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Kostantin Nossov
L’ordine del Tempio era un’organizzazione religioso-militare istituita per proteggere pellegrini e coloni in Terra Santa. I Templari si consideravano guerrieri di Dio che combattevano nel nome di Dio e si crearono una reputazione temibile tra i vicini musulmani. Questo libro tratta degli uomini che entrarono a far parte dell’ordine e dei motivi per cui lo fecero, in particolare coloro che combatterono in Terra Santa. Sulla base di fonti contemporanee, il libro presenta un attento studio della vita quotidiana dei guerrieri: dal cerimoniale di ammissione all’ordine al loro addestramento, alla loro organizzazione sul campo e al modo in cui combattevano.
GLADIATORI
Konstantin Nossov
GLADIATORI
Sangue e spettacolo nella Roma antica
GLADIATORI
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BIBLIOTECA DI ARTE MILITARE I GUERRIERI
Konstantin Nossov
GLADIATORI
Sangue e spettacolo nella Roma antica
Capitolo 1
GLI SPETTACOLI NELL’ANTICA ROMA I giochi gladiatori I giochi gladiatori, come molte altre tradizioni romane, sono stati a lungo considerati di derivazione etrusca2. Eppure fra gli oggetti etruschi restituitici dagli scavi, nemmeno uno testimonia l’abitudine degli Etruschi di organizzare giochi di questo genere. Le pitture murali nelle tombe dei nobili etruschi rappresentano attività sportive, per esempio corse di carri o gare d’atletica, ma non incontri di scherma. Nella Tomba degli Auguri di Tarquinia c’è un famoso disegno in cui un uomo incappucciato, armato di bastone, si difende da un cane aizzato contro di lui da un altro uomo, il cui volto è coperto da una maschera: poiché si tratta di un animale che attacca un uomo, e non di uno scontro armato fra due uomini, non si può parlare di giochi gladiatori. La recente scoperta di alcuni affreschi in Campania, nell’Italia meridionale, ha rivoluzionato le convinzioni riguardanti le origini della gladiatura. Questi affreschi, risalenti al 370-340 a.C. e numerosi soprattutto nella zona di Paestum, a Sud-Est di Napoli, rappresentano varie scene di spettacoli funerari, fra cui corse di carri e incontri di pugilato, ma ciò che più ci interessa sono le immagini di duello fra due uomini armati di lance, scudo ed elmo. A volte alle spalle dei combattenti ci sono delle guardie, e ciò rivela che i due uomini non si battevano liberamente, ma erano costretti a farlo.
2 L’errore si basa sulle attribuzioni errate di Tertullianus (De Spectaculis 5.6) e Athenaeus (4.53) le cui parole furono giudicate veritiere senza verifiche da molti allievi.
Un affresco rappresentante due gladiatori bustuarii, dagli scavi di Paestum, in Campania. Metà del secolo IV a.C. (Museo Archeologico Nazionale, Paestum)
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3 Junkelmann, Das Spiel mit dem Tod, p.33
4 Livy...
In altre scene, hanno ferite sanguinanti ed in uno degli affreschi pare addirittura che uno dei due personaggi sia ucciso3. C’è un parallelo evidente con i munera romani. Purtroppo, però, non sappiamo chi fossero gli sfidanti: prigionieri di guerra? criminali? uomini addestrati alla lotta o scelti a caso? Altre e convincenti prove dell’origine campana della gladiatura ci vengono da Livio. Nel 308 a.C., durante la Seconda Guerra Sannitica (327-304 a.C.), i Romani riportarono una vittoria decisiva sui Sanniti. Catturarono un ricco bottino d’armi con cui decorarono il Foro, “mentre i Campani, per odio e spregio nei confronti dei Sanniti, costrinsero i gladiatori che si esibivano durante i loro banchetti ad indossare quelle armi e li chiamavano Sanniti”4. Sembrerebbe così che in Campania la lotta fra gladiatori fosse già diffusa nel 308 a.C., ma anche altri elementi fanno pensare a quest’origine campana, per esempio il fatto che i primi anfiteatri in pietra furono edificati in Campania, Ancora un affresco dagli scavi di Paestum, in Campania. Metà del secolo IV a.C. (Museo Archeologico Nazionale, Paestum).
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e nella stessa terra sorsero le più famose scuole di scherma. I Romani, che avevano stretti rapporti con Capua (al centro della Campania), non potevano non sapere dell’esistenza dei gladiatori, anche se è plausibile che abbiano appreso l’arte della gladiatura dagli Etruschi che l’avrebbero a loro volta imparata dai Campani5. Il primo riferimento a dei giochi gladiatori a Roma risale al 264 a.C. quando i due figli di D. Giunio Bruto Pera chiamarono tre coppie di gladiatori ad esibirsi durante i giochi funebri in onore del padre6. La tradizione di versare del sangue umano sulla tomba di un famigliare defunto era antica, e diffusa presso la maggioranza delle culture mediterranee che credevano che il sangue riconciliasse il morto con i vivi. Già prima del 264 a.C. Roma aveva celebrato sacrifici umani, ma questa fu la prima occasione in cui dei gladiatori si batterono durante un funerale. In precedenza, per placare il morto con del sangue umano, i Romani avevano sacrificato i prigionieri di guerra o qualche schiavo malcapitato. Nel 264 a.C. decisero per la prima volta di aggiungere alla cerimonia un elemento di intrattenimento: il combattimento dei gladiatori7. La seconda menzione di gare di scherma risale al 216 a.C., quando tre figli di Marco Emilio Lepido organizzarono i funerali del padre e per onorarlo con delle gare portarono nel Foro ben 22 coppie di gladiatori (8). Che fra queste due date a Roma si siano svolti altri scontri fra gladiatori non è dimostrato, ma è assai plausibile che ce ne siano stati, almeno durante i giochi funebri in onore dei cittadini più importanti. Sappiamo che anche i Cartaginesi organizzavano gare di scherma. All’inizio della Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.) Annibale, desideroso di sollevare il morale dei suoi uomini, costrinse i prigionieri catturati sulle montagne a combattere utilizzando le armi dei Galli. Poiché il vincitore veniva liberato e riceveva armi e un cavallo, tutti i prigionieri bramavano tentare la fortuna: Quando cominciarono a combattere lo spirito era tale, non solo fra coloro che avevano accettato di battersi, ma anche fra il pubblico, che la sorte di quelli che morivano coraggiosamente era lodata non meno di quella dei vincitori. Quando i suoi uomini furono rafforzati dall’aver visto varie coppie di sfidanti, Annibale li licenziò9.
