Nel 2009 quasi un miliardo di ore di cassa integrazione Ovvero: 440.000 lavoratori scomparsi dal sistema produttivo y(7HC0D7*KSTKKQ(
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FINALMENTE ALLO SCOPERTO LA VITA DI UNO DEGLI UOMINI PIU’ POTENTI D’ITALIA
LE PROPOSTE PER CAMBIARE LA POLITICA DEL PAESE
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EDITORI RIUNITI € 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Venerdì 8 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 6 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
SPIAVANO PRODI E DE GENNARO Sismi, i dossier Telekom-Serbia contro il Professore e le inchieste sull’ex numero uno della Polizia INTERVISTA x La denuncia di Barbara Spinelli
Regime più feroce e il Pd acconsente
Le carte dell’indagine di Perugia: nell’archivio di Pompa e Pollari i report “militari” su quello che sarebbe stato l’avversario di Berlusconi. Contro il prefetto invece schemi su sue presunte relazioni con manager “sospetti”. Lillo pag. 2 z
e la politica italiana fosse un “S film, questo inizio di 2010 lo intitolerei ‘Le conseguenze dell’amore’. Il regime c’è da tempo. Ma ora si sta consolidando e inasprendo alla maniera classica dei totalitarismi: introducendo la categoria del sentimento per cancellare qualunque normalità democratica, qualunque ordinaria dialettica fra maggioranza e opposizione”. Così Barbara Spinelli sulle ultime mosse di B.
Barbara Spinelli. A destra De Gennaro, Prodi, Pollari e Pompa visti da Emanuele Fucecchi
Travaglio pag. 3 z
GIUSTIZIA x L’esponente Pd contro la Procura di Rovigo
nil giornale di An
Violante dà lezioni al governo “Punite quei magistrati”
Al Secolo con i finiani che resistono, resistono, resistono
di Peter
Gomez
Gerard Schroeder. A sinistra, Luciano Violante
l 5 gennaio, durante il suo intervento, l’impellicciata platea di Cortina Incontra lo ha più volte applaudito. E non poteva essere altrimenti. Perché agli occhi dei berluscones “il piccolo Vishinski”, come definiva Violante fino all’altroieri l’ex presidente Francesco Cossiga e il resto del centrodestra, sembra cambiato. pag. 4 z
I
Marra pag. 6z
nguerriglia e fiamme Rosarno, spari contro gli immigrati: e scoppia la rivolta Massari pag. 9z
(FOTO ANSA)
nl’intervista Schroeder: “Il gas russo avvicinerà Mosca e Ue” Paolin pag. 13z
Udi Bruno Tinti
Udi Maurizio Chierici
CATTIVERIE Lotta al terrorismo e body scanner. Via libera anche in Italia, ma con il lodo Ghedini: le immagini delle protesi saranno vietate.
Udi Malcom Pagani
NON BOLZANO, DINO RISI CHIAMATELA L’ SVP GUARDA ANIMA MALASANITÀ A DESTRA RITROVATA sono neologismi che e a Bolzano ci fosse il mare saono vecchio/ sono pazzo/ Ctuna,ihanno avuto molta for- S rebbe una piccola Bari. Pro- S sento scorrere le ore/ è il mio malagiustizia su tutti. vincia dall’equilibrio politico ri- cuore di ragazzo. L’ultimo piano E poi malauniversità, malapolitica e quello di cui scrivo oggi: malasanità. Tutte parole usate a sproposito. pag. 9 z
piegato nella pietrificazione etnica fissata dalla storia. Come succede in ogni capitale del sud le vanità pasticciano alleanze e programmi. pag. 7 z
con vista zoo, al vertice di un albergo romano dove passò i 20 anni di vita definitivi, deciso a liberarsi di condòmini, bollette, incontri inessenziali. pag. 14 z
La serva serve di Marco Travaglio
on sapendo più cosa fare e dire per riabilitare il noto corrotto latitante, “Libero” s’è messo a pubblicare a puntate le lettere che giornalisti, politici e intellettuali scrivevano a Craxi quand’era potente. Come se l’esistenza di molti servi riabilitasse il padrone che se li teneva a corte. E’ vero che, come diceva Mussolini, “è difficile non diventare padroni in un paese di servi”. Ma è anche vero, come diceva il maggiordomo Jeeves nei romanzi di Wodehouse, che “un padrone lo si giudica dai servitori che si sceglie”. Eppoi, leggendo le suppliche degli infiniti postulanti a Bottino, uno si domanda: ma a che titolo tutta quella gente piativa favori a Craxi nella certezza che quello li avrebbe elargiti, usando lo Stato e il Parastato come il cortile di casa? Ma non era un grande statista del riformismo europeo? Fra le varie lettere garofanate spicca quella di Giovanni Minoli, 3 maggio 1989: “Caro Bettino… In questi ultimi dieci anni ho prodotto molti dei programmi che hanno avuto più successo come Aboccaperta, Piccoli Fans, Blitz, o di immagine come Sì però, Soldi soldi soldi, Quelli della notte, e Mixer… Come capostruttura ho anche determinato molte delle scelte di fondo del palinsesto… Non sono come forse ti hanno fatto credere solo ‘quello che fa Mixer’ ma un dirigente Rai che ha fatto molte, delle non moltissime scelte qualificanti di RaiDue… Per questo ritengo che avrei potuto essere considerato un interlocutore nel momento dell’ennesima difficilissima scelta circa il destino della Rete 2. Dico difficilissima perché il tempo degli errori è finito, i soldi della Rete anche, e l’egemonia del Pci e della Dc realizzata con un alto tasso di contenuto professionale qui in Rai è cosa fatta, e non contrastabile in modo approssimativo… Non sono mai stato capace di spendere tempo nelle manovre di corridoio e nelle chiacchiere… Io credo di essere fatto così. Se servo, ci sono… Con affetto”. A parte la punteggiatura, colpiscono un paio di soavi espressioni. Minoli che si dipinge come “incapace di spendere tempo nelle manovre di corridoio e nelle chiacchiere” denota un’immodestia davvero eccessiva. Ma è la chiusa che è impareggiabile: “Se servo, ci sono”. Ma certo che serve. Serve da una vita. Pare che già Totò, quando diceva “la serva serve, urca se serve!”, alludesse segretamente a Minoli, all’epoca poco più che in fasce. Raggiunta la maggiore età, ai tempi di Mixer (programma bellissimo, ma da allora rifà sempre quello), Gianni si produsse in alcuni spot elettorali per il Psi da pelle d’oca, nei quali intervistava Craxi col garofano all’occhiello e assiso su uno sgabello notevolmente più basso del trono del Capo, come il Mussolini accanto a Hitler nel “Dittatore” di Chaplin, per segnalare anche nella postura il proprio ruolo gregario. Da allora, come Picasso, ha conosciuto vari periodi multicolori: da craxiano a martelliano a berlusconiano a veltroniano a prodiano a ri-berlusconiano ma non abbastanza per riacciuffare RaiTre. Ecco: sono almeno vent’anni che, a ogni cambio di governo, anzi a ogni stormir di fronda, Minoli riesuma il vecchio file intitolato “Se servo ci sono”: copia, incolla, cambia la data, l’intestazione e il destinatario, stampa, imbusta, lecca pure il francobollo e imbuca. Purtroppo, però, gli anni passano e non c’è più la servitù di una volta. Oggi il Minoli serve sempre, ma un po’ meno di un tempo: troppo professionale per essere affidabile. Oggi va fortissimo il modello Johnny Raiotta, dal nome del direttore del Sole 24 Ore (già al Manifesto, alla Stampa, al Corriere, al Tg1) che l’altro giorno ha annunciato l’elezione di Tremonti a “Uomo dell’anno” per volontà imperscrutabile “delle grandi firme del giornale”. Poi s’è scoperto che le “prestigiose firme” del giornale erano all’oscuro di tutto. Tremonti l’aveva eletto lui, Raiotta, in beata solitudine. All’unanimità. Dinanzi a cotanta maggiordomitudine, anche i Minoli devono arrendersi e levarsi il cappello: largo al Sòla 24 Ore.
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Venerdì 8 gennaio 2010
Per i due agenti i magistrati di Perugia hanno chiesto il giudizio
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OSSERVATI SPECIALI
a Procura di Perugia ha chiesto il rinvio a giudizio per Nicolò Pollari e Pio Pompa, rispettivamente ex direttore ed ex funzionario del Servizio segreto. I due sono accusati di peculato, per aver usato illegalmente denaro, risorse umane e mezzi in dotazione del servizio e aver così creato l’“archivio riservato” scoperto in via Nazionale a
Roma durante l’indagine milanese sul sequestro di Abu Omar. Quello stesso archivio – sequestrato il 5 luglio 2006 dalla Digos su mandato della Procura di Milano e appunto gestito da Pompa – è da ritenersi “autorizzato dal presidente del Consiglio dei ministri”, come rivelato dal “Fatto Quotidiano” lo scorso 23 dicembre. Il che
consente a Pollari e Pompa di rifiutarsi di rispondere al magistrato. Lo ha comunicato lo stesso Silvio Berlusconi circa tre settimane fa alla Procura di Perugia, che il 27 aprile scorso ha ereditato per competenza da quella di Roma il fascicolo sulle deviazioni del Sismi. Fra i magistrati spiati, infatti, ce n’erano alcuni in servizio nella Capitale.
Gianni De Gennaro. (FOTO ANSA)
Sotto, Romano Prodi
TUTTO IL FANGO DEL SISMI
I dossier su Telekom-Serbia per screditare Romano Prodi Contro De Gennaro schemi di relazioni con imprenditori sospetti di Marco Lillo
ossier su Romano Prodi e Gianni De Gennaro, schemi improbabili sulle relazioni tra il capo della Polizia e alcuni manager chiacchierati e centinaia di pagine tratte da atti giudiziari e documenti raccattati su Internet per mettere in cattiva luce l’ex premier del centrosinistra. Dalle carte dell’inchiesta di Perugia contro l’ex capo del Sismi Nicolò Pollari e contro il suo fido collaboratore, Pio Pompa, appena chiusa dal pm di Perugia Sergio Sottani con una richiesta di rinvio a giudizio per peculato e altri reati minori, si scopre il retrobottega del Sismi. Era questo il modo di procedere del servizio segreto militare, negli anni in cui era diretto da Nicolò Pollari. Durante la precedente era Berlusconiana (dal 2001 al 2006) il Sismi non aveva di meglio da fare che raccogliere informazioni contro il futuro rivale del Cavaliere. Il duo Pollari-Pompa aveva messo in piedi, con i soldi pubblici, una macchina diffamatoria in grado di mettere in circolo tanto fango per chiunque si opponesse al Cavaliere o comunque non fosse prono ai suoi voleri. La legge che disciplina il servizio segreto militare è chiara: “Il Sismi assolve a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell’indipendenza e dell’integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Ai fini suddetti il Sismi svolge funzioni di controspionaggio”. Punto. Tra i compiti del servizio non figura il monitoraggio degli affari giudiziari del rivale del premier né i legami personali del capo della Polizia. Eppure di questo si occupavano in via Nazionale Pompa e la sua fedelissima segretaria Jenny. Finora
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si conoscevano vagamente i contenuti di questi dossier. Il Fatto Quotidiano ha visionato l’intero archivio e ne vien fuori uno scenario inquietante del quale si sarebbe dovuto occupare con ben altra attenzione il Copasir. Invece il Comitato parlamentare che dovrebbe tutelare i cittadini dalle deviazioni del servizio, nella precedente legislatura non è riuscito nemmeno a stilare una relazione critica su questo uso politico e partigiano di un’istituzione così delicata. Fa impressione per esempio leggere nel “reperto Fc-5” sequestrato dalla Digos in via Nazionale uno schema (pubblicato sotto) che accomuna il faccendiere socialista protagonista di Mani pulite, Ferdinando Mach di Palmstein, al capo della Polizia dell’epoca Gianni De Gennaro. Anche perché a unire l’attuale capo dei servizi segreti a questo mondo a lui così lontano, secondo il grafico in questione, sarebbero due personaggi tutt’altro che secondari: Luciano Scipione (già indagato e poi assolto per lo scandalo della cooperazione negli anni novanta) e Luciano Pucci, un ex manager Telecom che dopo essere stato consulente del ministero dell’interno è ora a capo della Seicos, la società di Finmeccanica in pole position per rilevare il grande business delle intercettazioni telefoniche. Tra le carte sequestrate nel 2006 nell’ufficio di via Nazionale che secondo i pm milanesi provavano le attività abusive svolte in via Nazionale, oltre a quelle su De Gennaro, molte riguardavano Romano Prodi. I dossier risalivano al 2003 e miravano a mettere in cattiva luce il futuro rivale di Berlusconi su due vecchie vicende: Telekom Serbia e il caso Cirio-Bertolli-De Rica. La cessione del polo alimentare pubblico nell’epo-
ca in cui Prodi era presidente dell’Iri, era stato oggetto di un’inchiesta chiusa con un’archiviazione nel 1999. Ma Pompa conservava tutti gli atti giudiziari che potevano imbarazzare il professore, reperiti chissà come. Proprio il 5 maggio
Una vera e propria struttura deviata per la battaglia politica contro nemici reali o potenziali
del 2003 Silvio Berlusconi aveva attaccato il suo futuro rivale sulla cessione della Cirio nell’aula del processo Sme, durante la sua audizione. E Prodi era stato costretto a pubblicare sul sito dell’Ue una replica (conservata nell’archivio di via Nazionale). L’altra operazione nel mirino del Sismi era l’acquisizione della società serba di telecomunicazioni, avvenuta quando Prodi era presidente del consiglio nel 1997, e al centro di un’inchiesta giornalistica pubblicata da Repubblica nel 2001. Quando era stato assunto con la benedizione di Berlusconi, nello staff del capo del Sismi come consulente, nel novembre 2001, Pompa aveva scritto al Cavaliere: “Voglio impegnarmi a fondo nella tutela e difesa della straordinaria mis-
sione che scandisce la Sua esistenza. Sarò, se lei vorrà anche il Suo uomo fedele e leale”. Non c’è da stupirsi poi se questo funzionario che si proclama servo di chi lo ha assunto e non servitore dello Stato, raccoglie dossier contro Prodi sul caso Telekom Serbia. A stupire è invece il metodo. Giornali amici, servizi deviati e commissioni parlamentari si muovano come un sol uomo per infangare i rivali del Cavaliere. Nel febbraio del 2002 “Libero”, diretto da Vittorio Feltri apre a tutta pagina con il titolo: “Milosevic parla, l’Ulivo trema”. Pompa prende spunto dall’editoriale di Renato Farina (consulente retribuito dal servizio) per scrivere: “Non a caso l’editorialista sottolinea di volersi riferire agli affari intratte-
nuti con l’ex presidente ‘dagli italiani e più precisamente dal governo Prodi’. Governo di cui faceva parte “Carlo Azeglio Ciampi, il quale è materialmente il ministro che versò i denari”. Pompa cita l’“asse Prodi-Micheli” per poi elencare i manager Stet al centro dell’Affaire. Manager che poi ovviamente saranno tutti convocati dalla commissione parlamentare diretta dal centrodestra. Pompa già allora dettava la linea: “I vertici di Stet International e della Telecom, da indiscrezioni, risultavano informati che il contratto corrispondeva formalmente a 1.500 miliardi mentre di fatto ne sarebbero stati versati 2.500”. Tutte cifre poi smentite dalle inchieste. Ma buone per far girare il ventilatore della calunnia.
Il processo breve ammazzerà l’affaire Telecom RISCHIO PRESCRIZIONE. LE PARTI CIVILI: SUL SEGRETO DI STATO PRONTI AL RICORSO di Antonella Mascali
l segreto di Stato confermato su un piatto Ia Marco d’argento dalla presidenza del Consiglio Mancini, ex numero due del Sismi, non è andato giù alle parti lese del processo per i dossier illegali “a cura” della sicurezza Telecom e Pirelli, guidata fino al 2006 da Giuliano Tavaroli. Tra il 1997 e il 2004 sono stati prodotti 4287 dossier su persone e 120 su società. In questi giorni, gli avvocati delle parti lese si riuniranno per concordare una posizione unica sul segreto di Stato dietro il quale si è trincerato Mancini, accusato di associazione a delinquere, corruzione e rivelazione di notizie di cui è vietata la diffusione. Un segreto di Stato che compromette l’accertamento dei fatti, al vaglio del gup Mariolina Panasiti. L’udienza preliminare riprenderà il 1° febbraio ed è molto probabile che in quella sede le parti civili solleciteranno, sia i pm Fabio Napoleoni, Nicola Piacente e Stefano Civardi, sia la stessa giudice, a sollevare un conflitto di
attribuzione di poteri davanti alla Consulta. “Siamo contrariati per la conferma del segreto di Stato da parte di Palazzo Chigi, ma non stupiti”, ha detto uno degli avvocati di parte civile. Nella prossima udienza si dovrà sbrogliare anche un’altra questione: il segreto di Stato vale solo per Mancini o si deve estendere, se non al suo co-imputato Tavaroli – che ha chiesto di patteggiare 4 anni e mezzo – quanto meno a un altro co-imputato, l’investigatore privato Emanuele Cipriani? L’ex funzionario del Sismi, accusato di aver passato notizie ai suoi amici Tavaroli e Cipriani, sostanzialmente non ha risposto ad alcuna domanda dei magistrati, appellandosi all’asserito segreto di Stato. Lo ha fatto anche quando gli è stato chiesto dei suoi rapporti con Tronchetti Provera. L’allora presidente di Telecom oltre che di Pirelli ha sempre negato rapporti con Mancini, e come l’ex vicepresidente esecutivo di Telecom, Carlo Buora, ha sostenuto di non sapere nulla di cosa facesse Tavaroli. Ma chi aveva la delega per control-
Giuliano Tavaroli
lare l’attività dell’ex capo della Security Telecom, costata alla società oltre 34 milioni di euro? Né Tronchetti né Bonura l’hanno detto. I pm non hanno approfondito. Ma l’affossamento del processo potrebbe non essere determinato dal segreto di Stato bensì dal processo breve, in aula al Senato dal 12 gennaio. Se verrà approvato così com’è, anche questo procedimento sarà prescritto. Potrebbe restare in piedi solo l’imputazione per associazione a delinquere.
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Venerdì 8 gennaio 2010
007, Lodi ad personam e bulldozer in Rai: il sistema del premier
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L’INTERVISTA
l potere di Berlusconi è ormai ramificato all’interno dei gangli dello Stato. Progredisce inesorabilmente. Attraverso le leggi ad personam: quelle per fuggire dalla giustizia, innanzitutto. Li chiamano “lodi”, piuttosto sono salvacondotti. A studiarli notte e giorno per vincere la corsa contro il tempo e la magistratura un pool di
avvocati, ma soprattutto un esercito di onorevoli. Ma come spiegare tutto questo affanno quando invece, magari un governo dovrebbe occuparsi di crisi economica e salari in picchiata? Semplice: occupando ogni canale di voce. Mediaset è di famiglia, la Rai ormai consanguinea. Da Minzolini all’eterno Vespa,
BARBARA SPINELLI Il regime militare del partito dell’amore B. sfrutta l’aggressione a Milano come fosse un 11 settembre Così ha narcotizzato stampa e quel che chiamano opposizione di Marco
Travaglio
e la politica italiana fosse un film, questo inizio di 2010 lo intitolerei ‘Le conseguenze dell’amore’. Il regime c’è da tempo. Ma ora si sta consolidando e inasprendo alla maniera classica dei totalitarismi: introducendo nella politica la categoria del sentimento per cancellare qualunque normalità democratica, qualunque ordinaria dialettica fra maggioranza e opposizione, fra governo e poteri di controllo e di garanzia. Il Capo pretende di essere amato, anzi adorato e, dopo l’attentato di Piazza Duomo, gioca sui sentimenti dei cittadini per ricattarli: ‘Chi non è con me è contro di me. Chi non mi adora mi odia’”. Barbara Spinelli non si è mai sottratta alle regole ferree del dizionario: ha sempre chiamato “regime” il berlusconismo. Ma ora vede un’altra svolta, una cesura estrema, un salto in avanti verso il baratro. Qual è precisamente questa svolta di regime nel regime? Nella testa di Berlusconi l’attentato di Piazza Duomo ha creato un prima e un dopo. Dopo, cioè oggi, nulla può più essere come prima. Si sente in guerra, anche se combatte da solo. E con il dualismo amore-odio crea una situazione militare: l’immagine del suo volto sfregiato e insanguinato, riproposta continuamente in tv e sui giornali, è per lui l’equivalente dell’attentato alle due Torri per Bush. Stessa valenza, stessa ossessività, stesso scopo ricattatorio. Con la differenza che, dietro l’11 settembre, c’era davvero il terrorismo internazionale. Dietro l’attentato a Berlusconi c’è solo una mente malata e isolata. Qual è la conseguenza politica? L’attentato al premier ha ancor di più narcotizzato la stampa italiana, che ha rapidamente interiorizzato il ricatto dell’amore e dell’odio. E il Pd dietro. Viene bollata come espressione di odio da neutralizzare, espellere, silenziare qualunque voce di opposizione intransigente. Cioè di opposizione. Tutti quei discorsi sul dovere del Pd di isolare Di Pietro. A leggere certi quotidiani, ci si fa l’idea che il vero guaio dell’Italia degli ultimi 15 anni non sia stato l’ascesa del berlusconismo, ma quella dell’antiberlusconismo. Quanti editoriali intimano ogni giorno all’opposizione di non odiare, cioè in definitiva di non opporsi! Come se l’azione isolata di un imbecille potesse e dovesse condizionare l’opposizione. Un ricatto che si riverbera anche sugli articoli di cronaca. A che cosa si riferisce? Alla strana indifferenza con cui si raccontano alcune scelte mostruose, eversive della maggioranza che ina-
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sprisce il suo regime senza più critiche né opposizione. Penso alle tre o quattro leggi ad personam fabbricate in queste ore nella residenza privata del premier. Penso all’orribile apposizione del segreto di Stato sugli spionaggi illegali scoperti dalla magistratura in un ufficio del Sismi e nell’apparato di sicurezza Telecom. A salvare con gli omissis di Stato gli spioni accusati di avere schedato oppositori, giornalisti e magistrati sono gli stessi che un anno fa creavano il mostro Genchi, dipingendolo come una minaccia per la democrazia, trasformando il suo presunto ‘archivio’ in una centrale eversiva. E Genchi operava legalmente per procure e tribunali, al contrario delle barbe finte della Telecom e del Sismi. Appunto, ma nella smemoratezza generale, facilitata dalla narcosi della stampa (per non parlare della tv), nessuno ricorda più nulla. Nessuno è chiamato a un minimo di coerenza, né di decenza. I sedicenti cultori della privacy che strillano a ogni legittima intercettazione giudiziaria tentano di controllare addirittura il cervello e i sentimenti del comune cittadino col ricatto dell’‘odio’. Fanno scandalo le intercettazioni legali, mentre lo spionaggio illegale viene coperto dal governo. Così il segreto di Stato diventa un lasciapassare preventivo a chiunque volesse tornare a spiare oppositori, gior-
Segreti di Stato e Servizi, il messaggio è: “Le operazioni illegali sono legali se le facciamo noi” nalisti e magistrati. ‘Fatelo ancora, noi vi copriremo’, è il messaggio del regime. ‘Le operazioni illegali diventano legali se le facciamo noi’: un avvertimento per quel poco che resta di opposizione e informazione libera. E il Pd e i giornali ‘indipendenti’ non dicono una parola, soggiogati dalla sindrome di Stoccolma. Che dovrebbe fare, in questo quadro, l’opposizione? Vediamo intanto che cosa dobbiamo fare noi con l’opposizione: smettere di chiamarla opposizione. Diciamo ‘quelli che non governano’. Gli daremo la patente di oppositori quando ci diranno chiaramente che cosa intendono fare per contrastare il
CONTRO LA RIABILITAZIONE
L’Economist: Craxi? Vergogna
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n onore vergognoso”. Non ci gira troppo intorno l’Economist per bollare il progetto della città di Milano di dedicare una strada a Bettino Craxi. “Un latitante – lo definisce il settimanale inglese – e il politico più caduto in disgrazia della storia moderna italiana”. “Quando morì – ricorda il giornale – Craxi era stato condannato a un totale di 11 anni di reclusione per corruzione e finanziamento illecito di un partito, ed era stato giudicato colpevole o incriminato in cinque altri casi. Eppure i residenti di Milano, sua città natale, potrebbero presto trovare una strada nominata in suo onore”. E ancora: “Riabilitare Craxi dissolverebbe una nuvola sul suo protegé politico, Berlusconi”. Chiusa con citazione da Stefania Craxi: “Gli italiani non hanno creduto a Craxi. Ma oggi vedo che credono a Berlusconi”. Mala tempora.
fino all’ultimissima pattuglia formata da Belpietro e Paragone – scuderia “Libero” – che sbarcherà su RaiDue: viale Mazzini non dista troppo da Cologno Monzese. Ma se poi qualcosa dovesse andar storto c’è sempre la possibilità di metterci su un bel segreto di Stato. I Servizi d’altronde – se consigliati – tacciono e acconsentono.
regime e cominceranno seriamente a farlo. Se è vero che Luciano Violante segnala addirittura al governo le procure da far ispezionare, se Enrico Letta difende il diritto del premier a difendersi ‘dai’ processi, se altri del Pd presentano disegni di legge per regalare l’immunità-impunità a lui e ai suoi amici, chiamarli oppositori è un favore. Li aspetto al varco: voglio sapere chi sono e cosa fanno. Ellekappa li chiama “diversamente concordi”. Appunto. Non si sono nemmeno accorti dello spartiacque segnato dall’attentato nella testa di Berlusconi, fra il prima e il dopo. Non hanno neppure colto la portata ricattatoria dell’ultimatum del premier perché le nuove leggi ad personam vengano approvate entro febbraio, altrimenti ‘le conseguenze politiche non saranno indolori’. Nessuno ha nulla da dire contro questo linguaggio da mafioso ai vertici dello Stato? Perché nessuno fa dieci domande su quella frase agghiacciante? E’ il Partito dell’Amore che si esprime così? Che dovrebbe fare l’opposizione per essere tale? Rendersi graniticamente inaccessibile a qualsiasi compromesso sulle leggi ad personam. Evitare di reagire di volta in volta sui piccoli dettagli, ma alzare lo sguardo al panorama d’insieme e dire chiaro e forte che siamo di fronte a una nuova svolta, a un inasprimento del regime. E respingere pubblicamente, una volta per tutte, questo discorso osceno sull’amore-odio. Tabucchi invita le opposizioni a coinvolgere l’Europa con una denuncia che chiami in causa le istituzioni comunitarie. Sull’Europa non mi farei soverchie illusioni: basta ricordare i baci e abbracci a Berlusconi negli ultimi vertici del Ppe. Io comincerei a dire che con questo tipo di governo non ci si siede a nessun tavolo, non si partecipa ad alcuna ’convenzione’, non si dialoga e non si collabora a cambiare nemmeno una virgola della Costituzione. Oddio, se vogliono ridurre i deputati da 630 a 500 o ritoccare i regolamenti, facciano pure: ma non è questo che interessa a Berlusconi. Come si fa a negoziare sulla seconda parte della Costituzione con chi, vedi Brunetta, disprezza anche la prima, cioè i princìpi fondamentali della nostra democrazia? Anziché dialogare con Berlusconi, quelli del Pd farebbero meglio a guardare a Fini, provando a fare finalmente politica e lavorando sulle divisioni nella destra, inve-
ce di inseguire, prigionieri stregati e consenzienti, il pifferaio magico. Spesso in questi mesi Fini s’è mostrato molto più avanti del Pd, che l’ha lasciato solo e costretto ad arretrare. Perché, con la maggioranza che ha, il Cavaliere cerca il dialogo col Pd? Anzitutto per un’irrefrenabile pulsione totalitaria: lui vorrebbe parlare da solo a nome di tutto il popolo italiano, ecco perché l’opposizione dovrebbe dirgli chiaramente che più della metà degli italiani non ci sta. E poi c’è una necessità spicciola: senza i due terzi del Parlamento, le controriforme costituzionali dovrebbero passare dalle forche caudine del referendum confermativo: e l’impunità delle alte cariche o della casta, per non parlare del “lodo ad vitam” di cui parlano i giornali, non hanno alcuna speranza di passare. Dunque è proprio sulla difesa della Costituzione e sul no a qualunque immunità che il Pd dovrebbe parlar chiaro. Invece è proprio lì che sta cedendo. L’ha soddisfatta il discorso di Napolitano a Capodanno? Mi ha impressionato più per quel che non ha detto, che per quel che ha detto. Mi aspettavo che, onorando i servitori dello Stato che rischiano la vita, non citasse solo i soldati in missione,
Napolitano a fine anno ha scordato i magistrati, da ex comunista non ha interiorizzato il valore della legalità
ma anche i magistrati che corrono gli stessi rischi anche a causa del clima, questo sì di odio, seminato dalla maggioranza. Invece s’è dimenticato dei magistrati persino quando ha elencato i poteri dello Stato, come se quello giudiziario non esistesse più. Perché, secondo lei, tutte queste dimenticanze? È una lunga storia... Chi è stato comunista a quei livelli non ha mai interiorizzato a sufficienza i valori della legalità, della giustizia, dei diritti umani. Quando poi i comunisti italiani, caduto il Muro, hanno cambiato nome, sono diventati socialisti, e all’italiana: cioè perlopiù craxiani. Mentre la cultura socialista europea ha sempre difeso la legalità e la giustizia, il socialismo italiano degli anni ’80 e ‘90 era quello che purtroppo conosciamo. E chi, da comunista, è diventato craxiano oggi non può avvertire fino in fondo la violenza di quanto sta facendo il regime. Ora si apprestano a celebrare il decennale di Craxi. Mi auguro che il presidente della Repubblica non si abbandoni a festeggiamenti eccessivi. E non ceda alla tentazione di associarsi a questa deriva generale di revisionismo e di obnubilazione della realtà storica sulla figura di Craxi. Anche perché la riabilitazione di Craxi non è fine a se stessa: serve a svuotare politicamente e mediaticamente i processi a Berlusconi e a tutti i pezzi di classe dirigente compromessi con il malaffare. Riabilitano un defunto per riabilitare i vivi. Cioè Barbara Spinelli se stessi.
