La Fiat annuncia cassa integrazione per due settimane. Ma il ministro Sacconi sa solo dire: così s’interrompe il dialogoy(7HC0D7*KSTKKQ(
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Mercoledì 27 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 22 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
SCATTI E RICATTI
Disguido Bertolaso di Marco Travaglio
NELLA RETE ANCHE UN MINISTRO I Foto imbarazzanti ritirate dal mercato da “mano amica”
Milano-Auschwitz di Furio Colombo
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Preoccupazione nel governo anche per il ruolo di Signorini uomo di B. Corona: con il gossip si controlla il paese
Quest’uomo è un disastro Dopo Haiti Berlusconi lo scarica
è un sotterraneo alla Stazione centrale di Milano, una immensa stanza segreta che riproduce tutto quello che vedete di sopra, al piano dei treni e della grande tettoia di ferro e di vetro che, di Gomez e Mascali ancora adesso, fa sentire la tensione del viagPalazzo Grazioli la serietà gio. Capisci che l’avventura comincia nell’ardella situazione la racconco di luce che si vede verso il fondo, dove i tano i musi lunghi degli uomitreni diventano una linea che va verso il monni più vicini al premier. Le facdo. ce di Gianni Letta e Paolo BoAnche sotto, nella immensa stanza segreta, ci naiuti che, secondo quanto risono binari. Vanno verso un punto lontano, sulta a Il Fatto Quotidiano nei che non rivela niente, solo altre gradazioni di giorni scorsi, hanno parlato buio. Qui senti che sei lontano dal cielo come con Silvio Berlusconi del caso se questo luogo fosse una fenditura profonda. di Alfonso Signorini. pag. 3 z Guido Bertolaso Pochi metri tra sopra e sotto, ma la distanza è infinita. Sopra siete liberi, sotto no. Come in una strana, torbida fiaba, essere qui è una condanna. Così è stato ogni giorno, ogni POLVERINI x Le irregolarità sull’acquisto della casa settimana in un periodo maledetto della nostra storia. Noi siamo su un lastrone di cemento al binario 21. Siamo testimoni di un delitto italiano di cui sono restati tutti i segni e tutte le impronte. Dal binario 21 partivano i treni, mentre Milano viveva la sua difficile vita di guerra, la borsa nera, lo sfollamento, il treno per venire al lavoro e tornare in campagna per essere più al sicuro, quel tanto di solidarietà che nasce sempre nei momenti difficili. Non per tutti. Una bambina che è passata sul marciapiede buio del binario 21, in quel misterioso piano di sotto racconta: “Dopo l’arresto ci di Marco Lillo avevano rinchiuso a San Vittore, con ladri e enata Polverini, tra mille dimalfattori. Quando ci hanno messi in marcia stinguo, alla fine ammette verso la stazione donne, uomini, vecchi, quello che “Il Fatto Quotidiano” bambini, in uno strano corteo, soltanto i detenuti di San Vittore hanno gridato “coragha scritto ieri: il candidato pregio”, hanno capito l’assurdo, ci hanno dato sidente della regione Lazio del quel che avevano da mangiare e per stare calPdl è un evasore fiscale. La segregiorno della memoria di. Nelle strade di Milano non se ne è accorto taria dell’Ugl condisce l’ammisnessuno, nessuno si è voltato”. sione del suo errore, che lei chiaE’ la voce di Liliana Segre che ha fatto da guida ma “disguido”, con una minacalla stanza sotterranea, ha mostrato che piecia di querela. pag. 7 z tre, cemento, umido, buio e pag. 10 e 11z binari ci sono ancora. Ecco il binario 21. Da qui, dalla staNUOVA effetto crisi zione italiana, con personale EDIZIONE italiano e scorta italiana, parSTORIA tivano i treni Milano-AuDEL schwitz. Qui spingevano sui MOVIMENTO ANTIMAFIA vagoni gli ebrei italiani destinati a morire. Qui il 26 gendi Martini pag. 9z Umberto Santino naio, decimo anniversario del Giorno della Memoria, Marco servizi segreti LA PRIMA Szulc, figlio della Shoah, ha STORIA DELLE LOTTE SOCIALI posto la prima pietra del MeCONTRO moriale italiano. LA MAFIA Milano, piano sotterraneo, binario 21. Ci sono ancora i vawww.editoririunitiuniversitypress.it pag. 6z goni.
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“Forse ho evaso le tasse ma vi querelo lo stesso” R
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L’Italia che difendeva la razza
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È iniziata la guerra dei porti
Scaglietta pag. 12 z
Udi Massimo Fini QUANDO FELTRI AMAVA TONINO di Vittorio Feltri e ItroLl iGiornale bero di Maurizio Belpiestanno conducendo una forsennata campagna d’aggressione ad Antonio Di Pietro accusato, sulla base di un dossier, di essere un uomo della Cia. pag. 18 z
Udi Gian Carlo Caselli QUEI CORI CONTRO INGROIA del Senato dovrebessere bandita ogni forDmabeall’aula di inciviltà e barbarie. Non sempre accade. Lo testimonia il resoconto stenografico della seduta dedicata alla discussione sul “giusto processo”, che registra una denunzia del senatore Li Gotti. pag. 18 z
CATTIVERIE
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D’Alema eletto presidente Copasir all’unanimità
Frattini pubblica sul sito del ministero le foto delle sue vacanze. La mia preferita è quella dove sta alla scrivania (www.spinoza.it)
l Banana ha trovato finalmente il suo erede naturale, un uomo che come lui, appena varca i confini patrii, riesce a scatenare guerre diplomatiche di dimensioni planetarie. Quest’uomo è Guido Bertolaso, medico specializzato in malattie tropicali dell’infanzia, da anni scambiato in Italia da destra e da sinistra per un grande esperto in fatto di Protezione civile. In realtà l’unica esperienza che il popolare Disguido ha maturato sul campo è quella in catastrofi: quelle che provoca lui a ogni suo passaggio. L’altro giorno il Banana l’ha paracadutato ad Haiti “per coordinare gli aiuti” e fargliela vedere agli americani. Quello, atterrato a Port-au-Prince, ha subito scoperto che non gli lasciavano coordinare un bel nulla, anzi non sapevano proprio chi fosse (“Bertochi?”, era il commento più benevolo sul nostro). Allora, fasciato dalla consueta casacca azzurra della Nazionale, s’è fatto fotografare e filmare mentre baciava bambini e rincuorava vedove, come se fosse in passerella a L’Aquila. Poi, ai microfoni di Lucia Annunziata, in piena sindrome da mosca cocchiera, ha pensato bene di dichiarare guerra agli Stati Uniti, notoriamente incapaci a gestire le emergenze (“patetici”, li ha definiti), e anche personalmente a quello sprovveduto di Bill Clinton, che “invece di scaricare casse di acqua dovrebbe coordinare gli aiuti”. Lui sì, era il sottinteso, che saprebbe come fare a sistemare Haiti (150 mila morti, 200 mila feriti e 3 milioni di senzatetto), avendo sistemato da par suo i terremotati de L’Aquila (dove le “case per tutti entro Natale” non sono mai arrivate e la ricostruzione è affidata a note ditte mafiose). Mancava solo un sapido accenno a quel selvaggio di Obama appena sceso dalla pianta. La performance bertolasa s’inserisce nella nobile tradizione del cumenda in vacanza all’estero, già immortalato da pellicole neorealiste quali “Natale a Miami”, in cui si vede il nostro connazionale che pontifica sulla spiaggia e si fa subito riconoscere per il tono vocale a diecimila decibel, per la suoneria del cellulare firmata da Toto Cutugno e per il costume anatomico col pacco imbottito di cotonina. A quel punto l’ambasciatore italiano a Washington ha fatto presente al governo che era meglio scaricare il malcapitato, onde evitare che il previsto incontro tra Frattini e Hillary Clinton si trasformasse in un bagno di sangue e che battaglioni di marines muovessero contro qualunque cosa odorasse d’Italia. Frattini, eccezionalmente libero da impegni vacanzieri in giro per il mondo, ha portato il ditino alla boccuccia e ha pigolato qualche imbarazzata presa di distanza. Ma, come spesso avviene quando parla Frattini, non se n’è accorto nessuno. Così Hillary ha paragonato pubblicamente le parole di Disguido ai commenti da bar sport del dopo-partita, apparentando il governo Berlusconi al “Processo di Biscardi”. A quel punto Disguido ha rimediato da par suo, dichiarando guerra all’Onu (che fra l’altro nella tragedia haitiana conta 82 caduti e 53 dispersi; si spera che Frattini lo scarichi di nuovo, prima che i Caschi blu sbarchino a Civitavecchia). Immaginarsi lo stupore dei tanti bravi italiani che avevano preso sul serio Bertolaso, complice la stampa turiferaria, nel vedere che, appena varca la cinta daziaria, il nostro luminare viene sbeffeggiato dal primo che passa. Appena un gigante italico viene misurato secondo gli standard stranieri, diventa un nano. Basti pensare al consenso di cui gode il Banana in patria rispetto alla fama che lo precede oltre la frontiera di Chiasso. O alla fine miseranda di D’Alema, candidato a ministro degli Esteri europeo e trombato all’unanimità al grido di “D’Alema chi?”. Solo in Italia continua a passare per un genio: ieri infatti, reduce dai trionfi pugliesi, è stato eletto presidente del Copasir con i voti del centrodestra. Che ormai lo considera uno di famiglia.
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Sabrina Ferilli: “Dimissioni eccessive Berlusconi allora?”
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SESSO E POTERE
lavio Delbono non doveva dimettersi. Se si trovano opportune le dimissioni del sindaco di Bologna per il caso CinziaGate, allora avrebbe dovuto dimettersi anche Berlusconi per tutto quello che è successo a Palazzo Grazioli e per il conflitto d’interessi”. Chiuso. Parola
di Sabrina Ferilli, attrice e militante del Pd che al programma di Radio2 “Un giorno da pecora” confessa tutta la sua delusione per le dimissioni del sindaco di Bologna travolto dall’affaire delle spese in regione e dei viaggi con la sua all’epoca fidanzata Cinzia Cracchi. Poi aggiunge: “Ha lasciato la città per una
cazzata. Non ha ricevuto nessun avviso di garanzia. Non è stato fatto alcun tipo di indagine e non c’è alcuna sentenza. Non sono chiare neanche le accuse. Non doveva lasciare l’incarico. Berlusconi giustamente con tutto quello che è successo non si è dimesso. Gli esponenti del Pd invece per una sciocchezza come l’uso di un bancomat si dimettono”.
Elezioni subito, un fantasma s’aggira per Bologna CASO DELBONO, MARONI: VOTO ANTICIPATO. PD A RISCHIO PATATRAC di Enrico Fierro Bologna
ologna che all’improvviso si scopre “da bere”. Bologna “arrogante e papale” (Guccini) che si leva una mattina ubriaca con una coppa di champagne ancora in mano. E la furia di un’amante tradita che denuda la politica e sbatte sotto gli occhi di tutti “la vita privata complicata” (per dirla con Giuliano Cazzola, il suo avversario) di Flavio Delbono, ormai ex sindaco della città. Le sue relazioni sentimentali, la sua spericolata tendenza a mescolare passione per l’altro sesso e funzione pubblica. Cinzia che diventa sua segretaria alla regione, Cinzia che lo segue nei viaggi di studio sotto il sole di Santo Domingo, Cinzia che chiamavano la “zarina”. Ora ne parlano tutti, e tutti aggiungono fantasiosi particolari che trasformano in leggenda la
B
Democrat in confusione, la destra punta al bingo con un candidato Udc per il comune rosso
fama del professore tombeur de femmes. Anche nelle stanze del fortissimo Pd, il partito che un anno fa mise la testa sotto la sabbia. Ora la città ribolle di sentimenti. Rabbia e indignazione, nei più anziani. Sarcasmo e indifferenza negli altri. Terrore di perdere tutto nel ceto politico. Perché se i bolognesi non vogliono subire il danno enorme di un lungo commissariamento si deve votare subito. A ottobre, chiede il Pd, oppure a marzo, in un election day che unisca comunali e regionali. Così vuole la destra che punta a fare Bingo. Pdl e Udc sono divisi. Alla Regione il partito di Casini schiera Gianluca Galletti, il Pdl Giancarlo Mazzuca, ex direttore de Il Resto del Carlino. Rumors delle ultime ore parlano di un possibile accordo. Galletti candidato a sindaco col sostegno di tutto il Pdl, in cambio l’Udc appoggia il partito di Berlusconi nella corsa alla Regione. “Se è così rischiamo seriamente”, ammette Giovanni Nardi, una vita da segretario della Fiom, oggi portavoce di Sinistra e libertà. Il modello emiliano si avvia al crepuscolo? Il dibattito è aperto. “Non mi azzarderei ad elaborare teorie”, risponde il politologo Gaetano Vassallo, una delle nuove leve del Pd bolognese. “Quanto è finora emerso non è un indicatore certo. Siamo di fronte ad una somma di leggerezze indubbiamente gravi, ma da qui a parlare di fine di
quello che lei chiama modello emiliano ce ne corre”. Storce il naso il “compagno” Nardi. “Il Pd bolognese non è più in grado di offrire un gruppo dirigente credibile, se penso che il segretario del partito prima che scoppiasse la bufera ha detto che Delbono era stato già assolto dagli elettori, rabbrividisco. La verità è che qui c’è un intero sistema di potere che regge il Pd”. Rancori, vecchie e nuove rotture sotto le due Torri. Bisogna disturbare Guido Fanti, 85 anni, una vita che è la storia di Bologna e della sua passione politica, per capire. “Siamo di fronte ad un vero e proprio disastro.
Questa vicenda rischia seriamente di buttare a mare un patrimonio accumulato in anni di lavoro e di sacrifici”. Fanti è stato sindaco comunista della città dal 1966 al 1970, raccolse la difficile eredità di Giuseppe Dozza, il sindaco della ricostruzione e del dialogo con i cattolici. È lucidissimo, senti le sue parole e ti accorgi che alcune rappresentazioni sul grigiore burocratico dei comunisti bolognesi sono stanche, forse buone per una brutta fiction d’epoca. “Noi riuscimmo a trasformare una realtà prevalentemente agricola in una industriale. Il modello emiliano era un dato di fatto: indu-
GLI AFFARI DEL SINDACO E LA “PISTA BULGARA” di Giampiero Calapà Bologna
il 18 gennaio 2007. Flavio Delbono, vicegoEverticeravernatore dell'Emilia Romagna, partecipava a un all'ambasciata italiana a Sofia, alla presenza del premier Prodi (suo futuro sponsor per la corsa a sindaco di Bologna) e una delegazione del governo bulgaro. "In Bulgaria ci sono grandi possibilità - dichiarava Delbono - per le imprese emiliano-romagnole, per investimenti diretti e promozione commerciale". Negli ultimi cinque anni sono stati ben 16 i viaggi ufficiali di Delbono a Sofia e oggi la "pista bulgara" è una delle tracce seguite della pm Morena Plazzi nell'inchiesta che ha fatto cadere il sindaco. I contorni internazionali del "Cinzia-gate" portano
di Luca
proprio a Sofia, dove la Regione Emilia Romagna ha uno dei suoi uffici esteri (altri a Bruxelles, Shanghai, Gerusalemme e Belgrado), perché in procura si stanno accertando le possibili relazioni tra gli interessi politico-istituzionali della Regione e quelli privati di Delbono, che nella capitale bulgara ha messo in piedi una società immobiliare con Francesco Stagni, negli anni Settanta segretario del Fronte della Gioventù. Missino doc, Stagni, lasciò An e la politica nel 2000, ma negli anni '90 fu revisore dei conti del Comune di Bologna, proprio mentre Delbono era assessore al bilancio con Vitali. Una società tra il primo cittadino della rossa Bologna e un ex missino ha scatenato proteste anche in rete: “Negli ultimi quindici anni Stagni - si legge su Indymedia Emilia Romagna - è sempre stato in prima fila a negare la matrice neo-
SALVO SOTTILE
L’Hotel Flora e il festino delle virtù
La Gregoraci e la Farnesina “bollente”
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L aiutarli”. Interviene Casini, Mele viene buttato fuori. Si rifà una vita, la moglie lo perdona. La Zenobi no: “Il mio ragazzo non sapeva nulla, mi ha distrutto”. Morale: siamo l’unico paese al mondo in cui i politici rovinano la reputazione delle prostitute e non il contrario.
fascista della strage del 2 agosto". Delbono, sul fronte bulgaro, ha assicurato che non esiste nessuna irregolarità: "La società, nata nel 2006, ha fatto due acquisti immobiliari". Il legale di Delbono - Paolo Trombetti - ha spiegato che "il sindaco ha effettuato due bonifici bancari di 80 mila euro complessivi per la quota sociale, dichiarando regolarmente i versamenti e quindi ha poi spiegato di aver incassato 40 mila euro per la cessione di uno dei due immobili, tutto alla luce del sole, altro che pista bulgara". Ieri la pm Plazzi ha sentito per 8 ore Mauro Moruzzi, il direttore del Cup, l'ufficio dove fu trasferita Cinzia Cracchi terminata la storia d'amore con Delbono. Moruzzi partecipò a diversi dei viaggi al vaglio della procura, da cui parte l'accusa di peculato per Delbono e Cracchi.
Telese
COSIMO MELE
bottiglietta presa a casa sua. Quando sono svenuta mi ha lasciato sola senza soccorrermi. Mentre chiamavo l’ambulanza mi ha strappato il cellulare”. Lui ammette la notte, non la coca. Memorabile dichiarazione di Cesa: “I deputati fuorisede si sentono soli, bisogna
Rancori e veleni. L’ex primo cittadino Fanti: hanno messo la testa sotto la sabbia, ecco il risultato
LE INDAGINI
Quei politici a luci rosse osimo Mele è già leggenda. Deputato dell’Udc, cattolicissimo e devoto, difensore della famiglia. Nella notte fra il 27 e il 28 luglio del 2007, nell’elegantissimo hotel Flora, a Roma, a un passo da via Veneto, si ritira per un festino erotico con una prostituta, Francesca Zenobi, e una terza escort. La serata comincia bene e finisce male. La Zenobi sviene e accusa: “Mele aveva della coca, in una
strie innovative, distretti, migliaia di piccole e medie realtà produttive, buona amministrazione. Una modernità che ha portato benessere. Questo modello è in crisi e non da ora, la vittoria di Guazzaloca nel ’99 fu solo un campanello d’allarme. Lo stesso Cofferati non ha capito che o l’amministrazione della città serve da sostegno all’economia, oppure si va allo scontro sociale. L’ho ripetuto non più di un mese fa a Delbono: pensa in grande, battiti per la città metropolitana, la crisi economica non si può affrontare fra quattro mura. Delbono non ha colto. Gliel’ho detto: se si continua co-
sì si va verso la catastrofe”. E la catastrofe, puntuale, è arrivata. Nostalgia dei bei tempi andati? Un sentimento che serpeggia in città, tanto che nel tourbillon di voci di possibili candidature del Pd per le comunali, si fa il nome di Walter Vitali, sindaco nel 1993. “Noi lavoravamo al servizio della città – dice ancora Fanti – non eravamo capibastone, ma creatori di partecipazione popolare”. Vassallo non è d’accordo: “La nostalgia è pura illusione. Le potrei fare i nomi di tanti della nuova generazione di dirigenti Pd e non troverà traccia di degenerazioni o altro. Capisco che quando si parla del passato comunista si idealizzino certe figure, ma non c’è contrapposizione antropologica tra il comunista e il professore cattolico. Il problema è la qualità morale delle classi dirigenti. Ci vogliono trasparenza, controllo reciproco e ricambio”. C’era una volta Bologna e il suo modello, ora “quasi ricordo in odor di passato”.
’inchiesta, del 2006, prende un nome ormai mitologico: “Vallettopoli”. L’episodio chiave: l’incredibile rendez-vous del 2005, alla Farnesina fra la soubrette (allora) in ascesa, Elisabetta Gregoraci, e il portavoce (allora) potentissimo di Gianfranco Fini, Salvatore Sottile. Lei è (come altre che hanno rapporti con lui) arrivata al ministero, in auto blu. Due i reati che
i magistrati ipotizzano: “Peculato” (per l’auto). E “Concussione sessuale” per le telefonate sulle sue amiche all’amico Giuseppe Sangiovanni, vicedirettore Risorse umane Rai (non è una battuta ma una delega vera). Sottile parla con lui della Monsè (“Una bella porcella”). Un certo Giuseppe lo chiama: “Ti mando Stella: piccola ma carina. Compatta. Come una Smart. 22 anni. E’ roba fresca”. La Gregoraci ammette negli interrogatori l’incontro: “Ho fatto l’amore, con lui,
sì”. Poi si corregge: “Cioè, solo uno... scambio di coccole e affettività. Ora mi vergogno a dirle i particolari”. Sottile è lasciato dalla moglie, perde il lavoro, si prende 8 mesi di condanna per l’uso dell’auto blu. L’autodifesa: “Mi sembrava normale e logico. L’auto era un fringe benefit”. Ma la sua vita è distrutta. La Gregoraci, invece, approfitta dell’occasione per rilanciare una carriera, a partire dagli spot Tim che alludono alla storia. Sposa Briatore. Il “crimine” (sessuale) paga?
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Il processo di Torino, i click e le rivelazioni di Pensa su Trezeguet
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SESSO E POTERE
ripreso a Torino il processo a Fabrizio Corona. Non si esclude che la difesa del fotografo intavoli trattative con il calciatore Trezeguet, che si è costituito parte civile. Il servizio in questione venne realizzato una notte del 2006 a poche settimane dai Mondiali di calcio in Germania. Il fotografo Fabrizio Pensa, in aula, ha raccontato che, su imbeccata di una propria fonte, si
piazzò davanti a una discoteca milanese sapendo che nel locale c’era Trezeguet. Il calciatore, all’uscita, salutati gli amici della compagnia, si allontanò in auto con la giovane donna, ed entrò con lei in un appartamento. “Gli andai dietro in macchina – ha detto – e feci qualche foto. Però in quelle immagini non c’era niente. Se si fosse visto almeno un bacio, quel servizio sarebbe stato venduto a 15 o 20 mila euro
non solo in Italia, ma anche in Francia e in Germania. Sarebbe stato da copertina. Così, invece, un venditore abile avrebbe forse potuto venderlo a 7mila euro. Ma sarebbe stato difficile da piazzare: per un giornale era troppo scomodo, si rischiava una denuncia per diffamazione”. Pensa ha raccontato di avere avuto dei contrasti con Corona: “Ora mi rendo conto di quanta sporcizia c'è nel mondo giornalistico italiano”.
FOTORICATTO CON MINISTRO
Inchiesta Vip, fatto sparire un servizio “sorprendente” Duello a Palazzo Chigi, Gianni Letta contro Signorini SU “OGGI”
Le verità di Corona, le notti di Lapo
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l settimanale pubblica oggi alcune immagini - al centro dell’inchiesta “fotoricatti” - di Lapo Elkann mentre esce da un palazzo di Milano e sale sulla sua Ferrari. Nella casa vivrebbe un trans. Le foto completano un’intervista a Corona, che spiega la storia degli scatti.
di Peter Gomez
e Antonella Mascali Palazzo Grazioli la serietà della situazione la raccontano i musi lunghi degli uomini più vicini al premier. Le facce di Gianni Letta e Paolo Bonaiuti che, secondo quanto risulta a Il Fatto Quotidiano nei giorni scorsi, hanno parlato con Berlusconi del caso di Alfonso Signorini. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi teme che la presenza di Signorini alla testa del settimanale Chi – finora utile per evitare la pubblicazione di foto imbarazzanti per il governo, il premier e i suoi familiari – finisca per rivelarsi un boomerang. L’inchiesta milanese su una serie di presunti casi di estorsione e ricettazione, legati alla compravendita d’immagini poi fatte sparire dal mercato, rischia infatti di legarsi a quella romana sul video, approdato in ottobre fin sulla scrivania del premier, in cui l’ex presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo, era ripreso in compagnia di una transessuale. Un bel problema per Palazzo Chigi man mano che diventa chiaro come la questione dei sexy scandali non sia esclusivo appannaggio del
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centrosinistra, ma riguardi ovviamente anche il centrodestra. Più fonti non giudiziarie riferiscono che nei mesi scorsi è circolato (ed è subito stato fatto sparire) un servizio fotografico definito “sorprendente” su un ministro in carica. Il Fatto non è ancora in grado di dire chi l’abbia ritirato e a che prezzo. È certo comunque che si tratta di cifre da capogiro se per le foto di Lapo Elkann, immortalato a Parigi con un’altra trans, sono stati versati, grazie alla mediazione del direttore di Chi 300.000 euro, mentre altri 200.000 sarebbero stati spesi per eliminare un video, forse fatto con un telefonino, in cui compare anche Silvia Toffanin, la fidanzata di Piersilvio Berlusconi. Il mercato insomma è assolutamente bipar tisan e spazia dalla politica, alla moda, dal cinema, fino al gior-
200mila euro usati per oscurare un video con la fidanzata di Piersilvio
nalismo e il mondo della finanza. A Milano il pm Frank Di Maio, che va avanti con gli interrogatori di testimoni e vittime evitando però accuratamente di ascoltarle nel troppo affollato Palazzo di Giustizia, ha concentrato la sua attenzione su una ventina di casi. Nell’elenco ci sono i nomi dell’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, del vicepresidente del Milan, Adriano Galliani, di Elisabetta Gregoraci, di Stefano Bettarini e della sua ex moglie Simona Ventura, del regista Leonardo Pieraccioni, e quello del ministro della Giustizia Alfano. Non sempre le loro foto riguardano vicende di sesso o d’infedeltà coniugale. Nel caso, per esempio, di Alfano ci troviamo di fronte a immagini, acquistate, ma non pubblicate da Chi, in cui il Guardasigilli è immortalato come una sorta di padrino, mentre si fa fare la manicure. In ogni caso, l’inchiesta di Di Maio punta in alto. Non tanto per i nomi dei presunti ricattati, ma perché cerca di far luce sul sistema e sul ruolo di Signorini, diventato potentissimo a Milano come a Roma, grazie al suo rapporto personale di amicizia con Marina Berlusconi e la linea (telefonica) diretta che ha con il premier.
