Cristina Bianchetti
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Spazi e corpi. Il progetto urbanistico contemporaneo
01QJAPQ – Urbanistica A Corso di studi magistrale Architettura Città Costruzioni a.a. 2018-2019, anno II°, periodo didattico I° Mercoledì 8.30-13.00 Aula 204 Sede Facoltà di Architettura Lingotto Politecnico di Torino Prof. Cristina Bianchetti tutors: Michele Cerruti But, Agim Enver Kërçuku, Eloy Llevat Soy, Lorenza Manfredi, Luis Martin Sanchez, Ianira Vassallo Progetto grafico: Agim Enver Kërçuku
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Three Studies of Lucian Freud Francis Bacon 1969
Spazi e corpi. Il progetto urbanistico contemporaneo
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p. 6
Spazi e corpi. Il progetto urbanistico contemporaneo
#0 10 ottobre 2018 _ p. 8
Introduzione. Intorno al corpo
Primo modulo: le radici #1 17 ottobre 2018 _ p. 10
Lo spazio cura il corpo. Napoli e Palermo – l’ingegneria sanitaria del XIX° e l’igienismo contemporaneo
#2 24 ottobre 2018 _ p. 12
Lo spazio cura il corpo. Central Park, Olmsted e il paesaggismo tra XX° e XXI° secolo
#3 31 ottobre 2018 _ p. 14
Il corpo diventa misura dello spazio: i laboratori moderni. Existenzminimum, Francoforte 1929 Kitchen work triangle, NY (Christine Frederick) 1912-1940 Frankfurter Küche, Margarete Schütte Lihotky, Frankfurt (19271928)
#4 14 novembre 2018 _ p. 16
Il corpo che non c’è. Lo strutturalismo ibrido di John Habracken
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Secondo modulo: gli sfondi #5 21 novembre 2018 _ p. 18 Lectio di Gabriele Pasqui
Cosa può un corpo? Il cavallo, Deleuze e Spinoza
#6 28 novembre 2018 _ p. 20 Lectio di Carlo Olmo
Cosa può un corpo? Il corpo è strumento. Il corpo è mondo
#7 5 dicembre 2018 _ p. 22
Cosa può un corpo? Le relazioni tra corpi. Extimité, intimité
Terzo modulo: corpi nello spazio pubblico #8 12 dicembre 2018 _ p. 24
Le lotte urbane negli anni 70
#9 19 dicembre 2018 _ p. 26
Alleanze tra corpi nella letteratura di genere
# 10 9 gennaio 2019 _ p. 28
Letture critiche del progetto dello spazio pubblico
Discussione seminariale e conclusioni # 11 16 gennaio 2019 _ p. 30 5
Intorno al corpo, nello spazio urbano
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Spazi e corpi. Il progetto urbanistico contemporaneo è un corso rivolto a studenti che intendono, alla fine del loro percorso magistrale, approfondire l’urbanistica contemporanea e il suo progetto. É un corso tematico, nel quale i rapporti tra lo spazio e il corpo divengono chiave interpretativa delle forme di organizzazione, uso e progettazione dello spazio urbano. É un corso interdisciplinare per l’interazione tra saperi tecnici e umanistici. É un corso sviluppato attraverso lezioni e seminari che affianca al docente titolare e a autorevoli contributi esterni, un’attiva partecipazione degli studenti. Obiettivo del corso è fornire conoscenze sui modi con i quali la reciproca implicazione di corpo e spazio ridefinisce l’ambito del progetto urbanistico. Ci si occuperà, pertanto, del modo in cui il progetto urbanistico tiene/non tiene in considerazione il rapporto tra spazio e corpo. Ovvero delle pratiche progettuali attente al corpo. Nell’affrontare questo tema, è necessario tenersi ben saldi ad una prospettiva disciplinare: il rischio è perdersi nelle infinite diramazioni del rapporto corpo-mondo che le arti visive, il design, il teatro e molte altre discipline hanno sperimentato. Questo quaderno illustra in modo sintetico i contenuti di ciascuna lezione e ha lo scopo di fornire il quadro completo dei percorsi conoscitivi che verranno proposti. Serve ad orientare e preparare gli studenti alle singole lezioni che prevedono un loro ruolo attivo. Il quaderno potrà essere implementato degli appunti degli studenti e degli approfondimenti da loro sviluppati durante il corso. Prerequisiti per frequentare è aver seguito con profitto i corsi di Urbanistica del triennio e avere sviluppato un autentico interesse per il tema proposto.
