Il Fatto Quotidiano (10 Gennaio 2010)

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Il premier sogna di ridurre le tasse a due sole aliquote. Lo promette dal ‘94. Come farà con il debito pubblico a 1.800 miliardi? y(7HC0D7*KSTKKQ(

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LE PROPOSTE PER CAMBIARE LA POLITICA DEL PAESE

FINALMENTE ALLO SCOPERTO LA VITA DI UNO DEGLI UOMINI PIU’ POTENTI D’ITALIA

EDITORI RIUNITI

EDITORI RIUNITI € 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Domenica 10 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 8 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

PULIZIA ETNICA

Immigrati deportati per evitare il linciaggio A Rosarno sono le cosche a soffiare sul fuoco Dopo la caccia all’uomo dell’altra notte in centinaia sono stati sgomberati e portati a Bari e Crotone. In città ancora barricate e proteste. Gli investigatori: la ‘ndrangheta avrebbe fomentato gli scontri. pag. 2,3,4,5 z I migranti: ci puntavano i fucili addosso.

di Antonio Massari

he c’entra la 'Ndranghe“C ta? Ma cos’è ‘sta 'Ndrangheta?”, dice un signore all’ultimo posto di blocco della giornata, quello a 500 metri

dal dormitorio degli immigrati, che in mattinata prendono posto sui pullman, in partenza per Crotone e Bari. Quanto c’entra la 'Ndrangheta, con gli scontri e la guerriglia di questi giorni? pag. 3 z

Udi Furio Colombo LORO GLI ULTIMI SCHIAVI campagna elettorale della Lde.aLega è incominciata alla granCon tutti gli ingredienti di un colossal del cinema. Va bene un grande scontro fra neri e bianchi, fra pacifica popolazione civile e brutali clandestini che invadono la città. pag. 18 z

Udi Enrico Fierro IL TERRORE DEI NERI IN FUGA l terrore lo leggi negli occhi Icercano di quelle due “prede” che disperatamente di nascondersi. Spuntano sulle facce di due “negri” accovacciati dietro una volante della polizia che li ha “salvati” mentre vagavano per le campagne. pag. 2 z

Il migrante investito l’altroieri con la macchina da un esponente della cosca di Bellocco (FOTO ANSA)

ncalcio

SCUOLA x Dove c’è il “numero” aperto per gli stranieri

Sangue e morte sulla Coppa africana

Ministro Gelmini venga nella classe di mio figlio

Piano pag. 13z La Casa dello Studente a L’Aquila (FOTO F. BUCCIARELLI)

Udi Daniele Martini I CRIMINALI DEL CALCESTRUZZO crollo della Casa dello StuIschialdente crollata a L’Aquila ridi non essere un caso isolato. Legambiente ha catalogato altri 64 edifici costruiti con lo stesso calcestruzzo depotenziato che sono quindi a rischio. pag. 10 z

nlavoro Damiano: “Parte alla Camera l’attacco ai diritti” Reguitti pag. 11z

CATTIVERIE Nell’anno dell’Amore, Repubblica torna ad intervistare Berlusconi. Dieci domande con lode

di Luca

Telese

bito a Roma, in uno dei Ad’Italia. quartieri più multietnici Mio figlio Enrico ha tre anni e mezzo, e frequenta uno degli asili pubblici più multietnici d’Italia. Uno di quelli che secondo la Gelmini sarebbero un covo di malessere sociale ed etnico: qui le quote sono esattamente il contrario di quelle che vorrebbe il ministro, ma le cose vanno benissimo. pag. 12 z

I misteri del Sacro Volto di Marco Travaglio

n vista dell’imminente ostensione della Sacra Sindone, proseguono gli studi degli specialisti venuti da tutto il mondo sul sacro volto del Divino Amore finalmente liberato dalle bende dopo tre settimane di indicibili sofferenze infertegli dal Partito dell’Odio. Il viso dell’uomo, dall’apparente età di 73 anni, si presenta liscio come il culetto di un neonato, privo di cicatrici e di qualsiasi altro vestigio dell’indicibile violenza subìta durante il martirio in piazza Duomo. La circostanza ha scatenato la fantasia dei soliti complottisti negazionisti che, a furia di vederlo finto e rifatto e di sentirlo mentire, non credono nemmeno alle poche cose vere che lo riguardano. Così, su Internet, è tutto un fiorire di ipotesi di autoattentato e di attentato fasullo. Ipotesi che respingiamo in radice, anche perché, se di complotto si fosse trattato, il Tartaglia sarebbe risultato abbonato al Fatto e all’Espresso e nelle sue tasche sarebbero stati rinvenuti un autografo di Santoro, un dvd di Grillo e una tessera dell’Italia dei Valori. Resta il mistero di quelle guanciotte paffute e intonse. Tre le possibili spiegazioni.1) I danni inferti al Sacro Volto dal lancio del piccolo Duomo erano fortunatamente molto meno gravi di quelli descritti da battaglioni di medici, infermieri e badanti al seguito: una botta al naso senza fratture, un graffio alla guancia e un paio di denti rotti, peraltro non originali. 2) Durante la breve degenza al San Raffaele, lo staff sanitario ha provveduto a un trapianto cutaneo integrale, grazie a massicci prelievi di pelle da un ignaro donatore neonato, che ora si ritrova il sederino tutto rugoso e tagliuzzato, tipo mela renetta. 3) Don Verzé ha fatto il miracolo, rimarginando ogni ferita con la sola imposizione delle mani sull’illustre infermo, già da lui definito “dono della Provvidenza all’Italia”. Resta da capire la spropositata prognosi di 90 giorni per un soggetto che dopo due settimane già zampettava giulivo tra la Brianza e il sud della Francia, agghindato come un agente nano della polizia segreta dell’amico Putin. Ma qui una spiegazione c’è: le prognosi sono due. Una, quella mignon, a uso della politica, per consentire al Divino Amore di tornare a far danni fin da domani senza incorrere nei fulmini di Brunetta, noto cacciatore di malati immaginari. L’altra, quella extra-large, è a uso del Tribunale di Milano, dove il Cavaliere risulterà legittimamente impedito a presenziare alle udienze dei processi Mills e Mediaset per altri due mesi abbondanti, cioè finché non sarà legge il legittimo impedimento gentilmente offerto dal feroce oppositore Piercasinando. Gli studi sul Sacro Volto comunque proseguono nelle migliori università del pianeta, dove il premier italiano è usato come cavia umana per avanzatissime lezioni di scienze naturali. Un vivace dibattito fra gli esperti si sta sviluppando a proposito del misterioso avallamento riscontrato nel centro della fronte, decisamente incompatibile con le conseguenze del vile attentato. Secondo alcuni luminari, lì fu impiantato il tirante di un precedente lifting, poi coperto alla bell’e meglio con un po’ di stucco che l’impatto di piazza Duomo ha fatto saltare. Ma alcuni geologi e speleologi che l’hanno in cura attribuiscono la fossetta frontale a un residuo delle trivellazioni che gli vengono praticate a scopo di carotaggio esplorativo, per stabilire l’esatto spessore dei vari strati di cerone accumulatisi negli anni e ormai calcificati, dunque impossibili da rimuovere. Anche perché un’asportazione non controllata potrebbe portare alla fuoriuscita di petrolio e fossili quali alghe, conchiglie e pesci pietrificati, ma anche grembiulini mesozoici, scheletri di stallieri e mazzette marmorizzate. Per la datazione delle varie stratificazioni è in corso in alcuni laboratori internazionali l’esame al Carbonio-14, anche per dissipare certe voci malevole: alcune sostengono addirittura che il premier sia un falso di epoca medievale.

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Domenica 10 gennaio 2010

Un poliziotto ferito a Roma durante la manifestazione di solidarietà per i migranti

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GUERRIGLIA A ROSARNO

n 200 circa hanno partecipato ieri al corteo organizzato in solidarietà ai migranti di Rosarno. Presenti in piazza Esquilino, a Roma, diverse anime dei movimenti romani e del centrosinistra. “Chiudiamo i lager per migranti, antirazziste e antirazzisti contro ogni gabbia”, è lo striscione sotto il quale si sono riuniti. Momenti di tensione durante il sit in. Un poliziotto

è rimasto ferito, colpito da un sampietrino in via Urbana, all’altezza di via de Pretis. Dopo avere forzato un cordone delle forze dell'ordine che presidiavano piazza dell'Esquilino, i manifestanti hanno cercato di dirigersi verso il Viminale. La polizia li ha bloccati all'altezza di via Cesare Balbo e, con cariche di alleggerimento, li ha riportati in piazza dell'Esquilino. La polizia scientifica e la Digos

hanno identificato una trentina di persone. Luigi Neri, assessore al Bilancio della regione Lazio, ha detto: “E’ una manifestazione nata dall'indignazione suscitata nel vedere i migranti sfruttati dalla criminalità organizzata ed essere presi a bersaglio dagli abitanti della cittadina calabrese”. Bloccato il traffico durante il corteo. La manifestazione si è conclusa in piazzale Tiburtino.

Tarcisio Bertone: giustizia per poveri o oppressi Epifani: riconoscere i diritti

LA DEPORTAZIONE

Rosarno

l terrore lo leggi negli occhi di quelle due “prede” che cercano disperatamente di nascondersi. Spuntano sulle facce di due “negri” accovacciati dietro una volante della polizia che li ha “salvati” mentre vagavano per le campagne. L'auto è ferma. Davanti, a pochi metri, ci sono le barricate dei bianchi. I “bravi ragazzi” di Rosarno, i vecchi, le donne che davanti alle tv recitano l'esasperazione. Urlano e le loro parole si sentono anche dentro l'auto. “Unn'è, unnu cazzu è sta mafia? I negri se ne devono andare, basta... E basta pure con questi giornali di merda che ci chiamano razzisti”. Applausi, grida. E la paura dei poliziotti. “Qui ci linciano” sussurra uno di loro. Scende dalla macchina col manganello in mano per farsi spazio, il suo collega inverte la marcia. I ragazzi neri seduti dietro sono ormai sprofondati sotto i sedili. La volante sfreccia e va via. Hanno paura i disperati di Rosarno, gli schiavi delle arance che hanno trasformato la loro ribellione in una violenza cieca che ora i bianchi esibiscono per giustificare tutto: barricate, gambizzazioni, caccia al nero topaia per topaia, casolare per casolare. “Non è più come una volta, ve ne dovete andare che qui vi ammazzano”. Davanti alla fabbrica dell'ex Opera Sila, monumento ai mille fallimenti della storia industriale della Calabria,

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don Pino De Masi, prete e animatore di Libera, cerca di convincere i “negri” a salvarsi. Ci sono i pullman della prefettura che aspettano. Li porteranno a Bari, a Crotone, in Sicilia. Dovunque ma lontano dalla città nemica. “Prete io non posso andare via, il mio padrone mi deve dare ancora i soldi”. La paga dello sfruttamento, quei 20 euro al giorno che gli schiavi delle arance percepivano per raccogliere gli agrumi della Piana. Il prete è come un naufrago in mezzo al mare in tempesta, si fa dire il nome del “padrone”, si attacca al cellulare e chiama. Rispondono in pochi. I negri vanno via, e se si può risparmiare anche quei quattro centesimi di salario va bene così. Qualcuno non se la sente di venire davanti al ghetto, troppa polizia, troppe telecamere. E allora don Pino si incarica di raccogliere lui il salario della vergogna. Va avanti e indietro, poi torna e distribuisce quella miseria. Hassan, giovane rifugiato politico del Darfur: “Il mio padrone si chiama Rocco, deve darmi 600 euro, ho il numero, lo chiamo”. Il cellulare squilla a vuoto. Hassan ha gli occhi gonfi di lacrime e le tasche vuote. Raccoglie i suoi stracci in un sacchetto nero della monnezza e sale sul pullman. La rabbia gli devasta il cuore, ma meglio l'umiliazione della miseria che finire sprangati. O impallinati dalle ronde. A uno dei ragazzi feriti all'alba del giovedì della vergogna hanno devastato l'inguine con cinquanta pallini da

caccia. A San Ferdinando hanno tentato di dar fuoco a un casolare isolato abitato dagli schiavi. “Sono arrivati con due macchine. Alcuni bianchi sono scesi con le taniche di benzina, altri avevano le spranghe in mano”. Sul posto ci sono i vigili del fuoco e Laura Boldrini, dell'Unhcr. “Ormai è caccia all'uomo, come si fa a controllare tutti i casolari sparsi?”. Chi può va via anche in macchina. Carrette sgangherate con targhe russe o ucraine. “Sono i caporali”, dice a mezza voce uno dei migranti. “A loro davo cinque euro al giorno per farmi portare in campagna”. Sono vestiti meglio degli altri, hanno in tasca un paio di cellulari. Non si fanno inquadrare dalle telecamere. Sono l'élite della disperazione. Pasquale, invece, è uno dei “padroni”. Si fa coraggio e viene a consegnare i soldi che deve. “Ma quale sfruttamento? Li pagavamo a cassetta. Più raccoglievano e più guadagnavano. I mandarini li pagano 20 centesimi al chilo. Come faccio a dare 40 euro al giorno a un bracciante regolare?”. Ci sono le telecamere e il signor Pasquale abbraccia una coppia di neri. Padrone e schiavi. Come fratelli. Vanno via i neri di Rosarno, i clandestini e quelli che in tasca hanno un permesso di soggiorno o lo status di rifugiato. “Molti di loro”, spiega un volontario, “vengono dal nord, prima della crisi lavoravano in fabbrica, poi sono stati respinti all'inferno”. E sono diventati braccianti agricoli, pronti a sosti-

tuire i bianchi. Non perché a Rosarno e nella Piana non esistano braccianti bianchi, ci sono, molti lavorano la terra, altri (1.500 almeno) sono “fittizi”: hanno tutte le carte in regola per prendere i sussidi dell'Inps, disoccupazione compresa, ma la campagna non la vedono mai. I più giovani aspettano. E ora sono a fare i blocchi. Vanno via i negri che non sanno di sud e della sua particolare economia fatta di ricchezza e miseria, di eccellenza e arte di arrangiarsi, di lavoro vero e di assistenza, di sfruttamento e anche di solidarietà. E che consente di guadagnare sulle arance anche quando si lasciano a marcire sulle piante. È storia di due anni fa, quando scoppiò lo scandalo dei contributi dell'Unione europea per il ritiro della produzione degli agrumi in esubero. Un business da 45 milioni di euro. La centrale operativa del grande imbroglio era Rosarno, qui c'erano aziende che più che staccare arance dalle piante producevano fatture. False. Gli “onesti” agricoltori della Piana lucravano sulla sovrapproduzione e sulla trasformazione

l segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, inaugurando l’anno giudiziario invoca giustizia “per i poveri e gli oppressi”. Il pensiero va a Rosarno, dove la “giustizia” e il “diritto” lasciano la parola alla violenza che “trasforma ogni giustizia in ingiustizia”. Il Vaticano è “preoccupato” per la “situazione in Calabria”, a causa delle “gravi condizioni di lavoro cui sono sottoposti gli

immigrati”. Il Vaticano auspica che si torni a costruire una “pacifica convivenza”, un “riscatto di vita” a cominciare dalla “valorizzazione delle doti e delle capacità di ciascuno”. Degli immigrati, prima di tutto, che prestano un “servizio prezioso all’agricoltura e alla comunità locale”. Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, esprime “grande preoccupazione” per gli episodi di Rosarno. E aggiunge: “La violenza

AVREBBE FOMENTATO SIA GLI ITALIANI SIA GLI STRANIERI

degli agrumi in eccesso in succhi da esportare. In Francia e Spagna. “Ma ci siamo resi conto – ricorda Elizabeth Sperber, funzionaria dell'Olaf, l'ufficio antifrodi della Ue – che le aziende straniere nominate per ottenere i fondi o non esistevano o non avevano mai visto una arancia trasformata”. Un meccanismo oliato. Imprenditori, funzionari pubblici, politici della Margherita e di Forza Italia: questo il teatrino dell'imbroglio. Vanno via i disperati dell'ex Opera Sila. Rosarno addio. Addio alla sua brava gente che non lascia i blocchi e le barricate. “Perché noi non siamo razzisti, ma i negri se ne devono andare”.

di Antonio Massari Rosarno

he c'entra la 'ndrangheta? Ma cos'è 'sta 'ndrangheta?”, dice un signore all'ultimo posto di blocco della giornata, quello a 500 metri dal dormitorio degli immigrati, che in mattinata prendono posto sui pullman, in partenza per Crotone e Bari. Quanto c'entra la 'ndrangheta, con gli scontri e la guerriglia di questi giorni? Gli inve-

“C

stigatori hanno un sospetto: che le cosche abbiano deciso di “cavalcare” sia la protesta degli immigrati, sia la reazione degli abitanti. Lo scopo, però, non è ancora chiaro: s'indaga sull'origine del conflitto, nato dopo il ferimento di alcuni immigrati, sparati da un fucile a pallini, e si cerca di capire come, da un evento di questo tipo, si possa arrivare alla guerriglia dei giorni scorsi. Insomma: le cosche potrebbero aver soffiato sul fuoco. Ma è solo un'ipotesi.

Stivate nei bus le prede vengono cacciate E i padroni non saldano i debiti della tratta delle braccia

i quotidiani dell’amore "

Le denunce Due toni, un’unica lettura per il Giornale e Libero. Sul quotidiano di casa Berlusconi il titolo dell’editoriale e di prima pagina è “Hanno ragione i negri”; mentre Belpietro punta su un “semplice”: “Mandiamoli a quel paese”.

Quando lo “schiavo” chiede Giustizia di Sandra Amurri

portet ut scandala eveniant”, recita la saggezza “O latina: “Conviene che gli scandali avvengano”. E scoperchino le contraddizioni di un governo che promette alla regione Calabria fondi per l’emergenza abitativa di oltre duemila braccianti immigrati clandestini che ogni anno arrivano nella Piana di Gioia Tauro per la raccolta delle arance e contemporaneamente approva leggi che prevedono il carcere per i clandestini e per chi affitta loro case. Poi quando lo scandalo è scoppiato li porta a marcire nei luoghi senza vita che si chiamano Cpt pagati dallo Stato quando potrebbe fornirli di documenti con i quali potrebbero essere messi in regola e provvedere al proprio sostentamento. Invece per saziare

le richieste xenofobe della Lega alimenta il consenso politico attraverso la schizofrenica spirale della repressione e dell’assistenzialismo. Una spirale che soffoca tutti i respiri di solidarietà e i sentimenti di accoglienza che pure esistono in una terra come la Calabria che conosce l’odore agre della emigrazione per averlo sentito sulla propria pelle. Così a Rosarno è scoppiato lo scandalo dell’apartheid all’italiana, della moderna segregazione razziale e per le strade è partita la caccia all’ivoriano, al senegalese: auto ma anche trattori a gomme lanciati a tutta velocità contro questi poveri cristi. Un’auto con alla guida un pregiudicato, finito in carcere per aver ucciso la fidanzata nel Capodanno del 2008 e poi inspiegabilmente tornato libero, ha cercato di investire un extra-

comunitario. Il 12 dicembre del 2008 la Procura di Palmi ha arrestato per tentato omicidio un uomo vicino alle cosche che vessava gli immigrati pretendendo una percentuale della loro misera paga. Di fronte all’ennesimo rifiuto ha impugnato la pistola ferendone due. Nel gennaio del 2009 è stato arrestato un imprenditore agricolo per sfruttamento degli immigrati. A maggio 2009 sono stati arrestati tre imprenditori agricoli di Rosarno con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù. Non sono racconti di fantasia ma solo alcuni dei fatti che emergono dalle inchieste della Procura di Palmi che i signori ministri dovrebbero conoscere. Tutte inchieste nate da denunce di immigrati anche clandestini. Un bisogno di giustizia non riconosciuto a chi è

In alto il ragazzo extracomunitario ferito negli scontri; al centro le barricate costruite dai cittadini per le strade di Rosarno; qui sopra i trasferimenti verso il Cie (FOTO ANSA)

CONLY, ALÌ E GLI ALTRI

dell’oppressore per dirla con Desmond Tutu, il vescovo sudafricano premio Nobel per la Pace. A quel silenzio di piombo seguito a Rizziconi all’uccisione di Francesco Maria Inzitari, 18 anni, giustiziato con dieci colpi di pistola per vendetta mafiosa. Fatica senza sosta tra i giovani del luogo affinchè imparino a ribellarsi, a dire a voce alta da che parte stanno, a spazzare via quella coltre di cenere lasciata dall’omertà che tutto copre e tutto alimenta. Ad insegnare che insieme si vince, che con la denuncia si vince, che con la forza delle proprie idee si vince anche quando si perde. Che con la vigliaccheria, la paura, l’ipocrisia, si perde anche quando si vince. “Sono amareggiato, triste come non lo sono mai stato” ci confida don Pino al termine della celebrazione della Santa Messa “ho

visto la disperazione stampata negli occhi di questi fratelli mentre li aiutavamo a salire sui pulmann per essere trasferiti al sicuro da qui. Ho toccato con mano la reazione violenta razzista della nostra gente. Per fortuna non la maggioranza che si è messa al servizio della ’Ndrangheta contro gli immigrati” E per rispondere alla domanda, forse, retorica ma obbligatoria se ha paura sceglie le parole di Paolo Borsellino: “Dobbiamo avere tutti più coraggio invece di parlare di paura” e aggiunge: “Trasformare il bisogno di cambiamento con l’impegno del cambiamento”. Mentre il governo che con le parole di Maroni denuncia un’eccessiva tolleranza nei confronti degli immigrati resta a Roma, lontano da qui, in altre faccende affaccendato ben più urgenti perché personali.

di Rossana Caccavo

i hanno picchiato con “C bastoni di ferro, minacciato con lunghe pistole, mio fratello è ferito, guarda madame, noi abbiamo paura, siamo tutti questi ma abbiamo

In centinaia sono arrivati scortati al Cie di Crotone: “They are killed, ci hanno sparato”

paura. Non gente buona, non italiani come li sappiamo noi. Né polizia, né ambulanze per noi. Noi soli, guarda tu madame, non abbiamo niente. Solo sangue e carne, come te madame, come te”. È stanco Conly, ha solo 19 anni ed è arrivato alle tre di notte a Crotone, nel centro di prima accoglienza più grande d’Europa, a Sant’Anna. Sono gli africani, della Guinea, del Mali, del Ghana, del Burkina Faso. Sono gli immigrati di Rosarno. Le storie di questi giovani nuovi disperati, invece, non le conosce nessuno. Cercano però di parlare con i giornalisti. Dicono “abbiamo video di quando ci hanno avvicinato con un’auto e ci hanno minacciato con un fucile. Bastardi ci hanno detto, ve

Che nessuno intende escludere, ma che ancora deve trovare conferme: “Allo stato ogni ipotesi è plausibile”, dice il procuratore della Repubblica di Palmi, Giuseppe Creazzo, che indaga sui disordini di Rosarno. “Dobbiamo condurre indagini accurate per stabilire le responsabilità”, conclude. Tra i punti da chiarire, per esempio, ci sono anche le voci che hanno acceso gli animi, da un lato e dall'altro, e che si sono rivelate false: la prima, che quattro immigrati fossero stati ammazzati, la seconda, che una donna incita avrebbe abortito per le violenze subite dagli immigrati. Voci messe in giro dalla 'ndrangheta per accendere gli animi? Gli inquirenti cercano conferme. Ma un fatto è certo: se non c'è dietro la sua regia, alla 'ndrangheta, sono vicini alcuni attori della contro-rivolta, quella organizzata dagli abitanti di Rosarno. E non ci sono soltanto gli attori. Anche sul fondale del teatro, si staglia la 'ndragheta, come spiega un signore, che conosce molto bene gli equilibri del paese, ma preferisce restare nell'anonimato: “Molti, se non tutti i ragazzi che hanno dato vita alla caccia all'uomo, in realtà, hanno cercato di farsi notare proprio dai clan. Volevano dimostrare di essere coraggiosi e capaci. Di poter entrare nelle famiglie”. La 'ndragheta quindi ha un suo ruolo, nelle vicende di questi giorni, anche se non emerge direttamente dalle fedine penali degli arrestati, anche se restano i dubbi sulla “strategia mafiosa” della reazione rosarnese. Eppure, tra gli arrestati, c'è il figlio di un pezzo da novanta: Antonio Bellocco detto “u paccio”, figlio di Beppe Bellocco, condannato all'ergastolo, uomo di spicco della fami-

glia omonima. Nei giorni scorsi, durante gli scontri con gli immigrati, aveva tentato di investirne uno con l'automobile. E ancora: chi è quell'Andrea Fortugno, del quale alcuni rosarnesi chiedevano la liberazione, con uno striscione appeso dinanzi al municipio, durante l'occupazione del municipio? È lo stesso Andrea Fortugno arrestato, nel dicembre 2008, per aver sparato a quattro immigrati, nella vecchia cartiera dove alloggiavano, ferendone gravemente due, Amoko Abjri e Sada Ahebib. Di questo è stato accusato. “Un altro che cercava di fare il grande salto, di entrare nelle famiglie”, dicono in paese. Manden Musa Traorè è stato ferito mentre cercava di scappare, era sui binari, e alle gambe bucate dai pallini di un fucile da caccia. In giro, di immigrati come lui, sui binari che portano fuori dal paese, ce ne sono decine. E anche nelle campagne. Tutti rischiano d'essere sparati, ed è per questo che le campagne sono controllate dal corpo speciale dei cacciatori, gli stessi che si occupano della ricerca dei latitanti. In serata il posto di blocco dei rosarnesi, sulla via che porta a Gioia Tauro, è stato liberato da un pezzo. La situazione, visto che la vecchia fabbrica degli immigrati è stata svuotata, sembra calma. “Ma quale 'ndrangheta?”, dicono pure i ragazzi. Sono gli stessi ragazzi che qualche ora prima, nella notte, avevamo visto imbracciare spranghe e bastoni, che giravano con le taniche di benzina tra le mani. Ora sembrano tranquilli. Ma i capi delle cosche ora lo sanno: sono “bravi ragazzi”. E sulla pelle degli immigrati, in questo modo, qualcuno s'è allenato. Per entrare, domani, nelle famiglie che contano.