SILVIO SIRCANA
L’ex agente fotografico Fabrizio Corona, di recente condannato per alcuni casi di presunta estorsione fotografica e già ascoltato da Di Maio, in un’intervista a Oggi ha detto: “Non mi meraviglierei (se tutti questi servizi fossero passati sul tavolo del direttore di Chi). Signorini, attraverso il suo giornale, è quello che paga più di tutti. Il fotografo o l’agenzia che hanno uno scoop prima lo portano a lui. Al centro del sistema c’è lui e attorno a lui ruota tutto il gossip. E non è un semplice interesse editoriale. Oggi Signorini è il burattinaio del teatrino che forse più diverte Berlusconi. Ed è questo il nocciolo della questione. Al centro della nuova Vallettopoli non ci sono ritiri ed estorsioni. C’è il gossip come mezzo di controllo della vita del paese. Dalla politica all’economia, se hai
Ormai “Chi” funziona come una centrale d’informazione parallela ad uso del premier S. BERLUSCONI
Quegli scatti sulla via dei viados
Noemi, escort a go-go e voli di Stato
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a foto girava da un pezzo. Silvio Sircana, deputato del Pd - ma soprattutto portavoce del governo Prodi - ferma la sua Volkswagen, parla con una trans. In un altro paese, sarebbe “solo” un fatto privato o materia per i giornali di gossip. Ma la foto è stata comprata dal direttore di un settimanale Rizzoli - Pino Belleri di “Oggi” - per non essere mai pubblicata. Problema inedito per l’Italia: è più
grave sbattere in prima un politico, o chiuderlo nel cassetto? Per 7 giorni si parla della foto senza che nessuno la veda. Poi è lo stesso Sircana a chiedere: “Meglio che sia pubblicata”. Lo fa Maurizio Belpietro (all’epoca a “Il
Giornale”). Sircana viene sostenuto dalla moglie, ma perde il posto di governo. Della storia non ha parlato mai più. Per tutti gli altri nasce la leggenda “della sinistra che va a trans”: più dannosa quella, di un tracollo elettorale.
n caso da manuale di miracolata dello scandalo. Noemi Letizia, da Casoria, diventa famosa nel giro di una notte quando alla sua festa si presenta - con collana - il premier in persona. Seguono due giorni di spiegazioni pietose (tempeste, elicotteri, vecchie amicizie di famiglia) e una folgorante intervista della fanciullina: “Non so se fare l’attrice o la deputata.
in mano delle foto importanti puoi controllare tutto quello che vuoi”. Quasi un servizio d’informazione parallelo, che ha più compiti. Raccogliere notizie piccanti; far uscire foto o storie che altrimenti non troverebbero mai spazio sui giornali (è Signorini a fare da tramite tra i proprietari del video di Marrazzo e Libero ); depontenziare i servizi scomodi, pubblicandone solo la parte più accettabile, come è accaduto con Barbara Berlusconi; far sparire le foto che possono mettere in difficoltà il premier e i suoi amici. Un modus operandi su cui dovrebbe riflettere l’Ordine dei giornalisti che riporta alla ribalta la questione del conflitto d’interessi. Berlusconi – che è anche editore di giornali di gossip in un paese in cui
la politica sembra soffrire solo gli scandali legati al sesso – quale tipo di potere finisce per ritrovarsi in mano? Quanto conta avere a disposizione informazioni che riguardano vicende private di avversari, alleati e direttori di giornale? Domande ovviamente retoriche. Per rispondere basta osservare la straordinaria carriera di Signorini e dei giornalisti a lui più fedeli. Solo che ora il gioco comincia a scottare. Forse per questo, in attesa di essere chiamato dal magistrato, ieri il direttore di Chi, ha cominciato ha cambiare la disposizione delle scrivanie in redazione. E ha deciso di spostarsi dal suo ufficio (visibile a tutti) in quello più discreto e riparato di Tv sorrisi e canzoni. Perché anche quando si fa un mestiere come il suo la privacy è importante.
A TUTTO SCHERMO
Lerner, Latorre e le corse in Vespa
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otenza dello schermo, potenza dei riflessi, oppure una semplice invasione di replicanti? Ma lunedì sera a guardare la tele e passare per “L’infedele” si poteva esser tentati dall’“avrò mica le traveggole?”. Latorre in studio, il caso-caos Puglia, con lui pure il vincitore Vendola e altri nel parterre di Gad Lerner. Che a un certo punto zoomma su un’altra tele, rivalissima, e mette in primo piano “Porta a Porta” dove pure appare il senatore piddino, idem alle prese con Nichi il rosso. “Ma è necessario?” fa il conduttore additando lo schermo e ancora il senatore, “ma lei quante volte ci va da Vespa in un anno?”. “Mah, direi due o tre” la risposta insensibile alla realtà dell’ex Lothar dalemiano. Esserci è bene, esserci due volte di più. O forse no?
Deciderà Papi”. Tenera. Il resto del racconto è leggenda. Lei ha la foto di lui sul comodino, dice che va a trovarlo nei momenti difficili, che cantano insieme. L’ex ragazzo di Noemi - Gino - aggiunge altre perle: come i viaggi in Sardegna per partecipare a feste. Quella che non la prende bene è Veronica Lario, che evidentemente non coglie il lato poetico della storia: “Mio marito non sta bene... Non posso stare con un uomo che frequenta minorenni”. I particolari sarebbero perfetti per un film di Natale di Parenti. Interviste ai fidanzati (finti), passerelle a Venezia, premi al talento (che verrà) un
meraviglioso nomignolo: la madonna di Valva. Consiglio alle madri: impedire alle figlie di mandare il press book a Fede.
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Il re della commedia, Leone d’Oro con “La grande guerra”
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SESSO E POTERE
l suo nome, assieme a quello di Dino Risi, è sinonimo di “commedia all’italiana”. Non a caso Mario Monicelli, nato a Viareggio nel 1915, è uno dei più attenti osservatori dei costumi e dei mutamenti sociali del nostro paese. Leone d’Oro per “La grande guerra” (1959), Monicelli inizia come critico di cinema, per poi dirigere i primi cortometraggi e mediometraggi. I primi veri passi
sono a cavallo degli anni ‘40 e ‘50 assieme a Steno e al grande Totò. Di questi anni sono “Guardie e ladri” e “Totò e le donne”. Il primo capolavoro arriva nel 1958 con “I soliti ignoti” interpretato da Vittorio Gassman, Totò, Renato Salvatori e Claudia Cardinale. La consacrazione definitiva, anche per la critica, avviene l’anno dopo con il film che vincerà a Venezia. Seguono negli anni ‘60 titoli come “Risate di gioia” e
“L’armata Brancaleone”. Del 1975 è invece l’indimenticabile “Amici miei” con Tognazzi e del 1977 “Un borghese piccolo piccolo” con Sordi. Nel corso di 50 anni, la sua attività cinematografica è incessante. Il suo ultimo film di fiction è “Le rose del deserto” del 2006. Ma l’instancabile Monicelli ha anche realizzato un documentario sul suo quartiere, Monti, nel 2008.
ARMATA BRANCALEONE
L’occhio di Monicelli sugli ultimi sexy-gate: su questa politica girerei un film, una farsa senza sconti di Malcom Pagani
soliti ignoti occupano le prime pagine, l’Armata Brancaleone abita nel Pd e i compagni, stavolta, al posto delle bandiere agitano le lenzuola. Mario Monicelli, 95 anni a maggio. Pessimismo, ironia, disincanto. Lo chiamano. “Mario guarda che si fredda il pranzo”. “Arrivo, arrivo” e intanto parla, rampogna, ammonisce. “Nel passaggio dai partiti storici al liderismo, si scoprono guêpière, altarini sentimentali, privato che si mischia col pubblico e l’impressione, me lo lasci dire è desolante e al tempo stesso antica”. Monicelli, la politica italiana sembra essersi smarrita in un vortice di dossier in minigonna. Di faccende come quella di Delbono sono a conoscenza fin da bambino. Iniziarono in Francia. Mi ricordo che negli anni Trenta, la politica locale venne scossa da una serie di scandali in cui erano coinvolti addirittura i presidenti della Repubblica. Il teatro del tempo e la pochade, edificavano i copioni sulla politica deteriore e sull’affarismo. Come vede, non è cambiato nulla. Il potere non può fare a meno dell’evasione? Il potere profitta del suo dominio per debordare nel sesso, nella corruzione, nelle perversioni e in cima ai desideri, c’è sempre quell’esigenza. Una volta le scappatelle erano più nascoste, oggi escono dal silenzio per trovare posto sulle prime pagine. Non è detto sia un male, tanto più se qualcuno sente ancora l’esigenza di dimettersi per conservare un minimo di bene pubblico. Poco, intendiamoci, il minimo sindacale di dignità. Come siamo arrivati fin qui? La crisi morale parte da lontano. L’occidente sta andando in rovina, trasformandosi in una roccaforte
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Il regista Mario Monicelli (FOTO ANSA)
di sopraffazione e di difesa del suo stato sociale, politico economico. Le vittime. Tutti quelli che non sono funzionali al percorso. Chi detiene lo scettro è pronto a qualsiasi delitto pur di non perdere la posizione. Ammazza, affoga, uccide chi cerca di entrare da noi per vivere un po’ meglio.
Chi detiene lo scettro è pronto a qualsiasi delitto pur di non perdere la posizione
Un occidente fagocitato dalle sue stesse contraddizioni. Noi eravamo più poveri. C’è stata una lotta durata settant’anni tra il lavoro e il capitale. Ha vinto il secondo e i risultati sono qui. Può descriverli? Livelli di vita strepitosi, noia, tracotanza, globalizzazione, consumismo. E’ stato sconfitto il mondo del lavoro e la legge del mercato, si sa, è la più spietata. Negli anni Cinquanta, Guido Morselli scrisse “Il Comunista”, storia di un deputato catapultato dalla provincia per essere stretto tra il bigottismo di partito e i desideri. Tempi diversi. Oggi la superiorità morale è un ricordo lontano e un certo atteggiamento petroniano, si ritorce contro chi lo agita come un fantasma da addebitare esclusivamente a una sola parte. Si chiama contrappasso, per essere chiari. Di chi è la colpa?
Quei politici a luci rosse F. DELBONO
La segretaria “particolare” del capo
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i mancava solo lo scandalo sessuale “nominale”, il “CinziaGate”, dal nome della (ex) segretaria ed (ex) amante che mette nei guai l’(ex) sindaco di Bologna Flavio Delbono. Il rancore dell’ex, in tutti i sensi. Ai tempi in cui Delbono era presidente della regione, e lei era la sua principale collaboratrice, i due giravano per il mondo sempre in coppia. Dove
finiva il lavoro, e dove iniziava la vacanza? In uno dei viaggi le spese private, per 400 euro, finiscono nella nota spese istituzionale. “Un errore”, assicura lui, “Rimborserò la cifra”. Peccato che il problema non sia (solo) giudiziario. Alla Cinzia, che di cognome fa Cracchi, il presidente regala anche un bancomat per ritirare l’argent de poche (mille euro). Peccato che non sia suo, ma di un amico imprenditore, Mirko Divani, che è pure in
affari con la provincia. “Non c’entra nulla, è solo un amico”, spiega il sindaco. Però magistratura a parte - non è per nulla carino che dopo la rottura della relazione, lei sia stata degradata e spedita a fare la centralinista. Sedotta e declassata? Segue balletto da farsa: “Non mi dimetto, non c’è illecito”, dice lui. Ma il giorno dopo capitola: “Vado via”. E poi dicono che l’Unione non applica le quote rosa.
Non saprei. Un tempo c’erano i partiti a indirizzare gli uomini, a controllarne vizi e deviazioni. Ma le personalità erano di un altro pianeta. Nenni dormiva su una brandina in ufficio, e poi Morandi, Berlinguer, Togliatti stesso. Qualità, moralità nei costumi e visione. Oggi chi c’è? Sa qual è la verità? Dica. Che hanno perso proprio perché hanno frenato la deriva edonistica. Il Pci inizia ad arretrare proprio quando Berlinguer di fronte alla corruzione, diceva ‘stiamone lontani’. Su quella linea di intransigenza, la gente non li ha seguiti e i risultati, sono sotto gli occhi di tutti. Lei ha raccontato, senza indulgenza e per mezzo secolo, i vizi nazionali. Che film girerebbe per raccontare questa sinistra impegnata a rincorrere gonne o notti proibite? Un film durissimo. Una farsa senza sconti. La farsa è il tipo di racconto
di Luca
meno accomodante che esista. Attori? Buster Keaton o Totò. Nel rappresentare il livello di questa classe politica, non voglio far piangere. Per disperarsi, i motivi, comunque, non mancherebbero. Se il nostro quotidiano pare diventato la brutta copia di un reality, la colpa è della sola politica? Limitarsi alla sinistra o alla classe politica, sarebbe riduttivo. Qui il problema è della classe dirigente, tutti persi e in fila, verso una vergognosa curruzione. Faccio l’elenco? Proceda. Baroni della medicina che riempiono gli ospedali di parenti, amanti, figli dei figli. Il nepotismo in cattedra ma dappertutto. Nell’istruzione, nell’università, nel pubblico impiego. Siamo nelle mani del più massiccio degrado morale degli ultimi cinquant’anni e i facili costumi, le signorine o i transessuali, sono solo la conseguenza del nostro presente. Resurrezioni in vista? Scherza? E’ da almeno due generazioni che l’Italia è nell’abisso. Solo l’Italia? Ovviamente no. Per dinamiche sociali o cambiamenti epocali, arriviamo sempre all’ultimo posto. In America, davanti a un caso come quello di Delbono, come si sarebbero comportati? A seconda delle convenienze. Lì se tocchi la cosa pubblica, come fece Nixon, paghi immediatamente, se invece ti limiti a dar fondo, in luoghi istituzionali, alle tue fantasie, come Clinton con la Lewinsky nello studio ovale, può anche andarti bene. Clinton ha realizzato due mandati e non ha mai davvero pensato di dimettersi, non so se mi spiego. Cosa ha spinto Marrazzo ad autoeliminarsi in una sordida storia di ricatti e appartamenti simili ad alveari?
Mai riuscito a capirlo fino in fondo. Credo sia solo la pulsione sessuale, ma credo l’avesse anche prima di diventare presidente della regione. Però non facciamo i moralisti. Si spieghi. Alla fine i peggiori sono quelli che utilizzano la propria posizione per arricchirsi. Da noi ci occupiamo del sesso perché fa ridere e vendere copie. Ce ne occupiamo solo per questo? Anche e comunque, una volta scoperti, nel passato, la regola era togliersi di torno. Prenda Delbono, alla fine rimane una sordida storia di vacanzette ai Caraibi, bancomat, tradimenti. Lui ha fatto bene a dimettersi, però il solo fatto che ci faccia effetto le dà la cifra del punto a cui siamo giunti. Altri sembrano indifferenti. Ma lo fanno tutti o almeno tutti, sarebbero disposti a farlo. Nulla li scuote, neanche la pubblica riprovazione. Alcuni, prenda Marrazzo, si chiudono in convento, altri negano, altri ancora se ne fregano. E’ l’immoralità che si propaga, come un virus. Ai suoi tempi, i politici stavano più attenti. Per alcuni giudizi durissimi su Gronchi, lei fu querelato. E andai in tribunale. Un’altra epoca. Mica mi vorrà rispedire davanti a un giudice?.
E’ stato sconfitto il mondo del lavoro e la legge del mercato, si sa, è la più spietata
Telese
P. MARRAZZO
Brenda, il trans che sapeva
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’ultima conferenza stampa di Piero Marrazzo, convocata davanti a Palazzo Chigi (purtroppo per lui) non potrà mai essere dimenticata da chi c’era. Da due giorni i giornali scrivevano di un video girato in una casa in cui il governatore appariva con due trans. Chi l’ha visto (praticamente tutti, tranne lui) dice anche che nell’inquadratura si vedevano cocaina e soldi.
Immagini compromettenti e rubate? Una messa in scena? Quando convoca i giornalisti, Marrazzo ha già ammesso i trans , sostenendo la seconda ipotesi davanti al Pm, ha raccontato i rapporti e
negato la coca. Si scopre che è stato ricattato dai carabinieri, che ne ha parlato con Berlusconi, il quale (che carino) gli ha suggerito di ricomprare il video e mettere tutto a tacere (un dialogo istituzionale). Nella conferenza stampa Marrazzo è sicuro: “Non esiste nessun video, è una bufala. Non intendo più rispondere a nessuno sul caso”. Purtroppo per lui non sarà (più) necessario. Prima si autosospende per salvare la giunta, poi è costretto alle dimissioni. Si ritira in convento. Dalla vicenda nasce una televovela di trans-personaggi - Natalie China e le altre - e un possibile omicidio. Almodovar al potere.
Mercoledì 27 gennaio 2010
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Le scorse europee, e il diktat di Veronica: ciarpame senza pudore
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SESSO E POTERE
rima Libero, poi il Giornale, infine FareFuturo: tutti insieme a raccontare, gli ultimi a denunciare, il corso messo in piedi dagli uomini del Cavaliere per preparare le “veline” alla corsa europea. Lezioni, dibattiti, interrogazioni. Insomma, una sorta di master. Poi lo sfogo di Veronica Lario sulle pagine di Repubblica
(“ciarpame senza pudore”). L’ex first lady è uscita di scena, ma il Cavaliere il vizio non l’ha perso. E, allora, val la pena di rinfrescare la memoria con quello che Paolo Guzzanti, deputato ex Pdl ed ex amico di Berlusconi, ebbe modo di dire in merito al sultano: “Ho lasciato Berlusconi anche per il suo atteggiamento puttaniero di disprezzo per le
donne, essendo un gran porco e una persona che ha corrotto la femminilità italiana schiudendo carriere impensabili a ragazze carine che hanno imparato solo quanto sia importante darla alla persona giusta. Quest’uomo ai miei occhi corrompe la gioventù e mina le basi della società minando il rispetto nei confronti della donna”. S.N
Fate largo, ci manda il nostro “papi” Il grande ritorno delle veline-candidate IL PREMIER HA IMPOSTO UNA LISTA DI NOMI (TUTTI) DI DONNE di Sara Nicoli
ignori, le veline! Adesso che lo spettro di Veronica si è allontanato dal cortile di casa, Silvio può tornare tranquillamente a trattar di donne. Regalandogli un bel seggio sicuro alle elezioni regionali. D’altra parte è noto che il Cavaliere consideri la candidatura come un’onorificenza al pari del cavalierato del lavoro, da lui stesso conquistato in tempi meno sospetti. Dunque, di che stupirsi se stavolta, senza l’incombente spettro della lievitazione dell’assegno di mantenimento, si può dar sfogo con serenità al gioco del muovere nomi di femmine come pedine nel suo listino privato. Già, perché il Cavaliere si sarebbe riservato, almeno a sentire i suoi fedelissimi,
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alcuni posti sicuri in ciascuna lista regionale, destinati a qualche famiglia in attesa di ricevere degno compenso per i servigi fin qui resi. Ma, soprattutto, alle donne. In particolare quelle che sono rimaste al palo alle Europee, dopo che – prima Fini e poi Veronica – ne bloccarono l’ascesa politica in virtù di un sano senso della decenza. Ora è venuto il momento del riscatto. Sicuramente è l’ora di Francesca Pascale, effervescente collaboratrice del ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, terrore degli addetti stampa del Pdl per la sua loquacità non richiesta e per i modi che dire esuberanti è dire poco. La signora ha un curriculum che, con i tempi che corrono, fa davvero la differenza; sfolgorante carriera comica a “Telecafone”, ingaggio
LA SCUOLA DI MAGISTRATURA
Il potere di Alfano e i dubbi del Csm
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lfano vuole controllare la nomina dei capi degli uffici giudiziari. La norma era all’interno della riforma del codice di procedura penale, (quella che vuole asservire di fatto il pm al governo), ma siccome è in stallo, è stata inserita nella legge di conversione del dl sulle sedi disagiate. Ieri la sesta commissione del Csm ha espresso un parere contrario che domani sarà discusso in un plenum straordinario. Secondo il progetto, i magistrati che si candidano agli incarichi direttivi, devono frequentare la “Scuola della magistratura”, che poi esprimerà delle considerazioni di merito. Scrive la commissione: le valutazioni di idoneità dei magistrati “rimesse a organi diversi dal Csm” sono contro la Costituzione. La preoccupazione è che il ministro possa usare “ il verdetto” della Scuola per bloccare o avallare una nomina per interesse politico.
S. FRISULLO
Le amiche di Giampi in “Regione”
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ll’inizio della storia, c’era solo una casa, a Bari. E’ di un collaboratore del vice-presidente della regione Puglia, il dalemiano Sandro Frisullo. La storia inizia quando le chiavi della casa vengono gentilmente cedute all’imprenditore “Tarantini”, il mitico “Giampi”, quello che assicura escort e carne fresca nelle feste del Cavaliere. In perfetto stile bipartisan, Tarantini si
preoccupa anche del Pd. E così “Giampi” porta nella casa Maria Teresa de Nicolò una escort che retribuisce con 500 e con 1000 euro per “incontri sessuali con terzi”. In questa particolarissima
come valletta tv, quindi – perla delle credenziali – animatrice di “Silvio ci manchi”. Di lì il passo verso la politica è stato un soffio: consigliera provinciale in Campania. Adesso è pronta a scendere in campo sul serio: “Non vedo l’ora – ha dichiarato qualche giorno fa – anche perché il presidente Berlusconi mi ha detto che inaugurerà la campagna elettorale a Napoli nei primi giorni di febbraio. Tiene molto a vincere in Campania. Dovrei essere l’unica candidata che fa riferimento diretto a lui”. Un privilegio davvero raro. Ma non è ancora detta l’ultima parola. Perché in Campania – che poi è la patria di Noemi, come dimenticare – ce ne son tante che aspettano. Un’altra, pare, sarebbe Fiorella Bilancio, sindaco di Grumo Nevaro, il cui nome è salito in graduatoria dopo l’ufficializzazione della candidatura della ministra Mara Carfagna come capolista del Pdl nella circoscrizione di Napoli. Sul perché non è dato sapere, ma son misteri della fede berlusconiana su cui è pressoché inutile interrogarsi. Di sicuro c’è che, per Silvio, l’occhio vuole la sua parte, almeno il più delle volte. Ed è per questo che in Toscana, Denis Verdini benedicente, sta facendo strada nel listino la piacente Monica Faenzi, ex sindaco di Castiglione della Pescaia che di argomenti ne ha parecchi. E non è mai tramontata, poi, l’ipotesi di elevare a più alti incarichi il volto della rivolta dei lavoratori Alitalia, quella Daniela Martani, già sdoganata alle
B. considera la candidatura come un’onorificenza al pari del cavalierato del lavoro forma di sex-welfare entra in scena Frisullo. Tarantini: “Ho portato la De Nicolò nella casa per farla incontrare con Frisullo”. E aggiunge: “Anche in altre circostanze ho favorito i suoi incontri con lui». Quindi Tarantini parla di Vanessa Di Meglio (che poi sarebbe stata anche a palazzo Grazioli da Berlusconi): «Ho favorito due sue prestazioni sessuali con Frisullo, retribuendola 500 euro” (quasi una missione umanitaria). Appena emergono questi dettagli, Nichi Vendola fa dimettere il suo vice. Lui si lamenta: “Non ha nemmeno voluto sentire la mia versione”. Un martire dell’incomunicabilità
“Mi scusi non posso parlare, altrimenti salta la nomina” una di quelle toste, che Èmancano lavorano tanto e che non mai a una seduta
Francesca Pascale 24 anni, è nel club “Silvio ci manchi”; alle scorse elezioni è stata eletta alla provincia di Napoli
Daniela Martani 35 anni, ex “pasionaria” dell’Alitalia, ed ex concorrente di Grande Fratello e Fattoria
Chiara Sgarbossa 25 anni, già Miss Veneto, a suo tempo era stata inserita nella lista per le Europee
Monica Faenzi 44 anni, ex sindaco di Castiglione della Pescaia, vicina a Denis Verdini
masse via Grande Fratello 9, che pare abbia più volte accompagnato eminenti rappresentanti Pdl in convention politiche di primo piano. A lei, forse, l’onore del listino del Lazio in quota Polverini, ma si vedrà. Sicura – almeno fino ad ora – è la candidatura di Chiara Sgarbossa, una fascia di Miss Veneto, gloriosa meteorina del Tg4 sotto lo sguardo di Emilio Fede, piazzata in pole position nella lista Zaia. Dalle feste di Villa Certosa a Bari il tratto, si sa, è breve. E stavolta gli occhi verdi abbaglianti dell’Angelina Jolie del Tavoliere, Graziana Capone, non potranno fare cilecca. La sua somiglianza con Veronica ha destato più di un sospetto, ma se per lei non ci saranno seggi liberi, allora si libererà un posto di prestigio direttamente a Palazzo Chigi. E non se
ne parli più. Infine, la terra del Cavaliere, la Lombardia. Dove approderà senza dubbio la sua fisioterapista Licia Ronzulli, ma gira voce che Emilio Fede abbia caldeggiato un’altra delle sue protette, ovvero Silvia Trevaini di Studio Aperto, un passato da eccellente Miss Muretto. Ce ne sono altre? E come no! Mancano ancora due mesi alle elezioni. E la porta di Palazzo Grazioli, per le signore, è sempre aperta.
