Il Fatto Quotidiano (22 Gennaio 2010)

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Casini chi? La Russa e Gasparri fanno gli spiritosi. Ma i berluscones corrono a prendersi i voti nel forno Udc

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Venerdì 22 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 18 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

PELATI E BASTONATI E’

Il giudice breve

di Marco Travaglio

Crac Cirio, per salvare Berlusconi scippano 35 mila risparmiatori Bulimia totalitaria di Paolo Flores d’Arcais

dc

on gli basterà. Non vogliamo rubare metafore a folklore e mitologia, piene di mostri mai sazi delle vittime loro sacrificate, perché non vogliamo in nessun modo trasformare in mito le miserabili bassezze di questo regime. Ma non gli basterà. Quella di Berlusconi è una bulimia totalitaria, la legge-dono alla criminalità – il processo “tana libera tutti” – era ancora calda della servile approvazione di un Senato prono “perinde ac cadaver”, che Berlusconi già sgaggiava il suo “non mi basta”. Non ci stupisce. Berlusconi odia la democrazia liberale, lo abbiamo detto e ripetuto perché è Berlusconi stesso ad averlo proclamato infinite volte, per chiunque abbia orecchie da intendere. Per Berlusconi l’Italia non è una Repubblica democratica, è invece e solo “l’azienda Italia”, e come un’azienda, una sua azienda, va governata. C’è un padrone che decide, e dei dipendenti che obbediscono. Punto. Non basta che obbediscano, però: devono obbedire entusiasti, visto che il padrone decide quello che vuole, ma per il loro bene. In questo Stato-azienda non c’è ovviamente posto per magistrati indipendenti e per giornalisti imparziali, ma solo per vocianti eunuchi del servo encomio. Perciò, dopo aver preteso in offerta le migliaia di processi che verranno interrotti (e regaleranno al paese migliaia di criminali in libertà), il bulimico di Arcore esige altre vittime, altri pezzi di eguaglianza repubblicana da mandare al macero, altri baluardi di legalità da calpestare in aule parlamentari troppo spesso già bivacco dei suoi manipoli. A questo punto il problema non è Berlusconi, che la sua dichiarazione di guerra alla Costituzione l’ha già consegnata di fronte ai parlamentari europei democristiani poco più di un mese fa. Il problema sono coloro che – a parole e con gran rinforzo di nobili citazioni dei classici – si dichiarano fedeli alle libertà costituzionali, ma nei fatti tengono bordone a ogni ingordigia totalitaria del capo-regime. La legge ammazza-processi, la legge “tana libera tutti”, passa ora alla Camera. Non è solo anticostituzionale, è infame. I tempi dei processi sono stati allungati a dismisura da leggi e leggine ad hoc, dai tagli alle risorse dei tribunali (dove mancano carta e computer, cancellieri e magistrati), e ora dalla mannaia del processo “interruptus”. Una legge che farebbe felice il mafioso Mangano, una legge che sta facendo rivoltare nella tomba Borsellino. Vedremo alla Camera se Fini e i suoi intendono la democrazia come Borsellino o come Mangano.

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L’Anm non ha dubbi: Udi Bruno Tinti questo è un regalo VELOCE alla criminalità MA NON È È la 19ª legge ad personam pag. 2 e 3 z COSTITUZIONALE l rapporto tra le iniziative di Ilitigarello; B&C e la Carta è sempre un po’ tanto che il sospetto è

di Gianni Barbacetto

l processo breve, anzi morto, Iquella li priva dell’ultima speranza: di poter avere giustizia.

che, a loro, della Costituzione non gliene freghi niente: potrebbero aver pensato che B. 72 anni ha e che, se fanno una legge incostituzionale ogni due anni, ne basteranno 6 per metterlo al riparo dalla giustizia. pag. 18 z

Sono i cittadini vittime dei reati che non saranno più perseguiti, giudicati in processi che saranno bloccati, fermati, azzerati a centinaia. pag. 3 z

nnapolitano

nmessina

“Lottate contro i boss” A Reggio un’auto carica di armi

La società del Ponte: a rischio flop traffico e pedaggi

Marra pag. 6z

Martini pag. 10z

REGIONALI x Ruini e gli Angelucci contro la candidata radicale

VATICANO E CLINICHE GUERRA ALLA BONINO di Marco Politi

di Enrico Fierro

intesa Ruini-Berlusconi L’Bonino per sbarrare il passo alla cade nel giorno in cui

offensiva è partita subito. Prima L’quartier del previsto, assicurano nel generale di Emma Bonino.

la maggioranza approva la legge salva-delinquenti, con un codicillo che imbavaglia la Corte dei conti. pag. 5 z

Prima pagina di Libero. “Il caso Emma Bonino”. Titolo: “Abortista & Presidente”. Nelle pagine interne la “vera storia di Emma”. pag. 5 z

Camillo Ruini e Emma Bonino

NUOVA EDIZIONE STORIA DEL MOVIMENTO ANTIMAFIA di Umberto Santino

nsanità nel lazio

ntor bella monaca

A rischio le cure per i bimbi disabili

Basharat, la violenza dimenticata

Zanca pag. 8z

LA PRIMA STORIA DELLE LOTTE SOCIALI CONTRO LA MAFIA

CATTIVERIE www.editoririunitiuniversitypress.it

D’Onghia pag. 9z

Renato Brunetta potrebbe diventare sindaco di Venezia. Fino alla prima acqua alta.

letteralmente strepitosa l’idea che un miracolato dai processi lunghi, uno che se durassero un po’ meno sarebbe in galera da un pezzo, abbia potuto varare il “processo breve”. Ma è addirittura entusiasmante il fatto che la cosiddetta stampa indipendente, la cui unica funzione è di trovare le parole giuste per difendere cause sbagliate, faccia finta di prenderlo sul serio. E’ la stessa stampa indipendente che non ha scritto una riga sul rapporto della Dia svelato dal Fatto sui progetti di attentato della mafia contro i pm Lari, Ingroia, Gozzo e Paci e contro il giornalista Lirio Abbate. E in questa censura, non si sa bene se dovuta al fatto che la notizia l’ha data il Fatto o alla circostanza che le vittime designate sono pubblici ministeri, c’è della coerenza. In fondo Cosa Nostra, con la sua rudimentale ed essenziale semplicità, il processo breve l’ha sperimentato ben prima che vi si applicassero Berlusconi e i suoi legislatori à la carte. Non c’è processo più breve di quello che non si fa più perché i giudici e/o i pubblici ministeri sono morti ammazzati. Eliminando Falcone, Borsellino, Livatino, Caccia, Chinnici, Costa, Terranova, Scopelliti, le cosche hanno tracciato la strada del processo più breve del mondo: quello che si estingue e riposa in pace insieme col magistrato. E’ il “giudice breve” (con separazione delle carriere incorporata: i giudici che processano i mafiosi e i loro amici muoiono subito, gli altri no). Invece di tante leggi ad personam, che richiedono tempi e costi sociali elevatissimi, il problema è risolvibile quasi gratis, al netto di una modica quantità di tritolo per uso personale. Infatti il Cavaliere, troppo impegnato a celebrare un corrotto latitante, non ha detto una parola sui progetti di attentati ai magistrati, a parte definirli “plotone di esecuzione” (del resto si attende ancora una sua parola di plauso ai poliziotti che catturarono Provenzano nel maggio 2006). E i suoi uomini, per difendere in tv il “processo breve”, cioè morto, usano gli stessi argomenti degli avvocati dei boss nei processi di mafia: “Minchia, signor giudice, il mio cliente è un perseguitato, lo processano da quando era piccolo, ma sempre assolto fu...”. L’altra sera Bonaiuti, con quella faccia da Bonaiuti, sbavava a Porta a Porta dinanzi all’insetto, comprensibilmente affezionato alle leggi vergogna, che portano il timbro della sua signora Augusta Iannini, direttore dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia per volontà di Angelino Jolie. “Il processo breve – spiegava Bonaiuti – serve a difendere Berlusconi contro i processi ad personam”. Originale tesi ripresa anche dall’acuto Gasparri: “A Milano c’è una giustizia contra personam”. A nessuno è venuto in mente di rispondere ai due giureconsulti che tutti i processi sono ad o contra personam: la personam dell’imputato. Forse i due geni pensano a una legge che imponga di fare i processi senza imputati, magari omissandone i nomi col segreto di Stato. Infatti, oltre alla personam del premier, la porcata salverà anche le personas imputate per i crac Parmalat, Cirio e Hdc, per le scalate Bnl e Antonveneta, per gli spionaggi Telecom e Sismi, per le truffe Impregilo sui rifiuti, e persino per i processi contabili alla Corte dei conti che coinvolgono le personas di Letizia Moratti, del viceministro Castelli e persino dell’autore dell’emendamento che estende il processo morto alle cause contabili, senatore Giuseppe Valentino. Più che una legge, un’auto-legge. Ora, sul modello del processo breve, si provvederà a una riforma della chirurgia breve: se l’intervento in sala operatoria va per le lunghe, il medico deve smettere, magari eliminando direttamente il paziente. Poi avremo il treno breve e l’auto breve: se non arrivano a destinazione entro un paio di minuti, esplodono in corsa.


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Venerdì 22 gennaio 2010

INGIUSTIZIA

INGIUSTIZIA

Scalata Antonveneta e i “furbetti del quartierino”

Il “filone” milanese di Parmalat

Santa Rita, la “clinica degli orrori”

Class action all’“italiana”, un miraggio

È la più nota delle scalate dei “furbetti del quartierino” che nell’estate 2005 si lanciarono all’assalto di Antonveneta. Il processo per aggiotaggio, a Milano, non arriverà a conclusione. Si salveranno i 19 imputati, tra cui il banchiere della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, il senatore di Forza Italia Luigi Grillo, gli immobiliaristi Luigi Zunino, Stefano Ricucci e Danilo Coppola, l’ex presidente di Unipol Giovanni Consorte. (g.b.)

A Milano, Calisto Tanzi è sotto processo in appello per il crac Parmalat (un “buco” da 15 miliardi), dopo essere stato condannato a 10 anni in primo grado. Con la nuova legge, questo processo è a rischio estinzione. Va certamente verso la cancellazione anche il processo in corso a Milano che vede imputati d’aggiotaggio, in primo grado, i banchieri accusati di aver scaricato sugli ignari clienti i bond di una Parmalat già condannata al fallimento. (g.b.)

L’hanno chiamata la “clinica degli orrori”. Alla S.Rita di Milano, il dottor Pierpaolo Brega Massone e i suoi collaboratori operavano, pur di fare cassa, pazienti che non avevano bisogno d’interventi o che non erano in grado di sopportarli. Non riuscirà ad arrivare a sentenza il processo a nove imputati, per 88 imputazioni di lesioni gravi (a qualche paziente è stato inutilmente asportato un pezzo di polmone), 40 truffe ai danni di Asl e regione e decine di falsificazioni delle cartelle cliniche. (g.b.)

Anche in Italia è possibile l’azione legale collettiva contro un ente pubblico o un’impresa. Ma la class action all’italiana è stata azzoppata dal governo Berlusconi. È difficile da avviare perché non può essere promossa dalle associazioni dei consumatori (come invece era previsto dal governo Prodi). È economicamente rischiosa per chi la promuove, inefficace verso i gestori di servizi pubblici. E’ inapplicabile ai responsabili dei passati scandali finanziari. (g.b.)

TRUFFATI UN’ALTRA VOLTA

“UNA RESA DELLO STATO DI FRONTE ALLA CRIMINALITÀ”

Sono 35 mila le vittime del crac Cirio: per loro sarà un “nulla di fatto”. E tutto questo per salvare B. di Gianni Barbacetto

I

Dura presa di posizione dell’Anm contro il processo breve. Alfano: mi cadono le braccia di Antonella Mascali e Sara Nicoli

arole forti, di chi non ha argomenti nel merito, quelle che ha usato il ministro Alfano, contro l’Anm che ha denunciato le gravi conseguenze del processo breve sulla giustizia. “Mi cadono le braccia, sono plateali mistificazioni, proprio mentre governo e Parlamento portano avanti un’azione di contrasto alla mafia”, ha detto il Guardasigilli, in risposta al segretario dell’Associazione dei magistrati, Cascini, che ha parlato di “resa dello Stato di fronte alla criminalità”. D’accordo con i magistrati di tutte le categorie, è il segretario dell’Associazione nazionale dei funzionari di polizia, Enzo Letizia: “Con l’arrivo del processo breve brinderanno mafia e criminalità dei colletti bianchi”. Inevitabilmente più diplomatico il vicepresidente del Csm, Mancino che il mese scorso comunque ha votato al Plenum il parere critico contro il processo breve, definito un’amnistia mascherata: “Il giudizio del Csm resta, ma io rispetto la volontà del Parlamento”. Proprio a Palazzo dei Marescialli sono finite, in un ampio fasci-

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colo aperto a settembre, altre dichiarazioni di Berlusconi che si è dimenticato in un battito di ciglia il partito dell’amore. Ieri ha paragonato i tribunali ai “plotoni di esecuzione”. Ma il premier non bada alle pratiche a tutela dei magistrati e ha ordinato alla maggioranza di andare avanti con le leggi ad personam, forte dei suoi avvocati-parlamentari che ne inventano sempre una. Adesso stanno suggerendo di migliorare, si fa per dire, la legge sul legittimo impedimento, in discussione alla Camera il 25 gennaio. Vogliono rendere ancora più chiaro che per il premier qualsiasi impegno è nelle sue funzioni di governo e quindi c’è sempre legittimo impedimento a partecipare alle udienze. Sul fronte politico l’attacco più duro al processo breve è arrivato da Di Pietro: “Trattasi di un processo ad impunità assicurata. Il ddl è un vero e proprio ammazza processi che serve solo alla casta degli amministratori pubblici, ai faccendieri senza scrupoli, ai truffatori, agli sfruttatori della prostituzione e a una lista infinita di soggetti che agiscono nell’illegalità e che, d’ora in poi, sanno che possono farlo anche con garanzia di

impunità”. E’ stato poi il leader della Cgil, Epifani, a lanciare un grido d’allarme sul colpo di spugna che il processo breve rappresenterà anche per quelli riguardanti i reati sulla sicurezza sul lavoro, e questo “desta grande preoccupazione”, ha sottolineato il leader sindacale. A rischio estinzione anche i procedimenti aperti contro le ecomafie e contro imprenditori senza scrupoli che hanno commesso “reati a danno dell’ambiente e della salute dei cittadini”, ha commentato il leader dei Verdi, Bonelli. Alla Camera “lotteremo” con forza”, ha annunciato il leader Pd Bersani, proprio mentre la vicepresidente della commissione Affari costituzionali, Santelli, depositava una nuova, devastante, proposta di legge per la modifica dell’articolo 109 della Costituzione.L’intenzione è direndere la polizia giudiziaria autonoma rispetto alpubblico ministero, riconducendone l’azione investigativa alle dipendenze (quindi all’auto-

Il “decreto salva calcio”; il “condono fiscale”; il “condono edilizio” e il “lodo Mondadori”: quattro leggi ad personam per il premier

rizzazione) del governo, nella figura del ministro della Giustizia; un modo per svuotare totalmentel’autonomia e l’indipendenza della magistratura, come già è previsto nella riforma Alfano del Codice di procedura penale. E Bossi: “Sulla giustizia non ci fermeranno”.

Depositata una nuova proposta di legge per rendere la polizia giudiziaria autonoma rispetto al pm

Violante ha “ordinato” Alfano ha eseguito di Marco Lillo

di Peter Gomez

er capire come funziona il gioco, bisogna fare un passo inPdietro di dieci anni. È il 12 maggio 2000. Nell’aula del processo Sme-Ariosto, l’avvocato Filippo Dinacci, che difende Silvio Berlusconi insieme con Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini, chiede al Tribunale di Milano di cestinare gli atti giunti per rogatoria dall’estero. Secondo il legale i documenti sono inutilizzabili perché “manca il numero di pagina”, oppure perché si tratta di “fotocopie semplici” senza “specifica certificazione di conformità”. I giudici, alla luce dei trattati internazionali e della prassi, respingono l’istanza. Ma il 3 agosto 2001, appena vinte le elezioni, tre parlamentari forzisti presentano un emendamento alla ratifica della convenzione italo-svizzera sulle rogatorie, modificando il codice di procedura sulla falsariga dell’eccezione presentata da Dinacci. La nuova legge viene approvata a tappe forzate il 3 ottobre 2001. Il risultato, poi vanificato dalle interpretazioni dei tribunali e della Corte di cassazione, è sulla carta terrificante: assieme a quelle che riguardano il Cavaliere sono da rifare circa 7 mila richieste di assistenza internazionale. Contro la legge sulle rogatorie protestano un po’ tutti. L’Economist parla di “interessi personali” del Cavaliere. Il Los Angeles Times lo accusa di “favorire i

Dagli oggi la sua legge (ad personam) E lui, poi, ne vorrà ancora tre CON IL VOTO AL SENATO DI MERCOLEDÌ LA LISTA SALE A QUOTA 19, MA A BREVE SE NE PREVEDONO DI NUOVE terroristi”. Il magistrato svizzero Bertrand Bertossa definisce addirittura la legge “una catastrofe”. Ma a dire con chiarezza come stanno le cose è l’ex ministro Giuliano Ferrara, che su Il Foglio scrive: “C’è un interesse a proteggere il presidente del Consiglio dietro la grinta con cui la maggioranza si è battuta per far passare questo testo? Sì. C’è un interesse politico. Altro che cavilli”. È in quel momento che la pratica delle leggi ad personam, peraltro inaugurata da Berlusconi già nel 1994 e portata avanti pure con il generoso contributo del centrosinistra, viene compiutamente teorizzata. Le norme su misura, ritagliate addosso al Cavaliere o alle sue aziende, si moltiplicano. E non riguardano solo il codice penale. Tanto che oggi è pressoché impossibile, nello spazio di un articolo, ricordarle ed elencarle tutte. La maggior parte degli osservatori concorda però nel dire che, a partire dal 2001, sono state almeno 19 (compreso il processo

breve già votato al Senato). E che potrebbero presto salire a 20, 21 o addirittura 22 se verranno approvati una serie di disegni di legge ideati per essere tirati fuori in caso di bisogno. Già pronta è infatti la “norma ponte” sul legittimo impedimento del premier per tutta la durata del suo mandato. Una legge decisamente incostituzionale, ma indispensabile per prendere tempo in attesa della riedizione, questa volta nelle vesti di norma costituzionale, del Lodo Alfano, già bocciato dalla Consulta, o della reintroduzione dell’immunità parlamentare assoluta. Inoltre nelle pieghe della riforma del codice di procedura penale ci sono pure due articoli che tolgono il valore di prova alle sentenze passate in giudicato e obbligano i tribunali ad ascoltare tutti i testimoni richiesti dalla difesa. Norme utili per allungare a dismisura il processo per la corruzione di David Mills, nel caso in cui la Cassazione il prossimo 25 febbraio confermasse la sua condanna.

l processo breve, anzi morto, li priva dell’ultima speranza: quella di poter avere giustizia. Sono i cittadini vittime dei reati che non saranno più perseguiti, giudicati in processi che saranno bloccati, fermati, azzerati a centinaia. Per salvare un imputato eccellente, Silvio Berlusconi, a giudizio in due processi a Milano, migliaia di persone non avranno giustizia. Sono le vittime delle truffe Cirio (35 mila) e Parmalat (100 mila), sono i pazienti della “clinica degli orrori”, la Santa Rita di Milano, sono i malati di cancro a causa dell’amianto e le famiglie dei morti. Sono le donne stuprate, che d’ora in poi ancor più difficilmente riusciranno a veder condannati gli stupratori. Un numero incalcolabile di persone, un folla immensa, che quando la legge salvaSilvio sarà approvata anche dalla Camera non avranno più nulla da sperare dalla giustizia. Antonio Catanese è rassegnato. Ha 70 anni, vive a Monza, credeva di essersi attrezzato per una vecchiaia serena. Ha lavorato tutta la vita nell’azienda di famiglia, che produceva manichini per le vetrine dei negozi di mezza Italia. Poi è rimasto coinvolto nel crac Cirio. Su consiglio (interessato) delle banche, tra il 2000 e il 2002, i clienti di molti istituti di credito – Capitalia di Cesare Geronzi in testa – avevano acquistato bond Cirio per quasi 2 miliardi di euro. Tasso d’interesse tra il 6 e l’8 per cento, emesso da scatole estere, domiciliate e quotate in

Per raccontare quello che è già stato fatto bisogna invece partire dall’estate del ‘94, quando Berlusconi firma il cosiddetto decreto salva-ladri, poi ritirato a furor di popolo. Corrotti e corruttori escono o non vanno più in carcere. In questo modo evitano (momentaneamente) l’arresto per le tangenti alla Guardia di finanza, Paolo Berlusconi e il direttore dei servizi fiscali Fininvest, Salvatore Sciascia. Quasi contemporamente il Cavaliere utilizza la prima legge Tremonti, sulla detassazione degli utili reinvestiti, per non pagare le tasse sull’acquisto di pacchetti di film. Due anni dopo, però, il regalo più grosso a Mediaset lo fa l’Ulivo con la legge Maccanico che, in spregio a una sentenza della Corte costituzionale, evita a Rete4 di trasmettere solo dal satellite. Altro regalo del centrosinistra è poi la norma sulla incompatibilità tra gip e gup che, di fatto, permetterà a Berlusconi di strappare la prescrizione nell’indagine sulla corruzione delle toghe del ca-

so Mondadori. Ma il peggio, ovviamente, avviene con il Cavaliere al governo. Tra il 2001 e il 2006 la fucina delle leggi ad personam lavora a pieno ritmo. Immediatamente viene riformato e, di fatto, depenalizzato il falso in bilancio. Berlusconi ottiene così la prescrizione in due processi, mentre in un terzo viene assolto con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Poi fa un regalo ai figli. Con la Tremonti bis abolisce completamente la tassa di successione. Quindi si torna al penale con la legge Cirami del 2002. Il provvedimento dovrebbe servire per far spostare per legittimo sospetto i processi toghe sporche da Milano a Brescia. Ma si rivela inutile. Utilissimi sono invece il decreto salva calcio, in virtù del quale anche il Milan “spalmerà” sui bilanci di dieci anni (con importanti benefici fiscali) la svalutazione dei suoi giocatori, e il condono fiscale del 2003, utilizzato pure dalle aziende del premier, sebbene Berlu-

uello che è accaduto ieri a RoQpunto vigo sarà ricordato come il più basso della parabola sconi pubblicamente avesse garantito il contrario. Il vero problema resta però sempre quello dei giudici. Così nel 2003 ecco il Lodo Schifani, poi bocciato dalla Consulta, che rende Berlusconi improcessabile per tutta la durata del mandato. E, nel 2005, la devastante legge ex Cirielli, che, dimezzando i tempi di prescrizione, manda subito in prescrizione 35 mila processi, e cancella un pezzo importante dei capi d’imputazione contestati al premier nell’indagine sui fondi neri creati da Mediaset. Inoltre la norma porta il caso Mills a un passo dal de profundis. Sempre nel campo penale la legge Pecorella, nel 2006, abolisce il processo d’appello quando l’imputato è stato assolto o prescritto (è il caso Berlusconi nel processo Sme-Arioso). La Corte costituzionale, visto che il ricorso in appello è invece consentito agli imputati condannati in primo grado, cancella però tutto. In vigore restano invece la legge Gasparri, che favorisce Mediaset e salva Rete4, e lalegge Frattini sul conflitto d’interessi. Una norma che permetterà al premier di partecipare al varo di altri provvedimenti che riguardano le sue aziende, i suoi familiari, o suoi i concorrenti. È il caso, ma sono solo degli esempi tra i tanti, degli incentivi ai decoder tv del 2003, commercializzati da Paolo Berlusconi, o del raddoppio dell’Iva versata da Sky, decisa nel 2009.

di Luciano Violante. L’8 gennaio scorso Peter Gomez aveva scritto su “Il Fatto” un articolo profetico dal titolo: Violante dà i consigli ad Alfano: manda gli ispettori dai pm di Rovigo. E ieri gli ispettori del ministro Alfano sono arrivati davvero. Due magistrati in funzione al ministero si sono materializzati e hanno cominciato a scartabellare gli atti compiuti Luciano Violante dai pm veneti che indagano sulla conversione della centrale Enel di Porto Tolle dal gas al carbone. Dall’Ispettorato diretto da Arcibaldo Miller confermano: “Abbiamo avviato un’inchiesta amministrativa per verificare se le accuse dell’onorevole Violante ai pm sono veritiere”. Da non crederci. L’uomo soprannominato “piccolo Vishinski” venti anni fa da Francesco Cossiga, l’ex pm descritto dalla spia Pio Pompa nel 2001 come il capo della piovra delle toghe rosse, oggi – pur di far dimenticare il suo passato – è arrivato a denunciare i suoi ex colleghi al ministro Alfano, che ovviamente li indaga. In ballo ci sono interessi miliardari. L’inchiesta che Violante vorrebbe bloccare con l’aiuto di Alfano parte dagli accertamenti sull’inquinamento prodotto dall’impianto Enel. La centrale è stata già oggetto di un processo. In primo grado i pm hanno ottenuto la condanna dei vertici della società. In appello gli ex amministratori sono stati assolti. In questa classica battaglia tra la grande società e i cittadini, Violante sta con l’Enel. Per lui la nuova centrale a carbone è meno inquinante di quella vecchia a gas. Anche se Violante presiede l’associazione “Italia decide”, nella quale l’Enel figura come socio fondatore, non ha avuto nessun imbarazzo il 5 gennaio scorso, a Cortinaincontra, il salotto di Enrico e Iole Cisnetto, tra una mostra di Marina Ripa di Meana e un dibattito di Marta Marzotto, a sparare sulla Procura di Rovigo: “Il ministro della Giustizia dovrebbe fare delle ispezioni e capire se un’autorità giudiziaria può compiere un atto di questo genere, sequestrando un atto che non c’è, intimidendo sostanzialmente quelli che dovevano prendere la decisione”. La colpa dei pm? Quando i consulenti avevano segnalato “l’esposizione da parte di Enel di dati ritenuti non reali” la Procura ha chiesto al ministero “l’invio di tutti gli atti”. Tanto è bastato per dare al piccolo Vishinsky una scossa. Elettrica.

