Documenti e studi 23 1 a

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Pubblicazione realizzata con il contributo della Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Ambientali e Pubblica Istruzione

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ADOLFO LONGHITANO

LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1595-1890) — I

Nel linguaggio canonico erano chiamati limina apostolorum le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. Conseguentemente le visite ad limina apostolorum erano i pellegrinaggi che i cristiani — in particolare i vescovi — facevano a Roma per testimoniare la propria fede e mantenere viva la comunione con il romano pontefice. Il papa Sisto V nel 1585, dopo la celebrazione del Concilio di Trento, per istituzionalizzare il primato di onore e di giurisdizione che il romano pontefice, in quanto successore di Pietro e vescovo di Roma, era chiamato a svolgere nei confronti dei vescovi diocesani, ripristinò la prassi delle visite ad limina e istituì l’obbligo per i vescovi di presentare in occasione della visita una relazione sullo stato della loro diocesi. La considerevole massa di documenti, inviata dai vescovi di tutto il mondo e raccolta nell’archivio della Congregazione del Concilio, non poteva sfuggire all’attenzione degli studiosi, che si sono posti il problema dell’utilizzazione di una fonte storica così ricca e significativa. Nonostante i limiti strutturali di questo genere di documenti, relazioni ufficiali di un suddito al proprio superiore gerarchico, gli storici li hanno utilizzati con il ricorso alle necessarie cautele metodologiche richieste normalmente per l’uso di qualsiasi fonte documentaria. I due volumi comprendono le relazioni che i vescovi di Catania inviarono a Roma dal 1595 al 1890, tre secoli di storia con la loro ricca galleria di vicende, di personaggi, di progetti che non riguardano solamente la vita ecclesiastica, ma abbracciano tutta la società del vasto territorio della diocesi di Catania, che fino alla metà dell’Ottocento comprendeva ancora città e comuni oggi appartenenti alle diocesi di Acireale, Caltagirone, Caltanissetta, Nicosia e Piazza Armerina. Le relazioni sono state pubblicate nel testo originale latino e in una libera traduzione italiana, per consentire la loro utilizzazione anche a coloro che non hanno familiarità con le lingue classiche. Un breve profilo dei vescovi, che hanno scritto e inviato le relazioni, aiuterà i lettori ad una lettura critica dei documenti e a alla loro contestualizzazione nel periodo storico in cui sono stati redatti. Un ampio corredo di indici (nomi di persona, autori, luoghi e cose notevoli) consentirà una facile consultazione dell’opera.

ADOLFO LONGHITANO

LE RELAZIONI

«AD LIMINA»

DELLA DIOCESI DI CATANIA

(1595-1890) I

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA


DOCUMENTI E STUDI DI SyNaxIS 23 Ricerche per la storia delle diocesi di Sicilia 3/I


DOCUMENTI E STUDI DI SyNaxIS Pubblicazioni dello Studio Teologico S. Paolo - Catania


aDOlfO lONghITaNO

lE RElaZIONI «aD lIMINa» DElla DIOCESI DI CaTaNIa (1595-1890) I

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA



SIglE E abbREvIaZIONI = aRChIvIO DEl CaPITOlO CaTTEDRalE DI CaTaNIa. Acta Cam = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, archivio Concistoriale, Acta Camerarii. Acta Vicecanc = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, archivio Concistoriale, Acta Vicecancellarii. aSDC = aRChIvIO STORICO DIOCESaNO CaTaNIa. aSv = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO. aSSO = Archivio Storico per la Sicilia Orientale, periodico della Società di Storia Patria della Sicilia Orientale, Catania dal 1904. CiC fontes = P. gaSPaRRI (cur.), Codici iuris canonici fontes, Città del vaticano 1923-1939. COeD = Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell’Istituto per le Scienze Religiose, bologna 1991. Controversia = aRChIvIO DEl CaPITOlO CaTTEDRalE DI CaTaNIa, fondo principale, Controversia giurisdizionale tra il Rev.mo Capitolo della Santa Chiesa Cattedrale di Catania con l’ill.mo D. Pietro Galletti Vescovo di detta per alcune gratie ed esentioni accordate al Capitolo della Colleggiata di iaci Reale nell’anno 1731. DbI = Dizionario Biografico degli italiani, Roma dal 1960. DPI = Dizionario degli istituti di Perfezione, Roma 1974-2003. Editti = aRChIvIO STORICO DIOCESaNO CaTaNIa, Editti. Fondo Albani = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Fondo Albani. Libri Decret = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Congregazione del Concilio, Libri Decretorum. Libri Litter = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Congregazione del Concilio, Libri Litterarum. Libri Litter Visit = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Congregazione del Concilio, Libri Litterarum Visitationum Sacrorum Liminum. Libro rosso = aRChIvIO STORICO DIOCESaNO CaTaNIa, Episcopati, Libbro rosso seu collettanea di lettere, scritture et altri fabbricato nel tempo del governo dell’ill.mo e Rev.mo D. Andrea Riggio, vescovo di Catania e di suo ordine. Periodica = Periodica de re morali, canonica, liturgica, Pontificia Università gregoriana, Roma, dal 1911. Principi = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Segreteria di Stato, Principi. aCC

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Proc Cons = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, archivio Concistoriale, Processus Consistoriales. Proc Dat = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Dataria apostolica, Processus Datariae. Rel. = Relazione. Rel Dioec = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Congregazione del Concilio, Relationes Dioecesium. Vent Salv = bIblIOTECa REgIONalE UNIvERSITaRIa CaTaNIa, Ventimiglia Salvatore, 17 lettere a Mons. Bonaventura Gravina. Tutt’Atti = aRChIvIO STORICO DIOCESaNO CaTaNIa, Tutt’Atti. Vescovi e Prelati = aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Segreteria di Stato, Vescovi e Prelati.

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PRESENTaZIONE Ero ancora un giovane sacerdote quando ho avuto fra la mani un volume edito nel 1977 dall’Istituto di Scienze Religiose di Palermo, che aveva per tema: La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il Concilio di Trento. Il mondo analizzato in quello studio era abbastanza lontano dalle mie esperienze e dai miei interessi immediati e non prestai eccessiva attenzione alla problematica affrontata dall’autore, adolfo longhitano, che non avevo avuto modo di conoscere direttamente. Non avrei mai immaginato che, diversi anni dopo, l’argomento potesse suscitare in me un particolare interesse, fino a chiedere all’autore una copia dell’opera e a pregarlo di aiutarmi a comprendere alcuni passaggi di una vicenda allo stesso tempo singolare e complessa. Una situazione analoga si verificò per un’altra ricerca dello stesso autore sulle relazioni ad limina della diocesi di Catania. la loro pubblicazione nella rivista Synaxis dello Studio Teologico S. Paolo iniziò nel 1983, quando svolgevo il servizio diplomatico nella rappresentanza pontificia del brasile. al mio rientro a Palermo non ebbi l’occasione di avere fra le mani la rivista e di leggere questa preziosa fonte storica della Chiesa di Catania. Solo durante gli anni del mio ministero episcopale ad acireale e a Catania ho potuto rendermi conto del paziente lavoro di ricerca fatto dal prof. adolfo longhitano e dell’importanza che assumono questi documenti per la conoscenza delle nostre radici storiche. fra la prima relazione inviata a Roma nel 1595 dal vescovo giovanni Corrionero e l’ultima dell’arcivescovo giuseppe benedetto Dusmet, trasmessa nel 1890, trascorrono tre secoli di storia con la loro ricca galleria di vicende, di personaggi, di progetti che non riguardano solamente la vita ecclesiastica, ma abbracciano tutta la società del vasto territorio della diocesi di Catania, che fino alla metà dell’Ottocento comprendeva ancora città e comuni oggi appartenenti alle diocesi di acireale, Caltagirone, Caltanissetta, Nicosia e Piazza armerina. Ora che è stato possibile attuare il progetto di riunire in due volumi la serie delle relazioni pubblicate dal 1983 al 1996, ho potuto apprezzare anche il metodo seguito nell’edizione di questi documenti. l’autore avrebbe potuto limitarsi a trascrivere il testo delle relazioni in lingua latina, una scelta che avrebbe consentito la loro utilizzazione solo a una ristretta cerchia di persone. la traduzione italiana, pubblicata assieme al testo ori7


ginale dei documenti, offre a tutti la possibilità di una loro consultazione. ho apprezzato, inoltre, il criterio di premettere alle relazioni un breve profilo del vescovo che le ha redatte per aiutare i lettori ad una oculata utilizzazione di questi documenti, che per la loro natura potrebbero suscitare qualche perplessità sul valore oggettivo dei dati in essi contenuti. gli studiosi, negli anni trascorsi, consultando la rivista Synaxis, hanno già avuto la possibilità di conoscere e utilizzare queste fonti. la loro pubblicazione in due volumi con un ricco apparato di indici offre loro nuove opportunità di studio e di approfondimento. Mi piace considerare l’intenso lavoro di ricerca, compiuto negli anni dal prof. adolfo longhitano, in continuità ideale con le opere di altri ecclesiastici siciliani e catanesi dei secoli passati: Rocco Pirri, giovambattista De grossis, vito amico, vito Coco, francesco ferrara…, che si sono impegnati a trascrivere, commentare e tramandare le fonti storiche più significative della nostra Chiesa. assieme al mio compiacimento per una iniziativa di così ampio respiro culturale, mi sia consentito di formulare un auspicio: l’autore continui la sua ricerca, per offrirci la possibilità di leggere e apprezzare le relazioni inviate dall’arcivescovo giuseppe francica Nava nella prima metà del secolo appena trascorso, che l’archivio Segreto vaticano solo negli ultimi anni ha permesso agli studiosi di consultare. Si avvierebbe in tal modo una continuità di ricerca e di utilizzazione di documenti seriali da offrire agli studiosi per una obiettiva conoscenza della vita e della missione della Chiesa di Catania. al riguardo, sarà certamente utile se altri studiosi — e particolarmente alunni dello Studio Teologico S. Paolo, dove per tanti anni l’autore è stato professore ordinario di Diritto canonico — potessero impegnarsi in questo genere di ricerche e di pubblicazioni. Intanto e ben volentieri vada al prof. adolfo longhitano il ringraziamento più cordiale e il plauso più fervido per questo generoso e filiale atto di amore verso la nostra Chiesa particolare. Catania, 5 febbraio 2009, solennità di S. agata.

† Salvatore gristina arcivescovo

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INTRODUZIONE 1. DallE vISITE AD LiMinA allE ROMAnuS POnTiFEx DI SISTO v

RElaZIONI PRESCRITTE Dalla bOlla

Nel linguaggio canonico erano chiamati limina apostolorum le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Conseguentemente le visite ad limina apostolorum erano i pellegrinaggi che i cristiani — in particolare i vescovi — facevano a Roma per testimoniare la propria fede e mantenere viva la comunione con il romano pontefice1. Sono note le circostanze che indussero papa Sisto v a formalizzare per i vescovi diocesani l’obbligo di una periodica visita a Roma, per rendere omaggio alle tombe degli apostoli e per presentare una relazione sullo stato della diocesi. Dopo la celebrazione del Concilio di Trento, c’era da formalizzare in norme e istituti giuridici il primato di onore e di giurisdizione che il romano pontefice era chiamato a svolgere nei confronti dei vescovi diocesani in quanto successore di Pietro, vescovo di Roma. Il difficile problema del rapporto papa/vescovi in aula era stato oggetto di un acceso dibattito, sul quale il concilio aveva corso il rischio di naufragare2. Se da una parte la maggioranza, dovendo contrastare i riformatori e temendo una ripresa delle dottrine conciliariste, cercava in tutti i modi di difendere la suprema autorità del papa, dall’altra la minoranza si opponeva ad una concezione riduttiva dell’ufficio e della potestà dei vescovi3.

1 l. fERRaRIS, Limina Apostolorum Romae, in Prompta Bibliotheca, canonica, iuridica, moralis theologica […], ed. J.-P. Migne, v, Paris 1858, 155-174; f.M. CaPPEllO, De visitatione Sanctorum Liminum, Roma 1911; g. MORONI, «Limina Apostolorum», in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, 38, venezia 1846, 221-233; P. RabIkaUSkaS, Relationes status dioecesium in Magno Ducatu Lituaniae, I, Romae 1971, I-lv; v. CáRCEl ORTí, introducción general, in M.M. CáRCEl ORTí, Relaciones sobre el estado de las dióceses valencianas, I, valencia 1989, 21-98; O. CavallERI, Visite pastorali e «relationes ad limina», in Archiva Ecclesiae 22-23 (1979-1980) 99-127 e la bibliografia citata da questi autori. 2 g. albERIgO, L’ecclesiologia del Concilio di Trento, in Rivista di storia della Chiesa in italia 18 (1964) 227-242; h. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, trad. it., Iv/l, brescia 1979, 327-404; Iv/2 brescia 1981, 75-115. 3 le posizioni dei diversi teologi presenti al concilio possono essere così riassunte: «I gallicani […] respingevano nel decreto sull’ordine ogni espressione che escludesse il conciliarismo (la superiorità del concilio sul papa); se avessero ceduto su questo punto, al loro ritorno in francia sarebbero stati lapidati […]. l’‘episcopalismo’ dei vescovi gettava un ponte verso l’episcopato spagnolo che, a differenza dei gallicani, riconosceva il primato di

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Il dibattito per un verso manifestò una grande varietà di opinioni, ma allo stesso tempo fece rilevare che i tempi non erano maturi per giungere a delle conclusioni condivise4. fra i più accesi sostenitori dell’autorità del papa c’era il generale della Compagnia di gesù, lo spagnolo Diego laínez, il quale, in contrasto con le opinioni della maggior parte dei padri, assieme ad una rigida bipartizione della potestà ecclesiastica (ordine-giurisdizione), sosteneva che il vescovo nella consacrazione riceveva solamente la potestà di ordine, mentre la potestà di giurisdizione gli veniva conferita dal romano pontefice. In una siffatta concezione solo al papa competeva la plenitudo potestatis e i vescovi finivano con l’assumere un ruolo subalterno5. Questa dottrina, che non poteva essere ritenuta prevalente nell’aula conciliare, fu considerata con compiacimento da Pio Iv e dalla curia romana, divenne comune nelle facoltà teologiche romane e a torto fu ritenuta ‘tridentina’6. Perciò fu questa concezione ecclesiologica che ispirò i papi nell’attuazione della riforma della Chiesa voluta dal Concilio di Trento e che troviamo esposta nella costituzione apostolica Romanus Pontifex, con cui Sisto v il 20 dicembre 1585 ripristinò la prassi delle visite ad limina e istituì l’obbligo per i vescovi di presentare in occasione della visita una relazione sullo stato della loro diocesi7.

giurisdizione del papa, ma si adoperava affinché venisse riconosciuto che i vescovi con la consacrazione ricevono il loro ministero pastorale direttamente da Dio, cioè sono “istituiti de Dio”, senza pregiudizio del fatto che la giurisdizione su una determinata diocesi venga loro assegnata dal papa […]. I curialisti rimproveravano ad essi di voler essere “papi nella loro diocesi” perché chiedevano l’abolizione delle esenzioni, mano libera per compiere le loro riforme ed una modificazione sostanziale della prassi curiale in materia di ministeri ecclesiastici […]. al polo opposto c’erano gli “zelanti”, raggruppati intorno al cardinale Simonetta […]. la loro formula ecclesiologica era la formula del primato del Concilio di firenze, nel decreto sull’ordine rifiutavano qualsiasi formulazione che non si attenesse strettamente alla lettera di quel concilio e non li garantisse contro ogni interpretazione limitativa o attenuativa di essa», (h. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, cit., Iv/2, 75-76). 4 h. JEDIN, il significato del Concilio di Trento nella storia della Chiesa, in Gregorianum 26 (1945) 117-136. 5 g. albERIgO, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa universale. Momenti essenziali tra il xVi e il xix secolo, Roma 1964, 11-101; W. bERTRaMS, De quaestione circa originem potestatis iurisdictionis episcoporum in Concilio Tridentino non resoluta, in Periodica 52 (1963) 458-476. 6 g. albERIgO, L’ecclesiologia del Concilio di Trento, cit.; ID., Lo sviluppo, cit., 7495, 179-220; h. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, cit., Iv/2, 96-97. 7 Il testo del documento è riportato in CiC fontes, I, n. 156, pp. 277-281.

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l’analisi della costituzione Romanus Pontifex, oltre a far emergere i princìpi ecclesiologici che soggiacciono alla normativa sulle visite e le relazioni ad limina, aiuterà a capire la natura e il significato di un istituto giuridico che, nelle intenzioni del papa, costituiva uno dei punti nodali della riforma tridentina. Il papa era convinto che competeva al successore di Pietro la sollicitudo omnium ecclesiarum e la plenitudo potestatis; per sostenere un così grave peso, egli chiedeva l’aiuto dei vescovi: con le loro informazioni avrebbe potuto conoscere il gregge affidatogli da Cristo e prendere le opportune decisioni per il suo governo. Erano così enunciati i princìpi di base di quel «nuovo centralismo romano» che, secondo lo Jedin, caratterizza l’attuazione della riforma tridentina8. la normativa contenuta nel documento pontificio può essere così sintetizzata: tutti i vescovi prima di ricevere la consacrazione, il pallio o, se trasferiti, prima di assumere il governo della diocesi, erano obbligati a presentarsi personalmente o per legittimo procuratore alla curia romana per assumere sotto giuramento l’impegno di visitare nei tempi stabiliti le tombe degli apostoli (apostolorum limina) e di fare un rendiconto al romano pontefice del loro ufficio pastorale e di tutte le cose che in qualche modo riguardano lo stato delle loro Chiese, la disciplina del clero e del popolo cristiano. Si sarebbero impegnati parimenti ad accogliere ed eseguire con somma diligenza le osservazioni e gli ordini della Sede apostolica. la frequenza delle visite era stabilita in rapporto alla distanza da Roma delle diverse diocesi: tre anni per l’Italia, le province e le isole vicine; quattro anni per i vescovi dell’Europa al di qua del baltico; cinque anni per i paesi europei più lontani, l’africa e le isole dell’oceano settentrionale e occidentale; dieci anni per i paesi dell’asia e del nuovo mondo. I vescovi che non avessero osservato queste prescrizioni dovevano considerarsi sospesi ipso facto dall’ingresso nella loro diocesi, dalla sua amministrazione e dalla percezione dei suoi redditi, fino a quando non avessero rimosso la loro contumacia. Sisto v affidava alla Congregazione del Concilio la competenza di esaminare le relazioni presentate dai vescovi nel corso delle visite ad limina apostolorum. I vescovi nel redigere le loro relazioni potevano esprimersi in modo spontaneo, con un stile essenziale o dettagliato, senza essere obbligati a

8 E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma (xVi-xVii secolo), in Storia della Chiesa, diretta da h. Jedin, trad. it., vI, Milano 1975, 600-614.

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seguire uno schema preordinato. Questo criterio redazionale determinò una grande disparità di modelli nei documenti trasmessi: alcuni erano sovrabbondanti, altri eccessivamente schematici. a distanza di oltre un secolo dalla costituzione di Sisto v, si ritenne opportuno intervenire con nuove indicazioni normative. Nel 1725 la Congregazione del Concilio pubblicò un’istruzione sul modo di redigere le relazioni, seguendo un questionario particolareggiato, che rimase sostanzialmente invariato per circa due secoli9. benedetto xIv, nella costituzione apostolica Quod Sancta del 23 novembre 1740, confermò l’obbligo stabilito da Sisto v e lo estese agli abati, ai priori e ai superiori, secolari o religiosi, di una circoscrizione ecclesiastica con territorio e giurisdizione quasi episcopale10. Inoltre istituzionalizzò le indicazioni normative del 1725 e istituì una particolare commissione di prelati — denominata «il Concilietto» — all’interno della stessa Congregazione del Concilio, assegnando ad essa il compito di esaminare le relazioni11. altri interventi di maggior rilievo — introdotti da Pio x con la costituzione Sapienti Consilio del 29 giugno 1908 che riformava la curia romana12 — non riguardano il periodo storico relativo ai documenti pubblicati in questi volumi. 2. UTIlIZZaZIONE STORIOgRafICa DEllE RElaZIONI AD LiMinA

la considerevole massa di documenti, raccolta nel corso dei secoli nell’archivio della Congregazione del Concilio, non poteva sfuggire all’attenzione degli studiosi, che si sono posti il problema della sua utilizzazione storiografica. Se per certi aspetti doveva essere considerata una fonte di

9 Il testo dell’istruzione con il questionario che i vescovi dovevano seguire nel redigere la relazione è riportato in appendice al volume: bENEDICTUS xIv, De synodo dioecesana, Prati 1844, 682-686 (vol. xI dell’opera omnia). Nel libro xIII, capp. vI-xxv, 492-681 di questa stessa opera si trova un interessante commento all’istruzione con indicazioni pratiche sulle risposte che i vescovi dovevano dare ai singoli punti del questionario e sulle richieste più frequenti che di solito erano rivolte alla Santa Sede nelle relazioni ad limina. le autorevoli indicazioni di benedetto xIv costituirono per i vescovi una guida, di cui è opportuno tenere conto nella interpretazione di questi documenti. 10 CiC fontes, I, n. 303, pp. 665-670. 11 h. CROvElla, De Libro Visitationum Sacrorum Liminum, in La Sacra Congregazione del Concilio. Quarto centenario della fondazione (1564-1964). Studi e ricerche, Città del vaticano 1964, 423-446. 12 Il documento è riportato in CiC fontes, III, n. 682, pp. 726-736.

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grande rilievo per la sua natura seriale, per le notizie sullo stato della diocesi, sui problemi incontrati dai vescovi nei diversi periodi storici, sui rilievi fatti dalla Congregazione e sui suggerimenti dati, il suo carattere di relazione ufficiale, fatta da un vescovo ai propri superiori gerarchici, ne sminuiva il valore. È naturale che un vescovo, nel descrivere la situazione della propria diocesi, esalti gli aspetti positivi e metta in ombra quelli negativi, dando un quadro poco oggettivo della situazione. gli storici, senza mettere in discussione la fondatezza di questi rilievi, hanno attinto alla mole non indifferente dei dati contenuti nelle relazioni ad limina, cercando di superare i loro limiti strutturali con un uso accorto di questa fonte e con il ricorso a opportuni criteri di interpretazione e di impiego13: a) distinguere nettamente fra dati materiali (statistiche, elenchi di parrocchie, di chiese, di clero e di istituti religiosi) e dati di valutazione (giudizi del vescovo sulla situazione della diocesi, sulle istituzioni e sulle persone): mentre si può presumere nei primi una certa oggettività, i secondi possono risentire di apprezzamenti soggettivi; b) leggere i documenti a partire dalla personalità del vescovo e dalle vicende che hanno caratterizzato il suo episcopato: soprattutto nei non rari conflitti fra autorità civili ed ecclesiastiche o fra il vescovo, il clero e i religiosi, il giudizio espresso da una delle parti interessate deve essere integrato con quello degli altri interlocutori; c) cercare riscontri ai dati contenuti nelle relazioni in documenti di altra natura: atti dei vescovi, visite pastorali, sinodi diocesani. alla documentazione degli archivi ecclesiastici bisogna aggiungere quella degli archivi di Stato, comunali o delle famiglie aristocratiche locali… d) confrontare la relazione inviata a Roma dal vescovo con i rilievi e le risposte della Congregazione del Concilio: questa osservazione va tenuta presente soprattutto per le relazioni presentate dopo le istruzioni del 1725 e del 1740. Si tratta in sostanza della lettura critica che ogni storico deve fare dei

la problematica sul valore storiografico di questi documenti è esposta da P. RabIkaUSkaS, Relationes, cit., xxxvII-xlI; v. CáRCEl ORTí, introducción general, cit., 8194; O. CavallERI, Visite pastorali e «relationes ad limina», cit., 99-127; a. lONghITaNO, La Chiesa palermitana nelle relazioni «ad limina» dell’Ottocento, in g. CIvIlETTO – M.T. falZONE (curr.), L’eredità spirituale e sociale di Giacomo Cusmano, Roma 1990, 77-147; P. CaIaZZa, una fonte «a responsabilità limitata»? Le «relationes ad limina» tra metodologia e storiografia, in Rassegna storica salernitana n.s. 28 (1997) 43-77. 13

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documenti utilizzati nel proprio lavoro, evitando la facile tentazione di assolutizzare una determinata fonte o di cercare pericolose scorciatoie nella descrizione di personaggi e di eventi o nel giudizio sulle vicende narrate. 3. ChIESa E SOCIETà IN SICIlIa: l’EREDITà NORMaNNa

le relazioni ad limina dei vescovi di Catania devono essere lette e interpretate nel contesto più ampio della situazione in cui si trovava il Regno di Sicilia a partire dall’ultimo scorcio del secolo xvI, quando la dominazione spagnola aveva già iniziato il suo declino14. Nonostante gli indubbi segnali di malessere che serpeggiavano nella società siciliana, sembrava ancora resistere la rigida struttura data dai normanni ad uno Stato, in cui l’elemento religioso e l’elemento politico si compenetravano e si saldavano reciprocamente più che negli altri Stati d’Europa15. Il modello di cristianità attuato in Sicilia dai normanni, dopo la vittoriosa campagna contro i musulmani, ha da sempre suscitato l’attenzione degli storici per alcune sue peculiarità16. le circostanze della conquista, il modello giuridico ai quali i conquistatori si ispirarono, le particolari condizioni nelle quali fu portata a termine la loro opera spiegano la particolare configurazione della cristianità siciliana17. la campagna, che nell’arco di un trentennio riportò la Sicilia dentro i confini dell’Europa cristiana e occidentale, si svolse in uno dei momenti più critici della cristianità medievale. Papa gregorio vII fu eletto nel 1073,

14 Per un’analisi di questo periodo storico della Sicilia vedi in particolare: g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, in R. ROMEO (cur.), Storia della Sicilia, vI, Napoli 1978, 3-181. 15 Un quadro sintetico delle strutture ecclesiastiche siciliane è descritto da M. TEDESChI, Strutture ecclesiastiche e vita religiosa, in ibid., vII, 55-71. 16 E. CaSPaR, Die Gründungusurkunden der sicilischen Bistümer und Kirchenpolitik Graf Roger i (1082-1098), ristampato in appendice a ID., Roger ii (1101-1154) und die Gründung der nor.-sicil. Monarchie, Innsbruck 1904. la traduzione italiana di questo volume, edita da laterza nel 1999, non lo riporta. E. JORDaN, La politique ecclésiastique de Roger ier et les origines de la légation sicilienne, in Le Moyen âge, série II, 24 (1922) 237273; 25 (1923) 32-65; f. ChalaNDON, Histoire de la domination normand en italie et en Sicile, I, New york 1960, 341-354; l.T. WhITE, jr., il monachesimo latino nella Sicilia normanna, trad. it., Catania 1984, 163-181; g. ZITO (cur.), Chiesa e società in Sicilia. L’età normanna, Torino 1995. 17 a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il Concilio di Trento, Palermo 1977, 7-19.

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subito dopo la conquista di Catania (1071) e Palermo (1072) da parte dei normanni. Due anni dopo pubblicò il Dictatus papae e nel 1077 accolse Enrico Iv penitente nel castello di Canossa. Sette anni più tardi Enrico Iv, per vendicare l’umiliazione di Canossa, occupò Roma e costrinse gregorio vII a rifugiarsi al Castel Sant’angelo. Per la sua liberazione fu necessario l’intervento di Roberto il guiscardo, che accorse per mantenere gli impegni assunti nel 1059 con l’investitura ricevuta dal papa Nicolò II18. I normanni ci appaiono strutturalmente inseriti nella cristianità europea con precisi diritti e doveri19. E al modello della cristianità si ispirarono quando nei territori conquistati incominciarono a ricostituire l’ordinamento diocesano, venuto meno dopo circa duecentocinquanta anni di dominazione islamica. Il Conte Ruggero, senza aspettare un mandato del papa e senza chiedere alcuna autorizzazione, nel 1081 eresse la diocesi di Troina e nominò il primo vescovo latino Roberto20. gregorio vII, preoccupato per l’intraprendenza del Conte, non mancò di richiamarlo e gli fece sapere che non avrebbe accettato in futuro il ripetersi di iniziative di quel genere21. Ma il papa sapeva bene di non poter assumere un atteggiamento eccessivamente rigido nei confronti di chi meritava ogni riguardo per aver restituito alla cristianità e alla giurisdizione romana una regione strategica nel Mediterraneo22. Urbano II, che si era proposto di continuare l’opera riformatrice di gregorio vII, fra i primi atti di governo dopo l’elezione intraprese un viaggio in Sicilia per incontrare a Troina il Conte Ruggero (1088)23. Ufficialmente il papa doveva discutere i rapporti con l’imperatore bizantino e la chiesa greca. In realtà veniva per dare una veste di legalità alle iniziative

a. flIChE, La riforma gregoriana e la riconquista cristiana (1057-1123), in Storia della Chiesa, iniziata da a. fliche e v. Martin, trad. it., vIII, Torino 1972, 30-31; 219. 19 S. fODalE, Stato e Chiesa dal privilegio di urbano ii a Giovan Luca Barbieri, in R. ROMEO (cur.), Storia della Sicilia, III, cit., 575-600. 20 g. MalaTERRa, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, in E. PONTIERI (cur.), Rerum italicarum scriptores, v, bologna 1928, 68-69. 21 S. fODalE, Fondazioni e rifondazioni episcopali da Ruggero i a Guglielmo ii, in g. ZITO (cur.), Chiesa e società in Sicilia, cit., 51-61: 54. 22 gregorio vII in una bolla del 1082 aveva scritto della Sicilia e del Conte Ruggero: «felix terra, quae tantum et talem meruit habere Comitem, per quem ecclesiasticum viget nomen et […] recuperat dignitatem» (vedi la nota 1 di E. Pontieri a g. MalaTERRa, De rebus gestis, cit., 69). 23 g. MalaTERRa, De rebus gestis, cit., 92-93; S. fODalE, Fondazioni e rifondazioni, cit., 56-57. 18

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di politica ecclesiastica già attuate dal Conte e per programmare quelle future. Infatti Ruggero subito dopo, comportandosi come un legato del papa, eresse le diocesi di agrigento, Mazara, Siracusa, Catania e Messina. le nuove circoscrizioni ecclesiastiche solo in parte ripristinavano quelle esistenti nel periodo bizantino, prima dell’invasione islamica24. a tutte le diocesi fu preposto un vescovo latino, scelto dallo stesso Conte Ruggero fra le persone di sua fiducia25. Una crisi nei rapporti fra Urbano II e il Conte Ruggero si ebbe nel 26 1098 . Il papa, ritenendo chiuso il periodo transitorio dei poteri speciali concessi al Conte, cercò di riprendere in mano la situazione e nominò come suo legato il vescovo di Troina Roberto. Si trattò di una decisione molto abile: il papa per rendere più facile il consenso del Conte scelse una persona a lui vicina. Ruggero invece reagì malamente: fece arrestare il vescovo mentre era in chiesa e lo fece chiudere in prigione. Il papa revocò subito la nomina e per rassicurare il Conte, con la bolla Quia propter prudentiam tuam emanata a Salerno il 5 luglio 1098, lo costituì suo legato per la Sicilia, si impegnò a non nominare in futuro altri legati senza il consenso suo e dei suoi eredi, assicurò che sarebbe stato lo stesso Conte Ruggero a decidere di inviare liberamente ad un eventuale concilio chi avesse preferito fra i vescovi e gli abati delle sue terre27. gli storici non sono concordi nel valutare la natura e il significato di questo privilegio: per alcuni la concessione era data alla persona del Conte Ruggero, perciò destinata a cessare con la sua morte; per altri era data ai

g. DI STEfaNO (cur.), L’organizzazione della Chiesa in Sicilia in età normanna. atti del Congresso internazionale di Mazara del vallo, Mazara del vallo 1987; S. fODalE, Fondazioni e rifondazioni, cit. 25 Roberto, vescovo di Troina e poi di Messina, proveniva dall’Italia settentrionale ed era imparentato con gli altavilla. Ruggero, vescovo di Siracusa, veniva dalla Provenza e faceva parte del seguito dei normanni. Stefano, vescovo di Mazara, era nato a Rouen ed era consanguineo del Conte Ruggero. angerio, vescovo di Catania, era benedettino; anche se apparteneva all’abbazia di Sant’Eufemia in Calabria, proveniva da St. Evroul in Normandia ed era di nobiltà cavalleresca. gerlando, vescovo di agrigento, era borgognone e anche lui apparteneva alla nobiltà. alcherio, vescovo di Palermo, da alcuni ritenuto greco, è più probabile che fosse normanno. Iocelino, vescovo di Cefalù, di origine campana, apparteneva ai canonici regolari di s. agostino. I vescovi di lipari-Patti saranno benedettini (N. kaMP, i vescovi siciliani nel periodo normanno: origine sociale e formazioni spirituali, in g. ZITO (cur.), Chiesa e società in Sicilia, cit., 63-89). 26 g. MalaTERRa, De rebus gestis, cit., 106-107; S. fODalE, Fondazioni e rifondazioni, cit., 37-60. 27 Il testo del documento è riportato da g. MalaTERRa, De rebus gestis, cit., 108. 24

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sovrani di Sicilia e i successori del gran Conte avrebbero potuto continuare a servirsene28. Quali che fossero la intenzioni di Urbano II, è certo che il modello al quale si ispirarono i normanni per organizzare le nuove terre conquistate non era quello previsto dall’ordinamento canonico e vagheggiato dalla riforma gregoriana. Il Conte Ruggero gestiva autonomamente la giurisdizione ecclesiastica erigendo diocesi, abbazie e conventi, nominando vescovi e superiori religiosi senza neppure consultare il papa. Probabilmente nelle sue scelte si ispirò al modello attuato in Inghilterra dai suoi conterranei e divulgato in Sicilia dai numerosi benedettini venuti al suo seguito29. gregorio vII e Urbano II dinanzi ai vantaggi conseguiti dalle conquiste normanne, per una precisa scelta politica, avevano ritenuto tollerabile qualche eccezione al loro rigoroso progetto di riforma, che aveva il suo punto di forza nella libertas Ecclesiae e nella lotta alle ingerenze dei laici nel governo della Chiesa. anche per l’ordinamento feudale sembra che il Conte Ruggero si sia ispirato al modello attuato in Inghilterra dai suoi conterranei. le caratteristiche della feudalità siciliana riguardavano soprattutto la concessione delle terre e il rapporto stabilito con i feudatari30. Il gran Conte si era riservato il dominio eminente, concedendo solo il dominio utile, dei feudi e delle proprietà date a coloro che lo avevano aiutato nella conquista della Sicilia o ai vescovi e agli ordini monastici chiamati per ricostituire il suo ordinamento ecclesiastico. Nessuno pertanto poteva alienare, frazionare, peggiorare la condizione dei feudi ricevuti; i sovrani normanni dovevano essere considerati i veri proprietari dell’immenso patrimonio immobiliare sottratto agli islamici.

Per la diversa interpretazione di questo privilegio vedi in particolare: g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica di Sicilia, Reggio Calabria 1973; S. fODalE, L’Apostolica Legazia e altri studi su Stato e Chiesa, Messina 1991, 7-117. 29 g. ZITO, Papato e normanni in Sicilia nel secolo xi. una prospettiva ecclesiologica, in S. TRaMONTaNa (cur.), Ruggero i, Serlone e l’insediamento normanno in Sicilia, Troina 2001, 77-100. Dal punto di vista teologico la fonte di riferimento potrebbe essere l’anonimo Normanno — da alcuni identificato con guglielmo bona anima, abate di Santo Stefano di Caen dal 1070 al 1079 — la cui ecclesiologia è agli antipodi di quella proposta dai riformatori gregoriani. Per l’edizione di quest’opera vedi k. PEllENS, Die Texte des normannischen Anonymus: neu aus der Handschrift 415 des Corpus Christi College Cambridgeherausgegeben, Wiesbaden 1966; si vedano anche le note ecclesiologiche di y. CONgaR, L’Église de saint Augustin à l’époque moderne, Paris 1970, 116-118. 30 f. ChalaNDON, Histoire de la domination normand, cit., II, 494-495; S. fODalE, Stato e Chiesa, cit., 582-583; M. CaRavalE, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, bologna 1994, 323-361. 28

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I successori del Conte Ruggero, nonostante gli inviti dei papi a non andare oltre i limiti delle loro competenze, continuarono ad esercitare alcune prerogative della giurisdizione ecclesiastica, configurando l’autorità del re più sul modello bizantino che su quello occidentale31. Nelle controversie fra i papi e i re di Sicilia, che contrassegnarono i secoli xII e xIII, i privilegi concessi al Conte Ruggero al tempo della conquista divennero merce di scambio per raggiungere accordi di più ampia portata: il papa rinnovava la loro concessione limitatamente alla Sicilia per ottenere nuove alleanze contro i suoi nemici nei periodi di maggiore turbolenza, ma ne chiedeva l’abrogazione non appena le condizioni generali diventavano più favorevoli32. Dopo la lunga guerra del vespro, lo scisma d’occidente e lo sbarco dei Martini (1392), l’ordinamento ecclesiastico siciliano diede l’impressione di essere rientrato nel modello comune agli stati europei. Tuttavia all’inizio del ’500, la riscoperta e l’interpretazione strumentale della bolla Quia propter prudentiam tuam di giovan luca barbieri e da parte dei re di Spagna, finì per riproporre nel Regno di Sicilia le caratteristiche proprie della cristianità33. In sostanza la Sicilia manterrà anche in epoca moderna la configurazione del particolare ordinamento di cristianità dato dai normanni sul modello inglese; un ordinamento non privo di contraddizioni, formatosi con il pieno sostegno del papato nel momento in cui aveva bisogno del loro appoggio politico e militare, che non subì mutamenti sostanziali nei tentativi fatti dai successori di gregorio vII34.

31 E. CaSPaR, Ruggero ii e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia, trad. it., bari 1999, 305-321. 32 Sono emblematiche le alterne vicende delle intese stabilite dai papi e dai re normanni in questo periodo: a. fOREvIllE – J. ROUSSET DE PINa, Dal primo Concilio Lateranense all’avvento di innocenzo iii, in Storia della Chiesa, iniziata da a. fliche e v. Martin, cit., Ix/2, 417-441; 702; 769-771; a. flIChE – Ch. ThOUZEllIER – y. aZaïS, La cristianità romana (1198-1274), in Storia della Chiesa, inziata da a. fliche e v. Martin, cit., x, 281-320; h. WOlTER – h.g. bECk, Civitas Medievale xii-xiV secolo, in Storia della Chiesa, diretta da h. Jedin, cit., v/1, 268-271; S. fODalE, Stato e Chiesa, cit., 585-588. 33 le vicende della riscoperta e della interpretazione del documento di Urbano II sono esposte da g. ZITO, La Legazia Apostolica nel Cinquecento: avvio delle controversie e delle polemiche, in S. vaCCa (cur.), La Legazia Apostolica. Chiesa, potere e società in Sicilia in età moderna e medievale, Caltanissetta-Roma 2000, 115-166. 34 a. lONghITaNO, istituzioni di cristianità a Catania nel ’400, in Synaxis 24 (2006) 112-125; g.l. POTESTà, istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa in Sicilia dalla conquista normanna alla fine del medioevo, in Ho Theológos 19 (2001) 223-246.

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il privilegio della Legazia Apostolica

Nella Sicilia spagnola cardine dell’ordinamento ecclesiastico siciliano era considerato il privilegio della legazia apostolica, in forza del quale i re esercitavano sui vescovi e sugli ordini religiosi una vera e propria giurisdizione ecclesiastica, con una serie di competenze sconosciute agli altri sovrani35. l’istituto principale del qual si servivano i re per esercitare le funzioni di legati del papa era il tribunale della Regia Monarchia36. la competenza del giudice (inizialmente un laico, dopo il Concilio di Trento un ecclesiastico nominato dal re) non risultava stabilita in modo chiaro e obbiettivo, come non lo era quella che il re rivendicava in quanto legato-nato del papa. Nell’ordinamento canonico del tempo, il legato del papa aveva le competenze che gli erano conferite nella nomina. Di solito si trattava di un ufficio dato alla persona e non alla sede, di modo che ogni nuovo titolare aveva bisogno di una nuova concessione e di una ridefinizione delle competenze. I pochi casi documentati dell’ufficio di legato-nato, conferito alla sede e non alla persona, riguardavano vescovi metropoliti37. I re di Sicilia nel secolo xvI non solo ritennero che, in forza della bolla Quia propter prudentiam tuam di Urbano II, fossero legati-nati del papa nel loro Regno, ma determinarono unilateralmente le competenze spettanti a quest’ufficio, in una visione assolutistica di governo. Conseguentemente variavano anche le competenze del tribunale della Regia Monarchia. le magistrature siciliane e il giudice le avevano ampliate sempre di più, per fare di questo istituto un efficace strumento di controllo della Chiesa. In tal modo in Sicilia non si aveva più una diarchia di poteri (il

35 I rapporti fra Stati italiani e Chiesa in questo periodo storico sono descritti da g. gRECO, La Chiesa in italia nell’età moderna, bari 1999, 191-219. 36 Sull’argomento vedi f. SCaDUTO, Stato e Chiesa nelle due Sicilie, a cura di a.C. Jemolo, I, Palermo 1969, 156-176 e i due autori più recenti che hanno di questo istituto una visione non del tutto univoca: S. fODalE, L’Apostolica Legazia, cit.; ID., Stato e Chiesa, cit.; g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit. 37 fra le sedi metropolitane alle quali era annesso l’ufficio di legato del papa si ricordano: Colonia, gnesna (Polonia), Salisburgo, Praga, gran (Ungheria), Canterbury. Solo in due casi — e molto discussi — l’ufficio di legato-nato risulta conferito a sovrani laici: s. Stefano d’Ungheria e il Conte Ruggero di Sicilia. Per una trattazione storico-giuridica dell’ufficio di legato si veda: l. fERRaRIS, Legatus in Prompta bibliotheca, cit., Iv, 1399-1412; D. STaffa, Legato (nella diplomazia pontificia), in Enciclopedia cattolica, vII, Città del vaticano 1951, 1025-1027; f. ClaEyS-bOUUaERT, Légat du Pape, in Dictionnaire de droit canonique, vI, Paris 1957, 371-377.

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potere civile e il potere religioso) ma una monarchia, perché il solo re esercitava entrambi i poteri: uno iure proprio e uno iure legationis. In forza di questo privilegio il re reclamava per sé l’esercizio dell’autorità che il papa esercitava sui vescovi e sulle Chiese in tema di vigilanza, di appelli, di disciplina sugli ordini religiosi esenti… Normalmente spettava al tribunale della Regia Monarchia giudicare in appello: i giudizi svoltisi in prima istanza nei tribunali diocesani e in seconda istanza presso i metropoliti, i giudizi pronunziati dai delegati apostolici e dai giudici conservatori dei religiosi, i giudizi degli organi militari che godevano del privilegio del foro. Inoltre il tribunale poteva ordinare la restitutio in integrum, avocare a sé tutte le cause ecclesiastiche per viam saltus e annullare, su istanza delle parti, qualsiasi provvedimento delle autorità ecclesiastiche; infine giudicava in primo grado gli ecclesiastici esenti, cioè soggetti alla diretta giurisdizione della Santa Sede38. il tribunale dell’inquisizione

Particolare considerazione merita il tribunale del Sant’Uffizio, che dipendeva direttamente dall’Inquisizione spagnola ed esercitava una giurisdizione regia39. Una schiera di circa trentamila uomini della peggiore risma, costituita da inquisitori, funzionari, guardie, carcerieri, appartenenti a tutti i ceti sociali40, forte dell’appoggio del re, acquistò nel tempo un’influenza sempre maggiore fino ad entrare in conflitto con le altre giurisdizioni regie e processare i titolari delle più alte strutture dello Stato, sotto il pretesto della difesa della fede. In tal modo un’istituzione nata per difen38 f. SCaDUTO, Stato e Chiesa, cit., 156-176; g. CaTalaNO, Studi sulla Legazia Apostolica, cit., 1-3. 39 a. fRaNChINa, Breve rapporto del Tribunale della SS. inquisizione di Sicilia, Palermo 1744; C.a. gaRUfI, Contributo alla storia dell’inquisizione di Sicilia nei secoli xVi e xVii. Documenti degli archivi di Spagna, Palermo 1920; v. la MaNTIa, Origine e vicende dell’inquisizione in Sicilia, Palermo 1977. 40 a. PROSPERI, Tribunali della coscienza. inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996, 180-181. Nel rapporto istituito tra l’Inquisizione e la società siciliana c’è chi ha visto, con uno sguardo retrospettivo, «una delle più grosse organizzazioni di tipo mafioso, che mai abbiano operato nell’isola fino ai nostri giorni» (O. CaNCIla, Così andavano le cose nel secolo sedicesimo, Palermo 1984, 30).

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dere l’ortodossia contra haereticam pravitatem veniva utilizzata anche per giochi di potere e per cambiare gli equilibri politici esistenti41. L’exequatur e il regio placet

Per definire il quadro dei rapporti fra autorità civili e religiose bisogna anche prendere in considerazione l’insieme degli istituti (exequatur, placet regio, ecc.) che servivano a dare esecuzione agli atti pontifici42. l’exequatur non può essere considerato un istituto peculiare della cristianità siciliana, riconducibile all’ordinamento normanno. Il suo uso è documentato in Sicilia prima del vespro. Probabilmente fu introdotto durante gli interdetti che in diverse occasioni colpirono il regno. Divenne prassi inevitabile durante lo scisma d’occidente, ma fu istituzionalizzato al tempo dei Martini43. Il problema del placet regio, invece, se lo riferiamo alla nomina dei vescovi o dei prelati delle grandi istituzioni monastiche, non si poneva neppure al tempo della conquista normanna, perché le nomine venivano fatte direttamente dal Conte Ruggero ed accettate dal papa. Il privilegio del gradimento dei vescovi da parte del re, anche se non era esclusivo dell’ordinamento siciliano, costituiva uno dei punti di forza del concordato di basti ricordare i conflitti con gli inquisitori sostenuti dai viceré giovanni de vega, garzia di Toledo e Marco antonio Colonna. l’inquisitore bezerra ebbe l’ardire di istruire regolari processi contro i giudici della gran corte, gli ufficiali regi e lo stesso presidente del Regno, don Carlo di aragona e Tagliavia, principe di Castelvetrano. Il re si serviva abilmente di queste rivalità per raggiungere determinati fini politici e non si dimostrava sollecito di definire o far rispettare le competenze dei diversi uffici onde evitare il protrarsi di interminabili e dannose controversie (R. gREgORIO, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti, a cura di a. Saitta, III, Palermo 1973, 154-155). 42 g. CaTalaNO, «Exequatur» e «placet», in Enciclopedia del diritto, xvI, Milano 1967, 143-154; a. MORONI, «Exequatur» e «placet», in novissimo digesto italiano, vI, Torino 1968, 1084-1088. 43 «Item staranno attenti quelli delu consigliu, chi nixuna bulla o littera de Papa o altri Principi o gran Signuri, seu Comitanti, li quali siano tramisi o portati in Sicilia per qualuncha persona sia, tanto in Palermo, Messina, quanto in ogni altra parti, non si degia apriri, né legiri per nissuno, eccepto che primo vegna in potiri dela dicta Regina et so consiglio et deinde per comandamento dela dicta Regina sinde farà quello che sarrà ordinato» (f. TESTa [cur.], Capitula Regni Siciliae, I, Panormi 1741, 185). 41

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benevento44. Dopo lo scisma d’Occidente la nomina dei vescovi fu disciplinata da una costituzione di re Martino45. Il gioco dei veti reciproci posti dal papa o dal re sul nome di un candidato ad una sede episcopale della Sicilia renderà estremamente difficile individuare l’effettivo titolare di una diocesi. Negli elenchi dei vescovi delle diocesi siciliane non è raro trovare nomi di persone elette dal capitolo e non riconosciute dal re o dal papa, nominate dal papa che non hanno avuto il gradimento del re46. il diritto di spoglio e di amministrazione delle sedi vacanti

Il diritto del re di appropriarsi dei beni mobili dei prelati defunti e di amministrare il patrimonio delle sedi vacanti, già esercitato in epoca normanno-sveva, aveva la sua giustificazione nella particolare configurazione giuridica del patrimonio della Chiesa. Considerato che il patrimonio delle diocesi e dei monasteri era dato ai vescovi e i prelati in uso e non in proprietà, il fisco si appropriava dei beni mobili lasciati dai titolari defunti e rivendicava il diritto di amministrare il patrimonio delle sedi vacanti. Questa prassi, divenuta consueta al tempo dei Martini, indusse i parlamenti a chiedere di devolvere gli introiti derivanti dall’esercizio di questo diritto in favore delle chiese stesse, specialmente quando c’era la necessità della manutenzione straordinaria degli edifici47. le richieste del parlamento indussero il re a prendere decisioni caso per caso e a formulare un’ipotesi

44 «De electionibus quidem ita fiat. Clerici conveniant in personam idoneam et illud inter se secretum habebunt, donec personam illam excellentiae nostrae pronuntient, et postquam personam celsitudini nostrae fuerit designata, si persona illa de proditoribus aut inimicis nostris vel haeredum nostrorum non fuerit, aut magnificentiae nostrae non extiterit odiosa, vel alia in ea causa non fuerit pro qua non debemus assentire, assensum praestabimus» (R. PIRRI, Sicilia sacra, I, Panormi 17333, xx). 45 «Et si vacasi alchuna ecclesia cathedrali, nullu sia riciputo Praelato, senza espresso comandamento nostro, donec vinde sia scripto, declarandoni che personi concurrino in quilli dignitati; tamen lu capitulo facza sua electioni infra tempo legitimo, cum consensu dela Regina predicta» (f. TESTa [cur.], Capitula Regni Siciliae, cit., 185). 46 Per la diocesi di Catania si vedano, ad esempio, i casi di Tommaso asmari (14111413), giuliano della Rovere (1473-1474), francesco Campolo (1474-1475), giovanni gatto (1475-1479) e di bernardo Margarito (1479-1486) (Cronotassi dei vescovi di Catania, in g. ZITO, La Chiesa di Catania nell’anno 2000, Catania 2000, 25-32). 47 «Perché morendo li Prelati, la Regia Curti soli apprindiri li loro spogli sub colore sedis apostolicae; per tanto supplica lo dicto Regno che li dicti spogli siano dati alloro eccle-

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di soluzione normativa che incontrò non poche difficoltà ad essere attuata48. Trattandosi di diocesi e di monasteri che avevano rendite consistenti, non era infondato il sospetto che il re ritardasse la presentazione al papa dei titolari per consentire al fisco di riscuotere i proventi di questi benefici. 4. l’ORDINaMENTO ECClESIaSTICO DElla SICIlIa

l’ordinamento ecclesiastico dato alla Sicilia dal Conte Ruggero dopo la conquista risulta fortemente condizionato dalla particolare situazione in cui venne a trovarsi la popolazione siciliana. Dopo circa duecentocinquanta anni di dominazione islamica, i cristiani — soprattutto nelle città nelle quali avevano sede le strutture amministrative e militari — erano diventati una minoranza; si trattava di cristiani di lingua greca e di rito bizantino. a questi bisognava aggiungere i cristiani di rito latino venuti al seguito dei normanni, provenienti dalle diverse regioni dell’Europa e dell’Italia continentale. Il Conte Ruggero aveva concepito il disegno di riportare la Sicilia nell’ambito del cattolicesimo latino. Per attuare questo suo disegno era necessario disporre di vescovi e di clero ai quali affidare le strutture ecclesiastiche che era sua intenzione ricostituire. l’unica possibilità che gli si offriva era quella di rivolgersi agli ordini religiosi, che avevano abbazie e monasteri nelle regioni continentali dell’Italia o in Europa49. la necessità di supplire la mancanza di clero secolare con il ricorso agli ordini religiosi condizionò l’ordinamento diocesano. Il Conte Ruggero ricostituì le diocesi, ma non fu in grado di istituire le parrocchie; pertanto affidò la cura delle anime ai vescovi e al clero che prestava servizio nelle cattedrali. I vescovi, gli abati e i priori dovevano provvedere al sostentamento dei cappellani sacramentali attingendo alle rendite del ricco patrimonio loro concesso. sii, oi a cui de jure spectano et la Regia Curti non se ingerat in illis» (f. TESTa [cur.], Capitula Regni Siciliae, cit., 392). 48 Sul tema vedi R. gREgORIO, Considerazioni, cit., 136; f. SCaDUTO, Stato e Chiesa, cit., II, 7-18. 49 Secondo una tradizione, ridimensionata dagli storici, l’abbazia benedettina di Sant’Eufemia in Calabria fu una specie di serbatoio di vescovi, di cui il Conte Ruggero si servì per ricostituire l’ordinamento diocesano in Sicilia (l.T. WhITE, jr., il monachesimo latino, cit., 164).

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Sorse qualche difficoltà fra vescovi e baroni per stabilire a chi dovevano andare le decime e, conseguentemente, chi doveva provvedere al sostentamento dei cappellani sacramentali. Il problema fu affrontato e risolto in una riunione presieduta dal Conte Ruggero a Mazara del vallo nel 1097. le decime furono assegnate ai vescovi, i quali però avevano l’obbligo di provvedere sia al mantenimento dei cappellani delle chiese reali, sia a quelli delle cappelle dei feudi. Se in futuro i baroni avessero voluto erigere la chiesa in un casale, il mantenimento al cappellano sarebbe stato assicurato con le decime del casale e non da quelle del vescovo. I cappellani sarebbero stati scelti dai baroni, ma avrebbero dovuto essere esaminati e approvati dai vescovi50. I vescovi nel tempo avrebbero dovuto colmare questa lacuna dell’ordinamento diocesano, ma l’erezione delle parrocchie richiedeva l’erezione dei benefici parrocchiali, cioè il reperimento di proprietà e di rendite per assicurare il sostentamento ai parroci, un’operazione particolarmente difficile, perché i vescovi — anche se avessero voluto — non avrebbero potuto frazionare il patrimonio della mensa vescovile, di cui avevano solamente il dominio utile. la mancanza di strutture parrocchiali è un tratto caratteristico dell’ordinamento ecclesiastico siciliano, che i vescovi si trovarono ad affrontare e risolvere in epoca moderna e contemporanea. In Sicilia l’istituto parrocchiale si svilupperà molto tardi e sarà condizionato dal modello scelto dai normanni nella difficile situazione della conquista. all’ordinamento ecclesiastico delle regioni continentali italiane, che assegnava alla parrocchia un ruolo centrale e ad altre realtà ecclesiali (ordini religiosi e confraternite laicali) una funzione di supporto e di aiuto, fa riscontro in Sicilia un ordinamento policentrico, in cui le parrocchie mancano o stentano ad affermarsi e le altre realtà ecclesiali svolgono un ruolo di supplenza51.

a. lONghITaNO, La parrocchia in Sicilia nei secoli xix e xx, in La parrocchia in italia nell’età contemporanea. Atti del ii incontro seminariale di Maratea, 24-25 sett. 1979, Napoli 1982, 737-778. 51 ID., Conflitti di competenza fra il vescovo di Catania, i benedettini e gli ordini mendicanti nei secoli xV e xVi, in Benedictina 31 (1984) 177-196; 359-386; ID., Evoluzione sociale e giuridica delle parrocchie, in f. flORES D’aRCaIS (cur.), La Chiesa di Sicilia dal Vaticano i al Vaticano ii, Caltanissetta-Roma 1994, 405-482. 50

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5. I vESCOvI SICIlIaNI

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Se scorriamo i nomi dei vescovi siciliani dal 1500 al 1728 (data della ‘Concordia benedettina’ che chiuse la controversia liparitana) troviamo un elevato numero di forestieri. I re, avvalendosi del privilegio di presentare i vescovi per le diocesi vacanti, promuovevano persone che avevano servito con fedeltà la corona, si erano dimostrate leali verso le istituzioni ed erano di sicuro affidamento. Ma di solito questi vescovi non si preoccupavano neppure di risedere nelle loro diocesi. Pertanto era continua la lamentela nei parlamenti al re di concedere solo ai siciliani i benefici maggiori. I re, in risposta a queste lagnanze, accolse il principio dell’alternanza: i benefici vacanti sarebbero stati concessi una volta ad un siciliano e una volta ad un forestiero, ad eccezione dei vescovadi di Palermo e di Monreale52. Ma il re sembrava dimenticarsi di questo principio e per il periodo sopraindicato il numero dei vescovi forestieri è doppio rispetto a quello dei siciliani53. Strettamente legato al problema dei vescovi forestieri c’era quello

52 «Item supplica lu dictu Regnu a vostra altecza, che perché claramente si vidi in lu Regnu predictu diminuirisi lu cultu divinu, li Ecclesii, et lochi sacri veniri ad ruina, et li introiti et renditi di quilli non si convertiri in reparationi et ornamentu de dicti ecclesii, ma transportarisi intra lochi fora di lu dictu Regnu, la qual cosa procedi per concedirisi dicti benefici Ecclesiastici a persuni exteri di lu dictu Regnu: perché standu absenti li loru Prelati, qui non pascunt gregem eis comissum, li cittati proprio pastore carent; et li Ecclesii su viduati suo antistite; et ut plurimum insurginu enormitati et disordini: per tantu lu dictu Regnu supplica vostra altecza […] si digni concediri et providiri che de caetero tutte Prelatie, dignitati et beneficii Ecclesiastici di lu dictu Regnu non si possanu, né digianu dari, né concediri ad exteri di dittu Regnu, sed solum a Siciliani, oriundi tantum di lu dictu Regnu […]. Placet Regiae Maiestati […] concedere alternativam, ita quod de duabus electionibus […] unam electionem faciet in personam alicuius Siculi», Capitolo di ferdinando II del 1503 (f. TESTa [cur.], Capitula Regni Siciliae, cit., 536), altri interventi in materia si ebbero negli anni successivi; segno che il problema restava aperto (ibid., I, 578; II, 13, 41-42, 75, 128, 358. Sull’argomento vedi R. gREgORIO, Considerazioni, cit., 134-136). l’eccezione delle diocesi di Palermo e Monreale si spiega con il particolare rapporto di vicinanza che avevano con gli uffici centrali di governo e con la ricchezza dei loro benefici. 53 In Sicilia, nel periodo indicato, su un totale di 216 vescovi, 123 erano forestieri (dei quali 79 spagnoli) e 93 siciliani. (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., e Hierarchia Catholica, a cura di g. van gulik, C. Eubel, P. gauchat, R. Ritzler – P. Sefrin, II-v, Patavii 1960-1968). Queste cifre sono indicative e possono subire qualche variazione, perché gli autori ai quali si è fatto riferimento a volte si servono di criteri diversi. Inoltre sono stati sommati gli elenchi dei vescovi delle diverse diocesi senza tener conto dei trasferimenti e del fatto conseguente che i nomi di alcuni ricorrono in totale due o tre volte.