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Scipione, generale e politico romano, nel 206 a.C. organizzò dei combattimenti un po’ diversi quando, a Nuova Cartagine in Spagna volle commemorare il padre e lo zio: In quest’occasione i gladiatori non erano presi dalla classe a cui attingono di solito gli addestratori – schiavi e altri che vendono il proprio sangue – ma erano tutti volontari, pronti a battersi gratuitamente. Alcuni erano stati mandati dal proprio capo a dare prova del coraggio connaturato nella loro razza, altri dichiaravano di voler combattere per onorare il loro generale, altri ancora erano mossi dallo spirito competitivo e dal desiderio di misurarsi in un corpo a corpo. Molti avevano delle liti in sospeso, e colsero l’occasione per risolverle a colpi di spada, pur accettando la condizione che lo sconfitto sarebbe stato alla mercé del vincitore10.
Scesero in campo persino due cugini, Corbis e Orsua, per decidere con le armi chi avrebbe governato sulla città di Ibes. È evidente, dunque, che nel 206 a.C. la gladiatura era già diffusa, e non coinvolgeva solo schiavi ma anche uomini liberi. Con il tempo, il numero di sfidanti impiegati nei giochi aumentò: nel 183 a.C., ai giochi funebri in onore di Publio Licinio parteciparono ben 60 coppie di gladiatori11, e nel 174 a.C. Tito Flaminio mise in campo 74 gladiatori per il funerale del padre12. In quest’ultima occasione, i giochi funebri furono accompagnati da recite e banchetti (nonché distribuzione gratuita di carne), e si protrassero per quattro giorni di cui tre riservati ai combattimenti fra gladiatori. I giochi pubblici (ludi) venivano organizzati da funzionari dello stato e comprendevano rappresentazioni sceniche e corse con i carri, ma in origine non prevedevano scontri di scherma. Come abbiamo visto, i gladiatori comparivano soprattutto nei giochi funebri celebrati in onore di Romani importanti. Il nobile romano, addirittura, lasciava precise istruzioni su come desiderava che si svolgessero i suoi funerali, e il suo testamento aveva il valore di legge per gli eredi che godevano dell’opportunità per dare dimostrazione della ricchezza e del potere dell’intera famiglia. È da qui che deriva il termine
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Gli spettacoli dell’antica Roma
munus per indicare i giochi gladiatori, significando la parola latina munus “impegno” o “dono”. I gladiatori che si battevano per commemorare un defunto erano chiamati bustuarii, dal latino bustum, crematoio. Non combattevano davanti alla tomba, ma durante i giochi funebri che si celebravano il nono giorno dopo le esequie, quando terminava il periodo ufficiale del lutto13. Poteva capitare, a volte, che il defunto lasciasse disposizioni testamentarie stravaganti, mettendo in imbarazzo gli eredi. In un caso, un eminente cittadino romano esigeva che al suo funerale dovessero lottare delle splendide fanciulle, mentre un altro nobile chiedeva che combattessero i giovanetti con cui aveva avuto una relazione omosessuale. In quest’ultimo caso, tuttavia, fu il pubblico ad opporsi, indignato, alla volontà del morto 14. Durante il II secolo avanti Cristo i giochi gladiatori si diffusero in tutta la penisola. Da rito religioso divennero gradualmente strumento di influenza politica sulla popolazione. A volte il defunto doveva aspettare parecchio tempo per l’attuazione del suo testamento, perché gli eredi, strategicamente, cercavano di far coincidere il munus con le prime elezioni. Fu così che Giulio Cesare, puntando alla carica di edile, organizzò dei giochi gladiatori in onore del padre quando questi era morto ormai da ben vent’anni 15. Lo stato romano si fece organizzatore di giochi gladiatori per la prima volta nel 44 a.C., alla morte di Cesare, e non nel 105 a.C. come si è creduto in passato 16 (il 105 a.C. è l’anno in cui per la prima volta si presero gli istruttori di scherma delle scuole gladiatorie per addestrare i legionari). Durante l’Impero, infine, i munera persero gradualmente il loro carattere religioso. Anche altri popoli celebravano occasionali combattimenti gladiatori in concomitanza con le cerimonie funebri, probabilmente mutuando l’uso romano. Nel 139 a.C., per esempio, dei gladiatori si batterono durante i funerali di Viriato, il capo dei Lusitani, popolo celtico che viveva nelle terre che formano l’attuale Portogallo e che mal sopportava il giogo di Roma 17. I Germani organizzavano degli scontri armati corpo a corpo, in palese analogia con i giochi gladiatori, per accattivarsi la benevolenza degli dei: “Un’altra forma di divinazione, per mezzo della quale indagano l’esito di guerre particolarmente importanti, consiste nel costringere un prigioniero, catturato in qualche modo dal paese nemico, a combattere con un loro soldato scelto a caso, dotando ciascuno delle proprie
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armi nazionali. Dall’esito dello scontro traggono il presagio per capire a chi arriderà la vittoria in guerra” 18. Anche il re siriano Antioco IV Epifane (215-163 a.C.) inscenò dei giochi gladiatori: era stato a lungo ostaggio a Roma, e probabilmente aveva assistito a degli spettacoli di scherma. Ritornato in Siria, nel 175 a.C. si impadronì del trono e incominciò ad organizzare gare fra gladiatori secondo la tradizione romana, invitando, inizialmente, gladiatori professionisti direttamente da Roma. Il pubblico, non abituato a esibizioni del genere, sulle prime reagì con orrore, ma Antioco “offrendo spesso questi spettacoli, in cui a volte gli sfidanti si ferivano soltanto, e a volte si battevano fino alla morte, abituò gli occhi del suo popolo, al punto che questo imparò a divertirsi. Fu così che egli stimolò la passione per le armi fra i giovani uomini” 19. Se da un lato i politici intrattenevano la popolazione con splendidi munera contando di assicurarsi il suo sostegno per le elezioni, la gente li ripagava d’ugual moneta. All’inizio del I secolo dopo Cristo, gli abitanti di Pollentia (Pollenza) in Liguria impedirono al corteo che