PER IL MONDO
Da Profumo a Bill Clinton e il suo sigaro
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ill Clinton, la stagista Monica Lewinsky e il sigaro: un “trio” famoso quanto i fratelli Marx. Poi un salto nel passato lungo trent’anni e un oceano: John Profumo, ministro inglese durante la Guerra fredda, è costretto alle dimissioni per una relazione con una showgirl, Christine Keeler, che era sentimentalmente coinvolta anche con un
In pole Licia Renzulli, fisioterapista del premier e Silvia Trevaini sponsorizzata da Emilio Fede funzionario dell’ambasciata sovietica. Quindi l’ex presidente israeliano Moshe Katsav, incriminato per ripetuti abusi sessuali e in un caso di stupro. L’ex ministro degli Esteri finlandese Ilkka Kanerva, costretto a dimettersi a causa di uno scandalo per centinaia di sms inviati dal suo cellulare a una lap-girl. E ancora Peter Robinson, ex premier dell’Irlanda del Nord, nei guai per la relazione tra sua moglie e un 19enne
della giunta provinciale. Si direbbe, insomma, che il posto nel listino blindato per la regione Campania, Antonia Ruggiero, attuale assessora provinciale ad Avellino con deleghe alle pari opportunità, alle disabilità e alle politiche giovanili, se lo sia guadagnato. Ma su di lei si staglia una nube; il suo nome fu depennato all’ultimo momento dalla lista Pdl per le Europee. E qualcuno ha fatto subito serpeggiare che questo seggio sicuro altro non sarebbe che un ripiego per il mancato, maggiore incarico che tanto Silvio avrebbe voluto per una delle sue protette. La signora, ovviamente, ha negato. Ma dunque, è questa l’occasione del riscatto? “Non saprei ha commentato serafica - so soltanto che dovrò faticare parecchio. Non è facile con le preferenze. E comunque non mi va di parlare di una cosa che non è stata ancora ufficializzata, soprattutto perché ci hanno detto con chiarezza di non parlare con la stampa di questioni che non sono ancora messe nero su bianco”. L’assessore Ruggiero non lo dice, ma il diktat da Roma è stato perentorio per le signore in lista d’attesa; chi parla con i giornalisti è perduta. La candidatura può sfumare anche per un semplice aggettivo dal sen sfuggito. Soprattutto se legato al nome di Silvio e a qualche ricordo personale non proprio politicamente rilevante. E visto come è andata alle Europee, l’assessore Ruggiero ha preferito non rischiare. Se ne riparlerà del suo seggio. Ma solo dopo che sarà stato benedetto dall’ufficialità. E forse da Sils.n. vio in persona.
(che ottiene pure prestito). Il ministro inglese Jacqui Smith si dimette perchè il marito ha messo due film porno in nota spese. Da noi, come minimo, diventava ministro.
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Mercoledì 27 gennaio 2010
OPPOSIZIONE
BERSANI E DI PIETRO “MATRIMONIO DI CONVENIENZA” Accordo in 11 regioni su 13. Obiettivo, l’alternativa cora scelto un candidato e l'Idv aspetta un nome per decidere. A Reggio, la sfida tra Agazio Loiero – presidente uscente in quota Pd – e il “re del tonno” Pippo Callipo – sostenuto dall'Idv – potrebbe risolversi (già oggi) con l'accordo su un terzo uomo, Umberto De Rose, presidente della Confindustria cala-
In Calabria potrebbe esserci l’intesa su De Rose e un passo indietro su Callipo e Loiero Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro (FOTO GUARDARCHIVIO) di Paola Zanca
itorno alle origini. Dopo gli strappi, le incomprensioni e le reciproche accuse, Partito democratico e Italia dei Valori tornano a stringersi la mano. Fallita l’accelerata verso l’Udc, si torna ai blocchi di partenza. In 11 regioni su 13, Bersani e Di Pietro siglano l'intesa sui candidati alle regionali. Le reazioni della maggioranza fanno pensare che la strada imboccata sia quella giusta. Altrimenti non si spiegherebbe perché, per tutta la giornata di ieri, i falchi del Pdl si siano sperticati a gridare all'orrore. “Contento Bersani, ma in che mani si è messo!”, avverte Paolo Bonaiuti. “Prigionieri di Di Pietro”, titola invece il comunicato a firma di Maurizio Gasparri, mentre Fabrizio Cicchitto inorridisce di fronte al ricostituito “fronte po-
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polare”. Che sia finita l'era delle riforme? Non è detto che alla maggioranza interessi, ma dal Pd tentano di calmare le acque. “Nessuna svolta, nessun ripensamento – dice Enrico Letta - La nostra strada maestra è quella dell'unità delle opposizioni parlamentari, l'unica per costruire l'alternativa”. Che conciliare la voglia di dialogo dei democratici con il muro di Di Pietro fosse un'operazione ancora da affrontare, d'altronde, l'aveva già chiarito Pierluigi Bersani. Pd e Idv, spiegava, “mantengono la loro autonomia, anche nel loro modo di fare opposizione”. Dal canto suo Di Pietro ieri si è pubblicamente impegnato ad “una maggiore responsabilità”, a non essere più “un isolato oppositore” e a “rispettare le istituzioni di garanzia". Insieme, dice Bersani, stanno “lavorando per un altro film”. “Tonino”, così lo
chiama il segretario Pd, è pronto a mettersi dietro la macchina da presa, perché “mai come in questo momento il Paese ne ha bisogno”. I paletti? “Rispetto reciproco – elenca Di Pietro – Programma condiviso e credibilità delle persone”. Tasto dolente, l'eventuale allargamento all'Udc, il partito che come vicesegretario si è scelto Salvatore Cuffaro, condannato in appello con l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra. Sotto accusa anche la “politica dei due forni”: “Non si sa se sia maschio o sia femmina”, dice il leader Idv a proposito di Casini. Si continua a “lavorare sui particolari”, ma “la convergenza sui grandi temi economici e sociali” c’è. Restano fuori dall'accordo la Campania e la Calabria, anche se Di Pietro invita a “guardare la regola e non l'eccezione”. Su Napoli il Pd non ha an-
D’Alema alla prova del Copasir: può dimostrare il “senso dello Stato” di Marco Lillo
assimo D’Alema è stato nominato presidente del M Copasir, il Comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti, all’unanimità. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni gli ha promesso la sua collaborazione e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, Gianni Letta, ha brindato alla sua elezione. Dal canto suo D’Alema, che ieri pareva tornato ai tempi della nefasta Bicamerale delle riforme del 1997, per l’occasione ha rispolverato lo slogan dell’epoca: “Lavorerò con senso dello Stato”. Ecco, se vuole mantenere questa promessa, dovrà abituarsi all’idea di perdere il consenso unanime. Il primo caso all’ordine del giorno è quello del segreto di stato sui processi di Perugia e Milano. Per fermare i pm che volevano incriminare l’ex capo del Sismi Nicolò Pollari e il capo del controspionaggio Marco Mancini per il caso del sequestro Abu Omar e il medesimo Pollari, stavolta in compagnia del fido Pio Pompa, per l’archivio di via Nazionale contenente dossier su giornalisti e magistrati, il premier ha apposto il segreto. Quella decisione però non tutela solo Pollari, Mancini e Pompa ma anche il loro capo, cioè Berlusconi stesso. La legge attuale permette al Copasir di opporsi alla decisione di Berlusconi sollecitando una discussione pubblica e una votazione del Parlamento. Uno sce-
brese. Secondo alcune indiscrezioni, Bersani avrebbe dato la sua disponibilità a chiedere a Loiero di fare un passo indietro, lo stesse avrebbe fatto Di Pietro con Callipo, che verrebbe ricompensato con un ruolo di primo piano nel futuro consiglio regionale. De Rosa avrebbe già espresso la sua disponibilità, a patto che Callipo sia con lui. In linea di principio, comunque, nessuna preclusione all'ipotesi primarie. Di Pietro le giudica
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Tutto (o quasi) come prima diStefano Feltri
el terremoto pugliese a Dsoltanto Roma sono arrivate poche scosse di assestamento. Nonostante il progetto politico (alleanza con l’Udc) e il candidato (Francesco Boccia) da lui sponsorizzati abbiano fallito, Massimo D’Alema si è insediato alla presidenza del Copasir, il comitato che guida il comitato di vigilanza parlamentare sui servizi segreti. Anche se in Puglia, dopo la vittoria alle primarie di Nichi Vendola, l’Udc candida Adriana Poli Bortone consegnando la regione al centrosinistra, l’alleanza laziale intorno alla candidatura di Renata Polverini resta immutata. Francesco Rutelli, ex Pd e fondatore della centrista Api, ha fatto sapere di essere in trattative sia con la Polverini che con la sua avversaria, Emma Bonino. Ma nella (remota) ipotesi che decida per la Polverini, i suoi voti non potrebbero sostituire quelli del partito di Pier Ferdinando Casini. E, soprattutto, per quanto Silvio Berlusconi sia irritato per le mosse dell’Udc non può permettersi di rompere l’alleanza rischiando di inimicarsi i potenti sponsor laziali di Casini, su tutti l’immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone. entro il Pd, Dconseguenze ovviamente, le della vittoria
THE DAY AFTER Finta tregua per il Pd pugliese a parola d’ordine è abbassare i toni, ricompattarsi sul L“oracandidato Vendola ed evitare la resa dei conti perché bisogna pensare alla campagna elettorale e a vincere le elezioni”. Ma dopo la clamorosa sconfitta alle primarie pugliesi del candidato del Pd Francesco Boccia, sotto traccia, la minoranza dei democratici, affila le armi per chiedere il conto alla segreteria e ridefinire gli equilibri interni, specie in vista della formazione delle liste dei candidati per le regionali. Il segretario, Sergio Blasi, rappresentante della linea di Bersani e di Massimo D’Alema (che in Puglia hanno sostenuto Boccia contro Vendola) sa di essere sotto accusa come i suoi referenti nazionali, ma non ci sta a fare da bersaglio in un “torneo medievale”. La minoranza chiede “più democrazia interna” e la nomina degli organismi dirigenti che ancora non ci sono. Blasi si prepara a riunire nei prossimi giorni gli organi dirigenti per discutere di quanto accaduto, ma avverte già che “la geografia del partito resta quella uscita dal congresso di tre mesi fa”. Il messaggio è alla minoranza di Area democratica ma anche all’area che fa capo al sindaco di Bari, Michele Emiliano, alla quale Boccia si riferisce in termini poco lusinghieri in una intervista nella quale parla di “sciacalli che prima votano Vendola e poi saltano sul corpo del Pd”. Emiliano, presidente del partito pugliese, getta acqua sul fuoco e riconduce l’attacco all’effetto psicologico della delusione dello sconfitto: “Credo che a Francesco bisognerà rispondere più sul piano personale guardandosi negli occhi che pubblicamente, altrimenti rischiamo solo di alimentare una spirale di contrasti del tutto inutile in questa fase”.
nario improbabile: il Copasir (guidato dall’opposizione per legge) è stato finora un esempio di politica delle larghe intese alle spalle dei cittadini. Durante la gestione di Francesco Rutelli il Copasir si è occupato con grande generosità della protezione della privacy del premier a Villa Certosa ma non ha mai votato una relazione sullo scandalo di via Nazionale. Si è attardato in audizioni interminabili sui tabulati di Gioacchino Genchi ma ha evitato come la peste Pio Pompa e sodali. Ecco, se D’Alema vuole davvero tutelare l’interesse dello Stato e non quello dei politici e dei loro miseri accordi trasversali, non deve fare molto. Basta chiedere subito tutte le carte della Procura di Perugia che indaga sull’archivio di Pio Pompa e tutte quelle dell’indagine di Milano sul sequestro Abu Omar e sulle relazioni tra Sismi e Telecom. Quelle carte sono in gran parte pubbliche e “Il Fatto Quotidiano” le ha messe a disposizione dei suoi lettori. Vi si legge, per esempio, di una chiara attività di lobby posta in essere dai seguaci del fondatore del San Raffaele, don Luigi Verzé, i cosiddetti “raffaeliani”, per far nominare al vertice del Sismi nel 2001 Nicolò Pollari. Lo scopo, non era quello di lottare contro Osama bin Laden, ma quello più prosaico di fare affari e ottenere finanziamenti pubblici per varie operazioni, alcune delle quali, dopo la nomina di Pollari, poi giunte in porto. I membri del Copasir hanno letto sul nostro quotidiano che in un immobile affittato da don Verzé (come da progetto di Pompa) Ni-
È possibile chiedere le carte su Pio Pompa, su Abu Omar e sui rapporti Sismi-Telecom
“un esercizio di democrazia corretta e apprezzabile. La Repubblica delle banane – aggiunge – è quella dove si dice 'Tu, Rocco Palese vai là, tu Zaia vai lì”. L’apertura non dispiace al Pd: Giovanna Melandri spera “che le primarie diventino un istituto condiviso anche dai nostri alleati” e si rallegra del fatto che “finalmente le tre opposizioni parlamentari non lavorano per l'indebolimento reciproco”. “Finalmente”, la stessa parola che usa anche il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi. “Mettiamo da parte le alchimie, le cose fatte a tavolino - spiega - L'operazione Boccia è fallita proprio perché non nasceva sulla base di un progetto politico, ma era costruita a freddo. Togliamoci dalla testa l'idea che il centrosinistra sia strutturalmente minoritario, che l'Italia è un Paese moderato e quindi per vincere bisogna prendere pezzi di partito e portarli da un'altra parte. I partiti elettoralistici, quelli sì condannano alla sconfitta”. Forse, se Boccia domenica avesse vinto le cose sarebbero andate diversamente. “Noi non facciamo inciuci – chiosa il capogruppo Idv al Senato Felice Belisario – Siamo fuori dalla politica tradizionale, ma non vogliamo essere strumentalizzati. È evidente che in questo momento al Pd una forza che non pratica la politica dei due forni fa più comodo”.
IL FATTO POLITICO
colò Pollari stabilì un centro del Sismi. E che proprio lì accanto lo stesso Pollari ottenne a prezzo di saldo da don Verzé una bella villa da 24 vani a 500 mila euro. Dal nostro giornale il Copasir ha appreso l’esistenza nelle carte di Perugia dei compensi stratosferici previsti per il politologo americano Edward Luttwak (300 mila euro) e per la società italiana Apri (2 milioni di euro). Il Copasir avrebbe potuto conoscere queste cose da solo, chiedendo gli atti (depositati) ai magistrati di Perugia. Invece non lo ha fatto. Ora che le ha lette sul nostro giornale però può recuperare il tempo perduto. E sarebbe davvero imbarazzante se il Copasir dell’era D’Alema non se ne occupasse. Con senso dello Stato. Ovviamente.
di Vendola sono più rilevanti. Ma dal punto di vista delle alleanze, il legame con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro non risulta indebolito. Il successo di un esponente di Rifondazione comunista (Vendola) e dello strumento delle primarie, oltre allo scandalo del sindaco dimissionario nella sua città (Bologna), hanno riportato al centro del dibattito interno al Pd Romano Prodi, che finora si era sempre mantenuto ai margini dopo l’uscita dal governo (e aveva giurato che il rinnovo della tessera non implicava un impegno diretto nelle questioni di vertice). Prodi, con un’intervista, solleva il tema di chi comandi davvero dentro il partito visto che D’Alema cerca di imporre alleanze con l’Udc mentre Bersani ribadisce quella con l’Idv e costringe il segretario a prendere una posizione: “Per lui provo affetto e rispetto inattaccabile anche quando non sono d’accordo”. Rosy Bindi, già prodiana e presidente del Pd, cerca di mantenere una posizione mediana: il progetto di alleanze al centro resta, ma si deve prendere atto con realismo che in altre regioni l’Udc si sta alleando con la destra e quindi il legame con Casini può essere solo tattico e non strategico. Ma ormai, dentro il Pd, ogni ragionamento di lungo periodo sembra rimandato a dopo le elezioni regionali.
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AFFARI ITALIANI
La candidata Pdl ammette l’evasione
N VANESSA RUSSO
Doina, condanna confermata
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ondanna definitiva a 16 anni di carcere per Doina Matei, la 23enne romena che il 26 aprile 2007 uccise con un colpo di ombrello la giovane Vanessa Russo nella metropolitana di Roma. La sentenza è arrivata ieri dalla Cassazione. Soddisfatto il sindaco Alemanno
Rispetto all’acquisto della sua casa forse “una presunta irregolarità fiscale” ma dovuta a “un disguido” di Marco Lillo
tazione acquistata con le agevolazioni previste”. Peccato che l’allora vicesegretario dell’Ugl avesse comprato 9 mesi prima un altro appartamento con la medesima agevolazione. Dopo l’uscita della notizia sul nostro giornale, ieri, nessun politico della maggioranza e nemmeno dell’opposizione ha proferito verbo. Solo il consigliere regionale Enzo Foschi del Pd ha avuto una reazione da paese normale: “Polverini deve dire se è vero quanto riferito da ‘Il Fatto Quotidiano’. Ossia, ha realmente evaso le imposte sulla casa per un ammontare di circa 19 mila euro in merito all’acquisto di un appartamento, dopo aver goduto di prezzi a dir poco agevolati sull’acquisto di immobili che sulla carta valgono molto di piu?’”. Al mattino Renata Polverini è stata in silenzio. Ironia della sorte era impegnata in un convegno sull’emergenza abitativa dove ha dichiarato che la sua ricetta per risolvere il problema è “fare incontrare il pubblico con il privato per dare risposte a chi ha bisogno di casa”. Un incontro certamente redditizio nel suo caso, non c’è dubbio, visti i prezzi
enata Polverini, tra mille distinguo, alla fine ammette quello che “Il Fatto Quotidiano” ha scritto ieri: il candidato presidente della Regione Lazio del Pdl è un evasore fiscale. La segretaria dell’Ugl condisce l’ammissione del suo errore, che lei chiama “disguido” con un’incoerente minaccia di querela finalizzata a ridurne l’impatto mediatico negativo. Quello che conta, al di là della formula di rito sul “mandato ai legali” è che nel dicembre del 2002 la candidata a guidare una regione che ha il compito di far pagare le tasse ai suoi cittadini, non ha pagato le imposte dovute su un acquisto di una casa. Nell’atto, che ieri abbiamo pubblicato in fotocopia, Renata Polverini chiede “di avvalersi delle agevolazioni fiscali previste dall’articolo 1 della Tariffa”, cioé l’agevolazione prima casa che abbatte l’aliquota dal 10 al 3 per cento. Per ottenere il risparmio di circa 19 mila euro, dichiara al notaio Giancarlo Mazza: “di non essere titolare esclusiva di diritti di proprietà su un’altra abi-
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spuntati dall’Inpdap e dal Vaticano. Nel pomeriggio è giunta a “Il Fatto” la sua lettera che pubblichiamo. Il tono è cortese e bisogna darne atto alla candidata del Pdl. Anche l’approccio si mostra sincero laddove ammette l’errore e si impegna ad assumersene la responsabilità. Meno dove scarica la colpa sui consulenti. Una posizione indifendibile visto che la signora ha firmato di suo pugno la richiesta delle agevolazioni per il secondo acquisto della casa nel quartiere di San Saba (dalla banca del Vaticano) e non è possibile che non sapesse di essere già proprietaria di una prima casa all’Eur (comprata con lo sconto dall’Inpdap). Inoltre, proprio nell’acquisto della prima casa all’Eur, Renata Polverini aveva dimostrato di conoscerne benissimo la disciplina fiscale. Per aggirare l’imposta di registro sulla seconda casa aveva fatto la donazione della sua prima casa alla mamma pochi giorni prima dell’acquisto. Invece di querelare, la Polverini dovrebbe andare avanti con più decisione sulla strada della trasparenza. Magari restituendo quei 19 mila euro mancanti all’erario.
LA RISPOSTA
POLVERINI: FORSE HO SBAGLIATO MA NON È REATO
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o letto l’articolo de “Il Fatto” di oggi nel quale si torna a parlare dell’acquisto della casa in cui vivo. Il tema su cui è costruito l’intero pezzo riguarda una presunta irregolarità fiscale che – in ogni caso- non avrebbe alcuna rilevanza penale. L’episodio in questione risale a circa otto anni fa, e avvenne in una fase di avvicendamento dei consulenti che seguivano la mia attività; suppongo sia questa la causa del disguido. In queste ore sto verificando se davvero le persone che mi aiutavano nelle questioni amministrative possono in qualche modo avermi indotto in errore. Errore di cui , comunque, mi assumerei ogni responsabilità. Come si vede, rispondo con serenità e trasparenza sul tema posto. Con la stessa serenità e con la dovuta fermezza, sottolineo che c’è un limite alla polemica politica e al sacrosanto diritto di critica e di cronaca. Quando il limite si varca - come è avvenuto nei pezzi offensivi e scandalistici costruiti contro di me - le persone perbene devono difendere la propria onorabilità. Per questo ho dato mandato ai miei legali di procedere nei riguardi de “Il Fatto”. (Renata Polverini)
IN PAESE OTTANTAMILA VANI SU TRENTAMILA ABITANTI SONO ABUSIVI
Favara ieri s’è ferAtimenche mata per piangere le vitdi una tragedia annunciata. Tanta gente ai funerali delle bimbe uccise dal crollo della loro casa, avvenuto sabato scorso. Chiesa stracolma, presenti le autorità.
Come a Giampilieri qualche mese fa, e come in tanti altri pezzi di Sicilia, in cui negli anni qualcuno ci ha lasciato la pelle. Un rosario di luoghi semisconosciuti sgranato sulle macerie di costruzioni che fanno a pugni con le leggi della statica. Favara ieri s’è fermata.
Com’è bloccata l’edilizia in questo povero paese di trentamila anime. Ci si ferma al primo piano e poi non si trovano i soldi per continuare. E l’immagine di Favara è quella di un paese parziale, in cui l’anoressia del cemento fa pari con la povertà della gente. Ma c’è
DE GIROLAMO & BOCCIA
Corrispondenza di politici sensi
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are non ci sia tema politico o sociale sul quale non si ritrovino, e non solo idealmente, ma nei fatti: decine di convegni ai quali hanno partecipato insieme, una da una parte (politica) l'altro dall'altra, ma vicini e d'accordo, esponenti di partiti diversi ma convergenti nella visione e negli intenti. Lei è Nunzia De Girolamo da Benevento, giovane e bella deputata del Pdl, balzata agli onori della cronaca per lo scambio di bigliettini con Berlusconi al suo esordio alla Camera, ma politica di lungo corso. Lui è Francesco Boccia, democratico, 41 anni, pugliese, in questi giorni arci-noto come il perdente delle primarie contro Vendola. A scorrere le loro comuni partecipazioni negli ultimi mesi ci si imbatte, per esempio, in convegni sul Medio Oriente e
Summer School sul vicino Oriente, nel Festival dell’Energia e nella Festa del Pdl di Benevento, in presentazioni di libri. Insieme hanno portato avanti battaglie politiche. Una su tutte: lui lancia la proposta di legge per proibire l’uso della finanza derivata nella pubblica amministrazione e lei la firma. E se da questo nasce un rapporto personale non va che a vantaggio di una comprensione e di una intesa bipolare generazionale di nuovi esponenti e future intese. Nunzia lo dichiara: “Orlando, Martella e Boccia sono i miei referenti d'altra sponda politica: la parte cattolica e lettiana è quella con la quale si può dialogare meglio”. E in questi giorni a Boccia ha mandato un sms per esprimere la sua solidarietà nel momento della sconfitta. Concordanza di sensi, politici.