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dei vescovi spagnoli. Nel periodo preso in esame ne troviamo 79 su un totale di 216. alcuni di essi si trovavano da anni in Sicilia e prima di essere nominati vescovi avevano ricoperto diversi uffici; altri venivano direttamente dalla Spagna. leggendo il curriculum dei vescovi, si può notare che 15 di loro avevano ricoperto l’ufficio di inquisitori in Spagna o in Sicilia, mentre altri avevano collaborato in qualche modo con l’Inquisizione54. Questa situazione comportava problemi di varia natura: per molti di questi vescovi forestieri la diocesi era solamente un beneficio dato dal re o dal papa in segno di gratitudine; pertanto in molti casi la principale preoccupazione di chi ne era investito era quella di riscuotere i frutti55. Dopo il Concilio di Trento i vescovi furono più attenti ad osservare la norma della residenza; ma se l’assenteismo non fu un fenomeno generalizzato, non scomparve del tutto56. C’era, inoltre, una reale difficoltà di rapporto e di

54 Erano stati inquisitori: i vescovi di agrigento giovanni Roias (1577), Diego de haedo (1585) e francesco giuseppe Crespo (1672); i vescovi di Catania giovanni Orosco 1574) e giovanni Corrionero (1589); il vescovo di Cefalù Rainaldo de Monterò (1496); i vescovi di Mazara giovanni beltrani (1571) e bernardo gasco (1579); gli arcivescovi di Messina Pietro bellorado (1502) e francesco vilardi (1599), gli arcivescovi di Palermo francesco Orosco (1512) Diego de haedo (trasferito da agrigento nel 1589), ferdinando andrada (1644), fernando bazan (1685); il vescovo di Patti bartolomeo Sebastián (1549); il vescovo di Siracusa giovanni Orosco (1562 trasferito a Catania nel 1574). 55 a titolo di esempio si vedano i casi del belga giovanni Carandolet, arcivescovo di Palermo (1520-1544) e del romano alessandro farnese, arcivescovo di Monreale (15361573). Il primo aveva presieduto i parlamenti belgi in nome del Re; nominato arcivescovo di Palermo (1520-1544), non si recò mai nella sua diocesi; il Mongitore annota; «Et si Carandolet nunquam Ecclesiae Panomitanae sponsae faciem vidisset, eam diligere et per vicarios et procuratores suos sedulo administrare non neglexit» (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 195). alessandro farnese, nipote di papa Paolo III, fu creato cardinale a 14 anni nel 1534 e nel 1536 ebbe la nomina di arcivescovo a Monreale. Dallo Jedin fu definito «impareggiabile cacciatore di prebende»; infatti nel 1556 poteva godere i frutti di 10 vescovadi, 26 monasteri e 133 benefici di varia natura (canonicati, parrocchie, cappellanie). Sebbene avesse partecipato al Concilio di Trento, non si sentì obbligato di attuarne le riforme (Hierarchia Catholica, cit. III, 23, 250; E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 9; h. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, cit., Iv/2, 209). 56 Il card. alvaro Cienfuegos (1657-1739), abile ministro e diplomatico a servizio dell’imperatore Carlo vI, fu nominato prima vescovo di Catania (1722) e poi arcivescovo di Monreale (1725) ma continuò a fare il ministro, limitandosi a governare mediante vicari le diocesi affidategli. a Monreale il card. Traiano acquaviva (1739-1747), amico di Carlo III di borbone e incaricato d’affari del Regno di Napoli presso la corte pontificia, non si preoccupò di governare personalmente la diocesi affidategli, che gli garantiva i frutti di un ricco beneficio (g. SChIRò, Monreale. Territorio, popolo e prelati dai normanni ad oggi, Palermo 1984, 37-54).

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comprensione: se le classi dirigenti e l’alto clero avevano una discreta istruzione e una buona conoscenza delle lingue siciliana, italiana e castigliana57, il basso clero e il popolo parlavano e comprendevano solo il siciliano58. Per i vescovi forestieri diventava difficile predicare, mantenere i rapporti con il proprio clero, rendersi conto nelle visite pastorali delle reali necessità dei fedeli. Inoltre, tenendo presenti la specificità dell’Inquisizione spagnola e le ricorrenti controversie giurisdizionali con le altre autorità dello Stato, si può facilmente immaginare con quale preparazione e con quale spirito questi prelati passavano dall’ufficio di inquisitori al ministero episcopale. I vescovi in molti casi si comportavano più come funzionari regi che come ministri della Chiesa: bene inseriti nelle strutture dello Stato59, a volte erano chiamati a ricoprire cariche che non avevano nulla a che vedere con il loro ministero pastorale. la massima autorità dopo il re, che dal secolo xv non risiedeva più in Sicilia, era il viceré; in sua assenza veniva nominato un presidente o un luogotenente del Regno. Più volte furono i vescovi a ricoprire queste cariche60. Troviamo vescovi nominati giudici della corte imperiale o dei vari tribunali siciliani, membri del consiglio del re… Questa situazione, se da una parte contribuì a rafforzare l’autorità regia, dall’altra attenuò nella Chiesa la sua capacità di rinnovamento. Non è un caso che in Sicilia il clima culturale e religioso sia mutato in senso controriformistico con una rapidità maggiore che negli altri Regni spagnoli61.

57 I nobili e i membri delle famiglie più abbienti, oltre a conseguire lauree nelle Università italiane o straniere, spesso frequentavano la corte spagnola per prepararsi a ricevere incarichi di prestigio e in questa prospettiva la conoscenza del castigliano era d’obbligo. 58 bisogna distinguere il problema dell’introduzione della lingua toscana negli atti ufficiali (in Sicilia si verifica nella prima metà del ’500) e quello della lingua parlata dal popolo. I sinodi diocesani del Sei e Settecento prescrivono l’insegnamento della dottrina cristiana e la predicazione in siciliano, perché è ancora la sola lingua che il popolo parla e comprende. Il castigliano veniva usato dai viceré nei parlamenti o nella corrispondenza, ma non era stato mai imposto come lingua ufficiale (f. lO PIPaRO, Sicilia linguistica, in M. ayMaRD – g. gIaRRIZZO [curr.], La Sicilia, Torino 1987, 733-807). 59 I vescovi con altri prelati costituivano il braccio ecclesiastico del parlamento siciliano, che era formato anche dai bracci baronale (o militare) e demaniale. Pertanto contribuivano con il loro voto alle decisioni (R. gREgORIO, Considerazioni, cit., I, 278-261; II, 221224). Si veda sul tema: D. lIgRESTI, Sicilia aperta (secoli xV-xVii). Mobilità di uomini e di idee, Palermo 2006, 179-213. 60 leggendo la serie cronologica curata dal Di blasi, dal 1550 al 1786 i vescovi siciliani per 19 volte rivestirono la carica di presidenti o di luogotenenti del Regno (g.E. DI blaSI, Storia cronologica de’ viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, a cura di I. Peri, I, Palermo 1974, 63-83). 61 g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 51-62.

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6. lE vISITE PaSTORalI E I SINODI DIOCESaNI

gli atti delle visite pastorali e dei sinodi diocesani sono le fonti storiche di maggior rilievo, da consultare assieme a quella delle relazioni ad limina per la storia sociale e religiosa. Uno dei principali compiti riconosciuti al vescovo fin dalle origini cristiane è quello di sorvegliare, verificare, coordinare, dirigere la vita cristiana nella Chiesa affidata alle sue cure. È già molto indicativo il nome stesso, episcopus (dal greco epìskopos, cioè ispettore), che si è affermato per indicare questo fondamentale ministero ecclesiale. le norme canoniche fin dal vI secolo determinarono l’obbligo, la frequenza e la modalità di queste visite62 che furono considerate, assieme ai sinodi diocesani, le istituzioni più valide per promuovere l’evangelizzazione, per coordinare il lavoro apostolico, per attuare la disciplina ecclesiastica. Soprattutto nei momenti di crisi il ricorso alla visita pastorale e al sinodo consentì l’attuazione dei piani di riforma predisposti dai concili. le visite pastorali, contrariamente a quanto avvenne per la celebrazione dei sinodi diocesani, furono fatte con maggiore regolarità. Sembra costante la norma che imponeva al vescovo di visitare ogni anno la sua diocesi; ma la vastità di alcune circoscrizioni diocesane e altre difficoltà che i vescovi incontravano localmente indussero i padri del Concilio di Trento a stabilire un limite massimo di due anni, perché il vescovo portasse a compimento la visita della diocesi; di fatto si tollerava che la visita venisse completata in un arco di tempo maggiore in rapporto alle diverse situazioni locali63. la visita aveva come oggetto tutta la realtà ecclesiale; perciò nel linguaggio canonico troviamo le espressioni: «visita locale» per indicare la visita della chiesa, degli edifici annessi, del cimitero, dei monasteri…; «visita reale» riguardante le cose (suppellettili, oggetti preziosi, arredi

Per una visione generale del problema vedi: g. lE bRaS, Studi di sociologia religiosa, trad. it., Milano 1969; La società religiosa nell’età moderna. atti del Convegno studi di storia sociale e religiosa. Capaccio – Paestum, 18-21 maggio 1972, Napoli 1973; g. DE ROSa, La regestazione delle visite pastorali e la loro utilizzazione come fonte storica, in Archiva Ecclesiae 22-23 (1979-1980) 27-52 (il numero di questa rivista riporta gli atti del xII Convegno degli archivisti ecclesiastici tenutosi a Napoli nei giorni 3-6 ottobre 1978 sul tema: «le visite pastorali. Problemi archivistici e problemi storici»); v. MaZZONE – a. TURChINI (curr.), Le visite pastorali, bologna 1985. 63 Sess. xxIv, de ref., c. 3; COeD, 761-763. 62

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sacri…); «visita personale» l’incontro con le persone (fedeli, clero, monache, confraternite e associazioni laicali); ordinationes i decreti con cui il vescovo indicava autorevolmente i cambiamenti o le direttive da attuare quando riscontrava delle irregolarità; visitatio computorum le verifiche nella contabilità delle chiese, degli enti e luoghi pii, dei legati, censi…; inspectio instrumentorum o tabularii cioè le visite degli archivi e il riscontro dei documenti riguardanti lo stato delle chiese e delle persone, le liti e i processi in difesa della chiesa o dei beni ecclesiastici. Nelle visite pastorali del periodo post-tridentino di solito si è molto attenti a redigere gli atti relativi con una precisione che rasenta la pignoleria; oltre ai verbali della visita che il vescovo fa ai luoghi, alle cose e alle persone, sono compilati gli «inventari», i «rolli» o elenchi di tutto ciò che in senso lato appartiene alla chiesa o fa parte di essa: mobili, arredi, oggetti preziosi, beni, rendite, censi, legati, clero, religiosi, confraternite laicali, documenti…; è indicato il numero dei «fuochi» o nuclei familiari, dei fedeli singoli, di coloro che sono obbligati al precetto pasquale. Non mancano mai alla fine della visita le ordinationes, che ci offrono gli elementi più interessanti per un giudizio sulla personalità del vescovo e sulla realtà ecclesiale, oggetto della sua visita. I verbali gli elenchi e i documenti serviranno nella visita successiva per controllare se si è tenuto conto dei rilievi fatti dal vescovo, se si è salvaguardato il patrimonio delle chiese e degli enti ecclesiastici, se sono state riscosse le rendite, se sono stati difesi i diritti delle persone e degli enti ecclesiastici. a Catania, come nelle altre diocesi di Sicilia, i vescovi non trascuravano questo loro dovere. Nei periodi di sede vacante i vicari svolgevano volentieri questo compito, anche per i molteplici risvolti positivi che derivavano alle loro persone. I vuoti che si trovano nella conservazione di questi documenti seriali, oltre che al deterioramento o alla perdita, possono essere attribuiti alle persistenti difficoltà che si incontravano nella nomina dei vescovi. Il sinodo diocesano, nelle intenzioni del legislatore canonico, doveva essere il momento più significativo per la vita di una Chiesa locale. Il vescovo, con l’aiuto del suo clero e a volte anche di tutta la comunità diocesana, era chiamato a prendere coscienza della situazione della diocesi e a predisporre e promulgare le norme per l’azione pastorale e per la vita del clero e dei fedeli. In queste condizioni, le costituzioni sinodali diventano lo specchio più o meno fedele di una Chiesa in un determinato periodo storico. Uno specchio che può diventare rivelatore soprattutto nei periodi di crisi, 29


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quando le autorità ecclesiastiche guardano al sinodo diocesano come a uno degli strumenti principali di controllo e/o di riforma64. Come si è visto, l’obbligo dei vescovi di recarsi periodicamente a Roma per visitare le tombe degli apostoli fu sancito da papa Sisto v il 20 dicembre 1585, a vent’anni dalla conclusione del Concilio di Trento, nel periodo di maggiore impegno per attuare i decreti tridentini. Pertanto i sinodi diocesani, celebrati prima o dopo questa data, costituiscono per lo storico che intende utilizzare le relazioni ad limina un riferimento d’obbligo, non solo per avere un quadro significativo delle condizioni di una diocesi, ma soprattutto per avere riscontri ai dati contenuti nelle relazioni. In Sicilia nel ’500 furono celebrati complessivamente 29 sinodi diocesani (dei quali solo 13 sono stati pubblicati a stampa)65. la quasi totalità dei sinodi è stata celebrata sotto l’influsso del Concilio di Trento (15451563): prima della sua convocazione nelle dieci diocesi siciliane erano stati celebrati solo 5 sinodi. Nell’intervallo fra il primo (1545-1551) e il secondo periodo del concilio (1562-1563) ne sono stati celebrati 3. I restanti 21 sono stati celebrati dopo la sua conclusione. Il maggior numero di sinodi (5 in un secolo) sono stati celebrati nelle diocesi di Catania e Monreale; 4 ne sono stati celebrati a Palermo e Siracusa; 3 ad agrigento e Patti; 2 a Cefalù e Mazara ; 1 a Messina, a lipari non è stato celebrato alcun sinodo. Nel ’600 ne sono stati celebrati 40, dei quali 28 pubblicati a stampa66. Il loro numero decresce man mano che ci si allontana dalla chiusura del Concilio di Trento: 13 nel primo ventennio del secolo, 12 nei successivi trent’anni, 15 negli ultimi cinquant’anni. fra le diocesi che celebrarono il sinodo diocesano con maggior frequenza troviamo: Mazara con 7, Palermo con 5, Messina, Cefalù e agrigento con 4, Siracusa, Monreale con 3, Catania con 2. Nel ’700 la celebrazione dei sinodi si diradò nettamente: in tutto il secolo, nei primi trentacinque anni, ne troviamo solo 8. l’andamento negativo è confermato nel secolo successivo, in cui furono celebrati solo 4 sinodi. Questa tendenza è ancora più evidente per la diocesi di Catania: nel ’500 si hanno i sinodi celebrati dai vescovi Scipione Caracciolo (1524),

a. lONghITaNO, La normativa sul sinodo diocesano. Dal Concilio di Trento al codice di diritto canonico, in il sinodo diocesano nella teologia e nella storia. atti del convegno di Studi, Catania, 15-16 maggio 1986, acireale 1987, 33-85 65 Si veda il seminario di ricerca i sinodi siciliani del ’500, in Synaxis 19 (2001) 219411. 66 g. SavagNONE, Concili e sinodi di Sicilia. Struttura giuridica, storia, Palermo 1910, 165-183. I dati riferiti da questo autore hanno bisogno di qualche correzione e integrazione. 64

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luigi Caracciolo (1533), Nicola Maria Caracciolo (1539 e 156567), giovanni Corrionero (1990); nel ’600 solo quelli dei vescovi giovanni Torres (1622)68 e Michelangelo bonadies (1668)69, con i quali si chiude per Catania la stagione sinodale fino a tutto il secolo xIx. fra le visite pastorali, la celebrazione dei sinodi e la stesura della relazione ad limina c’è un rapporto molto stretto, perché il vescovo spesso celebrava il sinodo diocesano a conclusione della visita pastorale e si serviva dei dati raccolti per redigere la relazione da consegnare a Roma. alcune relazioni dei vescovi di Catania sono il resoconto dettagliato di una visita pastorale appena conclusa. 7. l’aTTUaZIONE DEl CONCIlIO DI TRENTO

gli aspri contrasti e le polemiche, che avevano caratterizzato i rapporti fra il re di Spagna e la Santa Sede nella prima metà del ’500, dopo l’istituzione del tribunale della Regia Monarchia, ebbero la loro eco anche al Concilio di Trento e influirono pesantemente sulla sua applicazione. Il tema della legazia apostolica di Sicilia fu affrontato nell’ultimo periodo del concilio, quando si discusse la riforma generale della Chiesa. I vescovi siciliani, denunziando le vessazioni subite dalla regia corte, chiedevano che l’esercizio della potestà ecclesiastica fosse libero da ogni forma di ingerenza dell’autorità civile. Il problema sollevato dai vescovi siciliani fu posto in relazione ad altre situazioni analoghe esistenti in altri paesi e fu subito evidente che non poteva essere affrontato e risolto all’interno della già difficile trattazione della riforma generale della Chiesa70. Dopo la chiusura del concilio, quando il re di Spagna filippo II con dispaccio del 17 luglio 1564 diede l’approvazione ai suoi decreti e ne dispose l’attuazione, il regio consiglio espresse riserve su tre punti: a) la concessione all’ordinario di poter giudicare come delegato pontificio le cause degli esenti (sess. xxIv, de ref., c.11);

a. lONghITaNO, Le costituzioni sinodali del vescovo di Catania nicola Maria Caracciolo (1565), in Synaxis 12 (1994) 167-215. 68 I. TORRES OSSORIO, Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana, Militelli v.N. 1623. 69 Decreta in principe dioecesana Synodo quam […] fr. D. Michael Angelus Bonadies episcopus catanensis […] celebravit Catanae die 11,12 et 13 maii 1668 […], Catanae 1668. 70 g. ZITO, La Legazia Apostolica nel Cinquecento, cit., 136-146; ID., Potere regio e potere ecclesiastico nella Sicilia del '500. una riforma difficile, in Synaxis 19 (2001) 227-247. 67

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b) il divieto ai legati a latere di accettare le appellazioni via gravaminis (sess. xxII, de ref., c. 7); c) il permesso agli ordinari di fulminare le scomuniche contro chiunque, avverso il disposto della prammatica catalana del 1452 che ne escludeva i magistrati (sess. xxv, de ref., c. 3). Il re accolse queste riserve e il viceré, il 18 dicembre 1564, decretò l’attuazione dei decreti del Concilio di Trento che in Sicilia ebbe, tra gli altri, due condizionamenti: i limiti posti dagli ampi poteri riconosciuti al tribunale della Regia Monarchia e la rigida struttura socio-politica data dai normanni, che impedì le riforme strutturali auspicate dai decreti tridentini, come l’erezione delle parrocchie. Il mancato sviluppo dell’ordinamento parrocchiale e l’interpretazione data dai giuristi di corte ai decreti tridentini influirono negativamente sulla condizione del clero secolare (ci appare privo di iniziativa e dipendente dal potere politico) e consentirono una maggiore autonomia al clero regolare, che deve essere considerato il principale protagonista nell’attuazione della riforma tridentina71. la corte, a parte le riserve di natura giurisdizionale e l’attenzione a salvaguardare l’ordinamento socio-politico del Regno, si dimostrò interessata alle riforme volute dal concilio e ne sollecitò l’attuazione72. I vescovi, seguendo le indicazioni provenienti da Roma e da Palermo, si adoperarono

a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit.; g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 60-65. 72 Il viceré Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, durante la celebrazione del Concilio di Trento aveva commissionato ad alcuni gesuiti di fiducia un elenco dei principali abusi riscontrati in Sicilia da presentare al re filippo II, che a sua volta lo avrebbe fatto pervenire al concilio. Il re non si dimostrò sollecito ad inviarlo a Trento e il provinciale dei gesuiti di Sicilia, ne spedì una copia al suo generale p. Diego laínez. Il documento giunse a Trento quando il concilio si era già concluso. È interessante notare che la prima proposta riguardava proprio la «riforma dei prìncipi», cioè il tanto discusso privilegio della legazia apostolica, di cui lo stesso viceré non ignorava le conseguenze negative provocate sull’esercizio dell’autorità dei vescovi e sulla disciplina del clero. Seguivano altre proposte interessanti. la decisione del viceré di accettare il documento e di trasmetterlo a filippo II dimostra una sincera volontà di riforma, basata su una indiscutibile sensibilità religiosa (M. SCaDUTO, La vita religiosa in Sicilia secondo un memoriale inedito del 1563, in Rivista di Storia della Chiesa in italia 28 [1974] 563-581). 71

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in particolare per l’erezione dei seminari, la formazione del clero73, l’istruzione cristiana del popolo74, la tutela della pubblica moralità…75 8. Il POPOlO CRISTIaNO

la fede cristiana professata dai siciliani in età moderna non può essere ricollegata alla prima evangelizzazione attuata nei primi secoli del cristianesimo. la lunga parentesi della dominazione islamica determinò una frattura con le origini cristiane e impose dopo la conquista normanna una nuova evangelizzazione, che non poteva essere portata a compimento nell’arco di pochi decenni dagli ordini religiosi venuti al seguito dei conquistatori e dall’esigua presenza del clero secolare di rito greco o latino. Si deve soprattutto all’azione degli ordini mendicanti (francescani, domenicani, carmelitani) una forma di evangelizzazione più capillare. all’azione degli ordini mendicanti si aggiunse in epoca moderna quella dei chierici regolari (i gesuiti, i teatini, i caracciolini o minoriti, i barnabiti…). gli strumenti adoperati comunemente per l’evangelizzazione erano: la catechesi ai fanciulli, agli adolescenti e ai rudes, cioè agli adulti privi di qualsiasi forma di istruzione; le missioni popolari, la predicazione nella quaresima e nelle feste dei santi. I predicatori seguivano di solito il modello della drammatizzazione dei misteri che illustravano. In altre parole: non si affidavano alla semplice parola, ma l’accompagnavano con scene e suoni per meglio coinvolgere il proprio uditorio. la missione popolare costituiva un momento eccezionale di evangelizzazione76. I predicatori, perché i suoi frutti durassero nel tempo, promuovevano l’istituzione dei terzi ordini e di confraternite laicali, come centri permanenti di aggregazione e di formazione. le antiche confraternite dei disciplinanti dopo il Concilio di Trento furono sostitute in età moderna da

g. baTURI, il clero nei sinodi siciliani del ’500, in Synaxis 19 (2001) 355-382. l. la ROSa, Storia della catechesi in Sicilia (sec. xVi-xix), lamezia Terme 1986; S. CONSOlI, La predicazione nei sinodi del ’500, in Synaxis 19 (2001) 335-353. 75 a. lONghITaNO, i peccati riservati nei sinodi siciliani del ’500, in Synaxis 19 (2001) 383-398. 76 g. DE ROSa, Linguaggio e vita religiosa attraverso le missioni popolari del Mezzogiorno nell’età moderna, in Orientamenti sociali 2 (1981) 7-37, ora in Vescovi, popolo 2 e magia nel Sud, Napoli 1983 , 195-226; C. CaRgNONI, La predicazione dei frati cappuccini nell’opera di riforma promossa dal Concilio di Trento, Roma {1984}; a. gUIDETTI, Le missioni popolari. i grandi gesuiti italiani, Milano 1988. 73 74

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quelle che promuovevano il culto eucaristico, la devozione al Rosario, la preparazione a una morte cristiana, le opere di carità e l’azione sociale77. le varie forme di evangelizzazione miravano a spingere i fedeli alla pratica religiosa, che sostanzialmente equivaleva alla ricezione dei sacramenti e alla partecipazione alla messa festiva. Particolare attenzione si prestava all’osservanza del precetto pasquale della confessione e della comunione. fino al ’600 i vescovi promuovevano forme di controllo per gli inadempienti. volendo approfondire il tema della fede cristiana del popolo siciliano, una particolare riflessione deve riguardare la pietà popolare, badando di non limitare l’analisi alle feste patronali, ma di privilegiare la modalità di approccio alla divinità e al sacro e alle diverse forme con le quali questa religiosità si esprime78. Un giudizio sul popolo cristiano non può essere fondato sugli elementi che ci offrono le relazioni ad limina. Nelle prime relazioni, quando mancava un preciso questionario al quale i vescovi dovevano rispondere, si hanno solo generiche affermazioni, che riguardano casi particolari affrontati dal vescovo nel corso della visita pastorale o esprimono giudizi di scarsa rilevanza79. Solo a partire dalle relazioni redatte nella seconda metà del ’700, i vescovi danno risposte più articolate alla specifica domanda del questionario preparato dalla Congregazione. 9. la DIOCESI DI CaTaNIa E Il SUO ORDINaMENTO

l’ordinamento della città e della diocesi di Catania deve essere letto nel quadro dell’ordinamento ecclesiastico della Sicilia. le due distinte realtà hanno caratteristiche proprie, che è necessario tenere presenti per S. CUCINOTTa, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra Cinque e Seicento, Messina 1986, 129-276; Seminario di ricerca Associazioni e confraternite laicali in Sicilia in età moderna, in Synaxis 17 (1999) 191-362. 78 Seminario di ricerca Religione popolare e fede cristiana in Sicilia, in Synaxis 16 (1998) 353-564. 79 Si veda, ad esempio, il rilievo fatto dal vescovo di Catania Marcantonio gussio a conclusione della sua relazione molto ricca di dati: «gli abitanti di questa diocesi (ringraziando la divina Maestà) professano tutti la fede cattolica e non abbiamo trovato nessuno che si sia allontanato da essa» (rel. 1655, fol. 207v). 77

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comprendere l’azione pastorale dei vescovi e i loro rapporti con le diverse autorità locali. la città di Catania era stata conquistata dal Conte Ruggero nel 1071. Dieci anni dopo, i numerosi islamici presenti nella città tentarono una ribellione, soffocata da giordano, figlio di Ruggero. Questi, per evitare il ripetersi di episodi analoghi, decise di affidare il governo della città ad una persona di sua fiducia, a cui pensò di conferire poteri straordinari. la scelta cadde sul benedettino bretone angerio, che lo stesso Conte Ruggero andò a prelevare dall’abbazia di Sant’Eufemia in Calabria con un consistente gruppo di monaci. ad angerio affidò il governo della città e dell’abbazia di Sant’agata, istituita il 9 dicembre 1091. l’anno successivo, quando il 9 marzo 1092 fu eretta la diocesi, allo stesso monaco affidò l’ufficio di vescovo. Pertanto nella stessa persona troviamo riunite le tre distinte giurisdizioni di signore feudale di Catania, abate di Sant’agata e vescovo della diocesi80. altre sovrapposizioni di non poco rilievo troviamo fra la chiesa di Sant’agata — divenuta anche cattedrale — e l’abbazia benedettina, i cui monaci formavano il capitolo della cattedrale. Inoltre l’ingente patrimonio donato dal Conte Ruggero ad angerio doveva servire allo stesso tempo come demanio della città, come fonte di sostentamento dei monaci, di manutenzione dell’abbazia e della cattedrale e come dote della mensa vescovile81. Quando Catania, prima del 1240, sotto l’imperatore federico II, da città feudale soggetta al governo del vescovo divenne città demaniale dipendente direttamente dal re, non si pensò di dividere il patrimonio comune all’abbazia, alla città e al vescovo. Questa situazione fu per secoli causa di interminabili conflitti fra il vescovo e i monaci da una parte; fra il vescovo e le magistrature cittadine dall’altra. I monaci reclamavano dal vescovo una quota delle rendite del patrimonio per il proprio sostentamento e per le spese di manutenzione della cattedrale; le magistrature cittadine vigilavano perché il vescovo non cedesse alla facile tentazione di alienare

a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 7-19. Sulla consistenza del patrimonio della mensa vescovile di Catania si veda infra il bilancio del 1729, allegato alla relazione ad limina del vescovo Pietro galletti del 1734. Il documento, per quanto tardivo, permette di individuare i vari cespiti che contribuivano a raggiungere un introito lordo di onze 8064,16,4,3. Da questa somma bisognava detrarre onze 5968,5,5 che il vescovo doveva pagare come ‘pensione’ a enti o a privati su indicazione del re o del papa o come oneri per le diverse attività diocesane. 80 81

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o di dare in enfiteusi i boschi e i terreni sciarosi dell’Etna, che costituivano il demanio della città e sui quali gravavano gli usi civici del legnatico, del ghiandatico e dell’erbaggio82. In diversi casi queste controversie si conclusero con l’allontanamento o con la deposizione del vescovo83. la circoscrizione assegnata nel 1092 dal Conte Ruggero alla diocesi di Catania era molto vasta, comprendendo gran parte del territorio etneo fino al fiume alcantara con le città di Catania, aci, adernò o adrano, Motta, Paternò e la zona detta delle montagne, cioè dei monti Erei, con le città di agira, assoro, aidone, Calascibetta, Castrogiovanni o Enna, Centuripe, Piazza, Regalbuto84. a queste bisogna aggiungere nei secoli seguenti le città di nuova fondazione, edificate dai profughi albanesi (Callicari poi bianca villa) o in seguito alla colonizzazione dei feudi (barrafranca, Catenanuova, leonforte, Mirabella, Nissoria, Pietraperzia, Ramacca, valguarnera, villarosa) e tutti i centri abitati della zona etnea, nati come ‘casali’ di Catania o di Paternò, ai quali nel tempo fu concessa l’autonomia amministrativa (Camporotondo, Malpasso poi belpasso, Mascalucia, Misterbianco, Nicolosi, Plache o gravina, San giovanni galermo, San giovanni la Punta/ Trappeto, San gregorio, San Pietro, Sant’agata, Santa Maria di licodia, Pedara, Trecastagni, Tremestieri, viagrande, Zafferana)85.

82 M. gaUDIOSO, La questione demaniale in Catania e nei “casali” del bosco etneo. il vescovo-barone, Catania 1971; a. lONghITaNO, istituzioni di cristianità a Catania nel ’400, cit. 83 Si vedano le controversie che ebbero come protagonisti — per problemi patrimoniali o giurisdizionali — i vescovi vincenzo Cutelli (1577-1589), Innocenzo Massimo (16241633), Ottavio branciforte (1638-1646), andrea Riggio (1693-1717). 84 Nella bolla di Urbano II del 9 marzo 1092, con cui è rifondata la diocesi di Catania, non c’è un elenco completo dei centri abitati che appartenevano alla sua circoscrizione. Sono indicati solamente quelli che servivano a distinguere un certo territorio (a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 11). 85 I confini della diocesi di Catania stabiliti in età normanna non subirono variazioni sino alla prima metà dell’’800, quando i borboni decisero di procedere in Sicilia all’erezione di nuove diocesi. Poiché non si trattò di un piano organico concepito e attuato unitariamente, nell’arco di alcuni decenni i confini della diocesi di Catania subirono una serie di variazioni con la sottrazione di diversi comuni e l’assegnazione di altri. Nella circoscrizione di Caltagirone (1816) furono inclusi i comuni di Ramacca e Mirabella. In quella di Piazza (1817) i comuni di Piazza, aidone, barrafranca, Enna, Pietraperzia, valguarnera, villarosa. In quella di Nicosia (1817) i comuni di agira, assoro, Centuripe, leonforte, Nissoria, Regalbuto. la diocesi di acireale fu eretta nel 1844, ma la bolla fu eseguita nel 1872, anno in cui furono sottratti alla giurisdizione del vescovo di Catania i comuni di acireale, aci Castello/Trezza, aci Catena/San filippo, aci Sant’antonio/valverde, aci bonaccorsi. Nel 1844 furono inclusi nella circoscrizione della diocesi di Catania i comuni di bronte e

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Si trattava di centri abitati che avevano una diversa configurazione giuridica: alle città demaniali, dipendenti direttamente dal re, alle quali nel tempo furono concessi statuti propri e la facoltà di eleggere annualmente le magistrature cittadine dalla mastra nobiliare, facevano riscontro le terre feudali, nelle quali l’esercizio dei pubblici poteri spettava al feudatario. I rapporti del vescovo con le autorità locali dovevano necessariamente tener conto del particolare statuto giuridico delle città. l’ordinamento interno della diocesi di Catania prevedeva i vicari foranei, che in una determinata circoscrizione esercitavano l’autorità delegata loro dal vescovo, con il supporto di una curia locale86. la cura delle anime era esercitata con modalità differenti: a Catania i sacramenti erano amministrati nella cattedrale e in alcune chiese succursali da cappellani amovibili nominati dal vescovo; nelle altre città esistevano modelli diversi: dalle chiese sacramentali senza territorio distinto e con vicari amovibili nominati dal vescovo, alle parrocchie con territorio distinto e parroco perpetuo che troviamo a Enna, alle comunìe o chiese recettizie, esistenti a Regalbuto, assoro, Paternò, agira, acireale, che nel tempo si trasformeranno in collegiate87. Il vescovo Nicola Maria Caracciolo, a metà del sec. xvI, aveva tentato una riforma dell’esercizio della cura delle anime, accogliendo l’invito del Concilio di Trento e del viceré giovanni de vega di erigere parrocchie autonome con parroco perpetuo. Il suo tentativo non andò a buon fine per l’opposizione incontrata a Catania e a Piazza dalle magistrature cittadine88. I suoi successori riuscirono ad apportare qualche modifica all’ordinamento esistente nella città di Catania: pur mantenendo il modello della cattedrale come unica parrocchia e di alcune chiese sacramentali come succursali, riuscirono a definire le circoscrizioni delle chiese sacramentali e a garantire rendite sicure ai vicari responsabili della cura delle anime89.

Maletto. Durante l’episcopato del vescovo Salvatore ventimiglia (1757-1772) la città di Calascibetta era stata sottratta alla diocesi di Catania e assegnata alla giurisdizione del giudice della Regia Monarchia. 86 ibid., 35-40. 87 ibid., 21-40; 134-136. Per la particolare configurazione giuridica delle comunìe siciliane, rispetto alle chiese ricettizie delle regioni meridionali italiane, vedi a. lONghITaNO, La “comunìa” nell’area nissena: modello giuridico e finalità pastorali, in Synaxis 15 (1997) 283-310. 88 a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 79-116. 89 ibid., 117-148; M. DONaTO, Le chiese sacramentali nel territorio di Aci nel Cinquecento, in Memorie e Rendiconti dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici, serie III, 5 (1985)

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Oltre al clero secolare era presente in diocesi un numero consistente di religiosi delle congregazioni monastiche e degli ordini mendicanti: benedettini, francescani, domenicani, agostiniani, gesuiti, i quali, pur non esercitando la cura delle anime, svolgevano un’intensa attività pastorale. la loro condizione giuridica di ‘esenti’ dalla giurisdizione del vescovo provocava conflitti e difficoltà di rapporto90. Numerosa anche la presenza degli ordini religiosi femminili (benedettine, clarisse, domenicane). Un vivace associazionismo laicale, di diversa origine, era presente in tutti i centri abitati della diocesi: dalle antiche associazioni di arti e mestieri, trasformatesi man mano in confraternite, ai terzi ordini, alle confraternite dell’orazione e della morte, fondate dai missionari gesuiti, a quelle del ss. Sacramento, fondate dai domenicani, e una molteplice tipologia di associazioni di varia natura, che si proponevano come fine la formazione cristiana dei soci e le opere di carità91. la fondazione del seminario dei chierici, dopo la chiusura del Concilio di Trento, era stata sollecitata dal re di Spagna ai vescovi di Sicilia in una lettera circolare. Il 20 dicembre 1568 il capitolo della cattedrale rispose che, essendo la diocesi di Catania vacante per la morte di Nicola Maria Caracciolo, era necessario attendere la nomina del nuovo vescovo per attuare una iniziativa così importante92. Sembra che fra le priorità del programma pastorale di antonio faraone, nominato il 9 febbraio 1569, ci sia stata proprio l’erezione del seminario: fin dal suo ingresso in diocesi incominciò ad accogliere i primi aspiranti al sacerdozio nei locali della canonica, cioè nell’edificio dell’antica abbazia benedettina, posto fra la cattedrale e le mura della città; il 18 ottobre 1571, in vista della fondazione del seminario, istituì una deputazione formata dal priore della cattedrale guglielmo anzalone e dal decano Ippolito aversa, entrambi benedettini. Il decreto formale di erezione porta la data del 18 ottobre 157293, festa di

39-90; a. lONghITaNO, Oligarchie familiari ed ecclesiastiche nella controversia parrocchiale di Catania (secc. xV-xVi), in g. ZITO (cur.), Chiesa e società in Sicilia. i secoli xii-xVi, Torino 1995, 293-322. 90 la presenza dei religiosi nella diocesi di Catania è documentata da R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 561-597. Per studi particolari si vedano: a. lONghITaNO, Conflitti di competenza, cit.; ID., Gli ordini religiosi a Catania nel ’400, in Synaxis 11 (1993) 173-224; ID., Oligarchie, cit. 91 ID., L’associazionismo laicale nella diocesi di Catania nel ’600, in Associazioni e confraternite laicali, cit., 195-233. 92 Tutt’Atti 1568-1569, fol. 116-117. 93 g. POlICaSTRO, il Seminario Arcivescovile di Catania, in aSSO 44 (1948) 53-85;

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s. luca, giorno in cui nello Studium di Catania, fondato nel 144494, avevano inizio i corsi di laurea. Nelle intenzioni del vescovo, pertanto, la nuova istituzione si collocava nel solco delle antiche scuole per i chierici fondate nelle cattedrali95 e dell’Università degli studi, che teneva i corsi di laurea negli stessi locali della canonica. Nel secolo successivo il vescovo Secusio gli costruì una sede propria nella piazza grande, il vescovo astalli lo dotò di una rendita annua di 800 scudi e i canonici, durante il periodo di sede vacante, stabilirono di devolvere in suo favore i proventi delle pene96. a Catania e nelle principali città della diocesi erano stati istituiti ospedali, istituti per orfani, per l’educazione delle ragazze povere e per il recupero delle donne traviate, monti di pietà97, collegi di gesuiti per l’istruzione dei giovani provenienti dall’aristocrazia o dalle famiglie più abbienti98. Nel quadro delle strutture ecclesiastiche della Sicilia dato dai normanni, la diocesi di Catania non era stata costituita sede metropolitana, ma non era stata neppure posta sotto la giurisdizione di un metropolita. Urbano II nella bolla di rifondazione della diocesi scriveva che Catania doveva godere degli stessi diritti che aveva prima dell’invasione islamica99.

g. ZITO – C. SCalIa, Fonti per la storia della diocesi di Catania: l’Archivio Storico del Seminario, in Synaxis 1 (1983) 294-313; S. CalOgERO, La costruzione del seminario dei chierici a Catania (dalle origini alla fine del Settecento), in Synaxis 26 (2008) 97-127. 94 M. CaTalaNO, L’università di Catania nel Rinascimento (1430-1600), in Storia della università di Catania dalle origini ai giorni nostri, Catania 1934, 1-98. 95 Il papa Eugenio Iv nel 1446 aveva formalmente eretto a Catania una scuola per i chierici nei locali annessi al priorato benedettino di Sant’agata la vetere; la bolla pontificia, trascritta nei registri della curia romana, non fu spedita ed eseguita per il sorgere di ostacoli ritenuti insormontabili: a. lONghITaNO, Eugenio iV e la bolla di fondazione della «Scuola per i chierici» in Sant’Agata la Vetere a Catania, in Synaxis 19 (2001) 137-164. 96 g. POlICaSTRO, il Seminario Arcivescovile di Catania, cit. 97 l’elenco degli istituti di carità e di assistenza della città di Catania, con alcuni dati sulla loro origine e attività, si trova in: R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., I, 579; I.b. DE gROSSIS, Catanense Dechacordum, sive novissima sacra Catanen. Ecclesiae notitia […], I, Catanae 1642, 186-189. Sul tema si vedano pure: g. SORgE, Lineamenti di storia dell’ospedalità civile catanese, Catania 1940; S. RaffaElE, Dalla beneficenza all’assistenza. Momenti di politica assistenziale nella Sicilia moderna, Catania 1990; g. ZITO, Testimonianze di carità nella Chiesa di Catania (secc. xViii-xx), in g. baTURI – g. MEgNa – S. NIbalI (curr.), Domanda di salute, nostalgia di salvezza. L'Opera Diocesana Assistenza di Catania: 40 anni di interventi a servizio dell'uomo, Catania 2000, 19-33. 98 I gesuiti nella diocesi, oltre che a Catania (1556), avevano un collegio nelle città di Piazza (1602) e di Enna (1619): M. CaTalaNO, La fondazione e le prime vicende del collegio dei gesuiti in Catania (1556-1579), in aSSO 13 (1916) 34-80. 99 «[…] quicquid ad cathaniensem ecclesiam ex antiquo iure pertinuisse poterit com-

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Nel 1183, quando su istanza di re guglielmo II il papa lucio III eresse la nuova diocesi di Monreale e la dichiarò sede metropolitana, le assegnò Catania come sua suffraganea100. Catania, nella convinzione che fosse stato leso un suo diritto, rivendicò lo stato di sede metropolitana posseduto fin dall’antichità. Il processo si protrasse per decenni ed ebbe diverse istanze, fino a quando il 4 maggio 1607 il tribunale della Rota rigettò definitivamente la tesi sostenuta dai catanesi101. Solo nel 1859 Catania fu elevata a sede arcivescovile senza suffraganei e all’arcivescovo fu concesso il pallio. 10. lE RElaZIONI AD LiMinA DElla DIOCESI DI CaTaNIa: CRITERI DI EDIZIONE

le relazioni, che i vescovi di Catania incominciarono ad inviare a Roma a partire dal 1590 in occasione delle visite ad limina apostolorum, sono conservate nell’archivio Segreto vaticano, fondo Congregazione del Concilio, Relationes dioecesium, 207 a-b. ho avuto per la prima volta fra le mani le relazioni della diocesi di Catania nel 1964, quando ancora erano custodite nella sede della Congregazione e le ho utilizzate nel mio studio su La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il Concilio di Trento. Il contenuto delle due scatole è riportato in questo prospetto:

anno 1590 1592 1596 1612 1616 1620 1623 1626

vescovo giovanni Corrionero giovanni Corrionero giandomenico Rebiba bonaventura Secusio bonaventura Secusio giovanni Torres de Osorio giovanni Torres de Osorio Innocenzo Massimo

Data102 22.09.1590 1592 01.03.1596 26.10.1612 10.06.1612 25.05.1620 02.05.1623 10.01.1626

visitatore giovanni Caudullo Personalmente Personalmente giovanni Stagio Michele Musumarra felice de leone bernardino da Randazzo Personalmente

perire tam in diocesi quam in possessionibus in abbatis et episcopi iurisdictione ex integro sempre existant». vedi la trascrizione della bolla nel fascicolo novecentesimo anno 10921992. La Chiesa di Catania fra memoria e profezia, Catania 1992, 7-8. 100 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 458-460. 101 gli argomenti sostenuti dalla Chiesa di Catania per negare di essere suffraganea di Monreale sono esposti da I.b. DE gROSSIS, Catanense Decachordum, cit., 86-102. 102 la data è quella in cui il documento fu scritto; se manca, il riferimento è alla sua presentazione alla Congregazione del Concilio.

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anno 1629 1632 1640 1646 1655 1668 1671 1675 1679 1682 1686 1691 1702 1705 1709 1712 1714 1717 1730 1731 1734 1737 1739 1744 1746 1751 1762 1779 1785 1788 1793 1803 1807 1844 1850 1856 1869

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vescovo Innocenzo Massimo Innocenzo Massimo Ottavio branciforte Ottavio branciforte Marcantonio gussio Michelangelo bonadies Michelangelo bonadies Michelangelo bonadies Michelangelo bonadies Michelangelo bonadies Michelangelo bonadies francesco antonio Carafa andrea Riggio andrea Riggio andrea Riggio andrea Riggio andrea Riggio andrea Riggio Pietro galletti Pietro galletti Pietro galletti Pietro galletti Pietro galletti Pietro galletti Pietro galletti Pietro galletti Salvatore ventimiglia Corrado Maria Deodato Corrado Maria Deodato Corrado Maria Deodato Corrado Maria Deodato Corrado Maria Deodato Corrado Maria Deodato felice Regano felice Regano felice Regano giuseppe benedetto Dusmet

Data 09.04.1629 14.06.1632 05.01.1640 18.04.1646 1655 15.08.1668 1671 22.03.1675 09.03.1679 01.03.1682 04.07.1686 02.05.1691 14.04.1702 01.05.1705 06.11.1709 12.09.1712 10.09.1714 01.08.1717 30.10.1730 15.08.1731 14.01.1734 31.07.1737 26.09.1739 22.07.1744 06.1746 26.03.1751 12.05.1762 15.04.1779 28.03.1785 01.04.1788 06.11.1793 10.12.1802 02.07.1807 22.12.1844 08.12.1850 01.12.1856 15.08.1869

visitatore benedetto Rusticelli Personalmente Personalmente Personalmente giuseppe Pappalardo Personalmente antonio Polizzi gaspare Senese gaspare Senese Pietro gravina de Cruyllas gaspare Senese luca De Santis Pietro Riggio alessandro Della Torre giovanni battista Sciacca giuseppe aiello Personalmente Personalmente ? ? vincenzo Coniglio Pietro Profeta Pietro Profeta Pietro Profeta Pietro Profeta Pietro Profeta Pierantonio Tioli Pierantonio Tioli Pierantonio Tioli Pierantonio Tioli Pierantonio Tioli Domenico Sala Domenico Sala Egidio Maroni ferdinando Recchia francesco Illuminati ?

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anno 1873 1881 1890

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vescovo Data giuseppe benedetto Dusmet 01.12.1873 giuseppe benedetto Dusmet 23.12.1881 giuseppe benedetto Dusmet 01.12.1890

visitatore ? ? ?

Se si esclude qualche rara eccezione, di questi documenti non c’è traccia nell’archivio Storico Diocesano. ho iniziato la loro pubblicazione integrale nel 1983, quando i primi nove documenti — senza il profilo dei vescovi che li avevano redatti — apparvero nella rivista dello Studio Teologico S. Paolo di Catania Synaxis103. a partire dal secondo numero104 ho seguito il criterio di premettere al testo dei documenti un breve profilo del vescovo, con i dati essenziali della sua biografia, della sua formazione culturale e le linee della sua azione pastorale, desunti: dai Processus Datariae, dai Processus Consistoriales105, dalla letteratura coeva e dai documenti dei primi anni di governo conservati nell’archivio Storico Diocesano. In tal modo le relazioni perdevano il carattere di documento burocratico anonimo per diventare l’espressione di un pastore che ha una sua personalità, una sua visione di Chiesa e svolge il suo ministero in un preciso momento storico. Com’è noto, le relazioni sono scritte in lingua latina, a volte in uno stile di non facile lettura anche per gli addetti ai lavori. Per facilitare la loro utilizzazione storiografica a coloro che trovano nella lingua latina un ostacolo insormontabile, alla pubblicazione del testo originale avevo premesso una libera traduzione in lingua italiana. Nonostante la ripetitività di molte relazioni, avevo ritenuto opportuno pubblicarle integralmente, per evitare discutibili scelte soggettive e per offrire agli studiosi nella sua interezza un materiale ricco e vario. Nel 1996, pubblicando le quattro relazioni inviate a Roma dal vescovo giuseppe benedetto Dusmet (1867-1904), scrivevo di considerare concluso il mio lavoro e facevo notare: 103 a. lONghITaNO, Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1590-1632), in Synaxis 1 (1983) 225-259. 104 ID., Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1640-1646), in Synaxis 2 (1984) 281-446. 105 D. gEMMITI, il processo per la nomina dei vescovi. Ricerche sull’elezione di vescovi nel sec. xVii, Napoli-Roma 1989.

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«la riforma della Curia romana, introdotta da Pio x nel 1908, determinò notevoli cambiamenti nel modo di redigere le relazioni. Mentre in passato il vescovo, pur dovendo seguire uno schema era libero di stendere le risposte, in seguito alla riforma fu obbligato a scrivere la risposta dopo ogni domanda di un dettagliato questionario predisposto dalla Congregazione Concistoriale. Pertanto le risposte dei vescovi, oltre a risultare molto più brevi e concise, possono essere comprese solo dopo aver letto la relativa domanda. In poche parole: la pubblicazione delle risposte dei vescovi obbliga di volta in volta alla pubblicazione del voluminoso questionario. È nelle nostre intenzioni — se Dio ci darà il tempo e le forze — riunire in uno o più volumi le relazioni finora pubblicate, dopo un’attenta revisione dei testi, dei criteri metodologici e la compilazione di adeguati indici analitici. Ringraziamo intanto coloro che con le loro osservazioni ci hanno aiutato o vorranno aiutarci a portare a compimento l’edizione definitiva di una fonte così interessante per la storia della Chiesa di Catania e delle altre Chiese che da essa sono nate»106.

Oggi, trovandomi nelle condizioni di realizzare il voto formulato nel 1996, sento il dovere di informare il lettore dei criteri che mi hanno guidato nel raccogliere in questi due volumi i saggi apparsi su Synaxis negli anni 1983-1996: a) ho ritenuto necessario descrivere brevemente nell’introduzione i tratti specifici dell’ordinamento ecclesiastico della Sicilia e della diocesi di Catania per evitare inutili ripetizioni nei profili biografici dei vescovi; b) ho redatto il profilo mancante dei primi cinque vescovi: giovanni Corrionero (1589-1592), giandomenico Rebiba (1595-1604), bonaventura Secusio (1609-1618), giovanni Torres Osorio (1619-1624), Innocenzo Massimo (1624-1633); c) ho trascritto o riferito tutta la documentazione che accompagnava o seguiva ogni relazione trasmessa a Roma: procure, documenti, certificati delle visite alle basiliche, note, richiami ed esortazioni…, attingendo anche alle altre fonti dell’archivio della Congregazione del Concilio107; d) non ho mutato il criterio di premettere al testo originale latino del documento una sua libera traduzione italiana;

a. lONghITaNO, Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1869-1890), in Synaxis 14 (1996) 213-316: 242 in nota. 107 h. CROvElla, De Libro Visitationum, cit.; a. PaRISElla, «Liber Litterarum» Sacrae Congregationis Concilii, in La Sacra Congregazione del Concilio, cit., 447-476. 106

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e) la trascrizione dei documenti originali è stata fatta nel rispetto sostanziale del testo: le abbreviazioni più difficili sono state sciolte; si è uniformato all’uso moderno il criterio delle maiuscole e delle minuscole; sono utilizzati i segni { } per indicare integrazione di parole necessarie al senso; di solito le lettere y e j sono state trascritte con i; f) il materiale contenuto nelle due scatole è stato più volte riordinato (non senza inconvenienti) e ai fogli è stata applicata la numerazione meccanografica. Per una svista dell’addetto al riordino, alcuni documenti riguardanti la diocesi di Catanzaro (Catacen.) furono inseriti fra le relazioni di Catania (Catanen.) e viceversa. Quando ci si accorse dell’errore, i documenti furono rimessi al loro posto e si modificò una seconda volta la numerazione meccanografica. Poiché queste vicende si sono verificate durante la pubblicazione delle relazioni di Catania nella rivista Synaxis108, non è stato possibile seguire un criterio unitario nei riferimenti ai numeri dei fogli delle relazioni originali. Pensavo di risolvere definitivamente questo problema nella pubblicazione di questi volumi; ma nell’ultima verifica fatta all’archivio vaticano (novembre 2008) ho costatato che la numerazione meccanografica della seconda scatola dei documenti, a partire dal fol. 138r, non è stata ancora corretta. Pertanto ho ritenuto opportuno restare fedele alla numerazione originaria, che risulta dalle fotocopie in mio possesso, invece di far riferimento a quella successiva che mi aguro possa essere al più presto modificata; g) ho corredato i volumi di un indice analitico per agevolare la consultazione e l’utilizzazione storiografica109. 108

230-231.

a. lONghITaNO, Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1590-1632), cit.,

109 Per offrire agli studiosi la possibilità di riscontri e comparazioni, cito alcuni saggi sulle relazioni ad limina di altre diocesi siciliane pubblicate negli scorsi decenni: P. MagNaNO, La Chiesa Siracusana nel 1739. una «relazione ad limina» di Mons. Matteo Trigona, in Synaxis 2 (1984) 526-573; S. PagaNO – g. CaSTalDO, Le visite «ad limina apostolorum» dei vescovi di Piazza Armerina e le loro relazioni sullo stato della diocesi (18181920), in aSSO 83 (1987) 73-135; g. NICaSTRO, Le «Relazioni ad limina» del primo vescovo di Acireale, in Memorie e rendiconti dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici, serie III, vol. 5 (1985) 113-270; ID., La Sicilia occidentale nelle relazioni «ad limina» dei vescovi della Chiesa Mazarese (1590-1693), Mazara del vallo 1988; ID., La Sicilia occidentale nelle relazioni «ad limina» dei vescovi della Chiesa Mazarese (1695-1791), Mazara del vallo 1989; ID., La diocesi di Mazara nelle relazioni «ad limina» dei suoi vescovi (1800-1910), Mazara del vallo 1992; a. lONghITaNO, La Chiesa palermitana nelle relazioni «ad limina» dell’Ottocento, cit.

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Non escludo che in un prossimo futuro possa pubblicare le relazioni del vescovo giuseppe francica Nava (1895-1928)110, che in quest’ultimo decennio sono state rese accessibili dall’archivio Segreto vaticano. Non ho ritenuto opportuno inserirle in questi volumi, perché la loro particolare natura avrebbe richiesto un cambiamento di criterio e di metodo e perché possono costituire l’avvio di una seconda serie di documenti riguardanti il ’900.

110 la prima relazione del vescovo giuseppe francica Nava (1904) si trova assieme a quelle dei suoi predecessori nell’aRChIvIO SEgRETO vaTICaNO, Congregazione del Concilio, Relationes Dioecesium, ma i fogli non sono stati numerati in continuità con gli altri documenti contenuti nello scatolo. le altre tre (1909, 1916, 1922) nel fondo omonimo della Congregazione Concistoriale.