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accompagnava i resti di un centurione di lasciare la piazza principale della città fino a quando gli eredi non versarono un ricco importo per i giochi gladiatori 20. Di lì a poco arrivarono a Pollentia due coorti per punire i cittadini, ma l’episodio è significativo perché dimostra che la gladiatura era ormai radicata nella cultura del popolo romano che si sentiva in diritto di pretendere questo tipo di giochi. Nel 73 a.C. avvenne un fatto che precipitò i Romani nell’orrore. A Capua, una settantina di gladiatori guidati dal terribile Spartaco uccisero le loro guardie e fuggirono dalla palestra di Lentulo Batiato. Sulle prime le autorità romane non diedero grande peso all’episodio, ma ben presto i gladiatori attirarono molti seguaci fra gli schiavi, e la banda di migliaia di uomini che si costituì cominciò a riportare una vittoria dopo l’altra sui legionari. I gruppi che si erano staccati all’esercito di Spartaco, invece, ebbero meno fortuna e furono rapidamente sgominati dall’esercito di Roma. Fu ucciso così Crisso, uno dei comandanti della truppa di schiavi e compagno d’armi di Spartaco, proveniente dalla stessa palestra. Spartaco volle per lui
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un funerale in perfetto stile romano: nei giochi funebri in onore di Crisso fece combattere come gladiatori 300 legionari romani che aveva preso prigionieri. Inizialmente gli schiavi dell’armata di Spartaco si erano messi in marcia verso la Gallia, nell’intento di lasciare l’Italia e ritornare in patria, ma poi cambiarono direzione e senza nessun motivo apparente invertirono la rotta tornando a Sud. La notizia che l’armata degli schiavi stava puntando su Roma precipitò i cittadini nel panico. Spartaco, però, ignorò la Città Eterna e percorse l’Italia nella sua lunghezza dalla Gallia Cisalpina a Nord, al Bruzio a Sud. Appena due anni dopo, nel 71 a.C., Marco Crasso alla testa delle sue legioni riportò una vittoria decisiva nella Terza Guerra Servile, detta anche “Guerra dei Gladiatori” 21. Per quanto questa non sia stata l’unica rivolta di gladiatori nella storia di Roma, nessun’altra raggiunse dimensioni simili. I Romani capirono, finalmente, quanto potevano essere pericolosi gli schiavi guidati da un drappello di gladiatori. Il numero di gladiatori mandati a combattere nell’arena aumentò in modo impressionante nel I secolo a.C. Il munus poteva durare parecchi
giorni, o anche mesi, e rendeva necessarie centinaia o addirittura migliaia di partecipanti. Nel 65 a.C. Giulio Cesare mise in campo 320 coppie di sfidanti 22, provenienti probabilmente da una scuola che lui stesso possedeva a Capua, e che addestrava contemporaneamente cinquemila gladiatori. Egli fu anche il primo ad organizzare dei giochi gladiatori in onore della propria figlia (fino a quel momento i giochi funebri erano stati celebrati esclusivamente in onore del padre), ed in quell’occasione, accanto ai gladiatori professionisti, si batterono fino all’ultimo sangue Furio Leptino, di una famiglia pretoria (i pretori erano magistrati molto importanti a Roma), e Quinto Calpeno, ex senatore ed avvocato difensore nel foro 23. Nel 46 a.C., inoltre, Giulio Cesare celebrò il suo trionfo nella guerra civile con una rappresentazione scenica in cui si scontrarono 500 fanti, venti elefanti e trenta cavalieri. Lo spettacolo si svolse in un circo, in cui vennero realizzati due accampamenti, e da cui furono rimosse le colonne per fare spazio 24. (Il circo era una struttura pensata soprattutto per le corse di carri, anche se non erano escluse gare di altro
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genere. Nel circo, alle due estremità, c’erano due colonne (meta prima e meta secunda) attorno alle quali dovevano passare i carri. Giustamente si ritiene che l’Impero coincida con l’età d’oro dei giochi gladiatori, e massima influenza sulla loro riorganizzazione ebbe l’Imperatore Augusto (ca. 27 a.C. – 14 d.C.). Egli regolamentò rigorosamente le diverse tipologie di gladiatori e di armi, introdusse le regole di combattimento e decise persino di assegnare posti a sedere diversi in funzione della classe sociale degli spettatori. Augusto fu celebrato in moltissime gare gladiatorie, in venationes ed in una grandiosa naumachia: “Sorpassa ogni esempio precedente per numero, varietà e ricchezza di spettacoli pubblici” 25. Lo testimonia Augusto stesso: Diedi spettacoli gladiatori a nome mio per tre volte, e per cinque volte li organizzai a nome dei miei figli e dei miei nipoti: vi combatterono almeno diecimila uomini. Offrii delle gare di atleti reclutati in tutto il mondo: due volte a nome mio, e per tre volte anche a nome di mio nipote. Celebrai gare a nome mio per quattro volte, e ventitré volte a nome di altri magistrati … . Per ventisei volte, a nome mio o dei miei figli e nipoti, intrattenni il popolo, nel circo, all’aperto o nell’anfiteatro, con cacce alle belve africane: vi rimasero uccisi circa 3500 animali 26.