Giovanni Paolo II si autoflagellava
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iovanni Paolo II era solito infliggersi mortificazioni corporali e in particolare faceva ricorso all’uso del flagello. Ad affermarlo è il postulatore della causa di beatificazione, monsignor Slawomir Oder, nel libro “Perché è santo”, in uscita oggi. Nel 1989, Wojtyla mise per iscritto la sua volontà di rinunciare alla missione di Papa, nel caso “di infermità inguaribile”. Rimise ogni decisione però nelle mani di un gruppo di cardinali che, durante la sua lunga malattia, non le ha mai rese operative.
MAFIA
Favara, l’Arcivesvoco non celebra i funerali “prevedibili” di Giuseppe Giustolisi
RIVELAZIONI
dell’altro. Favara è un paese in cui l’ottanta per cento delle case è abusivo. “Ottanta mila vani su trentamila abitanti, e fra questi c’era anche il vano del signor Bellavia (padre delle sorelle vittime del crollo ndr)”, dice Beppe Arnone, avvocato agrigentino e leader di Legambiente, “E’questo un chiaro segno di adesione da parte di tutte le istituzioni, magistratura compresa, a un modello culturale di illegalità e quando poi si arriva a un processo, ci si mette di mezzo la prescrizione, perché il reato di abusivismo si prescrive in quattro anni e mezzo e così non si arriva nemmeno in Cassazione”. E che le responsabilità siano diffuse e non risparmino nessuno è il refrain che a Favara risuona con insistenza. Come nelle parole di don Diego Acquisto, parroco della chiesa di San Vito, che insieme a don Mimmo Zambito ha officiato le esequie delle due bambine: “E’ il momento di riflettere tutti, perché alcune cose non sono spiegabili: se 58 alloggi popolari da tempo finiti e adesso semidistrutti non vengono consegnati qualche cosa che non funziona c’é. Qui si sono alternate amministrazioni di un colore politico e dell’altro, quin-
di c’e’ una responsabilità generale. Cambiano i musicanti ma la musica rimane sempre la stessa. Lo stesso arcivescovo Francesco Monte magno era stato facile profeta: in una lettera mandata al capo della protezione civile Guido Bertolaso, in occasione della tragedia di Giampilieri, aveva scritto: “Chiedo al Signore che non arrivi mai il momento di dovermi rifiutare di celebrare funerali ‘previsti’ o ‘preannunciati’ perché quel giorno, se mai dovesse arrivare, il mio posto sarà fra la gente a pregare”. E così è stato. Ma qualcosa si muove: domani riunione straordinaria in Comune. Il sindaco di Favara Domenico Russello, il presidente della Provincia Eugenio d’Orsi e il sindaco di Agrigento Marco Zambuto hanno deciso di convocare tutti i Sindaci della provincia di Agrigento per un primo esame della situazione generale dei centri storici dei comuni della provincia e le relative condizioni di sicurezza degli abitanti. La decisione è stata presa al termine dei funerali. Certo, chiedersi poi perché tutto questo accada sempre dopo e mai prima, allo stato delle cose, rischia di diventare puro esercizio retorico.
Sequestrati beni per 550 milioni
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eni per un valore complessivo di oltre 550 milioni di euro sono stati sequestrati a Palermo a esponenti di Cosa Nostra. Il provvedimento è stato eseguito dalla Direzione investigativa antimafia e dalla Guardia di Finanza e riguarda un ingente patrimonio immobiliare e societario. Maggiori particolari sull’operazione verranno resi noti oggi.
MASTROGIOVANNI
Chiuso il reparto di psichiatria
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a Asl di Salerno ha disposto la chiusura del reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania. Motivo: impossibile coprire i turni con il personale rimasto in servizio, dopo l’ordinanza del Gip che ha interdetto sei medici e otto infermieri coinvolti nell’inchiesta sulla morte del maestro Mastrogiovanni, deceduto dopo essere stato legato al letto per più di tre giorni.
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Quanto rende prestare soldi agli Stati indebitati
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ECONOMIA
li operatori finanziari che commerciano in titoli di Stato usano come riferimento il bund tedesco. I rendimenti degli altri titoli di debito emessi da Stati sovrani vengono calcolati in relazione al rendimento del bund. Più è alta la differenza – in gergo lo “spread”, – più lo Stato è considerato a rischio (rispetto alla solida Germania). L’Italia,
PERICOLOSO COME UN BOND GRECO
I rischi di un debito pubblico che piace (troppo) ai mercati di Stefano Feltri
erché tutti vogliono comprare i titoli di Stato della Grecia, che è sull’orlo del fallimento? La stampa internazionale ieri ha celebrato l’esito del collocamento di 8 miliardi di euro da parte della Grecia come il segnale che i mercati finanziari hanno ricominciato a fidarsi di Atene e che il crac di uno Stato sovrano dentro la zona dell’euro è stato evitato. La domanda degli investitori è stata di 25 miliardi, la Borsa ha festeggiato (ma ieri è tornata a scendere sotto la soglia psicologica di 2.100 punti). Il pericolo che la Grecia dichiari l’insolvenza – perché non può rimborsare o prorogare i suoi debiti – sembrerebbe quindi evitato.
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PESSIMISMI. Chi lavora sui titoli di debito statali, però, è meno ottimista e avanza un’altra spiegazione. Nel bollettino della Banca centrale europea di gennaio si vede che M3 ha smesso di crescere, ma resta su livelli senza precedenti. M3 è l’aggregato che misura quanto denaro c’è in circolazione nella zona euro (tra banconote, depositi bancari a breve ecc.) ed è a 9.340 miliardi di euro. Prima della crisi, nel 2007, era soltanto 8.645. Tradotto: visto che la Bce impone un costo del denaro basso, all’uno per cento, ci sono moltissimi soldi disponibili a buon mercato e gli investitori possono permettersi di collocarne una parte anche in investimenti a rischio come i bond greci che offrono un rendimento allettante, oltre il 6 per cento. Basta includere un po’ di titoli di Stato nel proprio portafoglio investimenti per assicurarsi un rendimento buono a un rischio tollerabile. Non è una questione di fiducia nella capacità del governo greco di
ripianare un debito pubblico superiore a quello italiano (120 per cento) e di smetterla di mascherare i veri risultati della finanza pubblica. “Non accetteremo mai più numeri sui conti pubblici che non corrispondano alla realtà”, ha detto nei giorni scorsi il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet. La spiegazione dell’improvviso interesse per i titoli greci è che il mercato offre poche opportunità di investimento davvero redditizie e quindi conviene puntare su titoli di Stato come quelli di Atene che pagano sei volte di più che, per esempio, i Bot italiani. “Se dovesse cambiare il clima e tornasse la sfiducia, inizierebbe però il solito processo di flight to quality, la ricerca della qualità, e gli investitori sposterebbero i propri denari su investimenti più sicuri anche se meno
remunerativi”, spiega al Fatto un trader. Particolare non irrilevante: anche se i Bond greci non hanno una buona fama, sono pur sempre utilizzabili come collaterale (cioè come garanzia per ottenere prestiti) nelle operazioni con la Bce. Quindi, oltre a essere redditizi, sono utili nella gestione ordinaria delle banche. LA FIDUCIA. Il caso greco sta diventando un termometro della salute del sistema finanziario globale. Il fermento intorno al collocamento del debito di Atene si regge su una premessa: la Grecia non verrà abbandonata al suo destino, l’Europa non la lascerà fallire. Dopo quello che è successo abbandonando la banca d’affari americana Lehman Brothers alla bancarotta, nell’autunno 2008, nessuno lascerà più col-
per esempio, ha uno spread dello 0,84 per cento sul bund. La Grecia, che ha problemi di finanza pubblica maggiori, ha uno spread di 2,40 punti percentuali. Il Portogallo è sui 100 punti base (cioè 1 per cento): fino a pochi giorni fa era 112, poi l’opposizione ha iniziato a votare assieme alla maggioranza misure di austerità fiscale. La Spagna è sui livelli dell’Italia – spread a 0,84 –
lassare un soggetto di primaria importanza come uno Stato sovrano. Sul sito lavoce.info Angelo Baglioni e Massimo Bordignon ricordano che la cosiddetta no-bail out clause (clausola anti-salvataggio) nel Trattato dell’Unione europea non impedisce ai paesi membri dell’Unione di intervenire quando uno di questi è in difficoltà, “dice solo che non sono tenuti a farlo, che è ben diverso”. Il cordone sanitario intorno alla Grecia, insomma, non è automatico ma neanche vietato, si deciderà sul momento se e come intervenire. Nei mesi scorsi la Bce – che pure non dovrebbe premiare Stati poco attenti alla finanza pubblica – è intervenuta addirittura a sostegno dell’Ungheria, che non è dentro la moneta unica ma ha molti debiti (soprattutto privati) in euro. Un salvataggio statale può avvenire soltanto a debito e non è sicuro che gli Stati che correranno in soccorso di Atene saranno in grado di piazzare i propri titoli con
grande facilità in un momento in cui il panico dovesse salire per il crac imminente. E non ci sono certezze che la Bce voglia davve-
ro gestire questa nuova fase dell’emergenza (in cui saltano, o rischiano di saltare, gli Stati dopo le banche e le imprese). A dicembre ha pubblicato uno studio dal tempismo sospetto: “Ritiro ed espulsione dalla Unione europea e dall’Unione monetaria”. Gli investitori che stanno scommettendo sui titoli greci sono avvertiti.
I capitali degli investitori internazionali in bilico sulle cariatidi greche in un disegno di Marilena Nardi (
Sorpresa: il Pdl trucca i vecchi programmi elettorali online ORA I VINCOLI DELLA CRISI SONO MOLTO PIÙ EVIDENTI DELLE PROMESSE (IMPOSSIBILI) SUL TAGLIO DELLE TASSE di Superbonus
e avete un programma elettorale del Pdl Statelo delle ultime elezioni politiche non butvia, un giorno avrà molto valore, proprio come un francobollo per errore stampato alla rovescia. Nella versione originale del programma, quella presentata agli elettori, l’avvertenza che l’attuazione del programma era sottoposta a vincoli (crisi economica, vincoli imposti dal Trattato europeo e instabile equilibrio dei conti pubblici italiani) era scritto a pagina 12 (l’ultima) sotto il titolo “settima missione un piano straordinario di finanza pubblica”. Nella nuova versione grafica inaugurata la settimana passata, l’avvertenza si sposta a pagina 4 in lettere enormi. Prima di ogni altro punto del programma questa volta spunta l’avvertenza che forse non si potrà fare tutto e soprattutto che non si potranno mai abbassare le tasse.
LA FIAT SI FERMA
LA RESA SULLE TASSE. La dimensione delle lettere e l’evidenziazione nell’aspetto grafico hanno il significato di una resa. I collezionisti saranno felici; i contribuenti e gli elettori italiani molto meno. Dalle dichiarazioni di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti in questi giorni si capisce ormai che la retromarcia è completa: non si abbasseranno le tasse fino al 2013, si rimanda tutto ad un tempo indefinito “quando ci sarà la ripresa”. Al di là dell’aspetto grafico, entriamo nel merito del “piano straordinario di finanza pubblica” e scopriamo un programma di riduzione del debito per successivamente abbassare le imposte. Il programma del Pdl prevede “l’abolizione delle province”, la “valorizzazione e collocazione sul mercato del patrimonio pubblico... che ammonta a 1.800 miliardi di euro mentre il
di S.F.
IL POKER TRA MARCHIONNE E SCAJOLA olete vedere di cosa sono capace? Ecco. Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, è un grande giocatore di poker. E ha deciso che è arrivato il momento di far capire che non bluffa nella partita con il governo per il rinnovo degli incentivi per il settore auto. L’esecutivo, in particolare il ministro Claudio Scajola, continua a rilanciare legando la concessione dell’aiuto pubblico a una qualche garanzia, anche minima, che Termini Imerese non morirà (almeno non sotto questo governo) e flirta con il finanziere Simone Cimino pronto a rilevare la fabbrica. Marchionne si è
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l’Irlanda è a 1,5, la Francia a 0,5. Ovviamente più alto è lo spread, più alto è il rendimento per l’investitore che compra il titolo (e, in modo speculare, maggiore è il costo per lo Stato che lo emette). Se uno Stato viene considerato più a rischio crac, il costo del debito sale: ogni punto percentuale in più di interessi costa all’Italia 15 miliardi di euro in più.
stancato di aspettare e ha sorpreso i sindacati: per due settimane si fermano tutti gli stabilimenti che Fiat ha in Italia, 30.000 dipendenti in cassa integrazione. I sindacati sono imbufaliti, anche perché Marchionne ha appena promesso il dividendo agli azionisti nonostante abbia chiuso il 2009 in rosso di 800 milioni. Adesso il manager italo canadese aspetta la contromossa: ci saranno 30.000 persone (oltre 100.000, contando le famiglie) furibonde nella settimana delle elezioni regionali. Vediamo se Scajola rilancia o consegna tutta la posta sul tavolo a Marchionne.
Qui sopra il programma del Pdl disponibile oggi sul sito, accanto la versione precedente, più ottimistica
debito è di 1.500 miliardi di euro”. Un piano da sognatori della finanza arricchito dalla promessa berlusconiana di fine campagna elettorale – “aboliremo il bollo auto a metà legislatura” – non scritta nel programma di governo ma promesso solennemente nella trasmissione Matrix. I RISULTATI. Alcune informazioni per giudicare l’attuazione del programma del governo Berlusconi: le province non sono state abolite ma sono anzi aumentate nel giugno 2009 si sono aggiunte le province di Monza e Brianza (che include Arcore), quella di Fermo, e Barletta Andria Trani. Il debito pubblico è ora di 1.800 miliardi di euro e supererà il valore di tutto il patrimonio (immobiliare e non) dello Stato nei prossimi 12 mesi. La bolla mediatica inizia a scricchiolare, al ritornello dell’abbassamento della pressione fiscale del 2001, ripetuto nel 2008, non ci credono più neanche coloro che lo hanno inventato. I ministri e i candidati alle prossime amministrative, Brunetta in testa, sono spaesati non riescono a trovare altri argomenti per spiegare come mai le tasse non scenderanno, nonostante le promesse nel programma elettorale. Il ministro del Tesoro Tremonti tenta di frenare le promesse dei colleghi – a partire da Renato Brunetta – con telefonate burrascose. In questo clima il Pdl corre ai ripari, non può fare sparire il programma elettorale da Internet (almeno per ora) ma può almeno modificarlo, cambiare i colori, la disposizione delle pagine e delle frasi in attesa di un inevitabile condono fiscale (che i commercialisti danno per certo) che contraddice un altro impegno preelettorale. Era il 13 marzo 2008 quando Tremonti annunciava che “i condoni sono una cosa del passato”. Ed è invece proprio quello che avremo: un salto nel passato fatto di condoni, debito pubblico alle stelle e programmi elettorali diventati carta straccia, aumento della pressione fiscale. E chiaramente il bollo auto da pagare come sempre.
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Come si combatte la crisi del commercio globale
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ECONOMIA
entre in Italia il governo penalizza le banchine con un inasprimento delle tasse e i dirigenti dei porti si beccano come i polli di Renzo, in tutto il mondo gli Stati cercano di far fronte al ciclone che si è abbattuto sul trasporto di container. Qualche esempio: lo Stato tedesco ha elargito un prestito di 700 milioni di euro alla gigantesca Hapag-Lloyd
per permettere alla società di restare operativa; in Cina la Bank of China ha concesso un finanziamento di 11,7 miliardi di dollari a China Shipping Group; in Francia stanno valutando l’opportunità di far entrare un fondo pubblico nel capitale della marsigliese Cma Cgm. Nel primo semestre 2009 le principali compagnie di navigazione hanno registrato perdite comprese
tra 200 e 600 milioni di dollari ciascuna. La Maersk ha perso 540 milioni di dollari, la Hapag-Lloyd 435, la cinese Cosco 632, la Evergreen 143. Dal terzo trimestre 2008 nessuna compagnia ha ordinato nuove navi porta container e ci sono addirittura compagnie disposte a pagare ai cantieri penali del 30 per cento per cancellare le commesse precedenti. (dan. mar.)
È INIZIATA LA GUERRA PER PORTI E NON TUTTI SOPRAVVIVERANNO Ora Genova tifa per la chiusura dell’hub di Gioia Tauro di Daniele Martini
ors tua vita mea. La crisi economica incalza, i trasporti marittimi crollano e i porti soffrono. In questa situazione c’è chi spera di restare a galla favorendo la rovina degli altri. Sulle banchine italiane sta per scoppiare una guerra aspra tra nord e sud per la sopravvivenza. L’avvio pubblico delle ostilità è stato dichiarato dal presidente del porto di Genova, Luigi Merlo, uno dei maggiori operatori del settore, con un’intervista dal titolo choc al Secolo XIX, il giornale cittadino: “Chiudiamo i porti hub del sud”. Cioè diamo il colpo di grazia a Gioia Tauro, lo scalo che doveva diventare il maggior porto del Mediterraneo e un’occasione per il riscatto della Calabria. Dopo Gioia dovrebbe toccare a Taranto e Cagliari, gli altri approdi meridionali specializzati nel transhipment, cioè nell’attrazione delle enormi navi giramondo, nello scarico dei container e il ricarico su camion, treni, ma soprattutto su navi più piccole, verso altre destinazioni. Dei tre hub, Gioia Tauro è il maggiore e il più pericolante. Dopo aver mietuto successi, ha imboccato proprio in questi mesi la via del declino per effetto congiunto di tre circostanze: la crisi spaventosa dei traffici e l’aumento fino al 50 per cento del-
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banchieri avrebbero voIdegliluto parlare soprattutto incentivi fiscali pro-
le tariffe di ancoraggio deciso dal governo che, di fatto, sta tirando la volata alla concorrenza nordafricana. CHIUDERE GLI HUB. La soppressione dei porti del sud Italia suggerita dal presidente dello scalo di Genova come ricetta per affrontare le asperità del mercato è molto circostanziata e rivolta al governo perché proceda senza indugi. E’ il primo caso clamoroso di approccio malthusiano alla crisi economica, ma non è azzardato prevedere che di fronte all’incattivirsi delle difficoltà non sarà l’ultimo. Il ragionamento del presidente Merlo è molto semplice nella sua brutalità: “Gli hub italiani di transhipment non hanno futuro. Non ha senso drenare risorse pubbliche per tentare di far stare in piedi realtà che in piedi da sole non ci stanno, togliendo magari finanziamenti ad altri scali come quelli dell’alto Tirreno o dell’Adriatico”. Cioè: il tempo delle vacche grasse è finito, la coperta dei soldi pubblici è corta e quindi è giusto che copra solo chi è destinato a restare al caldo. Gli altri si arrangino, se possono, altrimenti crepino. Il riscatto economico del sud? Gli enormi problemi sociali della Calabria? La necessità dello sviluppo come antidoto all’arrembaggio della criminalità organizzata, ‘Ndrangheta in prima fila? I 5 mila posti
Un’immagine del porto di Genova (FOTO ANSA)
di lavoro tra diretti e indiretti che rischiano di saltare? Nella logica della guerra portuale nord-sud è tutta roba che slitta in ultima fila. Quel che interessa al presidente ligure sono i quattrini pubblici per le sue banchine: “Le ultime risorse per i porti stanziate due anni fa erano pari a 100 milioni. Cinquanta per Gioia Tauro, gli altri al resto della portualità”. Dal punto di vista di Merlo ora c’è il rischio che lo scalo calabrese e gli altri approdi meridionali succhino altri soldi statali attraverso la cassa integrazione. Gioia la sta chiedendo per 400 dipendenti su un totale di 1100;
SCANDALO OMEGA
PHONEMEDIA: IL CALL CENTER CHE BRUCIA I FONDI PUBBLICI di Giancarlo Castelli Catanzaro
la sede del loro call center per chieOdonoccupano dere il pagamento degli stipendi ma se ne vesorgere un’altra a cento metri, la “Blue call”, diretta dagli stessi dirigenti insolventi. Accade a S. Maria di Catanzaro dove la società Phonemedia – fondata dall’imprenditore novarese Fabrizio Cazzago – è occupata dal 4 gennaio scorso. A protestare sono molti dei 2 mila dipendenti del gruppo: “Non riceviamo lo stipendio da ottobre 2009 – dice Danilo, membro del Coordinamento di lotta Phonemedia di Catanzaro – abbiamo occupato l’azienda, apriamo e chiudiamo i cancelli ogni giorno e stiamo qui ad aspettare che qualcuno ci chiami. Ma il telefono tace. Non sappiamo neppure a chi rivolgerci”. L’azienda, che è presente in tutta Italia con circa 7000 lavoratori, da luglio 2009 è nelle mani di Omega, ovvero l’azienda che ha licenziato molti dei dipendenti di Agile (acquisiti da Eutelia) e che a dicembre è stata commissariata. A denunciare l’ambiguo modo di ricavare profitti sono prima di tutto i lavoratori: “Il core business di Phonemedia era la formazione – si legge nel comunicato del coordinamento di lotta – ma bisogna dire che la vera ricchezza dell’azienda non risulta essere i proventi ricavati dalle commesse, pur essendo state affrontate con ottimi risultati. Nel sito di Catanzaro, infatti, il vero guadagno proviene dal finanziamento per l’assunzione dei lavoratori svantaggiati (secondo la legge 488)”. Ecco il truc-
Governo e Bankitalia: nuove regole sugli stipendi dei manager
co: il sistema consisteva nel far dimettere i dipendenti con contratto a tempo determinato per poi riassumerli con il tempo indeterminato. Le persone, ovviamente, erano le stesse. I soldi utilizzati per contrattualizzarli provenivano anche dai fondi per i progetti regionali di formazione. “Nessuno – denunciano i sindacati – vigilava sul loro utilizzo. I finanziamenti in teoria vengono assegnati soltanto se un’azienda è in regola con i Durc (i certificati che attestano la regolarità dei versamenti previdenziali). Invece arrivavano a prescindere”. E non si tratta di pochi soldi: undici milioni di euro – raccontano i dipendenti – sono finiti nelle casse di Raf-Phonemedia nel solo 2008. “Ci sono stati intrecci – aggiungono poi – con la Compagnia delle Opere attraverso Obiettivo Lavoro e Italia Lavoro. Questo accade perché Francesco Saladino, responsabile amministrativo di Soft4Web, società del gruppo Raf di Cazzago, è il cugino di Antonio Saladino (già protagonista dell’inchiesta “Why Not?” di Luigi De Magistris ), leader della Compagnia delle Opere in Calabria”. E adesso? “Facciamo i turni in azienda per mantenere l’occupazione – continua Danilo – siamo una cinquantina di giorno e una decina di notte. Ma dei lavoratori non importa nulla a nessuno”. Anzi, spiegano, sono in molti quelli che decidono di farsi assumere nell’azienda vicina: “Ai lavoratori Phonemedia viene proposto di dimettersi per essere assunti a Blue call. Così però perdono il diritto al pregresso. Ma le possibilità non sono molte, e un migliaio di noi ha già accettato”.