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gIOvaNNI CORRIONERO (1589-1592) 1. la fIgURa E l’aZIONE PaSTORalE

la diocesi di Catania per un decennio era stata governata dal vescovo vincenzo Cutelli1, appartenente ad una famiglia dell’aristocrazia locale bene introdotta nella regia curia di Palermo e alla corte di Spagna. Il suo governo era stato segnato da aspri conflitti, provocati dalla ferma volontà del vescovo di recuperare il patrimonio ecclesiastico usurpato dall’aristocrazia e dalle magistrature cittadine, di ripristinare gli antichi privilegi giurisdizionali concessi dai normanni al vescovo di Catania, di estirpare gli abusi nella vita religiosa della città. l’attuazione di un programma pastorale così impegnativo avrebbe richiesto non comuni doti di prudenza e di controllo, che il vescovo dimostrò di non possedere. gli inevitabili ricorsi a Roma delle persone che ritenevano di aver subito dei torti provocarono un primo processo, che si concluse con un richiamo, e un secondo processo che si concluse con la sua destituzione. Il papa Sisto v, il 16 gennaio 1589, informava personalmente i cardinali riuniti in concistoro che era stato costretto a rimuovere il vescovo di Catania vincenzo Cutelli e ordinare che venisse rinchiuso in un monastero2. Per sostituire il vescovo rimosso, il re filippo II presentò giovanni Corrionero, un sacerdote spagnolo di circa 43 anni, nato a babilafonte nella diocesi di Salamanca, licenziato in diritto canonico, titolare di una prebenda canonicale a Cordova, che da dieci anni svolgeva a Palermo l’ufficio di inquisitore generale della Sicilia3. Era una delle tante presenze del dominio

1 Sulla figura del vescovo vincenzo Cutelli si vedano le note di I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, Catanae 1654, 267-272; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., I, 555-556; v.M. aMICO, Catana illustrata, II, Catanae 1746, 420-424; f. fERRaRa, Storia di Catania sino alla fine del secolo xViii, Catania 1819, 146-148. Inoltre il moderno profilo di g. fallICO, Cutelli Vincenzo, in DbI, xxxI, Roma 1985, 533-534 e i saggi di a. lONghITaNO, Oligarchie, cit., 293-322; ID., il vescovo Vincenzo Cutelli (1577-1589) cancelliere dello «Studium», in Siculorum Gymnasium NS. 50 (1997) 461-507. 2 Acta Cam 12, fol. 110v; Acta Misc, 14, fol. 161v. 3 Sul vescovo Corrionero hanno scritto I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 271-274; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit. 556-557; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 425-428;

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spagnolo in Sicilia, che faceva sentire il suo peso anche sulle strutture religiose. Il papa Sisto v nel concistoro del 6 marzo 1589 nominò giovanni Corrionero vescovo di Catania. al vescovo eletto fu imposto l’obbligo di detrarre dalle rendite del suo beneficio 600 scudi per il suo predecessore e 1.400 scudi a persone gradite al re, che il papa avrebbe indicato4. giovanni Corrionero fu consacrato nel duomo di Palermo l’8 maggio 1589 da ludovico Torres arcivescovo di Monreale, Diego de haedo vescovo di agrigento e francesco gonzaga vescovo di Cefalù5. Prima della consacrazione, il 25 aprile 1589, aveva preso possesso della diocesi di Catania per procura, conferita a Cristoforo hernandes flores e girolamo Riccobono con atto rogato a Palermo dal notaio giovanni battista Comito6. In attesa del suo ingresso a Catania (5 giugno 1589), il governo della diocesi fu affidato ai vicari generali Cristoforo hernandes flores, tesoriere del capitolo della cattedrale, e Pietro Roccatagliata, tesoriere del capitolo della collegiata Santa Maria dell’Elemosina7. fra i primi atti di governo posti a nome del nuovo vescovo, il vicario Pietro Roccatagliata fece emanare un editto per un censimento/verifica del clero della diocesi: «Si ordina et comanda di ordine et comandamento dello molto spettabile et molto rev.do signor vicario generale di Catania in virtù dello presente editto a tutti et singuli rev.di et ven. sacerdoti, diaconi, subdiaconi et clerici in minoribus constituti che infro termino di giorni tre habbiano et debbiano presentare et havere presentato in potere del magnifico mastro notaro della gran corte episcopale di Catania le loro lettere di li ordinationi per essi respettive

f. COlONNa, Vite de’ vescovi di Catania, manoscritto b 5 della biblioteca Civica Ursino Recupero di Catania, fol. 196-197; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 148-149. 4 «Referente rev.mo Dezza providit ad Regis Catholici praesentationem Ecclesiae Cathanien. vacantem per privationem vincentii de persona Ioannis Corrionero ipsumque in episcopum praefecit et pastorem curamque committendo, cum reservatione pensionis 600 scutorum pro ipso vincentio et 1.400 pro personis per Sanctitatem Suam nominandis praedicto Regi gratis et salvis pensionibus antiquis quae omnes simul tertiam partem ipsius Ecclesiae fructum non excedunt et cum clausulis opportunis et consuetis, absolvens etc.» (Acta Misc 14, fol. 167v). la bolla di nomina papale è contenuta nella esecutoria viceregia registrata negli atti della curia (Tutt’Atti 1589, fol. 96v-98r). 5 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 272. 6 Tutt’Atti 1589, fol. 101r-103r. 7 Negli atti di curia troviamo per la prima volta la firma del vicario generale Cristofaro hernandes flores in un documento del 25 aprile 1589 (Tutt’Atti 1589, fol. 105r) e quella di Pietro Roccatagliata a partire dal 29 aprile 1589 (ibid., fol. 128r-v).

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ricevuti ad effetto di assignaricichi loro lochi in processione, sotto pena di uncia una applicanda ad opiri pii ad arbitrio di esso signor vicario. Catania die 4 maii, 2 ind., 1589. De mandato multum spett. et multum rev. dominus vicarius generalis Catanie. guglielmus Sinopoli, magister notarius»8.

In due editti firmati da quest’ultimo il 7 maggio 1589 riguardanti i canonici della collegiata e della cattedrale troviamo alcuni elementi utili per conoscere la situazione che il nuovo vescovo avrebbe trovato in diocesi al suo ingresso:

«Perché alle volte nel choro e processione sogliono succedere alcuni disordini per li rev.di canonici della collegiata et anco preti e clerici chi in quella sonno ascritti non vanno alli loro {lochi} di antiquità come convene, ma si miscolano tutti insiemi ondi avveni che non si conosce cui sia canonico, prete semplice o clerico con grande ignominia della dignità canonicale e scandalo del populo. Pertanto per oviare a tali inconvenienti si ordina et comanda a tutti li reverendi canonici della collegiata di questa città et alli preti e chierici che in quella sono scritti et intervenino alli divini offitii e che in futurum interveniranno, sotto pena di tarì 12 pro qualibet vice et quolibet contravenienti di applicarsi ad operi pii, di qua innanti nissuno presuma stare nel choro et andare alle processione mescolati, ma ogni uno si debbia pigliari il loco suo convenienti del iorno della sua recettioni in canonico et li preti e chierici rilasciò de li iorni della sua ordinacione, a magior ordine, conforme a come li sarà ordinato dal thesoriero alla processione, la spalla destra allo più antiquo, et nel choro conforme a come li sarà ordinato il rev.do ciantro di quella. Et fisso le medesime pene et si ordina et comanda a detti rev.di preti et chierici ut supra che, nelli giorni che soglino intervenire alli divini offici nelli quali si usano le suppellicie, vogliano tutti in quello intervenire con li loro suppellicie, et stare con habiti decenti a clerici et non con cappelli né altro habito laicale, per cessare lo scandalo del populo, eccetto che non fussi iorno piovoso et non festivo; et si alcuno non si retrovasse la suppellicia per la quale come ben vista alla maggiore del choro che in quel giorno si troviria contarle senza suppellicia stassi con li altri canonici, preti et chierici che sonno vestiti con suppellicia, et che per nessuno modo debba intonare l’antifona né fare altro in choro come canonico, ma ciò debbano fare gli altri che sono con le suppellicie. Et acciò di questa ordinacione nessuno possa allegare ignoranza si ha fatto fare il pre-

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ibid., fol. 134r-v.

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sente editto et affissare nel choro di detta collegiata. Datum Cathanie, die vII maii, II ind. 1589. Don Petrus Roccatagliata, vicarius generalis»9.

«Perché non senza grandissimo scandalo et puoco reverentia del culto divino si vede che in la matrice ecclesia nel cantare dello hore canonicali et maxime della messa maggiore et vespere nelle domeniche e feste comandate non ci interviene nissuno clerico, pertanto in virtù del presente editto si provede, ordina et comanda chi di qua innanti tutti li clerici incomenzando dalli ordini minuri infino a li diaconi inclusive, in le domeniche et feste comandati vogliono et debeano intervenire in detta matrice ecclesia in la missa maggiore et vespere sotto pena di onze 12 per ogni uno per ogni volta che’interveniranno applicandi ad usi pii. avvertendo che si eligirà a questo effetto puntaturi il quale puntirà alli casi quelli che non veniranno dal principio in sino al fine di detti offitii. Di più di ordina sotto la medesima pena et a nostro arbitrio chi tutti rev.di canonici, sacerdoti e clerici di questa città vogliano et debbiano intervenire nelle processione che si faranno per lo avvenire avvertendo chi li punti saranno quelli cioè di supra. Datum Catanae, die 7 maii, 2 ind., 1589. D. Petrus Roccatagliata, vicario generale Catanen.»10.

fra le iniziative del vescovo Corrionero degne di essere ricordate, gli storici locali citano: — il ripristino delle riunioni di clero per risolvere i casi di coscienza, due volte la settimana, in cattedrale (14 ottobre 1589) 11, cioè le riunioni periodiche di clero nelle quali si affrontavano problemi di teologia morale, partendo da casi concreti. Si trattava di una prassi comune, raccomandata da Roma per aggiornare il clero e aiutarlo nella celebrazione del sacramento della confessione. l’iniziativa del vescovo Corrionero non era nuova, perché il suo predecessore Nicola Maria Caracciolo aveva affidato ai padri gesuiti lo stesso compito12. Probabilmente la prassi era andata in disuso. — i lavori di trasformazione della cattedrale. Il coro e il presbiterio, un tempo collocati al centro della crociera del transetto, furono trasferiti nell’abside maggiore, dove il pavimento fu alzato notevolmente di quota. Il nuovo assetto voluto dal vescovo veniva incontro alle esigenze di ‘spet9

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ibid., fol. 140bisr-141r. ibid., fol. 141r-v. I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 272; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 426. a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 59-62.


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tacolo’ religioso richieste dalla liturgia rinascimentale, ma finirono per snaturare il progetto originario dell’antico tempio romanico13. Nel nuovo presbiterio si avviò l’esecuzione del coro ligneo con gli stalli dei canonici nella cattedrale, commissionato al napoletano Scipione di guido (1587-1604). Nei pannelli superiori furono raffigurati il martirio di s. agata e le vicende del rientro delle sue reliquie da Costantinopoli a Catania14; — l’abbellimento del fercolo o vara di s. Agata con dodici statuette di argento degli apostoli15; Una grave epidemia colpì la città nel maggio del 1592, per la cui cessazione il vescovo, d’intesa con le magistrature cittadine, indisse una speciale processione con le reliquie di s. agata dalla cattedrale alla chiesa di Sant’agata la vetere16. Il governo del vescovo Corrionero fu molto breve, essendo morto il 9 luglio 1592 all’età di 47 anni17. Durante il periodo di sede vacante la diocesi fu governata dai vicari Cristoforo hernandes flores, baldassarre Provenzale, Cesare Rini e biagio Murabito18.

13 R. PENNISI, notizie storiche sulla cattedrale di Catania e sull’affresco della grande abside, in aSSO 22-23 (1927-28) 249-296; Catania. Splendore del barocco. un itinerario attraverso le chiese del centro storico, a cura dell’Ufficio per i beni culturali dell’arcidiocesi di Catania, Catania 2005, 64. 14 l’opera comportò la spesa di 4.286 scudi d’oro (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 425) e fu portata a termine durante il governo di giovanni Domenico Rebiba, a causa della prematura morte del vescovo giovanni Corrionero (I.b. DE gROSSIS, Catanense Decachordum, I, cit., 44). 15 v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 426; g. SPaMPINaTO, il fercolo, in il tesoro di Sant’Agata. Gemmi, ori e smalti per la martire di Catania, a cura dell’Ufficio dei beni Culturali dell’arcidiocesi di Catania, Catania 2006, 161-165. 16 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 272-273; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 426-427. 17 Il suo monumento sepolcrale si trova nel transetto della cattedrale fra la cappella della Madonna e quella di s. agata. Sotto il ritratto ad olio c’è la citazione del salmo 50: «auditui meo dabis gaudium et laetitiam». Nella lapide che lo ricorda si legge: «D.O.M. D. Ioannes Corrionerus hispanus e babilafonte dioecesis Salmanticae eiusque ex collegio maiori Conchensi non minimus, in Sicilia ad decem annos dignissimus inquisitor, Catinensis Episcopus vigilantissimus, annis tribus, mensibus duobus, diebus sexdecim, pater pauperum, spectatae vitae vir integerrimus. Obiit die vIIII iulii MDxCII aetatis suae xxxxvII». 18 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 273.

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2. lE RElaZIONI AD LiMinA (1590, 1592)

Il vescovo giovanni Corrionero inviò alla Congregazione del Concilio due relazioni sullo stato della diocesi: la prima scritta dal beneficiato giovanni Caudullo, che per sua delega visitò le tombe degli apostoli; la seconda si presume sia stata scritta di suo pugno, avendo visitato personalmente le tombe degli apostoli; ma di essa non è stato conservato il testo. agli atti della Congregazione del Concilio troviamo solamente un nota con i rilievi fatti dal revisore19. la prima relazione è molto scarna. giovanni Corrionero era stato informato casualmente del documento di Sisto v, che imponeva ai vescovi di recarsi ogni tre anni a Roma per visitare le tombe degli apostoli e di presentare in questa circostanza una relazione scritta sullo stato della diocesi. Non potendo adempiere personalmente quest’obbligo e non potendo delegare un canonico della cattedrale, ottenne di assolverlo tramite il beneficiato giovanni Caudullo, che asserisce di essere in grado di rispondere alle domande sullo stato della diocesi «per avere spesso partecipato alla visita pastorale e per avere svolto l’ufficio di vicario in alcune terre con ampia potestà concessa a questo scopo dallo stesso vescovo» (fol. 1r).

Delle notizie riportate nel documento hanno qualche rilevanza quelle riferite al vescovo e alla sua attività pastorale, che è considerata prevalentemente sotto il profilo del costo economico: — lo stato giuridico della diocesi:

«anzitutto la cattedrale di Catania è dedicata a Sant’agata, è di diritto di regio patronato, come le altre Chiese del Regno di Sicilia e non è soggetta ad alcun metropolita, perché rivendica il diritto di esenzione dalla Chiesa di Monreale; su questa esenzione c’è in corso un processo in seconda istanza presso il tribunale della Regia Monarchia» (fol. 1r-v).

Il redattore del documento ha interesse a descrivere preliminarmente lo stato della diocesi e fa notare che Catania, come tutte le Chiese di Sicilia, 19

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è di regio patronato, con tutte le conseguenze che questo suo stato comporta: il re ha il diritto di presentare al papa il nome del vescovo, ha il dominio eminente sui beni che costituiscono il patrimonio della mensa vescovile20. Coerentemente con la tesi sostenuta nella secolare controversia con la diocesi di Monreale, nel documento si afferma che Catania non è sua suffraganea21; — la cattedrale:

«avendo trovato la cattedrale senza il coro e la sagrestia senza suppellettili, per supplire queste mancanze, spese 300 scudi del proprio denaro per restaurare la cattedrale, per acquistare le suppellettili della sagrestia e 2 candelabri d’argento. Si sta costruendo un coro di noce in forma adeguata alla suddetta chiesa» (fol. 2r);

— l’istruzione del clero:

«egli appena entrò nella suddetta Chiesa nominò a suo spese 2 lettori: uno doveva spiegare i casi di coscienza, l’altro la Sacra Scrittura. Prescrisse che in tutte le chiese delle suddette terre vi fosse un lettore dei casi di coscienza, da retribuire con gli introiti delle pene pecuniarie, che avrebbero dovuto essere devolute alle casse dell’episcopio. I frutti di queste stesse pene furono applicati ai monasteri e ai luoghi pii perché i lettori istruissero i sacerdoti e i chierici; infatti nel corso della visita avendo costatato che molti sacerdoti erano ignoranti, fu obbligato a proibire loro di celebrare la messa» (ibid.);

— l’istituzione di una cappella musicale nella cattedrale:

«il vescovo, inoltre, volle che nella cattedrale, con gli introiti del suo patrimonio, venisse istituita una cappella musicale per assicurare un maggior decoro nella celebrazione delle funzioni religiose e una maggiore affluenza di fedeli. gli ordini del vescovo sono stati già eseguiti» (l.c.). a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 7-19. gli argomenti sostenuti dalla Chiesa di Catania per negare di essere suffraganea di Monreale sono esposti da I.b. DE gROSSIS, Catanense Decachordum, cit., 86-102. la sentenza della Romana Rota, sfavorevole alla tesi di Catania, fu emessa il 4 maggio 1607. 20 21

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— la nomina dei cappellani sacramentali nella città di Catania:

«Nella suddetta città, con gli introiti del suo patrimonio, egli nominò 5 cappellani per amministrare i sacramenti ai fedeli in altrettante chiese sacramentali e per insegnare ai fanciulli il catechismo, considerato che la città è grande e ha una sola parrocchia, del tutto insufficiente a svolgere queste mansioni» (fol. 2v).

la notizia, riferita dal beneficiato in modo discorsivo e senza enfasi, costituisce la conclusione di una delle più aspre controversie che aveva contrapposto il vescovo vincenzo Cutelli ai canonici della collegiata Santa Maria dell’Elemosina. Il predecessore del Corrionero aveva sospeso il servizio dei cinque cappellani sacramentali per richiamare i canonici della collegiata all’obbligo di esercitare personalmente la cura delle anime annessa alle loro prebende. ai canonici della collegiata non fu difficile, con il sostegno morale delle famiglie di appartenenza e delle magistrature cittadine, vanificare il tentativo di riforma del vescovo e ottenere la sua deposizione, sfruttando a proprio vantaggio gli eccessi caratteriali del Cutelli22; — il restauro dell’episcopio e del monastero delle convertite:

«il vescovo trovò l’episcopio in tale stato di decadimento da far temere il crollo; per restaurarlo spese oltre 1.500 scudi del suo patrimonio. allo stesso modo ordinò che si procedesse per il monastero delle convertite, che aveva bisogno di una grande opera di restauro. Per portare a compimento questo progetto impiegò 100 scudi raccolti da pubbliche offerte e altri 100 del suo patrimonio» (fol. 2v);

— la cura per il seminario:

«nella città di Catania c’è il seminario retto secondo le norme canoniche; per il suo mantenimento il vescovo ha contribuito con una notevole somma di denaro» (l.c.);

— la visita pastorale:

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«sebbene egli abbia usato grande diligenza nel compiere la visita pastorale, a. lONghITaNO, Oligarchie familiari, cit.


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tuttavia per i molti abusi e le difficoltà incontrate ha potuto visitare solo metà della circoscrizione diocesana, lasciando le necessarie ordinazioni per ovviare a questi inconvenienti. Non ha potuto visitare il resto del territorio per l’eccessivo caldo estivo; non prevede di finire entro quest’anno recandosi nei paesi dell’Etna, dove c’è molto freddo e d’inverno non è possibile fare la visita. Il vescovo per non gravare sul clero, nella visita predetta ha speso del suo oltre 1.000 scudi» (l.c.);

— il sinodo diocesano:

«a Catania non è stato mai celebrato il sinodo diocesano; il vescovo, pertanto, con l’aiuto di Dio, a conclusione della suddetta visita, intende celebrarlo quando avrà pagato i debiti e si sarà rifatto delle spese sostenute in questo primo anno dal suo ingresso in diocesi» (l.c.).

la notizia riferita non è corretta e il beneficiato giovanni Caudullo dimostra di non essere bene informato. Come si è visto, nel corso dello stesso secolo erano stati celebrati quattro sinodi negli anni 1524, 1533, 1539, 1565, anche se le costituzioni non erano state pubblicate a stampa23. Riferisce invece una notizia fondata quando scrive che il vescovo aveva intenzione di celebrare il sinodo diocesano. Infatti giovanni Corrionero nel 1539 riunì un sinodo nel quale confermò le costituzioni elaborate nel 1565 dal vescovo Nicola Maria Caracciolo24; — la mensa vescovile:

«è gravata di molte pensioni, di tributi regi e di oneri per prebende e stipendi a canonici, beneficiati e sagristi (per essi si spendono ogni anno 1.000 scudi; a parte le altre spese sostenute per manutenzione e restauro degli edifici sacri), di 5 scudi che si pagano ogni giorno per il pane distribuito ai poveri, di altre somme versate per le opere pie, al punto che ogni anno al vescovo restano solo 1.000 scudi» (fol. 2v-3r).

la mensa vescovile di Catania aveva un ricco patrimonio, sul quale i re esercitavano il dominio eminente, secondo il modello giuridico dato dai normanni all’atto di rifondazione e di dotazioni delle Chiese di Sicilia25. 23 24 25

vedi «Introduzione». g. SavagNONE, Concili e sinodi, cit., 164. a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 7-14.

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anche il papa, in forza della sua potestĂ universale, riteneva di poter disporre delle rendite dei benefici ecclesiastici. Pertanto i re, nel presentare i candidati alle sedi vescovili, indicavano la somma che il nuovo vescovo doveva pagare dalle rendite del patrimonio della mensa vescovile a persone di suo gradimento. la stessa prassi era seguita dal papa. Questi oneri erano indicati o nella bolla di nomina o nella documentazione che l’accompagnavano. Nelle relazioni inviate a Roma dai vescovi di Catania il rilievo fatto dal beneficiato giovanni Caudullo è costante. I titolari della mensa vescovile non accettavano di buon grado l’ordine di devolvere gran parte delle rendite del loro beneficio a persone o a enti che non avevano alcun rapporto con la Chiesa di Catania. Nella seconda relazione probabilmente il vescovo aveva scritto che la cura delle anime nella cattedrale era esercitata dal capitolo. la Congregazione gli fece osservare che era preferibile affidarla ad una persona determinata26.

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1590 – Relazione del vescovo giovanni Corrionero, relativa al 1° triennio, scritta da giovanni Caudullo, beneficiato della cattedrale di Catania e presentata nel settembre del 15901.

[fol. 1r] Il Rev.mo D. giovanni Corrionero, per grazia di Dio e della Santa Sede apostolica vescovo di Catania, avendo saputo nei mesi scorsi che il papa Sisto v di santa memoria aveva ordinato all’Uditore generale delle cause della Camera apostolica di ordinare a tutti i vescovi, secondo le indicazioni date in alcune sue lettere apostoliche, di recarsi a Roma per visitare le tombe degli apostoli e per dare informazioni sullo stato delle proprie diocesi, sebbene nessuna notizia in merito fosse stata data al suddetto vescovo giovanni, questi tuttavia come figlio obbediente e fedele della Chiesa, scrisse preventivamente al suo procuratore residente presso la Curia Romana per ottenere, tramite l’interessamento dello stesso Uditore, una dilazione nel suo viaggio a Roma, per diversi motivi, esposti nel memoriale presentato a Sua Santità. Sulla base di queste sue motivazioni lo stesso vescovo giovanni ottenne da Sua Santità di mandare in sua vece un canonico della cattedrale di Catania per visitare le tombe degli apostoli e per presentare la relazione sullo stato della sua Chiesa di Catania. Il vescovo per giovarsi di questa grazia, considerato che non era in grado di inviare un canonico, sia perché la maggior parte dei canonici della cattedrale, in numero di 12, sono anziani e incapaci di affrontare un simile viaggio, sia perché a quel tempo molti di essi erano infermi, mandò me giovanni Caudullo, beneficiato perpetuo in detta cattedrale di Catania, tenuto presente che sono informato sullo stato della diocesi per avere spesso partecipato alla visita pastorale e per avere svolto l’ufficio di vicario in alcune terre con ampia potestà concessa a questo scopo dallo stesso vescovo. giunsi a Roma il 6 settembre {1590}, mentre la Sede era vacante, e mi presentai allo stesso Uditore; il 22 dello stesso mese visitai le tombe degli apostoli. Per quanto riguarda lo stato della Chiesa di Catania, a nome del suddetto vescovo giovanni, trascrivo le seguenti notizie. 1

Rel Dioec 207 a, fol. 1r-3r.

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Giovanni Corrionero (1589-1592)

anzitutto la cattedrale di Catania è dedicata a Sant’agata [fol. 1v], è di diritto di regio patronato, come le altre Chiese del Regno di Sicilia e non è soggetta ad alcun metropolita, perché rivendica il diritto di esenzione dalla Chiesa di Monreale; su questa esenzione c’è in corso un processo in seconda istanza presso il tribunale della Regia Monarchia. Nella cattedrale c’è il capitolo costituito da 4 dignità (priore, decano, tesoriere, cantore), 12 canonici, 18 beneficiati, che prestano servizio nella suddetta chiesa durante la settimana con la recita di tutte le ore canoniche, e partecipano alle distribuzioni quotidiane. Nella città di Catania c’è una chiesa collegiata intitolata a Santa Maria dell’Elemosina con 3 dignità: prevosto, tesoriere, cantore 24 canonici che, come quelli della cattedrale, prestano servizio durante la settimana ad eccezione dell’ora notturna di mattutino. Inoltre nella suddetta città hanno sede 10 monasteri femminili, dei quali 7 appartengono all’ordine di s. benedetto, uno delle convertite appartiene all’ordine di s. Chiara ed è soggetto alla giurisdizione del vescovo, altri 2 appartengono pure all’ordine di s. Chiara ma sono soggetti ai francescani dell’osservanza. Ci sono pure 9 monasteri di frati: carmelitani, minimi di s. francesco di Paola, domenicani, benedettini, francescani dell’osservanza, cappuccini, francescani conventuali. Inoltre ci sono 10 confraternite di statuti diversi con un ospedale molto grande per i poveri. Nel territorio diocesano sono incluse 5 terre, chiamate città: Piazza, Castrogiovanni, San filippo, Calascibetta e Paternò; 6 paesi chiamati comunemente terre: adernò, Regalbuto, biancavilla, Pietraperzia, Motta, assoro e aci; 20 casali ognuno dei quali contiene al massimo 200 famiglie [fol. 2r]. Nei suddetti centri abitati sorgono 12 monasteri femminili di ordini diversi, la maggior parte dei quali appartengono all’ordine di s. benedetto e di s. francesco e molte confraternite di diversa natura. Il suddetto vescovo giovanni prese possesso della suddetta diocesi di Catania lo scorso anno. avendo trovato la cattedrale senza il coro e la sagrestia senza suppellettili, per supplire queste mancanze, spese 300 scudi del proprio denaro per restaurare la cattedrale, per acquistare le suppellettili della sagrestia e 2 candelabri d’argento. Si sta costruendo un coro di noce in forma adeguata alla suddetta chiesa. Egli, appena entrò nella suddetta chiesa, nominò a suo spese 2 lettori: uno doveva spiegare i casi di coscienza, l’altro la Sacra Scrittura. Prescrisse che in tutte le chiese delle suddette terre vi fosse un lettore dei casi di 58


Giovanni Corrionero (1589-1592)

coscienza, da retribuire con gli introiti delle pene pecuniarie, che quotidianamente avrebbero dovuto essere devolute alle casse dell’episcopio, perché i lettori istruissero i sacerdoti e i chierici. Infatti nel corso della visita, avendo costatato che molti sacerdoti erano ignoranti, fu obbligato a proibire loro di celebrare la messa. I frutti di queste stesse pene furono applicati ai monasteri e ai luoghi pii. Il vescovo, inoltre, volle che nella cattedrale, con gli introiti del suo patrimonio, venisse istituita una cappella musicale per assicurare un maggior decoro nella celebrazione delle funzioni religiose e una maggiore affluenza di fedeli. gli ordini del vescovo sono stati già eseguiti. Nella suddetta città, con gli introiti del suo patrimonio, egli nominò 5 cappellani per amministrare i sacramenti ai fedeli in altrettante chiese sacramentali e per insegnare ai fanciulli il catechismo [fol. 2v], considerato che la città è grande e ha una sola parrocchia, del tutto insufficiente a svolgere queste mansioni. Il vescovo trovò l’episcopio in tale stato di decadimento da far temere il crollo; per restaurarlo spese oltre 1.500 scudi del suo patrimonio. allo stesso modo ordinò che si procedesse per il monastero delle convertite, che aveva bisogno di una grande opera di restauro. Per portare a compimento questo progetto impiegò 100 scudi raccolti da pubbliche offerte e altri 100 del suo patrimonio. Nella città di Catania c’è il seminario, retto secondo le norme canoniche; per il suo mantenimento il vescovo ha contribuito con una notevole somma di denaro. Inoltre, sebbene egli abbia usato grande diligenza nel compiere la visita pastorale, tuttavia per i molti abusi e le difficoltà incontrate ha potuto visitare solo metà della circoscrizione diocesana, lasciando le necessarie ordinazioni per ovviare a questi inconvenienti. Non ha potuto visitare il resto del territorio per l’eccessivo caldo estivo; non prevede di finire entro quest’anno recandosi nei paesi dell’Etna, dove c’è molto freddo e d’inverno non è possibile fare la visita. Il vescovo per non gravare sul clero, nella visita predetta ha speso del suo oltre 1.000 scudi. a Catania non è stato mai celebrato il sinodo diocesano; il vescovo, pertanto, con l’aiuto di Dio, a conclusione della suddetta visita, intende celebrarlo quando avrà pagato i debiti e si sarà rifatto delle spese sostenute in questo primo anno dal suo ingresso in diocesi. Infine la mensa vescovile di Catania è gravata di molte pensioni, di tributi regi e di oneri per prebende e stipendi a canonici, beneficiati e sagri59


Giovanni Corrionero (1589-1592)

sti (per essi si spendono ogni anno 1.000 scudi; a parte le altre spese sostenute per manutenzione e restauro degli edifici sacri); di 5 scudi che si pagano ogni giorno per il pane distribuito ai poveri, di altre somme versate per le opere pie [fol. 3r], al punto che ogni anno al vescovo restano solo 1.000 scudi. lo stesso vescovo ha sedato molte inimicizie inveterate, a motivo delle quali tante persone da molti anni non si confessavano e non si comunicavano e molti sacerdoti, con grave scandalo del popolo, non celebravano la messa. giovanni Caudullo, beneficiato della cattedrale di Catania {1590} II 1592 – Manca il testo della relazione, relativa al 2° triennio, presentata personalmente dal vescovo giovanni Corrionero. la sua presentazione risulta da una nota contenuta nei Libri Decretorum della Congregazione del Concilio.

«22 octobre 1592. Catania. Si trasmetta al vescovo di Catania la lettera relativa alla visita ad limina del II triennio, con l’assoluzione ecc. Egli ha assolto personalmente questo suo dovere. Nella lettera si scriva: piace alla Congregazione che nella cattedrale la cura delle anime, se è possibile, sia affidata ad una persona determinata»2.

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Libri Decr, liber vII, 1591-1593, fol. 72r.


gIaNDOMENICO REbIba (1595-1604) 1. la fIgURa E l’aZIONE PaSTORalE

alla morte del vescovo giovanni Corrionero, il re filippo II aveva presentato al papa per la sede di Catania, Prospero Rebiba1, nato a San Marco d’alunzio (ME), che aveva ereditato il titolo di patriarca latino di Costantinopoli dallo zio2, il card. Scipione Rebiba (1504-1577), fra i più stretti collaboratori di papa Paolo Iv3. la morte colse il candidato prima del suo trasferimento a Catania e filippo II, volendo onorare la memoria dello zio che aveva conosciuto nel ruolo di legato pontificio in Spagna, pensò di ripiegare su giovanni Domenico, fratello di Prospero, che lo zio Scipione nel 1570 aveva fatto nominare primo vescovo di Ortona a mare in abruzzo4. Pare che inizialmente il nuovo candidato avesse rifiutato la proposta, dicendo di preferire la povertà della Chiesa di Ortona alle ricchezze della Chiesa di Catania. Il re, ben impressionato dall’atteggiamento del vescovo, rimase fermo nel suo proposito di dare un riconoscimento alla famiglia Rebiba; il 9 giugno 1595 presentò al papa il suo nome per la sede

1 la notizia è riferita dagli storici siciliani (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 274; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 557; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 428-429). 2 Nella serie dei patriarchi latini di Costantinopoli troviamo il card. Scipione Rebiba dal 1565 al 1573 e subito dopo quello di Prospero Rebiba «eius nepos» (g. vaN gUlIk – C. EUbEl, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, Monasterii 1923, cit., 177). 3 Scipione Rebiba è considerato dagli storici fra «gli uomini eccellenti» con i quali Paolo Iv arricchì il collegio cardinalizio e cercò di attuare la riforma cattolica (E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 584). Sulla sua figura e i molteplici uffici esercitati negli anni della Riforma si vedano l. CaRDElla, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, Iv, Roma 1793, 347-349; N. DEl RE, Monsignor governatore di Roma, Roma 1972, 84-85; C. WEbER, Legati e governatori dello Stato Pontificio: 15501809, Roma 1994, 359 e 860; b. RINaUDO – S. MIRaCOla, il cardinale Scipione Rebiba (1504-1577). Vita e azione pastorale di un vescovo riformatore, Patti 2007. 4 la diocesi di Ortona a mare era stata eretta il 20 ottobre 1570 e come primo vescovo l’8 novembre 1570 era stato nominato giandomenico Rebiba, al quale era stata concessa la dispensa perché ordinato sacerdote da appena tre mesi ed era stata condonata la tassa prevista, in quanto «nipote del cardinale Rebiba» (g. vaN gUlIk – C. EUbEl, Hierarchia catholica, cit., 263).

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Giandomenico Rebiba (1595-1604)

di Catania e gli concesse un sussidio di 3.000 scudi per far fronte alle spese di trasferimento5. Il processo informativo6, celebrato il 26 novembre 1595 secondo le prescrizioni emanate da gregorio xIv nel 15917, ci offre pochi elementi per conoscere la personalità del candidato. Dal teste antonio de Compagnis de gallesio siamo informati che giovanni Domenico Rebiba aveva circa 55 anni ed era laureato in utroque iure8. alcune notizie scarne e imprecise sullo stato della diocesi di Catania sono contenute nelle deposizioni del vescovo di Chieti Matteo Samminiati — vicario a Catania durante il governo episcopale del vescovo vincenzo Cutelli — e del sacerdote catanese lorenzo Di Marco. alla domanda se nella cattedrale veniva esercitata la «cura penitenziale dei parrocchiani» i testi risposero che a Catania non esisteva alcuna parrocchia. la «cura delle anime e penitenziale» di tutti gli abitanti della città risiedeva nel capitolo della cattedrale, che la esercitava tramite i vicari incaricati nelle chiese, chiamate sacramentali9. In realtà titolare della cura d’anime a Catania non era il capitolo ma il vescovo. Negli atti della controversia sulla riforma parrocchiale, che durante il Concilio di Trento contrappose le magistrature cittadine al vescovo Nicola Maria Caracciolo, tutti si trovarono d’accordo nell’affermare che nella città di Catania la cura delle anime era esercitata dal vescovo unico parroco e da alcuni cappellani sacramentali suoi collaboratori10. le rendite annue della mensa vescovile ammontavano a circa 15.000 scudi, ma il vescovo poteva disporne solo di 8.000. Il capitolo della cattedrale, un tempo costituito da monaci benedettini, aveva 3 dignità: il priore, che percepiva solo distribuzioni quotidiane, il cantore con una prebenda di 300 scudi, il decano con una prebenda di 150 scudi, mentre la prebenda degli altri canonici era di circa 100 scudi11. a conclusione del processo informativo sulla sua idoneità, giandomenico Rebiba dal papa Clemente vIII, nel concistoro dell’11 dicembre 1595, fu trasferito dalla diocesi di Ortona a quella di Catania12, vacante da

I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 274. Proc Cons 10, fol. 524r-529r. 7 D. gEMMITI, il processo per la nomina dei vescovi, cit. 8 Proc Cons 10, fol. 529r. 9 ibid., fol. 527r-528r. 10 a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 79-94. 11 Proc Cons 10, fol. 527r-528v. 12 «Referente cardinale farnesio fuit Dominicus absolutus a vinculo quo tenebatur ecclesiae Ortonae maris et ad praesentationem Catholici Regis translatus ad ecclesiam 5 6

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più di tre anni. Il nuovo vescovo prese possesso per procura, conferita al nipote Ottavio Cuffaro Rebiba il 24 gennaio 159613. Come vicari generali ebbe Scipione Indello, andrea Perbenedicto e giovanni battista Paternò14. fra gli atti degni di nota del suo governo pastorale gli storici ricordano: la soppressione del monastero Santa Maria del Soccorso15 e la posa della prima pietra del porto di Catania nel 160116. lo storico catanese giovanni battista De grossis, che scrive a distanza di cinquant’anni dalla sua morte, formula su di lui un giudizio molto severo17. Tuttavia non si preoccupa di motivare in modo più circostanziato la sua valutazione negativa. Di segno diverso sono i giudizi formulati da Rocco Pirri18 e da vito Maria amico19. Cathaniensem, vacantem per obitum Ioannis, cum reservatione annuae pensionis 250 scutorum pro persona nominanda» (Acta Cam, 13, fol. 59r-v). 13 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 274. 14 L.c. 15 Il monastero benedettino femminile Santa Maria del Soccorso sorgeva nel quartiere posto fra l’attuale cortile San Pantaleone e la chiesa Santa Maria della Palma. la sua soppressione avvenne all’inizio del governo pastorale del vescovo Rebiba, perché nel 1596 nell’edificio rimasto vuoto si trasferirono le clarisse del monastero San girolamo (I.b. DE gROSSIS, Catanense Decachordum, cit., I, 178). 16 lo storico f. ferrara scrive che i lavori ebbero inizio «in faccia all’angolo orientale del bastione grande», cioè nella zona dell’attuale via vecchio bastione. «Si travagliò con impegno e con considerabili spese. al nuovo anno l’opera parve a buono stato onde si affisse sulla faccia angolare del bastione grande la iscrizione D.O.M. Divae agathae patronae Catanae ortae Philippo III Rege invictissimo feriae ducis Siciliae proregis fellicibus auspiciis in civium utilitatem et exterorum refugium ut catanensium urbs ad veterem redeat dignitatem aere publico Portus operosa structura aetneis rubipus congesta construitur MDCII xII augusti. Seguono i nomi dei senatori e dei deputati per quella grande opera. Il mare nuovamente distrusse tutto; non restò che il solo marmo iscritto, contro il quale ancorché molto in alto talvolta battono le onde nei loro maggiori furori» (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 150-151). le vicende del porto di Catania sono esposte e approfondite in a. COCO – E. IaChEllO (curr.), il porto di Catania. Storia e prospettive, Catania 2003. 17 «Su questo vescovo ben poco si può dire. Negli anni del suo governo pastorale i diritti della Chiesa di Catania furono violati, sviliti e irrimediabilmente perduti a causa della sua ingenuità, delle sue modeste capacità e del carattere incline allo scoraggiamento; giudizi che non fa piacere formulare e riferire» (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 274). 18 giandomenico Rebiba aveva presieduto la commissione che conferì la laurea in teologia a Rocco Pirri. Questi scrive di lui: «vir fuit humilissimus et maxime erga pauperes miseratione insignis» (R. PIRRI Sicilia sacra, cit., 557). 19 lo storico catanese formula sui lui questo giudizio: «vir de grege suo ac urbe Catana meritissimus, cui proinde non sine lacrymis ab omnibus parentatum» (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 437).

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Giandomenico Rebiba (1595-1604)

Morì il 6 febbraio 1604. Un nuda lapide sul pavimento della cattedrale, in ossequio alle sue ultime volontà, ricordava la sua persona20. 2. la RElaZIONE AD LiMinA (1596)

Il vescovo giandomenico Rebiba adempì personalmente l’obbligo di visitare le tombe degli apostoli e consegnò la relazione il 1° marzo 1596, l’anno successivo alla sua nomina, quando ancora non conosceva lo stato della diocesi. Probabilmente scrisse il documento a Roma, riferendo i dati a memoria. Infatti i nomi di alcune città sono storpiati e alcune notizie sono errate. la stessa Congregazione non sarà rimasta soddisfatta del testo presentato, se nel dare l’attestato dell’avvenuta visita fece rilevare: «il vescovo trasmetta una relazione più consistente quando conoscerà meglio lo stato della diocesi». Delle notizie riferite nel documento possiamo rilevare quelle riguardanti: — lo Studio: «ha sede in Catania l’Università per lo studio della teologia, della giurisprudenza e delle arti, dove convergono studenti di tutto il Regno di Sicilia e molti dalle province della Calabria; spetta al vescovo conferire ai laureandi le insegne del dottorato» (fol. 6r).

Trattandosi di una istituzione della res publica christiana poteva essere enumerata fra le strutture diocesane; tenuto anche conto dell’ufficio di cancelliere assegnato al vescovo, con il compito di presiedere i momenti più importanti della vita dello Studio21; — il capitolo della cattedrale:

«nella cattedrale ci sono 3 dignità (delle quali la prima è il priore, la seconda il cantore, la terza il decano), 12 canonici con altrettante prebende, e 12

20 «D.O.M. Illustrissimi ac Reverendissimi Domini D. Ioannis Dominici Rebiba Ortonensis moxque huius clarissimae urbis Catanae Praesulis dignissimi, nec non Romani Pontificis assistentis, hoc marmore corpus exanime tegitur, anno 1604, II ind., die vero 6 februarii» (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 557). 21 a. lONghITaNO, istituzioni di cristianità, cit., 112-125.

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Giandomenico Rebiba (1595-1604)

beneficiati, che prestano servizio nella suddetta chiesa e sono obbligati alla personale residenza» (l.c.).

Come si legge nella relazione del suo predecessore, le dignità del capitolo erano 4: priore, cantore, decano e tesoriere22; — la cura delle anime:

«la cura delle anime di tutta la città e dei suoi abitanti spetta al capitolo, che la esercita tramite i vicari incaricati nelle diverse chiese, chiamate sacramentali, perché in esse si amministrano i sacramenti nei diversi quartieri della città, secondo le esigenze del popolo e degli abitanti; in essa non c’è altra chiesa parrocchiale» (fol. 6r-v).

Come già si è fatto notare, titolare della cura delle anime nella città di Catania non era il capitolo, ma il vescovo; — la mensa vescovile:

«gli introiti della mensa vescovile, secondo una prudente stima, possono essere valutati intorno ai 15.000 scudi, computando in essi le rendite della contea di Mascali; infatti al vescovo come titolare di questa contea competono gli introiti e l’esercizio della giurisdizione temporale; quella spirituale spetta all’arcivescovo di Messina, nella cui circoscrizione si trovano i territori e i centri abitati di questa contea» (fol. 6v).

Più che la consistenza del reddito della mensa vescovile, bisogna notare in questo passaggio della relazione il cenno alla contea di Mascali, di cui il vescovo di Catania era feudatario23. Come si legge nel documento, il vescovo di Catania esercitava la giurisdizione temporale, nominando le magistrature, che a suo nome riscuotevano le tasse e provvedevano a governare la contea. la giurisdizione spirituale, invece era esercitata dal vescovo di Messina;

— le «vigne di Catania» (fol. 7v): erano così chiamati i numerosi casali sorti alle falde dell’Etna, che in quegli anni erano ancora parte inte22 23

vedi rel.1590, fol. 1v. S. fRESTa, La contea di Mascali, giarre 19992.

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Giandomenico Rebiba (1595-1604)

grante della città di Catania sia dal punto di vista amministrativo, sia per l’ordinamento della cura delle anime. anche in questi centri abitati non c’erano parrocchie autonome e parroci, ma chiese sacramentali nelle quali esercitavano la cura delle anime cappellani nominati dal vescovo24. 3. Il SUCCESSORE gIOvaNNI RUIZ DE vIllOSlaDa

alla sede vescovile di Catania, rimasta vacante per la morte di giovanni Domenico Rebiba, filippo III presentò lo spagnolo giovanni Ruiz de villoslada, nato nel 1545 a Torrecilla de los Cameros, diocesi di Calahorra. Dopo aver ottenuto il baccellierato in diritto canonico a Salamanca, si trasferì a Roma, dove conseguì la laurea il 23 maggio 1600 nemine discrepante. Ricevette l’ordinazione sacerdotale a Tivoli, il 21 gennaio 1601. Era decano nel capitolo di Calahorra25. fu nominato il 6 dicembre 160526. Durante la carestia che afflisse Catania nel breve periodo del suo governo pastorale, si segnalò per la sua carità che lo indusse a vendere anche l’argenteria dell’episcopio per aiutare i poveri. Morì il 6 ottobre 1607 senza aver presentato alcuna relazione sullo stato della diocesi27.

24 a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit.; ID., Sant’Agata li Battiati: all’origine della parrocchia e del comune, in Synaxis 18 (2000) 163-227. 25 Proc Cons 2, fol. 404-422. 26 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 275, v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 437. la Hierarchia Catholica indica il 5 dicembre (Iv, 141). 27 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 557; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 437. Il suo monumento funebre si trova nel transetto della cattedrale tra la cappella del Sacramento e quella del Crocifisso. Nella lapide si legge l’iscrizione: «D.O.M. Illustrissimo Catanensi Episcopo Don Ioanni Ruiz villos lada in Torreciliae oppido nato, Camararum in Calagurrae dioecesi ex aguirre familia, decano in Calagurrae et Caleade metropoli constituto; post hoc ob singularem eius virtutem, doctrinam, eximiosque mores ad Catanensem Episcopatum a catholica Maiestate assumpto sepulchrum. benemerentissimam sedem tenuit annum unum, menses novem, dies sexdecim, anno aetatis suae lII. Obiitque anno Domini 1607».

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Giandomenico Rebiba (1595-1604) III

1596 – Relazione del vescovo giandomenico Rebiba, relativa al 4° triennio, presentata personalmente il 1° marzo 15961.

[fol. 6r] Stato della Chiesa di Catania la città di Catania è molto popolata avendo nei suoi confini quasi 10.000 nuclei familiari; sorge alle falde del monte Etna, chiamato anche «Mongibello». In questa città c’è una grande e bellissima cattedrale intitolata a Sant’agata, nobilissima vergine concittadina di Catania; il suo corpo è conservato con onore nella suddetta chiesa. Inoltre c’è una dignitosa sagrestia con le suppellettili necessarie al culto divino, e un magnifico episcopio. ha sede in Catania l’Università per lo studio della teologia, della giurisprudenza e delle arti, dove convergono studenti di tutto il Regno di Sicilia e molti dalle province della Calabria; spetta al vescovo conferire ai laureandi le insegne del dottorato. Nella cattedrale ci sono 3 dignità (delle quali la prima è il priore, la seconda il cantore, la terza il decano2), 12 canonici con altrettante prebende, e 12 beneficiati, che prestano servizio nella suddetta chiesa e sono obbligati alla personale residenza. altri sacerdoti costituiscono il clero della cattedrale, ai quali spetta il compito di celebrare le messe al mattino e a mezzogiorno. la cura delle anime di tutta la città e dei suoi abitanti spetta al capitolo, che la esercita tramite i vicari incaricati nelle diverse chiese, chiamate sacramentali [fol. 6v], perché in esse si amministrano i sacramenti nei diversi quartieri della città, secondo le esigenze del popolo e degli abitanti; in essa non c’è altra chiesa parrocchiale. I canonici della suddetta chiesa una volta erano religiosi dell’ordine di s. benedetto e indossavano sulla cotta l’epitogio nero; successivamente

1 Rel Dioec 207 a, fol. 6r-7v. Sul dorso si leggono le note: «Presentata personalmente dal Rev.mo Signor vescovo di Catania il 1° marzo 1596. Iv visita, 12 marzo 1596». Nel registro dei decreti della Congregazione del Concilio si legge la nota: «7 marzo 1596. Catania. Si trasmetta al vescovo di Catania la lettera relativa alla visita ad limina del Iv triennio. Egli ha assolto personalmente questo suo dovere. Si esorti a far pervenire a questa Congregazione una relazione più corposa, quando avrà conosciuto lo stato della sua diocesi» (Libri Decret, lib. vII, fol. 166). 2 Il capitolo in realtà aveva 4 dignità: nel documento non è indicato il tesoriere.

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Giandomenico Rebiba (1595-1604)

il papa Pio Iv3, di felice memoria, cambiò lo stato dei canonici da regolare in secolare; pertanto essi non osservano più la regola benedettina ma continuano ad indossare l’epitogio. gli introiti della mensa vescovile, secondo una prudente stima, possono essere valutati intorno ai 15.000 scudi, computando in essi le rendite della contea di Mascali; infatti al vescovo come titolare di questa contea competono gli introiti e l’esercizio della giurisdizione temporale; quella spirituale spetta all’arcivescovo di Messina, nella cui circoscrizione si trovano i territori e i centri abitati di questa contea. Il priore non ha rendite da una specifica prebenda; percepisce solamente le distribuzioni quotidiane. le rendite del cantore si aggirano intorno ai 300 scudi di questo Regno, quelle del decano a 150, quelle di ogni canonico [fol. 7r] a quasi 100 scudi. In questa chiesa e nella diocesi ci sono pure molti altri benefici e molti ospedali. Nella suddetta città sorgono 8 monasteri femminili che sottostanno alla giurisdizione del vescovo e 2, retti dai frati minori dell’osservanza. hanno sede pure molti conventi di monaci e di frati di diversi ordini: s. benedetto, s. agostino, s. francesco d’assisi, s. Domenico, s. francesco di Paola e dei cappuccini. bisogna aggiungere che nel convento dei domenicani è conservata l’insigne reliquia di un beato dello stesso ordine4, il cui corpo si conserva ancora intatto nelle sue membra ed è venerato da tutti. C’è anche l’insigne collegio della Compagnia di gesù. Nella circoscrizione diocesana c’è la città di Piazza, con circa 6.000 nuclei familiari, nella quale sorge una chiesa madre in cui servono circa 100 sacerdoti, dei quali 4 sono chiamati cappellani maggiori, e altre chiese parrocchiali. hanno sede alcuni monasteri femminili e altri di monaci e di frati. la città di Enna ha circa 7.000 nuclei familiari; c’è la chiesa madre [fol. 7v] intitolata a San Martino5, in cui prestano servizio circa 100 sacerdoti, dei quali 6 o 8 sono chiamati cappellani maggiori. Ci sono inoltre 10

Pio Iv aveva preparato la bolla di secolarizzazione ma non fece in tempo a promulgarla perché sopravvenne la morte. Pio v riprese il documento del predecessore, lo integrò e lo promulgò in data 9 febbraio 1568: g. MESSINa, L’archivio del capitolo cattedrale di Catania e le ultime vicende dell’abbazia Sant’Agata, in Synaxis 6 (1988) 243-269. 4 Il vescovo non ricorda il nome e nel documento lascia lo spazio vuoto. Si tratta del beato bernardo Scammacca. 5 la chiesa madre è intitolata a Maria SS. assunta; s. Martino è il patrono della città in cui onore si celebrava una festa che, assieme alla fiera, richiamava molta popolazione dei paesi vicini. 3

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Giandomenico Rebiba (1595-1604)

o 12 chiese parrocchiali, alcuni monasteri femminili e conventi di monaci e frati di diversi ordini. la popolosa città di agira, comunemente chiamata San filippo, ha circa 5.000 nuclei familiari. In essa non c’è la chiesa madre ma solamente 6 chiese parrocchiali; in ognuna di esse prestano servizio 10 cappellani amovibili a discrezione del vescovo; non c’è un parroco a cui competa in modo specifico la cura delle anime. Ci sono 3 monasteri femminili e 3 conventi: San benedetto, Sant’agostino e San francesco. la città di Calascibetta6 ha 3.000 nuclei familiari, una chiesa madre con 15 sacerdoti, 2 chiese parrocchiali, 2 monasteri femminili e 3 conventi di frati. la città di Paternò, con circa 2.000 nuclei familiari, ha la chiesa madre con 15 sacerdoti, 2 monasteri femminili e 3 conventi di frati. Nella circoscrizione diocesana ci sono inoltre le terre di adernò, Regalbuto, assoro, aidone, biancavilla, Motta e circa 30 villaggi che sorgono attorno e vicino le mura di Catania, chiamati comunemente «le vigne di Catania». Spetta al vescovo nominare in questi luoghi i cappellani sacramentali. Delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime umilissimo servo giandomenico, vescovo di Catania {1596}

6 Il vescovo non ricorda bene i nomi di questa e di altre città, che nel documento originale risultano storpiati.

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bONavENTURa SECUSIO (1609-1618) 1. la fIgURa

la Chiesa di Catania, dopo la morte di giovanni Ruiz de villoslada, era vacante da due anni quando, il 10 giugno 1606, fu trasferito da Messina il vescovo bonaventura Secusio, un personaggio di primo piano nelle vicende europee di quegli anni1. Il nuovo vescovo era nato a Caltagirone nel 1558 da Enrico Secusio e agata Manardo, che gli avevano imposto il nome di Ottavio. Portati a termine gli studi nel collegio dei gesuiti della sua città natale, si scrisse allo Studio di Catania, dove frequentò il corso di laurea in teologia. Desideroso di consacrarsi a Dio, entrò nell’ordine di frati minori osservanti dove, con il nome di bonaventura da Caltagirone, ricoprì i diversi gradi della gerarchia interna del suo ordine religioso: lettore di teologia, maestro dei novizi, guardiano, provinciale, ministro generale, eletto nel capitolo tenutosi a valladolid il 5 giugno 1593. Il p. bonaventura svolse questo ministero per sette anni, attuando una profonda azione di riforma. Egli si era fatto apprezzare per le sue doti anche al di fuori dell’ordine francescano se l’arcivescovo di Palermo Cesare Marullo nel 1584 lo nominò visitatore generale della diocesi2 e se due anni dopo fu chiamato a predicare gli esercizi spirituali alla corte pontificia, stabilendo un rapporto personale di conoscenza con il papa Clemente vIII3. gli storici sono concordi nel descriverlo come una persona intelligente, energica e allo stesso tempo prudente, molto abile nel dipanare e risolvere problemi complessi4.

1 Per un profilo del vescovo bonaventura Secusio si vedano: I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 276-280; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 557-558; f. PRIvITERa, Annuario catanese, Catania 1690, 226; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 440-444; a. MONgITORE, Bibliotheca sicula, I, Panormi 1708, 215-216; E. TaRaNTO, Cenni biografici di Bonaventura Secusio patriarca di Costantinopoli, Caltagirone 1870. 2 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 277; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 433. 3 E TaRaNTO, Cenni biografici, cit., 6. 4 Si veda in particolare il giudizio espresso da l. vON PaSTOR, Storia dei papi dalla fine del medioevo, xI, tr. it., Roma 1929, 155-156.

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Il 17 settembre 1595 Clemente vIII aveva compiuto il gesto clamoroso di assolvere Enrico Iv re di francia, che aveva abbandonato gli ugonotti per entrare a far parte della Chiesa cattolica. Il papa, conferendogli il titolo di «re cristianissimo di francia e di Navarra», aveva messo in discussione lo strapotere esercitato da filippo II e aveva riconosciuto Enrico Iv soggetto affidabile, nel momento in cui si avvertiva la necessità di creare in Europa un nuovo equilibrio politico5. guerre di religione, spinte autonomistiche, desiderio di conquistare nuovi spazi politici e di mercato avevano spinto le nazioni europee a schierarsi con l’uno o con l’altro contendente nella guerra che Spagna e francia combattevano da anni con alterne vicende. al di là degli interessi particolari perseguiti e difesi dalle singole nazioni c’era da affrontare il pericolo turco, sempre incombente, che richiedeva nei principi cristiani forme di intesa e di collaborazione che mancavano. Il papa Clemente vIII voleva raggiungere questo obiettivo convincendo Spagna, francia e i loro alleati a sedersi ad un tavolo per firmare un trattato di pace. Il cardinale alessandro dei Medici, arcivescovo di firenze, legato a latere, e il nuovo nunzio apostolico a Parigi francesco gonzaga, vescovo di Mantova, erano stati incaricati dal papa di avviare il dialogo fra i contendenti. I due prelati difficilmente sarebbero riusciti nell’intento, perché il primo era inviso agli spagnoli per essere stato il candidato dei francesi nell’ultimo conclave; il secondo era inviso ai francesi, perché sospettato di essere filospagnolo; infatti da giovane era vissuto per qualche tempo alla corte di Spagna e nel 1587 era stato presentato da filippo II alla sede vescovile di Cefalù6. Clemente vIII per superare queste diffidenze pensò di avvalersi dell’opera del padre bonaventura da Caltagirone che, non ricoprendo incarichi diplomatici ufficiali, avrebbe potuto avviare i colloqui di pace con discrezione. Il Secusio stabilì una fitta serie di incontri a Parigi con il re Enrico Iv e a bruxelles con l’arciduca delle fiandre alberto, portavoce del re di Spagna7. la sua opera di mediazione andò a buon fine e il 2 maggio

5 ibid., 144-154; a. lOUaNT, L’intervention de Clément Viii dans le traité de Vervins, in Bulletin de l’institut Historique Belge de Rome 12 (1930) 127-186. 6 g. vaN gUlIk – C. EUbEl, Hierarchia catholica, cit., 163; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., II, 816. 7 Il racconto dettagliato dell’azione svolta dal Secusio si trova nel documento «Negotiato de la pace fra il re Christianissimo et catolico, conclusa l’anno 1598 a dì 2 di maggio, col mezo de l’Illustrissimo signor Cardinale di fiorenza» pubblicata in appendice al saggio di a. lOUaNT, L’intervention, cit., 153-186.

