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ITALO SCELZA
Fides et ratio Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore SUPINO
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ITALO SCELZA Le opere della Collegiata
Fides et ratio egli è figlio e padre della cultura in cui è immerso
Testimomiamze di
Don Antonino Boni Italo Scelza
Testi critici
Giuseppe Agostini Don Michele Colagiovanni
Testi poetici di
Maria Teresa Ciammaruconi Elmerindo Fiore Gianni Godi Sergio Zuccaro
Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore SUPINO
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La Chiesa di S. Maggiore di Supino si sente onorata di ospitare il dipinto che il Maestro Italo Scelza ha creato in occa sione dell’Anno Santo 2000, ispirato dall'Enciclica “Fides et Ratio” di Papa Giovanni Paolo II. L’opera sprigiona una potenza dramma tica come appare dallo sforzo sovrumano delle fede della ragione per sconfiggere il buio tenebroso e liberarsi dai possenti tentacoli e rinascere dopo un parto lungo e sofferto, verso la luce della unità piena, che poi è il possesso di Dio. Ad ammirare la composizione si capisce che la mano, il cuore, la mente, i colori fanno pensare senza ombra di dubbio al Maestro Italo Scelza, per altro già pre sente in questa chiesa per aver firmato nel 1988 due lunette, della Madonna e di S. Lorenzo, che arricchiscono l’austerità della Cripta. Noi lo ringraziamo del dono inestimabile che consegniamo innanzitutto alla fede e alla pietà dei credenti, ed anche agli occhi e al diletto dei visitatori. Collegiata di S. Maria Gennaio 2003
Don Antonino Boni
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Imago celsitudinis
I
visitatori, radi ma selecti, che si avventurano nella chiesa di Santa Felicita, a Firenze, sotto il Corridoio vasariano, passato Ponte Vecchio, sanno che cosa li aspetta appena entrati, a destra dell'ingresso. Li aspetta la lotta con la luce, il certame di Abramo con l’Angelo della rivelazione manierista di Pontormo, la stupefazione e il turbamento del dolore rivestito di luci che ancora, dopo quasi cinquecento anni, non hanno neanche intaccato il mistero della tragedia di Gesù deposto, la sofferenza trasformata in colore puro e inattaccabile o incomprensibile. Nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Supino, nella tenera e
torva Ciociaria pastorale, niente della nobile architettura di Gerolamo Fontana potrebbe fare sospettare, al devoto, al viaggiatore, che cosa lo aspetta alla fine della navata, nel transetto di destra. Il soggetto, le proporzioni, la collocazione, la improvvisa impennata di colori per una altezza di cinque metri, il sorprendente corteggiamento delle due porte-edicole dipinte con al luce fuggitiva dell’angelo, rivelano l'opera più estesa alla quale, con l’impegno irriducibile di un pictore antiquo, si sia accanito il nostro Italo Scelza. Il quadro, suddiviso in tre sezioni, sovrapposte, si protende verso l’alto dalla sua soglia di travertino, con la brama di altitudine che già si potrebbe prefigurare dalla ogiva di un missile. Il titolo, come un dipinto della Controriforma, è teologico e desunto dall’incipit della enciclica “Fides et Ratio”. Una citazione (...“egli è figlio e padre della cultura in cui è immerso”). Avvia e immette chiaramente alla interpretazione o, se si vuole, all’esigesi. Come il suo telaio, l’argomento del quadro è palesemente tripartito. L'involucro o bòzzolo o siderea crisalide, si apre con l’armoniosa precisione di un’arca o vascello spaziale e subito, già adulto, già pensante e agente, si eleva l’Adamo contemporaneo il “ Vir Miles”, l’uomo combattente nella orgogliosa esibizione dei suoi mezzi di offesa e di difesa, al polso i lacci spezzati, con armaturascafandro dei visitatori celesti, emergente dal nero pèlago della paura e dell’ignoto, ma già con il viso nella luce. Quest’uomo che nasce dallo spazio, come Tarchna dai campi arati di Tarquinia, giovane e sapiente, assorbe e accentra una attenzione pensosa, austera e ammirata. E’ di nuovo, nella smagliante vestizione del colore contemporaneo, il San Sebastiano di Sodoma e l’arcangelo di Guido Reni o il Risorto di Piero della Francesca e, nella dovizie di simboli (il Triregno-Tiara, il divino sguardo nel Triangolo) una figura della Apocalisse di Patmos. Per quanto si potrebbe forse insinuare che il San Giorgio di Mantegna all’Accademia di Venezia sia una matrice di ispirazione più ammissibile. E mentre dalla notte sottostante il colore si schiarisce e tripudia nella luce di oro celestiale dei simboli, l’uomo come eletto, come obbediente all’ordine di una Vocazione, a sua volta si eleva e si trasfigura nel bagliore della parte paradisiaca dello spettro luminoso. Come in tutti i quadri di Scelza, l'interesse puramente pittorico fa passare in second’ordine ogni altra considerazione, fosse pure -