Da quando il governo ha alzato le tariffe, molti scali non riescono più a essere competitivi a Taranto sono in cassa 241 persone, a Cagliari la cassa scattò già nel 2008. “Occorre dare ammortizzatori sociali” concede il capo dello scalo genovese, ma poi basta: “Subito dopo facciamo un discorso di verità”, cancellando gli approdi meridionali. FINE DEL BOOM. In realtà il porto di Gioia Tauro finora non è affatto campato con i sussidi pubblici, anzi, per anni è stato un esempio di vivacità per tutta la portualità nazionale. Al punto che oggi, rispondendo con la sciabola ai fendenti del presidente genovese, il capo dell’autorità dello scalo calabrese, Giovanni Grimaldi, chiede polemicamente al collega ligure se ha “dimenticato che Gioia ha trainato per anni anche la crescita dei porti del nord”. Mentre altri in Calabria ricordano che dalla riforma portuale del 1995 in poi proprio lo scalo di Genova ha drenato fiumi di denaro pubblico, almeno il 70 per cento dei 12 milioni annui sborsati per la cosiddetta “indennità di mancato avviamento”. Dopo una partenza timida a metà degli anni Novanta, Gioia Tauro è cresciuto a colpi di 500 mila tonnellate di merci all’anno, trascinando l’occupazione da 790 dipendenti di 10 anni fa alla punta di 1210 nel 2008. Ora è arrivata la crisi, devastante. I trasporti marittimi arretrano ovunque: a Singapore meno 13,5 per cento nel 2009 rispetto al 2008, meno 10 a Rotterdam e Le Havre, meno 22 a Long Beach. Idem in Italia: Savona meno 35, Salerno 18, Livorno 25, La Spezia 16, Genova 13,5. Al confronto i tre hub meridionali di transhipment, con un calo complessivo di poco superiore al 10 per cento, a prima vista non se la sarebbero cavata male. Il fatto è che nel settore del trasbordo navale riduzioni anche modeste dei volumi di
traffico producono effetti perversi sulla redditività riducendola in maniera disastrosa. PROSPETTIVE. Le prospettive per il transhipment italiano appaiono, inoltre, assai incerte. In tutto il Mediterraneo stanno nascendo scali dedicati proprio al trasbordo e quelli esistenti si stanno potenziando. In Egitto accanto a Port Said si sta sviluppando Damietta, due anni fa è esploso in Marocco il fenomeno di Tangeri, mentre sulla sponda spagnola stanno investendo ad Algeciras un mare di soldi, 530 milioni di euro tra finanziamenti pubblici e privati. In Italia, invece, l’inasprimento delle tasse di ancoraggio è così forte che fatte 100 le tariffe pagate a Gioia Tauro per la nave portacontainer e la nave su cui viene trasbordata parte del carico, a Port Said per lo stesso servizio si paga rispettivamente 7 e 10, a Tangeri 49 e 57, ad Algeciras 64 e 90. Differenze abissali. IL NODO TASSE. Per ridurre lo svantaggio il governatore della Calabria, Agazio Loiero, ha chiesto al governo di tagliare o abolire le tasse di ancoraggio, mentre i segretari di Cgil, Cisl e Uil trasporti, Franco Nasso, Claudio Claudiani e Giuseppe Caronia, invitano il ministro Altero Matteoli a “introdurre una specifica normativa per consentire ai porti italiani di transhipment di continuare a competere nel panorama mondiale”. Per scongiurare la guerra dei porti, Ferdinando Albini, presidente della confindustriale Confetra, ha scritto una lettera accorata al presidente Giorgio Napolitano e a Silvio Berlusconi invitandoli a “predisporre tutte le iniziative opportune”, considerando che a giorni in Calabria si riuniranno il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio dei ministri.
messi – e mai arrivati – dal Tesoro. Ma all’incontro di ieri tra i vertici delle sei principali banche italiane e il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi si è discusso molto di bonus e di limiti alle remunerazioni dei top manager. Draghi ha ribadito che entro l’estate arriveranno le linee guida del Financial Stability Board da lui presieduto, l’organismo di raccordo internazionale tra Banche centrali, governi e settore finanziario. Nel breve periodo la priorità per gli istituti di credito deve rafforzarsi nel patrimonio (Unicredit sta completando un aumento di capitale in queste settimane) perché la crisi non è finita. Dopo l’incontro con i banchieri, Draghi è andato a Palazzo Grazioli per vedere il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Non sono noti i dettagli della conversazione, ma nella serata di ieri è circolata la notizia di un emendamento governativo alla legge comunitaria (che attua cioè disposizioni comunitarie) per imporre alle società quotate la pubblicazione dei dettagli dei compensi dei manager. Nel testo si legge: “Le società quotate rendano pubblica una relazione sulle remunerazioni che illustri in apposita sezione la propria politica in materia di remunerazione dei componenti dell’organo di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche per l’esercizio finanziario successivo”. Cioè circa quanto è scritto anche nel Regolamento emittenti della Consob all’articolo 78. Però ci sono due differenze importanti: nel bilancio non dovrà essere scritto solo “quanto” guadagna il manager, ma anche “come”. Quanta parte del suo stipendio è fissa, quanta variabile e in base al raggiungimento di quali obiettivi varia. Seconda novità: le modalità di retribuzione dovranno essere approvate dall’assemblea degli azionisti e non più soltanto dal consiglio di amministrazione. Lo scopo di queste modifiche, volute dal Cesr (organizzazione di tutte le 27 commissioni europee che vigilano sulla Borsa), approvate dalla Commissione europea e ora recepite dal governo, è di aumentare la trasparenza e permettere agli azionisti di accertarsi che gli stipendi dei manager siano legati all’andamento dell’azienda nel medio periodo e non soltanto a breve termine.
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Mercoledì 27 gennaio 2010
SHOAH
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SE QUESTI ERANO UOMINI C Prefazione di Umberto Eco
IL LIBRO
EDUCARE ALL’ODIO: “LA DIFESA DELLA RAZZA”
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alentina Pisanty, semiologa, è ricercatrice all’Università di Bergamo dove insegna Filosofia del linguaggio e Semiotica del testo. Sul razzismo e l’antisemitismo ha pubblicato “L’irritante questione delle camere a gas: logica del negazionismo” (Bompiani 1998), e “Educare all’odio: la Difesa della razza 1938-1943” (Motta on line/l’Unità 2003), poi confluito nel volume “La Difesa della razza. Antologia” (1938-1943) (Bompiani 2006). “La Difesa della razza” è la rivista più nota del razzismo fascista: in occasione della Giornata della Memoria, ne pubblichiamo alcuni stralci, preceduti dalla introduzione al libro, a firma di Umberto Eco.
HE COSA SIA STATO l’antisemitismo e le persecuzioni razziali che ne sono conseguite, tutti più o meno lo sanno, anche i più giovani. Che cosa sia stato l’antisemitismo italiano è meno noto. Vige casomai la persuasione che, rispetto a quello nazista, l’antisemitismo fascista sia stato più blando e d’altra parte si dice (ed è vero) che tanti bravi italiani hanno salvato tanti ebrei dalla deportazione, e questo in fondo pare assolvere il nostro paese. Italiani brava gente, dunque. Ma nel 1938 il re Vittorio Emanuele III firmava le leggi razziali ed esisteva in Italia una consistente corrente di pensiero razzista e antisemita. Stiamo parlando di pensiero: il pensiero, certo, non ha nulla a che fare, direttamente, coi campi di sterminio, ma in realtà li giustifica e in qualche modo li prepara e li accompagna, anche se sono stati altri ad allestirli. Alcuni hanno sentito parlare de “La difesa della razza”, la rivista dell’antisemitismo e del razzismo italiano, a cui hanno collaborato alcuni tra i nomi più famosi della cultura dell’epoca, più una coorte di pennivendoli che oggi definiremmo “fondamentalisti”. La rivista, intesa a proclamare la superiorità della razza italica, non si scagliava soltanto contro gli ebrei ma contro tutte le etnie non “ariane”, dai cinesi agli africani, mostrando coi suoi pseudo-reperti antropologici come l’inesorabile inferiorità di queste razze apparisse dai tratti ripugnanti del viso, dalla forma del cranio, dai parti mostruosi provocati da matrimoni misti, Ebbene, ecco ora una antologia commentata de “La difesa della razza”, non solo degli articoli ma anche delle illustrazioni, talora più eloquenti degli scritti. E’ difficile oggi leggere queste pagine senza provare un sentimento a metà tra l’orrore e il sarcasmo: come è possibile che queste cose siano state scritte, che molti le abbiano lette, che tantissimi le abbiano credute, cha la maggioranza degli italiani le abbia ignorate, o tollerate, o lasciate passare come innocente esercizio filosofico e parascientifico? Eppure questo è accaduto. Questa antologia suona a vergogna degli autori che raccoglie (il cui nome deve essere consegnato agli annali della paranoia criminale) ma suona anche a vergogna del nostro paese, e non basta dire che in altri paesi si è fatto o scritto di peggio. Quanto si può leggere e vedere qui basta e avanza per spingerci a dolorose riflessioni e per renderci preoccupati per le molte pubblicazioni o siti Internet che ancora oggi riprendono questi argomenti.
Nel Giorno della Memoria un libro sul razzismo e l’antisemitismo in Italia ci ricorda come eravamo e ci ammonisce su come potremmo tornare ad essere Sotto: posa della prima pietra del Memoriale della Shoah alla stazione Centrale di Milano. In basso: alcune immagini tratte dal libro “Educare all’odio: ‘La difesa della razza’”. A destra: elaborazione fotografica del binario 21
CELEBRAZIONI
BINARIO 21, IL TRENO DEL NON RITORNO L
a stazione è un luogo di partenza, di saluti, di abbracci. Spesso è un luogo di arrivederci, alcune volte è un luogo d’addio. E il binario 21 della stazione Centrale di Milano di addii silenziosi ne ha visti troppi. Per questo, tra due anni sorgerà il Memoriale della Shoah e il binario 21 si trasformerà in luogo di testimonianza storica e al tempo stesso di meditazione. A posare la prima pietra, ieri, il sindaco Moratti, il presidente della Provincia Podestà, il Governatore Formigoni, l’ad di Ferrovie Moretti e il presidente della Fondazione Memoriale Shoah De Bortoli. Sul binario sono stati collocati due vagoni di legno, identici a quelli che portavano i deportati nei campi di concentramento. Durante la cerimonia è stato recitato il kaddish, la preghiera ebraica dei morti; poi la testimonianza di Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz. “Peccheremmo di colpevole indifferenza – ha detto il presidente Napolitano in un messaggio – se non adempissimo quello che ci si presenta come un dovere: non dimenticare ciò che è stato in una fosca stagione della nostra storia”.
Quando le parole diventano Olocausto Contro le pecorelle dello pseudorazzismo biologico
Razzismo biologico e scientismo
Gli ultimi nomadi
Il problema dei meticci in Europa
Gli ebrei manifesti e gli ebrei clandestini
Continuità storica della razza italiana
l razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se e qualcuno ci domandasse come si potrebbe realizzare un siste un punto di spiccata analogia fra la loro vita e quella veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la razzismo positivo nel campo strettamente biologico, rispon- E degli ebrei, in quanto ebrei e zingari rappresentano gli unici Icoscienza S della razza. Il razzismo nostro deve essere quello deremmo che basterebbe stimolare al massimo gli elementi gruppi etnici costituiti senza espressione alcuna di vita agricola
necessario quindi diffidare di tutti gli individui che vivono Ebreo ha un aspetto fisico spesso, ma non sempre, evidente. Ha un a continuità storica del popolo italiano si può riconoscere Èsopraricordati L’ vagabondando alla maniera degli zingari e che ne presentano i contegno morale di più difficile, ma più sicura diagnosi. In poveri L solo come un prodotto di una forza centrale e assiale, che è tratti somatici. Si tratta di individui asociali, termini vorrei definire che sia da considerarsi ebreo chi è capace di com- la continuità della razza, comportante soprattutto la possibilità
del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto lo spirito alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti, finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose – fingere un mutamento di spirito, e dirsi più Italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’alto là al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue..
differentissimi dal punto di vista psichico dalle popolazioni europee e soprattutto da quella italiana di cui sono note le qualità di laboriosità e attaccamento alla terra. [...] Data l’assoluta mancanza di senso morale di questi eterni randagi si comprende come essi possano facilmente unirsi con gli strati inferiori delle popolazioni che incontrano peggiorandone sotto ogni punto di vista le qualità psichiche e fisiche.
Giorgio Almirante, Difesa della razza, V, 13: 9-11 (5 maggio 1942)
meglio dotati dal punto di vista razziale del nostro popolo, di porre in condizioni favorevoli di sviluppo la grande massa degli elementi medi (i nove decimi circa della popolazione globale) e infine di far diminuire con misure energiche, come la sterilizzazione e la castrazione, fino a farla sparire del tutto, la massa grigia degli elementi tarati ed asociali. Un’azione di tal genere dovrebbe essere accompagnata da una profonda riforma di carattere sociale ed economico. Guido Landra, Difesa della razza, VI, 1: 9-11 (5 novembre 1942)
che esistano in Europa. [...] Ma se gli zingari dividono con gli ebrei questa originale prerogativa di assenteismo per tutto ciò che è lavoro agricolo, una profonda diversità intima si contrappone che oltre a distinguerli nettamente li separa in due complessi psicologici opposti. L’ebreo e lo zingaro hanno in vero qualcosa di molto differente l’uno dall’altro nel principio che dirige la loro vita. L’uno: avidità di guadagno e di ricchezza, presunzione di popolo eletto, una legge principii di purezza di razza, dogmi, tradizioni. L’altro: un ideale di libertà primitiva, un bisogno di sfogo e di movimento, la spinta di un passato non di dottrine, di leggi e di costituzioni ma di sola natura. L’uno, un popolo che ammassa per dominare; l’altro che mendica per vivere. Vincenzo De Agazio, Difesa della razza II, 16: 35-36 (20 giugno 1939)
Guido Landra, Difesa della razza IV, 1: 11 (5 novembre 1940)
mettere un’ebreata: non credo mi occorra definire quel che sia un’ebreata; ogni buon Italiano lo sa per esperienza, benché i dizionari non registrino forse la parola. Oltre le solite qualità tradizionali – l’avidità del denaro, la grettezza, la capacità di compiere cattive azioni pur di guadagnare, di essere anche spendereccio e caritatevole pur di guadagnare – l’Ebreo possiede altre qualità che lo distinguono dall’Italiano: un sentimento di famiglia innegabile, unito ad una spiccata tendenza all’adulterio e al concubinato; una commovente solidarietà fra Ebrei, che li induce a incrudelire contro l’umanità non ebraica; ostinati nei propositi, quando vogliono frodare non si levano mai dattorno; cacciati dalla porta rientrano dalla finestra; non contenti d’esser virili sono immancabilmente sensuali e pornografici. Vi è chi li riconosce al naso e chi alle labbra, chi agli occhi e chi ai piedi piatti, chi alla pronunzia o ad altri segni. Vi è però chi meglio li distingue al contegno nella loro vita, nella società, al posto di lavoro, nella politica. Io li riconosco dall’ebreata e son sicuro di non sbagliare. La loro più grossa ebreata collettiva fu, ed è, quella di infilarsi nella vita italiana e nella vita fascista per profittarne ed insieme per minarla e sovvertirla [...] L’ebreo agisce da ebreo specie quando si nasconde, e da ebreo si comporta anche quando ignora di esserlo. Il Fascismo, che è rivoluzione in marcia, che ha creduto utile difendersi dall’Ebreo manifesto, troverà mezzi adeguati per scoprire e bollare, se occorre caso per caso, anche l’Ebreo clandestino e l’Ebreo ignaro. Come, privatamente, non è difficile scoprirli e identificarli, non sarà impossibile riconoscerli con debita procedura. Sarà invece, io credo, facilissimo, perché penseranno gli stessi ebrei clandestini ed ignari a commettere tante, ma tante ebreate, finché persino i ciechi e gli ottusi li distingueranno. Umberto Angeli, Difesa della razza II, 7: 30-31 (5 febbraio 1939)
di sentirsi partecipi della razza, grazie ad una prodigiosa virtù che le è propria: la memoria della razza. Per converso, la storia ci fornisce quei dati esteriori e quegli elementi documentari o cronistici, da cui occorre risalire per riconoscere su un piano di “causalità” l’azione della razza: nella storia patria si assiste così a una minore o maggiore intensità di manifestazione della vigoria profonda della razza. Ed è proprio il razzismo che oggi ci offre il modo di capire come non esista “un senso della storia” e come sia una mera astrazione, una retorica razionalistica, il concetto di “necessità storica”, in quanto la storia è soltanto la trama sensibile ed evidente di ciò in cui la razza manifesta le sue peculiari possibilità. Quando questa storia ci si presenta sotto forma di decisive acquisizioni sul piano culturale, politico, sociale, militare, occorre perciò riconoscere in essa non un fenomeno di “necessità”, di “fatalità” o di “storicità”, ma il momento della più decisa e piena espressione di una forza potenzialmente perenne, che è la forza della razza: è il buon sangue della razza che fluisce più vivo e più ricco, grazie ad un coincidere delle energie etniche con quelle della Tradizione che originariamente le distingue e le esalta. Si può dire che, in tali periodi, agisce potentemente dietro le quinte della storia un razzismo decisamente organizzato – anche senza che di razzismo si parli – che noi comunemente cogliamo soltanto nei suoi risultati, ossia nella sua manifestazione storica. Esso per noi si esprime come senso patrio, come esaltazione dei valori della pura romanità e dell’italianità, come coscienza di Tradizione. Massimo Scaligero, Difesa della razza V, 12: 15-16 (20 aprile 1942)
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Mercoledì 27 gennaio 2010
DAL MONDO
BERLUSCONI SCARICA B E RT O L A S O Dopo il nuovo intervento della Clinton il premier corre ai ripari di Raffaela Scaglietta
mergenza ad Haiti: attenzione alle critiche. Non è proprio il momento. Il capo della Protezione civile Guido Bertolaso è stato richiamato all'ordine ieri dal premier Berlusconi dopo un nuovo intervento del Segretario di Stato americano Hillary Clinton. Che ha detto: “Sono profondamente offesa dagli attacchi rivolti al nostro Paese, alla generosità della nostra gente e alla leadership del nostro presidente che sta tentando di rispondere alle condizioni disastrose dopo questo terremoto”. La lady degli esteri Usa è tornata a difendere la gestione degli aiuti e l’invio dei militari da parte degli americani. E, indirettamente, è tornata a replicare alle critiche di Bertolaso che in polemica con gli Usa aveva detto che ad Haiti non funziona niente. Dichiarazioni che avevano creato imbarazzo e tensione tra Washington e Roma. E portato il ministro degli esteri Frattini a prendere distanza dal capo della Protezione civile. Così, la Clinton, ha indirettamente stimolato l’intervento del presidente del Consiglio. Che ieri ha dichiarato: “É il momento di mettere da parte tali questioni e rafforzare l’azione di sostegno alla
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popolazione di Haiti, un compito enorme nel quale tutta la comunità internazionale deve fare la sua parte e nel cui svolgimento il ruolo delle Nazioni Unite, come sempre, resta cruciale”. Ma soprattutto: “Sul sisma ad Haiti la risposta èstata rapida, ma senza il generoso e significativo intervento degli Stati Uniti sarebbe stato tutto assai più difficile. Resto convinto che in questi casi sarebbe opportuno evitare dichiarazioni che possano involontariamente innescare polemiche, partendo dall’assunto che tutti sono impegnati in buona fede ad aiutare la popolazione”. Le scuse ufficiali, quindi, sono arrivate. E persino l’Onu, tramite il portavoce del segretario Ban Ki-moon, Martin Nesirky, ha chiuso la querelle: “Non c'é nessun problema tra l'Italia e l’Onu sugli aiuti ad Haiti perché il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha chiarito tutto”. Caso diplomatico terminato, quindi. Ma, per la verità, le critiche cha hanno offeso la Clinton sono arrivate da vari fronti, tra cui (per primo) il sottosegretario di Stato francese, ma l'Eliseo aveva fatto subito marcia indietro. Eppure il problema della gestione degli aiuti c'è sul serio. Chi terrà il timone dell’organizzazione? Sa-
“Per ricostruire non servono i marines” LA CONSULENTE UE LAURENT SPIEGA COSA NON VA NEGLI AIUTI AD HAITI on serve inviare altri uomini ad Haiti. “N Soprattutto se sono militari. Adesso servono medici, psicologi, medicine, bisogna
Bertolaso ad Haiti (FOTO ANSA)
ranno gli americani oppure le Nazioni Unite? E se sarà l’Onu, chi prenderà il comando? Saranno i brasiliani, i venezuelani, i cinesi, gli europei? Questa sembra essere la questione politica cruciale. Altro dato importante è che le Nazioni Unite hanno troppe mostrato falle in momenti di emergenze e questa volta non possono permettersi di perdere fondi o gestirli male. Intanto lunedi c'è stata una riunione Onu a Montreal con il primo ministro haitiano e il ministro della salute Alex Larsen per affrontare la gestione di questa enorme crisi.
ripristinare l’uso dell’acqua potabile, la luce, il carburante, pianificare la ricostruzione”. Parola di Chantal Laurent, consulente internazionale del governo haitiano appena tornata a Roma da Port au Prince e già in contatto con le istituzioni internazionali per iniziare nuovi progetti. Architetto urbanista, Chantal era fortunamente a casa nella zona di Petionville quando la terra caraibica ha cominciato a tremare. “Stavo lavorando a un importante progetto dell’Unione europea sulla gestione dei rischi e dei disastri. Bruxelles aveva approvato un programma di sei milioni di euro: stavamo studiando l’impatto dei disastri climatici su Haiti e i modi di prevenzione” racconta la Laurent, già inviata per la Banca Mondiale e altre organizzazioni internazionali in Africa e in Iraq. Ma ad Haiti, che ha già subìto tanti disastri ambientali, non si conosceva il rischio dei terremoti? No. Ad Haiti non esiste, nella memoria collettiva, la percezione del pericolo sismico. Nel 1907 ci fu un terremoto al nord e nel 1771 ce ne fu uno a Port au Prince. La gente non credeva fosse un sisma. Anzi, quando la terra si muoveva, molti pensavano secondo il credo voodoo che fosse opera di un lupo mannaro che abitava nel sottosuolo. In realtà, poiché ad Haiti non ci sono i lupi, il mostro era raffigurato come una mucca con gli occhi rossi che scuoteva la terra. Leggende a parte, però, con l’Unione europea stavamo prepa-
rando un sistema di prevenzione con gli strumenti geosismici per l’allerta dei cicloni, per combattere la siccità e per identificare le zone a rischio. Ad Haiti, il territorio è stato distrutto dal disboscamento. Come si farà ora a ricostruire tutto? Quale sono le priorità? Questo orribile terremoto forse potrà far ripartire Haiti su nuove basi, con nuove regole e con un vero sviluppo locale con i prodotti agricoli locali. Adesso bisognerebbe spostare subito il governo nella seconda città. Cape Haitien, dove c’è luce ed acqua. E, con l’aiuto delle Nazioni Unite, bisognerebbe ricostruire le città colpite, aiutare chi è ancora in vita e ha perso tutto. E’ inutile che il primo ministro stia in una stanzetta all’aeroporto, vicino agli americani. La sicurezza non è un problema reale? Certo. Basti pensare che tutti i commissariati di polizia sono crollati e tanti poliziotti sono morti. Già prima del terremoto ce n’erano pochissimi. Solo 8000 per nove milioni di abitanti. Ma gli americani, con l’arrivo dei militari, stanno esagerando. Ci sono già i Caschi blu diretti dai brasiliani che conoscono meglio il territorio. Stanno arrivando aiuti da tutto il mondo eppure ci sono ritardi negli arrivi dei beni medici. Adesso serve organizzare, distribuire e gli americani hanno sempre fatto le cose male. Lo so bene perché l’ho visto in Iraq. Adesso hanno solo paura che ci sia un esodo massiccio di “boat people” verso la Florida. E sono arrivati subito ad Haiti i marines, armati con un frasario già pronto di lingua creola. Hanno paura che ci sia una nuova fuga degli “schiavi”. Prima della tragedia, in cosa hanno sbagliato gli americani nei confronti di Haiti? Hanno reso gli haitiani sempre più dipendenti dei loro prodotti agricoli: per esempio hanno fatto entrare sul territorio dell’isola il riso prodotto in America a costi bassissimi. Mettendo così in difficoltà la produzione agricola haitiana. Nel 1986 hanno lanciato un allarme per la febbre suina e poi hanno portato ad Haiti dei maiali e dei polli enormi, pieni di ormoni che stanno cambiando e distruggendo le abitudini alimentari locali. Gli americani, negli anni, hanno indebolito Haiti. Raf. Sca.