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1598 fu firmata la pace di vervins, nella quale i re di francia e di Spagna si impegnavano a restituire i territori occupati nelle guerre degli anni precedenti e furono resi vani i tentativi di Inghilterra, Olanda e del duca di Savoia di sfruttare a proprio vantaggio i contrasti esistenti fra Enrico Iv e filippo II. Clemente vIII, a conclusione della sua missione di pace, conferì al padre bonaventura da Caltagirone un canonicato a San Pietro e il 10 marzo 1599 lo nominò patriarca di Costantinopoli8, una sede titolare con un consistente beneficio e privilegi analoghi a quelli dei cardinali. Nel concistoro il cardinal Jacobi fece notare che il candidato, per i servizi resi alla Chiesa, era degno di un ben più alto onore. In realtà il papa era deciso a nominarlo cardinale, ma non poté realizzare questo suo progetto per l’opposizione del nipote card. Pietro aldobrandini9, una circostanza che ci riporta alle divisioni interne del collegio cardinalizio fra filospagnoli e filofrancesi. È probabile che il conferimento della porpora ad un uomo dalla forte personalità, come il Secusio, abbia potuto essere interpretato come il tentativo di turbare gli equilibri esistenti. Due anni dopo, il re di Spagna filippo III, in riconoscenza dei servizi resi al padre filippo II, presentò bonaventura Secusio alla sede vescovile di Patti. Clemente vIII, nella bolla di nomina del 30 aprile 1601, volle che il nuovo vescovo continuasse a mantenere il titolo di patriarca10. Un’altra delicata missione diplomatica fu affidata dal papa alla mediazione del padre bonaventura Secusio nella controversia fra il re di francia e i Savoia per il possesso del marchesato di Saluzzo. Carlo Emanuele di Savoia lo aveva occupato nel 1588, ma la francia lo reclamava per la sua posizione strategica. anche in questo caso le trattative condotte dal Secusio andarono a buon fine e fu possibile allontanare il pericolo

«Romae apud S.tum Petrum, die mercurii, 10 martii 1599, fuit consistorium in quo […] Sanctitate Sua proponente providit Ecclesiae Patriarchali Constantinopolitanae vacanti per cessionem Rev.mi D. Cardinalis bevilacqua de persona fratris bonaventurae Calatageroni, Ministri generalis ordinis Minorum de observantia cum retentione officii generalatus huiusmodi usque ad celebrationem proxime futuri capitulis generalis dicti ordinis» (Acta Cam, 13, fol. 112v). 9 E. TaRaNTO, Cenni biografici, cit., 8-9. 10 «Romae […] 30 aprilis 1601 fuit consistorium secretum in quo […] eadem Sanctitate Sua proponente providit Ecclesiae Pacten. ad nominationem Regis Catholici vacanti per obitum bonae memoriae gilberti illius Episcopi in Romana Curia defuncti de persona Rev. patris domini bonaventurae Patriarchae Constantinopolitan. Cum retentione dicti Patriarchatus eiusque denominatione» (Acta Cam, 13, fol. 153v-154v). 8

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di una nuova guerra. Nel trattato di pace, firmato a lione il 17 gennaio 1601, Enrico Iv cedeva Saluzzo ai Savoia in cambio di bresse e bugey11. leone xI, succeduto a Clemente vIII il 1° aprile 1605, avrebbe voluto nominare bonaventura Secusio cardinale, attuando il progetto che non era riuscito al suo predecessore. a tal proposito lo aveva anche fatto chiamare a Roma da Patti; ma la morte improvvisa, dopo appena ventisette giorni di governo, non permise di realizzare il suo proposito12. bonaventura Secusio resse la diocesi di Patti per poco più di quattro anni. Durante il suo governo pastorale riformò lo stato giuridico della cattedrale, erigendo la parrocchia e procedendo alla secolarizzazione del capitolo, costituito da monaci benedettini13. Il 17 agosto 1605, su presentazione di filippo III, fu trasferito alla Chiesa di Messina14. anche in questa diocesi si fermò per meno di quattro anni. Dopo un felice avvio del suo ministero, durante il quale costruì il seminario, avendo notato una certa insofferenza verso la sua persona a causa di incomprensioni nate dalle sue scelte pastorali, chiese ed ottenne di essere trasferito alla Chiesa di Catania (17 agosto 1609)15.

l. vON PaSTOR, Storia dei papi, cit., 166-181. E. TaRaNTO, Cenni biografici, cit., 9. 13 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., II, 787. 14 «Romae in monte Quirinali, die mercurii 17 augusti 1605, fuit consistorium secretum in quo SS.mus Dominus Noster referente Rev.mo Cardinale farnesio absolvit R.P. fratrem bonaventuram Patriarcham Constntinopolitanum et episcopum Pacten. a vinculo quo dictae Ecclesiae Pacten. tenebatur et ad praesentationem Regis Catholici transtulit ad Metropolitanam Ecclesiam Messanen., vacantem per obitum bonae memoriae francisci ultimi archiepiscopi cum retentione pensionis Patriarchalis Ecclesiae Constantinopolitanae ac reservatione pensionis annuae scutorum mille monetae illarum partium super fructibus supradictae Ecclesiae Pacten.» (Acta Vicecanc 15, fol. 9v). 15 «MDCIx feria Iv, die 10 iunii Romae, in monte Quirinali fuit consistorium secretum in quo […] referente Rev.mo D. Card. Millino, Sanctitas Sua ad supplicationem Regis Catholici absolvit R. p. fr. bonaventuram ordinis Sancti francisci de Obserevantia Patriarcham Constantinopolitanum ab Ecclesia Messanen et transtulit ad Ecclesiam Cathanien., vacantem per obitum R. Ioannis Ruis de villoslada […] et declaravit esse suffraganeam archiepiscopi Montis Regalis» (Acta Cam 14, fol. 126r-126v). Nell’archivio Storico Diocesano non sono conservati gli atti relativi alla presa di possesso e all’ingresso del nuovo vescovo, che sarà avvenuto in tempi molto brevi, se il primo atto di governo firmato dal Secusio porta la data del 7 luglio 1609 (Tutt’Atti 1609, fol. 688r-v). 11

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2. l’aZIONE PaSTORalE

Dall’esame di ciò che il Secusio realizzò nelle tre diocesi affidate alle sue cure si può dedurre che egli avesse delle priorità nel suo progetto pastorale: la cattedrale, la cura delle anime, il clero e il seminario. a Catania la secolarizzazione del capitolo della cattedrale era stata avviata dal vescovo Nicola Maria Caracciolo e attuata durante il governo del successore antonio faraone. C’era da risolvere l’annoso problema della cura delle anime; a Patti il Secusio aveva eretto la parrocchia nella cattedrale. a Catania la nomina di un parroco autonomo avrebbe potuto suscitare il dissenso delle magistrature cittadine e dei consoli delle corporazioni di arti e mestieri, così come era avvenuto al tempo del vescovo Nicola Maria Caracciolo16. Il Secusio prudentemente si limitò ad attuare una riforma nel rispetto dell’ordinamento esistente: titolare della cura d’anime restava il vescovo, che demandava stabilmente questo compito ad un sacerdote, denominato «maestro cappellano», una sorta di vicario curato con il compito di amministrare i sacramenti nella cattedrale. assieme al maestro cappellano il Secusio istituì il «maestro delle cerimonie», un sacerdote a cui affidò l’incarico di curare le celebrazioni liturgiche, in particolare quelle presiedute dal vescovo. a questi due uffici annesse un beneficio stabile17. Rientrano nel suo impegno di abbellire la cattedrale la costruzione del tabernacolo, il suo intervento sul fercolo o bara di s. agata, l’acquisto di suppellettili e arredi, secondo la testimonianza degli storici catanesi18. Come aveva fatto a Messina, anche a Catania si adoperò per dare al seminario una sede idonea19. I pochi alunni che ospitava erano stati alloggiati in edifici diversi, una soluzione poco idonea per assicurare lo sviluppo auspicato dalle direttive pontificie. Il Secusio decise di costruire un nuovo edificio:

16 17 18 19

«Nell’anno 1610 sotto il 17 di dicembre, Ix ind., per l’atti di not. lorenzo di xacca, havendo risoluto Monsignor Patriarca fra bonaventura Secusio arcivescovo prima di Messina e poi vescovo di questa predetta città di fabricar la casa del seminario nella chiesa di San Martino per essere vicina alla cattedrale e nel piano di essa permutò la chiesa parrocchiale di Santa a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 79-94. I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 278. L.c. vedi «Introduzione».

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Caterina vergine e martire con detta chiesa di San Martino, quale era della compagnia di bianchi»20.

Strettamente connesso con l’impegno per l’ordinamento e le strutture diocesane c’era quello per la disciplina del clero e del popolo cristiano. lo storico giovanni battista De grossis, enfatizzando l’attività normativa del Secusio, scrive che il vescovo redasse e promulgò ottime costituzioni sinodali21, notizia ripresa dagli studiosi che si sono occupati dei sinodi diocesani in Sicilia22. In realtà agli atti del vescovo e nelle sue stesse relazioni ad limina non si ha alcuna notizia di un sinodo diocesano. Se il Secusio lo avesse celebrato non avrebbe mancato di informare la Congregazione del Concilio, rispondendo ad uno dei quesiti formulati per la stesura delle relazioni. Nell’archivio Storico Diocesano troviamo invece una serie di ordinanze che avevano di mira la disciplina del clero. Un primo editto, emesso nei primi giorni del suo governo pastorale, riguardava il comportamento dei chierici:

«Editto che li clerici vadano in habito et tonsura. fra li multissime cosi che pressono l’animo et la conscienza nostra, in questa cura che senza nostri meriti ci è stata raccomandata, est principalissima quella della formatione del nostro clero, della quale dipende anco in gran parte quella delli costumi dei popoli, che sogliono esser guidati alla strada del cielo et con la doctrina et con l’esempio di loro che si sonno particolarmente dedicati al Signore, così ben questo dipende in tutto dalla reforma interiore dell’anima et della nettezza delle proprie conscentie, con tutto ciò non potendo noi arivare a questo che solo è proprio di Iddio nostro Signore, è forza che attendiamo al possibile a reformare le esteriore che noi possiamo conoscere e dal quale anco dipendi in gran parti il buon esempio et l’edificatione di tutti. E però sequendo in questo quel tanto de’ sagri canoni, sacri ecumenici consigli et particolarmente del Tridentino è stato ordinato in virtù di questo nostro presente editto ordinamo et espressamente comandamo a tutti sacerdoti, clerici di questa nostra città e diocesi di qualsivoglia statu e gradu et condictione si siano debbiano tutti et ogni uno di loro andare in habito e tonsura, di

aRChIvIO DEl SEMINaRIO CaTaNIa, La fondazione del seminario di Catania, I, fol. Nell’edificio, distrutto dal terremoto del 1693, si leggeva la lapide: «Seminarium Clericorum erectum ab archiepiscopo fratre bonaventura Secusio, Patriarcha Constantinopolitano, Episcopo Catanensi anno MDCxIv» (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 278). 21 L.c. 22 g. SavagNONE, Concili e sinodi di Sicilia, cit., 165. 23 Tutt’Atti 1609, fol. 691v-692v. 20

xvv-xvIr.

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maniera che la tonsura sia apparente et manifesta et evidenti almeno ogni vinti giorni, lo habito sia nero, semplice, senza tagli o picature et la sottana lungha insino ai piedi e col mantello conforme e con la berretta, et quando o per il sole o per la pioggia bisognassi usar cappello, quello sia quanto è possibile basso et di falda almeno cinque dita con un cordone semplice di seta o d’altra materia o del panno stesso, ma questo sia di maniera che arrivato al loco dove si va o alla chiesa si usi solamente la berretta, acciò in ogni tempo et in ogni luogho si conosca differenza fra le persone ecclesiastiche e secolare. Nessuno di loro si retrovi presente non solo in luoghi suspecti et disonesti ma manco in quelle luoghi etiam ‘burattarie’ et che chiamano, né ardiscano soli o accompagnati andare di notte con lume o senza suonando o contando, essendo questi cosi non convenienti a persone ecclesiastiche, ma ogn’uno di loro attendi a vivere religiosamente a sapere le cosi necessarie all’ordine clericali, et habbia la sua ‘suppellitia’ che chiamano aparechiata per assistere alle funtioni convenienti nelle chese et nelle precessione come conveni, per il che compitamente effettuare mettamo termine dieci giorni, quale in vim ternae canonicae monitionis assignando dui per lo primo, dui per il secundo et dui per il 3° canonico et peremptorio termine, quali elapsi si procidirà alla pena che la prima volta noi poniamo in virtù di questo di onza una d’applicarse al seminario o altra ad arbitrio nostro, et quando perseverino in contumacia non volendo obedire et in quelli che sonno poste in ordine sacri precediremo a carcerattione et pene anco piò ardue secundo la qualità della disobedientia et per quelli che non sono in sacris procediremo a dichiarattione come per questa nostra dechiariamo di non dover godere del privilegio clericali, conforme al Consiglio Tridentino, ma per essere conosciuti dalla giustizia seculare. Speramo però nel Signore che come figliole dell’obedientia intendano conforme a questa ordinatione et ci daranno materia di piò presto amarli e favorirle che altramente, etc. Datum Catanae, die 8 iulii, vI ind., 1609. fra bonaventura, patriarca Constantinopolitanus, episcopus Catanensis. Notarius laurentius xacca, magister notarius»23.

Un altro editto, sempre sul comportamento del clero, fu promulgato due giorni dopo:

«Editto delli scopettoni et stiletti. Non senza particolar dolore dell’animo nostro ci è pervenuto a notitia che alcune persone ecclesiastiche del nostro clero, scordati di quanto deveno alla decentia dell’abito clericale, professano di teniri et portari armi et non solo quelli che sonno lecite et concesse

24

ibid., fol. 696r-v.

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alle persone seculare, ma di quelle che sotto pene arduissime sono prohibite a cavalieri dell’ordine militare et a tutti seculari istessi, come sonno scopettoni, stiletti et altri simili con manifesta nota et infamia di tutto il clero. Che perciò, volendo noi provedere di oportuno remedio a questo disordine, in virtù di questo nostro presenti editto ordiniamo et expressamente comandiamo a tutte persone ecclesiastiche del nostro clero, tanto sacerdoti come clerici di qualsivoglia grado et conditione si siano, in virtù di santa obedientia et socto pena di excomunica latae sententie, la cui absolutione expressamente ci reserviamo, che nessuno di loro presuma havere, portare, tenere in casa o in qualsivoglia modo appresso di altri scopettoni o stiletti, ma fra il termino di tre giorni quali assigniamo in vim terne canonice monitionis se ne habia del tutto privato et questi elapsi si intenda omninamente havere incorso nella sudetta scomunica. Et non di meno per quelli li quali, scordati tanto di Idio nostro Signore et della conscentia propria, non curaranno la detta pena spirituale, in vertù di queste nostre presenti prohibimo l’istesso socto la pena di unzi cento et di più cinque anni di galera o in un castello ad arbitrio nostro; et in questa pena vogliamo che incorrano non solamente quelli che si proverà portare o havere portato dicti scopettoni o stiletti, ma quelli anco che si provirà haverli comprati o tenuti in casa o presso d’altri persone come di sopra, advertendo tutti che debiano puntualmente obedire perché altramente senza respetto sarrà eseguita inremisibilmente la pena, et della pecuniaria se ne darà la quarta parte al officiale o fisco o qualsivoglia altra persona che mecterà in chiaro qualche contravenzione di questo nostro ordine, quali, in quanto alli pene temporale, vogliamo che habi l’istessa forza con tutti li familiari nostri et che in qualsivoglia maniera appartengano al nostro foro. Dato in Catania, nel nostro vescovale palatio, il dì x di luglio 1609. fr. bonaventura, Patriarca di Costantinopoli, vescovo di Catania. Notarius laurentius de xacca, magister notarius»24.

Con un terzo editto il vescovo indiceva una riunione dei chierici della città per comunicare loro la chiesa alla quale erano stati iscritti:

25

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«Edictum. In virtù di questo nostro presente editto ordiniamo e comandiamo a tutti clerici constituiti in prima thonsura, ordini minuri, in vertù di sancta obedientia e di altri peni a nui ben visti che domani che serranno li 22 del presente mesi di settembre ad mane di hore venti si vogliano et debbano convenire nel nostro episcopale palatio a li loro assignatione delle chiese dove sonno stati assignati per posser noi reconoxere tali assignatione et far provedimenti di quelli clerici non sonno stati assignati acciò possano attendere alle loro funzione conforme al sacro Consiglio Tridentino. In urbe Tutt’Atti 1609-1610. fol. 14r-v.


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Catane, die xxI septembris, 8 ind., 1609. fr. bonaventura Secusio, episcopus Catanen.»25.

Con un quarto editto sospendeva ai sacerdoti la facoltà di confessare in attesa che fossero sottoposti ad un esame per accertare la loro idoneità:

«fr. bonaventura, patriarca di Costantinopoli, vescovo di questa città di Catania. volendo noi provedere come ricerca la nostra cura pastorale che il santo sacramento della penitenza, tanto necessario et importante alla salute dell’anime, sia esercitato da ministri idonei e sufficiente che sappiano discernere tra lepra e lepra et ofisi che possiamo fare da elettione con la diligenza e maturità che si conviene, pertanto in virtù del presente publico editto revochiamo et sospendiamo le licenze di confessare a tutti e singoli sacerdoti seculari tantum di qualsivoglia stato, grado e condicione che al presente confessano in questa città con licenza di nostri predecessuri o de’ vicari capitulari o in qualsivoglia altro modo, eccettuando però da questa nostra sospensione o revocatione i cappellani delle chiese sacramentali e di monasteri di monache, i quali vogliamo che possino continuare sino ad altro ordine nostro, ordinando e comandando a tutti quelli che per l’avenire verranno amministrare così salutifero sacramento habbiano e debbiano presentarsi avanti a nostri essaminotori acciò destinati per essere da quelli approbati, quale examine si comincerà hoggi ad hore 20 nel nostro palazo vescovale e continuerà ogni giorno della presente settimana della detta hora 20 sino alla 23, pohibendo sotto pena di excomunica late sententie a tutti i sacerdoti secolari che da oggi innanti non possino confessare senza nostra particulare licenza, da darsi in scriptis gratis et amore nel modo e forma a noi benvista. In quorum fidem et testimonium etc. Datum Catanae, in nostro episcopali palatio, die 16 novembris 1609. fr bonaventura. D. lorenzo di xacca, magister notarius»26.

Infine con un editto promulgato nell’imminenza delle feste natalizie dello stesso anno finalizzava ad una concreta esigenza sociale la sua potestà spirituale: concedeva una particolare indulgenza a coloro che si adoperavano per sistemare le strade dissestate del territorio di Catania e di aci: «Perché le strade e vie publice del territorio di questa città di Catania e di Iaci sono devenute sì aspre e difficile che quasi sono inaccessibile l’onde

26

ibid., fol. 108v.

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per li grandissimi stenti e danni che i viandanti patiscono nelle robbe, nelle persone et altre cose loro e per la poca cura che si tiene in accomodarle, noi mossi a compassione per riparar a questi mali e per sollecitar li popoli a sì pietoso e publico benefitio con gli spirituali remedii, per l’autorità e potestà a noi conceduta a tutte quelle persone dell’uno et dell’altro sesso, per ogni volta che in qualsivoglia modo si contribueranno o si ocuperanno con le persone o bene loro ad acconciare et accomodare o far accomodare dette strade e vie, concedimo quarante giorni di indulgenza et cossì in virtù delli presenti diciamo e comandamo a suddetti cappellani o sacerdoti degli stessi territori che publichino questa indulgenza ad pias causas da noi conceduta. Datum Catanae, il dì vigesimo di dicembre 1609. fr. bonaventura, Patriarca di Costantinopoli, vescovo di Catania. Not. lorenzo di xacca, mastro notaro»27.

assumono una particolare rilevanza, per comprendere la società del tempo e i non facili equilibri fra le competenze riconosciute al vescovo e quelle esercitate dalle autorità civili, le licenze concesse da bonaventura Secusio a laici e chierici per aprire e gestire scuole di grammatica: «fr. bonaventura, etc. Diletto nobis in Christo don laurentio gratiano terrae asari salutem. attenta informatione de tuis religione, fide catholica ac moribus in attis curiae recepta et professione fidei per te Don laurentius gratiano ad prescriptis apostolicae constitutionis felicis recordationis Pii papae Iv, tenore praesentium, ut in hac civitate Catana et tota nostra Catanensi diocesi ludus literarium gramaticale et humanarum litterarum in domo tua, in ditta terra privatim vel publice aperire et lettiones omnes ad dictas facultates spectantes, approbatorum tamen auctorum, legere et declarare possis et valeas licentiam damus et concedimus, hoc primum tibi in virtute santae obedientiae demandantes ut puerorum teneros animos virtute et bonis moribus instituas eosque christianam doctrinam cum prima fidei rudimenta atque pietatem edoceas ac singulis mensibus ad confessionem et aetate provectos ad sacram communionem sumendam exemplo tum et crebis cohortationibus inducere studeas. In quorum fidem, etc. Datum Catanae, die 30 octobris, vII ind. 1609, D. angelus {Campochiaro}, provicarius generalis. Nicolaus Dominidò, promagistro notaro»28.

ibid., fol. 128. ibid., fol. 90. licenze analoghe furono concesse a francesco aparo, in data 1 nov. 1609 (ibid., fol. 91v), al sac. vincenzo bonfiglio, in data 2 nov. 1609 (ibid., fol. 92r), ad andrea de vita in data 9 nov. 1609 (ibid., fol. 96v-97r). 27 28

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agli atti del vescovo troviamo documenti firmati da un vicario generale, il canonico della cattedrale di Messina agostino Perremuto29, e da un pro vicario generale, il priore della cattedrale di Catania angelo Campochiaro30. Nel 1613 il vescovo Secusio affidò ai francescani dell’osservanza — l’ordine religioso da cui proveniva — la chiesa di Sant’agata la vetere e i locali annessi31, già sede dell’abbazia benedettina fondata dal Conte Ruggero nel 1091 e cattedrale con la rifondazione della diocesi nel 109232. In questo convento il vescovo morì il 29 marzo 161833. Nella lapide del mausoleo, eretto nel transetto della cattedrale fra l’attuale sacrestia e la cappella del Crocifisso, si legge:

«D.O.M. Illustrissimo ac Reverendissimo Domino fratri bonaventurae Secusio Calatageronensi, viro non minus generis, quam virtutum splendore percelebri, franciscanae familiae generali Ministro, Sanctissimi Domini nostri Clementis vIII Pontificis Nuncio pacis inter Philippum II hispaniae et henricum Iv galliae Regem aliosque duces mediatori, Patriarchae Constantinopolitano, Pactarum Episcopo, archiepiscopo Messanensi ac demum Catanensis Ecclesiae Praesuli dignissimo hoc immortalitatis tropheum in mortalibus statuerunt ne vitae oblivioni victor unquam sine laude succumberet. Obiit Catanae die 29 martii MDCxvIII aetatis suae lx».

3. ISTITUZIONE DEllE QUaRaNTORE

Dopo la morte del vescovo Secusio ebbe inizio nella cattedrale di Catania il pio esercizio delle quarantore. la pratica, nata e promossa negli anni della controriforma per rafforzare la fede nell’Eucaristia e contrastare la dottrina e la prassi delle Chiese riformate, consisteva nell’assicurare l’esposizione continua del ss. Sacramento, a turno nelle diverse chiese della città, per il periodo di tempo che si presumeva gesù avesse trascorso nel

ibid., fol. 22r-v. ibid., fol. 29v. 31 I.b. DE gROSSIS, Catanense decachordum, cit., I. 150. 32 l. T. WhITE jr., il monachesimo latino, cit., 163-181. 33 gli storici siciliani attribuiscono la sua morte ad una bevanda calda, prescritta come medicina, che provocò un’infiammazione al fegato (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 279; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., I, 557). Nelle due procure, presentate alla Congregazione per giustificare l’invio di un delegato, il vescovo dichiara di essere sofferente di gotta (fol. 16 e 21). 29 30

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Bonaventura Secusio (1609-1618)

sepolcro. l’iniziativa, preparata negli anni di governo del vescovo Secusio e sostenuta dal senato della città di Catania, ebbe inizio il 19 giugno 161934. 4. lE RElaZIONI AD LiMinA (1612, 1616)

Il vescovo bonaventura Secusio durante il suo governo pastorale non si recò a Roma per adempiere personalmente l’obbligo di visitare le tombe degli apostoli e consegnare la relazione sullo stato della diocesi. In entrambi i casi si servì di un delegato, munito di regolare procura. Non sembra che il vescovo abbia dato molta importanza a questo suo dovere. le due relazioni inviate alla Congregazione del Concilio sono povere di dati, si ha l’impressione che siano state redatte per adempiere un atto formale. la prima segue la falsariga di quelle inviate dai suoi predecessori, ma si limita a fornire qualche notizia sulla città, trascurando gli altri centri della diocesi. la seconda è identica alla prima; l’unica variante riguarda il numero dei monasteri femminili soggetti al vescovo: 7 invece di 8: — la cattedrale: nella relazione si afferma che fu costruita dal Conte Ruggero nel 1194. la data corretta è il 1094. Si attribuisce a Pio Iv la secolarizzazione del capitolo. In realtà questo papa aveva predisposto la bolla, che fu promulgata dal suo successore Pio v (fol. 17r e 22v-23r); — la collegiata Santa Maria dell’Elemosina: è costituita da 3 dignità e 18 canonici (fol. 17v e 23r); — la cura delle anime: nella città e in quasi tutta la diocesi spetta al vescovo, che la esercita tramite vicari amovibili a sua discrezione; nella cattedrale è esercitata da alcuni cappellani. Non si accenna all’istituzione del maestro cappellano, come responsabile principale (fol. 17r-v e 22v-23r); — la mensa vescovile: il vescovo, escluse le pensioni e gli altri oneri, percepisce 8.000 scudi (fol. 17r e 22v); — il seminario: in passato era stato alloggiato in diversi edifici. Il vescovo ha costruito una sede stabile che pensa di ingrandire (fol. 17v e 23r). Da notare le richieste che fa alla congregazione per salvaguardare la vita e il buon funzionamento dell’istituto durante i periodi di sede vacante e la risposta da Roma (post rel. 1616); 34

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I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 279.


Bonaventura Secusio (1609-1618)

— lo Studio pubblico o università: ha sede a Catania ed accoglie studenti da tutta la Sicilia e dalla vicina Calabria. Il vescovo come cancelliere presiede le sedute di laurea (fol. 17v e 23r); — istituzioni religiose e di assistenza: nella città si hanno 8 monasteri femminili soggetti al vescovo e 3 ai francescani dell’osservanza, un numero imprecisato di conventi e di case religiose, un collegio della Compagnia di gesù, un monastero per ragazze povere e uno per donne ‘pentite’, un orfanotrofio, un ospedale, un ospizio per i pellegrini e un istituto per accogliere i bambini esposti, il monte di pietà e un numero imprecisato di confraternite laicali (fol. 17v e 23v); — la diocesi: oltre la città di Catania comprende 5 grandi città, 6 centri minori e 12 villaggi o casali. le persone in età di ricevere la comunione sono 80.000 (fol. 17v-18r e 23v-24r).

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Bonaventura Secusio (1609-1618) Iv

1612 – Relazione del vescovo bonaventura Secusio, relativa al 9° triennio, presentata il 26 ottobre 1612 dal procuratore giovanni Stagio, canonico della cattedrale1.

[fol. 15r] «Ill.mo et Rev.mo Signor padrone colendissimo. Non potend’io personalmente visitare cotesti sacri limini, come sarebbe debito et desiderio mio per diversi legittimi impedimenti et in particulare per la grave età in ch’io mi trovo con pochissima salute, mando a posta il mio secretario, canonico di questa mia chiesa, latore della presente con procura sufficiente, acciò sodisfacci in parte per me a quest’obligo per il presente triennio et per il passato, per il quale v. S. Ill.ma per sua benignità si degnò concedermene dilatione. Et con la medesima la supplico hora che, accettando per veri et legittimi questi miei impedimenti come sono verissimi, si degni ammettere a questo officio il detto canonico, il quale dovendo fare a v. S. Ill.ma in mio nome humilmente riverenza et ricordarli la mia devotissima servitù, basterà che io mi riporti a lui per non darle fastidio di leggere più lunga lettera. Per fine della quale prego Dio nostro Signori che conceda alla persona di v. S. Ill.ma ogni vera prosperità. Di Catania, adì 16 d’agosto 1612 Di v. S. Ill.ma e Rev.ma devotissimi servituri fra bonaventura, patriarca, episcopus Catanensis.

[fol. 17r] Relazione della Chiesa di Catania Illustrissimi e Reverendissimi Signori, la città di Catania sorge in Sicilia, oltre il faro, alle falde del monte Etna, a mezzogiorno, in riva al mare. In essa c’è una grandissima e bellissima chiesa cattedrale eretta e dotata dal normanno Conte Ruggero nel

Rel Dioec 207 a, fol. 15r; 17r-18r. al documento è acclusa la procura redatta dal vescovo per il can. giovanni Stagio, in data 30 giugno 1612, alla presenza dei testi Michele Musumarra e Marco Seminara, controfirmata dal notaio della curia lorenzo de Sciacca (fol. 16r-v; 19v). Il vescovo adduce le seguenti motivazioni per giustificare l’invio di un procuratore: «[…] tum propter varia ac longinqua itinerum pericula, tum maxime propter podagrae morbum et adversam valetudinem quia saepe laboramus, tum etiam propter gravem aetatem, in qua constituti sumus […]» (fol. 16r). Sul dorso si leggono le note: «Relatio Ix triennii exhibita die 26 octobris 1612 per procuratorem in mandato expressum. Perquirendum ut obtineat facultatem visitandi pro vIII et Ix. Excepta die 5 novembris 1612» (fol. 18v). 1

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Bonaventura Secusio (1609-1618)

10942, dedicata a Sant’agata vergine e martire, il cui corpo è ivi conservato e venerato con grandissima devozione. Questa chiesa, insignita della dignità vescovile dal papa Urbano II, di felice memoria, ha una sagrestia ben fornita delle suppellettili necessarie al culto divino e il palazzo per l’abitazione del vescovo. Della mensa vescovile, tolte le pensioni, gli stipendi e gli altri oneri, restano per il vescovo 8.000 monete d’oro. Nella cattedrale c’è il capitolo con 4 dignità (la prima dopo il vescovo è il priore, la seconda il cantore, la terza il decano, la quarta ed ultima il tesoriere), 12 canonici, altrettante prebende e 12 beneficiati. Tutti costoro hanno l’obbligo della residenza personale per partecipare alla recita delle ore canoniche durante la settimana. Ci sono inoltre alcuni cappellani amovibili a discrezione del vescovo, che esercitano la cura delle anime, musicisti, cantori, l’organista e 4 sagristi. a tutti costoro (dignità, canonici, beneficiati e altri sacerdoti addetti) vanno le distribuzioni quotidiane e gli stipendi pagati dalle rendite della mensa vescovile. le dignità e i canonici della suddetta chiesa una volta erano religiosi dell’ordine di s. benedetto, ne osservavano la regola e avevano la mensa comune. Successivamente dal papa Pio v, di santa memoria, lo stato del capitolo fu mutato da regolare in secolare. I canonici usano come insegne la mozzetta nera sopra il rocchetto; la nomina, il conferimento del beneficio e il loro governo competono sempre al vescovo per indulto apostolico [fol. 17v]. la cura delle anime della città e di quasi tutta la diocesi spetta al vescovo, che la esercita tramite i vicari e i cappellani amovibili a sua discrezione, nominati a questo scopo in alcune chiese, chiamate sacramentali, che sorgono nella città e nei diversi centri abitati secondo la necessità del popolo e degli abitanti. Nella città di Catania c’è un’altra chiesa collegiata, intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, servita da 3 dignità e 18 canonici. C’è pure il seminario dei chierici; poiché in passato era stato trasferito da un luogo all’altro, ospite di diversi edifici, l’attuale vescovo gli ha dato una sede propria, vicino alla cattedrale e con l’aiuto di Dio in futuro la ingrandirà. Nella città di Catania ha sede la pubblica Università, dove confluiscono alunni da quasi tutta la Sicilia e dalla vicina Calabria; spetta al 2

Nel documento è indicato erroneamente l’anno 1194.

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Bonaventura Secusio (1609-1618)

vescovo come cancelliere conferire le insegne ai laureandi e in sua assenza al vicario generale. Nel territorio della città sorgono: 8 monasteri femminili, soggetti alla giurisdizione del vescovo, 3 retti dai frati minori dell’osservanza di s. francesco, diversi conventi e cenobi di monaci e religiosi di vari ordini, un collegio della Compagnia di gesù, un monastero per ragazze povere e un altro per donne pentite o come si suol dire ‘delle convertite’, un istituto per orfani, un ospedale per curare i malati, per accogliere i pellegrini e per nutrire i bambini esposti, alcune associazioni laicali e il monte di pietà. Nella città e nelle diocesi sono stati fondati alcuni legati pii con l’obbligo di celebrare le messe; di solito sono conferiti come benefici semplici, le loro rendite complessivamente, secondo una comune stima, non superano i 2.000 scudi l’anno. la diocesi, che rispetto alle altre di questo Regno è di discreta grandezza, comprende: 5 grandi centri abitati [fol. 18r], chiamati città, 6 minori e 12 villaggi o casali; conta 80.000 anime in età di ricevere la comunione. Nella città di Piazza c’è un’altra chiesa collegiata con 4 dignità e 18 canonici, eretta di recente dalla Santa Sede e dotata con i beni lasciati in eredità da un laico molto ricco. Nei diversi centri abitati sorgono: 16 monasteri femminili soggetti alla giurisdizione del vescovo, la maggior parte dei quali osserva la vita comune e la regola più rigorosa, diversi conventi di frati mendicanti e associazioni laicali. In ogni paese c’è un ospizio per i poveri. Sono queste in sintesi le notizie sullo stato della città e della diocesi di Catania che sottopongo all’esame delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime, che Dio conservi a lungo in buona salute. Delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime umilissimo e inutile servo fra bonaventura, patriarca di Costantinopoli e vescovo di Catania {1612}

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Bonaventura Secusio (1609-1618) v

1616 – Relazione del vescovo bonaventura Secusio, relativa al 10° triennio, presentata il 10 giugno 1616 dal procuratore Michele Musumarra, beneficiato della cattedrale1.

[fol. 22v] Relazione della Chiesa di Catania Illustrissimi e Reverendissimi Signori, la città di Catania sorge nell’isola di Sicilia, oltre il faro, alle falde del monte Etna, a mezzogiorno, in riva al mare. In essa c’è una grandissima e bellissima chiesa cattedrale eretta e dotata dal normanno Conte Ruggero nel 10942, e dedicata a Sant’agata vergine e martire, il cui corpo è ivi conservato e venerato con grandissima devozione. Questa chiesa, insignita della dignità vescovile dal papa Urbano II, di felice memoria, ha una sagrestia ben fornita delle suppellettili necessarie al culto divino e il palazzo per l’abitazione del vescovo. Dalla mensa vescovile, tolte le pensioni, gli stipendi e gli altri oneri, restano per il vescovo 8.000 scudi d’oro. Nella cattedrale c’è il capitolo con 4 dignità (la prima dopo il vescovo è il priore, la seconda il cantore, la terza il decano, la quarta e ultima il tesoriere), 12 canonici, altrettante prebende e 12 beneficiati. Tutti costoro hanno l’obbligo della residenza personale per partecipare alla recita delle ore canoniche durante la settimana. Ci sono inoltre alcuni cappellani amovibili a discrezione del vescovo, che esercitano la cura delle anime, musicisti, cantori, l’organista e 4 sagristi. a tutti costoro (dignità, canonici, beneficiati e altri sacerdoti addetti) [fol. 23r] vanno le distribuzioni quotidiane e gli stipendi pagati dalle rendite della mensa vescovile. le dignità e i canonici della suddetta chiesa una volta erano religiosi dell’ordine di s. benedetto, ne osservavano la regola e avevano la mensa in

1 Rel Dioec 207 a, fol. 22v-24r; 14r. al documento è acclusa la procura redatta, in data 22 aprile 1616, dal vescovo per il sac. Michele Musumarra, beneficiato della cattedrale, alla presenza dei testi don angelo Campochiaro s.t.d., priore della cattedrale, il chierico don Pietro Miraglio e don Melchiorre Contello, appositamente invitati e controfirmata dal notaio della curia lorenzo de Sciacca [fol. 21r-22r]. Il vescovo adduce le seguenti motivazioni per giustificare l’invio di un procuratore: «[…] tum propter varia ac longinqua itinerum pericula, tum maxime propter podagrae morbum et adversam valetudinem qua saepe laboramus […]» (fol. 21r). Sul dorso si leggono le note: «Relatio x triennii exhibita per procuratorem in mandato expressum, die 21 maii, anni 1616. Obtinuit sex mensium prorogationem ad id muneris obeundum. Excepta die 10 iunii 1616» (fol. 24v). 2 Nella relazione è indicato erroneamente l’anno 1194.

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Bonaventura Secusio (1609-1618)

comune. Successivamente dal papa Pio v3 di santa memoria lo stato del capitolo fu mutato da regolare in secolare. I canonici usano come insegne la mozzetta nera sopra il rocchetto; la nomina, il conferimento del beneficio e il loro governo competono sempre al vescovo per indulto apostolico. la cura delle anime della città e di quasi tutta la diocesi spetta al vescovo, che la esercita tramite i vicari e i cappellani amovibili a sua discrezione, nominati a questo scopo in alcune chiese chiamate sacramentali, che sorgono nelle città e nei centri abitati secondo la necessità del popolo e degli abitanti. Nella città di Catania c’è un’altra chiesa collegiata, intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, servita da 3 dignità e 18 canonici. C’è pure il seminario dei chierici; poiché in passato era stato trasferito da un luogo all’altro, ospite di diversi edifici, l’attuale vescovo gli ha dato una sede propria vicino alla cattedrale e con l’aiuto di Dio in futuro la ingrandirà. Nella città di Catania ha sede la pubblica Università, dove confluiscono alunni da quasi tutta la Sicilia e dalla vicina Calabria; spetta al vescovo come cancelliere conferire le insegne ai laureandi e in sua assenza al vicario generale [fol. 23v]. Nel territorio della città sorgono: 7 monasteri femminili, soggetti alla giurisdizione del vescovo, 3 retti dai frati minori dell’osservanza di s. francesco, diversi conventi e cenobi di monaci e religiosi di vari ordini, un collegio della Compagnia di gesù, un monastero per ragazze povere, un altro per donne pentite o come si suol dire «delle convertite», un istituto per ragazzi orfani, ospedali per curare i malati, per accogliere i pellegrini e per nutrire i bambini esposti, alcune associazioni laicali e il monte di pietà. Nella città e nella diocesi sono stati fondati alcuni legati pii con l’obbligo di celebrare le messe; di solito sono conferiti come benefici semplici; le loro rendite complessivamente, secondo una comune stima, non superano i 2.000 scudi l’anno. la diocesi, che rispetto alle altre di questo Regno è di discreta grandezza, comprende: 5 grandi centri abitati, chiamati città, 6 minori e 12 villaggi o casali, conta 80.000 abitanti in età di ricevere la comunione. Nella città di Piazza c’è un’altra chiesa collegiata con 4 dignità e 18 canonici, eretta di recente dalla Santa Sede e dotata con i beni lasciati in eredità da un laico molto ricco. 3

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Nel documento originale si legge Pio Iv.


Bonaventura Secusio (1609-1618)

Nei diversi centri abitati sorgono: 16 monasteri femminili [fol. 24r] soggetti alla giurisdizione del vescovo, la maggior parte dei quali osserva la vita comune e la regola più rigorosa, diversi conventi di frati mendicanti e associazioni laicali. In ogni paese c’è l’ospedale per gli infermi, un ospizio per i poveri e il monte di pietà. Sono queste in sintesi le notizie sullo stato della città e della diocesi di Catania, che sottopongo all’esame delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime, che Dio conservi a lungo in buona salute. {fra bonaventura, patriarca e vescovo di Catania} {1616}

[fol. 14r] Catanien. Il vescovo di Catania visita le tombe degli apostoli per il x triennio tramite un suo procuratore e per l’occasione chiede umilmente alla S. Congregazione: 1. i superiori da lui nominati per il governo del seminario della città di Catania, eretto a proprie spese, non possano essere rimossi dal loro ufficio anche nell’ipotesi che la sede resti vacante; 2. similmente durante il periodo in cui la sede resterà vacante non possano essere accolti nel seminario nuovi alunni senza il permesso del vescovo più vicino, cioè di Siracusa, per evitare che si corrompano i costumi e che i beni del seminario, al presente bene amministrati, siano occupati e usurpati; 3. la chiesa cattedrale è intitolata a Sant’agata, concittadina della stessa città, il cui corpo è ivi conservato con molto onore; la sua festa suole essere celebrata il 5 febbraio e per l’ottava successiva, alla presenza non solo dei fedeli della diocesi, ma anche di quelli di tutta la Sicilia, che vengono per venerare la vergine martire; il vescovo, volendo favorire ed accrescere questa venerazione per quanto è nelle sue possibilità, chiede umilmente alle Signorie vostre Reverendissime per la suddetta cattedrale che vogliano impetrare dal Santo Padre l’indulgenza plenaria per tutta l’ottava dei festeggiamenti e per la durata di sette anni. RISPOSTa DElla CONgREgaZIONE

«al vescovo di Catania Illustrissimo, etc. fra le richieste che l’Eccellenza Tua ha accluso alla relazione sulla stato di questa Chiesa, presentata nei giorni scorsi alla S. Congregazione del Concilio dal procuratore che a nome tuo ha visitato le tombe degli apostoli, c’è questa in particolare: coloro che l’Eccellenza 89


Bonaventura Secusio (1609-1618)

Tua ha scelto per reggere il seminario di codesta città non possano essere rimossi dal loro ufficio, anche quando codesta sede sarà vacante; inoltre nello stesso periodo in cui la sede sarà vacante nessun alunno debba essere accolto senza il permesso dell’ordinario più vicino. I responsabili della Congregazione, avendo a cuore la buona educazione dei giovani e il governo del seminario, con il consenso del Santo Padre, hanno stabilito che per la prima volta in cui la sede episcopale resterà vacante, non debbano essere rimossi i superiori da Te prescelti senza la licenza della Congregazione e non possano essere accolti altri alunni senza il permesso dell’ordinario più vicino. Sono le comunicazioni che volevamo trasmettere all’Eccellenza Tua con questa lettera della Sacra Congregazione, implorando di cuore una prospera salute. Roma, 14 settembre 16164.

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Libri Litter 1607-1618, fol. 212r-v.


gIOvaNNI TORRES OSORIO (1619-1624) 1. la fIgURa

Dopo la morte di bonaventura Secusio la Chiesa di Catania non rimase a lungo vacante1. Il 2 ottobre 1619 Paolo v, su presentazione del re di Spagna filippo III, trasferì dalla Chiesa di Siracusa il vescovo giovanni Torres Osorio2, nato a Cuéllar (Segovia) il 16 gennaio 1562 da gutterres Torres e Margherita Osorio3. Dai testimoni che depongono nel processo informativo per la nomina a vescovo di Siracusa4 è descritto come «huomo literato e licentiato in iure canonico a Salamanca»5. In Spagna dall’arcivescovo di Toledo era stato nominato vicario generale di Ciudad Real, ufficio che svolse con generale soddisfazione6. Il suo trasferimento a Palermo

1 la prassi corrente tendeva a ritardare la nomina di un nuovo vescovo per consentire al fisco di percepire i proventi della mensa vescovile, sulla base del cosiddetto diritto di spoglio e di sedevacante. vedi «Introduzione». 2 «feria Iv die 2° octobris Romae, in aula palatii Quirinalis, fuit consistorium secretum in quo […] Rev.mo D. Cardinale borgia referente Sanctitas Sua Ecclesiae Catanien. in Regno Siciliae, vacanti per obitum fr. bonaventurae, ad praesentationem Maiestatis Catholicae providit de persona R. D. Ioannis de Torres Osorio episcopo Siracusano» (Acta Cam 15, fol. 129v). gli storici siciliani scrivono che il vescovo Torres, prima di essere trasferito a Catania aveva rifiutato la sede di Monreale, perché dal ricco patrimonio della mensa vescovile avrebbe potuto percepire solo 6.000 scudi (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 280; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., I, 558). 3 Negli atti del processo informativo per la nomina a vescovo di Siracusa i testimoni interrogati affermano che il Torres nel 1613 aveva circa quarantotto anni. la data di nascita del 16 gennaio 1562 è indicata in un breve notizia biografica del nostro vescovo riferita nella enciclopedia telematica Wikipedia (http://es.wikipedia.org/wiki/ Juan_Torres_de_ Osorio [ultimo accesso 23 ottobre 2008]). 4 Il processo, svoltosi a Palermo dal 13 maggio al 4 settembre 1613, fu presieduto dall’arcivescovo card. giannettino Doria, che interrogò 26 testimoni, ecclesiastici e laici, fra i quali l’arcivescovo di Monreale, il vicario generale, il pretore e il capitano di giustizia di Palermo, l’inquisitore, diversi parroci e religiosi (Proc Cons 8, fol. 267r-312r). In quello per il suo trasferimento a Catania, svoltosi a Roma il 4 settembre 1619, i testimoni furono interrogati sullo stato della diocesi di Catania e sulla sua osservanza dei doveri di vescovo negli anni trascorsi a Siracusa (Proc Cons 2, fol. 379-388). 5 Proc Cons 8, fol. 268v. 6 ibid., fol. 270r.

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Giovanni Torres Osorio (1619-1624)

era avvenuto in seguito alla nomina di giudice del tribunale della Regia Monarchia (16 novembre 1596), ufficio a cui era annesso il beneficio dell’abbazia Santa Maria di Terrana7. Nei diciotto anni trascorsi nell’esercizio di questo ufficio, il Torres aveva dimostrato una particolare abilità «nel proporre, come in decidere e terminare le cause le quali hanno occorso»8. Il nuovo vescovo prese possesso della diocesi il 17 novembre per procura, conferita ad antonio veneziano, canonico di Siracusa, che nominò vicario generale9. Negli atti del sinodo diocesano è indicato come vicario generale anche francesco Inguardiola, prevosto della collegiata di Piazza10. 2. Il PIaNO PaSTORalE

Un esame dei primi editti promulgati dopo il suo ingresso in diocesi ci permette di individuare il suo piano pastorale, che sembra far proprio il modello della controriforma. Per i vescovi che iniziavano il proprio ministero sembra una scelta obbligata fare il censimento dei sacerdoti, accertarsi della loro idoneità all’amministrazione dei sacramenti, soprattutto della confessione, e assicurarsi che il clero si trovasse nelle condizioni di dare la propria collaborazione. Questo spiega le prime scelte fatte dal vescovo Torres: — Editto per i confessori:

«Nos Don Ioannes de Torre Ossorio, etc. Essendo noi novamente venuti al governo di questo vescovato et convenendo alla nostra cura pastorale contenere tutti quelli ministri che sono di bisogno per l’aggiuto dell’anime et particularmente nell’amministratione dei santi sacramenti che siano amministrati pro ministri digni come si ricerca, ni ha parso fare il presente editto per il quale ordiniamo et comandiamo che tutti confessori così sacerdoti secolari come regolari, così approbati simplici come ad tempus o di qualsivoglia altro modo approvati alla confessione in questa città di Catania fra termine di giorni vinti da contarsi da lunedì prossimo venturo che saranno li vinticinque dell’instante, habbiano et debbano comparire et haver comparso personalmente innanzi al nostro vicario generale ad effetto di essere

R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., I, 498. Proc Cons 8, fol. 270v. 9 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 280. Nell’archivio Storico Diocesano non si trovano gli atti della sua nomina e del suo ingresso in diocesi. 10 I. TORRES OSSORIO, Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana, cit., 220-222. 7 8

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ricconosciuti et essaminati et essendo retrovati sufficienti et idonei si li possa per noi concedere la licentia e facultà di poter confessare conforme alla disposicione del Sacro Concilio altrimenti tutti quelli confessori che detto termine di giorni 20 non ha venuto, comparso et havuto da noi detta licentia e facoltà restino e se intendano sospesi dall’amministracione di sacramenti et in particulare della confessione che così noi per il presente editto di hora pro tando et tando per hora li dichiaramo per suspesi et accioché venga a notitia di ognuno si è fatto il presente editto affiggere alle porte di questa nostra cathedrale e nell’altri luoghi soliti. Datum Catanae in nostro episcopali palatio alli 24 di novembre 1619. Ioannes, espiscopus Catanensis. vincentius Macrì, magister notarius»11.

— Editto per i chierici:

«Nos Don Ioannes Torres Ossorio. Perché la sincerità et modestia clericale non solamente si conosce per la bontà di costumi, ma ancora per l’apportatione dell’habito honesto et decente al stato et ordine clericale, poiché tale ognuno si presume essere nella vita et costumi quale si dimostra nell’habito esteriore, essendo noi stati informati che alcuni clerici vadano vestiti con habito indecente et vestimenti poco o niente differenti da secolari che vesteno di lutto onde non si può conoscere né discernere se quessi tali sono visitosi o clerici et andando in tale habito pretendendo godere il foro ecclesiastico et essentione delle gabelle senza servire le chiese alle quali nella loro ordinacione sono stati assignati, oltre ad altri inconvenienti quali sequitano dall’apportacione di tale habito essendo obligati oltre il peccato alla restitucione, perciò desiderando noi per l’obligo del nostro officio pastorale dare opportuno rimedio conforme alla disposictione del sacro Conseglio Tridentino, canoni et costituctioni pontificie, ordiniamo et comandiamo a tutti clerici di prima tonsura et ordini minori etiam congiugati che fra termino di giorni nove habbiano et debbiano andare in habito et tonsura decente all’ordine clericale, dechiarando che la veste superiore seu rubbone debbia esser talare conforme alla constitutione di Sisto v con berretto parrinesco e non con cappello almeno in chiesa, processioni et quando compariscono in nostra prisenza et il cappello sia conforme all’usanza et costume clericale non ornato con velo largo, ma con un semplice cordone di seta nera et con le faude larghe in modo che si differisca dal cappello di secolari, né possano portare calzette di secolari eccetto di colore honesto con anesso bardiglio chiuso allionato et pavonazzo. Ordinando ancora che tutti vadano con sue soppellizze a servire alle chiese alle quali sono stati 11

Tutt’Atti 1619-1620, fol. 159r-160r.

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Giovanni Torres Osorio (1619-1624)

ascritti et assignati et perciò fra detto termine di giorni nove siano obligati portare le lettere seu privileggi delli suoi ordini et li clerici benefitiali fra lo stesso termine habbiano da portare li privileggi di loro benefitio innanzi il nostro vicario generale et questo sotto pena alli beneficiati di privatione delli benefitii et alli altri di non godere le franchezze delle gabelle ordinando ancora che la fede di detto servictio si possa fare da nessuno o priore o preposito senza nostro espresso ordine. Et accioché vengha a notitia di tutti si ha fatto il presente editto affissare nelle porte della nostra cathedrale et nell’altri luoghi soliti. Datum Catranae, in nostro palatio, die 28 di novembre, 3 ind., 1619. Ioannes, episcopus Catanensis. vincentius Macrì, magister notarius»12.

— L’editto generale per la denunzia dei colpevoli di peccati pubblici, emanato all’inizio della visita pastorale, assume una particolare rilevanza per conoscere il modello di Chiesa del nostro vescovo e il rapporto che stabiliva con i fedeli e la società negli anni della controriforma:

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«Nos don Ioannes de Torres Ossorius. Dovendo noi per l’offitio et obligo che habiamo procurare con ogni diligentia e solicitudine in ogni tempo la salute del’anime alla nostra cura pastorale commesse la reformatione di costume alla corretione di peccati publici, la pace, la sincerità della fede, il vivere christiani e indurre al’osservanza delli divini precetti quelle persone che giacciono nelli peccati maxime nelli publici, enormi, gravi e piò pericolosi et alli quali maggiormente resta offiso il Signore e scandalizzato il prossimo, havendo noi questa matina dato principio alla sollemne nostra visitactione desiderando haver notitia di tutti peccati acciò si pozza per noi provedere con la emendatione e corretione che sarrà de segguenti officii; pertanto per lo presente editto ammoniamo et exhortamo et in virtù di santa obedientia et sotto pena di excomunica magiore ordiniamo et comandiamo a tutti et singuli personi che sapessero et havessero inteso da altri alcuno delli infrascritti o altro peccato o delitto publico delli quali siamo obligati farne diligente inquisictione l’habiano da rivelare del modo che più di sotto si dirà. In primis chi sapesse se alcuno parocho, archiprete, cappellano o altro curato per negligenza o altra causa avesse lasciato morire alcuna creatura senza battesmo o altro in età maggiore senza li debiti sacramenti o vero nel administractione di essi sancti sacramenti havesse comesso simonia, dolo, scandalo e difetto inhabile o che fosse stato negligente in quel che spetta al suo officio, mansione et in sovenire con soccorsi spirituali per aggiutare l’infermi nel estremo dela morti o gli havesse negato di notte in tempo di bisogno li santi sacramenti della penitenza o estrema unctione o ibid., fol. 165r-166v.


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vero nelle chiese o loco parrochiale non insegnassero la doctrina christiana in tutte le dominiche del anno overo nelle medesime chiese parochiali havessero permesso che alcuno chierico o religioso predichasse, celebrasse o administrasse le sacramente sencza la nostra licencza o havessero sepellito o chercato sepellire alcuno excomunicato o interditto o celebrato messa o altri divini offitii standovi alcuno excomunicato presente o che havessero casato alcuno in grado prohibito overo sencza le tre banne precedente conforme al sacro Conseglio Tridentino o fori della chiesa parochiale senza licenza nostra. Item se alcun sacerdote o chierico benefictiato di qualsivoglia stato, grado e conditione lasciasse contra l’oblighe factene de suoi benefictii di celebrare o sodisfare nelli debiti tempi le messe, l’aniversarii, memoriali di defunti, legati pii o altri servictii dovuti alle ecclesie, altare et capellanie di loro benefitii in grave danno della sua conscientia e fraudi delle despositione di defoncti et detrimento del culto divino. Item se alcuno habia recevuto l’ordine sacri senza la età prevista o habia recevuto et administrato in essi stando scomunicato, sospeso o irregolare o ricevuto le dette ordine o alcun beneficio o rendita ecclesiastica per semonia o confedencza o di altro qualsivoglia modo illicito ossia ordinatione con titulo di patrimonio finto, con dimissorie false. Item se alcuna persona ecclesiastica di qualsivoglia stato, grado et conditione alla nostra giuridictione sogetta non fosse di bona vita et fama o che fosse scandaloso che vivesse malamente con scandalo del prossimo o che tenesse in casa donne suspete o figli che non fossero stati di legittimo matrimonio prima del clericato o che giocasse a gioche vietate come di carte et dadi et non andasse in abito et tonsura clericale o che portasse armi o andasse di notte armato o con strumenti di musica o con l’abito clericale o sercitasse alcuna mercantia o se incerisse in negoctii et exercitii secolari o andasse in compagnia di vagabondi et con genti di mal nome, vita et costumi o facesse alcuno exercitio vili. Et perché appare assai male che li clerici siano visti il giorno octiosi e vagabondi nelle piacze publiche et strade in menzo di secolari et nelle conversactione et particholare detraendo et mormorando dalla vita et fama del prossimo con scandalo di chi le vede e discredito del stato clericale, pertanto exortiamo che sapesse alcuno tale ci lo debia notificare acciò possiamo farci la conveniente provisione. Item se alcun sacerdote o confessore di qualivoglia grado e conditione si habia posto a confissare o administrare sacramenti o che habia celebrato in alcun oratorio o capella privata senza nostra licencza. Item se vi sia alcuno apostata che havesse lasciato l’abito della sua religione sencza esser stato legitimamente dispensato et oggi vivesse fuori di quella. Item che sapesse che in questa città o per la diocese vi fosse alcun malo christiano che non sentisse bene di nostra sancta fede così homo come donna et vi fosse alcuna persona magara o incantatrice, sortilega o superstictiosa che usasse alcuna sorte di superstictione, malefictii, ciarmi, lega-

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ture, scongiure, incantamenti o indovinamenti o dasse fede al demonio nemico del geno humano. Item se vi fosse alcuna persona bistiamatrice del glorioso nome di Dio, della benedetta vergine sua Matre e di suoi sancti. Item se vi fosse alcuna persona sacrilegia che havesse posto le mani violente et ingariasse alcuna persona ecclesiastica o in chiesa havesse commesso homicidio, mutilactione, sparso sangue o di qualsivoglia maniera commesso altro sacrilegio o violato con offesa la libertà et inmunità ecclesiastica. Item chi sapesse alcuno in questa città o nella diocesi facesse cose o tande di giochi publici di carte o dadi nella quale oltra che sia in essi consumano gli homini inutilmente il tempo e loro facultà offendono gravemente Iddio molte volte con gioramenti et anco con biastemie e si sogliono venire grandissimi scandali e risse. Item se alcuna persona fusse incestuosa per haver pratica inhonesta con parenti consanguinei et affini congiunti di cognatione spirituale o vero commettesse sacrilegio con persona religiosa o che tenesse due o piò marite o piò o due mogli o che alcuni parenti havessero contratto matrimonio in grado prohibito sencza dispencza della Sede apostolica o che tengono altro impedimento canonico per lo quale non se havessero possuto casare insieme o che havessero impetrato dispensa da sua Santità sorrectiziamente occultando la verità, exprimendo la falsità o stassero congiunti sotto colori di matrimonio vivendo in perccato mortale essendo espressamente excomunicati per rigori di sancti canoni. Di piò che sapissi che alcuni maritati stassero separati uno del altro con detrimento de l’anime loro et ingiuria del sancto matrimonio. Item che sapesse che vi fosse alcuna persona concubinaria che campasse lascivamente con la perdita del’anima sua et scandalo del prossimo o vi fosse persona che facesse sorte alcuna di ruffianamento o altro publico enorme peccato et frequentasse in quello. Item che sapesse che in questa città o in qualsivoglia altro loco di questa diocesi vi fosse alcuna persona usuraria che imprestasse denaro o altra qualsivoglia cosa ad usura etiam paleata recevendo piò di presto o vendesse in tempo orgio, formento, legumi, vino, panno, seta o altra qualsivoglia specie di animali piò notabili preczo di quello che valino alla giornata per la delictione della paga o li pagasse meno per l’antecipata solutione o facesse contratti inliciti nelli quali sonno anco in colpa li notarii che simili contratti facessero. Item chi sapesse alcuna persona fosse excomunicata o interditta o incorsa nelle censure per noi promulgate contro quelle che non osservando il precetto universale di Sancta Ecclesia non si sono confissati almeno una volta l’anno e comunicati nel tempo della pascha et acciò che detto salutifero precetto di Santa Ecclesia inviolabilmenti si osservi ordinamo di novo expressamente comandiamo alle capellani che anno cura di anime di scrivere il stato et il numero delle anime alloro cura assignate et quelli che l’anno fatto renovarlo a suo tempo altrimenti contro li negligenti se procedirà con ogni rigore e severità. Item chi sapesse che alcuno presu-

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messe mangiar carne nelle giorni prohibiti della chiesa sencza necessità o licentia del’un et l’altro medico e non osservasse le degiune quadragesimali di quattro tempi e di altre vigilie essendo obligato degiunare né tenendo necessità approbata per detti medici spirituali e corporali. Item se alcuno tavernaro o posatero permettesse che nelle loro hostarie, taverne, posate o fondachi o casa se mangiasse cosa alcuna di cibi prohibiti nelli detti tempi sencza detta licencza o con alcuna donna disonesta per comodità del’ospiti e passegieri. Item chi sapesse che vi fosse in questa città alcuna persona che non havesse udito la messa nelli giorni di domenica o festivi di precetto o che facesse qualsivoglia sorte di opera servile nelli sudetti giorni di domenica o festi di precetto. Item chi sapesse che in questa città o diocese vi fossero persone che tra di loro havissero inimicitia capitale debiano avisarni acciò per lo debito del offitio nostro pastorale et amor paterno che portiamo a tutti possiamo procurar tra di loro che campino tra di loro christianamenti e si vetino li scandali danni che sogliono dalle inimicitie avenire. Item che sapesse che alcun medico chierugico sia stato a visitare l’infermi di qualsivoglia stato, grado e condictione lo sexto giorno sencza che tale infermo sia confessato de peccati suoi contro la disposicione delle bolle apostoliche e sinodali incurrendo nelle pene e censure contenute in dette constetuctioni. Item se alcuna persona tenesse occupate o usurpate e denegasse beni mobili e stabili censi o legati o altra qualsivoglia cosa et raggione di alcuna chiesa, capella, altare, monasterio, ospitale, confraternita, monte di pietà, di qualsivoglia altro loco pio di questa città o nostra diocesi overo o tenesse o facesse cosa alcuna per la quale se lasciassero di complire le messe o divini offictii o che le fabriche e muratorie delle stesse chiese o lochi pii fossero interrupte per cause che le son fundati li introiti o elemosine a questo effetto lasciate o se alcuno benefictiale per negligentia, doli, fraude lasciasse perdere le predii, censi o altri che sencza licentia nostra o della Sancta Sede apostolica havessi fatto alcuna alienatione delli predetti beni e predii di chiesa o alcuna concessione a vita o di qualsivoglia altra maniera prohibita da sacri canoni l’habiano da rivelare sotto pena di excomunica maggiore latae sententiae. E sotto la stessa pena di excomunica magiore latae sententiae che sapesse che alcuna persona havesse occupato, usurpato o tenesse occupati usurpati beni, predii, censi, beni mobili o stabili et altri raggioni toccanti e pertinenti alla nostra mensa vescovale lo voglia revelare. Item che sapesse che sia stato fatto alcuno legato, donatione, lascito per ultima volontà, pia dispositione per celebratione di messe o divini officii, exeque, funerali, maritagio di orfani, subsidio di fabriche di ecclesie, ospitali, lochi pii o di qualsivoglia opera pia che fin hora non sia stata assignata. Qualsivoglia dunque che sapesse alcuna delle cose predette e peccati publici o notorii quali hanno bisogno di reforma voglia e debbia fra termine di giorni sei quali se l’assignamo due per la prima e per la seconda e due per

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la 3a et ultima monitione canonica et peremptorio termine notificarlo et rivelarlo a noi e nostro vicario generale che noi con essendo zelante del honor di Dio e desiderosi della emendatione del prossimo li intenderemo benignamente et con ogni secretezza acciò piò facilmente informati et in secreti possiamo con la carità paterna provedere a quelle cose che saranno necessarie per il culto divino e alla salute del’anime a noi comesse e possiamo a tutte dare opportuni remedii conforme ne pareva piò expediente per complire l’offitio nostro pastorale et comune utilità di tutti acciò escano dal peccato et si attengono da vivere malamente et Dio nostro Signore sia sempre da tutti laudato e glorificato. Et perché essendo noi novamente venuti al governo di questo vescovato non havendo havuto né tempo né cognitione certa e distinta delli disordini quali solino procedere in questa città e diocese nemeno ritrovarsi constitutioni sinodali perciò ci apparso confirmare come in vertù del presente editto confirmamo tutti li edicti e constitutioni tanto ordinarie come extraordinarie fatte per la bona memoria di monsignore Patriarcha olim vescovo di questa città, quali vogliamo che stiano in suo robbore et fermità. Et accioché queste nostre amonitioni et ordinationi possano pervenire a notitia di ogni uno abiamo ordinato che in questo giorno principio della nostra visita a quando il popolo fosse in questa chiesa piò frequente fossero publicate le lettere et publicate che fossero se affiggessero in loco publico acciò ciascuno possa legere et vederle per sapere quel che si habia a fare si che piò non possa allegare ignoranza giaché ormai passato il termine di sei giorni prefisso non sarrà amessa alcuna scusa e procederemo al castigo così contro quelli che havranno fatto l’ecessi come contro quelli consapevoli che non haveranno rivelato. Datum Cataniae, die primo decembris, 3a ind. 1619. Ioannes, episcopus Catanensis. vincentius Macrì, magister notarius»13.