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10 ottobre 2018
Introduzione. Intorno al corpo
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Il corso raccoglie idee, materiali, suggestioni intorno al rapporto tra progetto urbanistico e corpo, come intorno ad un centro di gravità. Un centro che ha preso forme differenti lungo il 900, ponendo attenzione ai rapporti di cura, di misurazione, di comfort, benessere. Un centro che tutt’oggi permane molto forte. La stessa cultura digitale che tanto peso ha avuto dagli anni 90, nella progettazione urbanistica, architettonica e di design non ha dissolto questo centro di gravità che continua a richiedere rinnovata consapevolezza. Marx parlava delle macchine tessili, come di un «filare senza dita», per farci vedere il mondo come un intreccio di gesti generati dai corpi e (in questo caso) dai loro artefatti. Lo ricorda Giovanni Anceschi, in una riflessione sul protagonismo contemporaneo del Leib. La cultura tedesca, come in molti ricordano, utilizza due parole per corpo: la parola Körper e la parola Leib. Körper vuol dire il corpo ridotto a cosa, oggetto di osservazione clinica. Corpo fisico o materiale. Insieme di organi. O corpo morto, privo di vita. Leib è il corpo come lo viviamo nella vita: una parola parente di leben che vuol dire vita, e anche con liebe che vuol dire amore. Le protesi funzionano con il corpo vivente, esercitano una funzione attiva: così i telai di Marx, le forchette o il bastone sul quale ci poggiamo. Oppure la matita, “straordinaria protesi tecnica” – Pasqui, ricordando Sini – del lavoro conoscitivo. «La mano, l’occhio, il nostro corpo funzionano con le protesi più complicate in modo analogo a quello in cui funziona il braccio con il bastone: formano cioè specifici assemblaggi (occhio-schermo, mano-matita, ecc.), che aprono, definiscono e delimitano le possibilità stesse delle operazioni compiute». Questo modo di guardare al corpo e alle sue protesi ha strettamente a che fare con le nostre pratiche educative, tecniche, progettuali. Potremmo aggiungere che costruisce lo spazio che abitiamo. Questo è il nostro corpo, apertura al mondo, intenzionalità alle cose, risposta agli stimoli, immenso groviglio di protesi, costruzione dello spazio. É il rapporto corpo-mondo quello decisivo, non anima e corpo, snodo tradizionale della cultura religiosa, artistica e scientifica occidentale. A questa angolazione è dedicata la prima lezione il cui obiettivo è costruire alcuni orientamenti utili ad affrontare i percorsi successivi e, in particolare, il modo in cui il rapporto spazio-corpo ha costruito e costruisce tutt’ora, orientamenti progettuali. Molto diversi a seconda che si sviluppino nella medicina e nell’ingegneria sanitaria del XIX° secolo, nelle pratiche di riconoscimento e classificazione dei corpi nell’antropometria giudiziaria, nel funzionalismo moderno o in quello contemporaneo, nel paesaggismo, nel progetto dello spazio pubblico. 9
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17 ottobre 2018
Lo spazio cura il corpo. Napoli e Palermo – l’ingegneria sanitaria del XIX° e l’igienismo contemporaneo
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La prima lezione è dedicata al tema dell’igienismo nel XIX° e nel XXI° secolo. Campo dell’ingegneria sanitaria nella costruzione della città moderna, l’igienismo si esplica come un insieme ben strutturato di studi e di pratiche di intervento nella città, orientato a renderla più salubre. L’epidemia di colera che colpisce l’Italia nelle estati del 1884 e 1885 è drammatica anche se, certo, non inaspettata. Porta a maturazione proposte principalmente da parte dei tecnici che si riconoscono entro l’area dell’ingegneria sanitaria. I progressi raggiunti dalla scienza in materia di igiene collettiva rendono desueti cordoni sanitari e quarantene. Per arrestare l’epidemia si combatte l’origine batterica in campo ambientale. Ovvero nei luoghi che mancano di efficaci sistemi di afflusso e deflusso delle acque. Le tecniche di intervento nei tessuti urbani richiamate dal termine “sventramento” hanno qui la loro origine. L’igiene costituisce un punto di vista unitario sulla città. Su quella di superficie e su quella sotterranea. Le indagini sul risanamento di Napoli, ma anche la costruzione delle reti fognarie a Palermo costituiscono i capisaldi di un modo nuovo di pensare alla città, a partire dalla salute. Nel XXI° secolo le malattie più diffuse sono evidentemente altre: obesità, diabete, malattie cardiocircolatorie. Inquinamento, sedentarietà, errata nutrizione concorrono allo sviluppo di queste patologie che sono mutate, da infettive, a