a mio padre
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italo scelza in itinere
per “Progetto”: Memorie e Macchine
testo di Marcello Carlino
edizione NUOVA STAMPA
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Amministrazione Provinciale di Avellino OPERA
con il patrocinio del
Ministero per i Beni e le AttivitĂ Culturali
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Il catalogo monografico dell’artista avellinese Scelza è la prima opera illustrata, realizzata con il contributo della nostra Amministrazione. Il valore e l’importanza di questo lavoro ripaga ampiamente il nostro sforzo. Scelza ci ha per altro fatto dono di un suo trittico di grandi dimensioni, già esposto alla Quadriennale di Roma e che farà parte della nostra pinacoteca. Il trittico è dedicato alla nostra terra e il titolo, “Gli uomini della ricostruzione”, ricorda quanto sia stato duro per la Provincia di Avellino intraprendere la lunga opera di ridare vita alle proprie genti. Il nostro compito è quello di promuovere manifestazioni artistiche, in ogni loro forma, che pongano la nostra terra ed i nostri figli all’attenzione del Paese.
Il Presidente dell’Amministrazione Provinciale
Ing. Francesco Maselli
Avellino, 10.09.1999
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Il percorso della memoria di Italo Scelza si legge in questo catalogo che l’Amministrazione Provinciale di Avellino ha voluto dedicargli quale figlio di questa terra e promotore della sua conoscenza fuori dagli angusti confini della nostra realtà. Questa raccolta è riferita ai suoi quarant’anni di attività. Tutta la sua carriera viene qui ripercorsa nelle sue varie fasi, nelle sue diverse espressioni e moti dell’animo. E’ fortemente leggibile, nell’opera di Italo Scelza, una indissolubile connessione tra artista e territorio e tra artista e società. Fin dagli esordi, traspare il suo impegno nel denunciare il disagio dell’uomo nella società industriale, l’allontanarsi dalla terra e da una realtà contadina che sembrano avere lapide nel ferro del trattore. Il sogno dell’artista, che deve e può cambiare la realtà sociale, sembra disperatamente dissolversi nelle assenze bianche delle sagome umane nei deserti industriali. Ma non è l’uomo a soccombere, è il deserto a rimanere solo. L’uomo perde la bianca angoscia attraverso catartici “inabitacoli” di interiorità, riscoprendo la voglia di rimettere le mani su cose che per troppo tempo ha abbandonato. A suon di musica, egli ricostruisce lo scenario della propria esistenza. Ridipinge le strade, le piazze, riprende le tradizioni popolari danzando, godendo del rumore dei propri passi sul legno del palcoscenico. Gli “stucchi colorati dal sole” ci aprono gli occhi su cose che da troppo tempo non venivano guardate, e ci restituiscono il barocco di Catania ed in generale il barocco di casa nostra. In barba alla parvenza di morte del deserto industriale, noi ci appropriamo dei suoi frutti, dei suoi scarti, rendendoli matericamente vivi nella plasticità dei mosaici. Noi, “le sagome senza volto” siamo stati raccontati da Italo Scelza attraverso la sua “humanitas” pregna della memoria dei luoghi e dei materiali e dei luoghi della memoria. Questi sono quelle stanze della mente che ci salvano da naufragio della società e dalla fine del sogno. L’uomo naufraga sulla “zattera” dell’ideologia, ma si salva rivolgendosi a più profondi e duraturi valori, approdando alla memoria di sé. Le linee generatrici di Mondrian portano dritte al passato, riappropriamocene tracciando una evoluzione di una nostra personale poetica. L’ Amministrazione Provinciale, con questo catalogo, inaugura un impegno con i cittadini dell’Irpinia: d’ora in avanti chi ha fatto conoscere la nostra terra e chi si è imposto quale figlio di questa terra, non potrà non essere onorato dal ricordo della sua terra. Giampaolo Palumbo Assessore alle Politiche Culturali Provincia di Avellino
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Edizione a cura di Francesco Ruggiero Sebastiano Palumbo Patrizia Basile Testo di Marcello Carlino Testimonianze di Vito Apuleo Italo Avellino Enzo Bilardello Mario De Micheli Floriano De Santi Guido GiuffrĂŠ Domenico Guzzi Mario Lunetta Daniele Majone Dario Micacchi Duilio Morosini Giuseppe Neri Carlo Pedretti Paolo Portoghesi Gianni Pozzi Franco Simongini Sergio Zuccaro Biografia Graziella Fargnoli Foto di Mimmo Capone Alfio Di Bella Sandro Filoni Franco Mulas Italo Scelza Oscar Savio Traduzioni Daniela Capaldo Simona Bernabei Pierfrancesco Paolini Realizzazione grafica di Loreto Pantano Piero Luigi Albery
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IN ItinerE per “progetto”: memorie e macchine
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Case a Salento, 1959 /60 - tecnica mista cm 70x100
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Italo Palumbo in arte Scelza nasce ad Avellino nel 1939. Negli anni cinquanta è a Napoli per motivi di studio. Nella città partenopea viene influenzato pittoricamente da due dei suoi insegnanti: Spinosa e Corrado Russo, grossi esponenti, allora, della pittura astratta-informale a Napoli e nel mezzogiorno. Il suo trasferimento a Roma avviene per gradi, intorno al 1961 sostando per ragioni di insegnamento in Ciociaria; tiene continuamente contatti con l’ambiente artistico romano esponendo a Roma nel 1964 alla Galleria “Passeggiata di Ripetta”. Senza escludersi dalla vita artistica ciociara, conosce il pittore Domenico Purificato che lo presenta in una mostra personale ed il critico d’arte Duilio Morosini che lo recensisce positivamente in una mostra del “Gruppo 5”, operante negli anni sessanta in Ciociaria. Era il periodo in cui a Roma nacque, fondato dai critici Micacchi, Morosini, Del Guercio e dai pittori Attardi, Calabria, Farulli, Guerreschi, Gianquinto, Vespignani, Romagnoni il gruppo del “Pro e Contro” e gran parte dei giovani artisti che orbitavano intorno all’ambiente artistico romano venivano affascinati dalle operazioni culturali di quel gruppo. Risale al 1968, stimolato da Antonello Trombadori, il vero impatto con il grande centro urbano; lo precede in provincia una attività di ricerca in cui i fatti del mondo, i grossi problemi politici e artistici impegnano la sua coscienza. L’interesse per la macchina si accentua ed il fascino per un tipo di pittura più netta ed essenziale l’avvia al discorso pittorico all’interno di una dimensione industriale tecnologica-urbana che lo aveva interessato già precedentemente nel periodo in cui, girando per le campagne ciociare, dipinge bozzetti di trattori per eseguire poi un grande quadro sull’affrancazione delle terre, commissionato dall’Alleanza contadina di Frosinone. In questa occasione conosce Carlo Levi che lo incoraggia a continuare la sua ricerca sul sociale. L’interesse pittorico è rivolto, in questo inizio, a Mondrian l’importanza della linea come generatrice di immagini - e a Léger - assimilazione della civiltà industriale al suo nascere attraverso vie di dinamismo pittorico . Espone a Roma nel 1971, presentato dal critico Guido Giuffrè, alla galleria “Ciak”, ed è sostenuto da una critica positiva. Intanto i rapporti con artisti e critici diventano sempre più frequenti. Si serve della geometrizzazione tenendo presente
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anche il linguaggio formale di alcuni realisti tedeschi - come Crossberg - nella sua possanza. Tiene alcune mostre personali a Modena, Brescia, Cortina d’Ampezzo e Bari. È in continua ricerca e desideroso di conoscere - prende studio a Milano per potersi inserire nell’ambiente culturale ed artistico del capoluogo lombardo. Conosce i critici Vittorio Fagone e Raffaele De Grada, frequenta Mario De Micheli e i pittori Ruggero Savinio, Dino Vaglieri ed Ernesto Treccani. La tensione ed il dinamismo della metropoli lo affascinano, intanto la situazione socio-politica del paese è in piena crisi e di conseguenza la sua ricerca riflette il momento storico. D’improvviso, il suo mondo si disintegra e cade in un lacerante pessimismo dove l’uomo sembra abbia perso la propria dimensione di vita; ciò nonostante resta l’illusione che lo stesso non sia disposto ad escludersi completamente. Partecipa nel 1973 ad un’importante operazione di gruppo sul territorio in rapporto all’artigianato locale promossa da Dario Micacchi per il comune di Gualdo Tadino, “Immaginazione e potere” (Editori Riuniti), con gli artisti e con lo stesso critico contemporaneamente partecipa ad un’altra operazione territoriale sul nucleo industriale di Ottana, promossa dall’ENI, esperienze queste che offrirono agli operatori l’occasione per il recupero di un rapporto tra arte e popolo, tra cultura e lavoro. In questa occasione conosce Gianquinto, Basaglia, De Vita, e R. Vespignani che lo presenta in una mostra personale alla galleria Nuova Pesa di Roma. Partecipa sempre nel 1973 al XXI Premio del Fiorino di Firenze - Biennale internazionale di Arte - e contemporaneamente tiene una personale a Firenze alla galleria S. Croce. Nel 1977 il Comune di Bettona (Perugia) unitamente al Comune di Anagni organizzano una retrospettiva con una raccolta di 80 opere dal 1965 al 1977, corredata da una monografia edita dalla galleria “Lastaria” allora operante in Roma. L’artista si accinge, nello stesso periodo, a sperimentare l’uso del video-tape assemblando immagini e suoni sui drammatici avvenimenti politici e culturali del ‘77. In quell’anno viene nominato docente all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria da dove si trasferisce poi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, infine a Roma, tuttora sede del suo insegnamento di pittura. Subito dopo si dedica ad una ricerca sulla condizione umana, nasce una serie di opere che rappresentano ambienti ristretti,
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angusti, drammaticamente rappresentati dove è evidente il tragico frantumarsi delle cose. Questa serie di dipinti, intitolati “Inabitacoli” sono esposti nel 1980 nella galleria “Carte Segrete” in Roma. Successivamente l’amore per la dinamica teatrale lo porta a intraprendere una serie di dipinti, in cui, la forza e la persuasività del suo lavoro stanno proprio in una lucida e incalzante re-invenzione della realtà. Questa serie di quadri viene esposta nel 1981 in una personale nella galleria “Le Ore” di Milano presentata dallo scrittore Michele Prisco, e poi ad Arezzo nella galleria d’arte comunale presentata da Dario Micacchi, completata da una più ampia raffigurazione di studi su balletti contemporanei ispirati a Béjart e Linpsay Kemp. Il ciclo delle opere non fu terminato. Nel 1982 una parte di queste opere viene esposta alla galleria d’arte comunale di Jesi in una mostra organizzata da Dario Micacchi intitolata “La Ruota del presente - una situazione romana”. Nel 1983 partecipa alla rassegna “De umbris idearum” intervento sulla macchina della memoria di Giordano Bruno organizzata da Gianfranco Proietti e tenutasi al Convento occupato di via del Colosseo in Roma - riproponendo il suo discorso artistico in una selezione di opere pittoriche, raccolte sotto il tema “macchina della memoria” ispirate appunto agli scritti del filosofo nolano. Nel 1984 l’interesse si sposta su di una ricerca particolare riguardante il barocco catanese, dovuta alla sensibilità e alla disponibilità del gallerista Virgilio Anastasi che gli commissiona un’operazione culturale straordinaria tutta articolata intorno ai problemi del patrimonio artistico di Catania. Il lavoro nasce formando un laboratorio di ricerca, in cui operano uno scenografo ed un ebanista, dove si ricostruisce un clima artigianale che fu proprio della ricostruzione della città dopo il terremoto del 1693. P. Portoghesi, che lo presenta nel volume, così scrive: “Italo Scelza ci mette di fronte, dopo averli decontestualizzati, brandelli di città, frammenti di architettura scelti in funzione della loro densità, della loro ricchezza formale. Il barocco meridionale, le cornici di pietra intagliata servono di spunto per una indagine fredda su alcuni catalizzatori della memoria collettiva, all’interno dei quali il pittore ritrova la sua immagine rimossa. Queste opere su Catania, intitolate “Gli stucchi colorati dal sole” sono esposte prima a Roma nella galleria “L’Ariete” di via Giulia e poi nello splendido palazzo Gottifredo di Alatri, sede
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Hiroscima, 1963 - olio su tela cm 160x140
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Roma ore 24, 1965 - olio su tela cm 160x120
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Morire a Madrid, 1964 - olio su tela cm 140x160
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del Museo Civico. Le caratteristiche di questo momento sono sia lo studio delle forme classiche di pale; polittici; trittici ecc., sia l’uso del supporto pittorico che diventa legno e vive in simbiosi con esso. Nasce così un suo modo di fare pittura che ancora oggi perdura. Nel 1985 la mostra tenuta all’“Art-message” di Roma è tutta incentrata sul tema di un polittico “Il giardino degli ornelli” che verrà esposto subito dopo a Castel Sant’Angelo in occasione di una rassegna intitolata “Un panorama di tendenze” curata da Luciano Luisi. Nel 1986 partecipa alla XI Quadriennale di Roma con un grande trittico intitolato “Gli uomini della ricostruzione” dipinto a ricordo del terremoto dell’ 80 in Irpinia, sua terra natale. Nello stesso anno l’amministrazione comunale di Supino, luogo della Ciociaria, dove Italo Scelza lavora nel suo studio di campagna, gli commissiona un’opera per la Sala Consiliare e che egli intitola “La valle degli ornelli” in cui rappresenta le varie fasi della nascita e della storia del paese ciociaro. Gli viene ordinato poi dal giovane collezionista Ivo Ruzza un trittico, che rappresenta una sorta di allegoria della campagna e il cui titolo si presta ad una interpretazione ambigua: “Il gioco degli scuri”. Si dedica successivamente ad una grande scenografia. Il Comune di Nola gli commissiona la realizzazione in legno e cartapesta di una grande struttura alta 31 metri che deve rappresentare l’arte ed il mestiere del sarto, in occasione della festa dei “Gigli”. Il giglio, la cui realizzazione si basa su due concetti fondamentali, uno scultureo-architettonico e l’altro pittorico-surrealista, occupa la piazza della città, che si trasforma in palcoscenico, e la grande guglia ne diventa la protagonista principale. Gli studi preparatori ed il plastico del Giglio del Sarto vengono esposti all’interno di una chiesa sconsacrata. Interessato, come sempre, alla cultura di altri paesi, decide di avere un’esperienza nell’America del Nord. Ne 1989 espone in Canada, al Columbus Centre di Toronto, una serie di 50 opere che richiamano l’attenzione di un folto pubblico. Successivamente alcune di esse vengono esposte a San Francisco. Soggiorna per un periodo di tempo a New York dove prende contatti con il mondo artistico americano. Ritornando in Italia, per i Mondiali di calcio, gli viene commissionato dall’EDMA editrice - Modena, una grande edizione grafica intitolata “Itinerario 90”.
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In occasione di un concerto eseguito nell’Aula Magna dell’Università “La Sapienza” di Roma con musiche di Monteverdi dal Coro Franco Maria Saraceni diretto dal Maestro Giuseppe Agostini, Italo Scelza cura la scenografia eseguendo con materiale di recupero (cartone e legno) due grandi cavalli che raffigurano il combattimento di Tancredi e Clorinda e che fanno da fondo alla tragedia in musica ispirata Tasso. G. Agostini scrive in questa occasione..... “Scelza è uno specialista della venerazione per la memoria storica come tale ma rivissuta, rieducata e riedificata con lo spirito inquieto e dialettico della cultura contemporanea”. In questo periodo Italo Scelza ha due importanti commesse: una dal Comune di Sesto Fiorentino, con quattro grandi mosaici che esegue con tre giovani artisti già suoi allievi all’Accademia di Firenze; l’altra dal Comune di Arpino e dall’amministrazione provinciale di Frosinone per affrescare la Sala Consiliare del Comune della Città natale di Cicerone e del Cavalier d’Arpino. Quest’ultima opera, per ragioni burocratiche, non è mai stata eseguita. In questi ultimi anni di riflessione ideologica e pittorica, Italo Scelza rivede e interpreta un’opera dell’800 francese, “La zattera della medusa” di Theodore Géricault che rappresenta l’ammutinamento e il naufragio al largo della costa africana di una nave francese con la conseguente lunga odissea dei superstiti. L’opera viene presa ad esempio e trasfigurata in una serie di dipinti su legno dove ipoteticamente si avverte il grande dramma del naufragio dell’uomo di oggi e la disfatta di ogni ideale. I dipinti sono prima esposti nella galleria “Ca’ d’oro” di Roma e poi a Catania presso la moderna “Art Club”. Partecipa poi a Vasto alla 2ª rassegna di tendenze “Dall’informale alla nuova figurazione” a cura di Floriano De Santi. Italo Scelza espone per conto dell’Hammer Museum di Los Angeles una serie di opere dedicate a Leonardo. Curatori della mostra e del volume sono Giuliano Allegri, direttore della Casa Editrice “La Bezuga” di Firenze e il prof. Carlo Pedretti responsabile artistico del museo Hammer. La mostra su Leonardo diventerà itinerante e sarà esposta in importanti città italiane, europee ed americane (Miami, Los Angeles, Stoccolma, Malmo, Goteborg, Catania, Roma, Amalfi, Anagni). Nel 1994 è invitato a tenere un corso di pittura presso
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l’HUMBOLD University, in California. In quella occasione esegue un grande trittico ispirato alla foresta delle Sequoie. Il dipinto è di proprietà della Pinacoteca Universitaria. Nel 1995 espone una serie di Cartoni ispirati alle Isole di Leonardo nella Galleria L’Indicatore di Roma, a cura di Pino e Teresa Purificato. Sempre nel ’95, espone al Castello di Fumone una serie di opere che continuano il ciclo di Leonardo. Nel 1996 l’artista è impegnato in una serie di interventi culturali, tra questi ricordiamo l’omaggio che il teatro “L’Agorà” di Roma gli rende traducendo alcune sue opere in immagini teatrali con la regia di Enrico Antognelli. Nello stesso anno partecipa alla rassegna curata da Loredana Rea e Massimo Carrillo “Omaggio al Cinema di Carlo Ludovico Bragaglia”. Nel 1997 partecipa alla mostra “Arte a Roma” nella galleria Civica di Arte contemporanea della capitale. A caratterizzare questo lungo percorso artistico di ITALO SCELZA è stata la stretta amicizia con gli scrittori, i poeti e i musicisti; con loro non sono mancate delle vere e proprie collaborazioni, perché nelle sue ricerche storico-pittoriche quasi sempre i poeti e i musicisti hanno partecipato. Per citare alcune di queste occasioni, ricorderemo una delle ultime fatiche di SCELZA su Leonardo. “Schemata”, è infatti il titolo della pubblicazione che ha visto protagonisti i musicisti Giuseppe Agostini, Fabio Agostini, Luca Salvatori, Antonio D’Antò e Lorenzo Pietrandrea, i poeti Mario Lunetta, Paolo Guzzi, Claudio Rendina, Lamberto Pignotti, Sergio Zuccaro e Gianni Godi. Nel 1997 SCELZA partecipa ad una serie di rassegne in Ciociaria, a Boville Ernica, Veroli e Alatri. Nel 1998 tiene una mostra personale a Roma presso l’accademia di Egitto esponendo una serie di quadri sulle Piramidi, in occasione produce con Gianni Godi un video-clip a tema. Nel 1999 tiene una personale a Roma alla Galleria ca’ d’Oro, una al Palazzo della Regione ed una terza mostra nella Chiesa sconsacrata del “Triggio” di Avellino. Nel 2000 terrà una grande antologica organizzata dal comune di Anagni, città dei Papi, in occasione del Giubileo, a New York aeroporto Kennedy a cura dell’”Alitalia” e a Toronto nella storica “ Casa della Corte”.
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Didascalie foto Gente di città, 1961 - tecnica mista cm 40x50 Il cammino, 1962 - tecnica mista cm 50x30 La spiaggia Niza, 1962 - tecnica mista cm 30x45 Crocifissione, 1963 - tecnica mista cm 30x50 Omaggio a Michelangelo, 1964 - olio su tela cm 160x120 6 - La terrazza, 1964 - olio su tela cm 220x220 7 - Terrazzo a Sperlonga (Particolare), - tecnica mista cm 250x110 8 - Moto a Roma, 1965 - olio su tela cm 110x180 9 - I trattori della valle del Sacco (particolare), 1966 olio su tela cm 500x130 10 - Omaggio a Kafka, 1967 - olio su tela cm 100x70 11 - Il volto nella struttura, 1968 - olio su tela cm 160x120 12 - La Vigna del Polvino, 1968 - olio su tela cm 160x120 13 - Le immagini del tempo, 1970 - tecnica mista cm 60x50 14 - Le immagini del tempo, 1970 - tecnica mista cm 60x50 1 2 3 4 5
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SOMMARIO
Biografia Presentazione La città Le costruzioni Gli oggetti Le immagini del tempo Inabitacoli La danza, il teatro Interni Gli stucchi colorati dal sole Le grandi scenografie L’uomo l’ambiente Il mosaico e la piscina La zattera La casa rossa di Humboldt Le macchine di festa Le isole di Leonardo Desertiade La città morta
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PER “PROGETTO”: MEMORIE E MACCHINE A considerare alcune delle opere di Scelza, che appartengono
(si penserà, semmai, come coazione a ripetere, come sbiadito
a questo decennio prossimo a scadere, e a chiudere il secolo,
e innocuo divertimento o, all’estremo, come delirio
colpisce la funzione, di motore e di perno, che vi svolge la
claustrofilo e resa senza lotta al nonsenso): che è poi quanto
memoria: quella memoria cui sono solite richiamarsi,
ha trovato riparo, consentendo un ampio stuolo di fautori e
dichiarandone la centralità, le più recenti autobiografie
di laudatori, sotto l’ombrello capace e protettivo dell’ideologia
scelziane, scritte in catalogo per mano d’autore, e della quale,
del postmoderno.
già nel 1980, rendeva testimonianza, riconoscendone fin dal
All’ideologia del postmoderno la pittura di Scelza non cede
titolo il valore fondante e l’energia costruttiva, un intervento
nemmeno un poco; ed è proprio la memoria il suo punto di
dedicato al grande eretico di Nola, a Giordano Bruno.
resistenza, la sua leva di opposizione: una memoria la cui
Sono esercizi di memoria, infatti, le riscritture e le
pratica, a me pare, deve molto ad una indicazione, o meglio
rielaborazioni compiute, con puntualità e scrupolo analitico,
ad un principio filosofico, di Giordano Bruno.
con acribia, su modelli iconici e, in specie, su un unicum
Si sa che il pensatore, condannato dall’inquisizione romana e
testuale di Géricault; sono lavori di memoria quelli che si
morto sul rogo, sosteneva che la conoscenza non è solo
improntano, intrattenendoli in uno studio e in un confronto e
scienza, ma anche heroico furore e spasmodica tensione (ad
derivandone ispirazione e materia (e cifre e logiche di
altissima temperatura poetica), dovuta certo, a parte subjecti,
composizione da restituire e da riusare), ai modelli progettuali
ad una smania incoercibile di trovare un senso pieno
e, si direbbe, ai protocolli di ricerca di Leonardo.
all’umano stare al mondo, ma pure ingenerata, a parte
La memoria è per Scelza, intanto e in essenza, memoria di
objecti, dalla provvisorietà o dalla trasmutabilità del vero: una
arte, di stili e di tradizioni pittoriche, di iconografie (nel testo
trasmutabilità ed una provvisorietà, inscritte, per dir così,
e in margine ad esso) che hanno sollecitato l’immaginario
nell’ordine dell’universo. E infatti egli, benché fosse nella
collettivo e animato in profondo percorsi di cultura. La
filosofia della natura assai vicino alle teorie copernicane,
memoria è, in forza di ciò, riconoscimento dell’opera (quella
sostenne con straordinaria lungimiranza, in ciò
che si va facendo: l’opera nel suo farsi) quale complesso,
differenziandosi da Copernico, che non si dà un centro
multiplanare itinerario di viaggio fra segni, codici e linguaggi
immobile dell’universo, neanche il sole possedendo questa
espressivi, quale esplorazione anche a ritroso che rincontra e
prerogativa o essendo investibile di tali predicati.
rivede (e lo fa di necessità, secondo una prassi voluta e
Ora, come una ipotesi siffatta porti a ricusare, per principio,
inevitabile) il già fatto, quale cammino e procedura
qualsiasi monocentrismo, e autorizzi, al contrario, un
intertestuale. Epperò - lo comprova che si dialoghi, come in
policentrismo di per sé antidogmatico e fertile di significative
uno spazio mentale, con protocolli di ricerca, e dunque con
potenzialità culturali, è cosa su cui altri ha già discusso
qualcosa che non è stasi o conclusione, ma movimento,
lungamente, e utilmente; lo si dia per assodato, qui, e se ne
apertura, divenire; e ne reca conferma che le variazioni sul
ricavi, del tutto conseguentemente - del resto, l’intervento
tema di un ipotesto costruiscano una articolata sequenza di
bruniano del 1980 aveva per nome aggiunto La macchina
discorso - la memoria non è qui ristretta nelle forme chiuse di
della memoria - che giusto l’inesistenza di una stella fissa o di
una sterile citazione; non è una memoria, insomma, che
un motor immobilis e l’ammissione del policentrismo
incorre in una paradossale conversione e che, alle corte, si
governano il viaggio della memoria di Scelza.