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come in questo caso - di livello teologico. Si tratta di una pittura che è riuscita a mantenersi “pura” per la impressionante superficie di dieci metri quadrati, con il puntiglio terribile di una pittura di cavalletto. Infatti qui nulla è corrivo, nulla è negligente o sommario, nulla è abbreviato o compendiato o comprensivo, ma tutto piuttosto è dettagliato o specifico. Già si è fatto cenno alle due edicole morte, con timpano “borro miniano”, che la pittura di Scelza ha trasformato, ai due lati del grande quadro, in due finestre di squisita luce per mezzo del balenante transito di un angelo, secondo la tradizione dei felici inganni luministici, per esempio, di Luca Giordano (QUOD•M I C A N S•FULMEN•PERTRANSIT•H E I C•LUX • DEMONSTRATUR•ANGELICA).
In questo modo tutta una grande parete destra del transetto è dedicata e illustrata dal pittore che, a Supino, per sua scelta, ha eletto domicilio “sibi et amicis”. Per quanto attenga più giustamente alla sfera etica, il fatto della donazione da parte di un noto pittore di un’opera così ponderosa resta un fatto che, con la dovuta cautela, andrebbe investigato. La motivazione più attendibile andrebbe richiesta direttamente al pittore, ma nessuno si farà mai l’illusione di accettare per buona una sola risposta: infatti il bicipitismo dei pittori non ne risparmia nessuno. Vale la pena di ricordare che Gerolamo Fontana (famoso architetto della dinastia di Domenico, che elevò l’obelisco vaticano sotto Sisto Quinto) progettò e diresse il lavoro della edificazione della chiesa di Santa Maria di Supino, con grande campanile, cupola e maestoso interno, senza reclamare alcun compenso (ma accettando “due prosciutti grossi”) per la “salvezza della sua anima”. Per discrezione, ma anche perché malfidati, non chiederemo a Scelza la ragione del suo gesto di elargizione tanto liberale, tanto più che abbiamo sperimentato personalmente la sua amicizia, talvolta perentoria e tirannica, vogliamo noi immaginarne uno verosimile. La vita ci pone all’improvviso di fronte a soluzioni impervie e repentine. La decisione, apparentemente fortuita, risponde invece al metodo di un lungo allenamento per il quale nulla è veramente casuale ma corrispondente al grado di cultura umana e spirituale al quale la vita ci ha addestrato. Se Scelza ha seguito un impulso di generosità significa che nella vita si è addestrato alla generosità come a una virtù costante e quindi, nel momento di una scelta, è la virtù lungamente esercitata che ha avuto il sopravvento. Per merito dell’esercizio di una virtù e non per neo-mecenatismo o per perpetuare il suo nome, un grande pittore aggiunge, in una addizione del merito e della bravura, una possente opera a quelle, minori ma ugualmente valorose, delle vetratine della cripta, nella stessa chiesa. Gli effetti della esplosione, della deflagrazione di questa pittura veramente flegrea si addolciranno con il tempo e con la frequentazione, in un processo di acquisizione e di fruizione, di alta tolleranza dell’opera nuova che si affratella con le opere antiche, nella convinzione di fede che la pace è possibile soltanto attraverso la bellezza. macchia prima 2003
Lepinus Philòmelos
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Italo Scelza “Fides et ratio” olio su tela - m. 5,30 x m2,05 - 1999-2000
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particolare studio due - acquarello e matita su carta - cm. 60 x 40 - 1999
L’Angelicato 2 Ancora sul mondo nudo nel ferro a portare il fuoco di un pensiero plurale la luce spaccata del cristallo dilaga sul pieno e sul vuoto sul giorno e sulla notte dentro le menti mestatrici di miti sopra le fedi folli di sfida il nucleo generante della materia si apre in forma di corpo respiroso si solleva liberato dai miracoli su cerchi trasparenti di silenzio e oro e la mano dell’uomo più alta dell’ala ferma le spade e le croci. Torna l’Angelicato fuggito dall’azzurro di troppo cielo insostenibile sole senza tramonto il disertore dell’assoluto ha tradito il tempo dove nessuno ha nome lui che è stato in piedi davanti a dio rinuncia alla santità rinnega l’innocenza abbandona la beatitudine sepolta nella bara dell’incommensurabile il volto si schiude al crollo della perfezione per continuare a bramarla dove l’orgoglio ha edificato la torre di pietra e fango e salive e sudore stillato dal male incarnato e mai commesso.