croniche. Uguale tuttavia è la pretesa di contenerne le manifestazioni attraverso un’azione sullo spazio. L’importanza dei temi dell’accessibilità, della connettività, della mobilità, nelle sue diverse e molteplici forme, hanno a che fare anche con questo ritorno di attenzione ad una cura del corpo attraverso lo spazio. Ancora una volta è evidente il carattere pedagogico della progettazione. L’ansia di cui è affetto il progetto contemporaneo, circa le connessioni tra salute, progetto e ambiente, è esplorato dalla ricerca Imperfect Health The medicalization of Architecture, che ha dato luogo all’omonima esposizione al Centre Canadienne d’Architecture di Montreal, nel 2012. Se l’igienismo vuole medicalizzare lo spazio, è possibile un’azione inversa di de-medicalizzazione? G. Zucconi (1989), La città contesa, Jaca Book, Milano, cap. 1 “Gli igienisti” La città come cura e la cura della città - https://www.curacitta.com/ M. Zardini G. Borasi (eds) (2012) Imperfect Health The medicalization of Architecture, CCA Montreal
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24 ottobre 2018
Lo spazio cura il corpo. Central Park, Olmsted e il paesaggismo tra XX° e XXI° secolo
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La seconda lezione è dedicata al rapporto tra spazio-corpo-natura. Al centro di questo rapporto, nel XIX° secolo troviamo Frederick Law Olmsted e i suoi progetti di parchi pubblici: Central Park a New York (1857), Prospect Park a Brooklyn (1865) tra i più celebri. La genealogia dei parchi pubblici trova un precedente nella progettazione dei cimiteri immersi nel verde all’interno della città della prima metà dell’800. Come questi, ambisce a dotare le città di luoghi di incontro sociale e di alto valore paesistico. Sigmund Freud avrebbe detto, da lì a poco, che rappresenta una forma di riscatto via della città del senso di colpa nei confronti della natura. Quella di Olmsted è un’idea visionaria della vita urbana come vita salubre, ricca sul piano etico e relazionale. I parchi sono oasi urbane non più riservate alle élites. La progettazione di parchi diviene, dopo più di un secolo, oggetto specifico nell’ambito del progetto di paesaggio. Il tema del paesaggio ha percorso l’intero 900 fino agli ultimi decenni del secolo, quando si riaffaccia con forza e irruenza. E la progettazione del parco assume un ruolo importante entro l’idea di benessere offerto a tutti. Ma l’High Line è davvero la versione contemporanea di Central Park? E come trattare l’opposizione tra parco e ecumene che viene riproposta con forza prima da Augustin Berque e poi dall’imperativo rivolto agli urbanisti da Sébastien Marot “making a world”? il parco si oppone all’ecumene come parte di mondo nella quale naturale-rurale-urbano stanno assieme senza sopraffarsi. Dove non c’è nulla di abrasivo, duro, antagonista come nel moderno. Julia Czerniak, George Hargreaves (2007), Large Parks, Princeton Architectural Press, NY Charles Waldheim, (2006) “Landscape as Urbanism” in Id, ed. Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, NY, pp. 35-53 Augustin Berque (2016) Écoumène. Introduction à l’étude des milieux humains, Belin Litterature Et Revues, Paris Sébastien Marot, “Making a World” in (2017) Common Grounds, Decombes Rampini 2005-2015, Birkhauser, Monaco
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#3
31 ottobre 2018
Il corpo diventa misura dello spazio: i laboratori moderni. Existenzminimum, Francoforte 1929 Kitchen work triangle, NY (Christine Frederick) 1912-1940 Frankfurter KĂźche, Margarete SchĂźtte Lihotky, Frankfurt (1927-1928)
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La terza lezione è dedicata al rapporto tra corpo e progetto moderno. Il tema è la misura, la parametrizzazione. Un tema che è stato centrale, comunicato da vere e proprie icone del moderno: il Modulor di Le Corbusier, come l’autoritratto di El Lisitskij (Il costruttore, 1924) in cui l’occhio e la mano si fondono con gli strumenti della precisione e della misura: compasso e carta quadrettata. In campo abitativo e urbano, il tema della parametrizzazione rimanda all’existenzminimum l’existenzminimum, ovvero alla ricerca delle misure necessarie e sufficienti a garantire condizioni minime dell’abitare (non solo dell’abitazione). La relazione che Walter Gropius ha tenuto al CIAM di Francoforte del 1929, prende avvio dal cambiamento delle condizioni lavorative, sociali, demografiche e familiari conseguenti ai nuovi rapporti tra capitale e lavoro. «Il problema dell’alloggio minimo» è, nelle parole di Gropius, «stabilire il minimo elementare di spazio, aria, luce e calore necessari all’uomo