piega ad un’autonegazione e ad una abiura, neutralizzandosi
Non si tratta, cioè, nel caso, di procedere a ritroso, finché ci si
in un mero, smemorato allineamento di reperti, nel quale
imbatte in un punto (una immagine, una figura, un
l’originalità e l’autenticità stanno per intero, valori residuati
linguaggio, uno stile) che è, o si accetta, per fermo e
solo in pallide tracce e evanescenti, dalla parte del citato,
immodificabile, sottratto alla dialettica del confronto. E non si
mentre l’atto della citazione non può caricarsi di alcun
tratta neppure di un percorso, ad imbuto, verso il fuoco della
significato forte e, scontata una definitiva fine della storia,
prospettiva: dal molteplice (l’esperienza in cui siamo gettati)
non può pensarsi come progetto né può pensare un futuro
all’uno (l’origine, l’archetipo stagliato come un’isola felice). Il
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punto che si incontra, invece, è soggetto a spostarsi anch’esso
esplosione, nell’Isola di Leonardo, che sta dabbasso come
ed è colto in movimento, dimensione che si rinnova e si
sede di innesco. Dinamiche spiraliformi e moti a pendolo,
arricchisce come in una sollecitazione energica e tenace, o in
precisi come in un meccanismo ad orologeria, frequentano
un fecondo divenire; e non è unità semplificatoria e
pressoché tutti i pezzi in mostra in Macchine di festa.
riducente, preordinata e limitativa, è complessità polimorfa e
Dire di questi movimenti in atto, e in opera, significa, al
polisensa - perforata da aperture, da spiragli di passaggio, da
tempo stesso, dire che per essi, o intorno ad essi, la memoria
scorci - la stazione raggiunta nel viaggio, tanto che sembra
si rende occasione di incontro, e lievito e incremento nel
che da essa si debba ripartire, e anzi non si possa che
dialogo, di linguaggi diversi. La forma quasi di sezione di una
ripartire, senza soluzione di continuità, senza smettere il
conchiglia, in un cartone, racchiude e tende la figura
cammino della ricerca. Nel che la memoria rintraccia la sua
femminile in proscenio, e la inarca e la stilizza, fino a che
fattualità, la sua concretezza storica, il suo ruolo agonistico e
essa prende sembianze somiglianti al liberty. Un reticolo,
attivo, nient’affatto nostalgico o pago di una verità data e
fatto di materia da arte povera, e provvisto di segnali che
immutabile, da accettare tal quale; e frappone una distanza
rinviano ai collages delle avanguardie storiche o alla
incolmabile da quella memoria (o statica, o inerte, o disattenta
numerologia costruttivistica, stringe in una morsa e soffoca,
e rinunciataria) la cui meta e il cui effetto sono al dunque, lo
altrove, un nudo che parrebbe di maniera umanistica e che,
si sia voluto e programmato o no, l’amnesia (così nelle
nella stretta, sta per deformarsi e per accostarsi alla tipologia
pratiche ispirate all’ideologia del postmoderno; così
di un prigione michelangiolesco (altre figure e stilemi da
purtroppo, e sempre più frequentemente, nella cultura di
Michelangelo, e in particolare la mano della creazione,
oggi).
altrove Scelza ha frequentato). Sotto i Ponti di Leonardo la
Scelza usa la memoria dinamicamente, la incarica di un
corrente si avvolge in fibre di colore intrecciate e trasporta
compito propositivo, storicamente attivo, di analisi laica e di
relitti la cui fattura, talora, deve alla iconografia del cubismo:
ricerca e di rilancio della complessità.
quei vortici a treccia, a loro volta, non appaiono distanti dalle
Si guardi, per reperirne esempi con valore di prova, ad alcune
silhouettes, prossime all’astrazione, in uso nella stagione
opere del ciclo “leonardesco”. Intanto è loro caratteristica, più
simbolista a cavallo tra Ottocento e Novecento, o dalle
volte sottolineata, la disponibilità al movimento, il loro
rappresentazioni dinamico-plastiche tra pre-futurismo e
costruirsi e materiarsi di movimento. È movimento rotatorio
futurismo (penso a Medardo Rosso e al primo Boccioni). Nel
quello innescato dalla struttura come di trottola di una base
mentre, il cielo colorato dalla pirotecnia, che proietta in alto
circolare raggiata (che ripropone alcuni modelli - frammenti
materie e oggetti, richiama palesemente i cieli surrealisti, da
di macchine, parti di congegni scientifici - tracciati dai disegni
Chagall a Mirò.
di Leonardo) e trasmesso (con esiti di sfrangiamento e di
Il variare di queste esperienze e l’attraversarle e il riusarle
moltiplicazione centrifuga dell’immagine, la quale pare girare
nella loro ricchezza, avendo cominciato da Leonardo e
vorticosamente come su un perno; una sorta di rotore
ricominciando una volta incontratolo da vicino, pennello a
compariva, sbalzando un motivo analogo, in una tela del
pennello, nella multiformità della sua arte (un arte come
1982, Le immagini che ruotano) alla figura di fanciulla
ricerca e come progetto), contiene più significati insieme:
sovrastante, profilata secondo canoni quattrocenteschi e
non c’è fatto (o scritto o detto o dipinto) che non si rifaccia (o
sbozzata su iconografie leonardesche, che rotando compone
riscriva o ridica o ridipinga) quando viene portato, quando
una sfera (sferica, appunto, come la terra o come la
irrompe come cosa viva nel tempo qui ed ora dell’esperienza;
rappresentazione tradizionale, geometrica e simbolica,
non c’è studio (o confronto o dialogo) che non si allarghi e
dell’universo). È sventagliamento di oggetti e materie nello
non c’è memoria vera che sia monodirezionale o la cui
spazio, a partire da un nucleo che accumula (un accumulo di
pienezza non sia un’escursione a largo raggio, una catena di
tensione, appunto) piani inclinati, setti prospettici, ingranaggi
associazioni, una sistema di ponti che mette in relazione e in
e tiranti e corde, quello che si produce, quasi a seguito di una
tiro dialettico il simile e il dissimile; non c’è esperienza
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creativa che non sia, perciò, essendo anche altro, ricerca e
analisi, di interpretazione e di riscrittura - con La Zattera della
progetto, dove progetto, alla lettera, è un gettar(si) fuori, oltre
Medusa.
il consueto, verso il futuro.
Niente più di un naufragio, infatti, include il senso
Ha parentela metonimica con il progetto, nella sua giusta
dell’apocalisse, di un’era che finisce, di un destino che si
accezione semantica, la nascita, battuta in tema e installata a
compie: con i relitti di cui la natura e la storia e la dialettica
fulcro di senso, i cui segni si colgono nella forma ovoidale,
del potere disseminano la superficie tutta d’intorno, con le
nel nucleo raggiato inscrittovi, nel cordone ombelicale che ne
rotture e le frammentazioni che ogni rivolgimento comporta,
fuoriesce legato ad una macchia che è quasi una sagoma
con l’angoscia e con l’orrore e con la disperazione che
antropomorfa: la memoria, nel suo senso pieno, è anche -
accompagnano la fine e la morte, con i tentativi di scampare
antifrasticamente - preludio, inizio, nascita; e non si dà
al disastro e di resistere e di riprendere e di ricominciare.
nascita completa - nascita che sia promessa e speranza -
Elementi, questi, che Géricault aveva preso in attenta
senza memoria. Se Leonardo è il genio più grande
considerazione, compulsando dapprima i documenti e i
dell’umanesimo, dedicargli un’esperienza di studio e di
resoconti della sciagura avvenuta in mare, dandosi poi a
ricerca è per Scelza, con tutta probabilità, volgersi a
minutissimi studi anatomici e raccogliendo infine il tutto nel
quell’umanesimo e indicare la necessità di un nuovo
complesso, accurato, veemente racconto su tela.
umanesimo, che si costruisca incontrando i linguaggi, le
L’iconografia del naufragio, ripresa da Géricault e che
anime e le forme che hanno segnato la nostra storia e che
Géricault aveva a suo volta ripercorso in un viaggio della
dobbiamo ritrovare, investire di domande, riusare per
memoria (guardando fra gli altri a Michelangelo e a
prestarle al futuro, per “pro-gettarle”, con un lavoro di
Caravaggio) e riformulato, diviene in Scelza la metafora (di
memoria. E solo in un nuovo umanesimo, che si configuri
significato tanto più forte, poiché liberata da qualunque
quale cammino aperto e consapevole e multidirezionale di
impegno di documentazione e di trascrizione realistica) di
ricerca, sta una via sia pure lunga, una alternativa, una
un’apocalisse storica, della mutazione epocale che
possibilità di rinascita, della cui urgenza e della cui
sopravviene negli ultimissimi anni Ottanta: con sistemi politici
indifferibilità siamo invitati a farci persuasi.
e sociali che vacillano e rovinano e cadono, con ideologie
Quale sia il perché, e quali siano il contesto e le prospettive
prima e a lungo trainanti che si eclissano sembrando non
storiche entro cui si giustificano un bisogno e una volontà di
trovare più spazio nella storia, con una falsa bonaccia (di
rinascita, a me sembra sia detto da Scelza nel ciclo
seguito alla tempesta devastante e contagiosa) che pare fatta
immediatamente precedente, intitolato alla Zattera e
di rassegnazione all’esistente o di inerme accettazione
realizzato tra gli ultimi anni Ottanta e i primi Novanta. È
dell’ineluttabilità delle cose e che però a malapena copre
Géricault, stavolta, l’interlocutore.
gorghi di contraddizione (i cadaveri, i vinti, i relitti del
La scelta di confrontarsi con l’opera del pittore romantico,
naufragio non ancora restituiti dal mare).
che traeva spunto da un fatto realmente accaduto - il
La memoria, in questo ciclo pittorico scelziano, lavora a
naufragio della nave «La Medusa» - , appare tutt’altro che
trovare strumenti e tarare linguaggi, innestando registri e stili,
occasionale o preterintenzionale. Potranno essere intervenute,
per riferire ancora del presente e irrompervi. Anche gli
come spesso accade, suggestioni d’un attimo e in parte
affioramenti del mito, che punteggiano il discorso, hanno una
immotivate, seduzioni di strutture, di orchestrazione pittorica
pertinenza all’attualità: essi dicono di mitologie al crepuscolo
e di colore, che si sono nel tempo solidificate e sedimentate
(che è fra i nomi e i titoli adoperati), o di un crepuscolo degli
fino a costituire l’incipit e dare abbrivo alla ricerca; ma non
dei (e delle ideologie) che chiude il sipario sul passato (e su
v’è dubbio, a mio avviso, che sia stato il tema iconografico, in
ciò che nel passato era valore ingiudicato, sacrale) senza
aggiunta al fatto che esso venisse elaborato da Géricault in un
escludere nuove mitopoiesi (e qui la tensione proiettiva e lo
periodo storico cruciale, in un’epoca di svolta, a rafforzare e
slancio dinamico delle muse, garanti e protettrici delle arti,
determinare in Scelza la volontà di un corpo a corpo - di
che paiono fendere acqua e aria, hanno molto di
29
emblematico; emblematico è, in rapporto a loro, l’ornello,
Di raccoglierle, insomma, nell’ambito di un progetto.
pianta della manna, che le fiancheggia e le accompagna e le
Non casualmente, infatti, tra la zattera, i cui frammenti sono
sostiene) e senza rinunciare a pensare e a fingere nuovi
sparsi tutti d’intorno come semi di ricostruzione che potranno
scenari. Perché il naufragio è apocalisse, ma è pure
attecchire e fruttificare, e l’ isola leonardesca con utopici cieli
palingenesi; e Scelza a me pare ponga l’accento, in questo
surrealisti sovrastanti, che è il luogo per antonomasia in cui si
ciclo ispirato a Géricault, più sulla palingenesi che
esprimono fantasia e ragione, concorrendo a disegnare un
sull’apocalisse: sul nuovo inizio, insomma, che è da sperare,
“più umano” diverso futuro, (il futuro in cui, inoltre, le
e da cercare (e da cercare facendo appello alla memoria e a
scissioni e le fratture, le divisioni dell’io sono ricomposte e il
un nuovo umanesimo), in quella che ora si mostra come una
soggetto è recuperato nella sua totalità intera), si dà un filo di
terra desolata, una landa sconvolta abitata dalla morte e dal
continuità nettissimo, forte ed evidente, tanto che questa
senso della fine.
esperienza non potrebbe essere, di fatto, senza quella. E non
Sebbene il quadro della rappresentazione si incentri
casualmente, nelle assi di legno dell’imbarcazione sconnessa
ricorrentemente su immagini di devastazione (assi e pali e
e violata dai marosi, se è dato rintracciare parecchie
alberi spezzati), la semantica di un nuovo inizio è in realtà
suggestioni o sintonie (dal tema e dall’impianto delle
inscritta, in questi testi pittorici di Scelza, con segno tanto
crocifissioni tardocinquecentesche fino alle sequenze di
marcato e insistito da mostrarsi dominante: a ribadire che la
scritture lignee di Ceroli), si ha netta l’impronta, a mio
responsabilità di un compito attivo e propositivo (la volontà
giudizio, delle sculture di Mastroianni, nelle quali, secondo
di sperare, la tenace resistenza all’accettazione dell’esistente)
una cifra stilistica costante, il senso della distruzione
non può scomparire dall’orizzonte ideologico e dal campo di
(racchiuso nei bracci di ferro minacciosi e inquietanti, che
tensioni e dai compiti dell’arte. Proprio la forza centrifuga
assomigliano a congegni bellici) si connette immancabilmente
degli elementi, catapultati a raggio sul mare dal piano della
alla energia costruttiva (tradotta in un dinamismo
zattera, palesemente richiama, in una con la distruzione, ma
d’ascendenza futurista) dello slancio plastico che organizza la
come polo antagonista, la dimensione costruttiva di un
materia e le conquista spazio e respiro.
metaforico tendersi in volo, di uno sfuggire alla stretta, di un
Certo è che la vocazione plastica della pittura di Scelza è
librarsi verso un altrove nel quale altri scenari e altri destini,
cocciuta, tenace, di una fisicità prepotente; e non le basta il
altre utopie siano pensabili ed abbiano spazio. Chi ha
peso dei corpi, presi in una serrata dialettica di pieno e di
sottolineato come questo ciclo scelziano sia caratterizzato da
vuoto, scavati dalla luce (spesso da una rasoiata di luce) e
affioramenti del rimosso, e dalla libertà concessa a dinamiche
modellati da violente escursioni chiaroscurali (e questa è una
inconsce, ha certamente ottime ragioni, purché si aggiunga,
delle anime del Gioco degli Scuri, del 1986, polivalente già
però, che ritorni o liberazioni siffatte, e quel “che” di
nel titolo): corpi che il linguaggio della nuova figurazione
manipolazione ludica che si ravvisa nei legni e nelle tavole (e
piega e volge dal realismo barocco all’espressionismo,
nella reiterazione variata - quanto alle stesse tecniche
secondo una cifra di stile che Scelza non ha mai dismesso.
adoperate - dell’iconografia del naufragio; l’ascolto del
Quella vocazione plastica ha bisogno di un habitat più vasto
rimosso si coglie, del resto, anche nel fatto che Géricault sia
in cui realizzarsi: ha bisogno di fuoriuscire dalla superficie
qui interpretato e praticato in una chiave preminente, quella
dipinta per prolungarsi e diramarsi all’esterno, per interagire
visionaria), risponde appunto ad un disegno culturale
e comunicare confacendosi in pieno al ruolo e al compito
riconoscibile: di richiamare e rianimare, per un nuovo
pubblico dell’arte. Si spiega siffattamente perché, almeno da
umanesimo, anche le risorse del soggetto prima solo in parte
vent’anni a questa parte, nella produzione artistica di Scelza
sfruttate (le risorse più recondite, quelle di norma immolate
le installazioni abbiano così tanta rilevanza, sia da sole sia in
sull’altare del super-Io, del controllo sociale e della logica
rapporto, come di testo tridimensionale con il testo
dell’arte) e di prestarle alla attivazione di ulteriori potenzialità
bidimensionale a fronte, con le tavole e i legni e i cartoni e le
del lavoro artistico, alle aperture di altre frontiere di discorso.
tele; e si spiega allo stesso modo perché le sue elaborazioni,
30
e gli eventi a cui esse sono legate, si connotino comunque
congegni realizzati per intero dal lavoro di progettazione,
per una prospettiva di intervento sul territorio. Un progetto
dalla fantasia e dalla ragione umane: strumenti la cui struttura
non è tale davvero, del resto, se non in riferimento alla
consiste in un rapporto cinematico di componenti e una cui
determinatezza storica e geografico-culturale di un contesto e
funzione, tra le altre, è anche la trasformazione e la
in riferimento ad uno specifico orizzonte d’attesa. In
trasmissione di energia.
riferimento ad un territorio, insomma: un territorio come
Un sottotitolo come La macchina della memoria, di sigla e
corpo, organismo vivente con le sue memorie, con i suoi
di chiosa all’intervento bruniano del 1980, a questo punto
valori da ritrovare e da restituire contro i disvalori imperanti,
riassume e dichiara in essenza le ragioni di fondo delle
con un suo umanesimo da strappare alla barbarie che lo
esperienze artistiche successive di Scelza. Ha valore di
incalza: un territorio da riottenere e da abitare. Sono pensate
pronostico quel nome, macchina, che emblematicamente
per il territorio, per esservi immerse e per darne
carica di tensione dinamica e di forza propulsiva la memoria;
testimonianza, per estrarne una storia altra da quella corrente
ma ha anche valore retrospettivo e serve a precisare, a mio
e per improntarvi l’immagine e il senso di una possibile storia
parere definitivamente, gli ambiti e i contorni del lavoro
a venire, di segno radicalmente diverso (il segno della “festa”,
pittorico dell’artista nel decennio, e poco più, precedente.
il segno di una vita collettiva recuperata), le opere degli
Il confronto con l’universo tecnologico che allora Scelza
Stucchi colorati dal sole, un intervento, del 1984, compiuto
veniva realizzando, convergendo con altri che
nella città di Catania: un intervento, tutt’altro che ispirato alla
sperimentavano su oggetti “sociali” analoghi un loro
logica di una estetizzante decontestualizzazione (di una
linguaggio “neofigurativo” (si è fatto, opportunamente, il
enucleazione di elementi fine a se stessa, di un gratuito
nome di Calabria, di Turchiaro), mi pare si caratterizzi, infatti,
piacere del testo), in cui la messa in scena barocca di alcuni
per il suo polimorfismo e la sua polivalenza: per il fatto di
lineamenti peculiari e distintivi della città, occultati da una
essere condotto, insomma, da più angoli prospettici e di
frequentazione abitudinaria o disturbata, comunque corriva
tenere in conto, dunque, diversi punti di vista.
(una frequentazione ad occhi chiusi, che lascia semmai
Il susseguirsi di elementi tubolari è talvolta un vero e proprio
guardare, non più vedere), significa per allusioni la messa in
labirinto (e il labirinto è caos, ma pure ordine; è sintomo di
piazza dell’intera città, la sua uscita in pubblico, dunque la
smarrimento e di erranza ed è, insieme, un simbolo di sfida; e
sua agibilità, la riappropriazione che essa fa di sé, il restauro
nasce come sfida, nella mitologia classica, il labirinto), che
e il ripristino che essa realizza della propria identità
dall’interno, dal chiuso di una fabbrica si trasferisce nello
conculcata e negata. Stucchi e balconi, e legni e cartoni, nella
spazio esterno della città (coniugando, nel mentre,
loro polimatericità, oltreché nella loro esuberanza plastica,
industrializzazione ed urbanesimo). La sinusoide di una scala
nella loro matrice officinesca e artigianale (e, talora, collettiva)
di ferro (con sotto un’ombra d’uomo reclina) indica un
e nella loro fattura, nello stabilire una continuità e un nesso
percorso di alienazione e, allo stesso modo dell’edificio che è
dialettico tra interno ed esterno (che è prodotto culturale
un montaggio di solidi geometrici in forma di tritacarne, con
elettivo del barocco e, in specie, dell’architettura
sopra il collo di una torre sottile e, all’apice, un orologio privo
borrominiana), appartengono alla categoria delle macchine,
di lancette, che ha molto di un occhio prensile e inquisitorio,
che sono un po’ il filo conduttore unitario - la struttura
capace di una ferrea vigilanza censoria, di un dominio
invariante - delle esperienze scelziane degli ultimi vent’anni.
incontrollato e assoluto (è Città, del 1973), appartiene alla
Macchine come coacervi barocchi, macchine teatrali (che
famiglia delle macchine infernali, come quelle che, lugubri e
erano in uso nelle rappresentazioni secentesche e
minacciose, e profetiche, fanno sovente da sfondo al bianco
accompagnavano, nel finale, il colpo di scena), macchine
e nero dei vecchi capolavori del cinema espressionista (e
sacrali e rituali, macchine di festa: macchine come ciò che di
macchine infernali sono gli Altiforni, realizzati nei primi anni
articolato e complesso l’uomo realizza, in forza di esperienza
Settanta). Una simil-olivetti per dattiloscrivere, ma inquadrata
e passione e conoscenza: macchine come meccanismi e
di lato sicché la sua funzione abituale è gran in parte
31
occultata, negata (e, intanto, il “taglio” laterale della
e, insieme, sarà segno di crisi e di critica, di deliberata e
rappresentazione appare, a tutti gli effetti, un modo di
ironica cancellazione in sequenza dei luoghi tecnologici
trattamento straniante dell’oggetto da pop art citato e dei
deputati e della topografia simbolica della città. Ecco, il
dettagli iperrealistici che punteggiano la sua superficie), e i
“doppio carattere” di quelle matasse filamentose di tubi e,
contenitori con pertugi e fughe di porte e fili elettrici non si
insomma, la varietà delle declinazioni del tema della
sa a cosa collegati, e di che cosa motori (gli abitacoli sono
macchina, non segue alcuna storia puntuale e lineare che
quinte teatrali, piuttosto, e i serbatoi misteriosissimi congegni,
riguarda la civiltà tecnologica in cui siamo immersi: secondo
o scatole di sorprese; siamo tra il 1974 e il 1975), li diresti
un tracciato che va dall’attrazione alla ripulsa, dal mito alla
invece, senza tema d’errore, macchine celibi (sul modello
demistificazione, dall’utopia alla disillusione, dal sogno al
delle macchine sceniche barocche e di una strabiliante
risveglio. La varietà e la polivalenza dei ruoli e degli usi - e le
invenzione delle avanguardie), stornate dall’uso corrente e
macchine di produzione, le macchine di tortura, le macchine
forse da qualunque uso. Infine, se il lirismo (magari
di festa - sono, invece, presenti contemporaneamente, in
dietro suggerimento di una mitologia
azione simultanea, in tutte le fasi di questa
contadina declinata su un futuro di
stagione d’esordio di Scelza. E si
progresso, del quale è fatta
rendono,
richiesta alla civiltà delle macchine: così mi sembra di
leggere
al
dunque,
manifestazioni e sintomi della curiosità golosa e vorace ma
nella
c o n s a p e v o l e ,
Affrancazione delle terre,
dell’attenzione critica
un’opera ormai più che
epperò propositiva e
trentenne) può investire
capace di progetto e di
e coprire ordigni
speranza, con le quali la
tecnologici e mutarsi in
sua arte, fin dall’inizio, si
lirismo della materia
volge alla modernità e la
(quella, in alcune tele di Scelza,
vive.
accelerata
Marcello Carlino
vertiginosamente e deformata dalla corsa libera e potente, rombante di luce, di una moto), e se il montaggio di paesaggio naturale e paesaggio industriale può ingenerare sospensioni e microclimi metafisici (particolarmente indicativa, sotto questo profilo, Fabbrica del 1972), pure c’è il controcanto di una tuta di protezione e di un fantoccio meccanico a vietare ogni estatica illusione, a confutare idilli stordenti; e il garbuglio di strutture tubolari, prossimo ad essere una macchia raggrumata di colore, andrà attribuito, quanto alle sue motivazioni profonde, ad un impeto gestuale di sapore liberatorio (ad una imposizione del gesto pittorico oltre le costrizioni mimetiche, fuori della gabbia di un universo perfettamente regolato e ordinato), e tuttavia, in alleanza con il lavorio erosivo del tempo, vorrà significare, anche, una implosione del mondo macchinizzato
32
FOR “PROJECT”: MEMORIES MACHINES In considering some of Scelza’s paintings, that belong to this
We know that the thinker, censured by Roman Inquisitor
expiring decade, at the end of this century, strikes us the
and suffered at the stake, affirmed knowledge is not only a
role, of motor and hinge, that the memory develops: that
science, but also a heroico furore, a spasmodic strain (in a
memory, which the most recent scelzian autobiographies,
very high poetical temperature), due certainly, a parte
written in catalogue by himself, are used to relate, and to
subjecti, to an incoercible fever to find a full meaning to the
that same memory that, since 1980, an intervention
human life in the world, but generated also, a parte objecti,
dedicated to the magnificent heretic of Nola, Giordano
by the temporaries and transmutability of truth: a
Bruno, bore witness, recognising just from the title the basic
temporaries and a transmutability written in the laws of
value and the constructive energy.
universe. Infact, although he was near to the Copernican
Infact, rewriting and rielaboration are exercises of memory
theories concerning the philosophy of nature, he affirmed
accomplished with punctuality and analytic diligence, on
with extraordinary far-sightedness, unlike Copernico, that
iconic patterns and, in particular, on a textual unicum of
there was not an unmoveable centre in the universe.