Lussemburgo. Nel 2004 Cirio mostra all’esterno le prime difficoltà. Il 4 novembre 2004 è dichiarato ufficialmente il crac. Da anni l’azienda di Sergio Cragnotti era indebitata fino al collo con le banche. Aveva risolto il problema chiedendo soldi al mercato. Aveva emesso obbligazioni. Ma le stesse banche che curavano il collocamento dei titoli poi li rivendevano ai loro clienti. Come natura crea, Cirio estingueva i debiti col mondo bancario scaricandoli sui cittadini. Antonio Catanese è uno dei 35 mila. “Avevo qualche problema di rapporti con uno dei miei fratelli. Allora, invece di litigare, ho preferito chiedere di essere liquidato. Gli ho venduto le mie quote dell’azienda e ho pensato: userò questi soldi per garantirmi un futuro tranquillo. Ho una pensione: 471 euro al mese. È chiaro che per vivere non basta. Una persona che conoscevo bene, promotrice finanziaria di Banca Fideuram, mi ha detto: investi in obbligazioni Cirio. Sono sicure. Mi sono fidato. Era il

Tra il 2000 e il 2002 i clienti di molti istituti di credito hanno acquistato bond per 2 miliardi di euro

2002. Ho investito 55 mila euro. Nel 2004, non mi è arrivato il pagamento della seconda cedola sulle obbligazioni. Chiedo in banca, mi dicono: sì, c’è qualche problema, ma si risolverà. Poi ho cominciato a leggere i giornali: la Cirio era in default”, scandisce bene Catanese. “Non mi sono rassegnato. Mi sono affidato all’Adusbef, l’associazione dei consumatori e utenti molto attiva sulle questioni bancarie e finanziarie. Sono stato assistito splendidamente dall’avvocato di Milano Marisa Costelli”. Ma a questo punto Catanese sente che la rassegnazione si trasforma in rabbia: “Sì, ero convinto fin dall’inizio che non sarei riuscito a recuperare tutti i miei soldi. Ma almeno speravo che ci fosse un processo, una sentenza, delle condanne. Per Cragnotti, patron della Cirio, che l’ha portata al fallimento. Per i responsabili delle banche che si sono liberati dei bond Cirio scaricando il loro debito su di noi, ignari risparmiatori. Ora invece, con questa bella legge che si è fatto su misura, lui salva se stesso e i suoi amici. E lascia noi senza neppure la soddisfazione morale di vederli processati e condannati, i responsabili. Non dico di avere indietro i miei soldi, ma almeno di vedere la fine del processo. Niente: ci tolgono anche questo”. Mentre la rabbia sale, Catanese prova a guardare con distacco la sua situazione. “Io lo so che sarebbe meglio avere un processo veloce. Ma so anche che un conto è un reato come la guida senza patente: il proces-

so si fa in un quarto d’ora. Un altro conto è cercare di giudicare i signori delle banche, che fanno di tutto per farla franca. Ebbene, i magistrati devono riuscire ad arrivare alla fine del processo anche per loro, non soltanto per chi guida senza patente. Se vogliono abbreviare i tempi, il ministro, la politica, diano più mezzi ai magistrati per fare il loro lavoro. Ho visto con i miei occhi i topi nell’archivio della Corte d’appello di Milano, dove ero andato a cercare una vecchia sentenza: è mai possibile che lascino in questo stato la giustizia? Adesso io ho la mia pensione, 471 euro al mese, e 55 mila euro in meno, che nessuno mi restituirà. Per me erano tre anni di vita. Per ora ce la faccio, ho qualche altro risparmio da parte. Ma se vivrò a lungo, a un certo punto che cosa farò? Dovrò andare a vivere sotto i ponti? E poi, al di là dei soldi persi, la rabbia mi viene per la giustizia negata: per salvare lui, io ho perso ogni fiducia, non ho più speranza in niente”.

Il 4 novembre del 2004 viene dichiarato il fallimento e da lì “è partita un’odissea di giustizia negata”

SCANDALO INTERCETTAZIONI

TELECOM: “UNA BASTONATA A CHI HA GIÀ SUBITO” l prossimo primo febbraio Iultimi potrebbe essere uno degli respiri del processo Telecom, in udienza preliminare a Milano, davanti al giudice Mariolina Panasiti. È uno dei più grossi scandali degli ultimi anni: tra il 1997 e il 2004, durante l’era della Security targata Giuliano Tavaroli, sono state spiate illegalmente 4287 persone e 132 società. Prodotti una montagna di dossier illeciti, costati oltre 34 milioni di euro. Molti riguardano dipendenti Pirelli e Telecom, ma anche giornalisti, come Massimo Mucchetti del Corriere della Sera. I pm Napoleone, Piacente e Civardi hanno chiesto il rinvio a giudizio per gli imputati, tra i quali Tavaroli, l’ex numero due del Sismi, Mancini e l’investigatore privato, Cipriani, il 24 novembre del 2008. Quindi, se il processo breve-salva Berlusconi, diventerà legge dello Stato, a novembre Telecom sarà estinto

perché saranno passati 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, termine ultimo, in base alla norma transitoria, per emettere una sentenza di primo grado per reati commessi fino a maggio 2006 e che prevedono una pena inferiore ai 10 anni. Una legge “disastrosa, una bastonata alle vittime” per il professore Mario Zanchetti, avvocato di due parti civili al processo Telecom: “Tutti vorremmo processi più celeri, ma senza risorse è impossibile”. Sulla norma transitoria è lapidario: “È una trasformazione dell’indulto in amnistia, è incostituzionale”. Una beffa per chi, come Tavaroli, ha chiesto il patteggiamento: “Se passerà il processo breve, sarebbe come dire: peggio per te, se non l’avessi chiesto, l’avresti fatta franca”. Processo breve o meno, va malissimo comunque alle parti civili, ci spiega ancora il professor Zanchetti: “Le parti lese non

possono rivalersi nei confronti degli imputati che hanno patteggiato, se non in sede civile. Nel caso Telecom è quasi inutile perché non ci saranno soldi per risarcire le vittime. Agli spioni, in cambio del patteggiamento, sono stati confiscati tutti i soldi trovati e andranno nelle casse dello Stato. Le vittime possono rivalersi solo su quei pochi imputati che rimangono nel processo, sempre che non siano graziati dal processo breve se diventerà, Dio non voglia, legge”. Non possono rivalersi neppure sulle società Telecom e Pirelli, accusate di corruzione, perché il giudice ha ritenuto che per quel reato si può costituire parte civile solo la Pubblica amministrazione. E come se non bastasse per questo processo agonizzante, c’è un altro grosso problema: la distruzione dei dossier illeciti, che deve essere eseguita in base a una legge bipartisan del 2006. Se non fosse intervenu-

ta la Consulta, nell’aprile scorso, erano già al macero. Invece la Corte ha stabilito che devono essere distrutti dopo un’udienza davanti al giudice per documentare la modalità di raccolta degli atti illeciti. Un pronunciamento che non ha soddisfatto le parti e la Consulta, investita nuovamente, si è pronunciata – come risulta a Il Fatto – il 15 gennaio scorso. Nell’ordinanza ricorda al giudice di Milano che la normativa del 2006 è cambiata dopo il suo pronunciamento e che quindi, un eventuale ricorso alla Consulta, deve esserci sollevando eccezioni sulle nuove modalità di distruzione del materiale illegale. Secondo Zanchetti al momento “le vittime non sono protette in maniera adeguata. La soluzione corretta sarebbe quella di lasciare alle persone spiate, la possibilità di avere i fascicoli se vogliono far prevalere, rispetto alla privacy, il loro diritto di rivalersi”.


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L’affaire Umbria: tra Lorenzetti e Agostini spunta la Marini

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REGIONALI

ei, Maria Rita Lorenzetti, per ora non molla: la presidente uscente dell’Umbria, almeno ufficialmente, non ha rinunciato alla ricandidatura. Lui, Mauro Agostini, non fa un passo indietro: il Pd ha fatto delle primarie una bandiera e quel vessillo il tesoriere del partito nell’era veltroniana continua a innalzare. Così il Pd sulla carta rischia

in Umbria un nuovo caso Puglia. A meno che, ed è ormai un’ipotesi che prende sempre più corpo, alla fine a due strade dissestate si preferisca una terza e meno insidiosa via. La candidatura di una quarantaduenne di solida formazione politica e di provata fede bersaniana: Catiuscia Marini. Lei ha lasciato intendere che potrebbe anche essere disponibile, a patto “che

si rispettino le regole”. L’affaire Umbria ieri è stato al centro di una riunione di un paio d’ore alla sede del Partito democratico con il segretario Pier Luigi Bersani, la Lorenzetti, il segretario regionale umbro Lamberto Bottini e Davide Zoggia, responsabile enti locali. Al termine dell’incontro, Bersani è stato particolarmente laconico: “Abbiamo lavorato”.

BOCCIA CORRE CONTROCORRENTE CON LUI IL GRUPPO DIRIGENTE DEL PD, IN PUGLIA ARRIVA BERSANI di Luca

Telese

Bari

eri era il grande giorno di Francesco Boccia. Sala del Tridente, fiera di Bari, ore 18.30, in Puglia è arrivato da Roma, per sostenerlo, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Per Boccia è l’appuntamento più importante di una campagna strana, una guerra lampo combattuta sul filo dell’incognita e del ribaltamento dei ruoli. In teoria l’ex dirigente della Margherita (stretto collaboratore di Enrico Letta), che è sostenuto da tutto il gruppo dirigente del Pd e dall’Udc avrebbe dovuto essere l’uomo in fuga. Invece adesso si ritrova ad inseguire, e lo sa: “Abbiamo avuto solo una settimana di tempo! – grida dal palco – Non possiamo perdere un minuto”. Dopodiché il colpo d’occhio, all’ora in cui l’incontro è convocato è stupefacente: metà della sala è vuota. Il sindaco Michele Emiliano non è ancora arrivato. I dirigenti pugliesi del Pd sono costretti a prendere sotto braccio Bersani e a dirgli: “Ci andiamo a bere un caffè?”. Il segretario torna dopo venti minuti. La sala da trecento posti ha ancora molte poltrone vuote, soprattutto in fondo. Via telefonino arriva il tam-tam dei militanti di Foggia che raccontano di una grande folla al comizio di Nichi Vendola. Boccia, insomma, corre controcorrente. Corre per la seconda volta, dopo essere stato sconfitto alle primarie scorse, designato fuori tempo massimo per il forfait di Emiliano (che ha rinunciato all’ul-

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timo momento al duello con il governatore uscente. Eppure, come spesso capita in queste occasioni, sembra che l’uomo dell’Arel, l’intellettuale che ritorna in Puglia dopo l’esperienza romana (lui lo ha fatto cinque anni fa, dopo essere stato nominato assessore) Boccia sta provando a dare il meglio di sé. Discorsi appassionati, apologie dello “spirito di servizio”. Elogio del “senso del partito” (lui che nel Pds non ci è mai stato). Piccoli colpi di teatro come quello secondo cui aveva assunto come consulente uno dei registi della campagna di Obama. Spot su Internet come l’ormai famoso “Pensa” (“Pensa! C’è bisogno di fare, e non solo di sognare”). A cui i vendoliani hanno risposto altrettanto tempestivamente con una parodia micidiale in dialetto pugliese: “Penza! …alla poccia senza le olive…. Penza! …a riso cozze e patate senza le cozze. Penza. Ancora penzi di votare a Boccia?”). Insomma, Boccia cambia le ruote in corsa. Lui che è un

Contrappone a Vendola, l’uomo dei sogni, il profilo del governatore capace

ALLAM Ora si converte al Pdl agdi Cristiano Allam – ex giornaM lista del Corsera – è da pochi anni in politica, ma ha imparato il mestiere. Eletto il giugno scorso all’Europarlamento capolista con l’Udc, circoscrizione nord-ovest, s’è sempre dichiarato un “indipendente”. E adesso, scatenando l’ira di Casini, annuncia la sua candidatura alla presidenza della Basilicata per il Pdl: “Allam non è un nostro dirigente né un nostro iscritto. Quando è venuto da noi – ha ricordato Casini – ci disse che veniva ma che era indipendente. Per questo gli faccio i migliori auguri. Se poi – ha aggiunto – è un esperto di Basilicata lo dimostrerà in campagna elettorale. Ma non voglio fare polemiche: io non gli ho chiesto niente e non mi aspetto niente”. Due anni fa Allam, durante la veglia pasquale in San Pietro, si è convertito al cattolicesimo: padrino Maurizio Lupi, esponente di Comunione e liberazione e deputato del Pdl. Per Strasburgo ha corso con il partito Protagonisti per l’Europa Cristiana, al primo congresso il nome è cambiato in Io amo l’Italia: il simbolo è un tricolore con croce gialla.

figlio della buona borghesia, cresciuto con la classe dirigente, prova a farsi popolo, a rincorrere Nichi Vendola sul suo stesso terreno. Risponde all’unica stoccata che Vendola gli riserva, quella di aver trovato una balia politica in Massimo D’Alema: “Sapete, io ho una sola balia…”. Un attimo di silenzio, poi un sorriso: “Ha 24 anni, si chiama Giulia, è la mia collaboratrice parlamentare, che sta coordinando tutta la campagna elettorale”. E poi, quasi con un tono ammonitorio: “Sono uno che ha rivoluzionato la sua vita, che corre perché il partito glielo chiede. Ma per vincere ho bisogno di tutto il Pd”. Il suo grande king maker dovrebbe essere il sindaco, Michele Emiliano. E in effetti alla fiera Emiliano prova a fare la sua parte, sfoderando una prosa immaginifica: “Boccia ha una bella faccia che prelude al futuro dell’Italia”. Più o meno alla stessa ora, sei consiglieri della sua lista in comune, compreso il capogruppo erano nell’ufficio elettorale di Vendola ad assicurargli il loro appoggio. Già, la faccia. Fuori, all’ingresso della fiera, ci sono parcheggiati sei pullman con le vele del suo sei

Francesco Boccia

per tre, dove in realtà il candidato di D’Alema e Bersani appare molto serio e cipiglioso: “Con la testa e con il cuore”. Non un errore, ma una scelta precisa. A Vendola, che per i dirigenti del Pd è “l’uomo dei sogni”, bisogna contrapporre una immagine di governo, il profilo del governatore capace di unire coalizioni ampie. In Puglia è arrivato anche Ernesto Carbone, l’uomo della campagna elettorale di Romano Prodi partito da Roma per dare una mano al suo amico. E La sede del comitato elettorale, ironia della sorte, è quella che prima fu di Vendola e poi di Emiliano. Un intrico strettissimo, insomma, lega anche fisicamente questi tre uomini, che fino a domenica sera si dovranno combattere, e che da lunedì –

chiunque vinca, dovranno ritrovarsi insieme. Così il sentiero di Boccia è strettissimo. Bisogna combattere. Ma anche evitare di farsi troppo male. Il modo per tenere in equilibrio, per lo sfidante di Vendola è provare ad alzare il profilo. Spiegare che l’alleanza che lui sta mettendo insieme è quella che può dare una risposta alla crisi dell’opposizione in Italia: “Ho provato a far ragionare Nichi in ogni modo”. E ancora: “Ogni volta che gli spiegavo quale fosse il problema, c’era sempre io-io-io. Non sto seguendo Vendola sulla strada della corrida. Questa non è una sfida Boccia-Vendola, è un confronto tra due idee diverse della politica che rappresentiamo”. E poi: “Noi vogliamo costruire l’alternativa su una

nuova stagione che riscriva il rapporto tra lavori e imprese, soprattutto le piccole in Puglia e nel Mezzogiorno, tra diritti e ruolo delle famiglie”. Boccia in questi giorni parla di pagare con i soldi della regione gli interessi delle famiglie sui mutui, di modernità, di diritti. Ma intanto si è creato un altro paradosso: Vendola sembra il leader anti-Palazzo, e lui l’uomo della classe dirigente. Scherza, dal palco, Bersani: “Avete sentito il suo discorso? Questo non è un avventizio. Quanto alla storia della balia… Ho quindici anni più di te, e me lo dicono anche a me, che D’Alema è la mia balia. Non te ne curare, e vai ben dritto”. Ma se domenica sera Boccia perde, perderanno sia Bersani sia la balia.

ATTILIO ROMITA

IL PRESENTATORE PRESENZIALISTA CHE PIACE A B. di Carlo Tecce

on elasticità e slancio (era campione reCle),gionale di pattinaggio artistico su rotelAttilio Romita ha evitato un ballottaggio in seno a mamma Rai con Francesco Giorgino. Il triangolo no: il fratello di Giorgino, Nicola, è candidato sindaco nella natia Andria con il centrodestra. Il conduttore del Tg1 s’avvia solitario alla corsa per la presidenza della Puglia, mezzobusto vincente indicato da Silvio Berlusconi per sparigliare i politici di professione. Presentatore e presenzialista, il barese Romita, per i cartelloni pubblicitari, potrebbe recuperare un servizio di Vip del settembre 2005: foto in piscina sulla costiera amalfitana, primo piano con petto villoso e bermuda giallo pastello, coppa di gelato e timido abbraccio alla moglie Angela. E un titolo enorme: “E' la mia regista segreta”. Anche se i pantaloni li porta e (quasi) li cuce da sé medesimo: “Alla mia immagine dedico un certo impegno, mi piace trascorrere un pomeriggio dal sarto e scegliere personalmente i tessuti delle giacche, oppure farmi fare le cravatte dalla cravattaia. E’ un gioco che trovo divertente e sono certo che potrei dare consigli di buon gusto a molti”. Adolescenza tra le cabine borghesi del Trampolino, sovrastanti la spiaggia libera del Canalone, gavetta in radio e tv private, il praticantato nel quotidiano Puglia della famiglia Gismondi: “Mi ricordo che Rino Formica mi ripeteva sempre: un uomo che recide le sue radici e

le dimentica non può essere felice. In tutti questi anni – racconta a Rai Vaticano - penso di aver sempre tenuto fede a tale principio, perché ho cercato di conservare, a dispetto della distanza fisica, un rapporto con la mia Puglia. Il desiderio di esercitare il mestiere di giornalista con il massimo delle potenzialità prevalse e mi portò sino a Roma”. Lassù, nella Capitale. Sempre al posto giusto per l’obiettivo giusto. Obiettivo fotografico: “Quando la mondanità si traduce in tavole ben apparecchiate, ottimo cibo, vini eccellenti e buona musica, essa incontra il mio favore e non devo certo vergognarmi di apprezzarla. Non sopporto i cosiddetti ‘morti di fama’, che pur di apparire venderebbero l’anima al diavolo”. Ma c'era Romita globetrotter all'inaugurazione del 'mercato in festa' a Sant’Arsenio (provincia di Salerno) con Eleonora Daniele, al teatro di Catanzaro con l’attrice Jo Champa, in piazza del Attilio Romita visto da Fucecchi

Campidoglio alla mostra su Oriana Fallaci, a Salerno per 'moda, arte e cultura' con Natalie Caldonazzo: tappe tratte a caso dell’immenso tour 2009. In redazione passa nei giorni pari: “Nei giorni dispari è in giro a promuovere se stesso”, dicono i colleghi. Invitato (non inviato) speciale in casa di Diego Cammarata, sindaco berlusconiano di Palermo, per un’intervista sul rinascimento della città travolta da immondizia e disoccupazione: insurrezione dell’Ordine dei giornalisti. Fedele discepolo di Clemente Mimun, amico di Paolo Bonaiuti, Romita ha appena introdotto la telefonata natalizia di Berlusconi al Tg1 con un eccellente risultato che sorprese persino il direttore Minzolini: zero domande zero. Forse stava già preparando il programma politico da governatore: “Il futuro economico e anche culturale della mia regione è connesso alle sue risorse turistiche. Il popolo pugliese si distingue per la sua innata predisposizione alla ospitalità, per la capacità di far sentire a suo agio il forestiero o il villeggiante. Perché non mettere a frutto questo patrimonio?”. Romita ci mette la faccia e la posa in costiera. O il mezzobusto, se preferite.


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Polverini: “Sono la sola ad aver lasciato la poltrona”

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o appreso con stupore che Emma Bonino non solo è di Cuneo e si candida nel Lazio, ma guiderà anche la lista in Lombardia e continuerà a svolgere il suo ruolo di vicepresidente del Senato. Prima ancora di essere candidata, ho detto che avrei lasciato la guida del sindacato, una scelta di coerenza

che rivendico”. Lo ha detto Renata Polverini, candidata per il Pdl alla presidenza della regione Lazio, nel corso della trasmissione Omnibus. “Io sono l’unica a rischiare l’unica poltrona che aveva”, ha proseguito la Polverini, che ha anche annunciato un video “più comprensibile ma anche più sincero” di quello che i sostenitori della Bonino hanno

realizzato sul modello del film “Avatar”. In quel filmato, secondo la candidata Pdl, “manca il referendum per l’abolizione dell’articolo 18, manca l’abrogazione delle associazioni dei lavoratori, ma anche la proposta di legge per cambiare l’articolo 1 della Costituzione per togliere la parola lavoro”.

LA SCOMUNICATA

Il cardinale Ruini contro la candidatura Bonino: in ballo questioni etiche, ma soprattutto sanità e scuola di Marco Politi

intesa Ruini-Berlusconi per sbarrare il passo alla Bonino cade nel giorno in cui la maggioranza approva la legge salva-delinquenti, con un codicillo che imbavaglia la Corte dei conti, favorendo le malversazioni negli enti locali. E’ l’immagine plastica della spregiudicatezza del cardinale, per il quale la battaglia ideologica contro la Bonino conta maggiormente dello scempio inflitto al sistema giudiziario italiano: caso unico nelle democrazie occidentali. Lo stesso Avvenire, in una rubrichina intitolata “Da sapere”, informa i lettori che la norma transitoria approvata mercoledì “mette al riparo Silvio Berlusconi dai processi Mills e Mediaset, ma sarebbero a rischio anche i giudizi sul crac di Parmalat e su Antonveneta”. Ce n’è abbastanza perché il lettore cattolico avvertito capisca che sotto attacco è la legalità, ma soprattutto la categoria di “bene comune” fondamentale nella dottrina sociale della Chiesa. Poiché già soltanto nel caso Parmalat rimarranno senza giustizia migliaia e migliaia di poveri cristi. La stessa Udc, per bocca del capogruppo al Senato D’Alia, ha bollato il testo della maggioranza di centrodestra come “tentativo malriuscito di norme ad personam”. Denunciando che vi sarà prescrizione anche nei “processi per mafia, terrorismo, riduzione in schiavitù”. Sono questioni che non sembrano turbare l’ex presidente della Cei. In lui, da vero “animale politico” (così si definì egli stesso tempo addietro in un convegno), prevale la logica di schieramento. E per la gerarchia ecclesiastica lo schieramento da difendere è il centrodestra, mentre la prospettiva di Emma Bonino governatore del Lazio è da scongiurare a tutti i costi. Non sono unicamente le battaglie in difesa di aborto, divorzio, coppie di fatto, testamento biologico, che vengono addebitate alla leader radicale. In gioco sono interessi materiali corposi: le regioni gestiscono le spese di sanità (vedi ospedali cattolici), le spese scolastiche (vedi scuole cattoliche) e i bonus da concedere ai genitori. Esemplare la distorsione a favore dell’istruzione privata e a scapito degli istituti pubblici, realizzata in Lombardia dal governatore ciellino Formigoni. In questa fase preelettorale Ruini si muove da battitore libero, ma certo di avere le spalle coperte dal cardinale segretario di Stato Bertone (vero timoniere della “politica italiana” del Vaticano), che Benedetto XVI ha appena riconfermato in carica. Il cardinale Bagnasco, presidente dell’episcopato, si è tenuto sinora defilato. Ieri è

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stato ricevuto in udienza dal Papa in vista del prossimo Consiglio permanente della Cei, quando darà le sue indicazioni. L’episcopato italiano è diviso fra chi vorrebbe non impegnarsi direttamente nello scontro elettorale imminente e chi come il vescovo ciellino di San Marino mons. Negri già affila le armi e ricorda pubblicamente che quando gli elettori andranno alle urne “non sarà facile co-

CROCIFISSO

Ricorso a Strasburgo il Vaticano approva

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una sentenza che va contro il sentire del popolo, il sentire della gente”. Per questo il ricorso “è da lodare e sostenere”. Chi è che parla? Berlusconi che commenta qualche processo o lodo che lo riguarda e non andato a buon fine? No, è il cardinale Angelo Bagnasco che plaude al ricorso del governo italiano contro la decisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo che vieta l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche. Ricorso anticipato ieri dal sottosegretario, Gianni Letta, che ha rivelato che sull’argomento si è tenuta una riunione al ministero degli Esteri. Secondo Bagnasco “la sentenza va riequilibrata, è contro l’oggettività della storia europea che nasce dal Vangelo, pur accogliendo altri contributi”. E Letta di rimbalzo: “Abbiamo fiducia che la Corte ripari a quello che ci appare come un grande torto alle tradizioni del nostro paese”. (vin.iur.)

La Chiesa non vuole legarsi mani e piedi a Berlusconi ma plaude all’intesa con Casini Emma Bonino

niugare il valore del rispetto assoluto della vita con posizioni politiche di persone che sono evidentemente in contrasto”. A Torino il cardinale Poletto ha invece sottolineato recentemente che la Chiesa è super partes dato che “il buono e il cattivo stanno dall’una e dall’altra parte”. Poletto, tuttavia, ha indicato alcuni punti chiave su cui i candidati dovranno misurarsi: la “difesa della vita” dal concepimento alla sua fine naturale, il matrimonio tra uomo e donna, il diritto alla

scelta dell’educazione scolastica, la libertà religiosa, la difesa della dignità umana indipendentemente dall’etnia. Punti discriminanti che la gerarchia ecclesiastica ricorderà a livello nazionale. Per Ruini, che in questa vicenda ha voluto tornare sulla scena politico-ecclesiastica dopo la fine della sua presidenza Cei nel 2007, è assolutamente prioritario impedire la vittoria della “laicista” Bonino. Nel 2000, per punire l’ulivista Badaloni governatore del Lazio

che voleva varare alcune norme di assistenza anche a favore delle coppie di conviventi, il cardinale spostò voti sulla candidatura di Storace. E il centrodestra vinse. Non è molta la capacità di influenzare voti dell’istituzione ecclesiastica: a spanna, dicono gli esperti, qualcosa tra il 3 e il 5 per cento degli elettori. Ma è una forza decisiva nel caso di duelli testa a testa come si sta configurando quello tra la Polverini e la Bonino. In questo schema l’alleanza tra

Berlusconi e Casini, di cui Ruini era patrono già alle elezioni politiche del 2008 (e che il Cavaliere allora respinse), risponde – perlomeno nel Lazio – ad un esplicito desiderio del Vaticano. L’Avvenire, giornale dei vescovi, sta già cominciando a muoversi in questa direzione. In un editoriale ha attaccato Marini nel Pd per il suo appoggio alla Bonino e da qualche giorno (un modo classico per segnalare il trend) pubblica lettere di lettori con dubbi e delusione “di cat-

tolici” per la candidatura radicale. Ieri però è apparsa in pagina anche una lettera, in cui si afferma che “il cattolico può militare in qualunque partito” a patto che esprima il lievito della fede. Segno che la situazione generale è ancora fluida e la Chiesa non vuole legarsi totalmente mani e piedi all’avventurismo del Cavaliere. Anche perché i sondaggi delle passate elezioni hanno rivelato che agitare i “temi etici” inf luisce pochissimo sul voto.