per essere in grado di sviluppare completamente le proprie funzioni vitali». Lo sforzo per ridurre la superficie dell’alloggio ad una misura minima, comporta un’analisi precisa del modo in cui l’abitazione corrisponde ai corpi e alle azioni di chi abita. Le radici di un tale orientamento potrebbero essere ritrovate nell’uso della fotografia segnaletica, dell’antropometria giudiziaria nel XIX°. O, più coerentemente, nel lavoro progettuale di due donne: Christine Frederick che, tra il 1912 al 1940, a New York, sperimenta i principi del taylorismo applicati al lavoro industriale, nell’ambiente domestico. E Margarete Schütte Lihotky che in Germania, a fianco dei maestri del Moderno, sperimenta i principi della Frankfurter Küche, la Cucina di Francoforte: espressione di uno spazio minimo per un individuo razionale nei movimenti e nelle azioni. La cucina come laboratorio: ambiente domestico che meglio di ogni altro si presta ad una riformattazione dello spazio ad opera dello scientific management (come nella parodia della Norvegia degli anni 50 del film di Bent Hamer, Kitchen Stories). Le conseguenze di questa stagione sono da un lato nella riflessione sullo standard, dall’altro (e in modo non disgiunto) nello sforzo per rendere la casa accessibile a «le plus grande nombre». Ovvero nei programmi di costruzione di edilizia standardizzata nella Golden Age. Aspetto materiale, concreto e ben visibile dell’État social e delle sue politiche riformiste, quasi per intero deflagrate sotto la forza dell’ondata neo-liberista degli anni 80. Carlo Aymonino (1971), L’Abitazione razionale, Marsilio, Padova https://www.ediblelongisland.com/2014/03/17/christine-frederick-kitchen-innovator-efficiency/ https://www.youtube.com/watch?v=41pyty0-lgs Jean-Luis Cohen, Vanessa Grossman V. (2016), AUA Une architecture de l’engagement 1960-1985, La Découvert, Paris Bent Hamer (2003), Kitchen Stories, Norvegia, 95”
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#4
14 novembre 2018
Il corpo che non c’è Lo strutturalismo ibrido di John Habracken
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La quarta lezione è dedicata alle ricadute dello strutturalismo in architettura. L’idea che ogni elemento possa essere concepito, prima ancora che per sé stesso, come parte di un sistema basato sulle relazioni tra gli elementi attraversa numerose discipline a partire dagli anni 60, dall’antropologia (Claude Lévy-Strauss), alla critica letteraria (Gérard Genette, Roland Barthes), alla psicanalisi (Jaques Lacan), alla filosofia (Michel Foucault). Lo strutturalismo influenzerà fortemente anche il pensiero architettonico e urbanistico dei due decenni successivi, in particolare con la convinzione che l’opera (in questo caso il progetto o il discorso sull’architettura) possa essere intesa come un insieme organico scomponibile in elementi e unità, il cui valore funzionale è determinato dall’insieme dei rapporti fra ogni singolo livello dell’opera e tutti gli altri. Strutturalisti possono dirsi Bakema, van Eyck e gli Smithson e un insospettato Quaroni nella definizione di Urbanistica del 1969. Il rapporto con il corpo è ambiguo. Poiché, se è vero che lo strutturalismo decreta la morte del soggetto che “scompare”, è anche vero che si istituiscono legami più complessi tra spazio e corpo, come mostra l’opera di John Habracken. La lezione è costruita in particolare su questo autore: sul ripensamento delle tecniche di prefabbricazione nel campo dell’housing che lo hanno portato a una mediazione tra metodi industrializzati e le concrete condizioni di produzione dell’abitare. E pertanto verso la definizione d’infrastrutture abitabili, definite Supports, che permettano un certo grado di operatività attraverso il coinvolgimento organizzato, dei diversi attori del processo di costruzione. Uno strutturalismo “ibrido” dunque in cui regole, supporti e pratiche dell’abitare si compongono come in un gioco. In chiusura la lezione affronta in modo sintetico le rivisitazioni contemporanee dello strutturalismo. N.J. Habraken (1999), Supports: an alternative to mass housing, Urban International Press, U.K. N.J. Habraken (1998), The Structure of the Ordinary, MIT Press, Cambridge, London Herman Hertzemberger (2015). Architecture and Structuralism. The Ordering of Space, NAI010, Rotterdam Tomàs Valena (2011), Structuralism Reloated, Menges, Stuttgard-London
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#5
21 novembre 2018
Cosa può un corpo? Il cavallo, Deleuze e Spinoza