11 MARZO

“ABBIAMO I VIDEO: CI PUNTAVANO I FUCILI ADDOSSO” schiavo per definizione. A chi per un intero giorno è stato oggetto di un vero e proprio tiro al piccione praticato dai finestrini aperti delle auto in corsa da dove spuntavano fucili a pallettoni o pistole vere. Ora che molti sono stati portati nei Cpt e altri allontanati, resta da capire di cosa sarà fatta domani la manodopera nei campi. “Chi resterà piegato per terra per ore con la morte nel cuore ad asciugare il sudore della pelle in cambio di pochi euro senza diritti?” Se lo chiede don Pino De Masi, vicario del vescovo, parroco di Polistena, referente di Libera in Calabria. Sentinella instancabile di una Chiesa che resiste al richiamo del potere e si sporca le mani per dare vita al Vangelo. Don Pino non si rassegna alla neutralità di fronte all’ingiustizia che vuol dire scegliere di stare dalla parte

deve essere respinta da qualunque parte arrivi ma bisogna riconoscere ai migranti i loro diritti di lavoratori e di cittadini”. “La violenza – spiega Epifani – va sempre respinta, ma il modo migliore per evitarla è eliminare le cause che la producono e che non derivano dalla clandestinità, come ha sostenuto il ministro degli Interni, ma dalla povertà, dal lavoro nero, dallo sfruttamento e dalla criminalità organizzata”.

Il sospetto degli investigatori: dietro c’è la mano della ’Ndrangheta

Dopo la caccia all’uomo, centinaia di immigrati trasferiti dalla città. E i caporali si riorganizzano di Enrico Fierro

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GUERRIGLIA A ROSARNO

ne dovete andare. Due di noi sono stati feriti, they are killed”. Alì ha un nome più complesso ma, dice, lo chiamano così. Ha 29 anni, è della Guinea ed è laureato in Matematica: “Io non capisco – dice in un italiano quasi perfetto – noi possiamo vivere insieme, lavorare con permesso di soggiorno. Vogliamo amicizia”. Gli occhi parlano di fame, di miseria, di vestiti sporchi e ora anche di sangue. Caviglie ferite, occhi gonfi di botte, mani sulla testa. Arresi, stanchi e impauriti. “Non abbiamo soldi, non una casa, a Rosarno in campagna mi davano 20 euro al giorno. Potevo mangiare, ma lì non posso tornare. È difficile. Lì sparano, uccidono. Razzismo? Non so come dici tu... sono

come te, come loro. Ma no, ci odiano. Ora tutti noi, quelli che sono arrivati e quelli che stanno arrivando siamo in 600. Chi va a Napoli, a Roma, a Milano. Proviamo, cosa altro possiamo fare. Ma fa male avere paura, sia a noi, sia a loro. Abbiamo chiesto aiuto quando due di noi sono stati attaccati e feriti. Poi nessuno ci ha voluto ascoltare e abbiamo reagito. Non dovevamo, ma era impossibile. Dovevamo difenderci. Ora se io incontro quattro italiani la sera e sono solo, possono uccidermi, tanto sono straniero”. Poi prendono le loro cose, tenute in bustoni di plastica azzurri, e si mettono in fila per salire sul treno per Catanzaro Lido. È la razza umana che sale sui convogli.

Sciopero, sciopero: la Rete si scatena

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na serrata in piena regola. Ma è immaginabile davvero? Il tam tam su Internet e su Facebook prosegue e anzi dopo i fatti di Rosarno cresce: immigrati in sciopero il prossimo primo marzo. E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo? Sarà, spiegano gli organizzatori, una manifestazione per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società. Il movimento che riunisce “italiani, stranieri, seconde generazioni e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli” - si ispira a un omologo gruppo francese, “La journée sans immigrés: 24h sans nous”, che sta organizzando un identico sciopero degli immigrati nella stessa data.


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Domenica 10 gennaio 2010

Nel 2008 gli stranieri hanno comprato 120mila case, per oltre 15 miliardi

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GUERRIGLIA A ROSARNO

n Italia nel 2008 gli immigrati hanno comprato 120 mila case, per oltre 15 miliardi. Ma a Roma, secondo il censimento del comune, ci sono 240 insediamenti abusivi. Ci vivono 4.031 persone (930 minori) per lo più immigrati e rom. Il municipio con più accampamenti abusivi è il V (Tiburtino): ci vivono 1.212 persone. A Milano, si trovano insediamenti abusivi all’ex Scalo ferroviario di

Porta Romana, all’ex caserma Forlanini e ai bastioni di Porta Venezia. A Bologna, accampamenti abusivi di rom e maghrebini si concentrano nell’area dei Prati di Caprara, nella zona industriale delle Roveri e nel quartiere Bolognina. A Parma, nel quartiere San Leonardo vivono centinaia di immigrati. A Firenze, immigrati abitano nell’ex sanatorio Luzzi, nell’edificio in via del Fosso Macinante, in quelli di viale Matteotti e

di via Monte Oliveto. Altri occupano baracche nella zona dell’Osmannoro. A Castel Volturno, vivono 15 mila immigrati nei quartieri di Pescopagano, nelle vicinanze del centro Fernandes e nell’American Palace. A San Nicola Varco a Eboli, ci sono baraccopoli con migliaia di braccianti impiegati nei campi della Piana del Sele. A Rosarno braccianti vivono in case pericolanti e sotto un grande tendone.

“NOI, ALLO SPECCHIO CON L’UOMO NERO” LO PSICANALISTA ZOJA: LE PAURE ATAVICHE E LA BENZINA DEL LEGHISMO di Silvia Truzzi

l potenziale razzismo esplode e si arma di pistole e spranghe. Ma dove parte la miccia dell’intolleranza che infiamma la Calabria? Luigi Zoja, psicanalista junghiano, abita lontano da Rosarno, ma vicino alla Chinatown milanese di via Sarpi. E avverte: “Quando scendo in strada sento parlare cinese. Negli Stati Uniti, i cinesi di Chinatown parlano inglese. Qui non c’è integrazione, né preoccupazione per la mancata integrazione”. Quella del diverso è una paura atavica. Cosa succede nella testa, rispetto all’altro da sé? L’italiano è preparato alla percezione dell’altro molto meno che in altri paesi. Si è sempre detto scioccamente che l’italiano non è razzista. Ma dipendeva solo dal fatto che c’erano meno minoranze rispetto ad altri luoghi. Perché l’Italia è meno preparata? Perché non c’è tradizione. L’Inghilterra è da molto tempo abitata da pachistani, indiani e così via, a causa dell’impero coloniale. La Francia un po’ meno, ma comunque più di noi. La Germania ha visto un alto numero di immigrati e, come in Svizzera, una politica al riguardo c’è stata. Da noi tutto questo non è avvenuto: il problema vero si avrà tra una generazione. Come nell’estate delle banlieue parigine che andavano a fuoco: gli autori delle proteste erano francesi di colore. Seconda generazione: di lingua francese e passaporto francese, coscienti dei loro diritti. Quando i nostri immigrati stagionali saranno così evoluti, alzeranno le richieste.

I

Durante le sedute con i pazienti salta fuori la paura del diverso? Il paziente che sceglie la psicoanalisi è generalmente piuttosto colto e sensibile, capace di autocritica. Chi ha bisogno di proiettare il male sull’altro ha un atteggiamento che definirei paranoico e incapace di autocritica. Penso che noi tutti siamo potenzialmente paranoici, ma controllati. E quindi, potenzialmente razzisti? Non c’è dubbio. I miei pazienti non sono mai razzisti, però nei loro sogni l’uomo nero ricorre, sempre come rappresentazione della paura. E cosa vuol dire? Che l’altro è avverito come minaccioso. È una distinzione primordiale, di tipo animale. Vede, gli animali tra specie diverse possono uccidersi. Erik Erikson

“Italiani impreparati al diverso. Fa parte dei compiti civili contenere l’animale dentro ciascuno” parlava di pseudo-speciazione. L’animale ha l’istinto per distinguere una specie diversa. L’essere umano, che è animale complicatissimo e invasivo, non riconosce più l’altro essere umano se ha tratti diversi, abiti diversi, lingua diversa. Perché se il cane annusa il cane e lo riconosce, l’uomo percepisce l’altro attra-

verso sistemi culturali. E se l’altro è troppo diverso non lo capisce. La pseudo-speciazione è l’illusione che l’altro appartenga a un’altra specie, non a un’altra razza. Ma il cavallo e l’asino si accoppiano e nasce il mulo. È l’eccezione limite. Ma il mulo è sterile e quindi la cosa si ferma lì. Mi sono riletto recentemente il Mein Kampf, per un libro sulla paranoia che sto scrivendo: lì Hitler fa il salto. Dice che gli animali non accettano quelli di un’altra specie. E poi prosegue, come fanno i manipolatori, e dice: “quindi un’altra razza è troppo diversa, bisogna allontanarla

e se non si può, eliminarla”. Passa da specie a razza. Ma dobbiamo tener molto ben presente la distinzione. Se noi ci accoppiamo con un cinese, nasce un essere umano perfetto. Anzi l’umanità è andata avanti su questo. Gli esquimesi, nei tempi in cui erano davvero isolati, quando arrivava uno straniero lo facevano dormire con la moglie. Non facevano un ragionamento, ma l’istinto li portava a sapere che l’endogamia è geneticamente dannosa. Come si combatte la paura dell’uomo nero? Fa parte dei compiti civili dell’uomo tenere controllato

l’animale dentro di sé. Anch’io se vedo l’uomo nero troppo diverso, mi fermo a guardarlo. Come guardo una bella donna. Ma una cosa è che mi caschi l’occhio, un’altra che io dia un pizzicotto a quella signora. Così se guardo un uomo perché istintivamente diverso, non devo dare un seguito aggressivo a questa pulsione. Non aiuta che un ministro dica “troppa tolleranza”. Non bisogna commentare le sciocchezze. Ci dovrebbero essere educazione e prevenzione. Non creare ghetti. Invece noi che facciamo? Aspettiamo che ci scappi il morto.

IL DOCUMENTARIO SUL CIE DI CROTONE

SANT’ANNA, LA FORTEZZA-PURGATORIO DEI “NÌGURI” di Antonio Martino*

laggio come Sant’Anna, che conta più o meno 500 abitanti, che da un giorno all’altro si vede “invaso” da 1.500 persone “diverse”. Come un muro invisibile tra santannesi e “Nìguri” – come dal titolo del documentario che lì ho girato a marzo. “Nìguri” che in dialetto calabrese vuol dire Neri, senza troppe distinzioni. Il colore della loro pelle è quello che si sa di loro, ed è tutto ciò che serve. I nìguri non sono uomini, ma anime di purgatorio, razze indistinte accomunate perlopiù dal colore. Lo spiega con semplicità ‘Zà Giuseppina, una delle protagoniste di “Nìguri”, che presa dal discorso, i nìguri a un certo punto arriva a chiamarli gli albanesi. Perché, neri o albanesi che siano, sempre di forestieri si tratta.Forestieri: una rarità per zone come le nostre, dove fino a qualche anno fa – racconta la signora Pina – l’unico uomo di colore in zona era il cameriere di un bar sotto i portici a Crotone. Anni fa “il nero” era uno, e adesso sono in 1.500: fa una media di tre nìguri per ogni santannese. Gli ospiti del campo di Sant’Anna non sono né ospiti regolari né clandestini, né carne né pesce. Esseri umani in attesa di un esame che

attesti o neghi il loro status di rifugiato. Perciò non sono né liberi né prigionieri, possono muoversi, ma non andare via, er capire i motivi della rivolta dei clandestini a Rosarno starsene a zonzo ma non lavorare. Inutili, inquieti e frubisognerebbe guardare, sempre in Calabria, verso un strati. Come Bibi. Lui racconta di aver bussato a una porta piccolo villaggio in provincia di Crotone da dove tutti gli per chiedere un po’ d’acqua da bere e di averla ricevuta, immigrati che poi verranno schiavizzati nei campi, nella ma in faccia, e a secchiate. Omar e Samir, due somali, non raccolta delle clementine e dei pomodori, partono. Si chiavorrebbero stare a Sant’Anna, ma andare in Francia o maSant’Anna, è là che si trova uno dei più grandi Cie Germania, e lavorare. Il dramma di tutti i nìguri del campo d’Europa: negli ultimi anni al suo interno sono state stipate è quello: aspettare, dover spendere mesi della propria vita anche duemila persone alla volta. Molti degli immigrati a passeggio, non voluti. clandestini che arrivano a Lampedusa o sulle coste caEccoli allora perdere tutto il loro giorno senza polabresi vengono portati in questa struttura e dopo essere ter fare nulla: ubriacarsi, ciondolare per le poche strade di stati “accolti” avviano una procedura per la richiesta dello Sant’Anna, assediare l’unico autobus che porta a Crostatus di rifugiato politico e protezione umanitaria. Una tone. Oppure rubare i panni stesi e la frutta dai campi, pratica che può durare anche un anno.Gli ospiti del camrifugiarsi nelle casupole abbandonate dell’Opera Sila, in po, grazie ad un decreto ministeriale del 2007, sono però quegli stessi posti dove di notte le giovani nìgure si proliberi di uscire fuori dalla stituiscono ai crotonesi per pochi euro. Dall’altro lato della struttura dalle 8 di mattina strada però, ci sono le vite esasperate degli abitanti di alle 8 di sera.Provate ora ad Sant’Anna. Sono impauriti, incazzati, le loro reazioni sono IL SINDACO DI RIACE immaginare un piccolo vila volte profonde altre volte terribilmente semplicistiche. Ma di sicuro sono i portavoce di un problema più grande di loro. Ed è la loro presenza a mettere in parallelo le storie di due rabbie uguali bbiamo avuto dei primi contatti e, nel limite e contrarie: quella degli ospiti del delle nostre possibilità, noi siamo disponibili Centro e quella degli abitanti sanad accogliere alcuni degli immigrati di Rosarno”. tannesi. Disagio bianco e disagio nero non si annullano, e non si miParola di Domenico Lucano, sindaco di Riace, schiano, ma triplicano il loro effetprotagonista da tempo di un ampio progetto di to. Le statistiche parlano chiaro: accoglienza e di integrazione per gli immigrati nel solo il 5% dei richiedenti asilo ospiti suo Comune. “Sono stato a Rosarno - ha aggiunto - e nel centro di Sant’Anna riceveranl’impressione che ho tratto è stata assurda. Le no la protezione umanitaria o uno condizioni in cui vivono questi immigrati sono straccio di documento. Il resto dei inumane, peggiori di quelle dei Paesi da dove Nìguri diventeranno “clandestini” provengono. E vedendo dove vivono mi sono e probabilmente andranno a farsi sfruttare dalla mafia. Molti dei vergognato di essere italiano. A noi ci fa comodo protagonisti della rivolta di Rosario utilizzare quelle braccia per il lavoro però mi chiedo sono passati dal centro di Sant’Ancome mai questa storia è andata avanti per tanto na dove hanno visto deluse le loro tempo e nessuno ha mai parlato? Dove sono gli aspettative, avendo ricevuto l’etiorgani di controllo? Quello è tutto lavoro nero chetta ufficiale di clandestino, ma, collegato con la malavita organizzata. Pagando ironia della sorte è proprio li che questa gente 15 euro al giorno li abbiamo reso stanno tornando in queste ore, trasferiti dopo la rivolta. Sant’Anna schiavi. Il sud in queste ore si è reso protagonista di centro del mondo, Sant’Anna puruna brutta pagina" gatorio di anime (nere) perse. Sugli autobus, con i loro borsoni: gli immigrati dannati vengono trasferiti al Cie di Sant’Anna, vicino Crotone (F A ) *documentarista

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PRONTO AD ACCOGLIERLI “A

Gli extracomunitari del Centro di identificazione bighellonano senza futuro né lavoro. La convivenza forzata con gli abitanti e i destini di bianchi e neri

OTO

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Domenica 10 gennaio 2010

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Anno 2009-2010: oltre 600mila gli studenti con cittadinanza non italiana

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DISCRIMINAZIONI

el nostro paese, gli alunni con cittadinanza non italiana sono 629.285 (anno in corso 2009-2010): un numero in aumento del 9,6 per cento rispetto al 2008 e del 9,3 per cento se si considera solo la scuola secondaria di secondo grado.

L’incidenza più elevata è nelle primarie: 8,3 per cento. L’area del paese con l’incidenza più alta di alunni con cittadinanza non italiana è il nord-est, con l’11,2 per cento. La regione italiana con l’incidenza maggiore è l’Emilia Romagna con il 12,7 per cento mentre il record per la provincia spetta a Mantova

con il 16,9 per cento. La maggior parte dei ragazzi non italiani che studiano nelle nostre scuole arrivano dalla Romania, che conquista il podio con una presenza di 105.645 studenti (anno scolastico 2008-2009). Seguono i ragazzi di Albania, Marocco, Repubblica popolare cinese ed Ecuador.

UNA SCUOLA EXTRAORDINARIA A Piazza Vittorio, Roma, dove due terzi dei bambini sono figli di immigrati. E parlano tutti l’italiano

di Luca Telese

bito a Roma, in uno dei quartieri più multietnici d'Italia. Mio figlio Enrico ha tre anni e mezzo, e frequenta uno degli asili pubblici più multietnici d'Italia. Uno di quelli che secondo la Gelmini sarebbero un covo di malessere sociale ed etnico: qui le quote sono esattamente il contrario di quelle che vorrebbe il ministro, ma le cose vanno benissimo. Due terzi stranieri, un terzo italiani. Eppure, se in un qualsiasi giorno ti affacci in un corridoio trovi solo sorrisi, grida di felicità, lavoretti di cartapesta e cartelloni colorati. Nessun luogo di bambagia protetta, nessun ghetto per ricchi: asilo pubblico, a solo pochi metri da piazza Vittorio, retta di 60 euro (solo perché c'è la mensa). Una squadra didattica da far paura – maestre, collaboratrici scolastiche, direttrice – a cui dovrebbero dare il Nobel per la pace. Bimbi di tutte le nazionalità: cinesi, sudamericani, indiani, cingalesi, polacchi... A quelli che dicono: “Ma così, come fanno i nostri figli ad imparare l'italiano?”, vorrei solo dire di entrare un momento e di avvicinare l'orecchio alla porta di una classe. Parlano tutti italiano, tutti. Qualcuno si porta traccia di accenti diversi, ma molti parlano l'italiano meglio degli italiani, anche se hanno un cognome pieno di consonanti (il peso delle cadenze, direi senza polemiche, è inferiore a quello che si sente sui banchi del governo). L'unico indizio di diversità etnica lo trovi se ti metti a sbirciare le targhette dei nomi sotto gli attaccapanni: “Shannah, Sophie, Oliver... Ogni attaccapanni ha un nome, e anche un disegnino. Il rito di appello è così: le maestre mettono tutte le schede con i nomi dei bambini sul tavolo, e anche i bimbi che non sanno leggere trovano i loro e vedono quello degli altri. Poi lo vanno infilare su una parete dove c'è una bacheca piena di tasche trasparenti. Enrico ha una chiocciola, ed è molto contento. Quando sento dire che i genitori fuggono dalle scuole con gli stranieri penso a questa estate. C'era gente che tramava di restare fuori. Prima ancora di iniziare le lezioni la direttrice mi ha telefonato: “Facciamo una festa di benvenuto”. E io: “Prima ancora di iniziare?”. E lei, ridendo: “Sa, per integrare i bambini bastano tre giorni. Per i genitori non bastano tre mesi” . Geniale. Quando sento parlare di

il giornalista, cosa ci accadrà, adesso?”. Le ho risposto: “Nulla”. Invece aveva ragione lei. Sto provando a immaginare dove dovrebbero mandare i bimbi che non avrebbero più diritto alla loro scuola, i “fuoriquota”. Li deportano altrove con il pullmino? In qualche bella scuola dove c'è un posto etnico per stranieri libero? In qualche asilo dei Parioli? L'unico problema di quota che ho visto a scuola sono due ge-

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Presenti bimbi di tutti i paesi: cinesi, sudamericani, indiani, cingalesi, polacchi...

melline cinesi di tre anni. Ogni volta che le maestre hanno provato a dividerle pianti a dirotto. Erano diventate la favola della scuola. Oggi cosa faranno? Alla fine, le maestre le hanno riunite. Lieto fine. Speriamo che dopo aver riunito le gemelle, l'anno prossimo, non si debbano dividere i bimbi. Anche perché, forse, il buonsenso delle maestre prevale sui decreti delle ministre ministri.

LE REAZIONI

BERLINGUER: BENE IL TETTO MA CI VUOLE FLESSIBILITÀ

T Immagine di una classe multietnica (ANSA)

integrazione, invece, mi viene in mente un’immagine di questo autunno. Riunione dei genitori. La direttrice ci informa: “Serve un rappresentante dei genitori”. Molti dei genitori italiani, fra cui io, si guardavano preoccupati. Nessuno si è fatto avanti. Allora ha parlato il padre di un bimbo rumeno: “Mi candido io! Mi chiamo Silvio, un nome perfetto per la politica, non trovate”. Inutile dire che Silvio è stato eletto all'unanimità. E la paura etnica? Mio figlio ha visto Biancaneve ed è rimasto terrorizzato dalla strega Malefica, quella con il velo sotto la gola. Due giorni do-

po ha visto la madre di un compagno con il velo e si è spaventato: “In classe è venuta Malefica!”. Gli abbiamo spiegato: “No, Enrico, la signora ha il velo perché è musulmana”. Non sembrava convinto, ma non ne ha parlato più per due mesi. Poi, la settimana scorsa ha rivisto il dvd di Biancaneve: “Papà, Malefica è musulmana?”. Capirà. Spesso i bimbi stranieri non vengono alle feste. Spesso non vengono perché i genitori pensano che il regalo sia obbligatorio. Ma la scuola unisce tutti, ed è diversa in tutta Italia. Si possono decidere a Roma delle quote per risolvere tutti i pro-

blemi? Non lo hanno fatto in nessun paese del mondo. Allora chiedo. Cosa significano le quote per legge? Provo ad applicarlo alla classe di Enrico. Che dieci bambini se ne dovrebbero andare via. E perché? E, soprattutto, dove? E poi, queste quote, come vanno contate. Devono comprendere i bambini che sono stranieri anche se nati in Italia? Solo quelli nati fuori? Solo quelli che sono stranieri e non parlano italiano? E i bimbi stranieri di tre anni che parlano italiano? Venerdì, dopo gli scontri in Calabria, una madre araba mi ha fermato all'uscita della scuola: “Tu fai

BLOGGER SOSPETTOSI

E (SOLO) AL 18ESIMO GIORNO DI RIPOSO B. TORNÒ TRA DI NOI di Carlo

Tecce

im sala bim. Zigomi stirati, occhiaie vistose, labSdelbra sottili e pure il tipico colorito rosso sabbia deserto. Silvio Berlusconi ricompare in pubblico dalla villa di Arcore e Alessandro Gilioli, caporedattore dell’Espresso, scrive un commento sul suo blog Piovono rane: “Cosa c’è dietro la guarigione miracolosa di B.”. Senza punto interrogativo. Gilioli, il presidente del Consiglio ha sconfitto la prognosi di tre mesi con un plebiscito? In volata. Ha staccato i più pessimisti per manifesta superiorità. Tempi stracciati di due terzi. Al 18esimo giorno di riposo, ovviamente con pause per il lavoro, s’è palesato in un centro commerciale brianzolo, un posto gigantesco, dove i consumatori sono stati rassicurati dal Berlusconi della gente che spende. Il corpo dell’acquirente tra gli acquirenti. L’uomo rinato per l’ennesima volta, sempre invincibile, tecnicamente immortale. Pronto a governare per decenni, disposto a provare con un’altra carica e un altro lodo Alfano. In salute per altri mandati e non solo per i tre anni e mezzo da qui alla fine della legislatura. E poi rinvigorito dalla giacca paramilitare con livrea della Russia. Il primo abito trovato nell’armadio... Macché. Era un messaggio chiaro che rientra nel linguaggio non verbale di Berlusconi: vedete, vi

amo tutti, ma se non mi seguite sono equipaggiato per la lotta politica. Dimentica il partito dell’amore. Il movimento popolare e spontaneo nato di riflesso dalle foto sul predellino? Quelle foto da pubblicità con il sangue sgorgante? Non era l’istinto di un uomo ferito? Scherziamo? Ho già scherzato con Giuseppe Cruciani di Radio 24: s’è buttato fuori dalla macchina per guardare il panorama o cercare il colpevole? No, Berlusconi è un maestro della pubblicità e sapeva benissimo che il suo volto sofferente sarebbe stato utile alla causa politica. Utile quanto la confusione sulle sue vere condizioni di salute.

renta per cento sì, trenta per cento no. Il provvedimento varato dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, che chiede un limite al numero di bambini stranieri nelle classi, ha aperto una discussione sulle capacità integrative delle nostre scuole. Uno dei problemi della nota emessa dal ministero di viale Trastevere è quella di non specificare a quali immigrati si fa riferimento, se a quelli appena arrivati o ai bambini di seconda generazione nati in Italia. Per questo motivo Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione, non condanna la proposta, ma illustra i suoi limiti: “Il tetto per la presenza di alunni immigrati in classe va bene – ha detto l’esponente del Pd – ma è solo un punto di partenza a cui non deve mancare la flessibilità: l'auspicio è che la programmazione delle presenze sia molto modulata sul territorio, il tetto non sia rigido e dove gli alunni sanno già l'italiano si possa innalzare la percentuale”. La materia, infatti, è piuttosto delicata, come spiegano gli addetti ai lavori, perché i bambini arrivano negli istituti anche ad anno già avviato e il vero problema è l’insegnamento della lingua. Ma nonostante il ministro abbia parlato di corsi intensivi pomeridiani, non ha spiegato con quali soldi verranno istituiti. Per questo motivo è favorevole con riserva Fabrizio Matteucci, sindaco di Ravenna esponente del centrosinistra: “Mettere il limite massimo di presenza nelle classi delle scuole è una decisione di buon senso: aiuta ragazzi italiani e stranieri ad integrarsi. Ora però il Governo deve mettere le risorse necessarie per concretizzare l'iniziativa”. E se per la Lega il tetto del 30 per cento è la panacea di tutti i mali, il Pdci lo definisce “incostituzionale”. Caterina Perniconi

C’è già qualche manifesto stampato per le regionali. Voi del Fatto avete pubblicato il primo di una lunga serie.... Siamo alle cospirazioni. Il contrario: siamo al contrappasso di una strategia. Berlusconi ha detto balle per vent’anni: il super uomo, il super imprenditore, il super presidente. E’ un attore consumato, così un pezzo della società fatica a credergli. Il gesto di Tartaglia era vero e pericoloso, è da condannare senza esitazioni, però qualcuno ha esagerato: per il medico Zangrillo la camicia era ricoperta di sangue, ma se non c’era una goccia? E i denti rotti? Uno o due? E il setto nasale fratturato? Tutto finito. L’abbiamo già visto con la famiglia in Provenza. Parafrasando il suo articolo: anno nuovo, cerone vecchio. Quel filo di trucco copre un segno che, semmai ci fosse, ormai non serve più agli obiettivi dei fotografi. Dal Berlusconi miracolato siamo alla guarigione miracolosa. Ecco, adesso è un martire da combattimento con la giacca regalata da Putin.