Géricault; they are works of memory, which refer to the
Now, many people have just discussed, for a long time and
planning patterns and, or better, to the research files of
without success, as a such hypothesis could incite to refuse -
Leonard.
on principles - any monocentrism and could authorise, on
Memory is for Scelza memory of art, stiles and painting
the contrary - an antidogmatic polycentrism, fertile of
traditions, of iconographies (in the text and in its edge)
significant cultural potentialities; let it is ascertained, in this
which have stimulated the collective imaginary and have
contest, so it derives, on consequence, that just the
deeply animated cultural paths. Memory is, for this reason,
inexistance of a fixed star or of a motor immobilis and the
the recognition of a work as a complex, multiform itinerary
admission of polycentrism, rule the memory journey in
of voyages among signs, codes and expressive languages,
Scelza, on the other hand, the brunian intervention in 1980,
even as a backward exploration, that meets and sees again
had as an added name “La macchina della memoria”.
(and does it necessarily according to a wished and inevitable
There is no matter to go backwards, until we run into a
praxis) what has been just done, as an intertestual
point (an image, a figure, a language, a style) that is or can
procedure. But memory is not here pressed on the closed
be accepted, as steady and unmoveable, conceded to the
forms of a sterile quotation; it is not a memory that runs into
dialectic of comparison. And it has nothing to do with a
a paradoxical conversion and that, in short, complies to a
funnel path, towards the prospective focus: from the
self-negation and to an abjuration, neutralising itself in a
multiplicity (the experience where we have thrown ourselves)
forgetful alignment of reperts, where the originality and the
to the unity (the origin, the archetype).
authenticity are completely on the side of the mentioned
Scelza uses memory in a dynamic way, committing it in a
author, while the quoted act cannot burden itself with any
propositive and historically active task, of laic analysis,
strong meaning and cannot be thought as a project, neither
research and complexity flinging. In finding examples with
as a future: all this, then have found a cover, to allow a
value of test, we look to some paintings of the cycle “after the
large band of supporters and praisers, under the capacious
manner of Leonard”. For one thing, their characteristic,
and protective umbrella of the post-modern ideology.
already underlined, is the availability on movement. It is a
Scelza painting doesn’t give up even a little to the post
rotator movement that is primed by the structure as a
modern ideology, and it is just memory its resistance point,
spinning top with a circular radial base (that reproposes
its opposition lever: a memory that refers, I think, to a
some patterns - fragments of machines, parts of scientific
suggestion or - better - to a philosophic principle of Giordano
apparatus - traced by Leonard’s designs) and conveyed
Bruno.
(with results of fraying and centrifugal multiplication of the
33
image, that looks like spinning vortically as on a pin; a kind
project) includes other meanings: there is not an event (or
of this rotor appeared also on a painting, in 1982, “Le
writing or word or painting) that is not made up (or written
immagini che ruotano”) to the figure of an overhanging girl,
or expressed or painted again) when it’s carried in the time
outlined according to the fifteenth-century canones and
of the experience; there is not study (or comparison or
roughed on Leonard’s iconographies; that figure turns
dialogue) that is not widened and there is not true memory
around and forms a sphere (spherical, exactly, like the Earth
whose fullness is not a large-ray excursion, a chain of
or like the traditional, geometrical and symbolical,
associations, a bridge system that puts in touch and in a
representation of the Universe). It is a fanning of objects and
dialectical situation the like and the unlike; there is not
materials in the space, as from a nucleus that accumulates
creative experience that is not, for this reason, research and
(a tension accumulation, exactly) inclined planes,
project, where the project, literally, I mean throw out oneself,
perspective sectors, gearing, tierods and ropes, all that is
towards the future.
produced after an explosion, like in the “Isola of Leonardo”,
The birth has metonymical relationship with the project, in
that is in the bottom like primer centre. Spiral-shaped
its right semantic meaning; the birth is beaten in theme and
dynamics and pendulous swings, accurate like in a
set up as a sense lynch-pin, whose signs are individuated in
clockwork, haunt almost all the showed pieces in “Macchine
the ovoid-shape, in the inwriting radial nucleus, in the
di festa”.
umbilical cord tied up to an anthropomorhous shaped stain:
Saying about these movements, in act and in work, means,
the memory, in its full meaning, is also - antiphrastically -
at once, saying that, for them or all round them, the memory
prelude, beginning, birth: and there is not a full birth - a
becomes an occasion of meeting for different languages. A
birth that is a promise and hope, too - without memory. If
plain art made of grid, with signals that send to the collages
Leonard is the greatest genius of Humanism, a study and a
of the historical vanguards, holds - as if in a vice - and
research experience dedicated to him, can mean for Scelza,
stifles, somewhere, a nude of humanistic style, that - in the
in all probability, to turn himself to that Humanism and to
vice - is becoming disfigured and similar to the typology of a
grasp the necessity of a new humanism, that is built meeting
Michelangelesque prison (somewhere Sc. has haunted other
languages, souls and shapes that have marked our history:
Michelangelesque figures and, in particular, the hand of
we have to find them again, shoot them questions, reuse and
Creation). Under the “Ponti di Leonardo” the stream wraps
lend them to the future, to “pro-ject” them with a memory
up itself in interwoven colour fibres and carries wreckage
work. And only in a new Humanism, that shows itself as an
whose workmanship - sometimes - reports to the cubism
open, conscious and multidirectional course of research,
iconography. Those plaited whirlpools, once more, are not
there is a long way, an alternative, an opportunity of
different from the silhouettes, next to the abstraction, used
renaissance.
in the symbolist season between the nineteenth and twentieth
Whatever the reason, the context and the historic prospects,
century or by dynamic-plastic representations between pre-
in which a need and a will of renaissance are justified, it
futurism and futurism (I think to Medardo Rosso and the
seems to me that it has been said by Scelza in the
first Boccioni) In the same moment, the coloured sky by
immediately previous cycle, entitled “Zattera” and realised in
pyrotechnics, that projects on high material and objects,
the last years of Eighties and at the first of Nineties. But, for
recalls manifestly surrealistic skies, from Chagall to Mirò.
this time, Géricault is his interlocutor.
The variation of these experiences, the going across them
Choosing to compare himself with the work of art of the
and reusing them in their copiousness, having begun from
romantic painter, that took inspiration from a real fact - the
Leonard and beginning again once that he meets him very
wreck of “the Medusa” ship -, it is not a question of occasion
closely in the variety of his art (an art as research and
or unintentionity. As it often happens, might have the
34
suggestions of a moment occurred, seductions of structures,
palingenesy, too; and Scelza - in my opinion - places the
of pictorial orchestration and colour, that have solidified
accent, in this cycle inspired to Géricault, more on the
and sedimented so much themselves in the time that they
palingenesy than on the apocalypse: on the new beginning,
have set up the incipit and given gather way to the research;
that we have to hope and to look for (and to look for
but there is not doubt, in my opinion, that it has been the
appealing to the memory and to a new Humanism), in a
iconographic item, worked by Géricault in a crucial
waste and troubled land, where death and end-sensation
historical period and in a era of changing to strengthen and
live.
determine in Scelza the will of analysis, interpretation and
Although the representation sight centres itself recurrently on
ri-writing with “La zattera della Medusa”, as in a hand to
destruction images (broken axles, poles and trees), the
hand fighting.
semantics of new beginning is written, in reality, in these
The wreck iconography, taken from Géricault and that he
Scelza pictorial texts, with a so marked and persistent sign to
himself also had run again in a memory journey (looking at
show itself dominant: to confirm the responsibility of an
Michelangelo and Caravaggio, among others), becomes in
active and intentional task (the will to hope, the strong
Scelza the metaphor (of a strong meaning, because freed
endurance to the existing acceptance) cannot disappear
from every engagement of documentation and realistic
below the ideological horizon, below the tensions field, below
transcription) of an historical apocalypse, of the epochal
the art tasks. Just the centrifugal force of the elements,
mutations in the last years of Eighties: with political and
catapulted radiantly on the sea from the raft level, recalls
social systems that wobble, spoil and pull down, with trainer
manifestly, together with the destruction but also as
ideologies that disappear because they seem to find not space
antagonist polo, the constructive dimension of a
in the history anymore, with a false dead calm (after the
metaphorical stretching in flight, of a slipping from a pang,
devastater and infection storm) that seems to made of
of a soaring towards another place where other scenaries,
resignation towards everything that is in existence. Or by
other destinies, other utopias can be imaginable and can
unarmed acceptance of things ineluctability that hardly
have some space. Who has pointed as this scelzian cycle is
covers whirlpools of contradiction (bodies, beaten, wrecked
characterized by removal emergence and by freedom
pieces not already rendered from the sea).
accorded to unconscious dynamics, has certainly excellent
Memory, in this scelzian pictorial cycle, works finding
reasons, on condition that it is added that the returns or
instruments and calibrating languages, inserting registers
such liberations, and “everything of ludic manipulation that
and styles, to report about present and to break into. Even
is recognised in the woods and in the tables (and in the
the emergencies of myth, that mark the discourse, have a
varied reiteration of the wreck iconography; the listening
pertinence to the actuality: they talk about towards the end
removal is gathered also in the reason that here Géricault is
(that is among the used names and titles) or about a twilight
interpreted and practised in a preminent key, that is
of gods (or of the ideologies) that drops the curtain on the
visionary) answers just to recognisable cultural design: to
past (and on all that has a sacral, iniudged value in the
recall and reanimate, for a new Humanism, also the subject
past) without excluding new “mitopoiesi” (and here the
resources exploited before only in part (the most recondite
projective tension and the dynamic fling of the Muses,
resources, those usually are sacrificed on the altar of the
guarantees and protectresses of arts that seem to cut water
super-ego, of the social control and of the art logic) lending
and air, are very emblematic; emblematic is, in relation to
them to the activation of further potentialities of the artistic
them, the manna-ash - the manna tree, that flanks, escorts
work, to the opening of other discourse frontiers. To pick up
and supports them) and without resigning to think and
them, to conclude, in the ambit of a project.
imagine new scenaries. The wreck is apocalypse, but
Not casually, in fact, a very clean continuous thread there is
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between the raft, whose fragments are strewn all around like
possible to explain also how Scelza elaboration, and the
reconstruction seeds, that will be able to take root and bear
events to which they are linked, distinguish themselves in
fruit, and the Leonard isle with utopian surrealist overhung
any case for a prospect of presence on the territory. On the
skies, because it is the place “par excellence”, where fantasy
other hand, a project is not really the some if it is not
and reason express themselves contributing to draw “more
reported to a historical and geographic-cultural exactitude
human” different future (a future, also, in which, scissions,
of a contest and in reference to a waiting specific horizon.
breaks, and “ego” divisions are recomposed and the subject
In conclusion, in reference to a territory: a territory is like a
is recovered in its whole totality. This continuous thread is so
body, a living organism with its own memories, its own
strong and obvious that this experience could not exist,
values to refind and return against the prevailing disvalues,
really, without that one. And not casually, we can trace
a sort of its own Humanism to snatch out to the barbarity
many suggestions or syntonies, in the wooden boards of the
that presses it: a territory to achieve again and in which live.
disjoined and surge broken boat (from theme and plant of
The paintings Stucchi colorati dal Sole are thought for the
late-sixteenth century crucifixions to the sequences of Ceroli’s
territory, to be soaked inside, bear witness, extract another
wooden-writings). We can feel the clear trace, in my
history from that current, to impress the imagine and the
opinion, of Mastroianni’s sculptures, in which, according to
sense of a new possible history, of a radically different sign
a steady stylistic code, the destroying sense (contained in the
(the sign of the “festivity”, the sign of a new recovered
menaced and worrying iron arms, that are like war
collective life). The paintings Stucchi colorati dal Sole are an
machines) links itself, inevitably, with the constructive
intervention made in Catania in 1984, an intervention, of
energy (put in a futurist ancestors dynamism) of the plastic
course, not inspired to the logic of an aesthetic
fling that organized the material and gets it space and
decontextualization (of a self- turned enucleation of
breathing.
elements, of a free pleasure of the test). In this work the
The plastic vocation of Scelza painting is certainly
baroque performance of some particular outlines of the
obstinate, strong and of an overbearing physics; and it is not
town, hidden by a usually or troubled habitual visiting (an
enough the bodies weight, taken in a concise dialectic of
habitual visiting with closed eyes, that let more look at than
full and empty spaces, hollowed by the light (often by a
see), means allusively the performance of the whole town, its
razor-slash of light) and modelled by violent “light and
turning out in public, so its feasibility, its self-appropriation,
shade” excursions (and this is one of the souls of “Gioco
the restoration of its frustrate and denied identity that the
degli Scuri”, in 1986, that is polyvalent even in the title):
same town realises.
bodies that the new figuration language folds and turns
Stucco-works and balconies, woods and cartoons, belong to
from the Baroque realism to the Expressionism, in conformity
machine category in their variety of materials and also in
with a style that Sc. has never given up. That plastic vocation
their plastic exuberance, in their workshop and handcraft
needs a vaster habitat in which realising itself: it needs to go
die (and collective, sometimes) and in their making, in
out the painted area stretching and branching outside, to
finding a continuity and a dialectic link between interior
interact, communicate and to agree completely with the rule
and exterior (all this is a chosen cultural product of Baroque
and the public task of art.
and, in particular, of borrominian architecture). In fact,
In this way it is possible to explain because, in his artistic
the machine is a little the unitary thread - the invariable
production of the later twenty years, the installations have so
structure - of Scelza experiences of his last twenty years.
much prominence, either alone or in connection with tables,
Machine like baroque piles, theatrical machine (that were
woods, cartoons and painting, as in a tridimensional text
used in seventeenth-century representations and
with a bidimensional one on the opposite page; that it is
accompanied the “coup de théatre”, in the ending), sacral
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and ritual machines, machines of festivity: machines like all
top, a handless watch, similar an inquisitorial eye, able of a
that of articulate and complex man can realise, for
strong censorial supervision and of a uncontrolled and
experience, passion and knowledge: machines like
absolute dominion. At last, the lyricism (perhaps suggestion
mechanisms and apparatus realised interlay by a project
of a rural mythology waned on a future of progress, that is
work, by human fantasy and reason: instruments whose
required by the machine civilisation: so I intend in
structure consists in a kinematic relation of components
Affrancazione delle terre, a more then thirty-year-old
and whose function , among the others, is also the
painting) can also invest and cover technological implements
transformation and energy transmission.
and changing itself into a lyricism of the material ( in some
A sub-title as “La macchina della memoria”, marks and
Scelza paintings, that material dizzily accelerated and
comments to the brunian intervention in 1980, at this point
deformed by the free, potent, light roared run of a motor-
sums up and declares essentially the basic reasons of Scelza
bike. At last, the assemblage of natural and industrial
next artistic experiences. That name, machine, has a
landscape can also generate suspense and metaphysical
prognostic value and loads, emblematically, the memory
microclimates (from this point of view particularly
with dynamic tension and propulsive force: but it has also a
indicative, is Fabbrica in 1972), but there is the contrast
retrospective value and serves for specifying, definitively in
between a protection overalls and a mechanic puppet to
my opinion, ambits and edges of his pictorial work in his
forbid every ecstatic illusion, and confuting stunning idylls.
former ten-year period.
And the embroilment of tubular structures, on the point of
The comparison with the technological universe that Scelza
becoming a clotted stain of colour, will be attributed to a
was realising in that time, drawing together with others that
gesture surge of liberating smack, and nevertheless, in
were experimenting their own “new-figurative” language on
alliance with constant work of erosive time, it will mean an
“social” objects (it was named, opportunely, Calabria and
implosion of mechanised world. All this will be a sign of
Turchiaro) seems to me being characterised for its
crisis and criticism, of a deliberated and ironic striking off
polymorphism and its polyvalence: this comparison, in fact,
in sequence of the deputed technological places and of the
is led from more perspective corners and so it has to consider
symbolic topography of the town.
different points of view.
That is the “ double character” of those threadlike skein of
The tubular elements sequence is sometimes a really true
pipes and, in short, the variety of the machine theme
labyrinth (and labyrinth is chaos, but order too; it is a
declinations that does not follow any punctual and linear
dismay and wandering symptom and, together, a challenge
history that concernes the technological civility in which we
symptom; on the other hand, it is born as a challenge, in the
are soaked: according to a lay-out that goes from the
classic mythology), that moves from the interior, from a
attraction to the repulsion, from the myth to the
factory enclosure, to the town outside (matching, meanwhile,
demystification, from the utopia to the disillusion, from the
industrialization and urbanization). The sinusoid of an
dream to the reawakening. The variety and the polyvalence
iron stair (with below a man’s bending shadow) points out
of rules and uses - and the production machines, torture
an alienation path and belongs to the family of the infernal
machines, festivity machines - are, instead, present in
machines, like those, gloomy and threatening, that often are
contemporaneity, with a simultaneous action, in all the
the background to the black and white old masterpieces of
phases of his Scelza beginning season. And so are given
the expressionist cinema (and infernal machines are
manifestations and symptoms of a greedy and voracious but
Altiforni , realised in the first Seventy years). Similar is the
aware curiosity , of the a critical attention, that is also
building in City, in 1973, that is an assemblage of a mincer
propositive and able of a project and a hope, with whom
shaped geometric solids, with a slim tower over and, on the
his art, from the beginning, turns towards the modernity
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Ipotesi di crescita tecnologica
LA CITTA’
...Poi la tua fuga su una collina ciociara: i boschi, le montagne tutte intorno, la solitudine dei campi divennero nutrimento quotidiano. Nacquero in quella pace, i i tuoi piccoli anelli, «come una manciata di coriandoli», come un esercito di bocche di ramoscelli gridanti dalle erbe all’uomo il loro accorato legame. Sulla collina l’amicizia di Aldo Turchiaro si aprì fiduciosa alla scelta delle tecniche migliori e all’approfondimento delle problematiche proprie della pittura. Finché volesti Roma (1967). Furono duri i primi tempi: alzarsi all’alba era una necessità per raggiungere la scuola lontana, ma erano contro il sole nascente che si stagliavano gli infiniti tubi tutti intorno alle strutture in cemento armato grattacieli dell’EUR: quelle strutture ti affascinavano, ti stordivano e subito divennero elementi della tua anima. Non più dalle erbe, ma da un mare di metallo, le bocche di ramoscelli mutate in alberi giganteschi invitavano al riposo tra tanti colori. Ecco: cominci a costruire con ogni sorta di metallo visioni di un mondo in cui ogni struttura è legata a un geometrismo esasperato e insieme sospesa nel vuoto, in un assurdo e quasi folle incrociarsi di panchine, sedie a sdraio, nuvole-uccelli e piccoli uomini fatti di gesso; perché anche questi in realtà non sono uomini ma soltanto oggetti che ricordano l’uomo, piccoli automi. Nell’orditura delle mille cose presenti, ferme o sospese nello spazio, nel gioco dei blù, rossi, dei grigi lucenti, il gesso degli uomini seduti, al confronto, è sì affermazione di finitezza, di accettazione supina dell’arcano, ma anche di serenità, di gioioso adattamento a una nuova realtà fantastica nella quale ogni interrogativo non ha più senso e tutto è diventato un balletto senza requie nell’infinito azzurro del nulla. Sogno? Volontà di evasione da una realtà angosciosa in cui sembra che l’uomo abbia perduto ogni traccia di spiritualità e che ogni fiducia in lui va smarrendosi ? Può darsi, ma soprattutto bisogno di tradurre in poesia del colore vertigini dell’anima, amplessi strazianti col mistero del nostro vivere e del nostro morire. E cosa è un tuo « HABITAT»? Immagine di una consapevolezza costruttiva nell’ambito di una dimensione urbana, ma anche porzione di cristallo dalla quale traspare la tua pena segreta, la tua speranza dolente di un mondo fatto di bellezza e di amore.