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«Perché chi detiene il potere ha sempre bisogno che le persone siano affette da tristezza? Le passioni tristi sono necessarie, provocare passioni tristi è essenziale all’esercizio del potere». Queste parole che sembrano riflettere la cronaca politica di questi mesi, sono attribuite da Deleuze a Spinoza nella lezione introduttiva al ciclo che il filosofo ha tenuto all’Università di Vincennes, tra il novembre 1980 e il marzo 1981 (ora in Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, Ombrecorte, Verona 2007, p.46). Le idee gioiose e le idee tristi aumentano e diminuiscono la nostra capacità di agire. «Le idee si avvicendano in noi, ognuna con il suo grado intrinseco di perfezione e realtà. Io, colui cui le idee sono date, non smetto di trascorrere da un grado di perfezione all’altro – aumento diminuzione-aumento-diminuzione della potenza di agire […] in relazione alle idee che possiedo. É una variazione continua» (45). Noi siamo «un costrutto prodotto dalle idee che si succedono in noi. In relazione a questa successione di idee la nostra potenza di agire e la nostra forza di esistere aumentano e diminuiscono seguendo un andamento ininterrotto» (47). Qual è l’azione del corpo in questa cornice di idee, affetti e potenza di agire? Le idee, le sensazioni (gli affetti nel senso spinoziano), sono una composizione di corpi: «la composizione di corpi, uno che agisce e l’altro che viene segnato dalla traccia del primo. Un raggio di sole si posa su di voi. É l’effetto che il sole induce su di voi. Non si tratta del sole preso in sé stesso. Ma dell’azione del sole nei vostri confronti» (48). Il corpo è la permanenza attraverso tutti questi cambiamenti. E sono questi a dirci di noi. Siamo agli antipodi di Cartesio: non è possibile conoscersi se non attraverso la composizione continua di corpi. Ho conoscenza di me stesso attraverso l’azione che gli altri corpi esercitano su di me. Gli affetti sono anche al centro di ciò che un corpo (di un uomo, di un animale) è capace. Il cavallo da corsa e il cavallo da lavoro appartengono alla stessa specie, eppure sono capaci di cose diverse e le malattie in cui possono incorrere (gli affetti) sono diversi. Inutile classificarci per genere e specie. Discutendo di Spinoza, Deleuze aiuta a mettere a fuoco la dimensione corporea dell’azione. E il suo essere nel mondo in modo indissolubile. Due aspetti che riguardano anche le nostre pratiche. Lectio di Gabriele Pasqui: Incontri buoni e cattivi. Deleuze su Spinoza
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#6
28 novembre 2018
Cosa può un corpo? Il corpo è strumento. Il corpo è mondo
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«Il mio corpo […] è intorno ad esso che le cose si dispongono, è rispetto ad esso, come rispetto ad un sovrano, che ci sono un sopra, un sotto, una destra, una sinistra, un avanti, un dietro, un vicino, un lontano. Il corpo è il punto zero del mondo. Dove i percorsi, gli spazi si incrociano […]» É intorno al corpo che le cose si dispongono. Il corpo è quel piccolo frammento di spazio con il quale letteralmente faccio corpo, come nella citazione foucaultiana riportata nelle righe precedenti, venata di una insospettabile aria fenomenologica. La sesta lezione è dedicata al modo in cui la riflessione fenomenologica costituisce una base per un discorso su spazio e corpo. In particolare nella declinazione di due testimoni della fenomenologia francese. Per Maurice Merleau-Ponty il fondamento originario dell’esperienza non è la coscienza pura (il pensiero riflessivo, impotente a rendere ragione dell’esperienza del mondo), né quello sguardo scientifico di cui scrive in apertura al suo ultimo saggio, che «manipola le cose e rinuncia ad abitarle» (L’occhio e lo spirito, SE, Milano, 1989:13). Il fondamento dell’esperienza è il corpo percettivo come fenomeno irriducibilmente ambiguo nel suo essere riflesso del mondo, costituito della stessa «carne del mondo», e obiettivazione intenzionale del mondo. Per Jean Paul Sartre la coscienza è sempre «in situazione», cioè definita dai suoi limiti corporei, sociali e storici, nonché dal rapporto di reciprocità con il corpo vivente degli altri uomini; nel contempo, però, essa è continua istanza di liberazione, sia pure condizionata, che intenziona nuovi possibili orizzonti di senso. Il corpo che orienta, conosce. Il mondo è mondo, è spazio, è strumento. É affetto di esposizioni negative o positive. Passibile di incontri buoni e cattivi. Come rianimare il corpo nelle pratiche. E, specificamente, in quelle che attengono i nostri saperi. Le due lezioni pongono una questione che, nella cultura politecnica è centrale, ovvero cosa sia strumento di conoscenza e azione. Foucault M. (2008) Il corpo, luogo di utopia, Nottetempo, Roma (1966) Maurice Merleau-Ponty (1989), L’occhio e lo spirito, SE, Milano1989