Venerdì 8 gennaio 2010
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Dalla giustizia per il Pci alla “bozza” che piace ai berluscones
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POLITICA
uciano Violante è nato nel 1943 in Etiopia, dove il padre, giornalista comunista, dovette emigrare. La sua famiglia fu internata in un campo di concentramento e proprio lì nacque Luciano. Laureato in Giurisprudenza a Bari nel ‘63, dopo tre anni entra in magistratura. Dopo esser stato giudice istruttore a Torino, dal ‘77 al ‘79 lavora
all’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia, occupandosi soprattutto di lotta al terrorismo. Lascia la magistratura nel 1983, quando vince la cattedra di Diritto e procedura penale. Lunga la sua carriera politica nelle istituzioni: dal 1979 è deputato percorrendo tutte le evoluzioni del Partito comunista fino all’ultima svolta di Firenze, in cui i Ds si sciolgono per dar vita, assieme agli
ex Dc della Margherita, al Partito democratico. E’ stato presidente della commissione Antimafia dal ‘92 al ‘94, vicepresidente della Camera dal ‘94 al ‘96. Per il Pci è stato il responsabile nazionale delle politiche della giustizia dal 1980 al 1987. La cosiddetta “bozza Violante” per riformare la giustizia è apprezzata anche dal Pdl: “Buon punto di partenza”, per Paolo Bonaiuti.
VIOLANTE DÀ CONSIGLI AD ALFANO: MANDA GLI ISPETTORI DAI PM DI ROVIGO “Stanno bloccando la trasformazione di una centrale Enel” di Peter Gomez
5 gennaio, durante il suo intervento, l’impellicciata platea di Cortina Incontra lo ha più volte applaudito. E non poteva essere altrimenti. Perché agli occhi dei berluscones “il piccolo Vishinski”, come lo definiva fino all’altroieri l’ex presidente Francesco Cossiga e il resto del centrodestra, sembra cambiato. Adesso che tutti in Parlamento, ma quasi nessuno nel Paese, parlano di riforme istituzionali, l’uomo giusto per il dialogo è diventato lui: l’ex pericolo pubblico numero uno, Luciano Violante. L’ex presunto capo della presunta spectre di magistrati anti Silvio Berlusconi che dopo aver accarezzato a lungo il sogno di essere nominato membro della Consulta, oggi più modestamente punta a un posto nel pantheon dei Padri (ri)costituenti. Così, mentre non passa giorno senza che i pidiellini Paolo Bonaiuti e Gaetano Quagliariello lo elogino dicendo : “Per riscrivere la Costituzione bisogna partire dalla bozza Violante”, lui s’industria per apparire sempre più affidabile. Riuscendoci, tra l’altro, benissimo. L’ultima sortita avviene tra le Dolomiti, durante un dibattito intitolato “Processo ai processi”. Qui Violante prima sfodera la soluzione per risolvere “i conflitti tra politica e magistratura”: cambiare la composi-
mano al ministero dell’Ambiente. Ma i pm di Rovigo non si arrendono e chiedono pure al ministro “il provvedimento che verrà emesso”. Insomma, per Violante, siamo davanti a un chiaro esempio di come “l’organo giudiziario” sia diventato “un organo di governo”. Può essere. Di certo però l’intervento di Violante a Cortina, ripreso pari pari dal suo libro “Magistrati”, è un chiaro esempio di conflitto d’interessi. L’ex parlamentare è infatti l’animatore e il presidente di uno dei tanti think tank bipartisan nati negli ultimi anni: Italia Decide. Scopo nobile dell’associazione è quello di mobilitare energie “contro l’Italia del non fare”. E proprio per questo, accanto allo straordinario
I
esaminato la documentazione, hanno segnalato “l’esposizione da parte di Enel di dati ritenuti non reali che portano a elaborazioni viziate”. Come dire: secondo i periti lo sponsor “dell’associazione a-partisan” presieduta da Violante sta truccando le carte. Se sia vero o meno, a questo punto, lo possono stabilire solo le indagini. Per questo il 1 aprile dello scorso anno la magistratura ha chiesto al ministero “l’invio di tutti gli atti, note o pareri – successivi a quelli già inviati a quest’ufficio – emessi dalla Commissione Via” e da altri organismi. Suscitando le proteste del padre costituente in pectore, Violante che ora denuncia tra gli applausi di Cortina “l’intimidazione”. L’idea di attendere l’esito dell’in-
Per l’ex giudice avrebbero “intimidito la commissione di impatto ambientale” In alto Luciano Violante, a destra Angelino Alfano; in basso Pier Luigi Bersani (FOTO ANSA)
zione del Csm e farne nominare per due terzi i membri dalle Camere e dal presidente della Repubblica. Un rimedio senz’altro efficace, visto che è difficile immaginare di trovare molte toghe disposte ad indagare o condannare qualche politico, sapendo che poi i partiti potranno prendersi la loro rivincita nell’orga-
no, finora, definito “di autogoverno della magistratura”. Poi, come per dimostrare che pure lui vuole fare sul serio, Violante sciorina qualche esempio. E, in attesa dell’introduzione di “un’alta Corte di giustizia costituzionale” a cui assegnare i procedimenti disciplinari contro le toghe, indica, pur non facendo-
“NO A LEGGI AD PERSONAM” Il segretario del Pd: “Ma siamo pronti ad appoggiare le riforme” alle riforme, no a SE’ ìleggi ad personam. stato chiaro il segretario del Partito democratico nella conferenza stampa d’inizio anno, e ha rivolto un appello diretto a Silvio Berlusconi: “Siamo disponibili alle riforme purché siano di sistema - ha detto Bersani - se la destra turba le condizioni politiche invadendo il parlamento con uno tsunami di norme che, sotto la veste di carattere generale hanno il solo scopo di risolvere i problemi del premier, allora si prende la responsabilità di far fallire il confronto”. Immediata la risposta di Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio: “Bersani dice di essere disponibile alle riforme e questo è un bene. Ma dovrebbe sapere altrettanto bene che lo tsunami lo ha scatenato certa giustizia politica contro Berlusconi negli ultimi 15 anni”. Per Bonaiuti il punto di partenza per le riforme può essere la bozza Violante: “Ovviamente non dico che va bene così come è – precisa – per noi i poteri del presidente del Consiglio vanno aumentati. Ma c’é accordo sul bicameralismo e sullo snellimento delle procedure di formazione delle leggi”. Per il segretario del Pd le priorità sono “i poteri di governo e parlamento, il superamento del bicameralismo, il numero dei deputati e, in questo quadro, anche i rapporti reciproci tra Parlamento, governo e magistratura”. I giorni di vacanza a New
York sono serviti a Bersani per un confronto tra le agende politiche. E la conclusione è che le priorità italiane sono sbagliate visto che, se in Usa si discute di sanità e green economy e in Francia di disoccupazione, la politica italiana passa il tempo “a discutere di processo breve”. Intanto il “lodo Alfano bis” verrà presentato la prossima settimana al Senato, ma potrebbe anche essere sostituito se ci sarà un accordo con l’opposizione per ripristinare l’immunità parlamentare, nella forma prevista dal ddl presentato da Franca Chiaromonte (Pd) e da Luigi Compagna (Pdl). Proposta della quale Antonio Di Pietro non vuole nemmeno sentir parlare: “Il Pd deve pensarci bene prima di sedersi al tavolo delle riforme con il centrodestra – ha detto il leader Idv – Pier Luigi Bersani dovrà evitare ‘ammiccamenti’ sul tema della giustizia se non vuole compromettere la possibilità di un’alleanza con l’Italia dei Valori. Ho visto che al Senato il Pd ha presentato una proposta di legge per reintrodurre l’immunità parlamentare. Noi vogliamo essere alleati con il Pd ma se lo scordano se pensano di poter essere alleati con noi e trattare con gli assassini della democrazia”. Favorevole alle riforme condivise invece l’Udc, che non ha gradito le affermazioni attribuite a Berlusconi durante una telefonata agli eurodeputati del Pdl, secondo le quali il centrodestra è pronto, se necessario, a varare da solo le riforme istituzionali e della giustizia: “Non c’è nessun bisogno di minacciare riforme solitarie della maggioranza – ha detto il deputato Udc Luca Volonté – perché le proposte dell’opposizione sono sul tavolo del Parlamento da anni”. c .pe.
ne i nomi, al Guardasigilli Angelino Alfano i pm su cui i suoi ispettori dovrebbero cominciare ad indagare: quelli della fin qui semi-sconosicuta Procura di Rovigo. La loro colpa? Aver bloccato, sostiene Violante, la trasformazione di una centrale Enel a metano, ”abbastanza inquinante”, in una centrale a carbone, meno inquinante (dice lui). Secondo l’ex presidente della commissione Antimafia infatti i magistrati avrebbero “intimidito la commissione di impatto ambientale” che doveva dare il via all’opera emanando per due volte un decreto in cui si scriveva, più o meno, “fateci avere le decisioni che prenderete. Cioè si presentava una richiesta di sequestro futuro”. “Naturalmente”, spiega Violante, “tutti quelli della commissione non si riuniscono perché temono che la magistratura li metta sotto inchiesta”. Anche per questo la questione passa in
parterre dei soci promotori tra i quali compaiono, i nomi di Carlo Azeglio Ciampi e Gianni Letta, ci sono pure dei soci fondatori. Per esempio proprio l’Enel spa, che con la magistratura di Rovigo ha il dente avvelenato. Un’inchiesta legata all’inquinamento prodotto dalla centrale di Porto Tolle in primo grado aveva portato alla condanna dei vertici dell’azienda. Poi in appello gli ex amministratori delegati Paolo Scaroni e Franco Tatò erano stati assolti, mentre per i dirigenti locali era stato pronunciato un nuovo verdetto sfavorevole, ora all’esame della Cassazione. Anche per questo, mentre si moltiplicavano gli esposti e i ricorsi al Tar di comitati di cittadini, i pm di Rovigo hanno cercato di capire se installare una centrale a carbone comportasse dei rischi. E, come si legge in una delle lettere inviate al ministero dell’Ambiente, i consulenti tecnici della procura, dopo aver
SCANDALO MONNEZZA
chiesta, non sembra invece averla presa in considerazione. Un po’ come era accaduto nel febbraio del 2006 quando i pm di Salerno e di Torino avevano chiesto al Parlamento di poter utilizzare alcune intercettazioni telefoniche indirette contro Vincenzo De Luca (Ds) e Ugo Martinat (An). I reati contestati erano gravi, ma la giunta per le autorizzazioni a procedere aveva deciso con voto bipartisan di mandare al macero le bobine. Con un’unica eccezione, il diessino Giovanni Kessler. Il quale era però stato subito apostrofato dal capogruppo Violante: “Tu oggi hai votato contro un compagno! Come ti permetti?”. Kessler aveva ribattuto di aver agito secondo coscienza. E, tre mesi dopo, era stato uno dei tre deputati della Quercia non ricandidati dopo un’unica legislatura. Un modo come un altro per risolvere i conflitti tra politica e giustizia.
di Vincenzo Iurillo
IMPREGILO INCASSA ALTRI MILIONI DI EURO L
a chiusura dell’emergenza rifiuti in Campania porta in dote un bel po’ di soldi a una protagonista della stagione del disastro monnezza. Secondo la relazione tecnica allegata al decreto che conclude la fase commissariale, rivelata sul sito de Il Velino, Impregilo riceverà per il termovalorizzatore di Acerra una somma decurtata “del canone di affitto corrisposto nei 12 mesi antecedenti all’atto del trasferimento (previsto entro il 31 dicembre 2011, dovrebbe essere la regione Campania a comprare, ndr), pari a 30 milioni di euro, delle somme anticipate dalla struttura del sottosegretario, nonché
delle somme relative a interventi effettuati sull’impianto funzionali all’esercizio del termovalorizzatore pari a 90 milioni”. E se l’impianto supererà la fase di collaudo, Impregilo otterrà 2,5 milioni al mese fino al 2024. Tommaso Esposito, avvocato dei comitati antinceneritore, protesta: “A pagare saranno i cittadini con gli incrementi sulla Tarsu e la voce Cip 6 delle bollette, mentre una società privata alla quale venne rescisso il contratto e sotto processo per truffa allo Stato, otterrà un guadagno da un’operazione che in partenza venne presentata come priva di costo per il pubblico”.
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Venerdì 8 gennaio 2010
Bomba alla Procura di Reggio: c’era una donna nel commando
È
REGIONALI
caccia alla “signora della 'Ndrangheta”. Le immagini registrate dalle telecamere sotto gli uffici della Procura generale di Reggio Calabria sono chiarissime. A piazzare l’ordigno che domenica scorsa ha danneggiato la procura è stata una donna. Era lei a guidare lo scooter che ha portato sul posto i due attentatori. Indossava un paio di
scarpe nere, con i tacchi alti e aperte davanti. Nel filmato si vedono il decolleté e i lineamenti femminili nella parte inferiore del volto. Dalle immagini traspare la freddezza con cui la donna teneva nella pedana dello scooter una bombola a gas collegata all’esplosivo e la capacità del ragazzo di accendere la miccia prima di piazzare l’ordigno nella porta della Procura generale. Mentre la
posiziona, la donna prepara il motorino per la fuga uscendo dall’obiettivo della telecamera. Mancano pochi secondi alle 4 e 50 di domenica. Queste le prime indiscrezioni delle indagini, che offrono una novità (l’utilizzo di una donna da parte della 'Ndrangheta) e una certezza: l’attentato è stato deciso dalle 'ndrine più potenti della città di Reggio.
MI MANDA PEPPE
In Calabria il Pdl si divide: troppi i candidati vicini ai boss della ‘Ndrangheta a sostegno di Scopelliti di Enrico Fierro
a bomba alla Procura generale di Reggio Calabria è un messaggio chiaro alla politica. Dieci chili di tritolo e una bombola di gas sotto quegli uffici che stanno rileggendo vecchi fascicoli, incartamenti dimenticati, utili, però, a ricostruire il mosaico maleodorante dei rapporti tra ‘Ndrangheta e Pubblica amministrazione. In una intercettazione del 2004, Domenico Libri, capo di una delle famiglie che dominano Reggio, parla con Matteo Alampi, un imprenditore in odor di mafia. La guerra tra i Libri e i Condello è finita (di Pasquale Condello 'o supremu, Libri dice “E' tra i migliori uomini di Reggio”), ora si pensa agli affari. Le società miste sono il nuovo business della ’Ndrangheta. “Io ho una possibilità al comune”, dice il boss Libri. “Nel comune, cinque società, una per il box service delle pulizie, un'altra per recuperare le buste... poi voi nella vostra saggezza lo potete valutare”, replica l'imprenditore. Il meccanismo è semplice e lo spiega Alampi, la partecipazione dei privati alle società col 49% deve prevedere la presenza di persone e ditte del nord per non destare sospetti. “Non mi interessa la galera, non mi interessa che gli freghiamo i soldi allo Stato”. Mafia e politica, un tema che in questi giorni di preparazione delle liste sta dilaniando il Pdl calabrese. “Il nostro partito non può essere virtuoso in Lombardia e vizioso in Calabria. No a personaggi conniventi, non possiamo tollerare candidati chiacchierati”. Nero su bianco, scritto in un documento del Pdl della provincia di Cosenza. La più grande della regione, dominata dai fratelli Gentile, Tonino, senatore e Pino, capogruppo alla Regione. Fedelissimi di Peppe Scopelliti, il sindaco di Reggio in corsa per diventare governatore. Sono loro che stanno gestendo la partita delle candidature e senza tanta puzza sotto il naso. Sergio Bartoletti, il coordinatore provinciale del partito, che di dubbi invece ne aveva tanti, è stato dimissionato con la forza. I suoi supporter hanno scritto una du-
L
Blocchi di potere si stanno muovendo e pacchetti di voti stanno cambiando schieramento
rissima lettera a Denis Verdini e a Silvio Berlusconi ma il povero Bartoletti ha tentato di dissuaderli. “Lasciate perdere ho subito minacce e ho paura per la mia famiglia”. Ma chi sono i “conniventi” e i “chiacchierati” che il Pdl, direttamente nelle liste del partito, o indirettamente in quelle che sosterrano la coalizione di Scopelliti, si appresta a portare alla Regione? Tanti. I nomi circolano, qualcuno è già in campagna elettorale. Franco La Rupa nel 2005 venne eletto consigliere regionale nell'Udeur, per lui i magistrati della Direzione antimafia di Catanzaro hanno chiesto quattro anni di galera. Era un uomo legatissimo al boss Tommi Gentile, di Amantea, città di mare della quale La Rupa è stato sindaco. Per i pm l'ex consigliere era “socio occulto di Gentile”. Insieme avrebbero addirittura acquistato una motonave, ma gli interessi del boss erano legati alla gestione del porto. E quando l'onorevole litiga con il suo vicesindaco, Tommaso Signorelli, che i magistrati collocano tra i “referenti politici del clan Gentile”, il boss lo convoca. “Andate a casa, portatemelo, se non vuole venire straziatilu (picchiatelo, ndr), ma portatelo qui La Rupa”. C'è un pranzo chiarificatore nel giugno 2006, l'onorevole, annotano i
pm, “è pallido in volto, mentre il boss gli tira palline di pane”. Tommaso Signorelli, politico “a disposizione”, e già membro dell'assemblea costituente del Pd, ora si candida con i socialisti di Saverio Zavettieri. Assieme al “pallido” La Rupa, candidato pure lui con l'Udeur, sosterrà Scopelliti. Cosimo Cherubino è un altro candidato. Lo arrestarono nel 2000, quando era consigliere provinciale dello Sdi con l'accusa di essere troppo vicino alle cosche di Siderno. Assolto, fu anche risarcito dallo Stato per ingiusta detenzione. Luigi Garofalo, ex consigliere provinciale di Cosenza, alle ultime elezioni provinciali non ce l'ha fatta. Poco male, perché Mario Oli-
verio, Pd e presidente della provincia, gli ha riservato un posto di rilievo nella sua segreteria. Coinvolto nel processo “Omnia”, i giudici hanno chiesto per lui una condanna a 4 anni. E' candidato nelle liste del centrodestra. Interi blocchi di potere si stanno muovendo in queste settimane in Calabria. Detentori di importanti pacchetti di voti passano dal centrodestra al centrosinistra, accadde anche nel 2005, quando Mimmo Crea, già assessore nella giunta di centrodestra, fu accolto nelle liste di Loiero a braccia aperte e grazie alle pressioni di leader nazionali del centrosinistra. Ora è in galera per mafia.
Peppe Scopelliti, sindaco di Reggio Calabria (ANSA)
ALLEANZE
BERSANI SENZA UDC NON SA PROPRIO STARE di Caterina Perniconi
a’ dove ti porta l’Udc. Questo è il motto che guida Vregionali il Partito democratico nella partita delle elezioni che non è ancora chiusa. I candidati si scelgono “con un filo logico che porti a rendere più competitivo il centrosinistra” ha detto ieri il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Ovvero: più siamo, contro Berlusconi, meglio stiamo. E il peso dell’Udc, forza parlamentare che dialoga a destra e sinistra, è più importante di quello espresso dalle minoranze. Perciò se Pier Ferdinando Casini in Puglia preferisce Boccia a Vendola, sarà quello il candidato. Mentre nel Lazio, dove l’Udc appoggerà Renata Polverini, “via libera anche ad un candidato non Pd”. E allora ecco che l’ipotesi Emma Bonino torna in campo come candidatura di tutta la coalizione e il partito si divide: perché i cattolici ritengono l’esponente radicale “anticlericale” e temono che una sua candidatura non allargherà il consenso, trasformando il confronto elettorale in uno scontro ideologico con inevitabili riflessi sulla dialettica interna al partito. Del resto l’incapacità di esprimere un candidato democratico per il Lazio, regione perno dello scacchiere politico nazionale, ricalca le difficoltà che ha avuto anche Berlusconi nell’individuare un “fedelissimo”, sacrificando la poltrona ad un accordo che tenesse insieme sia Fini che Casini. Emma Bonino non è però l’unico fronte caotico nel
Pd. Il sacrificio di una vittoria in Puglia, ma anche solo delle primarie, in nome di un’alleanza moderata Pd-Udc fa tremare i polsi dei molti che non vogliono un legame esclusivo. Fino ad Arturo Parisi, che promuove la Bonino e scarica la colpa di questa situazione di stallo sulle scelte di Massimo D’Alema, invitandolo a confessare che per lui “le primarie, il maggioritario e la democrazia dei cittadini, sono tutte boiate”. Il clima che si respira non è dei migliori e Pierluigi Bersani deve averlo registrato rientrando dalla sua vacanza americana. Infatti ci ha tenuto a precisare, a chi lo ha accusato di scarsa presenza, che ci devono prendere l’abitudine, perché “chi ha maggiori responsabilità non deve per forza partecipare alle chiacchiere quotidiane, perciò parlerò meno di altri e sarà così nel futuro”. Ma non sarà facile per lui, nell’era dell’informazione continua, convincere il partito che questa scelta sia giusta. E ieri anche il sindaco di Venezia non si è risparmiato un commento al vetriolo sul segretario definendo il partito “in una crisi drammatica di leadership e di strategia”. Critiche alle scelte di Bersani anche da Antonio Di Pietro, che si ritiene incapace di capire le lotte intestine che si consumano all’interno del Pd. Ufficializzata ieri, per esempio, la candidatura alle primarie in Umbria di Mauro Agostini (tesoriere Pd in quota Franceschini) contro la bersaniana Maria Rita Lorenzetti. Dal leader Idv è arrivato anche un ul-
DIRITTO DI REPLICA
RUTELLI RISPONDE A TELESE
H
o letto sul “Fatto” l’ennesimo articolo scritto con livore e odio nei miei confronti dal signor Luca Telese. Si tratta di un rimestìo di vecchia robaccia. Addirittura, alcuni brani attribuiti a mio padre risalenti al 1993 (quando era ammalato) che furono utilizzati per tentare di danneggiare in extremis la mia elezione a sindaco di Roma; frasi attribuite a Bossi contro il mio secondo figlio (adottivo). Non intendo commentare, se non esprimere il mio disgusto verso questo metodo che si crede giornalistico. Il signor Telese fu assunto come collaboratore da un assessore della mia Giunta al Comune di Roma; penso che svolgesse il suo lavoro in modo mediocre. Si chiede, il Telese, perché “Il Giornale” mi rivolga, ogni tanto, degli apprezzamenti. É certo più titolato di me a rispondere, visto che per molti anni e fino a pochi mesi fa ha lavorato proprio lì, nel giornale di proprietà della famiglia Berlusconi. Sono affari suoi, che passi dal giornale di Berlusconi a quello anti-Berlusconi. Io sono e resto un parlamentare di opposizione, di cristallina onestà personale; mi onoro di avere iniziato a far politica con i Radicali; poi con i Verdi e con la Margherita. Altri sono stati comunisti; poi, comunisti nel Pds, comunisti dei Ds e, purtroppo, nel Pd. Alcuni sono passati direttamente dalla sinistra al berlusconismo; altri, dalla Dc al dipietrismo. Ciascuno giudicherà. Per parte mia, colgo da articoli come questo un senso di liberazione: verso il minoritarismo di chi coltiva solo rancore e malanimo e che fa male all’Italia non meno del populismo di destra. Francesco Rutelli
Tutte le citazioni che riporto nel mio articolo, ovviamente, sono letterali, e del resto nemmeno Rutelli lo nega. Capisco che a Rutelli dispiaccia che il padre parlasse di lui con tanta durezza. Non è il primo e non sarà l'ultimo figlio a subire questo destino, e io, tendenzialmente solidarizzo con i figli: ma per qualsiasi recriminazione l’ex sindaco avrebbe dovuto inoltrare la sua lettera a Gente (che raccolse l’intervista) e non certo a questo giornale. Le parole di Bossi sui figli adottivi dell’ex sindaco furono grevi e volgari, ma anche di questo Rutelli deve prendersela con il leader della Lega, e non certo con chi scrive (altrimenti sarebbero da censurare tutti i giornali italiani che dedicarono paginate a quelle frasi ed altre simili). Quanto al fatto che io sia stato “mediocre collaboratore” di un assessore della giunta Rutelli (una esperienza di lavoro durante la quale, per mia fortuna, ebbi scarsissimi contatti con il sindaco, ma quanti ne bastano per capire come lavora): le carriere di ciascuno sono sotto gli occhi di tutti, esattamente come quella del leader dell’Api. Tutti possono giudicare il grado di coerenza di cosa scrive Luca Telese, così come quello di qualsiasi politico che passa dall’anticlericalismo esasperato al moderatismo neodemocristiano. Di chi passa dalle campagne per l’aborto, agli appelli all’astensione contro i referendum sulla procreazione assistita, che hanno costretto tante donne a dover emigrare per fare figli. (Lu. Tel.)
timatum per Bersani, al quale Di Pietro ha comunicato di aver già pronte le sue liste e di non essere disposto a offrire altro tempo all’indecisione dei democratici. Eppure in Puglia la situazione non si definirà prima di lunedì, giorno in cui è prevista l’assemblea regionale del Pd che, come ha ribadito anche Bersani, “è l’unico organo che può decidere”. Nichi Vendola ha definito “fallito” il mandato esplorativo affidato a Francesco Boccia di verificare una alleanza possibile che andasse da Casini a Vendola. Boccia a sua volta ha dichiarato pubblicamente di non volere le primarie che servirebbero a spaccare la coalizione e non a unirla. E’ bastata una frase di Roberto Ruocco, capogruppo del Pdl in Puglia, a spiegare la situazione: “Di fronte a quel che sta accadendo a sinistra, a noi verrebbe da ringraziare Sant’Antonio per la troppa grazia. Francamente non potevamo nemmeno immaginare che l’avversario contro il quale ci apprestavamo a combattere, con la credibilità di cinque anni di dura opposizione, ci si squagliasse dinanzi prim’ancora dell’inizio della battaglia”.
