e di tecnica, la memoria non c’entra e lo stile neppure, o quasi. Memoria e stile entrano invece in gioco per Adrian Mutu. Se il giocatore volesse chiudere la carriera a Firenze, come è possibile che il club non tenga conto che questa Fiorentina, nata dalle ceneri della precedente via Florentia, non ha radici? Non ce n’è uno di prima in società, l’unico che ha creato continuità vera è Prandelli: il resto è un vendi e compra, per carità legittimo ma che nulla ha a che vedere con l’alone anche solo perifericamente mitico od onirico del calcio. Che prevede un’appartenenza, un’identità, una bandiera anche se sempre più abbrunata. Mutu potrebbe esserlo, è un “fenomeno” rinato a Firenze, che potrebbe far da chioccia ad altri pulcini, potrebbe addirittura finire la carriera in un altro ruolo, da regista di centrocampo. E invece il conto si fa su quanto si realizza vendendolo ora oppure in estate. Mamma mia, che brutto calcio in generale, e che peccato per l’esalazione della memoria e l’arrugginimento dello stile. Ci vorrebbe un arrotino…


pagina 16

Martedì 5 gennaio 2010

Martedì 5 gennaio 2010

pagina 17

SECONDO TEMPO

+

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

L’influenza del vaccino di Luigi Galella

g1 La parola chiave è “allarme”. Nuova falla T nei sistemi di controllo americani, nuovo allarme all’aeroporto di Newark, trasformato in un “bivacco”. Una donna confessa che “più controlli ci sono più mi sento sicura”. “E’ il segno dei tempi”, dice un altro. Tempi nei quali veniamo informati, ad esempio, che solo in Europa ci sono centinaia di milioni di vaccini inutilizzati. Ma com’è possibile? Forse il Tg1 – ci chiediamo animati da un filo di speranza - vorrà rispondere a questa domanda, che dovrebbe imbarazzare fior fiori di sedicenti scienziati e politici, intervistati a più riprese, che hanno acceso e alimentato a suo tempo la miccia dell’allarme planetario dell’H1N1. Solo l’Italia ha acquistato circa 49 milioni di dosi, i tedeschi 50 e i francesi addirittura 100 – che volevano fare, vaccinarsi due volte? Un affare gigantesco per le multinazionali dei farmaci, ma nessuno che dica come sia stato possibile turlupinare il mondo intero. Sarà il Tg1 che ce lo spiegherà? Restiamo in trepida, “allarmata” attesa.

g2 Cinquant’anni. Il T tempo che ci divide dal

momento in cui l’inf lazione, 0,8% nel 2009, toccò un picco più basso. Potrebbe sembrare una notizia positiva, ma è solo il segno della crisi di consumi in cui ci troviamo. Il Tg2 anziché spiegare mostra tabelle su tabelle, ai più forse incomprensibili, che si potrebbero tradurre in una nozione semplice: c’è poco denaro in circolazione non perché siamo parchi e virtuosi, ma perché stentiamo. Cinquanta sono anche gli anni che ci dividono dalla morte di Enrico De Nicola, che Napolitano – servizio di Daniela Vergara – domani commemorerà. Primo Presidente della Repubblica, primo Presidente della Corte. Dove lo ricordavano come quel signore che rifiutava l’auto di servizio e prendeva il treno, pagando di tasca sua, per tornare a Napoli. Cinquant’anni: un’eternità.

g3 Tg1 e Tg2 la ignorano, eppure la notizia T è ghiotta. Dobbiamo attendere il Tg3 per sapere qualcosa della “dialettica” interna alla Pdl fra “Il Giornale” della famiglia Berlusconi e Renata Polverini, candidata a governatore del Lazio. “Attacca lei per attaccare Fini?”, chiede l’intervistatrice. “Non credo di essere così importante”, la risposta. “Ma perché Berlusconi non interviene sul direttore?” E lei: “Evidentemente perché Feltri gode di piena autonomia”. Intanto la retorica di Feltri è dipinta da FareFuturo, vicina a Fini, come quella del “fascismo della prima ora”. C’è chi può ricordarsene.

di Fulvio

SECONDO TEMPO

Maschio avvisato Abbate

bravissima Francesca ha finalmente reLso aReggiani possibile il mancato sogno televisivo che un po’ di anni fa apparteneva a Ornella Vanoni. Lo stesso miraggio che, colpa forse della prematurità dei tempi, non ebbe modo di decollare, di trasformarsi in perfetto format “giamaicano”. Lo so bene perché avrei dovuto personalmente affiancare la stessa Ornella e la scrittrice Dacia Maraini come autore (maschio, esperto, esegeta). Si tratta finalmente di un programma, dove la femmina sventurata narra d’essersi fatta calpestare, e quel che è peggio, silenziosamente, da un uomo, il suo. Che poi, in realtà, era di un’altra e un’altra ancora, risultando dunque, sia detto con rispetto massimo per l’attitudine al male, un vero pezzo di merda. Altro che “idolo”. Un bastardo professionale, semmai. Tuttavia assai apprezzato dalle amiche già in fila dalle prime ore del mattino per farsi anche loro ciancicare sentimentalmente e sessualmente dal suddetto campione di disonestà, il solito personaggio dell’eponima canzone di Marco Ferradini, “Teorema”. Quella che dice esattamente