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Domenica 10 gennaio 2010

Regionali, in Umbria “mandato esplorativo” per i democratici

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I GUAI DELL’OPPOSIZIONE

i risiamo. Proprio come nel Lazio: in Umbria il Pd regionale ha assegnato al segretario Lamberto Bottini il compito di un “mandato esplorativo” per la scelta del candidato alle prossime elezioni regionali. In Umbria il nodo da sciogliere è sulla ricandidatura della governatrice in carica Maria Rita Lorenzetti, bersaniana del Pd, che si è rimessa in campo ufficialmente portando a suo

sostegno un documento sottoscritto da 130 esponenti dell’assemblea regionale del suo partito (che conta 250 membri). Da statuto del Pd, però, la Lorenzetti - che governa da ormai dieci anni dovrebbe raggiungere il consenso dei due terzi dell’assemblea per ottenere un terzo mandato. L’altro uomo del Pd che si è messo in campo è il senatore Mauro Agostini, veltroniano. E ha dichiarato

“MI RICANDIDO, STATUTO O NO”

di avere a suo sostegno per le primarie, per le quali al momento è l’unico candidato, “circa 1.700 firme di iscritti al partito in Umbria”. Ma ieri ha rilasciato una dichiarazione in cui esprime la sua disponibilità a riaprire i termini della presentazione alle primarie e a competere con eventuali altri candidati. E intanto i franceschiniani hanno presentato un ricorso contro la candidatura della Lorenzetti.

Maria Rita Lorenzetti vista da Emanuele Fucecchi

In Umbria la Lorenzetti rivendica i suoi 15 anni di governo

di Luca Telese

ice di sé: “Sono nata in campagna, mi piace parlar franco”... E dunque, a Maria Rita Lorenzetti, diessina da una vita, oggi democratica, piace essere chiara: “In questo momento io mi considero una candidata alle primarie: non mi tiro indietro, chiaro?”. Il fatto è che da due mesi, in Umbria, si lotta per la nuova candidatura. Per lei – presidente uscente – sarebbe il terzo mandato. E lo statuto regionale del partito, ricordano i suoi avversari, lo impedisce, a meno di una maggioranza dei due terzi. Questa maggioranza qualificata – Bersani ha vinto col 53%, il segretario regionale con il 49% – non c'è. Così i franceschiniani hanno presentato ricorso alla commissione nazionale. Lei nega che lo statuto sia così perentorio, spiega: “Mi piacerebbe confrontarmi sulla politica, non sulle carte bollate. Che mi dicessero: non ti vogliamo ricandidare perché hai sbagliato. Ma così...”. E aggiunge: “O facciamo le primarie, o c'è un terzo candidato che non può essere nemmeno Agostini”. Presidente Lorenzetti, ce la racconta dall'inizio? “Non dovrebbe chiedere a me, ma a chi mi contesta”. C'è la norma che le impedisce di correre o no? “Guardi, c'è una norma, ma non è affatto chiara, ci vuole un giro contorto. Ma si può affidare una partita di questo tipo agli avvocati? Io pongo un problema politico”. Quale? “Abbiamo, ho, governato bene, male? Ci sono altre proposte? Differenze di progetto, di programma? Siccome nulla di questo è sta-

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PACIFICAZIONI

to detto, tranne un 'Fatti da parte!', dico no. Anche perché zoccoli duri non ne esistono più, abbiamo doveri vero noi e gli altri”. Cosa vuol dire? “Che fuori dalle stanze di partito nessuno ci capisce. Gli alleati di coalizione mi chiedono cosa succede. C'è la gente che mi ferma, e mi dice: 'Bè? Perché non si vuole ricandidare?' Pazzesco”. Magari un problema politico c'è. “Ohhhh... bene! E io sarei lieta che qualcuno me lo spiegasse. In-

mettendo insieme culture diverse, dovendo garantire le minoranze. Giusto. Non potevo pensare che alcune norme, come questa, sarebbero state utilizzate come pretesto per non affrontare altri problemi”. Lei è una dalemiana storica, Agostini veltroniano. Vuol dire che il problema è questo? “Guardi, all'origine di questa storia c'è un fatto umbro, una lotta fra gruppi dirigenti che mi mette malinconia. Ma certo, anche la differenziazione dei veltroniani ha un suo peso”. Lei non crede che quindici anni di governo siano tanti? “Allora, intanto le dico una cosa: c'è un altro presidente di regione del Pd, Vasco Errani, che è al terzo mandato: lui è stato riconfermato, io no”. Lei vuol dire: lo stesso partito, regole diverse. “Io dico: sono la prima che vuole innestare elementi di rinnovamento. Ma deve essere rinnovamento reale. Altrimenti dico: non

La governatrice pronta alle primarie, ma gli uomini di Franceschini hanno fatto ricorso contro la sua candidatura vece mi dicono: ci vuole il ricambio”. Lei è contraria al ricambio? “Per l'amor di Dio, ci mancherebbe. Ma visto che l'avversario che mi sfida è Agostini di che ricambio si tratta?” Bè, la differenza c'è. “D'accordo. Ma lui ha la mia stessa età, quindi non può essere ricambio anagrafico. Ha la mia stessa provenienza politica – che definirei “antica” - quindi non è culturale, o politico. Lui è un uomo, e io sono una donna, questo sì”. Scusi, ma lei, quando si è votato quello statuto che poneva il limite, c'era. Non poteva protestare allora? “Guardi, mi mangio le mani... Il Pd è nato tra molte differenze,

di Lorenzo Allegrini

REPUBBLICA E L’AMORE L

a trovata del “partito dell’amore” deve aver commosso anche Repubblica. Il quotidiano di proprietà del gruppo editoriale l’Espresso, da sempre spina nel fianco di Silvio Berlusconi, ha pubblicato ieri un lungo “colloquio” con il premier, firmato da Claudio Tito. Il presidente del Consiglio usa toni da melassa: “Sogno una vera riforma tributaria. Come quella che avevamo immaginato nel ‘94. Con due sole aliquote”. E poi specifica le altre priorità del governo: la riforma della giustizia e la riforma istituzionale. Berlusconi è tanto raggiante da profetizzare un 2010 “in cui possiamo uscire definitivamente dalla crisi”. Forse per non rovinare l’atmosfera, sul dialogo con l’opposizione il premier è di poche parole: “Il problema non è questo”. Solo alla fine Berlusconi, ricordandosi di essere alle prese con un giornalista di “certa stampa” (come diceva alludendo al quotidiano), sembra preoccuparsi: “Forse le ho detto pure troppo”.

possiamo far decidere gli elettori? E' un peccato? Senza nessuna prosopopea vorrei ricordare che alle ultime regionali, con il 63%, ero la presidente più votata d'Italia”. Lei è sicura di vincere? “Per carità, non sono arrogante, e non do nulla di scontato. Se mi sconfiggessero sarei lieta di cedere il passo. Però non accetto quelli che i dicono: 'Tanto tu vinci'... Come se fosse una colpa!”. In che senso? Che a me, in termini di onestà personale, nessuno di loro mi può nemmeno lucidare le scarpe! Cosa vogliono dire, che ho le clientele? Bè, non ne ho”. Le dicono questo?

“In chiaro no, vorrei che ci provassero. Però alle spalle... Perché io il voto di scambio non so cosa sia, e se solo provano a sollevare un sospetto mi incazzo! Su tutto posso scherzare, su questo no”. E’ vero che lei non voleva le primarie? “Ho sostenuto un'altra cosa: se le primarie sono un modo per risolvere problemi a cui i gruppi dirigenti non trovano altra risposta, attenti”. E perché? “Perché in alcune città dove è successo, abbiamo perso”. Ci sono altri motivi? “C'è una coalizione. Io avrei preferito le primarie di coalizione.

Non le hanno volute, lo rispetto. Vorrei le primarie per allargare, loro per risolvere un problema interno, ma accetto lo stesso”. E il ricorso? “Esatto. Io corro, ma i franceschiniani hanno fatto ricorso sostenendo che la mia candidatura non è valida. Quindi corro con una ipoteca sulla testa”. Si vota il 24. “Sì. Ma il 18 si riuniscono i nostri organismi dirigenti. Se non c'è un accordo sulle primarie e sulla mia candidatura si può trovare un altro candidato”. Mi pare che lei non pensi ad Agostini. “Ma io dubito che Agostini possa avere il 50%. Un altro nome probabilmente sì”. Lei vorrebbe che Bersani intervenisse? “Sono molto rispettosa dei ruoli. Vorrei invece che la commissione di garanzia nazionale mi desse via libera”. Una cosa per cui merita di essere ricandidata? “Sono orgogliosa del nostro sistema di assistenza sociale: fra i tre migliori d'Italia per il Sole 24 Ore. E aggiungo. Senza un euro di tasse, e senza una lira di deficit. Sa che mi chiedono: ma come avete fatto?”. E un rimpianto? “Siamo una piccola regione, nel mezzo dell'Italia. Dobbiamo fare di tutto per evitare che la medietà diventi mediocrità”. Nella sua regione i primari sono targati, bisogna avere tessere di partito per diventare primari? “Sta scherzando? Io spero che ci siano, anche, degli iscritti al Pd. Ma i criteri con cui si sceglie sono quelli del merito, e basta”.

MOVIMENTI

PD, CI MANCAVANO I “CENTRALISTI” DI RENZI E ZINGARETTI di Chiara Paolin

a mesi è in atto nel Paese uno strano gioco politico che mette in evidenza esclusivamente le esigenze del Nord e i mali, sempre irrisolti, del Sud. È un modo sbagliato e miope di vedere i problemi nazionali, in particolare oggi che si è precipitati in una crisi economica niente affatto risolta e che anzi, per quanto riguarda la disoccupazione, non ha raggiunto il suo massimo". Quelli del centro (Italia) stavolta si sbilanciano e firmano un manifesto delle terre di mezzo che rischiano di restare compresse tra l'aggressività della Lega Nord e le eterne emergenze meridionali. Sono sindaci, presidenti di Provincia, assessori regionali e governatori, una ventina di amministratori dislocati sul territorio che va dalla Romagna al Lazio, dalla Toscana alle Marche, tutti riuniti nel nascente Coordinamento del Centro Italia. Lamentano scarsa considerazione dal governo centrale: presente e passato. Attacca Matteo Ricci, presidente della Provincia di Pesaro e Urbino: "Parliamo di fatti concreti. Aspettiamo la superstrada Fano-Grosseto da vent'anni, ma oggi la priorità è il Ponte di Messina.

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Abbiamo spiegato che il taglio dell'Ici per i piccoli Comuni è un disastro, non è servito a nulla. La riforma Gelmini mette a durissima prova il sistema scolastico delle aree non urbane, il che significa minare il futuro stesso dei nostri territori. Luoghi che, peraltro, hanno retto molto bene alla crisi e sono oggettivamente un modello valido di sviluppo. Vogliamo condividere la nostra esperienza, vederla premiata. Invece, semplicemente, ci ignorano. A destra, ma anche a sinistra". Domani mattina a Firenze si presenterà ufficialmente il movimento dei centralisti. Padrone di casa il sindaco Matteo Renzi, sorvegliato speciale Nicola Zingaretti, che certo in questi giorni di problemi ne ha parecchi, ma sarà lì in carne e ossa a spiegare come la macroregione centrale abbia voglia di dire la sua, prima e dopo le regionali. Spiega Zingaretti: “In tempo di crisi economica, troppo sottovalutata dal governo Berlusconi, l’attività e l’impegno degli enti locali possono essere decisivi. La sinergia fra comuni, province e regioni sul fronte degli investimenti, delle infrastrutture pubbliche, dei progetti sociali possono portare occupazione e miglioramento della qualità della vita in tante aree del paese. Ma il ruolo degli enti locali non termina qui. E’ necessario ripartire e ragionare tutti insieme da alcuni punti fondamentali: innanzitutto dal federalismo fiscale, ancora non troppo

Nasce un Coordinamento per difendere le ragioni del Centro Italia

chiarito dal governo, e che potrebbe portare in Italia ad aree di serie A e di serie B. Credo sia necessario continuare ad avere come punto di riferimento il modello moderno e sempre innovativo che l’Europa ci propone e che ci spinge a emulare. Adesso più che mai è necessario un lavoro in sinergia tra i rappresentanti degli enti locali del centro Italia per creare un coordinamento in grado di dialogare con le forze sociali e soprattutto con i cittadini che chiedono la presenza e l’azione di chi governa direttamente sul territorio”. Ma il Pd come ha reagito all’iniziativa? “Per ora c’è interesse, curiosità - chiude Ricci - Certo sappiamo che il momento è delicato, e c’è chi pensa che il partito abbia bisogno di tutto tranne che un nuovo fronte problematico. Ma il Coordinamento nasce oggi per lavorare nel tempo, non è un’iniziativa elettorale. Il tema del voto ci riguarda in primo piano, abbiamo la consapevolezza che le nostre regioni sono il cuore rosso d’Italia e tutti si aspettano conferme importanti. Ma anche qui la Lega e l’Idv raccolgono consenso crescente, la concorrenza è sfrenata. Bisogna evitare di lasciare gioco facile al malcontento e al voto di protesta. Questo il Pd lo deve capire”. A sostenere il battesimo dei centralisti anche il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, il governatore delle Marche, Gian Mario Spacca, e quello toscano Claudio Martini, oltre al presidente di Lega Autonomie, onorevole Oriano Giovannelli.


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Letizia Moratti e l’idea di intitolare una strada all’ex leader del Psi

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NEGAZIONISMI

l sindaco di Milano, Letizia Moratti, poco prima di Natale ha comunicato ai figli di Bettino Craxi, Stefania e Bobo, della sua intenzione di intitolare una via o un parco al padre. Al suo intervistatore ufficiale, Red Ronnie, su YouTube, ha paragonato Craxi addirittura a Garibaldi e Giordano Bruno motivando la sua iniziativa: “Sono passati dieci anni, ho pensato che fosse giusto ripensare alla figura di

Craxi dal punto di vista umano, politico e storico… C’è una frase molto bella di Lincoln che dice: “Una casa divisa al proprio interno non può stare in piedi. Ecco, il tentativo che io ho cercato di fare, volendo dedicare una via o un parco a Craxi, è quello di fare in modo che la città riconosca un proprio figlio importante”. Nemmeno una parola sulle condanne per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, ma solo elogi: ”Ha

rilanciato una politica riformista, socialista che non esisteva più per il compromesso storico Dc-Pci. Ha ridato dignità e orgoglio al Psi. Ha tenuto l’Italia saldamente ancorata alla democrazia occidentale ma ha difeso l’autonomia italiana come a Sigonella nei confronti degli Stati Uniti. Non tenere in considerazione questi elementi significa non riflettere sulla propria storia”. a.masc .

NESSUNA VIA PER CRAXI ”CORROTTO E LATITANTE” Ieri la manifestazione a Milano con Beppe Grillo e Antonio Di Pietro, Moni Ovadia e Piero Ricca di Antonella Mascali

a De Mita a Tognoli, da Fassino a Frattini, politici della prima e seconda Repubblica riabilitano Craxi, che tanto ha fatto per Berlusconi e che per questo fu ricompensato dal Cavaliere a suon di miliardi. Ora la sindachessa Moratti vuole rendergli l’omaggio che Milano ha dato ai partigiani, ma c’è una parte della città che la via a Craxi non la vuole. La considera un’offesa a chi ha dato davvero la vita per questo Paese. Ieri pomeriggio nonostante una pioggia implacabile, alcune centinaia di persone sono rimaste per oltre tre ore in piazza Cordusio, in pieno centro, per dire no a questo tributo, come si leggeva sui cartelli, “a un corrotto e

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Bettino Craxi

“Dietro l’intitolazione all’ex Premier di una strada la legittimazione della politica subordinata agli affari”

RIVELAZIONI

è la parola magica che il fan di BetSdoigonella: tino Craxi introduce nella discussione, quansta per soccombere a causa dell’elenco delle tangenti, delle condanne, dei conti all’estero; e poi degli incontri con Licio Gelli, delle spartizioni di potere con Giulio Andreotti, del vertiginoso incremento del debito pubblico... Sigonella: dimostrazione che il segretario del Psi era uno statista, capace di scelte coraggiose e autonome anche nei confronti dell’alleato Usa. Ma a Sigonella andò davvero come ci hanno detto? Un documento americano su cui recentemente è stato tolto il segreto ci permette oggi di raccontare una storia molto diversa. IL SEQUESTRO. Tutto comincia il 7 ottobre 1985, quando quattro terroristi del Fronte per la Liberazione della Palestina s’impossessano, al largo delle coste egiziane, della nave italiana Achille Lauro che sta compiendo una crociera nel Mediterraneo. Il commando chiede la liberazione di una cinquantina di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. In caso contrario, minaccia di uccidere i passeggeri e di far esplodere la nave. Iniziano frenetiche consultazioni militari e diplomatiche. Le trattative sembrano arrivare a una conclusione positiva quando Abu Abbas, il mediatore indicato dal leader dell’Olp Yasser Arafat, convince i dirottatori ad abbandonare la nave, in cambio dell’immunità e di un salvacondotto per la Tunisia. Ma si viene a sapere che nel frattempo i terroristi a bordo avevano ucciso e gettato in mare una persona: Leon Klinghoffer, un cittadino americano di religione ebraica, disabile bloccato in carrozzella. A

di Craxi, ma hanno bisogno che le terze e quarte file di quegli anni, oggi al governo locale e nazionale, possano agire indisturbati. E la Moratti si fa promotrice di questa iniziativa perché si deve ingraziare Berlusconi”. Gli stringe forte la mano Giulio Cavalli, giovane autore teatrale e attore, finito sotto scorta perché nei suoi spettacoli fa i nomi dei boss mafiosi e dei loro amici, che operano non solo al Sud ma al Nord, Milano compresa. Cavalli, che ha deciso di candidarsi in Lombardia, con Idv, apre il suo intervento con una citazione di Craxi: ”Più sono le leggi, più sono i ladri”. E allora non stupisce che si decida di dedicare una via proprio a colui che per primo trasformò in sistema quel meccanismo infame di corrotti e corruttori, che ha trasformato la meritocrazia in un privilegio…E quando i diritti diventano privilegi….la democrazia è diventata un souvenir”. Il blogger Daniele Martinelli ricorda che Letizia Moratti è stata condannata dalla Corte dei Conti per le consulenze di manica larga, Dario, uno dei ragazzi dell’organizzazione, offre un’alternativa alla sinda-

BENI CULTURALI

LA GRANDE BUGIA DI SIGONELLA di Gianni Barbacetto

latitante”. Diversi gli interventi, al presidio organizzato dall’associazione “Qui Milano libera”, di Piero Ricca. Tra i primi a parlare, Beppe Grillo. Caustico, come sempre, dice che non è contrario a “un vicoletto a Craxi, purché corso Buenos Aires diventi corso Dell’Utri e ci sia largo Mangano”. Dopo tocca a Di Pietro, il simbolo di Mani pulite. Ricorda la carriera criminale di Craxi e denuncia che oggi ci sono tanti Mario Chiesa in circolazione ma i magistrati non hanno gli strumenti di allora per perseguirli, grazie alle leggi ad personam. Basilio Rizzo, consigliere comunale a Milano, che ha sempre denunciato la corruzione, fa un’analisi lucida e impietosa: “dietro l’intitolazione di una via a Craxi c’è un’operazione: legittimare la subordinazione della politica agli affari e auto-assolvere chi si comportava e si comporta come lui. Altrimenti – prosegue il consigliere della lista Fo per Milano - se ne sarebbero fregati

questo punto gli Stati Uniti intervengono. L’11 ottobre i caccia americani intercettano l’aereo egiziano che sta portando in Tunisia i dirottatori e lo costringono ad atterrare nella base militare di Sigonella, in Sicilia. Venti carabinieri e trenta avieri dell’Aeronautica militare circondano l’aereo. Sono a loro volta subito circondati da una cinquantina di militari americani della Delta Force. Poi affluiscono alla base i rinforzi dei carabinieri, che circondano gli americani. Il presidente Usa Ronald Reagan telefona a Craxi nella notte, chiedendogli la consegna immediata dei palestinesi. Craxi mantiene fermo il suo rifiuto, finché gli americani ritirano i loro uomini. CINQUE MESI DOPO. Certo a Sigonella il comportamento del governo italiano nei confronti degli americani appare diverso da quello tenuto dopo il rapimento, nel 2003 a Milano, dell’imam Abu Omar da parte di uomini della Cia. Messi sotto processo per sequestro di persona insieme ai vertici del Sismi, nel 2009 sono salvati dal segreto di Stato apposto da Silvio Berlusconi. Ma ora sappiamo che, nel 1985, anche Craxi tratta subito con gli americani e fa un immediato atto di riparazione, concedendo segretamente a Reagan la base di Sigonella per attaccare la Libia di Gheddafi. Solo cinque mesi dopo la tanto osannata dimostrazione di orgoglio nazionale, infatti, nel marzo 1986 gli F111 Usa, provenienti dalla Gran Bretagna e ufficialmente diretti alle basi inglesi di Cipro, decollano dalla base siciliana per attaccare e bombardare il golfo della Sirte. La concessione avviene in segreto: Craxi permette l’uso della base, ma chiede discrezione e in pubblico critica aspramente l’azione mi-

chessa: “Invece di intitolare una via al corrotto Craxi, la intitoli all’imprenditore Ambrogio Mauri”, che non vinse appalti perché non pagava mazzette ai politici e nel ’97, dopo essere stato costretto a chiudere la sua ditta di autobus, si suicidò. L’artista Moni Ovadia, contento della presenza di tanti ragazzi, ricorda che “se si intitola una via a qualcuno si sancisce che è una persona perbene, mentre Craxi era un corrotto”. E poi scherzando ma non troppo, aggiunge: ”Sarebbe un precedente grave. Berlusconi potrebbe pensare che a lui toccherà una città, come Stalin. E infatti va in Russia per prendere lezioni”. A concludere la manifestazione, diversi ragazzi di “Qui Milano libera”. Ricca, annuncia tante altre “agorà, pacifiche”, Andrea, che ha solo 19 anni, è già stufo di molte cose. “Di chi dice (Bossi, ndr) che con il tricolore ci si pulisce il c., di chi confonde la vittima con il carnefice e di chi dice che Craxi è una vittima del giustizialismo…”. Alessandro, cita Franco Battiato: ”I furbi non hanno intelligenza. Anche un cretino può fare soldi se è portato a fregare gli altri”.

di Chiara Paolin

GALAN: TAGLIA LA CULTURA, SARÀ MINISTRO “L ’unico ministero che mi ha sempre ispirato è quello dei Beni culturali: l’Italia è la prima potenza mondiale nel campo". Così sentenzia il governatore uscente del Veneto Giancarlo Galan, ormai certo del proprio futuro: un posto al governo (Silvio l’ha supplicato: “Ho bisogno di un amico a Roma, vieni”), e la regione in mano alla Lega nord. L'attuale ministro Bondi è avvisato, ma gli italiani, prima di brindare alla nomina, vorranno forse sapere come vanno le cose a Venezia e dintorni in fatto d'arte e risorse economiche. Un'idea ce l'hanno i 116 esponenti della vita pubblica veneta che

litare. Lo ha scoperto una giornalista italiana, Sofia Basso, analizzando materiale Usa recentemente declassificato. Si è imbattuta in una nota confidenziale scritta a Reagan nella primavera 1986 dall’allora segretario di Stato americano, George Shultz, uscita dagli archivi segreti del Dipartimento di Stato. L’appunto di Shultz spiega che «i rapporti con Craxi erano eccellenti», l’episodio dell’Achille Lauro era ormai «cosa del passato» e che «su base confidenziale, l’Italia aveva permesso l’uso di Sigonella per operazioni di supporto in relazione all’esercitazione nel golfo della Sirte». A una sola condizione: la riservatezza. È il marzo 1986. La Libia è accusata di essere dietro gli attentati compiuti in varie parti del mondo da terroristi arabi. Reagan, senza consultare né il Congresso, né i partner europei, il 22 marzo manda navi e aerei nel golfo della Sirte, che Gheddafi considera acque territoriali libiche. Si scatena una battaglia. Gli Usa colpiscono due navi libiche e una base missilistica. Le

hanno firmato un appello contro i tagli alla cultura previsti nel bilancio regionale 2011, in discussione da domani. Sindaci, imprenditori, i rettori di tre università, dirigenti di enti storici come la Biennale o l'Accademia, anche Alessandro Gassman quale responsabile del Teatro Stabile: tutti a dire che i 30 milioni di budget sono una vergogna, specie considerando il taglio di 5 milioni di quest'anno. Perché Lombardia e Toscana stanziano 200 milioni (ciascuna), si chiedono i firmatari? A Galan l’ardua risposta: la delega ai Beni culturali in Veneto l’ha voluta tenere tutta per sé. Forse per risparmiare.

cancellerie occidentali si dividono: Gran Bretagna e Germania applaudono la dimostrazione di forza, il resto dell’Europa esprime forti dubbi. Il più duro nelle critiche agli Usa è proprio Craxi il quale, in una seduta straordinaria del Parlamento, proclama che non è con ripetute “esercitazioni militari” in un’area già scossa da forti tensioni che si può difendere il diritto internazionale. L’uso della forza, anzi, non potrà che minare la stabilità della regione e rafforzare il ruolo di Gheddafi nel mondo arabo. Deve essere chiaro che l’Italia non vuole «guerre alle soglie di casa». Fin qui la versione ufficiale. Il memorandum di Shultz rivela invece la verità segreta. Spiega che Craxi vuole farsi perdonare l’episodio dell’Achille Lauro, punta a essere considerato partner privilegiato degli Usa nelle relazioni tra Est e Ovest e a essere ammesso nel gruppo dei cinque Paesi industrializzati. Per questo, in pubblico strilla contro gli americani ma, sottobanco, dà loro il via libera. Purché non lo si dica in giro.