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Venerdì 8 gennaio 2010
COSE LORO
Al Secolo la resistenza di An al regno di B. Un giorno al quotidiano di via della Scrofa: Fini sarà il futuro leader ma ora va difeso La direttrice del Secolo d’Italia, Flavia Perina di Wanda Marra
editoriale oggi dovrebbe essere sul fatto che un giornale non può dettare la linea al Pdl”. La riunione di redazione del Secolo d’Italia, un open space a via della Scrofa, il portone accanto alla sede della ex Alleanza nazionale, è rapida e informale. Assieme al direttore, Flavia Perina, il direttore responsabile, Luciano Lanna e i responsabili delle pagine degli Interni. Gente abituata a discutere di politica da sempre,
“L’
con una tradizione “solida” alle spalle. E infatti, si capisce anche dall’equilibrio dei pezzi “forti” del giorno, disegnati sul timone: uno dedicato alle donne, come la Polverini o la Bonino che hanno uno stile “diverso” da quello di altre, come la Santanchè. E una pagina sull’anniversario della strage di Acca Larentia (tre giovani militanti missini furono uccisi il 7 gennaio 1978 da un commando dell’ultra-sinistra). Uno sguardo alla destra moderna, che si smarca dal berlusconismo, un altro alle radici storiche, che affondano
nel passato, fino ad arrivare al fascismo. E poi, un’intervista a Donato La Morte e Franco Pontone su come funziona la fondazione che gestisce il patrimonio della ex An. Un modo per rispondere all’ultimo attacco di Vittorio Feltri, che aveva accusato Fini di “far sparire le case”. Vista dall’interno, la redazione del Secolo assomiglia più che a una trincea a un avamposto della politica che resiste. Resiste all’idea del partito di un uomo solo, non si lascia schiacciare sulle posizioni del berlusconismo e della Lega e rivendica una tradizione politica “pesante”. Anche se sono mesi ormai che il giornale è al centro della guerra mediatica, che lo vede opporsi al Giornale di Feltri. “Questa è più che altro una semplificazione giornalistica – afferma però la Perina, capelli castani, aria pratica ed efficiente, accento romano marcato e un passato nel Msi – Noi non
Un quotidiano “problematico” che si smarca dal berlusconismo e rivendica la sua tradizione
La Padania manda 9 giornalisti in Cig LA LEGA HA SMESSO DI INVESTIRE SUL GIORNALE di Carlo
Tecce
rotazione per 24 mesi. Segue raccomandata”. Il mittente è l'Editoriale Nord, la società cooggi il quotidiano la Padania compie 12 anni. perativa che fa capo al partito della Lega e C'è poco da festeggiare, la crisi dell'edi- che, sin dalla fondazione della Padania, riceve toria trancia in orizzontale il foglio leghista i contributi dal governo per le pubblicazioni: che un tempo vendeva 60 mila copie e da milioni di euro l'anno, oltre 4 nel 2008. L'oranni arranca a 5 mila. Due giorni fa, sul finire ganico della Padania è cresciuto a dismisura delle ferie natalizie, 9 giornalisti hanno ri- negli ultimi anni incurante della fuga dei letcevuto una lettera di tre righe tre: “Comu- tori: i redattori sono 37, tra gli ultimi arrivati, nichiamo che a decorrere dal 4 gennaio, ella un ex consigliere di circoscrizione e un ex è posto in cassa integrazione a zero ore senza dell’ufficio stampa della segretaria di Varese. “Da quando ci siamo trasformati in bollettino della Lega nord, ignorando le notizie e pensando soltanto ai fatti ESTERNALIZZAZIONI di casa nostra – ci dice un giornalista – abbiamo allontanato la gente e diMEDIASET: SCIOPERANO sfatto il lavoro della direzione di Luca Marchi che ci fece conoscere al poTECNICI E TRUCCATORI polo del nord e non solo agli iscritti”. no sciopero che potrebbe bloccare la I debiti non sono enormi, siamo programmazione delle reti Mediaset in nell’ordine di alcune centinaia di mitutto il Paese domenica e lunedì. Una novità gliaia di euro, ma la Lega ha smesso di assoluta per il Biscione. Lo hanno indetto i investire sul quotidiano. Quando sindacati confederali per protestare contro non c’era Libero e Vittorio Feltri aveva la cessione di rami di Videotime (società lasciato il Giornale, la Padania di Marlicenziataria di Mediaset-Rti) alla “Pragma”. chi rappresentava quel giornale del Interessate le maestranze del “dietro le nord da barricate con un linguaggio quinte” (parrucchieri, truccatori, sarti), che che piaceva alla gente del Veneto e hanno inviato una lettera aperta a anche di qualche miglio più a sud. Berlusconi. Temono che l’esternalizzazione Era un giornale completo, dicono i sia l’anticamera del licenziamento. redattori più esperti. Poi il partito l’ha ridimensionato.
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(FOTO GUARDARCHIVIO)
abbiamo certo gli stessi mezzi del Giornale. E poi, sia chiaro: il problema non è che Feltri non può scrivere quello che vuole, ma quale posizione prendono i vertici del Pdl sulle cose che dice”. Una richiesta precisa, alla quale nessuna risposta chiara è stata data. Ma al Secolo si aspettano che entrando nel vivo delle regionali i toni della polemica si abbassino. Quanto meno per una scelta di intelligenza politica. Mentre sono più o meno tutti concordi nel dire che al momento non esiste la questione scissione, evocata in questi giorni da un titolo dello stesso quotidiano di via della Scrofa. Come negano che ci sia in programma una riunione per formare un eventuale gruppo di finiani. Si vuole Fini futuro leader, allora? “Fini è già un leader”, dice perentoria Annalisa Terranova,
responsabile delle pagine politiche insieme con Girolamo Fragalà, al Secolo dal 1990 e anche lei un passato politico nel Msi. Sì, ma del Pdl? “Sul Pdl dei dubbi li avrei”, si lascia scappare lei fuori dai denti. Mentre Antonio Marras, che Fini lo conosce da 35 anni: “È chiaro che sarà lui il prossimo leader naturale. Non ci sono dubbi. Però, comunque, lo voglio dire: questo è il miglior governo italiano dal 1945”. Ma i giornalisti del Secolo si sentono una corrente? “Siamo un giornale problematico”, – dice Filippo Rossi, che fa parte della nuova guardia ed è anche direttore di FareFuturo webmagazine, che fa riferimento alla fondazione omonima vicina al presidente della Camera – a me interessa sottolineare la nostra visione del giornalismo più che della politica”. Sarà, ma intanto il Secolo è di fatto in prima linea nella battaglia in-
GUERRA NEL PDL
“NESSUN INCONTRO CHIARIFICATORE”
“R
icominciare? Cosa dovremo mai ricominciare? Non c’è alcuna necessità di ridiscutere il patto fondativo del Pdl, va bene così”. Giorgio Stracquadanio, stimato spin doctor del Cavaliere ci mette una pietra sopra: l’atteso incontro chiarificatore tra Berlusconi e Fini, invocato nel nome di una maggiore collegialità nelle decisioni strategiche del partito, è davvero di là da venire. L’orizzonte, visto dai falchi del Pdl è senza via d’uscita per Fini; o si adegua o se ne va. “Ma io non credo giura Bonaiuti, portavoce di Palazzo Chigi - che Fini se ne voglia andare davvero”. Prima delle Regionali, comunque, continueranno le scosse telluriche interne al Pdl, non certo di assestamento. La rottura, se ci sarà, avverrà dopo. E questo lo sa anche Berlusconi. Che, però, continua a non dare peso alle richieste dell’alleato e cofondatore del partito. Persino la battuta, uscita nel salotto di Arcore davanti agli imbarazzati Sandro Bondi e Denis Verdini e ad un divertito Francesco
Già due anni fa, nel settembre del 2007, l'Editoriale Nord aveva chiesto e ottenuto lo stato di crisi dalla Federazione nazionale della stampa. Erano 14 i giornalisti in cassa integrazione, un po' di ossigeno e nuovo cambio di strategia: “Avevamo ormai abbandonato le edicole del centro Italia, avevano scelto una distribuzione ridotta e una maggiore attenzione alla voce del partito”. I 14 del 2007 sono diventati 9, più 2 in aspettativa. Sono sempre gli stessi. Questa volta la Fnsi è andata allo scontro con l'Editoriale Nord. L'azienda voleva licenziarli, per adesso garantisce la copertura degli stipendi. Nell’incontro con la Regione Lombardia e i rappresentanti della stampa, l'Editoriale Nord ha spie-
terna al Pdl. “Ci hanno dato un ruolo”, spiega Luca Maurelli. “È Feltri che ha cominciato ad attaccarci a settembre”, lo corregge la Perina. Mentre la Terranova ci tiene a ricordare: “Ci siamo scontrati sui temi. Già da quest’estate abbiamo dato spazio a posizioni diverse da quelle della Lega, per esempio sul decreto sicurezza”. “In alcuni casi è stato Fini a venire su posizioni anticipate da noi: per esempio contro l’islamofobia noi siamo schierati da anni”, spiega Lanna. A proposito di islamofobia, l’ingresso della Santanchè nel governo è osteggiato con forza dai finiani. “Sì, ma questa cosa esiste davvero? – si chiede la Perina – mica il Pdl si è riunito e lo ha deciso”. La collegialità, appunto. Ma è mai accaduta una cosa del genere? “È un partito nuovo, un percorso tutto da organizzare e da fare. Però, questo delle decisioni è sicuramente un tema centrale per il futuro del Pdl”.
Storace, dell’idea di “sostituire La Russa con Fini stesso” nel coordinamento del partito “visto che vuole fare politica”, ha dato netto il senso di un distacco del premier dalla questione. Conferma, infatti, lo stesso Verdini: “Al momento, la discussione degli equilibri interni non è considerata una priorità dal premier”. E allora, che cosa lo è? Ovviamente la giustizia. E infatti lunedì ci sarà un verice sul processo breve. Ad agitare le acque nel Pdl ci si è messa anche la questione Santanchè e le voci che la danno in procinto di entrare nel governo con la carica di sottosegretario all’Interno. Fini non la vuole e Berlusconi invece sì. Ma stavolta tutti gli ex An, persino chi ha abiurato la casa madre proprio come Maurizio Gasparri, hanno alzato un muro: “La nomina di nuovi sottosegretari deve unire e non dividere”, ha dichiarato il presidente dei senatori Pdl. E le tensioni con Fini allora? Solo ‘’posizioni di minoranza animate dalla ricerca di visibilità”. Lo pensa anche Berlusconi. Che ieri ha confidato ai suoi: “Fini non sa cosa vuole e noi non abbiamo tempo da perdere”. (Sara Nicoli)
gato il suo piano di rientro: “Escludiamo di poter applicare la rotazione del personale sospeso, per la soppressione di alcune sezioni del giornale. - c'è scritto nel documento Verrà richiesto il pagamento diretto da parte dell'Inpgi. Per i mesi in attesa della decretazione ministeriale”. A via Bellerio sperano negli ammortizzatori sociali del ministro Maurizio Sacconi, forse, sperano di più nel prepensionamento per alleggerire le buste paga. Il giornale che più volte ha titolato in favore dei Bossi e dei Maroni difensori dei lavoratori del nord, proprio nel giorno del suo dodicesimo compleanno, costringe a casa 9 giornalisti avvisati con una letterina breve e gelida.
Venerdì 8 gennaio 2010
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CRONACA E POLITICA
IL FATTO POLITICO
BOLZANO, LA LEGA VUOLE PARLARE TEDESCO
dc
Tsunami regionali di Stefano Feltri
La Svp potrebbe lasciare il Pd e allearsi con la destra
Una foto di Bolzano (FOTO ANSA)
di Maurizio Chierici
e a Bolzano ci fosse il mare sarebbe una piccola Bari. Provincia dall’ equilibrio poltico ripiegato nella pietrificazione etnica fissata dalla storia. Come succede in ogni capitale del Sud le vanità personali pasticciano alleanze e programmi. Gli italiani trapiantati da Mussolini ne sono protagonisti. E la coesione tra il colosso Svp ( Sudvolkspartei) e il centro sinistra potrebbe precipitare a destra come non era mai successo in cinquant’anni. In agguato la Lega. Va e viene Calderoli che seduce Elena Artioli, giovane signora dai languori celebrati: “Ascoltarne i suggerimenti è un onore del quale sono orgogliosa”. E’ la sola consigliera di Bossi nel parlamentino dell’amministrazione provinciale. Signora plurilingue che la Svp aveva accolto nelle sue file, ma poi se ne è liberata perché la distinzione tra “ tedeschi “ italiani deve restare cristallina: è il suo racconto. Perché ambiziosa e sgomitante, riferiscono gli ex amici Svp. Va e viene Maroni: ha aperto un tavolo di riconciliazione etnica che riunisce le poltrone di ogni partito (Pd, titubante ), vescovo compreso. Intanto il Pd di
S
Bolzano ripete i pasticci pugliesi: di corsa verso il disastro. Se il sindaco Luigi Spagnolli ha voglia di ricandidarsi, deve rimettersi in gioco nelle primarie annunciate all’improvviso. Primo cittadino infuriato al termine del suo primo onorevole mandato. “Roma cospira contro di me“. Annuncia il ritiro, comincia il caos. Adesso tutti a supplicarlo: niente primarie, resti il nostro uomo. Ma l’orgoglio resiste: “Devono chiedermelo con le orecchie in tasca altrimenti non accetto “. Ha attraversato anni difficili schiacciato tra la Svp e il gelo che il ministro Frattini (nume di Bolzano) fa pesare da Roma. Gli italiani (73 per cento degli elettori in città) rimproverano a Spagnolli il, peccato di eccessiva tolleranza verso il vice sindaco Oswald Ellecosta, minoranza tedesca alla quale i protocolli Italia-Austria assegnano la seconda poltrona. Galeotto il 25 aprile e vecchie ferite che resistono. Se gli italiani festeggiano la Liberazione, Oswald Ellecosta non va alla cerimonia perché “il 25 aprile non siamo stati liberati. Ci hanno liberato i tedeschi l’8 settembre ‘43“. Discorsi di pancia che il sindaco prova a stemperare per non rompere l’equili-
brio con la Svp. Ma se il centrosinistra dovesse naufragare, con chi può dividere il potere municipale il partito “ tedesco“ che domina l’Alto Adige ? Nelle elezioni provinciali gli italiani sono andati così così. Due consiglieri Pd, subito assessori per l’accordo codificato. Tre Verdi, indipendenza che discende da Alex Langer e Reinhold Messner. Per la Lega c’é solo la signora Artioli. Bisogna aggiungere i rapporti non cordiali tra il presidente della provincia e il ministro. Frattini non perdona a Luis Durnwalder di sollecitare a Vienna la tutela dell’autonomia per la minoranza di lingua tedesca. “Delle nostre situazioni interne non se ne può occupare un governo straniero“. Durnwalder risponde: ”Allora perché l’Italia ha modificato la legge elettorale per tutelare gli italiani all’estero? Il Sud Tirolo resta un problema internazionale “. “Tedeschi” che non gradiscono l’onorevole Michaela Biancofiore, Popolo delle Libertà: “la biondona“, ha sorriso Biagi quando sul palcoscenico di Bolzano rideva a crepapelle mentre Berlusconi alzava il dito medio, gestaccio considerato spiritoso. Biancofiore che lo riproduce in una torta d’auguri portata all’esule di Arcore. Ma sotto la torta la sorpresa del nome del sindaco futuro sul quale il cavaliere avrebbe messo il sigillo. Biancofiore eletta in Campania; Biancofiore che denuncia “eccessivo“ l’accordo che concede “il 37 per cento in più del cento per cento dovuto alle province di Trento e Bolzano “ che non versano a Roma le tasse“. Biancofiore che rivuole il 4 novembre festa nazionale delle forze armate, quel 4 novembre che ha cambiato i confini del Tirolo. Allora, quali italiani può scegliere Durnwalder, signore della Provincia alla quale sono appese le sorti del Comune ? Perché la Provincia é una cassaforte con 5 miliardi, tasse non trasferite a Roma, da distribuire ai suoi 460 mila abitanti: dai fiori dei balconi, a scuole, appalti, mutui per i ragazzi che vogliono una casa, più facile se tedeschi. Candidato ombra della destra, l’ ex An Giorgio Hol-
tzman, fama di mediatore: vuole riunire i conservatori della Svp al Popolo della Libertà. Passato da boia chi molla, ma il tempo ha addolcito gli umori degli anni giovani. Diplomazia che infastidisce il ticket Frattini-Biancofiore e Holtzman resta dubbioso: lasciare Montecitorio per fare il sindaco ? Anche la sua vecchia An è spaccata: dinosauri ottuagenari gli rimproverano l’ammorbidimento. Si può incontrare Holzaman nel bar della domenica: saluti calorosi, abbracci. Se la Biancofiore si è fatta eleggere in Campania, Holtzmann è il candidato italiano più votato di tutti i partiti dell’Alto Adige. Discorre volentieri proprio come la Artioli che arriva in albergo col suo passo elegante. Il sindaco Spagnoli è disponibile nella schiettezza di chi si è formato al di fuori della politica. Colloquio complicato con Luis Durnwalder da 20 anni presidente e vicerè. Un giorno a Vienna, un giorno a Roma, fine settimana nelle sue valli. In ufficio
alle cinque del mattino, mezzora dopo i primi appuntamenti. Parla volentieri al cellulare: il numero non è segreto. Ha bisogno di un alleato al governo, Frattini e Biancofiore troppo partigiani della centralità romana. Anche il federalismo di Bossi lo lascia perplesso: prevede quote di solidarietà alle regioni povere. Centinaia di milioni in meno e la provincia felice un po’ impoverisce. Ma la Lega vuole l’Europa dei popoli, proprio come la Svp. Insomma, liaisons ancora evanescenti eppure possibili. “ Dopo i risultati del primo turno, decideremo con chi stare “. Mani libere anche se riconosce che il centro sinistra si è comportato bene “ con noi che di sinistra non siamo “. Ha pregato Spagnolli di non lasciare la politica “ anche se gli italiani restano troppo divisi. Intanto incoraggia Calderoli: “ ridurre i consiglieri comunali obbliga partiti e partitini a riunirsi in coalizione ,e per noi diventa più facile trattare “.
PROPRIO COSÌ
SILVIO E LE BEFANE “U
na calza piena di dolci per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E’ l’iniziativa organizzata ieri da un gruppetto di ‘befane’ per ‘premiare il presidente per le buone azioni del 2009 e affinché possa fare altrettanto nel nuovo anno’. La pittoresca idea è venuta al coordinamento del Pdl di Trezzano sul Naviglio (Milano) e alle ‘donne azzurre’ della cittadina. Il gruppetto si è presentato guidato dalle donne azzurre con il capo coperto da un foulard e da una bandiera del Pdl. Il piccolo corteo era aperto da un cartello con sopra scritto ‘Silvio, presidente noi ti vogliamo bene. Trezzano sul Naviglio’. Nonostante il mancato faccia a faccia le befane azzurre non sono andate via deluse. Per Berlusconi hanno lasciato un cestino con frutta e carbone bianco e una poesia”. Da “Il Giornale” di ieri, pagina 3.
Il vicesindaco non stringe le mani a Schifani LA CERIMONIA PER IL TRICOLORE A REGGIO EMILIA E L’INCONTRO NEGATO A GRILLO di Stefano
Santachiara
l vicesindaco dell’Italia dei VaImano, lori che si rifiuta di stringergli la Beppe Grillo che chiede invano un incontro pubblico per sapere dove sono finite le firme per la legge “Parlamento pulito”, una contestazione silenziosa con decine di persone a sventolare copie della Costituzione tra le bandiere. Questa è l’altra accoglienza che Reggio Emilia ha riservato al presidente del Senato Renato Schifani, intervenuto ieri alla cerimonia per il 213esimo anniversario del Tricolore (7 gennaio 1797, Repubblica Cispadana). Misure di sicu-
rezza imponenti mai viste da queste parti, centri sociali tenuti a debita distanza, il gruppo dei grillini “Cinque stelle” mescolato a giovani blogger e indignati del ceto medio riflessivo. Nessun incidente come paventato alla vigilia e tutto come da copione: il discorso del presidente del Senato incentrato sulle riforme per rendere “più adeguata la Costituzione alle esigenze dei tempi” e inserire "quel principio fondamentale secondo cui i governi li scelgono gli elettori e non il palazzo con i suoi trasformismi”. Disponibile a incontrare Beppe Grillo solo in privato, “senza webcam”, Schifani ha garantito che il progetto di legge di iniziativa popolare “è già all'ordine del giorno della commissione affari costituzionali”. Ma il comico genovese avrebbe voluto parlare a nome delle 350mila persone che nel settembre 2007 firmarono per la non candidabilità dei condannati, il limite massimo di due mandati e il ritorno alle
Il Presidente del Senato accolto da manifestanti che sventolano le bandiere con la Costituzione
preferenze uninominali: ”Onorano la bandiera ma ignorano i cittadini - ha detto Grillo - scappano con le scorte, non accettano il confronto pubblico. Schifani non sa neppure cos’è una webcam, Napolitano ha parlato su youtube senza rispondere a una domanda. Parlano tanto di riforme, Pdl e Pd meno elle, ma l’unica riforma è: Berlusconi deve andare in galera o no?” Il vicesindaco Liana Barbati ha seguito l’alzabandiera tra la folla ma non ha partecipato alle iniziative in Municipio e in Teatro dove la seconda carica dello Stato ha detto agli studenti di andar “fieri della Costituzione”. “Peccato che Schifani abbia tentato di garantire un adeguato scudo penale al proprio capo violando tra gli altri l'articolo 3 della Carta - ha spiegato Barbati, sostenuta da Di Pietro poi ci sono i silenzi seguiti alle esternazioni di Berlusconi al congresso Ppe, e la questione morale”. Dunque nessuna protesta contro l’istituzione e il vessillo nazionale. Al contrario di altri casi: i leghisti reggiani di rado lo festeggia-
no (ieri due consiglieri su otto presenti) così come il primo cittadino di Mozzo nel Bergamasco ha disertato la festa del 4 Novembre e il sindaco Pdl di Portella della Ginestra la commemorazione (prima volta in 62 anni) della strage. Tra i pochi casi di rifiuto “ad personam” si ricorda nel 1974 quello di Paolo Sylos Labini, che si dimise dopo la nomina a sottosegretario all’Economia di Salvo Lima, incensurato ma già chiacchierato per le sue frequentazioni mafiose. Barbati è stata attaccata da destra e da sinistra, Rifondazione compresa, anche se il sindaco Graziano Delrio, area Franceschini, pare non abbia intenzione di arrivare a una rottura: “Ma se sarà così nessun problema – conclude l’esponente Idv – ho fatto ciò che mi chiedevano gli elettori anche a costo di subire queste aggressioni. Al segretario provinciale del Pd Giulio Fantuzzi che si è detto allibito rispondo che io lo sono di più per il fatto che qui a Reggio hanno deciso di commemorare Bettino Craxi”.
ilvio Berlusconi Ssenza compare in pubblico bende, nelle sue vacanze francesi, ma non è il ritorno annunciato. Per il momento il presidente del Consiglio non interviene nel dibattito, dopo l’incidente sulle tasse dell’Epifania. Prima vengono attribuite a Berlusconi dichiarazioni sulle riforme a partire dal taglio delle tasse, poi Palazzo Chigi smentisce e ieri, a certificare che questo non è un tema dell’oggi, interviene il ministro dell’Economia Giulio Tremonti per dire che si può pensare a intervenire sul fisco ma serve “un grande consenso e una grande prudenza”. Di tagli non si parla. uello di ieri è stato Qritorno anche il giorno del post natalizio di Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd tiene una conferenza stampa per dire che si possono fare le riforme con il governo (e il nodo è sempre quello, in primo luogo, della riforma della giustizia). Ma senza “tsunami” processuali, cioè senza che tutto venga declinato in risposta alle esigenze di Berlusconi. Ma è chiaro che in queste ore il primo pensiero del Pd sono le elezioni regionali: Bersani non si sbilancia troppo, ma lascia capire che la strategia di avvicinamento all’Udc non cambia, dice che su Enrico Letta “non c’è alcun pressing” perché si candidi nel Lazio. E quindi, nella regione che fu di Piero Marrazzo, l’unico nome in corsa resta per ora quello della radicale Emma Bonino. Ma più giorni passano senza che il Pd decida se sostenerla o meno, più si rafforza l’avversaria, Renata Polverini. Ieri la sindacalista dell’Ugl ha incassato anche l’appoggio dell’Udc, che nel Lazio sarà quindi alleata del Pdl. a Roma il Ncononostante partito centrista stia la destra, dalla Puglia il governatore uscente Nichi Vendola denuncia che Pier Ferdinando Casini sta lanciano “un’opa” sul centrosinistra. Perché lì resta ambigua la posizione di Francesco Boccia (Pd) che ha completato il suo “mandato esplorativo” per verificare le alleanze, ma ancora non è chiaro se sia uno sfidante di Vendola alle primarie di coalizione, insieme al sindaco di Bari Michele Emiliano. utta quest’attenzione Tesasperare per l’Udc comincia a l’Italia dei Valori, alleato finora fedele ma che ha la forte tentazione di misurare la propria tenuta autonoma, senza farsi contagiare dalla debolezza del partito di Bersani. “Siamo in grado di presentarci in tutte le regioni da soli o con la parte di coalizione già pronta”, dice Antonio Di Pietro che sta “tendendo la mano al Pd per l’ultima volta”.
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Leghismo-show: gesti “esemplari” contro stranieri e Islam
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CRONACHE
a Lega nord ama pubblicizzare la propria politica anti-immigrazione con gesti eclatanti. Per esempio, nel lontano 2000, Mario Borghezio – chiassoso “celodurista” – disinfetta uno scompartimento del treno Milano-Torino. Come? Spruzzando il prodotto in faccia a due nigeriane malcapitate. Ora che i leghisti crescono al nord e guidano molti comuni, questa
“eccentricità” si è tradotta in amministrazione. Vedi il caso di Trenzano, dove gli stranieri si preparano a ricorrere al Tar contro il divieto del sindaco di bandire l’uso delle lingue straniere durante gli incontri pubblici. Giunto, guarda caso, dopo l’apertura di un centro culturale islamico. Oppure la vicenda di Alzano Lombardo (Bg), dove è difficile parcheggiare in centro e la giunta comunale ha
pensato bene di predisporre dei box auto “solo per i cittadini italiani”. A Chiari e Castelmella (Bs), invece, le amministrazioni hanno deciso di inserire il requisito di cittadinanza nel bando per i premi di “eccellenza scolastica”. Per non parlare dell’operazione “White Christmas”, lanciata dal comune di Coccaglio (Bs). Obiettivo (fallimentare): espellere tutti gli immigrati clandestini entro Natale.