“Prendi una donna, trattala male…”. Il meccanico è semplice, così come il titolo del programma nella sua tautologia, Bastardi (su Comedy Central, canale 117 di Sky). Nell’ordine, tu, gabbata, scrivi tristemente a Francesca come sono andate le cose: bugie, appuntamenti mancati, sotterfugi, cellulari spenti, mazzate finali. Comprese le copiose lacrime conclusive, consumate insieme con i dischi di Mia Martini, messi sul piatto per tirarti su di morale. Inutilmente. Ci sarà modo di raccontare tutto per filo e per segno: con filmati in grado di ricostruire i luoghi del sogno, delle attese, del calvario che invece poi è stato. Lillo, 40 anni, nel caso di Federica, è un militare di carriera, forse addirittura un poliziotto, ecco così giungere le immagini della “cittadella militare” della Cecchignola. Peccato, che lui, il graduato, sia già regolarmente sposato e padre di un figlio di sei anni, ciononostante, come racconta la scheda letta con perfidia da Francesca Reggiani, l’uomo, il bastardo non rinuncia a un proprio “territorio di caccia” Francesca Reggiani su Comedy Central, canale 117 di Sky

extra-coniugale, le discoteche oltre l’Anagnina, in primo luogo. Francesca che ritrova lo stesso occhio della signora Franca Leosini quando invece quest’ultima tratta dei misfatti del cosiddetto “Canaro della Magliana”. La complicità è implicita, intanto che l’asticella del “bastardometro” si precipita verso l’acme della vergogna, del crimine: traditore, infingardo, infame, bastardo, viscido bastardo, bastardo schifoso, lurido bastardo, gran bastardo. Stop. Dove si riconosce la qualità in luogo dell’adesione al luogo comune dentro “Bastardi”? Semplice, Francesca Reggiani, pur avendo davanti a sé un paesaggio di macerie e di banalità riesce a consegnare al pubblico ironia e perfino un sottofondo di denuncia “politica”, non la banale complicità femminile e neppure il femminismo di maniera che ben conosciamo in Alba Parietti, no, lei, Francesca Reggiani, va giù dura con gli acidi del sarcasmo. Per la salvezza dell’onore femminile, per il futuro dell’intelligenza in televisione. Continua così, mi raccomando, resta un pezzo unico, Francesca. www.teledurruti.it

MONDO

WEB

“Migliori” in 100 giorni tempo ci vuole per Qgliouanto diventare “una persona mire”? Un minuto, un giorno, un anno, o di più? Spesso non basta una vita intera, eppure oltre 800 persone, come segnala la rivista di cultura digitale Wired Usa, hanno aderito alla campagna “Make me a better person” ovvero “fammi diventare una persona migliore”. L’invito è rivolto in primo luogo a se stessi perché gli aderenti si impegnano a svolgere un’attività edificante, ogni giorno, per cento giorni. L’idea è venuta al comico statunitense Josie Long: “Può essere ciò che facciamo ogni giorno – la sua suggestione – a portarci verso qualcosa di grande. L’unica cosa importante è rafforzarsi: siate più amichevoli, più forti, più saggi o giusto più sciocchi”. L’iniziativa – che sarà presentata il prossimo marzo al “World Festival” di Londra – è partita il primo dicembre e da allora è cominciato il conto alla rovescia. Hanno già aderito scrittori, musicisti, e comici. Pictish Trail, una folk band sta-

tunitense, si è impegnata a scrivere una nuova canzone ogni giorno. Chris Killen, blogger e scrittore, si è detto pronto a “dedicare un’ora ogni giorno per aiutare qualcuno in qualcosa”. Ma sono i semplici navigatori che sul sito hundreddays.net offrono i loro impegni. C’è chi si impegna a leggere un articolo a caso, su Wikipedia, tutti i giorni e “di scrivere qualcosa ispirato da ciò che ho letto”. Chi dice che “ascolterà qualcuno che ha qualcosa da dire” chi “sorriderà e saluterà uno sconosciuto”, chi “imparerà ogni giorno una nuova parola di spagnolo e di tedesco”. Gli impegni, dai più seri ai più creativi, continuano a susseguirsi: ancora adesso chi vuole può andare sul sito e scrivere il proprio. Sempre che si voglia diventare una persona migliore.

è SU FACEBOOK IL “NO LEGA NORD DAY” CONTRO RAZZISMO E OMOFOBIA

Il No B. Day del 5 dicembre ha colpito nel segno: continuano a proliferare le iniziative che, partendo da Internet, puntano a una mobilitazione reale. Dopo lo “sciopero degli immigrati” lanciato su Facebook, di Federico Mello anche in Francia, per il primo marzo, un gruppo con 15.000 iscritti punta ad organizzare un “No Lega nord Day” il 6 marzo 2010, a Milano. “Una società che si ritenga civile – scrive è ADOTTA GIUDIZIO UNIVERSALE l’amministratrice del gruppo Elisabetta UNA NUOVA INIZIATIVA EDITORIALE Pollattiero – deve avere come cardini Lo storico mensile Giudizio Universale è da poco portanti i valori del rispetto della dignità tornato in attività grazie al sito web della persona e dell’accoglienza e non Giudiziouniversale.it dove ogni giorno trovano deve accettare in nessun modo i spazio recensioni, articoli e un’apertura dedicata fomentatori di razzismo e omofobia”. all’attualità. Per rafforzarsi e, come scrivono online, onorare il loro impegno (“un partito-cultura che ogni giorno gratuitamente ti si offre”) ora al giornale lancia un novo progetto: da marzo sarà in libreria, o disponibile in abbonamento, una collana di Guide Monografiche. Si parte con l’8 marzo con “Guida al corpo femminile” di Carlo Flamigni e Margherita Grambassi.