— Editto per la tutela dei beni ecclesiastici:

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«Ioannes etc. Per oviare alli fraudi {chi} hanno successo nella exigentia delli renditi e proventi cossì delle chiese, monasterii et lochi pii per causa che il denaro che si exige non è andato in poter delli thesoreri et pagatori con cautela e ricevuta di quelli, desiderando noi provedere alla indennità di dette chiese, monasterii e lochi pii, per il presente editto ordiniamo e comandiamo che di qua innanti nessuno debito di dette chiese, monasteri e lochi pii di qualsivoglia debito o censi possa pagare denari alli exattori, collettori, procuratori, né ad altra persona o officiale senza ricevuta delli thesorieri, sotto pena di non ci esser fatti boni a loro conti et haverli da pagare altra ibid., fol. 174v-179r.


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volta et che li thesorieri sotto pena di scommunica maggiore late sententie non si possino fare introito di qualsivoglia partita in vacante senza l’effettiva e integra solutione e pagamento, prohibendo di più alli detti debitori delli monasteri in particulare che non possiano ricevere mandati né quelli pagare ma sodisfare quanto in denari contanti portati et fatti boni al thesoriero dal quale devono ricevere la sua cautela, altrimente pagando denari con ditti monasteri non ci saranno fatti boni dal detto thesoriero e acciò venga a notitia di tutti per non allegare ignorantia s’ha fatto il presente editto. In Catania a 3 di gennaro 1620. D. antonius venetiano, vicarius generalis. Notarius vincentius Macrì, magister notarius»14.

— un editto, che si prefigge di disciplinare la festa di s. Agata, ci offre elementi utili per stabilire la prassi seguita negli anni di governo del nostro vescovo, per documentare l’esistenza delle «’ntupateddi»15 e per dimostrare che la festa della santa patrona da sempre ha comportato problemi non indifferenti per i vescovi di Catania:

«bandi promulgati per lo bono regimento della festa della gloriosa Santa agatha. Perché conviene al culto divino remuovere tutte le occasioni che donano scandalo e levare afatto alcuni abusi che l’ill.mo et rev.mo Don gioan de Torres Osorio, vescovo di questa città è stato informato essere nella festa della gloriosa S.ta agatha patrona di essa città et havendo esso ill.mo signore inteso il malo officio che ha fatto nelle feste passate le carroze et cochi con l’andare in taluni luochi et in certe hore inconvenienti, desiderando che detta festa si decori al possibile perché ne nasca magior devotione ai populi per il presente banno publico di ordine et comandamento di detto ill.mo et rev.mo Monsignore de Osorio si ordina, provede et comanda che nel giorno si farà in questa città la festa et processione della luminaria quale uxirà della chiesa di S.ta agatha la vetera, farà comenzo per la porta del Re, entrerà per la porta di Iaci et andrà nella maggiuri et cathedrale ecclesia per tutto il tempo che durerà detta processione non possono né debiono per la strata sudetta dalla porta di Iaci alla logia andare né traversare per detta strata chochie né carroze di qualsivoglia persona sotto pena di excommunica maggiore nella quale incurrano cossì li cochieri che por-

ibid., fol. 277r-277v. Su questa usanza, non esclusiva della festa di s. agata a Catania, si veda C. NaSEllI, Le donne nella festa di Sant’Agata a Catania (ossia delle ‘ntuppateddi), in aSSO 48 (1952) 189-225; a. lONghITaNO, il culto di s. Agata, in v. PERI (cur.), Agata la santa di Catania, bergamo 1996, 67-125: 112-120. 14 15

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teranno detti cochi et coarroze come quelli che andiranno dentro. Di più si provede, ordina et comanda che il giorno sudetto della luminaria tutti sacerdoti et clerici vadano in detta processione nella quale processione assistirà pontificalmente esso ill.mo monsignore et si congregherà detta processione come è solito nella chiesa sudetta di S.ta agatha la vetere sotto pena ad ogni uno che mancasse di onze due aplicate la quarta parte al fisco della gran corte di esso ill.mo Signore et il resto al opera dello scrigno seu vara di detta gloriosa sancta. anco si provede, ordina et comanda che lo mentre si farà detta processione nessuna persona ammascarata presuma accostare né intrare in detta processione ne meno andare appresso di quella et fermandosi in alcun luogo a vederla passare nessuno presuma fare atione alcuna disonesta né ridicolosa ma stiano con quella modestia che conviene ad una processione tanto sollenne et queto tutto sotto pena di scomunica maggiore late sententie et di carceri in luogo et per il tempo ad esso ill.mo signore ben visto alla quale si procederà isso fatto inamissibilmente. Nessuno mascarato che portasse sacco di discipplina possa usando detto sacco portare maschera in faccia nemeno nessuna persona possa amascararsi con sacchi et testiere di compagnie né cammissi o altre sotto l’istessa pena nella quale incorreranno tutte quelle possono che la comodessero e perché è pervenuto notitia a monsignore ill.mo che alcune persone nel passar delli gilii li sacchegiano, pertanto si ordina et comanda a tutti et singuli persone che sotto pena di scomunica non presummano sachegiare detti gilii. Emissa et promulgata fuerunt supraditta banna de ordine et comandamento supraditti ill.mi et rev.mi signore per vincentius Stivala publico precone in platea magna cum tubicinis hodie die 2do februarii, IIIe ind. 1620»16.

— il verbale della riunione dei rettori del monte di pietà per discutere e deliberare la fondazione della Casa degli orfani (10 gennaio, 3 ind., 1620), ci offre elementi preziosi per la storia delle istituzioni di carità nella città di Catania:

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«Conoscendosi per tutto questo {Regno} di Sicilia il servizio grande che nostro Signore Iddio viene per esser state fundate nella città di Palermo e Messina le case delli figliuoli dispersi seu destituti di padre e madre et il beneficio publico che si apporta a quella città mossi da santo zelo et inanimati per l’effetto grande che han mostrati a questa opera lo Ill.mo et Exc.mo Sig. Don francesco di Castro viceré in questo Regno et lo Ill.mo et Rev.mo Mons. Don giovanne Torres Ossorio, vescovo di questa città, li signori Don Ioanne battista Paternò, priore della cattedrale di questa città e protonotaro Tutt’Atti 1619-1620, fol. 321r-322r.


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apostolico, don francesco Paternò Inguanti e Castello il Dott. giovanni battista gaetano, vincentio blandino et maestro agatino di alaimo rettori del munti della pietà e charità di questa città deliberarno ancho fondare in questa città la sudetta opera de’ figliuoli dispersi seu destituti di padre e madre per la potestà a loro concessa si come nel xIIII di detto monte appare qual opera tutto ciò che sia in prencipio niente di meno par cosa necessaria che sii governata sotto qualche regola perloché si han fatto per hora le infrascritte capitoli secundo la forma delli quali con l’agiuto di Idio nostro Signore et della sua S.ta Madre vergine Maria et della gloriosa Sancta agatha si governerà. Primo. Che li retturi seu protetturi di essa siano dui di numero e del grado delli nobili di questa città per ogni futuro tempo ma mutabili ogni triennio et si habbiano di eligere per il senato di questa città et nella ultima settimana di aprile nel tempo che sarranno usciti officiali nuovi di questa città et che li detti protetturi habiano di dare la nomina al detto senato di quelle persone che sarranno più atti a tal mistero e che il numero delli nominati non possia essere meno di sei della quale nomina detto senato ni habbia designare due quali sarranno li protetturi et averanno da durare per il triennio come di sopra et cossì successivamente si habbia da osservare e che la prima elettione da farsi si intenda si come fosse stata fatta nel mesi di aprile prossimo che verrà et habbia da durare per il triennio come sopra. 2° li quali protetturi possano e liberamente vogliano sempre et ogni futuro tempore venire li figlioli dispersi seu destituti di padre e di madre et ad effetto di alimentarsi et educarsi nella dottrina cristiana e seculo di Iddio nostro Signore et in qualcheduna del arte mechaniche a chi meglio venissero inclinati nella casa sopracciò deputata et perciò con ogni potestà possino detti protetturi alli figlioli renitenti farli pigliare per forza et violentemente per unirle come sopra et contro le parenti o altra persona che disturbasse a tale figlioli detti protetturi habbiano di recurrere a Monsignor Ill.mo o suo molto Rev.do vicario et disponere quello che li parerà. 3° Et perciò sta a carrico di detti protetturi et sia in loro potestà ogni anno far promulgare banno penale che nessuna persona possa recettare o trasportare in altro luoco figlioli di detta casa stante che potria occurrere che alcuno di essi della detta casa se ne fugisse ogni persona sia obligata revelare e portare a detti protetturi tale figlioli afinché possino esser castigati in detta casa conforme si fa nelle altre case di Palermo e Messina et che detto si habbia da promulgare per ordine dello Ill.mo Monsignor e molto rev.do suo vicario et ad instantiam di detti protetturi. 4° Et perché in detta casa li sudetti figlioli quando sarranno bene educati et atti a poter exercere qualche arte mechanica che detti protettori possano tali figlioli donarli a coloro che li ricerchiranno per impararli in qualche delle sudette arti con fari con li maestri che currano tali figlioli atto publico di locaccione per quello tempo che a detti protetturi li parerà afinché con timore detti figlioli possano

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servire loro maestri e caso che si ne fugissero da quelli redurli di nuovo in casa per donarli di nuovo il condegno castigo afinché detti figlioli caminano per quella strada per la quale instituita questa opera. 5°. Che detti protettori nel principio del suo officio fra giorni otto habbiano et debbiano eligere un thesaurero seu depositario quale haverà da durare per un anno e servendo si possi confirmare con questo che non possi perseverar in detto officio più di tre anni, in poter del quale habiano da pervenire tutte le rendite et elemosine di detta opera li quali detto thesorero seu depositario haverà da custodire et erogarle et pagarle di ordine {et} comandamento sottoscritto dalli detti protetturi et che habia da servire gratis et pro Deo et sia tenuto darne fedele et legal conto da subito haverà finito il tempo del suo officio alle protettori di detta opera e di restituire realiter tutto quello li fossi restato in suo potere al thesaurero e depositario messo alle quale cose sia tenuto e obligato in forma curiae ut lasci ut ciascun obligacione di bene o persona e con lo patto de non opponendo et in caso di morte similmente li soi heredi siano obligati eccetto li dassiro statim et incontinenti li beni di esso thesaurero messo alla detta opera et anco di restituire il libro e quinterno suo dell’introito et exito per esso fatto e caso che succedesse che detta opera ni incorressi danno sia in danno et in periculo di essi protettori pro ratha che li haveranno eletto eccetto che si nel tempo dell’elettione quella sia fatta comunimente approbata la bona opinione si teneva da essi ita che detti retturi siano obligati alla colpa e difetti di detto thesaureri. 6°. Et che sia in facultà di essi protetturi di eligere un detemptore di libri il quale habbia da notar a libro tutte le rendite, proventi et elemosine et li introiti di detta opera e similmente habia da firmare e registrare tutti li mandati che si faranno per detti protetturi, il quale detempturi si muti ogni triennio e la sua elettione spetti alli sudetti protetturi, il quale habbia di salario onze due lo anno delli denari di detta opera, la quale tassa di salario non si possia crescere per detti protetturi e che crescendo detta opera come si spera habiano facultà li detti protetturi di poteri eligere un procuratore con salario a loro benvisto purché detto salario non possi ascendere alla somma di onze 4 ogni anno. 7°. Et li sudetti capitali secondo la mutacione delli tempi e secondo li novi occurrenzi et esperienza delle cosi in impegnarsi per le ditti protetturi con la conferma dell’ordinario del luoco o suo vicario si possiano corregere et emendare in tutto o in parte et a quelle agiongere e detrahere tanto magiormente che nella città di Palermo detta opera è anco in principio così stano facendo quelli capitoli et che dalli capitoli moderandi et noviter faciendi se ne habbia da tenere conferma dal sudetto ordinario del luoco o suo vicario tante volte accaderà da farse. 8° Et perché la sudetta opera in questa città hebbe principio e sequito sotto la cura del padre antonino Parascandolo persona virtuosa et di santo zelo caminando sempre detto padre sì come spera in

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quella virtù di perfettione che al suddetto padre antonino in caso di infermità o vechecza per la quale non potesse piò servire al ministerio di detta opera che in tal caso non si possi detto antonino mandare di detta casa per li sudetti protettori o per qualsivoglia altra persona e che in detta casa nelli cosi sudetti si ci habbia da donare tutto il necessario per il sustentamento di sua vita recercando cossì la pietà e carità cristiana. 9° Et che li detti protetturi ogni quattro mesi habiano e debiano donare raugaglio a detto ill.mo monsignore o suo vicario che pro tempore sarà di tutto quello e quanto si ha passato nella seudetta casa e di tutto il governo cossì della persona delle figlioli e ministri e servienti come della detta casa. Quae quidem capitula fuerunt registrata de mandato ill.mi et multo rev.di domini vicari generalis Catanensis in scriptis mandantis acceptentur et registrentur»17.

3. Il SINODO DIOCESaNO

Il vescovo Torres, dopo meno di due mesi dal suo ingresso in diocesi, indisse la prima visita pastorale18. Dopo aver portato a termine la seconda, celebrò il sinodo diocesano nei giorni 26, 27 e 28 aprile 1622, le cui costituzioni furono pubblicate a stampa nel 162319. Nell’introduzione egli indica le fonti alle quali si è ispirato per formulare le norme: i concili ecumenici, le costituzioni apostoliche, i Padri, in particolare quelli del suo tempo, come l’arcivescovo di Milano s. Carlo20. le costituzioni sinodali sono divise in quattro parti, ma l’ordine sistematico scelto dal vescovo non è molto chiaro. la prima è intitolata «De fide catholica», un tema che affronta solo per riportare la formula per la professione di fede stabilita da Pio Iv e per ribadire l’obbligo di professare la fede per i titolari di un beneficio ecclesiastico. Subito dopo ricorda a tutti i fedeli il dovere di denunziare — sotto pena di scomunica latae sententiae — coloro che si allontanavano dalla fede cattolica o commettevano pubblicamente i peccati indicati in un elenco. la trattazione di questa prima parte continua con i temi che riguardano gli edifici sacri dal punto di vista materiale, la reliquie dei santi, i vasi sacri, le suppellettili necessarie per il culto.

ibid., fol. 323r-327r. ibid., fol. 280v-281v. 19 Nell’introduzione scrive: «lustrata igitur semel atque iterum Dioecesi, optimeque rebus omnibus animadversis, praesentem synodum in Domino congregatum habuimus» (I. TORRES OSSORIO, Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana, cit., 2). 20 ibid., 2-3. 17 18

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la seconda parte affronta il tema dei sacramenti, la terza riunisce alcuni argomenti di varia natura: i chierici, le celebrazioni sacre, i canonici, la parola di Dio, la catechesi, la cura d’anime, i giorni festivi, coloro che vivono in concubinato, i maestri di scuola, le immunità ecclesiastiche. la quarta parte tratta dei vicari, dei giudici, delle associazioni laicali, del seminario dei chierici, delle monache, dei religiosi, del sinodo diocesano, degli esaminatori sinodali, dei giudici e dei testi sinodali. Nel capitolo sul sinodo diocesano il vescovo manifestava la volontà di celebrarlo ogni anno. Nella festa dell’epifania avrebbe comunicato la data della celebrazione, alla quale tutti i fedeli erano inviatati a prepararsi spiritualmente con una giornata di preghiera21. Per il vescovo Torres non fu possibile mantenere questo proposito, perché il 29 maggio 1624 fu trasferito alla Chiesa di Oviedo22, per passare il 19 luglio 1627 a quella di valladolid23, dove morì il 18 agosto 163224. 4. lE RElaZIONI AD LiMinA (1620, 1623)

giovanni Torres negli anni del suo governo pastorale a Catania presentò due relazioni sullo stato della diocesi. In entrambi i casi la visita alle tombe degli apostoli fu fatta tramite un procuratore. I testi delle due relazioni presentate alla Congregazione del Concilio non si distaccano da quelli dei suoi predecessori. Si ha l’impressione che egli si sia limitato ad aggiornare l’ultima relazione trovata in archivio. Ciò spiega le poche varianti nei due documenti e la ripetizione di errori presenti nella relazione del predecessore (l’anno di fondazione della cattedrale non è il 1194, ma il 1094). Nella prima relazione del Torres la variazione rispetto al testo del Secusio riguarda il seminario: il Secusio scriveva che aveva costruito il nuovo edificio del seminario. Il Torres aggiorna sullo stato dell’istituzione:

ibid., 219. P. gaUChaT, Hierarchia catholica, cit., 268. 23 ibid., 357. 24 gli storici siciliani affermano che il Torres, dopo valladolid, nel 1632 fu trasferito a Malaga (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 282; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558); ma di quest’ultimo trasferimento non troviamo menzione in P. gaUChaT, Hierarchia catholica, cit., 229 e 358. la data di morte, indicata dalla breve notizia biografica del nostro vescovo riportata da Wikipedia, è il 23 settembre 1632 (http://es.wikipedia.org/wiki/Juan_Torres_de_ Osorio [ultimo accesso 23 ottobre 2008]). 21 22

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«Presso la cattedrale sorge il seminario dei chierici in cui, oltre i convittori, vivono 12 alunni, secondo le rendite e le disponibilità di questo istituto, con i superiori e i ministri necessari al suo governo» (fol. 27r). Nella seconda relazione c’è qualche aggiornamento in più: — del seminario si afferma solamente l’esistenza: «c’è pure il seminario dei chierici» (fol. 37r); — è stata istituita la Casa degli orfani: «nella città di Catania c’è inoltre un istituto fondato dall’attuale vescovo, che nutre e indirizza sulla buona strada i ragazzi sbandati» (fol. 37r); — il culto eucaristico e la pia pratica delle quarantore: «nei diversi centri abitati sorgono […] soprattutto confraternite del ss. Sacramento; per il suo culto sia a Catania sia in alcuni altri centri abitati della diocesi dall’attuale vescovo è stata istituita la pratica delle quarantore» (fol. 37v); — il sinodo diocesano: «nello scorso mese di aprile dall’attuale vescovo è stato celebrato il sinodo diocesano» (fol. 37v).

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Giovanni Torres Osorio (1619-1624) vI

1620 – Relazione del vescovo giovanni Torres de Osorio, relativa all’11° triennio, presentata il 25 maggio 1620 dal procuratore p. felice de leone, priore del convento dei carmelitani di Catania e ministro provinciale1.

[fol. 26r] Relazione della diocesi di Catania Ill.mi e Rev.mi Signori, la città di Catania sorge in Sicilia, oltre il faro, alle falde dell’Etna, a mezzogiorno, in riva al mare. In essa c’è una grandissima e bellissima chiesa cattedrale, eretta e dotata dal normanno Conte Ruggero nel 10942, dedicata a Sant’agata vergine e martire, il cui corpo è ivi conservato e venerato con grandissima devozione. Questa chiesa, insignita della dignità vescovile dal papa Urbano II, di felice memoria, ha una sagrestia ben fornita delle suppellettili necessarie al culto divino e il palazzo per l’abitazione del vescovo. Dalla mensa vescovile, tolte le pensioni, gli stipendi e gli altri oneri, restano per il vescovo 8.000 scudi d’oro. Nella cattedrale c’è il capitolo con 4 dignità (la prima dopo il vescovo è il priore, la seconda il cantore, la terza il decano, la quarta e ultima il tesoriere), 12 canonici, altrettante prebende e 12 beneficiati. Tutti costoro hanno l’obbligo della residenza personale per partecipare alla recita delle ore canoniche [fol. 26v] durante la settimana. Ci sono inoltre alcuni cappellani amovibili a discrezione del vescovo, che esercitano la cura delle anime, musicisti, cantori, l’organista e 4 sagrestani. a tutti costoro (dignità, canonici, beneficiati e altri sacerdoti addetti) vanno le distribuzioni quotidiane e gli stipendi pagati dalle rendite della mensa vescovile. 1 Rel Dioec 207 a, fol. 26r-28r. al documento è acclusa la procura redatta dal notaio lorenzo de Sciacca il 22 aprile 1620, III ind. (fol. 16r-v; 19r; 25r-v; 30r-v) alla presenza dei testi can. Claudio de leone s.t. e u.i.d., prevosto della collegiata di Catania e can. Matteo de Mineo, della stessa collegiata. Il vescovo adduce le seguenti motivazioni per giustificare l’invio di un procuratore: «[…] ex multis et legitimis causis hic non debite exprimendis et praecipue cum sit modernus episcopus ei incumbet onus visitandi totam sua dioecesim sina qua visitattione non posset ullo patto reggere, gubernare dictam suam diocesim, tum etiam ob nonnulla alia eius legitima impedimenta […]» (fol. 25r). Sul dorso del documento si legge la nota: «1620. Relatio Ecclesiae Cathanae. Catanien. Relatio xI triennii exhibita per procuratorem expressum in mandato hac die xxv maii MDCxx» (fol. 29v). 2 Nel documento originale è stato scritto erroneamente 1194.

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Giovanni Torres Osorio (1619-1624)

le dignità e i canonici della suddetta chiesa una volta erano religiosi dell’ordine di s. benedetto ne osservavano la regola e avevano la mensa comune. Successivamente dal papa Pio v, di santa memoria, lo stato del capitolo fu mutato da regolare in secolare. I canonici usano come insegne la mozzetta nera sopra il rocchetto; la nomina, il conferimento del beneficio e il loro governo spettano sempre al vescovo per indulto apostolico. la cura delle anime della città e di quasi tutta la diocesi spetta al vescovo, che la esercita tramite i vicari e i cappellani amovibili a sua discrezione, nominati a questo scopo in alcune chiese, chiamate sacramentali, che sorgono nella città e nei diversi centri abitati [fol. 27r] secondo la necessità del popolo e degli abitanti. Nella città di Catania c’è un’altra chiesa collegiata, intitolata a santa Maria dell’Elemosina, servita da 3 dignità e 18 canonici. Presso la cattedrale sorge il seminario dei chierici in cui, oltre i convittori, vivono 12 alunni, secondo le rendite e le disponibilità di questo istituto, con i superiori e i ministri necessari al suo governo. Nella città di Catania ha sede la pubblica Università, dove confluiscono alunni da quasi tutta la Sicilia e dalla vicina Calabria; spetta al vescovo come cancelliere conferire le insegne ai laureandi e in sua assenza al vicario generale. Nel territorio della città sorgono: 7 monasteri femminili, soggetti alla giurisdizione del vescovo, 3 retti dai frati minori dell’osservanza di s. francesco, diversi conventi e cenobi di monaci e religiosi di vari ordini, un collegio della Compagnia di gesù, un monastero per ragazze povere e un altro per donne pentite [fol. 27r] o come si suol dire «delle convertite», un istituto per orfani e un altro per bambini abbandonati, ospedali per curare i malati, per accogliere i pellegrini e per nutrire i bambini esposti, alcune associazioni laicali e il monte di pietà. Nella città e nella diocesi sono stati fondati alcuni legati pii con l’obbligo di celebrare le messe; di solito sono conferiti come benefici semplici, le loro rendite complessivamente, secondo una comune stima, non superano i 2.000 scudi l’anno. la diocesi, che rispetto alle altre di questo Regno è di discreta grandezza, comprende: 5 grandi centri abitati, chiamati città, 6 minori e 12 villaggi o casali; conta 80.000 abitanti in età di ricevere la comunione. Nella città di Piazza c’è un’altra chiesa collegiata con 4 dignità e 18 canonici, eretta di recente dalla Santa Sede e dotata con i beni lasciati in eredità da un laico molto ricco. 107


Giovanni Torres Osorio (1619-1624)

Nei diversi centri abitati sorgono: 16 monasteri femminili, soggetti alla giurisdizione del vescovo, la maggior parte dei quali osserva la vita comune e la regola più rigorosa, diversi conventi di frati mendicanti e associazioni laicali. In ogni paese ci sono inoltre: l’ospedale per gli infermi, l’ospizio per i poveri e il monte di pietà. Sono queste le notizie sullo stato della città e della diocesi di Catania che sottopongo all’esame delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime, che Dio conservi sempre in buona salute. Delle Signorie vostre Ill.me e Rev.me umilissimo e inutile servo {giovanni, vescovo di Catania} {1620} lettera della Congregazione del 20 maggio 1624, in risposta alla relazione presentata nel 1620. Si danno al vescovo generiche esortazioni a svolgere bene il suo ufficio pastorale, senza alcun riferimento alle situazioni descritte nella relazione3.

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Libri Litter Visit 1618-1626, fol. 46v-49r.


Giovanni Torres Osorio (1619-1624) vII

1623 – Relazione del vescovo giovanni Torres de Osorio, relativa al 12° triennio, presentata il 2 maggio 1623 dal procuratore p. bernardino da Randazzo, del convento dei minori osservanti di Piazza, lettore in arti e sacra teologia e censore dei libri per conto della S. Inquisizione1.

[fol. 36r] Illustrissimi e Reverendissimi Signori, la città di Catania sorge in Sicilia, oltre il faro, alla falde del monte Etna, a mezzogiorno, in riva al mare. In essa c’è una grande e bellissima chiesa cattedrale eretta e dotata dal normanno Conte Ruggero nel 10942 e dedicata a Sant’agata vergine e martire, il cui corpo è ivi conservato e venerato con grandissima devozione. Questa chiesa, insignita della dignità vescovile dal papa Urbano II, di felice memoria, ha una sacrestia ben fornita delle suppellettili necessarie al culto divino e il palazzo per l’abitazione del vescovo. Dalla mensa vescovile, tolte le pensioni, gli stipendi e gli altri oneri, restano per il vescovo 8.000 scudi d’oro. Nella cattedrale c’è il capitolo con 4 dignità (la prima dopo il vescovo è il priore, la seconda il cantore, la terza il decano, la quarta il tesoriere), 12 canonici, altrettante prebende e inoltre 12 beneficiati. Tutti costoro hanno l’obbligo della residenza personale per partecipare alla recita delle ore canoniche durante la settimana [fol. 36v]. Ci sono alcuni cappellani, amovibili a discrezione del vescovo, che esercitano la cura delle anime, musicisti, cantori, l’organista e 4 sagristi. a tutti costoro (dignità, canonici, beneficiati e altri sacerdoti addetti) vanno le distribuzioni quotidiane e gli stipendi pagati dalle rendite della mensa vescovile. le dignità e i canonici della suddetta chiesa una volta erano religiosi dell’ordine di s. benedetto, ne osservavano la regola e avevano la mensa in

1 Rel Dioec 207 a, fol. 36r-38r. al documento sono accluse: 1) la procura redatta dal notaio della curia giacomo Rametta, il 4 febbraio 1623, vI ind., (fol. 31r-32v) alla presenza dei testi D. francesco Inguardiola, vicario generale, e Sebastiano Parches e con l’autentica del senato di Catania. Il vescovo adduce le seguenti motivazioni per giustificare l’invio di un procuratore: «[…] tum propter varia et longinqua itinerum pericula, tum etiam propter gravem aetatem in qua constituti sumus […]» (fol. 31r): 2) la licenza del p. angelico da Piazza, riformatore dei frati minori dell’osservanza del val di Noto, al p. bernardino da Randazzo, perché, assieme al p. benedetto da Piazza, si rechi a Roma per rappresentare il vescovo di Catania nella visita ad limina (fol. 33r). 2 Nel documento originale è stato scritto erroneamente 1194.

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Giovanni Torres Osorio (1619-1624)

comune. Successivamente dal papa Pio v, di felice memoria, lo stato del capitolo fu mutato da regolare in secolare. I canonici usano come insegne la mozzetta nera sopra il rocchetto; la nomina, il conferimento del beneficio e il loro governo competono sempre al vescovo per indulto apostolico. la cura delle anime della città e di quasi tutta la diocesi spetta al vescovo, che la esercita tramite i vicari e i cappellani amovibili a sua discrezione, nominati a questo scopo in alcune chiese chiamate sacramentali, che sorgono nella città e nei centri abitati, secondo la necessità del popolo e degli abitanti. Nella città di Catania c’è un’altra chiesa collegiata [fol. 37r], intitolata a Santa Maria dell’Elemosina, servita da 3 dignità e 8 canonici. C’è pure il seminario dei chierici. Nella città di Catania ha sede la pubblica Università, dove confluiscono alunni da quasi tutta la Sicilia e dalla vicina Calabria; spetta al vescovo come cancelliere conferire le insegne ai laureandi e in sua assenza al vicario generale. Nel territorio della città sorgono: 7 monasteri femminili, soggetti alla giurisdizione del vescovo, 3 retti dai frati minori dell’osservanza di s. francesco, diversi conventi e cenobi di monaci e religiosi di vari ordini, un collegio della Compagnia di gesù, un monastero per ragazze povere, un altro di donne pentite, o come si suol dire «delle convertite», un istituto per orfani, un ospedale per curare i malati, accogliere i pellegrini e nutrire i bambini esposti, alcune confraternite di laici e il monte di pietà. Nella città di Catania c’è inoltre un istituto fondato dall’attuale vescovo, che nutre e indirizza sulla buona strada i ragazzi sbandati [fol. 37v]. Nella città e nella diocesi sono stati fondati alcuni legati pii con l’obbligo di celebrare le messe; di solito sogliono conferirsi come benefici semplici; le loro rendite complessivamente, secondo una stima comune, non superano i 2.000 scudi l’anno. la diocesi, che rispetto alle altre di questo Regno è di discreta grandezza, comprende: 5 grandi centri abitati, chiamati città, 6 minori e 12 villaggi o casali; conta 80.000 abitanti in età di ricevere la comunione. Nella città di Piazza c’è un’altra chiesa collegiata con 4 dignità e 17 canonici, eretta di recente dalla Santa Sede e dotata con i beni lasciati in eredità da un laico molto ricco. Nei diversi centri abitati sorgono: 19 monasteri femminili soggetti alla giurisdizione del vescovo, la maggior parte dei quali osserva la vita 110


Giovanni Torres Osorio (1619-1624)

comune e la regola più rigorosa; ci sono anche 2 collegi per orfane, diversi conventi di frati mendicanti, associazioni laicali, soprattutto confraternite del ss. Sacramento; per il suo culto sia a Catania sia in alcuni altri centri abitati della diocesi [fol. 38r] dall’attuale vescovo è stata istituita la pratica delle quarantore. In ogni paese c’è un ospizio per i poveri e i malati. Nello scorso mese di aprile dall’attuale vescovo è stato celebrato il sinodo diocesano. Queste in sintesi sono le notizie sullo stato della diocesi, che sottopongo all’esame delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime, che Dio conservi in buona salute. Delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime umilissimo e inutile servo giovanni, vescovo di Catania {1623}

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INNOCENZO MaSSIMO (1624-1633) 1. la fIgURa

Con il trasferimento del vescovo Torres alla diocesi di Oviedo, per il re di Spagna si poneva il problema di presentare al papa Urbano vIII il nome di un candidato alla cattedra vescovile di Catania. Secondo la regola dell’alternanza fra un vescovo siciliano e un vescovo estero, come successore dello spagnolo Torres bisognava presentare un siciliano1. filippo Iv presentò invece il romano Innocenzo Massimo2, vescovo di bertinoro. Per evitare malumori fra i nobili siciliani, il re compensò la scelta di un vescovo estero per Catania con la presentazione per la sede di Messina del siciliano biagio Proto3. l’attenzione di filippo Iv alla persona di Innocenzo Massimo va ricercata nel particolare rapporto che si era stabilito fra i due negli anni precedenti, quando il candidato alla sede di Catania aveva svolto l’ufficio di nunzio apostolico a Madrid. Innocenzo Massimo era nato a Roma nel 1581 da alessandro Massimo e Olimpia de Cuppis. avviatosi alla carriera ecclesiastica, dai papi Paolo v e gregorio xv gli erano stati affidati diversi incarichi di governo e di rappresentanza nello Stato pontificio: vicelegato a ferrara, nunzio straordinario in Savoia, Mantova e Milano; nunzio ordinario a firenze e in

R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 435. vedi «Introduzione». Sulla figura del vescovo Innocenzo Massimo si vedano: I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 282-285; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558-560; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 450-454; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 154-155; S. fODalE, il coltello e la carne: proteste antiepiscopali nel primo Seicento siciliano, in I. ZIllI (cur.), Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa, I, Napoli 1995, 407-434; E. aMaRaDIO, La ribellione di Castrogiovanni contro il vescovo di Catania. un episodio di storia siciliana del 1627, Caltanissetta 2006. 3 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 435. 1 2

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innocenzo Massimo (1624-1633)

Spagna4. Il 20 maggio 1613 fu nominato vescovo di bertinoro5. Mentre era nunzio in Spagna aveva partecipato alle difficili trattative, non andate a buon fine, per il progettato matrimonio fra l’anglicano Carlo, figlio di giacomo I d’Inghilterra, e la cattolica Maria, sorella del re di Spagna6 e aveva firmato la convenzione con cui venivano cedute temporaneamente al papa le fortezze della valtellina e la contea di Chiavenna7. filippo Iv aveva stabilito con Innocenzo Massimo un rapporto personale di stima e di amicizia. volle che fosse lui a celebrare il battesimo della figlia primogenita Margherita, il 14 agosto 1622, e dopo il rito gli fece dono dei vasi d’oro e d’argento usati per la celebrazione8. all’inizio del pontificato di Urbano vIII, filippo Iv chiese per lui il cappello cardinalizio9. le attenzioni del re verso il nunzio non sembra fossero disinteressate. la politica dei re di Spagna, improntata a forme di assolutismo confessionale, non era gradita al papa, che avrebbe voluto nel suo rappresentante un atteggiamento più fermo e distaccato. alla fine del 1623 Urbano vIII, nonostante l’opposizione manifestata dal governo spagnolo, richiamò Innocenzo Massimo dalla nunziatura di Madrid10. Probabilmente furono queste vicende che indussero il re filippo Iv a dare un ulteriore segno di stima ad Innocenzo Massimo, proponendolo come vescovo di Catania, nel momento in cui la sua carriera diplomatica sembrava essersi conclusa. Urbano vIII, nel concistoro del 1° luglio 1624,

4 Nel 1624 uno dei testimoni al processo informativo per la nomina a vescovo di Catania afferma: «Detto Monsignor Innocentio è figlio del sig. alessandro de Massimis et della quondam signora Olimpia de Cuppis, romani ed è di età di 43 anni in circa […] et so che è persona di molta prudenza et che ha avuto molti governi come vicelegato di ferrara, nuntio straordinario in Savoia et ordinario in fiorenza et Spagna, nelle quali nunziature è pubblico et notorio essersi portato nobilissimamente» (Proc Cons 3, fol. 441r-448v: 446v). Come nunzio straordinario in Savoia, Mantova e Milano trattò per conto di Paolo v il problema della successione nel ducato di Mantova, conteso dal duca di Savoia e dai gonzaga (l. vON PaSTOR, Storia dei papi, cit., xII, 306-307). 5 «feria 2a, die 20 maii {1613} Romae, in aula palatii Quirinalis, fuit consistorium secretum in quo […] SS.mus Dominus Noster proposuit ecclesiam britonorien. vacantem per obitum Ioannis andreae Caligari, illius ultimi episcopi, pro R.D. Innocentio de Maximo romano, utrius Signaturae referendario quique per septennium vicelegationem ferrarien. laudabiliter administravit» (Acta Cam 14, fol. 243v-244r). 6 l. vON PaSTOR, Storia dei papi dalla fine del medioevo, cit., xIII, 129-152; 800-804. 7 ibid.,167. 8 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 282; R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558. 9 l. vON PaSTOR, Storia dei papi, cit., xIII, 371. 10 L.c.

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innocenzo Massimo (1624-1633)

accettò la presentazione del re di Spagna e trasferì il vescovo Innocenzo Massimo dalla Chiesa di bertinoro a quella di Catania11. Il nuovo vescovo il 12 luglio confermò come vicario generale il priore del capitolo cattedrale don giovanni battista Paternò12 e il 5 ottobre prese possesso della diocesi per procura, conferita al suo agente don giacomo De Michele13. Innocenzo Massimo giunse privatamente a Catania, via mare, otto mesi dopo, il 13 giugno 162514. 2. l’aZIONE PaSTORalE

Il programma pastorale di Innocenzo Massimo, riguardante la cura delle persone, non si discostava da quello dei suoi predecessori. gli storici siciliani ricordano in particolare l’incarico affidato ai padri gesuiti di organizzare e trattare i casi di coscienza15. C’era anche da affrontare il consueto problema di salvaguardare la pubblica moralità, secondo i modelli indicati da Roma negli anni della controriforma e di curare l’amministrazione del patrimonio della Chiesa.

«feria 2a, die prima iulii {1624} Romae, in aula palatii Quirinalis, fuit consistorium secretum in quo […] eodem rev.mo {borgia} referente ecclesiae Catanen. vacanti per translationem Ioannis Torres Osorii ad ecclesiam Oveten. providit de persona Innocentii Maximi episcopi britinorien. […] cum reservatione pensionum ad summam 700 pro persona nominanda salvis antiquis» (Acta Cam 15, fol. 236r-v). 12 «Molto Illustre e molto rev.do Signore. Invio questo mio agente a pigliare il possesso di cotesta chiesa et insieme confidato nella molta prudenza di v. S. et bontà ho risoluto confirmarla nello officio di vicario generale, come in vertù di questa la confirmo, dandogli sopra ciò le facultà et autorità necessarie. Preghi intanto il Signore per me et saluto v. S. di cuore. Di Roma a 12 di luglio 1624. Di v. S. illustrissima per servirla. Innocentio, vescovo di Catania. al molto illustre et molto rev.do signore il sig. D. giovanni batt. Paternò, priore e vicario generale di Catania» (Tutt’Atti 1624-1625, fol 55v). 13 In una lettera del luogotenente del re card. giannettino Doria a don giacomo De Michele, agente del vescovo, si accenna ad alcune difficoltà che avevano ostacolato la presa di possesso della diocesi: «Molto rev.do Signore. Perché si sono già superati qui alcune dificultà che tratenevano l’esecutione della gratia fatta da S. Maestà Catholica a mons. de Massimi, potrà v. S. prendere possesso in suo nome di cotesto vescovato di Catania, sempre che li tornerà commodo, et se occorrirà cosa alcuna per servizio di esso Monsignore, così in questa come in altra occasione, mi sarà caro essermi da lei subito advisato acciò possia impiegarme in essa. a v. S. m’offero intanto et la prego da nostro Signore ogni contento. Di Palermo, li 23 di settembre 1624. Per farli piacere. Ill. Card. Doria» (ibid.,fol. 53r). 14 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 282. 15 ibid., 282-283. vedi supra il profilo del vescovo giovanni Corrionero. 11

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innocenzo Massimo (1624-1633)

a) La repressione del concubinato e dell’usura

Nell’ordinamento della res publica christiana — per molti aspetti ancora vigente durante gli anni di governo del vescovo Massimo — le nozioni di ‘peccato’ e di ‘reato’ si sovrapponevano. alle autorità ecclesiastiche era riconosciuta la competenza di reprimere allo stesso tempo il peccato e il reato. Il peccato era individuato e assolto dopo la libera confessione dei fedeli nel sacramento della penitenza. Il reato, a causa dello scandalo che provocava nella società, era perseguito e punito dalle guardie e dal tribunale del vescovo. Normalmente era il vicario foraneo con la sua piccola corte ad avviare le indagini, che doveva trasmettere entro un mese al tribunale diocesano16. Durante la visita pastorale, la corte episcopale si spostava nei diversi centri per reprimere i comportamenti scandalosi più gravi. Il vescovo, dopo avere indetto la visita, promulgava un editto in cui esortava i fedeli a denunziare i colpevoli di una lunga serie di peccati pubblici17. fra i comportamenti illeciti da perseguire con maggiore determinazione dai vescovi di questo periodo troviamo il concubinato18 e l’usura19. la nozione di concubinato comprendeva una tipologia diversa di situazioni: la coabitazione prima del matrimonio, le unioni di fatto, le convivenze dopo il fallimento del legittimo matrimonio, le relazioni extraconiugali di diversa natura. anche la nozione di usura prevedeva una casistica diversificata20. Per attivare un procedimento non era indispensabile la denunzia dei fedeli, perché il procuratore fiscale — tutore della pubblica moralità —

16 I. TORRES OSSORIO, Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana, cit., pars Iv, cap. I, n. 9-11, p. 176-178. 17 Si veda supra l’editto emanato dal vescovo giovanni Torres nel 1620. 18 Oltre le indicazioni del Conc. Trident., sess. xxIv, de ref., c. 8, COeD, 758-759, si vedano le prescrizioni contenute nei sinodi Caracciolo e Torres: a. lONghITaNO, Le costituzioni sinodali, cit., 167-215; le norme riguardanti il concubinato sono all’art. 120; I. TORRES OSSORIO, Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana, cit., pars III, cap. Ix, n. 124, p. 164. 19 Per contrastare il fenomeno dell’usura si vedano: le norme del Concilio di lione, 26-27 (COeD, 328-329), le disposizioni del Concilio lateranense v per la riforma dei monti di pietà (sessione x, COeD, 625-627) e i sinodi diocesani del Caracciolo (a. lONghITaNO, Le costituzioni sinodali, cit., art. 120 e 128, p. 198 e 201) e del Torres (I. TORRES OSSORIO, Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana, cit., pars III, cap. Ix, n. 126, p. 164). 20 Una trattazione approfondita del tema, oltre che nel Decreto di graziano e nelle Decretali, si trova nelle summae e nei dizionari che circolavano fra i vescovi e il clero in quel periodo: b. fUMO, Somma Armilla, venezia 1581, 366r-371r; Vocabolarium utriusque iuris, lugduni 1585, 683-684.

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poteva ordinare alle guardie del vescovo di entrare nelle case private per sorprendere, catturare e chiudere in carcere i cittadini sorpresi in concubinato o sospettati di praticare l’usura, in attesa di verificare mediante processo la loro colpevolezza. Non era raro che la procedura attivata dal procuratore fiscale suscitasse risentimenti nei fedeli e provocasse conflitti con le autorità civili21, soprattutto quando le guardie del vescovo e il personale addetto al tribunale ecclesiastico davano l’impressione di esagerare nell’infliggere pene pecuniarie22 o usavano poco riguardo alle persone, in particolare alle donne23. b) La cura del patrimonio immobiliare

I vescovi, oltre ad occuparsi della cura spirituale dei fedeli, si interessavano anche del patrimonio immobiliare della loro chiesa: le proprietà della mensa vescovile, gli edifici dell’episcopio e della cattedrale. Una delle

21 Nel 1560 si ebbe un contrasto fra il vicario generale e il capitano di giustizia della terra di Paternò, perché l’erario (pubblico ufficiale della corte ecclesiastica locale), per cogliere sul fatto i colpevoli del reato di adulterio, «andao di notte, com’è solito, con alcuni compagni, usando la massima cautela, per non soccedere alcun scandalo; et sotto un medesimo tetto pigliao detti adulteri». Il capitano di giustizia «riprese il detto erario con dirli che mai più andasse con compagni a pigliare genti», non perché si era introdotto di notte nelle abitazioni private dei cittadini, ma perché nell’esercizio del suo ufficio, invece di chiedere il suo aiuto si era fatto accompagnare da privati. Il vicario generale faceva osservare che «lo officio di erario predetto sempre si ha fatto et exercitato in tali et simili casi che si piglia in sua compagnia tutti quilli genti che li sonno bisogno et pare ad ipso, per andare con la debita e conveniente cautela per non succedere alcun scandalo oi danno» (Tutt’Atti 15591560, fol. 201r-v). 22 Il sinodo diocesano del vescovo g. Torres stabiliva per i concubini pene pecuniarie abbastanza severe, che potevano essere aumentate in particolari circostanze: «Concubinam nemo sibi alat, unciis alioquin quatuor piis locis mulctandus; si tamen uxorem haberet, qui concubinam aleret, triplicatae poenae sibiceat, aliisque maioribus, iuxta sacrorum canonum sanctiones» (I. TORRES OSSORIO, Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana, cit., pars III, cap. Ix, n. 124, p. 164). Non meno severe erano le pene previste per gli usurai; anche in questo caso ai giudici era concessa la facoltà di aumentarle: «Usuris illicitaque negotiatione omnes abstineant, poenis alioquin mulctandi ex praescripto sacrorum canonum, ac unciis praeterea vigintiquinque pro qualibet vice, aliisque poenis Episcopalis Curiae arbitratu» (ibid., pars III, cap. Ix, n. 126, p. 164). 23 Il sinodo Torres nella fase istruttoria delle cause criminali, quando i vicari foranei raccoglievano le prove per trasmetterle alla curia di Catania, prevedeva per le donne gli arresti domiciliari, invece delle carceri ecclesiastiche, salvo che la gravità del caso non avesse consigliato il contrario (ibid., pars Iv, cap. I, n. 10, p. 177).

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priorità del governo pastorale di Innocenzo Massimo sembra sia stata quella di abbellire la cattedrale e di ampliare l’episcopio. Probabilmente, dopo il suo allontanamento dalla nunziatura di Spagna, avrà voluto dare una dimostrazione convincente delle sue capacità e associare il proprio nome ad opere di una certa risonanza. In cattedrale il vescovo ordinò il restauro della cappella di s. agata, che fece ornare di marmi, secondo il modello della basilica romana di s. Pietro24; fece imbiancare le pareti e costruire in marmo il trono reale e il soglio episcopale25; dal pittore giovanbattista Corradini fece realizzare nelle pareti absidali l’affresco raffigurante il trionfo di s. agata e dei martiri catanesi, che tuttora possiamo ammirare26. Per ricordare ai posteri le sue realizzazioni volle che il proprio nome fosse scritto a lettere ben visibili alla base del catino, dove ancora si legge27 e inoltre vicino la porta principale28, nel seggio reale29 e nel soglio episcopale30. la realizzazione di tutte queste opere richiedeva notevoli somme di denaro. appare fondata l’ipotesi che il vescovo Massimo abbia pensato di far fronte a queste spese con il ricorso a fonti diversificate di introiti: il disboscamento delle ‘terre comuni’, patrimonio della mensa vescovile e la loro concessione in enfiteusi; la severa applicazione delle pene pecuniarie previste nei processi per usura; la pressante richiesta di ‘offerte spontanee’ ai fedeli31. l’attuazione di questo piano sarebbe all’origine del giudizio negativo formulato dagli storici siciliani sul vescovo Massimo (un uomo avido di denaro32), della rivolta popolare di Castrogiovanni e dei conflitti con le magistrature cittadine di Catania.

I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 283. L.c. 26 R. PENNISI, notizie storiche, cit. Innocenzo Massimo, quando era vescovo di bertinoro, aveva già commissionato al pittore giovanbattista Corradini l’affresco della sala grande della Rocca, adibita a sala da pranzo (http://www.museointerreligioso.it/ it/museo/lastoria/la-rocca, ultimo accesso 23 ottobre 2008). 27 «virgini Martyri Christi Sponsae Deo dilectae triunphanti agatae, Innocentius Maximus Episcopus Catanensis. anno Domini MDCxxvIII». 28 «Ecclesiam meliorem in usum Divae agathae sacrarium Innocentius Maximus Episcopus ornavit, extruxit. anno Domini MDCxxvIII» (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 283). 29 «Innocentius Maximus Episcopus. anno MDCxxvIII» (l.c.) 30 «Innocentius Maximus Episcopus. anno MDCxxvIII» (l.c.) 31 Nella documentazione conservata negli archivi di Spagna è ricorrente l’accusa di ‘estorsione’ rivolta al vescovo (S. fODalE, il coltello e la carne, cit. 424-426). 32 Scrive il Pirri: «nimium avidus pecuniarum visus est» (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558) e il De grossis: «pecuniarum ideo avidus audiit» (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 283). 24 25

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3. la RIvOlTa POPOlaRE DI CaSTROgIOvaNNI

Il 1° agosto 1627, mentre Innocenzo Massimo si trovava con la sua corte in visita pastorale a Castrogiovanni, una folla inferocita assalì e incendiò in parte il palazzo che lo ospitava33. Poi assaltò le pubbliche carceri e liberò coloro che vi erano stati rinchiusi per ordine degli ufficiali ecclesiastici. Il vescovo, prima si nascose nel solaio; poi, fuggendo per i tetti, trovò riparo più sicuro nel vicino collegio dei gesuiti. ancora più grave fu il pericolo corso da Calcerano Intrigliolo, che presumibilmente ricopriva l’ufficio di procuratore fiscale della corte vescovile, costretto a nascondersi in una botte per sfuggire alle ire dei rivoltosi. l’intervento del clero, che organizzò una processione con il ss. Sacramento e la statua della Madonna, servì a calmare gli animi34. Il vescovo Massimo, quando ritornò la calma, con la sua corte fece ritorno a Catania e, d’intesa con Roma35, decretò l’interdetto per la città di Castrogiovanni:

«Noi Innocenzo Massimo, per grazia di Dio e della Sede apostolica vescovo di Catania, conte di Mascali, cancelliere dell’almo Studio della stessa città, regio consigliere. l’offesa che si fa al vescovo è fatta a gesù Cristo; chi perseguita noi sacerdoti, che facciamo le veci di Cristo, crocifigge un’altra volta il Signore e incorre ipso fatto nei canoni, nelle censure,

I fatti successi a Castrogiovanni sono stati descritti da fra geronimo Panvino in un poemetto coevo, in ottava rima siciliana, dal titolo: Relazione viridica di tutto quello che successe nella ribellione contro il Vescovo innocenzo Massimo romano, conservato manoscritto nella biblioteca Comunale di Enna e pubblicato solo in parte da f. MaRlETTa, un poemetto storico popolaresco del sec. xViii, in aSSO 11 (1914) 94-108; 398-413. la contestualizzazione degli avvenimenti nelle vicende storiche del tempo è fatta da P. vETRI, Castrogiovanni. Dagli Svevi all’ultimo dei Borboni di napoli, Piazza armerina 1887, 320-336 e da E. aMaRaDIO, La ribellione, cit. 34 ibid., 15-23. 35 la lettera inviata da Roma, a firma del card. Ottavio bandini, è riportata dal De grossis: «Molto Ill. et Rever. Monsignor come fratello. Essendosi fatta relatione alla Santità di Nostro Signore dell’accidenti ch’ella avvisa con la sua delli 3 corrente, sua beatitudine, doppo haver considerato la gravezza de’ delitti commessi, e commendato il zelo di v. S. ha ordinato se le scriva ch’ella, con farli prima il processo e con procedere anco nel resto giuridicamente e prudentemente, apponghi l’interdetto alla città di Castrogiovanni, giaché la qualità dell’eccessi merita ogni rigore etc. Romae, 14 agosto 1627. Di v. S. come fratello il card. bandini» (I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 284). Come si può notare, Roma invitava il vescovo a celebrare un regolare processo e di procedere nel rispetto delle norme canoniche. Il vescovo ritenne inutile il processo, perché si trattava di fatti notori che non era necessario appurare attraverso un’indagine. 33

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nella maledizione e nell’anatema contenuti nella bolla in Coena Domini. Poiché in essi è incorsa la maggior parte degli abitanti di Castrogiovanni per i delitti notori commessi verso di noi e la nostra dignità episcopale il giorno 1° agosto 1627, pertanto per la giusta espiazione di tutta la città — in conformità ai sentimenti che profondamente avvertiamo nel nostro cuore di padre — e per tanti altri giusti motivi, dopo la pronta e necessaria consultazione con il nostro Santo Padre Urbano vIII e con la Santa Sede apostolica, dopo aver osservato nel modo più corretto le prescrizioni della legge, pronunziamo l’interdetto nei confronti di tutta la città di Castrogiovanni e del suo territorio, dichiariamo incorsi nell’interdetto generale tutti e singoli gli abitanti e proibiamo loro di partecipare alle celebrazioni sacre, prescrivendo in modo categorico — sotto pena di incorrere nelle sanzioni stabilite dal diritto e in altre da infliggere a nostra discrezione — a tutti e singoli i rettori delle chiese, ai priori, ai cappellani, ai parroci, alle altre persone secoli e regolari di qualsiasi ordine e sesso, che non osino celebrare i riti sacri e non permettano che alcuno di loro sia ammesso ai sacramenti, ad eccezione dei casi previsti dalla legge. Pertanto non possono celebrare le messe né gli altri divini uffici, né benedire le nozze o dare ecclesiastica sepoltura ai corpi dei defunti o indire pubbliche processioni o fare tutto quello che è proibito durante un interdetto generale. Nella città di Catania e nel nostro palazzo vescovile, 26 agosto 1627. Innocenzo Massimo, vescovo di Catania. ludovico argentina, mastro notaro»36.

le autorità civili, avuta notizie del tumulto, inviarono a Castrogiovanni un distaccamento di soldati, per arrestare i responsabili dei disordini. Successivamente istruirono un processo che si concluse con la condanna di alcuni notabili e di tre giurati per non aver impedito gli eccessi della folla37. 4. I CONTRaSTI CON la CITTà DI CaTaNIa

Nello stesso periodo in cui Innocenzo Massimo affrontava le drammatiche vicende di Castrogiovanni, si era avviato un duro conflitto con la città di Catania. Il vescovo aveva fatto tagliare i boschi delle ‘terre

36 Il documento originale in lingua latina si trova in Tutt’Atti 1626-1627, fol. 305r; è stato pubblicato anche da I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 284. Per il significato e gli effetti che l’interdetto — da non confondere con la scomunica — aveva nell’ordinamento canonico del tempo, si veda b. fUMO, Somma Armilla, cit., 213r-221v. 37 E. aMaRaDIO, La ribellione, cit., 31-42.