In tutto l’imperatore Augusto reclutò diecimila uomini per otto grandi spettacoli gladiatori, e a ciascun munus parteciparono più di 1000 gladiatori: rappresentazioni così imponenti erano rare persino a Roma, per non parlare delle città italiane minori o delle province dove un munus normalmente impegnava da 20 a 50 coppie di gladiatori, e vedeva in media nell’arena dodici o tredici coppie di sfidanti al giorno. Il successore di Augusto, Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.) non amava la scherma e non organizzò molti spettacoli gladiatori 27. Quando lo fece, tuttavia, i giochi stupirono per la loro grandiosità, e furono invitati nell’arena a guadagnarsi un premio di 100.000 sesterzi 28 persino i rudiarii, ovvero i gladiatori già ritiratisi dalle scene. Durante il regno di Caligola (37 - 41 d.C. 29) i giochi gladiatori si tennero nell’anfi-teatro di Statilio Toro o nei Saepta, i recinti in cui
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il popolo si riuniva a votare, entrambi a Roma 30. Questo imperatore sanguinario e crudele tra-sformò i giochi in veri e propri macelli, trascinando nell’arena uomini innocenti, fossero essi schiavi o senatori. Un giorno volle che scendesse nell’arena Esio Proculo, figlio di un centurione di primo grado, famoso per la sua statura e la sua bellezza, e lo fece combattere contro due gladiatori, uno dopo l’altro. Proculo vinse entrambi gli incontri, ma per ordine di Caligola fu trascinato nelle strade di Roma nelle sue vesti lacere, e poi sgozzato. Lo stesso imperatore diede molti prigionieri in pasto alle belve senza preoccuparsi di conoscere i crimini per cui erano reclusi, e lo stesso destino toccò ad un cittadino romano dell’ordine equestre, mentre un altro infelice, autore di qualche poesia controversa, fu arso vivo nell’anfiteatro. Se un nobile osava criticare i giochi dell’imperatore rischiava di essere condannato ai lavori forzati nelle miniere o lungo le strade, o di essere dato in pasto alle belve, o ancora di essere tagliato a pezzi con una sega 31. Seguì Claudio (41-54 d.C.) durante il cui regno i giochi gladiatori furono molto frequenti, organizzati con semplicità in un campo pretorio, o con
grande fasto nei Saepta. A volte Claudio inscenava gli spettacoli gladiatori senza preavviso e li chiamava sportula intendendo qualcosa come “antipasto” perché si trat-tava di “un intrattenimento inatteso e spontaneo”. Durante le rappresentazioni era semplice ed affabile: “allungava la mano sinistra e, insieme al pubblico, contava ad alta voce sulle dita le monete d’oro che donava ai vincitori. Con tono serio invitava quindi la compagnia a divertirsi, e con una burla insipida e forzata, chiamava i gladiatori suoi ‘padroni’” 32. In qualche occasione, tuttavia, anche Claudio manifestò come Caligola una certa propensione sadica. Godeva a tal punto nel vedere la faccia dei morenti che soleva chiedere il colpo di grazia anche per i gladiatori che erano soltanto caduti, soprattutto se si trattava di retiarii che combattevano a volto scoperto. Come Caligola, anche Claudio mandava uomini a lottare nell’arena per motivi futili, o anche senza motivo: un operaio poteva ritrovarsi impegnato in un combat-timento all’ultimo sangue solo perché ciò che aveva costruito non soddisfaceva i requisiti 33. Per celebrare la sua vittoria sui Britanni del 44, Claudio rappresentò nel Campo di Marte (Campus Martius) “l’assalto ed il saccheggio di una città
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e la resa del re di Britannia, presenziando vestito da generale” 34. Sappiamo di molte altre rappresentazioni sceniche di azioni belliche, per esempio quella organizzata da Giulio Cesare nel 46 a.C. Nel 7 a.C. nei Saepta si poté assistere ad una strage paurosa in onore del generale e politico Agrippa, morto cinque anni prima. Altre battaglie furono rappresentate su scala minore nel 57 da Nerone (imperatore dal 54 al 58 d.C.) che scelse come sito l’arena di un anfiteatro, e da Domiziano (imperatore dall’81 al 96) che scelse un circo 35. Dopo aver conquistato Gerusalemme nel 70, il futuro imperatore Tito (imperatore dal 79 all’81) organizzò, in occasione del genetliaco del fratello, delle gare a squadre in cui si batterono i prigionieri ebrei 36. Quando gli scontri coinvolgevano molti lottatori, i gladiatori professionisti si astenevano, e gli attori erano solitamente criminali condannati a morte (noxii) o prigionieri. L’esecuzione capitale dei criminali avveniva nell’arena a mezzogiorno o durante l’interruzione a metà della giornata. Seneca descrive così uno di questi massacri:
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Mi sono trovato per caso ad assistere ad una rappresentazione a metà giornata, e mi aspettavo qualcosa di divertente, spiritoso e riposante: uno spettacolo in cui gli occhi umani, stanchi di vedere sgozzare i propri simili, possano trovare tregua. Fu decisamente l’opposto. Nei combattimenti precedenti si era espresso uno spirito sostanzialmente caritatevole: poi ogni scherzo era finito ed era rimasto l’assassinio puro. Gli uomini non avevano un’armatura per difendersi. Erano interamente esposti ai colpi, e nessun fendente mancava il segno. Molti preferiscono questo tipo di programma alle solite sfide a due o agli attacchi “su richiesta”. Per forza: non c’è un elmo o uno scudo che possa respingere le armi. A che serve un’armatura protettiva, a che giova l’abilità? Servono solo a ritardare la morte. Al mattino lanciano gli uomini in pasto ai leoni e agli orsi; a mezzogiorno li danno in pasto al pubblico. Gli spettatori vogliono che l’assassino guardi in faccia l’uomo che a sua volta lo ucciderà, e riservano sempre il vincitore per un altro macello. Ogni scontro si conclude con la morte, data con il fuoco o con la spada. Tutto ciò avviene quando l’arena è vuota 37.
Nel 69 Vitellio (imperatore da settembre a dicembre del 69) si affrettò a festeggiare il suo complean-o con “giochi gladiatori in ogni quartiere di Roma, splendidi come non se ne erano mai visti prima” 38: Roma all’epoca aveva 265 quartieri. Vitellio non volle rinunciare a questo divertimento nemmeno nel cuore della guerra civile, e si servì delle sue legioni per costruire nuovi anfiteatri in cui far svolgere i giochi 39. Nell’80, anche l’imperatore Tito celebrò l’inaugurazione del Colosseo con festeggiamenti favolosi che durarono per cento giorni, da giugno a settembre, e compresero munera, venatio e naumachia. Purtroppo non sappiamo molto dei giochi gladiatori di questa particolare occasione, perché al popolo rimasero Gladiatorial combats. In the top relief from left to right are two equites, a myrmillo−hoplomachus pair (two umpires can be seen behind them) and a thraex−myrmillo pair. The bottom relief (from left to right) shows thraex−myrmillo, myrmillo−thraex, myrmillo−hoplomachus and thraex−myrmillo pairs. 2nd quarter of the 1st century AD, featured on Lusius Storax’s tombstone. (Museo Archeologico ‘ La Civitella’, Chieti)
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impressi soprattutto gli spettacoli di venatio e naumachia. Svetonio racconta che Domiziano (imperatore dall’81 al 96) “era solito intrattenere il popolo con spettacoli straordinari e costosissimi, non solo nell’anfiteatro, ma anche nel circo” 40. Svetonio descrive corse di carri, combattimenti fra gladiatori, lotte di cani contro belve incatenate, e naumachia. Domiziano si divertiva ad assistere alle cacce notturne e agli scontri dei gladiatori, e nelle rappresentazioni non mancavano nemmeno le donne 41. All’epoca erano popolari anche le lotte fra nani. Apprendiamo che nel corso dei giochi dei questori (che erano dei funzionari pubblici responsabili, fra l’altro, delle questioni finanziarie) Domiziano “dava sempre al popolo licenza di chiedere due coppie di gladiatori della sua scuola, e questi facevano la loro comparizione per ultimi, indossando i colori della corte” 42. Alla fine Domiziano fu assassinato e per ironia della sorte fra i congiurati c’erano anche alcuni gladiatori della sua stessa scuola 43. Nel 107 l’Imperatore Traiano (98 – 117) offrì uno straordinario spettacolo di giochi in occasione della sua vittoria contro i Daci: voleva
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chiaramente sorpassare in grandiosità Tito, ed i suoi giochi durarono 120 giorni (contro i 100 giorni di Tito), impegnarono in combattimento diecimila gladiatori e costarono la vita a undicimila animali 44. Traiano organizzò altri tre spettacoli anche nei cinque anni che seguirono: nel primo si batterono 350 uomini, nel secondo “soltanto” 202, mentre nel terzo, che durò 117 giorni, scesero nell’arena 4.941 coppie di uomini armati 45. Tra il 107 ed il 113 lottarono nell’arena di Roma quasi 20.500 gladiatori. Mentre ad Adriano (117-138) piacevano le gare gladiatorie e le lotte tra animali selvaggi alla catena 46, Marco Aurelio (161-180) non le gradiva. Partecipava a questo tipo di eventi di malavoglia, tanto che decise persino di imporre un limite alle somme spese per i giochi 47. Non solo, in tempo di guerra impose il servizio militare anche ai gladiatori, provocando il malcontento del popolino 48. Con Marco Aurelio condivideva l’impero Lucio Vero (161169) che, al contrario, adorava guardare i gladiatori che lottavano, soprattutto standosene a banchetto 49. Lo stesso si può dire di Elagabalo (218 – 222), passato alla storia per le sue perversioni: “Spesso, prima di sedersi