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DAL MONDO
“IL BURQA OFFENDE LA REPUBBLICA” E PARIGI VOTA IL DIVIETO Ma non lo porta nessuno: solo 350 donne in tutto il paese di Gianni
Marsilli Parigi
urqa da vietare sicuramente nei “luoghi pubblici”: treni, autobus, ospedali, università, uffici comunali. Burqa da vietare probabilmente in tutti gli “spazi pubblici”: strade, piazze, giardini. Burqa che in ogni caso “offende i valori della Repubblica” degradando la donna, dissimulando volti e corpi e identità. Burqa da mettere all’indice, auspicabilmente, con una legge “ad hoc” ancora da scrivere. Sono queste le conclusioni dei lavori dell’apposita commissione parlamentare francese, presentate ieri mattina. E’ stato un parto molto travagliato, a destra come a sinistra. Il tema scotta, divide, offende. A sbatterlo sul tavolo era stato in giugno André Gerin, deputato comunista del Rodano. Gli era venuto subito dietro Éric Raoult, deputato dell’Ump, il partito del presidente. In questi mesi hanno lavorato in grande armonia: il comunista ha presieduto la commissione, il gollista gli ha fatto da attivissimo vice. I socialisti son rimasti a guardare la strana coppia, annusando opportunismo elettorale a buon mercato: se è vero che “la Francia intera è contro”, come dicono le conclusioni, perché allora bombardare il burqa sul palcoscenico nazionale? Le statistiche sembrano dare ragione alle diffidenze dei socialisti. L’estate scorsa venne reso noto, e confermato dal ministero degli Interni, un rapporto dei servizi d’informazione. Vi si potevano leggere cifre non certo allarmanti. In Francia le donne che vivono coperte dal niqab dalla testa ai piedi, viso compreso, a casa e in pubblico, non sono più di 357. Una maggioranza di queste, inoltre, lo fa volontariamente, sulla base di una scelta religiosa di ispirazione salafita, molto radicale, e spesso di una certa volontà di sfida alla società e alla famiglia: il burqa un po’ come i piercing che spuntano dalle labbra, le orecchie, le sopracciglia, il naso. L’80 per cento di queste donne hanno meno di trent’anni, il 26 per cento sono francesi convertite all’islam. E’ da queste per-
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BUONE NOTIZIE
centuali che sono nate ieri reazioni come quella di Jamel Debbouze, volto del cinema e della tv tra i più popolari: “Il burqa non è neanche un epifenomeno, concerne 250 persone. Che non vengano a romperci i coglioni con questa roba. Si tratta di xenofobia, voilà. E quelli che vanno in quella direzione sono dei razzisti”. Jamel ha dato voce a modo suo a un timore molto diffuso nella vastissima (quasi cinque milioni) comunità di origine nordafricana di Francia: che ancora una volta si prendano a pretesto singoli e rarissimi episodi per stigmatizzare “i musulmani” o “gli arabi”. Anche un moderato come Dalil Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi e interlocutore costante di Sarkozy, trova che “non c’è motivo di lan-
Baghdad senza pace
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lmeno 18 persone sono morte e 80 sono rimaste ferite per un attentato ieri a Baghdad. Un’autobomba è esplosa nei pressi dell’Istituto di medicina legale che fa capo al governo. E’ il quarto attacco in 24 ore. Tra cinque settimane il paese è chiamato alle elezioni legislative e presidenziali.
No a commissione su Piombo fuso
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essuna commissione accerterà se Israele abbia compiuto crimini di guerra durante l’operazione contro Hamas “Piombo fuso”, lo scorso anno a Gaza. Le accuse erano contenute nel rapporto della commissione dell’Onu presieduta dal giudice sudafricano Richard Goldstone. Lo ha dichiarato il ministro dell’Informazione Yuli Edelstein, secondo cui Israele consegnerà domani all’Onu un documento con i risultati dell’inchiesta interna condotta dalle sue forze armate.
Donne con il niqab, che come il burqa copre l’intera figura ma lascia scoperti gli occhi (FOTO ANSA)
no che non si fermi il dibattito sull’identità nazionale”. Perché il tutto, identità e burqa, fa parte indubbiamente del pacchetto con il quale Sarkozy si presenta alle regionali di marzo, che avranno valore di voto di mid-term. Vero è che il dibattito sull’identità nazionale, lanciato in novembre in tutte le prefetture e destinato a concludersi tra qualche settimana con gli “stati generali”, è servito più ad escludere e aizzare che ad integrare. Citiamo ancora Jamel Debbouze, che evidentemente, da ragazzo di banlieue di origine marocchina, non ne può più: “E’ stato un dibattito schizofrenico: ma insomma, io dovrei ancora giustificare il fatto che abito nel mio paese? La Francia ha anche un volto nuovo, che assomiglia stranamente al mio”. L’accusa di sterilità culturale e di
a cura della redazione di Cacaonline
L’ANNO RECORD PER L’EOLICO OFFSHORE: 828 TURBINE IN EUROPA Record rinnovabili Secondo quanto riporta Ewea, l'associazione europea dell'industria eolica, il 2009 è stato un anno record per l'eolico offshore – vale a dire per gli impianti installati al largo di mari e laghi – con una crescita in Europa del 54 per cento. In 8 nuovi parchi eolici marini, 199 turbine sono state collegate alla rete di distribuzione aumentando la capacità di generazione di 577 Mwatt. Il trend positivo dovrebbe continuare anche nel 2010 con l'installazione di 10 nuovi impianti capaci di generare altri 1.000 Mwatt. Questo porterebbe a una crescita del 75% rispetto al 2009. Gli Stati europei più virtuosi nell'eolico offshore sono la
TERRORE
ISRAELE
Tra chi lo indossa un quarto è francese, la maggioranza ha meno di 30 anni e lo fa volontariamente ciare una grande riflessione nazionale, non vedo l’emergere di un fenomeno fondamentalista”. André Gerin, il presidente della commissione, ritiene invece che i burqa in circolazione siano molto più numerosi, circa duemila, e oltretutto in costante ascesa. Non che cambi un granché, la cifra resta marginale, e poi c’è questo inghippo della “libera scelta” di molte di queste donne, che potrebbe far cassare un’eventuale legge da parte della Corte costituzionale. Ma c’è soprattutto, ben annidato sotto la proclamazione dei grandi principi che tutti condividono, un corposo interesse politico nell’agitare la questione. E’ questo che hanno denunciato i socialisti (non tutti, alcuni sono per una drastica legge), decidendo di non prendere parte alla votazione in seno alla commissione “a me-
N
Gran Bretagna (44% della produzione totale UE) e la Norvegia (30%). Più in generale l'Europa con le sue 828 turbine è considerata leader mondiale nel settore. (Fonte: Ansa Ambiente) Contro la pena di morte L'Angola l'ha cancellata dalla sua Costituzione, insieme alla tortura, ai lavori forzati e a tutte quelle pratiche disumane e degradanti per l'uomo. In Mongolia invece il Presidente ha istituito una moratoria ufficiale delle esecuzioni che verranno sostituite da condanne a 30 anni di prigione. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)
elettoralismo non sembra tuttavia frenare il treno in marcia: la presidenza della commissione ha auspicato caldamente che della spinosa faccenda si faccia carico adesso il governo, presentando una sua proposta di legge. Nicolas Sarkozy non ha ancora dato indicazioni precise sulla strada da intraprendere. Certo, ha fatto sentire la sua voce per condannare l’uso
del burqa, e ci mancherebbe: “Non è il benvenuto in Francia”, aveva già detto nel giugno scorso suscitando l’immediata reazione di al Qaeda che aveva diffuso uno dei suoi video pieni di promesse di morte. Il terreno è minato e percorso da violente tensioni. Sta a lui fare in modo che il burqa, da detestabile e umiliante aggeggio, non diventi paradossalmente simbolo di libertà.
I Servizi segreti cechi e il rapimento Moro Servizi segreti della Cecoslovacchia comunista potrebInelbero avere avuto un ruolo nel rapimento di Aldo Moro 1978. Lo hanno confermato Pavel Bret, il direttore dell’Ufficio per la documentazione dei crimini del comunismo e Eva Michalkova, che si occupa del caso. Le indagini, stando alle dichiarazioni, sono state riaperte quattro anni fa, ma a far parlare i responsabili è stata una notizia pubblicata lunedì dal quotidiano Hospodarske Noviny. Brete e Michalkova hanno detto che i dati a loro disposizione sono attendibili ma per portare avanti le indagini hanno bisogno di informazioni concrete da parte delle autorità italiane. “Non escludiamo – ha detto Michalkova – l’ipotesi di un appoggio alle Brigate Rosse. L’unico dato certo riguarda la presenza sul territorio ceco di Renato Curcio, che alcuni anni prima del rapimento ottenne un visto di passaggio: ignoriamo però quanto tempo trascorse in Cecoslovacchia e chi incontrò”. Gli inquirenti cechi stanno verificando la notizia di un centro segreto di addestramento dei membri delle Br vicino Karlovy Vary. “Se veramente ci fosse stato un addestramento ne sarebbe a conoscenza un gruppo ristretto di persone, ovviamente obbligate a osservare il silenzio”, hanno detto i responsabili dell’Ufficio. Di conseguenza, per gli inquirenti è importante sapere se la polizia italiana ha rivelato “la provenienza delle armi usate dai terroristi contro le guardie di Moro il giorno del sequestro e in che modo queste armi siano arrivate ai terroristi”, ha detto Bret. Su Hospodarske Novinyinfatti, si ipotizzava che i fucili mitragliatori Scorpion usati dai terroristi fossero di provenienza cecoslovacca. Sul ruolo dei Servizi segreti cechi riguardo al rapimento Moro, insomma, non ancora tutto è chiaro.
COREA DEL NORD
Bizzarra fuga del diplomatico
U
n diplomatico nordcoreano in servizio in Etiopia ha compiuto una diserzione bizzarra rifugiandosi nella rappresentanza diplomatica sudcoreana dello stesso paese per riuscire poi ad approdare, dopo diverse settimane, nella capitale Seul. Secondo quanto riporta la stampa sudcoreana, il diplomatico, un medico di 40 anni, si è presentato a ottobre all’ambasciata sudcoreana in Etiopia, dove ha chiesto asilo politico. La sua fuga ha mandato su tutte le furie il regime di Pyongyang.
GIAPPONE
Sempre più suicidi: effetto della crisi
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n Giappone resta alto il numero dei suicidi: oltre 32.000 casi nel 2009, in rialzo sul 2008. Anche, dicono gli esperti, per gli effetti della crisi economica. Le persone che si sono tolte la vita sono state 23.406 uomini e 9.347 donne, 504 in più del 2008. In termini di suicidi il Giappone si colloca al quinto posto a livello mondiale. “E’ un fenomeno – spiega Junji Tsuchiya, direttore del dipartimento di Sociologia della Waseda University di Tokyo – che nasce da un’altissima angoscia sociale e l’aumento delle diseguaglianze derivato dalla crisi”.
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Mercoledì 27 gennaio 2010
SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
CARLO FRECCERO
Pochi soldi tanti giovani La ricetta di Rai4
Artefiera Dal 29 al 31 gennaio, a Bologna, mostre e dibattiti
Televisione Codacons: una parolaccia ogni 20 minuti
Cannes Tim Burton sarà presidente della giuria del Festival
Olimpiadi Roma 2020: tre giorni di spettacoli per la candidatura
Con 8 milioni di euro all’anno, è la prima rete non generalista nelle regioni passate al digitale terrestre. E l’azienda per “premiarla” voleva cambiarle nome
di Carlo
Tecce
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on conta la categoria, se il giocatore è un fuoriclasse. “E’ come se proponessero a Kaká di giocare nell’Avellino”. Carlo Freccero gioca nell’Avellino di un carrozzone sgonfiato dai debiti e mai sazio di canone e prebende. E segna: “Non esultiamo, leggiamo i dati”. Prego, direttore: “La giovane Rai 4 (classe 2008) è la prima rete non generalista sul digitale terrestre”. La classifica è da capolista e da capogiro: prima nel Lazio (3 per cento di share), buone posizioni da Belluno e Palermo (1 per cento). NATIVI DIGITALI. Chi fa teorie sommarie, affascinato dalla terza o quarta edizione di Ballando con le stelle, la chiama tv dei giovani. Più precisi: “Coloro che sono nati dopo il 1975 conservano nella memoria solo la televisione commerciale. Chi è nato dopo il 1990 – aveva detto in un’intervista – guarda la televisione solo sul computer. Sono, appunto, i nativi digitali. I veri cittadini del mondo: noi siamo i migranti che devono adattarsi alla loro cultura”. Non sono scarti, e via i maligni. Non sono eccessi, e via i bigotti: “In estate, alle due di notte, abbiamo trasmesso Emmanuelle”. Il classico dell’erotismo, il porno morbido, un po’ vintage e un po’ cinema vietato ai minori. “Polemiche su polemiche... Che polverone su Angel”. Testuale dalle schede: “Un vampiro trasformato da un sortilegio in difensore dei deboli, interpretato dal tenebroso David Boreanaz”. Volevano sospendere Angel, avvoltoi della censura sull’isola felice (e un po’ abbandonata dai consoli e presuli di viale Mazzini). Il direttore arringa il popolo di chat, blog e community. Pa-
role inglesi, concetti italiani: no, alla censura. “Che spesso è autocensura. C’è così paura di sbagliare, che qualcuno preferisce restare fermo. Può sbagliare chi è fermo?”. Passo indietro, macché. Due avanti: a febbraio riprende Angel, quarta stagione, tra il mostro di roccia (alias la bestia) e la scomparsa di Cordelia: “La televisione sta vivendo una fase di rinascita e sperimentazione, nei confronti di un cinema che stenta a trovare nuove identità. Oggi le serie si traducono in film e non viceversa”. ANIME. Se le reti commerciali sono un carrello sommerso dalla lista della spesa, contaminata da gusti, prezzi e pessime abitudini, Rai 4 ha scelto tre prodotti che, nella narrazione di Freccero, diventano un marchio: “Noi proponiamo la fantascienza con Battlestar Galactica, il drama con Crash e poi l’azione e le nostre produzioni”. Una biografia spicciola di Freccero, Savona 1947, avrebbe in testa (anche più del titolo) il colpo di fulmine di Berlusconi. E il suo racconto, cult: “Ho iniziato col cinema parecchi anni fa quando da ricercatore di Filosofia a Milano, scrissi trecento riassunti di film per un’enciclopedia di Berlusconi e lui, stupito per la velocità del lavoro, mi assunse a Canale 5”. Il giovane ricercatore, oggi professore, ha importato le anime giapponesi, relegate al confino tra i calmanti per bambini e le nicchie per feticisti del genere. Freccero parla di Code Geass e Gurren Lagann a settembre, quando RaiUno inietta nel palinsesto l’ennesima replica di Sister Act: “Quando i fan delle anime hanno scoperto che la Rai avrebbe trasmesso due serie televisive in versione fedele all’originale, i commenti erano increduli. Perché la Rai è considerata una rete vecchia”. IL CARRELLO. Riprendiamo il carrello. Freccero guarda al mercato americano e al lontano oriente, chiede consigli, accetta proposte: il sito di Rai 4 è un pensatoio: chi entra, può scrivere. Quasi ordinare: vorrei... Nessuna limitazione, soltanto un’avvertenza: “Basta con i santi, i preti, i
carabinieri e i poliziotti, cerchiamo qualcosa di fresco”. Dipende dalle scorte in frigo e dai soldi in cassa, pochini: 8 milioni di euro per il 2009, punto interrogativo per il 2010. Per fare un paragone: gli incentivi al pensionamento per due giornalisti della Rai – Marcello Del Bosco e Angela Buttiglione – all’azienda sono costati oltre 1,5 milioni. Quasi il 20 per cento delle risorse di Rai 4. Eppure Freccero, del motto di RaiDue memoria e innovazione, può vantare due specialità della casa: “E sono
fiero. Vite reali, il settimanale che presenta al pubblico televisivo le celebrità del Web e Sugo, dedicato ai consumi mediatici, ai culti e tormenti della generazione 2.0”. Breve cronaca di un successo nemmeno tanto annunciato, una scommessa a zero euro. Le frasi sono fatte e strafatte, e le conseguenze? I vertici dai galloni lucenti premieranno Rai 4? Oppure le somme fanno
troppo il totale: tre tv per il servizio pubblico, tre per Mediaset, dove mettiamo ‘sta quarta di Freccero? E così, geniale, la direzione voleva cambiare il nome: “E perché? Rai 4 va benissimo. Dov’è l’esigenza a due anni dal battesimo?”.
Freccero è immerso in Rai 4, potrebbe recitare il palinsesto a memoria. Sarà il suo quarto o quinto spezzone di carriera. La sua fama ha origine in Mediaset, chi l’avrebbe mai detto: assistente a Rete4 (proprietà Mondadori), capo dei programmi e poi direttore di Italia1, inviato della Fininvest per curare La Cinq francese. Rimpatria a RaiUno, consulente. E consacrazione con la direzione di RaiDue – Anima mia, Macao – da Prodi a Berlusconi: dal ‘96 al 2002, e poi una scorpacciata di anni sabbatici. “Colpa del berlusconismo, ma non solo”. Rientra dalla periferia, presidente di RaiSat nel 2007, tutore di Rai 4 nel 2008. Freccero conserva i dettagli del passato. Avevamo introdotto un colpo di fulmine. Nel mucchio selvaggio di una biografia, l’epitaffio di Freccero merita la chiusura: “Ho lasciato Berlusconi il 5 febbraio 1992. All’inizio della mia direzione di Italia1 misi in onda Gianfranco Funari e Giuliano Ferrara: erano programmi che affrontavano le magagne di Tangentopoli. Berlusconi ci vide la possibilità di una commistione tra politica e televisione. Non ero d’accordo. Quando una storia finisce, finisce”. E Rai 4? “Lunga vita”. Dall’alto in basso: il logo di Rai4, Carlo Freccero e il presidente della Lazio Claudio Lotito (FOTO ANSA)
L’amore ai tempi del pallone
che la Lazio si era comportata correttamente”. Tradotto: la società biancoceleste ha, da tempo, tolto il giocatore dal lato “reietti” e l’ha reintegrato nel gruppo. “Non ci aspettavamo una cosa così vergognosa - ha detto l’avvocato del giocatore, D'Ippolito - è incredibile che il giudice non abbia preso in considerazione alcuni documenti che avevamo portato come prova. Non è stato considerato il fatto che più volte poi il ragazzo è tornato ad allenarsi da solo. È stato un reintegro fittizio. Ora Ledesma è davvero triste, ma faremo un ricorso di urgenza”. “Urgente” per la voglia dell’Inter di ingaggiarlo, ma secondo lo stile Pan-
LOTITO SI “RIPRENDE” LEDESMA, SPINELLI RIABBRACCIA COSMI pare lo abbia sentito urQtroualcuno lare, nel suo ufficio. Qualcun alha anche aggiunto: sì, ed erano pure frasi in latino. Scomposte, ma pur sempre in “lingua madre”. Di certo, la giornata di ieri è stata trionfale per il presidente della Lazio, Claudio Lotito, una delle poche negli ultimi mesi: il lodo Ledesma è stato dichiarato inammissibile. “Ci hanno dato ragione nel merito - ha detto il legale della Lazio, Giammichele Gentile -. Hanno riconosciuto
dev, a tasso zero, mica dopo una trattativa con Lotito, famoso per essere uno dei più duri, “tignosi” e imprevedibili in fase di contrattazione. Lui non svende, prende sulla stanchezza l’“avversario”. Happy end anche a Livorno: Serse Cosmi è tornato all’ombra dei Quattro Mori. È bastato un colloquio tra il presidente Spinelli e l’allenatore: “Direi che è stato un incontro molto, molto bello e chiarificatore - ha annunciato l’imprenditore ligure, sempre a caccia di un acquirente per la squadra -. Abbiamo parlato dell'incidente di giovedì, ci siamo chiariti e tutto è finito”. Roba forte. Di certo, c’è soddisfazione tra la maggior parte dei tifosi amaranto, vicini al mister anche per ragioni politiche. Essere di sinistra conta ancora da quelle parti. al.fer.
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SECONDO TEMPO
PERS ONAGGI
di Malcom Pagani
o aspettò in salone, a diciott’anni, tra libri e divani, per stendersi davanti alla sua probabile disapprovazione. “Papà, ho deciso, faccio l’attore”. Seguì meditato silenzio, interrotto dal giudizio. Secco, incontrovertibile. “Solo un coglione può fare una scelta del genere”. Padri, Figli, destini. Architrave e motore di Baciami ancora, il film in cui Pierfrancesco Favino, 40 anni, dimostra che l’opzione di allora, brillava di senso. Accademia d’arte drammatica, Ferrero, Ronconi, Costa. Primi esordi all’inizio dei Novanta, poi l’incoronazione. Lo paragonano a Gassman e Volontè “due modelli inarrivabili”, una strada percorsa con Placido, Tornatore, Bellocchio, Ozpetek, Muccino. Il regista che credette nella recitazione di Picchio dieci anni fa e che oggi, in Baciami ancora, gli affida il ruolo più ingrato. Quello di un uomo in crisi coniugale, che pur di non perdere la base della sua esistenza, è disposto a una prova d’amore inimmaginabile. E ride, piange, bestemmia, si dispera, vota a destra senza nascondersi. “Ma nell’urna, adesso, che hai scritto? “Fini. Ma non solo adesso”. E poi esce nella notte come il trentenne che non sarà più e sa aiutare e ricevere ausilio, quando i venti gli sbattono in faccia preventivi troppo ottimistici e scoperti nel conto corrente dei sentimenti. La figlia Greta, tre anni e mezzo, gli chiede attenzione: “Papà, vieni a vedere la casa” e lui si sdoppia “è bellissima, adesso arrivo”, cercando nelle parole, il pudore cui detesta derogare. C’è un modo di essere e un altro di non sembrare. Per Favino, la dualità confina con l’inganno. In “Baciami ancora”, le viene chiesto di cambiare opinione, ripensarsi, accettare come suo, il figlio di qualcun altro. Mi sono chiesto se nella vita reale, avrei avuto il coraggio di andare veramente fino in fondo. Il mio personaggio si mette in discussione e solo quando ogni cosa sembra perduta, trova la forza di fare i conti con i propri errori. È un tradizionalista che a un tratto, si scopre tollerante. Più di altri che nella storia, hanno fatto dell’apertura verso il mondo la propria
L
IO, MUCCINO E I MIEI 40 ANNI
Piefrancesco Favino e il sequel de L’ultimo bacio: “Vivo di autocritica” bandiera. Più di tutti, anche perché tra i temi toccati, c’è la virilità. Per molti miei coetanei è un’ossessione identitaria che confina con la psicosi. Dieci anni dopo, Muccino vi ha riunito per il sequel di un film che fissò il fotogramma di una generazione. È da un po’ che si diceva ‘sarebbe bello rifarlo’, ma remake o sequel, sono termini che non spiegano nulla. I personaggi sono più vecchi di allora e si trovano in due fasi della vita che sono così diverse, da avere pochi punti in contatto. A 30 anni, con i sogni ancora davanti agli occhi, si ha paura di definire la propria esistenza e si desidera che vada esattamente su binari prestabiliti in anticipo. A 40 si fanno i conti. La vita ti ha sorpreso, spingendoti in angoli che non ti aspettavi. Oppure, dove speravi di approdare, non ti ha portato affatto. Alla nostra età faresti qualunque cosa perché le cose che hai costruito non scappino o funzionino bene. Quando non accade, è un dramma. L’impianto, rispetto all’avventura originaria, è più complicato. Narrativamente il film è giustamente diverso. Lo si può guardare come l’ideale prosecuzione di un discorso interrotto, scoprendo personaggi che nulla o poco hanno a che fare con il
recente passato. Dopo gli elogi iniziali, con Muccino i critici si sono esercitati nella stroncatura. È stato il trionfo dell’esagerazione. Supervalutazioni e insulti. Ammettiamo, come è stato scritto, che l’Ultimo bacio fosse un capolavoro e Ricordati di me una porcheria. Chi in occasione del primo film gridò al miracolo del nuovo Scola, avrebbe dovuto avere l’onestà di ammettere l’errore originario. Ho sempre pensato che su Gabriele si esercitasse il preconcetto. Non a caso, per esprimersi lontano dal livore, è dovuto emigrare. In America. Dove ha fatto due film. Sette anime è un’opera difficilissima. Un lavoro in cui decidi che il protagonista fino al minuto ottanta ti sta antipatico e poi, improvvisamente, capisci che succede e rivedi il quadro. È un film pieno di rischi e il Muccino postamericano, è un regista che sperimenta e osa più di prima. Tuffo nel passato. Pierfrancesco Favino, quarto figlio dopo tre sorelle. Quando decise di fare l’attore? A otto anni entrai in un teatro. Dal punto di vista emotivo, fu un colpo al cuore. Non capii fino in fondo il contesto ma rappresentò una fascinazione molto particolare. Fare l’attore o
l’astronauta, credo che almeno all’epoca, facesse parte dei desideri di milioni di bambini. Oggi preferiscono immaginarsi calciatori. Il primo a darle fiducia fu Lino Capolicchio. Pugili, 1995, un film povero. Per la tv avevo fatto qualcosa ma allora vivevo una sorta di adolescenza protratta. Il domani? Una nebulosa. Per mantenermi, facevo molti altri lavori. Ma non mi sentivo né un eroe, né un disgraziato assalito dalla frustrazione. Sento alcuni colleghi ricordare i tempi grami con enfasi eccessiva: ‘Facevo il cameriere ma ero un genio’ (cambia voce, quasi in falsetto) come se servire ai tavoli fosse una cosa vergognosa. Io non sapevo e ancora oggi non so, quello che valgo dav-
vero. L’attore, mestiere difficile. Tutta la vita in attesa di uno squillo. Le cose mi sono andate bene, ma anche quando non mi chiamava nessuno, evitavo l’autocommiserazione. Più che preoccuparmi per ciò che non succedeva per colpa degli altri, ho sempre preferito concentrarmi su quello che poteva ac-
L’attore Pierfrancesco Favino visto da Emanuele Fucecchi
IL FILM I mondi inconciliabili di Gabriele il perfezionista rla Marco Cocci, l’idealiUpiazza sta del gruppo, in una di Roma, al riparo di una notte umida in cui tutto sembra possibile. Grida ai
Il regista
“BASTA CON IL CINISMO” ulla scia dell’ottimismo clintoniano, feci un film cinico come “S ‘L’ultimo bacio’. Oggi dopo l’11 settembre, con i terroristi che ci sono entrati in casa, racconto le cose semplici che ci fanno sentire in vita, come il ‘Papà’ detto da un figlio, perché la famiglia è il nucleo centrale, primordiale”. Così Gabriele Muccino, che firma il sequel del suo fortunato “Ultimo bacio” (2001): “Baciami ancora”, prodotto da Fandango e dal 29 gennaio su 600 schermi con Medusa. Dopo gli americani “La ricerca della felicità” e “Sette anime” con Will Smith, “soffrivo l’esilio Oltreoceano – dice il regista – e volevo tornare profondamente libero, per inseguire la mia visione”. Ma negli States, potrebbe tornare a lavorare già in estate, con “una storia d’amore ambientata su un’astronave" interpretata da Keanu Reeves, che sarà seguita da una commedia all’italiana, con gran parte del cast di “Baciami ancora”. Sui personaggi femminili del sequel, il regista sottolinea come “la società oggi richieda alle donne prestazioni eccezionali: devono essere madri e in carriera, ma il mondo del lavoro è così ostico da nevrotizzarne il rapporto con gli uomini. Tuttavia, loro sono più vicine alla verità, al senso della vita, mentre a noi mancano le chiavi d’accesso…”. L’ultima parola è per sconfessare di aver voluto inquadrare la generazione dei 40enni: “E’ un incubo. Anche nell’Ultimo bacio, non ho mai avuto la tentazione di mettermi in cattedra: navigo a vista, con orizzonti limitati, questo (Fed. Pont.) non è l’assioma di una generazione”.