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comuni’, cioè dei terreni che costituivano allo stesso tempo il patrimonio della mensa vescovile e il demanio della città, ricavando la notevole somma di 34.000 scudi38. Il disboscamento era la premessa necessaria per concedere i terreni in enfiteusi, secondo una prassi che sarebbe stata seguita anche dai suoi successori39. Si aprì in tal modo un contenzioso fra il vescovo e i senatori. Il problema da risolvere riguardava la gestione di un patrimonio, sul quale il vescovo e la città avevano interessi comuni ma autorità limitata40. l’azione del vescovo era considerata illegale dalle magistrature cittadine, perché fatta su beni dei quali egli non aveva la libera proprietà, e allo stesso tempo dannosa, perché la città non avrebbe potuto esercitare gli usi civici se i terreni fossero stati disboscati, frazionati e concessi ai privati cittadini. Un giudizio diverso poteva essere formulato dalla famiglie interessate ad ottenere i terreni disboscati o improduttivi, che il vescovo intendeva concedere in enfiteusi. Su questa duplice lettura dell’operato del vescovo la città si divise in due contrapposte fazioni41. andremmo oltre i limiti di questo breve profilo del vescovo Innocenzo Massimo se dovessimo seguire nei dettagli gli sviluppi di una vicenda assai complessa: i senatori presero l’iniziativa di denunziare il vescovo senza prima rendersi conto se la città era d’accordo con la loro decisione. Coloro che erano di diverso avviso inviarono a Roma e a Palermo i loro rappresentanti per far conoscere il proprio punto di vista. Nell’archivio Storico Diocesano troviamo una fitta corrispondenza fra il viceré, il vescovo, i senatori e altri titolari di uffici pubblici nella città42.

R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558. vedi «Introduzione». S. fRESTa, Per la storia dell’enfiteusi nel Catanese (sec. xVii), in aSSO 65 (1969) 51-61. la stessa prassi fu seguita dai vescovi di Catania anche per la Contea di Mascali (ID., La contea di Mascali, cit.). 40 M. gaUDIOSO, La questione demaniale, cit. 41 l’iniziativa di accusare il vescovo presso la corte e la curia romana era stata presa dai giurati o senatori della città, che in quell’anno erano: Diego gioeni (patrizio), giacomo Paternò, francesco Ramondetta, francesco Tornambene, Ottavio buglio, giambattista guarrera e Ottavio gioeni (f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, III, Palermo 1759, 313). In difesa del vescovo si erano schierati il capitano della città Raimondo gioeni, il capitano del Sant’Uffizio Carlo gravina e le famiglie ansalone, Rizzari, Sismondo, ardizzone, Statella, Moncada, Platamone, Paternò, D’amico, ventimiglia, alessi (S. fODalE, il coltello e la carne, cit., 427-428). 42 le lettere si trovano nel volume dei Tutt’Atti del 1629-1630. Il viceré Duca di albuquerque al vescovo: 12.02.1628, fol. 123r-v; 29.02.1628, fol. 123v.124r; 12.08.1628, fol. 134r-135r; 05.09.1628, fol. 135v. Il viceré ai senatori: 29.08.1628, fol. 124r-v; 38 39

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Nonostante le divisioni createsi all’interno della città di Catania, filippo Iv accolse il reclamo dei senatori e il 5 agosto 1628 scrisse al viceré e ai responsabili del Real patrimonio perché ingiungessero ad Innocenzo Massimo di restituire le somme ricavate dal disboscamento e dalle concessioni delle ‘terre comuni’43. I contrasti sulla gestione del patrimonio della mensa vescovile non furono le uniche cause del conflitto fra Innocenzo Massimo e la città. anche a Catania pare che il tribunale del vescovo avesse dimostrato un eccessivo zelo nel reprimere il peccato di usura. Iago de arcangelo, inviato a Roma dal senato per difendere i diritti della città, in una lettera del 12 gennaio 1630 lamentava che «monsignor nostro» lo voleva «prosequire d’usura nel suo diabolico tribunale» e forniva una serie di riscontri a sua discolpa: «in quanto all’usure, non so come possano capire a me che haveria prestato alli mei gabelloti, {quando} non ne ho voluto neanche l’interesse lecito de mezzo a mercante et ho fatto cosa che mai altro l’havesse fatto che nell’anni di cattiva raccolta di frumento, havendo valsuto li frumenti a prezzi molto alti, l’annati seguenti mi ho contentato dell’istessa somma di frumenti, anchor chi valessero a prezzi assai bassi, che per ogni salma ce ne havrebbero voluto tre o quattro. francesco lo Scuto et antonio lazara di belverde lo possono testificare e li mei gabelloti presenti»44.

10.07.1628, fol. 136r-137v; 05.09.1628, fol. 137v-139r. lettera del viceré del 05.01.1630, fol. 232v-233r, che permette di sostituire il capitano (sospetto per aver firmato in favore del vescovo) con il patrizio, nel consiglio che doveva deliberare le spese necessarie per continuare la controversia con il vescovo. lettera di Carlo gravina al giudice del tribunale della Regia Monarchia del 09.01.1630, fol. 226r, per denunziare i senatori, che presumono di parlare a nome della città, senza prima aver chiesto il parere dei cittadini. altra lettera di Carlo gravina ai senatori del 01.11.1629, fol. 233r, per protestare contro la proibizione fatta al notaio della città, di rilasciare certificati che potessero compromettere i diritti dei cittadini. lettera di giacomo gravina ai senatori del 09.12.1629, fol. 235v-237r, per protestare contro la proibizione fatta nei suoi confronti di rilasciare certificati alle persone che parteggiavano per il vescovo. 43 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558. 44 g. NICOlOSI gRaSSI – a. lONghITaNO, Catania e la sua università nei secoli xVxVii. il Codice «Studiorum constitutiones ac privilegia» del Capitolo cattedrale, Roma 20022, 132-133.

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5. lE INDagINI SUll’OPERaTO DEl vESCOvO

I fatti di Castrogiovanni e di Catania esigevano un pronto chiarimento. le magistrature delle due città costituirono un fronte comune e formularono un preciso quadro accusatorio contro il vescovo. Per avere più facile ascolto dal re e dal papa cercarono di coinvolgere anche le città di aci, Calascibetta, San filippo e Piazza che si tirarono indietro, dichiarando di non avere nulla da ridire sull’operato del vescovo, che stimavano per il suo zelo pastorale45. le accuse, anche se provenivano da due sole città della diocesi, erano comunque gravi e andavano esaminate per stabilire le oggettive responsabilità del vescovo. Era prioritaria la soluzione del caso Castrogiovanni, perché il vescovo aveva comminato l’interdetto e perché nel carcere della città erano ancora detenuti i responsabili del tumulto del 1° agosto 1627. la revoca dell’interdetto e il perdono concesso dal re alla città (6 aprile 1628) non segnarono la fine dei contrasti con il vescovo, perché i cittadini di Castrogiovanni, sentendosi ancora vessati dai delegati di Innocenzo Massimo, chiesero l’invio di un visitatore apostolico per fare luce sul suo comportamento46. la stessa richiesta era stata fatta dai senatori di Catania. Urbano vIII, il 6 luglio 1630, dispose l’invio del visitatore apostolico luca Cellesio, vescovo di Marturano. filippo Iv, nonostante la stima che aveva per il vescovo, accettò la decisione del papa. Il re, in difesa delle prerogative godute in Sicilia dalla corona di Spagna in tema di giurisdizione ecclesiastica, si limitò a chiedere che il documento pontificio ricevesse l’esecutoria dalla corte di Palermo. Innocenzo Massimo si trasferì per due anni a Roma per giustificarsi e riuscì nell’intento di fermare l’inchiesta47. Nel frattempo un’indagine segreta, condotta per conto del viceré dal giudice della gran Corte giuseppe Perpignano, non fu favorevole al vescovo; ma Innocenzo Massimo riuscì a fermare una seconda inchiesta affidata sempre al vescovo di Marturano48. Dalle relazioni ad limina e dalla documentazione acclusa si può avanzare l’ipotesi che il vescovo abbia impostato la sua linea di difesa facendo appello alle immunità ecclesiastiche. alle autorità che dovevano giudicare il suo operato intendeva dimostrare che non si trattava di problemi etici ma 45 46 47 48

S. fODalE, il coltello e la carne, cit., 426. E. aMaRaDIO, La ribellione, cit., 57-65. S. fODalE, il coltello e la carne, cit., 428. L.c.

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giurisdizionali; egli si era limitato a fare il proprio dovere; nessuno poteva contestargli l’autorità di perseguire lo scandalo dell’usura e di gestire il patrimonio della sua chiesa. Intanto Urbano vIII, il 15 febbraio 1632, nell’attesa di chiarire le accuse rivolte al vescovo dai cittadini di Castrogiovanni, aveva sottratto la città alla giurisdizione del vescovo di Catania e l’aveva sottoposta all’autorità del metropolita, l’arcivescovo di Monreale49. Innocenzo Massimo, rientrato a Catania, morì improvvisamente il 21 agosto 1633. Rocco Pirri nelle notizie sulla diocesi di Catania, scrive che fu seppellito in cattedrale senza onore50. Successivamente, per iniziativa del suo vicario generale francesco amico, gli fu eretto un monumento funebre nel transetto della cattedrale, sulla parete contigua alla cappella della Madonna51. 6. lE RElaZIONI AD LiMinA (1626, 1629, 1632)

le tre relazioni, inviate da Innocenzo Massimo alla Santa Sede, rispecchiano i diversi stati d’animo determinati dalla evoluzione del suo rapporto con la città e la diocesi. a) Nella prima egli appare sereno e, pur nella brevità dei dati trasmessi, assicura Roma di aver osservato i suoi doveri di vescovo (residenza, visita pastorale, ripristino della vita comune nei monasteri…) e descrive le prime iniziative attuate all’inizio del suo governo pastorale: — lavori in cattedrale: «ho stanziato una somma di denaro per restaurare la cappella della patrona s. agata» (fol. 41r);

R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558-559. ibid., 559. 51 Sulla lapide si legge l’epigrafe, il cui testo è riportato anche dalle aggiunte fatte da a. Mongitore alle notizie di Rocco Pirri: «D.O.M. Innocentio Maximo romano patritio ex vetusta fabiorum prosapia leonis xI cubiculario Paulo v Pontifice ferrariae vicelegato, bertinori Episcopo, Sabaudiae, Mantuae, Mediolani sub gregorio xv Pontifice florentiae et hispaniae Nuncio. Philippi Iv primogenita lavacro salutis expiata, catanensem episcopatum adepto, rebus ubique prospere gestis ad summum fastigium, virtute, et auspiciis gradienti, praecipiti fato absumpto. Maximus Innocuus cognomine, nomine, fama, virtute et meritis, gloria, honore pari. aere regio D. francisco amico eius vicario generali et huius Ecclesiae Priore curante. Obiit xxI augusti anno Domini 1633. Sedit annos Ix. vixit annos lII». Nel monumento sepolcrale c’era anche un ritratto ad olio del vescovo, rubato da ignoti negli anni Settanta del secolo scorso. 49 50

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— casi di coscienza nella città di Catania: «sono riuscito ad affidare in perpetuo ai padri della Compagnia di gesù la lettura dei casi di coscienza» (fol. 41r), e nella diocesi: «ho ritenuto necessario obbligare il clero alla partecipazione alle riunioni settimanali dei casi di coscienza» (fol. 41r); — catechesi: «ho ritenuto necessario obbligare […] i cappellani sacramentali a tenere nelle loro chiese ogni domenica corsi pubblici della dottrina cristiana» (fol. 41r). b) Scrive la seconda relazione dopo i fatti di Castrogiovanni e mentre fronteggiava l’offensiva dei giurati di Catania. anche lo stile di questa relazione è conciso e traspare chiaramente l’intento di giustificare il suo operato, collocandosi sul versante delle controversie giurisdizionali: «ho difeso la giurisdizione e l’autorità della chiesa secondo le disposizioni dello stesso Concilio» (fol. 43r): — i fatti di Castrogiovanni:

«avendo iniziato a visitare la diocesi molto vasta e volendo estirpare i peccati, in particolare la piaga dell’usura, il maligno, nemico del genere umano, cercò di disturbare la mia attività e di offendere la dignità vescovile con i noti fatti accaduti nella città di Castrogiovanni» (l.c.).

Innocenzo Massimo attribuisce la rivolta popolare ad un’azione del demonio, disturbato dalla decisa volontà del vescovo nel combattere il peccato di usura. È una spiegazione singolare, che gli permetteva di affrontare il problema in modo indolore per sé e per la sua corte. Scrivendo a Roma, non era immaginabile che riconoscesse eventuali responsabilità proprie o abusi di potere dei suoi ufficiali di curia. a conclusione del breve resoconto fa intendere che il caso doveva considerarsi definitivamente chiuso: «poiché [le autorità civili] hanno riconosciuto il loro errore e la mia carità paterna, è tornata la pace con loro e con tutta la diocesi. Ora, dopo aver superato altre difficoltà in difesa della dignità episcopale, con l’aiuto di Dio, mi adopero ogni giorno per la riforma dei costumi» (l.c.).

In realtà la pace non era ancora tornata, perché le autorità di Castrogiovanni insistevano per l’invio di un visitatore apostolico e avevano chiesto di essere sottratti alla giurisdizione del vescovo di Catania; 125


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— il suo impegno per il patrimonio della Chiesa:

«poiché la chiesa cattedrale, insigne per l’antichità e l’ampiezza, era alquanto malridotta, sono stato sollecitato a spendere una certa somma per adornarla e a spendere ancora di più per restaurare la cappella di s. agata. ho provveduto a restaurare anche il palazzo vescovile. ho accresciuto gli introiti della chiesa» (l.c.).

Egli stesso ci aiuta a quantificare le spese sostenute per i lavori di restauro e di abbellimento della cattedrale: il rifacimento della cappella di Sant’agata aveva richiesto una spesa maggiore di quella sostenuta per affrescare l’abside dell’altare maggiore. Non ci fornisce elementi utili per conoscere il genere di lavori eseguiti nel palazzo vescovile. avremmo preferito che spiegasse in che modo egli era riuscito ad accrescere gli introiti della chiesa. c) la terza relazione è poco più di un atto formale. l’aveva scritta dopo due anni di soggiorno a Roma, quando era in procinto di rientrare in diocesi. fra le righe non è difficile leggere la sua amarezza per le vicende che avevano contrassegnato gli anni del suo governo pastorale. l’unica nota positiva sembra il suo imminente rientro a Catania per riprendere il proprio ministero, dopo essere riuscito a fermare le inchieste sulla sua persona. Sorprende il monito rivolto al vescovo dai prelati della Congregazione del Concilio in risposta alla sua relazione: era suo obbligo difendere la giurisdizione e l’immunità ecclesiastica con grandissimo zelo e con prudenza (acerrime et prudenter). In altre parole: Roma, accogliendo la linea difensiva di Innocenzo Massimo, non sconfessava il suo operato, anzi lo esortava a continuare a difendere con intransigenza i diritti della Chiesa; si limitava a raccomandargli di essere prudente. l’esito finale della controversia potrebbe indurci a credere che i due anni di permanenza a Roma del nostro vescovo non trascorsero inutilmente. Con l’aiuto della potente famiglia Massimo e dei suoi sostenitori nella curia romana, probabilmente riuscì a neutralizzare i numerosi ricorsi e le diverse inchieste promosse dalle autorità ecclesiastiche e civili sulla sua persona.

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1626 – Relazione del vescovo Innocenzo Massimo, relativa al 13° triennio, presentata personalmente il 10 gennaio 16261.

[fol. 41r] Illustrissimi e Reverendissimi Signori, con riferimento alla relazione inviata ultimamente alle Signorie vostre Illustrissime dal mio predecessore, in occasione della visita alle tombe degli apostoli, esporrò brevemente le notizie che ritengo necessarie per compiere il mio dovere. appena fui trasferito dal Consiglio per gli affari pubblici ecclesiastici, mi recai alla mia sede vescovile di Catania, dove fino ad oggi ho osservato il decreto sull’obbligo della residenza e con tutte le mie forze mi sono impegnato per attuare il bene pubblico e privato, spirituale e temporale della chiesa, visitando la mia cattedrale e il capitolo, i monasteri femminili introducendo in essi la vita comune, le chiese sacramentali, il seminario, le confraternite laicali e le altre realtà ecclesiali. a garanzia di questi istituti ho emanato utili decreti, curando con tutta la diligenza possibile, le loro competenze spirituali e temporali. Tra le altre cose ho stanziato una somma di denaro per restaurare la cappella della patrona s. agata e sono riuscito ad affidare in perpetuo ai padri della Compagnia di gesù la lettura dei casi di coscienza. ho visitato tutta la diocesi e in considerazione della sua ampiezza e dei ristretti limiti di tempo ho affidato questo compito al mio vicario generale. ho ritenuto necessario obbligare il clero alla partecipazione alle riunioni settimanali dei casi di coscienza e i cappellani sacramentali a tenere nelle loro chiese ogni domenica corsi pubblici della dottrina cristiana [fol. 41v]. Inoltre ho confermato i decreti sinodali e le altre disposizioni del mio predecessore.

Rel Dioec 207 a, fol. 41r-v. Sul dorso si legge: «agli Illustrissimi e Reverendissimi Cardinali della Sacra Congregazione del Concilio». «Catania. Per il vescovo di Catania Innocenzo. Relazione del xIII quadriennio, presentata personalmente dall’Illustre e Reverendo vescovo il 10 gennaio 1626» (fol. 42v). 1

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Queste notizie ho ritenuto di dare alla Signorie vostre Illustrissime in questa mia visita per il felice stato della mia Chiesa. {1626}

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Umilissimo e devotissimo servo Innocenzo, vescovo di Catania


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1629 – Relazione del vescovo Innocenzo Massimo, relativa al 14° triennio, scritta il 9 aprile 1629 e presentata il 10 maggio dal procuratore benedetto Rusticelli, canonico della cattedrale, protonotario apostolico e segretario personale1.

[fol. 43r] Illustrissimi e Reverendissimi Signori, lo stato della mia chiesa di Catania, alla quale indegnamente presiedo, è descritto chiaramente nelle ultime relazioni dei miei predecessori e nelle mie, date durante la visita alle tombe degli apostoli. Tenendo presenti i sopracitati documenti, esporrò in breve le notizie che ritengo necessarie per compiere il mio dovere. Informo anzitutto che ho dimorato nella suddetta mia chiesa, osservando il relativo decreto sulla residenza dei vescovi, e che mi sono impegnato con tutte le mie forze (anche se con le inevitabili imperfezioni) perché fosse attuato il bene pubblico e privato, spirituale e temporale. Non è mancata la predicazione nei tempi previsti; ho sottoposto i confessori ad un nuovo esame e ai sacerdoti che non avevano compiuto i quarant’anni ho proibito di confessare le donne. avendo iniziato a visitare la diocesi molto vasta e volendo estirpare i peccati, in particolare la piaga dell’usura, il maligno, nemico del genere umano, cercò di disturbare la mia attività e di offendere la dignità vescovile con i noti fatti accaduti nella città di Castrogiovanni. Dopo essermi consultato con il Santo Padre e in contrasto con le autorità civili, ho decreto l’interdetto nella predetta città, osservando le prescrizioni dei sacri canoni. le autorità civili, essendo state condannate per queste offese, dopo aver chiesto ripetutamente perdono, ottennero la grazia e l’assoluzione dalle

1 Rel Dioec 207 a, fol. 43r-v. al documento è acclusa la procura redatta dal vescovo il 9 aprile 1629, xII ind., sottoscritta dal notaio della curia ludovico argentina e vidimata dal senato della città. I motivi dell’invio del procuratore sono indicati in modo generico: «ob diversa impedimenta quibus detinemur» (fol. 44r). Nel libro delle lettere delle visite al limina della Congregazione del Concilio si legge la nota: «al vescovo di Catania. È stata concessa la proroga di sei mesi al vescovo di Catania, con l’assoluzione ecc. 1° aprile 1628» (Libri Litter Visit 1626-1635, fol. 92v). Sul dorso si legge: «Catania. visita ad limina. Relazione relativa al xIv triennio, esibita tramite procuratore il 10 maggio 1629. Il 12 maggio 1629 è stata spedita la lettera con le seguenti esortazioni: gli si ricordi il dovere di celebrare il sinodo diocesano, di difendere la giurisdizione e l’immunità ecclesiastica e i luoghi pii» (fol. 46v).

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censure con le bolle in Coena Domini rilasciate dalla Santa Sede. Poiché hanno riconosciuto il loro errore e la mia carità paterna, è tornata la pace con loro e con tutta la diocesi. Ora dopo aver superato altre difficoltà in difesa della dignità episcopale, con l’aiuto di Dio, mi adopero ogni giorno per la riforma dei costumi. Non ho trascurato le funzioni ecclesiastiche e mi sono impegnato in particolare perché nelle chiese non venisse meno il decoro. Poiché la chiesa cattedrale, insigne per l’antichità e l’ampiezza, era alquanto malridotta, sono stato sollecitato a spendere una certa somma per adornarla e a spendere ancora di più per restaurare la cappella di s. agata. ho provveduto a restaurare anche il palazzo vescovile. ho accresciuto gli introiti della chiesa e infine mi sono impegnato perché fossero osservati i decreti del Concilio di Trento, specialmente quelli riguardanti gli appelli e i ricorsi [fol. 43v]. ho difeso la giurisdizione e l’autorità della chiesa secondo le disposizioni dello stesso concilio. Sono queste le notizie che in questa visita ho ritenuto doveroso proporre per il bene della mia chiesa alle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime, che Dio conservi, ecc… Catania, 9 aprile 1629 Delle Signorie vostre Illustrissime e Reverendissime umilissimo e devotissimo servo Innocenzo, vescovo di Catania

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innocenzo Massimo (1624-1633) x

1632 – Relazione del vescovo Innocenzo Massimo, relativa al 15° triennio, presentata personalmente il 14 giugno 16321.

[fol. 47r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori, nell’attuale visita personale del presente triennio non ho nulla da aggiungere sullo stato della chiesa di Catania alla relazione del passato triennio, in cui sono stato ammesso alla visita delle tombe degli apostoli tramite un mio procuratore, secondo la costituzione di Sisto v di felice memoria. Pertanto mi rimetto alla predetta relazione e alle altre da me inviate fino ad oggi, tanto più se si considera che da due anni per causa di forza maggiore sono assente dalla predetta chiesa e nell’impossibilità di osservare la residenza personale. Ora essendo sul punto di rientrare in diocesi potrò osservare il dovere della residenza, attuare le indicazioni date dalle Eminentissime e Reverendissime Signorie vostre nella precedente visita e pensare al governo e al bene della suddetta chiesa. Delle Signorie vostre Eminentissime e Reverendissime, umilissimo e obbedientissimo servo Innocenzo, vescovo di Catania

Rel Dioec 207 a, fol. 47r. al documento è accluso il certificato per la visita alla basilica di San Pietro del 18 dicembre 1631 (fol. 48r). Sul dorso di legge la nota: «Catania. Relazione del xv triennio presentata personalmente dal vescovo il 14 giugno 1632. Il 15 giugno 1632 è stata spedita la lettera infrascritta con l’esortazione a difendere con prudenza la giurisdizione ecclesiastica» (fol. 50v). Nel registro dei decreti della Congregazione del Concilio si legge la nota: «al vescovo di Catania. È stata spedita al vescovo di Catania la lettera in forma pubblica, con l’assoluzione e l’avvertimento che è tenuto a difendere con grandissimo zelo e con prudenza (acerrime et prudenter) la giurisdizione e l’immunità ecclesiastica» (Libri Litter Visit 1626-1635, fol. 282r). 1

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OTTavIO bRaNCIfORTE (1638-1646) 1. la fIgURa E l’aZIONE PaSTORalE

a distanza di cinque anni dalla morte del vescovo Innocenzo Massimo, dal 1638 al 1646, fu chiamato a reggere la diocesi di Catania Ottavio branciforte1, appartenente ad una delle prime famiglie del Regno di Sicilia2, personaggio di primo piano nella vita della società siciliana del sec. xvII. Il suo curriculum era di tutto rispetto e con i presupposti per concludere brillantemente la sua carriera ecclesiastica, se alcune circostanze sfavorevoli non avessero cambiato bruscamente il corso degli avvenimenti. Ottavio era nato a Palermo nel 1599 da Ercole branciforte, duca di San giovanni e da agata lanza dei principi di Trabia, primogenito di sei fratelli e tre sorelle3. aveva intrapreso gli studi umanistici presso il collegio dei padri gesuiti di Palermo; li portò a termine con la laurea in teologia 1

Riferiscono notizie sulla sua persona gli storici siciliani: R. PIRRI, Sicilia sacra, cit.,

I, 560-561; I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 286-287; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit.,

II, 459-463; f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., II, 19; a. MONgITORE, Bibliotheca sicula, cit., II, 109-110; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 156-158. alcuni storici preferiscono la dizione «branciforti». 2 la famiglia branciforte fece la sua apparizione in Sicilia alla fine del sec. xIII. Imparentatasi con i barresi, gli Speciale, i Santapau e i Trabia, assunse ben presto un ruolo di primo piano sia nella storia di diverse città e comuni, come titolare di principati, ducati e feudi, sia nelle strutture centrali di governo (g. MaJORaNa, Le cronache inedite di Filippo Caruso, in aSSO 10 [1913] 112-135; ID., Francesco Branciforte Barresi e le due principesse d’Austria, ibid. 13 [1916] 80-128). Su Ercole branciforte, duca di San giovanni, padre di Ottavio, vedi: f.M.E.vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., II, 16-20. Per la storia dei branciforte è disponibile l’archivio di famiglia, depositato presso l’archivio di Stato di Palermo: g. fallICO, Le carte Branciforti nell’archivio privato dei principi di Trabia. inventario, in aSSO 72 (1976) 205-273. 3 I dati principali della vita di Ottavio branciforte sono riferiti da g. CavICChI, «Le perturbazioni» di un vescovo siciliano del sec. xVii (Ottavio Branciforte), in Memorie e rendiconti dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici, serie II, vol. II, 1972, 183-215. Sulla composizione della famiglia di Ottavio fa una certa confusione il Majorana, che compila un elenco interminabile di fratelli e di sorelle, desumendolo da alcuni manoscritti, senza avvertire la necessità di verificarlo con altre fonti (g. MaJORaNa, Francesco Branciforte, cit., 123-124).

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e diritto canonico, conseguita a Messina verso il 16234, nonostante fosse stato costretto nel frattempo ad assumere la responsabilità della famiglia e del suo patrimonio per la morte del padre, avvenuta quando aveva sedici anni, e quella della madre quando ne contava ventuno. l’appartenenza ad una delle prime famiglie siciliane, le sue qualità morali, l’accurata preparazione culturale, attirarono su di lui le attenzioni del viceré Emanuele filiberto di Savoia, che gli fece intravedere la possibilità di recarsi alla corte di Spagna per avviarsi ad un sicuro avvenire. l’occasione di realizzare questo progetto si presentò nel 1626, quando il giovane Ottavio fu inviato alla corte di filippo Iv come capo della delegazione incaricata di portare al re alcune reliquie di s. Rosalia, il cui corpo era stato da poco scoperto in una grotta del monte Pellegrino5. la corte di Spagna, per la nobiltà siciliana desiderosa di primeggiare, costituiva in quel periodo una tappa obbligata6 e il branciforte, nonostante la sua giovane età, dimostrava di trovarsi nelle condizioni di percorrere felicemente una folgorante carriera. alla corte di filippo Iv completò la sua formazione culturale e si conquistò la stima e la protezione del ministro gaspar de guzman de Olivares, detto il Conte Duca, e del nunzio apostolico giovanni battista Panfili (il futuro Innocenzo x). Primo fra i siciliani fu nominato sommelier di cortina di filippo Iv7 e verso il 1628 ricevette a Madrid l’ordinazione sacerdotale dallo stesso nunzio apostolico g.b. Panfili8. Ormai la sua carriera era ben

4 la notizia è riferita nel processo informativo tenuto nel gennaio del 1633 per la nomina del branciforte a vescovo di Cefalù. Il teste Mariano valguarnera depone: «Io so che detto signor Ottavio è dottore in teologia e in iure canonico, che si addottorò in Messina che saranno da nove in diece anni in circa» (Proc Cons 32 a, fol. 448v-449r). Un altro teste, antonino De geronimo, afferma: «Io so che il detto signor Ottavio è dottore in teologia et legge e questo lo so per haver visto il suo privilegio che si addottorò in Messina» (Proc Cons 32 a, fol. 455v). 5 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 560; a. MONgITORE, Bibliotheca sicula, cit., 109; g. CavICChI, «Le perturbazioni», cit., 193-194; g.E. DI blaSI, Storia de’ viceré, cit., III, 68-81. 6 g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 88. 7 Nel processo informativo per la nomina del branciforte a vescovo di Cefalù, il teste Mariano valguarnera depone: «Io non so che detto sig. Ottavio habbi esercitato altro carico eccetto che è stato somigliero di cortina di sua maestà cattolica, offitio solito a darsi a gran signori» (Proc Cons 32 a, fol. 449r). vedi pure: R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 561; I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 286; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 459-460; f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., II, 19; g. CavICChI, «Le perturbazioni», cit., 194-195. 8 Nella deposizione del teste De geronimo al processo informativo leggiamo: «Io so

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avviata e nel 1632, a soli trentatré anni fu presentato dal re per la sede vescovile di Cefalù. Il rituale processo informativo fu presieduto dal nipote di Urbano vIII, il card. francesco barberini, e si svolse il 4 gennaio 16339. la bolla di nomina porta la data del 10 gennaio. Seguì la consacrazione episcopale che il branciforte ricevette dalle mani di Urbano vIII; fu in questa occasione che il branciforte si fece conoscere ed apprezzare per la sue doti e la sua preparazione umanistica dal papa e dal nipote card. barberini, che egli considerò un suo protettore. Segno di questa stima fu la sua nomina nel 1636 ad assistente al soglio pontificio10. la diocesi di Cefalù costituiva per molti vescovi la sede di avvio per incarichi di maggior prestigio e il branciforte, dopo aver dato buona prova delle sue capacità di governo, nel 1638 fu presentato dal re per la sede di Catania. la bolla di nomina reca la data del 21 marzo 163811.

che detto signor Don Ottavio è sacerdote da cinque o sei anni in circa, che si ordinò in Spagna dal sig. cardinale Panfilio, in quel tempo nuntio; et questo lo so perché mi trovai presente quando fu ordinato» (Proc Cons 32 a, fol. 455v). 9 gli atti del processo informativo si aprono con la dichiarazione del card. francesco barberini: «Pateat evidenter et sit notum quod anno a nativitate Domini nostri Iesu Christi millesimo sexcentesimo trigesimo tertio, indictione prima, die vero quarta mensis ianuarii […] em.mus et rev.mus dominus franciscus, tituli Sancti laurentii in Damaso S.R.E. presbiter cardinalis, barberinus asserens sibi demandatum esse a sanctissimo domino nostro papa processus conficere supra statu Ecclesiae Cephaluden. vacantis per mortem reverendissimi fratris Stephani Munier, ordinis redemptionis captivorum illius ultimi episcopi, nec non etiam de vita et moribus reverendi domini Octavii branciforti ad illam promovendum stante nominatione maiestatis catholicae in eius personam factam» (Proc Cons 32 a, fol. 445r-445v). 10 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 560; I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 286; f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., II, 19. 11 Nel secondo processo informativo per il trasferimento del branciforte da Cefalù a Catania è riportata la lettera di presentazione inviata dal re al suo ambasciatore, Marchese di Castel Rodrigo: «Essendo vacato la chiesa et vescovato di Catania nel mio Regno di Sicilia per morte di Don Innocentio de Massimi et toccando a me, come mi tocca la nominatione et presentatione di essa, per esser al mio patronato reale, ho nominato ad esso Don Ottavio branciforte, vescovo di Cefalù, che fu mio sumillier di cortina, per esser persuaso che mediante la sua bontà, prudentia, lettere, nobiltà et altre buone parti et meriti che in esso concorrono, sarà quella Chiesa così ben governata et amministrata come conviene al servicio di Dio nostro Signore et scarico della mia coscienza, con reservatione di 8.400 ducati di pensione, quali tengo per bene d’imporre sopra li frutti del detto vescovato in favore delle persone che seguono: alli luoghi santi di gerusalemme mille scuti; alli figli del principe Tommaso, mio cugino, due mila et duecentoquarantasei, a don Melicio, vescovo di amasia nel mar Nero, duecento; a don vespasiano gonzaga, figlio del duca di guastalla, mille; a fra giovanni di Sant’agostino, quattrocento; a giovanni Carlo Paceno, canonico regolare del-

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la città e la diocesi di Catania attraversavano un momento difficile: la grave crisi economica, determinata da una serie di circostanze sfavorevoli e dalla disastrosa politica dei re di Spagna, aveva provocato pericolosi fermenti ed un certo risentimento verso la dominazione spagnola12; il branciforte, persona di fiducia del re, rischiava di essere coinvolto nell’avversione al regime. la sede vescovile da quasi cinque anni era vacante e l’ultimo vescovo, il romano Innocenzo Massimo, dopo essersi inimicate le autorità di Enna e di Catania, era stato costretto ad allontanarsi per un lungo periodo dalla diocesi; pertanto la lunga mancanza del vescovo non faceva prevedere situazioni facili13. Ottavio branciforte il 23 aprile 1638 prese pos-

l’ordine premostratense, duecento; a don Eugenio Carnero, trecentotrentacinque; a don Pietro villani 300; a andrea Tareziglia, 200; a don antonio Dobles viliafeno, 200; a don Mansueto Meroti, 500; al conte bilia 200; a don giacomo gatti 100; a francesco gambacorta 119 nella qual conformità sarò servito et così ve lo incarico acciò come patron che sono della detta Chiesa e vescovato di Catania in mio nome et in virtù della mia lettera che anderà con questa per il nostro molto Santo Padre, nel che mi rimetto a voi anteponiate et presentiate a Sua Santità il detto don Ottavio branciforte, supplicando sua benedizione che abbia per bene di provederlo al detto vescovato a mia presentazione et commandare che con la riserva delli ducati ottomila et quattrocento di pensione se li spediscano le bolle et recapiti necessari nella forma che si usa et io mi rallegro di quello che in questo farrete. Di Madrid a xII di decembre 1637. Io il Re» (Proc Cons 36, fol. 697r; 705v-706v). Nella bolla di nomina si fa obbligo al nuovo vescovo di erigere al più presto nel capitolo della cattedrale le prebende del teologo e del penitenziere, in conformità alle prescrizioni del Concilio di Trento (Tutt’Atti 16371638, fol. 438). 12 Proprio durante il periodo del suo governo pastorale nella diocesi di Cefalù il branciforte, come ulteriore segno della stima che godeva presso le autorità politiche, aveva presieduto due sessioni del parlamento generale siciliano nel 1635 e nel 1636 (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 560). Nell’intestazione degli atti vescovili egli amava fregiarsi del titolo: «Octavius brancifortius a Cortina et Consiliis Philippi magni Regis catholici» (Tutt’Atti 1637-1638, fol. 502r). Per le difficoltà in cui si dibatteva l’erario del Regno e per la situazione critica creatasi in quel periodo in Sicilia, preludio ai moti del 1647, vedi: R. gREgORIO, Considerazioni, cit., III, 227-238; f. DE STEfaNO, Storia della Sicilia dall’xi al xix secolo, bari 1977, 120-142; g. gIaRRIZZO, La Sicilia dal Viceregno al Regno, cit., 88-114. a Catania aveva suscitato una particolare reazione il volume di Mario Cutelli, che può essere considerato «l’appassionata invettiva contro i tributi eccessivi, causa di rivolta e di guerra intestina» (ibid., 105). Il risentimento si sarebbe accresciuto nel 1640, dopo la decisione del Tribunale del Patrimonio di vendere i casali etnei, che erano parte integrante del territorio catanese (f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 159-161). Per questo argomento si veda infra il profilo del vescovo Marcantonio gussio, successore del branciforte. 13 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 558-560; I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 282-285; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 450-454; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 154-155. vedi supra il suo profilo e le relazioni ad limina.

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sesso per procura, data al fratello antonio principe di Scordia, e il 6 maggio giunse inaspettato a Catania14. Il nostro vescovo iniziò subito e con impegno il suo ministero, dando prova di indubbie qualità di governo; ma dopo qualche tempo le autorità cittadine manifestarono nei suoi confronti qualche segno di insofferenza. le circostanze in cui si verificarono i contrasti potrebbero indurci a credere che si trattasse delle solite questioni di precedenza, alle quali la mentalità del tempo annetteva una straordinaria importanza. In realtà i problemi di precedenza spesso costituivano le occasioni in cui si manifestava una tensione già esistente. Nel febbraio del 1643 il viceré, ammiraglio alfonso henriquez de Cabrera, venne in visita a Catania e volle partecipare alle celebrazioni in onore di s. agata. Quando si recò in cattedrale con il suo seguito e con le autorità cittadine per assistere alla messa, si pose il problema dell’ordine con cui i presenti dovevano stare accanto al viceré. Il patrizio ed i senatori contestavano al vescovo il diritto di stare alla sinistra del viceré, considerato che alla sua destra doveva collocarsi il fratello antonio, principe di Scordia. Il viceré diede ragione al vescovo, che entrò in cattedrale al suo fianco; ma la decisione non fu certamente gradita alle autorità cittadine e non contribuì a far diminuire la tensione15. Nel successivo mese di aprile accadde l’episodio che segnò la rottura definitiva fra il vescovo e le autorità. Il lunedì di pasqua, 6 aprile 1643, mentre si celebrava la festa della Madonna della Consolazione nella chiesa omonima16, il vescovo, offeso per aver trovato al posto di onore i

14 la procura e il verbale dell’atto di possesso si trovano in Tutt’Atti 1637-1638, fol. 441r-442r; 443r-444v. R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 560 e I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 286 indicano il 6 maggio come data di arrivo del branciforte a Catania. In realtà egli giunse quattro giorni prima; il 6 è la data di indizione della prima visita pastorale (Tutt’Atti 16371638, fol. 502r-505r). 15 l’episodio è così riferito nella cronaca del protonotaro: «la città pretese non doversi mettere alla spalla il vescovo, stante che ci era il principe di Scordia suo fratello, per non andare in quattro; et il viceré col voto del consiglio dichiarò che andassero in quattro come nel parlamento: l’almirante, a man destra il principe di Scordia, a man sinestra il vescovo e la città, et all’uscire non ci fu il vescovo»: E. MaZZaRESE faRDElla – l. faTTa DEl bOSCO – C. baRIlE PIaggIa (curr.), Cerimoniale de’ signori viceré (1584-1668), Palermo 1976, 162-163. 16 Si trattava della chiesa dei ss. Cosimo e Damiano, chiamata anche della Consolazione, perché in essa si trovava una cappella intitolata alla Madonna della Consolazione, festeggiata nell’ottava di pasqua (a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 171, nota 101). Nel 1643 il patrizio era Diego la valle, il capitano di giustizia blasco

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drappi delle autorità cittadine invece del suo, ordinò ai servi di rimuoverli. Ne nacquero offese e risentimenti che consigliarono al branciforte di partire da Catania17; per qualche tempo si recò a Scordia, ospite del fratello antonio18, per trasferirsi successivamente a Palermo e a Roma; alla fine decise di stabilirsi ad aquilia (l’odierna acireale). Il brancifore tentò in tutti i modi di rientrare a Catania, ma neppure la mediazione del viceré alfonso henriquez de Cabrera servì a far desistere le autorità cittadine dal loro atteggiamento ostile19. Nel 1644 morì Urbano vIII e gli successe, con il nome di Innocenzo x, il card. Panfili, amico e protettore del branciforte. la sua nomina accese in lui la speranza di trovare una soluzione dignitosa alla difficile situazione che si era venuta a creare nei confronti delle autorità civili di Catania. Probabilmente egli aveva anche intravisto la possibilità di una sua nomina a cardinale; ma i tempi erano cambiati e gli appoggi sui quali aveva contato negli anni precedenti erano venuti meno. amareggiato, fece ritorno in Sicilia; durante il viaggio avvertì i primi disturbi del male che il 14 giugno 1646, all’età di 52 anni, provocò la sua morte 20.

Romano e i senatori: Erasmo ansalone, Michele Sismondo, giacomo gravina, antonio Statella gioeni, Pietro Paternò Castello, giambattista guarrera (f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., III, 315). 17 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 561; I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 287; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 462. Oltre i probabili risentimenti contro la persona del branciforte, nell’atteggiamento intransigente del senato catanese avrà anche pesato il secolare contrasto che contrapponeva vescovo e autorità cittadine e che più volte negli anni precedenti si era manifestato in forme diverse, anche con l’allontanamento del vescovo dalla città (vedi «Introduzione», n. 9). 18 R. PIRRI, Sicilia sacra, cit. Durante la sua permanenza a Scordia il branciforte si interessò ai lavori di costruzione del convento dei riformati e della chiesa annessa di Sant’antonio, destinata a diventare il mausoleo della famiglia branciforte. Il fratello antonio in segno di omaggio, fece collocare il busto di Ottavio sulla facciata della chiesa e una lapide sull’architrave della porta d’ingresso, (M. DE MaURO, notizie storiche sopra Scordia inferiore, Catania 1868, 147, nota 1; U. aMORE, Scordia. Dalle origini sino ai nostri giorni con particolare riferimento all’età spagnola, Catania 1982, 47-48; il volumetto dà qualche notizia inesatta sul conto di Ottavio branciforte). Il Cavicchi ritiene erroneamente che il busto collocato nella facciata della chiesa di Sant’antonio a Scordia sia del principe antonio: g. CavICChI, «Le perturbazioni», cit., 212, nota 58. 19 Il branciforte, sostenuto dal viceré, cercò di intervenire alla festa per la traslazione delle reliquie di s. agata, che si celebra il 17 agosto, ma le autorità cittadine sospesero la festa, per impedirgli di ritornare a Catania e per evitare di incontrarlo (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 561; I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 287). 20 anche a non voler considerare la svolta nella situazione politica europea, che segnava il declino della Spagna e l’ascesa della francia, alcuni amici ed estimatori del

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a prescindere dai giudizi, spesso di maniera, che formulano di solito sui vescovi gli storici del tempo, la personalità di Ottavio branciforte sembra meritare il posto di rilievo che, per motivi diversi, gli fu riconosciuto dai suoi contemporanei21. Egli può essere considerato uno dei più vivaci esponenti della cultura veteronobiliare siciliana, che dal punto di vista dottrinale si rifaceva all’insegnamento impartito nei collegi dei gesuiti e dal punto di vista politico all’indirizzo dato dal Conte Duca22. Della sua solida preparazione umanistica si aveva già una prova convincente nell’opera: De animorum perturbationibus, di cui pubblicò solo due dei tre volumi che aveva scritto23. Per un giudizio sulla sua persona e sulle sue doti di vescovo si poteva solo far riferimento alle scarne testimonianze degli storici24. I

branciforte erano usciti di scena, perché caduti in disgrazia (il Conte-Duca de Olivares e il card. francesco barberini). Innocenzo x, costretto a destreggiarsi fra le pressioni della Spagna e quelle della francia, aveva preferito lasciare l’iniziativa delle scelte temporali all’influente cognata Olimpia Maidalchini, e si era dimenticato del suo antico protetto (l. WIllaERT, La restaurazione cattolica dopo il Concilio di Trento, in Storia della Chiesa, iniziata da a. fliche – v. Martin, cit., xvIII/1, 47-59; E. PRéClIN – E. JaRRy, Le lotte politiche e dottrinali nei secoli xVii e xViii (1648-1789), ibid., xIx/1, 19-21; E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 763-773; g. CavICChI, «Le perturbazioni», cit., 214-215). Il Mongitore nelle sue aggiunte al Pirri scrive testualmente: «Romam se contulit Octavius spe maioris dignitatis elatus: sed deceptus in Siciliam remeare statuit» (a. MONgITORE, Siciliae sacrae celeberrimi abbatis netini D. Rocchi Pirri additiones et correctiones, Panormi 1735, 129). Secondo il DE gROSSIS (Catana sacra, cit., 281) la permanenza del branciforte a Roma si protrasse per circa due anni. 21 Nel primo processo informativo il teste giovanni Tommaso liuzzo riferisce: «Io tengo che sia valent’huomo et che sia atto et idoneo a insegnar altri, essendo tra i siciliani tenuto per gran litterato et per un gran teologo» (Proc Cons 32 a, fol. 454r). Nel secondo processo il teste filippo Caccamisio afferma: «ha dato saggio di gran bontà, prudenza et dottrina nel governo di ditta sua Chiesa con pietà verso i poveri e sodisfazione de’ sudditi, essendo di ciò publica voce et fama» (Proc Cons 36, fol. 701r). 22 C. DOllO, Filosofia e scienze in Sicilia, Padova 1979, 108-116. 23 O. bRaNCIfORTII, De animorum perturbationibus subsecivarum cogitationum, pars I et II Catanae 1642. Su quest’opera vedi il saggio di g. CavICChI, «Le perturbazioni», cit. e il giudizio di C. DOllO, Filosofia e scienze, cit. Il branciforte aveva anche scritto un’altra opera: Mercatus eloquentiae, il cui manoscritto rimase inedito e andò disperso dopo la sua morte assieme alla ricchissima biblioteca (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., 129; I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 287; a. MONgITORE, Bibliotheca sicula, cit., II, 109). 24 Di solito si limitano a indicare gli atti più significativi del suo governo: il restauro del palazzo vescovile; la costruzione della chiesa di San Michele a Cifali, affidata ai carmelitani scalzi, da lui fatti venire a Catania; la creazione nella stessa località di un magnifico giardino; la ricostituzione della dignità dell’arcidiaconato e la creazione della prebenda del teologo nel capitolo della cattedrale (R. PIRRI, Sicilia sacra, cit.; I.b. DE gROSSIS, Catana

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documenti che pubblichiamo ci consentono di approfondire anche questo argomento. Dal modo con cui affronta le situazioni che trova nel corso della sua prima visita pastorale della diocesi e dalle disposizioni che dà, manifesta una notevole esperienza e buone doti di governo. Egli dimostra di rendersi conto dei problemi e di trovare la soluzione più opportuna, anche se è costretto a prendere delle decisioni gravose, non certo idonee a procurargli il favore di alcuni settori del clero o dei fedeli. appare sollecito ad attuare alcuni dei punti più significativi della riforma tridentina: un certo ordine nella cura delle anime25, l’istruzione e la disciplina del clero26, la catechesi27, il decoro delle chiese e delle funzioni liturgiche28. Nelle scelte dell’azione pastorale e nel comportamento dimostra, però, anche i limiti del suo carattere e della sua condizione di aristocratico compiaciuto della sua posizione29, preoccupato di riuscire gradito ai supe-

sacra, cit.; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit.; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit.). la chiesa di San Michele e il giardino di Cifali furono sommersi dalla lava nell’eruzione del 1669. 25 Meritano di essere prese in considerazione le decisioni prese per la città di Catania. Nonostante il brevissimo tempo intercorso fra la sua venuta e l’inizio della sua visita pastorale, egli, dimostrando buone capacità di intuizione, si rese conto della situazione e prese con coraggio e prudenza le opportune decisioni: intervenne, ma senza cambiare radicalmente il quadro istituzionale esistente (vedi rel. 1640, fol. 54r-60v e il lungo elenco di benefici che annette all’ufficio dei cappellani sacramentali: fol. 60v-73r). 26 vedi l’esame di idoneità a cui sottopose tutto il clero della diocesi nel corso della visita (rel. 1640, fol. 90v), i provvedimenti presi a Trecastagni (ibid., fol. 96r), adrano (ibid., fol. 101v-102v), Enna (ibid., fol. 107v), Calascibetta (ibid., fol. 111r) e l’art. 59 delle norme emanate nella visita. 27 Cfr l’art. 60 delle sue norme. 28 a parte i continui rilievi che fa per ogni chiesa su questo argomento, vedi l’insistenza sull’impegno per il canto sacro: rel. 1640, fol. 96v, 102r e l’art. 58 delle sue norme. 29 Si veda la presentazione sua e dei propri fratelli che fa nella prima relazione, ricorrendo all’espediente di riferire i giudizi lusinghieri dei cittadini di Enna (rel. 1640, fol. 82r83r); e i grandi elogi che riserva sia al fratello uterino Nicola Placido branciforte, fondatore di leonforte (ibid., fol. 79v-80v) sia alla propria famiglia in genere, tutte le volte che gli si offre la possibilità (ibid., fol. 85v-86r). 30 È indicativa in tal senso la destinazione delle multe per i contravventori di alcune

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riori30, incline a favorire i propri familiari31, geloso della propria giurisdizione32, poco sensibile ai grandi problemi suscitati dalla Riforma33.

sue norme, in sintonia con la bolla crociata: «Qualunque somma sarà riscossa dalle contravvenzioni a questo decreto vogliamo sia devoluta in sussidio alle guerre che il re sostiene contro gli eretici» (rel. 1640, fol. 107r); «ogni volta che avranno disobbedito a queste nostre proibizioni dovranno pagare cinquanta once, che destiniamo fin da ora come aiuto agli eserciti con cui il re combatte le provocazioni degli eretici» (ibid., fol. 120v, art. 20); «[…] somma che sarà devoluta come contributo alle guerre di sua maestà» (ibid., fol. 121r, art. 21; cfr. anche fol. 122r, art. 22). 31 l’arcidiaconato fu ricostituito per dare una prebenda al fratello luigi, che era già stato suo vicario generale a Cefalù, e che egli confermò in questo ufficio a Catania (rel. 1640, fol. 258v; f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., II, 17). Da correggere quanto scrive il Mongitore nelle aggiunte al Pirri sul primo vicario generale del branciforte a Catania (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] additiones et correctiones, cit., 129): non fu il can. angelo Campochiaro, ma il can. Martino Celestre, che rimase in carica fino all’8 agosto 1638 (Tutt’Atti 1637-1638, fol. 635r-v); il can. Campochiaro succederà a luigi branciforte nell’ufficio di vicario generale il 1° maggio 1643 (ibid., fol. 347v-348v). 32 Più che un rilievo alla persona del branciforte, è la constatazione di un tipico malessere della società di quel tempo. Uno dei punti sui quali i vescovi venivano esaminati per stabilire la loro idoneità e su cui dovevano riferire nelle loro relazioni ad limina era proprio la difesa della giurisdizione e delle immunità ecclesiastiche. Nel secondo processo informativo per il trasferimento del branciforte a Catania, fra le domande rivolte ai testi ce n’è una così formulata: «an sciant eum prudenter, abiliter et diligenter se gessisse in defendendis, gubernandis et augendis iurisditionibus spirituali et temporali iuribus et bonis omnibus suae Ecclesiae» (Proc Cons 36, fol. 699r). Il teste filippo Caccamisio riferisce sul conto del branciforte: «Si è portato valorosamente nel difendere et conservare la giurisditione della sua Chiesa et diocesi per quanto ho visto in alcune occorrenze» (ibid., fol. 701r). l’esasperata difesa delle proprie competenze con la paura che altri possano misconoscerle o violarle è un dato costante in questo periodo in chiunque eserciti un qualsiasi ufficio o una forma di autorità. Sul tema vedi: a. lONghITaNO, Conflitti di competenza, cit. 33 I rilievi che il branciforte fa nel corso della visita pastorale e le norme da lui promulgate non fanno cenno ai temi dottrinali, che pur dovevano costituire una delle principali preoccupazioni pastorali di un vescovo. Dalla lettura delle due relazioni si ha l’impressione di una società o di una Chiesa piatta, che ignora il travaglio dottrinale provocato dalla Riforma e dal Concilio di Trento e che si limita a risolvere i problemi disciplinari derivanti dal corso ordinario della vita di ogni giorno. Nelle norme promulgate dal branciforte non manca, tuttavia, qualche spunto che merita almeno una segnalazione, visto che esula dal nostro compito l’impegno per un loro approfondimento; se non altro per meglio conoscere la mentalità e i problemi del tempo e per sottolineare il permanere di un atteggiamento di difesa contro tutto ciò che è nuovo e può minimamente favorire la diffusione dell’errore: la proibizione per i sacerdoti di indossare l’abito ecclesiastico mentre confessano i propri peccati (rel. 1640, 118v, art. 7); per la comprensione di questa singolare norma può essere utile il saggio di l. MEZZaDRI, La spiritualità dell’ecclesiastico seicentesco in alcune fonti letterarie, in Problemi di storia della Chiesa nei secoli xVii-xViii, Napoli 1982, 45-89); l’insistenza nel prescrivere di tenere ben chiuse le custodie dell’Eucaristia, degli oli sacri e il sacrario per

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In conclusione riteniamo di poter affermare che Ottavio branciforte sia stato nello stesso tempo prodotto e vittima di una società che, mediante un complesso sistema di alleanze, di amicizie e di protezioni, da una parte gli offrì la possibilità di far valere le proprie doti e dall’altra lo emarginò, quando cambiarono gli equilibri di forze che lo avevano sostenuto. 2. lE RElaZIONI AD LiMinA (1640, 1646)

la prima relazione che il vescovo invia alla Santa Sede nel 1640, si distingue per la ricchezza dei contenuti e per la sua atipicità: anche se inviata come rapporto sullo stato della diocesi, in realtà è un documento composito, costituito essenzialmente dal racconto della visita pastorale fatta dal branciforte nel 1638, subito dopo il suo ingresso in diocesi34; esso tuttavia non ricalca gli schemi seguiti di solito da questo tipo di documenti. Inizia con il rendiconto della visita alla cattedrale e con i provvedimenti presi per riordinare la cura delle anime nella città di Catania e per introdurre la prassi della celebrazione gratuita dei sacramenti35. Particolarmente espressiva risulta in questa parte la descrizione delle dannose conseguenze derivanti dalla prassi di subordinare l’amministrazione dei sacramenti al pagamento di precise tarriffe da parte dei fedeli36. Il vescovo, con un’attenta revisione dei proventi stabiliti per coloro che dovevano esercitare la cura delle anime e con l’unione di numerosi benefici semplici all’uf-

non favorire i furti provocati dalla prassi vigente dei riti magici (rel. 1640, fol. 128r, art. 47; fol. 129r, art. 55); la proibizione ai laici e agli ecclesiastici di aprire scuole di grammatica (ibid., fol. 130v, art. 61); la proibizione per i laici di spiegare la dottrina cristiana ai crocicchi delle strade (ibid., art. 62); la proibizione alle donne di accostarsi alla comunione più spesso di una volta la settimana, a meno che non ricorra una delle feste principali (ibid., art. 63); la necessità del permesso scritto del vescovo, perché coloro che vivono nei monasteri imparino o insegnino a leggere e a scrivere (ibid., fol. 133v-134r, art. 81). 34 Nell’archivio Storico Diocesano non si trova traccia delle due relazioni del branciforte. Tuttavia nei volumi di Tutt’Atti e nelle Visite si hanno riscontri per alcuni dati e provvedimenti in esse contenuti. vedi in particolare: il decreto di indizione della visita pastorale (Tutt’Atti 1637-1638, fol. 502r-505r); l’editto che regola il diritto di asilo (ibid., fol. 468v-469r); l’editto che obbliga i chierici a portare l’abito ecclesiastico e la tonsura (ibid., fol. 484r-485v); l’editto che impone ai sacerdoti un esame d’idoneità per la celebrazione della messa (ibid., fol. 637v). 35 Rel. 1640, fol. 56r-73r. 36 ibid, fol. 56r-58r. 37 Sarebbe stato interessante avere i dati statistici sulla popolazione di Catania e sul

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ficio dei cappellani sacramentali, attua una forma di perequazione dei loro redditi per consentire allo stesso tempo l’onesto sostentamento dei ministri e la ricezione dei sacramenti senza oneri economici per i fedeli. la visita della città di Catania non riferisce altri dati sui monasteri, i conventi, le confraternite e le altre istituzioni religiose37. la seconda parte contiene un diario di viaggio arricchito da notizie storiche e geografiche sui luoghi che il vescovo visita man mano38 e dal racconto di fatti e di impressioni che suscita nel suo animo il primo incontro con il clero e i fedeli. la terza parte riferisce i dati sulla vita e l’organizzazione ecclesiastica. l’ultima parte può essere considerata un piccolo codice di norme, emanate dal vescovo durante la visita pastorale, sui temi principali della vita e dell’organizzazione diocesana: il culto e l’amministrazione dei sacramenti, la disciplina del clero, l’amministrazione dei beni ecclesiastici, la disciplina delle monache39. È proprio la particolare natura di questa relazione a conferirle una notevole rilevanza storica per la ricchezza e la varietà delle notizie riferite. Può essere considerata un interessante profilo della società siciliana del 1638, visto con gli occhi di un personaggio che è allo stesso tempo un uomo colto, un vescovo aristocratico, un cronista attento, che sa di avere dei lettori di riguardo e perciò inserisce le aride cifre sullo stato della diocesi in un racconto vario, dallo stile elegante ed arguto.

numero dei sacerdoti, dei religiosi e delle monache presenti. Dal secondo processo informativo sul branciforte si desumono alcuni dati riferiti dai testimoni, che possono integrare le due relazioni: «la città di Catania è posta nel Regno di Sicilia, situata in piano, murata attorno con porte, facendo circa dicedotto mila anime et circa tre mila fochi» (Proc Cons 36, fol. 701v). «la città di Catania è […] grande con porto et fa quattro mila fuochi et circa diecedotto mila anime» (ibid., fol. 703r). «vi sono dodici monasterii da frati, et dodici di monache, sedici confraternite di laici, un hospidale et monte di pietà» (ibid., fol. 702v). 38 Il branciforte dimostra di essersi documentato quando sui vari centri abitati riferisce notizie riguardanti l’etimologia del nome, l’origine, gli antichi insediamenti, la situazione geografica e le colture. In qualche caso tenta un apporto personale, dimostrandosi figlio della cultura del tempo: vedi le acrobazie intellettuali nelle quali si cimenta per spiegare i toponimi di aquilia (rel. 1640, fol. 73v) e di Pedara (ibid., fol. 75r). 39 Il nostro vescovo aveva già una buona esperienza legislativa, avendo celebrato a Cefalù un sinodo le cui norme furono anche pubblicate: Constitutiones Synodales, editae anno Domini MDCxxxV, Panormi 1636. Tuttavia le norme emanate a Catania nel corso della visita, a differenza di quelle del sinodo, non possono dirsi complete ed organiche, perché risentono delle situazioni contingenti per le quali sono state formulate. 40 Di particolare interesse è la notizia sullo stato del capitolo della cattedrale e sulle

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la seconda relazione rientra nel solito schema seguito dai vescovi per informare la Santa Sede sullo stato della diocesi. lo stile e i contenuti sono diversi, perché è anche cambiato lo stato d’animo del branciforte. Il documento fu consegnato nell’ultima permanenza a Roma, due mesi prima del viaggio che precedette la sua morte. anche se breve, non è privo di interesse per alcuni ‘sfoghi’ che il vescovo fa alla Congregazione del Concilio sullo stato della diocesi e su alcuni problemi che gli stanno più a cuore40. accenna velatamente alla difficile situazione in cui si trovava con le autorità civili di Catania quando rivendica nella sua azione di governo pastorale la strenua difesa dell’immunità ecclesiastica e indica alcune cause che determinavano una conflittualità quotidiana fra la giurisdizione ecclesiastica e civile41. l’attento lettore di questi due documenti non mancherà di notare man mano gli elementi di maggior rilievo in essi contenuti; assieme a quelli che interessano in modo più specifico la storia delle istituzioni ecclesiastiche, troverà preziosi riferimenti che riguardano: l’incidenza delle riforme tridentine nella vita sociale42, la storia della pietà e della religiosità popolare43, l’analisi delle condizioni in cui si trovano alcune città e comuni della diocesi in un momento delicato per la storia della società siciliana44.

conseguenze derivanti dalla prassi seguita nelle nomine delle dignità e dei canonici della collegiata di Piazza. Non sono molto chiare le reali motivazioni che spingono il branciforte a chiedere di aumentare il numero dei canonici nel capitolo della cattedrale: assicurare un servizio più efficiente? avere la possibilità di dare una prebenda a persone a lui devote? giustificare la ricostituzione dell’arcidiaconato? (rel. 1646, 143r-v). 41 Rel. 1646, 143v-144r. 42 l’influsso del Concilio di Trento nella società e nella Chiesa catanese non riguarda la riforma delle strutture ecclesiastiche che rimasero sostanzialmente invariate, né la formazione di una mentalità più aperta da parte del clero edei fedeli, considerato che i fermenti dottrinali furono subito soffocati e resi innocui. la linea pastorale seguita dai vescovi ha per oggetto l’istruzione del clero e dei fedeli, la disciplina e il culto; un’azione che ebbe comunque una sua incidenza nella società del tempo. a distanza di oltre settant’anni dalla conclusione del concilio si nota, tuttavia, una evoluzione nella mentalità e nell’azione pastorale; ad es.: è del tutto scomparsa la prassi di segnare ogni anno a Pasqua, in un registro, i nomi di coloro che si confessano e si comunicano, per avere la possibilità di perseguire gli inadempienti (a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 53). Il branciforte si limita a prescrivere ai cappellani sacramentali di girare di casa in casa per richiamare i fedeli all’obbligo del precetto pasquale (rel. 1640, 127v, art. 44). 43 vedi la descrizione di alcune forme di religiosità popolare ad aquilia (rel. 1640, 91v-92v), la prassi delle varie chiese sul culto eucaristico e le norme date per le quarantore (ibid., 128v, art. 50). 44 a parte i frequenti richiami alla difficile situazione economica, sono interessanti i suoi rilievi sulle condizioni di alcune città e comuni: biancavilla, rifondata con una licentia

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la prima relazione, redatta in uno stile ricercato e contorto, fu trascritta in bella copia dagli attuari della curia, che avranno incontrato qualche difficoltà nell’interpretare la grafia poco chiara del branciforte; perciò si spiegano alcuni passaggi oscuri ed alcune sviste evidenti. Nei casi controversi e quando si è riusciti a trovare una soluzione alle incertezze del testo, abbiamo preferito riportare la versione ritenuta più corretta e indicare in nota le varianti del documento originale. Per facilitare i riscontri e le citazioni sono state numerate le norme contenute nell’ultima parte della prima relazione.

populandi, che conserva solo qualche debole traccia dell’origine albanese (rel. 1640, 78r); Centuripe, in fase di rifondazione a distanza di oltre tre secoli dalla sua distruzione ad opera di federico II (ibid., 78v-79r); leonforte, che la famiglia branciforte aveva fondato poco tempo prima, sempre con una licentia populandi (ibid., 79v-80v); Enna (ibid., 80v-81v); Piazza (ibid., 84r-v).