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al banchetto assisteva a scontri di pugilato o tra gladiatori; aveva fatto sistemare un letto in una delle gallerie superiori del suo palazzo, e mentre mangiava costringeva dei criminali ad esibirsi in scene di caccia alle bestie feroci” 50. A quanto pare amava concedersi questo “intrattenimento” tanto quanto amava abbandonarsi ai peccati di gola nel suo piccolo anfiteatro di Castrense, costruito specificamente per i suoi piaceri (cfr. Capitolo 5). Quanto a passione per i giochi gladiatori, tuttavia, nessun imperatore fu pari a Commodo (180 – 192). Qualcuno azzarda anzi l’ipotesi che fosse egli stesso figlio di un gladiatore, dal momento che sua madre Faustina era nota per non essere particolarmente fedele al marito Marco Aurelio, e non nascondeva il suo debole per la gladiatura 51. Spietato e sanguinario, Commodo si dilettava nell’uccidere uomini ed animali. Sgozzò migliaia di animali con le sue stesse mani, tanto nell’arena, quanto in casa sua. Commodo possedeva una forza straordinaria e si esercitava ad uccidere gli animali al primo colpo; si dice anche che sia riuscito a far crollare un elefante con un solo colpo di giavellotto.
Commodo conquistò ben 1.100 vittorie battendosi personalmente nell’arena, e di queste 365 quando il padre Marco Aurelio ancora viveva, e 735 dopo la sua morte. Si divertiva in particolare ad uccidere i retiarii (gladiatori senza scudo, armati di rete, tridente e daga): si armava da secutor (l’avversario del retiarius) e per distinguersi dagli altri si limitava a gettarsi sulle spalle un drappo color porpora. Era molto fiero delle sue prestazioni, e pretendeva che i documenti ufficiali menzionassero la sua partecipazione. Era felice dell’appellativo di “Capitano dei Secutores” di cui fu insignito ben 620 volte. Era orgoglioso, infine, di essere chiamato con il nome di un gladiatore famoso e non disdegnava una bevuta insieme ai lottatori. La sua impudicizia non aveva limiti: si presentava nei palchi del teatro o dell’anfiteatro in vesti muliebri ed in un’occasione scese nell’arena completamente nudo, con un’arma in mano 52. Amava talmente la gladiatura che ad un certo punto pensò persino di trasferire la sua residenza negli alloggi della palestra 53. Nonostante il suo amore per la spada, morì in casa sua e non nell’arena come si vede nel film “Gladiator” (2000): fu strangolato dal gladiatore con cui era solito esercitarsi.
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Capitolo 1
Come edile (ovvero funzionario incaricato della cura degli edifici pubblici, delle feste popolari e dell’ordine pubblico), Gordiano I (imperatore nel 238) finanziò dodici giochi, uno ogni mese dell’anno. In alcune occasioni fece intervenire 500 coppie di gladiatori, e comunque mai meno di 150 54. Quando Massimo e Balbino furono nominati imperatori nel 238, e prima che l’esercito partisse in guerra contro Massimino, si tennero spettacoli gladiatori e rappresentazioni venatorie davvero straordinari. Nel narrare la vita di quegli imperatori, Giulio Capitolino spiega che era antica
usanza organizzare munera e venationes prima che l’imperatore stesso partisse. Secondo Giulio, l’abitudine risaliva all’esigenza di tenere alto il morale dei Romani che andavano a combattere, e a prepararli alle immagini ed ai suoni della guerra, in modo che non si spaventassero alla vista del sangue, delle ferite o dei nemici armati 55. Per festeggiare il millenario della fondazione di Roma, nel 248, Filippo (244 – 249) inscenò giochi di scherma con 1000 coppie di gladiatori provenienti dalle scuole imperiali, e coinvolse un gran numero di bestie nelle rappresentazioni di venatio 56. Uomo dotato di senso dell’umo-rismo, Gallieno (253 – 268) festeggiò i primi dieci anni del suo regno con dei giochi davvero indimenticabili, e con una processione di 1.200 gladiatori coperti di splendide vesti d’oro. In un’occasione Gallieno mandò una ghirlanda-premio ad un “cacciatore” che per ben dodici volte aveva mancato un toro. Il popolo si stupì che il premio venisse conferito ad un The final stage of a combat supposedly between a myrmillo and a thraex. Relief from Ephesus, Asia Minor, 3rd century AD. (Antikensammlung, Staatliche Muzeen zu Berlin, SK 964. Author’s collection)
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venator così maldestro, ma Gallieno fece spiegare attraverso un suo uomo: “È arduo non riuscire a colpire un toro tante volte!” 57. Probo (276 – 282) volle celebrare la sua vittoria sui Germani ed i Blemmi con giochi che coinvolsero 300 coppie di gladiatori, e lotte fra belve. Il numero di gladiatori chiamati a combattere fu relativamente modesto, ma la parte-cipazione di prigionieri blemmi, germani, sarmati e isaurici conferì ai giochi un’aura di distinzione58. Nel complesso, tuttavia, nessuno spettacolo riuscì a superare quelli offerti da Traiano nel 107. Dopo la sua morte, la durata delle rappresentazioni ed il numero dei gladiatori e degli animali impiegati gradualmente diminuì. Probabilmente i giochi organizzati da Commodo furono la sola eccezione, ma non abbiamo testimonianze precise, per quanto sia ben nota la sua passione per la gladiatura. I giochi gladiatori furono abbastanza di moda ai tempi di Gordiano I e di Filippo, ma gli intrattenimenti offerti da altri imperatori furono molto più modesti, vuoi per scarso interesse, vuoi per mancanza di denaro.