E di silenzio anche. Quel silenzio di cui, per tua mano, erano pervasi i disegni dei tuoi primi allievi e che ora ritorna. Ma, ora, l’urlo è dentro le immagini, perché tutto è immerso nel vuoto: porte e finestre viste come frammenti di una realtà metafisica, sono indicative di un’esperienza che non consente più illusioni sull’abitabilità umana di una città. Le immagini successive, materiali plastici e metallici, fabbriche, hangars, stadi, edifici ci danno la conferma di una vocazione costruttivista, legate come sono al mondo della tecnica. Esse sono costruite con un geometrismo allucinante e se indubbia è la presa che afferra per un deciso nitore cromatico, si sente tuttavia che una sorta di ambiguità viene alla superficie per il dramma incombente: da un lato il fascino della bellezza che è conquista dell’uomo - il prodigio tecnologico è ormai incontestabile - , dall’altro la paura che è nell’inconscio, come uno spettro che è in noi, che a mano a mano ci divora, vanificando ogni tentativo di liberarcene: la macchina perfetta che abbiamo costruito per inseguire un sogno, ci scoppierà tra le mani e sarà la fine... Daniele Majone
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Mare a Pozzuoli, 1968 - olio su tela cm 70x120
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UN MERIDIONALE NELLA MEGALOPOLI
A MAN from the south in the megalopolis
Aprile 1972
April 1972
Italo Scelza, che proviene dal «profondo Sud» dell’Irpinia, racconta nelle sue tele l’angoscia del meridionale che incontra la megalopoli. Una angoscia, che si manifesta con degli ampi squarci bianchi su tappeti metallici di tubi rosso minio, ma che conserva una poesia antica e delicata. Può esserci poesia in una struttura metallica, in una metropoli schematica e impersonale? Scelza risponde affermativamente anche se questa poesia è piena di nostalgia e di angosce. Non è l’alienazione consumistica; è la grande solitudine dell’uomo nella megalopoli. Nell’efficace «Piazza d’ltalia», nel «Giardini Pubblici», nel «Grande Albero», nella gamma degli azzurri puliti e dei rossi aggressivi nella loro monotonia e vastità, si ritagliano solitarie delle sagome bianche senza volto: gli uomini della grande città. La solitudine degli uomini separati dalla struttura urbanistica o dalla selva di tubi scarlatti. L’uomo, la fabbrica, la città. I tre elementi delle megalopoli che però si trovano su piani diversi: sembrano vicini e frammisti, ma sono talmente lontani perché su dimensioni diverse che non si incontrano mai. Si possono confondere, ma non si incontrano. Questo il messaggio che Italo Scelza trasmette con le sue tele con pudore e molta poesia, senza violenza ma con molta angoscia? E con una tecnica pittorica veramente importante che ripudia il facile e l’impreciso. Eppoi gli «alberi»: gli strani alberi di Italo Scelza fatti anch’essi di tubi aggrovigliati. Alberi decorativi, tracciati minuziosamente a mano con migliaia di cerchi grigi, verdi, blu, gialli, viola: alberi o ciminiere? Decorazione non «natura», come è il «verde» nelle grandi città. Metafisico fantastico e metafisico surreale? Entrambi. Perché le megalopoli sono sempre più fantastiche e sempre più surreali. Scelza coglie questa realtà nei suoi «alberi» che sono, assieme alle sagome bianche e agli squarci candidi e angosciosi, i temi ricorrenti di questa sua prima «personale» cui il giovane pittore meridionale è giunto dopo una intima crisi che gli aveva fatto appendere al chiodo tavolozza e pennelli. L’impatto col metallo risveglierà poi la sua vena pittorica, la sua indole poetica fatta di angosce e paure che il pittore esalta con la nitidezza della sua grafia, con la chiarezza dei suoi colori. Nessun crepuscolo, molta solitudine. Dove andrà Italo Scelza? Una risposta c’è, a nostro avviso, nell’ultima delle sue tele: «il Grande prato». Un quadro notevole. Uno squarcio di pianura composto da un tappeto di tubi verdi, azzurri, marrone che si perde nell’orizzonte: la campagna metafisica di domani ? Italo Avellino
Italo Scelza, coming from the “deep South” of Irpinia, narrates in his paintings the anguish of the Southern man meeting the megalopolis. His anguish expresses itself through big white lacerations on metallic rugs made of minium red pipes, but it keeps an ancient and delicate poetry. Can poetry exist in a metallic structure, in a schematic and impersonal metropolis? Scelza affirms it can exist, even though this poetry is full of anguish and nostalgia. It is not the alienation of the consumer goods era; it is the deep loneliness of man in the megalopolis. In the effective “Piazza d’Italia”, in “Giardini Pubblici”, in “Grande Albero”, ir the range of clean blue and red colours, aggressive in its monotony and vastity, there are solitary white shapes with no face: men in the big city. The solitude of men kept away from the urbane structure or from the wood of scarlet pipes. Man, factory, city. The three elements of a megalopolis are on different levels: they seem near and mixed, but in fact they are very far, because they find themselves in different dimensions that never meet. They can get mixed, but they never meet. This is the message Italo Scelza is conveying through his paintings, showing chastity and poetry, but also a deep sense of anguish, and through a very important pictorial technique refusing what is easy and not precise. And then there are “trees”: the strange Italo Scelza trees also made of entangled pipes. They are ornamental trees, drawn in detail by hand through thousand of grey, green, blue, yellow, violet circles: are they trees or chimneys? They are more a decoration than “nature”, like “green” spaces are in big cities. A fantastic metaphysical or a surrealistic metaphysical element? Both, because a megalopolis is more and more fantastic and metaphysical. Scelza portrays this reality in his “trees” that, together with the white shapes and the innocent and painful lacerations, are the most significant topics of his first one-man exhibition, which the young Southern painter has attained after a long crisis, during which he had stopped painting. The impact with metal will wake his pictorial creativity, his poetry made of anguish and fears exalted by the painter through his shining graphics, and his clear colours. There is no dusk, but still a deep loneliness. In what direction is Italo Scelza going? We think the answer is in his last painting: “il Grande Prato”. This is a remarkable picture portraying a plain structured as a rug of green, blue, brown pipes dissolving in the distance: is this the metaphysical country of tomorrow? Italo Avellino
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IPOTESI SULL’ESITO DI UNA CRESCITA TECNOLOGICA Roma, 1971
Tra le tante ipotesi sull’esito di una crescita tecnologica postulata come alienante, questa di Italo Scelza non è poi la peggiore, e si direbbe anzi, stando al giuoco sottile dell’ironia che la pervade, ch’è da sottoscrivere senz’altro, a scanso di più temibili approdi. Troppi discorsi su codesti approdi, facili profezie spontanee o indotte di tanta giovane pittura fino a ieri, sono stati sgambettati dal loro stesso pessimismo: non tanto per essersi fatti più realisti del re, quanto per l’acquisita coscienza di uno spreco, soggettivo e oggettivo, che avrebbe potuto in verità assumersi in linea di principio prima ancora d’essere registrato nei fatti. Scelza, diciamolo subito, non è epigono di un’arte denunciataria che ha fatto il proprio tempo, se mai ha avuto un tempo proprio; la sua pittura non ha semplici o facili equivalenti verbali, non è insomma, per smentirci prontamente, un’ipotesi, bensì appunto pittura, con tutta l’autonomia, la complessità e la specificità che ne consegue. Evitata con questa pregiudiziale la remora della prevaricazione socio-politica vediamo ora liberamente qual’è il mondo prospettato dalla fantasia di Scelza, sicuri dunque che di fantasia appunto si tratta e non di programma ideologico. Quel mondo si desume facilmente dalla lettura dei singoli quadri, seppure lettura ancora parziale e di comodo espositivo. Da una parte si vede un «Giardino pubblico», di null’altro costituito che di una serie di piani orizzontali in fuga verso un orizzonte inesistente, con panchine, che sono astratte prospettive mentali, popolate di omini di gesso, e la vegetazione ridotta ad alberelli assai poco verdi ed assai poco lussureggianti. Nell’«Albero sulla fabbrica», sui tetti rossi dell’opificio, tagliati ed appena visibili, quasi emarginati come appendice d’un mondo superato, giganteggia un albero di trucioli metallici, di retìna tagliata in brevi filtri ricurvi, sul quale gli stessi omini gessosi, quasi membri anonimi di un medesimo anonimo esercito, se ne stanno come in vacanza, si direbbe assunti in eterna vacanza. Il «Grande albero» è una sorta di sagra dai colori vivaci, come una manciata di coriandoli che prendono corpo e diventano selva di tubi colorati, cespugli metallici, sedie a sdraio sospese in un festoso tecnicolor dove gli uomini si aggirano o siedono smemorati. Nella «Piazza d’Italia» non sono manichini né statue silenti, ma fredde squadre d’acciaio a misurare uno spazio asettico, un ordinatissimo labirinto di tubi sul quale operai senza volto sono intenti a un lavoro misterioso. Si potrebbe continuare, ma ognuno vede, nella breve caratterizzazione che se n’è data, i tratti di un mondo snaturato, dove tutto è fittizio ed inutile. La natura ha preso la consistenza assurda di un metallo, a sua volta quasi organico
e come verminoso; le strutture urbane seguono una lucida follia senza storia né scopo, non hanno funzione alcuna e non sono in alcun modo utilizzabili - eppure risultano abitate da uomini che sembrano trovarsi a tutto loro agio. È indifferente che l’albero nasca dalla terra o resti sospeso nel vuoto, e i tubi che popolano la «Fabbrica sulla spiaggia» sono animata congerie da cui si leva un brusio indecifrabile. Il sogno di Scelza non è quello di Chagall, manca del sorriso e della malinconia, del dolce, accorato, appassionato stupore che sono di un vecchio mondo in cui si è vissuto e amato e sofferto. È piuttosto il sogno reale e allucinante di Gregorio Samsa, o quell’altro, cui ci conducono i binari scorrevoli di questa vertigine tecnologica, laica e consumistica. Ma siffatta lettura è ancora parziale, e Scelza non è moralista ma poeta. Se l’uomo di codesto suo strano mondo non sembra registrare alcun disagio bisogna pure riconoscere che l’ambiente in cui esso vive compie uno sforzo considerevole per confortarlo.Un bioccolo spumoso di detersivo levato dal vento a offendere, a contaminare la chioma pure farraginosa di un albero è in realtà nuvola, gigantesca farfalla che si posa tra grigi verdeazzurri. L’albero non frutta rifiuti, tubi o ferraglia, ma questi son frutti sognati, dove il vermiglione canta sull’oltre mare e il bianco vi s’accorda vibrante. E nel giardino, la singolare verzura ricciolata, come di bigodini non ancora tolti, si leva in volo, a sciogliere nella fantasia i nodi della ragione. L’artista, in altre parole, si muove lungo una prospettiva scelta con la partecipe coscienza di appartenere a un tempo che di scelte non ne lascia troppe - e lo dimostra il cammino compiuto dalla sua pittura, da una materia corposa e da una visione mossa, anzi sommossa da una spinta romanticoespressionista, all’approdo di queste calcolate politezze; ma su quella prospettiva opera poi con ammirevole fedeltà alla matrice lirica ch’è la sua più profonda, ad essa riducendo ogni assunto intenzionale, che senza smentirsi cambia tuttavia natura, e il giudizio si colora d’ironia, e lo sgomento stupisce in una estasi incantata e disincantata insieme. Prendiamo coscienza, sembra voler dire Scelza, dello slittamento pericoloso e assurdo che stiamo vivendo; ma la sua pittura confonde la semplicità di quel concetto, lo smentisce e lo arricchisce, ne annega il senso letterale in quello di un’esperienza ben più complessa e implicante, dove la ragione è quella appunto della fantasia, e non v’è rischio senza la salvezza - limitante quanto risolutiva - dell’arte.
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La piazza d’Italia, 1970/71 - olio su tela cm 180x220
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La fabbrica sulla spiaggia, 1970/71 - olio su tela cm 155x147
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La primavera di plastica, 1970/71 - olio su tela cm 125x125
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Albero alla Magliana, 1970 - olio su tela 150x160
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I GIARDINI DEL FUTURO
gardens of the future
Verrà il giorno in cui avrete quartieri e giardini con uno spazio da vendere ed in cui tutto vi apparirà più che pulito, passato all’autoclave. Nelle sue grandi distese, lastre di polaroide (per il dosaggio e filtraggio razionale della luce) proteggeranno e rigenereranno quotidianamente la vostra vista messa alla prova dal lavoro. Sottosuoli con centrali termiche ed impianti di irradiazione di raggi ultra violetti - diventati servizi urbani - vi garantiranno climatizzazione ed elioterapia nelle stagioni più impervie. Respirerete aria ed assorbirete acqua senza smog e senza batteri: depurate da giganteschi distributori di ozono. Da questo mondo, passato al vaglio di tanti schermi e filtri (nel quale la nevrosi resterà un brutto ricordo del passato), da questo razionalissimo habitat, guarderete al Falansterio di Fourier come ad un preistorico episodio della filosofia utopistica. Ebbene, questo potrebbe essere uno dei modi di leggere la favola avveniristica dipinta dal giovane Italo - Scelza (Galleria Ciack). Naturalmente, come tutte le favole, anche questa ha la sua morale. Una morale che consiste - è ovvio nel dire che tutto ciò sarebbe troppo nitido, troppo terso, troppo ibernato, troppo noiosamente «igienico» per corrispondere ai nostri desideri. Che, se nel mondo di oggi, c’è troppo disordine, in quel tale Falansterio (proiezione distorta - da una mano leggera - di certe più spicciole promesse che ci vengono fatte - e non mantenute - dai televisivi consolatori di turno) ci sarebbe troppo ordine. In altre parole che non abbiamo bisogno di una tale dovizia di correttivi al nostro disagio. Come dire, per concludere: non «ricostruiteci» la natura, miglioratecela (o, perlomeno, non abbandonatela alla prevaricazione che la tecnica sta esercitando, oggi, alle sue spalle). Dateci, insomma, la metà di quanto profetizzate, che basterà all’umana misura alla nostra vita (e lascierà al nostro legittimo «appetito di disordine» quel minimo di margine che gli ci vuole). Ebbene, dobbiamo interpretare tutto ciò come uno spiritoso invito a leggere a rovescio questa figurazione dell’utopia? No, non esageriamo Scelza è un lirico, e, come tale, non intende - né può - indurci a toccare con mano una totale impostura, occultata dietro una tanto limpida rappresentazione del futuribile, quale è la sua. Ha ragione - ecco - , il prefatore - Giuffrè - la dove dice che l’equivocabilità circa il significato di una pittura come questa, resta pur sempre sospesa nel limbo degli incantamenti di cui l’autore vive e fa vivere.
There will be a day when you have quarters and gardens with a lot of space, and where everything is going to look cleaner, as if washed by a tanker. Polaroid plates (for rational dosing and filtering of light) will protect and regenerate daily in its large spaces your sight, put on test by work. Undergrounds with thermic power stations and irradiation plants of ultraviolet rays, now urban structures, will guarantee climatization and eliotherapy in colder seasons. You will breathe air and you will absorb water with no smog e no bacteria: purified by huge ozone distributors. From this world, analysed with screens and filters (in which neurosis will be a memory of the past), from this very rational habitat, you will look at the Fourier Falansterio as if looking at a prehistoric episode of utopistic philosophy. This could be one of the ways of reading the futurist fable painted by young Italo Scelza (Ciak Gallery). Of course, as with all fables, this too has a moral. The moral consists, as obvious, in saying that everything would be too clear, too frozen, too tediously “hygienic” to reflect our desires; that if in today world there is too much disorder, in that Falansterio (distorted projection, with a light hand, of certain little promises made, but not kept, by tv consolers of the moment) there is too much order. In other words, the moral says that we do not need such a number of corrections to our discomfort. As if to say, as a conclusion: do not “rebuild” nature, make it better (or, at least, do not abandon it to what technology is doing at its back, prevaricating it). Give us half of what you are foretelling, which will be enough for our life to be human (and will leave a little margin to our legitimate “appetite for disorder’’). Should we interpret this as a funny invitation to read such representation of utopia upside down? No, this is an exaggeration. Scelza is a lyrical artist, and he does not want, or cannot drive us to touch a complete fraud, hidden behind such a clear representation of the possible future, as his rappresentation is. Giuffré is right in his preface, when saying that the possible deception about the meaning of such a painting is in that limbo of enchantments where the artist lives and makes others live.
Duilio Morosini
Duilio Morosini
Paese Sera, Novembre 1971
Paese Sera, Novembre 1971
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I CONTENUTI URBANI Aprile, 1972
Per come stanno, oggi, i rapporti tra arte e società, non credo
Il fatto che il mondo sia dipinto come uno spazio dove
sia di qualche utilità derivare dalle opere più certe di un
l’immaginazione può muoversi con movimenti quasi musicali,
pittore o magari di una corrente viva qual è quella attuale dei
di balletto - il «ballet mécanique» di Fernand Léger, perché no?
giovani neometafisici attivi tra Roma e Bologna (di contenuti
-, non significa cancellazione o svista dei contenuti tragici e
urbani e non mitici mediterranei) una ricetta di pittura della
violenti del mondo, anzi.
realtà con una pronta indicazione ideologica di maggiore
Italo Scelza parte dalla realtà ma corre avanti con
utilità sociale, di più efficace comunicazione, insomma di un
l’immaginazione. Venuto alla città da luoghi di antica
lirismo urbano al servizio della lotta di classe.
campagna e di più antica natura, ora ne restituisce
Questa del lirismo urbano è una ricerca in atto e va lasciata
un’immagine costruita dal punto di vista della città, con le
libera, anche se ora aiutata o contraddetta nell’analisi e nei
idee e l’esperienza della città industriale, tecnologica e
risultati da noi che facciamo cronaca e critica. Anche perché è
consumistica.
difficile dire, oggi, se si riesca a dare forma esatta al senso
Le occasioni poetiche per quella che diventerà l’immagine
storico-esistenziale del tempo e dell’ambiente nostri più con
visionaria possono essere le più quotidiane e banali: i
la potenza del comico e dell’ironia, oppure con la violenza
materiali plastici e metallici dei cantieri, le fabbriche, le
del terribile, oppure ancora con la grazia del lirismo metafisico
macchine industriali, le vernici, i vapori chimici, il gioco e il
che dà evidenza all’apparizione di nuovi segni, oltre quelli già
conflitto di tutto ciò con l’antica natura: ne viene fuori un
manifestati nello spazio del quadro, d’una «profondità abitata»
«palcoscenico» lirico neometafisico con un balletto di forme e
contemporanea tutta da conoscere e da far conoscere. E
colori bene armonizzati tra il minerale e l’organico. E quello
lascerei posto anche all’ipotesi che si debba, invece,
che poteva essere un carattere originale ma sperduto in
sgomberare il campo dell’esperienza di tutti o quasi tutti i
un’immagine tradizionale della natura - il costruire «tubista»
vecchi segni, magari per dare soltanto evidenza contestatrice
già usato da Léger negli anni venti e da Malevic realista
e provocatoria al rifiuto vero, al vuoto, al nulla.
cubista alcuni anni prima - viene ripetuto ossessivamente,
Lo si potrà dire per un’esperienza di tempo lungo. Intanto,
anche se con grande armonia, fino a diventare un carattere
ciascuno, artista o storico o cronista, o anche negatore di tutto
tipico e fondante per la metafora. Ha capito il lirismo urbano
ciò, stia dentro il tempo, contribuisca a fare quello che egli
di Titina Maselli.
crede sia il nostro tempo, con senso umano ricco e esatto,
Tutte le immagini sono molto costruite e non c’è posto per
tendenzioso e combattente ma senza ricette per mentire sul
niente che non sia costruito e non segua, nella crescita, un
fatto di tenere o no in pugno la vita.
metodo, una geometria; le piazze d’Italia (De Chirico forse ci
Italo Scelza, dal 1969 in qua, ha avviato una ricerca solitaria,
si orienterebbe borbottando ma abbastanza soddisfatto), i
che è nella sua natura, nel suo modo di vedere e pensare, ma
giardini, le spiagge, le valli, le case, gli alberi, le nuvole, le
con lo sguardo bene attento alle ricerche tra analitiche e
acque è tutto ricondotto alla visione di una fabbrica generale
visionarie di altri giovani: ha visto la «tessitura» visionaria di
con sagome di troppo grande e incontrollabile.
verdi, azzurri, grigi e bianchi dei fantasmi sociali di Ennio
L’immagine ironica ha una sua calcolata ambiguità: c’è bellezza
Calabria, ha visto anche la favola primitiva e ironica «alla
delle cose ma anche spettralità. Da pittore intensamente lirico
maniera del Doganiere Rousseau» sulla natura che si mangia
com’è, Italo Scelza lascia all’uomo, e non alla tecnologia e alle
la tecnica che va dipingendo Aldo Turchiaro.
macchine, il significato e la prospettiva della costruzione.
Le immagini di città e di natura che qui presenta Italo Scelza sono ricche di significati e la serenità della visione è come la
Dario Micacchi
preparazione a un’apparizione altra portatrice di significati altri. I quadri sono sempre costruiti con energia, grazia, ironia.
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Urban contents Aprile, 1972
...Italo Scelza starts from reality, then goes on to imagination. He moved to the city from places of old country origin and from an even older landscape, and he now gives us back a picture filtered by the urban viewpoint, based on ideas and experiences of the industrial, technological city, a city of consumer goods. The poetic inspirations of what becomes the visionary image can be very common and off everyday life: plastic and metallic materials used in construction sites, factories, industrial machines, paints, chemical exhalations, the game and conflict of modernity with old nature; the result is a lyrical and neometaphysical “stage” where a dance of forms and colours is performed, a harmony between the mineral and the organic elements. What could be an original feature, but lost in a traditional image of nature - the “tubist” structuring already used by Léger in the 20s and by realist cubist Malevic some years before that - is here repeated obsessively, even though with deep harmony, to become a typical and basic feature of metaphor. He has an understanding for the urban lyricism of Titina Maselli. All images are structured pretty much, and there is no place for what is not built and does not use a method, a geometry in growing; the Italian squares (De Chirico would probably look at them grumbling, but he would be rather satisfied), the gardens, the beaches, the valleys, the houses, the trees, the clouds, the waters, everything is united in a vision of a factory with too big and uncontrollable figures. The ironic image shows a calculated ambiguity: there is beauty in things, but also a ghostly feeling. Italo Scelza is an intensely lyrical painter leaving to man, and not to technology or to machines, the meaning and perspective of building.
Dario Micacchi
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Canta un inno, auguri di primo maggio: «Compagno sole, / non drizzare gli aculei, non sgattaiolartela! / Ordina / alle nubi / di liberare le strade. / La festa odierna / è la festa dei lavoratori. / E non sabotare: / Sorgi e illumina!». Majakovsky
A hymn sings, have a happy first of May: "Comrade sun, /do not erect your stings, do not run away! / Order / clouds / to free the streets. / Today's feast / is workers feast. / And do not sabotage: / Rise and illuminate!" Majakovsky
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Officina uno, 1972 - olio su tela cm 170x170
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Stadio, 1972 - olio su tela cm 150x150
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Officina tre, 1972 - olio su tela cm 120x120
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Case al Salario, 1972 - olio su tela cm 100x110
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Gli oggetti
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... ecco un altro materiale d’uso ed anche assai volgare, portato alla poesia con invenzione luminosa. Mi riporta alla terra e alle stagioni Italo Scelza con il suo trittico di verdi, bleu e con bianchi poeticamente rubati alla pittura murale delle sacre pareti umbre: colore-materia di una Italia che si può amare, colore-materia di un Mediterraneo che può essere ancora grembo, di una natura da vivere dentro la storia con naturalezza, con dolcezza, con amore che mi riporta all’antica arte. Dario Micacchi ... there is another material of use, and very popular too, carried to the poetry with a light invention. Italo Scelza carries me again to the earth and to the seasons with h is trittic of green, blue and white poetically rubbed from the mural painting of the umbre sacral walls: color-material of a lovely Italy, color-material of a Mediterranean that can be still womb, of a nature that can be lived into the history withty, with sweetness, with a love that carries me again to the old art. Dario Micacchi
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Una “felicità” terrestre definitivamente incrinata Quella dell’ironia è una linea maestra nella vicenda artistica del nostro novecento, e lo è con una varietà di gradazioni tanto ricca quanto composita, dall’iroso sarcastico al beffardo acidulo al satirico blando, finalmente alla grazia sorridente, all’umorismo lieve, al capriccio. I busti per una galleria da allestire idealmente contro il tetro museo della retorica patria o del pigolìo intimistico non mancano, magari senza sovrabbondare: e computando doverosamente e con onesta sapienza gli imprestiti e gli incroci e le generose contaminazioni tra creatività figurativa e creatività letteraria, per esempio, peraltro plateali in epoca di avanguardie storiche, si può abbastanza agevolmente giungere a riempirne tutte le nicchie. Svevo e Palazzeschi, tanto per cominciare, occuperebbero forse le due più grandi, e comunque le due più visitate: loro che, quanto a amicizia e frequentazione di artisti non sono secondi a molti, nel secolo.E coi risultati che sappiamo. Tra l’altro, in modi anche imprevedibili e di grande iniziativa fantastica, a me pare che il palazzeschiano Lasciatemi divertire! continui a lievitare, e a dar frutti, almeno in tutta una già matura fase dell’operosità di un pittore giovane come Italo Scelza, tra il ‘69 e il ‘72: naturalmente, con tutta la capacità evocatrice di sottile disagio che ogni «divertimento» e ogni lirica grazia oggi comportano. Colpiva, nelle sue tele di questi anni recenti, una sorta di innocenza impassibile che si trasformava di colpo in identificazione magica con gli oggetti e col paesaggio. Quanto di allucinato emergeva da quelle spettacolose vegetazioni cilindriche, da quelle fantasie ballerine di tubi in cui restavano come impigliati in una giostra, sedie, macchinari, omìni pallidi e sfocati bioccoli nuvolosi di detersivo, non implicava comunque da parte del pittore alcuna soggezione feticistica. Il suo occhio coglieva la loro aggregazione geometrica e la loro disintegrazione plastica e cromatica con assoluta, gioiosa imperturbabilità: il baratro con tutto il suo orrore si apriva sempre un attimo prima, o un attimo dopo. Quella che Lacan chiama jouissance, marcava il fiabesco universo tecnologico di quel periodo della figurazione scelziana di significati dai quali rimaneva costantemente assente qualsiasi oscurità viscerale, qualsiasi buio dell’angoscia. Lo spettacolo fruiva di una luce totale, mediterranea, abbagliante: e l’unico coefficiente di malessere veniva comunicato, stranamente, dal rigore fanatico dell’esecuzione, dall’esibizione tranquilla e quasi impudica delle forme che celebravano una coesistenza pacifica (il cui prezzo non veniva enunciato se non dall’esiguità minuscola delle sagome umane, tanto simili a innocui ectoplasmi) tra mondo della tecnica, mondo vegetale e presenza dell’uomo. Le opere e i maestri che la pittura di Scelza aveva attraversato con la sua deliziosa turbolenza venivano immediatamente alla mente e allo sguardo, per sparire subito dopo, pacatamente travolti dopo l’uso dalla sua grazia felice, dalla sua (im) pertinente ironia: Mirò e le «piazze d’Italia» di De Chirico debitamente degradate al livello dell’ovvio, il Léger «tubista», Malevic, la Maselli spogliata della sua più caratteristica aggressività. Da questo viaggio pieno
di coincidenze non certo casuali veniva fuori un’autonomia liberata senza sforzo: la faccia di quel viaggiatore lirico che era Italo Scelza era una faccia ben sua. Sono vicende appena di ieri; ma tutti sappiamo quante cose siano successe, quante prospettive cambiate, quante monete svilite da appena poche ore a questa parte. Sulla tersa cosmogonìa scelziana dev’essere passato un brivido, che ne ha cancellato la proliferante vivacità e il luccicante splendore, costringendolo di colpo a una riduzione violenta, seccamente traumatica. L’occhio odierno di Scelza non è più occhio di Tarzan che segue con quieta festevolezza la gloria esuberante di una giungla sia pure artificiale: è l’occhio del cacciatore bianco, omicida e possibile vittima al contempo, carico di sospetto e di allarme. Ed è fisso su un obiettivo alla volta: una macchia per scrivere arancione, che occupa interamente il fondo bleu della grande tela, con la leva di scorrimento pronta a scattare come una mannaia, in un clima di esecuzione la cui emozionalità timbrica agisce tanto brutalmente da eludere qualsiasi sollecitazione di neutralismo pop; o ancora un oggettoserbatoio realizzato su una ricca scala di verdi, che scatena una suggestione enigmatica, intrigante: un quadro che agisce sullo spettatore per gradi, con sinuosa perfidia, e il cui fascino profondo produce una lenta, pertinace aggressione sull’incauto che vi si esorbitano da ogni naturalismo «magico» o «metafisico» in virtù del drammatico frantumarsi delle linee e del colorismo vivacissimo; o la «valvola» che assume, in una specie di repentina «zummata», aspetto di moschea, una mostruosa moschea carica di bianco, calcinata e metallica, sormontata da un minareto molto fallico, incivettito, come da uno stemma che meno surrealista e meno magrittiano non potrebbe essere, da un improbabile orologio privo di lancette: capriccio e ironia contro il bieco sfondo scuro dentro cui si staglia il profilo malvagio, gelido di una costruzione mica tanto ospitale. Su queste chiavi si muove la recentissima pittura di Scelza. La sua «felicità» terrestre sembra definitivamente incrinata, e comunque messa in crisi dallo spaventoso «raziocinio» di eventi della nostra storia di oggi non più misurabili in termini figurativi che non implichino la tragedia, l’angoscia, infine una disperazione senza romanticismo. La fermezza e la lucidità del pittore in questo confronto non lasciano dubbi sull’esito espressivo, sulla sua implacabile ricchezza metaforica, sulla sua spesso lancinante acutezza visionaria. Pur «congelati» dalla sapienza del suo attuale PROGETTO, i doni di Scelza (la sua corposità sensuale, la sua immediata fisicità) e le contraddizioni della sua ideologia e della sua storia personale (il suo costante rapporto di amore-odio, di attrazione-rigetto con la macchina e il manufatto tecnologico) continuano a possedere una carica straordinariamente attiva e a sprigionare una densità stilistica tutt’altro che frequente tra gli artisti italiani della sua generazione. Mario Lunetta
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A totally undermined mundane "happiness" presence. The works and masters that Scelza’s art had gone through with delicious turbulence immediately came to one’s mind and sight, to disappear immediately afterwards, peacefully caught after they had been used by his positive grace, by his (im)pertinent irony: Miro and De Chirico’s “Italian Squares” appropriately brought to the obvious, the “tubistic” Léger, Malevic, Maselli without her characteristic aggressiveness.