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1640 – Relazione del vescovo Ottavio branciforte, relativa al 19° triennio, scritta e presentata personalmente il 5 gennaio 16401.

[fol. 53r] al santissimo signore nostro Urbano vIII Pontefice massimo Ottavio branciforte, vescovo di Catania, nel 1640 presentò personalmente a Roma la relazione della visita della sua chiesa. [fol. 54r] al santissimo signor nostro Urbano vIII pontefice massimo Ottavio branciforte, nel render conto della visita della sua Chiesa, formula auguri di vita e di prosperità. beatissimo Padre, entrando in questa nostra Chiesa siamo stati presi dal desiderio di percorrerla per la visita pastorale, perché i mali che in passato l’avessero colpita non progredissero impunemente e in modo ancor più pericoloso e nocivo, proprio in presenza del medico. Perciò, dopo circa quattro giorni dal nostro ingresso in diocesi con solenne decreto fu indetta la visita pastorale per il 13 giugno. I

– vISITa

DElla CaTTEDRalE E RIORgaNIZZaZIONE DElla CURa DEllE

aNIME NElla CITTà DI

CaTaNIa

la nostra visita, con l’aiuto di Dio e dei santi, ebbe inizio dalla cattedrale il 13 giugno del 1638. Il tempio è molto grande e solenne; in tutta la Sicilia è il maggiore che sia stato dedicato fin dalla sua origine a Sant’agata vergine e martire, patrona e signora della sua patria; custodisce le illustrissime e santissime sue reliquie che ella si è degnata riportare in patria da lontano. la sua struttura trova fondamento nelle costruzioni delle antiche terme in modo che là dove i corpi venivano purificati dalle acque correnti, gli animi splendessero per le acque salutari fluenti dal cielo. la cattedra episcopale fu istituita dal vescovo angerio e dal Conte Ruggero [fol. 54v] che vi unì un monastero di benedettini. Una volta spettava a loro l’ufficio di canonici della cattedrale; oggi per indulto pontificio è stato affidato ai sacerdoti secolari. Ma le origini della fede cristiana a Catania sono antichissime. Introdotta dal vescovo berillo, inviato da 1

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Rel Dioec 207 a, fol. 53r-138r.


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s. Pietro, si radicò così tenacemente da non essere più scossa né dalle violenze dei persecutori, né dal fuoco dei saraceni invasori. Un giorno questo edificio fu distrutto dal terremoto e seppellì una grande folla di popolo nello stesso momento in cui, come si racconta, un vescovo simoniaco prendeva possesso del suo ufficio e con mano sacrilega offriva l’incenso; così fu vendicato repentinamente un misfatto. Entrammo nel tempio dal nostro palazzo accompagnati dal senato della città, da molti ecclesiastici e da una grande folla. Dopo aver asperso con l’acqua lustrale il senato e tutti i presenti, ci recammo ad adorare il Cristo Signore nel sacramento. Subito dopo, dando inizio al sacrificio della messa all’altare maggiore, secondo il consueto, con la confessione generale e l’assoluzione, ci recammo al soglio episcopale dove, alla fine della celebrazione, ci preparammo indossando il pallio violaceo per il suffragio ai cristiani defunti. assieme ai chierici presenti, che procedevano per ordine dietro il crocifisso con canti e preghiere, al senato ed alla folla dei fedeli, secondo le prescrizioni del pontificale, benedicemmo i sepolcri e il cimitero e pronunziammo l’assoluzione per tutti coloro che cristianamente vi erano stati seppelliti [fol. 55r]. Compiuto questo rito, deponemmo il pallio violaceo per indossare quello bianco e con il vicario generale, gli altri convisitatori da noi prescelti e molti altri che ci seguivano ci recammo nella cappella destra del tempio, dove è custodito il Santissimo Sacramento nel tabernacolo, costruito con pietre preziose. Dopo aver cantato l’inno, salutammo devotamente il Signore nostro gesù Cristo. Quindi prendemmo questi provvedimenti riguardo al culto e alla venerazione del ss. Sacramento: 1. Poiché il sacerdote nell’aprire il tabernacolo non poteva prendere agevolmente la pisside in esso custodita, [fol. 55v] fu stabilito che venisse abbassato perché si potesse aprire con facilità; la chiave d’argento fosse consegnata al sacerdote ebdomadario e, poi, al cappellano curato. 2. la pisside destinata a portare l’Eucaristia agli ammalati era di stagno e veniva conservata in sacrestia; perciò secondo le necessità veniva portata all’altare, da dove il sacerdote si muoveva per andare in giro per la città e ritornare, posandola un’altra volta in sacrestia. le due cose sono sembrate indecorose, in particolare la prima fu vista con indignazione, la seconda con fastidio. Perciò si fece fare una pisside d’argento dorato per portare l’Eucaristia agli ammalati, da conservare nel tabernacolo; insieme fu fatta fare un’altra pisside che doveva contenere il ss. Sacramento per l’adorazione dei fedeli. 3. Nella pubblica esposizione fatta nelle ore vespertine, il ss. Sacra147


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mento deve essere riposto nel tabernacolo dove, dopo la benedizione, potranno accompagnarlo con in mano le torce accese i fedeli che lo desiderano. 4. le lampade di legno artisticamente adornate ardano perennemente dinanzi al ss. Sacramento e non ai lati delle pareti, da dove in passato meno opportunamente pendevano, per invitare con la loro luce alla venerazione. 5. Se una volta le pissidi erano coperte con un velo di diverso colore, per il futuro esso dovrà essere sempre bianco [fol. 56r]. Il velo del tabernacolo, invece, sia del colore rispondente al tempo liturgico. Poiché inoltre dalla chiesa cattedrale, in quanto unica parrocchia, sono amministrati i sacramenti per tutta la città, è stato a noi richiesto di determinare l’ordine e le modalità di questo servizio, soprattutto riguardo al sostentamento dei cappellani e dei curati che amministrano i sacramenti ai moribondi. Su questo argomento molti particolari della prassi seguita fino ad oggi devono essere riportati alle prescrizioni dei concili; perciò abbiamo deciso di promulgare il seguente decreto. Decreto sull’amministrazione dei sacramenti

Durante la solenne visita della cattedrale, chiedendo informazioni sull’amministrazione dei sacramenti, ci furono date delle notizie che ci hanno colpito profondamente e alle quali avremmo stentato di credere, se non fossero state confermate dalle testimonianze di diverse persone. l’amministrazione del battesimo, dell’Eucaristia, dell’estrema unzione sia nella cattedrale, che è l’unica parrocchia, sia nelle altre chiese sacramentali [fol. 56v] che coadiuvano la cattedrale, non è gratuita, ma è fatta dietro un determinato compenso. Per il battesimo di una bambino si pagano tre carlini, per la comunione agli ammalati, cinque, per l’estrema unzione, sette; tutto questo è contrario alle prescrizioni dei canoni. Nessuno dei presenti sottovalutava i pericoli e gli inconvenienti derivanti da questa prassi (chi sarebbe stato così cieco da non accorgersene?): le cose sante che devono essere trattate santamente e date gratuitamente, come gratuitamente sono state ricevute, sono trattate in modo indegno ed offensivo. Ci troviamo di fronte ad un fatto vergognoso per questa città, per questa chiesa e per questo clero: in conseguenza di ciò spesso sono pignorate alle famiglie povere le suppellettili necessarie ed il sacerdote si trasforma in uno strozzino, a cui diventa lecito togliere al povero che supplica 148


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la veste o il materasso; in conseguenza di ciò non pochi muoiono senza viatico ed estrema unzione. In questa controversia i sacerdoti lamentavano da parte loro l’esiguità degli introiti: ricevevano non più di dieci once, che raramente giungevano per intero nelle loro mani; infatti il cappellano o il curato scelto dal superiore [fol. 57r] non amministrava personalmente i sacramenti, ma spesso si faceva sostituire da altri senza corrispondere alcun compenso. Cosa fare? Come procurarsi di che vivere? Da questo modo di amministrare i sacramenti, oltre ai fatti assurdi già descritti, abbiamo scoperto che derivano altre conseguenze: i cappellani nominati dal superiore, mentre ricevono dalla mensa vescovile dieci once, si comportano così ingiustamente con coloro che li sostituiscono a danno dei fedeli, che sarebbe doveroso obbligarli alla restituzione. Infatti con il loro comportamento hanno indotto i sostituti a trattare in modo così disumano i fedeli; pertanto il peccato deve essere imputato alla loro avarizia e alla loro negligenza e non solo al comportamento dei sostituti; sono i cappellani che dovranno render conto a Dio di coloro che sono morti senza sacramenti. a questi inconvenienti bisognava anche aggiungere che nessun quartiere della città era assegnato ad una chiesa da cui ricevere i sacramenti [fol. 57v]; ai fedeli era lecito andare ora in questa, ora in quella chiesa; pertanto i registri dei battesimi e dei matrimoni erano incompleti e tutto era fatto all’insegna della confusione, non senza evidente danno della vita cristiana. Inoltre poiché si sostiene che nella città il diritto alla sepoltura è libero, non si hanno funerali solenni con l’accompagnamento del parroco e della croce parrocchiale. Si seppellisce un defunto, senza che alcun registro riferisca sulla vita e i costumi del defunto, sulla ricezione dei sacramenti, sull’ora della morte, sulla sepoltura. abbiamo ritenuto che fosse nostro compito principale ovviare a questi inconvenienti, eliminando le cause che potessero dare ai cappellani o ai curati l’occasione di sbagliare o di giustificare l’errore. la somma di dieci once assegnata ad ogni chiesa sacramentale come rendita è stata raddoppiata con i proventi derivanti dai benefici della mensa vescovile, così come è stato stabilito nell’atto di unione. Considerato che le chiese della collegiata e di San Tommaso non ricevevano alcuna rendita dalla mensa [fol. 58r], abbiamo stabilito che abbiano — sempre dai benefici della nostra mensa — quanto è stato decretato nell’atto di unione, a cui aggiungiamo le somme derivanti dalle multe per l’inosservanza dei giorni di precetto della sola città 149


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di Catania, da distribuire in parti uguali. Riteniamo questa somma sufficiente per consentire ai cappellani di affrontare con serenità il proprio ministero. ai singoli curati o cappellani, già nominati o da nominare in futuro, proibiamo di farsi sostituire stabilmente da altri per evitare che sia loro consentito di condurre una vita oziosa e di scaricare sugli altri ogni responsabilità. Per quanto è possibile devono pascere e custodire personalmente le pecore che abbiamo loro affidato. Perché svolgano con maggiore impegno questo ministero promettiamo di ricordarci del loro lavoro, del loro zelo, della loro integrità di vita quando si renderà vacante qualche canonicato maggiore o qualche secondariato; per noi sarà motivo di gioia conferire uffici ed onori ecclesiastici come stimolo o come premio al buon comportamento [fol. 58v]. Ora per facilitare il lavoro di ognuno sono stati definiti i confini ed i quartieri della città da assegnare alle singole chiese sacramentali ed ai relativi curati, come è stato stabilito nel seguente decreto: 1. alla chiesa cattedrale, alla chiesa di San Tommaso ed ai rispettivi curati affidiamo il quartiere della Civita e parte del quartiere del castello Ursino e cioè dalla curia del senato fino alla porta delle Decime inclusa, con l’aggiunta: dei monasteri di Santa Chiara e della Santissima Trinità e delle isole di Santa Maria dell’Indirizzo e dello stesso castello Ursino; dalla piazza delle Erbe e dalla chiesa di San filippo fino alla cattedrale. 2. alla chiesa collegiata ed al suo curato spetta il quartiere della fiera. 3. la chiesa di Santa Maria della Dagala e il suo curato avranno in cura il quartiere di Sant’agata la vetere. 4. alla chiesa di Santa Maria dell’Itria e al suo curato si assegna il quartiere di Santa Margherita. 5. alla chiesa di Santa Marina ed al sacerdote che vi amministra i sacramenti è affidato il quartiere della Santissima Trinità [fol. 59r]. 6. alla chiesa di San filippo e al suo cappellano spetta quel che resta del quartiere del castello Ursino e tutto il quartiere della porta di Mezzo. Ordiniamo che tutto ciò venga osservato scrupolosamente ed avvertiamo che incorrerà nelle pene chi tenterà di fare il contrario. Prescriviamo, comandiamo e ordiniamo che nessun sacerdote che svolga stabilmente o per supplenza il ministero di amministrare i sacramenti, per nessun motivo, in nessuno modo e da nessuno accetti un qualsiasi compenso, sotto pena di scomunica [fol. 59v] e di altre sanzioni che infliggeremo secondo la gravità del peccato e della trasgressione. 150


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Per quanto riguarda la sepoltura dei fedeli ordiniamo: in qualsiasi tipo di funerale devono essere sempre presenti la croce e il curato della chiesa sacramentale a cui apparteneva il defunto. In futuro non si dovranno celebrare esequie in cui non sia presente il curato e, oltre alle candele che erano state accese nella camera del defunto, non sia portata anche la croce e non siano osservate le altre norme prescritte dal rituale. I religiosi nella nostra città non pertecipino a nessun funerale sia nelle chiese del loro ordine che altrove, in cui non siano presenti la croce e il curato della chiesa sacramentale competente, secondo i canoni del Concilio di Trento e le istruzioni degli eminentissimi cardinali. Per i religiosi che non obbediranno a queste norme stabiliamo la pena dell’interdetto [fol. 60r], in modo che nessuno possa più entrare nelle loro chiese. Questo intendiamo stabilire riguardo ai fatti che abbiamo constatato nella nostra visita. Non intendiamo mutare in alcun modo l’ordinamento delle chiese e dei cappellani sacramentali che restano amovibili a nostra discrezione, ad eccezione di coloro che amministrano i sacramenti nella cattedrale. a tal riguardo non vogliamo che quanto abbiamo detto o prescritto rechi pregiudizio alle future decisioni dei nostri successori. Perché gli antichi diritti della cattedrale nell’amministrazione dei sacramenti restino invariati, integri e siano tutelati, ai suoi cappellani sacramentali consentiamo di amministrare liberamente, a richiesta dei fedeli, i sacramenti in tutta la città e nelle altre chiese sacramentali [fol. 60v], osservando, tuttavia, le norme stabilite in questo decreto per la gloria di Dio e il maggior frutto spirituale delle anime a noi affidate. Atto di unione dei benefici alle chiese sacramentali

all’inizio della visita pastorale, affrontando l’argomento dell’amministrazione dei sacramenti in questa città, abbiamo saputo che esiste una sola chiesa parrocchiale: la cattedrale; e poiché era impossibile in una così grande città venire incontro alle esigenze di un elevato numero di persone, dai nostri predecessori erano state istituite 6 chiese sacramentali in diversi quartieri, con dei cappellani per l’amministrazione dei sacramenti ai fedeli. Tuttavia queste chiese non erano considerate parrocchiali, ma solo sacramentali e i sacerdoti ad esse assegnati non erano parroci perpetui ma curati o cappellani amovibili, a discrezione del vescovo. ai cappellani di quattro di queste chiese [fol. 61r], per il ministero da loro svolto, erano pagate 151


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annualmente dalla mensa vescovile dieci once. Ma i cappellani della collegiata e di San Tommaso, poiché avevano altri redditi non ricevevano alcuna somma dalla mensa vescovile; percepivano solamente le offerte dovute per l’amministrazione dei sacramenti, come si riferisce nel nostro decreto. Ma non senza grande dolore nostro e degli uomini prudenti che ci hanno informati i sacerdoti, con il pretesto della esiguità degli introiti, avevano trasformato il sacro ministero in un commercio. Pertanto, se i genitori chiedevano di battezzare un bambino, dovevano dare cinque carlini, se chiedevano il viatico dovevano pagarne tre, se l’olio santo sette. Da questa situazione derivavano: la prassi dei pegni dati dalle famiglie più povere, la morte senza sacramenti delle persone indigenti e un evidente danno delle anime. Noi, volendo porre riparo a questa situazione così grave [fol. 61v], senza cambiare l’ordinamento stabilito dai nostri predecessori, abbiamo stabilito di aumentare lo stipendio ai sacerdoti incaricati di questo ministero, fino a quando i nostri successori non troveranno una soluzione migliore. Pertanto, in obbedienza ai sacri canoni e alle prescrizioni del Concilio di Trento, dopo un’accurata indagine e una matura riflessione, in virtù della nostra potestà ordinaria e delegata, con tutte le solennità previste dalle leggi in questi casi, uniamo i sottoindicati benefici semplici e manuali alle sei chiese sacramentali, con tutti i diritti e le pertinenze sia spirituali che materiali secondo le indicazioni qui riportate [fol. 62r]:

1. alla chiesa di San Tommaso, oltre quello che ha da altre fonti, spetta: — Il beneficio semplice attualmente vacante nella chiesa dei Santi Rubino e gregorio della città di Enna, la cui dote è di once 4 e tarì 12 per un censo annuale dovuto dalla commenda dello stesso beneficio a don vincenzo de amico u.i.d. fatta il 25 nov. 16362. — Il beneficio nella chiesa di Santa Margheritella nella città di Paternò, detto «di Santa Margaritella», la cui dote è di tre salme di frumento dovute da una tenuta detta «dello fico» in contrada di Paternò, che frutta once 1,12 a salma e in totale once 4 e tarì 6. — Il beneficio nella chiesa collegiata di questa città, detto «delli gambari», la cui dote è di tarì 13 per un censo dovuto dai gesuiti e da don 2

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I benefici qui elencati sono tutti semplici e le cifre si riferiscono alle rendite annue.


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gaspare blandino, con atto del notaio ambrogio la vaccara di Catania il 15 feb. 1617, xv ind. [fol. 62v].

2. alla chiesa collegiata, oltre i proventi che ha da altre fonti, spettano: — Il beneficio nella chiesa madre di Regalbuto, fondato da giovanni lamberto, la cui dote è di oncia 1 e tarì 8 per un censo dovuto da federico Campisi da Regalbuto su un pezzo di terra. — Il beneficio nella chiesa di San Josafat nella città di Paternò, fondato da francesco bertino, la cui dote è di oncia 1 per un censo dovuto da anna faraci della stessa città su alcuni suoi beni. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria annunziata della città di Paternò, fondato da antonino affia la cui dote è di tarì 26 per un censo dovuto dagli eredi di antonino e giacomo Stanziano su un loro uliveto sito nella stessa contrada. — Il beneficio [fol. 63r] nella chiesa madre della stessa città di Paternò, fondato da giovanna Miricata la cui dote è di oncia 1 per un censo dovuto da gioacchino lo Piscopo su un suo fondaco nella stessa contrada. — Il beneficio nella chiesa di Santa Maria dell’Indirizzo di questa città, fondato dal medico don francesco Moncata, la cui dote è di tarì 15 per un censo dai benefici dati in commenda a don Carlo falsaperna, con privilegio spedito a Catania il 21 dic. 1637, v ind. — Due benefici o legati pii nella chiesa madre di Pietraperzia e negli altari del ss. Sacramento e di s. liberante, fondati da armenia Miccioli la cui dote è di once 2 per un censo su alcuni beni nella città di Caltanissetta, dati in commenda al canonico u.i.d. don Stefano viglia con privilegio del 4 mag. 1636 vI ind. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria Raccomandata nella città di San filippo [fol. 63v], chiamato «di li Milazzisi» la cui dote è di due salme di frumento, once 6 e tarì 6 in denaro per un censo, con l’onere di celebrare una messa ogni settimana nella stessa chiesa Santa Maria della Raccomandata, dato in commenda al canonico u.i.d. don Stefano viglia, con privilegio del 7 apr. 1618, I ind. che globalmente, sottraendo l’elemosina della messa, comporta once 4 e tarì 12. — Il beneficio nella chiesa collegiata Santa Maria dell’Elemosina di questa città detto «delli Petri negri», la cui dote è di tarì 13 per un censo dato in commenda al sacerdote don antonino Micuccio, con privilegio dato a Catania il 9 gen. 1596, I ind. — Il beneficio nella chiesa collegiata di questa città, chiamato «Santa 153


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Chiaravale», la cui dote è di tarì 6 per un censo dovuto dal notaio Natale de Mauro su alcune sue case [fol. 64r].

3. alla chiesa Santa Maria dell’Itria, oltre le dieci once della mensa vescovile, andranno: — Il beneficio nella chiesa Sant’antonino lo Cretazzo della città di Enna, la cui dote è di once 3 annuali dato in commenda a don vincenzo de amico, con privilegio dato il 25 nov. 1636, v ind. — Il beneficio nella cattedrale di questa città, fondato da gerolamo Pisci la cui dote è di tarì 22 per un censo. — altri tarì 22 per un censo annuale dovuto da antonio Trigonelli della città di Sconario. — Il beneficio nella chiesa Santa barbara di questa città, la cui dote è di mezzo rotolo di cera bianca. — Il beneficio nella cattedrale di questa città, fondato da astasio Taranto, la cui dote è di tarì 6 per un censo dovuto da Cristaldo Chinio. — Il beneficio nella cattedrale di questa città detto «della Mendola», la cui dote è di once 1, 6 per un censo dovuto da diverse persone [fol. 64v]. — Il beneficio nella cattedrale di questa città, fondato da Simeone e agata de Cales, la cui dote è di tarì 9 in rotoli di cera bianca dovuti da don giovanni battista grossi. — Il beneficio nella chiesa San Marco di questa città, chiamato «di presti bartolomeo di bernardo», la cui dote è di tarì 24 per un censo dovuto da diverse persone. — Il beneficio nella chiesa San Pietro li Carri di questa città, fondato da presti Ceriello, la cui dote è di tarì 8 per un censo. — Il beneficio nella cattedrale di questa città detto «presti antoni», la cui dote è di tarì 19 per un censo su beni diversi. — Il beneficio nella cattedrale, fondato da bernardo Platamone, la cui dote è di tarì 8 per un censo. — Il beneficio [fol. 65r] nella chiesa Sant’agata la vetere, fondato da Matteo Prisco, la cui dote è di tarì 10 per un censo. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria dell’Itria, detto «delli Cazani», la cui dote è di tarì 19 per un censo. — Il beneficio nella collegiata di questa città, detto «delli gambari», la cui dote è di tarì 15 per un censo. — Il beneficio nella chiesa San Marco o ospedale, detto «di presti bartolomeo di bernardo», la cui dote è di tarì 27 per un censo. 154


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— Il beneficio nella chiesa Santa Maria la grande, fondato da filippo de arena, la cui dote è di oncia 1 dovuta da don Claudio de leonibus per un censo. — Il beneficio nella chiesa della Santissima Trinità di questa città, detto «delli Costanzi», la cui dote è di tarì 18 per un censo [fol. 65v]. — Il beneficio nella cattedrale di questa città, fondato da bartolomeo o Thomeo Rizzari, la cui dote è di tarì 12. — Due benefici nella chiesa collegiata di questa città, fondati da don Carlo Paternò, la cui dote è di tarì uno e grani dodici per un censo. — Il beneficio nella predetta chiesa collegiata di questa città, fondato da Costanza alfano la cui dote è di tarì 18 per un censo. — Il beneficio nella chiesa San Marco o ospedale detto «di presti bartolomeo de bernardo», la cui dote è di tarì 7 e grani 10 per un censo. — Il beneficio nella chiesa Sant’andrea fuori le mura di questa città, la cui dote è di tarì 6 per un censo dovuto da giuseppe finichiaro. — Il beneficio nella chiesa cattedrale di questa città [fol. 66r], nella cappella detta «delli gravini», fondato da don ferdinando gravina, la cui dote è di oncia 1 e tarì 6 per un censo dovuto sui beni di don Carlo gravina. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria della Rotonda di questa città di Catania, la cui dote è di tarì 5 per un censo dovuto dai gesuiti di questa città.

4. alla chiesa Santa Maria la Dagala, oltre le dieci once della mensa vescovile, sono dovuti: — Due benefici o legati pii chiamati «de frindisi», nella chiesa parrocchiale di San Cataldo nella città di Enna, la cui dote è di once 6 e tarì 2, cioè oncia una e tarì 12 per un censo e once 4,20 per una gabella di una tenuta di terre dovuta al detto beneficio. Il secondo, sotto il titolo di Sant’antonio la balata nella stessa chiesa e città, la cui dote è di tarì 21 in altrettanti censi, con l’onere di celebrare una messa ogni settimana. — Il beneficio fondato da diverse persone [fol. 66v] nella città di Paternò, la cui dote è di once 3, senza l’onere di pagare i diritti della custodia. — Il beneficio nella chiesa madre della città di Paternò fondato da Eleonora Possita, la cui dote è di tarì 21 per un censo. I due benefici suddetti sono quelli dati in commenda al canonico don vincenzo Conillo nel periodo della sede vacante, come risulta dal privilegio dato a Catania l’11 dic. 1637. 155


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— Il beneficio nella collegiata di questa città, fondato da Carlo Paternò la cui dote è di once 1,9 e di tarì 17,3 per diversi censi dalla commenda data al can. u.i.d. don vincenzo de amico, come risulta dal privilegio dato a Catania il 25 dic. 1636, v ind. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria della città di adrano, fondato da alfonso Cignato, la cui dote è di once 1,24 per un censo. — Il beneficio nella stessa chiesa Santa Maria, fondato da gerolamo Monsello, la cui dote è di tarì 6 [fol. 67r]. — Il beneficio nella chiesa collegiata Santa Maria dell’Elemosina di questa città dalla commenda posseduta da don vincenzo de amico, in forza del privilegio sopracitato, la cui dote è di 6 tarì per un censo. — Il beneficio nella chiesa cattedrale di questa città, detto «delli Quartarari», la cui dote è di tarì 14 per due censi dovuti dalla commenda del sopraddetto de amico. — Il beneficio nella città di Paternò, fondato da Caterina la Messia, la cui dote è di tarì 24 per un censo su un pezzo di terra in contrada Malpasso, concesso dal canonico don vincenzo de amico con atto del notaio gerolamo de alessandro di Platamone nella città di Paternò, il 21 feb. 1638, vI ind.

5. alla chiesa di Santa Marina, oltre le dieci once della mensa vescovile, sono dovuti: — Il beneficio nella chiesa Santa Maria della Rotonda di questa città, la cui dote è di once 1 e tarì 18 per un censo dovuto da don Cesare Tornaimbeni su alcune case in contrada Porto Saraceno [fol. 67v]. — Il beneficio nella chiesa Santa Chiara di questa città, detto «de Petrolo Cavalterca», la cui dote è di tarì 9 per un censo dovuto dagli eredi del medico Nicola Pezzapani su un palazzo in contrada Santa Marina. — Il beneficio nella cattedrale di questa città, fondato da giovanni de Urso, la cui dote è di tarì 7 e grani 10 per un censo dovuto dagli eredi di don Enrico Secusio e ora dal fidecommissario don ansaloro Scammacca. — Il beneficio nella collegiata di questa città detto «delli Stilli», la cui dote è di oncia 1 e tarì 15 per un censo su una tenuta di case in contrada Paternò San Michele di questa città dovuto da francesco vita, dal medico Costantino Saxtagati e da sua moglie. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria di Nuovaluce, detto «delli Iaconi» [fol. 68r], la cui dote è di tarì 14 e grani 10 per un censo dovuto da francesco Porco su alcune case in contrada San giovanni li barrilari. 156


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— Il beneficio nella cattedrale di questa città fondato da benvenuto Taranto, la cui dote è di tarì 7 e grani 10 per un censo dovuto da don vincenzo della valle barone di lugnio su alcune chiuse in contrada Monsalbo. — Il beneficio nella chiesa San Mauro di acicastello, la cui dote è di once 3 per un censo dovuto da vincenzo Casella su alcune piccole tenute nella stessa contrada di acicastello. — Il beneficio nella cattedrale di questa città, detto «di San basili», la cui dote è di tarì 18 per un censo dovuto dai rettori del monte di pietà di questa città su un orto in contrada delle arene. — Il beneficio o quarta parte di un beneficio nella collegiata di questa città, fondato da giovanni Porio della valle la cui dote è di tarì 7 e grani 10, dovuti da don antonino Paternò su una proprietà in contrada Nizeti [fol. 68v], che un tempo apparteneva a gerolamo Covello. — Il beneficio nella chiesa Santa Marina di questa città, su una casa che una volta era di antonio farunato, in contrada Santa Maria della Misericordia. — Il beneficio nella chiesa di San Pietro li Carri di questa città, detto «di presti giovanni Cenillo», la cui dote è di tarì 8 per un censo dovuto dal maestro gaspare Crisenso su alcune case in contrada «di lu Curru». — Il beneficio nella chiesa Sant’andrea fuori le mura di questa città, la cui dote è di tarì 5 per un censo dovuto dal canonico don giuseppe Tabuso su alcune chiuse in contrada Cugnani. — Il beneficio nella chiesa Sant’Onofrio fuori le mura di questa città, la cui dote è di tarì 6 per un censo dovuto dai rettori di detta chiesa per la sua concessione. — Il beneficio nella cattedrale di questa città, la cui dote è di tarì 4 [fol. 69r] per un censo dovuto dagli eredi di Stefano la guardia e francesco grimaldo su un palazzo nella contrada dell’ascensione. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria di Nuovaluce, detto «delli Jaconi», la cui dote è di tarì 20 per un censo dovuto dal medico vincenzo farina su alcune case in contrada porta di Mezzo. — Dallo stesso beneficio «delli Jaconi» altri tarì 5 sono dovuti da vincenzo formento su una bottega nella medesima contrada porta di Mezzo. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria dell’Itria di questa città, detto «di giacomo Capriaio», la cui dote è di tarì 15 per un censo dovuto da vincenzo Papa su una chiusa in contrada di amico. 157


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— Il beneficio nella chiesa Santa Chiara, detto «di Pietro Milano», la cui dote è di tarì 24 dovuti da vincenzo Mangalavita su alcune case nella piazza delli Carri. — Il beneficio [fol. 69v] nella chiesa Santa Maria la guardia, detto «di Monopino», la cui dote è di tarì 12 dovuti da don Stefano Strano su alcune case in contrada Consaria. — Il beneficio nella chiesa di San gregorio della terra di aci, detto «de anastasio Taranto», la cui dote è di salme 6 di mosto, per un censo dovuto dal medico Nicola Pezzapani e salme 1½ di mosto da Pasquale Seminara, tarì 9 in denaro da antonio Cripiglio da San gregorio o valverde su alcune chiuse in detta contrada e tarì 6 da don francesco Paternò. Conteggiando il mosto a tarì 15 per salma il beneficio vale oncia 1 e tarì 13.

6. alla chiesa di San filippo, oltre le dieci once della mensa vescovile, sono dovuti: — Il beneficio nella collegiata di questa città, detto «di bartolomeo di bernardo», la cui dote è di oncia 1 per un censo dovuto dagli eredi di don gaspare vintimiglia [fol. 70r] su una tenuta di case in contrada Ianese di aci. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria di questa città, la cui dote è di tarì 7 e grana 10 per un censo dovuto dal notaio vincenzo Pappalardo su un vigna in contrada atamisianu. — Il beneficio nella chiesa Santa Maria della Rotonda di questa città, la cui dote è di tarì 24 dovuti dai consoli Sartoni per la concessione della chiesa fatta loro dal beneficiale. — Il beneficio nella chiesa di Santa Maria della Rotonda di questa città, la cui dote è di tarì 12 per un censo dovuto dagli eredi di don Ugo Tudisco su una chiusa in contrada fasano. — Il beneficio nella chiesa predetta Santa Maria della Rotonda di questa città, la cui dote è di tarì 12 per un censo dovuto da vincenzo Sapuppo da Catania [fol. 70v] su una chiusa in contrada fasano. — Il beneficio nella chiesa predetta Santa Maria della Rotonda la cui dote è di tarì 7 e grani 10, dovuti da don Pietro Russo da valverde su una chiusa in detta contrada. — Il beneficio nella chiesa predetta Santa Maria della Rotonda, la cui dote è di oncia 1 e tarì 6 dovuti da Pietro ansalace sul giardino detto «dello Surdo». 158


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— Il beneficio nella collegiata di questa città, detto «di Santa Clara la vetera», la cui dote è di tarì 24 per un censo dovuto da angelo de hippolito e ora dai minoriti di questa città, su una tenuta di case in contrada posterna di San Michele. — lo stesso vale per il sopraddetto beneficio circa la somma di tarì 6 dovuti dal notaio Natale de Mauro sulle sue case. — Il beneficio [fol. 71r] nella chiesa della Rotonda di questa città, la cui dote è di salme 8,2 di orzo dovute dalla baronessa donna Eleonora leto su una proprietà in contrada acicastello, il cui importo è di tarì 8,2. — Il beneficio nella chiesa madre di Paternò, fondato da giovanna Maria, la cui dote è di tarì 9 dovuti da Pia atinga su una proprietà in contrada baglio. — Il legato nella predetta chiesa madre di Paternò, fondato da Pietro Caronini, la cui dote è di tarì 17 per un censo dovuto dagli eredi del dottore giuseppe Zambataro su alcune case. — Il beneficio nella chiesa {…}, detto «di Raimondo Ramondetta», la cui dote è di tarì 12 dovuti da Raffaele Casses su un trappeto nella città di Paternò. — Il beneficio nella chiesa {…}, detto «di Silvio finia», la cui dote è di once 2 e tarì 3 [fol. 71v] dovute dal dottore vitale Tornaturi sulla chiusa grande in contrada Paternò. — altre once 2 e tarì 3 per il beneficio detto «di Silvio finia», dovute da Margherita Castiglia sulla metà di detta chiusa grande. — Tarì 8 dovuti dal dottor bonifacio e alfio Rosso sulle loro case nella città di Paternò. — Tarì 12 dovuti dagli eredi di Sebastiano e farida Tarquinio della città di adrano sulle loro chiuse in contrada «di Chiuppano». — Tarì 6 dovuti dagli eredi di giuseppe guanera sulle loro case nella città di Paternò. — Tarì 15 dovuti da gerolamo farinato della città di adernò su alcune botteghe nella pubblica piazza della stessa città. — Tarì 15 per un censo dovuto da antonino hortolano [fol. 72r] della città di adernò sui suoi beni. — Oncia 1 e tarì 9 dovuti da vincenzo Calabrella della città di adernò su due botteghe. — Tarì 4 dovuti da francesco Romeo su alcune case. — Tarì 13 dovuti dagli eredi di filippo fallino della città di adernò sulle loro case nel quartiere San Nicola. 159


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— Tarì 8 dovuti dagli eredi di angelo Pignataro sulle loro case in detta città di adernò. Questi provvedimenti sulle chiese sacramentali vogliono essere il coronamento degli editti sull’amministrazione di alcuni sacramenti. Nel presente decreto non abbiamo fatto menzione della cattedrale, perché ai quattro cappellani ad essa destinati hanno già provveduto i nostri predecessori: [fol. 72v] vedi i decreti di Torres e Massimo emanati nel corso delle loro visite. In questo momento li confermiamo, fino a quando non si presenteranno le circostanze favorevoli per riesaminare meglio il problema. l’unione dei benefici sopraindicati è perpetua ed è finalizzata all’amministrazione dei sacramenti. la chiesa e il sacerdote ne beneficeranno nella misura in cui di fatto si esercita questo ministero; se esso dovesse venir meno in tutto o in parte, cesserà anche l’unione e i benefici saranno trasferiti a discrezione nostra e dei nostri successori ad altra chiesa e ad altro sacerdote. vogliamo, inoltre, che quest’unione di benefici alle singole chiese con l’applicazione e la distribuzione delle rendite, sia fatta con tutte le solennità, le condizioni e gli obblighi previsti dalla legge, secondo quanto è stato scritto esplicitamente o implicitamente, direttamente o indirettamente nel decreto della visita. Ordiniamo [fol. 73r] a tutti i nostri officiali e sudditi della città e diocesi, in virtù di santa obbedienza e sotto pena di scomunica, che diano il possesso di questi benefici ai cappellani delle sopraindicate chiese sacramentali o ai loro procuratori e che difendano i loro diritti e le loro pertinenze, allontanando se è necessario ogni altro detentore. In fede di ciò abbiamo comandato di redigere questo decreto e di trascriverlo agli atti della nostra curia. Poiché il nostro ministero episcopale ci obbligava a cercare il rimedio più opportuno a questi ed altri mali, avevamo pensato di interrompere la visita; tuttavia motivi gravissimi ci hanno spinti a non abbandonare il lavoro iniziato. Il lungo periodo di sede vacante aveva provocato gravi danni nella vita e nel comportamento del clero; il rinvio della visita avrebbe aggravato ulteriormente la situazione. Pertanto abbiamo deciso di continuare la visita nei centri della diocesi, iniziando dalla città di aci, come il tessitore che annoda i diversi fili dell’ordito [fol. 73v]. II

–vISITa DEI DIvERSI CENTRI DElla DIOCESI

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Nella città di aci tutto si disperde invece di riunirsi, come nella


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penombra di un bosco; infatti la città potrebbe essere considerata fra le più grandi della Sicilia se le diverse frazioni fossero riunite; ma pur essendo una nei pubblici ufficiali, nelle leggi e nelle istituzioni, tuttavia si frantuma in circa venti frazioni poste fra loro a breve distanza. Questa terra divisa in parti e regioni di cui la prima è la città abbastanza grande con le case ben disposte, oggi chiamata «aquilia», nome storpiato dall’originale acilio; è come se all’antica e grande città di aci fossero nate delle piccole città come figlie, perciò si spiega il nome acilio da aci; cioè piccola aci. Ma quando questo nome fu dato anche alle frazioni, la città da acilia fu storpiata in aquilia, e si diede agli scrittori la possibilità di dare diverse spiegazioni. la seconda regione comprende diverse frazioni: San filippo di Carcina, da cui essa stessa prese il nome, Santa Maria della Consolazione, Santa Maria della Catena, San giacomo, Santa lucia, Patanè, Castello, chiamate anche sobborghi di aci. la terza regione è costituita dai villaggi: Sant’antonio, valverde, San Nicola, Maugeri, Punta, San gregorio, bonaccorsi, viagrande, anche se questi ultimi in parte sorgono sul territorio di Catania [fol. 74r]. Di questi villaggi i più importanti sono 3: valverde, Santa venera nel territorio di Patané; il terzo è poco distante dal promontorio di aci verso Catania: un piccolo centro, abitato da poche persone, circondato da mura in rovina per l’antichità; queste mura dalla parte del mare si congiungono ad un meraviglioso castello costruito su un altissimo scoglio, che si erge come una gemma incastonata su un anello. lo scoglio, scosceso da tutti i lati, non ha alcun accesso naturale; l’ingresso è possibile attraverso i ponti. Il castello deve essere considerato inaccessibile soprattutto dal mare, sia per la sua posizione naturale, sia per le opere di fortificazione fatte dall’uomo; infatti lo scoglio è alto e scosceso. Sull’antichità di questo castello si raccontano tante favole; risulta che la sua prima costruzione sia stata ordinata in epoca successiva a quella del Conte Ruggero. Nello spazio di un mese, dopo aver visitato la città di aci, dal suo territorio siamo passati al confinante territorio di Catania attraverso bonaccorsi e viagrande, sui quali, come si è detto, per metà hanno diritto i catanesi. Il nome di viagrande non deriva dalla grandezza del villaggio, che è molto piccolo, ma dal numero dei viandanti che lo attraversano per andare dal mare alla città di Messina [fol. 74v] e all’interno della Sicilia. Pernottammo a Trecastagni, un villaggio alla porte di Catania di media grandezza, posto sulla collina, dall’accesso impervio e difficoltoso. 161


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Il suo clima per la vicinanza dell’Etna è freddo d’inverno e temperato d’estate, così che molti nobili catanesi vi si sono costruite ville e case di villeggiatura, dove trovano rifugio durante le calure estive, fino al periodo della vendemmia. la nostra permanenza fu contrassegnata da due circostanze sfavorevoli: il maltempo e l’alloggio riservatoci. Infatti per tre giorni siamo stati quasi costretti a rimanere chiusi in casa per la pioggia; ma gli impegni ci obbligavano ad uscire. la casa in cui ci avevano alloggiato aveva un tetto così malandato, da sembrare una grotta e così tarlato, che faceva entrare l’acqua da ogni parte. le finestre facevano passare un freddo intenso ed erano così basse, che chiunque avrebbe potuto forzarle ed entrare, così cadenti, che facilmente si poteva scorgere da fuori quel che si faceva dentro e percepire i nostri discorsi. Ci è stato detto che era stata costruita dai nostri predecessori, allo scopo di accogliere i prelati; ma non è comoda né d’inverno né d’estate. vi sostammo per tre giorni; partivamo per raggiungere i vicini villaggi di San gregorio, Trappeto, Sant’agata alle sciare3, Tremestieri, Punta, e facevamo ritorno a Trecastagni [fol. 75r]. Da questo villaggio ci dirigemmo a Pedara; da ogni lato si sentiva il profumo di alberi diversi e per quanto il terreno fosse scosceso, tuttavia ci spingeva il desiderio di vedere. Pedara è un villaggio vicino Trecastagni, ad occidente; non so se il suo nome deriva dalle pietre (da lapides, lapidaria) o dalla sua posizione ai piedi della montagna, da cui facilmente il piede può muoversi comodamente per andare a prendere le nevi o a vedere il cratere. Il suo territorio coltivato a castagni, sorbi, nespoli, ciliegi, viti, è adornato da una chiesa elegante e ben costruita; l’abbiamo visitata di passaggio per riprendere subito il cammino. Infatti il nostro prossimo alloggio era stato fissato vicino a Malpasso e dovevamo incamminarci anche verso Nicolosi e Mompileri. la strada era così scoscesa e arida che a stento si riusciva a trovare il passaggio. Dall’una e dall’altra parte avevano invaso i campi pietre di sciara enormi, dal colore terreo e ferrigno, poste l’una sull’altra quasi a formare una volta, sì da suggerire immagini infernali. avevano distrutto ogni filo d’erba ; non si vedevano animali domestici o selvatici; in quel tratto non si vedevano volare neppure gli uccelli; da ogni lato solo orrida

3 Il paese indicato nel documento come Sant’agata «alle sciare» è lo stesso che dal secolo xIx fu chiamato Sant’agata li battiati. Sulla sua origine e il suo ordinamento vedi a. lONghITaNO, Sant’Agata li Battiati, cit.

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sciara eruttata dall’officina vulcanica, che i poeti ritenevano si trovasse dentro l’Etna4 [fol. 75v]. Mentre guardavamo tremando questo terribile spettacolo e cercavamo di affrettare il passo, il cielo si oscurò di nubi e venne giù una pioggia abbondante. Quando cessò il temporale, visitammo Nicolosi e Mompileri; infine stanchi per i disagi, bagnati per la pioggia, giungemmo verso sera a Malpasso. Malpasso è un paese che si estende su un piano, un tempo pericoloso per i viandanti a causa dei frequenti delitti, e questo spiega il suo nome. Col tempo l’accresciuto numero degli abitanti e la fertilità del suolo coltivato con impegno, fece scomparire i briganti, ma non il nome. Per noi fu veramente un mal passo: infatti fummo accolti in una casa angusta e sconnessa, chiusa con tavole invece di mattoni e gesso, in compagnia del freddo e della pioggia. le tavole, poi, erano così continenti e pudiche che non osavano toccarsi; pertanto lasciavano passare con molta accondiscendenza l’acqua e la polvere sugli abitanti; anche il tetto quanto a liberalità non era da meno: aspergeva il nostro stesso letto con copiose gocce d’acqua [fol. 76r], accolte pazientemente da noi come un dono del luogo e del cielo. Chi avrebbe potuto sopportare la villania del vicario di quel villaggio? Nessuno lo crederebbe, ma ci venne a mancare la carità di un poco d’acqua. fu chiesto al vicario dove fosse possibile trovarla; ed egli ci rispose che il più vicino rifornimento distava dal nostro alloggio circa tremila passi. Irritati per quella risposta i servi incominciarono a mormorare; ma egli impassibile, dopo aver suggerito loro di chiedere l’acqua al vicino convento dei carmelitani, sparì. Quei religiosi, scusandosi con eccessivo scrupolo per la mancanza d’acqua, ce ne rifiutarono categoricamente perfino una goccia, con il pretesto di esserne privi. Pertanto fummo costretti a bere l’acqua a pagamento, secondo il detto di geremia {cfr lam 5, 4}. Infatti avevamo dato ordine all’economo di non pesare sul clero e sulla chiesa per la spesa, ma di servirsi per gli acquisti solo del diligente aiuto dei vicari. fu necessario sollecitare con rimproveri e grida quel vicario, perché si preoccupasse di procurarci pane e companatico. Da Malpasso ci dirigemmo verso Misterbianco e lungo il cammino visitammo i due villaggi di Camporotondo e San Pietro [fol. 76v].

4 la descrizione del branciforte sembra rifarsi ad una recente colata lavica. Probabilmente doveva trattarsi dell’eruzione del 1537, che toccò il territorio di Nicolosi e di Mompileri (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 389).

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Camporotondo è diviso in due parti da una lunga strada e solo metà dei suoi cittadini è soggetta al dominio del principe di Paternò. Nella parte soggetta alla giurisdizione dei catanesi, si dà una facile occasione di delinquere impunemente, con l’offrire asilo ai malfattori, e con la continua interferenza nella giurisdizione dell’altro signore si finisce con il frodare le leggi. la chiesa sorge nel territorio di Catania e ad essa si recano l’una e l’altra parte degli abitanti per ricevere i sacramenti. Da questo villaggio ci recammo nell’altro e, completata la visita, al tramonto del sole giungemmo a Misterbianco. In questo villaggio, diversamente da come ci avevano trattati prima, siamo stati accolti con il sorprendente plauso di tutti. gli abitanti, infatti, proprio perché vicini a Catania, avevano contratto amicizia con nobili famiglie della città, e per i rapporti commerciali con i catanesi, avevano un comportamento civile e garbato. la chiesa principale era così bene addobbata ed elegantemente ornata, che avremmo potuto augurarci di trovarla nel centro della città di Catania. Ma su questo argomento parleremo nella seconda parte di questa relazione. Da Misterbianco bisognava andare a Paternò per la strada di Motta. la via era pianeggiante, accessibile, senza asperità di sassi e di sciare [fol. 77r]. Motta è un castello di pochi abitanti posto su un’altura e per distinguerlo da altri che portano lo stesso nome (esistono, infatti, in Sicilia altri paesi che si chiamano Motta) è chiamato «Motta Sant’anastasia». Sorge non lontano dall’Etna, a mezzogiorno, verso Paternò. Il borgo una volta occupava la cima del colle; infatti sono ancora visibili le mura, o meglio i resti delle mura, che lo cingevano. Oggi gran parte delle abitazioni sono costruite sul declivio e alle falde; là dove vive la maggior parte degli abitanti si trova la piazza con gli edifici pubblici e commerciali. Sulla cima sono visibili la chiesa madre, il monastero femminile, altri istituti religiosi ed alcune case private disabitate; alcune sono diroccate, altre minacciano rovina; ma nessuno provvede a restaurarle. Il castello, costruito al tempo del Conte Ruggero, val la pena di essere visitato per la non comune struttura e per le ampie stanze. Dalla parte di ponente la città ha una bellissima vista sui campi sottostanti, là dove il Simeto, scendendo dai monti, divide la pianura con le sue anse, ricco di molti pesci: anguille, cefali, muggini [fol. 77v]. la pianura, specialmente dalla parte del fiume, o per l’erba verdeggiante e rigogliosa o per le messi lussureggianti o per gli orti di verdure, ha una disposizione tale da offrire allo sguardo una splendida visione che dà 164


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sollievo agli occhi e allo spirito. Dalla parte di levante, continua con la vista del fiume e del mare. a mezzogiorno si scorgono i monti non impervi e incolti per l’altezza, ma idonei alla cultura. a tramontana sovrasta l’Etna sempre piena di neve o di fuoco, mai priva di fumo. fra il monte e Paternò sorgeva Inessa, nome non oscuro di città, oggi chiamata «Civita»; quantunque altri ritengano che si tratti di hybla maior, sepolta dalla lava dell’Etna; ipotesi che non è suffragata da alcuna prova. C’è a licodia un celebre monastero di benedettini, un tempo famoso; oggi vi abitano solo quattro monaci; gli altri con le rendite sono stati trasferiti al monastero San Nicola di Catania. alcuni ritengono che ciò sia avvenuto per la noia della solitudine e il desiderio di vivere fra la gente, considerato che con i monaci delle ultime generazioni era venuto meno nell’istituto il fervore dei padri fondatori [fol. 78r]. altri, invece, pensano che la decisione sia stata provocata dalle offese dei ladri e dei briganti che infestavano quei luoghi. Presso Paternò, dal lato in cui si guarda il monte, c’è un grande oliveto che dà molto olio, ma sono degne di ammirazione le acque del suo territorio. Infatti le fonti che scaturiscono nella zona, in un primo momento hanno un sapore sgradevole e si direbbero non potabili; se le acque si fanno riposare, non cambiano sapore ma acquistano salubrità e sono ritenute ottime da bere. In questo luogo c’è una celebre fontana in cui se si immergono dei panni di lino, questi diventano neri; ma lascio ad altri il compito di raccontare queste cose. Dopo Paternò seguì biancavilla, un tempo casale di greci, da essi chiamato «Callìcari». Oggi, abbandonato questo nome e la lingua, le famiglie, ad eccezione di due, parlano il siciliano; il paese è stato infatti rifondato dai fuorusciti ivi confluiti o perché gravati da debiti o per aver commesso altri reati, a tal punto che hanno assorbito l’esiguo numero di abitanti. Da questo luogo c’incamminammo verso adernò [fol. 78v]. giunti vicini al paese, alla distanza di circa mille passi ci vennero incontro molti della nobiltà, del clero, i giurati, ed una gran folla di uomini preceduti da trombe e tamburi che manifestavano la gioia per la tanto attesa visita del vescovo. all’ingresso della città fummo accolti dallo strepitio dei mortaretti. adernò era un antichissimo e nobile paese della Sicilia che sorgeva vicino all’attuale abitato, come si deduce dai pochi ruderi che ancora esistono. Nella zona si trovano fonti d’acque perenni sfruttate, con notevole 165


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contributo del principe, per mulini, frantoi, per gli usi della città e l’erogazione degli orti. Da qui, attraversato il fiume adrano e superato il monte, giungemmo a Centuripe. Di questo villaggio non abbiamo visto nulla degno di essere ricordato, al di fuori di alcune rovine che si trovano sulla sommità del monte. È evidente che questa città non fosse da disprezzare per il sito, la grandezza del territorio e la difesa naturale; ma tutto appariva squallido e desolato. Uno dei colli, di recente, incominciò ad essere abitato da eremiti [fol. 79r]; infine con l’accordo di alcuni è stato costruito il paese, che a poco a poco s’ingrandisce con la speranza e la probabilità che siano concessi dal re sgravi fiscali. Dopo Centuripe visitammo Regalbuto, una volta borgo saraceno, come si deduce dal suo stesso nome; è popolato e ricco di frumento che ogni anno si raccoglie in gran quantità nel suo fertile territorio. abbiamo avuto la possibilità di sperimentare la generosità dell’abate garagario abitando nella sua casa, che egli mise a nostra disposizione, trasferendosi altrove e partecipando ai lauti banchetti che egli offrì non solo a noi, ma ad altri nobili che erano soliti cenare con noi, ad eccezione di tutto il nostro seguito. Da questo luogo ci avviammo verso leonforte, un paese costruito di recente dalla famiglia branciforte nei pressi dell’antica Tavi, trovantesi sotto la giurisdizione dello stesso principe branciforte. Partiti da Regalbuto seguendo la strada sulla destra del Salso, ci allontanammo dal fiume e si presentò dinanzi a noi la nobile vista della pietra di Serlone, nipote del grande Ruggero, morto gloriosamente per il proditorio agguato degli arabi al tempo in cui la Sicilia veniva liberata dalla tirannia dei saraceni, non senza la perdita di una così grande spedizione, il lutto dello zio Ruggero e di tutto l’esercito5 [fol. 79v]. giungemmo alle miniere d’argento, un luogo in cui gli agiresi raccolgono pietre adatte per accendere il fuoco, chiamate «marcasite»; dalla rupe scaturisce anche un piccolo ruscello. lasciammo sulla sinistra la città di agira e il campo, chiamato in francese «granguilla». Probabilmente in quel luogo sorgeva l’antica città o il celebre santuario di agira, ma esso ha conservato il nome gallico, a quanto dicono, a ricordo di un eccidio di francesi. finalmente entrammo nel territorio di leonforte, tutto coltivato con

5 l’episodio è narrato da g. MalaTERRa, De rebus gestis, cit., 53-54; M. aMaRI, Storia dei musulmani di Sicilia, a cura di C.a. Nallino, III, Catania 1937, 135-138.