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“I musulmani non devono pulire i nostri uffici” La Lega a Trento non vuole donne di servizio islamiche di Elisa Battistini
ei nostri uffici non devono entrare donne delle pulizie di fede musulmana”. E’ questa la motivazione con cui il capogruppo provinciale della Lega nord trentino, Alessandro Savoi, giustifica la lettera che ieri ha inviato al presidente del consiglio della Provincia autonoma, Gianni Kessler. Nella missiva, recapitata prima ai giornali locali – Kessler l’ha ricevuta solo nel pomeriggio – si chiede che nessun islamico pulisca gli uffici del Carroccio. Con la presente chiedo, a tutela dei consiglieri provinciali e del relativo personale che operano all’interno degli uffici, in considerazione dei documenti cartacei e informatici contenenti dati sensibili qui utilizzati e archiviati, che la ditta che svolge il servizio di pulizia faccia intervenire presso i nostri uffici personale in primis trentino, o comunque italiano si legge. Insomma, ragioni di sicurezza e segretezza imporrebbero negli uffici leghisti solo “lavoratori della nostra fede e della nostra terra”, come ci dice Savoi. Tutto nasce da un episodio, che la lettera ovviamente riporta. Il gior-
“N
no 5 gennaio 2010 è stata trovata dal consigliere Claudio Civettini, alle ore 7.00 del mattino, l’addetta alle pulizie che dormiva, con tanto di coperta e senza scarpe, sulle sedie poste lungo il corridoio della sede. La donna in questione portava il velo ed era, chiaramente, difede musulmana. Civettini avrebbe poi chiesto lumi alla signora, che si sarebbe giustificata dicendo che si era appisolata. Ma il temuto segno islamico (il velo, appunto) ha rivelato una verità inaccettabile per Savoi e il suo gruppo: la cooperativa che ha in appalto le pulizie per conto della Provincia utilizza personale musulmano. Prima, forse, non lo avevano mai sentito dire? “Non lo sapevamo, perché di solito non andiamo in ufficio così presto – dice Savoi – ma ora che lo sappiamo, protestiamo. Noi siamo antislamici! E’ una grande battaglia di civiltà della Lega, questa. Abbiamo raccolto le firme contro la moschea, qui. Perché non possiamo permettere che gli islamici ci colonizzino. A pulire gli uffici della Lega, poi, vogliamo gente trentina, cattolica. Non gente con il velo. Magari questa signora è una donna perbene, ma avremmo pu-
re il diritto di farci pulire l’ufficio da persone italiane”. La cooperativa di lavoro PovoCoop81 ha la gestione dell’appalto fino alla fine del 2010. E nell’appalto – il servizio è di 1 ora al giorno, dalle 5 alle 6 della mattina – non c’è scritto che i lavoratori devono essere bianchi, italiani e cattolici. Il presidente della coop difende infatti la sua lavoratrice. “Basti pensare – dice il presidente Alessandro Barbacovi – che questa signora fa le pulizie anche in una banca”. Ma il presidente non difende solo la donna, una 40enne madre di due figli (“grande lavoratrice, onestissima, che non ha mai creato nessun problema al mondo”), ma la libertà di tutti i suoi lavoratori. “Non facciamo discriminazioni. Applichiamo il contratto nazionale delle pulizie, la normativa sull’immigrazione, le regole dell’appalto, poi gli operatori possono avere il velo, essere musulmani, credere in quello che vogliono”. La cooperativa ha 150 dipendenti (tra cui anche alcuni leghisti), una trentina sono extracomunitari e alcune donne delle pulizie portano il velo. La cosa non disturba Barbacovi. “Se una per-
MALATTIE RARE
Una famiglia si appella a Fazio
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atrizia, un anno, è fra i 15 neonati al mondo che soffrono di “deficit da piridossamina 5 fosfato ossidasi”, malattia genetica rara e mortale. La madre ieri ha rivolto un appello al ministro della Sanità Fazio: “Il farmaco salvavita che serve non è prodotto in Italia ed è difficile reperirlo. La cura è costosa. Abbiamo bisogno di aiuto”.
L’ossessione per la sicurezza e l’islamofobia della Lega viste da Mario Natangelo
sona svolge bene il proprio lavoro, non esiste problema”. Ma Savoi è irremovibile: “Un conto è un lavoratore edile musulmano, un conto è un islamico che entra nel mio ufficio”. Quanto al destinatario della lettera, il presidente del consiglio provinciale Kessler, quando lo interpelliamo ha appena ricevuto lo scritto. Consegnato a mano dal capogruppo del Carroccio. “Ma cosa vuole che le dica? Devo davvero commentare?”, minimizza Kessler. Che non pare proprio intenzionato a prendere sul serio la cosa né tantomeno a prendere provvedimenti. “Se gli uffici sono puliti – ironizza – non c’è molto altro da aggiungere. Paghiamo la ditta per questo. Per quanto riguarda le assunzioni, i lavoratori stranieri devono essere regolari. E una volta appurate queste due questioni, la ditta fa lavorare chi ritiene opportuno. Fine”. I rapporti con la Lega, spiega Kessler, a Trento non sono mai stati particolarmente burrascosi. La provincia è guidata da una giunta di centrosinistra presieduta da Lorenzo Dellai. Ma
Il gruppo consiliare in Provincia non si sente sicuro se a spazzare c’è una donna con il velo il partito di Bossi, all’opposizione (alle ultime provinciali ha preso il 14%), non è “belligerante” come altrove (Lombardia e bresciano in testa). A maggior ragione, questa uscita sembra a Kessler come uno “scivolone sgradevole”. O, forse, un modo escogitato dalla Lega per far parlare di sé. Come quando, discutendo della regolamentazione dei campi rom, i leghisti si presentarono in consiglio provinciale con uno striscione che recitava Meno rom, più rum. “In quell’occasione – dice Kessler – ricordai loro che i rom sono più italiani del rum”.
Navtej, un anno dopo: ecco l’indiano a cui diedero fuoco DODICI MESI IMMOBILE, INIZIA ORA A CAMMINARE, ATTENDE UNA MACCHINA CHE GLI RICOSTRUISCA LA PELLE di Paola Zanca
uando gli racconti che a Venezia è successa la QSidhu stessa cosa che hanno fatto a lui, Navtej Singh chiede solo una cosa: “È vivo?”. Navtej è l’indiano che un anno fa è stato bruciato mentre dormiva alla stazione di Nettuno. La storia si è ripetuta due giorni fa a Venezia. Le indagini su chi ha tentato di ammazzare Marino Scarpa, 61enne senzatetto, si stringono attorno a una baby gang. Anche a dare fuoco a Navtej sono stati dei ragazzini. Uno, minorenne, ha scelto il rito abbreviato ed è stato condannato a 9 anni e 4 mesi. Altri due – 19 e 29 anni – sono ancora indagati per tentato omicidio. Navtej, invece, di anni ne ha 36, anche se per lui quest’anno immobile non conta. Sta lentamente ricominciando a camminare, ma i piedi gli fanno ancora male, soprattutto la notte. “Sta facendo riabilitazione – spiega il dottor Giovanni Di Caprio – Starà qui un altro mesetto”. La speranza di Navtej è che arrivi presto quella macchinetta che, gli hanno detto, farà il miracolo. Serve a ricostruire la pelle nei punti
in cui il danno è stato maggiore: la provincia di Benevento, tramite l’assessore del Prc Gianluca Aceto, ha trovato i soldi per il noleggio, ma alla clinica in cui è ricoverato ancora non è arrivata. “Con quella dopo un paio di mesi dovrei stare meglio”, racconta Navtej. La sua vita ormai va avanti a spanne: “Mi avevano detto che per guarire servivano meno di due mesi, poi sono diventati quattro, poi chissà”. Quando uscirà dall’istituto di riabilitazione di Telese, in provincia di Benevento, sa già che dovrà tornare al Sant’Eugenio, dove ha passato i primi mesi della convalescenza. Devono rimettergli due denti, “uno sotto e uno sopra”, caduti per le botte che si è preso quella sera. Per questo non fa programmi, non sa se resterà in Italia o tornerà nel suo paese. Anche prima viveva alla giornata: quella sera di fine gennaio era andato a Nettuno per cercare lavoro, come ogni giorno quando la stagione non era quella della raccolta nei campi. “Dopo non so dove andrò – dice – non so dove trovare una casa, un lavoro. Non ci penso adesso, quando esco troverò una soluzione”. L’avvocato Angelo Valle, che assiste l’indiano e la sua famiglia assieme al collega Aldo Fontanelli, è preoccupato perché Navtej ha bisogno di protezione: “I medici e la psicologa del Sant’Eugenio ci hanno confermato che un recupero psicofisico totale è altamente improbabile: Navtej è magrolino, il fuoco lo ha dan-
Quando gli dici che a Venezia hanno fatto la stessa cosa a un barbone, chiede solo una cosa: “É vivo?”
neggiato in profondità. Non ha più alcuno stimolo sessuale. E in lui si è creata un’ansia persistente e diffusa: quando è stato trasportato in ambulanza dalla clinica di Telese al Tribunale di Velletri si è assopito, ma aveva dei continui soprassalti. E quando in Aula gli abbiamo chiesto quali siano le sue sensazioni quando vede qualcuno che si accende anche solo una sigaretta, è scoppiato a piangere e singhiozzare, tanto che il giudice ha dovuto sospendere l’udienza”. Navtej ha un permesso di soggiorno per fini umanitari. Scade il 28 maggio del 2010. Nessuno dubita che gli verrà rinnovato, ma a Navtej servono soprattutto una casa e un lavoro. Il comune di Roma e quello di Nettuno avevano fatto promesse che però non hanno ancora trovato riscontri. Ci sono alcuni suoi connazionali che cercano di tener viva l’attenzione sul caso, ma non vanno a trovarlo in ospedale, perché “non possono perdere neanche un giorno di lavoro”. Nella sua stanza c’è un altro paziente, italiano. “Sto bene – dice Navtej – ho una persona con cui parlare. C’è la televisione, il bar, così passiamo le giornate. E poi c’è la sua famiglia, che porta il cibo cucinato da casa e lo mangiamo insieme”. Ogni tanto riesce a parlare al telefono con sua nonna, in India. Dei suoi aggressori non vuole parlare. “Ci penseranno gli avvocati e i giudici”, confida. “C’è stato tanto dolore, tanto brutto tempo passato. Ma piano piano passa. Per me, basta tornare a camminare”.
CARCERI
Due suicidi da inizio anno
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opo un 2009 che ha visto 66 suicidi in carcere (tetro record della storia penitenziaria italiana), anche il 2010 inizia molto male. Sono infatti due i suicidi nelle carceri italiane a una settimana dall’inizio dell’anno. Il 5 gennaio si è impiccato nel carcere Buoncammino di Cagliari Celeste Frau, 62 anni. Il 2 gennaio, ad Altamura (Ba), si è ucciso Pierpaolo Ciullo, 39 anni.
MILANO
Sordomuta aggredita
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na donna sordomuta di 37 anni è stata picchiata e derubata da due uomini sui trent’anni ieri notte poco dopo le tre in viale Monza a Milano. Dopo l’arrivo di una volante la donna è stata trasportata all’ospedale Fatebenefratelli.
ARRESTO
Furioso: vuole la casa popolare
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n uomo di 36 anni è entrato nella sede dei servizi alla persona del comune di Rozzano (Milano), ha rotto una porta a vetri e staccato un estintore dal muro. Era furioso perché non aveva ottenuto una casa popolare, per la quale però non possedeva i requisiti previsti. L’uomo è stato arrestato e dovrà rispondere delle accuse di danneggiamento aggravato e di violenza a npubblico ufficiale.
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Da sud a nord: i giorni terribili degli ospedali italiani
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CRONACHE
n’inchiesta parlamentare, un’ispezione ministeriale, un’indagine interna della direzione generale ospedaliera e un’inchiesta penale con 30 indagati: sono le indagini per le morti di due neonati, avvenute a sette giorni di distanza l’una dall’altra e in culle adiacenti, nel reparto di Terapia intensiva neonatale degli Ospedali riuniti di Foggia. Il sospetto è che possa trattarsi di morti per setticemia ma
la direzione generale della struttura ha affermato ieri che, dai primi accertamenti, si ipotizza che i casi siano indipendenti tra loro. Nei giorni scorsi c’è anche stato il caso di Bari, dove un uomo è morto dopo essere caduto da un’ambulanza che lo trasportava all’interno del Policlinico dal pronto soccorso al reparto di degenza. “E’ stato lui ad aprire lo sportello”, sostiene l’azienda ospedaliera. Ma si indaga per omicidio colposo. A Trento
la famiglia di una donna di 50 anni morta per un tumore nel 2008 ha chiesto un risarcimento per un milione di euro. Aveva effettuato un pap test all’ospedale San Camillo di cui non le erano stati comunicati i risultati e aveva scoperto troppo tardi di avere un carcinoma. A Pisa un giovane di 29 anni è morto d’infarto dopo essere stato visitato al pronto soccorso (gli avevano diagnosticato uno strappo muscolare). Indagato il medico che lo ha visitato.
MORTI DI MALAPOLITICA Se la cattiva sanità è frutto di un sistema di scambi, spartizione degli incarichi e del potere
di Bruno Tinti
i sono neologismi che hanno avuto molta fortuna, malagiustizia su tutti. E poi malauniversità, malapolitica e quello di cui scrivo oggi: malasanità. Tutte parole usate a sproposito: quando un giudice si vende una sentenza è malagiustizia (lo è anche quando emette una sentenza sfavorevole a una certa fazione politica; quando invece la sentenza interessa la fazione avversa, allora “le decisioni della magistratura vanno rispettate”. Ma questa è un’altra storia); quando si scopre un concorso truccato per la nomina di un professore è malauniversità; quando un politico si fa coprire di tangenti è malapolitica; quando un medico lascia una pinza nella pancia di un paziente o sbaglia una diagnosi è malasanità. Naturalmente non è vero niente: si tratta semplicemente di reati, commessi di volta in volta da giudici, professori universitari, politici, medici. Criminalità comune, magari diffusa, proprio come si scoprì ai tempi di Mani Pulite e come continua a scoprirsi oggi nei più disparati settori della pubblica amministrazione. La malasanità, per restare in tema, è un’altra cosa: è disordine strutturale, inefficienza endemica, organizzazione mirata a scopi diversi da quelli propri del settore. E, fortunatamente, in Italia, tutti questi aspetti, che pure ci sono, non impediscono al sistema sanitario nazionale di essere posto dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) al secondo posto nel mondo dopo la Francia. Secondo l’Oms, il sistema italiano forni-
nitario nazionale come un enorme mercato di favori concessi e ricevuti, al cui interno le capacità professionali costituiscono un optional. É la politica che gestisce le risorse economiche disponibili (certo, non infinite) di nuovo per scopi estranei all’efficienza del sistema: ne è un esempio la programmata asfissia di settori sanitari nei territori dove operano strutture private; pensate ai laboratori di analisi, a cliniche private specializzate in interventi che negli ospedali di zona non sono garantiti o sono addirittura impossibili; alle interminabili attese per prestazioni coperte dal servizio sanitario nazionale che inducono i cittadini a ricorrere, pagando, alle prestazioni private; naturalmente queste convenzioni costitui-
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scono occasioni per tangenti o anche semplicemente garanzie di consensi, di finanziamenti elettorali, di assunzioni, nel consueto giro di scambio. La cosa straordinaria è che, nonostante questi terribili handicap, la struttura sanitaria italiana sia, come appunto riconosciuto dall’Oms, di buona qualità. Naturalmente la domanda è, sempre per dirla con Pascarella, “Ma ste fregnacce tu come le sai?”. É semplice: per anni, in tutte le procure e i tribunali che ho frequentato, ho ascoltato intercettazioni tra presidenti (di tutto, regioni, province, Enti vari) assessori, deputati, consiglieri vari; e manager, medici di vario livello, professori universitari, imprenditori. E il tema era sempre lo stesso: lo scambio. Credete che sia un caso
l’avversione di tutta la classe politica, praticamente senza eccezioni, per le intercettazioni telefoniche? Ecco questa è la malasanità: la diffusa utilizzazione del sistema per l’interesse della fazione al potere; e, spesso, anche della fazione avversa. Poi, se va bene, capiterà anche l’uomo giusto al posto giusto (chi non ha conosciuto medici e manager preparati, onesti e diligenti?), la struttura efficiente, l’acquisto di tecnologie moderne; magari anche un po’ di ricerca (ma qui siamo messi proprio male). Ma si tratta sempre di qualcosa di subalterno al grande disegno strategico della classe dirigente italiana: l’impossessamento del paese in funzione di potere, arricchimento e comunque, almeno, sopravvivenza.
La corsia di un ospedale (FOTO ANSA)
sce una risposta efficiente alle necessità di tutti i cittadini e i medici italiani sono preparati professionalmente ed eticamente impegnati nella loro attività. Insomma, come diceva Pascarella (La scoperta de l’America) “il mondo ce l’invidia e ce l’ammira”, e difatti la riforma Obama è una timida imitazione del nostro sistema sanitario. Allora perché tutti parlano con tanta convinzione di malasanità (nell’accezione indicata: crimini, abusi, illegalità varie da parte di medici, infermieri, dirigenti)? É semplice, perché in questo modo si attribuiscono le carenze del sistema, che pure ci sono come è ovvio, a precisi capri espiatori e si allontana l’attenzione dalle responsabilità reali. Che sono, manco a dirlo, della politica; proprio come tutte le maleamministrazioni
LA POLEMICA del Paese sono responsabilità della politica e sempre per le stesse ragioni. É la politica che mantiene aperti decine di piccoli ospedali inefficienti, pericolosi, inutili e naturalmente costosi; e lo fa per non scontentare le popolazioni locali, dunque per garantirsi consenso e voti; e anche per utilizzare i posti di lavoro disponibili nel consueto mercato di raccomandazioni, nomine, assunzioni. É la politica che nomina i dirigenti sanitari, direttori generali e direttori sanitari e, attraverso di loro, i vertici medici: primari, aiuti, responsabili apicali. Il tutto in base a requisiti non necessariamente professionali: vi ricordate lady Mastella e i suoi ginecologi Udeur? É la politica che utilizza l’intero sistema sa-
IN CALABRIA
LA RIVOLTA DEGLI EXTRACOMUNITARI: SCENE DI GUERRIGLIA A ROSARNO di Antonio Massari
iete tutti razzisti”. Urlavano, marciavano, “S sfasciavano. In mano avevano spranghe e bastoni. Da oggi potrebbe arrivare la risposta, la caccia all'uomo, la vendetta contro lo straniero. La scintilla era scoppiata in mattinata, quando due immigrati erano stati colpiti dai proiettili di gomma d'una pistola giocattolo. I due finiscono in ospedale, senza gravi conseguenze. Ma è l'ennesima umiliazione. Uno dei due immigrati è arrivato in Italia, dal Togo, come rifugiato politico. La rabbia monta. Passa di voce in voce, e poi di braccia in braccia, finché si trasforma in rivolta: nel tardo un pomeriggio sono più d'un centinaio, gli immigrati che s'incamminano per la strada statale e si dirigono nel centro di Rosar-
no, una cittadina a pochi chilometri da Gioia Tauro, cominciando a devastare qualsiasi cosa fosse a portata di mano. “Sparategli addosso”, era la risposta dei passanti terrorizzati, che invocavano l'intervento della polizia. Ma la rabbia era già violenza: centinaia d'auto rovesciate, muretti a secco divelti, ringhiere distrutte. Genitori spaventati, che restavano chiusi negli abitacoli, insieme con i figli, mentre le auto venivano strattonate. “Siete tutti razzisti”, continuavano a urlare gli immigrati, che qui vivono in miseria e prostrazione. Nella zona intorno a Gioia Tauro sono circa 1500. La maggior parte dorme in capannoni abbandonati. Lavorano nelle campagne per una paga che va dai 20 ai 30 euro al giorno. Un centinaio di loro, ieri, ha varcato la soglia della sopportazione e s'è lasciata andare alla violenza. La Polizia è intervenuta, pri-
Il ferimento di due stranieri innesca la reazione e la protesta per strada: “Siete tutti razzisti”
VERONESI CONTRO MARINO: IL GARANTE? INUTILE
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anità pubblica nella bufera. Addirittura Silvano Giacomelli dell’associazione Codici parla di “disservizio sanitario nazionale, che continua ad essere pagato dai cittadini”, prima di diffondere alcuni dati: “La Puglia è la regione peggiore quanto a malasanità, con 142 medici indagati per presunti errori nel 2008, ottanta nel 2007 e, dalle informazioni che stiamo raccogliendo, nel 2009 sono aumentati. In Italia ci sono più vittime di malasanità che di incidenti stradali”. L’Amami, l’associazione per i medici accusati, respinge invece le polemiche, bocciando anche l’idea del senatore Ignazio Marino (Pd), che ha richiesto l’istituzione del garante per i diritti dei pazienti. “Si istituisca prima – chiede l’Amami – l’Osservatorio per il contenzioso e l’errore medico”. Maurizio Maggiorotti, il presidente, chiede chiarezza: “É necessario parlare di dati certi, numeri sicuri, altrimenti è facile essere ingannati da chi fa della sanità un business perché è
ma isolando i manifestanti, dopo una lunga battaglia a colpi di lacrimogeni, e poi avviando una “trattativa”, per sedare gli animi. Ma c'è ben poco da sedare. È sufficiente dare un'occhiata al bilancio della rivolta che, mentre scriviamo, è quello di una violenta guerriglia urbana: oltre cento automobili danneggiate. Ciò che pesa di più, però, è la rabbia: da ieri, la spaccatura tra immigrati e cittadini, è un dato di fatto. La rabbia reciproca era visibile già nei momenti della “trattativa”, quando, un gruppo di ragazzi, s'è schierato ai margini delle pattuglie di carabinieri e poliziotti. Sono stati momenti di grande tensione. Una tensione talmente elevata da provocare ordini tassativi: tutti i dirigenti dei commissariati della Piana di Gioia Tauro, e tutti i loro colleghi dei Carabinieri, sono confluiti a Rosarno. La serata, però, è ancora piena di tensione. La guerriglia nasce da lontano, non soltanto da quei due proiettili di gomma, ma anche da quelli veri, sparati da una calibro 7.65 un anno fa. Era il dicembre 2008, quando due im-
facile mettere all’indice mediatico i medici: è meno facile dire che l’80 per cento dei procedimenti giudiziari intentati contro colleghi vengono archiviati”. Intanto, però, il professor Walter Ricciardi, igienista al Gemelli di Roma, nel giorno in cui infuriano le polemiche rivela altri dati inquietanti: le infezioni ospedaliere in Italia sono oltre 700mila ogni anno, con 7mila morti. Vittime non della loro patologia, ma di un’infezione contratta nell’ospedale che dovrebbe curarli. “Una strage silenziosa” per Ricciardi. Sul fronte del garante per la salute, interviene invece l’oncologo Umberto Veronesi, per il quale questa nuova istituzione sarebbe del tutto inutile: “Si esagera con la malasanità. La nostra sanità pubblica è una delle migliori del mondo. É normale che ogni tanto avvengano cose spiacevoli, ma succede ovunque. Casi del genere in Gran Bretagna sono molto più numerosi di quelli italiani. Ci sono decine di milioni di persone che vengono curate con il sistema sanitario, come può andare sempre tutto bene? Il garante quindi non serve: cosa può garantire?”
migrati restarono feriti in un agguato. Poco dopo, i pistoleri, furono arrestati. Ma la tensione iniziò a crescere. Ed è cresciuta anche per le condizioni di lavoro, molto precarie, e non soltanto per via della paga o della mancanza di diritti e contratti. Per pochi euro lavorano in campagna, per pochi euro vivono in condizioni disumane, nei capannoni abbandonati di vecchie fabbriche in disuso, in assenza di igiene adeguata, e spesso senza un permesso di soggiorno, quindi in assoluta clandestinità e assenza di diritti. I due proiettili di gomma sparati ieri mattina, evidentemente, hanno fatto traboccare il vaso della sopportazione. E un sussulto di dignità s'è trasformato in una rivolta che, ancora in serata, non era stata del tutto sedata. Il timore più forte, adesso, è che gli animi si raffreddino soltanto in apparenza. Ora cova la rabbia della gente. E il desiderio di vendetta. La rivolta degli immigrati di Rosarno, insomma, potrebbe essere soltanto l'epilogo d'una lunga catena di violenze.
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Venerdì 8 gennaio 2010
Le retromarce del governo sulla questione fiscale
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ECONOMIA meno chi lavora nella green economy). Ma per il momento non c’è niente di concreto. L’unica certezza sembra essere che non è il momento di ridurre le tasse, anche se Il Giornale ieri rilanciava il tema con il titolo di apertura “Giù le tasse, vediamo chi ci sta”. Nei mesi scorsi il ministro Tremonti è stato al centro di un duro scontro con una parte della maggioranza
l giorno dell’Epifania Silvio Berlusconi, con dichiarazioni non ufficiali lascia capire che nel 2010 ci saranno novità fiscali. Palazzo Chigi smentisce subito che si tratti di una riduzione delle tasse. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha annunciato da settimane l’intenzione di una riforma del fisco sul modello bonus/malus (per esempio tassando
LA BOLLA DEL DEBITO GONFIATA DA TREMONTI Il ministro aumenterà la durata dei titoli emessi dal Tesoro. E quindi sale il loro costo di Superbonus
e previsioni di crescita del Pil per il 2010 saranno riviste al rialzo. Lo ha detto a inizio settimana Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo economico. La speranza del governo è che quest’anno l’economia italiana cresca dell’1,1-1,2 per cento, cioè di circa 20 miliardi di euro. Guarda caso, la spesa corrente è cresciuta della medesima cifra nel 2009 e si manterrà costante nel 2010. E dato che il Pil si calcola sommando la spesa per gli investimenti, la spesa per i consumi, la bilancia commerciale e, appunto, la spesa della Pubblica amministrazione, non era difficile arrivare a tale risultato.
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GIULIO IL BANCHIERE. Il fatto è che l’economia Italiana è ferma e il governo continua a indebitarsi per mantenere una parvenza di crescita. Ulteriore controprova è data da un mercato del lavoro che anche nel 2010 produrrà disoccupati. Alla fine tocca ammettere che Giulio Tremonti usa gli stessi metodi dei banchieri d’affari che tanto criticava: non produce ricchezza, ma aumenta soltanto il debito, riversandolo sulla spesa corrente. Una partita di giro che fa comodo alla miriade di imprenditori, faccendieri-consulenti, proprietari di cliniche legati a doppio filo ai canali di spesa pubblica, ma
che non produce alcun beneficio reale per le condizioni di vita dei cittadini. Una bolla creata con il debito della quale tutti, prima o poi, saremo chiamati a pagare le conseguenze. Come le banche americane avevano venduto il sogno che tutti potevano possedere una casa – bastava indebitarsi, no? – così Silvio Berlusconi e i suoi ministri continuano a venderci la favola che tutto va bene e nessuno ci presenterà mai il conto. Sotto Natale, il superministro dell’Economia aveva provato a far passare la riforma fiscale come uno strumento di equità ma, prudentemente, non aveva mai parlato di abbassamento delle tasse. Anzi. Di fronte alle contestazioni di Renato Brunetta e Mario Baldassarri, ha sempre risposto: “E’ già un miracolo se non le alzo”. Il giorno della Befana, però, ci ha pensato direttamente Berlusconi a promettere l’Eldorado dell’abbassamento delle aliquote nel 2010, proprio con la riforma fiscale di cui aveva parlato Tremonti. A quel punto gli investitori internazionali sul debito pubblico italiano hanno pensato a due ipotesi: o siamo di fronte a una balla preelettorale di dimensioni colossali oppure a un governo talmente acrobatico che, dopo due scudi fiscali, osa pensare seriamente di diminuire il gettito. Eppure nel Decreto di programmazione economico-fi-
Gli investitori internazionali sono molto scettici sulla possibilità di ridurre le tasse nanziaria per gli anni 2010-2013, di “riduzione delle entrate fiscali” non c’è traccia. Su questo Dpef hanno fatto, fanno e faranno affidamento le agenzie di rating e gli investitori internazionali anche in questo 2010, quando l’Italia collocherà sul mercato 240 miliardi di debito pubblico. LA BOLLA E LA BALLA. Per tener fede agli impegni con i
mercati e per diminuire le tasse a qualcuno, il premier dovrebbe quindi aumentarle a qualcun altro, forse in maniera più che proporzionale. La bolla di Tremonti si scontra, nella logica degli analisti finanziari, con la balla di Berlusconi. E qualcuno doveva dare una spiegazione. Ci ha pensato l’altroieri Paolo Bonaiuti (immaginiamo sollecitato da Tremonti), smentendo che il governo
sull’Irap. Berlusconi aveva promesso pubblicamente di ridurlo, Tremonti si è opposto suscitando l’ostilità di chi voleva un approccio più interventista. Alla fine l’Irap non è stata toccata e la Finanziaria si è limitata a intervenire, di poco, sugli acconti dell’Irpef (ma è una partita di giro, non di una riduzione dell’imposta).
stia progettando un taglio delle tasse. Una smentita inedita, che la dice lunga sull'assenza assoluta di margini di manovra e sui rischi che stiamo correndo sul fronte della finanza pubblica. Il problema resta l'elevatissimo debito pubblico e chi opera sui mercati lo sa fin troppo bene. Ma a Roma è iniziata la corsa a rinviare il problema, approfittando della relativa calma delle Borse. E come ieri raccontava benissimo MF, il Tesoro si accinge ad aumentare la scadenza media del debito con emissioni a 15 e 30 anni. Va ricordato che oggi la durata media del debito è di 7 anni, con una media di scadenze annuali pari a circa 250 milioni. Tremonti intende diminuire la dipendenza annuale dal mercato, allungando la durata del debito. Nei paesi latinoamericani, abituati a situazioni di debito molto critiche, si direbbe che il Professore sta “spingendo il problema con la pancia”. Ovvero, lo rinvia non solo senza affrontarlo, ma anche senza sfiorarlo. Un paese con i conti in ordine potrebbe approfittare dei bassi tassi d’interesse della curva a breve, per emettere titoli a reddito fisso con interessi compresi fra il 2,25 per cento e il 2,90 per cento. Invece qui si preferisce (o si è costretti) a emettere scadenze più lunghe con tassi compresi fra il 4,20 per cento ed il 4,80 per diminuire gli ammortamenti nei primi anni. Da quando i furbi banchieri d’affari hanno convinto il Tesoro che i Btp legati all’inflazione pagano solo il 2,35 per cento di cedola, mentre lo Stato pagherà l’inf lazione accumulata sul capitale solo fra trent’anni, Tremonti adora questi titoli che potremmo definire “a responsabilità politica differita”. Se questa è la logica, forse qualche spericolato banchiere di WalI Street abita anche in Italia. Dalle parti di via XX Settembre.