suoi amici, a se stesso, alla vita che avrebbe voluto avere e che ancora non ha avuto il coraggio di percorrere: “Siete morti e neanche ve ne siete accorti”. Non ha torto. Gli ex ragazzi ora quarantenni de “L’ultimo bacio” si ritrovano a distanza di un decennio. Hanno meno incoscienza di un tempo, desideri annebbiati, figli a carico, separazioni, frustrazioni. “Baciami ancora”, due ore e venti di fotografia di un’età in cui si iniziano a fare i conti, assolve senza esitazioni alla propria funzione. Intrattiene, fa pensare, sorridere, riflettere. Muccino (che non è Moccia) accumula temi e personaggi, pecca di generosità, lavora di addizione, quando a tratti, servirebbe sottrarre. I suoi personaggi, anche quando sostenuti dalla compagnia, sono soli con se stessi, con i loro egoismi. Uomini e donne, universi separati, almeno fino alla fine, quando la morte squassa il quadro e l’immaturità diventa presa di coscienza. Vittoria Puccini
(bella e convincente) sostituisce senza rimpianti Giovanna Mezzogiorno, intorno a lei e a Stefano Accorsi, (vitellone che sogna di tornare in famiglia e chiudere il cerchio dell’irresponsabilità), girano attori efficaci, storie difficili, universi. Pasotti e Impacciatore, Valeria Bruni Tedeschi (qui al ritorno a distanza di anni su un set italiano), Pierfrancesco Favino e Claudio Santamaria. Muccino tiene la barra. Che sappia girare, non è un mistero, che il viaggio negli Usa gli abbia fornito il necessario coraggio per sperimentare, neanche. Ma il vero motore del film, il tema sottotraccia che non abbandona mai, è la prole. I figli che obbligano, i figli che si sognano, quelli che si sarebbero voluti avere e quelli messi al mondo per sbaglio. E’ nelle loro mani, nella loro consapevole diffidenza, cattiveria o indulgenza, che i grandi trovano le linee per leggersi dentro. Fino all’errore successivo. Perchè si sba(M.P.) glia, capita a tutti.
cadere grazie a me. Nessun complotto, se non mi prendevano, evidentemente, era anche colpa mia. Sembra di ascoltare la parabola morettiana sul braccino dei tennisti italiani, che non perdono mai per colpa loro ma per mille altre, risibili ragioni. Vale per tanti ambienti. La nostra è una generazione che allontana la responsabilità. Sembra che i fallimenti non dipendano mai da noi. Ma per rimanere al mio universo, basterebbe non considerare l’autocritica come un’eresìa. In un ambito creativo, sbagliare o incorrere negli insuccessi è normale. Vale per me, come per attori immensi come Mastroianni o Volontè. Magari nel chiuso del bagno, ma sa quante volte mi sono detto ‘Pierfrancè, sei stato un cane?’ Tante. Posso disegnare e far finta di essere Picasso ma contestarsi, mi creda, è uno degli esercizi più sani che esistano. Cosa è accaduto al cinema italiano? Io non sono uno storico del settore e cambio idea volentieri. La sensazione è che sull’onda di
ciò che accadeva in Francia nel ‘68, ci sia stato un impulso al rinnovamento. Lì conoscevano i padri putativi e ne seguirono la lezione e noi che avevamo già avuto Rossellini, De Sica e Germi, invece di imparare dai maestri, reinventammo senza guardarci indietro. Un errore. Di miopia. Un atteggiamento che falsò le carte e ridusse a zero il potere degli sceneggiatori. Sono pochi, quelli che sanno scrivere e dirigere e la nostra storia non ha creato eredi, perché se vedo un film italiano, tranne rare eccezioni, rimango deluso. Non sono cresciuti mille Antonioni. Un peccato. Qualcosa sta cambiando. C’è un desiderio di recupero dell’artigianalità e stiamo iniziando a capire che ‘popolare’ e ’intrattenimento’, non sono parolacce. Se si va a vedere Virzì, si scopre un bel palazzo in cui brillano tutte le tracce di un cinema assolutamente classico. La gente ha il diritto sacrosanto, quando si siede in platea, di capire chi sono i personaggi. Se non gli concedi neanche questo, il minimo che ti possa aspettare è la diserzione della sala. Di autoreferenzialità assortita, francamente, non se ne può più. Lei interpreterebbe un cinepanettone? No. Penso che nella nostra tradizione ci sia un filone più intelligente ma non rifiuterei per snobismo. Il problema non è il cinepanettone ma l’alternativa allo stesso. Se dai ‘90, abbiamo faticato ad inventare, non si può imputare a un’industria che ogni anno, puntualmente ripete se stessa. Io non saprei fare bene quello che De sica fa a modo suo. Valuto, non demonizzo. Guardi il cinema francese. Dica. Sono attratto da un altro tipo di scrittura ma i più grandi successi d’Oltralpe, sono delle cose equivalenti ai nostri cinepanettoni. Loro però non si scandalizzano, non tutta la produzione può annoverare i capolavori di Techinè. Di lei dicono: ‘è il miglior attore italiano degli ultimi dieci anni’. Preoccupato? No e neanche del contatto con il pubblico. Non mi urlano ‘sei un fico’ e di recente, la cosa che più mi ha fatto piacere è stato incontrare una signora di 75 anni. Mi ha dato una carezza: “Bravo ragazzo mio”. Sembra De Amicis, ma è stata una soddisfazione. La politica? Le ideologie facevano litigare. Ma si credeva in qualcosa. Oggi quella passione si è impoverita e penso si respiri un vuoto. La violenza maggiore di questi tempi senza orizzonte è aver tolto speranza nel cambiamento. La persona che esce alle 7 e torna alle 10, ha la percezione che il proprio sforzo non muterà neanche le sorti del piccolo gruppo di persone a cui vuole bene. Impotenza e sudditanza. Questo mi spaventa. È felice? Senta questa poesia. ‘E chi lo è felice? Felice non si dice. È una parola che immalinconisce’. Ecco, io mi vedo così. Per sentirmi vivo, ho bisogno di una meta irraggiungibile.
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IL PEGGIO DELLA DIRETTA
TELE COMANDO TG PAPI
Democrazia fatiscente di Paolo
Ojetti
g1 Ai funerali di Chiara e Marianna “lacrime e palloncini bianchi”. Così è partito il Tg1 di ieri. L’arcivescovo era tra la gente e non a celebrare sull’altare “una morte annunciata”. La commozione era tanta, niente da dire, ma il compito di un organo di informazione dovrebbe essere quello di far emergere – fra i pianti e i fiori funebri – le responsabilità antiche e nuove. Ci sono famiglie che vivono ancora in tuguri identici a quello crollato e – a poche centinaia di metri di distanza – file di case “popolari” mai assegnate e già fatiscenti: chi non le ha “assegnate”? E per quale oscuro impedimento burocratico o per quale malvagia speculazione edilizia e interesse politico? Per un telegiornale che pretende un ruolo di leadership del settore, come ri-
T
pete sempre il Tg1, fiori e lacrime non debbono bastare. Cosa importa del “sindaco in prima fila” e della “chiesa gremita”. Un abitante di Favara ha folgorato il conformismo: “La chiesa è piena perché lo Stato è vuoto”. g2 .Riecco il “premier” BerT lusconi, tirato per i capelli fuori dai suoi prolungati ozi. Il Tg2 lo prende al volo, sotto la pioggia, ombrelli corazzati delle sue bodyguard a proteggerne la cute. Emerge perché deve scusarsi con Hillary Clinton, mettere una pezza alle bordate di Bertolaso, visto che la segretaria di Stato è rimasta “profondamente offesa”. Ma è una faccenda che non può essere liquidata in quattro e quattro otto come tentano di fare i telegiornali pietosi, aggiungendo che per il segretario dell’Onu “non ci sono problemi”. I problemi ci saran-
no e quando Berlusconi e Bertolaso saranno di nuovo faccia a faccia, cosa accadrà? Paginetta politica sbrigativa per ripetere che Bersani va avanti con Di Pietro e i berluscones si mangerebbero vivo Casini che fa di testa sua. g3 La notizia è sempre la T stessa: Berlusconi si scusa con la Clinton, ma appare totalmente diversa nel Tg3. Terzulli racconta: “Berlusconi è costretto a scrivere una nota…ha dovuto bacchettare pubblicamente Bertolaso…i rapporti fra Berlusconi e l’amministrazione Obama non sono mai stati troppo cordiali..”. Deve essere, quindi, solo una faccenda semantica, di parole, di linguaggio. La controprova l’abbiamo con Bersani: il Tg3 ce lo fa vedere solo nel passaggio in cui le dimissioni di Del Bono sono “un gesto veramente apprezzabile”. A occhio e croce, queste dimissioni sono un gesto dovuto e normalissimo, vista la situazione, ma le parole – appunto – servono a piegare la sostanza dei fatti. Una sorpresa in chiusura, che arriva dagli uffici del lavoro e che la dice lunga sulla situazione economica: il mercato offre badanti. Italiane.
SECONDO TEMPO
di Luigi Galella
Culto del leader
he cosa ne è di un ciclone quando passa attraverso le “porte” della tv, e si ferma e posa nei suoi più celebrati studi? Potrebbe trasformarsi in una tiepida burrasca e poi in un venticello, uno zefiro inoffensivo. Un rischio che Niki Vendola ha voluto consapevolmente correre, partecipando contemporaneamente nella giornata trionfale di lunedì sia al programma di Lerner, sia a quello di Vespa. “L’infedele” (La 7, 21.10) e “Porta a porta” (Rai uno, 23.15) con poca fantasia titolavano entrambe: “Il ciclone Vendola”. Non sono i primi a usare questo termine per dar conto della sua vittoria, non di misura ma larghissima, alle primarie di coalizione in Puglia. E come trasformare una tempesta in una pioggerellina? Come depotenziare la Vendileide? Lasciandola “posare” e sedere in uno studio tv, e soprattutto ponendo al leader di “Sinistra, ecologia e libertà” domande del tipo: “Non pensa di iscriversi al Pd?” Prima lo stesso Lerner e poi Giovanni Valentini, da Vespa. Le novità dal sapore rivoluzionario incutono paura e le si deGad Lerner ve immediatamente conduce “L’infedele” inscatolare. Colui su La7 (F ) che da solo ha sbaragliato una strategia politica, la classe dirigente che la ispira e forse, ancora di più, il linguaggio e la struttura che le hanno finora concretizzate, si sente chiedere: perché non entra nel Pd? Come dire:
C
OTO ANSA
batto otto a due l’Invincibile Armata che doveva schiacciarmi, e soprattutto quel leader che “non ha mai perso una campagna elettorale”, e ora quegli stessi che volevano spazzarmi via mi chiedono perché non entro nella “loro” squadra. E non dovrebbe la domanda piuttosto essere: perché quella squadra non entra in me, perché non si contamina della mia esperienza di vincente? Anche se colpito, forse, dall’improntitudine, Vendola risponde in maniera saggia: “Considero che tutte le formazioni della sinistra siano in una condizione irrisolta”, “La sinistra fa fatica ad avere un vocabolario per rendersi comprensibile, per ascoltare e parlare al popolo”. Ecco, il vocabolario. Il “Poeta” (detto sprezzantemente dai suoi detrattori politici) ne ha creato uno nuovo, ma è proprio il mezzo televisivo lo strumento migliore che può esaltarne le qualità? Vendola ha un lessico lontanissimo da tutti gli altri, dalla prolissità di Berlusconi, dalla sobrietà raziocinante e asfittica di D’Alema, dalla dialettica algida di Fini. Il suo è un frasario prezioso, ricco di immagini e di suggestioni, che non teme di immergersi nei sentimenti: “Ho attraversato in lungo e in largo il Mezzogiorno d’Italia e ne ho condiviso le pene e le speranze”. Il linguaggio di un oratore all’antica, più adatto forse alla piazza reale che a quella virtuale. La questione, infine, l’ha posta lo stesso Lerner, che a conclusione del suo programma faceva inquadrare in uno schermo l’immagine dello studio rivale di “Porta a porta”, dove l’ubiquo Vendola era lì e qui: “Ma le conviene?” Intendeva: andare a “Porta a Porta”? E forse avrebbe dovuto precisare: “Le conviene proprio lasciarsi catturare e indebolire dalla sirena salottiera della tv?”
MONDO
WEB
Decreto Romani risponde il Pd l Partito democratico chieIcreto de la cancellazione del deRomani e ha presentato ieri in Parlamento un progetto di legge sulla neutralità della Rete. Il decreto Romani è un’arma puntata dal governo contro la libertà sul Web, un decreto legislativo che doveva recepire una direttiva europea e si è trasformato in una legge monstre: per Calabrò, presidente dell’Agcom “ci sono aspetti che vanno riconsiderati non sono perfettamente coerenti con gli aspetti della direttiva europea”. Proprio all’Agcom, infatti, è demandato un intervento per obbligare i fornitori dei servizi (i provider che ci forniscono le nostre connessioni casalinghe) a vigilare sulla protezione del copyright. Facendo proprie le posizioni di Calabrò, l’Unione europea potrebbe aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia. Il decreto inoltre equipara i siti Web che trasmettono video (ricevendone un non meglio specificato ritorno economico) a dei veri canali televisivi,
con tutti gli obblighi annessi. Il Pd si dice pronto a dare battaglia contro queste norme. Ma ieri ha anche presentato un disegno di legge firmato da Vincenzo Vita, Luigi Vimercati, Stefano Rodotà e Anna Finocchiaro per garantire un accesso neutrale a Internet . Il progetto di legge intende promuovere i diritti di cittadinanza; garantire il pluralismo democratico con il software aperto; e rimuovere gli ostacoli che impediscono la parità di accesso a Internet ai cittadini di disabilità e disagio economico e sociale. “Visto anche lo scontro Google-Cina – sintetizza Stefano Rodotà – sono inaccettabili le miserie che viviamo in Italia nel contesto di un’importante battaglia planetaria. Dispiace registrare una distanza culturale tra il mondo e casa nostra”.
è BARBARESCHI E LE BATTUTE DI SPINOZA LE USA NEL SUO PROGRAMMA SENZA CITARE LA FONTE
Non solo Luca Barbareschi è deputato (assenteista) ma rimane anche attore e produttore (per Rai) e conduttore (per La7). Ora per il suo nuovo programma, Barbareschi-Shock, snobbato dal pubblico, è riuscito a di Federico Mello scopiazzare bellamente Spinoza.it, uno dei siti più letti del Web che sforna battute al cloroformio sulla politica e l’attualità. “I miei autori sono anche autori di Spinoza” si è difeso. Omettendo di dire che Spinoza è un sito collettivo con circa 4000 autori è OBAMA RISPONDE SU YOUTUBE collettivi e che utilizza la licenza Creative NEL DISCORSO SULLO STATO DELL’UNIONE Commons: tutti possono usare le battute, Lunedì è stato il turno di Sarkozy: ha basta citare la fonte. Sempre che, per non chiesto ai suoi utenti Facebook di far piangere, l’unica soluzione sia usare le rivolgergli delle domande per una Talk Tv. battute degli altri. Oggi è il turno di Obama: il presidente Usa pronuncerà il suo “discorso sullo stato dell’Unione” e in diretta su YouTube, DAGOSPIA sarà possibile rivolgergli delle domande. SOLE CHE “SORGI” Obama risponderà ai quesiti più gettonate Nella rosa dei candidati la settimana successiva. Con iniziative di per la poltrona di amminiquesto tipo, non si esaurisce la richiesta di stratore delegato del Gruppo partecipazione alla politica da parte dei Sole 24 Ore, sono rimasti solcittadini. Ma è già qualcosa rispetto ai tanto due petali. politici di casa nostra. La società dei cacciatori di teste Egon Zehnder aveva raccolto il curriculum di cinque manager adatti a sostituire Claudio Calabi emigrato al vertice di Risanamento. Dall'inizio dell'anno sono spariti i nomi di Stefano D'Alessandri, Giorgio Valerio ed Ernesto Auci, che ha diretto per molti anni le relazioni esterne della Fiat. Adesso in pole position sono rimasti un uomo barbuto, Francesco Caio, e una donna dai tratti gentili, Donatella Treu. Il primo è il manager napoletano che a 53 anni non vede l'ora di ritagliarsi un ruolo professionale definitivo. Da mesi lavora per la presidenza del Consiglio intorno alla questione della Rete. Deve però fare i conti con Donatella Treu, la bella manager milanese madre di due figlie che ha fama di donna tosta e laboriosa. Nel mondo femminile le sue doti imprenditoriali sono molto apprezzate. Forse questa è la ragione per cui a Emma Marcegaglia piacerebbe vederla alla guida del Gruppo. E così finirà.
Stefano Rodotà; il libro di Ghioni; Spinoza.it; una possibile immagine del nuovo Tablet Apple (da Mashable)
GRILLO DOCET BOCCIA SHOW
Il Pdmenoelle è un partito pieno di domande. Boccia mi chiede se ho mai letto le cose che ha scritto. Lo confesso, non le ho mai lette, ma forse le hanno lette i pugliesi prima delle primarie. “Pretendo che le famiglie del San Paolo di Bari non paghino nulla e i benestanti come me e Vendola paghino di più. E, per farlo, occorre aprire le porte della gestione dell’acquedotto pugliese alla competizione tra privati”. Chi l’ha detto? Proprio lui, Boccia. E l’alleanza con l’Udc di Caltagirone, possibile candidato alla gestione dell’acquedotto chi l’ha voluta? Sempre lui, Boccia. La Puglia ha preso atto e lo ha mandato a fanculo. In realtà Boccia è un falso bersaglio. Il trio delle meraviglie D’Alema, Enrico Letta (il nipote di suo zio Gianni) e Bersani (il portavoce di D’Alema) lo ha mandato allo sbaraglio, come Corrado ai bei tempi della Corrida. Valium Prodi chiede chi comanda nel Pdmenoelle. Una domanda retorica, lo sanno tutti che comanda Berlusconi. D’Alema, Violante e Fassino sono da tre lustri i suoi migliori alleati. Più fedeli della Lega, meno rompicoglioni di Fini, più allineati di Casini. Gli hanno dato tutto: la concessione delle frequenze televisive in cambio dell’uno per è ARRIVA “HACKER REPUBLIC” cento dei IL CYBERSPAZIO COME “MILLENNIUM” ricavi, non Dopo i vampiri di Twilight e teen-soap hanno cancellato le emo-connesse è il tempo degli hacker. Ci leggi ad personam, scommette Fabio Ghioni, ‘pirata’ italiano non sono è ATTESA PER I-TABLE tra i più famosi – un passato da intervenuti sui OGGI L’ANNUNCIO DELLA APPLE antagonista e poi alla Sicurezza di conflitti di interessi Oggi, in serata, sarà finalmente alzato Telecom . E’ da poco uscito il suo Hacker (continua su il drappo che ancora tiene nascosto, Republic (Sperling &Kupfer), ispirato a BeppeGrillo.it). a curiosi e appassionati di tutto il Millennium di S. Larsson. Ghioni spiega mondo, il nuovo prodotto Apple: una con parole comprensibili ai non iniziati non meglio precisata “tavoletta” a quel “paese senza confini”, il cyberworld, metà tra un iPhone e un lettore digitale. L’iTablet (questo che si nasconde dietro gli schermi degli potrebbe essere il nome della device) avrà uno schermo utenti e che scavalca ogni regola. In da circa dieci pollici, una telecamera integrata e si potrà particolare, svela i lati oscuri della collegare ad Internet tramite la rete 3G. Con questo tecnologia, che offre facilità d’uso “per” prodotto Apple punta a rivoluzionare la fruizione di video, gli utenti e “degli” utenti: l’hacker, se di libri e giornali (e anche, sembra, dei videogiochi) su un lavora per il bene, diventa il super-eroe dispositivo portatile. La casa di Cupertino arriva alla che sconfigge il crimine, che spiega come presentazione di oggi con le casse gonfie di dollari: l’ultimo tutelarsi, che sbugiarda le panzane trimestre è stato il migliore di sempre per il bilancio politiche - il mito dell'intercettazione Apple, complici anche le vendite dell’iPhone aumentate telefonica globale. Il problema è che può del 100 per cento negli ultimi tre mesi. scegliere il male - come i bellocci di Twilight, solo più realistico. In quel caso son dolori. Saperne qualcosa di più diventa allora un dovere. (Valerio Venturi)
feedback$ è ANTEFATTO Commenti al post: “Partito Disastrato” Hanno confuso, almeno dal Migliore in poi, la disciplina (l’osservanza delle regole) col rigore (l’austera fermezza verso gli obiettivi). Non si rendono conto che l’obbedienza segue e non precede l’intransigenza, che peraltro non è rigidità ma accuratezza, precisione (Bruno) La vittoria di Vendola è la sconfitta della nomenclatura del Partito democratico non del Partito democratico. Anzi potrebbe essere l'inizio della rinascita del Partito democratico (Retrologos) E’ l'evidente prova che il sistema poco pulito e inciucioso non funziona verso un elettorato di sinistra non ancora prostituito del tutto al sistema berlusconiano (Andrea) Bersani: “Determinatissimi a sostenere Vendola”; “Sì a Di Pietro pur facendo dei distinguo sul modo di fare opposizione”. Il solito vecchio masochismo di sinistra. Bisogna farsi prima male, ma tanto male e, dopo, ma tanto dopo, capire qual è la terapia più appropriata (Therry) Delbono ha fatto bene, anzi molto bene, a dimettersi, cosa che dovrebbero fare tutti i dirigenti del Pd di Bologna. I vari De Maria, Donini, e tutta la segreteria del Partito democratico con un minimo di pudore, a stretto giro di posta avrebbero dovuto rassegnare le dimissioni nelle mani di Bersani o di qualcun altro (forse Prodi, il grande vecchio) (Ivan) Lo skipper di Gallipoli è uno a cui piacciono le sfide. Capolista in Campania (dico capolista! Mica quinto o sesto) e quindi automaticamente nominato onorevole, ma se gli chiedi come è andata ti risponde che, accidenti, lui c’ha messo la faccia. Noi, per nostro conto, ci mettiamo lo stipendio così siamo pari (Dario) La barca del lìder Maximo fa acqua, il distributore del benzinaio Bersani è a secco... speriamo che il Vento(la) del sud porti via le nubi dal Pd! (Giuseppe) Anche il fuggi fuggi che abbiamo visto a sinistra (Bertinotti, Giordano, Pecoraro Scanio) dopo che una legge elettorale concepita ad hoc li ha estromessi dal Parlamento non è male come scenario deprimente. Dopo quella batosta si trattava di rimettere insieme i cocci, rimboccarsi le maniche e fare una vera opposizione (extraparlamentare) sapendo benissimo che non la si poteva pretendere dal Pd. Invece, dopo che si sono visti sfilare le poltrone da sotto il sedere, sono scomparsi (Mario) La classe dirigente di questo partito può fare solo una cosa. Se ne deve andare, bisogna ripartire da zero. Facce nuove e aria pulita (Angelo)
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Mercoledì 27 gennaio 2010
SECONDO TEMPO
Il Badante
PIAZZA GRANDE
É
IL DIAVOLO E IL DETTAGLIO S
Quei coretti anti-Ingroia di Gian
Carlo Caselli
all’aula del Senato dovrebbe essere bandita ogni forma di inciviltà e barbarie. Non sempre accade. Lo testimonia il resoconto stenografico della seduta dedicata alla discussione sul “giusto processo”, che registra una denunzia del senatore Li Gotti, crudamente espressa nei termini seguenti: “In quest’aula, mentre si citava il gravissimo fatto del programmato attentato distruttivo ordito contro alcuni magistrati che combattono la mafia, una parte di questa assemblea ha irriso all’evocazione dei nomi delle possibili vittime... Sapevamo dei mafiosi che brindarono alla morte di Giovanni Falcone... Eravamo a questa torbida conoscenza. Oggi abbiamo qualcosa di altro: una parte dell’aula del Senato, ieri, ha fatto un coretto di irrisione alla pronunzia del nome di Antonio Ingroia, un magistrato che la mafia vuole uccidere”. Ora, nessuno pretende che chi mette quotidianamente a rischio la propria vita per servire il paese nella lotta alla criminalità organizzata mafiosa sia pensato da tutti come perennemente avvolto in una bandiera tricolore. Ci mancherebbe. In un mestiere come quello di magistrato, nel quale l’errore è un rischio immanente, l’accettazione acritica dell’operato di questo o quell’ufficio o di un singolo giudice sarebbe inconcepibile. Anche perché le critiche, se oneste, aiutano a sbagliare di meno. Ma la mancanza di rispetto, fino a schernire chi viene indicato come vittima designata di un attentato programmato dalla mafia, è fuori di ogni logica e decenza. Non mi risulta che ci siano state reprimende o altre prese di distanza verso i senatori che si son permessi di scherzare – letteralmente – sulla pelle degli altri. Sarebbe utile invece che qualche amico o sodale provasse a responsabilizzarli un po’ magari rive-
D
lando loro un fatto che mi è capitato tempo fa, di sentire proprio da Ingroia. E’ il racconto di quando (per la prima volta dopo anni) egli si trovò sull’ascensore col figlio: per caso, da solo, senza la scorta. Il figlio si guardò intorno e rivolto al padre, con tenerezza esclamò a bassa voce: “Qui noi finora non siamo mai stati da soli”, e gli mandò un piccolo bacio, senza far rumore. Per Ingroia fu un momento di profondo affetto e verità, di riflessione sul fatto che non era mai stato (e mai sarebbe stato) solo con i suoi figli fuori dalla porta di casa. Niente di patetico in questo, semplici constatazioni che non hanno mai mo-
Fini
l Giornale di Vittorio Feltri e Libero di Maurizio Belpietro stanno conducendo una forsennata campagna d’aggressione ad Antonio Di Pietro accusato, sulla base di un dossier, di essere un uomo della Cia per cui, di fatto, le inchieste di Mani Pulite furono pilotate dagli americani. Il sottinteso è che Tangentopoli non è mai esistita e che quelle inchieste non furono fatte per fini di giustizia ma per togliere di mezzo un certo numero di partiti politici. Tesi quanto mai in voga in un periodo in cui con le celebrazioni di Bet-
I
IL FATTO di ENZO
l
Un poeta tedesco ha detto: “Con la morte si spengono le fiamme dell’odio”. Sono pochi i superstiti degli eccidi nazifascisti, ma non deve cancellarsi la memoria di certi fatti perché chi dimentica può essere un giorno condannato a riviverli. Il Fatto del 26 febbraio 2002
Ragionare su vizi e virtù della giustizia è lecito Non lo è salutare con scherno – come ha fatto il Senato – le minacce della mafia al pm Una vergogna passata in silenzio dificato le scelte di Ingroia (e dei tanti magistrati che in Sicilia operano e vivono come lui), ma che ormai fanno integralmente parte del suo modo di essere padre. Sono i condizionamenti sulla vita privata di un mestiere e soprattutto dei rischi di un mestiere che è faticosamente pubblico. E che dovrebbe meritare da tutti (anche dai senatori capaci invece di scandalosi coretti) considerazione e rispetto. Ragionare su vizi e virtù della giustizia e del sistema che dovrebbe realizzarla è doveroso e giusto. Ma su binari di razionalità. Deraglia chi irre-
Quando erano giustizialisti di Massimo
sponsabilmente scherza, nella sacralità istituzionale della “Camera alta”, sulle possibili vittime di attentati progettati da quella feroce organizzazione criminale che tutti sanno (o dovrebbero sapere) essere Cosa Nostra. L’irrazionalità può anche generare mostri. Certo, nessuno lo vuole e non sarebbe nell’interesse di nessuno se ciò si verificasse. Per questo chi in Senato ha sbagliato, reagendo alla notizia degli attentati mafiosi contro magistrati impegnati in prima linea come se si trattasse di una cosettina da ridere, dovrebbe essere – nelle forme istituzionalmente corrette – quantomeno invitato a vergognarsi.