Il sito “better person”; il gruppo Facebook “No Lega nord Day”; un fotomontaggio dal Web, il “Doodle” di Google

GRILLO DOCET VOCE ROTTA PER RIOTTA

Inizio d’anno bollente al Sole. Alle 18 del 30 dicembre l’uomo dell’anno era Marpionne. Poi Riotta è arrivato stralunato dai grafici e gli ha detto di cambiare tutto: via Marchionne, su Tremonti. Chissà cosa sarà successo, fatto sta che il giorno dopo il Sole 24 Ore esce con Tremonti uomo dell’anno, “votato dalle firme del giornale”. Pare invece che, per la votazione, nessuna firma sia stata interpellata. Di qui la valanga delle polemiche. Prima all’interno della redazione, con scambio di mail tra il comitato di redazione e Riotta. “Ti chiediamo di intervenire affinché sul giornale sia resa pubblica la composizione del campione, visto che il generico riferimento a firme del Sole potrebbe indurre il lettore a ritenere che quelle stesse firme, che quotidianamente ritrova sul giornale, abbiano contribuito e condiviso la scelta dell’uomo dell’anno”. Replica del direttore: “La scelta editoriale non è un referendum. Abbiamo discusso e ragionato in riunione e in direzione”. Amen. Ma non finisce qui perché il più blasonato sito economico, lavoce.info, spara un sarcastico articolo di Tito Boeri che sbertuccia Riotta gratificandolo con il “Premio Indipendenza 2009”. Esploso ormai il caso, il Sole torna sul fattaccio è CRAXI COME GIORDANO BRUNO? scodellando il LA PROTESTA DELL’ASSOCIAZIONE giudizio DEDICATA AL FILOSOFO pro-Tremonti di Toni Continuano le polemiche sulla proposta di Polito e quello Letizia Moratti di dedicare una strada di contrario di Boeri e è GOOGLE E NEWTON Milano a Bettino Craxi. Il sindaco aveva di Oscar Giannino IL LOGO DEDICATO ALLO SCIENZIATO paragonato Craxi al filosofo Giordano (che conduce un Il motore di ricerca Google spesso Bruno, ma la prof.ssa Maria Mantello, programma per modifica l’immagine (“doodle”) presidente dell’Associazione Nazionale del Radio 24). della sua homepage per Libero Pensiero ‘Giordano Bruno’, ha commemorare eventi storici. Ieri, telefonato alla trasmissione Rassegna anniversario della nascita di Isaac Stampa su RadioTre per esprimere tutta la Newton, il “doodle” è diventato una mela che cade da sua contrarietà: “Non si può confondere un ramo. Anche se non tutti gli storici sono concordi l’oro con il fango – le sue parole. “Vorrei – ha con l’aneddoto, Newton avrebbe pensato alla gravità aggiunto – che il vergognoso uso pubblico terrestre quando una mela gli cadde in testa: perché, si dello storia che si sta facendo per cercare chiese, la mela cade sempre perpendicolare al terreno? riscatti a buon mercato, non crei uno stato di L’episodio, vero o falso che sia, ha reso la mela di confusione mentale dov’è vero tutto e il Newton simbolo dell’intuizione scientifica grazie a contrario di tutto” (il video è su un’osservazione attenta del mondo naturale. periodicoliberopensiero.it). Intanto il Questo “doodle” di Newton, inoltre, per la prima volta consigliere provinciale pd, Roberto Caputo, è animato. Probabilmente una prova in casa Google in ex socialista, ha suggerito di dedicare a Craxi vista di un ampio rinnovamento della scarna homepage. l’attuale “Via dell’innovazione” in quartiere Bicocca. Critiche sono arrivate da polisblog.it: “a questo punto perché non chiamarla: via del debito pubblico?”.

feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post “La via di un bandito” di Gianni Barbacetto Nulla, più di questa vicenda, mostra cosa sia diventata l'Italia del berlusconismo e della perdita di identità del principale partito della sinistra. Il revisionismo, in tutti gli aspetti, è ormai diffuso (Gerardo) Sarebbe carino fare un referendum tra gli abitanti della zona, prima di imporre una scelta tanto discutibile: ma questo ha a che fare con la democrazia e, in Italia, si sa, la democrazia è un optional... (Mirella) Mio padre dice che “è normale che si voglia intitolare a Craxi una via: ha portato tanti soldi a Milano”. Mio padre oggi ha una pensione, che gli paghiamo io e tutti quelli che pagano le tasse (non certo quelli dello scudo). Mio padre appartiene a quella fascia di sessantenni/settantenni che ormai sono sistemati, e che non hanno davvero nulla da pretendere da questo e dai governi passati e a venire. A mio padre basta una tv (Pasqualino) E intanto Berlusconi, ispirandosi a Craxi, sta cercando di portarsi avanti col lavoro (Retrologos) Non ho vissuto l'epoca di Craxi (fortunatamente o no, so solo che quella che vivo ora fa pena), può essere anche il miglior politico che abbiamo avuto nella storia repubblicana (anche se un altro dice di essere lui il migliore) ma fin dall'asilo mi hanno insegnato che chi ruba è una cattiva persona, deve subire le conseguenze delle sue azioni e affrontarle (non si scappa, chi lo fa è un codardo) (Filippo) Se intitolano una via a Craxi, la devono dedicare anche a Barabba, Ali Babà, Nerone, Hitler, Mussolini, Attila, Pietro Maso, Erika ecc... Capite il genere di persona che vogliono rivalutare??? (Marco) In un paese dove esistono nostalgici di Mussolini, non potevano mancare i “dolci ricordi” della corruzione e del debito pubblico andato alle stelle grazie al latitante in Tunisia, dove non solo lui e i suoi garofanini, ballerini etc, etc, organizzarono il Bengodi delle stecche per organizzare qualsiasi cosa (Ivo) Moratti Letizia, un bel 2 in storia e si ripresenti più preparata la prossima volta, altrimenti rischia di non essere ammessa agli esami per la licenza elementare (Gianni) Ritengo sia giustissimo intitolargli una via, infatti gli italiani erano così contenti delle sue ruberie che, in ultimo, lo hanno anche riempito di monetine... per le spesucce in ‘esilio’ (Taxi Driver) Grande, grandissimo Giorgio Bocca, un vero signore e giornalista, con la ‘G’ maiuscola, al contrario di un esercito di giornalisti (giornalisti?) senza alcuna dignità (Rai e carta stampata) (Stefano)