Fino a metà del I secolo avanti Cristo i gladiatori si battevano per lo più nel Foro Romano (Forum Romanum) perché non esistevano anfiteatri stabili. Gli spettatori sedevano su tribune di legno costruite per l’occasione. Gli anfiteatri, come edifici dedicati allo spettacolo, realizzati prima in legno e poi in pietra, fecero la loro comparsa verso la metà del I secolo avanti Cristo. Nel I e II secolo dopo Cristo, ne venne costruito un gran numero. Durante l’Impero si affermò la tradizione di organizzare due giochi gladiatori all’anno, a dicembre, per segnare la fine dell’anno, e a marzo per celebrare l’inizio della primavera. Si inscenavano spettacoli gladiatori, inoltre, in occasione di un trionfo, dell’inaugurazione di un edificio pubblico (per esempio un anfiteatro), o di altri eventi di interesse per il popolo. L’usanza di accompagnare con giochi gladiatori le celebrazioni funebri, invece, fu abbandonata. La scomparsa degli scontri fra gladiatori va collegata all’adozione del Cristianesimo da parte dei Romani. Nel 313 l’Editto di Milano riconosceva la legittimità della fede cristiana, e nel 325 Costantino il Grande – sul trono
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dal 306 a 337, e primo imperatore ad abbracciare il Cristianesimo – promosse la nuova religione con la convocazione del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. In quello stesso anno, da Beirut, pubblicò un editto con cui condannava gli “spettacoli cruenti” e intimava ai tribunali di condannare i colpevoli ai lavori forzati nelle miniere e non nell’arena. L’editto, tuttavia, fu attuato solo nelle provincie orientali, mentre in Italia fu ignorato dallo stesso Costantino che autorizzò i sacerdoti dell’Umbria e dell’Etruria ad organizzare giochi gladiatori. Fu un cattivo esempio, che indusse altri a mantenere viva la tradizione gladiatoria, sebbene su scala sempre più modesta. Il Calendario di Filocalo, per esempio, riporta che nel solo mese di dicembre si tennero 354 gare di gladiatori, concentrate in dieci giornate (mentre 101 Bestiarii in Commodus’ underground passage of the Flavian Amphitheatre (Colosseum). The figure on the left is holding a whip in his right hand and a piece of cloth (mappa) in the left. On the right, the figure is teasing an animal using a disc with small bells. The third bestiarius is making an acrobatic jump over a beast. (Vladamir Golubev)
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giorni furono riservati agli spettacoli teatrali e 66 a quelli circensi) 59. Nel 357 Costantino II (imperatore dal 337 al 361) proibì ai soldati e agli ufficiali romani di offrirsi come volontari per addestrare i gladiatori e combattere nell’arena. Otto anni più tardi Valentiniano (imperatore dal 364 al 375) promulgò un secondo editto con cui vietava ai giudici di condannare i criminali “all’arena”. Nel 397 l’Imperatore d’Oriente Arcadio (395 – 408) e quello di Occidente, Onorio (395 – 423) proibirono ai senatori di reclutare gladiatori. Nel 399, infine, Onorio chiuse le ultime scuole di gladiatura ancora esistenti 60. Fu un evento drammatico assolutamente imprevisto, tuttavia, a mettere fine all’era dei giochi gladiatori. Durante uno spettacolo che si stava svolgendo il primo gennaio del 404, un monaco cristiano di nome Telemaco, proveniente dall’Asia Minore, si lanciò nell’arena per sepa-rare i contendenti. Ma il suo nobile tentativo si concluse tragica-mente: la folla di spettatori, inferocita, si lanciò contro di lui e lo fece a pezzi. Il suo martirio, tuttavia, non fu inutile, visto che l’Imperatore Onorio decise di mettere definitivamente al bando i giochi gladiatori 61.