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Si è avvolto di bende e di corazze a fare belle le sue ferite e tracciare con la sofferenza il limite che l’eternità ha perduto per sempre. Ha piegato le ginocchia tra i gusci vuoti - troppo basso il volo per uscire dall’ombra e alzato lo guardo alla seduzione della morte che mille volte si ripeta nell’ebbrezza della desolazione. Ha invocato l’insonnia dove appuntare ricordi luminosi nel buio sopra occhi inutilmente aperti e di musica poche note per rendere sopportabile l’insensatezza. Vivrà per fare leggero il tempo con la sua mano gli costruirà una faccia che lo salvi dall’eternità del divenire per poterlo amare prima di andarsene e dimenticarlo senza averlo mai capito. Restituirà alle cose il dolore che avvicina il cielo alla terra e a sé stesso la tentazione di credere dopo la sconfitta nel duello tra il nulla e il dio che a perduto la guerra. L’Angelicato abbraccia la tortura dell’idea nata per una morte eroica di mistero la luce che inghiotte l’acume delle lance dove è voluttuoso il morire. Ma con la mano più alta dell’ala ruba alla cenere il corpo caduto e lo lancia più alto della fede dove è clamore di frutto fresco tra i denti brezza viola tra i ventri protesi. Le braccia alla fine pesano delle carezze non date per paura dell’estasi di eterno non resta che il desiderio da solo nell’aria che lo sospende in attesa di giorni che non verranno. In quale labirinto lasciare che si persa la certezza del sempre? In quale gola annegare per non sapere se dentro o fuori dalla corazza il suo corpo vive ancora?
San Nicola in Carcere 2000
Maria Teresa Ciammaruconi
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studio uno - acquarello su carta - cm. 80 x 60 - 1999
Fides et ratio io io ho io ho perso io perso me me perduto perduto perso io me perdutamente perso me medesimo perso perdutamente perso il piede perso il femore io perso perso l’orecchio l’occhio perso porso la mano sinistra la mano sinistra il dito indice l’indice perso perso il verso (non la rima) perdutamente il dritto perso perso la cima perso FIDES et RATIO perso perso di me mi perdo perso nel cielo giallo dell’universo Sergio Zuccaro
Osaka 23 maggio 2000
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studio due - acquarello e matita su carta - cm. 60 x 40 - 1999
Ioegli Padrefiglio 2000 (seconda parte)
prima voce Or ora padre I/O vorrei parteciparti la cognizione del dolore causato dalla tua mancanza. Ti disporrai ad ascoltare questo mio atto immorale per addolorarti? (in quale assurdo reale IOEgli sono. Chi mai mancando può ascoltare?) Dovrei averti in possesso. Costringerti ad accettare la mia afflizione. Averti vuol dire comperarti? Con quali mezzi e da chi? Se il proprietario coincide con te assente? Tu non eri né sei reali. Il mio dolore è mia creazione preziosa. E’ pur vero che io pensando in sincerità ti amo però non so a chi dirlo e il contrario della gioia in me sempre coincide ed in coscienza I/O non sono tu mancando seconda Voce ! Amici concreti è tutto falsovero nel secolo di dubbi l’anima nostra è meno di un grammo. Che s’a da fare se non migrare sulla Via Lattea? Così vagando tra i frammenti del pittore insieme smateriati ripigliao da’ cenci ferrosi l’energia snella gli spruzzi di vita delirante in alto su su su più su d’ogni ragione umana e I/OEgliVoi adesso vedo dipinto il dolore immenso nel logodramma arcaico verboso pasquare rosso sangue nel mix d’ogni colore del dire rumore bianco abbaglio d’ognilogo quilìlà a tratti appare limpida la quarta dimensione del canto filamentoso che tiene assieme gli esseri e vedo il cuore minuscolo dei ragni dar la sua parte e lascia stare tu la diceria che mai nessuno avrebbe visto due ragni darsi ai trastulli d’amore i ragni sono vivi Nella notte assoluta che in centrale tentano la luce il corpo tragico dei ragni connette con i fili di bava le punte degli astri coi rami del nespolo e l’aurora puntuale conferma agli scettici la trappola e gli asceti smagriti dai sogni vorrebbero rompere il silenzio in fede urlare quan’anche Dio fosse un puntino vago andrebbe esplorato partendo in gran segreto dall’interno. Casalpalocco 2000