La roulette dei fondi pensione di Beppe Scienza*
verità dà fastidio a chi prospera Ldi leasull’inganno. Non stupiscono quinreazioni a un recente servizio sulla previdenza integrativa, realizzato in maniera magistrale da Piero Riccardi e trasmesso da RaiTre nella puntata di “Repor t” del 15 novembre 2009. Venivano fuori infatti le perdite anche per soluzioni gabellate per sicure, la generale assenza di trasparenza e gli endemici conflitti d’interessi, tipici del settore. Non avendo però elementi per confutare pubblicamente quasi nessuna delle affermazioni dell’autore o degli intervistati (fra cui il sottoscritto), molti fondi pensione tentano di smontarle con volantini, circolari ed e-mail inviate ai loro aderenti e ai lavoratori. In loro aiuto sono poi accorsi quei sindacati, quasi tutti, che traggono vantaggi dalla previdenza complementare. Non sarà quindi
Basta fare i conti per capire che i vantaggi fiscali sono minimi
inutile smontare le principali falsità che diffondono. Sono soprattutto due i tasti su cui costoro battono: i vantaggi fiscali e il contributo del datore di lavoro. È ciò che fa per esempio un volantino del sindacato dei metalmeccanici Fim-Cisl. Peccato che siano due tasti stonati, perché i conteggi che diffondono sono fuorvianti quando non taroccati di sana pianta. VANTAGGI FISCALI? Viene sempre sbandierato il confronto fra la tassazione del tfr che parte dal 23 per cento e quella prevista per la previdenza integrativa compresa invece fra il 15 per cento e il 9 per cento. Quindi apparentemente il divario è forte. Peccato che si restringa paurosamente facendo i conti giusti. Invece molti fanno i furbi. Il fondo Solidarietà Veneto a gennaio 2009 voleva addirittura convincere i lavoratori che era convenuta l’adesione persino per un comparto con perdite sul 9 per cento. Il fondo Eurofer gioca poi sull’esempio di una permanenza nel fondo di un solo anno o poco più. Certo che così sarebbe determinante il vantaggio fiscale. Ma chi mai può uscire dalla previdenza integrativa dopo dodici mesi? La legge tiene ingabbiati quasi tutti per parecchi anni se non lustri. Bisogna quindi determinare l’incidenza concreta dello “sconto” generosamente concesso dal fisco su base annua. Si scopre così che
per un lavoratore giovane essa si riduce a uno 0,60 per cento. Quindi è totalmente divorato già dai soli costi espliciti. Per non parlare di quelli occulti. Per giunta già in passato il trattamento fiscale della previdenza integrativa venne peggiorato in maniera retroattiva. Conclusione: lo sconto fiscale è solo uno specchietto per allodole, salvo tutt’al più per chi è vicinissimo alla pensione e ha redditi molto alti. RICATTO SALARIALE. L’altro atout delle reti di vendita sindacali è il contributo del datore di lavoro. Vari contratti di lavoro prevedono meno soldi per chi non aderisce a un fondo pensione negoziale. Il datore di lavoro trattiene infatti per sé un 1-2 per cento dello stipendio che corrisponde invece agli aderenti al fondo. Sorvoliamo sullo scandalo di avere buttato alle ortiche una conquista ottenuta dai lavoratori con decenni di lotte. Ovvero il principio “stesso lavoro, stessa paga”. Tutto ciò non significa che un fondo pensione renda più del tfr, ma solo che il trattamento retributivo complessivo è più alto per chi obbedisce al diktat della previdenza integrativa. Però il contributo del datore di lavoro non è soltanto un piccolo ricatto dei sindacati: “Non aderisci al nostro fondo? Allora otterrai meno soldi”. Può anche trasformarsi in una polpetta avvelenata. Alla fine ci
si potrà infatti trovare in perdita malgrado il contributo datoriale. Basta incappare in un periodo di rendimenti inferiori alle rivalutazioni del tfr o anche in un unico anno particolarmente disastroso. Potremmo aggiungere molto altro, perché i documenti propagandistici della previdenza integrativa ne riportano di cotte e di crude. Vedi il Fondo Gommaplastica che il 10-10-2008, a fronte delle quote pesantemente in perdita, scriveva che così “vi è la possibilità di comperare, a parità di versamento, un maggiore numero di quote del Fondo”. Il che è ridicolo. Allora tanto vale dividere la quota per mille e così un lavoratore anziché sottoscriverne 30 ne sottoscrive trentamila. Una goduria! L’IMBROGLIO. Ma l’argomentazione apparentemente più forte a favore della previdenza integrativa è un’altra, ripetuta all’unisono da più parti. Afferma per esempio Gianfranco Vezzaro, presidente del Fondo pensione del personale Bnl, in una lettera a Milena Gabanelli del 18-11-2009 che “senza la previdenza complementare il futuro trattamento pensionistico sarà assolutamente inadeguato”. Insomma, aderire ai fondi pensione e trasferirvi il tfr sarebbe indispensabile per sopperire al minor reddito futuro. Niente di più falso e nessuna
migliore conferma di ciò che ripeteva il dottor Joseph Goebbels, ovvero che “basta ripetere abbastanza spesso una menzogna, perché venga ritenuta una verità”. Infatti la propria pensione si potrà integrare anche tenendosi il tfr, senza aderire a nessun fondo pensione, piano individuale previdenziale (pip) o roba simile. Basterà convertirlo in una rendita vitalizia. Anzi, tenersi il tfr è la soluzione più sicura grazie al suo aggancio all’inflazione. Infatti la scienza economica insegna proprio il contrario di quello che raccontano in Italia gestori, sindacalisti o docenti universitari e ripetono come pappagalli schiere di giornalisti economici. Si veda per esempio il libro di Zvi Bodie e Ian Sykes “Worry-Free Investing” (Prentice Hall, 2008) che indica fra investimenti consigliabili a fini previdenziali proprio i titoli legati all’inflazione. Non le azioni, tanto esaltate dall’industria della previdenza integrativa italiana. Infatti al casinò si può anche vincere, ma è meglio non puntarvi tutti i propri risparmi. Analogamente è imprudente giocarsi la pensione, e anche quella integrativa, alla roulette dei mercati finanziari. Ed è irresponsabile consigliarlo ai lavoratori, come fanno quasi tutti i sindacati italiani.
*Università di Torino Dipartimento di Matematica
Accordo RyanairEnac: eccezioni solo per i politici di Beatrice Borromeo
asta poco a mettere tutti Bi politici. d’accordo: accontentare La polemica tra l’Enac – Ente nazionale per l’aviazione civile – e Ryanair sui documenti validi per imbarcarsi in aereo si è dissolta ieri: oltre al passaporto e alla carta d’identità, la compagnia low cost accetterà d’ora in poi anche le carte AT/BT, cioè i tesserini rilasciati dal governo a ministri e parlamentari. Nonostante questo – dichiara il direttore comunicazione della compagnia Stephen McNamara – non ci sarà “nessun passo indietro sui documenti non sicuri, tra cui licenze di pesca, patenti di guida e carte di identità professionali”. Tutti esprimono grande soddisfazione, a partire dai ministeri dell’Interno e dei Trasporti. Eppure l’Enac ne aveva fatto una questione di principio: “La legge è legge, l’Italia non è la repubblica delle banane – aveva dichiarato al Fatto il presidente dell’ente Vito Riggio – e se qualcuno vuole partire con il porto d’armi, e glielo negano, vada alla polizia perché stanno ledendo un suo diritto”. Riggio sembrava determinato a far rispettare una norma, scritta prima degli attacchi alle Torri gemelle, che prevede che le compagnie aeree italiane (anche quelle che, come Ryanair, hanno i check-in online) debbano accettare, per le tratte nazionali, tutti i tipi di documenti di riconoscimento. Ma quando Ryanair ha minacciato di abbandonare l’Italia a partire dal 23 gennaio (bloccando centinaia di voli) perché “sulla sicurezza – come dichiarava poche settimane fa – non si può transigere”, ecco che arriva l’accordo ad personas. Alla fine si è quindi trovata una soluzione politica a una questione che, secondo alcune versioni, sarebbe partita proprio da una parlamentare: Ryanair avrebbe infatti rifiutato il tesserino dell’onorevole Gabriella Giammarco come documento valido per volare, lasciandola a terra. La Giammarco però ha smentito, sostenendo di viaggiare sempre col passaporto. Intanto la necessità di maggiore sicurezza – dopo il fallito attentato sul volo per Detroit – sta portando anche l’Italia a sperimentare i “full body scanner” negli aeroporti di Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia. Il prezzo di ogni macchinario, dopo le minacce terroristiche, è salito a 200 mila euro. L’Enac ha già dichiarato che investirà due milioni di euro per installarli.
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Gli operai Vinyls sulla torre a Porto Torres
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ECONOMIA
eri operai della Vinyls di Porto Torres hanno occupato, poco dopo le 9 di mattina, la torre aragonese davanti al porto, come avevano già fatto in ottobre. L’occupazione dovrebbe andare avanti sino allo sciopero generale del Petrolchimico previsto per la prossima settimana: “Rimarremo sulla torre – hanno detto gli operai – sino a quando il governo
non darà risposte sul futuro della Vinyls”. I lavoratori saliti sui tetti negli ultimi mesi sono stati molti: da quelli della Yamaha ai ricercatori dell’Ispra. Ma la situazione a Porto Torres resta critica e gli operai tornano ad arrampicarsi laddove hanno una voce. Sulla torre hanno portato le bandiere dei sindacati e uno striscione con la scritta “Eni non scalda, brucia”. La produzione della
filiera del cloro a Porto Torres sarebbe dovuta ripartire il 15 dicembre, ma gli impianti sono ancora fermi e non si sa se potranno ripartire, nonostante la regione, alla vigilia di Natale, si sia fatta garante – attraverso una fideiussione da 20 milioni di euro della Sfirs – per il pagamento delle materie prime dell’Eni. Si aspetta il 10 gennaio per sapere se l’Ue darà il via libera all’operazione.
IL DESTINO DI TERMINI
Spunta un finanziere che vuole la fabbrica della Fiat, ma per ora nessuno lo prende sul serio PROCESSO IFIL-EXOR
di Stefano Feltri
er il momento i diversi attori che si muovono intorno a Termini Imerese lo considerano poco. Eppure Simone Cimino sembra l’unica novità nella lenta agonia dello stabilimento siciliano della Fiat che, parola dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, dalla fine del 2011 non produrrà più automobili e quindi rischia la chiusura con i suoi 1400 dipendenti (e 600 nel’indotto).
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SCANDICCI O ARESE? Ieri il quotidiano Milano Finanza rivela che ci sarebbe una “cordata italiana” pronta a rilevare la fabbrica dove oggi si costruisce la Lancia Ypsilon. In realtà, per ora, è poco più che un’idea nella testa del finanziere siculo-milanese Simone Cimino, 48 anni da Agrigento, che amministra il fondo di private equity Cape. Il progetto sarebbe di riconvertire Termini alla produzione di piccoli veicoli ecologici, alimentati dall’energia solare o da batterie al litio, da vendere a enti territoriali o a compagnie di noleggio che operano nelle località turistiche. Servono cento milioni di euro e una serie di partner industriali. Cimino ne avrebbe già trovato uno, il fondo Meridie di Gianni Lettieri, specialista negli investimenti nel Mezzogiorno, che non smentisce il coinvolgimento. Anche se, sembra di capire, la cordata è ancora parecchio sfilacciata. Cimino può appigliarsi a un precedente di successo: dopo un lungo negoziato sindacale a Scandicci (Firenze) la Electrolux ha evitato la chiusura dello stabilimento, che ha smesso di produrre frigoriferi ed è passato ai pannelli solari per Italia Solare Industrie. Chi ha seguito la vicenda fa notare però che “lì erano coinvolti 350 lavoratori che sono stati quasi tutti ri-assunti dalla nuova azienda, mentre a Termini i numeri sono più impegnativi, tanto che si rischia il modello Arese più che quello Scandicci”. A Milano, nello stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese doveva nascere un parco tecnologico visto che nessuna impresa, da sola, era in grado di rimpiazzare la produzione automobilistica e riassorbire gli operai. Non ha funzionato e ora gli ultimi 240 operai sono quasi rassegnati al licenziamento (unica alternativa il trasferimento a Torino). LA POLITICA. La politica siciliana, in attesa di vedere all’opera Cimino, è ottimista. Il senatore del Pdl Salvatore d’Alì dice: “Ritengo assolutamente importante l’iniziativa proposta da Simone Cimino perché esce finalmente dalla logica dell’assistenzialismo statale e regionale e a favore di imprese non siciliane”. Il governatore
le holding avevano concepito l’equity swap come una manovra difensiva e non come una mera operazione finanziaria, cosicché al momento della scadenza del prestito convertendo Exor riesce a riavere azioni Fiat a 5 euro ciascuna mentre le banche devono pagarle 10. Quando la Consob, l’autorità che vigila sulla Borsa, chiede a Exor se sia pronta ad alzare barricate per difendere il controllo dell’azienda, Exor risponde di no. Invece, sostiene l’accusa, il piano era pronto da tempo, Gabetti mente quando cerca di raccontare il ricorso all’equity swap come frutto di una decisione estemporanea di cui lui era solo parzialmente informato. Ieri la difesa ha inizialmente tentato di bloccare le conclusioni del pm eccependo una questione di legittimità costituzionale: secondo l’avvocato Coppi il processo in corso violerebbe l’art.117 della Costituzione, che obbliga il legislatore ad adeguarsi alle normative europee. In base alla Convenzione sui diritti dell’uomo – secondo le argomentazioni del legale – gli imputati non potrebbero essere giudicati in quanto già processati (e condannati) in sede amministrativa (cioè dalla Consob) sul medesimo oggetto. Un argomentazione che ha sorpreso non poco Avenati Bassi: “Il nostro ordinamento prevede pacificamente la coesistenza delle sanzioni penali e amministrative – ha dichiarato – in caso contrario bisognerebbe portare di fronte alla Consulta l’intero Codice di procedura penale. È come dire che un calciatore che uccide deliberatamente l’avversario non possa essere processato in quanto già squalificato dalla Federazione”. Il presidente Giuseppe Casalbore si è riservato di decidere, permettendo al pm di formulare comunque le sue conclusioni. Sei ore di requisitoria per tentare di dimostrare l’ipotesi accusatoria. Alla fine Avenati Bassi ha chiesto la condanna degli imputati: due anni e sei mesi per Grande Stevens, due anni per Gabetti e un anno e sei mesi per Marrone, richiedendo però che a tutti e tre vengano riconosciute le attenuanti generiche.
ANCHE CASELLI PER L’ACCUSA FINALE A GABETTI&CO ian Carlo Caselli e Franco Coppi – già Gauladifensore di Giulio Andreotti – in un di tribunale si erano visti l’ultima
Operai davanti ai cancelli di Termini Imerese (FOTO ANSA)
della regione, Raffaele Lombardo è più prudente e commenta così: “Se dovessero nascere altre realtà produttive, che dovrebbero essere comunque aggiuntive e non sostitutive della Fiat, noi non possiamo che accoglierle positivamente”. Ovvero: ben venga Cimino, ma la Fiat non se ne deve andare comunque. IL LINGOTTO. La Fiat, per ora, non si esprime ufficialmente sull’idea di Cimino. A Torino, però, aspettano di capire meglio. Marchionne ha già detto che è pronto a collaborare con chi è interessato alla fabbrica siciliana: “Siamo disposti a discutere proposte di riconversione con la regione Sicilia e gruppi privati. Siamo pronti a mettere a disposizione lo stabilimento”, ha ribadito quando ha presentato il piano industriale del gruppo al governo, prima di Natale. Tanto che per alcuni giorni si è parlato di gruppi cinesi o indiani pronti a sbarcare in Sicilia e usarla come ponte verso il mercato europeo, ma per il momento non si è visto niente di concreto. Anzi: due giorni fa il gruppo indiano Tata, partner della Fiat in India, ha smentito in via ufficiale ogni interesse per la fabbrica. Se il progetto di Cimino si concretizzerà, il Lingotto non dovrebbe opporre ostacoli.
ore annunciato dal segretario Gianni Rinaldini dopo la presentazione del piano industriale Fiat. Anche gli altri sindacati sono pronti a scioperare, come l’Ugl che dice: “Andremo avanti con azioni di protesta, fino allo sciopero generale dell’intero gruppo Fiat per garantire la sopravvivenza degli stabilimenti italiani e in special modo quelli del centro-sud”. Intanto, dentro la fabbrica, gli operai sono tornati a lavorare dopo un periodo di cassa integrazione nel periodo delle feste. Ma la produzione si fermerà di nuovo tra pochi giorni, il 25 gennaio, come già previsto. POMIGLIANO. Quello di Pomigliano d’Arco (a Napoli) è l’altro stabilimento Fiat dove
volta il 26 settembre 1995, in Sicilia, alla prima udienza del processo al senatore a vita. L’allora procuratore capo di Palermo, vista la delicatezza del momento, decise di sedersi accanto ai “suoi” pubblici ministeri. Ieri è accaduto di nuovo, stavolta a Torino, di fronte alla prima sezione del Tribunale. Caselli ha affiancato durante la requisitoria Giancarlo Avenati Bassi, pubblico ministero del processo Ifil-Exor, che vede imputati per false comunicazioni al mercato Gianluigi Gabetti, ex amministratore delegato della cassaforte della famiglia Agnelli, l’avvocato Franzo Grande Stevens e il notaio Virginio Marrone, difesi dall’avvocato Coppi. L’ipotesi di reato, rispetto al processo Andreotti, è ovviamente di gran lunga meno grave, ma il nodo da sciogliere – al punto da suggerire la presenza in aula del procuratore capo – è delicato, anche per la città di Torino: nel 2005 i vertici della Fiat, alla vigilia della scadenza del prestito convertendo concesso dalle banche, hanno mentito al mercato affinché la famiglia Agnelli, tramite Ifil, rimanesse azionista di riferimento? L’ipotesi della procura è che ciò sia avvenuto grazie al rastrellamento di azioni da parte di Merryl Linch in accordo con Exor (la holding di controllo della galassia Fiat nata dalla fusione tra Ifi e Ifil) omettendo di fornire le dovute informazioni agli organi di controllo, alterando così il valore di mercato del titolo Fiat. Nell’estate del 2005 la famiglia Agnelli rischia di perdere il controllo della Fiat perché un prestito in scadenza trasformerà le banche nei primi azionisti. L’accusa sostiene che da mesi, in previsione della scadenza, Gabetti e i vertici del-
La Fiom è pronta allo sciopero generale contro la chiusura dello stabilimento siciliano
I SINDACATI. Per ora la protesta sindacale continua come se Cimino non ci fosse. Ieri, proprio a Termini Imerese, si è riunito il Coordinamento Fiat della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, prima tappa di un percorso che dovrebbe portare entro un mese allo sciopero generale di otto
continua a salire la tensione. Nei giorni scorsi la diocesi di Napoli, con il responsabile per il lavoro, don Aniello Tortora, aveva chiesto a Marchionne di “rinnovare il contratto di lavoro ai 93 operai che stanno vivendo momenti drammatici all’inizio del nuovo anno”. Ieri alcuni operai hanno minacciato di occupare la sede locale della Fiom, per ottenere un incontro con i rappresentanti della regione. Il leader del sindacato, Gianni Rinaldini, annuncia anche di voler denunciare la Fiat per comportamento antisindacale: “La Fiat sta rifiutando i permessi sindacali ai delegati e seppure convocata in prefettura a Napoli sulla vertenza dei precari di Pomigliano, l’azienda non si è presentata”.
(S.F. e S.C.)
IL PREZZO E IL MERCATO
QUANTO COSTA DAVVERO IL “CORRIERE” n Italia di solito anche i più liberisti sognano il mercato ovunque tranne che nell’editoria. Ma quando il Corriere della Sera ha dovuto spiegare ai lettori il passaggio da un euro a 1,20 del prezzo ha citato proprio il mercato: ci sono i costi in salita, non si ritoccava da cinque anni e la Rcs ha sentito la crisi mondiale, oltre a quella perenne dell’editoria. Ieri, in prima pagina, due delle firme più note, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, hanno chiesto all’azienda di spingere il ragionamento fino in fondo: se il problema è il mercato, allora ragioniamo davvero secondo le sue logiche.
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Chiedono a Rcs di rinunciare ai 2,4 milioni di sussidi pubblici che il Corriere ancora percepisce, aiuti perlopiù automatici come i rimborsi per le spese postali degli abbonamenti o quelli per le vendite all’estero: “Stiamo parlando del 4,4 per mille (per mille!) del fatturato della Rcs Quotidiani”. Per una questione di principio, quindi, si potrebbe rinunciare, visto che a differenza di quelli che fanno sopravvivere i giornali di partito, questi sussidi non sono determinanti per il giornale di via Solferino. Se mercato deve essere, che lo sia davvero. E vinca il migliore.
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Venerdì 8 gennaio 2010
DAL MONDO
TRA LE “CANAGLIE” YEMENITE A Sana’a si aspetta la risposta Usa: non siamo il santuario dei terroristi, aiutateci a debellare al Qaeda Una veduta di Sana’a. Sotto, il presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 31 anni (FOTO ANSA)
di Barbara
Schiavulli Sana’a
e in ballo non ci fossero delle vite, sembrerebbe quasi un gioco. “Una danza sulle teste dei serpenti”, come definisce la situazione in Yemen, Khaled Fattah, un noto analista arabo legato all’Università scozzese di St. Andrews. “In Yemen è difficile distinguere la realtà dalla fiction, è il paese delle cospirazioni”, ci dice Fattah versando il tè nella sua casa nel centro di Sana’a. “Quello che è incredibile è come un ragazzino nigeriano di 23 anni sia riuscito a far puntare tutti i riflettori su questo paese che in realtà non è più pericoloso di sei mesi o un anno fa. Ma se tenti di colpire l’America, si scatena l’apocalisse; cosa che non accade per nessun altro paese. Ma è una percezione solo esterna, in realtà qui i problemi sono gli stessi di sempre”. Lo conferma anche il vicepremier yemenita Rashad Halimi, responsabile per la sicurezza. “È vero che l’attentatore nigeriano era stato reclutato da un clericale yemenita, ma è accaduto a Londra e l’esplosivo gli è sta-
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to fornito in Nigeria, se qualcuno ci avesse informato che era un pericolo, noi non gli avremmo permesso di entrare in Yemen per studiare dove di fatto ha avuto poi contatti con elementi di al Qaeda nella regione est”. Eppure lo Yemen è diventato a tutti gli effetti uno stato canaglia, sull’orlo della crisi, con i fucili puntati, con le ambasciate pronte a chiudere e i terroristi ad ogni an-
la sua bandiera diplomatica negli anni, ma anche del recente coinvolgimento inglese, con un premier che vuole parlare di riforme durante la conferenza che si terrà a Londra a fine mese, e dove a Sana’a fervono i preparativi. D’altra parte Saleh, può usare, come fece abilmente il presidente Musharraf, la carta del terrorismo per ottenere sostanziali benefici per il suo paese con il limite però
“I riflettori puntati su di noi potrebbero essere un’occasione per aiutare lo sviluppo” golo di strada. “Paradossalmente il nigeriano potrebbe segnare una svolta per lo Yemen, se il presidente sarà bravo – spiega Fattah – riuscirà ad approfittare delle luci accese sullo Yemen per ottenere qualcosa dal resto del mondo che non riguardi solo la sicurezza”. Soldi e sviluppo. Questa è anche la teoria adottata dall’Unione europea, in primis dall’Italia che ne ha fatto
G.I.’S Afghanistan, mira perfetta con l’iPhone volo (o traiettoria) del proiettile” è un’applicazione Iunlpervideogioco il telefonino iPhone che permette di mirare come in ma ha risultati reali e quotidiani in Afghanistan: i G.I.’s, i soldati americani in Afghanistan lo usano per colpire senza fallo i Taliban negli scontri a fuoco. L'applicazione, scrive il quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung, si chiama “BulletFlight” (somma delle parole proiettile e volo) e si può acquistare su Internet per circa 2,7 o 20,8 euro a seconda della versione. Il software è un calcolatore balistico, che prevede la traiettoria dei proiettili sparati da fucili ad alta precisione prendendo in considerazione variabili come la velocità del vento, la distanza, la temperatura esterna e l’altitudine. Dopo avere elaborato le informazioni, “BulletFlight” fornisce l’esatta posizione in cui il bersaglio dovrebbe trovarsi nel mirino telescopico del fucile. L'applicazione è stata realizzata da Robert Silvers, un esperto di computer che ha studiato al Massachusetts Institute of Technology di Boston, e viene venduta già programmata per essere utilizzata con tre tipi di fucili prodotti dalla società americana Knight’s Armament Company (Kac), tra cui il fucile mitragliatore semiautomatico M110, in dotazione all’esercito Usa dal 2007.
di non avere grande controllo sul territorio e soprattutto con soldi che potrebbero però sparire nella ragnatela di una corruzione endemica. Un gioco da equilibrista: da una parte lo Yemen deve dimostrare di combattere al Qaeda per avere finanziamenti, dall’altra non deve mostrare al suo popolo che gli americani dettano legge. E questo a scapito di quello che sta accadendo veramente. Un gioco pericoloso. Due giorni fa è stata lanciata la notizia dell’arresto di Muhammad Al Hanak, capo locale di al Qaeda che avevano tentato di catturare lunedì e fuggito ferito. Poi la notizia del fermo in un ospedale, le pacche sulle spalle dell’occidente, il sospiro di sollievo, le ambasciate che riaprono. Ma se all’indomani dell’arresto (ieri) il collega del New York Times non avesse posto in modo specifico la domanda, il vicepremier Alimi non lo avrebbe mai detto: “In realtà al Hanaq non è stato preso, è ancora alla macchia”. I tre presi nell’ospedale a un’ottantina di chilometri dalla capitale, tra i quale do-
BUONE NOTIZIE
veva esserci lui, il famigerato pianificatore dei presunti attacchi all’ambasciata americana e inglese, non si sa neanche con certezza se siano membri di al Qaeda. Lo stesso è avvenuto il dicembre scorso quando un leader clericale è stato detto morto dalle autorità e 15 minuti dopo ha rilasciato un’intervista. E ancora, il vice premier ha annunciato per la prima volta di avere notizie sugli sei ostaggi, un inglese e cinque tedeschi (tra i quali tre bambini), rapiti sei mesi fa. “Abbiamo immagini, sappiamo che sono stati rapiti e che c’è stata una collaborazione tra al Qaeda e la minoranza sciita dove sono scomparsi”. Forse è malizioso pensare che questo tipo di informazione, data oggi, apre e predispone i cuori di tedeschi e inglesi che hanno un interesse nazionale nel salvare i loro concittadini. Il gioco è pericoloso, ma efficace perché tutti hanno da guadagnare o da perderci. A partire dai paesi del Golfo. “Lo Yemen è lo Stato più povero della regione ed è l’unica democrazia, ma non solo – ci suggerisce Fattah – tutta la popolazione dello Yemen (25 milioni di persone), è molta di più quella di tutti i paesi del Golfo insieme. Se questo paese si sfasciasse sa-
rebbe un pericolo perché profughi potrebbero riversarsi ovunque, se prosperasse potrebbe essere il più forte e importante. Quello che vuole l’Arabia Saudita, per esempio, è che lo Yemen si mantenga sempre sull’orlo del baratro, instabile ma non a pezzi”. Non a caso il conflitto a nord viene alimentato dai raid sauditi, anche ieri si è combattuto. Ma non c’è niente di nuovo. Lo Yemen è stato sempre un paese politicamente violento. Tutta la sua storia parla di guerre, presidenti uccisi, di armi e tribù. E non sarà aprire un nuovo fronte di guerra per gli americani la soluzione al terrorismo. “Servono scuole che non abbiano cento bambini per classe, serve sanità, servono strade, servono servizi, servono istituzioni efficienti”, dice Fattah, ma anche qualsiasi yemenita che affolla le strade della capitale, dove 5 persone su dieci non lavorano, dove il 90 per cento degli uomini trascorre il pomeriggio a masticare il qat, una pianta dalle proprietà narcotiche che ha soppiantato qualsiasi altra coltivazione e ora rappresenta l’80 per cento della produzione agricola, un po’ come l’oppio in Afghanistan.