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Three fragments of a famous mosaic from Villa Borghese represent gladiatorial combats (between retiarii and secutores) and a beast hunt (venatio). According to the inscriptions all the duels ended in the death of the loser. Early 4th century AD. (Galleria Borghese, Rome / Alinari / The Bridgeman Art Library)
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VENATIO – LA CACCIA
I Romani furono sempre entusiasti cacciatori, e molti nobili ed imperatori vi si dedicarono con passione. Celebri retori e scrittori cantarono le virtù della caccia per coltivare il coraggio e la forza d’animo, e coloro che potevano permetterselo comperavano terreni venatori in Gallia e foreste in Italia. Le ville di campagna dei ricchi romani spesso possedevano un leporarium, ovvero un recinto contenente animali selvatici dove andare a caccia, sebbene su piccola scala. L’attività venatoria era disciplinata da leggi ben dettagliate: i Romani potevano cacciare solo ad una certa distanza dalla città, potevano colpire qualsiasi animale esclusi i leoni che erano considerati proprietà dell’imperatore, ed era proibito cacciare sulla terra coltivata. Bestiarii letting beasts out onto the arena. The date is thought to be AD 20–50. (Museo Archeologico Nazionale, Napoli)
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La parola latina venatio significa caccia in generale, ma in seguito passò ad indicare spettacoli che si svolgevano nell’arena o in un circo con la presenza di animali. Analogamente il termine venator, cacciatore, si riferiva inizialmente al cacciatore sportivo o professionista, o allo schiavo che curava il leporarium; in seguito, invece, per venator si intendeva il gladiatore che combatteva contro le belve nell’arena. Nel nostro testo il significato di venatio e venator sarà sempre legato alla gladiatura. Tutti gli spettacoli che si svolgevano nell’arena di un anfiteatro o di un circo con la partecipazione di animali si chiamavano venatio, e potevano comprendere: › sfilate di animali esotici › esibizioni d’abilità degli animali › lotte fra belve › battute di caccia › taurocatàpsie (caccia al toro) › lotte fra animali e venatores › impiego di animali feroci per dare la pena di morte ai criminali. Durante la Repubblica e talvolta anche in epoca successiva, la venatio si svolgeva nel Circo Massimo. Durante l’Impero fu collegata ai munera, e fu trasferita negli anfiteatri dove costituiva parte dello spettacolo mattutino. Occasionalmente poteva essere organizzata in un circo o in uno stadio. La venatio non era necessaria-mente uno spettacolo cruento. A volte consisteva in sfilate di animali esotici come giraffe, struzzi ed ippopotami, per appagare la curiosità degli spettatori. Talvolta le bestie erano addestrate ad eseguire qualche numero: le scimmie, per esempio, potevano cavalcare cani, guidare i carri o, addirittura, recitare un piccolo quadro teatrale. I leoni marini rispondevano se sentivano chiamare il loro nome, abbinato a segnali particolari. Gli attori più versatili erano gli elefanti, capaci di danzare alla musica di cembali suonati da altri elefanti, di imitare la lotta dei gladiatori, di sedersi a tavola senza
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profondo senso di responsabilità per il loro spettacolo, e si raccontava il caso di un elefante che, rimproverato per una prestazione scadente, ne fu tanto addolorato che trascorse l’intera notte ad esercitarsi da solo. A volte, infine, degli animali vestiti con abiti coloratissimi o ridicoli facevano il giro dell’arena: per molti aspetti, lo spettacolo assomigliava a ciò che si fa oggi al circo 62.
Per la lotta, i Romani preferivano belve di grandi dimensioni: orsi, tori, leoni ed altri animali simili. Le abbinate più comuni erano: leone contro tigre, toro contro orso, toro contro elefante, elefante contro rinoceronte, tigre contro cinghiale etc. In alcuni mosaici vediamo abbinate ancora più esotiche: orso e pitone, leone e coccodrillo, foca ed orso. Talvolta gli animali avevano paura di combattere, e quindi venivano incatenati fra loro per aizzarli l’uno contro l’altro. Gli elefanti erano spesso accompagnati da un custode che però non aveva armi, e non partecipava alla lotta. Alcuni spettacoli consistevano banalmente nell’incitare gli animali allo scontro, tanto più che l’esito di certi duelli – per esempio fra leone e cerbiatto - era quasi scontato. Di quando in quando si impiegavano nella caccia anche cani, ma il loro ruolo era per lo più limitato a quello di aiuto per i venatores. È opportuno ricordare che la definizione di venatores si applicava
A figurine representing a venatio. One of the venatores has been knocked down, another, protecting himself with a large shield, is probably trying to save him. (Musée Archéologique, Sousse. Author’s collection)
Fragment of a famous mosaic from Villa Borghese showing venatores fighting with a group of leopards, taken from the early 4th century AD. (Galleria Borghese, Rome / Alinari / The Bridgeman Art Library)
rovesciarla, di camminare lungo una fune e persino di scrivere lettere dell’alfabeto latino e greco. Si riteneva che gli elefanti possedessero un
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Testo matto proteggere pellegrini e coloni in Terra Santa. I Templari si consideravano guerrieri di Dio che combattevano nel nome di Dio e si crearono una reputazione temibile tra i vicini musulmani. Questo libro tratta degli uomini che entrarono a far parte dell’ordine e dei motivi per cui lo fecero, in particolare coloro che combatterono in Terra Santa. Sulla base di fonti contemporanee, il libro presenta un attento studio della vita quotidiana dei guerrieri: dal cerimoniale di ammissione all’ordine al loro addestramento, alla loro organizzazione sul campo e al modo in cui combattevano.
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Kostantin Nossov
L’ordine del Tempio era un’organizzazione religioso-militare istituita per proteggere pellegrini e coloni in Terra Santa. I Templari si consideravano guerrieri di Dio che combattevano nel nome di Dio e si crearono una reputazione temibile tra i vicini musulmani. Questo libro tratta degli uomini che entrarono a far parte dell’ordine e dei motivi per cui lo fecero, in particolare coloro che combatterono in Terra Santa. Sulla base di fonti contemporanee, il libro presenta un attento studio della vita quotidiana dei guerrieri: dal cerimoniale di ammissione all’ordine al loro addestramento, alla loro organizzazione sul campo e al modo in cui combattevano.
GLADIATORI
Konstantin Nossov
GLADIATORI
Sangue e spettacolo nella Roma antica