pagina 18

Martedì 5 gennaio 2010

SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE Pd, chi logora il potere? di Arturo

Parisi

inita con l’Ulivo l’idea della faticosa costruzione delle stabili coalizioni di progetto, dopo un anno passato a ripetere con Veltroni “prima-il-programma-prima-il-programma” sembra che il mio partito abbia intonato la marcia “quel-che-conta-sono-le-alleanze”, un altro modo per dire che quel che conta è vincere. Sono stato intervistato da questo giornale pochi giorni fa. E tuttavia sento la necessità di tornare almeno su un passaggio che ritengo in questi giorni cruciale. Mi riferisco alla denuncia della montante pretesa della totale autonomia della politica cioè della affermazione di un potere fine a se stesso, alla ricerca della vittoria a tutti i costi. Ora, sarà pure vero che in politica la conquista del potere è una precondizione indispensabile. Senza un progetto chiaro e appassionante, si finisce tuttavia per tornare esattamente alla casella dalla quale pensavamo di esserci allontanati, quando Andreotti ci spiegava che “il potere logora chi non ce l’ha” dimenticando che logora invece ancora di più chi non riesce a spiegare che cosa ne farà. E’ questo che il Pd non riesce ancora a comunicare: il progetto nuovo di un partito nuovo capace di rispondere alla profonda crisi del Paese. Un progetto che riconosca che la crisi attuale è certo nel suo esito economica, ma, nel mondo e nel nostro Paese, è soprattutto una crisi politica, una crisi delle regole legali e delle regole morali, la crisi della nostra capacità di governare le contraddizioni che la ricchezza e l’avidità hanno prodotto. Di questo vorrei parlare con gli amici pugliesi anziché di primarie e di alleati. Come dimenticare infatti che è dalla Puglia che sono venuti all’Italia nell’anno sciagurato che si è chiuso i segnali più allarmanti della nostra crisi: dalle malversazioni nella sanità, ai conflitti di interessi tra politica e imprenditoria, senza parlare degli squallidi scambi tra beni pubblici e prestazioni private che hanno visto coinvolti esponenti politici locali e nazionali, in Puglia e a Roma. E’ la Puglia che in quest’anno ha fatto da sfondo all’accusa che, destra o sinistra sono in fondo uguali, e ha alimentato la tentazione di fare del federalismo fiscale uno strumento non per risolvere ma per chiudere la questione meridionale e gettare poi la chiave. Questo per limitarci alla Puglia. Perché se lo sguardo si volge altrove, lo spettacolo non è certo migliore. Penso solo come ultimo esempio al cosiddetto esperimento di un nuovo equilibrio in Sicilia totalmente indifferente al principio che solo il voto dei cittadini può varare o rovesciare il governo

F

La proposta, quella che viene avanzata da dirigenti autorevolissimi come D’Alema, non è quella per la quale il partito è nato, né una sulla quale il partito abbia avuto la possibilità di decidere di tutti. E’ di questo che mi piacerebbe leggere o dibattere: di come un’alleanza con un partito invece che con un altro possa rispondere a questa crisi. Non di come sommare i voti, costi quel che costi, perché tanto quello che conta è vincere. Di quale direzione scegliere, non di come scegliere chi deve guidarci delegando a lui la scelta della direzione. E invece siamo ancora a dividerci su cose che dopo vent’anni dovrebbero essere da tempo alle nostre spalle: a dividerci sulle primarie mentre ribadiamo che esse sono comunque iscritte nientedimeno che nel nostro Dna, a dividerci sulla necessità di reintrodurre una legge proporzionale mentre proclamiamo di essere comunque per una legge che metta la scelta dei governi nelle mani dei cittadini. E’ questa la linea che ci manca. Non ci mancano le proposte per af-

frontare singolarmente i problemi economici del Paese che Bersani va illustrando con efficacia in abbondanza. Quella che ci manca è una linea politica che batta la resa morale, una linea di riscatto che affronti alla radice perché riconosce la radice politica della crisi del Paese, una linea di lunga durata che chiede progetti e soggetti di lunga durata, non alleanze occasionali e variabili scelte solo per vincere. E non perché una proposta manchi, ma perché la proposta, quella che viene avanzata da dirigenti autorevolissimi come D’Alema a nome del partito, non è quella per la quale il partito è nato, né una sulla quale il partito abbia avuto la possibilità di decidere con una forza titolata a ridefinire il profilo iniziale del Pd “restituendo” come dice D’Alema al Pd il profilo che avevano i partiti prima del Pd, prima dell’Ulivo e prima del maggioritario, per consentire finalmente ai partiti, cioè

ai capipartito, di governare il Paese. E’ su questa proposta che il Pd deve ancora decidere, decidere se affidarsi a una politica orgogliosa della sua autonomia professionale che chiede alla società delega, adesione e appartenenza di parte, o promuovere una politica che si faccia strumento per raccogliere dalla società idee, passioni e partecipazione da trasformare in progetto per tutti.