Irony is a crucial reference for art in the XX century in its various rich and compound tones: from angry-sarcastic, to mocking-sharp, eventually to smiling grace, light humour, fancy. There are quite a few busts to create a gallery fighting against the grey museum of national rhetoric or of intimist peeping, even without exaggeration: and if, for example, we seriously and honestly consider what literature lent art, and the crossings and rich contaminations between the two creative forms, very clear in the epoch of historical avantgardes, we can easily refer to them to fill up all niches.
This journey full of unincidental coincidences gave birth to an easily attained autonomy: the face of that lyrical traveller, who in fact was Italo Scelza, was one of his typical faces. We are describing events that just happened yesterday: but we all know how many things occured, how many perspectives changed, how many coins became less precious in the last few hours. Mario Lunetta
Svevo and Palazzeschi to begin with, would be placed into the two largest, maybe most popular niches: not many people in this century had friends among artists as they did. And we know the results of such friendships. I think that Palazzeschi’s “Let me enjoy myself!” (“Lasciatemi divertire!”) influenced, in a manner unpredictable and full of fantastic grace, an already mature phase of a young painter’s activity between 1969 and 1972: that of Italo Scelza. We must take into account, of course, the slight awkwardness that every “divertissement” and lyrical grace provoke nowadays. What caught one’s attention in Scelza’s recent paintings, was a kind of impassive innocence, transforming quickly into a magical identification with objects and landscape. There was no hint of feticism in the hallucinated visions of the painter: spectacular, cylindrical vegetation, moving fantasies made of tubes in which, as a merry-go-round, chairs, machines, little pale men and focusless washing powder clouds were entangled. The painter’s eye caught their geometric aggregation and plastic-coloured disaggregation with an absolute and joyous calmness: the chasm always opened one moment before or afterwards. What Lacan defines jouissance marked the fairy-tale technological universe of Scelza’s imagination of that period with meanings bearing no inner obscurity, no painful darkness. The scenery offered a total, Mediterranean, blinding light: the only distress was conveyed, in a strange way, by the painting severity, and by showing forms celebrating a peaceful coexistence in a calm and almost chaste way (the price of which was not described, if not through the little human figures, that were so similar to harmless hectoplasms) between the technological world, the plant-world, and human
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Dal diario di gualdo
from gualdo diary
L’idea di realizzare a Gualdo Tadino un Centro Promozionale per l’artigianato e la piccola industria maturò dall’esigenza di porre le basi per la rinascita culturale ed economica di una città in cui emigrazione e sottoccupazione andavano assumendo proporzioni preoccupanti per l’inadeguatezza delle deboli strutture produttive artigiane. Coscienti che il problema dell’occupazione e dello sviluppo civile può essere risolto soltanto dal successo delle grandi lotte in corso nel Paese per una diversa politica programmatica, ritenemmo tuttavia possibile mobilitare a livello locale tutte le risorse disponibili per valorizzare e potenziare le capacità esistenti. L’incontro degli Artisti con Gualdo Tadino vuole essere la prima esperienza di collegamento diretto e di lavoro comune tra artisti, artigiani, operai e giovani studenti; l’occasione per il recupero di un rapporto organico tra arte e popolo, tra cultura e lavoro. L’incontro vuole essere anche un esempio di come sia possibile rivitalizzare e popolarizzare i beni culturali troppo spesso soffocati da una concezione statica dei musei e delle pinacoteche. Purtroppo ancora oggi l’idea del centro promozionale di Gualdo Tadino, non dà cenni di vita, probabilmente anche questo tentativo di rinascita culturale viene soffocato da un ingranaggio politico-burocratico nel quale tutti i presupposti di nascita delle grandi lotte culturali nel Paese vengono spesso volutamente dimenticate.
The idea of creating in Gualdo Tadino a Centre promoting craftsmanship and small industry came from the need to build thefoundations for the cultural and economic rebirth of a town, where emigration and underemployment were becoming a really worrying problem, because of the inadequacy of the weak productive handicraft structures. We were conscious of the fact that employment and civil development can be overcome only if the big fights going on in the country to achieve a different political planning will be successful: still we thought it would be possible to involve all local resources we could use, to develop and give the right value to what already existed. The Meeting of Artists with Gualdo Tadino is the first experience in a direct connection and common work of artists and artisans, workers, and young students; it is the chance to rebuild an organic relationship between art and the people, between culture and work. The Meeting is also an example of how one can revitalise cultural resources and make them popular, which are too often belittled by a very static concept of museums and art galleries. Today the project for this Centre in Gualdo Tadino has not yet been realised. Also this attempt to make culture live again is probably being belittled and made impossible by politics and bureaucracy, which too often make people forget all foundations of remarkable cultural fights. Italo Scelza
Italo Scelza
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UNA CRESCITA POETICA NELLA PRASSI Risale al 1969 il mio vero impatto
troppo maturo per cedere
istanze all’interno e unitariamente
con il grande centro urbano. Mi
minimamente di fronte ad attività
alle istanze di tutto il movimento alla
precede, in provincia, un’attività di
artistiche prive di un vero organizzato
cui testa è la forza rivoluzionaria più
ricerca in cui i fatti del mondo, i
respiro politico. Si tratterebbe invero
conseguente, il proletariato», ma poi
grossi problemi politici in
di investire il sistema da ogni lato, a
ci si accorge che tutto resta fermo al
discussione, impegnano la mia
tutti i livelli, quello dell’arte in testa e
livello di proteste più o meno
coscienza umana più che la mia
«raccogliere intorno alla classe
individuali. In questa situazione
volontà di fare arte.
operaia, ogni altra forza produttiva,
cerco di avviare un mio discorso
Strutture culturali inesistenti
favorendo il suo distacco dalla
pittorico all’interno di una
all’intorno, scarsa possibilità di
complicità del sistema», ma i mezzi di
dimensione industriale, tecnologica,
stabilire rapporti con l’esperienza
lotta di cui si servono gli artisti sono
urbana, in cui ci sia spazio per la
altrui, una Capitale vicina ma ostile a
soggettivi, slegati, e non può essere
fantasia e, perché no?, per l’ironia e
ogni tentativo di approccio fanno sì
diversamente dato che questi
la speranza. Procedendo, ho la
che il discorso pittorico sia difficile e
operano ritirati in se stessi, chiusi in
preoccupazione costante di creare
lontane le soluzioni.Finché l’ansia di
una sorta di individualismo; e il
rapporti plastici, insieme di forza -
sapermi inserito al più presto nel
lavoro in solitudine sembra l’unico
strutture urbane geometriche,
vivo di un dibattito a livelli più alti
comportamento possibile per gli
sospese nel vuoto, congerie di tubi e
sull’arte contemporanea, mi spinge
artisti nell’illusione che la solitudine
di bulloni, di architetture metalliche,
verso la città definitivamente. Qui ho
possa evitare la loro trasformazione
saldati gli uni alle altre - uomini
modo di rendermi presto conto che il
in puri strumenti di produzione nelle
fragili e malinconici ai quali non
discorso sull’arte deve essere prima
mani del sistema. Si continua a
resta che accettare l’ambiente in cui
di tutto discorso di coscienza politica.
parlare della necessità di elaborare
vivono.
Il modello culturale è quello tipico
«una strategia culturale in concreto,
Mi sono presenti in questo inizio
della società dei consumi con
intesa a costituire dovunque è
Mondrian - l’importanza conferita
interlocutori in posizione di
possibile strutture d’appoggio
alla linea come generatrice di
contestazione, che vanno da gruppi
alternative alle strutture ufficiali», si
immagini - e Léger - assimilazione
intellettuali al movimento
afferma che una lotta si vince solo
della civiltà industriale al suo nascere
studentesco fino alle organizzazioni
«spingendo avanti un progresso
attraverso vie di dinamismo pittorico.
della classe operaia. C’è sì diffuso un
generale di trasformazione della
Intanto i rapporti con artisti e critici
bisogno, una ricerca di verità, ma gli
società, portando avanti, giorno per
marxisti diventano sempre più
sforzi sono isolati e il capitalismo
giorno, ostinatamente, le proprie
frequenti e si fortifica la convinzione
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che le possibilità di successo nella
dell’arte quindi, bensì la morte
del comune di Gualdo Tadino con la
lotta contro il sistema capitalistico
dell’artista in quanto tale. Ma in
sua proposta di esperienza di
«sono soprattutto legate alla
questa prospettiva ci si accorge che è
comportamento non necessariamente
decisione dell’artista, alla fermezza
molto difficile, se non impossibile,
legato alla pittura, che deve
dei suoi propositi, che tuttavia non
operare. Il mio lavoro intanto
esprimersi in piena libertà nell’ambito
possono resistere che in rapporto
prosegue sui binari di una
delle strutture architettoniche della
con le correnti più vive e attive del
prospettiva diversa: la potenza della
città. Si tratta di un lavoro collettivo
pensiero moderno e più ancora con
tecnica è ormai incontestabile; è
che rappresenta oltre che il tentativo
quel committente ideale che sono
l’uomo ad affermarla e solo l’uomo
di uscire dalle strettoie di un
appunto tutte le forze antagonistiche
potrà liberarla dai motivi che la
esasperato individualismo anche un
in azione dentro e contro il sistema
rendono a lui ostile e nemica -
passo avanti contro la coercizione
capitalistico». E’ progettata in questo
orditure metalliche degli stadi,
del sistema, ostile all’artista e alla sua
periodo l’attuazione di un collettivo
architetture tese e levigate di
produzione, per salvare anche la sua
di lavoro con la finalità precisa che la
padiglioni, macchine - torri, ciminiere
creatività dalla mercificazione. Penso
prospettiva finale di questa lotta
d’acciaio.
a un trittico in ceramica - dimensione
deve essere quella «di una società
Continuo a servirmi della
2,20x1,70 - materiale questo che può
futura dove l’artista perderà il
geometrizzazione tenendo presente
ottenere i migliori risultati di
privilegio di essere qualcosa di
anche il linguaggio formale dei
levigatezza e lucentezza cromatica -
speciale, di diverso dagli altri uomini
realisti tedeschi. Vedo Grossberg ma
nel quale far convergere, verso
poiché la concentrazione del talento
mentre il mondo di Grossberg è
un’oggettività lirica, esterni, interni e
artistico in singoli individui - è una
senza speranza perché la macchina e
figura umana. Da una parte e
tesi di Marx - «con la conseguente
la standardizzazione hanno spento la
dall’altra cielo, campagna, roccia, da
soppressione di simile dote nella
pianta dell’amore, io non mi sento
cui attingere motivi di serenità, e al
grande massa degli uomini, è una
nei miei dipinti di dimenticare del
centro l’uomo, roccia egli stesso,
conseguenza della divisione del
tutto l’uomo quasi a tenere vivo uno
nella sua antica dimensione operaia.
lavoro». In tale società «non vi
spiraglio di speranza e di salvezza
saranno pittori, ma, al limite, uomini
per lui.
che, tra le altre cose, si occuperanno
E’ a questo punto che si inserisce
anche di dipingere». Non la morte
l’invito rivolto a 12 pittori da parte
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Italo Scelza
Oggetto macchina, 1974 - olio su tela cm 113x100
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Oggetto serbatoio, 1974 - olio su tela cm 160x160
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La cittĂ , 1974 - olio su tela cm 120x120
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Le immagini del tempo
Le immagini del tempo Milano 28 febbraio 1976
Ancora due anni fa Italo Scelza dipingeva una sorta di favola
puntiglio a dipingere oggi i suoi «scribilli» metallici come lo
costruttiva, un sogno moderno, una vera e propria
impiegava ieri a dipingere le sue più elaborate e perfette
prefigurazione, in cui la nostra inquieta esistenza riusciva a
architetture. È per questo che la sua pittura, come prima, è
conciliarsi coi nitidi prodigi del mondo tecnologico. Non era
una pittura senza ombre, di squillante timbro cromatico, netta,
un sogno di natura positivistica tuttavia, poiché toccava
ferma, scandita.
all’uomo stesso liberare le potenze della tecnica dai motivi
Ecco il punto: oggi come ieri, per Scelza, la pittura è
che ce la rendono ostile. La trama metallica degli stadi, le
un’operazione in cui il dominio razionale dello stile è
taglienti architetture dei padiglioni, le sagome rigide degli
fondamentale, ma è fondamentale perché il processo creativo
edifici razionalisti, le macchine-torri della seconda rivoluzione
è per lui, essenzialmente, un processo di conoscenza.Come
industriale, le ciminiere d’acciaio, s’accampavano allora sulle
non era neoromantica la radice della sua utopia, così non è
sue tele con intatto e netto splendore, si alzavano nel cielo
irrazionale l’immagine del «negativo» che egli intende
con strutture perfette, con totale evidenza. La sua era insomma
rappresentare nelle sue ultime prove. In fondo il suo giudizio
una visione di trasparenza, tersa come un cristallo di rocca
sul «negativo» prende significato proprio dalla natura o qualità
Utopia dunque?
della sua utopia precedente.
Questo io mi chiedevo, presentando come oggi una sua
Scelza intellettualizza le sue emozioni, dà loro pungente
«personale» fiorentina. Era possibile, dentro ai violenti contrasti
precisione, calzante sigillo formale. Anche la rappresentazione
della storia di cui siamo protagonisti, mantenere una simile
del «negativo» si dichiara con una fisionomia plastica limpida e
visione? Fino a che punto Scelza avrebbe potuto sostenere la
tesa. Solo la bellezza, in arte, possiede il potere della
tensione ideale che animava così lucidamente le sue immagini
persuasione. E Scelza ci persuade del «negativo». I suoi
ottimistiche? Erano indubbiamente interrogativi legittimi di
«grovigli» sono quindi il motivo emblematico, enunciato con
fronte ai suoi quadri che rifiutavano di corrispondere, nella
rara perspicuità, di ciò che non funziona nella funzionalità
loro ordinata coerenza, all’incoerenza del disordine in atto
della società tecnologica, sono l’indice catotico celato sotto
nella realtà.
l’apparente perfezione del sistema.
Ora Scelza ritorna con un gruppo cospicuo di opere: e ci
Ma si badi: al tempo stesso tali «grovigli», nella bellezza della
accorgiamo che la sua visione è mutata. La preoccupazione
loro enunciazione formale, fanno ricrescere in noi il desiderio
nei confronti del mondo moderno, la preoccupazione
di veder restituire il valore della strumentazione tecnologica al
legeriana di essere nel ritmo del proprio tempo, rimane. È
servizio dell’umano. È così, nuovamente, il «negativo» si
caduta però la «profezia», la prospettiva o l’anticipazione
rovescia nel suo contrario. L’utopia rifiorisce.
metaforica della liberazione dell’uomo. Non più quindi, nelle sue tele, armoniche e compiute strutture, definite costruzioni,
Mario De Micheli
esatti profili di macchine o strumenti, bensì il groviglio meccanico, il relitto tecnologico, il coacervo, lo scarto. È chiaro dunque che, oggi, Scelza propone un traslato diverso dalla metafora di ieri. Questi «scribilli» metallici che egli dipinge sospesi nello spazio, sullo sfondo vuoto di un telo, questi «oggetti» rotti, inutilizzabili, vogliono appunto indicare la fine traumatica dell’utopia. Eppure Scelza non ha interrotto il suo discorso, anche se il senso ne appare adesso rovesciato. Osserviamo questi quadri recenti. Il metodo e il carattere della sua pittura non sono cambiati: egli cioè pone lo stesso
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Time images Milan, february 28, 1976
Two years ago Italo Scelza was still painting a kind of
shadows, has bright colours, is clear, firm, defined.
constructivist fairy-tale, a modern dream, a kind of
This is the main point: today like yesterday painting for
prefiguration, in which our disquieting existence succeeded
Scelza is something in which the rational supremacy of style
in conciling with clear prodigies of the technological world. It
is crucial, because the creative process is for him basically a
was not only positivist, however, because it was a man who
knowledge process. His utopia was not of neoromantic origin,
had to free technology forces from what makes it hostile to us.
in the same way as his image of the “negative”, that he is
The metallic stadiums, the cutting architectures of pavillions,
trying to portray in his latest pieces, is not irrational. His
the rigid shapes of rationalistic buildings, the machine-towers
judgement on the “negative” derives its meaning from the
of the Second Industrial Revolution, steel chimneys, were still
nature or quality of his preceding utopia.
subject of his paintings bearing the same splendour, they
Scelza’s emotions are intellectual, he makes them precise as a
went up in the sky with their perfect structures, with a
sting, an appropriate formal seal. Even the representation of
complete evidence. His was a transparence vision, terse like
the “negative” bears a clear and tense plastic character. Only
crystal rock, was it Utopia?
beauty in art has the power of persuasion. And Scelza
This was what I asked myself, introducing like today, his one-
persuades us of the “negative”. His “entanglements” are an
man-show in Florence. Was this vision possible among the
emblem, expressed with a rare clearness, of what does not
deep historical contrasts we are witnessing? To what extent
work in the functionality of technological society, they are
could Scelza support the ideal tension that so clearly
hidden under the apparent perfection of the system.
animated his optimistic visions? These questions were
Be careful though: at the same time, such “entanglements”,
legitimate when facing his paintings, refusing to correspond,
in the beauty of their formal structure, make us hope again
in their coherence, to the disorderly uncoherence of reality.
that technological instruments will be at the service of
Scelza, however, is coming back with a generous number of
humanity.
works: and we realize his vision changed. What remains is
So, once again, the “negative” turns into its contrary. Utopia
his Legerian attention to be inside the rhythm of his time.
reflourishes.
What is not there anymore is “prophecy”, the metaphorical perspective or anticipation of man’s liberation. In his
Mario De Micheli
paintings there are no harmonious and accomplished structures, defined buildings, exact profiles of machines and instruments, but there is mechanical entanglement, the crucible, the waste-material. It is therefore clear that Scelza offers today something different from yesterday's metaphor. These metallic “scribilli” he paints hanging in space, on the empty background of a cloth, the broken “objects”, no more usable, mean the very traumatic end of Utopia. And yet Scelza has not interrupted his discourse, even though its meaning seems inverted. Let us observe these recent pictures. His painting method and character have not changed: that is, he is so precise in painting his metallic “scribilli” today as he used to be yesterday when he painted his most elaborate and perfect architectures. This is why his painting , like before, has no
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Viva l’Italia, 1975 - fotogrammi dal film “Officina italiana” di Italo Scelza
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Le immagini del tempo, 1977 - olio su tela cm 120x110
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Le immagini del tempo due, 1977 - olio su tela cm 110x110
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Le immagini del tempo tre, 1977 - olio su tela cm 130x130
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Le immagini del tempo quattro, 1977/78 - olio su tela cm 130x130
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Ipotesi per un paesaggio, 1977 - olio su tela cm 190x220
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Paesaggio con nuvola, 1976 /77 - olio su tela cm 100x100
81
82
Inabitacoli
83
Inabitacolo uno, 1977/78 - olio su tela cm 110x110
84
Inabitacolo, 1977/78 - olio su tela cm 140x140
85
Inabitacolo con oggetti, 1977 - tecnica mista su cartone cm 50x30
86
Inabitacolo inondato 1978 - tecnica mista su cartone cm 50x30
87
Interno inabitacolo, 1977 /78 - olio su tela cm 60x60
88
Inabitacolo - abitato, 1978 - tecnica mista su carta cm 120x120
89
90
La danza Il teatro
91
Interno, 1980 olio su legno - cm 60x60
92
Omaggio Lindsay Kemp, 1981 - olio su legno cm 75x110
93
Laboratorio scenico
94
Lindsay e lo specchio, 1981 - tecnica mista cm 45x30
95
Il laboratorio della danza, 1982 - tecnica mista cm 50x70
96
Omaggio a Bèjart, 1982 - tecnica mista cm 70x50
97
L’uccello danzante, 1981- tecnica mista cm 70x100
98
Contorsionista 1981- tecnica mista cm 70x100
99
100
Interni
101
Officina veneziana, 1979/80 - olio su tela cm 200x220
102
Interno con gabbia, 1980 - olio su tela cm 125x135
103
Interno con finestra, 1980 - olio su legno cm 100x60
104
Serenella e la sedia, 1980 - olio su legno cm 60x40
105
Interno fiorentino, 1980 - olio su legno cm 45x35
106
Interno fiorentino uno, 1980 - olio su legno cm 60x40
107
Lo stipo a muro, 1980 - olio su tela cm 140x140
108
Scuro dipinto per un ritratto, 1979 - olio su legno cm 90x80
109
Il gioco degli scuri - Trittico (particolare), 1981 - olio su legno cm 220x200
110
Il gioco degli scuri - trittico, 1980 - olio su legno cm 220x200
111
112
Gli stucchi colorati dal sole
113
GLI STUCCHI COLORATI DAL SOLE Gli anni Ottanta saranno ricordati - è facile prevedere - come “il decennio della memoria”. In quasi tutti i campi della cultura i temi della “registrazione”, della riemersione degli archetipi, della memorizzazione, del ricordo, dominano incontrastati e vengono celebrati come una sorta di vendetta storica nei confronti dei lunghi anni dell’amnesia che hanno preceduto questo decennio. Ma che senso ha questa memoria protagonista? E’ sintomo di nostalgia o di distacco, di ritorno, quello appunto che ha come insegna la memoria del computer e il nuovo immaginario tecnologico dell’informatica? Italo Scelza ci mette di fronte, dopo averli decontestualizzati, brandelli di città, frammenti di architettura scelti in funzione della loro densità, della loro ricchezza formale. Il Barocco meridionale, le cornici di pietra intagliata servono di spunto per una indagine fredda su alcuni catalizzatori della memoria collettiva, all’interno dei quali il pittore ritrova la sua immagine rimossa. Per chi vive nella città storica i segni dell’architettura tradizionale entrano a far parte fin dall’infanzia di abitudini visive radicate, che condizionano la immaginazione e per questi segni la lettura storica e filologica costituisce solo una remota possibilità. Generalmente di questi segni il nostro inconscio dà di preferenza una lettura astorica, schiacciandoli in un orizzonte senza tempo. La città è una seconda natura, un paesaggio e le testimonianze di epoche diverse concorrono a formare una identità complessa di cui è ormai parte integrante la nostra vita convulsa, il traffico, la visione frammentaria e disattenta indotta dalle condizioni psicologiche in cui viviamo. Scelza, con grande forza evocativa e con la spregiudicatezza di chi persegue un fine istintivo, ci racconta il nostro raffronto viscerale e ambiguo con la città, il nostro attaccamento ai suoi sogni, la nostra rinuncia a collegarli in un tessuto rigoroso e pedante. E’ un omaggio alla città inteso come “foresta”, alla maniera del Milizia. “Quanto più in questa composizione regnerà la scelta, l’abbondanza, il contrasto, e fin anche qualche disordine, più sarà pittoresca e conterrà più bellezze piccanti e deliziose...” Vuol essere insomma la città - sempre secondo Milizia - un quadro variato da infiniti accidenti; un grande ordine nei dettagli: confusione fracasso e tumulto nell’insieme”. Scelza, con le sue ispirate riflessioni ci aiuta a far luce su quel “grande ordine nei dettagli” che è la grande forza delle città antiche, la grande eredità perduta da ritrovare. Paolo Portoghesi
The 80s will be very likely remembered as a “decade of recollection”. In all the fields of culture ‘recording’ memorization, recollection and the re-emergence of archetypes are the predominant timely subjects now celebrated as a kind of vengeance against the previous years’ forgetfulness. What does recollection mean today? Is it a symptom of nostalgia or of detachment? Is it a return to the past or a raising interest for the memorization and the technological imaginary of computer science? Italo Scelza shows us scraps of towns, fragments of architecture removed from their contest and chosen for their formal richness and wealth. The Sicilian Baroque, the incised stone cornices give the painter an idea for his research on some catalyzers of everybody’s memory: inside those fragments he can find again his repressed imago. For people who live in ancient towns the traces of traditional architecture become, since childhood, deep-rooted visual habits which influence their imagination. A philosophical and historical interpretation of such signs is only a remote possibility. Our unconscious would rather read them unhistorically, flattening them against a timeless horizon. A city is a second nature, a landscape where the traces of past epochs concur informing a complex identity of which our rest less life, the traffic, the fragmentary heedless vision induced by our psychological condition, are now important components. With great creative power and the boldness of one who pursues an instinctive aim, Scelza shows us our visceral, ambiguous relationship with the city, our attachment to its signs, our giving up trying to weave them into a rigorous accurate texture. It is a homage to the city which is seen, after Milizia’s definition, as a “forest”. “The more choice, abundance, contrast and even more disorder will prevail in this composition, the more it will be picturesque and full of pungent, delicious beaties - “the city, in conclusion, wants to be a scene varied by infinite unevenesses, a great order in details, confusion, uproar, turmoil on the whole”. With his inspired reflections Scelza helps us to throw a light upon that “great order in details” which is the great strength of ancient cities and the great lost inheritance to be recovered.