Lectio di Carlo Olmo: La lezione fenomenologica, il corpo lo spazio e la cultura politecnica
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5 dicembre 2018
Cosa può un corpo? Le relazioni tra corpi. Extimité, intimité
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La settima lezione è dedicata a esplorare l’utilità di due categorie lacaniane, quelle di extimité e intimité. Jaques Lacan introduce nel VII seminario (1960 – pub 1986) l’idea di extimité. Meglio, di un’intimité che si rovescia all’esterno. La realtà interna, intima, è irriducibile all’intimità. Le due categorie sono utili a riconfigurare un approccio relazionale che riconosce modi diversi delle relazioni tra soggetti (e tra corpi) nello spazio urbano. L’intimité segna lo spazio dello stare da soli. Quello per cui «l’enfer, c’est les autres». Qui interessa lo star da soli non tra le mura domestiche (il rifugio in un mondo senza cuore di Christopher Lasch), ma tra gli altri. Nella città, lo spazio dell’intimité è il luogo della sospensione del tempo, dello stare al di fuori dello sguardo dell’Altro. Fuori dallo sguardo invadente, intrusivo, benthamiano. Dalla sorveglianza, dall’azione, da ciò che ci sta intorno. Il diritto a rimanere nascosti, a mantenere il silenzio, è ciò che fa valere il soggetto contro l’Altro, lo sottrae dal potere totalitario dell’Altro. La figura dell’intimità ha una relazione stretta con il potere: una dimensione politica che solitamente viene riconosciuta solo alla dimensione pubblica.
Extimité. Il termine è utilizzato per indicare il movimento che spinge a mettere in luce una parte della vita privata, sia fisica che psichica. Si esibisce il proprio mondo interiore, costruendo scambi con altri individui, ritenuti prossimi. Allo stare nascosti dell’intimité, si sostituisce il desiderio di esibire il proprio sé, costruire legami densi con soggetti che pensiamo condividano i nostri stessi valori e pertanto identifichiamo attraverso noi stessi. Anche qui c’è un rapporto con il potere: la sovraesposizione del sé è stata a lungo soffocata nelle convenzioni, nell’educazione, nelle forme di apprendimento di come «stare in pubblico», nella repressione di quello che è giudicato un esibizionismo fuori luogo, equivoco, condannabile. L’extimité dilata lo spazio pubblico, lo riempie della presenza intima dei corpi, delle emozioni, dei turbamenti. Extimité e intimité mettono in gioco angoscia, inquietudine, estraneità, non solo comunanza, vicinanza. Al centro di un tale approccio c’è ancora una volta il corpo. Nella forma dei turbamenti, delle passioni, delle angosce. Nelle frontiere mobili tra intimitè ed extimité è possibile indagare l’oscillazione continua tra movimenti di sottrazione e esposizione, che trasformano lo spazio pubblico nella scena nella quale si dispongono storie, relazioni, linguaggi. Cristina Bianchetti (2016) Spazi che contano, Donzelli, Roma Anthony Vidler, (2009) La deformazione dello spazio, Postmedia, Milano Marco Ferreri (1974) Touche pas à la femme blanche, Francia-Italia, 108” 23
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12 dicembre 2018
Le lotte urbane negli anni 70
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Nelle dimostrazioni di massa che si svolgono nelle strade e nelle piazze, i corpi si riuniscono, si muovono e parlano insieme, rivendicano uno spazio in quanto pubblico. A questo tema sono dedicate la nona e la decima lezione. A partire da una riflessione sulla nozione di massa in Canetti. Lo scrittore nato in Bulgaria da famiglia ebraica di origine spagnola, ma di lingua e formazione viennese, condensa nella massa i caratteri del Novecento. In questa due prime lezioni lo spazio pubblico è inteso in senso eminentemente politico. Le lotte urbane sono state tra le più importanti azioni collettive degli ultimi decenni del 900. I significati politici messi in atto dalle manifestazioni non sono solo legati al discorso scritto o orale. Lo stare assieme in molti, il movimento, l’immobilità, il collocarsi con il corpo in mezzo all’azione di un altro, non costituiscono atti individuali, ma forme d’azione che articolano un nuovo spazio politico. La presenza dei corpi è dunque elemento centrale delle forme di protesta, dei raduni, delle manifestazioni urbane. É emblematico che questa presenza trovi la sua espressione massima nei momenti più critici di passaggio (o di flessione): a Milano, ad esempio nella metà degli anni 70, quando si dà quella che forse è stata la più importante manifestazione musicale e controculturale