LA STECCA di INDROl Io, che pure di venti e venticelli credo di avere una certa esperienza, in Italia non ne sento proprio spirare. Quanto a puzze, mi pare che da certe parti del Polo ne arrivino di ben più ammorbanti che da quelle dell’Ulivo. (Corriere della Sera, 12 maggio 2000) Massimo D’Alema (FOTO ANSA)

noi&loro

É

di Maurizio Chierici

TV ALCOLICA I

l ministro della Sanità Fazio è professore di fama, cattedre importanti. Nel tempo libero fa il subacqueo e sa com’è pericoloso andare sott’acqua quando si è ubriachi, così come il professor Sirchia, ministro del Berlusconi 2, era consapevole del danno del fumo per i ragazzi che amano lo sport. Ha isolato gli impenitenti da ogni spazio pubblico, plaudendo ai titoli funerei: tabacco che uccide, avvizzisce la pelle, ruba il sonno. In Italia, come in ogni posto civile, i bolidi della formula Uno non possono correre con le Malboro sulla fusoliera. Di pubblicità in Tv non se ne parla. Appena arrivato, Fazio si è trovato tra i piedi un’influenza mortale che poi era veniale ma non per i guadagni delle case farmaceutiche. E il povero ministro non ha avuto il tempo per dare un’occhiata al Natale ubriaco festeggiato da tutte le Tv, spot pubblici e privati. Nei paesi normali il privato non ha obblighi istituzionali eppure non può comportarsi come crede. E la Tv pubblica deve essere lo specchio dei principi che distinguono la società civile dal far west. Ma nel far west delle nostre Tv il ministro non si è accorto che, per la prima volta nella storia Rai, una grappa ( 70 gradi ) si é infilata tra il quiz di Carlo Conti e il Tg delle otto di sera, 8 milioni di cittadini in attesa di notizie che non immaginavano alcoliche. Spot preceduto - bisogna dirlo – da un brandy che arrivava ballando e spumanti che liturgicamente sgorgano per onorare il Redentore. Appena Valentino Rossi rimonta in moto, non solo i miliardi della “sua” birra, ma gli amari che sciolgono il popolo dei timidi, lo accompagneranno ad ogni dirapata. Agli alcolici italiani è concesso ogni spazio Tv, non importa l’ora. Come raccomanda il presidente del consiglio “per incrementare i consumi ed uscire dalla crisi”. Restiamo all’avanguardia: siamo il solo paese G8 a concedere che i 40,50, 70 gradi ( per non parlare di vino e birra ) possano sedurre in Tv proseliti sprovveduti. Proibito in Spagna, Francia (solo un po’ di vino dopo le 11 di sera ), niente a Londra per non parlare della Germania e dei paesi del Nord. Alla vigilia del Natale ortodosso, che arriva 15 giorni dopo il Natale di Roma, perfino Mosca ha raddoppiato le tasse sulla vodka nella speranza di frenare “disagio sociale e spese pubbliche” provocate dalle patologie nelle quali il consumo dell’alcool avvolge le nuove generazioni. D’accordo, non siamo il nord del gelo e degli eccessi: l’Italia può consumare perché da noi non è un problema. Invece è un problema dai costi altissimi e accuratamente nascosti: raddoppiano i danni del fumo e sopravanzano i labirinti della droga. Bilanci della sanità massacrati. Lasciando perdere le tragedie del sabato sera, più di un milione di ragazzi sotto i 35 anni è sull’orlo delle patologie che l’abitudine comporta. Le ragazze drink raddoppiano ogni anno: incremento del 103 per cento; i giovanotti le seguono a distanza, appena il 37. Deliri che finiscono all’ospedale e allucinazioni sociali da curare con terapie costosissime. Eppure mai al lunedì mattina la radio ci avverte di maxi retate nel Nord Est: pub, bar, discoteche messe a ferro e a fuoco. E nessuno raccomanda di non dare retta a una certa pubblicità. Il ministro Fazio ha un anno di tempo per impedire l’apologia di reato: speriamo di tornare in Europa il prossimo Natale. mchierici2@libero.it

Italia dei valori (e delle incompatibilità) di Francesco Pardi

lores d’Arcais ha aperto sul Fatto una discussione utile. E’ inevitabile chiedersi che cosa possa fare l’Idv “per una nuova larghissima opposizione”. L’idea dirompente di scioglimento nel crogiuolo sociale è motivata dalla necessità di un profondo processo rigeneratore dell’intera opposizione. Ma se il partito invitato a sciogliersi ritiene la palingenesi troppo rischiosa? La prossimità delle elezioni regionali favorisce quanto meno il rinvio della questione. E’ vero che chi considera il partito insufficiente dubiterà che possa crescere nel consenso elettorale. Ma al contrario si può porre la domanda: Non è sufficiente sciogliere il partito alla vigilia delle eleziola rinuncia ai doppi ni? Ora il partito va al priincarichi ma mo congresso della breve storia. E’ bisogna individuare sua impossibile che affronti la scadenza le numerose con la programmainconciliabilità: zione dello scioglimento. Ma potrebbe tra professione e adottare scelte che capire senza incarico elettivo, tra facciano ambiguità la direziosoggetti di iniziativa ne presa. L’Idv deve prendere atto che la politica e organi sua debolezza nel voto amministrativo didi controllo pende dall’incapaci-