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STORIE ITALIANE

I sogni dei preti nel nuovo millennio meno solitudine e più apertura alla vita L’INCHIESTA: IN ITALIA SONO 33.000, DI CUI 1.500 STRANIERI di Marco Politi

ognano di non vivere disperatamente soli, sognano una Chiesa lontana dai Palazzi, ma soprattutto chiedono l’ascolto di una gerarchia ecclesiastica, che appare lontana. E’ il sogno dei preti nel nuovo millennio. “Sogni da prete” (Edizioni Dehoniane) è l’inchiesta molto originale condotta da un prete-professore, Angelo Sabatelli, convinto che il grande psicanalista Carl Gustav Jung avesse ragione quando scriveva che l’immaginazione non è un fantasticare a caso, ma il tentativo di comprendere i fatti e di rappresentarli con “immagini fedeli alla loro natura”. Docente di Psicopedagogia alla Facoltà teologica di Puglia, Sabatelli ha lavorato per tre anni, d’intesa con i vescovi, tra i preti pugliesi per far emergere la loro immagine di Chiesa e di sacerdozio. Sono tempi difficili per la struttura ecclesiastica. A livello mondiale il clero è insufficiente per un miliardo e duecento milioni di cattolici. In Italia i preti sono circa 33.000, di cui millecinquecento stranieri, ma si prevede che in un

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ventennio il clero diocesano attivo si contrarrà nelle varie regioni del 25 e persino del 35 per cento. L’inchiesta, basata su colloqui in quattordici “focus group”, cade in coincidenza con l’Anno sacerdotale proclamato da Benedetto XVI. E un primo dato, segnalato dalle conversazioni riservate, è che la maggioranza degli interrogati sono “contenti di essere prete”, di lavorare tra la gente, nelle case, con i giovani e le famiglie. Il che, d’altra parte, è avvalorato dall’indice di gradimento piuttosto alto di cui in genere godono i parroci nei sondaggi. Ma al tempo stesso è forte il bisogno di non farsi fagocitare da un lavoro di tipo impiegatizio. Il sogno di molti è di avere più tempo per pregare. Conferma della propria missione non significa chiudere gli occhi dinanzi alla realtà. Chi era partito prima dell’ordinazione con un’ immagine di Chiesa idealizzata, in cui il sacerdote, è “adorato e venerato”, si accorge della fatica di rapportarsi alla società attuale. Confida ironicamente un prete che sarebbe utile scrivere un documento intitolato “Come annunciare il Vangelo

TESTIMONIANZA/1

“UNA CHIESA APERTA” ’immagine di Chiesa che mi sono portato da quando Lnonero un giovane studente, è quella di una Chiesa che si chiude nei suoi Palazzi, ma di una Chiesa che cammina con l’uomo come Cristo stesso ha fatto: una Chiesa con il popolo. ************** L’immagine di Chiesa (al seminario) era quella troppo facile del sacerdote adorato, venerato. Poi quando si entra nel meccanismo del mondo, ti rendi conto… basta guardare a (certe) scritte sui muri. Però l’immagine di Chiesa più bella, più vera è quella della testimonianza sino in fondo. Non venir meno di fronte alla intimidazioni, non venir meno di fronte a chi ti vuole mettere il bavaglio, ma essere sempre e comunque una Chiesa che serve e annuncia Gesù… Per cui si passa da un’immagine di Chiesa prima del sacerdozio, molto bella e molto sognata, a un’immagine di Chiesa che è come un giocatore (di calcio) che prima della partita sogna di segnare e poi si trova a fare i conti con l’avversario (bisogna sapere) giocare bene, mantenere la concentrazione, faticare. ************** Dalla Chiesa mi aspetto una migliore attenzione dal punto di vista umano. Chi guida dovrebbe essere più attento alle persone, più attento ad ascoltare, più attento a coinvolgere, a far partecipare, più capace di sedersi a tavolino con i diretti responsabili per scegliere insieme le soluzioni più adeguate. I programmi ci debbono essere, ma debbono essere messi un po’ da parte per fare più attenzione alle persone: favorire una maggiore comunione fra i sacerdoti, favorire una maggiore comunione fra i sacerdoti e il vescovo, avere anche maggiori momenti di fraternità tra di noi. Essere capaci di non pensare soltanto al bene degli altri – ammesso che ci riusciamo veramente! – ma essere capaci di sapere stare anche tra di noi. (ma.po.)

Alcune immagini di preti oggi

in un mondo che se ne frega”. A contatto con i problemi quotidiani – anche quello di prepararsi un piatto in cucina! – molti si rendono conto che l’immagine del parroco piccolo monarca è irreale. Di sicuro c’è in molti la percezione di uno stato di minoranza. Commenta un sacerdote che è ora di “iniziare a pensare che non saremo diecimila gatti, ma 2 o 3 che vogliono annunciare al mondo il Cristo Risorto”. Tuttavia più che dalla gente gli ostacoli sembrano venire dallo stesso ambiente ecclesiastico. Sono testimonianze amare: “Le difficoltà maggiori derivano dai miei confratelli… Un uomo prete è essenzialmente egocentrico… Con gli (altri) sacerdoti scattano a volte meccanismi un po’ di gelosia, di invidia…Vorrei meno competività, più umiltà”. Il grande spettro è la solitudine: “Sogno la possibilità di non essere più da solo in questa casa… Il mio ideale di comunione si scontra con il fatto che sono solo in canonica e che non c’è un cane di prete che ti dice: viviamo insieme”. E allora il sogno è di stare in mezzo agli altri, fare il “papà” della propria comunità, vedersi punto di riferimento nelle relazioni spirituali, presentarsi “più uomo di Dio che saggio”. “Ho quasi settant’anni – esclama un prete – e da dieci anni vivo in una nuova parrocchia che è nata con me e mi ha ridato carica”. Sogno

Il desiderio di pregare di più e le difficoltà di annunciare il Vangelo “in un mondo che se ne frega”

ricorrente è quello di una “Chiesa che non si chiude nei suoi palazzi”. Certo, afferma un altro, “con il Concilio si sperava che le cose sarebbero andate meglio, ma credo che poi forse la Chiesa non ha avuto il coraggio di fare una scelta precisa e decisa, e viviamo in una situazione molto ambigua e confusa”. La ricerca rivela un mondo in faticoso, ma volonteroso adattamento al mutare dei tempi. Non a caso il sociologo cattolico Luca Diotallevi parla di lifelong learning, un processo di formazione che duri tutta la vita.

Traspare dalle risposte il disagio nei confronti di una gerarchia che, sbotta un prete, “tende a soffocare” la discussione dei problemi. Dice un prete, rivolgendosi nell’immaginazione ai vescovi: “Lasciate esplodere prima che diventi insostenibile la situazione. Lasciate emergere, affiorare quelli che sono i veri problemi che travagliano le parrocchie, i sacerdoti, i laici, tutti”. Perché – così emerge dai colloqui – la Chiesa parla molto di rispetto della persona umana dai pulpiti, ma fino a che punto è un ideale realizzato al proprio interno? “I pre-

ti vogliono essere ascoltati”, riassume l’autore dell’indagine. Una gerarchia che decide tutto per conto proprio, nelle alte sfere, non è quello che si aspettano i sacerdoti nella trincea della missione quotidiana. “Chi guida – dichiara un parroco – dovrebbe essere molto più attento ad ascoltare”. Fosse così, viene da pensare, l’atteggiamento della Chiesa sarebbe stato diverso negli ultimi anni su tante questioni: dalle coppie di fatto alla fecondazione artificiale, al testamento biologico. m.politi.roma@tiscali.it

TESTIMONIANZA/2

“VORREI PIÙ VITA SPIRITUALE” e il seminario mi aiutava a ritmare il Sta ogni tempo, la vita della parrocchia ti portanto a farti personalmente delle violenze… Perché se uno mette piede in parrocchia la mattina, se ne va a mezzogiorno, ritorna il pomeriggio e se ne va la sera, rischia di non vivere pienamente quello che uno è e quello che deve vivere. Quindi come si fa a dare agli altri, se io non do a me stesso? Bè, qualche volta mi sono lasciato prendere dal gran da fare e tante volte ho vissuto

“C’è troppa solitudine, ci vorrebbe più attenzione alle persone”

poco la mia vita spirituale. Però poi arriva un momento in cui ti rendi conto e dici: “Ma le cose che stai facendo, da dove nascono?”. Cioè: “Qual è lo stile che sto dando?”. Parlo tanto di spiritualità agli altri e io poi? Non sono un uomo spirituale, non prego, non mi confesso… non mi fermo un attimo a riflettere su me stesso. Quindi in questi anni, per quanto riguarda la vita spirituale, ho vissuto momenti di alti e di bassi. *************** Il sogno nel cassetto che riesco a realizzare poco, e questo mi innervosisce, è di farmi vedere in ginocchio in mezzo alla gente. Me lo sono sempre proposto, ma l’ho realizzato poche volte. Questo è un mio dispiacere, perché la gente è bene che, entrando in chiesa, ci veda in ginocchio. Ed è difficile, entrando nelle chiese, trovare questa scena. Purtroppo. Perché quando entro nell’ufficio non esco più. Non perché voglio stare lì, ma perché quando la gente ti blocca

incominciamo a parlare. Si fa la fila dietro l’ufficio e non esco più. La gente ha bisogno di sfogarsi, di raccontare, ha bisogno di qualcuno che l’ascolti e a volte sei sacrificato a stare sempre dentro l’ufficio. Ma io non voglio essere il prete della scrivania. Desidero che la gente mi veda in ginocchio o con il breviario o con la corona del rosario in mano. (ma.po.)


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STORIE ITALIANE

Il libraio Italo che vende tutto lo scibile umano

N VAL DI SUSA

No Tav: parte presidio no-stop

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l termine di un corteo senza incidenti a cui hanno partecipato 1.500 manifestanti, i No Tav hanno allestito ieri una baracca come presidio permanente, nel luogo del probabile primo punto di carotaggio per la linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, proprio di fronte all’autoporto di Susa.

A Ivrea, nella città che fu di Adriano Olivetti, c’è una libreria che ha sempre almeno 60mila libri La libreria gestita da Italo Covassela. Sotto, Ottaviano Del Turco (FOTO ANSA) di Nando Dalla Chiesa

arboni ardenti. Poche persone al mondo ti danno l’impressione di camminarci sopra come lui. Mai sedersi, mai fermarsi. Anche se Italo Cossavella fa il libraio, un mestiere che agli occhi del pubblico vuol dire tempi riflessivi, contemplazione di scaffali o di cataloghi. La libreria sta nel centro di Ivrea, in via Cavour, una salita a cinquanta metri dal municipio. All’ingresso scordatevi pure le pile da trincea che annunciano in trionfi verticali l’uscita dei libri di successo. Qui la scelta è precisa e contromano: non scendere mai al di sotto dei 60mila titoli. “Vivo in una cittadina di 25.000 abitanti. Per fare bene il mio lavoro devo servire tutta la gente che viene da fuori. Chi arriva qui deve sapere che ci trova l’intero scibile umano. Anche chi si mette in testa di allevare una capra deve trovare quello che gli serve. In provin-

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Si può restare senza Solgenitsin solo perché ora non va più di moda politicamente?

cia bisogna essere tuttologi. Io non voglio mandare mai via nessuno senza risposta. Il libro devo averlo. Punto. E se non ce l’ho devo dire quando lo darò e a che prezzo. Mai ‘scriva alla casa editrice’ o ‘non è più in catalogo’. Ma siamo matti? Fuori catalogo purtroppo ci sono libri bellissimi, che possono incidere sulla formazione di un giovane o arricchire la cultura di una persona adulta. Io cerco di averli lo stesso. E grazie alla Rete ci si può riuscire. Mi metto al computer e vedo che cosa c’è sui remainders o tra i colleghi che fanno antiquariato. Guardi, proprio l’altro giorno ho venduto un Todorov di Garzanti, “Memorie del male, tentazione del bene”. Fuori catalogo ma l’avevo. Lo stesso con Bataille, “La letteratura e il male”. Sa, mi sto prendendo una soddisfazione enorme. E’ uscito uno splendido volumetto delle edizioni dell’Asino che indica tutti i libri che dovrebbe leggere un ventenne. Dai grandi maestri all’arte, dall’economia alla storia, fino a Capitini, Fanon e Simone Weil. Lo sto regalando ai miei collaboratori. Con orgoglio. E sa perché? Perché il 90 per cento di quei titoli io ce l’ho in libreria”. I COLLABORATORI. Sono sette o otto quelli che si muovono con competenza qui dentro, costretti anche loro a sentirsi a tempo pieno sui carboni ardenti. Soprattutto donne: Cristina, Simonetta, Elena… Nomi che si inseguono nell’organizzazione

del lavoro quotidiano. Nato nel 1968 quando Guido Cossavella, il padre di Italo, piantò il suo lavoro di rappresentante di prodotti alimentari e rilevò una cartoleria. Da lì alla libreria il passo fu breve. Italo nel frattempo studiava, prendeva il diploma classico e poi la laurea in Lettere a Torino, tesi su Tommaso Landolfi. Per qualche anno un occhio ai libri e un altro all’organizzazione di concerti rock e alla gestione di locali notturni. Passioni di gioventù. Di cui è rimasta traccia nell’interesse per tutte le forme di espressione giovanili. “I giovani? Sono molto meglio di come se li rappresentano molti miei coetanei. Noi cinquantenni rischiamo di lasciargli un mondo di merda, ma loro leggono e studiano più di noi. Qui vengono, affollano i nostri dibattiti, stanno seduti fino all’ultimo. Ma gli manca chi offra loro una visione organizzata della cultura. Parliamoci chiaro. Le “Descrizione di descrizioni” di Pasolini sono uno dei più begli esempi di critica letteraria mai visti. Due anni di recensioni su Paese Sera. Ma chi glielo dice ai ragazzi? Soffriamo tre tradimenti. Quello della televisione, quello delle università, quello dei giornali. Chi cresce deve potere addentrarsi con consapevolezza nella grande storia della cultura. E invece si smarrisce in una nuvola di frantumi. Per questo io non organizzo la libreria per case editrici, ma per settori. E voglio che nei settori ci sia tutto quello che è utile.

Fino al limite estremo, quello in cui gli scaffali sembrano scoppiare. Perché se c’è la filosofia ci dev’essere tutta la filosofia che conta. E la letteratura russa pure. Si può restare senza Solgenitsin solo perché ora “Arcipelago Gulag” non va più di moda politicamente? E l’antropologia?”. L’ANTROPOLOGIA. Basta la parola e gli brillano gli occhi. In effetti l’antropologia è uno dei fiori all’occhiello della libreria. “Sì, abbiamo organizzato in dicembre una tre giorni, quasi un festival dell’antropologia con 22 ospiti, otto sono venuti dall’estero. Al centro culturale della Serra, due spazi da 120 e 350 posti, a seconda degli eventi. Pieni, con i ragazzi che se ne tornavano al loro paese con gli zaini solo la domenica sera, quando non c’era più una parola da ascoltare. Avremmo fatto il tutto esaurito anche se avessimo parlato della formazione degli uomini sul lago Titicaca. Ma abbiamo organizzato anche “Hispanica”. Qui per la cultura spagnola abbiamo un interesse particolare. Rassegne su Baltasar Gracián, filosofo barocco. O sui poeti degli anni Trenta, da Lorca ad Alberti, e le foto di Capa. Con ragazzi, “Principio di virtù” si chiamano, che alternavano la loro musica antica alla lettura dei brani. E’ stato bellissimo. Comunque, non solo letteratura. Siamo molto forti pure nella scolastica e nell’editoria giuridica; e siamo la prima o la seconda libreria del Piemonte nell’editoria informatica”.

“Lo so, sono momenti difficili, soprattutto per le librerie indipendenti, ormai le grandi catene sembra che si clonino. Ma guai a mollare. Abbiamo anche la responsabilità di conservare questo patrimonio eccezionale, tipicamente italiano, che è la piccola editoria indipendente. Se non ci siamo noi va a picco anche quella. E non concordo con chi ammaina le vele dicendo che è cambiato tutto. Perché è vero che ormai siamo sommersi dalle novità e che molta è robaccia. Ma vuol mettere il godimento ad aprire gli scatoloni? Questo è il più bel mestiere del mondo. Lo so, a Ivrea beneficio del clima realizzato da Adriano Olivetti, l’humus mi aiuta, ma questo dimostra anche che per avere cultura bisogna seminarla. E per farlo non basta invitare, come pure facciamo, Vattimo o Zecchi, Bettiza o Gramellini, Ettore Mo o Caselli. Bisogna offrire un’idea organica di cultura, collegarsi con le biblioteche, fare rete, noi lo facciamo con la Valle d’Aosta”. Parlerebbe ore, Italo, segnalando alle sue collaboratrici quell’Adelphi, quel rarissimo Huizinga, quel vecchio saggio sulla Banda della Magliana. O descrivendo la sala che sta ricavando al piano di sotto per le presentazioni, con annesso spazio per bambini. Si inebria di progetti, il libraio che ama Fenoglio e Conrad. Il suo sogno più grande? “Un festival dei reporter di guerra. E’ un genere che sta sparendo, ma le guerre non spariscono…”.

La riabilitazione (prematura) di Ottaviano Del Turco LA CAMPAGNA A FAVORE DELL’EX GOVERNATORE ABRUZZESE SI FONDA SU ELEMENTI MARGINALI di Sandra Amurri

l processo a carico dell’ex governatore dell’Abbruzzo IconOttaviano Del Turco, arrestato il 14 luglio del 2008 l’accusa di aver intascato tangenti della sanità per un ammontare di circa 5 milioni di euro, inizierà in primavera. Nel corso dell’udienza preliminare il gip deciderà se accettare o meno la richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Pescara. Nel frattempo è già partita la celebrazione a favore dell’ex governatore della sua assoluzione attraverso una vera e propria campagna di stampa. IL RAPPORTO. A dare il la un’indagine parziale e tecnica dei carabinieri, delegata a suo tempo dalla procura per verificare quale fosse il rapporto tra ricoveri nelle cliniche private e rimborsi elargiti dalla regione. Un’informativa, chiamiamola così, agli atti fin dall’inizio dell’inchiesta ma depositata solo recentemente in concomitanza con l’avviso della conclusione delle indagini. Informativa da cui emerge che la regione aveva ridotto il budget della sanità. Prova ritenuta da Del Turco a suo favore. Si tratta di un fatto vero quanto quello che la regione era stata costretta a ridurlo dal governo in base a una direttiva che mirava ad arginare il disastroso buco della sanità abruzzese. Tant’è che poco dopo la giunta regionale fu commissariata. Ma assolutamente irrilevante al fine dell’impianto accusatorio in quanto la riduzione del budget non costituisce un elemento dell’accusa che si fonda, invece, sul fatto che sono state pagate e, dunque, inta-

scate, tangenti. Informativa, ancora, in cui i carabinieri si spingono a definire Angelini, il patron delle cliniche private, un imbroglione. “Nulla di nuovo sotto il cielo” esclama sereno il procuratore capo Nicola Trifuoggi. “Angelini non a caso nel processo è imputato di truffa e di altri reati”, dice. Ma Angelini è anche un collaboratore della procura. Un’altra prova che Del Turco definisce a suo favore mentre denuncia lo “sconvolgente silenzio del Pd. Partito che abbiamo fondato in 45 ma un’ora dopo il mio arresto sono spariti in 44” e l’ingiusta detenzione, è che nonostante “oltre cento rogatorie alla ricerca di conti esteri non un centesimo è stato mai trovato”. Dimenticando di dire che la procura ha accertato circa 600 mila euro, versati in contanti da Del Turco sul conto della sua compagna, utilizzati da quest’ultima, il giorno seguente, per l’acquisto di case a Roma e in Sardegna. Soldi di cui Del Turco e la sua compagna non hanno mai voluto rivelare la provenienza, avvalendosi della facoltà di non rispondere. “Non abbiamo mai pensato che avremmo trovato conti esteri intestati a lui, nessuno lo avrebbe mai fatto. Di certo non ha saputo fornire alcuna spiegazione sulla provenienza di quei milioni di euro versati sul conto della compagna. In ogni caso il processo deve ancora iniziare. E i processi non si celebrano sui giornali per giunta fornendo come prova assolutoria un rapporto parziale che nulla ha a che vedere con la tesi accusatoria” taglia corto il procuratore di Pescara. Notizie, dunque,

parziali piegate per sostenere l’innocenza di Del Turco che potrebbe anche uscire assolto dal processo, ma resta il fatto che il processo deve ancora iniziare. GLI ARRESTI. Come quel riferimento alla richiesta ignorata dei carabinieri di arrestare il patron Angelini. “L’arresto di qualcuno non lo decide né i carabinieri né la Guardia di finanza. Lo chiede il pubblico ministero e la convalida spetta al gip deciderla esattamente come è accaduto nel caso di Angelini. La dottoressa Marilena Di Fine ha ritenuto che la custodia cautelare nei confronti di Angelini non fosse necessaria in quanto non c’era il pericolo di inquinamento delle prove, che invece, ancora esisteva per Del Turco che era presidente in carica, e che fosse evitabile grazie alle importanti dichiarazioni che Angelini stava rendendo” spiega ancora Trifuoggi che conclude con una domanda: “Se l’informativa dei carabinieri avesse contenuto prove a discolpa di Del Turco, per quale ragione avremmo chiesto il suo rinvio a giudizio e non l’archiviazione?”. Domanda che di questi tempi di caccia ai magistrati politicizzati rischia una risposta scontata, seppure nel caso specifico, considerato che nel calderone ci sono finiti tutti, da sinistra a destra, si tratterebbe di magistratura sempre politicizzata ma extraparlamentare.