Gianni Godi
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a storia delle committenze nell’arte è vastissima, tanto che una succinta esposizione risulterebbe quanto meno lacunosa. Personalmente mi sono spesso interrogato sulle sensazioni, sulle emozioni che investono un artista nell'istante in cui riceve un incarico di rilievo, sensazioni che provai quando mi venne commissionato un lavoro su Leonardo e la sua opera grafica da inserirsi in una importante edizione d’arte commissionata dall’Hammer Museum di Los Angeles, depositario allora del codice Atlantico Leonardiano. La mia prima preoccupazione fu quella di non essere travolto dalla grande personalità del maestro ma di cogliere, semmai, il senso filosofico e tecnologico del suo segno. Con la stessa tensione è nata l’opera pittorica “Fides et Ratio”, offerente alla omonima lettera Enciclica di Giovanni Paolo II e commissionatami dall’Associazione Culturale Internazionale nell’ambito della rassegna “Realtà del Divino”, nell’anno giubilare
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visione completa del transetto
del 2000. Il dipinto, inizialmente esposto nella Basilica di S. Nicola in Carcere in Roma, è stato donato alla Insigne Collegiata di S. M a r i a maggiore in Supino, paese che mi ospita ormai da trent’anni. Questa donazione vuole essere un segno di affetto, che mi lega sia ai concittadini che a Don Antonio il quale, con il suo interesse e perspicacia, ha sempre discusso sui grandi temi che la Chiesa da tempo opera per la cultura e la pittura contemporanea. Il dipinto si sviluppa tutto in verticale con una base di cm 205x530 di altezza, è stato inserito alla destra del transetto affiancato da due dipinti murali che riproducono due porte, inondate da una accecante luce, la stessa che l’occhio divino irrora in tutto il quadro.
Il giardino degli ornelli
Italo Scelza
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HEIC•LUX•DEMONSTRATUR•ANGELICA
Italo Scelza - La porta del transetto uno tempera su muro - m 2,20 x m 1,10 - 2003
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QUOD•MICANS•FULMEN•PERTRANSIT
Italo Scelza - La porta del transetto due tempera su muro - m 2,20 x m 1,10 - 2003
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l’essere, nel quadro, parla per sé e “Le sang pain revient!” dal giardino degli Ornelli alle porte
io rappresento il mio precipitare il neutrale corpo di luce che cerca la palude e le forme dei corni rappresento il fremito naufragio delle lingue che si sfiorano il confine della veglia io rappresento la condizione mediana del giorno che ci scova e rappresento l’accecamento rappresento il mio essere pittura fuoco finto la febbre di chi sta per scoprire i nodi e diventare apparenza di uomo che si toglie il corpo, le armature le ali appunto, io rappresento la tua condizione di sospeso l’andare al porto come annegato o muotatore stanco o manichino monocromatico io rappresento la notte della luce
come per un tango al duello so che vieni vestito da guerriero imperturbabile e turbato so che sei stato agile e ragionevole autore dell’angelo e l’angelo medesimo che lambisce il punto nevralgico l’ombra e per sete la seta gli ornamenti nel panico col mistero movimento dalla porta accanto i suoi merletti quando torni al giardino degli Ornelli con tutte le protesi le ciprie e lasci l’altra porta murata Ermerindo Fiore a Italo Scelza il 27 gennaio 2003
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S