tino Craxi si vuole liquidare definitivamente la stagione di Mani Pulite. Il dossier ha tutta l’aria di essere una bufala e tale lo considera persino Fabrizio Cicchitto che pure di Di Pietro è un feroce avversario. Del resto non si capisce che interesse avrebbero avuto gli americani a far fuori partiti storicamente atlantisti (Dc, Psi, Psdi, Pli, Pri) a favore di forze anti Usa quale la Lega di allora e il Pci, che pur essendo totalmente compromesso col sistema delle tangenti, come proprio la magistratura accertò, ne uscì meno malconcio. La cosa curiosa è che Feltri e
Tra il 1992 e il 1994, Belpietro e Feltri furono tra i più assidui sostenitori di Di Pietro, oggi dimenticano il passato, si reinventano garantisti e si scagliano contro il politico dell’Idv Belpietro allora direttore e vice dell’Indipendente furono, nel biennio 1992-94, i più assatanati fan di Di Pietro, che chiamavano affettuosamente Tonino, i più convinti sostenitori di Mani Pulite e i più “giustizialisti”, chiamando Craxi “il cinghialone”, dando così alle legittime inchieste dei ma-
di Oliviero Beha
gistrati il sapore di una “caccia sadica” e contribuendo a creare quel clima che poi porterà all’indegno linciaggio, a colpi di monetine, davanti all’hotel Raphael e all’inseguimento di Gianni De Michelis per le calli di Venezia. Accanendosi anche sui figli del leader socialista. Pubblicando, tutti goduti, la fotografia del segretario di Forlani, Enzo Carra, in manette. Quando andarono a lavorare per Il Giornale di Berlusconi, inquisito a sua volta, i due divennero “garantisti” a 24 carati. Ma se si tratta di Di Pietro ritornano ad essere quello che sono sempre stati: dei forcaioli. Ma ammettiamo, per ipotesi, che Di Pietro fosse un agente al servizio della Cia. Di Pietro era solo uno dei pm di Mani Pulite, il più visibile perché il suo capo, Borrelli, aveva deciso che sarebbe stato lui a sostenere in udienza le accuse del “pool” contando proprio su
i dice che il Diavolo si nasconda nei dettagli. In questo paese è ormai il contrario. È un paese di diavoli e diavoletti in scala, che si nascondono in un dettaglio specifico, quello della lingua che parlano. Partiamo da quest’ultima. Una settimana fa Berlusconi (Diavolone) va a L’Aquila e il “Corriere della Sera” di De Bortoli (Diavoletto) racconta con chiarezza i particolari della sua visita. Compreso l’episodio di un gruppo di giovani che mostrano con giustificato orgoglio al premier la maglietta bianca con la scritta “L’Aquila per Berlusconi”. Solo che uno di loro (diavoluncolo) tra virgolette corrieresche chiosa: “Grazie presidente per averci garantito un terremoto di lusso”. Fine. Nessun commento del giornale, nessuno strascico, tutto normale. Un terremoto di lusso? Ma sono tutti impazziti? Che lingua parlano, che lingua riportano e soprattutto in che lingua pensano quel ragazzo e chi ne dà conto professionalmente? Qualche giorno dopo, venerdì scorso, abbuffata di immagini e didascalie sui telegiornali per la tragedia incontenibile di Haiti e l’arrivo di Bertolaso (Diavolo), Nostro Signore della Protezione. Un collega (Diavolino) alla domanda da studio para-bertolasica “ma c’è una buona notizia, vero, una donna sopravvissuta?” risponde testualmente: “Sì, una donna di 69 anni è stata trovata viva, ma le sue condizioni non sono eccellenti…”. Pausa breve. “I medici dicono che le speranze di sopravvivenza sono appese a un filo”. Le condizioni non sono eccellenti? A no? È moribonda, “quindi” anch’io penso che le condizioni non fossero eccellenti. Di nuovo, ma che lingua pensano e parlano per dire cose del genere? E tanto per rimanere a Bertolaso, viene preso a male parole un po’ da tutti per le accuse agli Usa di non aver saputo coordinare i soccorsi e di essere lì più per mettersi in posa davanti a una telecamera che altro. Si risente la Clinton (Diavolastra) che lo tratta da giornalista sportivo (“chiacchiere da bar”) e dietro Hillary tutti gli altri in casa nostra, Pdl compreso. Pensare che Sarkozy (Diavolo) aveva detto qualcosa di analogo, eppure era passato in cavalleria. Quindi forse tutti i torti Nostro Signore delle Macerie non li avrebbe. Dov’è che casca il Bertolaso? Nel fare raffronti mediatici. Gli americani in posa per la tv? A sì? E il terremoto de L’Aquila in diretta a “Porta a Porta” con Berlusconi ad abbracciare vecchiette meglio se di profilo per le telecamere promettendo loro “dentiere nuove”? Ne vogliamo parlare? Forse era l’ultimo paragone che doveva venire in mente a Bertolaso, oppure semplicemente Freud (Angelo) gli ha scompigliato i pensieri. Infine Flavio Delbono (Diavolaccio), oggi sindaco dimissionario di Bologna, tre giorni fa era con ogni evidenza su tutti i giornali, radio e telegiornali, Internet e isole comprese, a dichiarare “non mi dimetto perché non sono ricattabile”. Solo questo il motivo? Non sei ricattabile? Che vuol dire nella tua lingua “ricattabile”? È un aggettivo che sostituisce tutto il resto, la morale, l’etica, la politica? È un modo per rovesciare come un clessidrone Giuliano Ferrara (Diavolissimo) che anni fa compuntamente affermò che “in Italia se non sei ricattabile non puoi fare politica”? È una semplice distorsione mentale, per una china che questo paese sta percorrendo fino in fondo? Lo so, questo ciclopico dettaglio, davvero un palo nell’occhio unico di Polifemo, questo Stato diseredato, insensato e irrispettato della lingua che parliamo e che pensiamo sembra nulla in confronto a quello che combina Berlusconi per salvarsi la ghirba stritolando il Legislativo dal pulpito dell’Esecutivo per mettere la mordacchia al Giudiziario. Nulla in confronto a “Zelig” (ma non il personaggio bensì il programma comico…) D’Alema (Fra’ Diavolo) nuovo presidente del Copasir un momento dopo la disfatta delle Puglie, a paragone della quale per i romani contro Annibale, Canne era stato un pareggio… Ma a pensarci un pochino è questo dettaglio a tenere insieme i Diavoli e a impedirci di esorcizzarli una buona volta. Perché in fondo ormai parliamo quasi tutti anche noi la loro lingua e finiremo per pensarla con loro, come loro, se non ci affretteremo a rovesciare la situazione. A partire dalla lingua, appunto.
quella sua naivitè contadina che restituiva alle cose il loro nome di fronte al linguaggio da Azzaccagarbugli dei politici; i ladri tornavano ad essere chiamati ladri. Quindi oltre a Di Pietro c’erano nel “pool” di Milano, Borrelli, Davigo, la Boccassini, Colombo, magistrati di prim’ordine con conoscenze tecnico-giuridiche molto superiori a quelle di “Tonino” che nelle inchieste portò soprattutto la sua enorme energia. Tutti agenti della Cia anche loro? E i giudici che in sede di rinvio a giudizio, di sentenze di primo, di secondo grado, di Cassazione, avallarono le inchieste del pool? Tutti agenti della Cia anche loro? E le decine, le centinaia di piccoli e medi imprenditori che andarono a confessare di essere stati taglieggiati, su ogni appalto, dai partiti? Anche loro facevano parte del “complotto” organizzato dagli americani?
Non importa, oggi la favola convenuta, di cui Feltri e Belpietro si fanno vessilliferi, è che Tangentopoli non è mai esistita, fu solo una macchinazione DI QUALCUNO, n’importe pas (vedere americani, servizi, comunisti) in combutta con una magistratura corrotta. Che gli infami non erano i ladri “eccellenti”, ma i magistrati che osarono inquisirli e condannarli. www.ilribelle .com
Dal Craxi “cinghialone” ai tempi di Mani Pulite alla conversione quando passarono al servizio di Berlusconi
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SECONDO TEMPO
MAIL La censura e la paura
Furio Colombo
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Il 13 novembre 2009 Il Fatto ha ospitato un articolo di Silvia D’Onghia relativo all’istruttoria disciplinare a cui io e la collega Simonetta Salacone siamo state sottoposte dal ministero della Pubblica istruzione per non avere promosso, nelle scuole da noi dirette, la commemorazione dei soldati morti il 18 settembre scorso in Afghanistan. Poiché nel nostro paese, e sui nostri giornali, qualsiasi fatto subisce un subitaneo oscuramento, proviamo a dire com’è finita. La direttrice regionale, durante le vacanze natalizie, ci ha “comunicato” che: 1) abbiamo ignorato non una circolare, ma infranto la legge sui cerimoniali di Stato e un’ordinanza del governo; 2) che non possiamo riferire alla stampa senza autorizzazione, in forza della fedeltà dovuta (al contratto, alla nazione, alla Amministrazione pubblica, al governo in carica?); 3) che abbiamo sforato rispetto all’autonomia dirigenziale e degli organi collegiali. La nota chiude con un ammonimento a recedere in futuro da tali comportamenti e ci allerta rispetto alle ricadute di questi atti sulla valutazione del nostro operato complessivo. Dunque, una “censura”. Peccato che questa modalità non sia prevista fra le sanzioni disci-
BOX A DOMANDA RISPONDO BERLUSCONI, LA VITTORIA BREVE
aro Colombo, sono un po’ stufo di sentirmi raccontare i guai personali, partitici, politici, giudiziari di Berlusconi e poi di trovarlo, domani mattina, un po’ più su di dove l’avevamo lasciato: partito unito, pace fatta, istituzioni spiegazzate, e lui sempre piazzato sopra e non sotto le macerie che ha provocato. Urge un codice di lettura. Mirko e Tommaso
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BE RLU SC ONI è in caduta. La caduta è lenta, a momenti fermata da un pianerottolo che regge, ma regge per poco. Ripensiamolo in un flash del passato prossimo. Sono passati trionfi, progetti, annunci e autocelebrazioni. Le questioni giudiziarie possono essere definite complotti finché si vuole, ma continuano ad affollarsi intorno a lui costringendolo a una corsa ormai nota in tutto il mondo, per cercare leggi ad personam. I sondaggi possono essere favorevoli quanto lui dice. Ma, dei tanti cloni gloriosi di cui l’uomo di Arcore si era circondato, ne sono rimasti ben pochi. Non c’è più il primo ministro più bravo d’Europa. Si è trasformato in una barzelletta non sua. Non c’è più il primo ministro più bravo della storia d’Italia. Non lo dice neppure lui stesso. Non c’è più il monarca di Villa Certosa circondato della meglio gioventù. Qualcuna ha acciuffato un seggio o un compenso. Le altre
LA VIGNETTA
testimoniano e raccontano non proprio, non sempre con affetto. Una, Noemi, è un imbarazzo per chi ne deve scrivere, figuriamoci per lui. Del Vaticano resta difensore alla cieca. Ma non è cieco il Vaticano. Continua a usare l’attrezzo politico ma non a celebrare l’amico cristiano. La Lega nord era il suo braccio secolare per le spedizioni punitive, i leghisti le sue squadre d’azione. Ora è Berlusconi, a tenersela accanto, per prendere ordini dalla Lega. Volevano due regioni su tre nel nord? Hanno avuto due regioni su tre come richiesto. Le elezioni di marzo daranno un’impressione di vittoria che, per pochi giorni e un po’ di “Ballarò” e “Porta a Porta”, ci saranno vendute come “Il grande ritorno”. Certo, bisognerà prendere atto della durevole sindrome di sconfitta del Pd che avrà pochi trofei da esibire. Ma nel “dopo amministrative” i veri vincenti di destra, Lega, Casini, passeranno all’incasso e troveranno lo sportello reclami già occupato da ciò che resta di An. Berlusconi avrà una vittoria breve e un lungo assedio, tanto più che, persino in un’Italia quasi priva di informazione, masse di disoccupati e di famiglie senza reddito usciranno dall’ombra. Ah, se ci fosse un’opposizione! Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
do che il lavoratore che si attribuisce, senza aver lavorato, anche una sola ora di lavoro straordinario, commette il reato di truffa. Anche nel caso si redima, l’accusa resta comunque quella di tentata truffa, e il soggetto dovrà pagare le conseguenze in ogni caso. Ma è possibile che per un reato che vale poche centinaia di euro scatti il penale e per il falso in bilancio, che può causare danni per milioni di euro e che può truffare migliaia se non centinaia di migliaia di persone (vedi i casi Cirio e Parmalat e moltissimi altri), non scatti? In altri paesi, basti pensare agli Stati Uniti da cui ci piace tanto prendere esempio, per il reato di falso in bilancio si beccano 25 anni di galera. Grazie e buon lavoro a tutta la redazione Silvio Zanchet
plinari e che tutto il procedimento sia stato viziato da continue violazioni formali. Noi siamo alla fine della carriera, ma tutta la vicenda serve ad ammonire i più giovani, proprio mentre il ministro Renato Brunetta cambia le regole nella Pubblica amministrazione al passo con la controriforma scolastica. Lo scopo è stato ampiamente raggiunto. In questi mesi ci hanno sostenuto i genitori, le associazioni professionali e pacifiste, le organizzazioni sindacali (con qualche prudenza), i docenti, ma i nostri colleghi più giovani di
servizio ci hanno fatto timide telefonate di conforto e di ammirazione “per il coraggio”. I piccoli fatti risultano essere sintomi di gravi malanni: quando la paura serpeggia si è già verificato un cambio di regime. Renata Puleo
La vera truffa è il falso in bilancio La Cassazione ha confermato la condanna di un medico siciliano che si era attribuito senza averne diritto alcune ore di straordinario, indican-
Diritto di Replica Non so chi sia l’autore dell’articolo che mi riguarda pubblicato domenica scorsa a pagina 3 del Fatto, ma lo inviterei a prendere meno sul serio tutto quello che succede nel piccolo mondo dell’informazione. Comunque, tocca fare alcune precisazioni: 1) Non ho “offerto” il microfono a Clemente Mastella, è stato semplicemente ospite della Zanzara per un quarto d’ora circa in cui si è cercato soprattutto di “cazzeggiare” di politica, cosa non proibita dal codice pena-
le. A Travaglio non piacerà, ma bisogna che se ne faccia una ragione: nel mondo esistono anche gli altri e i “potenti” (posto che Mastella ancora lo sia) si possono intervistare in tanti modi diversi; 2) Dunque alla fine di questo “cazzeggio” ho chiesto a Mastella: mi dica, ma è vero che ha quattro-cinque case a Roma come scrive Travaglio? E lui: no, una sola e pure piccola. Al che ho aggiunto: ma ci sono quelle che lei ha comprato ai figli. E lui: e allora, che c’entra?; 3) Il clima era talmente, come dire, rilassato, che ho promesso a Mastella che avrei comunicato il tutto a Travaglio, in cambio di una intervista con la moglie Sandra. Stop. Mi dispiace per gli appassionati, ma non era un processo né un’intervista arrabbiata. Non vale la pena scomodare gli entomologi, le lingue e i servi per una cosuccia del genere. Saluti e buon lavoro. P.s. Scrivo per Panorama, ma non lavoro per Mediaset. In ogni caso, secondo il Fatto sarei un giornalista a metà (e forse nemmeno quello) per colpa di Berlusconi. Se questa è la vostra idea di libertà, auguri. Giuseppe Cruciani
Gentile Cruciani, il pezzo che la inquieta non è stato scritto da me, ma dalla redazione (infatti non era firmato). Comunque ne condivido in pieno ogni riga e ogni virgola. La ringrazio comunque per averci dato un saggio della sua deontologia
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IL FATTO di ieri27 Gennaio 1977 Sante, vergini martiri, suore o più semplicemente perpetue. Ma, per la Chiesa cattolica, mai donne prete. Un dogma di ferro quello dell’esclusione delle donne al sacerdozio, argomento di storico dissenso con gli anglicani e con una parte dello stesso mondo femminile religioso, suggellato dalla Dichiarazione “Inter Insigniores”, firmata da Paolo VI e pubblicata il 27 Gennaio 1977. Un documento in punta di dottrina, legato tuttavia a un’antropologia centrata sull’inferiorità della donna nell’ambiente greco e romano, difficilmente accettabile dalla sensibilità moderna. Nonostante il linguaggio contemporaneo parli di emancipazione femminile, sacerdote, per i cattolici, è dunque solo declinabile al maschile, non solo “perché maschile è l’umanità di Gesù, del maschio Gesù che ha sopportato la croce”, ma anche, come riporta il Documento, per la “scelta da parte di Cristo di scegliere gli Apostoli solo tra gli uomini e per la pratica costante della Chiesa di imitare Cristo nello scegliere soltanto uomini”. Alla domanda degli storici se la preferenza di Cristo per i 12 uomini fondanti la sua Chiesa fosse di tipo sociale o normativo per tutti i secoli, Roma sembra aver risposto. Con la “Inter Insigniores”. Giovanna Gabrielli
L’abbonato del giorno GIORGIO PRESCIUTTI Ingegnere di Perugia, 30 anni. “Tra la crisi mondiale e la scelleratezza di questo governo, di certo il 2009 non può essere definito un anno positivo. Però io e mia moglie Gloria non potremo mai dimenticarlo visto che ci ha regalato uno stupendo bambino di nome Valerio, nato il 20 luglio 2009. Mi ero appena abbonato a “Il Fatto Quotidiano” ed ora, come potete vedere, ce lo leggiamo tutti i giorni! Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
“borghesuccio”, insinuando che io abbia case a Taormina e non so dove, dicendo che diversamente da sua moglie io non ho mai faticato e accusandomi addirittura di essere il mandante dei magistrati che indagano su di lui. Un bel cazzeggio, non c’è che dire. Peccato che io non abbia mai scritto che Mastella ha 4-5 appartamenti a Roma, ma che li possiede “la famiglia Mastella”. Insomma, dal suo cazzeggio con Mastella si evinceva che io sono disinformato, mentre il disinformato è lei. Lei aggiungeva che mi avrebbe chiamato per farmi replicare, cosa che naturalmente non ha mai fatto: del resto lei è solito sparlare di me nella sua rubrica radiofonica senza mai darmi il diritto di replica. E’ il suo modo di fare il giornalista, anzi il cazzeggiatore. Continui così. Cazzeggiando cazzeggiando, vedrà che un posto a Mediaset – come già anticipato da Il Giornale – non glielo leva nessuno. (m.trav.)
I nostri errori professionale. Invitandomi a “prendere meno sul serio” il suo lavoro, lei sfonda una porta aperta: mai preso sul serio il suo lavoro. Per le ragioni che lei stesso autorevolmente illustra: lei quando intervista un politico “cazzeggia”, infischiandosene allegramente della verità dei fatti. Tant’è che, lo scrive lei, ha chiesto a Mastella se sia vero che possiede 4 o 5 case a Roma “come scrive Travaglio”, al che Mastella ha smentito (“ne ho una, più quelle dei miei figli”) dandomi del bugiardo, del
Nell’articolo di ieri nella pagina dei commenti, ho scritto che Totò Cuffaro è già stato rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, mentre è imputato per quel reato, ma la decisione dev’essere ancora presa dal gip il 5 febbraio. Me ne scuso con i lettori e con l’interessato. (m. trav)
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«LA CITTÀ DEGLI UNTORI»
PREMIO BAGUTTA 2010 «La rapidità di un reportage giornalistico e la scrittura profonda di un romanzo di qualità. Milano, città degli untori, ne emerge con un ritratto a tutto tondo, spesso impietoso ma di sicuro corrispondente alla città contemporanea, discussa, discutibile, dif¿cile, contraddittoria.» Dalla motivazione della Giuria, Premio Bagutta 2010
a z r Te ione z i ed
«Una costruzione da grande scrittore.» Cesare Segre, Corriere della Sera «Un intellettuale fra i più attenti, lucidi, rigorosi, infedeli e spesso profetici, di questo nostro, oggi più che mai, disastrato Paese.» Vincenzo Consolo, l’Unità