CAMPAGNA DI LIBERO

DAL GIORNALE DEGLI ANGELUCCI È GIÀ PARTITO IL PRIMO COLPO di Enrico

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offensiva è partita subito. PriL’quartier ma del previsto, assicurano nel generale di Emma Bonino. Prima pagina di Libero. “Il caso Emma Bonino”. Titolo: “Abortista & Presidente”. Nelle pagine interne la “vera storia di Emma”, “l’abortista fai da te che vuole fare il presidente”. E poi foto. La più innocente è del 1974 e ritrae uno striscione divorzista dei radicali, l’altra, quella che i cattolicissimi lettori laziali devono imprimersi bene nella mente, fissa una giovanissima Bonino “mentre pratica un aborto clandestino”. Altro che “Emma avatar”, altro che Emma-madre Teresa e il suo impegno umanitario a livello internazionale. Quelle foto non ci sono. Scomparse. Perché ora serve l’immagine fine del mondo, quella di “Emma mammana”. Spara ad alzo zero il quotidiano della famiglia Angelucci contro la candidata del Pd. Raccogliendo e amplificando i desiderata delle gerarchie vaticane. In ballo, però,

non ci sono solo “valori” (le idee radicali di Emma che non piacciono al di là del Tevere), ma cose molto più materiali: la giunta regionale che verrà, la spartizione degli assessorati, il controllo della spesa, quella sanitaria, soprattutto. “Una delle più potenti lobby sanitarie, finanziarie, ma anche politico-editoriali, ci ha dichiarato guerra”, dicono i sostenitori della Bonino, sicuri che il peggio certamente verrà. Articoli dei giornali di famiglia, dossier, politici amici anche dentro il Pd, quanto è necessario perché a muovere le fila dell’assessorato più ricco e importante non arrivi un nemico della famiglia Angelucci. “Non ho mai usato i miei giornali per fini personali”, ha sempre ripetuto Antonio Angelucci, fondatore dell’impero e senatore del Pdl. Ma se chiedete ad Esterino Montino, vicepresidente della Giunta Marrazzo, vi racconta un’altra storia. Gli Angelucci lo ritenevano il responsabile dei 30 milioni di euro di tagli che la Tosinvest aveva dovuto subire. La causa vera era l’enorme

debito sanitario della regione Lazio e il piano di rientro imposto dal governo. L’affaire Marrazzo-trans era già scoppiato, a Montino – ex sindacalista e funzionario del Pci da una vita – era toccato l’impossibile compito di governare la regione e reggere i colpi dello scandalo. Anche in quella occasione i cannoni di Libero spararono a palle incatenate. Se il governatore frequentava Brenda e Natalie, il suo vice gestiva nientedimeno che un “locale osé”, una sexy-disco a Testaccio, cuore popolare della Capitale. Montino protesta, querela (il locale effettivamente non è suo, e Libero è costretto a scusarsi), e si allarma perché intravede sullo sfondo di quella campagna una vendetta degli Angelucci. Che dal 2000 al 2008 hanno perso una fetta consistente del loro business sanitario nel Lazio. Soprattutto nel settore della riabilitazione, che dieci anni fa ruotava attorno alla vertiginosa cifra di 72 milioni di euro, lievitati cinque anni dopo, grazie alla cura Storace, a 100 milioni e 900 mila. Con Mar-

razzo le cose cambiano poco, tanto che nel 2006 gli Angelucci incassano dalla regione 105.212.413 euro. La mazzata arriva col piano di rientro, tra riabilitazione e day hospital tagliati, la Tosinvest perde quasi 30 milioni di euro. Un brutto colpo, Tonino and family protestano con i vari assessori e minacciano tagli di portantini, medici e infermieri. C’è poi la vicenda del video hard di Marrazzo con i trans. Giampaolo Angelucci nega di averlo visto, come invece i responsabili dell’agenzia Photo Masi confermano. Sta di fatto, che Marrazzo incontra per ben due volte Tonino Angelucci, l’ultima dopo aver ricevuto la famosa telefonata di Berlusconi che lo avvisa dell’esistenza di un filmato compromettente. Il resto è storia di uno scandalo che ha occupato le prime pagine dei giornali di famiglia. I giornali della Tosinvest sono liberi, il senatore Tonino, l’ex portantino, non li ha mai usati per suoi scopi personali, ma per Emma si preparano tempi molto duri.


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Il 7 gennaio tra gli immigrati scoppia la rivolta

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a rivolta di Rosarno è scoppiata il 7 gennaio nella Piana di Gioia Tauro, per la protesta di alcune centinaia di extracomunitari, lavoratori dell’agricoltura, accampati in condizioni disumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un’altra struttura abbandonata. A fare scoppiare la miccia è stato il ferimento con un’arma ad aria compressa, da

parte di un gruppo di sconosciuti, di alcuni cittadini extracomunitari. Sono complessivamente 1128 gli extracomunitari che hanno lasciato la zona di Rosarno – 15mila abitanti – dopo la rivolta scoppiata e durata due giorni che ha provocato in tutto 66 feriti tra immigrati (30, di cui due gravi), cittadini (17) e forze di polizia (19). Quattrocentoventotto sono stati portati nel

Centro di prima accoglienza di Crotone e 400 in quello di Bari. Altri 300 immigrati hanno lasciato la Piana di Gioia Tauro utilizzando treni ordinari diretti al nord e in altre destinazioni. I vigili del fuoco hanno poi demolito le strutture fatiscenti dell’ex Rognetta, l’ex deposito alimentare alla periferia di Rosarno che era stato occupato dagli immigrati.

Napolitano: “Rosarno si poteva evitare” IL PRESIDENTE IN CALABRIA TROVA AD ATTENDERLO UN CARICO D’ARMI apolitano va a sud. E ci trova immigrati, bambini e un carico di armi. Forse destinato a lui. Il Presidente della Repubblica in visita a Reggio Calabria ci tiene a far passare due concetti fondamentali: “Per sconfiggere la ’ndrangheta, il suo nemico principale, la Calabria che è una regione sfortunata, deve mobilitarsi di più, deve esprimere le sue energie e la sua capacità di reazione più di quanto non abbia fatto finora”. E “noi rappresentanti dello Stato non dobbiamo fare fugaci apparizioni in Calabria, ma sviluppare un impegno sistematico contro la 'ndrangheta e per affermare la legalità”. Il Presidente ha lodato l'impegno del governo. Poi, le valutazioni sui fatti di Rosarno: “Avremmo dovuto prevenire. Guai a pensare che gli immigrati siano portatori di violenza e che i cittadini di Rosarno siano portatori di razzismo. Dobbiamo stare molto attenti. Respingiamo questi pregiudizi accumulati”. Durante la sua visita, Il Capo dello Stato ci ha tenuto a fare dei gesti, anche simbolici: ha stretto la mano a tre immigrati, rimasti feriti negli scontri di Rosarno, sincerandosi delle loro condizioni di salute. Poi, ha incontrato e salutato una bambina con il velo, la piccola Fa-

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tima dell’Istituto comprensivo di Riace. Sull’incontro, c’è stata anche una polemica. Secondo il Sindaco di Riace, Domenico Lucano, la bambina avrebbe dovuto parlare in occasione della giornata della legalità, ma le sarebbe stato impedito a causa del velo. Una nota del Quirinale ha sottolineato che il Presidente ha incontrato autonomamente la piccola. Nel giorno della visita, inoltre, al Presidente è arrivata anche una lettera aperta, firmata Guerino Nisticò, per ricordargli le molteplici carenze della Calabria che hanno portato suo padre alla morte. Franco Nisticò, che il 19 dicembre stava manifestando a Villa San Giovanni per rimarcare il problema della S.S.106 “che continua ad essere un incessante e assurdo bollettino di guerra”, come scrive il figlio, “proprio di quelle carenze ha pagato il prezzo più estremo, morendo e perdendo in modo assurdo la propria vita”. Perché; “in Calabria si può morire per un’ambulanza che non c’è e/o che non arriva in tempo”. Anche se non proprio sul suo percorso, alla fine della sua visita, Napolitano trova ad attenderlo una Fiat Marea rubata a Reggio Calabria, scoperta da una pattuglia dei carabinieri ad alcune centinaia di metri dall’aeroporto. All’interno ven-

gono trovati due fucili semiautomatici da caccia calibro 12, con le canne tagliate. Sotto il sedile del guidatore c'erano due pistole, una calibro 7.65 ed una 38 a tamburo, due ordigni rudimentali e tre passamontagna. Nel bagagliaio, inoltre, è stata trovata una tanica da due litri con liquido infiammabile. Secondo fonti dell’antimafia, non è da escludere che la macchina con esplosivo e armi "fatta trovare su segnalazione di una fonte confidenziale proprio stamattina, quando Reggio Calabria era presidiata dagli uomini delle forze dell’ordine per la visita del Presidente Napolitano, sia un segnale di minaccia e intimidazione nei confronti dello Stato". Tesi che si pone in netta antitesi con quella sostenuta dalla Dda di Reggio Calabria. Secondo il procuratore aggiunto, Nicola Gratteri, “il ritrovamento dell’automobile non è assolutamente un segnale lanciato alle istituzioni. Se qualcuno avesse voluto attuare un’azione in tal senso, l’automobile sarebbe stata lasciata davanti ad un ufficio pubblico o giudiziario. In realtà quelli nell’auto erano soltanto 'attrezzi’ per attuare un’intimidazione collegata, presumibilmente, ad un tentativo di estorsione. Nulla di più".

C’ERA UNA VOLTA IL LOFT Addio all’open space che lanciò Walter di Walter

Verini*

domanda: “Dove sei?” capitava di Ala llarispondere : “Al loft”. In altre epoche, risposta sarebbe stata “al partito”. Quella risposta evocava ciò che quei locali volevano rappresentare: uno spazio aperto, non plumbeo, dove si producevano idee, iniziative politiche. Che dava fisicità al progetto del Partito Democratico, del Lingotto, che tre milioni e mezzo di cittadini avevano lanciato con le primarie del 14 ottobre. L’inaugurazione ci fu il 9 novembre del 2007 e quel giorno, con Veltroni, c’erano tutti, a partire dal Presidente del Consiglio (“È bellissimo”, esclamò Prodi). Lì iniziò subito il lavoro del nuovo esecutivo, in una sala con pareti di vetro. Più della metà donne, tanti giovani, qualche dirigente più sperimentato - perfino un premio Oscar, un grande intellettuale come Vincenzo Cerami - a spendersi per scrivere una pagina davvero nuova. Uno spazio non opaco ma visibile, non oscuro ma trasparente, simile ad una certa idea della politica. Radicata, ma non pesante. Ci siamo capiti. Una politica diretta, priva di quei bizantinismi, pesantezze e sacralità residui del passato. La mia opinione è che quel progetto fosse troppo ambizioso. Non per quei tre milioni e mezzo delle primarie, ma per gran parte del ceto po-

litico, che tendenzialmente preferisce spazi meno aperti e sale-riunioni senza vetrate. Ricordo infine i giorni della straordinaria campagna elettorale 2008, quando dal “loft”, con Peluffo, Roscani e Novelli si coordinava il viaggio di Veltroni lungo le centodieci province italiane. Il “loft” vide anche l’attesa del risultato, quel 33,4% che fu fatto passare come una sconfitta ma che in realtà era una grande base per sviluppare – senza l’orologio in mano – un progetto ambizioso e non di corto respiro. Da allora l’aria cambiò e ci fu anche il trasferimento nella più comoda sede di S. Andrea delle Fratte. Il “loft” visse comunque un’altra grande giornata. Era il 25 ottobre 2008. Il Circo Massimo, proprio lì, ospitò la più grande manifestazione di un partito politico. Quell’idea del PD avrebbe potuto ripartire. Non è stato proprio così, ma questa è un’altra storia. *Deputato, capo-segreteria di Veltroni. Oggi nessun dirigente del Pd abita più al Loft. Gli uffici si sono trasferiti a via del Tritone

Napolitano con la piccola Fatima (FOTO ANSA) . Sotto un’immagine del Loft (

Un pranzo alla settimana ANCORA UN INCONTRO B.-FINI PER GIOCARE ALLA PACE di Sara

Nicoli

è stato un solo momento, Ce Casini nel vertice del Pdl tra Fini che si è tenuto all’Hotel De Russie di Roma, in cui si è sfiorata una nuova rottura nel momentaneo, ritrovato asse di coesione tra i due co-fondatori. Ed è stato quando Fini ha rovesciato sul tavolo da pranzo la questione del processo breve, del suo imminente arrivo alla Camera e delle sue palesi incostituzionalità contenute nelle norme transitorie appena approvate dal Senato. Pare che Berlusconi abbia fatto la faccia dura quando il presidente della Camera ha buttato lì la proposta “inde-

Problemi sul simbolo: la Lega non vuole l’emblema del Pdl accanto ai nomi di Zaia e Cota

cente” di rivedere la norma alla Camera. Addirittura, ha sostenuto uno dei presenti all’incontro, sarebbe stata paventata l’eventualità di rimandare l’approvazione della norma a dopo le elezioni, “per non turbare l’elettorato moderato su una legge che l’opposizione sbandiererà come ad personam e basta”. A quel punto, c’è voluta tutta la pazienza di Gianni Letta per rimettere insieme le parti. Risultato; sarà fatta una valutazione politica complessiva sul processo breve. Berlusconi, comunque, punta ad andare avanti senza stop, ma in questa fase non può rompere con Fini e dunque, anche ieri, ha dovuto assecondarne i desiderata. Il piatto caldo dell’incontro, comunque, sono senz’altro state le candidature regionali. A Fini, Sandro Bondi ha spiegato lo spirito del documento uscito l’altra sera dall’ufficio di presidenza del Pdl dove veniva confermata la “valutazione negativa sulla linea del doppio forno scelta da Casini”, ma dove si dava anche pieno mandato a Berlusconi di dare l’ultima parola sulle alleanze rispetto alle peculiarità regionali. “Non condividiamo la linea del partito di Casini di volersi alleare a macchia di leopardo, a seconda delle circostanze - ha poi spiegato nel dettaglio Bondi - perché vogliamo salvaguardare la validità del bipolarismo e intendiamo rafforzare questo percorso, tant’è che in questo quadro abbiamo avviato una riflessione sulle prossime elezioni”. Comunque, come andranno a finire le cose davvero lo si saprà solo lunedì, dopo le primarie in Puglia. Spiegava, ieri, il centrista e braccio destro di Casini Roberto Rao. “Se dovesse vincere Vendola cercheremo di farci riprendere dal Pdl. Certo, il nome di Attilio

Romita è stata per noi una sorpresa”. E non solo per i centristi, a dire il vero. Il ministro Fitto, per esempio, avrebbe espresso perplessità sulla candidatura, ma pare che Berlusconi sia stato inamovibile; l’investitura del barese, ex socialista Romita è dunque cosa fatta. Ma l’ultimatum a Casini, uscito l’altra sera da palazzo Grazioli, ha comunque sortito i suoi effetti. In Calabria, dove ormai si dava per cerca l’incoronazione dell’Udc Occhiuto per la presidenza, ieri è tornata con forza a farsi largo la voce che Casini, alla fine, si sarebbe convinto ad appoggiare il candidato Pdl Scopelliti, così come in Campania Dambruoso. Con il centrosinistra i centristi stringeranno alleanza per il Piemonte, la Liguria e le Marche. Punto interrogativo, invece, sulla Lombardia. Dove, alla fine, in virtù anche dei veti di Bossi, i centristi potrebbero far emergere una candidatura autonoma. A turbare Berlusconi in queste ore c’è anche un’altra faccenda non di poco conto, quella del simbolo. Il premier, infatti, non ha ancora deciso quale sarà il ‘marchio’ del partito da spendere sulle schede alle elezioni perchè la Lega non vuole mettere i nomi di Luca Zaia e Roberto Cota (suoi candidati in Veneto e Piemonte) accanto all’emblema del Pdl. Le opzioni sul tavolo sono diverse, si parla di dividere il simbolo a metà, una parte viene riservata al Pdl e l’altra al Carroccio, oppure di presentare schede neutre eventualmente con l’indicazione del partito da votare e della Regione. Il nodo verrà sciolto lunedì sera, ad Arcore, quando Bossi vedrà a cena, come di consueto, il Cavaliere. Intanto, il Senatùr ribadisce: “Non abbiamo bisogno dell'Udc”.


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Tutto cominciò con le accuse dell’avversario Cazzola

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POLITICA

l Cinziagate scoppia nel pieno della corsa per la poltrona di sindaco di Bologna, quando Alfredo Cazzola, l’ex patron del Bologna Calcio, della Virtus di pallacanestro e del Motor Show, candidato del Pdl, accusa l’avversario Flavio Delbono dai microfoni di Radio Città del Capo: “Le porto i saluti di Cinzia Cracchi con cui ha viaggiato all’estero spendendo soldi pubblici”. La Procura della Repubblica

di Bologna apre, quindi, un’inchiesta contro ignoti, ma dopo aver letto le carte consegnate dalla regione Emilia Romagna – della cui giunta Delbono faceva parte all’epoca dei fatti contestati – i pm Serpi e Persico a settembre chiedono l’archiviazione riscontrando “che non ci sono irregolarità”. Però il presidente dei gip del Tribunale di Bologna, Giorgio Floridia, il 28 novembre scorso ha respinto la richiesta di archiviazione

restituendo gli atti alla Procura per svolgere nuove indagini. Il giorno dopo Delbono e Cinzia Cracchi vengono iscritti nel registro degli indagati, accusati di peculato e abuso d’ufficio. Due sere fa l’interrogatorio di Cracchi che conferma le accuse: viaggi a spese del contribuente assieme all’amante, di cui era segretaria. Delbono sarà convocato dal pm Plazzi appena la Procura otterrà ulteriori riscontri nelle indagini.

FIDUCIA AL SINDACO MA ANCHE NO Il Pd difende Delbono, ma il granitico blocco emiliano scricchiola e la segreteria discute del “Cinzia-gate”

di Giampiero Calapà Bologna

iena fiducia a Flavio Delbono, ma anche alla magistratura. Quindi una fiducia a termine, pronta ad esaurirsi se il sindaco venisse rinviato a giudizio. Il Pd bolognese, inserendo nell'ordine del giorno della segreteria di ieri sera il “Cinzia-gate”, ha deciso di cominciare ad affrontare la spinosa questione, rompendo il tabù durato troppi giorni. Anche se a Bologna il partito si presenta ancora come un blocco granitico, qualche crepa adesso si vede e c'è anche chi ritiene conclusa la fase da Good bye Lenin (il film in cui, nella Germania dell'Est, a una donna uscita dal coma il figlio per anni non racconta della caduta del muro). “Se Cinzia Cracchi potrà provare le sue accuse non è finita soltanto per Delbono, è finita per tutti noi”, ammette a denti stretti un assessore. Una riflessione inevitabile, un disagio ben sintetizzato dalla consigliera comunale Lina Delli Quadri, sicura che nella peggiore delle ipotesi (una richiesta di rinvio a giudizio per Delbono) le dimissioni saranno inevitabili: “Dobbiamo essere rispettosi della magistratura, perché se l'indagine è stata riaperta avranno avuto gli elementi necessari. Il sindaco, in modo coerente con il suo percorso politico in un partito che dell'etica fa la sua bandiera, non potrà che prendere le decisioni per il bene comune. In modo da consentire un'azione amministrativa efficace e non inquinata da veleni”. Il segretario nazionale Pier Luigi Bersani, invece, per ora difende Delbono senza se e senza ma: “Ha già chiarito con una dichiarazione”. Delbono, infatti, è uscito con una nota nel

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pomeriggio: “Non ho commesso reati”. Lo ha fatto dopo aver snobbato i cronisti che assediavano il suo ufficio, in mattinata, rivelando però nervosismo e tensione. Sempre ieri mattina, però, Bersani ha incontrato il governatore Vasco Errani, discutendo dei possibili risvolti della vicenda bolognese sulla corsa alla Regione, che comunque difficilmente sarà compromessa. Le accuse nei confronti del sindaco sono peculato e abuso d'ufficio. Al vaglio della pm Morena Plazzi i viaggi all'estero di Delbono, quando era vicegovernatore dell'Emilia Romagna, con l'ex amante e segretaria Cinzia Cracchi, ora grande accusatrice (e indagata per gli stessi capi d'imputazione). New York, Pechino, Parigi, Messico, Israele, Bulgaria – dove c'è un ufficio della Regione e dove Delbono ha interessi privati – e Santo Domingo: queste le mete in cui sarebbero state fatte spese pazze con risorse pubbliche. Voci insistenti parlano addirittura di una settimana in un villaggio vacanze (che poco pare avere a che fare con un viaggio istituzionale) nello Yucatan: “Ritengo che – giustifica il legale del sindaco – sia legittimo, in coda a una missione, aggiungere qualche giorno di vacanza. E mai spendendo denaro pubblico a fini privati. Il peculato non c'è stato e non aspettiamo altro che chiarire tutto in procura”. Il pm, prima della convocazione, starebbe aspettando alcuni riscontri investigativi, ma si parla di sabato mattina come possibile data per l’audizione di Delbono. Da registrare il passo indietro sulla negazione degli incontri – avvenuti tra il sindaco e Cracchi a partire dallo scorso giugno – perché il legale del sindaco ha ammes-

CONOSCENZE

AMICO DI BANCOMAT M

irko Divani, 60 anni, dottore in scienze politiche e dirigente pensionato della Farmacom, ora collabora con il Cup per l'installazione dei computer. Una vita nel Pci, dice di aver conosciuto Delbono “ai tempi dell'Ulivo, lavorando insieme a un sogno in cui credevamo”. L'amicizia era talmente profonda che cinque anni fa Divani consegna un suo bancomat a Delbono e dice di non sapere che lo stesso bancomat è finito in altre mani, quelle della Cracchi. Martedì notte ha ricevuto la visita della Digos, a cui ha consegnato alcuni estratti conto riferibili a quel bancomat. Ora è all'estero, avrebbe raggiunto Bucarest in Romania. Non troppo lontano da Sofia, quindi, dove Delbono ha degli interessi tali da giustificare sedici trasferte tra il 2003 e il 2008. L'avvocato Trombetti chiarisce: “Delbono ha fatto un investimento immobiliare là, tutto in regola. Divani è nei Balcani? Non vorrei saltassero fuori anche coincidenze con la liberazione di Alì Agca”, afferma il legale sarcastico. (Gia. Ca.)

Il sindaco di Bologna Flavio Delbono; sotto una veduta di Venezia (FOTO ANSA)

so, pur rovesciando la frittata: “Da dopo il ballottaggio tra i due ci sono stati molti incontri, perché la Cracchi è animata da sentimenti personali. Infatti era lei che cercava il mio assistito, anche per ricucire un rapporto che, per sette anni, è stato una storia d'amore”, ammette l'avvocato Paolo Trombetti (nominato lo scorso ottobre dal sindaco nel cda del Gruppo Hera, la holding multi-servizi del Comune). In quelle occasioni, incontri avvenuti per lo più in un bar vicino alla stazione (secondo quanto affermato dalla Cracchi in quattro

ore d'interrogatorio), Delbono avrebbe esortato la donna al silenzio in cambio di un'auto nuova e una consulenza da 1500 euro al mese. Un'altra cosa che Delbono avrebbe chiesto è la restituzione di un bancomat, intestato all'amico Mirko Divani, lasciato nella disponibilità della Cracchi che avrebbe potuto prelevare fino a mille euro al mese. Poi c'è la presunta mediatrice, l'assessore ai servizi sociali Luisa Lazzaroni, ieri furente contro i cronisti: “Basta, non aggiungo gossip a gossip, perché di questo si tratta”, derubricando le accuse di

peculato e abuso d'ufficio a paparazzate. “É sempre stata la mediatrice tra me e Flavio a partire dallo scorso giugno – ha detto Cracchi alla pm Plazzi – quando lui era in campagna elettorale si faceva viva lei. Infatti è assessore: è stata premiata”. Mentre Cracchi, quando finì la storia d'amore con l'ex vicegovernatore, dalla Regione finì a lavorare al Cup di Bologna, la società che gestisce le prenotazioni sanitarie. Tutto cominciò a pochi giorni dal voto con le pubbliche accuse di Alfredo Cazzola, candidato a sindaco contro Delbono, da cui nacque

l'inchiesta che il gip non ha permesso di archiviare, nonostante la richiesta dei pm, rinviando a nuove indagini sui viaggi. Ma in realtà molti consiglieri comunali erano stati messi a conoscenza delle vicende, proprio dalla Cracchi, già a marzo: nessuno di loro, però, informò l’autorità giudiziaria, anche se ricoprendo il ruolo di pubblici ufficiali avrebbero dovuto farlo. Cosa sarebbe accaduto se le affermazioni della Cracchi fossero state raccolte a marzo, quindi prima del giugno elettorale? Bologna avrebbe eletto comunque Delbono a Palazzo D'Accursio?