F

tà del partito locale di essere all’altezza della sua funzione nazionale. E la diffidenza dell’elettorato è oggi determinata assai più dai dubbi sulla natura interna del partito che dalle sue scelte programmatiche. Per superare le diffidenze l’Idv dovrebbe considerare i circoli luoghi dove si eserciti il libero confronto con le molteplici istanze della società, come ha già scritto Di Pietro. Ma se saranno trattati come organi di partito i circoli sono già morti. L’Idv dovrebbe fare passi decisi verso una maggiore trasparenza e democrazia della sua struttura. Vattimo ha difeso a spada tratta la leadership carismatica. Ma il carisma non si trasmette per via gerarchica. E il partito si avvantaggia di una struttura fluida fatta di persone competenti e responsabili ben più che di una struttura rigida incardinata su esecutori acritici. Il congresso dovrebbe fissare l’elezione di un organo dirigente collegiale e, per distinguere il futuro dal passato, togliere il nome del leader dal simbolo. Nel partito si dovrebbe fare carriera non per anzianità ma per merito: aver svolto dignitosamente compiti organizzativi non dovrebbe costituire motivo automatico per candidature a incarichi elettivi. Nel futuro si potrebbe immaginare una prassi diversa dal tesseramento, che porta all’irrigidimento di piccole caste, a favore di una partecipazione sulla base della capacità promozionale. In questo senso anche i circoli, dall’esterno, potrebbero dare contributi costruttivi. Il volto che il partito mostrerà nelle elezioni regionali sarà decisivo: l’Idv deve proporre candidati di profonda competenza e affidabilità pubblica. L’Idv dovrebbe porsi con maggiore decisione il tema delle incompatibilità. Non è sufficiente la rinuncia ai doppi incarichi ma è necessario individuare le

numerose inconciliabilità: tra professione e incarico elettivo (e anche incarichi di rilievo nel partito); tra soggetti di iniziativa politica e organi di controllo. Gli organi di garanzia (tipo collegio dei probiviri) non possono, a qualsiasi livello, essere scelti dall’autorità politica. Altrimenti l’autonomia del controllo va a farsi benedire. L’Idv dovrebbe adottare l’anagrafe più trasparente degli eletti e dei propri esponenti di spicco: proprietà e fonti di reddito devono essere rese pubbliche. Alla fine della legislatura i cittadini devono poter verificare se l’eletto abbia tratto vantaggi indebiti dalla sua carica. Il partito dovrebbe impegnarsi a porre un proprio limite alla durata degli incarichi elettivi. Non so se la sola legislatura, indicata da Flores, sia un limite praticabile e utile ma, intanto, porre con rigore il limite delle due legislature sarebbe comunque un passo avanti. Va da sé che l’Idv dovrebbe puntare sempre a realizzare la parità di genere negli incarichi elettivi e direttivi. C’è infine un punto su cui il giudizio dei cittadini, e in particolare quelli dei movimenti, sarà sempre più impietoso: essere parente o convivente stretto di un eletto non può essere condizione preferenziale per la candidatura. Qui semmai dovrebbe vigere il criterio opposto: proprio perché sei parente o convivente dell’eletto, e proprio per i valori sostenuti dal tuo partito, è bene che tu ti dedichi a qualche altra occupazione degna della tua capacità creativa. Tutto ciò sarà prassi molto più modesta del Big Bang immaginato da Flores ma potrebbe essere un primo passo per costruire una nuova larghissima opposizione e uno strumento efficace per un’autentica alternativa di governo.


Martedì 5 gennaio 2010

pagina 19

SECONDO TEMPO

MAIL Sbagliato confondere l’odio con la disistima

BOX

LA VIGNETTA

Io, evasore punito, ma gli altri?

Il servizio pubblico contro gli elettori dell’Idv Non capisco perché in un programma della Rai (“Zapping” su RadioUnoRai) ci sia un accanimento feroce del conduttore e dei suoi ospiti (ricordo Caputo, Bacialli, Magnaschi) verso Di Pietro e i suoi elettori. A nulla è valso un tentativo di timida difesa tenuta da Pasquino o Sansonetti. La critica a Di Pietro (definito “contadino molisano”) è accettabile; ma gli elettori dell’Idv? Sono cittadini come gli altri, e il servizio pubblico li deve rispettare. Marco

RE STARE uniti non è mai stato il

mio motto. Non a tutti i costi. Come non lo è mai stato smettere di litigare o abbassare i toni. Non perché desideri il contrario. Ma

Ecco come il governo combatte la mafia Con la revoca dell’isolamento diurno per il boss mafioso Giuseppe Graviano si chiude, a mio parere, un cerchio inquietante. Prima lo scudo fiscale, che ha consentito, e ancora consentirà, il rimpatrio, in maniera del tutto anonima, dei capitali accumulati all’estero illegalmente. Al modico prezzo del 5%. Poi è arrivato l’emendamento che stabilisce la vendita all’asta dei beni confiscati alle mafie se questi, entro sessanta giorni, non vengono assegnati. Riusciranno i mafiosi a riacquistare i beni a loro stessi sequestrati sempre attraverso i prestanome? Così arriviamo al boss Giuseppe Graviano, condannato a due ergastoli. Dopo aver ricevuto come premio la revoca dell’isolamento diurno, sarà pronto a smentire il pentito Spatuzza come ha già fatto anche suo fratello Filippo? Questi sono proprio bei modi di combattere la mafia. O sono io che proprio non capisco. Gino Soldi