a cura della redazione di Cacaonline
IL MONDO MIGLIORA Meno minori al lavoro Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) nel 2004 i minori costretti a lavorare erano 218 milioni, di questi 126 milioni erano impegnati in lavori pericolosi. Negli ultimi quattro anni questi numeri sono diminuiti: dell'11% i minori lavoratori e del 26% quelli impegnati in mansioni pericolose. Per la fascia di età 5-14 anni, la diminuzione dei lavori pericolosi raggiunge punte del 33% in diverse aree del mondo. Lo scooter a legna Dean Kamen, inventore del Segway, ha investito 50 milioni di dollari per creare uno scooter rivoluzionario: elettrico con batterie che si ricaricano grazie a un motore
Stirling che si alimenta bruciando scarti di legno, noccioli di olive o qualunque altro vegetale legnoso. Anche gli escrementi secchi di vacca vanno bene! Il motore Stirling non è una novità, è conosciuto dalla metà del 1800 e trasforma il calore di una caldaia in un movimento oscillante, ottimo per generare elettricità: ha una resa altissima e un basso livello di usura. È oggi utilizzato in molti settori, ma si tratta di motori molto grandi. La sfida di Kamen è riuscire a produrne uno in miniatura. Lui è sicuro di riuscirci. Auguri. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
Natale di sangue per i copti d’Egitto NOVE PERSONE UCCISE NEL GIORNO DELLE CELEBRAZIONI RELIGIOSE stata una notte di Natale disangue per i ÈNelcristiani della comunità copta in Egitto. villaggio meridionale di Nagaa Hamadi otto di loro e un poliziotto sono morti colpiti dai proiettili sparati da una vettura con a bordo tre musulmani. Sei sono morti subito dopo la sparatoria, avvenuta mentre erano raccolti in strada vicino alla chiesa, dopo la Messa di Natale che cade il 7 gennaio nel calendario ortodosso. Gli altri in ospedale alcune ore dopo. A spingere al gesto omicida, di cui sarebbe responsabile un pregiudicato già identificato dalle forze dell’ordine, la vicenda di un presunto rapimento con abusi sessuali ai danni di una giovane musulmana, attribuito ad un giovane cristiano. L'aggressore sembra aver sparato a caso sui cristiani, senza scegliere il bersaglio, in una sorta di vendetta “collettiva”. L'episodio, nel governatorato di Qena, è solo l'ultimo di una serie di violenze e scontri interconfessionali ricorrenti in particolare nell’Alto Egitto, e spesso innescati
proprio da vicende che coinvolgono l’onore ed il pudore delle giovani musulmane. Ma rappresenta anche “un salto di qualità nell’escalation di violenze contro i copti”, ha notato Emad Gad, analista del centro studi Al Ahram: una escalation contro cui lo Stato deve finalmente intervenire, ha aggiunto lo studioso copto, ponendo fine sia alle strumentalizzazioni politiche della religione, sia agli incitamenti alla violenza non solo nelle moschee e sulle tv, ma anche nelle scuole e sui manuali di studio. A chiedere un intervento più deciso dello Stato sono stati nuovamente anche i copti, che hanno manifestato in centinaia di fronte all’ospedale dove erano stati portati i corpi delle vittime. Alcuni hanno lanciato pietre contro le forze dell’ordine, che hanno risposto con lacrimogeni e idranti. L'arcivescovo della chiesa di Nagaa Hamadi ha detto che per i copti la polizia non ha preso abbastanza sul serio le minacce giunte a più riprese da criminali ed integralisti. Ieri
le forze di sicurezza hanno risposto setacciando tutta la zona alla ricerca dei fuggitivi e imponendovi una sorta di coprifuoco generalizzato. I funerali delle prime sei vittime si sono svolti con straordinarie misure di sicurezza, e perfino il numero dei fedeli ammessi è stato limitato. Il procuratore generale Abdel Meguid Mahmud ha da parte sua aperto un’inchiesta sulla strage. Preoccupati si sono detti anche i cattolici egiziani. Il clima, ha detto il direttore del locale ufficio informazioni cattolico, padre Rafic Greich, è più pesante soprattutto in Alto Egitto. “Al Cairo ci sentiamo tutti più sicuri ma nei villaggi è diverso. Gli incidenti o gli attacchi nascono sempre da una miscela di odio religioso e pretesti occasionali”. Di “orrore e riprovazione” ha parlato il ministro degli esteri Franco Frattini, secondo cui la comunità internazionale “non può restare indifferente né deve mai abbassare la guardia di fronte all’intolleranza religiosa”.
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DAL MONDO
“Il gas dei russi farà bene alla Ue e migliorerà Mosca”
N USA
Baby rapinatrici in fuga
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helma&Louise minorenni in Ohio: due teenager dall’apparente età di 12 e 14 anni avrebbero rapinato una banca allontanandosi senza lasciare traccia. La rapina è avvenuta martedì pomeriggio nella sede della First National Bank di Cincinnati.
SCHROEDER DIFENDE L’AMICO PUTIN di Chiara Paolin Pesaro
agliare le tasse? Ci andrei molto cauto. Nei tempi di crisi occorre risparmiare e impostare una seria strategia di uscita. Il consiglio per Merkel e Berlusconi è lo stesso”. Gerard Schroeder è nelle Marche per inaugurare l'anno accademico dell'Università di Urbino. Ma prima di parlare ai giovani di Europa e globalizzazione brinda con gli amici di Pesaro nell'enoteca comunale: c'è il sindaco Luca Ceriscioli, il presidente della provincia Matteo Ricci, il rettore Stefano Pivato e soprattutto il pittore Bruno Bruni che negli anni ha creato questa liason tedesco-marchigiana. Tra un tartufo in omaggio (“splendido, mia nipote li adora. E ha solo otto anni, povero me!”) e un calice di Bianchello del Metauro le considerazioni sull'Italia sono amabili, ma precise. Qual è la sua impressione sulla situazione italiana? È molto rischioso esprimere giudizi sul vostro paese, soprattutto per me che ormai non mi occupo più di politica a tempo pieno. Però devo dire che l'attacco fisico subito da Berlusconi a Milano mi ha molto colpito. Vi siete sentiti in quell'occasione, o per gli auguri di fine anno? Non gli ho telefonato, ho pensato avesse già molto da fare. Però siamo spesso in contatto, l'Italia è un paese che amo moltis-
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simo, da sempre. E che vive un momento difficile. Certo, per tutti è dura in questo momento. Occorre davvero guardare avanti e pensare con attenzione alle scelte che si fanno. Quasi quasi sono contento di non dovermi occupare di questi argomenti (ride e sorseggia il vino). L'idea di tagliare le tasse la convince? Berlusconi sogna di fare come Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, cioè impostare a breve una seria diminuzione delle imposte. Il 2010 come l’anno della svolta in Italia, che ne dice? Mah, ognuno ha le proprie idee, però se io fossi oggi al governo ci penserei due volte. I soldi servono eccome agli Stati per uscire dalla crisi. Se calano le risorse come si fa a far ripartire la macchina?. La situazione generale va migliorando secondo lei? Difficile dirlo, certo siamo davanti a cambiamenti molto significativi. Abbiamo appena celebrato i vent'anni della caduta del Muro di Berlino, ma l'Europa è già un'altra cosa. Dobbiamo valorizzare le esperienze di ogni singola cultura per creare una forza europea più solida, concreta. Eppure, a Trattato di Lisbona ormai in vigore, l'Ue sembra balbettare ancora su molti fronti. Per esempio, manca una politica energetica comune. Lei si sta occupando per Gazprom del nuovo gasdotto North Stream che por-
terà il gas russo in Germania. ci sono delle date definite per il completamento? È un grande progetto, partiamo ad aprile. Attraverso il Mar Baltico arriveremo nel cuore dell'Europa del Nord. E poi ci sarà la linea South Stream, che dal Mar Caspio arriverà alla Turchia, e poi in Italia. Il gas è il nuovo petrolio, sta ridisegnando la geopolitica del pianeta. Perché non dobbiamo temere che una superpotenza come la Russia abbia in mano i rubinetti del nostro sistema energetico? Veramente ce li ha da un pezzo. Semplicemente, la Russia ha bisogno di vendere all’Europa, e noi abbiamo bisogno di energia a costi ragionevoli. Anche se la Russia è un paese dove democrazia e diritti umani non sono di tipo occidentale? Le relazioni politico-economiche cambiano il mondo. Sono certo che anche su questi aspetti ci sarà un netto miglioramento della situazione. Ma nel frattempo gli Stati Uniti restano tagliati fuori. Il loro appoggio incondizionato a ex territori Urss (dall’Ucraina alla Georgia) evidenzia una tensione anche sulle questioni energetiche.
Sono equilibri nuovi, tutti da trovare. Certamente l’Europa allargata è un nuovo attore di cui tenere conto. Gli Usa lo sanno. Le scelte di paesi crocevia come Turchia, Azerbaijan e Turkmenistan sembrano indicare una spartizione piuttosto chiara: il Caucaso pensa a sbocchi su Iran, India e Cina mentre la vecchia Rus-
L’Europa sarà più grande e c’è posto per tutti i progetti energetici A Berlusconi consiglio di non tagliare le tasse
sia torna forte nella vecchia Europa. Infatti il progetto concorrente di South Stream, Nabucco, fortemente voluto da Ue e Usa, è dato per morto. Per Gazprom non ci sono problemi, i gasdotti devono essere tanti, l’energia e l’economia europea cresceranno insieme. C’è posto per tutti. L’Europa è più grande insomma. Ma vive di piccole realtà. Come la città di Urbino, un gioiello di cultura dove la storia del nostro continente è nelle strade, nella gente. Dove trovi un paese di 16mila abitanti che custodisce tesori come un’università antichissima, il Palazzo Ducale e la bellezza di Raffaello? Solo in Europa.
sidenziali croate. Ha vinto il primo turno del 27 dicembre, ottenendo il 32,4% dei voti. Al ballottaggio di domenica se la vedrà con Milan Bandic (14,8%), ex sindaco di Zagabria fuoriuscito dallo stesso Sdp. I tre candidati provenienti dall’Hdz, l’ex partito di Tudjman, non sono andati oltre un complessivo 29,4%, lasciando quindi che il secondo turno rimanesse affare interno alla sinistra. Questo è quanto lascerebbe intendere la provenienza dei due contendenti. Le strategie della campagna hanno però messo in evidenza una realtà diversa. Bandic – considerato un corpo estraneo all’Sdp ben prima della sua dipartita – sta puntando sull’elettorato cattolico e conservatore, arricchendo di un nuovo significato politico la sfida “interna”. L’entourage di Josipovic è cautamente ottimista (“gli ultimi sondaggi ci danno al 52-53%”), pur non nascondendo una certa inquietudine per i toni aggressivi scelti da Bandic. A microfoni spenti, l’esponente di una lista verde schierata con Josipo-
G
rave incidente alla Dakar per il centauro Luca Manca. L’italiano ha avuto un incidente durante la 6a tappa del rally raid in corso di svolgimento in Cile e sarebbe in pericolo di vita. L’italiano è caduto nei pressi della località di Maria Elena nel deserto cileno ed è stato trasportato all’ospedale di Calama con lesioni alla testa.
Intermediario nazi per Auschwitz
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n ex leader neonazista svedese sospettato di essere il ricettatore del furto dell’insegna in ferro con la scritta “Arbeit macht frei” dal campo di sterminio di Auschwitz, ha dichiarato di essere stato solo un “intermediario” nella vicenda e di aver aiutato l’inchiesta della polizia polacca.
FRANCIA
LA PROMESSA DEL PROFESSOR JOSIPOVIC: CON ME LA CROAZIA RISPETTERÀ TUTTI vo Josipovic, musicista e professore di IPartito Diritto costituzionale, è il candidato del socialdemocratico (Sdp) alle pre-
Grave centauro italiano alla Dakar
SVEZIA
DOMENICA IL VOTO
di Andrea Luchetta
CILE
vic ci confida di star tentando di convincere il candidato dell’Sdp ad apparire più risoluto: “Ivo è troppo pacato. Il tipo duro, da queste parti, è vincente”. Sia come sia, lo scarto del primo turno lascia i sostenitori di Josipovic piuttosto tranquilli. Tanto più in considerazione del fatto che, finora, l’elettorato croato ha sempre premiato il vincitore del primo round. Crede che fra Italia e Croazia restino ancora delle questioni da risolvere? In primo luogo sui beni degli italiani che hanno lasciato la Jugoslavia sotto Tito. Il punto è che esiste un accordo fra l’Italia e la Jugoslavia – di cui la Croazia è stato successore – che va rispettato. Non c’è necessità, dal punto di vista croato, di cercare nuove formule. Cosa pensa del Giorno del Ricordo dedicato alle foibe, che in passato ha innescato una polemica fra Napolitano e Mesic? Le foibe sono un evento storico tragico. Molte persone sono morte senza ragione, e mi dispiaccio per ogni sin-
“Multa di 750 euro per il burqa” Manifesto a Zagabria. Sopra, l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder (FOTO ANSA)
gola vittima. Credo comunque che né il popolo italiano né quello croato debbano cambiare la storia, visto che la successione degli eventi è chiara. La Croazia è stata invasa dai nazifascisti: molte persone ne hanno sofferto, e le dobbiamo rispettare allo stesso modo. Più in generale i diritti umani vadano sempre rispettati, al pari dell’integrità di ogni singola vittima. All’interno della minoranza italiana in Croazia esiste il timore di una completa assimilazione. A Lussino, per esempio, gli abitanti italofoni lamentano l’assenza di una scuola in lingua. Cosa intende fare per sostenere le minoranze? Le supporto pienamente e sottolineo che disponiamo di un’ottima legislazione costituzionale. È però vero che alcune disposizioni non sono rispettate in tutte le regioni del paese: lavorerò affinché questo non avvenga più. E il mio impegno vale per la minoranza italiana quanto per le altre, compresa
“Agli italiani dico: ogni comunità ha diritto a coltivare la propria identità nazionale”
quella serba. Ogni comunità ha diritto a coltivare la propria identità nazionale. Aumenterà quindi i fondi destinati alla loro tutela? Investiremo in questo settore, come più in generale nella difesa dei diritti umani. La Croazia ha accettato il ricorso a un arbitrato internazionale per risolvere la disputa confinaria che la oppone alla Slovenia. Ne accetterà il risultato, qualunque esso sia? In Parlamento mi sono opposto all’arbitrato, perché a mio modo di vedere indebolisce la nostra posizione come stabilita dal diritto internazionale. Tuttavia questa soluzione ha ottenuto l’appoggio del Parlamento. E quindi, se dovrò accettarne i risultati, lo farò. Intende seguire la politica di Mesic, pienamente rispettosa della sovranità della Bosnia? Sì. È chiaro ai fini del diritto internazionale che la Bosnia è un paese indipendente e che noi non siamo titolati a interferire nei suoi affari. Chiaramente, poi, la nostra Repubblica ha un interesse legittimo a proteggere i croati di Bosnia, che devono godere degli stessi diritti degli altri due popoli costituenti del paese. (ha collaborato Enrico Maria Milic)
I
ndossare il velo integrale in strada potrebbe costare alle donne musulmane francesi una multa di 750 euro. Questa una delle misure che sono state rese note della legge anti-burqa che dovrebbe essere presentata in Francia tra due settimane.
STATI UNITI
Giustiziato con iniezione singola
U
n uomo di 37 anni è stato messo a morte in un carcere dell’Ohio con un’iniezione letale. Si tratta della seconda esecuzione da quando in Ohio è entrato in vigore il nuovo metodo utilizzato per le condanne a morte, che prevede l'iniezione di un solo farmaco letale. In precedenza i condannati venivano messi a morte con un cocktail di 3 farmaci.
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
di Malcom Pagani
Cecchi Paone Rivaluta il Grande Fratello: è gay friendly
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ono vecchio/ sono pazzo/ sento scorrere le ore/ è il mio cuore di ragazzo”. Ogni giorno, gli stessi gesti. Sveglia, cielo, silenzio. L’ultimo piano con vista zoo, al vertice di un albergo romano dove passò i venti anni di vita definitivi, deciso a liberarsi in anticipo di condòmini, bollette, incontri inessenziali. E l’età, che avanzava senza chiedere permesso, sul suo profilo da Gianni Agnelli privo di imperio, traversato dall’ironia, come un graffio, una ruga, un altro punto di domanda cui nessuno avrebbe fornito risposta. Finalmente solo davanti a una finestra, senza dover spiegare a una moglie di passaggio che guardare fuori dal vetro, per quelli come lui, era già lavorare. Dino Risi c’è. Molto al di là di un funerale privato, delle opinioni di tutti i critici che non ne condivisero l’insopprimibile desiderio di sperimentare, dissacrando, le curiosità nascoste di un psichiatra mancato applicato al cinema. Disincanto e malinconia, desideri inespressi: “Dire a una ragazza incontrata in treno che il libro che sta leggendo appassionatamente l’ho scritto io” ed egocentrismo subordinato alla sorprendente fatica di se stessi: “Quando passa un mio film in tv, spengo subito”. Una corsa salvifica: “Se non avessi fatto il regista, non so proprio dove mi sarei potuto esprimere”, iniziata per caso incontrando Alberto Lattuada in un negozio, fitta di inediti affreschi di un’Italia dimenticata troppo in fretta, e riportata alla luce da un documentario lieto, una tenue pioggia di bianchi e neri e cromatismi ingenui, commovente senza pretendere di esserlo e incisivo come una dissolvenza secca, che Risi, grande elettore delle scelte nette dalla vita alla sala di montaggio: “Qui, dottore, ci sarebbe da alleggerire il racconto”, “Tagli pure, tagli tutto”, avrebbe approvato incondizionatamente. Sufficientemente spiritoso per non infatuarsi di ruolo, immagine o funzione sociale, Dino ragionava. Caustico, cinico: “Non so se lo sono veramente ma senza dubbio stimo la categoria. Sono i più onesti, non fingono, non filtrano”, attento osservatore di marziani o mutanti, nella scia di Longanesi o Flaiano, pazzo delle donne, dei rendez-vous inefficaci: “Era una modella top/sposò un pittore pop/ che a letto fece f lop”, del vaniloquio sentimentale che non conosce sfumature ma solo presunti successi da ostentare. Fabrizio Corallo e Francesca Molteni, (Dino Risi, 4 dvd, 01 distribuzione, 32,99 euro) sono riusciti a non deprimere il coccodrillo. Nessuna aria inutilmente celebrativa, non il lampo di una esequie anticipata, solo l’esistenza che si racconta in primo piano e i ricordi che arano il bianco spazio della memoria, dalla Milano degli anni ’30 al
New Trolls Dopo 27 anni la reunion della band progressive
Amendola Aspetto i Pacs ma intanto sposo Francesca
Charlie Sheen Dopo l’arresto sospesi gli spot in cui è protagonista
DINO RISI
ANIMA RITROVATA
Un dvd in cofanetto con tre film racconta la vita del regista Dino Risi, elaborazione fotografica (FOTO SINTESI / EMBLEMA)
dopoguerra, superando sorpasso dopo curva, l’educazione sentimentale di una nazione. Virzì, Verdone, Monica Bellucci, Vanzina, Umberto Eco, Kezich, Curzio Maltese, Jean Louis Trintignan, Franca Valeri, Martin Scorsese. Disomogeneità. Omaggi a episodi. “Era il più intelligente”, ripetono tutti. Rispetto. Rimpianto. Nei 64’ dell’opera (e nei preziosi extra che accompagnano l’impresa di spalancare sulla timida tracotanza di Risi, uno squarcio profondo, indelebile, rivelatorio) passa l’inchino vocale dei contemporanei. Quello dei grandi maestri stranieri che dal figlio di un’insegnante e del medico della Scala “Toscanini, da bambino, mi carezzò come un personaggio di De Amicis”, mutuarono la lezione e quello dei critici ortodossi, impegnati a descrivere un ateo convinto: “Credo si viva benissimo anche senza religione, il solo fatto che l’entità suprema si chiamasse Signore, mi dava fastidio”, uno che era passato attraverso il campo di concentramento e il manicomio (sei mesi, a Voghera), diffidente verso moralismi, bandiere, verità assolute e politica. Fo-
tografava in anticipo, Risi, l’istantanea in dissoluzione di un paese incapace di gestire la propria felicità. L’effimero boom che indisposto a stabilizzarsi verso la società ideale, avrebbe cambiato (in peggio) costumi e mentalità. Però Risi, considerava la nostalgia un lusso da bandìre. Registrava. Intuiva. Scriveva (“benissimo”, puntualizza Marco Giusti). Copioni e poesie. Provocava, urlando (espediente estremo per non rischiare la noia) i colleghi con la tessera in tasca, il fideismo acritico nel materialismo e certi brindisi a eccessivo tasso ideologico: “Mancandogli qualcosa/ per essere un artista/ pensò bene di iscriversi/ al Partito comunista”. Un alieno. A petto in fuori durante i ’50 (l’epopea elementare e popolare di “Poveri ma belli”, acquarello di un’Italia semplice, con tutte le possibilità a portata di mano che in Francia gli valsero l’aggettivo di dinorisienne), sulla tolda dell’amarezza solo diluita nella comicità nei ‘60 (i capolavori “Una vita difficile” e “il Sorpasso” col sogno delle strade deserte, l’incosciente arroganza di Bruno Cortona- Gas-
DINASTIA Registi, poeti e attori DINO E NELO
Dino Risi, morto nel 2008, è stato uno dei maggiori registi e sceneggiatori della commedia all’italiana. Ha diretto, tra gli altri, De Sica, Tognazzi, Gassman. Nelo Risi, fratello di Dino, è considerato uno dei più importanti poeti italiani del secondo ‘900. MARCO E CLAUDIO
Marco Risi, figlio di Dino, ha cominciato da regista di commedie come il padre, per poi virare verso il cinema d’impegno. Tra i i film più noti “Mery per sempre” (‘89). Il fratello Claudio ha vinto un telegatto dirigendo la serie tv “I ragazzi della 3a C”. ANDREA
Il figlio di Marco ha scelto la strada dell’attore. Ha esordito nel film del 2007 “Grande grosso e Verdone”.
sman, i primi autogrill, l’Aurelia B24 convertibile e un altro mondo possibile, prima della cementificazione, “ I mostri”, con Tognazzi padre al volante e il figlio Ricky, sullo schermo in un indimenticabile esempio di educazione ipercontemporanea al contrario: “Vedi Paoletto, tu sei intelligente buono e anche bellino ma furbo non lo sei . Ora ti dico una cosa: il mondo è tondo e chi non sa stare a galla, va a fondo. Hai capito bene? Ricordalo. (traffico, infrazioni, clacson, furberie al volante) Aspetta che passo io” e il bambino: “Papà,
Nessuna aria celebrativa, solo i ricordi: dalla Milano degli anni ’30 al lungo dopoguerra
il semaforo è rosso” “Hai visto il vigile? No? E allora che ti frega? Fai le corna, fai le corna, bravo, così”. Ma anche il notevole, feroce, “Il Gaucho”, con Manfredi emigrato in disgrazia, Gassman impresario cialtrone in Argentina e l’addio all’aeroporto di Buenos Aires con straziante comitato di saluto orchestrato dai paisà, cesura e colpo di genio del film: “Ogni volta che parte qualcuno è un piezz’e core che se ne va”, con Manfredi pragmatico: “Ma no, vedrai che stiamo più larghi”. Solo nel decennio successivo, dopo una sorprendente indagine anticipatoria di Tangentopoli: “In nome del popolo italiano” e l’esplorazione delle voglie represse da famiglie borghesi e pretori censori, “Vedo nudo” e i quadretti di “Sesso matto”, con Giannini e la Antonelli ninfomane in gondola: “Dai, guarda Venezia, non pensare a me” , “Di Venessia non mi frega niente, mi voglio ti” e l’ex operaio della Wertmüller, all’approccio terrorizzato con un transessuale: “Così non mi va bene, non è corretto, me ne vado, tu c’hai il ‘coso’!” e l’altro: “Borghese, conformista, frocio, fascista”, venne la riflessione sul crepuscolo. L’Oscar mancato per Profumo di Donna nel ‘74: “Cosa si prova, Risi, a sfiorare il traguardo?”. “Voglia di prendere a calci in culo un giornalista che ti sveglia alle sei del mattino per anticipartelo”, delusione trattenuta: “Mi ero preparato anche un discorsetto in inglese”, la consapevolezza che saper perdere, in ultima analisi, è un talento raro. L’amore adulto che non può vedere ogni cosa, come antidoto alle pistole. L’ambito privato contro la follia collettiva (anche se fu tra i primi a interessarsi di terrorismo con “Caro Papà” nel ‘79) il progressivo allontanamento dalle scene, in un isolamento cercato, preteso, ottenuto: “Feli-
cità è star soli d’estate nella città deserta/ i rumori per strada lontani/ seduto sulla tazza del cesso/ con la porta aperta”. Poi si invecchia, si toglie il disturbo e prima di chiudere il sipario, si ricevono tappeti rossi quasi postumi (Il leone d’Oro alla carriera nel 2002, in quel luogo immobile di tristezze concentriche che è il Lido, tenuto sul palco veneziano da un Risi finalmente sorpreso, come un giocattolo scartato fuori tempo massimo) “Ora ho novant’anni e tutti vogliono parlare con me. Che meriti ho? Che cazzo ho fatto io per arrivare fino a qui?”. Aveva capito tutto. “Sono un cretino. Lo stesso stupido cretino che ero a vent’anni”. Aspettava il suo tempo con impazienza: “I miei amici sono morti tutti, con chi parlerò adesso?”, salutava uno ad uno i compagni di un’avventura irripetibile (Mastroianni: “Si commuoveva ripensando a un piatto di pasta e fagioli”, Ugo, l’altro devoto all’arte culinaria, Sordi, Gassman, Manfredi), la domenica mattina abbracciava Marco e Claudio, gli eredi, spesso si rifugiava nel telefono. Con Vittorio, ex mattatore già malato e depresso che prendeva la macchina, lo raggiungeva là dove i Parioli declinano e ammirava con lui, sulla terrazza dell’Aldrovandi, la fissità gelida dell’attuale bioparco, toccava temi dolorosi. “C’era un’aquila su un albero. La fissavamo, muti. Poi Gassman iniziò a parlare: Quell’aquila sono io. Anche io sto seduto per ore su una poltrona. Fermo, a guardare un muro. Pochi mesi dopo se ne andò”. E Risi, che sul tema, proprio con Gassman protagonista, in uno dei suoi ultimi film, si era espresso in terzine: “Fu bello sentirle dire/ ti prego/ non morire”, tacque e lanciò gli occhi al di là dell’amico. In un tutto generoso, dove anche la fine occupava un suo spazio preciso.