PRIMARIE A VENEZIA

ORSONI, L’INDIPENDENTE CHE GUARDA AL CENTRO E TAGLIA A SINISTRA di Erminia Della Frattina

runetta? Yes weekend”. Si rac“B chiude così, in una battuta, la risposta di Giorgio Orsoni al ministro Brunetta, candidato del Pdl alla poltrona di sindaco di Venezia. “Venezia è una città complessa, che si merita un sindaco a tempo pieno, non uno che può dedicarsi alle questioni cittadine il sabato e la domenica”. Sì perché il ministro della Funzione pubblica ha già fatto sapere che, se diventasse sindaco, non lascerebbe il dica-

Chi sfiderà Brunetta? Domenica si decide, eppure in città c’è già il favorito (di Cacciari)

stero. Semplicemente si dividerebbe tra i due incarichi. Dall’altra parte della barricata, invece, le primarie di domenica decideranno il candidato del centrosinistra. Schierati per la sfida, tre candidati molto diversi tra loro come Giorgio Orsoni, 63 anni, sposato con figli, esperto giurista e ordinario di Diritto amministrativo a Ca’ Foscari, Laura Fincato, classe 1950, laureata in Filosofia, eletta alla Camera nel 2006 e a capo della segreteria del ministero degli Esteri ai tempi di Dini, e l’ambientalista e politico di lungo corso Gianfranco Bettin, sostenuto in questi giorni da un lungo elenco di scrittori e addetti ai lavori degli ambienti della cultura, dell’associazionismo. Ora, la cosa strana è che la maggioranza del Pd veneziano appoggia compatta Giorgio Orsoni che non ha la tessera del Pd, e nemmeno ha intenzione di averla. Per la precisione, Orsoni è un cattolico moderato “con idee vicine al centrosinistra”: così si autocertifica. Una giustificazione prova a darla Alessandro Maggioni, segretario comunale del Pd veneziano. “Sono finiti i tempi della politica

autoreferenziale e la candidatura di Orsoni ci permette di delineare un nuovo ciclo amministrativo nella nostra città e, finalmente, una nuova classe dirigente. Bettin invece appartiene alla classe politica che governa la città da venti anni”. Molto più concretamente, il vero “vecchio” della politica in laguna, Massimo Cacciari, che si trincera (come sempre) dietro un laconico “no comment” alle domande sulla candidatura Brunetta, ha dato chiari segnali di sostegno a Orsini, presidente dell’Ordine degli avvocati di Venezia e primo procuratore di San Marco. La ragione è semplice e concreta: l’unico modo di vincere le elezioni a Venezia, secondo Cacciari, è spianare la strada all’alleanza tra Pd e cattolico-moderati, Udc in testa, raccogliendo i cocci di Margherita, Popolari, ex ds e indecisi. Taglio netto, invece, con Rifondazione, Verdi e ambientalisti, da sempre spine nel fianco della ventennale amministrazione Cacciari. L’Udc, dal canto suo, tra i tre candidati dà il placet solo a Orsoni, che in questi giorni raccoglie anche l’appoggio ufficiale di buona parte de so-

cialisti, di Donadi e dell’Italia dei Valori, oltre che di Livia Turco e di molti parlamentari con radici venete. Orsoni del resto non è nuovo alle “stanze dei bottini” della Venezia che conta: è stato presidente dal 1997 al 2003 di Save, la società di ingegneria che gestisce l’aeroporto di Venezia, vicepresidente della Fondazione Cini e consigliere della Fondazione lirica La Fenice. Ed è proprio sulla gestione della cultura che il candidato traccia le prime coordinate del suo programma. “In questi anni – dice – si è sentita a Venezia la mancanza di un forte assessorato alla cultura. Dovrà essere compito del comune favorire le tante istituzioni culturali, a cominciare dalla Biennale, non subendole come è stato finora”. L’altro punto forte di Orsoni è la battaglia per ottenere un nuova legge speciale per Venezia, che non distribuisca solo le risorse, ma rimetta a posto le competenze del comune (“Solo per l’acqua, gli approdi e le regole navali sono quattro o cinque i referenti attuali, troppi”). Chiunque sarà il vincitore, si trova da amministrare i passaggi più importanti dei prossimi vent’anni. Sul piatto ci sono

l’enorme riqualificazione dell’area attorno all’aeroporto, la candidatura alle Olimpiadi, il futuro lavorativo del Porto di Marghera, la questione residenziale-abitativa, la riqualificazione del Lido. A Venezia, da giorni, gira la battuta che Brunetta dovrà stare attento all’acqua alta. “Se sale sopra il metro e cinquanta, el ministro se nega”. Ironia di una città che, chiunque sarà il sindaco, avrà un equilibrio vitale difficilissimo da mantenere: tra subsidenza, mobilità zoppicante e “desertificazione” della città, abbandonata dagli abitanti. Perché Venezia è una città che combatte contro il rischio di diventare una Gardaland sull’acqua per turisti di tutto il mondo.


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Venerdì 22 gennaio 2010

Almeno 70 famiglie affiliate a Cosa Nostra e ‘ndrangheta nel capoluogo lombardo

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CRONACHE

al 1997 al 2010. Tredici anni per rivedere a Milano la Commissione parlamentare antimafia che ieri ha incontrato il prefetto Gian Valerio Lombardi e il sindaco Letizia Moratti, mentre oggi sarà a palazzo di giustizia per un colloquio con il procuratore generale Manlio Minale. A Milano oggi si registra la presenza di almeno 70 famiglie

mafiose divise tra ‘ndrangheta e Cosa nostra. Mentre dal luglio 2008 al novembre 2009 ci sono stati 204 arrestati a vario titolo coinvolti in operazioni antimafia. Tra le più importanti, certamente quella sulle infilitrazioni della ‘ndrangheta nei lavori dell’Alta velocità. Nell’ultima, denominata Parco sud, è emerso come la cosca Barbaro-Papalia riciclasse il

denaro attraverso una società immobiliare con sede in via Montenapoleone. Di quella indagine facevano parte anche due giovanissimi, oggi latitanti: Antonio Perre, 25 anni e Domenico Papalia, 26, figlio di Antonio Papalia, per anni il referente al nord per la ‘ndrangheta, oggi in carcere a Padova ma non al 41 bis, regime che gli è stato tolto nel 2006.

A MILANO LA MAFIA NON È UN PROBLEMA: PAROLA DI PREFETTO Smentito dai fatti, la Lombardia è al quinto posto per beni confiscati di Davide

Milosa

a Commissione parlamentare antimafia in trasferta a Milano. Non accadeva dal 1997. Da quando le grandi inchieste avevano messo la parola fine alla luccicante favola della capitale morale d’Italia. Allora e ancora prima per i politici locali la piovra era solo una bella fiction. Tredici anni dopo lo spartito resta clamorosamente identico. A interpretarlo, ieri, il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi. Eccolo: “A Milano vivono diverse famiglie mafiose, ma questo non necessariamente porta ad affermare che a Milano c’è la mafia”. Insomma, quello del prefetto è stato un vero colpo alla logica dei fatti che, tanto per dirne una, collocano la Lombardia al quinto posto delle regioni italiane per beni sequestrati. Quinta dopo Calabria, Sicilia, Campania, Puglia. Ma evidentemente quei 663 beni confiscati alle cosche sono sfuggiti al prefetto. Come anche, probabilmente, i cinque omicidi di mafia registrati tra città e hinterland nell’ultimo anno e mezzo. Un dato epocale che riporta l’orologio indietro di almeno vent’anni. Eppure la parola d’ordine delle istituzioni locali sembra essere quella di negare l’evidenza. E così l’uscita del prefetto fa da controcanto alla bocciatura

L

voluta dal sindaco Moratti e dalla sua maggioranza di una commissione antimafia in consiglio comunale. “Si tratta di un incredibile passo indietro – ha commentato con forza Giuseppe Lumia, membro della Commissione e senatore del Pd – Le parole del prefetto sono molto gravi e la dicono lunga su quanto dobbiamo ancora fare per lotta alla mafia al nord”. E ancora, riprendendo la frase di Lombardi: “Si tratta di una contraddizione con tutti gli affari mafiosi presenti qui, dal traffico di droga alla collusione con le istituzioni fino agli appalti pubblici e al grande riciclaggio”. Al-

cuni numeri allora: attualmente al tribunale di Milano si stanno celebrando ben tre processi di mafia. Al centro le cosche Morabito e Barbaro-Papalia, oltre agli affari neri di un boss sanguinario come Giuseppe Onorato. E proprio ieri si è svolta un’udienza decisiva nel processo alle cosche di Buccinasco. Sul banco degli imputati Maurizio Luraghi, imprenditore accusato di aver mediato gli affari della ‘ndrangheta. Oltre sei ore di interrogatorio per capire che oggi, a Milano, il monopolio dell’edilizia è in mano alla mafia calabrese. Ma se i dibattimenti in aula sono tre, almeno dieci, inve-

ce, risultano le indagini in corso sulle infilitrazioni della ‘ndrangheta. In particolare se ne occupano quattro magistrati della procura di Milano, il famoso pool coordinato da Ilda Boccassini, di cui tutti sanno ma di cui si teme di parlare. Al centro il traffico di droga orchestrato dalle cosche di San Luca, il riciclaggio nelle discoteche della “movida” ad opera del clan di Franco Coco Trovato, l’inedita alleanza tra la mafia calabrese e uomini di Cosa nostra legati a Vittorio Mangano, e soprattutto gli appalti pubblici e privati attorno ai quali e in vista di Expo 2015 i clan di Reggio Calabria, pro-

prio qui a Milano, hanno dato vita a un vero comitato affaristico-mafioso con totale autonomia d’azione. Una cosa mai vista che tiene insieme boss di lungo corso legati alla destra eversiva e alla massoneria deviata, imprenditori apparentemente intoccabili, politici di spessore nazionale. Ma la mafia in questa città è anche il territorio. Del centro, ad esempio. Con bar e ristoranti dove boss del calibro di Guglielmo Fidanzati, figlio del latitante Gaetano Fidanzati arrestato il 5 dicembre scorso proprio a Milano, trattano affari. E delle periferie, da Quarto Oggiaro a

viale Sarca. A testimoniarlo diverse inchieste. Alcune, come nel caso di viale Sarca, partite direttamente dalla procura di Reggio Calabria. Il territorio sono anche i paesi dell’hinterland e della provincia assegnati per competenza a decine di cosche: dai Mandalari di Bollate ai Moscato di Desio, dai Barbaro-Papalia di Buccinasco, ai Novella di Rho. E la cosa più grave è che tutto questo non è affatto una novità, ma ordinaria amministrazione. Sottovalutata dalla politica ma che fa dire agli investigatori che oggi Milano è “una provincia di Reggio Calabria”.

Curano i bambini disabili e vengono licenziati A RISCHIO A ROMA IL CENTRO D’ECCELLENZA SANTA LUCIA, DOVE SARANNO TAGLIATI 241 POSTI DI LAVORO

di Paola Zanca

RAPTUS

Vigili del fuoco aggrediti e feriti

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Cantieri a Milano

a ferito nove persone tra impiegati e pompieri poi, dopo l’arresto, ha urlato frasi sconnesse: “Carabinieri, aiuto! Berlusconi ha bloccato tutto”. É il bilancio della giornata di follia di Gabriele Mancini, 41 anni, ingegnere, che ieri ha seminato sangue e terrore nella Scuola centrale antincendi di Capannelle, a Roma. Appena arrivato in ufficio Mancini ha colpito al torace con un coltellino un’impiegata, per poi ferire quattro pompieri. Mentre cercava di scappare in auto, ne ha investiti altri quattro. A bloccarlo sono stati i carabinieri. Mancini lavorava in caserma da tre anni, nell’area programmazione e controllo della formazione. Secondo uno dei responsabili della scuola, “non aveva un rapporto sereno con i colleghi ed era un soggetto attenzionato dal corpo”. Per questo, nel maggio scorso era stato visitato da uno psichiatra che però ne aveva confermato l’idoneità. (Lu. Dec.)

centro d'eccellenza, ma lo ÈmeunStato continua a trattarlo couna casa di cura qualsiasi. La Fondazione Santa Lucia di Roma, dal 1992, è una delle sei strutture specializzate in Italia nella riabilitazione neuromotoria. Punto di riferimento per il Centro-Sud, qui si rivolgono bambini affetti da patologie neurodegenerative, pazienti appena usciti dal coma, vittime di incidenti con danni cerebrali. Ebbene, rischia di chiudere. Dal 17 febbraio partiranno le lettere di licenziamento per 241 dipendenti. E con un organico così falcidiato tutte le attività dell'ospedale sono a rischio. Fino al 2004 tutto è filato liscio. Poi le posizioni della Fondazione e della regione Lazio non sono più riuscite a incrociarsi. Il Santa Lucia chiedeva risorse aggiuntive che la Regione, in base agli standard nazionali, non poteva rilasciare. Secondo gli amministratori del Lazio, è il gover-

no che deve intervenire. La sanità nel Lazio è commissariata: dopo le dimissioni di Marrazzo la gestisce il commissario del governo, Elio Guzzanti. Mercoledì c’era anche lui all'incontro con i lavoratori. Racconta Augusto Battaglia, già assessore alla Sanità e ora consigliere regionale: “Siamo disponibili a riverificare le prestazioni erogate dal Santa Lucia e ed eventualmente a riconoscere maggiori stanziamenti. Ma serve un intervento che a livello nazionale riconosca la specificità di questa e di altre strutture. Lo dice il Patto per la Salute che è stato sottoscritto da governo e regioni”. Già nella Finanziaria c’era un emendamento che prevedeva lo stanziamento di fondi aggiuntivi per gli “ospedali classificati”, come il Santa Lucia, ma la maggioranza lo ha bocciato. “I livelli stabiliti dalla regione sono quelli dell'assistenza minima – spiega Marco Molinari, responsabile del reparto Mielolesi – Ma il Santa Lucia è un centro d'eccellenza: siamo uno dei pochi istituti italiani a partecipare a progetti di livello mondiale. È assurdo: siamo qui in mezzo alla strada per far riconoscere un diritto che ci è riconosciuto a livello internazionale”. A rimetterci, come sempre, sono i pazienti e i lavoratori. Ieri sono tornati a protestare davanti alla sede della Regione. Nadia Minuzzo a 65 anni di ospedali ne ha girati parecchi: “Ci sono strutture terribili. In confronto, allo zoo gli animali sono trattati meglio – dice – Quelle devono chiudere, non il Santa Lucia. Qui mi hanno rimesso al mondo

dopo un incidente. Gli infermieri servono: solo per stare dietro a me ne servivano due o tre”. Oggi ogni piano dell'ospedale ha 7 infermieri. Se si procedesse con i licenziamenti, ne rimarrebbero due. Stefano Paolucci è il primario del reparto Ictus: “Il nostro è un lavoro di team – spiega – Con il personale dimezzato cambierebbe la nostra capacità assistenziale e di ricerca”. Al Santa Lucia fanno ricerca traslazionale: in pratica applicano immediatamente quello che hanno scoperto. È il caso del bendaggio funzionale. L'hanno sperimentato qui ed è diventato fondamentale per la figlia di Annarita, che il Santa Lucia lo frequenta da quando ha 5 mesi, quattro volte a settimana. “Qui

può trovare tutte le terapie di cui ha bisogno, senza girare da un ambulatorio all’altro”. Per di più, gratis: “Se dovessi farle privatamente - calcola - spenderei due mila euro al mese”. Quello economico non è un problema da poco: “Tra visite e terapie, noi mamme non possiamo lavorare – ricordano Paola e Lacramioara – I nostri figli hanno già combattuto con la vita, perché devono combattere anche con loro?”. Loro sono la Regione insolvente, i decreti che declassano la struttura a semplice casa di cura e l'Inps, che ha inviato cartelle esattoriali per importi già versati. Il Santa Lucia sembra sotto attacco: “Troppi sintomi – dice una dipendente – bisogna capire qual è la malattia”.


Venerdì 22 gennaio 2010

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Nella terra di nessuno è caccia allo straniero

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CRONACHE

l 23 marzo 2009 Mohammed Basharat Alì è stato pestato a sangue da cinque ragazzi italiani nel quartiere romano di Tor Bella Monaca. Ad assistere alla scena, sua moglie, al terzo mese di gravidanza, che, per lo choc, ha perso il bambino. Ma Basharat non è stato l’unico straniero a subìre un’aggressione in quella zona: già nel

anni) furono fermati perché ritenuti responsabili dell’aggressione ai danni di un bengalese. A Tor Bella Monaca accade naturalmente anche il contrario: ieri i carabinieri hanno fermato un cittadino albanese di 35 anni che, lo scorso settembre, avrebbe violentato una ragazza romena assieme ad altri due complici.

novembre 2007 erano stati presi di mira tre romeni. Nell’ottobre 2008 sette ragazzi italiani, alcuni dei quali minorenni, avevano picchiato un 35enne di origine cinese. Pochi giorni prima di Basharat, il 10 marzo 2009, a farne le spese erano stati due albanesi; neanche un mese dopo, un senegalese. E ancora, agosto 2009, tre italiani (12, 18 e 19

PICCHIATO E ABBANDONATO Storia di Basharat, il pachistano massacrato a Tor Bella Monaca e dimenticato da tutti

Il mercato abbandonato di Tor Bella Monaca, a Roma di Silvia

D’Onghia

i hanno abbandonato come un barbone”. Basharat Alì è un uomo di 37 anni (“o forse 38, non riesco a ricordare”), è pachistano: nel 1997 è entrato in Italia per cercare una vita migliore. E’ arrivato subito a Roma, dove si è trovato bene e ha cominciato a lavorare: “La città era serena, tranquilla, ho scelto di vivere qui insieme con mia moglie”. Dopo qualche anno Basharat ha acquistato un’attività di frutta e verdura nel quartiere di Torre Angela, estrema periferia romana, il luogo con cui ogni sindaco si deve confrontare in campagna elettorale, ma che poi rimane terra di nessuno. Una terra in cui la gente per bene convive quotidianamente con lo spaccio di droga, le auto rubate e bruciate, i motorini senza casco, i “negri” picchiati senza motivo. Come Basharat, che il 23 marzo 2009 stava rientrando nel

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quartiere col suo furgoncino, dopo aver fatto la spesa per il negozio: “A un semaforo di Tor Bella Monaca (zona altrettanto tristemente nota, ndr) si sono avvicinati cinque ragazzi italiani, mi hanno urlato qualcosa ma io non ho capito; poi hanno gridato ‘hai soldi?’, io ho risposto di no e mi hanno intimato di scendere. Non ho fatto in tempo: mi hanno tirato giù dal furgone con la forza e massacrato di botte”. Una scena da “Arancia meccanica” metropolitana, costata all’uomo tre mesi di ospedale, uno dei quali trascorso in coma, e interminabili sedute di riabilitazione e fisioterapia. E’ costata cara anche a sua moglie, al terzo mese di gravidanza, che per lo choc di aver assistito al pestaggio perse il bambino. Un’aggressione di fronte alla quale la comunità intera si scandalizza, i politici spendono parole di riprovazione e sdegno, la comunità pachistana scende in piazza contro la xenofobia. Le manifestazioni

di solidarietà in quei giorni si sprecano: l’assessore regionale al Bilancio Nieri propone di fare tutti la spesa nel negozio di Basharat, l’allora governatore del Lazio Marrazzo coinvolge il ministro degli Esteri Frattini affinché concedesse un visto temporaneo al fratello di Basharat per fargli portare avanti l’attività. La stampa ne parla, con tanto di titoloni sui giornali locali. Tre mesi, poi i riflettori si spengono e Basharat e sua moglie Chandi rimangono soli. A quasi dodici mesi di distanza, ora Basharat lancia un grido d’allarme: sta ancora malissimo, ha perso l’uso del braccio e della gamba destra, cammina a fatica, gli gira la testa, cade spesso, perde la memoria. “Per questo non so più quanti anni ho, non ricordo più nulla. Non posso lavorare, non so più come andare avanti”. L’unica fonte di sostentamento è lo stipendio di sua moglie, 750 euro al mese per fare le pulizie in casa dei “signori”, una cifra che basta appena a pagare l’affitto di casa. “Chandi ha spesso dolori alla schiena, abbiamo fatto tutti gli accertamenti, ma i medici non le hanno trovato nulla. Eppure continua a lavorare”. Adesso Basharat ha deciso di vendere il negozio, suo fratello da solo non riesce a portare avanti l’attività, che costa 600 euro al mese solo d’affitto. Se non fosse per qualche amico e per l’aiuto di un paio di benefattrici di Tor Bella Monaca, non riuscirebbe neanche a sfamarsi. Inutile sperare nella giustizia: “Ho un avvocato d’ufficio, ma non so cosa sta accadendo. Qualche tempo fa mi hanno detto che avevano fermato due persone, mi hanno anche chiamato per un riconoscimento. Ora non so

neanche se le indagini si sono concluse”. I politici che gli avevano promesso un appoggio, sono spariti tutti: “Dopo l’aggressione, il sindaco Alemanno mi aveva detto che sarebbe venuto a trovarmi, poi quel giorno ha avuto un con-

L’aggressione nel 2009 nella periferia romana Tante le promesse di aiuto dei politici, mai mantenute SHUKRI SAID

trattempo e non si è più visto”. La stessa cosa vale per le telecamere e i giornalisti, che si tengono alla larga da Tor Bella Monaca e Torre Angela. “Quando sono arrivato in Italia avevo tante speranze, adesso non ho più nulla. Io e mia moglie vorremmo ancora un bambino, ma come facciamo? Non abbiamo né i soldi né la salute”. Basharat è un uomo dalla grande dignità: quando ci parla, la sua voce trema ma risponde a tutte le domande. Non piange, davanti a noi, così come fa davanti agli amici e a chi, nel proprio piccolo, cerca di aiutarlo. Oggi parte per il Pakistan, dove è appena morta sua nonna; spera, al suo ritorno, di trovare un paese migliore.

di Elisa Battistini

“El Paìs ” ne parla, Maroni non reagisce

A

l ministro Maroni non interessa. Ma “El Paìs” ne parla. In Italia più di 300 persone sono da oltre un mese in sciopero della fame per protestare contro i ritardi sui rilasci e rinnovi di permessi di soggiorno. Sabato scorso, la portavoce dell’associazione Migrare, Shukri Said, è anche finita all’ospedale. La cosa non turba la politica nostrana, responsabile delle condizioni di disagio degli immigrati (regolari) in Italia: senza documenti e senza i diritti più elementari. Ma colpisce l’attenzione dei giornali stranieri. Tanto che il quotidiano spagnolo ha inviato il Miguel Mora a fare visita all’attivista somala nella clinica in cui era ricoverata. Oggi Shukri è uscita dall’ospedale ma continua a digiunare. E sta molto male. É sempre più debole. Ma alza la cornetta e ci dice: “É possibile che se ne parli in Spagna, ma il governo non faccia nulla?”. Allo sciopero della fame ha aderito, intanto, anche il responsabile immigrazione della Cgil Piero Soldini.

Doppiette libere: torna l’eterna promessa elettorale SÌ AD UN EMENDAMENTO CHE DEROGA LE REGIONI A TOGLIERE I PALETTI TEMPORALI ALLA STAGIONE VENATORIA piace agli animalisti e agli amNtato.onbientalisti, ma questo era sconMa non piace neanche agli stessi cacciatori, e questo era un po’ meno scontato. La commissione Politiche europee del Senato ha dato il via libera ad un emendamento, presentato dal senatore Pdl Giacomo Santini, che in linea teorica toglie qualsiasi paletto temporale alla stagione venatoria: qualora la legge passasse, infatti, le regioni potranno decidere di aprire la caccia tutto l’anno. L’attuale norma, in vigore dal 1992, frutto di mediazioni anche con l’allora mondo agricolo, prevede che le doppiette possano entrare in funzione la terza domenica di settembre per essere deposte il 31 gennaio. Le regioni possono decidere, attualmente, di anticipare l’apertura

della stagione, soltanto per alcune specie, al primo settembre. La legge in discussione, invece, offre alle istituzioni regionali una forma di deroga assoluta. Scontenti gli animalisti, dicevamo: in una nota congiunta, le associazioni Altura, Amici della Terra, Enpa, Fare verde, Lac, Lav, Legambiente, Lida, Lipu Memento Naturae, No alla caccia, Oipa, Vittime della caccia, Wwf Italia esprimono “sdegno” per “l’ennesimo blitz compiuto in Parlamento, con l’approvazione di un emendamento che aggraverà lo stato di infrazione comunitaria in cui l’Italia versa da anni”. Già, perché la Commissione europea ha già bacchettato più volte il nostro paese per l’uso delle deroghe per autorizzare la caccia ordinaria. L’ultimo intervento straordinario (contro la re-

gione Lombardia) risale appena ad un mese fa. E’ singolare, allora, come un tale emendamento venga presentato proprio in commissione Politiche europee. “C’è una parte ultras del mondo venatorio cui il testo va benissimo – il duro e forse inaspettato commento di Osvaldo Veneziani, presidente di Arcicaccia – Sono due anni che una lobby interna al centrodestra fa propaganda sul tema e poi tiene buoni su altri versanti gli animalisti, usando un linguaggio biforcuto. L’emendamento sembra una pubblicità ingannevole, perché viene presentato come un provvedimento per adeguare l’Italia alle direttive comunitarie, è scritto con taglio ambientalista, con tanto di riferimento alla tutela della fauna. In realtà si dà la possibilità alle regioni di gestire la

stagione venatoria in funzione delle campagne elettorali. I cacciatori da sempre rappresentano un ampio bacino di voti”. I dubbi crescono se si pensa che l’emendamento ha ricevuto il parere negativo dell’Ispra (quindi degli scienziati), parere richiesto dalla stessa commissione del Senato. “Lo stesso Santini – fanno sapere le associazioni ambientaliste – aveva ‘ritrattato’ il proprio emendamento, presentandone un secondo, alternativo e senza dubbio più corretto al quale gli organismi scientifici avevano dato il via libera”. Più di una volta, in passato, emendamenti come questo sono stati bocciati o non sono mai arrivati in aula. Bisognerà capire chi pesa di più sul piatto della bilancia elettorale. (si.d’o.)

N MONTECATINI

Omicidio-suicidio aveva perso il posto

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veva perso il posto di lavoro nel 2002: per questo ieri avrebbe ucciso la donna che aveva firmato quel licenziamento. E’ accaduto a Montecatini Terme. Vittima, una funzionaria 51enne del Comune. L’omicida, 55 anni, dopo averla uccisa si è tolto la vita sparandosi.

BODY BUILDING

6 anni di carcere a Mister Universo

D

ura condanna nei confronti di Federico Focherini, ex Mister Universo di body building, ritenuto responsabile di aver ceduto anabolizzanti alla sua ex fidanzata, Claudia Bianchi, morta nel 2004. Il Tribunale di Roma gli ha inflitto 6 anni di reclusione, a fronte dei due chiesti dall’accusa. Focherini si è sempre proclamato estraneo alla vicenda e si è difeso sostenendo di aver solo preparato la donna per una gara nel 2002. la difesa ha già annunciato ricorso in appello.

MASTROGIOVANNI

Sospesi 6 medici e 8 infermieri

C

aso Mastrogiovanni, scattano i provvedimenti cautelari. Nella serata di ieri i carabinieri hanno notificato il decreto del Gip che sospende dall’incarico sei medici e otto infermieri del reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania. L’inchiesta riguarda la morte del maestro 58enne di Castelnuovo Cilento, deceduto il 4 agosto dopo essere stato legato al letto ospedaliero per più di tre giorni consecutivi.

VITERBO

Dimessa, muore nel parcheggio

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na donna è morta nel parcheggio dell’ospedale di Viterbo, dal quale era stata appena dimessa, 4 giorni dopo il parto cesareo. Il decesso sarebbe avvenuto per un arresto cardiocircolatorio.


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Venerdì 22 gennaio 2010

Dal 1866 a oggi incognite e progetti per collegare la Sicilia

L’

INFRASTRUTTURE

Unità d’Italia era stata conquistata da appena 5 anni e Roma era ancora sotto il dominio del Papa Re quando si cominciò a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina. Era il 1866 e il conte Stefano Jacini, ministro dei Lavori pubblici del Regno d’Italia, si pose il problema di collegare la Sicilia al continente affidando l’incarico ad Alfredo

Cottrau, ingegnere che allora andava per la maggiore. A distanza di un secolo e mezzo sul ponte grava l’incognita di stime sui flussi di traffico elaborate dalla società Stretto di Messina nettamente più basse rispetto a quelle accettate finora. Dopo aver subìto una sostanziale battuta d’arresto ai tempi del governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi dal 2006 al 2008, vinte

le elezioni Silvio Berlusconi ha rilanciato l’idea della costruzione del Ponte. Anas e Rfi (Rete ferroviaria italiana) delle Fs di Mauro Moretti hanno affidato ad Impregilo il compito della progettazione definitiva, la stessa società a cui Prodi avrebbe voluto annullare il contratto di appalto dicendosi disposto a pagare una penale di oltre 500 milioni di euro.