Paolo Portoghesi
114
DAGLI STUCCHI COLORATI DAL SOLE ...La scelta del materiale è, dal punto di vista qualitativo, a favore del legno, perché esso è popolare e antico allo stesso
...I decided to employ wood because it is an ancient and
modo, legato al mondo dell’artigianato, quindi più vicino al
popular material, linked to artisanship and apt to give our
sapore antico che l’operazione comporta. Gli amici, fin dal
work and old time’s mark. Ever since the first day’s work my
primo giorno, si sono trovati ad interpretare i progetti con
collaborators found a great accord in the execution of my
molta affinità. La tensione e l’ansia che mi portavo dentro in
projects. I was full of doubts and highly strung but they, who
quei giorni cresceva sempre di più. Gli stessi compagni di
were eager to see the work accomplished at best, reassured
lavoro ne sono stati coinvolti ed anche loro, nonostante mi
me on the success of the experiment.
tranquillizzassero sulla riuscita dell’operazione, erano
So the “Trittico Biscari” and the “Loggia Alessi dei Crociferi”
interessati a vedere l’opera compiuta nel migliore dei modi. E
began to take shape. A research of the right materials is
così che il “trittico Biscari”, la “loggia dei Crociferi”, “la porta
indispensable for an exact reconstruction of historical
all’angolo di San Cristoforo” incominciano concretamente a
elements.
prendere forma. La ricostruzione di elementi storici è stata
Thinking of the stones, the marbles, and the stuccos employed
analizzata attraverso una ricerca dei materiali senza la quale,
by the ancient master builders, I draw many projects and
nessuno studio, poteva essere seriamente preso in
sketches in water-colour.
considerazione. Nascevano così alcuni bozzetti acquarellati e
It was the end of August, in the hot and sunny country, on
matite colorate su cartoni e piccoli progetti veri e propri
the meadows fragrant of mint we composed the “Trittico
pensando alla pietra, agli stucchi ed ai marmi usati dalle
Biscari”: three elements of wood with nine modules like the
maestranze di allora. Siamo a fine agosto e nella calura della
window opening on the courtyard in Palazzo Biscari.
campagna, sui prati odoranti di “mentuccia” componiamo il Italo Scelza
“trittico Biscari” formato da tre elementi in legno ricoperti di tela grigia di cui, ogni elemento, è composto da nove moduli così come è formata naturalmente la finestra del cortile del Palazzo Biscari. Italo Scelza
115
“La loggia dei crociferi�, 1980 - olio su legno a rilievo cm 220x200
116
Laboratorio - Italo Scelza con lo scenografo Lino Ricciardi e il critico Dario Micacchi
117
Laboratorio trittico Biscari, strutture modulari in legno intelato.
118
Progetto trittico Biscari, 1983 - matita colorata intelata cm 150x140
119
Trittico Biscari, visione completa, 1983 - olio su legno
120
Particolare anta terza, 1983 - olio su legno cm 134x64
121
122
La Porta all’angolo di S. Cristoforo, 1980/81 - olio su legno e tela modulare cm 225x180
123
124
Il grande trittico gli uomini della ricostruzione
“GLi uomini della ricostruzione” Il grande trittico “Gli uomini della ricostruzione” è stato dipinto nel 1985 a cinque anni dal terremoto in Irpinia. Le dimensioni delle tre ante unite sono di m. 5,80 x 3,00, esse sono dipinte ad olio su tela ed incorniciate con fasce di legno in pino russo. Nella parte centrale il
dipinto rappresenta uomini nudi in posizione spasmodica e pronti a voler in tutta fretta ricostruire una terra storicamente martoriata. L’opera è stata costruita ed immaginata nello studio dell’autore e i personaggi che la compongono agiscono in un ipotetico palcoscenico dove sono rappresentati oggetti tipici di uno studio con natura morta, alle spalle visioni di architetture in rovina e paesaggio irpino. Nelle due ante laterali sono rappresentate immagini di personaggi che quasi in trappola non riescono ad esprimersi
come vorrebbero. Chiaramente tutti i personaggi sono visti in chiave metaforica. Il dipinto è stato esposto per la prima volta nel 1985 nel Museo Medioevale di Alatri, nel 1986 alla XI quadriennale di Roma interessando grande parte della critica italiana.
“The Men of Reconstruction” The large tryptich “the Men of Reconstruction” was painted in 1985, five years after the Irpinia earthquake. The three joint antas are m. 5,80 X 3: they are oil on canvas paintings, and their frames are made of wooden plates of Russia pine. In the
middle portion of the painting there are naked men in an agonising posture, who are ready and willing to rebuild a historically suffering earth. This work was built and conceived in the author’s studio, and its characters act on a fictitious stage, on which some objects are depicted: they are typical of a still-life study with visions of architectural ruins and Irpinian landscape in the background. The characters painted on the two side antas seem almost trapped, they can not move
126
and express themselves as they would. All characters are clearly depicted in a metaphorical way. This painting was displayed for the first time in 1985 in the Museo Nazionale in Alatri, in 1985 it was part of the XI Quadriennale in Rome, when it caught
Particolari del grande trittico, 1980
127
“Gli uomini della ricostruzione� trittico, visione completa, 1980 - olio su tela cm 310x560
128
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le scenografie
131
132
e la piazza divento’ teatro
The long Pagan night
LA LUNGA NOTTE PAGANA
Uno dei concetti per cui il barocco viene contrapposto al
One of the concepts on which the difference between Baroque
rinascimento è l’aspirazione al pittorico (Wolfflin), esso tende
and Renaissance is based is the aspiration to the pictorial
a sostituire le forme classiche, plastiche e lineari, con
(Wolfflin); it substitutes classical, plastic, and linear forms
un’immagine mossa fluttuante, inafferrabile; si cancellano i
with a moving, floating, unattainable image; bounds and
limiti e i contorni e si definiscono i grandi effetti di profondità
contours are wiped off, while the grand effects of spatial
spaziali. È con questo spirito, che il “Giglio del Sarto” occupa
depths are defined.
la piazza, essa si trasforma in palcoscenico e la grande guglia
This is what inspires the "Giglio del Sarto" in relation to the square in which it was placed: the square turns into a stage,
che rappresenta i mestieri del sarto, ne diventa protagonista
and the big spire representing the crafts of the tailor becomes
principale. La rivisitazione, in questo caso, non assume un
the main character. The revisitation in this case does not
senso puramente estetico ma vuole essere anche strutturale,
carry an aesthetic meaning, but it also pertains to structure,
rimettendo con le sue forme, ordine in un disordine che da
while rearranging through its forms a kind of disorder that
tempo, in quest’occasione, sfocia in un “non stile” di dubbio
created a "non-style" of dubious Rococo taste, often with no
gusto “Rococò”, spesso senza alcuna coerenza stilistica.
stylistic coherence.
“Il Giglio del Sarto” è semplice nel suo linguaggio, ma ricco di
The "Giglio del Sarto" bears a simple language, but it is rich
riferimenti storici, senza i quali quest’opera non sarebbe
of historical references, without which this work would not
potuta nascere. La sua realizzazione si basa su due concetti
have been possible. It is based upon two main concepts, a
fondamentali, uno scultoreo-architettonico (Bernini) e l’altro
sculptural-architectural one (Bernini) and a pictorial-
pittorico-surrealista.
surrealistic one.
La conchiglia del grande gruppo scultoreo di base si rivela,
The shell of the big basic sculptural group reveals, with its
con il suo splendore, una forma magica che partorisce due
splendour, a magical form giving birth to two big dolphins
grandi delfini che versano acqua in una vasca sottostante; è la
pouring water into an underlying pool; this is the
rappresentazione della fede. I bassorilievi di fonte surrealista,
representation of faith.
che adornano il grande obelisco con le immagini del mestiere
The bas-reliefs of surrealistic influence, adorning the big
del sarto, sono interrotti in due punti da esplosioni, da una
obelisk with images referring to the crafts of the tailor, are
delle quali emerge la figura del Santo in elevazione. Curioso
interrupted by explosions: from one of these the Saint elevates.
connubio per chi pensa che i due elementi non possano
This is a unusual connection for those who think that the two
convivere, mentre fondamentale appare il concetto di libertà
elements cannot coexist, while the concept of freedom characterising the two structures seems fundamental.
che caratterizza i due percorsi. È la libertà di non definire; la
It is the freedom not to define; the freedom to give a spectator
libertà di dare al fruitore modi di letture articolate e diverse; la
articulate and varied modes of interpretation; the freedom to
libertà di fare spettacolo con grande immaginazione e di
perform imaginatively, and to play ambiguously between
giocare ambiguamente tra finzione e realtà. Sono queste
fiction and reality. These are some of the components that
alcune componenti che trasformeranno la piazza e i vicoli in
will turn the square and tiny streets into a stage, on which all
un palcoscenico, sul quale tutti i nolani diventeranno attori,
people from Nola will become actors, dancers, musicians,
danzatori, musici e giullari… e la lunga notte pagana inizierà.
and jokers: ... and the long Pagan night will begin.
Italo Scelza
Italo Scelza
133
Il laboratorio della cartapesta con due moduli in costruzione
134
Studi e sviluppo della base del giglio , cartapesta e legno
135
La macchina del giglio, laboratorio montaggio
136
La grande scultura del giglio
137
138
jazz
139
Immagini di laboratorio con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Frosinone  al festival jazz di Supino.
140
La grande scenografia
141
dalla “Gerusalemme liberata” con musiche di MONTEVERDI eseguite dal Coro Saraceni diretto da GIUSEPPE AGOSTINI
from “Gerusalemme liberata” music by MONTEVERDI performed by Coro Saraceni direct by GIUSEPPE AGOSTINI
142
tancredi e clorinda Monteverdi e la Gerusalemme liberata IN concerto
Laboratorio
144
Particolare della scenografia e visione completa della stessa
145
“GIGANTOGRAFIA” Scenografia realizzata per l’Eurofestival di Ferentino “GIGANTOGRAPH” Scenography realized for Eurofestival of Ferentino
146
Visioni della scenografia “La gigantografia”
147
148
Il mosaico e la piscina
149
Mosaico - Particolare
150
Italo Scelza, in questa operazione assume ovviamente il ruolo
Italo Scelza is obviously playing the leading role in this
guida, vanta già non poche esperienze in questo senso. E
project, and he already had numerous experiences like this,
l'idea di riprenderle non gli piace affatto.
and he does not at all mind repeating them.
«La prima volta - racconta - fu a Gualdo Tadino, nel '73,
"The first time -- he says -- was in Gualdo Tadino in 1973,
eravamo in venti autori, tutti impegnati in un grande mosaico
there were twenty authors, all of us involved in a large
ispirato a Giotto. Chi ricordo? Vittorio Basaglia, Gianquinto,
mosaic inspired by Giotto. Who do I remember? Vittorio
Mulas, Calabria, Farulli... e tutti gli altri naturalmente. Alla fine
Basaglia, Gianquinto, Mulas, Calabria, Farulli... and all
gli Editori Riuniti stamparono un libro dedicato a quella
others, of course. In the end Editori Riuniti printed a book
esperienza con una prefazione di Dario Micacchi». «Fu la
dedicated to that experience with a preface by Dario
prima - riprende - ma ce ne furono molte altre di esperienze
Micacchi." "It was the first -- continues Scelza -- but there
analoghe. A Ottana per esempio, nel '74, una terribile fabbrica
were other similar experiences. In Ottana, for example, in
realizzata con gran dispendio di mezzi nella piana di
74, a dreadful factory built by ENI with a lot of resources in
Orgosolo dall'Eni. E che presto andò in malora. E poi a
the Orgosolo plain. And that soon went "to pieces". Then in
Saronno, in una iniziativa curata da Mario De Micheli... Erano
Saronno with a project directed by Mario De Micheli... All
esperienze artistiche, ma anche di tipo sociale e l'idea era
these were artistic but also social experiences, and the idea
proprio quella che l'artista potesse modificare la realtà
was the artist could modify social environment..."
sociale...». Certo, i tempi adesso sono cambiati, lo riconosce anche lui,
Time has definitely changed, he too admits it, there is no
non c’è più l’ideologia e si crede poco alla possibilità di
ideology anymore and one does not believe much in the
intervenire nella vita collettiva. Ma Scelza crede anche che
chance to modify the collective life. Scelza, however, thinks
certe esperienze, «se recuperate e continuate con intelligenza»,
that certain experiences, "if recovered, and continued
possano sopravvivere.
intelligently," can survive.
Mosaico dunque, con gli scarti di fabbrica, su qualche muro
Therefore a mosaic on some public wall, made of waste-
pubblico. Il Comune di Sesto Fiorentino dice sì e mette a
materials from factories. The Town of Sesto Fiorentino
disposizione un cantiere, e alloggi per tutti. E il muro
accepts, offers a building site and lodgings for everybody.
naturalmente, scelto dopo varie ipotesi. sarà quello della
And the wall too, of course, chosen after various attempts.
piscina comunale, in piazza Bachelet, giusto di fronte al
The wall will be that of the public swimming pool, in piazza
Museo di Doccia. Un muro né bello né brutto, stile anni ’60;
Bagnolet, in front of the Museo di Doccia. It is neither
abbastanza anonimo, che ha il vantaggio però di essere in
beautiful nor ugly, sixties style; rather anonymous; it has the
ottima posizione, di essere già spartito in grandi riquadri
advantage of being a very interesting location, to be already
rettangolari e soprattutto, grazie all'anonima fattura, di
divided into big rectangular sections, and, thanks to its
prestarsi ad ogni intervento.
anonymity, to be used in every possible way. Gianni Pozzi Gianni Pozzi
151
Rileggendo con più chiarezza di pensiero un'opera d'arte del
Reading with a clearer mind a work of art of the past, and
passato e riflettendo sul contenuto e sul messaggio che essa
thinking about its content and about the message it sends,
trasmette, non si può fare a meno di sottolineare l'importanza
one cannot help underlining the historic relevance it holds,
storica che essa ha e l'emozione che la stessa provoca in chi,
and the emotion one feels in reading it analytically.
analiticamente, la legge. E' da oltre un anno che la lettura
Reading the "RAFT" of Géricault had a very precise meaning
della «ZATTERA» di Géricault assume nel mio pensiero un
in my mind for more than a year, the same meaning the
preciso significato, quello che lo stesso storico del tempo,
historian of that time, Michelet, gave the picture of the
Michelet, diede al quadro del famoso artista francese: «La crisi
famous French artist: "The crisis of an entire society, the fall
di una società interna, la caduta di una ideologia, la fine di
of an ideology, the end of a dream."
un sogno».
Ideological crises caused only apparently a freezing in
Le crisi ideologiche, hanno provocato,solo apparentemente,
thought and action, but the painter, who is lucky to live the
un congelamento di pensiero e di azione, ma il pittore, che
everyday life not only on the concrete and realistic level, but
ha la fortuna di vivere il quotidiano non solo sul piano
especially on the imaginative, goes through such crises in a
realistico, ma soprattutto su quello immaginario, vive queste
direct and intense way, but he captures them in his works
crisi sì, in maniera intensa e diretta, ma le trasmette nelle sue
with all his imaginative strength, so that they can remain
opere con tutta la sua forza e la veemenza immaginativa
and remind important events. My pictorial work began in
perché esse restino e possano fissare date importanti. La
1989 with analytical studies, using classic techniques like
ricerca pittorica iniziata nel 1989 con studi analitici eseguiti
pencil, pastel, water-colour: this brought to creating some
con tecniche classiche dalla matita, al pastello, all'acquerello
small paintings on wood, and then developed into larger
ha portato alla realizzazione di alcuni dipinti su legno di
paintings, up to the large mosaic sponsored by the Town of
piccolo formato per poi svilupparsi in pitture di più grandi
Sesto Fiorentino, made using the waste-materials of the local
dimensioni fino alla esecuzione di questo grande mosaico
ceramics factories: the experience on that territory is
realizzato per conto del comune di Sesto Fiorentino, usando i
documented in a volume and in a graphic edition published
materiali di scarto delle fabbriche di ceramica del luogo.
by "La Bezuga" in Florence.
Questo intervento sul territorio è documentato in un volume e da una edizione grafica edita dalla stamperia d'arte «La
Italo Scelza
Bezuga» di Firenze. Italo Scelza
152
Visione completa del mosaico cm 430x230
153
154
l’uomo l’ambiente
155
Interno con figure, 1987 - olio su legno cm 70x50
156
Lunette, 1987 - olio su legno cm 100x45
157
Studio, 1988 - olio su legno cm 60x30
158
Studio, 1988 - olio su legno cm 181x40
159
Una modella a Firenze, 1988 - olio su legno cm 50x40
160
La doccia sotto gli ornelli, 1987 - olio su legno cerato cm 130x100
161
La porta sulle nuvole, 1989 - olio su tela cm 160x120
162
La modella e la Badia, 1990 - olio su legno cm 105x125
163
Particolare del giardino degli ornelli
164
Il giardino degli ornelli, 1989 - olio su legno cm 220x160
165
166
La zattera
LA “zattera della medusa” di théodore géricault Nell’anno 1990, assai fertile di idee e di pittura, Italo Scelza ha dipinto alcuni quadri di piccolo e medio formato - quasi formanti una serie organica e con straordinaria immaginazione strutturati su alcune idee molto coerenti nella riflessione tra presente e passato - che nella struttura figurativa, pure molto fantasmatica, ricordano la struttura, tra disperazione e speranza, del famoso, grande dipinto La Zattera della Medusa eseguito nel 1818-1819 da Théodore Géricault ed esposto con esito incerto al Salon. Nel 1816 la Francia si appassionò al tragico evento del naufragio della nave La Medusa e degli scampati al naufragio che, su scialuppe e una zattera, per giorni e giorni cercarono salvezza. Si discuteva delle responsabilità a bordo e delle responsabilità in alto nel governo. Théodore Géricault, che era stato soldato nell’armata napoleonica e amava infinitamente i cavalli e i soldati - e li dipinse molte volte - aveva fatto un viaggio in Italia e aveva riscoperto, nei resti dell’antico e in pittori francesi come Poussin, la visione eroica. Tornato in Francia si interessò appassionatamente al naufragio e alla zattera della Medusa. Studiò i resoconti del naufragio nei tre momenti chiave: quando a colpi di accetta vengono troncate le corde che legavano la zattera alle barche che la trascinavano e la zattera resta in balia delle onde; quando i marinai abbandonati nell’oceano si ribellano agli ufficiali; e, infine, quando i superstiti avvistano la nave salvatrice. Théodore Géricault prese studio, a Parigi, vicino all’ospedale Beaujon e riuscì a trovare un accordo con i medici per studiare, sui malati e sui cadaveri, tutte le sfumature del dolore fisico e dell’angoscia morale fino alla distruzione dell’organismo. Lo studio si riempì di membra tagliate. E questo il periodo che Théodore Géricault dipinge le sue tremende “nature morte” di membra umane e le teste dei ghigliottinati. Nel creare le possenti immagini di energia tesa tra disperazione e speranza, Théodore Géricault si ricordò di Michelangelo del Giudizio Universale e del Diluvio della volta della Sistina nonché di Caravaggio e dei Bolognesi. Quanto ai francesi, oltre a Poussin, teneva in conto Gros e Guérin, Girodette e Jouvenet. Eseguì molti studi e due di essi sono ritenute da molti storici dell’arte migliori del quadro grande (olio su tela, cm 491x716) conservato al Louvre. Il quadro fu comprato dal signor Dedreux-Dorey per 6.000 franchi e fu da lui rivenduto
faticosamente per la stessa somma al Louvre. Théodore Géricault nacque a Rouen il 26 settembre 1791 e morì a Parigi, dopo una caduta da cavallo spavaldamente trascurata, il 18 gennaio 1824. Lo storico Jules Michelet nel 1847-48, professore al Collège de France, tenne un magnifico corso su Géricault che fu interrotto dalle autorità alla terza lezione. Michelet vedeva in Géricault l’artista rivoluzionario nazionale di Francia che non si era piegato alla Restaurazione e che con la Zattera aveva dipinto un’immagine disperata, sì, ma anche piena di speranza. Scrive Michelet: “Vi fu un dialogo sconsolato, un giorno forse del 1823, davanti all’ingresso della sala da ballo dell’Opera, tra un amico mio, uomo di mondo, artista spiritosissimo, e un gran giovanotto, un grand’uomo colpito al cuore, che pareva cercare nei piaceri una più rapida morte. Parlo del primo pittore di questo secolo, l’infelice Géricault. L’amico mio lo vide assai triste tra quella folla allegra, le donne eleganti, le carrozze, le luci; era vestito di gala, aveva i guanti gialli, ma com’era cambiato! L’infinita dolcezza del suo sguardo penetrante aveva ceduto alla durezza di quella maschera terribile che tutti avete ammirato. Il genio ancora riluceva sul volto suo, ma non più l’espressione della forza, anzi vi era un ardore mortale nel far suo quel mondo che da lui fuggiva, e nelle profonde orbite scavate aveva l’occhio del falco!” Così, spettrale e fantasmatico, apparve a Michelet il pittore che aveva dipinto il naufragio della Francia. Non aveva visto venire alcuno in soccorso - aggiunge Michelet - e si era lasciato scivolare dalla zattera.
Dario Micacchi
168
the “raft of ledusa” by théodore géricault In 1990, a very fertile year for ideas and paintings, Italo
He painted various studies, two of which are considered by
Scelza painted some pictures of small and medium size --
art historians as better than the large painting (oil on canvas,
almost creating an organic series, and structured with
cm. 491 X 716) kept in the Louvre. The picture was bought by
extraordinary imagination on some ideas that were coherent
Mr Dedreux-Dorey for 6.000 francs, and it was sold uneasily
in the rethinking of past and present -- that in their figurative
for the same amount to the Louvre.
structure remind of the structure, between desperation and
Théodore Géricault was born in Rouen on September 26,
hope, of the famous, great picture The Raft of Medusa,
1791 and he died in Paris on January 18, 1824 because of a
painted by Théodore Géricault in 1818-19 and exhibited at
uncured fall off a horse. In 1847-48 historian Jules Michelet,
the Salon with no big success.
professor at the Collège de France, held a magnificent course
In 1816 France was deeply involved in the tragic shipwreck
on Géricault, that was interrupted by authorities during the
of La Medusa and everybody was very interested in the
third lesson.
survivors who tried to escape for days onboard a lifeboat and
Michelet saw in Géricault the national revolutionary artist of
a raft. Responsabilities on board and high up in the
France, who had not been defeated by Restauration, and who
government were both being discussed.
in painting the Raft had depicted a desperate image, yet full
Théodore Géricault, who was a soldier belonging to
of hope.
Napoleon's army, and who loved horses and soldiers very
Michelet writes: "There was an unconsoling dialogue, maybe
much -- he painted both many times -- had travelled to Italy,
one day in 1823, before the entrance to the Opera ballroom,
and had rediscovered the heroic vision in the remains of
between a friend of mine, a man of the world, a very
ancient monuments and in French painters like Poussin.
humorous artist, and a strong young man, a great man
Back in France, he gained passionate interest in the
whose heart had been struck, who seemed to look for a more
shipwreck and the raft of the Medusa. He studied the
rapid death in pleasures. I am talking of the first painter of
shipwreck records in the three key moments: when the axes
this century, the unhappy Géricault. That friend of mine saw
cut the ropes tying the raft to the ships dragging it, and the
he was so sad among that happy crowd, the elegant ladies,
raft is left to the mercy of the waves; when the sailors who
chariots, lights; he was dressed up for a gala, wearing yellow
were abandoned in the ocean rebel against the officers, and
gloves, but so much changed! The very sweetness of his
when the survivors see the saving ship.
penetrating eyes was then the hardness of the terrible mask
Théodore Géricault took a studio in Paris near the Beaujon
everybody admired. The genius still shone on his face, but
hospital, and he succeeded in finding an agreement with the
energy did not, in fact there was a mortal ardour in making
doctors there to study, on ill people and corpses, all nuances
the world his, that was escaping from him, and his eyes were
of physical suffering and of moral anguish down to physical
those of a falcon!"
distruction of the organism.
So ghostly did the painter who had painted the shipwreck of
The studio was full of cut body pieces. This is the period in
France appear to Michelet. He had not seen any soccour
which Théodore Géricault paints his dreadful "still lives" of
coming -- adds Michelet -- and he had let himself fall slowly
human limbs and of the guillotined heads.
off the raft.
In creating the powerful images of energy expressed between Dario Micacchi
desperation and hope, Théodore Géricault remembered Michelangelo in the Giudizio Universale and in the Diluvio of the Sistine Chapel vault, Caravaggio, and the Bolognesi. As far as the French are concerned, he remembered Gros and Guérin, Girodette and Jouvenet.