iamo in presenza di un’opera che non può passare inosservata: e non solo per le sue dimensioni: metri 5,40 per 2,5! Ci tengo a evidenziare il “non solo” perché si potrebbe cadere nell’equivoco riduttivo. Il talento non ha bisogno necessariamente di forme im-ponenti, ma le dimensioni, quando il talento c’è, come in questo caso, aggiungono una connotazione supplementare all’opera. Il Giudizio della Sistina non sarebbe la stessa cosa se ne possedessimo il bozzetto in tutto fedele, di pugno dello stesso Michelangelo. Si dica lo stesso di Italo Scelza: l’ampiezza dello spazio pittorico, il taglio di esasperata verticalità, la dicotomica spartizione della scena, con al centro l’uomo, si fondono a meraviglia. Nel vasto spazio, adeguato al pensiero, tra luce e tenebre, l’autore ha criptato messaggi che sono altrettanto imponenti, come del resto è lo stesso tema trattato, Fides et ratio, riuniti fin nel proprio nome da una enciclica di Giovanni Paolo II, cui la pala direttamente si rifà. Fides et Ratio: i due lemmi (e il loro significato profondo) sono stati, nel corso dei secoli, ipostaticamente uniti (quando il pensiero era soltanto religioso), alleati (quando la ragione fu usata al servizio della fede e la filosofia fu resa ancella della teologia), avversari, quando - specialmente con l’illuminismo -, la teologia fu bandita dagli interessi umani, a favore della sola ratio. Oggi, visti gli esiti cui sta conducendo la concezione dell’uomo a una sola dimensione - quella della materia - si vorrebbe fondare una nuova collaborazione, sulla base della pari dignità tra i due ambiti. Questa, almeno, è l’esigenza colta dal pontefice, nelle secche in cui l’uomo si è cacciato e, per conseguenza, l’auspicio. Vorrei sfatare una facile deduzione, quella che porterebbe a credere che le tenebre siano la Ratio e la luce la Fides. L’inganno può risultate tanto più ovvio e fuorviante, per il fatto che la tela è collocata in chiesa, dove i credenti sono convocati a celebrare la loro fede. Sarebbe una interpretazione trionfalistica, non consentita dalla storia, cui la pala rimanda. La fede è certezza, ma di una verità che è dono e conquista. Un dono gratuito, come è proprio del dono, ma tutt’altro che gettato a pioggia, come un confetto. La fede è un punto d’appoggio per chi vuole illuminarsi d’immenso, che è l’esatto contrario del ritenersi immensi. Il popolo dei credenti è convocato, in chiesa, anche a battersi il petto per le colpe commesse nei secoli in nome di una fede imbrandita, più che vissuta. Tutta la pala appartiene all’uomo e quindi, con-temporaneamente, alla ragione e alla fede, che sono le componenti irrinunciabili dell’umanesimo integrale. A me pare che questa asserzione sia incisa con la dovuta drammaticità. Ogni spettatore diventa un fedele, se si pone nella condizione esistenziale dell’uomo dipinto da Scelza. Oggi, bandita la religione, trionfano i maghi, i fattucchieri, i cartomanti, i sensitivi: insomma i ciarlatani, gli stregoni e le streghe di epoche che la ragione qualifica primitive. Ma un simile approdo dimostra che erano ciarlatani anche coloro che promettevano un paradiso senza Dio; un paradiso in terra proprio perché senza Dio. Oggi sappiamo che la stessa dimensione umana, corporea, privata di trascendenza, sta diventando merce di banco, figura replicabile a piacimento, un assemblaggio di arti coltivabili separatamente. Siamo in presenza di un’opera che rimanda alla Assunzione del Tiziano. Qui è l’uomo che ascende. La fede sta sia nel folto del buio, dove l’uomo pianta i piedi, sia nella luce verso cui si protende. E anche la ragione sta lì: è luce di ragione quella che sorge dal buio come un’alba, nel luogo della congiunzione dei due campi, proprio dalla testa dell’uomo. Come dove si mescolano i fiumi, la luce che sale si congiunge con quella che scende. Quella che piove dall’alto, mediata dalla Chiesa, vorrebbe nettare la grande pala e ridurla come una vetrata istoriata, abbagliante di sole. Ma lo stesso desiderio si coglie nella luce che sale e nello sforzo dell’uomo di schiacciare la testa al dragone infernale che lo insidia al calcagno. Albano Laziale
Michele Colagiovanni
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Italo Scelza - studio uno acquarello su carta - cm. 80 x 60 - 1999
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Italo Scelza studio per la realizzazione della lunetta destra dedicata a S. Maria inserita nella cripta della Collegiata eseguite nel 1988