UN PONTE SEMPRE PIÙ INUTILE Perfino la società che gestisce l’opera ammette: il traffico sullo Stretto di Messina sarà un mezzo flop

di Daniele Martini

mente trascurati da anni.

n questo decennio e nel successivo il traffico di passeggeri, auto e merci sullo Stretto di Messina sarà molto meno intenso di quanto ritenuto fino ad oggi: meno 5 per cento le auto, 10 gli autocarri, 18 i treni e meno 23 per cento i carri merci. A partire dal 2022, quinto anno successivo a quello della prevista apertura del Ponte, i flussi stradali e ferroviari saranno addirittura a incremento zero, cioè non cresceranno più. Come tutte le previsioni anche questa ovviamente sconta margini di aleatorietà e magari a posteriori si scoprirà che le cose sono andate in modo diverso. Di certo, però, su questo scenario non può gravare il sospetto di essere tirato per i capelli e piegato per interessi di parte. A formularlo non è un estemporaneo centro di ricerca, magari collegato a qualche formazione antiPonte per partito preso, ma la società che il ponte dovrebbe sponsorizzarlo: la Stretto di Messina Spa il cui presidente è Giuseppe Zamberletti, contemporaneamente anche presidente di Igi (Istituto grandi infrastrutture), e amministratore Pietro Ciucci che è anche presidente Anas.

LE PREVISIONI. In queste condizioni non ha molto senso scommettere a occhi chiusi sul futuro sperando che il Ponte sullo Stretto una volta aperto possa fare il miracolo di stimolare i traffici e la mobilità dell’area. Con onestà intellettuale l’eventualità viene esclusa perfino dalla società che dovrebbe promuovere la grande opera. Appare forzato, in sostanza, il parallelo con l’autostrada del Sole definita con scherno “autostrada del solo” ai tempi in cui era in costruzione e che a cose fatte si è invece dimostrata una struttura fondamentale, capace di stimolare e assecondare lo sviluppo economico e sociale. Allora gli scetticismi erano effettivamente malriposti perché cozzavano con lo spirito del tempo, gli anni del boom, con gli italiani che vedevano il mondo in rosa. Ora è diverso e le nuove stime di traffico della società Stretto di Messina tengono opportunamente conto dei cambiamenti, anche se secondo alcuni esperti peccano ancora di ottimismo. Tra questi Ugo Arrigo, dell’Universita Bicocca di Milano, studioso che da anni tiene sotto osservazione la vicenda del Ponte: “Ritengo opportuno che finalmente siano state riviste le previsioni, anche se le nuove

I

L’UTILITÀ DEL PONTE. Alla domanda delle domande e cioè se in base a questi dati costruire quell’opera ciclopica e molto costosa (6,3 miliardi di euro di investimento) tra la Calabria e la Sicilia abbia ancora un senso e si giustifichi da un punto di vista della fattibilità economica, dagli uffici dell’azienda rispondono che anche così, con previsioni assai più nere rispetto a quelle passate (e forse più realistiche), “l’equilibrio finanziario regge”. A questo punto, però, è chiaro che in ballo non c’è solo la congruità dell’architettura economico-finanziaria della struttura, circostanza di cui molti esperti del settore del resto dubitavano e a maggior ragione continuano a dubitare parecchio perché basata proprio sull’apporto delle Ferrovie, società pubblica con i conti sussidiati in larga misura dal Tesoro, e fortemente penalizzata proprio dalle diminuzioni di traffico previste. In discussione è l’utilità stessa del Ponte, o meglio, la sua utilità in relazione soprattutto a due circostanze esterne. La prima è la crisi economica a cui si sommano le condizioni assai critiche delle finanze pubbliche. La seconda circostanza è rappresentata dalle necessità infrastrutturali complessive del paese che sono enormi, comprese quelle per la manutenzione delle grandi e piccole opere esistenti, dalle strade alle ferrovie ai ponti, colpevol-

restano irrealistiche, gonfiate ed eccessive”. Il nuovo studio sui flussi di traffico era stato chiesto alla società Stretto di Messina dalla Corte dei conti ed è stato consegnato ai magistrati alcuni giorni prima di Natale e da questi inserito in una lunga relazione sul Ponte terminata alcuni giorni fa. La relazione è stata accompagnata da una nota ufficiale in cui i magistrati rivolgono al governo e in particolare ai ministeri competenti e al Cipe (Comitato di programmazione economica) una serie di raccomandazioni, tra cui spicca quella di insistere proprio nell’“attualizzazione delle stime di traffico che stanno alla base del disegno progettuale del Ponte sullo Stretto di Messina”. Che è un modo indiretto per dire: attenzione, non sono ammessi trucUn traghetto attraversa lo Stretto di Messina (ANSA)

6,3 miliardi di euro di investimento, ma i flussi stradali e ferroviari non cresceranno

chi e superficialità; lo Stato non può permettersi il lusso di impegnare una montagna di soldi per un’opera che potrebbe essere non del tutto utile e prioritaria. LA RICERCA. L’analisi dei flussi di traffico preparata dalla Stretto di Messina è molto accurata ed è stata compiuta nell’arco di un anno, con 21 giorni di interviste a campione nelle 24 ore “agli utenti del si-

stema dei trasporti siciliano”. Sono state effettuate circa 40 mila interviste presso i punti approdo dei traghetti sulla sponda siciliana e su quella calabrese e poi in 5 stazioni ferroviarie, 2 aeroporti e 7 porti dell’isola. Altre 10 mila persone delle province di Messina e Reggio Calabria sono state inoltre chiamate per telefono. L’enorme massa di dati raccolti è stata elaborata alla luce di due fenomeni nuovi: i tassi rea-

li in diminuzione del Pil (Prodotto interno lordo) meridionale e il traffico di attraversamento dello Stretto che “ha subìto le conseguenze di un progressivo decadimento”. Secondo la Stretto di Messina il fenomeno riguarda in particolare le ferrovie “per le quali si registra un consistente trasferimento di passeggeri a vantaggio dell’aereo, in netta controtendenza rispetto ai vicini paesi europei”.

MOROSITÀ

NEI PROSSIMI TRE ANNI 150MILA FAMIGLIE RISCHIANO LO SFRATTO di Giosi

Spagnolo

orrei una casa ma io e il mio “V compagno abbiamo un reddito basso, e poi ci sono i bambini…”. Emanuela ha 30 anni, due figli piccoli a cui badare ma non ha diritto a un’abitazione. Da sei anni vive assieme al fidanzato precario e ad altre 84 famiglie in uno stabile occupato, un ex caserma dell’aeronautica, sulla via Ostiense a Roma. “Quando siamo entrati abbiamo fatto i lavori per dividere gli spazi e abbiamo creato dei piccoli appartamenti”, racconta. Ha perso l’impiego quando è rimasta incinta ed è stata cacciata dalla stanza in cui viveva in affitto. Naturalmente in nero. L’unico alloggio che era riuscita a trovare dopo essere stata sfrattata assieme ai suoi genitori nel ’99. Erano in cinque e non potevano

più pagare: la rata mensile era di 1 milione e 200 mila lire. E’ da allora che Emanuela combatte per avere un tetto sopra la testa. E come lei sono tanti, migliaia, che in questo inizio 2010 si ritrovano a fare i conti con l’emergenza casa. Il 31 dicembre scorso è scaduta la proroga di sospensione degli sfratti che era stata emanata in attesa di misure e interventi promessi del governo che non sono mai arrivati. A distanza di due anni dallo stanziamento sono stati ripartiti solo una parte dei soldi destinati a dare un’abitazione a queste persone. Giuseppe è una di queste. Ha 80 anni e il 28 gennaio rischia di essere buttato fuori. “Sono invalido al 100 per cento – spiega – sono un malato terminale. Speravo in un rinnovo della proroga ma ora temo che mi portino via la casa. Sono 40 anni che vivo qui dentro”. La proroga era a favore degli inquilini più deboli: conduttori con reddito inferiore a 27 mila euro, anziani ultra sessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, nuclei familiari con figli fiscalmente a carico. Ora che è sca-

Giuseppe, 80 anni, è invalido al cento per cento, malato terminale e il 28 gennaio potrebbe essere buttato fuori casa

duta, oltre 30 mila famiglie rischiano di rimanere senza un tetto. E si prevede che nei prossimi tre anni altre 150 mila famiglie perderanno la casa perché non riusciranno a pagare l’affitto. Aumentano infatti le morosità per le quali non è stato previsto alcun inter vento. GOVERNO ASSENTE. La sospensione delle esecuzioni introdotta dalla legge 9 del 2007 riguarda solo gli sfratti per fine locazione che sono il 10-20 per cento mentre circa l’80 per cento sono quelli per morosità. Una vera e propria emergenza che il governo non fronteggia. Non c’è stata alcuna risposta nel piano casa né nel decreto milleproroghe in cui è stata confermata la riapertura dei termini per aderire allo scudo fiscale ma non la proroga per gli sfratti. I sindacati degli inquilini chiedono interventi immediati da inserire in un decreto ad hoc o nelle modifiche allo stesso milleproroghe. “Dal primo gennaio – sottolinea il segretario generale del Sicet, Guido Piran – sono riprese le esecuzioni e dalle prossime settimane ci attendiamo un’esplosione dei provvedimenti. Abbiamo scritto al presidente del Consiglio, alla Commissione competente della Came-

ra. Il governo non si sta muovendo, è totalmente assente”. Per Aldo Rossi, responsabile dell’ufficio legislativo del Sunia, la proroga dovrebbe riguardare anche le morosità. “Sono rimaste fuori – spiega – le famiglie senza figli, i disoccupati, i lavoratori in cassintegrazione che non possono pagare e in 4 o 5 mesi vengono mandati via. Bisognerebbe prevedere delle agevolazioni per gli inquilini”. Sulla stessa linea il presidente dell’Uniat Uil, Roberto Scorpioni. “Il piano nazionale di edilizia pubblica – osserva – non è stato avviato. Abbiamo chiesto di estendere la proroga perché chi non può pagare deve essere tutelato”. Dagli ultimi dati del Viminale emerge che nel 2008 le richieste di esecuzione degli sfratti sono aumentate del 27 per cento rispetto al 2007 e hanno raggiunto la quota di quasi 140 mila famiglie interessate. Le famiglie sfrattate, nello stesso periodo, sono state 25 mila, con una crescita del 11 per cento: la prima causa è la morosità, l’impossibilità economica di pagare l’affitto (78,8% per cento). Negli ultimi 5 anni più di 120 mila famiglie hanno perso la loro abitazione, 100 mila a seguito di un provvedimento per morosità.


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Cronaca della protesta dei ricercatori

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OCCUPAZIONE

a vicenda dell’Ispra ha colpito anche i media internazionali: la protesta dei ricercatori era cominciata il 24 novembre dopo l’annuncio da parte dell’istituto che più di 200 persone sarebbero rimaste senza contratto, oltre alle 250 già lasciate a casa durante l’anno. La soluzione adottata per manifestare il loro

dissenso fu quella di salire sul tetto dell’ente fino a quando i vertici e il ministero dell’Ambiente, da cui dipendono, non avessero ascoltato le loro ragioni. Si tratta, infatti, di precari molto specializzati, ricercatori con master e dottorati, in servizio all’Ispra anche da dieci anni, con famiglie e figli. Quindi con difficoltà a cercarsi alternative, in

Italia e all’estero. Il ministro Stefania Prestigiacomo è intervenuto nella vicenda soltanto alla vigilia di Natale, dopo un mese di silenzio, per chiedere ai ricercatori di scendere dal tetto e al governo (di cui fa parte) di risolvere una questione diventata ormai scomoda, dopo che la notizia della protesta era rimbalzata su giornali e tv.

Ispra, un anno per tornare sul tetto ARRIVA L’ACCORDO, MA SONO TANTI I LAVORATORI ANCORA IN CRISI di Caterina Perniconi

i tirano giù le tende, si arrotolano gli striscioni. Sul tetto dell’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale ieri si respirava un’aria di smobilitazione ricca di sentimenti contrastanti. Dopo l’accordo raggiunto nella notte tra i sindacati e il ministero dell’Ambiente, che prevede un altro anno di contratto per i precari, c’è chi brinda e chi riflette sul futuro, deciso in modo molto frettoloso dagli uomini di Stefania Prestigiacomo. Quello di ieri, infatti, era il secondo tavolo di trattative che il ministero riuniva per discutere dei contratti in scadenza all’Ispra. Il primo, dieci giorni fa, era stato interlocutorio. Tanto che ieri i ricercatori si aspettavano di ricevere una bozza di accordo e di avere il tempo di discuterlo. Ma gli ordini del ministro erano chiari: chiudere subito. Perciò i sindacati sono rimasti blindati in due riunioni separate (da una parte i confederali e dall’altra quelli di base) dalle 9 di mattina fino alle 19. Mentre un gruppo di 6 ricercatori aspettava all’agghiaccio davanti al portone di via Cristoforo Colombo. All’ora di cena le riunioni sono diventate parallele per correggere una prima bozza di accordo prevista dal ministero e considerata “non dignitosa” dagli scienziati. Il secondo conclave si è sciolto alle 23 e i sindacati di base hanno avuto 5 minuti per far valutare l’accordo ai 6 ricercatori e decidere se firmarlo. I confederali, nel frattempo, avevano già siglato.

S

scusso solo con le sigle firmatarie – racconta Massimiliano Bottaro, uno dei coordinatori della protesta – perciò per sedere ad un futuro tavolo di trattativa avevamo bisogno di siglare il documento. Ma adesso serve la certezza che i punti presenti nel protocollo vengano rispettati alla lettera nell’interesse delle nostre professionalità e dell’istituto. Qui ci sono persone che lavorano da più di dieci anni all’Ispra e non possono temere ogni volta di perdere il lavoro”. Prudenza e attenzione sono le parole d’ordine. “Non daremo scampo ai vertici dell’istituto – dichiara Ivan Consalvo – siamo soddisfatti perché tra le righe dell’accordo si evince la volontà di fare contratti a carattere subordinato, ma staremo molto attenti affinché le mediazioni siano rispettate”. Del resto,

la protesta sul tetto è stato un metodo di lotta difficile da sopportare fisicamente e molto duro nella formula che nasconde il non detto del passo successivo, cioè quello di buttarsi dal tetto. Il silenzio del ministro aveva lasciato i ricercatori nella disperazione. E dopo due mesi di esposizione mediatica, Stefania Prestigiacomo non poteva più permettersi di lasciare aperta la questione. Tanto da aver rilasciato già nella notte dichiarazioni alle agenzie di stampa per manifestare la sua soddisfazione rispetto a un accordo del quale si è occupata solo marginalmente. LA POLITICA. Soddisfazione è stata espressa dal senatore del Partito democratico Ignazio Marino, uno degli esponenti politici più presenti durante la protesta dei ricercatori: “Mi

Il presidio dei ricercatori dell’Ispra si smobilita (FOTO ANSA)

auguro – ha detto Marino – che la proposta del ministro Prestigiacomo soddisfi le esigenze di tutela dei posti di lavoro e mi aspetto che, oltre alla conservazione di questo straordinario patrimonio di esperienze, si lavori ad un serio piano di rilancio dell'Istituto”. L’Ispra, costituito un anno e mezzo fa dalla fusione di tre enti, sarebbe dovuto diventare un grande “istituto superiore dell’ambiente”, invece non ha ancora uno statuto unitario. Cosa che

ha impedito, per esempio, a regione e provincia, di stanziare fondi urgenti per l’assunzione di ricercatori. Prudente il senatore dell’Italia dei Valori Stefano Pedica, un altro frequentatore del tetto: “La soddisfazione per l’intesa è parziale, innanzitutto perché le garanzie contrattuali sono solo fino a dicembre prossimo, in secondo luogo perché per 200 lavoratori (quelli rimasti a casa tra marzo e novembre) non c’è ancora certezza di reintegro, ed infine

perché non posso esimermi dal pensare che per vedere riconosciuto il diritto fondamentale al lavoro non dovremmo essere costretti a passare due mesi, giorno e notte, sui tetti”. La situazione Ispra è momentaneamente risolta ma restano ancora aperti altri fronti di protesta in tutt’Italia: dalla Geomeccanica di Venafro all’azienda di fibre tessili Novaceta di Magenta, dalla Maflow di Trezzano sul Naviglio a Termini Imerese.

“Niente più incentivi se la Fiat chiude Termini” UN OPERAIO SI SENTE MALE, ALTRI 18 CONTINUANO LA PROTESTA SOTTO LA PIOGGIA di Giuseppe Lo Bianco

no ha avuto un dolore al petto, e l’hanno doUaltrovuto portare via con l’ambulanza del 118. Un ha l’influenza addosso, ma resiste stoica-

L’ACCORDO. “Abbiamo deciso di firmare perché la clausola finale dell’accordo dice che qualsiasi sviluppo in merito alle nostre carriere verrà diUn operaio ha avuto un malore sul tetto di Termini Imerese (FOTO ANSA)

PARLA BEPPE GRILLO

di Marco Franchi

LA TAV? UN CRIMINE CONTRO L’UMANITÀ “U n crimine contro l’umanità che deve ancora nascere”, così Beppe Grillo commenta la costruzione della Tav parlando dal presido della Val di Susa di fronte ad alcune centinaia di manifestanti. E aggiunge: “Vogliono indebitare il popolo italiano di 30 miliardi di euro per un’opera che non vedranno neppure. Come annunciato il comico genovese arriva a portare il suo sostegno al popolo dei No Tav, in protesta da giorni per l’avvio dei sondaggi propedeutici alla realizzazione della futura linea ferroviaria Torino-Lione. “I dati che presuppongono i lavori – ha

affermato Grillo – sono fasulli. Questi non hanno idea di cosa sono i flussi e le merci che girano. E’ tutto finto, è una allucinazione: il 50 per cento dei camion che girano in Europa sono vuoti, e questi invece vogliono ampliare le infrastrutture sulla base di un flusso merci fasullo. E’ un’economia schizofrenica”. Grillo ha poi detto: “Il problema non è la velocità, la mobilità futura è stare fermi e far girare le idee. Cristoforo Colombo non ha riempito le sue caravelle di pomodori, ma dei loro semi. La velocità – ha concluso – è contro la storia dell’umanità e del mondo”.

mente sotto la pioggia battente sul tetto del capannone, a venti metri d’altezza. Per rifocillarli è arrivata la Protezione civile, e per i conforti spirituali di pomeriggio è giunto anche l’arciprete di Termini, Francesco Anfuso. Ma a dare più fastidio è il termometro: ci sono sette gradi a Termini Imerese, dal mare soffia un vento gelido di tramontana che entra nelle ossa dei 16 operai licenziati che hanno trascorso la seconda notte sul tetto di uno dei capannoni della Sicilfiat che viaggia inesorabilmente verso il disarmo e che oggi, da Torino, lancia un primo segnale di smobilitazione. Erano in 18 gli operai della Delivery Mail saliti su un capannone dello stabilimento dell’azienda torinese nella tarda mattinata di martedi scorso, dopo avere ricevuto le lettere di licenziamento in seguito alla decisione della Fiat di riassorbire le attività di pulizia dei cassoni per la raccolta dei materiali finora assegnata in appalto e gestita dalla ditta da circa 25 anni. Attorno a loro la solidarietà è totale; i dipendenti della Fiat e gli altri lavoratori dell’indotto da tre giorni scioperano un’ora al mattino e un’altra al pomeriggio, e ieri i familiari degli operai licenziati hanno organizzato un sit-in di solidarietà con i manifestanti che dormono in sacchi a pelo per terra, vengono visitati periodicamente da un infermiere della Fiat e sotto di loro anche i vigili del fuoco si stanno organizzando per il soccorso. “Siamo ancora qui sotto la pioggia e infreddoliti – dice Tommaso La Bua – ma non intendiamo mollare, non siamo intenzionati a scendere fino a quando non avremo certezza di un posto di lavoro”. I segretari territoriali della Fiom e della Uilm Roberto Mastrosimone e Vincenzo Comella parlano di “situazione drammatica” e accusano i governi regionale e nazionale di “mancanza di autorevolezza”’ e “di non fare nulla per trovare una soluzione a questa drammatica vicenda”. “Questo – dice Mastrosimone – è un chiaro segnale di ritorsione della Fiat. Sta alimentando un clima di scontro per altri obiettivi. Non si capisce perché un’azienda che ha dichiarato di smobilitare a fine

anno debba interrompere un appalto che dura da 25 anni per affidarlo a maestranze interne, che peraltro non sono contrattualizzate per questo tipo di funzioni. O ci vogliono fare credere che con il risparmio di 18 operai hanno risolto i loro problemi?’’. Che fare, allora? La posizione del sindacato è chiara: “Dobbiamo riportare le lancette a prima dei licenziamenti – continua Mastrosimone – fino a quando rimane la Lancia Y a Termini Imerese la pulizia deve restare alla Delivery. E questo deve essere un argomento discriminante per sederci al tavolo del 29 gennaio prossimo”. In quella sede si giocheranno i destini della Fiat di Termini, che sembrano già decisi dalla logica del mercato, anche se in Sicilia l’assessore all’energia Pier Camillo Russo, uno dei tecnici nominati da Lombardo, ha qualche dubbio: “E’ strano che una grande multinazionale come Sharp scelga la Sicilia per la produzione di pannelli fotovoltaici destinati al mercato europeo, africano e mediorientale al quale pensa anche la Fiat. Ma mentre Sharp viene in Sicilia, la Fiat se ne va. E’ curioso che l’azienda torinese non trovi conveniente continuare a produrre qui, farebbe bene a spiegare allora le ragioni vere di una scelta che non ha, come si vede, il conforto del mercato”. E mentre il sindaco di Termini Imerese Salvatore Burrafato ha scritto al ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola per chiedere di partecipare all’incontro del 29 gennaio, le forze politiche si mobilitano a difesa dello stabilimento siciliano: per il senatore del Partito democratico Giuseppe Lumia “a Termini Imerese si sta consumando un dramma sociale sempre più preoccupante di fronte al quale il governo ha il dovere di intervenire”. Il deputato del Movimento per le autonomie Roberto Commercio fa i conti del denaro pubblico piovuto in tasca alla Fiat: “dal 1996 a oggi ha ricevuto complessivamente 300 milioni di euro con la legge 488 e parte dei Fondi Fas”. A tutto ciò vanno aggiunti i 425 milioni stanziati in questi anni dalla regione. E le istituzioni siciliane sono pronte a offrirne altri 400. Ma la Fiat continua a dire che bisogna abbandonare l’insediamento industriale siciliano. Per questo chiediamo che, se la Fiat confermerà la decisione di chiudere Termini, non riceva più alcuna forma di sovvenzionamento da parte dello Stato”.


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DAL MONDO

TEA PARTY PER OBAMA CATTIVO COME GLI INGLESI Alle radici del movimento anti-tasse di Boston di Angela Vitaliano New York

n anno fa il mondo aveva assistito al giuramento del 44° presidente americano e Washington si era riempita, come mai prima di allora, per salutare l’uomo della speranza e del cambiamento. Come regalo per il suo anniversario, gli elettori del Massachusetts hanno regalato a Barack Obama un senatore di scarsa qualità, negandogli la super maggioranza di cui godeva e che gli avrebbe consentito di agire con maggiore celerità, nonostante i tempi della politica, nell’attuazione delle riforme in agenda. “Il popolo del Massachusetts ha parlato – ha detto Obama in un’intervista – e perciò nulla sarà fatto fin quando Scott Brown non sarà seduto al suo posto”. Ieri, poi, in un incontro con i rappresentanti democratici, il presidente ha analizzato le possibili soluzioni per arrivare all’approvazione della riforma sanitaria e le altre piorità. Tenendo ben presente il messaggio arrivato dal Massachusetts, uno stato “esemplare” per la sua forte indipendenza, cartina tornasole della condi-

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Una manifestazione del movimento Tea Party e una stampa dell’episodio del 1773 (FOTO ANSA)

zione di salute della politica nazionale. Cosi’ da Boston, proprio come avvenne nel 1773, con la famosa protesta del té, messa in atto contro il governo britannico, riprendono vigore le velleità e le energie del Tea Party Movement, soprattutto in vista della loro prima convention in programma dal 4 al 6 febbraio a Nashville; speaker d’eccezione, guarda caso, ancora lei: l’irriducibile Sarah Palin. Non è di fatto possibile, ignorare il ruolo predominante giocato dal movi-

mento nell’elezione di Scott Brown. Prendendo spunto dal gesto dei coloni, che gettarono il té nelle acque del porto di Boston, dando il via alla Rivoluzione americana, gli attivisti del “Tea–Party”, appena colti i segnali di malumore nell’elettorato, hanno puntato alla “rivoluzione”, facendola partire dal basso, dal singolo individuo, il cui voto (e la cui opinione) con-

ta e puo’ cambiare il corso delle cose. Lo stesso Obama ha dovuto ammettere che “ciò che ha portato Brown a Washington è stato lo stesso sentimento popolare che ha portato me alla Casa Bianca”. Il fatto che per lui la parola d’ordine sia stata “speranza” e che per Brown “rabbia”, non cancella assolutamente che alla base di entrambe le esperienze ci sia stata un’esigenza di cambiamento. La rivolta del té di Boston nacque da decisioni economiche prese dalla Gran Bretagna che in America risuonarono come un duro attacco alla loro liberta’ di popolo. Tant’è che gli abitanti di Boston che, abbigliati come i nativi indiani, saltarono sulle navi ancorate nel porto per gettarne il té in acqua, si riconoscevano in un movimento denominato “Sons of Liberty”. Quando lo scorso aprile, dunque, le prime manifestazioni di protesta contro l’amministrazione Obama, giudicata troppo “spendacciona e libertaria”, cominciarono a moltiplicarsi nel paese, il movimento che le organizzava, non trovò scelta migliore che rifarsi al nome dello storico movimento del 1773, trasformandone la parola Tea in un acronimo (Tax Enough Already)già troppe tasse. Se poi si pensa che la nascita del “Tea Party” ha coinciso con un momento di grandissima popolarità personale di Obama nonché della sua amministrazione, si comprende meglio il legame fra questo movimento e quello di oltre due secoli fa: l’irriducibile senso d’indipendenza che da sempre muove molta parte di questo paese spingendola a far sentire la propria voce anche quando (o forse soprattutto quando) ciò sembrerebbe un gesto destinato al fallimento.