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SECONDO TEMPO
FALLI DI POSIZIONE
GOL & POLITICA L’ORA DEI CALCIATORI Totti e Materazzi, ma non solo: i vip del pallone fanno i tuttologi
di Oliviero Beha
ischiata al carbone della Befana c’era ier l’altro l’intervista tv post-partita al nerissimo palermitano d’origini ghanesi Mario Balotelli, che ha suscitato un vespaio perché ha detto che “gli faceva sempre più schifo il pubblico”, in particolare quello di Verona che l’aveva fischiato ululando per tutta la partita e a cui lui aveva risposto uscendo con un applauso di scherno che gli è costato un’ammenda del rigoroso Giudice Sportivo. Ma l’anno era cominciato mediaticamente il 2 con un’intervista di “Repubblica” a Francesco Totti, in prima pagina, a cura di una firma non sportiva (uno dei vice-direttori) in cui il “capitano”, “er core de’ Roma” dopo Giacomo Losi, parlava di sé, dell’ultramondano, dell’Italia, della politica, e naturalmente del calcio italiano. Erano seguite il 4 una prima pagina della “Gazzetta” in cui Pirlo affermava senza ambagi “che i nostri terreni di gioco fanno schifo” e una pagina interna di “Repubblica” con intervista a Materazzi da Riad sul calcio e “non solo”. In essa il gigantone eroe berlinese era stato crudo sul mondo rotondo che nelle sue ingiustizie (come era stato trattato lui dopo la testata ricevuta e invece come l’aveva scampata Henry, il recente mariuolo della “mano del diavolo”) “gli faceva schifo”. Il 5 il “Corriere” dava la parola a “ringhio” Gat-
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tuso, in prima pagina, anche qui utilizzando fotograficamente il “grand’angolo”, a partire dal titolo: “Il mio sud deve cambiare. Spesso Bossi ha ragione”. E’ una novità, questa delle interviste “universali” ai calciatori? E sono quindi diverse, assai diverse tra loro le interviste qui riportate, che metterebbero Totti e Gattuso in una cesta più “politica”, Materazzi in bilico, e Pirlo e Balotelli nella cesta specifica dello “sport” sia pure con risvolti molto distinti, quali sembrerebbero lo stato di un campo di gioco e il check-up su razzismo e pseudorazzismo nel nostro paese? Forse. Vediamo. Apparentemente sì. Pirlo, il “regista dei Mondiali”, non ha infatti perfezionato la sua accorata e peculiare denuncia con qualche altro ingrediente come: “Il terreno dei nostri stadi fa schifo, perché di essi e della qualità del gioco non importa più a nessuno, perché contano solo i soldi e quindi massimamente quelli dei diritti tv che ci obbligano a giocare ogni tre giorni come dei gladiatori (dei reziari?, ndr.) mettendo a rischio la nostra salute e fregandosene del pubblico, e dicendo questo mi rendo conto che appartengo al Milan, la società di Berlusconi e di Galliani che dominano in ogni campo soprattutto grazie alla tv, e magari così mi cacciano…” ecc. ecc. Altrimenti sarebbe stata un’intervista politicissima. Così pure se il “bambinone” Mario avesse a freddo denunciato non
Il capitano della Roma, Francesco Totti (FOTO ANSA)
che “quel pubblico in particolare gli fa schifo”, ma che “si vergogna per come vengono troppo spesso trattati i suoi fratelli di sangue o di pelle immigrati”, forse la “politicità” sarebbe aumentata di colpo. Ma così non è stato, e non è stato neppure per Materazzi che, pur lasciando capire che non disdegna la pena di morte “alla cinese” come deterrente, dalla “mano di Henry” è arrivato fin sulla soglia di un “mondo che non mi piace” collegandolo agli scudetti persi dall’Inter e poi ripresi a tavolino senza dirci nulla di più su come funziona davvero la ma-
TORO: CEFFONI, SPUTI E L’OMBRA DELLE SCOMMESSE di Stefano Caselli
c’è pace in casa granata. E quando si penNtrovaonsa dinemmeno aver toccato il fondo, ecco che non si un posto dove scavare. L’ultimo, censurabile, capitolo della disgraziata storia recente del Torino Fc si è consumato mercoledì sera in collina intorno alle 23, nel parcheggio del ristorante Cavalieri (sponsor tecnico della società). Un gruppo di ultras, armati di cinghie, hanno aggredito una decina di giocatori riunitisi per festeggiare il compleanno di David Di Michele, contestatissimo martedì sera dopo l’avvilente pareggio casalingo con il Mantova, penultimo in Serie B. Ad avere la peggio sarebbero stati il centravanti Rolando Bianchi (l’unico, per la verità, ad essere ancora applaudito dal pubblico) e il terzino Riccardo Colombo, colpiti con schiaffi e ripetuti calci e pugni alle autovetture. A quel punto sarebbero intervenuti i compagni Pisano, Pratali, Zanetti, Loviso, Rubin, Ogbonna e Di Michele, anch’essi oggetto di sputi e spintoni. Il tutto di fronte alle famiglie e a quattro bambini. Sul posto è poi intervenuta la Digos. La rabbia dei tifosi – al di là dei deludenti risultati della squadra, che, partita per sbaragliare la concorrenza, naviga tristemente a mezza classifica nel campionato cadetto – è scattata dopo le voci di una presunta indagine della giustizia sportiva sulla partita Torino-Crotone del 28 novembre scorso che costò la panchina al tecnico Stefano Colantuono, sostituito da Mario Beretta. I granata uscirono sconfitti per due a uno, incassando reti degne della miglior Gialappa’s. I sospetti, secondo indiscrezioni, riguarderebbero alme-
no sei giocatori; solo uno però disputò l’intera gara. Assente quel giorno – ufficialmente per un mal di schiena – il portiere Matteo Sereni, ma già allora si parlò di un furioso litigio tra il numero uno granata e il segretario generale Massimo Ienca poco prima di scendere in campo. Il presidente Urbano Cairo smentisce le voci di scommesse illecite: “Sono chiacchiere fastidiose e infondate – dichiara – ho parlato con il direttore generale della Federcalcio Antonello Valentini e mi ha garantito che non esiste alcuna inchiesta in corso”. Tuttora non risulta sia stato aperto alcun fascicolo, ma è probabile – vista l’eco delle indiscrezioni su giornali e Internet – che il procuratore federale Stefano Palazzi decida comunque di raccogliere informazioni. E lo stesso si appresterebbe a fare la Procura della Repubblica di Torino. I giocatori hanno diffuso un duro comunicato per denunciare l’accaduto: “La squadra nel suo complesso – si legge – sta valutando la possibilità di dare un segnale forte, al fine di stigmatizzare l’accaduto e isolare questi pseudo-tifosi dalla reale tifoseria granata”. Un “segnale forte” che potrebbe concretizzarsi nella clamorosa decisione di non scendere in campo sabato prossimo a Padova contro il Cittadella. La piazza granata, intanto, spera – qualora ci fosse davvero del marcio – che siano puniti i responsabili e la società risulti parte lesa. E che l’ironia tolga spazio a una violenza indifendibile. Da un paio di stagioni, esauriti gli improperi contro una squadra inguardabile, in curva Maratona – cuore del tifo torinista – s’intona spesso un coro catartico: “Vaffa… anche a noi, che tifiamo per voi”.
fia del pallone: altrimenti in questo come negli altri campi l’avrebbero fatto a pezzi. Certo, sarebbe stata un’intervista superpolitica… Le due interviste a tutto tondo restano dunque quelle a Totti e Gattuso. Sembrano politiche e quindi diverse perché Francesco, parlando di tutto al di là compreso, dice anche che ha votato a sinistra. E Rino si dice d’accordo sul federalismo fiscale (“è una buona idea”) e commenta duro e sensato la bomba davanti al Tribunale di Reggio Calabria, lui nato in provincia di Cosenza, campione del mondo come gli altri due e testimonial di una regione turisticamente in potenza strepitosa e socialmente ed economicamente in atto in mano alle n’drine mafiose. Questo lo scrivo io, lui anzi dice che il futuro è promettente perché qualcuno ha cominciato a scendere in piazza. Benissimo. Qual è il punto? Che
ormai il “calcese”, l’idioma dei calciatori e degli addetti ai lavori che un tempo consentiva a un ex allenatore dell’Inter degli anni ’70, Invernizzi, di finire ogni sua frase con un avverbio, qualunque avverbio, perché, mi disse all’epoca, “mi viene più facile…”, il calcese dicevo si è allargato e ha inglobato la politica, o temi politici, o stralci di “polis”, di vita sociale applicata. E i media vendendo una merce ce la stanno aggiornando. Quello che fa la differenza è da un lato che il fenomeno si sta generalizzando, e dall’altro che sta accadendo anche il suo contrario. La generalizzazione, di cui in parte ho dato conto finora, si misura in confronto a un paio di generazioni fa, senza andare troppo indietro. A metà anni ’70, colpiva che un campione come Rivera facesse la guerra a uno come Buticchi, il suo presidente di allora finito male. Mi ricordo che intervistarlo sul Milan, sul calcio, su Milano e la politica era un piacere, un privilegio e una soddisfazione. Comunque, una rarità. Come per anni nella generazione immediatamente successiva è stato per Platini, cui non mancava la ragione, l’estro e l’esprit per parlare di tutto, anche se spesso sceglieva con chi farlo. Forse Rivera presidente di Federcalcio sarebbe stata una chance importante, già vent’anni fa. Oggi è sempre più impensabile. E invece Platini come è noto ha fatto carriera politico-sportiva ultrameritata, specie in paragone ai “mostri” circostanti. Ma sono stati due eponimi, due titolari d’epoca oltre che due grandi campioni, Rivera e Platini, e che loro parlassero di tutto era spiegabile e normale, ma un’eccezione alla regola del “domenica andiamo per vincere”. Oggi scrostando appena l’ovvio si evidenzia che non è così raro, che in molti sarebbero in condizione di parlare ma vige l’omertà e la voglia di non rischiare, di non mettersi in mostra. Il contrario del “calcese” nobilitato (si fa per dire) dal resto è invece il “politichese”, cioè la lingua della politica di una volta incomprensibile se non trasversalmente agli addetti ai lavori ma non alla pubblica opinione, quella delle “convergenze parallele” famose di Moro. Oggi la politica parla più o meno come il calcio, involgarendosi e tirandosi gli stracci come in uno stadio. E’ un politichese calcistizzato che è complementare al calcese politicizzato. Dietro la lingua ci sono i “parlanti”, quindi i politici che cercano tifosi e i calciatori che sono figure sempre più pubbliche o televisive, il che è diventato un sinonimo. Conclusione? E’ una politica per ultrà, e per la regione Lazio la candidatura ottimale sarebbe quella di Totti. Anche la Polverini voterebbe per lui, scommetteteci.
Atalanta
CONTE LASCIA: TIFOSI FELICI ntonio Conte ci ha penArassegnato sato tutta la notte. Poi ha le dimissioni. Non è mai scoccato l’amore con i tifosi dell’Atalanta e quanto accaduto allo stadio Azzurri d’Italia mentre i nerazzurri soccombevano contro il Napoli non ha lasciato spazio ad altre possibilità: via da quella panchina subito. Dimissioni, quindi, che suonano come una sorta di esonero degli ultrà, se ci fosse ancora bisogno di capire quanto sono potenti le curve in Italia. “Lascio una squadra viva, abbiamo fatto 13 punti, non è una macchia per la mia car-
riera: semmai la macchia è quanto accaduto dopo la partita con i tifosi”, ha detto l’ex capitano della Juve mentre si apprestava a preparare le valigie. I tifosi bergamaschi non hanno gradito quel plateale invito a stare zitti del proprio allenatore, con il Napoli che dava lezioni alla loro squadra azione dopo azione. Come non gradivano più le scelte di Conte, soprattutto riguardo all’idolo calcistico della città, Cristiano Doni, in panchina mentre la curva lo invocava. Ora a Bergamo aspettano altri “doni”: magari Sonetti, Mutti o Cagni.
Livorno
Bandiera ammainata: Lucarelli scaricato da Spinelli e dalla città ristiano Lucarelli per LiCva oltre vorno è un simbolo, che la bandiera gloriosa alla Paolo Maldini (qui si celebra Igor Protti). Lucarelli è stato più simile a una sorta di sindaco aggiunto, di guida politica, forse anche spirituale, ma qualcosa si è rotto e stavolta non solo con la società di calcio. Con la Lazio è finito in tribuna e ora è dato di nuovo in partenza. Per l’allenatore Serse Cosmi “è inutile che rimanga a fare da capo espiatorio quando le cose non vanno bene”. Ma questa volta anche in città sembra che nessuno pianga nell’osservarlo mentre prepara le valigie: “Che se ne vada, il Livorno ha bisogno di un attaccante che segni non che sappia parlare bene: lui è come noi, ha tutte le caratteristiche labroniche nel bene e nel male. Resta un amico, ma se non trova la porta non ci serve in campo”. Lo ripetevano ieri al “Barsport” della mattina post-partita nei ritrovi amaranto della città. Forse ritornerà al Parma, proprietario del suo cartellino, e lui lo ammette anche: “Non mi taglierei le vene, se dicessi che in Emilia mi hanno trattato male mentirei”. Però, quali prospettive può avere un giocatore di 34 anni che da Guidolin è già stato bocciato una volta, solo pochi mesi fa? Senza considerare che non ha più neppure un procuratore, atto di coraggio nel calcio di oggi, ma anche di disperazione. E Aldo Spinelli, il presidente della società amaranto, che con lui ha avuto un rapporto da sempre fra l’amore e l’odio, sembra volerlo scaricare per l’ultima e definitiva volta: “Lucarelli pensa solo agli affari suoi”. Per la salvezza Spinelli ha bisogno di un attaccante da almeno dieci gol e il Lucarelli di questa stagione non sembra proprio poterli garantire. A Spinelli del Lucarelli protagonista in città importa poco, anzi nulla. E il presidente guarda con fastidio agli impegni del calciatore negli affari dell’azienda portuale del padre, piuttosto che in quelli di un giornale più volte vicino alla morte (il Corriere di Livorno, fondato nel 2007) a cui Lucarelli ha promesso nuove risorse finanziarie, tre mesi dopo averne annunciato la chiusura: “Cosa è cambiato? Nulla. Andiamo avanti perché ho capito che se avessimo chiuso avrei risolto molti problemi a qualcuno”. Dal 2 gennaio al Corriere di Livorno, che nei mesi scorsi ha aperto anche un’edizione a Cecina e Rosignano, c’è un nuovo direttore: Cristiano Draghi, 54 anni, ha sostituito Giancarlo Padovan ed è il terzo direttore in tre anni di vita per il giornale. Lucarelli, prima di provare a rilanciarlo, aveva cercato acquirenti, ma ha ricevuto soltanto dei “no, grazie”, anche da Aldo Spinelli. Giampiero Calapà
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IL PEGGIO DELLA DIRETTA
TELE COMANDO TG PAPI
Tsunami Bersani di Luigi Galella
g1 T Testi e contesti. Apertura del pastone: conferenza stampa di Cesa e Polverini. Il segretario dell’Udc: “La nostra scelta riguarda la persona e con lei stipuliamo un patto e non coi partiti della sua coalizione”. L’ignaro telespettatore si interroga: L’Udc sta con Polverini, ma non coi partiti della sua coalizione: che stravaganza è mai questa? Forse ce lo spiegherà il cronista, rivelandoci il contesto. In fondo è questo il suo compito, diffondere e chiarire le notizie, ma Luverà preferisce attenersi alla lettera. E chiosa didascalico: “Una scelta sui valori, sottolinea il segretario dell’Udc Cesa, che si presenta con la candidata del centrodestra nel Lazio, Renata Polverini”. Perfetto esempio di testo privato del contesto. Risultato: indecifrabile. Chiusura del pastone, che ripropone alcune immagini tratte dagli studi di Rainews 24. Dialogando con Luca Telese de “Il Fatto”, Paolo Bonaiuti dichiara: “La invito a trovare un altro paese dove qualcuno è stato colpito con 2500 udienze, con circa un migliaio di perquisizioni…, uno che è stato indagato da 700 e rotti magistrati…Che ci sia qualcosa che non funziona di fronte a queste cifre…” Aspettiamo la risposta dell’interlocutore per sapere cos’è
che non funziona, sappiamo che sicuramente avrà qualcosa da dire, ed eccolo infatti che apre le labbra, ma parla senza voce, il povero Telese. In un acquario. Opportunamente sfumato. Utilissimo esempio di testo depurato del testo. g2 T Ed è sempre Paolo Bonaiuti protagonista. Eccolo
rispondere alla “fantasiosa” metafora pronunciata da Bersani, che paragona l’azione politica della maggioranza a uno “tsunami” di normative, “che sotto la veste della generalità hanno il solo scopo di mettere al riparo il Premier dai suoi problemi”. Bonaiuti non è da meno e dà il meglio di sé. E se l’altro dice “tsunami”, eccolo rispondere con “Bersani non sia un fiume carsico che si inabissa per poi riapparire”. Bello, il fiume carsico che si inabissa. E noi che rimproveravamo i politici di utilizzare luoghi comuni e metafore abusate. Eccoci sconfessati. Peccato che l’immagine del fiume carsico che si inabissa non sia sua, ma del giornalista e scrittore Ettore Masina. Cattolico. E perfino comunista. g3 T Finalmente un notiziario che dà voce all’unica candidata del centrosinistra nel Lazio, Emma Bonino, che ha scompaginato i giochi e costretto il Pd a uscire dall’ambiguità: “Credo che un’accettazione di un’intesa su scala nazionale sia un’opportunità”. “E i mal di pancia dell’area cattolica?”, chiede Danilo Scarpone. “Le conquiste civili sono state dovute al voto dei cattolici”. “Percepito malumori del Vaticano sul suo nome?” E lei: “Non ho contatti e non ho avuto reazioni”. Non è poi così difficile essere chiari.
di Nanni
Tra Alberto e Christian Delbecchi
a Lotteria Italia è in crisi, il Lticale crollo dei biglietti è vere anche “Affari tuoi”, il programma di RaiUno abbinato all’estrazione, non si sente molto bene. Come sempre, in Italia ci si fa una sola domanda: di chi è la colpa? Alla luce (fioca) della finale di mercoledì sera, proviamo a fare qualche ipotesi. Le scartiamo una per una, proprio come fanno con i pacchi i concorrenti di “Affari tuoi”. Max Giusti. Istrionico e piacione, il colpevole non può essere lui. In giro c’è di molto peggio. Però nella sua conduzione si nota una contraddizione di fondo; a tratti sembra ispirarsi a Christian De Sica, più spesso ad Alberto Sordi. Lodevole modello; peccato però che la forza di Albertone fosse il cinismo, mentre Giusti, schiacciato dal format caramelloso del quiz, deve ripiegare su un improbabile buonismo. Pacchi. Facile sospettarli, ma i colpevoli del declino non possono essere solo loro. In tv si trovano dappertutto. Promessi sposi. La coppia di concorrenti è in realtà una coppia di testimonial per il
“grande sì”. Non sono ammesse alla riffa di gala le unioni decise a rimanere more uxorio, aspiranti a Pacs e affini, per non parlare delle coppie gay. Il messaggio è chiaro: solo chi si sposa con tutti i crismi ha diritto al pacco milionario. E poi si dice che i varietà non fanno politica. Ospiti Vip. Mercoledì si spaziava da Stefania Sandrelli ad Antonello Venditti, ma chi se n’è accorto? Ai tempi di “Fantastico” gli ospiti d’onore erano i protagonisti indiscussi. Nello speciale “Affari tuoi” fanno da compunti damigelli d’onore ai promessi sposi. In parole povere, non fanno nulla. E quindi perché mai dovrebbero remare contro? Miss Italia. Maria Perusi esiste davvero o è un ologramma? Impossibile valutare eventuali responsabilità finché non si scioglie questo enigma. Parenti. Oltre ai Vip è schierato a fare il tifo lo stato maggiore del parentado dei due promessi sposi, ma anche qui non si vedono potenziali sabotatori, nemmeno la suoMax Giusti conduce su RaiUno il programma Affari tuoi
cera. Nessun parente è tanto amato dai suoi parenti quanto un parente ricco. Estrazione finale. Meccanismo troppo complicato per poter essere descritto a parole. Si attende dai matematici del Cnr una formula in grado di descrivere l’esatto rapporto esistente tra pacchi, sfere sigillate, biglietti della lotteria, notai, “ragazze della fortuna”, monopoli di Stato, Elisa Isoardi in vestaglia, aspiranti concorrenti e concorrenti effettivi. Ennio Morricone. Come è possibile che le più intense colonne sonore dei più bei film di Sergio Leone siano precipitate così in basso? Come si può mettere in sottofondo la musica di “Il buono, il brutto e il cattivo” nello schiudersi dei pacchi, o quella di “C’era una volta in America” mentre i promessi sposi – nonché promessi milionari – ricordano come si sono conosciuti in discoteca? Ecco una possibile causa della crisi della lotteria; se esiste un dio della musica e ha giurato vendetta, come dargli torto? (e a proposito di dei, se c’è un dio della televisione il 6 gennaio era in lutto, visto che era appena scomparso il grande Beniamino Placido).
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MONDO
WEB
Insulti a Balotelli, vergogna su Fb egro di m****. Devi solo sta“N re zitto e ringraziarci di non averti lasciato in Africa nelle capanne di fango e a mangiare banane!” questa una delle frasi ingiuriose che si legge sul neonato gruppo Facebook: “Diciamo noi qualcosa a Balotelli?? A Verona fai sempre più schifo!!” che conta già 1.300 iscritti. Mario Balotelli, il campione dell’Inter ovvero l’italiano di seconda generazione più famoso d’Italia, ieri aveva sbottato dopo la partita Inter-Chievo (vinta dall’Inter con un gol proprio di Balotelli): “Ogni volta che vengo a Verona mi rendo conto che questo pubblico mi fa sempre più schifo” si riferiva ai cori e ai “buu” razzisti coi i quali era stato insultato durante la partita contro il Chievo. Oggi il calciatore ha aggiustato il tiro: “Non mi scuso con chi mi ha insultato, ma con quella parte di pubblico che non c’entrava niente”. La pagina Facebook, sulla quale si sono riversati anche numerosi veronesi, appare come la cartina di tornasole di un razzismo duro ed esplicito: tra le foto viene pubblicata l’immagine di un
manichino impiccato. E c’è chi commenta: “St’immagine è bellissima”. Proprio la cittadinanza italiana del calciatore è motivo di odio e razzismo: “Sei solo un negro di m**** ricordati non esistono negri italiani, boia chi molla” scrive Aldo; “Muori negro di m**** spero solo di non vederti con la Nazionale xké un negro italiano non esiste” scrive Michele. Ma c’è spazio anche per il paradosso: “Vergognati usi il colore della tua pelle per poter fare impunemente quello che vuoi” scrive Matto che ha foto del profilo con il figlio in braccio. Si è molto discusso della “violenza” anche su Facebook nei giorni dell’aggressione a Berlusconi. In questa pagina contro Balotelli la violenza è esplicita, senza bisogno di nuove leggi il reato risulta chiarissimo: “Istigazione all’odio razziale”. Basta volerlo perseguire.
è IL G-PHONE SBATTE SU PHILIP DICK “NEXUS” È L’ANDROIDE DI UN ROMANZO
In tutto il mondo si parla di Nexus One: il telefonino presentato da Google. Ma per il nuovo prodotto, si profila la prima grana. Nel più famoso romanzo dello scrittore di fantascienza Philip K. Dick, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (dal quale è stato tratto il di Federico Mello film cult “Blade Runner”) un androide si chiama “Nexus-6”. Troppa la somiglianza col nome del G-Phone che, tra l’altro, utilizza il sistema operativo Android. La figlia dello scrittore, Isa Dick Hackett ha denunciato “ci sembra è VIA A CRAXI: ANCHE DI PIETRO una chiara violazione della nostra proprietà E GRILLO SABATO A MILANO intellettuale”. I suoi avvocati stanno E SUL WEB COMPARE IL RAP lavorando per capire se ci sono gli estremi Al sit-in previsto sabato a Milano contro la per intentare una causa al motore di ricerca. proposta del sindaco Moratti di intitolare una via a Bettino Craxi, saranno presenti anche Beppe Grillo e Antonio Di Pietro. Il sit-in, lanciato da Piero Ricca e Qui Milano Libera: “Via a Craxi? No, via i corrotti” si DAGOSPIA svolgerà sabato 9 gennaio a Milano, dalle BETTINI E L’ESPLORATORE 14, in Piazza Cordusio. Contro la 1) Qualcuno dica a Nicola proposta della via a Craxi su YouTube è Zingaretti che l’ancora comparso anche un brano rap. E’ di potentissimo Goffredo “MrPiraz & Brawnshugar” e s’intitola “I Bettini non sarebbe affatto Nuovi Eroi (...in Italia per essere eroi)” scontento di vedere la Bonino in regione. 2) Andreotti sta molto male; sono due settimane che non esce di casa... 3) “Novella 2000” immortala Augusto Minzolini con giovin donzella ecco l’incipit dell’articolo: come in una celebre canzone di Renzo Arbore, Augusto Minzolini ha una ragazza “così carina, così precisina” che lo aspetta a fine diretta. Il giornalista che nel 1978 girò “Ecce Bombo” con Nanni Moretti, la frequenta da qualche mese. Lei è alta (più di lui), slanciata e alla moda, ma soprattutto con un caratterino a prova di... editoriale. “Prima lo coccola, poi lo vezzeggia e infine mette su un irresistibile broncio...” 4) Fuochi d’artificio in Rai? i soliti bene informati dicono che il countdown sia appena iniziato e che la “bomba” Masotti (presto di ritorno dalla sede londinese Rai) stia per esplodere tra le mani dei vertici di viale Mazzini.