italiana di quegli anni, promossa dalla rivista Re Nudo. «Nel giugno 1976 – scrive quaranta anni dopo, Michele Serra su L’Espresso – Milano fu sconvolta dal festival del proletariato giovanile, organizzato dalla rivista Re Nudo. Un’esaltazione di libertà assoluta, che avrebbe segnato il tramonto della speranza». Serra parla dei corpi che incarnano la declinante anima hippy del movimento giovanile di quegli anni (negli Usa era già declinato da un pezzo). «Con il senno di poi – aggiunge - possiamo dire che la copertina dell’Espresso (due giovani donne nude) è un omaggio agli sconfitti. Perché il terzo Festival del Proletariato Giovanile, a Milano nel Parco Lambro del giugno 1976 passò poi alla storia come il grande rito di passaggio dagli anni del sogno agli anni di piombo. Il clima di liberazione collettiva (le danze, il nudismo, la musica, peace and love) che cede la scena, almeno in parte, all’arbitrio energumeno delle prime bande autonome, o più banalmente dei cani sciolti. Un mondo che si disarticola. Un colossale equivoco che mostra tutta la sua fragilità e vaniloquenza: tenere insieme la rivoluzione proletaria e il viaggio in India, la canna del fucile e la canna e basta, Mao e Jerry Rubin». Elias Canetti (1981), Massa e potere, Adelphi, Milano David Harvey (2013) Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street, Dedalo, Bari http://espresso.repubblica.it/visioni/2016/06/20/news/quando-a-parco-lambro-fini-il-futuro-1.273580
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19 dicembre 2018
Alleanze tra corpi nella letteratura di genere
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Dopo l’enfasi posta sulle forme virtuali della politica, il carattere mediatico della leadership (e del corpo del leader), dopo le sperimentazioni in rete delle consultazioni elettorali (e i deliranti auspici che ciò possa darsi anche per le funzioni parlamentari), all’avvio del secondo decennio degli anni 2000, i corpi sono tornati al centro dell’attenzione. I corpi di centinaia (migliaia) di uomini e donne si sono resi visibili per manifestare, per ribellarsi, per esserci. In ambienti diversi e con obiettivi differenti in Africa, in Europa, negli Stati Uniti: la precarietà, la disoccupazione, la mancanza di libertà, la discriminazione razziale, sociale, sessuale. O a favore di qualcosa di sottratto: l’istruzione pubblica, le garanzie sanitarie, la tutela dell’ambiente. È, come scrive Roberto Esposito, una ritrovata presenza dei corpi. O meglio, di ciò che i corpi rappresentano per il semplice fatto di esserci, prima ancora che di parlare e di rivendicare. Per un diritto di apparizione nella sfera pubblica. La nona lezione è dedicata a questo ritorno. O meglio al ritorno dei corpi nello spazio pubblico e usa come riferimento il testo di Judith Butler L’alleanza dei corpi (Nottetempo 2017 – ed or. 2015). Un libro che trova spunto dalle manifestazioni di dissenso contro le logiche neoliberiste o contro governi e poteri repressivi che nel decennio precedente si sviluppano in contesti e situazioni diverse: dal movimento Occupy alle proteste di Atene, dalle cosiddette “primavere arabe” al Parco Gezi di Istanbul, dalle mobilitazioni queer a quelle degli immigrati irregolari. Al di là delle differenze, l’alleanza dei corpi in queste azioni collettive affronta ed “espone” all’attenzione di tutti una serie di temi interconnessi come la precarietà, la vulnerabilità, la rivendicazione di una vita vivibile e l’esclusione dalla sfera pubblica di apparizione. Ciò che viene sviluppato nella lezione è un aspetto dell’articolato discorso di Butler: il modo in cui l’alleanza dei corpi costruisce (insieme al politico) lo spazio in cui si dà. «… ad essere in gioco, e talvolta ad essere conteso, quando le folle si radunano – scrive Butler – è proprio il carattere pubblico dello spazio» (2015:116). La materialità dello spazio si ritrova qui, come in Hanna Arendt, la filosofa di cui è considerata erede e con la quale ha un contrastato rapporto di accordo e disaccordo. Laddove l’accordo è sul fatto che lo spazio e il luogo si creino attraverso l’azione plurale (2015:120). Non si capisce il significato della città nella tradizione occidentale, dello spazio pubblico e del suo progetto, senza tenere conto del loro essere luogo dell’azione plurale. Hanna Arendt (2006), Vita Activa, Bompiani, Milano, (ed. or. 1954 ?) Judith Butler (2017), L’alleanza dei corpi, nottetempo, Milano
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# 10
9 gennaio 2019
Letture critiche del progetto dello spazio pubblico