La sfida di Hillary Clinton

“NOI AMERICANI SAREMO I PALADINI DI INTERNET LIBERO” di Federico Mello

discorso politico quello che Hillary Clinton ha tenuto ieri ÈlatounalinNewseum di Washington. Il segretario di Stato Usa ha pardiretta web: dietro di lei campeggiava una scritta che non lasciava adito a dubbi: “Internet Freedom”, questo il titolo del suo discorso. Solo pochi giorni fa, scoppiata la guerra tra Google e il governo cinese (per il mutato approccio del motore di ricerca sulla censura), l’ex first lady aveva chiesto “chiarimenti” a Pechino, e anche Obama aveva ribadito la sua contrarietà od ogni censura. Ieri la Clinton ha riproposto queste posizioni con un discorso articolato che probabilmente entrerà nei libri di storia. Dopo anni di guerra preventiva ed “enduring freedom”, la massima potenza mondiale indica Internet come asset strategico della democrazia. Tre i punti toccati nel discorso: l’importanza di una rete libera; la condanna di ogni censura (un monito per il governo cinese ma non solo); e il ruolo di capofila che gli Usa intendono giocare in questa battaglia. Parole nette, a cominciare dalla libertà: “Mai come in questo periodo - il discorso della Clinton - l'informazione è stata libera e globale. O avrebbe la libertà di esserlo. L'accesso libero all'informazione è fondamentale per la democrazia”. La censura, invece, è la strada sbagliata: “Ci sono barriere e muri virtuali che vanno abbattuti, oggi, come un tempo abbiamo abbattuto i muri della repressione, e il muro di Berlino”. È vero, non mancano i rischi: “Ci sono pericoli, perché la Rete aperta è stata utilizzata anche da Al Qaeda per lanciare minacce contro il mondo e fare proseliti. Viene utilizzata per pornografia e pedofilia, per rapimenti, mercati neri”. Nonostante ciò “non serve la censura, come hanno fatto Cina, Tunisia, Arabia Saudita, Vietnam o Uzbekistan, per combattere chi usa Internet per scopi malvagi” molto più utile, piuttosto “aumentare la sicurezza, coordinare gli sforzi contro gli hacker in grado di minacciare la nostra economia, dobbiamo assicurare la sicurezza dei nostri network”. Gli Stati Uniti prendono a cuore questa battaglia: “Ci aspettiamo che i governi di altri Paesi ci seguano e si uniscano al nostro stesso impegno, che supportino il tentativo di difendere Internet e la libertà. Dobbiamo lavorare insieme, espandere la definizione di comunità globale. Possiamo farlo solo creando un link che ci unisca”. Non sarà facile, per l’amministrazione democratica, convincere regimi e dittatori a intraprendere questa strada. Ma il discorso segna un punto a capo: d’ora in poi ogni Stato - anche l’Italia - dovrà tenerne conto.


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DAL MONDO

Distribuzione di aiuti a Port-au-Prince (FOTO ANSA)

Corsa a ostacoli per aiutare gli haitiani

N STATI UNITI

Allarme terrorismo per un caciocavallo

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ll’aeroporto di Chicago (Usa) tre cugini di Rionero Sannitico (Isernia) sono stati bloccati dalle forze di sicurezza per un allarme terrorismo che si è poi rivelato essere causato da una forma di caciocavallo scambiato per una bomba. L’episodio è avvenuto durante il periodo natalizio.

“PIÙ DIFFICILE DI UNA MISSIONE DI GUERRA” di Simone Bruno e

Federico Mastogiovanni Por t-au-Prince

ui non ci sono i Taliban per strada, ci sono i terremotati, non siamo in Afghanistan, non possiamo avere paura di portare i soccorsi”. A parlare, quasi gridare, è Juan Pablo, medico colombiano arrivato poco dopo il devastante terremoto del 12 gennaio. “Quando attraverso la città - continua - vedo la gente abbandonata, non vedo il rischio di violenza. Non dobbiamo di-

Q

fenderci, dobbiamo aiutarli. In questo ospedale abbiamo visto tante fratture trasformarsi in amputazioni, solo perché la gente non arriva in tempo.” A Port Au Prince, a dieci giorni dal sisma, la situazione è ancora drammatica. Nonostante siano stati seppelliti più di 70.000 corpi, ne restano ancora tanti sotto le macerie, al punto che si stanno usando le scavatrici per aprire rapidamente nuove fosse comuni e poter seppellire al ritmo di 10.000 persone al giorno. Gli aiuti continuano ad arrivare a rilento e si sono re-

UNICEF DIXIT

Le adozioni congelate

L’

Unicef chiede il “congelamento” temporaneo di ogni nuova adozione ad Haiti durante la “fase d’urgenza”, ma si dice favorevole a una rapida evacuazione di quei bambini le cui procedure di adozione sono in via di conclusione. “Facciamo tutti gli sforzi per riunire i bambini con le loro famiglie. Le autorità competenti potranno pensare ad altre soluzioni permanenti come l’adozione solo se questo dovesse rivelarsi impossibile e dopo aver esaminato ogni situazione”, afferma in una nota la direttrice generale di Unicef Ann Veneman: “In questo contesto l’Unicef chiede che ogni nuova adozione, particolarmente se internazionale, sia congelata durante la fase d’urgenza”. Al contrario, per quanto riguarda le procedure di adozione andate a buon fine prima del sisma, “la partenza tempestiva dei bambini verso le nuove famiglie presenta dei vantaggi, ma dopo un reale processo di identificazione”.

Emilio Casalini e Roberta Zunini

l ministero della Cultura di Teheran, che in Iran controlla Itidiani, l'operato dei media, ha minacciato di chiusura 15 quorei di aver pubblicato articoli critici nei riguardi del governo. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione ufficiale Irna, secondo cui l'Ufficio per i Media e le Agenzie d'Informazione, l'organo adibito al controllo, ha inviato una lettera d'avvertimento per la pubblicazione di lettere e affermazioni di vari esponenti religiosi e politici (tra gli altri l’ex presidente Khatami) critici nei confronti del regime. È l’ennesimo giro di vite sulla libertà d’espressione a seguito delle manifestazioni e degli scontri di fine dicembre, quando le forze di sicurezza uccisero diversi manifestanti (almeno 8 secondo le fonti ufficiali). Da quel 27 dicembre, dalle manifestazioni nel giorno dell'Ashura (ricorrenza sacra per gli sciiti, ndr), c'è stato un giro di boa: da quel giorno noi giovani laici non siamo più gli unici a mettere in discussione il presidente Ahmadinejad e la Guida suprema, l'ayatollah Khamenei. Ora al nostro fianco, nelle strade, sono scesi anche i fedeli di stretta osservanza islamica”. Leili una giovane docente universitaria, che avevamo incontrato a Teheran durante le proteste dell’estate scorsa – ci parla via Skype con voce sicura, per nulla impaurita dall'esclation di violenza. “È incredibile a dirsi ma ci si abitua in fretta a vivere anche sotto minaccia, in un clima di intimidazione e violenza. All'inizio quando i basiji ci attaccavano, noi ci disperdevamo, mentre ora li affrontiamo. Ci siamo abituati ai loro caschi, alle moto, ai manganelli e ora non ci fanno più paura. Ecco perchè hanno dato ordine alle loro milizie di sparare ad altezza uomo, di ucciderci”. Leili vive a nord Teheran dove risiede l'alta borghesia liberale, mentre a sud vivono i meno abbienti, conservatori e fedeli islamici convinti, per nulla propensi a riconoscere gli sbagli della Guida Suprema. “Nel giorno dell'Ashura ero scesa con degli amici nella zona sud di Teheran per manifestare e per la prima

gistrati i primi casi di febbre emorragica dengue. I medici volontari delle varie organizzazioni umanitarie si trovano a dover operare decine di persone al giorno. I principali interventi - conferma Jacques di Aide Médicale Internationale - sono amputazioni di arti con fratture esposte, che sarebbero difficili da trattare anche in Europa e qui diventano inoperabili. La distribuzione di acqua rimane l'urgenza principale. Oltre al Wfp e ai militari Usa che si sono improvvisati cooperanti sono molte le organizzazioni che operano sul territorio. Camila Knox di Oxfam, l'organizzazione inglese operante da 40 anni ad Haiti, racconta che il principale lavoro dei circa 100 operatori presenti a Port-au-Prince è prevalentemente quello di rifornire di acqua la popolazione: “Adesso la situazione si sta normalizzando. C'è stato un gran caos all'inizio e la mancanza di coordinazione ha impedito che arrivassero gli aiuti alla gente. Questo ha causato anche tensioni, ma mai situazioni di violenza. Ora speriamo che si riesca a lavorare meglio, anche perché altrimenti si perderanno altre vite umane”. Un'attività che piano piano ha ripreso a funzionare è il commercio informale che a Port-au-Prince è sempre stato una parte importante dell'economia della città. Questo forse ha permesso che

la tragedia umanitaria non sia stata ancora più grande. Nelle tendopoli ormai si può comprare anche una coca-cola o una birra, ovviamente a dei prezzi molto elevati, ma molti hanno perso tutto e non se la possono permettere. Il governo degli Stati Uniti ha annunciato l'invio di altri 4000 soldati che vanno a rafforzare i 10.000 già presenti ad Haiti. Dopo un forte contrasto diplomatico con il World Food Programme, su chi dovesse distribuire gli aiuti e con quale strategia, gli americani si sono dedicati a portarli ai paesini vicini con gli elicotteri che fanno base sulle portaerei al largo della capitale. Nei giorni scorsi i marines invitavano i giornalisti stranieri a documentare le operazioni di aiuto facendoli salire sugli elicotteri per un volo panoramico e lo show mediatico degli aiuti armati americani era servito. Sotto di loro l'esodo. La fuga da Port-au-Prince. In un molo improvvisato si ammassano barconi della speranza pieni di profughi. Molti seguono la costa fino ai villaggi vicini, ma intanto a Miami si preparano centri di prima accoglienza per rimpatriare i pericolosi “Taliban haitiani” che volessero spingersi fino a lì. Del resto è una misura che era stata solo sospesa, visto che l'amministrazione Obama, si è preoccupata di disegnare un piano di rimpatrio proprio degli haitia-

ni. La gente non tenta di lasciare la città solo via mare, tanti riempiono bus fino al tetto e cercano di tornare ai loro luoghi natali o di scappare verso la frontiera con Santo Domingo. Se da un lato il colpo subito da Haiti è stato molto duro, e i soccorritori non erano pronti a dare una risposta immediata, dall'altro risulta evidente che la mancanza di coordinazione e di chiarezza nelle linee di comando di tutti gli attori presenti ha danneggiato soprattutto la popolazione, che ha dovuto subire le conseguenze di divergenze diplomatiche anche forti. Per risolvere queste divergenze e tentare di recuperare il tempo perso è arrivata oggi all'aeroporto di Port au Prince Josette Sheeran Shiner, direttore esecutivo del World Food Programme, che ha dichiarato al Fatto Quotidiano che quella di Haiti è l'operazione su larga scala mai fatta dall'organizzazione. Oggi sono state consegnate un milione di razioni alimentari per un totale di 4 milioni negli ultimi giorni. La Sheeran spera di arrivare a 10 milioni nei prossimi giorni. Alla domanda sullo stato delle relazioni tra Wfp e militari Usa il direttore esecutivo ha risposto che la sua presenza è dovuta proprio alla necessità di coordinarsi con l'esercito statunitense. Intanto Haiti aspetta di poter mangiare.

LA PROTESTA CONTINUA SUL WEB

GLI IRANIANI SENZA PIÙ GIORNALI LIBERI

UNIONE EUROPEA

Stop ai body scanner l’Italia va avanti

L’

Europa temporeggia sui body scanner, nonostante le pressioni Usa affinché vengano introdotti nei principali scali Ue per i voli verso l’America. L’Italia è invece decisa ad andare avanti con la sperimentazione in tre aeroporti: ieri il via libera dalla commissione tecnica.

TURCHIA

Padre vende figlia per 4 mucche

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na 12enne anni di Corum, villaggio dell’Anatolia centrale non lontano da Ankara, è stata venduta dal padre due volte: la prima in cambio di 4 mucche, la seconda per 10.000 lire turche (circa 4.800 euro). La polizia ha arrestato il padre della ragazzina e il secondo acquirente: il primo è ancora ricercato.

GRAN BRETAGNA

Cani antidroga nelle stanze dei figli

S

empre più genitori britannici affittano cani specializzati nell’individuare droghe per perquisire la stanza del proprio figlio: lo ha detto la Chilport Uk, un’impresa britannica che fornisce servizi di sicurezza, tra cui la possibilità di utilizzare un cane antidroga per 50 sterline l’ora.

volta ho visto unirsi a noi folti gruppi di donne in chador. “Saranno costretti a mandare anche qui da noi i basji, così Erano in strada per celebrare le ricorrenze islamiche men- come li stanno mandando ovunque; servono i miliziani tre noi sfruttiamo queste occasioni per scendere in piazza a perché la polizia è confusa e non obbedisce ciecamente ad protestare. Ma poi tutti, fedeli e manifestanti, siamo stati ordini criminali. Ma non ce ne saranno mai abbastanza per caricati violentemente dalle milizia basji”. “Per la prima vol- contenere la rabbia di un popolo che si sente tradito”. E ta ho visto anziane picchiate a sangue mentre urlavano oggi, di nuovo, come nell’inverno del 1979, come la scorsa ‘morte al dittatore’ - racconta Parvin, amica e collega di Leili estate, sotto la protezione amica della notte, mescolando - e non si riferivano ad Ahmadinejad ma a Khamenei, che laicità e religione i cieli e i tetti delle città iraniane si riemaveva permesso la violenza durante l'Ashura, cosa proibita piono di un solo grido di protesta: “Allah u Akbar”, Dio è dalla nostra religione. Da quel momento credo che molti grande. fedeli abbiano cambiato idea”. Quello della protesta verde è un movimento “orizzontale, senza leader e organizzatori e ci BUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline diamo appuntamento all'ultimo momento via telefono, sms o facebook. – continua Fariba, esperta di informatica – Scendiamo in strada e camminiamo come si andasse a far la spesa o a L'energia rinnovabile può tutto! un appuntamento di lavoro, poi, ad certo punla qualità del mare stesso. La barriera corallina sta scomparendo? Il Ridere fa dimagrire to, alzando le dita a V, si lascia il marciapiedi e si problema è risolvibile anche grazie alle va in mezzo alla strada per gridare slogan”. “La Lo afferma uno studio inglese del energie rinnovabili e in particolare agli nostra non è una rivoluzione – ci racconta 2009 condotto dalla neuroscienziata impianti eolici offshore. Mahdi, 32 anni, sempre tramite Skype – è la lotHelen Pilcher. Lo rivela Dan Wilhelmsson, ricercatore ta per la normalità, per la libertà. Non abbiamo La risata aumenta il battito cardiaco e del Dipartimento di Zoologia fretta, il tempo gioca a nostro favore. Il governo contrae i muscoli addominali, una dell'Università di Stoccolma, in una tesi invece sente che il terreno inizia a mancargli vera e propria ginnastica aerobica di recente pubblicazione. sotto i piedi ed ha alzato il livello della represche, rivela la ricercatrice, se svolta Le basi e i pilastri delle turbine piantate sione”. con costanza può far perdere fino a sui fondali marini diventano barriere Così oggi sembra riproporsi lo scenario del ’79, una taglia in un anno. artificiali su cui proliferano pesci, quando la ribellione contro lo scià Reza Pahlavi Nel mondo esistono i Club della granchi, coralli e piante marine. diventò inarrestabile anche a seguito del coinRisata, ce ne sono 6.000 i 60 paesi del Stessa cosa avviene negli impianti che volgimento degli abitanti delle due città più remondo, Italia compresa sfruttano il moto ondoso. ligiose dell’Iran, Esfahan e Qom appunto, che si (www.yogadellarisata.it). Con un'attenta progettazione dei parchi unirono a Teheran. “Non solo loro, ma in tutto (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria energetici marini si potrebbe migliorare l’Iran si scende in strada contro il regime”, racCristina Dalbosco, Gabriella Canova) conta Bahadoor, 24enne studente di ingegneria all’università di Shiraz.

RISATA ENERGETICA


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CINEMA

GIORGIO DIRITTI La guerra vista dal basso

Eventi Al prossimo Festival di Torino, retrospettiva su Houston

Clooney Niente matrimonio: già provato e non è andata bene

Iniziative Per un mese, il Lecce avrà la scritta Haiti sulle maglie

Videogiochi A 25 anni dalla nascita, Tetris è il più venduto per cellulari

Esce oggi “L’uomo che verrà”, la pellicola sulla strage di Marzabotto. Un film importante per non dimenticare ciò che eravamo libro e dvd

di Luca Telese

Memoria: Ovadia sul Binario 21

“L’

idea di questo film? Mi è venuta dodici anni fa, parlando con un sacerdote scampato al massacro. Poi ho coltivato il progetto dentro di me, con un lungo percorso di studio e di lavoro”. Giorgio Diritti racconta così la lunga genesi de “L’uomo che verrà”. Ma descrivere cosa sia il film è più complesso: la spietatezza meccanica della guerra quando l’umanità impazzisce, e gli uomini regrediscono come automi alla ferocia animale. Un mosaico di storie incrociate sullo sfondo, una bambina che lotta per la sopravvivenza, nella neve e nel sangue, portandosi dietro la culla con un neonato, lasciando lo spettatore inchiodato alla poltrona, a chiedersi se ce la farà o meno a salvarsi dal macello (la risposta arriva solo nell’ultima scena). Paesaggi di sogno catturati in fotogrammi che sembrano dei quadri, la vita degli anni della guerra ricostruita con filologia poetica, oggetti dimenticati (“come la macchina di legno per le tabelline” in una scuola poverissima) lingue che si incrociano come in una babele, senza comprendersi. Emozioni pennellate con fotogrammi, piccole grandi invenzioni. “L’uomo che verrà” è quasi un film muto, senza bisogno di traduzioni o sottotitoli, in cui gli sguardi raccontano più delle parole, e le musiche irrompono con la forza di un coro di voci bianche struggente, ma in cui tutto è asciutto, come se la sceneggiatura fosse stata rifinita con il bisturi. Giorgio Diritti ha composto un affresco sorprendente. Provate a dimenticarvi, prima di andare al cinema, che il film parla della strage di Marzabotto. Dimenticate per un attimo anche che è un film girato in dialetto, con sottotitoli in italiano. Andate a vederlo non come se fosse una storia sulla guerra di Liberazione del ’43-’45 (ovviamente è anche questo) ma come se fosse un film su tutte le guerre e su tutte le speranze, un film sull’amore e sull’odio. “L’uomo che non c’era” sembra un apologo chapliniano,

l nemico della memoria è la celebrazione a buon mercato, “I tipica di chi vuole rifarsi la verginità perduta. Gli ebrei di oggi sono gli africani, i clandestini, i vù cumprà. Se non ci

Un’immagine tratta dal film “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti (foto sopra) e in basso Moni Ovadia

Il regista: “Volevo a tutti i costi evitare di cadere nella trappola celebrativa o nel santino” un “Monello” ambientato nell’Italia dell’Appennino emiliano, dove i tedeschi sono come le cavallette, come il terremoto, come una catastrofe, che passa dai sorrisi fraterni allo sterminio in un battito d’ali. “L’uomo che verrà”, dopo aver vinto tre premi a Roma, esce oggi nelle sale italiane in 50 copie – distribuito dalla Mikado di Franco Tatò e di Sonia Raule. Racconta Diritti: “E’ stata un’impresa. Ma anche un film in cui abbiamo seguito l’istinto”. Per dire: “La sceneggiatura era già scritta, approvata. A pochi giorni dall’inizio delle riprese ho sentito un impulso che poteva sembrare folle: ‘Lo giro in dialetto’. Adesso chi lo vede ci dice che è stata una intuizione”. Non era facile. Anche perché il cast aveva degli attori – come una luminosissima Maya Sansa – che non avevano nessuna radice emiliano romagnola. “Maya è stata pazzesca. Abbiamo vissuto sul set con un me-

diatore dialettale che ha curato la dizione di tutti. Lei si è applicata in maniera stupefacente. Per me la cosa più bella, oggi, è sentire delle persone che si chiedono: ‘Ma perché, era bolognese?’”. No, la Sansa non lo è: madre italiana, padre indiano. Nel film è la madre della protagonista, la donna che si trova a partorire mentre iniziano i rastrellamenti. Un altro capitolo il rapporto con la memoria: “Non abbiamo mai voluto rischiare di fare uno sceneggiato. E’ un film sulla storia. Per questo ho letto tutto quello che è stato scritto sulla strage”. Infine la scelta degli attori: “Claudio Casadio, il padre della bambina si è rivelato straordinario” (a tratti sembra il Fernandel giovane). Ma poi ci sono anche delle autentiche reinvenzioni, come quella di Vito, uno dei più noti comici bolognesi, che questa volta, invece, interpreta un ruolo drammatico, quello del borghese facoltoso che scappa dalla guerra in città, e si ritrova nel macello. “Il libro più bello sulla strage – racconta Diritti – è uscito quando avevo quasi ultimato le riprese. Lo hanno scritto Luca Baldissara e Paolo Pezzino, si intitola ‘Il massacro’. Mi ha stupito che quel lavoro così scientifico arrivasse su un altro piano a conclusioni simili alle mie. E cioè dell’assoluta insensatezza del massacro”. Spiega il regista: “Ci fu uno dei piccoli paesi, in cui i tedeschi passarono all’inizio della strage senza torcere un capello a nessuno. Tre giorni dopo quando tutto stava finendo, un’al-

tra compagnia ripassò e trovò tutti tranquilli. Fecero strage e non sopravvisse nessuno”. Ecco, nel film si avverte con molta forza la banalità del male, e la casualità che decide chi salvare e chi no. C’è il contadino che scampa alla strage perché sta appollaiato su un albero. Ci sono donne e bambini che muoiono perché cercano rifugio in chiesa. Nel film i tedeschi fanno i tedeschi e gli italiani fanno gli italiani: “Anche questa è stata una scelta che ha prodotto un valore aggiunto: nessuno capisce nulla, nel film come accadde nella realtà. Gli abitanti di Monte Sole parlavano l’italiano come una seconda lingua, e non capivano una sola parola di tedesco. Questo senso di straniamento, nel film c’è tutto”. Ultimo capitolo, i partigiani: “Nel film raccontiamo quello che accadde nella realtà. Non riuscirono ad intervenire. Non avevano armi. Una parte della brigata se n’era addirittura andata. Io ho sentito molti superstiti che ancora oggi si portavano addosso un senso di sconfitta terribile per non aver potuto fermare la strage. Tuttavia non ho costruito un santino resistenziale, non mi interessava. Ci sono agguati, esecuzioni, tutto. Libero ha scritto che potevo fare di più. Il manifesto che a tratti sono stato ingeneroso. Io credo di aver mantenuto un equilibrio che è fedele alla realtà dei fatti. L’ultima cosa che volevo era cadere nella trappola della retorica celebrativa. Spero di esserci riuscito”.

rendiamo conto di questo, il ricordo della Shoah è vuoto”. Moni Ovadia sa bene che il passato deve servire al futuro. Per questo realizzando Binario 21 (un volume e un dvd editi da Promo music books, da ieri in libreria), l’intellettuale ebreo non ha voluto solo ricordare la vicenda di Liliana Segre e del poeta polacco Yitzhak Katzenelson (la prima sopravvissuta, il secondo morto nel lager di Auschwitz). Ma puntare il dito contro chi, con una visita nel lager e qualche frase di circostanza, ritiene di aver “fatto i conti” con la storia. Non è così, dice Ovadia. “La falsa coscienza permea ancora l’Europa, che nega i diritti a milioni di persone. Che perseguita i rom, che non vuole gli africani. Se il giorno della Memoria diventa il momento dell’autoassoluzione, per liquidare il presente, allora uccidiamo per la seconda volta i morti dell’Olocausto”. Il nostro continente è intriso di quella logica che ha creato i campi di sterminio: “E’ la logica del privilegio – dice Ovadia – Chi dice “padroni a casa nostra” istituisce un privilegio che, per affermarsi, necessita di schiavi. Di sottomessi, come quelli che abbiamo visto a Rosarno”. Ovadia, in Binario 21, ha riscritto il poema Il canto del popolo ebraico massacrato di Katzenelson. Un testo unico nella storia, testimonianza diretta del campo di sterminio. Una specie di urlo dell’ultimo Giobbe di fronte all’inferno. E, allo stesso tempo, un poema che – proprio nell’atto del “raccontare” – incita i posteri a guardare il volto della medusa che fu la Shoah per non replicarne mai il meccanismo. Mentre Quasimodo scriveva “E come potevamo noi cantare”, per esprimere l’impossibilità della poesia durante il nazifascismo, il testimone oculare Katzenelson sentiva la necessità opposta. “Solo chi è stato parte di quell’orrorifico scenario – dice Moni Ovadia – può dirlo, narrarlo. Solo con quelle voci possiamo affacciarci al lager senza restarne atterriti. Per la stessa ragione, nel libro, al posto delle foto abbiamo usato i disegni degli internati, provenienti da musei ebraici e fondazioni di mezzo mondo. Sono tavole di una forza sconvolgente. In cui è presente quella pietas artistica che ci consente di entrare in relazione con l’orrore senza esserne distrutti”. Il dvd che accompagna il volume intervalla momenti dello spettacolo, che prende nome dal poema di Katzenelson, con filmati girati ad Auschwitz, Birkenau, Varsavia, la stazione di Lodz (da cui furono deportati milioni di persone) e il binario 21 di Milano. Che diventerà presto sede del “Memoriale per la Shoah”. E da cui, nel lontano 1943, partì Liliana Segre, allora 13enne. “E’ lei l’altra protagonista di questo lavoro – spiega l’intellettuale – Liliana per molti anni non ha parlato. Oggi racconta la sua esperienza di fronte a migliaia di studenti. E in questo lavoro. Il momento più alto e sconvolgente dei suoi racconti è quando Liliana ricorda l’arrivo dei sovietici. Al suono delle mitragliatrici russe, i nazisti si spogliarono delle divise e delle armi. La pistola di uno di loro cadde ai suoi piedi. Liliana avrebbe potuto ucciderlo ma pensò che era meglio essere mille volte vittima che una sola carnefice. Fu in quel momento che Liliana si sentì libera”. Elisa Battistini


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SECONDO TEMPO

CRISI LAZIO

“L’ASSASSINO È LOTITO”

Dario Argento e l’incubo della Serie B “Peccato che la mia squadra sia finita in mani simili” di Malcom Pagani

a madre Elda Luxardo, fotografa, bella come una diva. Il padre Salvatore, ex partigiano di Giustizia e libertà, con la sciarpa della Roma nella tasca. La sintesi, Argento Dario, settant’anni a settembre, lazialissimo: “Ho paura che Lotito ci mandi in serie B”. Infanzia solitaria, abbracciato a D’Annunzio e Thomas Mann. Adolescenza da critico cinematografico a “Paese Sera”, con amicizie dentro Potop (Scalzone e Piperno) e una deplorevole ammirazione verso John Ford e Hitchcock: “Il direttore, Fausto Coen, mi richiamava all’ordine. ‘Argento, il cinema americano altro non è che vacuo divertimento’. Un altro mondo”. Dopo aver attraversato quattro decenni a disegnare perversioni e paure per il cinema italiano, Argento si è spostato su sentieri selvaggi. Il suo ultimo film, “Giallo”, è pronto da un anno. Adrien Brody, Emmanuelle Seigner, Elsa Pataki. Soldi Usa, premi Oscar, libertà. Non esce e sulla vicenda, tra telefonate che rimandano a messaggi in segreteria e comunicazioni che non superano l’oceano, è mistero. Più fitto che buffo. “Non riesco a venire a capo della questione. Mi dispiace, ma non mi abbatto. Ho ancora molta voglia di lavorare”. Nell’attesa, Argento si preoccupa per la Lazio. In lotta per la retrocessione, come negli anni Ottanta, quando Dario non perdeva una partita. Ha fatto oplà anche Maxi Lopez, l’argentino a un passo dal firmare. E’ sceso a sud. Ha scelto il Catania e la risoluzione, vale più di una sentenza. Argento conserva qualcosa dell’irriducibile pessimismo dei laziali. Un presentimento, una disillusione. La sua storia di tifoso, parte da lontano. La Lazio è una condanna alla sofferenza. Primi ricordi? Ero ragazzino. Optai per la Lazio per una questione di pelle. Mio padre era della Roma, io ero il primogenito. In famiglia, la fede romanista, era qualcosa di scontato. Su questo, papà non ammetteva deroghe. Così, per opposizione, insieme a mio fratello Claudio, ho percorso un’altra strada.