VITERBO

Forse ha stuprato ma non ricorda

U

n 25enne di Roma, figlio di un professionista, si è presentato spontaneamente presso il pm che sta indagando sull’abuso sessuale avvenuto ai danni di una ragazza di 24 anni, nella notte di Capodanno nel castello di Roccalvecce, vicino Viterbo. Il giovane ha ammesso di essersi sdraiato di fianco alla ragazza, ma ha detto di non ricordare se ha commesso o meno l’abuso, perché era troppo ubriaco. Le indagini su di lui sono state però congelate, perché la ragazza non ha ancora sporto denuncia.

ANCONA

Gestiva il clan dal carcere

C

omunicava dal carcere con i pizzini. Salvatore Giangravé, esponente di spicco del clan Aparo di Siracusa e detenuto ad Ancona, dove gli è stato notificato venerdì un nuovo provvedimento nell’ambito di un’inchiesta su droga ed estorsioni, guidava ancora gli affari. Dentro le buste delle lettere indirizzate alla moglie e ai destinatari più insospettabili, il boss riusciva a inserire buste più piccole con le indicazioni per gli affiliati. Il capomafia utilizzava iniziali e nomi di cavalli per indicare i destinatari.

NUCLEARE

Attivisti contro deposito scorie

U

na cinquantina di attivisti di Verdi, Legambiente e Wwf ha manifestato contro il nucleare, con un sit-in davanti alla centrale del Garigliano a Sessa Aurunca (Ce), che, secondo i manifestanti, il governo avrebbe individuato come deposito temporaneo di scorie nucleari, con una volumetria di poco inferiore ai 10mila metri cubi lordi.


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Domenica 10 gennaio 2010

ECONOMIA

64 EDIFICI A RISCHIO DI CROLLO COMENonLAsoloCASA DELLO STUDENTE L’Aquila: dal Veneto alla Sicilia, Legambiente cataloga gli stabili costruiti con materiali inadeguati di Daniele

Martini

i sono almeno 64 immobili nelle condizioni della Casa dello Studente de L’Aquila caduta come un castello di carte il 6 aprile di un anno fa per l’effetto congiunto di tre sciagure: il terremoto, i grossolani errori di progettazione e i pessimi materiali usati per la costruzione. L’elenco è stato stilato da Legambiente e riguarda in particolare quattro regioni: Sicilia, Calabria, Molise e Veneto. Dentro c’è un po’ di tutto: ponti, strade, ospedali, scuole, porti, centri commerciali, aeroporti, commissariati, chiese. Si tratta di una lista sicuramente approssimata per difetto, redatta tenendo conto solo delle indagini avviate dalla magistratura sull’uso del calcestruzzo depotenziato, espressione eufemistica per indicare un prodotto taroccato, truffaldino, scadente, con più sabbia che cemento. Per non creare allarmismi non sono state inserite nell’elenco strutture pubbliche e private all’apparenza solide, ma su cui gravano mille voci e sospetti. “Soprattutto negli anni Settanta e Ottanta in Italia hanno costruito una porcata dietro l’altra” spiega Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente.

C

schia di nascere morto in un Parlamento dove vanno avanti solo le proposte del governo e in un momento in cui i leader dei partiti sembrano calamitati da altre preoccupazioni. Come sempre succede per faccende di questo tipo, l’argomento viene tirato fuori in fretta dai cassetti solo quando incombe la tragedia. La richiesta di una commissione d’inchiesta si basa su due considerazioni. La prima è che se spetta alla magistratura accertare le responsabilità penali individuali, in base all’articolo 82 della Costituzione sarebbe compito del Parlamento riuscire a capire quale sia la dimensione vera del fenomeno e perché, dove e come si sono verificate così tante violazioni amministrative e contrattuali nella realizzazione di molte opere pub-

bliche. Seconda considerazione: sulla carta le norme per prevenire gli abusi già esistono, ma evidentemente o non sono sufficienti o sono facilmente aggirabili. Le opere che si sono sbriciolate alla prima onda d’urto del terremoto o quelle che secondo la magistratura sono a rischio crollo risultano sempre accompagnate da impeccabili certificati rilasciati dai laboratori ufficiali in seguito ad altrettante verifiche all’apparenza inattaccabili su campioni di calcestruzzo. E’ chiaro che qualcosa, anzi, molto non funziona, soprattutto nel rapporto tra amministrazioni pubbliche e aziende costruttrici. I MATERIALI. Soprattutto in Sicilia l’uso di materiali scadenti per la costruzione di opere pubbliche è quasi una tradizione e la regola nel business delle costruzioni. Così come è una regola che la maggior parte delle ditte for-

Secondo Legambiente ci sono almeno 64 edifici costruiti con materiali inadeguati. Qui accanto i più significativi. Sotto, la Casa dello studente de L’Aquila (FOTO F. BUCCIARELLI)

LA COMMISSIONE. Tra gli addetti ai lavori la faccenda è come un segreto di Pulcinella, la conoscono tutti e sanno che è diffusa, anche se poi tutti stanno zitti. Per capire come stanno veramente le cose e considerando che di mezzo c’è l’incolumità di tanta gente, un gruppo di parlamentari pd (alla Camera primo firmatario Angelo Capodicasa, al Senato Benedetto Adragna) ha proposto l’istituzione di una commissione d’inchiesta. Il testo è stato presentato prima delle vacanze di fine anno, ma ri-

POCHE IDEE MA CONFUSE

di Stefano Feltri

SE SON TASSE FIORIRANNO iduzione delle tasse nel 2010? Questa frase dal presidente non è mai stata pronunciata”. Così Paolo Bonaiuti, il portavoce del presidente del Consiglio, smentiva una frase attribuita a Silvio Berlusconi nel giorno dell’Epifania. Era solo questione di tempo, però, prima che Berlusconi smentisse la smentita. In un’intervistina a Repubblica (!), piazzata con understatement a pagina 11, Berlusconi dice: “Ci sono delle emergenze. Come la riforma tributaria, la riforma della giustizia e la riforma istituzionale”. Poi aggiunge: “Con Tremonti stiamo studiando una riforma tributaria, un progetto che avevamo indicato già nel 1994”. E infatti, per il momento, il “grande dibattito” auspicato dal ministro dell’Economia si declina nella pubblicazione sul sito Internet del ministero delle Finanze, in bella vista sulla homepage, del “libro

“R

nitrici di calcestruzzo sia in mano alla mafia, dalla Messina Calcestruzzi dei fratelli Pellegrino, sequestrata dalla Direzione investigativa antimafia il 24 giugno 2009, alla Calcestruzzi Mazara, a lungo ritenuta un quartier generale di Cosa Nostra, dai cinque impianti controllati da Benny Valenza nella Sicilia occidentale e confiscati dai carabinieri di Monreale su ordine della Direzione antimafia di Palermo alla Calcestruzzi Spa, un’azienda controllata dal grande gruppo Italcementi e quindi in grado di piazzare calcestruzzo scadente in quantità ingenti anche molto lontano dall’isola. Per esempio nel vicentino, dove gli inquirenti ritengono che i lotti 9 e 14 dell’A31 Valdastico siano stati costruiti con materiale truccato e per questo li hanno messi sotto sequestro anche se non hanno interdetto l’uso dell’autostrada. Ad Agrigento si accorsero che del nuovissimo ospedale San Giovanni di Dio c’era da aver paura ancor prima dell’inaugurazione ufficiale, sei anni fa. Sui muri e nei pavimenti cominciarono ad aprirsi crepe minacciose, ma era costato una quarantina di milioni di euro e i lavori sta-

bianco” sulla riforma fiscale del 1994, firmato Tremonti. Un reperto archeologico di politica tributaria che risale ai tempi in cui Berlusconi prometteva la “rivoluzione liberale” con il miraggio delle due sole aliquote sull’Irpef, sognando le flat tax anglosassoni. Ovviamente la rivoluzione non si è mai realizzata e i liberisti come Antonio Martino che all’epoca si erano lasciati sedurre dal berlusconismo thatcheriano ora sono disillusi e ai margini. Ma il governo, conferma Berlusconi, vuole riprovarci. Il problema è sempre lo stesso: dove sono i soldi per ridurre le tasse? Una questione delicata, soprattutto adesso che le entrate sono in calo per la recessione (e forse pure per l’evasione) e che, come ricorda lo stesso Tremonti, l’aumento del debito pubblico si traduce in una “tassa” da otto miliardi all’anno per gli interessi. Neppure all’Università

di Chicago citano più la curva di Laffer – se tagli le tasse il gettito sale perché l’economia cresce e i contribuenti le pagano più volentieri – quindi lo slancio riformatore di Berlusconi e Tremonti rischia di esaurirsi in fretta. Per quel poco che si può intravedere dietro le anticipazioni di Tremonti, gli scenari possibili sono due. Primo: l’introduzione di un modello “bonus-malus” che riduce le tasse a qualcuno e le alza a qualcun altro giudicato meno meritevole lasciando praticamente invariato il gettito. Servirebbe a incentivare la green economy e a penalizzare i settori poco graditi (come le banche o i petrolieri) e a vantare il successo di una riforma. Seconda ipotesi, più probabile: il gettito che entrerà in cassa con la proroga dello scudo fiscale (da dicembre ad aprile) verrà speso per un intervento una tantum, magari a ridosso delle regionali. Non sarà una riforma, ma è il massimo che Berlusconi e Tremonti si possono permettere.

vano andando avanti da vent’anni e quindi decisero di aprirlo ugualmente. Qualche tempo dopo un pentito, Carlo Alberto Ferrauto, raccontò agli inquirenti che l’ospedale era stato tirato su con calcestruzzo fasullo fornito dalla mafia e le verifiche tecniche e i carotaggi confermarono le rivelazioni. Per precauzione 5 mesi fa la struttura fu considerata inagibile, ma siccome per motivi sanitari e di ordine pubblico non si potevano lasciare per strada 400 degenti poi è stata riaperta con una specie di compromesso: sulla stabilità vigila la protezione civile, anche se è del tutto evidente che restano inalterati i pericoli derivanti dai vizi di costruzione non sanati. LA MAFIA. A Castelvetrano, in provincia di Trapani, la mafia ha messo lo zampino perfino nella realizzazione del commissariato di polizia fornendo calcestruzzo depotenziato e la faccenda suona doppiamente beffarda se si pensa che l’opera si trova proprio su un’area confiscata a Cosa Nostra. “Qui costruiremo una cittadella della legalità” affermò fiducioso il sindaco nel discorso durante la cerimonia d’apertura del cantiere, un anno e mezzo fa, quando ancora le magagne non erano evidenti. E’ lungo l’elenco delle opere siciliane a rischio su cui indaga la magistratura: la galleria Cozzo-Minneria dell’autostrada Palermo-Messina, la strada a scorrimento veloce Licata-Torrente Braemi, lo svincolo di Castelbuono-Pollina, l’ospedale Cervello di Palermo, il nuovo padiglione dell’ospedale di Caltanisetta, il padiglione 6 del Piemonte di Messina, il Civico di Partinico e 30 capannoni dell’area industriale, il centro commerciale di Contesse e l’approdo di Tremestieri, gli aeroporti di Palermo e Trapani, il Palazzo di Giustizia e il porto-diga foranea di Gela, il porto turistico di Balestrate, il lungomare di Mazara del Vallo. In Calabria la galleria Palizzi della statale 106 è franata prima dell’apertura al traffico il 3 dicembre 2007 e le indagini hanno subito accertato che la società Condotte a cui l’Anas aveva affidato la costruzione stava usando calcestruzzo di pessima qualità. In Molise per sanare i vizi di costruzione della variante di Venafro causati dall’uso di calcestruzzo scadente l’Anas ha dovuto sostituire più di metà dei pali in cemento. Costo aggiuntivo, 2 milioni di euro.

La classifica considera le indagini della magistratura sull’uso del calcestruzzo depotenziato

Wall Street dc

I nuovi guai di Turbo Tim di Edgar Galli

on c’è pace per Turbo NTesoro Tim. Il segretario al Geithner, che presidia per Obama la trincea dell’economia, si vede attaccato su un nuovo fronte, addirittura antecedente rispetto al ruolo che ricopre nel governo. I proiettili sono una serie di e-mail risalenti a fine 2008 emerse nei giorni scorsi: messaggi inviati dalla Federal Reserve di New York allo zombie assicurativo Aig, con il consiglio di non rivelare alla Sec, l’autorità di Borsa, il fatto di avere rimborsato per intero una serie di banche per i famigerati credit default swap, derivati tossici di cui Aig le aveva riempite. Un invito per Aig a nascondere la mano con cui restituiva ogni centesimo a giganti come Goldman Sachs e Société Générale, mentre l’altra mano era tesa a intascare 180 miliardi di dollari dei contribuenti attraverso il Tarp, fondo di emergenza dell’allora ministro Harry Paulson. Una premura, quella della Fed newyorchese, che sa d’incesto quando si considera che a guidarla era il successore di Paulson, Tim Geithner, che di lì a poco avrebbe ereditato la gestione del Tarp. eithner non è Gnulla:formalmente accusato di il suo nome non è coinvolto nello scambio, avvenuto a elezioni vinte, quando da ministro in pectore non si occupava più di casi specifici. Ma i deputati repubblicani insistono sulla sua responsabilità “colposa” e chiedono che le e-mail incriminate siano pubblicate per intero, per mostrare le righe con cui gli avvocati della Fed cancellavano ogni riferimento ai rimborsi dalla bozza dei documenti che Aig si preparava a inviare alla Sec. E i media conservatori fanno sponda, ricordando i 165 miliardi di dollari di bonus sborsati la scorsa primavera da Aig agli stessi manager che l’avevano portata al collasso, guarda caso con l’autorizzazione di Turbo Tim. ra le due cose non c’è Tbonus alcuna correlazione: i erano previsti per contratto e il Tesoro aveva le mani legate, ma il ricordo di questa vicenda, genesi del nomignolo di Geithner, arriva tempestivo come la proverbiale pioggia sul bagnato. E rende facile il gioco agli avversari di Turbo Tim: gli americani, già imbestialiti quando nel marzo scorso Aig raccontò finalmente dei 93 miliardi di dollari spremuti dalle tasche dei cittadini e girati direttamente ai colossi della finanza, sono schiumati di rabbia nell’apprendere ora che il tutto ebbe non solo il sigillo, ma anche la copertura di un’istituzione pubblica che ha tra le proprie missioni la salvaguardia della trasparenza dei mercati finanziari.


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ECONOMIA

“ALLA CAMERA L’ATTACCO FINALE AI DIRITTI” Parla Cesare Damiano (Pd): con 42 articoli il governo smantellerà le tutele dei lavoratori di Elisabetta Reguitti

ttenzione al contratto dei marittimi, potrebbe trasformarsi in un grimaldello per destrutturare il lavoro in Italia. Partendo magari proprio dai contratti in deroga e la possibilità di stabilire orari di lavoro concordati con sindacati territoriali. Cesare Damiano – già ministro del Lavoro durante il governo Prodi – capogruppo del Pd nella commissione Lavoro della Camera e che lancia l’allarme sulla discussione, che riprenderà la prossima settimana, del collegato lavoro: cinquantadue articoli di cui solo sette però hanno lo stesso identico testo approvato nella precedente (seconda) discussione alla Camera. Ma Damiano parla di emergenza Lavoro di cui anche la minoranza di governo deve prendere consapevolezza. E’ davvero così grave l’articolo 8 sull’orario di lavoro dei marittimi? Certamente perché creerebbe un gravissimo precedente. Nel testo infatti si legge che le deroghe possono essere stipulate con le sigle sindacali comparativamente più rappresentative a livello territoriale. E chi ci dice che queste forme di accordi vengano stabilite al ribasso rispetto agli interessi di una piuttosto che un’altra categoria? Il

A

pericolo è il proliferare di sindacati di comodo e di accordi pirata. Discuteremo un documento che tra l’altro, nell’articolo 50, prevede che venga “novellata”, cioè ripresa, una norma precedentemente abrogata. A dispetto di ogni incongruenza normativa che prevederebbe il ritorno del testo al Senato. L’articolo 25 è poi uno schiaffo per le lavoratrici visto che prevede che i contributi figurativi, ai fini pensionistici, nel caso di maternità o congedi parentali valgano soltanto se c’è costanza di lavoro. La lavoratrice che rimane incinta, non essendo più protetta dalla procedura del “licenziamento in bianco” (abolito dal governo Berlusconi già nel 2008 nonostante la sottoscrizione dei ministri Carfagna, Prestigiacomo e Gelmini di un ordine della Camera che proponeva di tutelare il lavoro delle donne) viene lasciata a casa e a quel punto decade il suo diritto di presentare domanda di

riscatto del congedo di maternità. Tutto ciò cosa significa? E’ evidente una volontà politica di indebolire il lavoro in ogni sua attuale forma, tutela e garanzia. Anziché trovare forme diverse e migliori per proteggere i lavoratori si imbocca la direzione opposta, per renderli più fragili e vulnerabili. Qui non si tratta solo di smantellare quanto fatto dal governo Prodi; si vuole abolire la concertazio-

L’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano visto da Manolo Fucecchi

ne. Non è certo un mistero che il ministro Maurizio Sacconi preferisca il termine “complicità” tra le parti sociali. Un concetto a mio avviso molto pericoloso perché non si tratta di un semplice superamento delle contrapposizioni ideologiche quanto piuttosto una linea di condotta che produce il rischio di perdere di vista il ruolo e gli interessi che si rappresentano. In tema di sicurezza sul lavoro, per esempio, penso all’abolizione della responsabilità solidale in capo al committente negli appalti. L’Istat dice che in un anno 400 mila persone sono state espulse dal mercato del lavoro. Lei pensa che il rischio maggiore sia che alla ripresa le fabbriche si trovino senza operai o che molte imprese, soprattutto le medio piccole, non riaprano più? Facendo i calcoli rispetto alle ore di cassa integrazione risulta che le persone che perderanno il lavoro saranno un milione. Temo che dopo la prima fase in cui gli ammortizzatori sociali sono riusciti a narcotizzare il sistema economico ci sarà la fase delle ristrutturazioni, dei tagli e delle chiusure. Il vero tsunami nel mondo del lavoro sta per arrivare. Nel frattempo però le casse dell’Inps so-

no floride grazie ai 250 mila “imprenditori” che hanno aperto una partita Iva per riuscire ad accaparrarsi un posto di lavoro sia pur a tempo determinato. Sono lavoratori dipendenti a tutti gli effetti mascherati dalla partita Iva ma senza alcuna copertura o tutela. Una realtà che nel mio mandato ho sempre cercato di contrastare. Ai lavoratori a progetto vanno garantite le stesse tutele di cui beneficiano gli altri e la copertura degli ammortizzatori sociali. E’ giusto riconoscere che i contributi dei lavoratori parasubordinati della gestione separata contribuiscono a rendere floride le casse dell’Inps. Casse che, comunque, sono migliorate anche per il calo delle uscite per anzianità da attribuire, come tutti riconoscono, alla riforma concertata dal governo Prodi nel 2007 con le parti sociali. Da qui al 2013 continuerà l’innalzamento progressivo dell’età richiesta per andare in pensione di anzianità. I conti Inps miglioreranno anche per i prossimi anni e i lavoratori non dovranno subire l’impatto del cosiddetto scalone voluto da Maroni. La cronaca riferisce di molti casi di aziende italiane in crisi controllate da fantomatici fondi esteri. Che valore ha oggi il patrimonio “umano” di quelle imprese? Vicende come quelle di Eutelia sono state evidenziate dalla crisi ma dipendono da problemi a cui bisogna porre rimedio con politiche industriali che vadano nella direzione di incentivare i rapporti anche con gli enti locali per il mantenimento degli insediamenti. Non parlo di protezionismo, quanto piuttosto di leggi che salvaguardino il capitale umano e la produzione nei territori. Le grandi imprese multinazionali evitino la delocalizzazione delle loro produzioni altrove e il sistema produttivo non esternalizzi parte dell’attività nell’infinita rincorsa della diminuzione dei costi a scapito della qualità.

Prime prove di inciucio telefonico PERCHÈ IL PD NON SI OPPONE ALLE MIRE DI MEDIASET SULLA RETE DI TELECOM nato con l’Iva e i tetti pubblicitari, il politico più autorevole dell’opposizione, l’uomo che dovrebbe rappresentare la diga allo strapotere del premier-editore, applaude l’ingresso di Berlusconi sulla rete Telecom. Chi dovrebbe curare il conflitto di interessi nella tv, sembra favorire la metastasi su Internet. di Marco Lillo

tecniche di inciucio tePze èrove lefonico. A dare il via alle danstata un’intervista di Paolo Gentiloni a “Il Riformista”. L’otto gennaio scorso, l’ex ministro delle comunicazioni, rispondendo alle domande di Gianmaria Pica, ha dato un imprevisto via libera alla possibile alleanza tra Telecom Italia e Mediaset: “Pier Silvio Berlusconi”, spiega Gentiloni, “ha parlato di far crescere Mediaset fino a farla diventare un content provider, una sorta di major italiana che fornisce contenuti televisivi. Per fare questo per Mediaset sarebbe strategico il rapporto con Telecom: è il cuore del business della telecomunicazioni”. Così, allegramente, Gentiloni suona la tromba all’avanzata del Cavaliere sull’unico territorio mediatico che gli è ancora ostile: Internet. In un paese nel quale il presidente del consiglio controlla direttamente le tre reti Mediaset e indirettamente le tre reti Rai, mentre Telecom tiene “La7” a bagnomaria e l’unico vero concorrente, Sky, viene fre-

OCCASIONI PERSE. L’intervista a Gentiloni è l’atto finale del lungo harakiri della sinistra sul fronte Telecom. Per comprendere l’ultimo fotogramma di questo film dell’orrore bisogna tornare all’inizio e provare a porsi qualche quesito del tipo: cosa sarebbe successo se...? Perché, se con i se non si fa la storia, magari si comprende meglio la cronaca. La Telecommedia inizia con la privatizzazione e la successiva opa quando Romano Prodi e Massimo D’Alema pensano di individuare in Umberto Agnelli e Roberto Colaninno due interlocutori industriali che invece si riveleranno finanzieri. Carica dei debiti di Colaninno, nel 2001 la compagnia finisce alla Pirelli. Marco Tronchetti Provera dimostra subito di non voler competere con il sistema berlusconiano. Anzi. Dopo uno strano affare con il gruppo del premier (l’acquisto di Pagine Utili con il versamento di 55 milioni alla Fininvest) Tronchetti soffoca nella culla La7. Annulla i programmi dei big come Fabio Fazio che poteva minacciare Mediaset e paga senza battere ciglio le star per tenerle in panchina. La7 è un’ine-

zia da sacrificare sull’altare del grande gioco telefonico. Eppure quell’apertura del mercato che non arriverà dai programmi televivi dell’era Tronchetti poteva arrivare dalle sue strategie internazionali. SOGNANDO MADRID. Il momento nel quale l’Italia è stata più vicina ad avere un competitor valido per Mediaset non è stato il 25 giugno del 2001 quando debuttò La7 di Fazio, Lerner e Sabina Guzzanti. Ma il 7 settembre del 2006 quando Tronchetti Provera e Rupert Murdoch si incontrano in barca al largo di Zante. I legali dei due gruppi avevano preparato una bozza di accordo per l’ingresso di Murdoch nella holding di controllo di Telecom con una quota di poco inferiore a quella di Pirelli. In quei giorni Tronchetti spiegava riservatamente ai suoi collaboratori che l’approdo finale non era Zante ma Madrid. Il sogno di Tronchetti era quello di unire questa Telecom rinforzata da Murdoch con Telefonica o un altro grande operatore per creare una conglomerata in grado di veicolare i contenuti su Internet e il satellite in tutto il mondo. La ricaduta italiana sarebbe stata la nascita di un concorrente in grado di dare filo da torcere a Mediaset e Rai su più piattaforme. Sulla carta le condizioni dell’estate 2006 erano ottimali. Al governo c’era Romano Prodi all’apice della sua forza. Il centrosinistra potrebbe benedire l’alleanza italo-australiana e invece si mette di traver-

so. Un mese prima dell’incontro sul Corriere esce il piano del governo per scindere la rete dalla società telefonica, che sarebbe come sfilare il motore dal cofano della macchina il giorno prima della sua vendita a Murdoch. Il 5 settembre, prima dell’incontro greco, il consigliere di Prodi Angelo Rovati consegna a Tronchetti il piano per scindere la rete e affidarla alla Cassa depositi e prestiti. Il 19 settembre Piero Fassino alla festa di Rifondazione plaude alla separazione della rete. Il messaggio è chiaro: se Murdoch compra, si scordi la rete. Il magnate australiano lascia poco dopo denunciando l’invadenza della politica italiana. A febbraio Tronchetti ci riprova con Telefonica. Ma riparte la campagna su rete e italianità con i politici di sinistra che minacciano di mettere sotto scacco l’acquirente straniero mediante la regolazione e i controlli. Anche gli spagnoli mollano, salvo rientrare dalla finestra insieme a Benetton e alle banche quando Tronchetti vende. EVOLUZIONI. E’ interessante riguardare le posizioni di allora alla luce dello scenario che si sta delineando oggi. La sinistra al governo, per limitare il potere dell’invasore Murdoch, predicava la separazione della rete e la sua annessione alla Cassa depositi e prestiti dello Stato. Tra quelli che sostenevano la separazione allora c’era anche un certo Franco Bernabé. Oggi il numero uno di Telecom si oppone allo

scorporo (come fa tutta la sinistra) mentre allora, nella posizione di consulente della banca Rotschild da dove lavorava insieme a Rovati al piano di scorporo. Al di là delle giravolte dovute ai cambiamenti di ruolo, però, resta la miopia strategica. Per sostenere il falso mito dell’italianità (quando era al governo e avrebbe voluto mettere la rete sotto il suo controllo) la sinistra ha perso una grande occasione. L’ingresso di Murdoch e Telefonica nella Telecom di Tronchetti avrebbe salvaguardato l’italianità e avrebbe aperto il mercato tv. Sono passati tre anni. La prima azienda di telecomunicazioni italiana ha galleggiato tagliando i costi e gli investimenti. L’unico prodotto di rilievo, il CuboVision, è per ora poco più di uno spot. Ora pare che Telefonica torni a farsi sott. Solo che stavolta gli spagnoli vogliono la maggioranza e, per ottenerla, sono disposti a trattare con Mediaset sulla rete e i contenuti. La chiamano italianità.