L’abbonato del giorno LUCIANO FAGGIOTTO “Ciao grandi, sono Luciano, pensionato di 59 anni. In questi giorni sono a letto con il mal di schiena, ma la mia compagnia e medicina è il Fatto Quotidiano online. In questo deserto di informazioni, voi siete un’oasi di acqua fresca, con tanto di datteri (e noci di cocco!). Far pensare aiuta a pensare, si spera. State facendo un lavoro straordinario. Vi abbraccio. Buon anno e buon lavoro. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

IL FATTO di ieri5 Gennaio 1854 Fino alla metà dell’Ottocento, le notti a Roma erano le più buie d’Europa. A illuminare strade e vicoli del centro solo un migliaio di fumosi fanali a olio distribuiti con rigorosa parsimonia, le fioche lampade votive accese davanti alle Madonnelle e, nelle fasi di plenilunio, la luce biancastra della luna. Un’oscurità destinata a favorire ruberie e fatti di sangue, che Pio IX decide di fronteggiare introducendo i lampioni a gas, “sistema ingegnoso” già adottato in altre città d’Europa. E’ l’inizio dell’illuminazione pubblica ai tempi del Papa re, inaugurata in pompa magna e “con vera frenesia della plebe di Roma” la notte del 5 gennaio 1854. La nuova luce della modernità rischiarerà per primi Piazza San Pietro, Piazza Venezia e del Gesù, via del Corso e il Campidoglio. Seguiranno osterie, botteghe e teatri, primo fra tutti l’“Emiliani” di Piazza Navona, frequentatissimo dal popolino, e ancora il “Valletto”, teatro di burattini a Sant’Andrea della Valle, l’“Apollo” e l’“Argentina”. Una piccola rivoluzione affidata a oltre un migliaio di “accenditori” all’opera dalle 6 del mattino a mezzanotte. E quando, nel 1870, i piemontesi entreranno a Roma, troveranno una imponente rete di 2000 lampioni a gas. Giovanna Gabrielli

Bisogna blindare la Costituzione Tutti inneggiano alle riforme. Io, invece, mi domando se non sia opportuno blindare momentaneamente la Costituzione, visto che l’attuale rappresentanza politica italiana non ha né i numeri né la tranquillità per modificare la Carta. Credo che oggi nel modificare la Costituzione vi siano molti più rischi di peggioramento che possibilità di miglioramento. Massimiliano Santoni

L’Italia è una Repubblica fondata sulla televisione Trovo che, come sostiene il ministro Brunetta, l’art. 1 della Costituzione sia ormai desueto. Dovrebbe essere così modificato: “L’Italia è una Repubblica poco de-

• Abbonamento postale sostenitore (Italia) Prezzo 400,00 € - annuale • Abbonamento postale base (Italia) Prezzo290,00 € - annuale E' possibile pagare l'abbonamento annuale postale ordinario anche con soluzione rateale: 1ª rata alla sottoscrizione, 2ª rata

entro il quinto mese. La quota sostenitore va pagata invece in unica soluzione. • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo170,00 € • Modalità Coupon * Prezzo 320,00 € - annuale Prezzo 180,00 € - semestrale • Abbonamento PDF annuale Prezzo130,00€ Per prenotare il tuo abbonamento, compila il modulo sul sito www.antefatto.it.

IL FATTO QUOTIDIANO non usufruisce di alcun finanziamento pubblico

Modalità di pagamento • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105 Via Sardegna Roma Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su conto corrente postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. - Via Orazio n° 10, 00193 Roma Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero 02.66.505.712, con ricevuta

perché ciascuna di queste frasi è una parola d’ordine truccata. La prima immagina una prima linea di esperti della politica che guida schiere di elettori docili, che approvano tutto. La seconda vuol dire che un buon partito non apprezza e anzi non vuole il dissenso. Si fa come dicono i vertici e basta. Il terzo chiede mitezza a un partito di opposizione. Chi conosce la vita democratica in altri paesi sa che le opposizioni non sono mai miti. Sono di solito (vedi i repubblicani degli Usa nei confronti del presidente democratico Obama) vivaci e aggressivi. Il fatto è che le divisioni più aspre sono create non dai militanti, non dagli elettori ma dai dirigenti che intendono decidere su chi comanda. Non solo al vertice ma anche in periferia. Suggerisco al Pd di accettare definitivamente e di praticare le “primarie” sempre e comunque. In tal modo si litiga per buone ragioni, si resta uniti dopo esserci scontrati, e i toni, invece di un soft artificiale, acquistano una vivacità umana e naturale . Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

mocratica fondata sulla televisione”. Infatti, ormai non solo il presidente del Consiglio è convinto che la televisione sia il principale strumento di manipolazione delle opinioni, ma anche i rappresentanti del Pd, che preferiscono partecipare a un talk-show piuttosto che curare il legame con gli elettori. Tutto quello che non viene trasmesso in tv è come se non esistesse.

zione “urlata” alla perenne ricerca dello scoop o del mostro da sbattere in prima pagina. “Il cuore… che uccide”. Incredibile! Il cuore assassino, il cuore terrorista e non più il cuore “universo” fonte di vita, di emozioni, di affetti. Forse siamo arrivati al capolinea dell’inganno. Un ultimo pensiero va a Silvia che non c’è più e a sua mamma Rina alla quale auguro di trovare presto la verità.