L

Senza immaginare il calvario? Sono cose che non si valutano. Col tempo, la passione diventa una fede. Puoi lasciare moglie, figli, amanti, nipoti. Non la tua squadra. E’ un’identità, un modo di essere, una seconda casa. Quella non si cambia, non si contratta. Sta soffrendo? Un po’. Non sono un ultras, ma non posso non pensare alla gestione degli ultimi anni. E’ stata disastrosa. Lotito ha combinato guai non quantificabili. Un capriccioso, un tipo che non ci voleva. La galleria di presidenti laziali, offre materiale per un casting. Abbiamo conosciuto personaggi indimenticabili, come Lenzini, il “sor Umberto”. Gente per cui un’occhiata o una stretta di mano erano più che sufficienti. Lotito è di un’altra pasta. Una persona non tanto raccomandabile. Va giù duro. Quello che ha combinato Lotito con la mia squadra, con una certa, inquietante continuità, è qualcosa di tremendo. Litiga con tutti, emargina i giocatori, urla, strilla, impreca. Un brutto film, se mi passa la metafora. Una gestione complessiva di ambiente e calciatori, dissennata. All’inizio sembrava che la moralizzazione, avesse un suo retroterra. Mai stato simpatico, neanche al prìncipio. Lotito ha un atteggiamento e dei modi di fare, come dire, cheap che mi avevano insospettito fin dall’alba della sua esperienza. Come ha vissuto, lei con il cuore a sinistra, il matrimonio con una enclave da sempre descritta come uno stabile covo nero? Ci ho pensato ma problemi reali o di coscienza, non ne ho mai coltivati. Tra i sostenitori della Lazio, ho sempre trovato molta gente di sinistra. Qualcuno no, ma questa è un’altra storia. Dica pure. In alcuni quartieri di Roma, la la-

zialità significa anche essere fascisti, avere nostalgie per un passato cupo. Però io tifo per la Lazio, non per quella minoranza che in passato ha inneggiato contro gli ebrei. Cori raggelanti. Persone abominevoli, disgustose che purtroppo, ci sono in tutta italia, e poi la Lazio, mi permetta, è anche altro. Significa avere un grande pubblico regionale. In provincia, in regione, a Frosinone, Latina o Rieti, sono tutti laziali. Basta andare fuori dalle mura, per non sentirsi soli. Breve viaggio nel passato. Anni Settanta, Chinaglia. Non mi piaceva la sua arroganza. La trovavo fastidiosa, di quella Lazio tutta “pistole e palloni”, apprezzavo soprattutto Tommaso Maestrelli, l’allenatore. Un padre, un ottimo tecnico. Buono, intelligente, sereno, giusto. Mi ricorda il Prandelli di oggi, un galantuomo dall’atteggiamento corretto. Sergio Cragnotti. Luci e molte

“La gestione attuale è un incubo, la retrocessione un’ipotesi concreta e la fuga di uno bravo come Zarate, una certezza”

BAARÌA Anatomia di un’esclusione ogliamo abbracciare il mondo intero, ma abbiamo “V le braccia corte”. Lo diceva il Peppino di Baarìa, e l’Academy deve aver sottoscritto. Tornatore non ce l'ha fatta: nemmeno tra i nove titoli da cui uscirà la cinquina per il miglior film straniero agli Oscar. Successe anche l'anno scorso con Gomorra, ma è davvero un’analogia? Al di là delle consolatorie dietrologie post palmares, nemmeno a Venezia Baarìa l'aveva spuntata: zero premi, critica italiana divisa e quella internazionale poco misericordiosa, con Variety che firmava l’epigrafe: “ Offshore prospects don’t look good". A non fargli superare la dogana di Hollywood (da noi comunque si è fermato a 10 milioni e mezzo al box office a fronte dei 25 di budget), piuttosto che l’immaginario concorrenziale del “felliniano” Nine prospettato da qualcuno, non sarà stato il suo stereotipato e sentimentale “C’era una volta in Sicilia”? Chissà, forse regna solo l’imponderabile - l'ultimo tricolore in cinquina, La bestia nel cuore, avvalora l’ipotesi ma l'anno prossimo potrebbe essere la volta buona, a patto di candidare il film giusto (chissà se avessimo scelto Vincere di Bellocchio...). Perché il film giusto l'abbia(Fed. Pont.) mo, in sala: L'uomo che verrà di Diritti.

respirare. La Lazio attuale rischia di retrocedere? Niente di più facile. Non è il nome a salvarti. Questa squadra non è abituata a stringere i denti, a lottare. Cosa manca? L’attitudine a trasformarsi in leoni. Atalanta, Catania, Bologna. Dovremmo riuscire a calarci in un altro campionato e prendere esempio. Mi dispiace dirlo, ma la Serie B è molto vicina. A certe vertigini, i nostri non sono abituati. Speranze? Un campione che abbiamo, fino a quando non decideranno di portarcelo via. Mauro Zarate non merita di giocare in una squadra così disastrata. Se al posto del Milan, trotterà il Gallipoli, Zarate fuggirà. E si concluderà la mesta epopea di Lotito. Un signore che aveva avuto alcune intuizioni, era riuscito a raggiungere calciatori di un certo livello come Pandev e

Ledesma e ad uno a uno, se li vedrà sfilare sotto gli occhi. Mi creda, se ripenso ai momenti vissuti con la Lazio, provo una vera amarezza. Fotografie felici? Lo scudetto del 1974. Il 12 maggio, con un paese bloccato per le votazioni sul referendum divorzista. Festeggiammo due volte, in un clima irreale, di ritrovata libertà. Maggio 2000, altro titolo inatteso. Ero a Torino e stavo girando “Non ho sonno”. Guardavo la partita in albergo. Un’emozione profonda. Poche settimane prima, sempre a Torino, ero andato a vedere la gara con la Juventus in notturna. La rincorsa. Il primo passo. Credo di non aver mai sentito tanto freddo in vita mia. A un certo punto, segnò Simeone. Un calciatore che per temperamento e coraggio, faceva parte del mio Pantheon. Mi alzai da solo, nella nebbia e cominciai a urlare. Tacevano tutti, poi si accorsero della sovversione e reagirono fuori

La passione laziale del regista Dario Argento, vista da Emanuele Fucecchi

ombre. Rimpianti? E certo, (ride) come potrei fare a meno di covarne? Abbiamo vinto scudetti, coppe, giocavamo alla pari con tutta Europa e mi pare che le irregolarità finanziarie, fossero moneta comune, allora come oggi. Campagne acquisti senza limiti o morale. Lasci stare. Avevamo i migliori calciatori d’Italia, da Vieri a Nesta. Una squadra fantastica, imbattibile. Passare dalle improbabili stregonerie di Juan Carlos Lorenzo alla festa scudetto, fu come tornare a

dai canoni sabaudi: “Vai a cagare, vai a cagare!”. (ride ancora) Poche settimane dopo, Roma si fermò. Perugia-Juve fradicia di pioggia e un gol di Calori, vi regalarono un trionfo in differita. Mio fratello era a Cannes. Mi chiamava in continuazione. ‘Che succede, Dario?’. ‘Non te lo dico per scaramanzia’. Una, due, dieci chiamate. All’ultimo tentativo esplosi: ‘Siamo campioni Claudio, ti rendi conto?’. Non se lo aspettava nessuno. La prossima volta a braccia lazate sembra una chimera. Chissà quando ci ricapiterà. Per ricostruire qualcosa di simile, ci vorrebbe un decennio. A certe condizioni, naturalmente. Quali? Un presidente importante che abbia denaro e voglia di investirlo senza speculare sull’eventuale ritorno di immagine. Un innamorato. Un pazzo. Per lei il pallone è una cosa seria. E’ un’allegoria della vita, della possibilità di capire cosa significhi vincere o perdere, ascendere o cadere. Più di ogni latra cosa, il calcio ha rappresentato la possibilità di allontanarmi dalle mie fantasie, dalla scrittura, dalle ossessioni. Un momento di relax, per uscire dal guscio e diventare un’altra persona. L’aderenza alla Lazio è rimasta tale? Meno convinta. Sono un po’ depresso, ansioso, quasi disperato. Domenica però, sarò allo stadio. C’è Lazio-Chievo. Aggiunga pure l’ultima spiaggia. Ho sensazioni negative, timori concreti. Sia decoubertiniano. La Lazio, in fondo, ha una biografia ondivaga. Ma il fatto che funzionasse e che vincessimo, mi rallegrava. Poi, se si affondasse, si scendesse di categoria e l’Inter dovessimo vederla solo in tv, non mi volterei dall’altra parte. Ci riveli il colpevole, chi sta uccidendo la Lazio? Stavolta non è difficile immaginarlo, anzi, è semplicissimo. E’ come giocare a carte scoperte. L’assassino ha nome e cognome: Claudio Lotito.

Le Ombre Rosse di Citto l’irriducibile MASELLI A ROMA PER PRESENTARE IL DVD DEL SUO FILM: “CONFUSIONE A SINISTRA” di Federico Pontiggia

ggi che la sinistra non è più al governo, “O farei un film ancora più aspro, più amaro, più autocritico su questo disastro: basti pensare a quanto stanno facendo non con, ma su Vendola. Qui ho fatto autocritica sulla nostra sinistra italiana, ma in un tentativo di analisi più globale, più complessiva, seguendo l’esortazione del mio amico Ken Loach: “Devi fare qualcosa che sia comprensibile anche dalla sinistra canadese e australiana!””. Parola di Francesco “Citto” Maselli, che parla dopo l’anteprima all’ultima Mostra di Venezia e l’uscita in sala porta in homevideo con 01 Le ombre rosse. Una metafora della sinistra ai nostri tempi, per un film – dedicato allo scomparso Sandro Curzi – che ritorna alle atmosfere ideologiche e critiche di Lettera aperta a un giornale della sera, diretto da Maselli nel 1970, con un cast corale: tra gli altri, Herlitzka, Carnelutti, Fantastichini. Ma che crisi sta attraversando oggi questa sinistra? “Si paga la mancanza di un progetto

e, ammesso ci sia, la mancanza di coerenza nel seguirlo”, dice Maselli, che usa Le ombre rosse per illustrare quello che Stefano Rodotà, in un commento inserito tra gli extra del dvd, definisce “il conflitto classico tra l’attenzione alla società, da un lato, e dall’altro, un ceto autoreferenziale, narcisista. Il tentativo di incontro di questi due mondi non riesce, soprattutto per i ritardi all’interno del secondo. E Citto utilizza la modernità del suo linguaggio per stigmatizzare, di questi intellettuali, la vecchiaia dei contenuti”. Ma senza rinunciare all’autocritica, anzi: “Inquadro uno scontro generazionale, quello tra i ragazzi del centro sociale e gli intellettualoni di sinistra, che è anche autobiografico”. “Io ho paura – prosegue il regista, tra ironia e autoironia – di essere il peggio, ovvero il personaggio di Roberto Herlitzka, un professore, un intellettuale che fomenta il tentativo di “cambiare il mondo” di questi giovani, ma poi se ne frega, lasciandoli al loro destino. La sua vicenda potrebbe esser attribuita a me, lo temo fortemente…”. In

realtà, Maselli ai giovani, quelli dei centri sociali, ma non solo, è vicino: due dei collaboratori alla regia de Le ombre rosse – dal suo primo film, Gli sbandati del ’55, li chiama così, anziché usare l’abituale aiuto-regista – lo sono e dei centri sociali romani è stato – soprattutto con i dibattiti su Il sospetto, protagonista Volonté – ed è assiduo frequentatore, al di là della sua militanza in Rifondazione comunista. In poche parole, non c’è pericolo che la sua sia una visione dall’alto, decontestualizzata: “Diciamo che il mondo dei giovani non mi è estraneo…”, finisce per ammettere. Archiviate queste Ombre, rosse e purtroppo molto lunghe, Maselli sta “pensando al nuovo film, sovraccarico di angoscia. Perché vorrei trovare un episodio della vita nazionale o della storia del movimento operaio che possa avere un valore, un significato forte sull’oggi. Mi sto documentando, sto leggendo il meraviglioso testo di Teresa Noce, la compagna di Longo, che s’intitola Rivoluzionaria di professione”. Nomen omen, anche per lui.


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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

Cercansi dubbi di Paolo

Ojetti

g1 E’ terribile. Pare che si odano in lonT tananza “tamburi di battaglia politica”. La nota politica di Bruno Luverà evoca i film di John Ford, le praterie, pellerossa e visi pallidi. Al centro “del dibattito” (restando nella metafora sarebbe meglio parlare di Fort Apache o di Ombre Rosse) il processo breve, la prima tappa che salva Berlusconi e ammazza lo Stato di diritto. Sfilano, senza un criterio evidente, gli smunti volti di Pionati, Bocchino e una certa Bernini del Pdl. A proposito della Bernini, ella appare nel Tg1 (negli altri viene ignorata) sempre uguale, collanina di perle, vestito scuro, mezzo profilo a destra, occhi sgranati, naso rimodellato. Chissà quanti anni aveva la prima volta che è stata filmata e chissà quanti ne ha adesso. Nei suoi panni eleganti, chiederemmo un aggiornamento. Come una rivelazione, subito dopo si viene a sapere che la “crescita” economica sarà “moderata”, ma la disoccupazione nel 2010 crescerà. E il governo? Abbrevia processi, per questi altri piccoli problemi è morto e sepolto. Nel mausoleo di Arcore.

g2 Viaggio in Calabria T del presidente Napolita-

no. E cosa accade? Accade che (servizio di Daniela Orsello) c’è un’auto parcheggiata con un finestrino socchiuso. Cose che capitano ogni giorno, con o senza pioggia. Ma i carabinieri che passano cosa fanno? Si insospettiscono, perbacco. E allora aprono la macchina e cosa trovano? Armi, ordigni “rudimentali” e una tanica di benzina con fiammiferi “antivento” incollati alla medesima tanica con un doppio giro di scotch. Sembra proprio una messa in scena vecchio stile anni ‘70, c’è Napolitano facciamogli vedere quanto siamo bravi. Magari era tutto vero, pericoloso, carabinieri dal fiuto eccezionale. Ma alla Orsello poteva venire un dubbio, anche piccolissimo? g3 L’auto misteriosa passa anche sul Tg3 e diventa “una provocazione”, ma i dubbi rimangono. Così come qualche dubbio sui risultati dell’incontro Berlusconi-Fini aleggia. Mariella Venditti lancia domande al gran consiglio del berlusconismo che sosta in via del Babuino: “E Casini, cosa pensate di Casini?”. Prima risposta: “Chi, Carlo?”. Il riferimento al supercattolico democristiano di tanti anni fa, è per i addetti ai lavori. La Russa è più diretto: “Casini, nel senso della parola che pure gli americani avevano imparato?”. La Russa, che nostalgia degli anni ante 1958, nemmeno ‘Gnazio però li ha mai visti, non aveva l’età. A meno che ai missini prepuberi fosse consentito l’ingresso.

T

di Luigi

SECONDO TEMPO

Sordi sfida Caravaggio Galella

l più grande italiano di tutti i tempi (mercoledì, RaiDue, I21.05) è un inguardabile pastrocchio, che costringe a misurarsi con l’immisurabile. Il perché lo spiega lo schifiltoso Sgarbi, invitato a decidere (non lo avevano adeguatamente informato?) tra i giurati, “risolutori” dello spettacolo: “Mi pare, come sembra a molti, che sia un’idiozia: non sono entità comparabili”. Com’è possibile infatti, confrontare Sordi, Caravaggio e De Sica e scegliere chi eliminare? Che senso ha? Peccato che Sgarbi stesso faccia parte del meccanismo di questa “idiozia”, anche se con esibita, ipocrita ritrosia. Tuttavia, proprio su una intollerabile sciocchezza, che ne rappresenta l’elemento più vistoso e criticabile, si costruisce un’idea potentemente evocativa della società contemporanea. Secondo una scala di valori classici, infatti, è assurdo scegliere, ad esempio, fra Battisti, Puccini e Garibaldi. L’accostamento è così stridente da spingere a un moto di rabbia: un autore e inter-

prete di musica leggera, un compositore di melodrammi, l’epico eroe dei due mondi. Secondo quale criterio si dovrebbe spingerne due giù, e come fanno a stare tutti e tre sull’unica torre? Ma da decenni non viviamo più in un tempo “classico”, in cui i valori siano distinguibili per generi e specie. Viviamo in quella che storici e filosofi chiamano era postmoderna, in cui l’alto e il basso, il presente e il passato, non si distinguono più ma si fondono, sgretolandosi l’uno contro l’altro. Il primo grande interprete di questa metamorfosi è Andy Warhol, i cui volti rappresentati in serie (Marylin, Mao, Elvis) non dicono nulla della storicità dei personaggi, ma solo della loro immersione nel circuito dei media. Icone che vivono nell’eterno presente dell’immaginario mediatico. Non c’è più storia, quindi. Non più la classica possibilità di distinguere secondo giudizi di “valore”. Muniti di un metro universale, che sostituisce la quaVittorio Sgarbi, ospite di Il più grande italiano di tutti i tempi

lità con la quantità, preferiamo Puccini a Garibaldi, perché il secondo è il simbolo dell’Italia unita, certo, un valore “assoluto” e inconfrontabile, ma il primo coinvolge milioni di spettatori e continua dopo un secolo a far vendere dischi dei vari interpreti delle sue opere. “Il più grande” aveva esordito con una trovata pirandelliana. Come in “Ciascuno a suo modo”, lo spettacolo era iniziato fuori del teatro, su di un giornale, in cui si dichiarava misteriosamente di attendere “Fiorello per importanti comunicazioni negli studi di Cinecittà”. L’idea era buona, e faceva capire da subito che gli autori non sono degli sprovveduti. Il format della Bbc, peraltro, è collaudato e ha già riscosso consensi in diversi paesi. Ma l’audience della prima puntata è al di sotto delle peggiori aspettative (8.76% di share). Tutto lasciava pensare che fossimo di fronte a un programma discutibile, certo, ma di sicuro successo. Tutto, tranne che i numeri e le quantità. I nuovi valori con i quali misuriamo il mondo.

MONDO

WEB

Nyt a pagamento contrari i lettori York Times ci riproIdeilva.17NewIlmilioni quotidiano Usa, forte di lettori del suo sito Internet, ha annunciato che dal 2011 le notizie del sito Web saranno a pagamento. Al quotidiano stanno studiando quale sistema di pagamento scegliere, e quali software utilizzare. Ancora non ci sono dettagli sull’operazione ma è probabile che anche il Nyt seguirà la strada già intrapresa dal Wall Street Journal: home page sempre accessibili, 10 articoli al mese saranno gratuiti e gli altri a pagamento. Al Nyt provarono anche dal 2005 al 2007, ma solo 210.000 lettori avevano pagato i 50 dollari necessari per usufruire del servizio TmesSelect. Il sistema fu abbandonato per intercettare il boom della pubblicità online di quegli anni. Ora si torna a bomba, con il rischio di perdere traffico sul sito Web in quantità tale da non essere in grado di rimpiazzarla con i pagamenti. Per l’editore del giornale, Arthur Sulzeberger la strada fissata è da perseguire: “L’annuncio ci permette di avviare

il processo di riflessione per rispondere alle domande fondamentali che ci stiamo ponendo. Non possiamo fermarci a metà strada, e non possiamo permetterci errori”. La questione infatti è sempre la stessa: come rispondere alla crisi dell’editoria che da anni manda in rosso i bilanci dei giornali? Finora Rupert Murdoch era stato il capofila della battaglia per le news a pagamento: il magnate australiano non ha esitato a chiamare “ladri” gli aggregatori di news come Google News. Ora anche il Nyt prova a percorrere una strada simile. Ma la data stabilita – in là da venire – e il lungo e tormentato articolo pubblicato proprio su nytimes.com che da conto di mail e commenti inferocite inviate dai lettori, rendono poco probabile il successo di tutta l’operazione.

è ALTREMENTI A SAN MARINO UN FESTIVAL DA OGGI FINO A DOMENICA

L’associazione Don Chisciotte, molto attiva sul Web (all’indirizzo associazionedonchisciotte.org), ha organizzato a San Marino la prima edizione del festival “Altrementi” da oggi a domenica nel di Federico Mello Castello di Domagnano. “Crisi. verso un nuovo modello sociale?” su questo tema si svilupperà una tre giorni di lezioni magistrali. Tra i protagonisti Oliviero Beha (“Le parole della crisi, la crisi della critica”, questa sera) e è IN UK TUTTI I DATI ONLINE Massimo Fini (“Il vizio oscuro DA UN PROGETTO DI TIM BERNERS-LEE dell'occidente”, sabato sera); Si è scomodato anche Tim Berners-Lee, interverranno anche Giulietto Chiesa, il l’inventore del World Wide Web, per politologo Sandro Mezzadra, l’editor realizzare il sito Internet in cui il governo saggista e attivista Alex Foti, e altri. britannico raccoglierà tutti dati amministrativi del gabinetto . Sul sito troveranno informazioni di ogni tipo: dal DAGOSPIA crimine alle scuole, dai veicoli abbandonati ISCRIVERSI AL PARTITO, al prezzo delle case, fino ai dati sul QUANTO MENO traffico. Il governo di Gordon Brown 1) Pare che l'on Franco segue così l’esempio di Barack Obama che Barbato non possa candidarsi ha già realizzato un sito con tutti i dati contro Di Pietro sulla difesa e sulla Nasa. E l’Italia? Finora all'imminente congresso non pervenuta. dell'Idv, per il semplice motivo che non risulta iscritto al partito. Non ha pagato la quota di adesione nonostante numerosi solleciti e richiami... 2) Certo che quelli di FareFuturo si devono distinguere sempre. Sono gli unici, infatti, che non andranno alla convention del Pdl ad Arezzo (organizzata da La Russa e Gasparri e intitolata significativamente "dal Pdl non si torna indietro") e che riunirà tutti le fondazioni e i parlamentari del centrodestra. Fini come Nanni Moretti? Ma soprattutto, Berlusconi apprezzerà questo ennesimo sgarro di Gianmenefrego? 3) Il complesso del Vittoriano ospita la mostra Auschwitz-Birkenau, in occasione del 65esimo Anniversario della Liberazione dei superstiti del campo di concentramento nazista avvenuta il 27 gennaio del 1945. E proprio il prossimo 27 gennaio alle 17.00 l'esposizione verrà inaugurata.