Oggi si paga il conto dell’occasione perduta di avere una Telecom con Murdoch e Telefónica

Dieci giorni giorni di tempo per salvare l’Alcoa e 2000 posti di Cinzia Simbula Iglesias

si rilancia la produzione, Osonooppure si chiude. Non ci alternative per i circa 2000 lavoratori (compreso l’indotto) dell’Alcoa di Portovesme, zona industriale del Sulcis Iglesiente nella costa sud occidentale della Sardegna, cui si aggiunge un altro centinaio di operai di Fusina, in Veneto. Ma le sorti dei dipendenti della multinazionale americana, produttrice di alluminio primario, e per i quali è già stata avviata la procedura di cassa integrazione, si conosceranno solo fra dieci giorni, quando i dirigenti incontreranno a Roma i rappresentanti del ministero dello Sviluppo economico e i sindacati. Un appuntamento decisivo perché Alcoa dovrà comunicare se intende, o meno, accettare la proposta di accordo formulata qualche giorno fa. Ovvero la possibilità di acquistare, per sei mesi in attesa di una soluzione definitiva, energia a basso costo dall’Enel. Le sorti dello stabilimento dipendono proprio dai risultati della vertenza energia che va avanti da diversi mesi. Sino al primo dicembre l’Alcoa ha potuto contare su una tariffa agevolata in linea con i prezzi praticati nel resto d’Europa alle società “energivore”. Scaduto quel termine (che da tempo si sapeva sarebbe arrivato) è sorto il problema degli alti costi per l’approvvigionamento energetico. Di fatto Alcoa si troverebbe a dover pagare oltre 60 euro a megawattora, a fronte dei circa 30 garantiti dalla tariffa agevolata. Esattamente quello che spendono le altre aziende europee. La mediazione del governo è riuscita per ora a garantire costi agevolati per sei mesi. Un tempo considerato dall’azienda troppo breve, seppure Alcoa si sia riservata di valutare la proposta. Ecco perché l’incontro in programma tra dieci giorni è atteso con attenzione e preoccupazione. In gioco c’è il futuro di migliaia di famiglie, ma anche quello di un territorio (il Sulcis Iglesiente) già alle prese con una crisi economica e sociale di notevole portata. In questo angolo di Sardegna i disoccupati hanno raggiunto quota 30mila e l’annuncio dell’avvio della cassa integrazione per i lavoratori Alcoa ha allarmato molto. Nella fabbrica è in atto il blocco delle merci in uscita e ieri mattina, nella sala riunioni dello stabilimento, si è svolta un’affollata assemblea. Tore Cherchi, sindaco di Carbonia e presidente dell’Anci Sardegna definisce il comportamento dell’azienda irresponsabile: “Nonostante le numerose rassicurazioni e la prospettiva di un contratto in linea con la media europea è assurdo che Alcoa faccia saltare il tavolo. Non possiamo in alcun modo accettarlo, è necessario ribellarsi”.


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Domenica 10 gennaio 2010

DAL MONDO

BANLIEUE Quattro anni dopo nulla è cambiato Sarkozy promise di “ripulire” i quartieri, ma ancora oggi regnano disoccupazione, povertà e disagio giovanile di Gianni

Marsilli Parigi

uattro anni fa la grande fiammata, le banlieue in rivolta, i roghi di scuole, palestre, arredi urbani, autobus, macchine, le battaglie campali e notturne con squadroni di gendarmi antisommossa, intorno a Parigi, Tolosa, Lione, Strasburgo. Durò tutto l’autunno del 2005, se non ci scappò il morto fu un vero, grande miracolo. “Parigi brucia”, titolava la stampa mondiale, mentre scopriva attonita un esercito di francesissimi adolescenti incappucciati, neri e maghrebini, che teneva in scacco il generale Sarkozy, all’epoca ministro degli Interni, quello che li aveva insultati promettendo di “ripulire” quei quartieri come si pulisce una stalla o un bagno, con spazzoloni e secchiate di varechina. Da allora le banlieue non aprono più i titoli dei tg stranieri, a

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malapena fanno capolino in quelli nazionali. Ci vuole uno studente che ne ammazzi un altro perché irrompano sulla scena, o una sparatoria tra bande rivali, o un insegnante accoltellato durante l’ora di matematica, cose così. Drammi domestici puntuali come una tortura cinese, giusto per tenere viva la memoria e l’attenzione: dall’autunno 2005, infatti, nulla è cambiato. Sociologi, insegnanti, operatori avvertono: l’incendio non è spento, il fuoco cova sotto la cenere. Il fronte, come su una carta militare, corre ai bordi delle Zus, acronimo che sta per “zone urbane sensibili”. Sono 470, comprendono quattro milioni e mezzo di abitanti. Ad occuparsene, Sarkozy ha avuto l’accortezza di chiamare una che in quei quartieri è cresciuta, che di quei ragazzi conosce il gergo, la ruvidezza, la confusa e grandissima vitalità: Fadela Amara. L’ha

fatta ministro con la missione di togliere carburante al serbatoio della violenza, di introdurre progetti di lavoro, sport, socialità, civismo. Ma un mese fa l’osservatorio nazionale che si occupa delle Zus ha fornito il suo responso: l’universo delle banlieue è sostanzialmente immobile, come cinque, come dieci anni fa. Anzi, va anche peggio. Qualche cifra per capire. La prima, un’onta per il paese: il 44,3 per cento dei minori di 18 anni che risiede nelle Zus vive al di sotto della soglia di povertà, fissata a 908 euro mensili per famiglia. In totale, il 33 per cento dell’intera popolazione delle Zus è sotto i 900 euro al mese, contro il 12 per cento della media nazionale. La disoccupazione è aumentata, anzi esplosa già nel 2008, alla vigilia della crisi economica: 17,9 per cento, il doppio che nel resto del paese. Ma c’è di peggio, di più infido e cancerogeno: il 41,7

Sopra un’immagine del novembre 2005, durante la rivolta delle banlieues; sotto la Bank of America di Times Square (FOTO ANSA)

per cento dei maschi tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro. Non va più neanche a scuola, semplicemente ciondola. Ciondola per le strade, sulle scale dei casermoni, alla Gare du Nord, attorno al supermercato. Ciondola senza arte né parte, si scatena a date fisse, il 31 dicembre e il 14 luglio, festa nazionale, bruciando decine di migliaia di automobili: 40 mila l’ultima notte di Capodanno. Risplende come una luce in fondo al tunnel una percentuale che svela un universo dal percorso ancora carsico, indecifrabile: l’occupazione delle ragazze della stessa età, dai 15 ai 24 anni, è in netto aumento. Nel 2009 è passata sotto la soglia del 30 per cento, e il trend continua ad essere positivo. Padroni e padroncini, evidentemente, si fidano di più, mettono in pro-

va, assumono. Non portano il cappuccio, le ragazze, e guardano con distanza alle esibizioni machiste dei loro coetanei. Ma il futuro, sfortunatamente, non può declinarsi soltanto al femminile. Fadela Amara si difende, chiede fette di bilancio più consistenti, rivendica cantieri di rinnovamento urbano, episodi di rilancio economico qua e là, pungola il premier François Fillon che ha promesso “una larga concertazione” per il 2010. Ma nel frattempo le banlieue languono, s’intristiscono, s’incattiviscono. Non tutte, ma troppe per considerare rimarginata quella ferita aperta negli anni ’60, quando la Francia chiese

braccia muscolose e a poco prezzo per il suo rilancio industriale. Quelle braccia non servono più da un paio di generazioni. E’ una storia d’immigrazione, come quella di Rosarno anche se di genesi, drammaturgia e sociologia molto diverse. Anche perché nelle banlieue si vive male, malissimo, ma si vive. Si è maltrattati dalle pubbliche autorità, ma si figura sempre all’ordine del giorno di tutti i governi, di destra o di sinistra che siano. In quell’ex oleificio calabrese invece no, non si vive. E le pubbliche autorità della penisola non si pongono il problema, se non in termini di “immigrati clandestini”.

Senza lavoro il 41 per cento dei ragazzi. Ieri uno studente è morto dopo una pugnalata a scuola

“Sposta i tuoi soldi”, la rivincita delle banche cooperative americane NASCE IL MOVIMENTO CHE INCITA I RISPARMIATORI A BOICOTTARE I GRANDI ISTITUTI, RITENUTI RESPONSABILI DELLA CRISI

di Angela

Vitaliano New York

i sono rivoluzioni che Cficamente, partono in silenzio, pacisenza armi né squilli di tromba ma con un passaparola che nel 2010 non può che essere affidato a Facebook, una delle casse di risonanza più efficaci per chi abbia interesse a diffondere rapidamente e con poca spesa il proprio messaggio o la propria iniziativa. In pieno periodo natalizio succede quindi che, tra un mancato attentato e una riforma sanitaria (che, complice la “distrazione” del momento, si prova a rendere più efficace prima della firma del presidente che la trasformerà in legge), nasca “Move your money”, ovvero “spo-

sta il tuo denaro”. Un movimento che ha come obiettivo quello di spingere i risparmiatori a depositare i propri soldi in piccole banche cooperative piuttosto che nelle grandi realtà come la Chase, la Bank of America o la Citibank. Lo scopo è quello di sottrarre agli istituti di credito, che con le loro politiche sfrontate hanno spinto il paese sull’orlo del baratro, il denaro che potrebbe essere utilizzato per “fare altri danni”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso già colmo di risentimento verso i maggiori responsabili di una crisi pericolosamente vicina a quella della Grande Depressione, è stato il fatto che, proprio negli ultimi mesi, le grandi banche, prontamen-

te aiutate dal governo a rialzarsi quando sono state vicinissime al crollo, hanno ricominciato a distribuire bonus milionari ai loro manager alla faccia delle centinaia di migliaia di americani che hanno perso (e continuano a perdere) lavoro e casa. Così, seduti attorno a un tavolo per una cena prenatalizia, un piccolo e variegato gruppo di persone, ha cominciato a interrogarsi sulle possibili soluzioni da mettere in atto per invertire questa tendenza che, oltre a produrre seri danni all’economia, irrita non poco i risparmiatori americani che si sentono buggerati. Uno degli ospiti, l’economista Robert Johnson, ha dunque lanciato l’ipotesi di spostare il denaro in banche cooperative che hanno regolamenti molto meno libertari riguardo all’uso del denaro e conservano un legame molto stretto con la comunità di riferimento. Piccole banche a dimensione umana che spesso si fanno promotrici di progetti di pubblica utilità. Idea che (come evidenziato da un altro dei commensali presenti alla cena, il produttore cinematografico Eugene Jarecki), era la stessa che aveva avuto James Stewart (nella parte di George Bailey) nel famosissimo film di Frank Capra La vita è meravigliosa in cui l’odiato Mr. Potter, simbolo del capitali-

smo più cinico e sfrontato, rovinava la vita all’intera comunità costretta a pagare interessi e mutui esorbitanti. Non a caso, quindi, spezzoni del film sono stati utilizzati per realizzare un video nel quale si spiega, fra l’altro, perché sarebbe opportuno abbandonare le vecchie “grandi” banche a favore di quelle cooperative. Il video è diventato parte del sito del movimento (www.moveyourmoney.info) dove è possibile, inserendo il proprio Cap, ottenere la lista delle banche “consigliate” più a portata

BUONE NOTIZIE

di mano. Il movimento, che si basa sulla collaborazione gratuita di volontari, nonostante sia ancora un neonato ha ottenuto un successo immediato grazie anche al coinvolgimento di giornalisti come Arianna Huffington e Keith Olbermann che hanno dato il loro appoggio e si stanno prodigando per pubblicizzarlo attraverso i media. In poche settimane, infatti, dal Time alla Abc, dalla Msnbc all’Huffington Post, in tanti hanno fatto da cassa di risonanza alla proposta sostenendone la validità e soprat-

tutto l’opportunità. Risultato? Una valanga di zip code (i codici postali americani) inseriti nel Web site per ottenere le liste degli istituti di credito consigliati e moltissimi feedback di risparmiatori che hanno pubblicamente annunciato di aver “spostato il proprio denaro”. Sebbene qualcuno lanci accuse di populismo, le piccole banche ringraziano e, forse, come nel finale del film di Frank Capra, da qualche parte un angelo si è guadagnato le ali a discapito dei sogni dorati del capitalismo.

a cura della redazione di Cacaonline

IL SOLE DEL SUD PRODUCE ENERGIA Anche la Campania dice NO al nucleare A differenza delle altre 12 regioni d’Italia che hanno solo emanato direttive o ordini del giorno contro la costruzione di nuovi impianti nucleari, la Campania ha addirittura votato una vera e propria legge regionale. Il territorio campano viene precluso non solo a nuove centrali, ma anche a impianti di fabbricazione e stoccaggio di combustibile nucleare, nonché a depositi di materiali radioattivi. L'alternativa energetica? Spiega Tonino Scala, capogruppo Sinistra e libertà in Campania: “Il sud ha il sole per trecento giorni all’anno.” L’albero più vecchio del mondo Si tratta di una quercia Jurupa della specie

Quercus palmeri che ha messo radici su una collina della contea di Riverside, in California. Secondo gli esperti ha un’età di circa 13 mila anni e la sua particolare conformazione le ha permesso di sopravvivere a un’era glaciale, centinaia di incendi, lunghi periodi di siccità e altri fenomeni atmosferici devastanti. Ha assistito a cambiamenti climatici che noi umani non possiamo nemmeno immaginare. Anche in Italia abbiamo due alberi millenari: un olivo di 3.000 anni vicino a Sassari e il Castagno dei cento cavalli, 2.000 anni, nel Parco dell’Etna. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)


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DAL MONDO

QUATTRO MORTI NELL’AGGUATO, ILScorre TOGOsangue SI RITIRA DALLA COMPETIZIONE sulla manifestazione, ma il governo angolano ha annunciato che la Coppa d’Africa si farà

La squadra del Togo dopo l’agguato (FOTO ANSA) di Emanuele

Piano

l Togo si ritira dalla Coppa d'Africa. “Può venire anche Obama, noi ce ne andiamo”, ha detto alle agenzie Jonathan Ayite, che milita in Francia nel Nimes, annunciando il decesso della quarta vittima del sanguinoso agguato di venerdì contro l'autobus della squadra togolese in Cabinda, provincia separatista dell'Angola. Dopo l'autista, l'addetto stampa ed il vice allenatore, è deceduto ieri a seguito delle ferite riportate anche il portiere, Kodjovi Obilale. L'attacco è stato rivendicato da una fazione ribelle dei separatisti del Flec (Fronte di liberazione dell'enclave di Cabinda) che non ha sottoscritto gli accordi di pa-

I

ce del 2006 con il governo di Luanda. Il governo della Cabinda in esilio, contattato da Il Fatto Quotidiano, ha condannato “questo atto di barbarie da parte di un gruppo isolato”. La Coppa d'Africa, che riunisce le nazionali del continente nero, è finita ancora prima di cominciare. Disputata ogni due anni, la manifestazione continentale, che si giocherà dal 10 al 31 gennaio, è la festa del calcio africano. La sua importanza è cresciuta di pari passo con l'affermarsi dei calciatori dall'Africa in Europa. A pochi mesi dalla prima Coppa del Mondo in terra africana, ospite la prossima estate del Sudafrica, rappresentava il biglietto da visita di un continente che vuole uscire dai cli-

ché di conflitti civili perenni, fame e malattie. Un contributo essenziale lo sta dando il calcio ed i suoi alfieri dall'appeal ormai globale. Didier Drogba nel Chelsea di Carlo Ancelotti e Samuel Eto'o, star prima nel Barcellona ed oggi dell'Inter di Mourinho, sono due fra i giocatori più rappresentativi del continente. Il terzo, Emmanuel Adebayor, che milita nel Manchester City di Roberto Mancini, completa il firmamento. Ed è proprio il capitano del Togo una delle vittime e testimone diretto di quanto successo ieri lungo la strada fra Bicongolo e Chiculu, nella remota provincia della Cabinda, a 500 chilometri dalla capitale angolana Luanda. Era poco dopo le tredici di venerdì quando i due pullman con i bagagli ed i giocatori del Togo superavano la frontiera fra Angola e Congo Brazzaville. Un gruppo di separatisti ha aperto improvvisamente il fuoco con delle mitragliatrici d'assalto prendendo di mira la carovana scortata dalla polizia angolana e seguita da una macchina di giornalisti. Gli spari sono durati oltre un quarto d'ora durante il quale i poliziotti hanno risposto al fuoco ed i giocatori sono rimasti sdraiati sul fondo del-

La kermesse calcistica doveva essere il biglietto da visita per i Mondiali che si terranno tra pochi mesi in Sudafrica

La Cabinda che produce petrolio e in cambio riceve briciole oveva essere una festa, è diventata una tragedia. L'atDla grande tentato contro la squadra del Togo rischia di offuscare festeggiata della Coppa d’Africa: l’Angola. La potenza emergente del continente voleva celebrare il proprio rinascimento dopo 30 anni di guerra civile ospitando l’evento calcistico più importante. Così non è stato e Luanda, ancora una volta, è costretta a fare i conti con i fantasmi del proprio recente passato. L’ex colonia portoghese è diventata indipendente nel 1975 dopo una breve guerra di liberazione, ma le rivalità fra le opposte fazioni in lotta hanno presto tramutato il sogno in incubo. L'Angola è stata quasi trent’anni uno dei teatri di scontro più cruenti della Guerra fredda. Da un lato i sovietici che, assieme ai cubani, lottavano fianco a fianco al Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla), attualmente al potere. Dall’altra i ribelli dell’Unita e del Fnla sostenuti dagli americani e coadiuvati nella guerra dal despota Mobutu in Zaire e dal potente esercito dei boeri sudafricani; un’improbabile coalizione per bloccare l’avanzata del comunismo in Africa. In bilancio del conflitto è stato di oltre 300 mila vittime, milioni di feriti e un paese inondato di mine antiuomo che ancora oggi continuano a mietere il proprio triste raccolto. La pace degli accordi ha portato il presidente José Eduardo Dos Santos ad essere eletto alla testa dell’Angola nel

l'autobus in attesa di conoscere il proprio destino. “Il calcio è un gioco e molti vorrebbero essere al nostro posto, ma non credo che nessuno sia pronto a sacrificare la propria vita”, ha detto Adebayor che ha raccontato di come le immagini dei compagni crivellati di proiettili affollino i suoi incubi. Oltre ai quattro morti, altre otto persone sono rimaste ferite. Fra queste, una versa ancora in condizioni gravi con una pallottola nella schiena. “Volevano colpire una stella del calcio per far parlare dei problemi della Cabinda. Sappiamo chi è stato e lo renderemo noto dopo un giro di consultazioni. Noi vogliamo la pace”, ci ha detto Simao Pedro Mkueka ministro del governo cabindiano in esilio. Human Rights Watch ha chiesto giustizia, ma ha anche denunciato gli arresti illegali e la repressione dei media in Cabinda da parte delle forze governative. La tragedia ha alimentato una polemica fra il Togo e l'Angola. Lomé è accusata di aver fatto viaggiare i propri giocatori via terra dal Congo invece di farli arrivare in aereo in Cabinda come previsto dai regolamenti del torneo. Una scelta che molti commentatori giudicano inspiegabile con l'aggravio che la zona di transito è notoriamente pericolosa e fuori dal controllo delle autorità angolane. Ma nonostante le vittime ed i crescenti timori delle delegazioni degli altri Paesi, l'Angola non intende ri-

IL PAESE DELLA MUSICA

INTANTO IN MALI TERMINA IL FESTIVAL DEL DESERTO

GRECIA

Bomba davanti al Parlamento

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na bomba è esplosa ieri davanti al Parlamento di Atene, non provocando nessuna vittima. Il governo socialista ha parlato di “un attacco alla democrazia”. Il gesto non è stato rivendicato ma la polizia sembra ritenere che sia opera del gruppo anarco-insurrezionalista Cospirazione dei nuclei di fuoco. L’attentato era stato preceduto da una telefonata anonima a un giornale. Chi aveva chiamato aveva preannunciato l'esplosione entro 10 minuti specificando dove si trovava l'ordigno. La bomba, di una certa potenza, è esplosa in un cassonetto a ridosso del Parlamento.

AFGHANISTAN

Governo senza i signori della guerra

I

l presidente afghano Hamid Karzai ha proposto ieri una nuova lista di ministri dopo che il Parlamento aveva respinto il 70 per cento delle nomine da lui fatte in precedenza, che includevano ex “signori della guerra” o loro alleati. Dall’elenco dei 16 ministri sono stati così esclusi il potente leader regionale Ismail Khan e alcuni alleati dell’uzbeko Abdul Rashid Dostum. Il Parlamento esaminerà la lista prima del voto di fiducia, previsto per la prossima settimana.

GERMANIA

U

n continente sconosciuto, l’Africa. Non solo per le tensioni interne e dinamiche geopolitiche che lo governano, ma ancor più per le sue manifestazioni culturali. Ieri, ad esempio, a Essakane in Mali si è concluso il Festival del Deserto (Festival au Desert). Giunto alla decima edizione, l’evento nato per celebrare l’incontro annuale dei Touareg è ormai diventato un appuntamento artistico di portata internazionale. Il panorama musicale del Mali e dell’Africa occidentale è da sempre uno dei più ricchi del mondo. Ma a renderlo noto fuori dall’Africa hanno contribuito Martin Scorsese con il suo documentario “Dal Mississippi al Mali” (2002, in cui il regista va alla ricerca delle radici africane del blues) e Ry Cooder che assieme a uno dei più grandi chitarristi maliani, Ali Farka Toure (scomparso nel 2006), ha realizzato il disco “Talking Timbuktu”. Nei tre giorni di festival quest’anno hanno partecipato musicisti come Salif Keita, Toumani Diabatè e i Tinariwen, una delle band più originali della scena mondiale che mischia blues, rock e tradizione Tuareg. (El. Ba.)

1992. Tuttavia, c’è voluta una soffiata della Cia contro il leader dell’Unita, Jonas Savimbi, nel 2002 per mettere la parola fine alla guerra una volta per tutte. Savimbi è stato ucciso in uno scontro a fuoco con l’esercito angolano spalleggiato da mercenari sudafricani e forze speciali israeliane. Dos Santos, al potere dal 1979 e uno dei presidenti più longevi del continente, dovrebbe portare il paese alle elezioni presidenziali quest’anno. Il regime è accusato di corruzione e clientelismo a favore dei familiari dei reggenti del Mpla e controlla tutti i principali mezzi di comunicazione di massa. Tuttavia, Dos Santos è anche riuscito a far crescere l’Angola con tassi a due cifre. Luanda, capitale distrutta dal conflitto, vive oggi una rapidissima fase di espansione e rinnovamento. I cantieri sono ovunque e gli investitori internazionali fanno a gara per accaparrarsi gli appalti – per la Coppa d'Africa sono stati costruiti tre stadi nuovi di zecca – e le concessioni petrolifere. La guerra, questa volta commerciale, vede le società estrattive occidentali contendersi i pozzi con quelle cinesi. Già perché l’Angola è, con due milioni di barili al giorno, il terzo produttore di petrolio in Africa dietro a Nigeria e Libia. Ed è proprio l’oro nero ad alimentare il perpetuarsi del conflitto nell’unica provincia angolana ribelle: la Cabinda. L’enclave è una piccola striscia di terra incastonata fra la Repubblica democratica del Congo e il Congo Brazzaville. Nonostante non abbia collegamenti terrestri con il resto dell’Angola, la

Autore dell’attentato il Fronte di Liberazione della regione confinante con la Repubblica del Congo

nunciare al torneo ed ha già annunciato che andrà avanti. La kermesse è troppo importante per il governo di Luanda che voleva celebrare la propria rinascita dopo quasi tre decadi di guerra civile. Non è un caso quindi che sui media angolani la notizia dell'attacco contro il pullman della squadra del Togo sia stata data dopo quella sugli ultimi allenamenti della nazionale di casa. L'Angola ha condannato “un atto di una bassezza paragonabile con gli attentati di Monaco nel 1972”. Sono anche le altre squadre presenti ed il comitato organizzatore a non voler rinunciare alla competizione. Il Ghana, che doveva giocare lunedì prossimo contro il Togo proprio in Cabinda, ha espresso la volontà di continuare. Il governo angolano ha convocato ieri una riunione per discutere della sicurezza della Coppa d'Africa. E' stato annunciato un rafforzamento del dispositivo di polizia. Saranno dieci le partite da giocare nel nuovo stadio in Cabinda che era stato scelto proprio per dimostrare il ritorno alla pace nell'area ribelle dopo la firma degli accordi del 2006. Tuttavia, sull'opportunità di proseguire come niente fosse ha espresso un dubbio l'allenatore superstite togolese, Hubert Velud: “Vorrei che almeno fosse posta la questione, visto che un atto di barbarie ci ha colpito mentre dovremmo essere qui a celebrare il calcio africano”.