Una schermata del gruppo razzista contro Balotelli; un ritratto di Philip Dick; il brano contro “Via Craxi”; Grillo a Reggio Emilia
GRILLO DOCET
NO AL PARMIGIANO ALLA DIOSSINA
1) A Parma i cittadini con l’elmetto sono scesi in piazza, nel solito silenzio dei media, contro l’inceneritore e per dire SÌ ALLA SALUTE. Un inceneritore a due passi dalla Barilla è una follia. In Emilia Romagna grazie alla cultura dei diessini/diossini ci sono OTTO inceneritori. Bersanetor è il loro grande sponsor. Eppure gli inceneritori provocano tumori gravissimi, tolgono posti di lavoro (con la raccolta differenziata si producono tre posti di lavoro ogni 1.000 abitanti) e distruggono l’economia basata sui prodotti alimentari (chi comprerebbe il Parmigiano o un litro di latte alla diossina?). Il MoVimento 5 Stelle vuole impedire la costruzione di ogni nuovo inceneritore e spegnere a uno a uno tutti quelli esistenti in Italia. Spegni i partiti, spegni gli inceneritori, accendi la vita! 2) Le Ferrovie Italiane sono ormai ai confini della realtà. In qualche città viene persino messa in dubbio la loro esistenza. Milazzo, 3 gennaio 2010, ore 18: tabellone luminoso Partenze/Arrivi con gli orari senza connessione; biglietteria chiusa; monitor fuori servizio; biglietteria veloce con la scritta internazionale: “Fast Ticket” non agibile perché la macchinetta automatica è sottoposta a sequestro della Polizia Ferroviaria su disposizione della Procura della è REATI TELEMATICI IN IRAN Repubblica e UNA LISTA CHE ANNULLA OGNI LIBERTÀ Tribunale di Si inasprisce ulteriormente il controllo su Barcellona; Punto Internet in Iran: la giustizia iraniana ha Informativo Turistico pubblicato una lunga lista di “reati” è DOWNLOAD LEGALE chiuso; Ferrovie telematici. Stilata da un comitato non UNA PROPOSTA FRANCESE sempre più veloci, là, meglio definito di esperti, la lista vieta La Francia è capofila nella battaglia al verso l’ignoto. tutti i siti Internet che abbiano “un peer-to-peer: da poco è stata contenuto contrario alla morale sociale” pubblicata nella gazzetta ufficiale (pornografia, prostituzione, deviazione Hanopi, la legge che prevede il taglio sociale, ecc.); quelli “contrari ai valori della connessione Web per chi viene religiosi”; “offensivi nei confronti scoperto tre volte a scaricare illegalmente da Internet. dell’islam e della altre religioni Nonostante ciò, il governo francese sta lavorando anche riconosciute”; i santi e i profeti o che per migliorare l’offerta legale di musica e film su Internet “insultino Khomeini e l’ayatollah e di trovare una soluzione per remunerare gli artisti. Khamenei”. Ma l’elenco, una vera e L’apposita commissione Zelnik ha proposto che i giganti propria lista di proscrizione, continua: del Web come Google, Yahoo e Microsoft (ma non i siti vietati i siti “contrari alla sicurezza e alla con pochi contatti) paghino una tassa aggiuntiva che pace sociale”; “ostili al governo e alla andrebbe a finanziare una speciale carta di credito (alla Costituzione in favore di gruppi politici quale contribuirebbe per metà lo Stato) da dare ai ostili” e infine “tali che permettano di giovani per scaricare musica e film da siti legali. Si aspetta commettere un reato aggirando i divieti e un pronunciamento del governo sulla proposta. i sistemi di controllo”, ovvero i filtri utilizzati dal regime per impedire l’accesso ai siti vietati. Le pene prevedono diversi anni di prigione.
feedback$ è ANTEFATTO SU FACEBOOK Commenti allo status: “Il premier prima annuncia il calo delle tasse, poi fa marcia indietro. Avrà ricevuto una telefonata di Tremonti?” E’ normale che il premier dica una cosa e poi torni indietro: lo fa ogni volta (Alessio) Coerente e lineare, Berlusconi. Come sempre (Antonella) A me pare che il premier si fraintenda da solo (Silvana) Alla notizia che calano le tasse sono tutti andati a fare il carosello per le vie e così non sapranno mai che non soltanto non era vero ma pagheranno di più!!! Tattica orwelliana!! (Senzanome) Quando arriverà a smentire di aver smentito qualcosa?!? O forse è già successo e me lo sono perso? (Diego) Si sarà ricordato che aveva anche promesso a tutti i parlamentari un leggero ritocco del loro misero stipendio... (Gian Marco) Avevamo capito male!!! (Luigia) Al premier piace dire quel che al popolo piace sentirsi dire; se poi non si può fare basta dare la colpa alla sinistra, tanto non può difendersi (Paolo) “Io non ho detto ciò che ho detto e se l’ho detto mi sono frainteso” (Fabio) Sbaglio o in campagna elettorale aveva anche promesso l’eliminazione del bollo auto??? Che pifferaio... (Fabrizio) Non gli son bastati quelli dello scudo fiscale??? (Alessandro) Voleva solo aiutare l’economia, ora che ci sono i saldi… (Silvia) Quando parla il suo motto è: non so se mi sono capito... (Sergio) Come ha detto Vergassola: mente sapendo di smentirsi (Claudio) Queste promesse di riduzione delle tasse prima suscitavano scetticismo, poi sdegno e sarcasmo, adesso suonano soltanto macabre (Emanuele) Il nostro povero Imperatore e Sovrano non ha mai pronunciato quelle parole, quello che ha parlato era un sosia umanoide, costruito da Di Pietro con i soldi del Kgb per screditare lui e il partito dell’amore.... ah... l’amour! (Franco) Sembrerà un controsenso, ma se B. non taglia le tasse è meglio, perché ogni volta che lo ha fatto ha sottratto fondi ai comuni e alle strutture scolastiche e sanitarie, con la conseguenza che gli enti territoriali locali aumentano le loro gabelle per bilanciare la penuria di fondi (Davide)
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Venerdì 8 gennaio 2010
SECONDO TEMPO
PIAZZA GRANDE Italia dei Valori: quale carisma? di Pierfranco
Pellizzetti
l 5 dicembre accetto l’invito a parlare nella manifestazione genovese del No-B Day (anche per evitare che si riduca alle omelie di don Farinella: “Etsi deus non daretur”, diceva quel tale). In piazza c’è un mucchio di gente. E ad animarla trovo la Manuela Cappello, l’ultima transfuga da IdV; fatta fuori dai ras locali del partito di cui non si vede l’ombra (di certo sarebbero in prima fila se si manifestasse a favore dei poliziotti picchiatori del G8 o – udite, udite – contro “la persecuzione mediatica di cui è vittima Silvio Berlusconi”). Forte di questo recente ricordo, ho letto con un misto di indignazione e scoramento quanto scriveva su Il Fatto Gianni Vattimo in polemica con Paolo Flores d’Arcais; reo di aver posto a 360 gradi la questione democratica (se non razzoli bene dalle tue parti come puoi criticare gli altrui mali razzolamenti?). Dunque, anche per il movimento di Antonio Di Pietro. Vattimo, scandalizzato da tale ardire, esordisce definendosi “devoto ammiratore di Chávez”. Ossia il cacicco venezuelano Hugo, cultore delle regole elettorali ad personam (vizio non solo caraibico). Indigna e scoraggia l’uso improprio della devozione nell’analisi politica. Ecco il punto: questa postura mentale è uno dei mali che hanno sempre favorito l’espulsione dello spirito critico dalla discussione interna ai partiti, trasformandoli in protesi dei boss. Insomma, il tropicalista torinese mi ha fatto tornare alla mente lo scrittore luinese Piero Chiara. Una brava persona che, all’inizio degli anni ’70, venne folgorata dal Partito liberale diventando devoto niente meno che di Giovanni Malagodi; scambiato per un Luigi Ei-
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La Sinistra storicamente nasce non dalle facoltà di aggregazione di un demiurgo ma dalle spinte di base all’organizzazione E la fuga nello starsystem coincide con l’eclissi delle sue ragioni fondative naudi quando era solo il referente della piccola proprietà edilizia. Gli spiegavi cosa non andava nella gestione personalistica del leader e dei suoi sottopancia, ma lui non ti stava neppure a sentire, obnubilato dalla devozione. I partiti sono state sempre ricettacolo di questi – loro malgrado – “personaggi di corte”, scrittori o filosofi che siano. Fiori all’occhiello che – tuttavia – qualche danno riescono pure a farlo. Proprio perché favoriscono l’espulsione dal dibattito interno dell’autonomia di giudizio; e relativi temi che, se non affrontati, riducono tali organizzazioni all’assetto cui tendono naturalmente: da strumenti per affrontare i problemi a meccanismi infernali per strumentalizzare i problemi e ricavarne vantag-
IL FATTO di ENZO
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Ci sono dei momenti in cui si ha il dovere di non piacere a tutti e noi non siamo piaciuti. Il fatto 2002
I veri regali dello scudo di Sandro Brusco*
e Andrea Moro** l ministero dell’Economia ha presentato come un grande successo l’operazione “scudo fiscale”. In questo articolo vorremmo sommessamente spiegare perché le cose non stanno così. La prima cosa da osservare è che il ministero pone parecchia enfasi sul fatto che adesso le norme internazionali sui paradisi fiscali sono assai più restrittive. Si afferma testualmente: “L’impegno dei principali Paesi del G20 è infatti nel senso che il tempo dei paradisi fiscali è finito per sempre. Portare o tenere i soldi nei paradisi fiscali non conviene più, né economicamente né fiscalmente. Il rendimento è minimo, il rischio è massimo”. Se questo è vero (non abbiamo il tempo e
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gli strumenti per controllare) allora il ministro Giulio Tremonti ha veramente fatto un grosso regalo agli evasori. Quindi delle due l’una: o il governo sta mentendo, e non c’è alcun cambio strutturale nel trattamento dei paradisi fiscali, oppure sta accusando se stesso di malversazione. Proviamo a fare due conti per avere un’idea migliore di ciò che ha significato lo scudo in termini di perdita del gettito futuro. L’aliquota del 5 per cento è equivalente alla sanzione minima prevista dalla legge sul monitoraggio dei capitali per la violazione dell’obbligo di dichiarazione (la sanzione massima è il 25 per cento). Lo scudo fiscale in sostanza garantisce l’applicazione della sanzione minima, oltre a perdonare tutte le imposte dovute sui rendimenti antecedenti il primo gen-
gi personali. Magari qualche viaggio premio in quel di Strasburgo, se vieni eletto deputato europeo. C’è qualcosa di irresistibile nella deriva partitica per cui si sale per cooptazione e si scende per apostasia. E l’uso pubblico della ragione risulta l’unico antidoto disponibile. Soprattutto – venendo all’oggi – nell’agenda politica dominata dal berlusconismo; ossia la sostituzione sistematica della riflessione sul reale con l’uso manipolatorio dell’irreale. Davvero preoccupanti siffatti antiberlusconiani berlusconizzati. Ma ti rispondono: l’importanza del carisma. Ma quale carisma, qui si tratta solo di star-system; ovvero la malattia dell’uomo pubblico, del pubblico dibattito, in età di mediatizzazione. Un’età in cui si assiste a una sorta di banalizzazione del carisma, con la rottura di ogni nesso tra la figura che occupa il palcoscenico e la realtà: la mutazione della personalità in “personaggio”, largamente creato e artificiale. Per cui la partecipazione e il controllo sull’esercizio della delega di rappresentanza, fondamenti irrinunciabili di una politica rettamente intesa, sono stati sostituiti dall’abbandono nell’innamoramento. Un fenomeno che ormai dilaga da decenni, iniziato da Marco Pannella con le liste a lui intitolate per finire – magari e per ora – con altre iomanie devastanti, tipo la gestione bertinottiana di Rifondazione comunista; quando si negoziò il killeraggio di Romano Prodi con qualche decina di comparsate a Porta a Porta, l’infrequentabile salotto di Bruno Vespa, assicurate al blasé Fausto. Fatti suoi che l’italica Destra abbia subito la colonizzazione dello star-system personalistico. Ben diversa è la situazione a sinistra (anche perché sono sotto gli occhi di
tutti le catastrofi dei partiti personalizzati iomaiacamente). La Sinistra storicamente nasce non dalle facoltà di aggregazione di un demiurgo ma dalle spinte di base all’organizzazione. Sono i braccianti e gli operai, magari i camalli, che fanno emergere la Sinistra dal basso, come soggetto collettivo. E la fuga nello star-system coincide con l’eclissi delle sue vere ragioni fondative. È comprensibile che uno dei rari “caratteri” della Sinistra (Fd’A) insorga contro questa perniciosa deriva. Ma è altrettanto comprensibile la reazione immediata dei Pardi e dei Tranfaglia. Perché l’errabondo Paolo Flores d’Arcais è un miscredente anche in politica, quelli – nonostante gli anni – rimangono dei credenti alla ricerca di una fede. Lui pensa al partito come strumento di un progetto (con strutture necessariamente coerenti con la strategia), loro anelano a matrici di identità e appartenenza.
Dov’è finita la lotta ai paradisi fiscali? Tremonti esulta per il rimpatrio dei capitali, ma si poteva ottenere lo stesso gettito senza fare sconti agli evasori: bastava prenderne uno su sei
dovute sarebbero ammontate a 5%*1/8*8 = 5 per cento (ignorando gli effetti di composizione degli interessi, e cioè assumendo che gli interessi vengano prelevati dal conto, altrimenti le imposte sono di più). Se la legge invece di condonare avesse imposto la vecchia sanzione massima, 25 per cento (come abbiamo scritto è stata aumentata al 50 per cento), e avesse preteso il pagamento delle tasse non pagate negli ultimi 8 anni, allora prendendo un evasore su 6 si sarebbe ottenuto lo stesso gettito. Il tutto senza contare le sanzioni sul mancato pagamento delle imposte, che sono condonate del tutto, ma che vanno dal 120 per cento al 240 per cento dell’ammontare. A occhio questo potrebbe rappresentare un altro 10 per cento del capitale. Quindi, in sostanza, la domanda che poniamo al ministero è: veramente siete convinti che, con tutte le nuove norme anti-paradisi fiscali che vantate nel vostro comunicato, avreste acchiappato non più di 1/6 dei capitali che ora sono rientrati? Forse l’operazione ha senso dal punto di vista finanziario (scoprire e condannare un evasore
naio 2009, compresi gli interessi legali. Inoltre, lo scudo ha alzato le sanzioni (per il futuro), portandole a un minimo del 10 per cento e a un massimo del 50 per cento. I capitali investiti all’estero vengono tassati con la stessa aliquota applicata su investimenti simili in Italia. Ipotizziamo dunque un’aliquota del 12,5 per cento (cioè 1/8) per un capitale che abbia fruttato il 5 per cento annuo per 8 anni. Le imposte
giustamente
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di Bruno Tinti
REATI BIANCHI Q
uando insegnavo Diritto penale dell’economia non avevo studenti particolarmente entusiasti: omicidi, rapine, traffico di droga, questo sì che è diritto penale; frode fiscale, falso in bilancio e bancarotte non li appassionavano poi tanto. Così, all’inizio di ogni corso, mi producevo in un fervorino. Gli chiedevo di immaginare cosa avrebbero fatto se, finita la lezione, non avessero trovato più lo scooter: rubato! Le risposte erano sempre le stesse: l’assicurazione avrebbe pagato; chi era senza assicurazione, ne avrebbe acquistato comunque un altro, magari a rate; alcuni sarebbero andati a piedi per un po’: pochi soldi. A questo punto io tiravo le conclusioni: le società di assicurazione calibrano le loro polizze in funzione del numero dei furti, quindi il loro business garantisce un profitto; gli studenti senza un’assicurazione avrebbero perso una certa somma, poi, presto o tardi, avrebbero comprato un altro scooter e alla fine la loro vita non sarebbe cambiata più di tanto. Poi gli chiedevo di immaginare uno scenario diverso: i loro padri presto o tardi sarebbero andati in pensione; avrebbero ricevuto la cosiddetta liquidazione, da qualche migliaia di euro ad alcune centinaia di migliaia, comunque per molti il frutto del lavoro di un’intera vita; e gli chiedevo cosa ne avrebbero fatto. Le risposte erano sempre le stesse: ci comprano una casa, ci comprano obbligazioni di questa o quella società, si assicurano la tranquillità economica. E fanno bene, dicevo io, dopo una vita di lavoro. Adesso immaginate che la società che gli ha venduto la casa e che ha intascato l’anticipo, in genere tutta la liquidazione perché il resto è mutuo, fallisca: è in difficoltà da molti anni ma ha continuato a chiedere finanziamenti alle banche e li ha ottenuti perché ha nascosto la sua reale situazione economica con bilanci falsi; poi, a un certo punto, non ce l’ha più fatta: bancarotta. Immaginate che i “padroni” della società in cui i loro familiari hanno investito la liquidazione facciano bilanci falsi e così fanno credere a tutti che la società guadagna poco o niente; ma in realtà i soldi ci sono e loro se li portano via, in Lussemburgo o alle isole Cayman. Ecco, gli chiedevo, cosa succede ai vostri padri a questo punto? La risposta è semplice: hanno perso tutto; non uno scooter, tutto; non riavranno più nulla, i risparmi di una vita di lavoro perduti. econdo voi si tratta o no di reati gravissimi? Vale la pena di combatterli? E, per combatterli, vale la pena di studiarli? In genere funzionava. Poi è arrivata la nuova stagione del diritto penale dell’economia: il falso in bilancio, una contravvenzione, come la guida senza patente, oppure depenalizzato di fatto da soglie di punibilità assurde o querele che nessuno presenterà mai; la bancarotta, un reato impossibile per ogni imprenditore avveduto: basta suddividere l’impresa in tante imprese più piccole, ognuna con patrimonio, ricavi e debiti non superiori alle soglie previste (nemmeno tanto basse: 300.000, 200.000, 500.000 euro); il concordato preventivo, un metodo legale per liberarsi dei debiti, pagando poco o nulla, e continuare nell’impresa con un nome nuovo e le stesse persone; l’evasione fiscale, un reato con soglie di punibilità talmente alte (bisogna evadere più di 100.000 euro all’anno) che non è contestabile di fatto al 90 % degli evasori. E io ho pensato bene di smettere di insegnare; e, dopo un po’, anche di fare il magistrato. Adesso la domanda è: i reati contro l’economia sono davvero meno gravi di furti, rapine e truffe? E, se sono più gravi, perché le nuove leggi assicurano l’impunità a chi li commette?
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Giulio Tremonti (FOTO GUARDARCHIAVIO)
su sei, o anche uno su quindici, con il nostro sistema legale è altamente aleatorio, senza contare che si tratta di migliaia di persone e ci vorrebbe un esercito di controllori), ma se le cose stanno così è inutile fare i gradassi vantando chissà quali successi nella lotta ai paradisi fiscali. Oppure il ministero ha ragione, la lotta ai paradisi fiscali c’è ed è efficace. In tal caso lo scudo fiscale è stato un immenso regalo agli evasori e il gettito effettivo è largamente inferiore a quanto si sarebbe potuto ottenere senza scudo e con controlli e multe. Osserviamo inoltre che vari esponenti governativi hanno lasciato intendere che il “rientro”' dei capitali favorirà un aumento degli investimenti reali e quindi del Pil. L’enfasi è stata posta sul fatto che i capitali rappresentano “'il 6 per cento del pil”'. Per esempio, il ministro Calderoli, ha definito lo scudo fiscale “la più grande manovra economica di tutti i tempi (…) Non solo e non tanto per i quattro miliardi e 750 milioni di nuove entrate, comunque necessarie, ma soprattutto perché quasi 100 miliardi di euro rientreran-
no e verranno investiti in Italia, ridando ossigeno, vero e tanto, alla nostra economia”. La “teoria”, se così si può chiamare, sembra essere che le opportunità di investimento già esistono (coma facciamo a saperlo? Perché ce lo dicono Calderoli e Tremonti), ma gli indigeni italici non hanno soldi e non possono prenderli a prestito altrove. Basta quindi portare fisicamente i soldi nel paese e gli investimenti si materializzeranno. E’ la stessa logica che ha portato alla proposta della Banca del Mezzogiorno. Che era più o meno questa: al sud i soldi non ci sono, da fuori non si portano, e per questo non si investe. Basta mettere i soldi a Caserta, Afragola e Barletta e, voilà, finalmente i redditizi investimenti, che mancavano solo dei capitali necessari, verranno finanziati. Avere ministri che denotano un simile livello di analfabetismo economico è scoraggiante. *docente di Economia alla State University of New York at Stony Brook **docente di Economia ala Vanderbilt University. Entrambi sono redattori di noisefromamerika.org
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SECONDO TEMPO
MAIL Regionali, stop ai magheggi del Pd
A DOMANDA RISPONDO ENRICO LETTA, PAROLE DI DESTRA
Furio Colombo
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Mi viene da piangere di rabbia e di delusione! Ancora una volta il Pd si fa dettare l’agenda: oggi Casini, ieri Berlusconi e dietro a tutti il solito D’Alema che detta la linea favorevole al Pdl. Sono stati ben illustrati da Travaglio i meriti del lìder maximo nei confronti del centrodestra, non gli basta averci portato a questo punto? Adesso Bersani pensa di distruggere la sinistra e farci morire democristiani. Mai! Io vivo a Roma e voterò la Bonino, se terrà duro, altrimenti preferisco non votare! Se vivessi in Puglia voterei Vendola a dispetto di tutti i magheggi del Pd. Questa politica deve recuperare il rispetto del suo elettorato, quasi perso.
aro Furio, anche l’altro giorno Enrico Letta ha detto e ripetuto l’unica frase che tutti ripetono da destra a sinistra (se c’è ancora una sinistra): “Dobbiamo fare le riforme perché ce lo chiede la gente”. Alternativamente ci dice che le riforme “ce le chiedono i cittadini”. Questa frase tormenta perché temiamo l’amnesia. Quando, dove, a chi, con quale elenco di riforme la richiesta è stata fatta in modo così continuo e pressante? Adele, Adriana
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ANCHE A ME non riesce di
Angela Larosa
ricordare la folla, la marcia, il corteo, la piazza, il teatro stracolmo in cui, con una sola voce, la gente grida “riforme, riforme”. Anche perché “riforma” è una parola ambigua. Tutti sanno, tranne i leader politici di tutti i partiti, che ci sono riforme e riforme, che alcune le vogliamo noi (diano i lettori la definizione) altre le vogliono loro. E ben poche coincidono. D’altra parte se ne continua a parlare come se fosse il fatto nuovo dimenticando che nel glorioso governo Berlusconi due (2001-2006) era stata
L’Odissea dei passeggeri di Ryanair Granada, 5 gennaio 2010, ore 12. Il pullman si riempie, siamo quasi tutti italiani con destinazione aeroporto. Una volta superato il check in, ci viene annunciato che il volo, per le avverse condizioni atmosferiche, è stato cancellato: veniamo quindi invitati a riprendere i nostri bagagli e a salire sui pullman
LA VIGNETTA
che ci porteranno all’aeroporto di Malaga. Alcuni di noi sono perplessi, dato che il tempo non è così brutto. Un’ora e mezza per Malaga, dove comincia l’odissea: nessuno ad attenderci, nessun volo per Milano segnalato. Disorientati riconosciamo alcuni viaggiatori del nostro volo che inebetiti ci dicono che l’aereo per Milano non c’è, è già ripartito, vuoto sembrerebbe. Chiediamo allo sportello informazioni: nessuna risposta, nessuna proposta, nessun accenno ad una possibile soluzione del tipo “vi mandiamo in albergo, partite stanotte, partite domani”. Siamo stati – in una trentina – semplicemente scaricati. Ci si siamo quindi recati presso gli uffici dell’Enac,
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dove alcuni di noi hanno parlato con le impiegate che ci hanno invitato a presentare reclamo per l’“inqualificabile comportamento della compagnia” (parole loro), anche perché, oltretutto, nel frattempo l’aeroporto di Granada era stato chiuso. Quindi, maltrattati e lasciati a noi stessi, non c’è rimasto che prendere in extremis un volo diretto a Roma Fiumicino in partenza la stessa sera alle 22.55 (220 euro a testa) e da Roma prendere il Freccia rossa (93 euro) per Milano alle 6.15 con l’amara “contentezza” di essere riusciti a tornare a casa (anche se in 22 ore). É stato un vero incubo che spero non si ripeta mai. Grazie a tutti voi. Beniamino Dipoppa
portata a compimento una serie di riforme così apprezzate che nel successivo, necessario referendum costituzionale, il 67 per cento dei cittadini italiani ha respinto tutto con un clamoroso “No, grazie”. Saranno gli stessi cittadini che adesso fermano per la strada Enrico Letta e implorano “riforme subito” ? O disponiamo di due diverse piazze di cittadini, l’una che dice e ripete “con loro mai” e l’altra che insiste “tutti insieme immediatamente”? I miei dubbi, come quelli delle due lettrici, nascono dal fatto che la maggioranza che domina il Parlamento adesso è la stessa che aveva approvato tutte le riforme respinte dal referendum del 2007. Sono cambiati loro? A giudicare dalla storica frase di Brunetta che vuole riscrivere l’art.1 e definire l’Italia “Una Repubblica fondata sul mercato”, si direbbe di no. Siamo cambiati noi? Certi “noi” evidentemente sì. Altri, vorremmo garantire ai lettori, certamente no. A noi basta difendere da Brunetta e da Letta (Enrico, quello di destra) la Costituzione. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
I lavoratori di VoiCity senza stipendio da mesi La ditta in cui lavoro è attraversata da incertezza, problemi e tensioni dovute ad una situazione societaria decisamente catastrofica. Le cose non stanno andando per il meglio: la società VoiCity Srl con sede a Torino, ex Omnia Network Spa, è decisamente in crisi. Non abbiamo ricevuto parte dello stipendio di novembre né la tredicesima, non si sa nulla degli stipendi di dicembre e gennaio, nulla dei ticket restaurant degli ultimi mesi, dell’una tantum riferita all’adeguamento retroattivo del contratto e, cosa ben più grave, non si capisce cosa sarà dell’azienda a lungo e a breve termine. Manca il piano industriale; è inspiegabile l’assetto societario; non si sa che succede con i pagamenti, e che fine abbiano fatto i soldi dei committenti che pagano sempre alla scadenza le loro fatture (e sono committenti importanti: Tele2, Mediaset Premium). Regna la confusione. Il lavoro sembra esserci e viene eseguito scrupolosamente nonostante si lavori gratis. Non riusciamo a capire qual è il gioco, a chi giova continuare con false promesse e quali sono le strategie, se esistono, del gruppo dirigente. Alessandro Giustetti
Milano dedichi una via a Teresa Sardi Strada Al sindaco di Milano lancio una proposta concreta: dedicare una via di Milano a Teresa Sarti Strada, fondatrice di Emergency morta lo scorso settembre di cancro a 63 anni. Meglio di Cra-
xi, molto meglio del latitante di Hammamet detto “Gambadilegno”, unica affinità con i vecchi treni a vapore di Milano: molto fumo. Grazie e buon lavoro. Filippo Senatore
Noi scout siamo migliori del Pd Ho letto la cattiveria di oggi del nostro giornale, e volevo precisare che il Pd non è assolutamente come un gruppo Scout. Noi scout educhiamo alla responsabilità, lealtà, legalità etc. etc. Cerchiamo di far vivere ai ragazzi la propria vita da protagonisti aiutandoli a compiere, sempre fin da piccoli, delle scelte responsabili e consapevoli. So che voi scherzate e per questo non me la prendo, continuate cosi è un bellissimo giornale. Antonio Alì
É più democratico il Perù o l’Italia? Una quindicina d’anni fa visitai il Perù. Allora era governato da Fujimori: quasi il 100 per cento delle persone con le quali parlai elogiavano il capo del governo. Qualcuno lo voleva addirittura incoronare re. Io non riuscivo a comprendere quel grande entusiasmo. Vivendo “da fuori” notavo le menzogne della gran parte della tv e dei giornali peruviani. E mi dicevo fortunato di abitare in una Italia democratica dove l’informazione non era tutta al servizio dei potenti. Poi vennero a galla (mi pare grazie alla moglie) le magagne di Fujimori. Ora ho letto della sua condanna a 25 anni. E sono costretto a ricredermi. Il Perù è molto
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IL FATTO di ieri8 Gennaio 1947 A distanza di 63 anni, sono ancora contrastanti, tra vari storici, le opinioni sullo celebre missione di De Gasperi in America del gennaio ‘47. A partire dalle stesse origini dell’invito che Truman, per motivi politici, aveva preferito affidare ufficialmente al Council of World Affairs di Cleveland, promotore di un Forum internazionale. Un pretesto diplomatico, visto che il succo del viaggio risiederà poi nei colloqui politici tra De Gasperi, lo stesso presidente Truman e il segretario di Stato James Francis Byrnes. Colloqui complessi per il capo di un governo con esponenti socialisti e comunisti, organizzati in un paese ex nemico con il quale l’Italia doveva ancora ratificare il Trattato di Pace. Al di là della richiesta di garanzie di Washington sulla futura tenuta democratica italiana, il viaggio della “svolta atlantica”, oltre a legittimare De Gasperi come leader in grado di arginare l’invadenza delle sinistre e a determinare la svolta centrista a guida Dc, entrerà nella storia anche per quel prestito di cento milioni di dollari concesso dal governo Usa all’Italia per il risanamento economico. Cifra in sé modesta, ma di grande significato politico, che aprirà alla stagione del piano Marshall. Giovanna Gabrielli
L’abbonato del giorno FRANCESCO LA DELIA “Ciao, complimenti per il giornale al di sopra delle righe. Mi chiamo Francesco e in foto sono con la mia fidanzata Angela. Non sono un abbonato via Web perché a me il giornale piace “tenerlo in mano”. Vi leggo tutti i giorni e sono davvero felice che esista un mezzo d’informazione libero, e così come me è contenta anche Angela. Grazie!”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
dici anni a Repubblica, sette al Mattino: se vi sembran pochi) e sulle sue appartenenze politiche (è stato votato all’unanimità dal cda Rai) ci preme precisare per amore della verità e del lavoro della redazione due inesattezze apparse nella rubrica Telecomando. a) contrariamente a quanto riportato da voi mercoledì 6 gennaio ci siamo ampiamente occupati della polemica tra Feltri e Fini, con intervista al direttore del Giornale e replica del direttore del Secolo d’Italia e parlamentare pdl Flavia Perina; b) in merito invece all’articolo di ieri 7 gennaio, va segnalato che siamo stati l’unico tg della Rai a dedicare un titolo di copertina e un servizio filmato alla morte del caro Beniamino Placido con un ricordo di una delle nostre migliori firme, Gianni Gaspari. Per il resto tutte le critiche, anche le più feroci, sono le benvenute. Cordiali saluti Giovanni Alibrandi (segretario di redazione del Tg2)
L’arcano si svela nella gerenza: chiusura in redazione ore 20. Nella rubrica Tg Papi diamo conto delle edizioni pomeridiane dei tg. (Lu. Gal.)
più democratico dell’Italia. Potremo mai, un giorno, avere non vendetta, ma giustizia? Giuliano Mangano
Diritto di Replica Le edizioni del Tg2 Caro Il Fatto, sorvolando sugli aggettivi dedicati al nostro direttore Mario Orfeo “giovane e rapace” (un anno a Napoli Notte, cinque al Giornale di Napoli, do-
I nostri errori Il giornalista Rai Giovanni Masotti e il consigliere di amministrazione Alessio Gorla, diversamente da quanto abbiamo scritto, non sono né cugini né parenti. Ce ne scusiamo con i lettori e i diretti interessati.
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