169
La zattera a Italo Scelza
Italo sono passato lunedì mattina c’era la tua macchina sotto la tettoia tu eri uscito a pesca la porta dello studio era aperta ho lasciato un cartone tondo con alcune costole in vista l’ho appoggiato all’anta della porta le altre ferite le avresti inferte tu necessarie tiravi su con la lenza un legno dopo un altro la tela di belgio era un lusso che non volevi permetterti molti erano fradici con gli angoli spugnosi attaccati dalla muffa li soppesavi mentre aumentavi il bottino ho ancorato ad una pietra il cartone per non farlo volare via l’ho cercata nel tuo giardino prato e ornelli c’era la legna per l’inverno le sedie accatastate per gli amici la testa da restaurare per il capro il carro con le stanghe verso il cielo le melemarce sotto l’albero le azalee spoglie e impigrite il budello di gomma per l’acqua in letargo vicino al pozzo ho trovato la scheggia di porfido del vialetto sotto il cipresso schiantato tu depositavi la pesca in un intrico gocciolante di sfasciume sfrangi di cime ancora legati a tavole smozzicate cerniere arrugginite di salsedine stracci che erano state vele schegge bituminose di pali maestri l’arsenale povero di una migrazione li accatastavi a caso ma già ne stimavi l’architettura sono andato via abbandonando la refurtiva il cartone bello come lo scudo di Achille ho lasciato aperto il cancello di ferro dipinto sarà più facile per te ospitare l’ingombro
c’erano i colori ancora gocciolanti sul tuo cavalletto ho appoggiato il pollice al verde e l’ho assaggiato sapeva di naufragio l’acqua è pietosa a volte tu tiravi a riva il necessario solo lo stretto necessario l’avevamo visto insieme a Parigi Géricault ci colò a picco lì in quel preciso momento e anche gli approdi di levante alla televisione “un’umanità in agonia i prezzolati marinai della speranza gli straccioni immobili al vento della tragedia” il mare ti bagnò i piedi squillò anche il telefono lungamente poi riattaccarono la radio era rimasta accesa dalla finestra si vedeva la campagna difronte arrivava il fetore delle fabbriche un uccello meccanico era precipitato in un tuo quadro l’occhio metallico guardava fisso nel vuoto si componeva la zattera e si arricchiva il tuo arsenale sapeva di pece raffreddata mi guardavano i volti di zolfo di Palinuro gli amici irriconoscibili della cosmesi Dario non ce la fece allo stesso modo affondò lo Svedese poi fu la volta di Gino tentasti l’estremo gesto della mano tesa ma avevi dipinto le onde troppo grandi l’ammiraglio decise l’abbandono noi rompemmo gli ormeggi hai fatto quello che potevi i legni non tenevano più e li incollasti con il rembrandt azzurro. Sergio Zuccaro
170
“La zattera nella grande lunetta�, 1994 - olio su legno cm 105x220
171
La grande zattera, 1991 - olio su legno cerato cm 110x110
172
Particolare della grande zattera, 1991 - olio su legno cerato
173
NEL "DOPPIO REGNO" DI ITALO SCELZA Più che una “pittura di storia”, come è parso a qualche
di Géricault, Scelza ha imparato qualcosa di più, un segreto
recensore, nella sua più recente produzione figurativa, Italo
formale. L’esperienza della pittura non ha mai fine e non si
Scelza è tornato a raccontarci l’ombra della vita o - come
conclude nel “testo”, nel prodotto finito: essa, al contrario,
opportunamente s’intitola un suo trittico dell'89 - “Il gioco
attraversa i singoli quadri e ne esce per ricominciare a
degli scuri”: quell'insieme di non-fatti, non-avvenimenti che,
manifestarsi in altri quadri che a loro volta sono illimitati.
accompagnandoci nella nostra esistenza, si allungano e
Un’opera come La sedia di Veroli dell’89 o come La lunetta
crescono intorno a noi fino a formare un alone, uno spazio in
degli odori dell’anno seguente è solo lo spaccato accidentale
cui si disegna, in controluce o di sbiego, il nostro destino.
di un processo che non smette mai di riformarsi e di
Raccontare, per Scelza, è sempre stato diverso dal raccontare
riprodursi. La pittura non può essere formata, se non a
una storia allegorica. Un pittore non dovrebbe mai dedicare la
condizioni di distruggere la visione che le dà la vita.
sua attenzione, secondo l’artista avellinese, a quel superficiale
Si potrebbe definire Scelza un pittore da “laboratorio”, ma è
intreccio di fatti, di gesti e di azioni in cui si organizza
un’etichetta che lo mortifica. Egli non lavora sui materiali
esteriormente la vita. I
morti, il mondo
“fatti” non esistono; e
irrompe
non appena si cerchi
tavole con una vitalità
di cogliere la vita al di
infettiva e contagiosa.
fuori della sua musica,
I vecchi legni dipinti da
della sua ombra, essa
Scelza sono abitati dal
si è già dileguata, o si è
silenzio e dall'infinito
irrigidita
nella
come se ciò che
rappresentazione di sé
vediamo e scrutiamo a
stessa,
pochi centimetri dal
in
un
nelle sue
movimento teatrale.
nostro occhio miope
Senonché, lo strano è
potesse restituirci il
che Scelza non è un
pensiero che l’universo
pittore “scenografico”,
è visibile, nella sua
visivo tout court, di felicità un pò epidermica come i cosiddetti
immensità, in ogni punto, fuori dal nostro sguardo, separato
post-moderni: piuttosto è un artista intimo, solido, concreto.
da noi, nella sua atmosfera tenebrosa, nelle sue inquadrature
Questo paradosso ha un’origine colta. Bisogna partire da due
inesistenti.
grandi solchi culturali che trovano, in lui, una foce spontanea
Per questo la tavolozza scelziana non ama la luce e non la
e naturale: da una parte la grande pittura italiana della fine del
cerca. In Kemp è sospeso del ’90 e nel ciclo La zattera del ’91
Cinquecento nel suo aspetto più drammatico e nel suo
l’orizzonte fenomenologico è tagliato in un punto qualunque,
accento più visionario (Lelio Orsi, Guido Reni), e dall’altra la
segato, come in certe fotografie, da una linea estrema e
poesia simbolica, Rimbaud e Mallarmé, per intenderci. L’antica
brutale, al di là della quale c’è il nulla: tutto ciò che l’obiettivo
pittura emiliana fa da basamento, da ponte che assicura
non ha saputo o potuto aggiungere.
effettualità e vigore alla carpenteria, mentre dai simbolisti
Di proposito, questi quadri di Scelza sono concepiti al limite
Scelza ha ereditato la vertigine chimerica della visione,
del nulla, tagliati e sagomati da termini tali da suggerire che il
l’éclairage, il lampo che accende e fa essere le cose “altre” da
visibile continua ad estendersi, a glorificarsi indifferente al di
come appaiono.
fuori di noi.
Ma dai post-simbolisti e prima ancora dalla poetica romantica
Il caos della visione sembra una metafora dell’inconscio,
174
dove l’ordine è misterioso e il tempo non misurabile; dal quale per incontrollata associazione affiora un’immagine, un ricordo, utili e destinati a gettare luce sulla realtà. Che l’opera ultima di Scelza provenga direttamente dall’inconscio, è incontestabile. In effetti non è più questione, come ne I giardini del futuro del ’71, di personage et son double, ma di un’acquisizione, su di sé, delle molteplicità di un sogno meticoloso, denso di illuminazioni, germinale. E’ un autoritratto della sua avventura, del suo stupore di aver attraversato città, stanze, luoghi, sempre ai confini del sonno, aprendosi alla meraviglia, tanto da essere ora, quel viaggio, un dépassement de soi-même. Ma è forse ancor di più: un ritratto per il quale l’autore si proietta nella sua traccia, assume su di sé quelle rivelazioni del passato da cui sono scaturite nell’83 lavori significativi quali Il trittico Biscari e La loggia dei Crociferi. Credo di aver incontrato raramente, in altri cicli figurativi di questi anni, un terrore così angoscioso della realtà. Senza un grido, senza un sussulto, un movimento di protesta o ribellione, le immagini del “doppio regno” di Scelza si escludono dal mondo. Chi si esclude - dice Freud - si chiude: per l’anima ferita non esiste che l’esercizio sistematico della claustrazione, che qui viene praticato con una mescolanza di felicità e d’orrore, perché Scelza sa bene che rinchiudersi è un gesto che insieme salva e uccide. Mentre ne Il Poseidone di Guido dell’89 e ne L’ornello e le muse del ’90 si nasconde dietro le sue scenografie immaginarie, l’io viene assalito da un acutissimo senso di colpa, che si estende fino a riconoscere in tutto ciò che accade un peccato nascosto. E poi c’è un’angoscia ancora più tremenda: chi gli assicura che, là fuori, la realtà esiste ancora? Forse il mondo è soltanto un riflesso fantastico dell’Es; e, oltre la scenografia, in quel teatro scelziano di volti sfuggenti e di grida che lo hanno tanto impaurito, non esiste nemmeno un’ombra che scivoli silenziosamente dentro lo specchio. Floriano De Santi
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La zattera due, 1990 - olio su legno cerato cm 110x110
176
Progetto zattera, 1990/91 - olio su legno cerato
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Il crepuscolo, 1991 - olio su legno, lunetta cerata cm 40x90
178
L’officina della zattera, 1990 - olio su legno cerato cm 50x70
179
La “zattera della medusa” con gli occhi di un contemporaneo
la zattera dei naufragi, tema caro agli artisti
Il Tempo 9 novembre 1991
Corriere della Sera 30 ottobre 1991
Le crisi ideologiche (dice Scelza)hanno provocato solo
La zattera dei naufraghi è un tema caro alla poesia e alla
apparentemente un congelamento di pensiero e di azione, ma
pittura, da sempre, da Omero a Shakespeare, da Paolo
il pittore, che ha la fortuna di vivere il quotidiano non solo sul
Uccello a Géricault. Italo Scelza cerca di rivivere in termini
piano realistico, ma soprattutto su quello immaginario, vive
attuali l’esperienza di Géricault, immaginata come
queste crisi, in maniera diretta e intensa, e la trasmette nelle
paradigmatica della condizione moderna, in una serie di
sue opere con tutta la sua forza e la veemenza immaginativa
piccoli pannelli che costituiscono una specie di particolare
perché restino e possano fissare date importanti.
“vademecum”, oppure di un piccolo, se così si può definire,
Franco Simongini
dizionarietto del disastro. Colori vivaci pur sotto cieli procellosi, corpi affastellati, pose manieristiche, citazioni da
paesaggi e ombre lunghe in un crepuscolo di luce
altri dipinti costituiscono gli ingredienti di una pittura movimentata, nella quale il senso del trascorrere, della storia
Il Messaggero 21 ottobre 1991
rapinosa degli elementi è tutto, e solo può temperarla la
Il ricordo della “Zattera della Medusa” di Géricault è il tema
gradevolezza del colore, la ricchezza di una strutturazione
che Italo Scelza sviluppa in questa sua personale (galleria Ca’
cromatica che permane sempre rassicurante e confortevole in
d’Oro, piazza di Spagna 81 fino al 7 novembre). Come
un orizzonte che ondeggia e si frantuma. Ed effettivamente le
fotogrammi visti alla moviola scorrono così sulla retina
opere meglio riuscite mi paiono quelle nelle quali si vede il
dell’artista i brandelli della sconvolgente terribilità di quel
fasciame delle navi che si disintegra creando emblemi araldici
capolavoro risolvendosi in suggestioni emozionali. Ciò non
d’invenzione, simbolo d’una signoria sulla natura
per un pedissequo omaggio ma in virtù di un gioco di rimandi
irrecuperabilmente perduta.
che trova Scelza impegnato ad analizzare la situazione del
Enzo Bilardello
vissuto leggendo di quell’opera il senso di dissipazione della società che il suo significato racchiude. Da qui gli spezzoni di forme, l’addensarsi delle tensioni volumetriche, l’estendersi del tessuto pittorico sull’asperità del supporto ligneo, la singolare luminosità dell’insieme che scandisce i dettagli e, nello stesso tempo, li fa debordare dai limiti del quadro. Il tutto nell’ambito di una duplicità di lettura che se angolata dal punto di vista di un ottimismo della volontà consente di interpretare quella frammentazione che attraversa uomini e cose come la speranza redentiva di una possibilità di rinascita dopo la caduta. Quasi per illusione ottica le forme, allora, tenderanno a riassemblarsi per costruire una rinnovata unità nel cui spazio l’uomo possa tornare a guardarsi attorno. Vito Apuleo
180
The “Raft of Medusa“ seen by contemporary eyes
the castaway raft, a topic beloved by artists
Il Tempo 9 novembre 1991
Corriere della Sera 30 ottobre 1991
Ideological crises (says Scelza) have only apparently frozen
The castaway raft has always been a topic beloved by poets
thought and action, but luckily a painter, lives the everyday
and painters, from Homer to Shakespeare, from Paolo Uccello
life not only on a realistic, but also on an imaginative level,
to Géricault. Italo Scelza is trying to put Géricault's
he lives such crises in a direct and intense way, and he
experience into modern terms, imagining it as a paradigm of
passes them on his works with all his imaginative strength
human condition at present times: a number of small panels
and violence, so that they can picture important dates.
build a kind of special "vademecum", or a small, as it were, dictionary giving definitions of disaster.
Franco Simongini
Bright colours under yet stormy skies, disorderly put together
Landscapes and long shadows in a dusk full of light
bodies, mannerist poses, quotations from other paintings: all these elements are the main ingredients of a lively painting
Il Messaggero 21 ottobre 1991
style, for which all that matters is in the flowing of events, in
The memory of the "Raft of Medusa" by Géricault is the topic
the violence of natural elements.
developed by Scelza in this one-man-show (Ca d'Oro gallery,
Only pleasant colours and a rich colour structuring can in
Piazza di Spagna, 81, until November 7). Like pictures seen
some way mitigate it, giving it a sense of reassurance and
through a moviola, so do flow in the artist's eye bits of the
comfort in a waving and disintegrating horizon.
shocking terrible sense of that masterpiece, summed up in
The best works seem to be those in which you see the planking
emotional suggestions. It is not a tribute, but a game of
of ships disintegrating to create imaginative heraldic
correspondences in which Scelza is analysing life, while
emblems, which stand for a definitely lost power on nature.
reading in that work the sense of dissipation of society it
Enzo Bilardello
encloses. From this idea come the fragments of forms, the tense volumes, painting on wooden asperity, the luminosity of the whole that underlines details and, at the same time, makes them go beyond the picture frame. All can be read in a double way, that, if seen with optimism of the will allows us to interpret such fragmentation touching men and things, as the redeeming hope of a possible rebirth after the fall. Like in an optical illusion, then, forms tend to come together again, to build a renewed unity inside which man can look around. Vito Apuleo
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LA CASA ROSSA DI HUMBOLDT
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La casa rossa di Humboldt - S. Francisco 1996, trittico - olio su legno cm 220x180
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MACCHINE DI FESTA
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Il costruttivismo mentale
Dreams in sunlight
Definirei la pittura di Italo Scelza una forma di costruttivismo mentale, manipolazione di oggetti che possono esistere solo come concetti, testimonianze di eventi accaduti, un modo quindi di replicare il tessuto misterioso dei sogni alla luce del Sole. E pittura solare lo è, quella di Scelza, nell’avvicendarsi di immagini cui non sempre è conferita presenza umana, ma che dell’umanità condividono il pulsare come nel flusso del sangue rapportato a quello dei fiumi, accenti d’acqua spumosa a ravvivare l’immobilità del cielo come esordio di spettacolo pirotecnico paradossalmente mediano, visione sottesa, quindi, di uno spazio non mai astratto e tanto meno astruso, ma perfino con connotazioni territoriali, dove si può individuare il percorso, sia pure tortuoso, verso la solarità. C’è qualcosa di rituale, in questo, come se l’esito fosse predisposto dalle esperienze emotive, dall’ansia di estrinsecazione, che è poi di superamento, dall’inappagabile desiderio di conseguire la precisa consapevolezza di poter fare della propria creatività conoscitiva lo strumento di recezione dei punti fermi di riferimento, temporali e spaziali, sui quali costruire il mitico edificio destinato ad accogliere quella specie di centrale nucleare che è la mente umana, troppo spesso considerata alla stregua di un chip di computer. La pittura di Scelza, per dirla con una espressione che rischia di suonare cliché, è un universo che si espande in ogni direzione, popolato di punti focali che fanno della prospettiva della memoria un continuo sconvolgimento pur sempre dominato dalla ragione, e che può, quindi assumere connotazioni musicali come a evocare il leggendario suono delle sfere dell’universo pitagorico. Ed è così che Scelza può trasmettere sulla stessa lunghezza d’onda di Leonardo. Egli stesso è solare, ottimista, costruttivo. Nell’etere dei nostri sentimenti, delle nostre ansie e incertezze, delle nostre sofferenze e angosce, il suo messaggio ci giunge, chiaro e distinto, come se viaggiasse da sempre nel tempo.
I would describe Italo Scelza’s painting as a form of mental constructivism, the manipulation of objects that can only exist as concepts, as evidence of things that have either happened, or not yet happened, or are even imagined, a way of reproducing the mysterious texture of waking dreams, of dreams in sunlight. And Scelza’s work is indeed solar painting in its alternation of images that sometimes lack human presence, but which share the pulsation of humanity, like the flow of blood in relation to the stream of the rivers, hints of foamy water, in order to enliven the stillness of the sky, like the beginning of a firework display albeit in daylight, thus a hidden vision of a space which is never abstract and certainly not abstruse, but which even has territorial connotations, where one can identify the route, however tortuous, towards solarity. There is something ritualistic about this, as if the outcome were conditioned by the emotional experience, by the craving to externalize, which is also the desire to exceed oneself, by the insatiable desire to achieve the precise awareness of being able to transform one's cognitive creativity into an instrument capable of receiving those fixed points of reference, temporal and spatial, on which to construct the legendary building designed to receive that sort of nuclear power station which is the human mind, too often considered as a sort of computer chip. Scelza' s painting, to adopt an expression which risks sounding like a cliché, is a universe which expands in every direction, dotted with focal points which continually transform the patterns of memory (the transformation is always under the control of reason), and which can therefore assume musicals, connotations such as the evocation of the legendary music of the spheres, associated with the Pythagorean universe. And it is this which enables Scelza to communicate on the same wavelength as Leonardo. He is himself solar, optimistic, constructive. His message reaches us loud and clear over the ether of our feelings, anxieties, uncertainties, our suffering and anguish, as if it had always traveled in time. Carlo Pedretti
Carlo Pedretti
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I cipressi dell’isola, 1995 - tecnica mista su cartone cm 100x70
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190
La vergine rotante, 1995 - tecnica mista su cartone cm 130x110
191
Le acque, 1994 - tecnica mista su cartone cm 76x56
192
Officina  schèmata (particolare), 1994 - tecnica mista su cartone cm 70x100
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Il ponte di Leonardo, 1995 - tecnica mista su cartone cm 90x110
194
I ponti di Leonardo, 1994 - tecnica mista su cartone cm 110x150
195
La cornucopia, 1995 - tecnica mista su cartone cm 70x100
196
L’isola di Leonardo, 1995 - olio su legno cm 100x120
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198
DESERTIADE
La luna di Giza, 1999 - olio su legno cm 70x50
200
Figure a Giza, 1998 - olio su cartone cm 90x110
201
Il gioco delle vergini, 1997/98 - olio su cartone cm 40x40
202
Cheope e la notte, 1998 - olio su tela cm 70x45
203
Il dittico della cittĂ morta, 1998 - olio su cartone cm 140x100
204
La notte, 1998 - olio su cartone cm 130x110
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L’altrove di italo scelza L’Oriente è stato sempre una specie di calamita, di suggestivo magnete capace di attirare, di catturare con la forza della sua alterità, la fantasia, l’estro creativo di molti artisti occidentali, scrittori, poeti e naturalmente pittori. Ma quasi sempre esso è stato vissuto e dunque rappresentato nei suoi aspetti più vistosamente folclorici, nei suoi elementi più scopertamente esotici. L’Oriente diventava l’occasione di evasione, pretesto per sfuggire ai disagi della civiltà, approdo ad una realtà edenica e dunque immobile e atemporale. Visioni sostanzialmente false o quantomeno superficiali, di maniera, consolatorie. Oggi, naturalmente, un artista è più scaltrito e meno ingenuo e difficilmente si lascia fuorviare dalle sollecitazioni di più immediata e facile presa. Ma allora cos’è, che cosa può rappresentare l’oriente per un artista contemporaneo se è vero - come è vero - che al di là delle latitudini e delle diverse sedimentazioni culturali e delle differenti tradizioni, l’autentico problema per ogni artista europeo, americano o africano che sia - è quello di instaurare un rapporto credibile seppure drammatico, tra sé e il mondo, tra sé e la realtà, tra sé e la vita? Questo interrogativo mi faceva sempre più pressante davanti ad una serie di opere recenti che Italo Scelza ha dedicato all’Egitto. Che l’artista non fosse interessato all’aspetto più scopertamente esotico e incantato di quel mondo, che non fosse attratto dagli elementi più suggestivamente visivi di quella civiltà, che non si ponesse difronte a quella realtà con la disposizione dell’illustratore, lo si capiva di colpo. L’Egitto al quale Scelza ha attinto non è quello rutilante, folclorico, svelato e dunque stereotipato e prevedibile dalle guide turistiche, ma quello enigmatico, cifrato, simbolico, sottratto al suo immaginario e riemerso dal fondo della memoria storica. Guardando queste sue opere, in cui il dettaglio diventa più eloquente di una dispiegata illustrazione e il simbolo (la Piramide ridotta alla perfezione di un triangolo) più allusivo di una rivelazione, si comprende che questo Oriente immaginato e rappresentato da Scelza non è che un altrove, misterioso e concreto, indecifrabile e palese, dove l’artista raggruma le pulsioni e trasferisce gli enigmi dell’esistenza. A rafforzare questa mia impressione che non di un luogo geograficamente delimitato si tratta, ma piuttosto di uno
spazio metafisico, di una regione dissepolta dai fondali della memoria, concorre un’altra circostanza e cioé che queste tele, dalle quali è scomparsa la presenza dell’uomo (solo sullo sfondo di una di esse si intravede una sagoma fantasmatica) sono abitate dal silenzio e dalla notte, o meglio dal silenzio della notte. Tele giocate sul bleu che tende a sconfinare sul nero , solo a volte screziato da tracce di colore più vivido, queste opere si caricano di una marcata valenza simbolica e quello che esse ci comunicano non è tanto il mistero delle notti orientali, un tema per altro caro a un certo filone di decadentismo europeo, ma la lucida presa di coscienza della condizione umana, che sotto tutti i cieli sotto tutte le latitudini è diventata sempre più aleatoria e drammatica. Così i tre quadri che formano il “trittico” e che all’apparenza rappresentano tende di beduini nel deserto si trasformano in avamposti le cui aperture-feritoie si spalancano forse sull’infinito, o forse, più probabilmente, sul vuoto, sul nulla. Scelza, artista di lungo corso, che è stato sempre spinto da un’ansia di ricerca, da una volontà di decifrare le contraddizioni del reale e che non ha mai rifiutato di misurarsi né con “i miraggi” della tecnologia né di confrontarsi con i grandi temi della tradizione, è approdato, in questa fase più recente del suo lavoro e sulla soglia del terzo Millennio, ad una interrogazione estrema, radicale sulle sorti dell’uomo.