N

Cabinda produce oltre la metà del petrolio angolano, ma riceve in cambio soltanto il 10% sul valore totale delle esportazioni. Ed è proprio il suo essere aliena rispetto al resto del paese che alimenta dal 1975, anno dell’invasione da parte delle truppe del Mpla finanziate dalla Chevron-Texaco, il separatismo del Flec (Fronte di liberazione dell’enclave di Cabinda). A nulla sono valse le trattative di pace – l’ultimo accordo risale al 2006 – e le ondate repressive del governo di Luanda. La crescita economica, infatti, non ha ancora raggiunto i due terzi di angolani che vivono sotto la soglia di povertà e la metà della popolazione che ancora non ha accesso ad acqua potabile. Anche per questo la ribellione continua e la Cabinda ha deciso di inviare al resto del mondo una cruda testimonianza della propria esistenza. (Em. Pia.)

I cattolici contro la politica della Cdu

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a Chiesa cattolica tedesca attacca la protestante Angela Merkel, accusando il partito conservatore di seguire politiche “nebulose” nell’insegnamento dei valori cristiani. A lanciare le critiche, è stato l’arcivescovo di Monaco di Baviera, Reinhard Marx, nel corso di un’intervista al settimanale “Der Spiegel”. Marx è stato duro anche con la ministra per la Ricerca scientifica, Annette Schavan (Cdu), che sostiene l’uso delle cellule staminali embrionali a scopi scientifici.

MORTE DI UN ASTRONAUTA

Gagarin fu preso dal panico

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uova ipotesi sulla morte di Iuri Gagarin. Una commissione indipendente russa sostiene di aver scoperto la vera causa dell’incidente aereo nel quale nel 1968 morì il primo uomo che andò nello spazio: a far precipitare il Mig sarebbe stata una reazione di panico di Gagarin che, vedendo una presa d’aria scollegata in cabina, avrebbe abbassato troppo velocemente la quota con una picchiata eccessiva.


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Domenica 10 gennaio 2010

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

SONDAGGIO DEL FATTO

PAGELLE 2009 Migliori&peggiori B. pigliatutto

Gianfranco Fini

Giovanna Mezzogiorno

Lost vince Obama sposta un discorso per non sovrapporsi alla serie tv

Lady Gaga La cantante diventa un’eroina nel fumetto Fame

Amori Per il 78 % delle italiane la fiaba è in stile ClooneyCanalis

Follie Paris Hilton annuncia che si opererà per tornare vergine

Massimo D’Alema

Hanno partecipato al sondaggio sul sito Antefatto.it, aperto fino alla mezzanotte del 9 gennaio 2010, in 15.442

DOMANDE

RISPOSTE

Silvio Berlusconi

DOMANDE

RISPOSTE

Miglior Politico della maggioranza

Gianfranco Fini 9714

Peggior programma televisivo

Porta a Porta 3683

Peggior politico di maggioranza

Silvio Berlusconi 7928

Miglior programma radiofonico

Il ruggito del coniglio 752

Miglior politico di opposizione

Antonio Di Pietro 8285

Peggior programma radiofonico

Zapping 876

Peggior politico di opposizione

Massimo D'Alema 8020

Miglior sito internet o blog

Beppegrillo.it 1532

Miglior Ministro

Luca Zaia 1889

Peggior sito internet o blog

Ilgiornale.it 552

Peggior Ministro

Angelino Alfano 2278

Uomo più elegante

Barak Obama 552

Miglior Film

Bastardi senza gloria 923

Uomo meno elegante

Silvio Berlusconi 1067

Peggior film

Natale a Berverly Hills 2408

Donna più elegante

Carla Bruni 578

Miglior Cantante

Battiato 710

Donna meno elegante

Daniela Santanchè 485

Peggior Cantante

Gigi D'Alessio 1210

Uomo più sexy

George Clooney 613

Miglior Attore

Jonny Depp 477

Uomo meno sexy

Silvio Berlusconi 895

Peggior Attore

Christian De Sica 1699

Donna più sexy

Monica Bellucci 371

Miglior Attrice

Giovanna Mezzogiorno 798

Donna meno sexy

Rosy Bindi 513

Peggior Attrice

Michelle Hunzicher 670

Miglior Giornalista Televisivo

Michele Santoro 3203

Miglior Regista

Quentin Tarantino 1038

Peggior Giornalista Televisivo

Bruno Vespa 3272

Peggior Regista

Neri Parenti 1188

Miglior giornalista della carta stampata

Marco Travaglio 5498

Miglior Romanzo

Gomorra 567

Peggior giornalista della carta stampata

Vittorio Feltri 4976

Peggior Romanzo

Amore 14 – 444

Miglior personaggio televisivo (giornalisti esclusi) Fiorello 832

Miglior libro di saggistica

L'odore dei soldi 389

Peggior personaggio televisivo

Barbara D'Urso 1068

Peggior libro di saggistica

Donne di cuori 1313

Miglior spettacolo teatrale

Promemoria di Marco Travaglio 462

Miglior Calciatore

Lionel Messi 1521

Peggior spettacolo teatrale

Gli spettacoli del Bagaglino 374

Peggior Calciatore

Felipe Melo 759

Migliore imprenditore o manager

Sergio Marchionne 763

Miglior personaggio sportivo (extra calcio)

Federica Pellegrini 1518

Peggior imprenditore o manager

Silvio Berlusconi 980

Peggior personaggio sportive (extra calcio)

Flavio Briatore 675

Miglior notizia dell’anno

Bocciatura del lodo Alfano 1465

Miglior programma televisivo

Annozero 4402

Peggior notizia dell’anno

Terremoto in Abruzzo 1678


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SECONDO TEMPO

RIVOLUZIONE GRANDE SCHERMO

NUOVO CINEMA AVATAR

Esce il film di James Cameron, all’avanguardia per gli effetti speciali mai visti prima di Federico

Pontiggia

egnatevi questa data: 18 dicembre 2009. E se vostro figlio vorrà fare (storia e critica del) cinema, confidatela pure a lui: la ritroverà sui libri, prima che poi. Il 18 dicembre 2009 è stata la data di uscita globale di Avatar, con qualche anticipazione e qualche sparuto ritardo, come per l’Italia, dove il nuovo film di James “Titanic” Cameron arriverà con 20th Century Fox il 15 gennaio, in oltre 800 copie, meno della metà – purtroppo – in 3D. Una data da mandare a memoria, perché

S

PALLONATE di Pippo Russo

di Avatar, se non quanto, possiamo già dire come e perché rivoluziona per sempre il cinema come lo conosciamo. Concepito 15 anni fa e partorito solo ora, per i mezzi finalmente messi a disposizione dalla tecnologia, Avatar non solo riscrive, anzi sovrascrive, il genere fantascientifico, come puntualmente avvertito dalla critica Usa e plaudito da uno che se ne intende, Steven Spielberg, che l’ha salutato per impatto come un nuovo Guerre stellari, ma riaffeziona il pubblico al sogno del cinema, al sogno industriale della settima arte, perché fa

Un’immagine tratta dal film “Avatar” di James Cameron

cui si muovono a uso e consumo della performance capture e della motion capture, bensì il prodotto (semi)finito, ovvero il loro alter ego (avatar, appunto) risultante dalle immagini CG (Computer Grafica) inviate dai computer posti sul perimetro del Volume. Nessuno l’aveva fatto prima, e non c’è bisogno di saperlo per comprenderlo: parleranno i vostri occhi. Non bastasse, è arrivata pure la Simul-Cam, per integrare in tempo reale personaggi e ambienti CG con le sequenze live-action (in carne e ossa, in poche parole) e vederli nella Fusion Camera, e poi… c’è il 3D. Che Cameron usa come se lo facesse da sempre, senza cedere a facili lusinghe – corpi e oggetti gettati in platea a fare “spettacolo” – per creare profondità di campo, che dal Quarto in poi fa appunto Potere cinematografico, e rendere attivo e “regista” lo spettatore, ponendo virtualmente la camera tra di noi, per inquadrare nuche e felci davanti a tutto come diaframma, ossia tangibile spia, scoperto accesso della nuova visione possibile. Se, a tal proposito, A Christmas Carol era un buon antipasto, Avatar è un pasto completo, che non ha bisogno di altre portate, condizione necessaria e (più che) sufficiente per chiedere, se non pretendere, dal cinema qualcosa di più, qualcosa di meglio. A partire da oggi. A partire da quel miliardo 135 milioni 383 mila e 289 dollari che dopo venti giorni di programmazione – certo, il 3D costa di più – mette Avatar in coda al solo Titanic dello stesso Cameron tra i maggiori incassi di sempre, dato che

dovrebbe convincere a un altro cinema (è) possibile anche quello attento ai numeri e basta. Ancora, Avatar, che avrà come più serio candidato agli Oscar The Hurt Locker, il dramma antimilitaristico e fantascientifico – pure questo – dell’ex signora Cameron, Kathryn Bigelow, in una sfida (post)matrimoniale tutta da seguire, rimette il cinema al centro del nostro immaginario collettivo, riguadagnando un peso specifico che ha fatto sfidare a Barack Obama e figliolette i divieti, anzi i consigli, della censura stelle & strisce e ha fatto insorgere la destra Usa, refrattaria al messaggio semplicemente, non

Concepita 15 anni fa e realizzata solo ora, grazie alle nuove tecnologie, la pellicola riscrive il genere fantascientifico

INCIAMPI IN ROSA

il momento di lanciare un appello: salviamo il soldato Laudisa. Bisogna difendere la sua dignità professionale, o almeno ciò che ne resta. Il suo giornale, la Gazzetta dello Sport, lo obbliga a ripetute interviste col geom. Adriano Galliani. Il quale già a vederlo una volta all’anno basterebbe per farsi prendere dalla voglia di lanciarsi in esperienze catartiche (tipo arruolarsi nella Legione Straniera, o testare su se stessi il vaccino contro l’influenza A). Figuriamoci come ci si possa sentire a dover incontrare tre volte nel giro di due mesi il mero braccio destro del Cav. per quello che riguarda le cose calcistiche. È esattamente ciò che è successo allo sventurato Laudisa, come può constatare chiunque segua la nostra rubrica. L’ultima volta è stata nella settimana che si chiude oggi. Nell’edizione di venerdì 8 gennaio è arrivata l’ennesima intervista a doppia pagina. Che ormai in Gazzetta sta diventando una sorta di monoscopio. Per fortuna Laudisa, nonostante si avversa condizione, riesce a difendere la dignità professionale ponendo al geom. interrogativi spietati, da cronista d’assalto. Tipo i seguenti: “Ringhio era al rientro”; “Ha nostalgia delle sfide bianconere dei bei tempi?”; “Con la

È

venir voglia di sapere, prima di tutto, prima della storia stessa, come è stato realizzato, come tutto ciò sia stato (reso) possibile. Se doverosi ringraziamenti vanno portati a Peter Jackson e alla sua neozelandese Weta Digital, che ci ha messo più del solito zampino, il merito principale è “virtualmente” di Jim Cameron, che ha inventato la Virtual Camera per riprendere non gli attori nel Volume, il teatro vuoto in

Juve c’è sempre stato buon feeling”; “Allora va tutto bene?”; “Huntelaar resta?”. Un crescendo temerario, che ha toccato il picco con la domanda da kamikaze: “Ha avuto successo, invece, la mostra Milan 110 e lode”. Un eroe dell’informazione come questo va protetto, specie di questi tempi. Fra l’altro nella medesima edizione della rosea il geom. Galliani ha avuto gli onori della cronaca in virtù di una delle sue notorie impennate d’ingegno. Come riferiva un articolo siglato “ro. pe.” (Roberto Pellucchi, presumibilmente), ecco cosa il geom. ha pensato: “Al consiglio di Lega del 15 proporrò per la prossima stagione di multare le società i cui stadi hanno campi da gioco rovinati. La multa dovrà essere superiore al costo per la rizollatura”. Ma che genio! E allora ci spieghi pure quando un terreno, in cattive condizioni, può definirsi “rovinato”. Quando c’è una radura? Quando l’erba è spelacchiata in modo uniforme? Quando una holding privata regala “disinteressatamente” a un’amministrazione comunale un progetto di rifacimento dello stadio che distrugge per sempre il campo da gioco, causa sfalsamento del micro-ambiente?

SULLA GAZZETTA IMPERVERSA GALLIANI E LE TRE DOMANDE A CARESSA SONO QUATTRO

Ancora in quell’edizione della GazzetAdriano Galliani (F A ) ta, l’esperta di cose televisive Gabriella Mancini ha intervistato Fabio Caressa. Oggetto della chiacchierata, la prima prova di costui nella funzione di conduttore di Sky Calcio Show, in sostituzione di Ilaria D’Amico. L’intervista è stata inserita in una rubrica il cui titolo è “Tre domande a…”. E a dire il vero le domande rivolte a Caressa erano 4, ma non stiamo a sottilizzare. Perché il punto più grottesco dell’intervista è stato quando Caressa ha affermato: “Io sfrutto un po’l’amicizia che c’è con giocatori e allenatori e cerco qualche sorriso: sono tutti stanchi della tv urlata”. Detto dal teorico della tv sussurrata…Altro grande campione della tv satellitare è Alessandro “Ciro” Alciato, un participio passato come Venerato, nonché giornalista che ai bei tempi non avrebbe mai preso nemmeno un caffè con Luciano Moggi. Impegnato da bordocampista durante Milan-Genoa, il participio passato ha informato d’essere impegnato a contare i pugni sferrati dal tecnico genoano Gasperini alla panchina. Fin lì si era a quota due. E magari, se Gasperini avesse appioppato il terzo ad Alciato, avremmo anche cominciato ad avere qualche informazione essenziale da bordocampo. pipporusso@unifi.it OTO

NSA

semplicisticamente, pacifista del film, che stigmatizza il bushista ricorso al “terrore contro il terrore”. Ebbene sì, Avatar ha anche una storia, nutrita innanzitutto di Storia del Cinema, alta e bassa in sinergia, come piace a un autore spettacolare come Cameron, vecchia e nuova: da Alice nel paese delle meraviglie, quando scopriamo il pianeta Pandora e ci batte il cuore, al Viaggio sulla luna di Méliès, addirittura passando per i Terminator di casa Cameron, fino a Robocop, Matrix, A.I., Star Wars, Stargate e ai coevi District 9 (fondamentale, per il ribaltamento del Noi e Loro) e Il mondo dei replicanti, per approdare all’inestinguibile tenerezza di E.T.. Perché la science fiction di Cameron – che prossimamente prenderà da Asimov, darà un sequel ad Avatar o racconterà una Hiroshima inedita, o tutte e tre le cose – è umana, irrimediabilmente umana, nella misura più alta, più piena, quella della gratuità: Avatar dona all’altro da noi il privilegio principe della nostra razza, quello di dare un nome alle cose e un’identità alle persone. Sul pianeta Pandora, raggiunto nel 2124 e messo a ferro e fuoco trent’anni dopo per accaparrarsi l’energia che la Terra non ha più, siamo noi (a essere nominati) alieni, educati ed edotti da una popolazione indigena, i Na’vi, fieramente ospitale nel blu dipinto di blu. Educazione a basso, infimo consumo, che predica la fusione panica di Uomo e Natura, con un Albero Casa che fa tanto Miyazaki (Totoro), dinosauri e “mostri” da Jurassic Park eco-affettivo ed echi baudelairiani: “La natura è un tempio”. Analfabeti che siamo, faremo parlare le armi, predators volanti ed esoscheletri terrestri, per carpire un’energia entropica, un obsoleto carbone industriale, mentre la Natura è già in rete da millenni: per arginare l’ennesima, apocalittica Cavalcata delle Valchirie, ci vorrà un disabile, difettoso per la Terra e quindi permeabile da Pandora, l’ex marine paraplegico e ignorante Jake (Sam Worthington, ottimo al pari della avatar Zoë Saldana, del colonnello stolido e cattivo Stephen Lang e della “terminale” Sigourney Weaver), che troverà l’amore della sua maestra Neytiri (Saldana) e offrirà ai Na’vi la propria umanità, forte di un handicap mutuamente salvifico. A metamorfosi avvenuta, aprirà gli occhi, anzi, un occhio: Cameron si ferma, non va – non può – oltre. Li apriamo anche noi. Ma qualcosa è cambiato. Per sempre.


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SECONDO TEMPO

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

pitale dello Yemen, in cui Pasolini girò alcune scene de “Le mille e una notte”, la dimostrazione che il multiculturalismo non riguarda solo le metropoli occidentali. Qui il nigeriano Faruk aveva studiato prima di intraprendere la sua carriera di terrorista. “Ci sono ragazzi che vengono dall’Asia, dall’Africa, da tutto il mondo”, spiega Figorilli, entrando in una scuola, dove alcuni anni fa c’era lo stesso Faruk. “Conosciamo bene la sua storia – dice uno dei ragazzi intervistati – ha scelto una strada sbagliata e soprattutto contraria alla religione islamica”.

I bambini di Bin Laden di Paolo Ojetti

g1 T “Aprire una scuola – scriveva Victor Hugo – è chiudere una prigione”. Ma il ministro Gelmini, invece, le preferisce chiudere, di fatto, ponendo il tetto del 30% ai bambini stranieri. Perfino il prudente Tg1 sembra rendersi conto dell’enormità del provvedimento. Nel servizio di Donatella Negri vediamo una scuola elementare di Milano: 721 ragazzi, di cui il 50% stranieri, di 26 nazionalità diverse. La telecamera indugia un istante su una bambina dai caratteri somatici asiatici, che solleva la mano salutando col segno di Churcill, ignara dello scenario che si delinea dal prossimo anno per migranti come lei. Altro che vittoria. Da settembre il 20% di loro nelle prime classi dovrà traslocare. Destinazione: ignota. Il Preside solleva una mite obiezione, chiarendo che vuole leggere bene la nota del Ministro, vuole “capire che cosa significhi straniero”, perché il 90% di quei bambini, pur non avendo la cittadinanza italiana, è nato a Milano. Tanti piccoli Balotelli, sballottati chissà dove dal vento del trionfante populismo di regime.

T

g2 Nel servizio di Angelo Figorilli da San’a, ca-

g3 T “The children of Bin Laden”. Titolava così la copertina di “Newsweek” con il volto di Faruk. Anche il Tg3 visita la scuola in cui il giovane nigeriano aveva studiato arabo. Lo ricordano due compagni, uno americano, l’altro di Singapore. “Un ragazzo tranquillo, gentile, molto religioso. Non ha mai menzionato Al Qaeda né parlato di politica con noi. Rifiutava quasi sempre di mangiare in compagnia. Siamo shockati”. Il direttore spiega che qualcuno di quei ragazzi che vengono a perfezionare la lingua può avere certo dei sentimenti antioccidentali, ma Faruk non sembrava affatto un’estremista. Piuttosto un ragazzo con problemi psicologici, che su internet scriveva : “Mi sento depresso, penso che la mia solitudine potrà condurmi ad altri problemi”. “E’ triste – osserva Alex, il ragazzo americano – che quanto è successo getti una cattiva luce su tutto lo Yemen. Qui la gente è religiosa, certo, ma è ospitale. I fondamentalisti sono pochissimi”.

di Fulvio

La vecchina fa share Abbate

iceva Alberto Sordi che in Dla vecchia”, “televisione vince sempre nel senso dell’anziana che non esce mai di casa, la vera perfida tiranna domestica, l’arpia cui, nel tempo, è toccato di diritto il dominio dapprima sulla manopola e in seguito sul telecomando. Sordi così spiegava al collega “doroteo” Corrado (Mantoni) scatenando d’istinto la risata, la complicità, la consapevolezza sullo stato delle cose di un intero Teatro delle Vittorie ancora fermo, fisso nel bianco e nero. Forse perfino conquistando ulteriormente la vecchina, la stessa che, lo abbiamo appena detto, determina gli ascolti, meglio, i regressi dell’intrattenimento e del pensiero nazionale. Passano gli anni e tuttavia nella mente degli autori la fiammeggiante Vecchia è sempre lì a troneggiare, forte del suo scettro implacabile, brandito come fosse il gran catetere del gusto e del futuro della programmazione. Anche “I raccomandati” (RaiUno) deve essere un format determinato dall’inaffondabile arpia cui accennava perfidamente Sordi, nonostante quest’ultima, nel frattempo, abbia fatto perfino in

tempo a essere stata ragazza, a evolversi, a vivere addirittura l’esperienza delle canne e degli acidi, nel senso delle droghe psichedeliche e dell’Lsd. In caso contrario non sarebbe possibile mettere insieme un combinato disposto spettacolare e antropologico che riesce a mostrare, nell’ordine, il futuro re d’Italia Emanuele Filiberto di Savoia (chi può escludere che, come già Franco con Juan Carlos, Berlusconi a breve non lo designi al trono per una “transizione democratica”?), Valeria Marini (nei panni, anzi, nelle calze contenitive di Valeria Marini), Pupo, cioè l’uomo del miracolo e non meno del mistero (ma come fa a esserci e riesserci sempre: dov’è il suo segreto di ormai eterna riconferma, resurrezione?), e infine, fuori concorso, la giovane Giorgia Luzi, flebile segno di speranza di un futuro per le classi giovanili. Gli ospiti settimanali, cui spetta accompagnare il concorrente, servono a colmare gli ulteriori desiderata della strega, ogni altro suo bisogno di identificazione con le prime polluzioni Emanuele Filiberto di Savoia, prossimo concorrente del Festival di Sanremo

della Rai. C’è Don Backy, l’ex rivale di Celentano, lo stesso che un po’ di anni fa quasi si trovò a trionfare in una trasmissione già remake quale “Una rotonda sul mare”. C’è Massimo Ranieri, reliquia vivente d’eterna giovinezza del servizio pubblico. Non proprio ieri, il sottoscritto rammenta ancora gli occhi della propria nonna (e riecco la Vecchia) che ne attendeva ansiosa l’apparizione nella Canzonissima di allora, cioè “Scala reale”, ed era il 1966, così come, qualche anno dopo, al cinema nei panni di “Metello”, cose che ti fanno ripensare alla fine della giovinezza e perfino alla fine della sinistra come forza d’opposizione popolare, romantica. E per concludere Loredana Bertè, e anche lì intanto che la vedi accanto ai suoi “raccomandati” pronti a eseguire “E la luna bussò”, la frezza alogena, la minigonna ardita su un abito da vedova di se stessa sulle cosce ancora da ragazza, ti sorge il dubbio che sia il sole a girare intorno alla terra, nell’attesa che la Vecchia sollevi nuovamente verso il cielo il telecomando, meglio, il catetere, e domani è un altro giorno. Sì, domani si replica. www.teledurruti.it


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SECONDO TEMPO a cura di Stefano

Disegni - rubrica.sandokan@gmail.com

SATIREu & SATIRIASI SGOOD NEWS di Riccardo

Cochetti

- L’anatema domenicale del Papa contro ciarlatani ed economisti ha fatto giustamente infuriare Tremonti, che ha sdegnosamente rifiutato l’accostamento della sua categoria a quella a lui completamente estranea degli economisti. Continua invece a crescere la polemica del PD contro l’Italia dei Valori: per i democratici è comprensibilmente insopportabile dover considerare il partito di Di Pietro il miglior alleato di Berlusconi, ruolo che loro rivendicano con il dovuto orgoglio. - E’ nel frattempo emersa l’autocandidatura della Bonino nel Lazio, che se pure sortisse il solo risultato di convincere la Binetti ad abbandonare il PD rappresenterebbe il più grande successo politico del partito negli ultimi anni.