Giancarlo

Guerriero Alongi

Diritto di Replica Io, cardiopatico e i “cuori nuovi”

Egregio signor Alongi, grazie della sua lettera. E’ proprio la consapevolezza dell’esistenza di tanti eventi completamente riusciti, come il suo, che ha indotto la signora Rina – madre della paziente Silvia – a chiedere che venisse fatta chiarezza. Raccontare la storia di Silvia è stato un atto di difesa nei confronti di una madre angosciata per la perdita della propria figlia. Lei converrà che è il compito di un giornale e noi siamo felici di farlo anche assieme alla Sua testimonianza assolutamente positiva. Il timore di Rina però era e rimane che la sua brutta vicenda possa essere fagocitata dal buco nero delle notizie dimenticate. Me ne sono convinta quando ho conosciuto questa mamma che, passo dopo passo, mi ha aiutata a ricostruire la vicenda. Non avrei certo potuto scrivere un pezzo tanto “presuntuoso e superficiale” senza parlare con una madre che di quella

Egregio direttore, egregio dott. Colombo, rispondo all’articolo “Il cuore nuovo che uccide” di Elisabetta Reguitti pubblicato il 29 u.s. Io sono un cardiotrapiantato da tre anni ritornato “prepotentemente” a una nuova Vita. Sono ora un uomo forte, gioioso, impegnato e mi indigno quando leggo articoli con titoli così potenzialmente devastanti dell’equilibrio delle tante persone che sono in lista di attesa e/o che hanno appena subito un trapianto e non ancora superato l’impatto psicologico oltre che fisiologico di un evento così straordinario. Non entro nel merito dei fatti che lascio valutare ai clinici, procuratori o, purtroppo, a giornalisti presuntuosi e superficiali. Anche l’occhio più distratto si accorgerebbe di quanto, nello specifico, sia azzardato imputare al “cuore nuovo” l’esito drammatico del trapianto quando lo stesso articolo ipotizza possibili errori umani (“incuria di chi…”). E allora perché questo “terrorismo” nel titolo? Si è mai domandata la sig.ra/na Reguitti di quali siano i pensieri più veri, le angosce di chi, per mediamente 2-3 anni, attende un organo nella speranza di riprendere una vita degna di essere vissuta? Lo sa la sig.ra/na Reguitti che l’equilibrio, la capacità di analisi si logorano in questo lungo attendere? È facile in presenza di tali “urla” perdere la fiducia e con essa la speranza . Basta con questa informa-

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).

A DOMANDA RISPONDO L’OPPOSIZIONE DEI GIORNALI DIVISI

aro Colombo, da mesi mi chiedo perché tutti, anche voi del Fatto, battiate i pugni sui tavoli per avere una opposizione unita e caparbia, si riempiono pagine e palinsesti sui politici che non riescono a restare uniti per il bene del paese contro quello che anche io credo un male e cioè il berlusconismo, e poi vedo i miei quotidiani preferiti dividersi, punzecchiarsi, fare le guerricciole dei numeri. Naturalmente divisi e in disaccordo. Caro Colombo è da anni che le scrivo e che la leggo, non smetterò certo ora di farlo visto anche che la sua penna è una di quelle che mi piace di più, per questo le chiedo alla fine di questo infausto anno che cosa vuol dire per lei e per tutti voi la frase: “Restare uniti”. Rudi Toselli

Roberto Vacca

Luigi Giglio

7 C

E’ sbagliato chiamare “campagne d’odio” i servizi, le indagini e le opinioni pubblicate da Il Fatto Quotidiano e da Repubblica. L’odio è ben diverso dalla disistima e dal disprezzo. Esempio: non accolgo in casa mia persone accusate di gravi reati e che accettano di non essere più incriminate per decorrenza dei termini. Le disprezzo, ma non le odio. Non stimavo il presidente Ronald Reagan che abolì tante regole e controlli finanziari da favorire le speculazioni che hanno contribuito all’attuale crisi. Disapprovai lo squilibrato che gli sparò, ma Reagan non risalì nella mia stima.

Non riesco a mandare giù lo scudo fiscale: ladri, farabutti e chi più ne ha più ne metta, se la cavano sempre senza danno. Noi, normali cittadini, paghiamo sempre le tasse, nel bene e nel male, ma non ci considera nessuno. Mi è capitato di non pagare le tasse, ma alla fine mi hanno minacciato di prendersi la casa, e me la sono cavata “giustamente”, pagando dieci volte tanto. Non un misero 5%.

Furio Colombo

di pagamento, nome cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto. • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal. Per qualsiasi altra informazione in merito può rivolgersi all'ufficio abbonati al numero +39 02 66506795 o all'indirizzo mail abbonamenti@ilfattoquotidiano.it * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano

notte ricorda perfettamente le interminabili ore in attesa di quel cuore che avrebbe dovuto ridare a Silvia la forza, la gioia e la determinazione che oggi contraddistinguono Lei signor Guerriero e che emergono chiaramente dalla sua lettera. Rina oggi chiede di sapere cosa sia accaduto e chi, nel caso di Silvia, abbia sbagliato. Dal canto mio ho ritenuto di dare voce alla sua richiesta. Senza avanzare mai alcuna accusa a un sistema che – e Lei ne è testimone – negli anni ha permesso e continua a permettere a moltissime persone di nascere a seconda vita. Grazie per scegliere il nostro giornale. Per noi la “libertà d’espressione” anche dei lettori è un principio cardine: sempre e comunque. Cordialmente, Elisabetta Reguitti

I nostri errori A pagina 4 del Fatto di domenica, nell’articolo “Giorgio Merlo, il democratico che dà ragione a Bossi”, abbiamo pubblicato l’immagine di Fabrizio Morri, invece dello stesso Giorgio Merlo. Ce ne scusiamo con i lettori e con l’interessato.

IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma lettere@ilfattoquotidiano.it

Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. A., 09034 Elmas (Ca), via Omodeo; Società Tipografica Siciliana S. p. A., 95030 Catania, strada 5ª n°35 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: poster@poster-pr.it Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.