L’articolo del Nyt che annuncia la svolta; il prontuario anti razzismo; Altrementi; il browser Emoko

GRILLO DOCET

NAPOLITANO E IL PELO NELL’UOVO

Napolitano se potesse firmerebbe anche il lodo Craxi. Per il momento si porta avanti citando la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo. Peccato che neppure lui possa cambiare il passato e, anche per l'Europa, Craxi è stato un ladro e nient'altro. "Né si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo nell'esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell'on. Craxi ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il "diritto ad un processo equo" per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea" Napolitano alla vedova Craxi. Peccato che se si va a leggere la sentenza della Corte europea dei diritti umani si scopre che per tutti i punti tranne uno, la Corte ritenne non esserci alcuna violazione e all'unanimità decise anche di non risarcire la famiglia. E' vero che la Corte constata che questa procedura ha portato la violazione dell'articolo 6 paragrafi 1 e 3 della Convenzione; ciò nonostante questa mancanza alle esigenze di un processo equo era dovuta all'applicazione da parte dei giudici nazionali delle disposizioni legislative di portata generale applicabili a tutti i cittadini. Niente nel dossier permette di pensare che nell'interpretazione del diritto nazionale o nella valutazione è RAZZISMO E PREGIUDIZI: degli argomenti delle parti e degli ISTRUZIONI PER L’USO SUL WEB UN PRONTUARIO PER CANDIDATI elementi a carico i “Sfatiamo i luoghi comuni sugli giudici che si sono immigrati”. Con questo obiettivo, Pippo pronunciati siano stati è ARRIVA IL BROWSER 3D Civati, consigliere Pd alla regione influenzati dalle la SI CHIAMA EMOKO stessa Corte”. Andrea Lombardia e un blogger suo omonimo In questi giorni di Avatar-mania è (non parente) Andrea Civati, hanno D'Ambra caccia al 3D. Anche il Web si adegua. realizzato un “prontuario per i candidati Generazione Attiva Mozilla funziona bene ma è piatto? del centrosinistra alle prossime regionali”. Explorer funziona male ed è piatto? L’obiettivo? “Smontare e respingere gli Chrome lascia perplessi per la argomenti dei partiti dalla paura privacy? Allora si può provare Emoko, primo browser sull'immigrazione. Quanti sono, da dove che dà la possibilità di navigare sul Web in tre dimensioni. vengono, che religione professano, che Gli utenti devono crearsi un avatar per gironzolare sulla lavoro fanno, quanti sono i clandestini?”. Il Rete; le pagine aperte si visualizzano come fossero pareti prontario raccoglie dati e informazioni e possono stare aperte l'una a fianco all'altra; oltretutto si che “sulla base di studi autorevoli e possono 'imbrattare', magari in compagnia di un altro inattaccabili, descrivono una realtà molto utente: emoko dà infatti la possibilità di incontrare le diversa” dai soliti allarmi che alimentano persone che stanno navigando su una stessa pagina e di paura e razzismo. Il prontuario vuole interagire grazie ad una chat. Gli elementi da social essere “uno strumento da utilizzare in network danno una marcia in più all'innovativo browser, campagna elettorale” per candidati del ancora non totalmente a punto. (Valerio Venturi) centrosinistra ed è liberamente scaricabile (nella versione 1.0) dal blog di Pippo Civati civati.splinder.com e da andreacivati.ilcannocchiale.it.

feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post “I numeri ‘truccati’ sui tempi e il condono per i soliti noti” di Bruno Tinti Sarebbe più giusto stabilire una durata massima ragionevole per le indagini, ma prevedere un tempo stabilito dei processi è un provvedimento favorevole solo per gli imputati, non certamente per le vittime e per i familiari delle vittime (Giampiero) Se si deve snellire il processo perché allora non abolire un grado di giudizio? La presa in giro nei confronti dell’intero popolo italiano sta nel fatto che la legge che vogliono produrre dovrebbe essere applicata anche ai processi per reati antecedenti (Sergio) La prima domanda che mi nasce spontanea è: la legge in Italia è retroattiva? Com’è possibile che una legge che deve ancora essere approvata - quando e se lo sarà - possa incidere su delitti compiuti anni fa e per i quali le vittime stanno aspettando giustizia? Secondo me questa “legge” farà la fine del lodo Alfano (Luciana) Se ragioniamo in termini di ratio, cioè di finalità della legge, ci si accorge che l'obiettivo non è velocizzare i processi ma paralizzare la macchina giustizia. Il superamento della “durata massima” non può essere l'impunità. È assurdo e spero che la gente lo capisca... (Giorgio) E che c'è da commentare? La sintesi è fin troppo semplice: chi ha il consenso popolare (comunque ottenuto) deve poter fare quello che gli pare (e deve avere anche la possibilità di farlo fare ai suoi), senza possibilità di essere sottoposto a controlli e senza possibilità di essere oggetto di procedimenti giudiziari (Ciccio) E’ da dieci minuti che cerco parole da scrivere ma non le trovo... ho sempre pensato che la politica fosse cosa assai difficile e lontana da me, non mi sono mai interessata perché mi ritenevo troppo ignorante in materia ma adesso forse ho capito che non è un problema mio, se sono banalmente onesta (Sara) Finalmente un articolo che ammette che il problema esiste, ma che è la soluzione ad essere sbagliata, e soprattutto che offre delle soluzioni alternative (Grilloz) Forse è meglio che passi questa legge. Perché il popolo italiano, almeno una buona parte, se non prova sulla pelle l'effetto di certe leggi se ne infischia di tutto e tutti. Quando tutti i truffati dei vari crac e delle banche, le vittime della Thyssen e della clinica Santa Rita andranno a vedere i processi per ottenere giustizia sui defunti sapranno con chi prendersela (e spero ci siano tra loro molti elettori del Pdl) (Briz)


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SECONDO TEMPO

giustamente

PIAZZA GRANDE

É

L’AZIONE PENALE OBBLIGATORIA I

Con Craxi i conti non tornano di Sandro Brusco

el dibattito che si è sviluppato intorno alla figura di Craxi si sente spesso ripetere che, al di là dei suoi guai giudiziari, egli fu uno statista che introdusse importanti innovazioni. In questo articolo voglio documentare che, quando guardiamo ai dati di politica economica, le innovazioni introdotte sono state estremamente dannose per il paese. Gli anni Ottanta, periodo in cui Craxi ha raggiunto l’apice della sua influenza, hanno visto un’esplosione della spesa pubblica, il cui livello non è più sceso nei due decenni successivi. Contestualmente è esplosa la pressione fiscale, guidata in modo particolare dalla crescita delle imposte dirette. Nonostante l’accresciuta tassazione, la spesa crebbe comunque assai più velocemente del gettito tributario, per cui anche il debito pubblico esplose, rischiando di mettere il paese su un sentiero di insolvenza. Il periodo di massima influenza di Craxi va dalle elezioni del 1979 a quelle del 1992, raggiungendo l’apice nel periodo 1983-1987 in cui fu alla presidenza del Consiglio. Nel 1980 il rapporto debito/Pil era pari al 56,9%. Il paese si trovò particolarmente esposto alla recessione mondiale e agli alti tassi di interesse dell’inizio degli anni Ottanta. È in questo scenario che inizia l’era Craxi. Visto il livello raggiunto dal debito pubblico alla fine degli anni Settanta era necessario iniziare ad avere avanzi primari di bilancio, ossia entrate tributarie superiori alla spesa al netto di interessi. Tali avanzi dovevano essere utilizzati per pagare la maggiore spesa per interessi, stabilizzando il rapporto debito/Pil. Non stiamo qui parlando di scelte politiche, ma di mera compatibilità finanziaria. Questo non fu quello che successe. Negli anni Ottanta i governi italiani imboccarono senza esitazione la via dell’irresponsabilità, abdicando completamente ai loro doveri nei confronti dei governati. La spesa passò dal 36,9% del Pil nel 1980 al 41,7% del 1983, restando poi intorno al 42-43% fino al 1992. Questi numeri però vanno valutati anche in riferimento all’andamento del ciclo economico. Il periodo 1980-1983 fu infatti caratterizzato a livello internazionale da una recessione che colpì duramente anche l’Italia. Per dato tasso di crescita della spesa è logico che il rapporto spesa/Pil cresca quando il Pil si riduce (come nel 1980) o cresce poco. Quando Craxi prese le redini del governo, nel 1983, ebbe la fortuna di trovarsi di fronte a un mutamento favorevole del ciclo internazionale. Era quello quindi il momento di iniziare il rientro dagli eccessi di spesa. Craxi fece l’esatto contrario. Accelerò la dinamica della spesa in corrispondenza della più vivace dinamica del reddito, mantenendo invariato il rapporto spesa primaria/Pil. Nel frattempo cresceva la spesa per interessi, indotta dai sempre più alti livelli di debito e dagli alti tassi di interesse. Come conseguenza, il rapporto tra spesa totale e Pil crebbe di circa 10 punti tra il 1980 e il 1987, anno in cui Craxi cessa di essere primo ministro, collocandosi al di sopra del 50% del Pil. Incapaci di controllare la spesa

N

Ciò che fece fu estremamente dannoso: l’Italia venne trasformata in un paese ad alto debito, alta spesa e alta tassazione, situazione dalla quale non è più riuscita a uscire primaria, e con una spesa per interessi in costante crescita, i governi degli anni Ottanta decisero di alzare in modo drammatico la pressione fiscale. Nel periodo 1980-1992 l’aumento fu di più di 10 punti di Pil, passando dal 31,4% al 41,9%. Buona parte dell’aumento fu dovuto all’incremento delle imposte dirette, favorito dalla struttura progressiva dell’imposizione e dagli alti tassi di inflazione. Gli effetti di disincentivo al lavoro e alla produzione di mercato sono ovvi. Ma il pur selvaggio aumento della tassazione non tenne il passo con l’ancor più selvaggio aumento della spesa. Il rapporto debito/Pil, pari al 56,9% nel 1980, balzò al 68,9% nel 1983. Poi Craxi divenne primo ministro in quattro anni il rapporto debito/Pil crebbe di ben 20 punti percentuali, giungendo nel 1987 al 88,5%. Come si ottenne tale incremento è presto detto. Il disavanzo di bilancio durante il periodo 1980-1992 fu in media pari al 10,8% del Pil, un livello assolutamente scandaloso. La media degli anni 1984-1987, quando Craxi fu primo ministro, fu un ancor più scandalosa: 11,4%. È difficile oggi credere che si potesse essere tanto irresponsabili. La responsabilità di questo disastroso aumento è tutta e intera-

mente politica ed è da addebitare a Craxi in primo luogo. Avendo sperperato le proprie risorse nei periodi delle vacche grasse, il bilancio pubblico subì un altro duro colpo con la recessione dell’inizio degli anni Novanta. Anche se a quel punto il bilancio era vicino all’avanzo primario, il debito era ormai alimentato dalla spesa per interessi, che giunse a superare il 10% del Pil. Il rapporto debito/Pil raggiunse il 105,2% nel 1992, il 115,6% nel 1993 e il 121,8 nel 1994. È solo a partire da quell’anno che la situazione si stabilizzò, in parte grazie a un aumento della pressione tributaria ma soprattutto grazie alla riduzione internazionale dei tassi d’interessi e all’agganciamento dell’Italia all’area dell’euro. L’argomento di chi afferma “Craxi sarà stato anche disonesto ma ha fatto buone cose” è quindi totalmente privo di base empirica. Al contrario, ciò che Craxi fece fu estremamente dannoso. L’Italia venne trasformata in un paese ad alto debito, alta spesa e alta tassazione, situazione dalla quale non è più riuscita a uscire e che ha sensibilmente ridotto il suo potenziale di crescita. Forse

IL FATTO di ENZO

di Bruno Tinti

l

Oggi negli stampati turistici Dachau è scritta come "una amena località famosa per le trote e per il vinello". Tempo di revisionismo, ma i fatti hanno una logica incancellabile. Il Fatto 1 giugno 1998

l’unica cosa buona che si può dire di Craxi è che non era particolarmente peggiore del resto della classe politica di quel periodo. Lui fu spazzato via da Tangentopoli. Il resto della classe politica purtroppo no, e continua a far danni al paese. La visita dei vari ministri ad Hammamet è solo l’ultima testimonianza di questa tristissima verità. docente di Economia presso la State University of New York at Stony Brook. Insieme con altri colleghi economisti è redattore del blog www.noisefromamerika.org, sul quale è stata pubblicata una versione estesa di questo articolo. Bettino Craxi (FOTO ANSA)

l rapporto tra le iniziative di B&C e la Costituzione è sempre un po’ litigarello; tanto che il sospetto (?) ormai è che, a loro, della Costituzione non gliene freghi niente: potrebbero anche aver pensato che B. 72 anni ha e che, se fanno una legge incostituzionale ogni anno e mezzo/due, destinata – si capisce – ad essere strapazzata dalla Corte, comunque ne basteranno 5 o 6 per metterlo al riparo dalla giustizia umana; per il resto saranno affari suoi. Solo così si spiega la faccia di tolla che ha permesso di varare una legge come il “processo breve” che, a una prima lettura, presenta parecchi profili di incostituzionalità, come si dice in gergo giudiziario. Cominciamo dal primo: virtuosamente B&C hanno previsto tagliole di diversa dimensione per ammazzare le loro prede, proprio come fanno i cacciatori (genìa in effetti abominevole): una più piccola (6 anni e mezzo) per i conigli (i processi per i reati puniti con meno di 10 anni); una un po’ più grossa (7 anni e mezzo) per i caprioli (i reati puniti con più di 10 anni); e una grossissima (10 anni più possibile aumento di un terzo) per i leoni (reati di mafia, terrorismo ecc.). Il problema è che quello che è ragionevole per i conigli e le altre prede non va proprio bene per i reati e i relativi processi. Per un animale più grosso ci va una tagliola più grossa, non ci sono dubbi. Ma chi l’ha detto che un processo per un reato punito meno gravemente richieda un tempo inferiore rispetto a un processo per un reato punito con pena più alta? Un processo per omicidio quasi sempre è rapidissimo: testimoni, arma del delitto, perizie, in un paio di mesi è fatta; poi c’è l’appello, la cassazione ma, in 3/4 anni, tutto è bello che finito. Invece una frode fiscale, con i soldi nascosti da una serie di falsi in bilancio e poi depositati su un conto di una banca delle isole Cayman, intestato a una società caraibica, i cui soci sono la donna delle pulizie del bar e il vetturino di piazza, e che risponde a uno studio di commercialisti con sede in Montecarlo, che ordina di trasferire il danaro in una banca di Londra, su di un conto intestato a un avvocato scozzese; ecco, per un processo così, anni ci vanno. Prevedere la tagliola più piccola per questo genere di reati e più grande per un omicidio o una violenza carnale aggravata è privo di senso e dunque incostituzionale, come la Corte ha detto un milione di volte (si chiama principio di ragionevolezza) e come almeno alcuni dei C di B. sanno benissimo. La cosa si capisce bene anche sotto un altro profilo. La nostra Costituzione, sfortunatamente per B&C, prevede l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112): quando si scopre un reato bisogna fare un processo, non ci sono santi; e bisogna concluderlo, se no che razza di azione penale obbligatoria è? Se per i conigli, che però sono difficili da acchiappare, utilizziamo tagliole così piccole da rendere sicuro che non li acchiapperemo mai, stiamo violando questo articolo 112 perché abbiamo costruito un sistema/tagliola fatto apposta per non acchiapparli. Più in generale è il sistema della tagliola che è privo di ragionevolezza: perché la gravità del reato non ha nulla a che fare con il tempo stimato necessario per la celebrazione del processo. Molto semplicemente, quanto è complesso un processo e quanto sarà lungo lo si scopre quando lo si inizia, indipendentemente dal reato per cui si celebra. In verità i profili di incostituzionalità sono ancora molti; ma, come ho già detto, il “Fatto Quotidiano” si paga la sua carta (non gliela comprano i finanziamenti pubblici) e lo spazio è quello che è; sicché ci saranno altre puntate.

Rai, buchi e sprechi di Loris

Mazzetti

più facile o più difficile governare un paese che vive nell’incertezza della crisi o dove è a rischio la sopravvivenza? “Semplice Watson”, risponderebbe l’acuto Sherloch Holmes, “buona la prima”, meglio l’immobilità che la crisi profonda che obbliga a reagire, ad avere idee e soprattutto capacità. E se questo valesse anche per la Rai? Meglio lasciarla nell’incertezza, non risolvere i problemi, abbassare solo i costi della produzione appliI centri di cando tagli ai budget delle reti. Tutto produzione: mentre sommato è quello che fa comodo a a Roma si lavora Mediaset, che a sua volta taglia, con la in straordinario scusa di “stare sul mercato”, aumena Napoli il 60% tando così il profitdei dipendenti si to. Il direttore generale Masi l’estate gira i pollici. Può scorsa ha lanciato un grido di allarme: continuare così “Nel 2012, se le cose non cambiano, la situazione l’azienda rischia un o il futuro è la cassa passivo di oltre 600 milioni di euro”. integrazione? Ho immediatamen-

È

te pensato: “Tutti a rimboccarci le maniche per impedire di finire come l’Alitalia”. Sono passati circa sei mesi e non è successo nulla. Il contratto con Sky non è stato rinnovato buttando al vento ben 180 milioni di euro, mentre quello di Servizio, che la Rai firmerà con il Ministero dello Sviluppo economico, impone alla tv di Stato di essere presente su tutte le piattaforme distributive e di “limitare al massimo il criptaggio delle trasmissioni”. Morale: la Rai rimane su Sky a titolo gratuito. Il nuovo piano industriale 2010-2012, che dovrebbe prevede le strategie da adottare per approntare il nuovo processo tecnologico, cioè il digitale terrestre, non è stato ancora votato perché troppo “timido”. La Rai ha quattro Centri di produzione: Roma, Milano, Torino e Napoli. Quello di Roma scoppia di produzioni, molte di queste sono realizzate presso studi privati che alla fine dell’anno gravano sul bilancio per milioni di euro. A meno di cento chilometri c’è quello di Napoli, utilizzato per il 40% della sua potenzialità. Mentre a Roma si lavora in straordinario a Napoli il 60% dei lavoratori si gira i pollici. Può continuare così la situazione o il futuro è la cassa integrazione? Attualmente a Napoli si produce solo un “Un posto al solo” e un programma sul teatro “Palco e retropalco”. Sono inutilizzati: uno studio tv di 800 metri quadrati e il famoso Auditorium, con 1000 posti per il pubblico, lo storico di “Senza rete”, il popolare varietà tv condotto da Mina, completamente

ristrutturato tre anni fa e usato, grazie alla Confindustria, per dieci lezioni sulla storia di Napoli. Qui non si lavora e a Roma si sperpera. Milano nel frattempo non ride. Liofredi, il nuovo direttore di RaiDue, ha messo a nudo il bluff della Lega che, con la ristrutturazione di due stanze per il direttore di rete e segretaria, qualche programma prodotto in più rispetto a quelli che ci stavano già, aveva annunciato al paese, con tanto di brindisi pubblico, il trasferimento di RaiDue da Roma a Milano. Liofredi non ha confermato alcuni programmi altri li ha portati a Roma, morale: gli studi di via Mecenate sono semi vuoti. A Torino, che già lavorava poco, si parla di chiusura dell’Orchestra Sinfonica (che nulla ha da invidiare a quella della Scala e che è stata diretta dal 1994 dai più grandi direttori) e del Centro di Ricerche, pioniere del digitale terrestre. La proposta editoriale è quella di sopperire alla carenza di produzioni con i nuovi canali digitali: a Napoli quelli culturali (però si sa già che Rai4 di Carlo Freccero rimarrà a Roma), a Napoli lo sport e a Torino la tv per i bambini. Questo a partire dal 2012 quando in tutte le case degli italiani ci sarà il digitale terrestre. Nel frattempo l’azienda rimane immobile: non cerca partner per inserirsi in nuove zone di mercato, non fa accordi con privati per combattere nella giungla dei diritti, come ha fatto nel passato con Sky per Olimpiadi e Mondiali di calcio. Evidentemente la Rai è sempre lo specchio del Paese.


Venerdì 22 gennaio 2010

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SECONDO TEMPO

MAIL Commemorate Craxi e non Mattarella?

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aro Furio Colombo, vedo che si fanno più frequenti i trans del Partito democratico, ovvero quelli che all’improvviso fanno un passo a destra per dire una cosa un po’ scandalosa assieme a quelli del Pdl. Come spieghi questo fenomeno che si verifica spesso da sinistra verso destra ma mai al contrario? Camillo

C

Gianluca Mondì

Incentivi alle imprese vincolati ai posti di lavoro Questo mio ragionamento forse arriva tardi. Ma ci tengo lo stesso a esprimerlo. Oggi si parla dei problemi del lavoro, ma è il lavoro stesso che manca. Effetto delle delocalizzazioni. Io dico che se una ditta riceve incentivi, perché è grande e perché fa bene alla nostra economia, queste sovvenzioni statali dovrebbero essere vincolate ai posti di lavoro. Un’azienda deve legare tot posti di lavoro a tot anni – e vincolati – per tot contributi.

CI AVEVANO detto che non ci

sono più correnti nel Pd. Forse, nel tradizionale senso politico è vero. Ma soffiano con forza i venti forti delle correnti umorali e stagionali. Qualcosa come i monsoni. Adesso, per esempio, è la stagione del “Vado di là e dico qualcosa di destra con loro”. Per esempio Franca Chiaromonte sente all’improvviso l’impulso patriottico di unirsi al Popolo della libertà per dire assieme a loro: “Votiamo subito il ritorno dell’autorizzazione a procedere in modo che deputati e senatori siano automaticamente protetti dalle malefatte dei giudici”. L’idea è strana perché viene enunciata mentre la tensione e la contrapposizione sulla giustizia fra le due parti politiche è forte e lambisce anche il

Leone Delcarro

Ignazio Marino e il complotto del Pd

Luca Bussandri

A DOMANDA RISPONDO PD, DEPUTATI CORAGGIOSI

Furio Colombo

Parliamo di anniversari a cifra tonda, visto che sembra ci sia stato solamente quello di Bettino Craxi. Il 4 gennaio 1980, a Palermo, veniva ucciso Piersanti Mattarella. Sono passati esattamente 30 anni. Come mai non c’è stata tanta “sollevazione” parlamentare per un politico, questo sì, vittima di qualcuno e testimone di autentici ideali?

Vorrei parlare della mancata nomina del senatore e chirurgo Ignazio Marino a causa della sua candidatura alle primarie del Pd. Se fosse vero ciò che è riportato sul sito dell’Unità, sarebbe una cosa di cui vergognarsi. Per il solo fatto che si è candidato contro Bersani e Franceschini, Marino è stato fatto fuori (o almeno così risulta dalle intercettazioni). Io non ho parole per esprimermi, se non il disgusto per un paese che vive di nomine calate dall’alto senza guardare in faccia nessuno e senza considerare mai il merito delle persone e dei lavoratori. È raccapricciante!

BOX

Massachusetts, la sconfitta di Obama La sconfitta del Massachusetts dovrebbe far riflettere il Pd italiano: quando l’opposizione vuole assomigliare a qualsiasi costo alla maggioranza e gioca soltanto al centro con la stessa area sociale la gente finisce con il votare per quel partito che esprime con maggiore coerenza le politiche che la interessano mentre coloro i quali sono portatori di alternativa si scoraggiano e magari non vanno a votare. Un anno di Obama ha convinto l’elettorato democratico di non andare a votare. E’ stato l’anno

LA VIGNETTA

presidente della Repubblica. Qualcuno vede la logica politica o anche solo la logica di una simile iniziativa? Passano dei giorni, la stessa Franca Chiaromonte, donna intelligente e ricca di esperienza politica, porta in dono agli elettori italiani di opposizione una interrogazione bipartisan firmata (lato Pd) oltre che da lei, da Pietro Marcenaro, Adriano Musi, Luciana Sbarbati (un piccolo gota di ciò che fu il left). E (lato destro) Luigi Compagna, Ombretta Colli, Antonio Caruso, Diana De Feo, Marcello Pera. Testo: “Lo svolgimento della vita democratica in Abruzzo è stata irrimediabilmente compromessa dai comportamenti della magistratura”. Si parla dell’inchiesta Del Turco e l’affermazione appena citata è rivolta al ministro della Giustizia di Berlusconi, noto per “il lodo Alfano”. La meraviglia sarebbe grande, e forse ci sarebbe anche un po’ di scandalo. Ma il buon piazzamento della notizia sui migliori quotidiani suggerisce una comprensibile ragione. La cosa è talmente incredibile che farà notizia. L’ha fatta. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

della guerra estesa allo Yemen e alla Somalia, della finta riforma sanitaria, della vendita dei vaccini inutili, dalla sostituzione della propaganda televisiva all’azione reale di governo dei velleitari annunzi ai banchieri dopo averli foraggiati abbondantemente. In quanto ad Haiti penso che l’interesse americano sia soltanto militare e che la loro presenza sia di ostacolo all’assistenza alla popolazione. Pietro Ancona

Sono il più giovane lettore del Fatto Ho la presunzione di credere che sia il più giovane lettore di questo giornale: ho solo 14 anni ma, oltre a fare tutto ciò che fanno i miei coetanei, (sport, amici, divertimento e scuola) leggo ogni giorno questo bel giornale poiché mi interesso di politica e attualità e poiché capisco (non occorre essere adulti) che questo giornale è uno dei pochissimi che raccontano i fatti così come sono e l’unico che critica tutti i partiti e i personaggi politici oggettivamente e senza essere di parte, fornendo così un’informazione libera. Nonostante ciò mi rammarico che sul numero del 14 gennaio non si sia fatto riferimento al governo battuto alla Camera e all’approvazione della mozione Pd per l’occupazione al sud (voti di Pd, Idv, Udc, Mpa e assenze Pdl). Grazie e buon lavoro a tutta la vostra redazione. Francesco Pignatone

Diritto di Replica Gentile direttore, mi consenta alcune osservazioni, sulle cose da Voi pubblicate sul mio conto. Cominciamo dalle cose importanti: sono nato a Livorno, ma non posso definirmi livornese, essendo cresciuto a Palermo. Sono siciliano. Questo dovrebbe contribuire a rendere più fosco il quadro, quindi ci tengo. Neanche sono di destra, giacché, se dovessi definirmi, sosterrei d’essere cresciuto nella sinistra democratica. Non ho cambiato idea. Sono pronto, opinione per opinione, articolo per articolo, a discutere ogni singolo riferimento culturale. Veniamo alle cose minori. Secondo quanto afferma l’onorevole Antonio Borghesi, due volte nel Vostro articolo, avrei salvato la ghirba, nel processo relativo alle presunte tangenti per le frequenze televisive, grazie alla prescrizione. Posto che la prescrizione non è una data di scadenza del colpevole (modello yogurt), è vero l’esatto contrario: sono stato assolto con la più piena e soddisfacente delle formule, il fatto non sussiste. Me ne duole per lui, me ne rallegro per me. Ci sono state prescrizioni, invece, relative, però, a nessuno dei reati contestati da Antonio Di Pietro (che in tal senso Voi citate, laddove io lo trovo inelegante), per i quali, anzi, neanche c’è stata la richiesta di rinvio a giudizio. Capitò, difatti, che la stessa procura modificò totalmente il quadro d’accusa, proponendo al giudice reati

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IL FATTO di ieri22 Gennaio 1959 Storia di una memorabile truffa stile “furbetti del quar tierino” targata fine anni ’50. Storia del famoso “Caso Giuffré”, dal nome del primo, vero, originale “banchiere di Dio”, finanziere della Provvidenza ammanicato con prelati e politici doc e specializzato nel rastrellare, con l’avallo delle parrocchie, denari di piccoli risparmiatori devoti, accalappiati con la promessa di interessi strabilianti. Un maneggione ante-litteram, ex cassiere del Credito Romagnolo di Imola dimissionato per sospetti illeciti, improvvisatosi amministratore di beni e capitali per oltre tre miliardi di lire, raccolti tra i risparmiatori secondo il classico meccanismo della “catena di Sant’Antonio e mai realmente investiti. Una truffa in piena regola finita con la bancarotta degli ingenui investitori e approdata in Parlamento, con tanto di fallita mozione di sfiducia nei confronti del governo. Del crac, costato poco o nulla al ciarlatano Giuffré e nel quale erano rimasti coinvolti ministri come Preti e Andreotti, rimasero solo le consuete disarmanti conclusioni assolutorie della Commissione d’inchiesta e la gratuita promessa del presidente Fanfani, di una nuova legge bancaria nel nome della trasparenza. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno MATTEO RIGHI “Siamo Matteo e Monica, abbonati della prima ora. E questo è Luca, la nostra arma micidiale, il bimbo che ripulirà il Ventunesimo secolo dalle mafie e dai berlusconismi! Alle facce mummificate dei nostri politici opponiamo il suo sorriso beffardo e carico di futuro. Grazie, anche da parte di Luca, a tutti i giornalisti del Fatto, ai ragazzi di Qui Milano Libera, ai gruppi No Tav e a tutti coloro che resistono”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

istituzioni. Considero del tutto legittime le perplessità sulle mie capacità professionali, però, occorre decidersi: o scrivo le leggi sulle telecomunicazioni o non ci capisco un accidente. Con un cordiale saluto, Davide Giacalone

Leggo in un articolo intitolato “Napolitano e i suoi miglioristi”, firmato Barbacetto e Gomez, pubblicato dal Fatto Quotidiano il 19 gennaio, insinuazioni e frasi ambigue volte a far credere che il sottoscritto, tra gli altri, abbia compiuto malefatte e reati non sanzionati in ragione di sopraggiunte prescrizioni. Riservandomi ulteriori passi per difendere la verità e l’onorabilità mia e dei miei comportamenti di sempre, preciso i fatti a smentita di quanto insinuato, e cioè che l’indagine e il procedimento giudiziario a cui fui lungamente sottoposto dal Tribunale di Milano si sono conclusi nel 1997 con l’assoluzione il 5 giugno e con il passaggio in giudicato della definitiva sentenza il 22 novembre di quello stesso anno. Con i migliori saluti. Gianni Cervetti

prescritti. Mi opposi, ricorrendo in Cassazione, ma senza l’esito sperato. Me ne rammarico, ma questo non autorizza a capovolgere la realtà. Un’ultima cosa: indicarmi quale autore, solitario, di una legge, la Mammì, è un onore che non merito. Era la migliore legge possibile, e anche di questo sono pronto a discutere, dove e quando vorrete, ma immaginare il Parlamento quale luogo di ratifica delle mie trovate, ho l’impressione che sia vilipendio delle

I nostri errori Nell’articolo “Sexy gate al ragù” abbiamo erroneamente scritto che già a giugno il sindaco di Bologna era iscritto nel registro degli indagati. In quel momento in realtà il fascicolo era aperto contro ignoti. Ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.

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