Santa Maria vetrata definitiva realizzata dallo studio di vetrate artistiche Giuliani Roma
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Italo Scelza studio per la realizzazione della lunetta sinistra dedicata a S. Lorenzo, inserita nella cripta della Collegiata eseguite nel 1988
San Lorenzo vetrata definitiva realizzata dallo studio di vetrate artistiche Giuliani Roma
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talo Scelza già docente di pittura delle Accademie di Belle Arti di Firenze e Roma, nasce ad Avellino nel 1939. Negli anni ‘50 risiede a Napoli per ragioni di studio. Nel 1960 soggiorna in Ciociaria, per poi trasferirsi a Roma. Nel 1970 prende studio a Milano. Dal 1962 è presente senza interruzioni nelle più importanti gallerie italiane. Sempre attento nella annotazione del momento sociale dell’arte, è un nome ricorrente nelle mostre di forte tensione storica. I suoi primi interventi sul territorio iniziano nel 1973 a Gualdo Tadino (Immaginazione e Potere - Editori riuniti), nel 1974 a Saronno (L’uomo e la città), Festival mondiale della gioventù di Berlino, nel 1979 (Le piazze di Messina: Ipotesi per un gioco), nel 1980 De Umbris Idearum - La Macchina della Memoria di Giordano Bruno). E’ specialista della venerazione per la memoria storica come tale ma rivissuta, e riedificata con lo spirito inquieto e dialettico della cultura contemporanea. A questo proposito si possono citare tre interventi importanti: Gli Stucchi Colorati dal Sole (lettura del fiammeggiante barocco di Catania) con testimonianza di Paolo Portoghesi, La Piazza diventò Teatro rigenerazione della possente costruzione dei gigli di Nola e la grande scenografia ispirata alla Gerusalemme Liberata (Clorinda e Tancredi) in occasione di un grande concerto tenuto nell’aula magna dell’Università La Sapienza di Roma, con musiche di Monteverdi, diretto dal Maestro Giuseppe Agostini. Nel 1986 partecipa alla XI Quadriennale di Roma con un grande trittico (Gli uomini della ricostruzione), nello stesso periodo dipinge un’altro trittico “Il gioco degli scudi”. Nel 1989 inizia l’esperienza americana soggiornando prima in Canada, tenendo una mostra personale a Toronto e poi in California come docente alla Università di Humbold tenendo, peraltro, una mostra a San Francisco. Le sue opere sono in molte collezioni statunitensi, europee e d italiane. Negli anni ‘90 Italo Scelza rilegge pittoricamente la “Zattera della medusa” di Thèodore Gèricault ”, l’opera ottocentesca nella quale il grande pittore francese avverte il dramma dell’uomo di oggi. Scelza vive attualmente tra lo studio di Roma e il suo studio nella campagna ciociara del territorio di Supino. Tra i suoi ultimi studi interessante una sua ricerca su Leonardo in collaborazione con il Prof. Carlo Pedretti, per conto dell’ Hammer Museum di Los Angeles. Progetta e disegna una serie di immagini sul terremoto dell’irpinia per l’edizione “I disastri di una terra - Avellino 1980 - 2000 edita dal Comune di Avellino. Nel 1999 dipinge il grande quadro “Fides et ratio”, nel 2000 la città di Anagni gli dedica una mostra antologica in occasione del Giubileo e nel 2001 il Comune di Fiuggi gli organizza una rassegna dedicata alla grafica nell’antico Teatro Comunale. Attualmente stà preparando una serie di mostre nelle città di Arezzo, Ancona, Reggio Emilia, Udine e Milano.
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Si ringraziano
Don Antonino Boni Don Michele Colagiovanni Giuseppe Agostini Maria Teresa Ciammaruconi Gianni Godi Elmerindo Fiore Sergio Zuccaro Renato Bernardi Ippolito Tomei Gino Riccardo Bernardi per aver collaborato ai dipinti che affiancano l’opera.
Un particolare ringraziamento a Delia Corsi e Giannino Bailonne titolari della “Tre esse Italia” sponsor di questa pubblicazione
C ITALO SCELZA Finito di stampare febbraio 2003 in 500 esemplari
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GESTIONE TRIBUTI LOCALI Via Condotto Vecchio, 50
03010 SUPINO (FR) Tel. Fax 0775.226093 - 0775.227533