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Alla fine si torna al progetto dello spazio pubblico. Cosa resta del disegno di suolo che negli anni 80 ambiva a ridefinire, attraverso lo spazio aperto e pubblico, l’intera città? Allora, la tradizione italiana (Gregotti, Secchi), quella svizzera (Daghini, Descombes, Mariani, Reichlin e, naturalmente, Corboz), quella spagnola (Bohigas ma su questo tema, indimenticabile, il lenzuolo bianco di Alvaro Siza) facevano del progetto dello spazio pubblico un modello progettuale e didattico capace di tenere assieme architettura, urbanistica, paesaggio, conservazione. In quegli anni si ridefiniscono nuovi paradigmi teorici: la teoria della modificazione, il territorio come palinsesto, il progetto di suolo. Teorie che aiutano a mettere in atto strategie e tattiche che vengono riprese in modo estensivo. Dove si è rifugiato oggi il progetto dello spazio pubblico? Nei manuali che costruiscono spazi per individui ridotti a silhouette scarnificate: il bambino, l’anziano, la famiglia arcobaleno … Nell’arredo urbano, “da catalogo”, a generare spazi sempre più uniformi. Nell’enfasi rispetto agli aspetti sensoriali dove ciò che conta è soprattutto l’alta qualità dei materiali: un’arte urbana che è principalmente e sostanzialmente un’arte per ricchi. Nella tecnicalità di buon livello e sofisticata dei progetti tesi a riportare qualità nei piccoli e grandi centri urbani che pensano ad un ruolo del progetto ancora riparatore, al contempo minuto e vago: un vago rimemorare del lavoro a punto e croce. E poi, molti buoni principi, che appaiono principalmente retorici: attenzione ai limiti, alle frontiere porose, agli usi plurimi e temporanei…. La convinzione che usi e vantaggi dell’urbanità possono essere aumentati con attenzione all’ambiance, alla topografia, alla scenografia, all’umidità e alla temperatura. In questa vasta letteratura, quando ci si riferisce ai soggetti, questi sono o felicemente partecipanti: l’urbanità “si intensifica”, vero e proprio un ossimoro. Oppure sono stereotipi. Cosa implicherebbe un’attenzione ai corpi? Come si progettano spazi per l’extimitè o urban interiors? Cosa rimane della carica politica degli spazi dei raduni, delle manifestazioni? Come possono essere ripensati approcci relazionali? Queste domande, messe a punto a partire dai contenuti delle lezioni precedenti, sono strumenti per letture critiche dei progetti che il corso consegna agli studenti e che saranno, in questa lezione. Alvarto Siza (1986) Professione poetica, Quaderni di Lotus, Electa, MIlano Vittorio Gregotti (1986) “Modificazione”, Questioni di architettura, Einaudi, Torino André Corboz (1983), “Le territoire comme palimpseste”, Diogène, n. 121, 14-35. Ora in P. Viganò, a cura di Ordine sparso, Angeli, Milano, 1988
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16 gennaio 2019
Discussione seminariale e conclusioni Intorno al corpo, nello spazio urbano
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La pedagogia costruita attraverso lo spazio orientata ad un abitare igienico e salubre, il rapporto del corpo con la natura, le aporie della misurazione, lo sparire dei corpi nello strutturalismo, l’extimité e l’intimité, i conflitti, le manifestazioni, le alleanze tra corpi sono alcuni degli aspetti che ridefiniscono ciò che nello spazio, è intorno al corpo. Ben oltre le tradizionali attenzioni che le nostre discipline prestano ad angolazioni proporzionali, ergonomiche, funzionali e dimensionali. Ben oltre le modellistiche, le logiche funzionali e le silhouette che bene raccontano una storia di scorporazione di cui l’urbanistica, come il diritto, l’economia, la filosofia sono state fatte oggetto. Il progetto urbanistico deve tornare a rendere visibile il rapporto tra corpo e spazio sul quale, più o meno consapevolmente, si costruisce. É l’intrico delle relazioni tra corpo e spazio che rende lo spazio conoscibile, e trasformabile. Gli studi sullo spazio pubblico e sulle sue forme nella città contemporanea, hanno sottolineato il carattere cruciale di questo intrico. Serve dunque riflettere su cosa un corpo può fare, sul suo essere strumento sempre calato nelle pratiche (nel mondo), sulle sue ossessioni, turbamenti, sui caratteri individuati di genere, razza, età, salute, posizione nel mondo. Il corso propone un insieme orientato di idee per questo pensiero progettuale. Con l’aiuto di pochi libri e autori, selezionati in funzione della loro forza relativamente a questo tema. Il seminario conclusivo muove dal lavoro degli studenti che a partire dalle suggestioni fornite, propongono esempi progettuali utili a costruire una discussione collettiva.
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