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fatti di vita

PIAZZA GRANDE a campagna elettorale della Lega è incominciata alla grande. Con tutti gli ingredienti di un colossal del cinema. Va bene un grande scontro fra neri e bianchi, fra pacifica popolazione civile e brutali clandestini che escono dal buio, invadono la città, rovesciano auto con a bordo donne e bambini, assaltano abitazioni, fanno blocchi stradali e – vedi foto – fanno muro, un muro di pericolosi uomini neri tutti fuorilegge, contrapposto alle forze dell’ordine? Va bene una folla di donne e bambini bianchi che si accalcano nella piazza del comune e gridano insulti al commissario prefettizio (giunta e consiglio comunale sono sciolti da un anno per infiltrazioni mafiose) perché il commissario ha mandato cibo “ai negri” e non protegge la gente per bene? Va bene una donna bianca che ha abortito per la paura, ovviamente la paura dei “negri” (come intitola “Il Giornale”)? Bastano tre feriti gravi, alcuni giovani sparati alle gambe (pensate che strumento di sopravvivenza sono le gambe a quell’età) altri investiti da auto in corsa, uno quasi ucciso a sprangatei? Va bene questa sequenza caotica di due razze che si confrontano, in cui una deve vincere per restare padrona del proprio territorio e l’altra, quella clandestina e – adesso lo vedete, ma la Lega lo aveva detto – immensamente pericolosa, deve essere portata via, detenuta finalmente nei centri di identificazione e poi via espulsa, “rimandata a casa”, come dice Bossi da anni? Tanto di cappello. Da Rosarno (in Calabria) è andato in onda un grande spettacolo, che potranno intitolare “Terrore nero” o “Criminale e clandestino” e che porterà un mare di voti nelle regioni del nord. Se la Lega conquista quelle regioni, la prima guerra di secessione è vinta. Ed è vinta la battaglia delle famiglie bianche contro “l’invasione dei corpi neri”. È vinta non a Ponte di Legno ma in provincia di Reggio Calabria. Volendo essere precisi ci sono alcune correzioni al copione del grande spot elettorale leghista che ho sin qui riassunto. Uno. Tutti i feriti, anche quelli più gravi, anche quelli investiti da auto e abbattuti sull’asfalto sono pericolosi uomini neri. Sono insidiosi clandestini, quelli finiti all’ospedale. Non si ha notizia di feriti fra uomini, donne e bambini bianchi, nonostante il tremendo assedio. Due. Nessuna delle scene più toccanti (la folla dei corpi neri che tiene bloccata l’auto di donne e bambini bianchi terrorizzati, la giovane donna che abortisce per il terrore) è mai avvenuta. Spiace per gli effetti speciali così cari alla destra, ma nulla di tutto ciò è accaduto nella vera, triste vita dei corpi neri di Rosarno. Tre. “L’invasione di Rosarno” e la stretta intorno al pacifico e ridente villaggio solo un po’ infiltrato di ‘Ndrangheta, non è un fatto improvviso o recente. Sono vent’anni che ondate successive di clandestini, trattati come schiavi e – non pochi –

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Sono vent’anni che i clandestini, trattati come sottouomini e – non pochi – morti lavorando, ovvero di sete, di fame, di botte sui campi di agrumi e di pomodori, si susseguono in giornate che durano 18 ore, pagate venti euro morti lavorando, ovvero di sete, di fame, di botte sui campi di agrumi e di pomodori, si susseguono in infinite giornate di lavoro che durano 18 ore, sono pagate venti euro (meno cinque di “tassa”, meno cinque di “trasporto”) e dove non c’è casa, non c’è acqua, non c’è rifugio. I cronisti più attenti di alcuni quotidiani decenti hanno indicato le dimensioni del dramma. Circa 20.000 giovani uomini, molti clandestini e molti “regolari”, in cerca disperata di un lavoro e di una paga. Clandestini criminali? Solo Roberto Saviano ci ha spiegato – parlando di sua iniziativa in luogo delle voci autorevoli che in questa Italia tacciono, Chiesa inclusa – che la rivolta dei corpi neri apparsi all’improvviso nella notte di Rosarno (dopo che qualche buon cristiano aveva centrato due di loro con armi ad aria compressa) sono stati i primi e soli a ribellarsi alla criminalità che, in quella regione, control-

la la vita e la morte. I cittadini sono abituati a un rapporto diverso con il potere, legale o illegale. Alla ribellione dei neri hanno reagito, hanno sprangato, sparato alle gambe, investito con l’auto di famiglia i pericolosi clandestini criminali. E in molti hanno ripetuto in faccia alla polizia: “E’ la legge, quelli sono clandestini. I clandestini sono criminali e dovete cacciarli”. E non sapevano, nel paese in cui tutti sono emigrati un secolo fa, che clandestino vuol dire migrante. Non sapevano, a Rosarno, che ripetevano la parola d’ordine della Lega. È il governo della Lega. Controlla il nord ma infetta l’Italia. L’immagine di un clandestino come corpo da sfruttare (“sfruttati” è la definizione del cardinale Bertone) per essere poi cercato, arrestato, detenuto ed espulso (eventualmente lasciato, nei tempi liberi, all’iniziativa dei cittadini) non è solo di Tosi a Verona, di Gentilini a Treviso, di Borghezio a Torino, di Cota alla Camera, di Maroni al governo. Ha ragione “Famiglia Cristiana” (n. 12 - 2008) quando titola “il governo è nelle mani di Bossi”. E così, in un paese inquinato di

violenza e di sentimenti di cattiveria e disprezzo verso gli immigrati, la campagna elettorale della Lega nord per l’indipendenza della Padania si apre a Rosarno (Reggio Calabria). Sapete qual è il vero problema? Lo dice, per la Storia, il ministro dell’Interno Roberto Maroni mentre a Rosarno sparavano e gambizzavano: “In Italia c’è troppa tolleranza”.

LA STECCA di INDRO

di Silvia

Truzzi

LA SIGNORA SI È STUFATA S

Loro, gli schiavi di Furio Colombo

É

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Un vero referendum sulla volontà di secessione del nord Italia potrebbe essere un’idea. Sono infatti certo che, alla domanda “Vuole la Costituzione di un nuovo Stato padano?”, la maggioranza dei settentrionali risponderebbe “No”. Non per amor di patria, sia chiaro. Ma perché la prospettiva di essere governati dagli amici di Bossi mette, diciamocelo, spavento La stanza di Montanelli, 22 settembre 1997 Susan Sarandon (FOTO ANSA)

usan Sarandon – premio Oscar per “Dead man walking”, strepitosa interprete, gran donna soprattutto – e Tim Robbins si sono lasciati. Si è immediatamente parlato di scappatelle. La signora (all’alba dei 60, portati con rughe e classe: insomma, l’opposto di Sophia Loren) avrebbe una relazione con il giovane (30 anni meno di lei, per dire) regista Jonathan Bricklin. La voce, circolata insistentemente, è stata smentita: tra i due solo rapporti di collaborazione professionale. Chi invece non ha nessuna intenzione di smentire è Allegra Mostyn-Owen, ex moglie 45enne del sindaco di Londra Boris Johnson. Gaia di nome e di fatto: ha sposato in segreto un musulmano di 23 anni. E spiega al quotidiano londinese “Evening Standard” di essere disposta ad accettare che il suo nuovo marito sposi altre donne per avere figli, come previsto dalla religione musulmana. Restiamo in zona: l’Irlanda è sotto choc in questi giorni perché Iris Robinson, moglie sessantenne del primo ministro Peter Robinson (già soprannominata Mrs Robinson come la matura seduttrice de “Il Laureato”) si è ficcata in un pasticcio con un baldo 19enne. La first lady è parlamentare a Westminster e dell’assemblea nordirlandese di Stormont e avrebbe violato la legge per non avere reso pubblico un prestito da 50.000 sterline che girò generosamente al giovane Kirk McCambley, oggi 21enne, per aiutarlo (compresa un’azione di lobby per ottenere la licenza) ad aprire un bar. Poi ci sono stati pentimenti, un tentativo di suicidio, le dimissioni dalla vita politica, le pubbliche scuse al marito: “È stato un momento di smarrimento, una sciocchezza”. Amanti giovani, denaro, potere: classica storia, anche se al contrario. Una specie di pari opportunità dello squallore. Niente di cui stupirsi: se non altro Mrs Robinson ha aiutato il suo giovane amico ad aprire un locale (tanto rumore per un caffè, ancorché irish), non gli ha offerto un incarico di governo come accade a latitudini più meridionali. Però di queste tre storie colpisce la sindrome di Demi Moore (non ce ne vorrà Antonella Clerici se non la citiamo, ma lei non fa ancora tendenza nonostante il Festival di Sanremo alle porte). Di età e amore si parla spesso, signore e signorine hanno sbraitato per anni che il lolitismo non doveva essere un diritto solo maschile. Ora non è più così: le donne scelgono chi amare (o con chi fare un giretto, come la first lady irlandese) e per fortuna perché non c’è nulla di più prezioso della libertà, dell’anima sovrana, della possibilità di vivere come si vuole. Però la natura ha un vizio assurdo, ed è quello di disegnare confini non valicabili: se gli uomini possono avere figli fino a età avanzatissime, per le donne il tempo è tiranno. Ma l’amore non muore nel perimetro della famiglia e della procreazione. Sarà per questo – curiosità, mistero, inermità – che continuiamo a discuterne. s.truzzi@ilfattoquotidiano.it

La crisi e il ritorno agli anni Ottanta di Vladimiro Giacché*

a notizia è di fine dicembre, e la maggior parte dei giornali l’ha confinata in poche righe. Ma avrebbe meritato maggiore attenzione: il servizio studi della Banca d’Italia, in una ricerca sulla crisi internazionale e il sistema produttivo italiano, ha fatto piazza pulita di tutte le fandonie di questi mesi sulla presunta buona tenuta della nostra economia. Con queste parole: “Rispetto ai massimi toccati all’inizio del 2008, nel secondo trimestre dell’anno in corso l’indice della produzione ha segnato una diminuzione cumulata prossima al 25 per cento, con il risultato che, nella scorsa primavera, il volume delle merci prodotte si era riportato al livello della metà degli anni Ottanta. Nella media dell’area e nei suoi principali paesi, il calo è stato inferiore. Misurato in termini di trimestri persi, cioè di quanto indietro nel tempo sono tornati i livelli della produzione, la maggiore gravità della L’Italia è tornata situazione italiana risulta evidente: i 12 e i ai livelli di 13 trimestri di Francia e Germania si conproduzione frontano con i quasi dell’Italia”. I triindustriale del 1986. 100 mestri perduti sono Ma non è tutta colpa per l’esattezza 92: la produzione a metà della crisi che ha 2009 si è quindi attestata agli stessi livelli solo reso evidenti del secondo trimestre 1986. Fanno 23 ani limiti di un sistema del ni: non abbiamo perso il lavoro di una generain stagnazione zione, ma poco ci da quindici anni manca.

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Un primato poco invidiabile, reso possibile dal fatto che in Italia la crisi è arrivata dopo un lungo periodo di stagnazione, databile dalla seconda metà degli anni Novanta. Cioè da quando sono finite le svalutazioni competitive che periodicamente rianimavano le esportazioni italiane (l’ultima è del 1995). A questo punto le imprese avrebbero dovuto cambiare gioco, puntando sull’innovazione di prodotto e soprattutto di processo. Hanno preferito premere l’acceleratore, più ancora che in passato, sugli altri due pedali tradizionalmente adoperati: il basso costo del lavoro e l’evasione fiscale. Solo così si spiegano i dati apparentemente contraddittori esibiti dall’economia italiana in questo periodo. Da un lato la produttività del lavoro ha un andamento pessimo (scende all’1,7 per cento negli anni 1992-2000, ed è addirittura nulla dal 2000 al 2008), e il Prodotto interno lordo ristagna: negli anni 1999-2009 la crescita complessiva è stata appena del 5,5 per cento, mentre i paesi dell’area dell’euro crescevano in media del 13,5 per cento. Dall’altro, i profitti non solo tengono, ma crescono: dopo il 1993 sono aumentati per tutti gli anni Novanta, sia in percentuale del Pil sia come quota sul valore aggiunto, e lo stesso è avvenuto anche nei primi anni Duemila. Come è possibile? In un solo modo: attraverso un gigantesco trasferimento di ricchezza a danno dei salari. E infatti negli ultimi venti anni in Italia il valore degli stipendi rispetto al Prodotto interno lordo è crollato del 13 per cento (contro un calo dell’8 per cento nei 19 paesi più avanzati). Oggi le buste paga italiane sono scivolate al posto numero 23 (su 30) nella classifica dei paesi più industrializzati dell’Ocse, e risultano inferiori del 32 per cento rispetto alla media dell’Europa a quindici. A questo va poi aggiunta un’evasione fiscale da guinness dei primati, ben testimoniata dai 95 miliardi di euro appena condonati al prezzo di un obolo del 5 per cento. In 10 anni, siamo già alla terza amnistia fiscale

(solo all’estero però la si chiama così: in Italia, regno degli eufemismi, si preferisce parlare di “scudo fiscale”). Ed è grave. Perché, anche se di rado ci viene rammentato, l’evasione fiscale non è soltanto una vergogna (e un reato), ma è anche disastrosa dal punto di vista economico. Amplifica le disuguaglianze sociali, rende impossibile affrontare il problema del debito pubblico e distorce la concorrenza. Ma soprattutto perpetua un handicap storico del nostro sistema produttivo: il nanismo delle imprese. Sino a non molto tempo fa impazzava la retorica del “piccolo è bello”, delle piccole imprese capaci di sfidare le leggi dell’economia facendo a meno delle economie di scala. La verità era ed è un’altra: in Italia in molti casi il consolidamento industriale che sarebbe stato necessario è stato evitato grazie a quel particolare abbattimento dei costi di produzione rappresentato proprio dall’evasione. Imprese che sarebbero state fuori mercato se avessero pagato le tasse, si sono autoridotte questo costo e così sono riuscite a fare profitti (perlopiù poi non investiti nella produzione, ma dirottati sul patrimonio personale dell’imprenditore). Tutto questo ha concorso a far scivolare il nostro sistema economico verso una frontiera competitiva arretrata, imperniata sulla competizione di prezzo, anziché sulla qualità e sul contenuto tecnologico dei prodotti, in concorrenza con i paesi emergenti e di nuova industrializzazione: una battaglia persa in partenza. È qui che va ricercata la radice della stagnazione economica del nostro paese e della batosta economica che si è profilata nei primi anni del nuovo secolo, quando la riduzione dei dazi all’importazione di molti prodotti ha messo fuori mercato numerose nostre produzioni. È su questo spiazzamento competitivo che la crisi mondiale iniziata nel 2007 si è innestata, infierendo ulteriormente. Sarebbe urgente invertire la rotta. Si sta facendo il contrario. *economista e partner di Sator spa


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SECONDO TEMPO

MAIL Rosarno, gli schiavi, la ‘Ndrangheta Ora che la violenza è esplosa, governo e opposizione si beccano come galli sulle responsabilità della rivolta di Rosarno. Mai le responsabilità sono state così ben condivise. Da troppo tempo si sa che la Piana di Gioia Tauro, e non solo, è territorio di dominio esclusivo della ‘Ndrangheta, mentre le istituzioni dello Stato latitano nonostante gli sforzi, che implicano gravi rischi, per magistrati e forze dell’ordine, insufficienti per numero e mezzi e per la mancanza di un tessuto sociale e imprenditoriale in grado di offrire alternative di lavoro che non siano manovalanza del crimine. Da quanto tempo è noto che nella raccolta dei prodotti agricoli domina il caporalato, imposto dalle “famiglie” che schiavizzano gli immigrati facendoli lavorare e vivere in condizioni disumane per un pugno di centesimi al giorno senza alcun diritto? Ora è esplosa con la violenza l’esasperazione degli “schiavi”, e i “cittadini” di Rosarno, indignati e colpiti, chiedono l’intervento dello Stato. Ma dov’erano quando le “famiglie” hanno schiavizzato gli extracomunitari sotto i loro occhi? Davvero pensavano che gli immigrati dovessero essere riconoscenti perché, così dicono, davano loro qualche indumento o qualche tozzo di pane? Pensavano così di aver comprato la dignità di quelle persone? A indignare non deve essere come dice Maroni la “troppa tolleranza”, ma la condizione di schiavitù delle persone immigrate che impera nella Piana di Gioia Tauro così come in tante altre zone d’Italia. E’ una vergogna della politica, è una vergogna dello Stato. Si vergognino quei cittadini che stanno zitti. Mario Sacchi

BOX A DOMANDA RISPONDO AL DI SOPRA DELLE PARTI

Furio Colombo

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aro Colombo, ho letto quest’oggi (29 dicembre) sulla sua rubrica “A domanda rispondo” la sua risposta alla mia letterina. Mi permetto di precisare che oltre ad avermi tagliato ingiustamente per poi riprendermi su quell’argomento, lei mi ha frainteso, interpretandomi come un “provocatore” o un “convinto brunettiano”. Non è così. Lei ha interpretato il mio bisogno di trasparenza in un bisogno di gogna sull’opposizione televisiva fatta dai vari Fazio e Dandini. Non voglio nascondere il costo dei programmi televisivi di destra o di sinistra, ma cercare di non fare con i personaggi televisivi di sinistra, come si fa con quelli a favore del “potere” di centrodestra, vedi Vespa e Tg1. Non amo mettere alla gogna i sinistroidi della Rai, ma nemmeno salvarli solo perché sono all’opposizione di Berlusconi! Però sarebbe bene incominciare a fare pulizia in casa nostra come anche Flores d’Arcais ha chiesto ad Antonio Di Pietro per l’IdV. Siamo noi che dobbiamo dare l’esempio e incominciare a fare cose buone e ben fatte, con trasparenza. Però non assolvo né tollero che nei programmi come quello di Fazio si arrivi a pagare al solo conduttore una parcella di oltre 2 milioni di euro! È una follia oggi come oggi, in questi tempi. Piero Cappelli

C

IL LETTORE Piero Cappelli torna a

scrivere e lancia un ammonimento: “Facciamo pulizia in casa nostra”. Gli chiedo scusa se troverà solo una parte del suo testo (il “Fatto” è un grande-piccolo giornale, come ci ha detto un altro lettore). Ma il senso è chiaro. E spero che sia chiaro anche il mio dissenso. E’ proprio la sua frase-chiave che mi guida: “Cominciamo con il

fare pulizia in casa nostra”. Faccio notare a Cappelli che “noi” non abbiamo una casa. Alcuni superstiti di una cultura estranea alla maggioranza e al governo sono ancora (per quanto?) al lavoro nella televisione di Stato, ormai fraternamente affiancata a Mediaset e controllata (nonostante altre brave persone con un onorato passato siano distribuite nella Rai qua e là) dalla stessa persona, fino al punto da fare nella stanza di casa (residenza) privata nomine, palinsesti e assegnazioni di grandi eventi. Se non abbiamo una casa, come possiamo cominciare a fare pulizia? Stiamo qui a discutere ma nessuno di noi (noi, i senza potere) ha alcun titolo per sapere, verificare e rendere pubblico il compenso di Fazio. Se circola una cifra è perché ce l’ha fatta sapere qualcuno a nome del controllore supremo. Se il controllore supremo vuole che lo sappiamo è perché così ha stabilito secondo il suo potere e convenienza. Ora io potrei dire che non voglio ubbidire a un ordine del padrone che ci ha spinti a questa discussione nella quale ci ha persuasi persino che abbiamo una casa (ovvero che ci lamentiamo ingiustamente perché abbiamo tuttora un bel po’ di potere). Ma non è vero. Non controlliamo nulla e, per quanto ci riguarda, possono pubblicare in ogni momento cifre vere, cifre false o far seguire una poesia di Bondi ad ogni trasmissione. Dovremmo “dare l’esempio” di che cosa, a chi, Piero Cappelli? C’è all’opposizione un partito politico non tanto piccolo, ma è fermo. Avremmo la dignità e lo spazio di testimonianza in Parlamento ma siamo arrivati al punto di esecrare e condannare (noi, dall’opposizione) chi è così maleducato da alzare la voce. Che devo dire? Non siamo al di sopra delle parti, non abbiamo alcun potere, e stranamente rifiutiamo lo spazio costituzionale che spetta all’opposizione. Temo che, per Fazio e Dandini, saranno altri a decidere. E a fare, come dice Cappelli, “pulizia”. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

Tiziana D’Amico

Tg1, notiziario ministeriale Durante le feste appena trascorse mi è capitato, soprattutto a casa di parenti e conoscenti, di seguire più volte il Tg1 serale. Nor-

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LUIGI FADDA Il nostro abbonato del giorno si chiama Luigi e ha trent’anni. Ci scrive: “Salve a tutti, sono un ragazzo disabile e ogni giorno, anche se con qualche difficoltà, vi leggo sul computer. Ho fatto apposta l’abbonamento alla versione pdf, che riesco a scaricare anche a mezzanotte, così vi leggo prima! Mi sono abbonato per avere un punto di vista neutro circa la realtà del mio paese. Continuate così!”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

IL FATTO di ieri10 Gennaio 1917 Vecchio, leggendario colonnello William Frederick Cody, in arte Buffalo Bill. Massacratore di bisonti e di indiani, corriere a cavallo del glorioso Pony Express, scotennatore di pellirosse, westerner d’assalto, affarista istrione. Simbolo di un’America a metà tra il mito della Frontiera e il boom economico dei primi del ‘900, cavaliere perfetto, morto in quel di Denver il 10 gennaio 1917, senza aver mai smesso di cavalcare, nemmeno dopo la sua morte. In prima linea nella Guerra tra Nord e Sud, grande vendicatore di George Armstrong Custer, dopo la battaglia del Little Bighorn. L’uomo della grande epopea, dal Mississippi al selvaggio West, che l’America ancor oggi omaggia con musei e mostre e per il quale sbandiera poster. Chi era veramente Buffalo Bill? Di certo un grande comunicatore, capace di trasformare il suo tramonto in business, portando in giro per il mondo il suo autarchico West Side Show, quasi un personale circo equestre itinerante, costruito sull’ormai declinante epopea della Frontiera. Audace e fanfarone secondo il cliché di Altman e ancora così trendy da convincere Bill Gates ad acquistare all’asta, per 9 milioni di dollari, l’Irma Lake Lodge, il suo mitico ranch nel Wyoming. Giovanna Gabrielli

malmente mi limito a “leggerlo” sulla Vostra rubrica Tg Papi o al massimo ne vedo qualche spezzone trasmesso da Blob. Ebbene, mi è sembrato di assistere a una

raccolta di spot istituzionali: un susseguirsi di interviste a ministri, loro comunicati, dichiarazioni di esponenti della maggioranza. Uno dopo l’altro, inframmez-

zati da poche notizie. Si può chiamare telegiornale? Forse sarebbe meglio definirlo “Notiziario ministeriale”. Cordiali saluti. Fulvio Ferriù

Basta all’opposizione che non esiste Vi scrivo per dire “adesso basta!”. Basta a questa maggioranza che impunemente insulta la Carta costituzionale e basta all’opposizione che fa finta di non sentire, per il suo tornaconto, e che attacca l’Italia dei Valori con l’unico scopo di togliersi dai piedi un alleato che con molte probabilità alla prossima tornata elettorale toglierà voti al Pd. Non riesco più a sopportare i nostri cosiddetti “ministri” che con la scusa della riforma del paese, o di quelli che è rimasto, si prendono la libertà non solo di fare leggi che hanno l’unico scopo di risolvere i problemi attuali del premier e di chi verrà dopo di lui, ma anche di considerare la Carta costituzionale, cioè le fondamenta della nostra democrazia (se ancora ne abbiamo una) come “carta straccia” da usare e cambiare secondo i loro comodi. Da cittadina italia-

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).

L’abbonato del giorno

1) No al nucleare; 2) No alla privatizzazione dell’acqua; 3) No alle riforme che ci vuole rifilare, pro domo sua, Berlusconi. Qualcuno di questo malandato Pd, ora succube pure di Casini, saprebbe dirmi dov’è che sbaglia Tonino Di Pietro? Paolo Sanna

Il mondo che fa paura Sono indignata. Il presidente Berlusconi colpito da un pazzo, il Papa spinto a terra da una pazza, due notizie ripetute fino alla nausea e che sono niente in confronto a chi ha perso il lavoro o si è suicidato in carcere. Però le televisioni sono accomodanti e danno spazio prima alla benedizione di Papa Benedetto e dopo ai disperati delle case allagate che hanno perso tutto in Toscana. Non solo Italia: gli Stati Uniti hanno inserito Cuba nella lista dei 14 paesi pericolosi che potrebbero aggredirli. Questa deriva generale mi spaventa. Inès Cainer

La vita impossibile dei precari della scuola Mi chiamo Tiziana e sono una precaria della scuola. Mi sento offesa e indignata per le parole di Castelli ad Annozero. Siamo la generazione dei senza futuro e forse chi è ancorato alle comode poltrone non si rende conto che vivere nella precarietà crea altra precarietà: nelle scelte di vita (salti mortali per pagare un affitto), nella progettualità! Si arriva al punto che si è stanchi di pianificare il domani perché tutto può cambiare a seconda degli umori – e degli interessi – di chi sta comodamente seduto in lussuose poltrone. I nostri cari alunni cosa imparano da questo mondo? Solo che devono andarsene appena crescono! Ogni anno, e anche più volte l’anno, si vedono cambiare docente, ed è quindi impossibile creare un rapporto insegnate-alunno, fondamentale per la loro educazione.

LA VIGNETTA

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na sono veramente indignata e stufa di vedere simili persone rappresentare il mio paese. Lionella Savergnini

Un quesito al Partito democratico Tonino Di Pietro sulle alleanze per le regionali è stato molto chiaro e non vuole prescindere da tre grandi NO:

I nostri errori Questa la firma esatta del commento pubblicato ieri a pagina 18, “Brunetta, imprudenza sul lavoro”: Massimo Roccella, professore di Diritto del lavoro all'Università di Torino. massimo.roccella@unito.it . Ci scusiamo con l’interessato e i lettori.

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