Giuseppe Neri
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L’officina dei ricordi, 1999 - olio su tela cm 220x200
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italo scelza and his “elsewhere” The Orient has always been a sort o magnete, a charmed magnete attracting and capturing, by dint of its own otherness, the fantasy, the creative genius of many Western writers, poets and, naturally, painters. But it was nearly always felt, and therefore represented, in its most gaudily folclohristic aspects, in its most openly exotics elements. Thus the Orient became an occasion of escape, a pretext for running away from our civilization’s discomfors and landing in an Edenic reality, whic was therefore motionless and timeless. Substantially false, or at least superficial, vision-whic are affected and consolatory. Obviously, today an artist is less naive and too shrewdly alert to be taken for a ride and be a prey to immediate and facile lures. What is it then, what can the Orient represent for a contemporary artist, if it is true - as indeed it is - that, anywhere, within any cultural milieu and whatsoever tradition, the real problem for every artist (European, American or African) is to establish a credible - albeit dramatic - relationship between himself and the world, between the inner self and the outher reality, between himself and life? This question was becoming, for me, ever more pressing in front of a series of recent works which Italo Scelza has dedicated to Egypt. That the artist was not interested in the most openly exotic and charming aspects of that world, that he was not attracted by the most picturequely visual elements of that civilization, that he did not place himself in front of that reality with an illutrator’s frame of mind, all this was immediately clear. The Egypt by which Scelza has been inspired is obvipusly not the flamboyant, folkloristic, “revealed” and therefore conventional and stereotyped Egypt of baedekers and tourists’guides, but the mysterious, crypitic, symbolic Egypt, stripped of its “imaginary” and re-emerged from the bottom of historical memory. Looking at these works of his - in which the detail becomes more eloquent than a full-scale illustration and the symbol (a pyramid reduced to the perfection of a triangle) appears more allusive than a revelation - one understands that this Orient, as Scelza imagined and represented it, is nothing but an
“elsewhere”, both mysterious and concrete, indeciphearble and evident, where the Artist conglomerates life’s pulsions and transfers life’s riddles. My impression that this was not a geographically delimitated place but, rather, a metaphysical space - a region unearthed from the depth of memory - was reinfoced by another circumstance - the fact, I mean, that these canvases, from which man is ever absent (only in the background of one you see a ghost-like shape) are innabited by silence and night, or rather by might’s silence. A blue that tends to trespass into blackness, only sometimes mottled by traces of a more vivid colour, prevails in these paintings which are charged with a strong symbolic meaning; and what they communicate to us is not so much the mystery o Oriental nights (a theme cherished by a certain brand of European decadentism) as a lucid awareness of the Condition Humaine (in Malraux’ words) a condition ( or situation) which, under whichever skies and at whatsoever latitude, has become ever more hazardous and dramatic. Thus the three paintings making up the “Trittico” and apparently representing Bedouins’ tents in the desert transmogrify themselves in outposta, whose embrasures - or slit-like openings - perhaps overlook infinity or, more probabbly, nothingness - the void. Scelza, an artist of long standing, who has always been pushed forwards by an anxiety of research, by a will to compete both with technology’s “mirages” and tradition’s major themes, has arrived, in this new phase of his work, on the threshod of the Third Millennium, at an extreme, radical interrogation on Man’s destiny. Giuseppe Neri
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L’uomo di Khan-El-Khalil, 1998 - olio su cartone cm 70x100
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BIOGRAFIA ESSENZIALE
ESSENTIAL BIOGRAPHY
Italo Scelza, pittore e docente di pittura all’Accademia di Belle
Italo Scelza, Artist and lecturer of painting at the Accademia
Arti di Roma, nasce ad Avellino nel 1939. Negli anni ‘50 è a
di Belle Arti of Rome, was born in Avellino in 1939. He lived
Napoli per ragioni di studio. Nel 1960 soggiorna in Ciociaria,
in Naples during the 1950S enabling him to study there. In
per poi trasferirsi a Roma. Nel 1970 prende studio a
1960 he moved to Ciociaria, and after that to Rome. In 1970
Milano. Dal 1962 è presente senza interruzioni nelle più
he opered a studio in Milan. From 1962 onwards he has
importanti gallerie italiane. Sempre attento nell’annotazione
been in the most important Italian art galleries. Always
del momento sociale dell’arte, è un nome ricorrente nelle
aware of the social meaning of art, he is a current name in
mostre di forte tensione storica. I suoi primi interventi sul
exhibitions of strong historic tension.
territorio iniziano nel 1973 a Gualdo Tadino (Immaginazione
His first attempts in this sphere started in 1973 at Gualdo
e Potere - Editori Riuniti), nel 1974 a Saronno (L’Uomo e la
Tadino (Imagination and Power-Editori Riuniti), in 1974 at
città), (Festival Mondiale della Gioventù di Berlino), nel 1979
Saronno (Man and the City), (The World Youth Festival in
(Le Piazze di Messina: Ipotesi per un gioco), nel 1980 (De
Berlin), in 1979 (The piazzas of Messina: Hypothesis for a
Umbris Idearum - La Macchina della Memoria di Giordano
Game) in 1980 (De Umbris Idearum - The Memory Machine
Bruno). E’ specialista della venerazione per la memoria
of Giordano Bruno). He is a specialist in the veneration for
storica come tale ma rivissuta, e riedificata con lo spirito
the historic memory, like so but relived and recostructed with
inquieto e dialettico della cultura contemporanea. A questo
a restless spirit, and in touch with contemporary culture. We
proposito si possono citare due interventi importanti: Gli
can refer to two important events regarding this: The
Stucchi Colorati dal Sole (lettura del fiammeggiante Barocco
Coloured plaster figures of the Sun (reading of the blazing
di Catania) con testimonianza di Paolo Portoghesi e La Piazza
Barocco of Catania) with the testimony of Paolo Portoghesi
diventò Teatro rigenerazione della possente manifestazione
and The Piazza becomes Theatre, a regeneration of the
dei Gigli di Nola. Nel 1986 partecipa alla XI Quadriennale con
powerful manifestion of the lilies of Nola. In 1986 he
un grande trittico Gli Uomini della Ricostruzione e nello
participated in the XI Quadriennale with a large tryptich The
stesso momento dipinge un altro trittico Il Gioco degli Scuri.
Men of Reconstruction and at the same time he painted another tryptich Il gioco degli Scuri. In 1989 he started his
Nel 1989 inizia l’esperienza americana soggiornando prima in
American experience living first in Canada and holding a
Canada tenendo una mostra personale a Toronto e poi in
personal exhibition in Toronto and then in California
California tenendo una mostra in S. Francisco. Le sue opere
holding an exhibition in San Francisco. His works are in
sono in molte collezioni pubbliche e private sia in Italia che
many collections both public and private, in Italy and the
in Europa. Negli ultimi due anni Italo Scelza rilegge
rest of Europe. In the last two years Italo Scelza has re-read
pittoricamente La Zattera della Medusa di Théodore Géricault,
pictorially La Zattera della Medusa of Theodore Géricault, the
l’opera ottocentesca nella quale il grande pittore francese
18th century work with which the great French artist feels
avverte il dramma dell’uomo di oggi. Scelza vive attualmente
man’s drama of today.
tra Roma e il suo studio di campagna in Ciociaria nel territorio
Scelza now lives partially in Rome and partially in his studio
di Supino.
in the Ciociaria countryside in the territory of Supino.
Tra i suoi ultimi studi interessante la sua ricerca su Leonardo
Amongst his latest interesting studies, is his research on
in collaborazione con il Prof. Carlo Pedretti, con il patrocinio
Leonardo in collaboration with Professor Carlo Pedretti,
dell’Hammer Museum di Los Angeles.
under the auspices of the Hammer Museum of Los Angeles.
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ITALO SCELZA, “I DISASTRI DI UNA TERRA” Avellino, 23 novembre 1999
Quando un artista, come nel caso odierno di Italo Scelza, rende omaggio alla propria terra: a quanto di drammatico è accaduto, segnandola profondamente, alla propria terra, non è solo un momento di gratificazione della memoria della quotidianità, ma una maniera ulteriore per affermare presupposti e radicamenti culturali, prima ancora che umani. Si avverte, ne “I disastri di una terra” insomma (il terremoto di Avellino), non solo la partecipazione ad un dolore che può dirsi corale (distruzioni, affanni, perdite, morte), ma un dolore più profondamente segreto. In sintesi, è il rapporto che ognuno conserva del trascorso. Un artista, dicevo, a sua volta conserva e rivela una memoria ulteriore. Che è, naturalmente, il proprio modo di intendere l’arte che si dà in chiave di ismo e che, per quanto possano esser profonde le lacerazioni –o proprio perché assolutamente profonde- appaiono chiarissime dagli esiti generati dalla memoria, appunto. D’altra parte, in “Primi saggi di filosofia delle arti” pubblicato in “Valori Plastici” nel 1919, Alberto Savinio scriveva che “L’Arte nasce dal fecondo grembo della Memoria”. E’ in questa chiave, allora, che vanno lette e considerate le immagini che Scelza propriamente dedica alla memoria del dolore corale, e a quella del suo dolore umano e culturale. I termini memoria ed ismo conducono, perciò, a riflettere circa lo spazio che il pittore occupa oggi, e su quello in cui il suo segno s’inserisce. Discorso che, a sua volta, rimanda ad una riflessione ulteriore su quella che chiamerò la fortuna (o la sfortuna) delle arti figurative degli anni Sessanta e Settanta (decenni in cui Scelza avvia e matura la sua esperienza): momenti di pittura intesi da pochi. Tra l’ultimo informale e le prime sperimentazioni, infatti, molti hanno creduto di poter fare a meno della storia. La quale, per un artista, è la “memoria” di Savinio. Qual è, dunque, l’ambito di Scelza? Si crede di poter dire che questo s’identifica nella situazione di un realismo estraniante (ricordo un quadro d’anni settanta dal titolo Piazze d’Italia) che, per esser tale, prende fiato e corpo sulla meditazione dei codici surreali e, per via di questi, metafisici. Il che per nulla esclude i termini di un impegno anche ideologico (un altro quadro dello stesso periodo: Officina uno), ma sempre e
comunque piegato al prioritario impegno del far pittura. Parimenti, avendo citato Metafisica e Surrealtà, vorrà dirsi che il luogo dell’accennato estraneamento trae, sì, dall’una e dall’altra, tenendo però a mente gli assunti di un dialogo tra Sigmund Freud e Salvador Dalì nel quale il primo dice al secondo che quel che lo interessa della sua pittura non è l’inconscio, ma il “metodo della simulazione”. E pur tenendo a mente che de Chirico parlava di “sogno allo stato di veglia”. Frase che, ovviamente, ne allontana gli esiti da quella “onnipotenza del sogno”, celebrata da Andrè Breton nel “Manifesto del Surrealismo” del 1924, e che condusse al misconoscimento, dopo la prima elezione a referente, del Metafisico da parte dei surrealisti. Freud e de Chirico, in fondo, asseriscono il medesimo concetto. Poiché il “metodo della simulazione” dichiara la presenza della coscienza (un pittore sa bene, infatti, che un dipinto è costruzione di elementi fondamentali e per nulla casuali), così come sostanzialmente cosciente è lo “stato di veglia” del sogno dechirichiano. Credo di poter dire che la pittura di Scelza, nei suoi vari momenti e passaggi, si collochi comunque in questo ambito. Che è estraniante in quanto accetta l’incongruo (apparente) quale formulazione compositiva ed interlocutoria; estraniante, ancora, perché non rigetta la memoria storica (si veda il recente ciclo leonardesco, introdotto da Carlo Pedretti ed esposto a Los Angeles). Il che, si badi, non vuol pur dire che il pittore non sappia e profondamente non viva le condizioni del quotidiano. Qui giunti, sembrerebbe più agevole avvicinarsi alle odierne litografie, nate da disegni ed acquerelli compiuti de visu nei giorni del terremoto. Perché queste parlano, comunque, di storia. Perché, comunque, la catastrofe è essa stessa estraniante. Precisamente, quindi, nelle corde di Scelza. Basterebbe osservare la pagina ove, rastremato nel segno grafico (che è sintesi mentale e, quindi, culturale) è il Palazzo de Concilis. E poi, seguitando a parlar di storia e di memoria, non è dubbio che, quanto meno foneticamente, “I disastri d’una terra” evochino i goyeschi “disastri della guerra”.
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La cittĂ morta, 1999/2000 - olio su cartone cm 60x50
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Bibliografia
Bruno Anatra Presentazione Mostra personale - Roma, 1962 Giuseppe Sciortino Fantasia espressionistica - «La Fiera letteraria» - 21-6-1962 Arturo Bovi Giugno Frusinate - «Il Messaggero» - 3-7-1963 Giuseppe Pensabene Capo Palinuro -«Il secondo d’Italia» - 14-7-1963 Franco Miele Un mondo ricco di suggestioni - «Il Popolo» - 29-6-1963
Mario Giuse Romagna La dimensione lirica - «Unione Sarda» 19-5-1964
Domenico Purificato Presentazione al Catalogo - Mostra personale - Napoli, 1964
Duilio Morosini Alle soglie dell’espressionismo astratto - «Paese Sera» 20-7-1964 Tonino Casatelli Madrid 64 - «Gazzetta Ciociara» - 10 aprile 1964 Carlo Giacomozzi Tensione metafisica - «Vita» - 25-6-1965 Alfonso Cardamone Memoria e storia di un artista - «L’Avanti» - 15-2-1966
Antonello Trombadori Presentazione al Catalogo «testimonianze sul Viet-Nam» - 1963
David Gaeta Presentaismo - Italo Scelza - Cinema Sud - 1968
Guido Giuffré Presentazione al Catalogo - Mostra personale Galleria «Ciak» - Roma, 1971
Italo Avellino Un meridionale nella megalopoli - Vie Nuove - 2-2-1972
Dario Micacchi Natura e città delle opere di Scelza - «L’Unità» - 12-11-1971
Sandra Orienti L’Aggressività tecnologica di Italo Scelza - «Il Popolo» - 16-11-1971
Luigi Scrivo Il poetare di Scelza - Arti e lettere contemporanee - 8-11-1971
Luciano Marziano Progettazione di una società estetica - «Il Margutta» 12-11-1971 Duilio Morosini I giardini del futuro - «Paese Sera» - 18-11-1971 Paolo Ricci Saggio critico - Rassegna di Mezzogiorno - Napoli marzo 1972
Dario Micacchi Presentazione al Catalogo - Mostra personale di Modena - Maggio 1972
Dario Micacchi Il linguaggio dei giovani - «L’Unità» - 21-4-1972
Dario Micacchi Italo Scelza - «Mediterraneo» - Edizioni Graphis 69 - Firenze
Dario Micacchi Saggio critico - Catalogo Rassegna Genazzano - 8-10-1972
Ferruccio Veronesi «Il Resto del Carlino» - 17-4-1972
Mario De Micheli Presentazione al Catalogo - Personale Galleria «S. Croce» - Firenze
Franco Simoncini «Vita» - 7-7-1973
Renzo Vespignani «Estasi tecnologica» - Testimonianza
Guido Giuffré Presentazione mostra personale «Arte Cortina» - Cortina d’Ampezzo, agosto 1973 Dario Micacchi Saggio critico «Immaginazione e potere» - Gualdo Tadino, settembre 1973 Italo Scelza Esperienze e immagini sociali - «Arte Contro» - Milano, 10-11-1973 Mario De Micheli «L’arte presente» - Una pittura lucida - Amalfi, luglio 1974 Dario Micacchi «Una esperienza in Sardegna» - Saggio critico - Edizioni E.N.I. - Agosto 1974 Italo Scelza Testimonianza XXVIII Premio Suzzara Mario De Micheli Saggio critico - «L’uomo e La città» - Saronno, settembre 1974 Mario Lunetta Presentazione Catalogo - Mostra personale «Fante di Fiori» - Bari, novembre 1974
Gerardo Pedicini Presentazione catalogo - Mostra personale - Nola
Sabato Calvanese «Il lavoro Tirreno» - febbraio 1975
Elvira Cassa Salvi «Scelza e tecnologia» - Corriera di Brescia, maggio 1976
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Dario Micacchi «Unità» - 5-10-1976
Dario Micacchi Segnalazione Bolaffi per la pittura 1978
Daniele Maione «Il fantastico di Scelza» - Presentazione Catalogo personale Anagni
Costanzo Costantini «Intervista con l’autore» - «Alla ricerca di spazi alternativi» - «Il Messaggero» 13-12-1977
Francesco Vincitorio «L’alienazione Urbana» - «L’Espresso» 3-7-1977
Carlo Giacomozzi «Metafisica della Fabbrica» - «Vita» 7-10-1977 Dario Micacchi «Quando la città diventa allarmante» - «L’Unità» 7-10-1977 Mario De Candia «Inabitacoli» - «La Repubblica» 10-4-1980 Dario Micacchi «Frammenti di una tempesta da tenere a debita distanza» - «L’Unità» 3-4-1980 Giancarlo Ossola «Ecologia e Utopia» - «L’Unita» 6-2-1981
Alberico Sala «L’Uomo e il suo habitat» - «Corriere della Sera» - 18-11-1981
Sergio Seveso «L’officina di Scelza per una nuova pittura» - «L’Unità» 27-1-1981
Mario De Candia «La Macchina della memoria» - «La Repubblica 20-2-1983» Francesco Vincitorio «Un visionario figerativo» - «L’espresso» 6-3-1983 Dino Pasquali «La personale di Scelza fa riconciliare con la pittuta» - «La Nazione» 24-2-1983
Paolo Portoghesi Catalogo - «Gli stucchi colorati dal sole» - 1983
Gianfranco Proietti Catalogo - «Gli stucchi colorati dal sole» - 1983
Costanzo Costantino «I ricordi si colorano col sole» - Messaggero - 1984 - mercoledì 12
Carmine Benincasa «Gli anni 80 ovvero il decennio della memoria» - Leader arte
Dario Micacchi «Scelza e il sangue del barocco catanese» - L’Unità - 28 ottobre 1985
Dario Micacchi «Italo Scelza: un barocco che chiude ombre e sangue» - L’Unità - 20 novembre 1985
Jolena Baldini (Berenice) «Di mostra in mostra» - Paese sera - 1986 Mario De Candia «Il giardino di Scelza» - Repubblica - 14 febbraio 1986 Renato Civello «L’inedito d’Italo Scelza» - Secolo d’Italia - venerdì 28 febbraio 1986 Gianfranco Proietti «La seduzione affascina l’uomo» - Italo Scelza - Penthouse Tonino De Luca «Provocazioni ecologiche nell’arte di Italo Scelza» - Il Tempo Marcello Fiorimanti «Italo Scelza e la ciociaria» - Il Messaggero Ferrucci veronesi Italo Scelza - «Città del Mundial» - Il Resto del Carlino Michele Fuoco «Gli itinerari di Italo Scelza» - La Gazzetta di Modena - 2 giugno 1990
Giuseppina Radice «I Naufraghi» - Espresso Sera - 12 aprile 1992
Franco SimonGini «La Zattera di Italo Scelza» - Il Tempo - 9 novembre 1991
Alfredo Noto «Credo nell’uomo e nella pittura» - Quigiovani - novembre 1991
Floriano De Santi Presentazione mostra personale alla Galleria «Cà d’oro» Roma e «Arte Club» Catania - 1991
Floriano De Santi «Felicità e Orrore» - Brescia 24 Ore - dicembre 1991
Enzo Bilardello «La Zattera dei naufraghi» - Corriere della Sera - mercoledì 30 ottobre 1991 Vito Apuleo «Speranza redentiva» - Il Messaggero - 21 ottobre 1991 Alfredo Noto «Verso l’Europa» - L’Umanità - 6 novembre 1991 Renato Civello «Italo Scelza l’epopea della crisi» - Il Secolo - dicembre 1991 Angelo Libranti «Italo Scelza» - Rugantino - 30 ottobre 1991 Alfredo Noto «Scelza all’Europarlamento» - Momento Sera
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Mario Lunetta Rispuntano capolavori nascosti - «Roma» il piacere dell’immagine - febbraio 1992
Costanzo Costantini «Presentazione Editrice Grafica» - Schémata 1994
Carlo Pedretti «Presentazione catalogo» - Schémata 1995
Loredana Rea «L’opera come lo specchio della memoria» - Flash Magazine 1995 Renato civello Italo Scelza, La “Forma” del mistero. “Secolo 1999” Giuseppe Neri L’altrove di Italo Scelza. RICCARDO SICA « Nuovo Meridionalismo» 1999
SERGIO ZUCCARO « La Zattera»
DOMENICO GUZZI « I disastri di una terra » 1999
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BIOGRAFIA Alcune mostre personali: 1962 Galleria Passeggiata di Ripetta, Roma. 1964 Galleria La Mansarda, Napoli / Palazzo del Governo, Avellino. 1965 Galleria Linea, Salerno / Galleria Le Muse, Colleferro. 1967 Galleria La Navicella, Cagliari. 1971 Galleria Ciak, Roma. 1972 Galleria Tassoni, Modena. 1973 Galleria La Nuova Pesa, Roma / Galleria S. Croce, Firenze / Galleria Arte Cortina, Cortina d’Ampezzo. 1974 Galleria Fante di Fiori, Bari. 1975 Galleria Centro Arte, Nola / Galleria Il Portico, Cava dei Tirreni. 1976 Galleria S. Benedetto, Brescia. 1977 Antologica di pittura, Badia di Bettona (Perugia) - Comune di Anagni. 1980 Galleria Carte Segrete, Roma. 1981 Galleria Le Ore, Milano. 1983 Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Arezzo. 1984 Mostra itinerante Galleria Arte Club, Catania. 1985 Galleria Art Message, Roma. 1986 Galleria Ariete, Roma / Galleria S. Vitale, Bologna. 1987 Galleria Fierarte, Frosinone. 1989 Galleria Carrier, Toronto (Canada). 1992 Galleria Ca’ d’Oro, Roma. 1993 Galleria Arte Club, Catania. 1995 Castello Longhi de’ Paolis, Fumone. 1997 Galleria L’Indicatore, Roma. 1999 Chiesa del Carmine, Avellino 2000 Antologica, Sala della Ragione, Anagni / Galleria The Court House, Toronto / Sala Alitalia per l’Arte, Aeroporto “J.F. Kennedy”, New York.
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BIOGRAFIA
Alcune mostre collettive: 1962 IV Premio Nazionale di Anagni (premiato). 1965 III Premio di Pittura Città di Ariano (2° premio). 1967 Rassegna regionale di pittura sull’affranca- zione delle terre, Frosinone (1° premio). 1968 Testimonianza sul Vietnam con Calabria, Caroli, Florida, Mattia, Gismondi, Rea, Loreti e Turchiaro. 1969 Ricerche e ipotesi in Irpinia / Rassegna di grafica internazionale, Roma. 1971 Indagini sull’aspetto surrealista di pittori contemporanei, Roma / Rassegna di grafica internazionale Galleria Ciak, Roma. 1972 VII Rassegna del Mezzogiorno, Napoli / Ras segna della Giovane Pittura Italiana, Genaz- zano / Gli artisti al Festival del P.C.I., Roma / 100 artisti italiani per il popolo del Vietnam, Galleria Bevilacqua La Masa, Venezia / II Premio di Pittura Lunigiana Menhir d’Oro 1972, Villafranca Lunigiana / Rassegna d’arte Montesilvano. 1973 XXI Premio del Fiorino Biennale Internazio nale d’Arte, Firenze / XXVI Premio Suzzara, Mantova / XVII Premio Campigna, Forlì / V Edizione Incontri Silani, Cosenza / Rassegna Nazionale di pittura, Anagni / Immaginazio- ne e potere Esperienza di gruppo, Gualdo Tadino / Festival Mondiale della Gioventù, Berlino / Esperienze di immagini sociali, Milano. 1974 Gli artisti italiani con il Cile, Galleria Alzaia, Roma, Genova, Milano / Il Cile come la Comune, Milano, Parigi / L’arte presente, Amalfi / VI Edizione di Grafica Incontri Sila- ni, Cosenza / XXVII Premio Suzzara, Manto- va / V Edizione del Premio Mazzacurati, Giulianova (fuori concorso) / V Premio 218
Biennale di pittura, Castelnuovo Magra, La Spezia (1° premio) / L’uomo e la città, Biblioteca Civica, Saronno. 1975 Egemonia-Esperienza grafica, Galleria La Nuova Pesa, Roma, Ascoli Piceno, Palermo. 1976 XXVIII Premio Suzzara Evidenza dell’imma gine, Paliano / XIII Premio del Disegno Gal- leria Le Ore, Milano. 1978 I Biennale di Reggio Calabria. 1979 Il Figurativo alle soglie degli anni ‘80 Palaz- zo Cariati, Napoli / Galleria d’Arte Moderna, Palermo. 1980 50 artisti per la Galleria Le Ore, Milano / Artificina-Parola e immagine Museo archeo- logico, Reggio Calabria / Ecologia interni esterni mostra di gruppo Galleria Tavazzi, Roma / Leonardo Chàteau sarriod de la tour, Vallée d’Aoste. 1982 Mostra Nazionale Arte e Ferrovia, Roma, Torino, Prato / Mostra Nazionale La coope- razione e la società in crisi, Perugia, Livorno, Genova, Napoli / La Ruota del Presente una situazione romana, Comune di Jesi. 1983 De Umbris idearum - intervento sulla mac- china di Giordano Bruno - , Napoli, Roma, Venezia. 1985 XI Quadriennale di Roma. 1988 Progetta la rappresentazione del “Giglio” a Nola. 1992 Esegue una grande scenografia presso l’Uni- versità “La Sapienza” di Roma ispirata alla “Gerusalemme Liberata”. 1994 Esegue a Sesto Fiorentino un grande mosai co. 1995 A cura di Carlo Pedretti e Giuliano Allegri esegue una serie di dipinti e una pubblica- zione grafica ispirate a Leonardo, Amalfi, Anagni, Roma, Los Angeles, Stoccolma, Miami. 1997 Arte a Roma, Galleria Comunale di Roma /
Città museo, Boville Ernica. 1998 Mostra Gruppo 5, Veroli. 1999 Mostra internazionale di disegno, Ino-cho Paper Museum, Kochi, Giappone. 2000 Immagine d’impegno-impegno d’immagine, Roma.
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Didascalie foto: Pag. 8 Pag. 19 Pag. 37 Pag. 47 Pag. 68 Pag. 92 Pag. 104 Pag. 122 Pag. 130 Pag. 140 Pag. 146 Pag. 158 Pag. 174 Pag. 182 Pag. 205
- La casa nel giardino degli ornelli - Italo Scelza con Renzo Vespignani - Italo Scelza nello studio di via Pienza a Roma - Italo Scelza con Nino Gian Marco, Andrea Volo (Majakovsky) - Italo Scelza con Mario Sasso - Italo Scelza nello studio del giardino degli ornelli a Supino - Italo Scelza nello studio di V.le Regina Margherita a Roma - Italo Scelza con Gian Maria VolontÊ - Italo Scelza - Festival Jezz Supino con Gaetano Franzese - Italo Scelza a Sesto Fiorentino - Italo Scelza fotografato da Romano Sileone nello studio di Supino - Italo Scelza ad Humbolt - Autoscatto - Italo Scelza nello studio di Humbolt - Il paracadute di Leonardo - Castello di Fumone - Studio per l’opera Fides et Retio
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Si ringraziano i collezionisti: Alberto Sughi, Aldo Sica, Alfredo Pellegrino, Antonio Caruana, Antonio Fazio, Benito Grasso, Carlo Mollica, Carlo S. Vitale, Danilo Scarchilli, Domenico Mariani, Emilia Argenziano, Fabio Agostini, Giancarlo D’Agostino, Gianfranco Della Rocca, Gianfranco Proietti, Gianni Puma, Giulio Barletta, Guido Materazzo, Ivo Ruzza, Ralf Menert, Jleana Catarisano, La Rosa Leda, Levy Diane, Maurizio Concutelli, Pina Fornato, Pippo Zagari, Quinto Pasquazzi, Raffaele Troncane, Tony Porcella, Vincenzo Giordano
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Edizioni Nuova Stampa Frosinone