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ogni genere di piante: vigne, mandorli… leonforte ci porta ad occidente, sulla metà di un declivio così dolce da credere di camminare in pianura. Il paese è diviso a metà da una strada larga, che raggiunge il palazzo signorile; da questo comincia l’altra parte del paese, posta su un precipizio; le case sorgono l’una sull’altra, la strada è stata aperta con il ferro, a fatica e con notevoli spese dal principe Nicola Placido e continuamente da cima a fondo è selciata, per rendere più agevole la salita [fol. 80r] alla parte superiore, e meno pericolosa la discesa alla parte inferiore. Un po’ più giù del palazzo sgorga una ricchissima polla d’acqua, che, forzata attraverso dieci canali di bronzo, si riversa in un recipiente predisposto per l’uso dei cittadini e degli animali. Da qui, attraverso gli acquedotti sotterranei, si versa come da una grande bocca in uno scifo sottostante, sul quale è stato costruito un arco rivestito di marmi da entrambi i lati, con una iscrizione da me composta in onore dell’ottimo e carissimo mio fratello. Queste acque successivamente servono a far girare nove macine, dando un grande aiuto nel periodo estivo ai paesi vicini per macinare il grano. Infatti le altre fonti che sgorgano in quei luoghi e d’inverno fanno girare facilmente le macine, d’estate si inaridiscono e muoiono. Infine queste acque, dalle valli in cui sgorgano, che si trovano di fronte, danno vita al nobilissimo fiume chiamato «Teria», oggi detto con nome arabo «Dittaino» [fol. 80v]. Come gli altri centri, anche leonforte, oltre al palazzo signorile e le fonti, ha magnifici edifici. la costruzione della chiesa principale non solo è stata già iniziata in modo egregio, ma è giunta a metà; se quest’anno il prezzo del frumento non avesse perduto valore, sarebbe stata ultimata; infatti il principe aveva destinato a questo scopo molti moggi di frumento. È stato anche costruito dalle fondamenta e portato a termine un convento dei padri cappuccini. Si può ammirare una stalla di puledri di razza ed un allevamento di capre e di cervi. Tutto questo è dovuto alla generosità e ai contributi del principe Nicola Placido, che ha costruito tutto dalle fondamenta; se io volessi enumerare, e a buon diritto, le sue benemerenze degne di ogni lode, confesso candidamente che di fronte ad un argomento così difficile mi tirerei indietro. Da leonforte salimmo verso Enna, che è la città più vicina. Il monte e l’antichissimo centro portano lo stesso nome, ed Enna è celeberrima presso gli scrittori per l’uno e l’altro; nessun monte siciliano, infatti, se si esclude l’Etna, ha una cima più alta e accessibile, in gran parte pianeggiante così da comprendere una grande città, un castello molto ampio, unito alla città [fol. 81r] e fuori dell’abitato i monasteri; in campagna ci stanno i 167


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grandi granai, le vigne e non poche tenute; e inoltre i campi comuni e i pascoli sovrabbondanti di erba quasi per tutto l’anno. Questi campi sono celebri per il ratto di Proserpina, per il verde perenne, per la bellezza dei fiori profumatissimi. la città, più che per le fortificazioni e per la posizione naturale, è inespugnabile per il valore degli abitanti. Essendo stata a lungo, più volte e in diversi periodi cinta d’assedio, mai fu conquistata se non per le discordie interne dei cittadini, per il tradimento dei custodi o per la mancanza di cibo. Infatti quel monte ha solo tre accessi, così stretti da consentire solo il passaggio di poche persone; essi possono essere chiusi o distrutti così facilmente [fol. 81v] da eliminare in meno di un’ora ogni accesso alla città. Sia a questa sia ai suoi abitanti non manca la nobiltà: infatti molte famiglie illustri per l’antichità del nome e del sangue ostentano fino ad oggi la dignità del proprio casato con un tenore elevato di vita e con l’abilità negli affari. la città ha superbi edifici sia sacri sia privati; i cittadini per la sicurezza della città o per il clima salubre hanno un animo nobile e avido di libertà. le comuni abitazioni sono costruite non con la calce ma con il gesso, in modo che siano meno esposte alla pioggia e alle minacce, com’è facile riscontrare in quasi tutti i luoghi mediterranei della Sicilia. Nessuno può credere quanta folla ci abbia accolto ad Enna; non solo il clero, ma quasi tutta la nobiltà, con il senato, il prefetto della città, a cavallo, sparsi fuori della città ci salutarono con tanta esultanza [fol. 82r]; ci accolsero manifestando tanti gesti di benevolenza che a stento da tutti, noi e loro, si trattenevano le lacrime. Dicevano di sperare con la venuta del nuovo vescovo in tempi migliori e tranquilli, dopo le tempeste durate per tanti anni6; il suo nome era già famoso non solo per la carità dei suoi avi o per la sua generosità, ma anche per la rettitudine, per l’umanità e per la mancanza di avidità nel possedere; le sue eccezionali virtù lo avevano reso celebre fra i grandi uomini sì da annoverarlo già fra i vescovi più integri e più santi. accettavamo tutti questi discorsi malvolentieri in quanto elogi alla nostra persona, ma di buon grado in quanto stimoli a far sempre meglio. Siamo stati accompagnati al collegio dei gesuiti presso i quali, per la nostra grande ed antica benevolenza verso questa congregazione religiosa, avevamo preavvisato di preparare il nostro alloggio; gli stessi padri, che per

Il branciforte fa riferimento all’interdetto che il vescovo Innocenzo Massimo aveva comminato contro la città di Enna, in seguito ai disordini accaduti il 1° agosto 1627, durante la visita pastorale. vedi supra il profilo del vescovo Innocenzo Massimo e la rel. 1629, fol. 43r-v. 6

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il grande amore che nutrivano verso di noi, ritenevano un loro preciso dovere fare tutto in ossequio al presule, nonostante le difficoltà dei tempi e la ristrettezza della loro casa, ci aprirono il loro animo. Infatti essendosi ritirati [fol. 82v], loro e le loro cose, in un angolo della casa, misero a disposizione degli ospiti l’edificio, con tutto l’arredamento che non era da disprezzare: tappeti, tende, poltrone, tavoli… Per tutto il tempo in cui ci fermammo ad Enna ci fu un continuo via vai di nobili che volevano incontrarsi con i miei due fratelli che mi accompagnavano; tanto più che entrambi, don girolamo e don Michele, comandavano a nome del re, con la dignità di governatori, il primo l’isola di Malta, l’altro la provincia di Catanzaro. Entrambi a noi carissimi, la loro presenza fu per noi motivo di gioia e di riconoscenza fraterna. Infatti tutti erano pieni di ammirazione per noi fratelli, nati dagli stessi genitori, primi in Sicilia per intelligenza, per indole e per nobiltà, ancora nel fiore degli anni, che ci eravamo ritrovati insieme ad Enna. Il primo, vescovo della chiesa catanese, dotato di un ricchissimo patrimonio; il secondo, vicario generale dello stesso vescovo; il terzo cavaliere dell’ordine di gerusalemme e commendatario del noto fondo [fol. 83r] nel territorio di Mazara; comandante designato della flotta dello stesso ordine cavalleresco. Il quarto, governatore della grande provincia del Regno napoletano, nominato comandante della milizia e della flotta siciliana con un mirabile diploma del re, pieno di grandi elogi. Infine un adolescente pieno di speranze, indirizzato ad un sicuro avvenire per le sue rare virtù e i nostri insegnamenti7. Si aspettava che, quasi un coronamento, completasse il numero l’eccellentissimo principe di Scordia, uomo eminente per tutti i doni di natura, conosciuto come tale non solo dai fratelli, ma anche dagli estranei; ma non gli fu possibile essere presente per le sue occupazioni. lasciammo Enna per recarci a Calascibetta, divisa da un’altissima valle e distante circa due mila passi con delle strade impervie. la città è

7 la presenza quasi al completo dei fratelli del branciforte nella visita alla città di Enna, non era un fatto puramente coreografico; si tenga presente che il branciforte era il primo vescovo a visitare la città dopo i disordini accaduti nel 1627 e le interminabili controversie che ne erano seguite. Il fratello luigi, il 28 settembre 1648 sarà nominato vescovo di Melfi (f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., II, 17); v.M. aMICO (Catana illustrata, cit., 461) e il MaJORaNa (Francesco Branciforte, cit., 123) scrivono erroneamente vescovo di amalfi. Il più giovane dei fratelli, che nella relazione non è nominato, si chiamava Pietro ed al tempo in cui scrive il nostro vescovo aveva ventitré anni; sarebbe stato capitano di giustizia a Palermo durante i moti del 1647 (f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., II, 199; I. la lUMIa, Storie siciliane, a cura di f. giunta, Iv, Palermo 1969, 9-143).

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costruita sul declivio di un alto monte, come un teatro; guarda Enna a mezzogiorno e ponente mentre a settentrione e a levante è circondata da una corona di altissime rupi; conserva ancora il nome arabo [fol. 83v]; le case un tempo erano scavate nelle grotte e nelle rocce (alcune di esse sono ancora visibili), ma oggi tutti i cittadini vivono in abitazioni nuove. Calascibetta fu famosa al tempo del Conte Ruggero per i continui assedi, per i meriti acquistati con le fortificazioni stabilite in quei luoghi, per il tempio a San Pietro, arricchito della dignità di priorato regio. Coloro che dovevano alloggiarci da diversi giorni ci pregavano con insistenza perché ci trasferissimo da loro. le abitazioni non erano piccole, mentre molto piccolo era il loro animo; infatti, oltre alle sole abitazioni non ci offrirono nulla: niente pesce (era venerdì), niente olio, uova, verdura, pane, companatico. Saremmo andati a letto senza cena se da un vicino che stava sfornando dei pani di crusca non ne avessimo comprati alcuni, sebbene chi ci ospitava fosse un uomo che svolgeva diverse attività e possedeva in abbondanza: greggi, armenti e frumento. Ma quando l’avarizia prende possesso dell’animo umano, fa venir meno l’intelligenza e i sentimenti: a che giovano per un misero le ricchezze se non se ne serve mentre è vivo? [fol. 84r] Da qui ci incamminammo verso Piazza dopo tre giorni e partimmo nel pomeriggio, perché dovevamo assolvere alcuni impegni. la via, a causa dei monti che si susseguivano, a tratti era pianeggiante e a tratti in salita e bisognava percorrere quindicimila passi. Man mano venne meno la luce e sopraggiunse la notte e con questa una pioggia mista a vento freddo, e quantunque la luna fosse piena, non offriva alcun aiuto ai viandanti con la sua luce, essendo coperta da dense nubi. Perciò dopo due ore di notte, quando già i cittadini che ci avevano aspettato alla seconda pietra miliare, fuori della città, si erano ormai ritirati nelle loro case, stanchi e bagnati di pioggia giungemmo a Piazza. Se il vicario della città, persona nota per doni di natura e per virtù, con diversi canonici e sacerdoti in gran numero, non ci fosse venuto incontro, a tarda notte avremmo incontrato certamente notevoli difficoltà nel cammino, ignari come eravamo delle strade. Piazza fra le città della Sicilia è nobile anzitutto perché costruita in uno dei luoghi più fertili con giardini, vigne, ville, acque perenni che sgorgano all’intorno; perciò è molto popolata. Infatti, mentre nelle altre città regie per le ristrettezze dei tempi, per le tasse e per gli oneri di ogni genere i cittadini diminuiscono sempre di più a causa dell’emigrazione, a Piazza la popolazione aumenta per gli immigrati [fol. 84v], e questo non perché i cittadini paghino meno tasse al re, ma perché agli operai non viene meno 170


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il lavoro; possiedono infatti campi, vigneti e orti in cui lavorare; le messi e i frutti che raccolgono possono essere facilmente venduti a giusto prezzo. I suoi abitanti sono circa ventimila. I nobili sono numerosi e attivi, distinti per il buon comportamento e l’intelligenza; ma, quel che torna maggiormente a loro merito, sono coscienti delle loro capacità: infatti in casa e fuori si comportano con generosità e con sfarzo; le abitazioni sono rivestite e adornate di stoffe di seta, di preziosi tappeti frigi, di poltrone; ricevono cordialmente gli ospiti e gli amici. Chiunque voglia includere la città di Piazza fra le prime del Mediterraneo, certamente non si sbaglierà; infatti, per la ricchezza e l’abbondanza delle merci che arrivano ad essa, non è da meno delle città di mare. la chiesa madre è ricchissima di eredità e di legati; di recente hanno distrutto quella vecchia per edificarne una nuova; l’edificio è già costruito per metà con magnificenza e splendore d’arte. Nella chiesa madre c’è un illustre e nobile collegio di sacerdoti costituito da 4 dignità e da 40 canonici e diviso in un doppio ordine: il primo ha ottenuto dal Sommo Pontefice [fol. 85r] molti privilegi: indossa una veste di bisso, un piccolo mantello sulle spalle che chiamano «mozzetta» e la cappa, chiamata più comunemente «cappella»; il secondo ordine, detto dei secondari, per indicare il loro grado inferiore, indossa la cotta. Tutti, vestiti secondo il loro grado, vivono con i redditi della chiesa. Nella città sorgono anche molti istituti di religiosi, che in parte vivono con le loro proprietà, in parte con i tributi della città, che con generosità ne sostenta molti. Il mercato a tutte le ore è fornito di ogni genere di cibo; i negozi di tessuti mettono in mostra stoffe di diverso tipo: seta, lana… Piazza si vanta soprattutto di aver ricevuto dal Conte Ruggero, al tempo della liberazione della Sicilia dai saraceni, le molte ricchezze di cui gode. Infatti, per dimostrare la sua benevolenza verso la città nulla di meglio egli poté escogitare. Illustre, più che per le vittorie e i trionfi [fol. 85v], per la pietà, l’amore a Dio e la devozione alla beatissima vergine, possedendo da molto tempo, per averla acquistata, un’icona della Madre di Dio, che lo aveva liberato nei molti e gravi pericoli in cui si era trovato, la donò ai piazzesi perché la custodissero e la venerassero. Osservando quest’obbligo con diligenza e devozione, i piazzesi testimoniano in tutta la Sicilia la propria religiosità e la propria riconoscenza alla memoria del Conte Ruggero. Ma noi dobbiamo proseguire nel nostro cammino. Da Piazza ci incamminammo verso Pietraperzia, un paese che era soggetto all’antica e nobile famiglia dei barresi; ora, invece, sottosta’ al dominio dei branciforte, una famiglia di pari nobiltà che gode del titolo di 171


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principe. Dovendo visitare il palazzo del principe, vi si entra attraverso una pietra perforata da uno scalpello, proprio nella parte più antica, oggi quasi in rovina; questo spiega il nome di «Pietra perforata» dato al paese. Ma al posto dell’antico edificio e contiguo ad esso, in tempi diversi, ne è stato costruito un altro con strutture e ornamenti più recenti [fol. 86r]. Infatti le colonne e gli archi delle porte e delle finestre sono variamente ornate da sculture e figure di marmo, fra le quali dodici stemmi con una banda celeste, tratti da diversi luoghi. alla porta interna del palazzo c’erano alcuni stemmi di marmo con i nomi dei diversi signori del paese; oggi ne sono rimasti solo alcuni. Dai monumenti funebri di marmo o di pietra di altro genere che si trovano nella chiesa madre, è possibile constatare la magnificenza e la nobiltà dei barresi e dei branciforte e la felice posizione del luogo in cui il paese è costruito. Infatti è ricco di territorio fertile e ad occidente gode di una bellissima vista. Il fiume Salso scorre poco distante, verso mezzogiorno e scendendo da settentrione divide la Sicilia in due parti ineguali; una volta, in seguito ad una convenzione, divideva il dominio dei romani e dei cartaginesi nell’isola; era perciò a tutti noto. vicino a Pietraperzia sorge barrafranca, villaggio costruito dai barresi, come indica il suo stesso nome; oggi è sotto il dominio dei branciforte. Il suo territorio è coltivato soprattutto a frumento [fol. 86v], ma è poco popolato per l’assenza dei padroni. Dopo barrafranca visitammo un paese di recente costruzione, che porta il nome singolare di «Mirabella»; infatti cominciò ad essere costruito su un alto colle da cui si godeva un panorama ampio e bellissimo; e da ciò il nome di Mirabella; ma successivamente, a causa del clima sfavorevole, fu trasferito in pianura e, per quanto non goda più dello stesso panorama, non ha cambiato il nome. Il suo territorio è detto «imacarense» perché non lontano dal paese sorgeva l’antichissima città di Imacara, di cui oggi non restano che il nome e pochi ruderi. Da qui ci spostammo ad aidone, paese soggetto all’antichissima e illustre famiglia dei gioeni. Un po’ distante dall’abitato, a circa tre mila passi, c’è un colle più basso e più piccolo di aidone, ma con un nome forse più appariscente; oggi infatti è chiamato «Cittadella» il luogo in cui sono evidenti i ruderi di una piccola città distrutta8. Qualcuno ritiene che in quel

8 Si tratta delle rovine della città di Morgantina, fondata dai Morgeti, che conobbe il periodo di maggiore prosperità nel Iv secolo a. C., sotto il dominio di Siracusa, al tempo di agatocle e gerone II. Ribellatasi ai romani durante la seconda guerra punica, fu punita e

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luogo sorgesse Erbita, ricordata da Diodoro. Ma la superficie di cui si parla è molto piccola per contenere una città così grande. alcuni pensano di porre in quel luogo Ergento. Siamo d’accordo, invece, con chi sostiene che Cittadella fosse la città occupata dal quel popolo [fol. 87r], da Plinio chiamato degli etini o edini, che risulta nell’elenco dei paesi mediterranei della Sicilia, trasferitosi successivamente in questo luogo più alto, da cui la cittadina trasse il nome. Da aidone ci recammo a Rossomanno e poi giungemmo a valguarnera, un villaggio di recente costruzione, che ha poche abitazioni, ma cresce di giorno in giorno per le condizioni favorevoli del luogo e del terreno. Il suo nome deriva dalla famiglia valguarnera, molto nota fra le famiglie della Sicilia, sotto il cui dominio c’è il paese di assoro, che ci apprestiamo a descrivere. assoro, antichissimo e nobile paese, piccolo per grandezza e per numero di abitanti, è esposto ad occidente. Il terreno in quella regione ha varie coltivazioni, ma nella parte esposta a mezzogiorno è coltivato a frumento; in mezzo vi scorre il fiume Crista. Il paese di San filippo pose fine alla nostra visita e al nostro cammino. anticamente era chiamato «agira»; ora prende il nome dal sacerdote filippo, uomo di santa vita e famoso per i miracoli, inviato dall’apostolo Pietro a diffondere la fede in Sicilia9 [fol. 87v]; ma aggiungendo al vecchio il nuovo nome, il paese è chiamato «San filippo d’agira». ad agira c’era una volta un grandissimo tempio dedicato alle principali divinità, di cui parla più volte Diodoro; ma oggi di esso non rimane alcuna traccia; perciò non è possibile individuare neppure il luogo in cui era costruito. gli abitanti si gloriano di avere come concittadino lo storico Diodoro, di cui indicano la casa in un luogo rinomato, posto sotto il colle. Il paese si estende a mezzogiorno su un colle molto alto e isolato da ogni parte; la salita e la discesa sono ugualmente difficili. Restano i luoghi pii di Rossomanno, Scarpello e Iudica, situati su monti alti e incolti, abitati da eremiti. Costoro non vestono l’abito di un determinato ordine religioso, né sono vincolati da voti; si riuniscono in que-

decadde. Intorno al 20 a. C. Strabone poteva affermare che Morgantina non esisteva più: a. SPOSITO, Morgantina: architettura e citta ellenistiche, Palermo 1995; S. RaffIOTTa, C’era una volta Morgantina, Enna 1996. 9 Il vescovo riferisce un’antica tradizione riportata dagli storici locali. In realtà s. filippo d’agira morì nel v secolo; pertanto non poteva essere stato mandato da s. Pietro ad evangelizzare la Sicilia.

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sti luoghi dove risiedono liberamente, liberamente si rifugiano sui monti, liberamente e fino a quando vogliono abbracciano un genere di vita rustico, ma privo delle cose divine [fol. 88r]. la maggior parte di essi è venuta in questi luoghi spinta dai debiti; ognuno passa la vita a coltivare piccoli appezzamenti di terreno: infatti ad ognuno che viene si assegna un pezzo di terra e una capanna. Si coltivano la vite (se non c’è si pianta), lo zafferano e il frumento; c’è anche chi si dedica all’allevamento delle api. la situazione offre la possibilità di godere molte cose e di trascorrere la vita serenamente, e non pochi abbracciano questo stato. anche se all’inizio alcuni sono spinti da altri fini, poiché il genere di vita di questi uomini è semplice e per nulla cattivo, una volta indicata loro la via della virtù, la intraprendono e con l’aiuto del Signore la percorrono con sollecitudine, nonostante che i monti d’inverno siano molto freddi e pieni di pericoli. Tuttavia si dice che su di essi una volta sorgessero dei centri abitati e si mostrano anche i loro ruderi, soprattutto vicino a Iudica e Rossomanno. Non credo che a Scarpello sia mai sorto un centro abitato per l’eccessiva vicinanza con Iudica [fol. 88v], che può essere considerata come il cadavere di una città fino ad oggi nota, distrutta al tempo di re Ruggero, il cui ricco e vasto territorio fu concesso o venduto dallo stesso re ai gelesi del Mediterraneo, come risulta dai pubblici registri [fol. 89r-v; 90r]. III

– DaTI SUllO STaTO DEI CENTRI abITaTI DElla DIOCESI

Illustrato l’aspetto dei paesi, dei villaggi e dei luoghi della diocesi di Catania, continuiamo facendo il resoconto della visita. Eravamo giunti ad aci il 13 settembre, a notte inoltrata. al mattino seguente facemmo il nostro solenne ingresso al tempio; prima di visitare la ss. Eucaristia l’abbiamo adorata e subito dopo abbiamo pregato per i fedeli defunti, i cui corpi erano seppelliti nel tempio. Il giorno dopo abbiamo dato il sacramento della confermazione; era tanto il numero dei cresimandi, che a stento furono sufficienti tre mattinate per espletare questo ministero (nel registro risultano 2.000 cresimati). Spesso, dal pranzo fino a notte, le persone appositamente incaricate ricevevano il rendiconto degli introiti e delle spese dai registri delle chiese. Dopo aver esaminato e vagliato ogni cosa, venivano sottoposti al nostro giudizio i casi in cui si trovavano delle irregolarità per frode o per trascuratezza. a tal proposito furono presi molti provvedimenti che non riguardavano solo aci; infatti successivamente 174


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divennero decreti promulgati per tutta la diocesi, non senza grande vantaggio delle chiese [fol. 90v]. alle informazioni segrete che venivano chieste su fatti e persone di chiesa, si rispondeva dando molte notizie. facendo ricorso ai consigli e alle medicine, con l’aiuto di Dio, abbiamo constatato che il nostro ministero non fu vano. I sacerdoti e i confessori furono sottoposti ad esame sulle cerimonie richieste per celebrare la messa, sulle cognizioni necessarie per impartire l’assoluzione; per l’uno e per l’altro argomento c’erano esaminatori a sufficienza. ad aci le famiglie sono 2.932, gli abitanti 8.888. fra questi coloro che sono obbligati a fare la comunione sono oltre 4.850. I chierici sono 57, i sacerdoti 72. Di questi 20 svolgono il ministero nella chiesa madre e amministrano i sacramenti, ricevendo dalla stessa chiesa uno stipendio di 12 once. Una volta erano quindici, ma durante il periodo di sede vacante è stato aumentato il numero; perciò è diminuito lo stipendio che veniva loro distribuito. Tutti ci hanno chiesto di toglierne quattro, scegliendoli a sorte, per ripristinare la situazione precedente [fol. 91r]. Così il numero e lo stipendio dei cappellani fu ridotto, secondo la richiesta. Ma coloro che erano rimasti furono mossi a pietà per i fratelli esclusi e rivolsero un’altra preghiera: non dovevamo accusarli di leggerezza, ma lodare piuttosto il reciproco amore e la solidarietà; perciò ci chiedevano di reintegrare i quattro nel numero dei cappellani. Che fare dinanzi a queste suppliche che disprezzavano il denaro ed erano, invece, piene di amore per il prossimo? abbiamo accolto la loro richiesta ed abbiamo ordinato che tutto venisse registrato agli atti. le chiese, oltre la maggiore dedicata all’annunziata, sono 23. Di queste 2 sono sacramentali, coadiutrici della chiesa madre: Santa Caterina e San Michele; in entrambe c’è il cappellano temporaneo, incaricato a celebrare la messa e amministrare i sacramenti, che riceve dalla chiesa madre lo stipendio di 20 once. In tutte e due le chiese ogni domenica, verso sera, un numero ben determinato e non piccolo di uomini [fol. 91v] si riunisce sotto la direzione del cappellano per recitare certe preghiere. In entrambe le chiese, due ore prima del tramonto, si riunisce un gran numero di donne e con modestia, e in un giorno diverso da quello delle riunioni degli uomini, e per circa un’ora recitano preghiere e litanie. Per quanto riguarda la suppellettile e gli ornamenti, le chiese sono arredate diligentemente secondo la norma. Delle altre chiese, due si distinguono per la frequenza e altre due per l’impegno religioso. Delle prime due, una è la chiesa dei Santi apostoli Pietro e Paolo, l’altra quella di San Sebastiano. Per provvedere al necessario per il culto e per abbellire l’edificio nelle celebrazioni delle feste dei 175


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santi, nelle due chiese sono state costituite due confraternite. Quella di San Sebastiano ha come compito specifico, nelle prime domeniche di ogni mese, di portare in processione dalla chiesa madre il ss. Sacramento e di riportarlo con fanali accesi. Inoltre il venerdì, giorno che ricorda la passione del Signore, molte donne al tramonto del sole si riuniscono dinanzi a Cristo pendente dalla croce e con grande dolore pregano [fol. 92r] e partecipano alla messa; per aiutare il sacerdote a svolgere questi riti raccolgono delle offerte. Nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo vi sono molti altari, sopra i quali spesso si celebrano messe con offerte provenienti da legati. Merita di essere ricordato quel che avviene all’altare di gesù e Maria ogni giorno all’alba; i soci attratti da questi santi nomi si riuniscono sotto la presidenza del sacerdote per pregare. ho raccomandato di non collocare reliquie di santi sull’altare maggiore nel luogo in cui si suole esporre il venerabile Sacramento, per evitare il peccato dell’adorazione. le chiese che maggiormente si distinguono per l’impegno religioso, sono quelle di Santa Maria dei Miracoli e di Santa Maria di loreto. l’immagine della prima è stata trovata in un’antica parete, dipinta con venerabile forma; dopo il ritrovamento rifulge per la concessione di nuove grazie. l’altra chiesa è posta ad un miglio dalla città, è piccola ma, nota per la generosità verso chi entra, attira a sé tutto il vicinato [fol. 92v]. Nelle altre 15 chiese si celebra la messa se non ogni giorno, ad eccezione di poche, almeno di frequente. In parecchie di esse si celebra ogni giorno la messa per i defunti, in altre si riuniscono associazioni di uomini e confraternite per pregare. In tutte queste chiese, oltre ai precetti particolari, già entrati in vigore, hanno valore le altre leggi generali riportate per comodità in calce a questo documento, perché promulgate anche in altri luoghi. Inoltre nella terra di aci ci sono diverse case di religiosi: una di cappuccini, in cui stabilmente vivono 12 frati, ma a volte anche di più; una seconda, di carmelitani di stretta osservanza, accoglie 20 persone. Una terza, di s. francesco dell’osservanza, è composta di 8 padri. Nel periodo del grande digiuno si tiene il quaresimale nella chiesa madre, a San Sebastiano, a Santa Caterina, a San Michele (abbiamo già detto che queste due ultime sono sacramentali) [fol. 93r]. la maggior parte delle altre chiese delle frazioni di aci furono visitate partendo ogni giorno dalla città e facendovi ritorno la sera. — a San filippo di Carcina, che è il centro più importante della 176


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seconda regione di aci, vivono 274 famiglie; gli abitanti sono 1.400; le persone idonee a ricevere l’Eucaristia sono 700, i sacerdoti 7, i chierici 5. — a Patané vivono 360 famiglie e 1.204 abitanti; gli idonei all’Eucaristia sono 802, con 8 sacerdoti e 7 chierici. — a Santa Maria della Catena si contano: 250 famiglie, 860 abitanti, di cui 600 hanno raggiunto l’età di cibarsi dell’Eucaristia, 6 sacerdoti, 8 chierici. — a Santa Maria della Consolazione si hanno: 5 chierici minori e 3 maggiori; 147 persone idonee alla comunione, 231 abitanti, 61 famiglie [fol. 93v]. — a San giacomo: 60 famiglie con 200 abitanti, 4 sacerdoti, 1 chierico. — a Santa lucia: 8 chierici minori, 1 maggiore, oltre 730 persone idonee alla comunione, 936 abitanti, 224 famiglie. — ad aci Castello: 120 abitanti e 1 sacerdote. Mentre ci accingevamo ad amministrare la cresima nella frazione principale, dove erano convenuti molti fanciulli dalle altre, ci siamo irritati per non aver trovato tutto pronto, sebbene la nostra venuta in quel giorno fosse attesa; mancava il catino per lavare le fronti, il cotone per asciugarle, gli asciugamani e le tovaglie necessarie. Tutto ciò poteva essere anche scusato come un ritardo; ma era intollerabile la confusione sorta nel distinguere gli oli sacri. Infatti nel vasetto in cui si diceva fosse contenuto il sacro crisma [fol. 94r] si leggevano i caratteri che indicavano un altro tipo di olio. Cosa fare? Non c’era il pericolo, nel dubbio, di amministrare invalidamente il sacramento? abbiamo deciso di astenerci, soprattutto perché si trattava di una cosa così importante, e poi perché anche il vicario del luogo dubitava sul tipo di olio contenuto in ogni vasetto. Diedi ordine che gli oli venissero bruciati nel sacrario e che immediatamente ne venissero portati altri nei loro vasetti dalla cattedrale. Il vicario fu dimesso dal suo ufficio e gli fu ordinato di presentarsi dentro tre giorni a Catania. Il giorno seguente a Santa Maria della Catena impartimmo la cresima a 400 bambini e nello stesso luogo nominammo un vicario più diligente, il sac. filippo Patanè, affidando le anime alla sua cura. Indi raggiungemmo Santa Maria della Consolazione di aci. I principali precetti per le chiese dei paesi di quella zona furono lasciati in iscritto. — anzitutto a San filippo la vasca del fonte battesimale deve essere fatta di pietra ex novo, e coperta con un panno; inoltre il fonte deve essere 177


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chiuso con porte decenti e solide. all’altare maggiore, sotto il tabernacolo, la porticina che si apre per guardare dal coro nella Chiesa deve essere chiusa [fol. 94v], in modo che non possa essere più aperta. Il piccolo monumento marmoreo deve essere rimosso dall’altare del Rosario e le reliquie portate via, lasciando vuoto il sepolcro; lo stesso quadro del Rosario deve essere collocato in un luogo più elevato. — a Santa Maria della Consolazione si ordina che sopra le pissidi contenenti le sacre specie venga collocata una croce di argento e le stesse vengano sempre ricoperte da un velo bianco. — a Patanè: con il calice vecchio e inutile si faccia qualche altra cosa che possa servire alla chiesa. I messali vengano riparati al più presto. all’altare dello Spirito Santo si collochi quanto prima una sua immagine, per la cui pittura si dispone già di buona parte della spesa. — a Capomulini, nella chiesetta di Sant’anna, venga collocato un altarino marmoreo più idoneo e più ampio; infatti quello che c’è attualmente è troppo piccolo. la responsabilità è del vicario di San filippo. I precetti riguardanti le altre chiese e in gran parte anche le sopraddette, sono contenuti negli editti generali [fol. 95r]. Da questi villaggi la visita si trasferì a Sant’antonio, al cui vicario, dotto, prudente e religioso, sottostanno anche le due chiese di valverde e di bonaccorsi; pertanto daremo in una sola cifra gli abitanti dei tre villaggi. I sacerdoti che si occupano della loro cura sono 20, i chierici 25, gli abitanti 3.530, le famiglie 949. Il vescovo impose le mani per la cresima in due luoghi: Sant’antonio e valverde; in entrambi furono cresimate più di 600 persone. Nella chiesa di Sant’antonio ci sono diversi altari con le loro immagini, presso i quali si celebrano di frequente le messe con le rendite dei legati. Nel villaggio si trovano 3 chiesette per il culto delle quali sono state emanate norme particolari. a valverde nell’edicola della Santissima vergine, sita dentro il tempio, abbiamo celebrato la messa con senso di grande pietà per la santità di un luogo così celebre e per la generosità della stessa vergine; nella nostra povertà abbiamo dato delle offerte per impetrare la remissione dei peccati [fol. 95v] e per dare un segno della nostra devozione verso la Madre di Dio. abbiamo ordinato di ingrandire l’edicola secondo la forma da noi indicata e di trasferire altrove la sacrestia, che si trovava in un luogo molto scomodo. Partiti da Sant’antonio ci avviammo verso Trecastagni, visitando per strada bonaccorsi e viagrande. In entrambi i luoghi abbiamo cresimato 300 178


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persone e abbiamo dato ai vicari locali istruzioni particolari sul culto, già entrate in vigore. la visita di Trecastagni non fu infruttuosa; si rappacificarono, infatti, alcuni sacerdoti che con le reciproche discordie offendevano le loro coscienze e quelle dei fedeli. Con moderazione abbiamo fissato gli stipendi dei cappellani e abbiamo destinato all’edificazione della chiesa il denaro avanzato. Per accrescere questa somma abbiamo concesso di invitare per tre anni al quaresimale predicatori che svolgessero gratuitamente il ministero di spezzare il pane della parola di Dio. Sono state cresimate più di 400 persone. Come negli altri luoghi [fol. 96r], anche a Trecastagni l’ignoranza nel clero era grande. Si raccomandò ai sacerdoti di dedicarsi con grande impegno alla propria istruzione; otto giorni dopo il nostro rientro a Catania, avrebbero dovuto render conto dei loro progressi. Si misero in guardia i rettori delle chiese a non spendere soldi senza aver ricevuto previamente il permesso del vescovo, alla presenza e con la consapevolezza del vicario del luogo. In caso contrario avrebbero dovuto pagare di tasca propria; in tal modo si volle impedire ogni forma di frode. Da Trecastagni in un solo giorno visitammo le chiese di sei villaggi: San gregorio, Trappeto, Sant’agata alle sciare, Tremestieri, Punta, Maugeri. In tre di esse furono riuniti dagli altri luoghi 500 bambini, che abbiamo cresimato. Oltre i comuni decreti, abbiamo anche emanato precetti particolari. — a San gregorio l’altare maggiore doveva essere più largo. — a Trappeto dal vecchio turibolo d’argento molto pesante bisognava farne uno nuovo più leggero, utilizzando il metallo rimanente per far confezionare una piccola pisside per trasportare l’Eucaristia e i vasetti degli oli sacri. — a Sant’agata le reliquie dei Santi dovevano essere collocate in un luogo più comodo. — a Tremestieri [fol. 96v] dentro il tabernacolo occorreva disporre meglio l’edicola della ss. Eucaristia, in modo che il sacerdote potesse prenderla più comodamente; l’ostensorio per esporre l’Eucaristia alle pubbliche preghiere doveva essere rifatto in forma più bella. — alla Punta le elemosine dei fedeli devono essere conservate nelle cassette; quando si vogliono estrarre si devono osservare le norme comuni emanate in proposito. Tutti questi villaggi contano 847 famiglie, 3.174 abitanti, 12 sacerdoti. Da Trecastagni raggiungemmo Pedara, nel cui bel tempio dal cam179


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panile elegante esercitano il ministero 6 sacerdoti, ai quali fu ingiunto, sotto determinate pene, di curare il canto sacro. assieme ai fedeli di Trecastagni hanno ricevuto la cresima 300 persone. le famiglie qui sono 330 con 1.300 abitanti. Nicolosi conta 200 famiglie e 980 abitanti; dei quali furono cresimati molti [fol. 97r]; ai sacerdoti in numero di 3 fu ordinato di conservare l’Eucaristia in un luogo più opportuno, trasferendola dal posto troppo alto in cui si trovava. Mompileri conta 168 abitanti e 80 famiglie. Nella chiesa si trovano statue antiche di marmo scolpite con splendida arte e con fede; esse raffigurano la vergine Madre con il figlio in braccio; la stessa mentre genuflessa riceve l’annunzio dell’angelo, esprimendo grande modestia e pietà; poco più distante l’angelo un po’ inclinato pronunzia le parole con cui riferisce il messaggio e preannunzia la salvezza dal cielo. anche qui molti furono i cresimati. Segue Malpasso che conta 260 famiglie, 1.400 abitanti, 900 idonei alla comunione, 3 sacerdoti, 14 chierici. Sono 2 le famiglie religiose: i carmelitani, con 6 membri, vivono in un casa angusta ma comoda; l’altra casa religiosa è dei francescani di stretta osservanza; hanno una chiesa e una sacrestia più comoda, ma per la povertà del paese pensano di andar via molto presto [fol. 97v], a meno che i signori del luogo, che li hanno chiamati, non li sostengano con generosità. Nella chiesa madre mancavano molte cose che sono state procurate. furono cresimati 300 bambini. la chiesa dei carmelitani è soggetta alla visita dell’ordinario, perché di proprietà di una confraternita di laici, che continuano a riunirsi in essa pur avendola concessa in uso ai religiosi. Dalla visita è risultata mancante di tante cose. Da Malpasso siamo andati successivamente a Comporotondo e San Pietro. In tutti e due i luoghi abbiamo imposto le mani a 300 persone. Camporotondo conta 460 famiglie e 1.700 abitanti; San Pietro 300 famiglie e 1.276 abitanti. Per lo stato delle loro chiese bastano gli editti generali riportati altrove. Dopo partimmo per Misterbianco e ci fermammo in quel posto quattro giorni. Su questo paese abbiamo già detto abbastanza nella prima parte di questa relazione [fol. 98r]. fu cresimato un gran numero di adolescenti. Svolgono il loro ministero 20 sacerdoti, visitati e istruiti uno per uno; i confessori furono sottoposti all’esame di idoneità; diversi furono approvati, alcuni per la loro incapacità furono respinti. Il paese, oltre la chiesa madre sacramentale, ha 2 altre chiese; la seconda è stata costruita di recente, ma 180


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per la diligenza dei fedeli che la frequentano è fornita di tutto. Si contano 4.000 abitanti e 1.080 famiglie. Da questo paese visitammo di passaggio i seguenti villaggi: San giovanni galermo, Plache, Mascalucia che insieme hanno 753 famiglie, 4.800 abitanti, 13 sacerdoti, 27 chierici. a Mascalucia la chiesa era tenuta con molta negligenza; non c’era un luogo dove il sacerdote potesse indossare i paramenti sacri per celebrare la messa. Poteva essere utile allo scopo un’edicola unita alla chiesa madre. Se ne ottenne l’uso con il consenso dei confrati che ne avevano cura e con la garanzia di un pubblico atto munito di pene [fol. 98v]. la chiesa delle Plache era curata con maggior impegno e decoro e i sacerdoti erano più preparati nel loro ministero. fu ordinato di costruire la vasca del fonte battesimale in marmo o in pietra e di non spendere soldi per le celebrazioni delle feste fino a quando non fosse stata completata la suppellettile necessaria. la chiesa di San giovanni galermo è povera e per l’esiguità delle rendite non è ben mantenuta. Si ordinò di far dipingere su tela o su legno l’immagine per l’altare maggiore, perché quella che c’è sulla parete non è decorosa. In tutti questi luoghi si amministrò la cresima a più di 500 persone. a Motta la chiesa dedicata a Sant’anastasia conserva le insigni reliquie del suo corpo. Ricevettero il sacramento della cresima anche molti adulti. I sacerdoti che svolgono in essa il ministero sono 3, i chierici 6, gli abitanti 548, le famiglie 150. Da Motta raggiungemmo Paternò, un paese popoloso [fol. 99r] con un numero elevato di sacerdoti e di ordini religiosi, in rapporto alla parvità del luogo. Infatti i sacerdoti sono 30, le case religiose 5, non tenendo conto di un convento di monache. le chiese, escluse la matrice e quelle dei religiosi, sono 16, le confraternite di uomini 8. la chiesa madre è grandiosa, ma la sacrestia è molto scomoda e male arredata per la trascuratezza e l’indifferenza dei custodi; tuttavia, stimolati dai nostri precetti, si spera che in futuro abbiano una maggiore sollecitudine. Il numero dei bambini cresimati fu elevato. abbiamo faticato un poco nel visitare il monastero femminile e nel provvedere alle sue necessità. Nella chiesa la piccola finestra attraverso la quale veniva fatta alle monache la comunione era così bassa da obbligare il sacerdote a mettersi in ginocchio. la stessa finestra serviva per le confessioni delle monache. Si eliminò questo inconveniente ordinando di aprire due finestre più alte, alle quali dall’interno si accedeva con dei gradini; dal181


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l’esterno il sacerdote poteva confessare e fare la comunione comodamente [fol. 99v]. Entrammo nel monastero in compagnia del vicario generale e di tre sacerdoti di età matura e con animo paterno ci compenetrammo delle angustie di quella famiglia. Infatti il monastero dal lato di ponente gode di un’ottima vista, ma è esposto ai venti umidi e insalubri che soffiano dalla valle sottostante e dal fiume. In queste condizioni le monache sono malaticce e pallide. Se si tiene conto che hanno a stento di che vivere e sono alloggiate in dormitori, sale e parlatori molto stretti, queste donne sono degne di ogni elogio; infatti, nonostante tutto, tengono molto alla disciplina religiosa e hanno tutto in comune. In passato si era spesso parlato, da parte dei vescovi e dei nobili, di trasferire il monastero in un altro luogo più salubre; ma le monache, la vetustà del monastero, le ingenti spese occorrenti non solo non consentivano di chiedere le necessarie autorizzazioni, ma neppure di pensare ad una simile soluzione. Ci venne in mente un’idea utile e opportuna. Era stata iniziata la costruzione di un altro monastero femminile, [fol. 100r] in seguito ad una certa disposizione testamentaria. Invece di stabilire che le monache dei due monasteri si riunissero in quello di San benedetto, ritenemmo più giusto e più facile che man mano le novizie entrassero in questo istituto. Infatti, se le monache che osservano la regola più antica venissero costrette a lasciare il proprio monastero per trasferirsi in un altro, si avrebbe un grave danno. Se si attuasse la mia proposta, la regola e la vita comune, invece di essere ignorate sarebbero osservate e la buona fama del monastero aumenterebbe assieme agli introiti, alla salute e alla santità. feci questo discorso prima con le monache e poi, con prudenza, ne parlai con i giurati della città e con parecchi altri nobili; con parere unanime mi lodarono: «Mi assumo l’impegno di trattare il problema col Santo Padre e di superare con la mia capacità ogni ostacolo. Ma è giusto che voi peroriate con zelo la causa delle vostre figlie e della città presso l’eccellentissimo principe di questa terra». Promisero che avrebbero agito in tal senso e se ne andarono. aspettiamo la loro risposta perché si realizzi un così necessario trasferimento [fol. 100v]. Intanto non ci sottraemmo al nostro dovere e notando che alcune finestre della parte esterna del monastero non erano ad una giusta altezza, abbiamo ordinato che venissero chiuse con grate molto strette o che venissero scavate all’esterno delle fosse per impedire l’accesso. abbiamo anche ordinato di rimuovere alcune grate di legno troppo aperte e tarlate e di sosti182


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tuirle al più presto con doppie grate di ferro. altri decreti su questo argomento si possono trovare fra le norme comuni. Tutta la città di Paternò, commossa dalla diligenza con cui era stata fatta la visita, non si poteva frenare dall’accorrere ogni giorno incontro a noi ringraziandoci. Tutto il clero, poi, non si è allontanato dalla presenza del suo pastore, sentendosi legato da strettissimi vincoli di amore per lui. Nella chiesa principale 20 canonici, ornati dei loro abiti corali, esercitano i divini uffici nelle domeniche e nei giorni di festa, ma alla cura delle anime in particolare sono destinati 2 sacerdoti detti curati o cappellani [fol. 101r]; altri 2 come custodi sono addetti alle necessità del tempio. ai canonici sono date ogni anno 18 once, ai curati 10, agli aggiunti 8 o poco più. Questa somma si raccoglie dal frumento dovuto da alcuni contadini, dai censi e da determinate imposte. Inoltre i proventi delle primizie e delle esequie sono raccolti e distribuiti ad ognuno; quel che avanza è dato alla chiesa per le spese di culto. Dentro la chiesa madre si trovano molti altari nei quali ogni giorno o di frequente si celebrano messe da legati. abbiamo avuto cura che essi venissero eseguiti con la maggiore diligenza possibile; è stato chiesto l’elenco dei nomi delle persone per le quali si è obbligati a celebrare le messe. Come abbiamo osservato in altri luoghi, non esistono chiese o altari in cui di tanto in tanto non si celebri la messa dalle rendite di un legato, di un beneficio, da elemosina. Solo una è stata trovata nelle condizioni di essere chiusa. fra le confraternite bisogna ricordare quella del Santissimo Sacramento, i cui membri hanno come precipuo compito [fol. 101v] di accompagnare l’Eucaristia, parati a proprie spese e con dodici lampade tutte le volte che questa esce dalla chiesa madre; questo compito essi lo svolgono con diligenza. fra Paternò e adrano si interpone biancavilla, un villaggio di 500 famiglie; gli abitanti sono 3.000, i sacerdoti 4, i chierici 9. la chiesa per l’indigenza dei suoi abitanti, è povera di rendite e di suppellettili. vi si trova un’icona bizantina, dipinta a mano, non molto grande, venerata dal popolo con grande pietà, portata, come dicono, in questo luogo dai primi abitanti greci del villaggio. Dopo aver cresimato circa 200 persone ci avviammo verso adrano. ad adrano, il giorno seguente, fatto il solenne ingresso nel tempio, abbiamo cresimato quasi 400 bambini dinanzi ad una grande folla di uomini. visitammo 30 chiese, dalla maggiore fino alla più piccola, interve183


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nendo a correggere con leggi e decreti gli abusi che i sacerdoti facevano nell’esercizio del loro ministero. a diversi fu proibito di celebrare la messa, perché non avevano la minima conoscenza delle cerimonie [fol. 102r]; similmente ad altri fu ritirata la facoltà di ricevere le confessioni; tutti furono esortati a curare il canto sacro. Infine a tutti i sacerdoti riuniti furono letti gli editti comuni, perché nessuno potesse addurre come pretesto l’ignoranza delle leggi. ad adrano ci sono 2 monasteri di monache: uno soggetto ai francescani dell’osservanza, l’altro all’ordinario. In quel che concerne la clausura, con precisi decreti fu proibito che le monache uscissero spesso per parlare con uomini. Nell’altro monastero non esisteva la vita comune e sembra che gli altri prelati in precedenza avessero tentato inutilmente di introdurla. Non appena si toccò questo argomento le orecchie delle monache si chiusero del tutto, non facendo prevedere per il futuro una soluzione positiva del problema. Il cappellano e tutti coloro che conoscevano il passato, con pazienti discorsi, con consigli sul modo di spendere i redditi del monastero, con l’insinuazione di rimorsi di coscienza perché non si facessero sfuggire un’occasione così buona, con l’esposizione dei vantaggi che ne sarebbero derivati, alla fine riuscirono a piegare i loro animi e ottennero che si salvaguardasse la vita comune se non in tutto, almeno nella mensa e nella cura delle ammalate in infermeria [fol. 102v]. a questo scopo furono date loro opportune leggi, accolte volentieri. Per ovvii motivi si ebbe cura di chiudere bene le finestre; in quasi tutte quelle che davano sulla strada, si comandò di mettere una grata di ferro. le grate che davano dentro la chiesa erano vicine alla porta; dai fori aperti di esse le monache, invece di assistere alle sacre funzioni o di ascoltare le prediche (le finestre erano state aperte per questo motivo), guardavano con curiosità chi entrava e chi usciva e questo non era decoroso per delle monache. abbiamo ordinato che le grate venissero tolte da quel posto e collocate vicino all’altare maggiore, minacciando di far chiudere le vecchie grate non solo con le imposte, ma con le pietre e il cemento, se non avessero eseguito ciò entro un mese. Dentro il monastero intitolato a Santa lucia vivono 60 monache; 40 nell’altro intitolato a Santa Chiara. Inoltre nei loro conventi vivono: 20 cappuccini [fol. 103r], altrettanti francescani dell’osservanza, 8 domenicani. a Centuripe, un piccolo villaggio, visitammo la sola chiesa esistente in cui gli agostiniani scalzi amministrano i sacramenti ai centuripini; vi si tenne la cresima per i bambini. furono esaminati ed approvati per ascoltare le confessioni due padri, uno di essi fu nominato vicario del luogo. a Regalbuto vivono 1.200 famiglie, 5.500 abitanti, 3.000 obbligati 184


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al precetto della comunione; i sacerdoti sono 24 e si distinguono per i loro meriti; 20 i chierici. Nei 3 monasteri sono accolte 106 monache, i cappuccini sono 10, i domenicani 6, gli agostiniani 16. In questo paese abbiamo cresimato un gran numero di bambini. alle monache furono proibiti i frequenti colloqui con le persone esterne e fu necessario invocare l’osservanza di molte leggi, anche sulla disciplina interna. fra i sacerdoti furono estirpati molti vizi che erano cresciuti; ad altri si impedì di crescere. Dei 3 monasteri di monache uno è soggetto ai padri agostiniani [fol. 103v], e la sua disciplina lascia a desiderare: esse non hanno nulla di religioso a parte la clausura; infatti nell’abito, nel modo di vivere, nei discorsi, nella libertà dei costumi sono più vanitose di quanto non sia permesso ad una ragazza. Sarebbe meglio se tutti questi monasteri sottostessero all’autorità dell’ordinario. leonforte è un paese sorto di recente ma popoloso per la sua età; conta 180 famiglie, 2.370 abitanti, 11 sacerdoti che, aiutati dalla generosità del principe, con un congruo stipendio svolgono il ministero in diverse chiese. In una elegante residenza vivono pure 4 cappuccini e 7 padri del terz’ordine di San francesco. la chiesa madre non è stata ancora completata e i fedeli sono costretti a partecipare alla messa negli angusti locali dell’antica chiesa, ma al più presto si spera che tutto possa svolgersi con maggiore decoro. anche qui fu amministrato il sacramento della cresima con gran folla di partecipanti [fol. 104r]. ad Enna la visita fu particolarmente significativa; costò molta fatica al vescovo questa città grande, popolosa e da tempo privata della presenza del suo pastore. Infatti, per delle pubbliche ed ostinate discordie, gli abitanti si erano già allontanati dal nostro predecessore e con lettere pontificie erano stati sottratti alla sua giurisdizione; e così per quasi diciotto anni quel gregge non aveva conosciuto alcun pastore. appena lo vide arrivare non poté trattenere le lacrime e al suo ingresso nella città lo accolse con grandi acclamazioni. Siamo stati mossi a pietà nel constatare che un così gran numero di anime innocenti possa essere stato privato della direzione del pastore per colpa di pochi temerari. Si incominciò con la solenne celebrazione dei riti iniziali della visita nella chiesa madre, poi si amministrò la cresima a circa 600 persone. abbiamo compiuto il nostro dovere visitando 11 parrocchie [fol. 104v] (tante se ne contano ad Enna) e molte chiese di monache, amministrando 185


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la cresima a moltissime persone, il cui numero riteniamo sia superiore alle 5.000: infatti non è stato possibile trascrivere tutti i nomi nel registro. furono visitate tutte le chiese parrocchiali ed in esse furono eliminate molte irregolarità circa la sacra suppellettile, la distribuzione e la disposizione dei sacramenti, l’allestimento degli altari; ma poiché queste prescrizioni sono incluse negli editti comuni, evito qui di riportarle. la necessità di chiedere agli amministratori dei beni ecclesiastici il rendiconto delle spese ci creò qualche difficoltà, nella cui soluzione si manifestò la nostra diligenza, con grandi vantaggi per il patrimonio della chiesa. la difficoltà maggiore riguardava le rendite della chiesa madre, che sono abbondanti e la loro amministrazione, che spetta agli ecclesiastici e ai laici. È stato sempre motivo di discussione [fol. 105r] determinare a quale autorità spettasse il diritto di chiedere il rendiconto delle spese. Infatti se gli amministratori venivano obbligati da uno, si rivolgevano ad un altro e così potevano sottrarsi all’autorità di entrambi; intanto ad essi privatamente e impunemente provenivano non pochi guadagni. Ma il nostro impegno e la stima che tutti avevano per la nostra integrità ebbero la meglio; riunimmo le due categorie di amministratori; tutti spontaneamente si dissero disposti ad accettare il nostro volere sulla necessità del rendiconto; si chiesero e si mostrarono i registri e dopo averli esaminati attentamente, furono emanate molte prescrizioni inserite, poi, negli editti comuni, in modo da evitare che un precetto dato singolarmente a qualcuno degli amministratori potesse nuocere alla sua reputazione e che si aprisse una facile scappatoia per sfuggire al giudizio dell’ordinario. Per quanto riguarda la cura delle anime, era invalso l’uso che i curati si facessero sostituire da altri nell’amministrazione dei sacramenti [fol. 105v]; però non retribuivano i sostituti con il proprio denaro, ma con quello della chiesa; loro intanto se ne stavano in ozio a godersi liberamente i propri averi. Si ordinò che in futuro nessun sacerdote potesse sostituire il curato senza incorrere nella pena della sospensione. Ognuno, secondo l’obbligo derivante dal suo dovere e dal suo ufficio, doveva impegnarsi perché i beni ecclesiastici non venissero dissipati e il denaro della chiesa, una volta abolita questa consuetudine, non venisse speso dai curati ed impiegato, come d’abitudine, nel commercio. Da pochi anni era stato introdotto l’uso, senza alcun permesso della Santa Sede, di far cantare ogni giorno a due sacerdoti l’ufficio divino; ad essi, sempre senza il permesso della Santa Sede, veniva dato uno stipendio 186


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annuo dai beni della Chiesa con grave danno del patrimonio ecclesiastico. Dopo aver esaminato attentamente questo problema [fol. 106r], con un pubblico editto vietammo di continuare a pagare alcuna somma a questi sacerdoti per la recita dell’ufficio con danno dei diritti della chiesa, fino a quando non ci avessero dimostrato di averne acquisito il diritto con la concessione delle facoltà da parte del Sommo Pontefice. Ma è opportuno trascrivere l’editto per intero. Ottavio branciforte, ecc…

Recentemente nel corso della visita generale abbiamo udito (la notizia dopo il nostro arrivo ad Enna ci venne confermata da molti testimoni e noi stessi ne abbiamo constatato la fondatezza) che buona parte dei beni della chiesa madre della stessa città, senza alcuna legittima fondazione, privilegio o facoltà del Sommo Pontefice (come è necessario) è data da alcuni anni come stipendio, elemosina o emolumento, con l’obbligo di recitare il divino ufficio nella stessa chiesa [fol. 106v], ad alcuni sacerdoti che non hanno alcun diritto legittimo e canonico di riunirsi. Noi pertanto, affermando il diritto di richiedere per l’indennità della chiesa quel che si è perduto con questa distrazione, erogazione o distruzione del suo patrimonio e riconoscendo che con questa recita del divino ufficio non è stata recata alcuna offesa, vogliamo e comandiamo che nessuno per il futuro debba pagare la predetta somma ai suddetti sacerdoti per la recita del divino ufficio, fino a quando non sarà a noi esibito e presentato il legittimo privilegio o facoltà ottenuta regolarmente dal Sommo Pontefice. Perciò proibiamo e interdiciamo che nessuna somma di denaro venga spesa o distribuita, anche perché gli stessi decreti e costituzioni dei concili e le sanzioni dei Sommi Pontefici vietano che lo stesso vescovo possa far questo [fol. 107r]. Proibiamo e comandiamo in particolare ai rettori, amministratori e a tutti gli altri che non osino sottoscrivere un qualsiasi mandato per tale pagamento, sotto pena di once 50 da pagare congiuntamente; la stessa pena sarà inflitta al tesoriere se riceverà un tale mandato e pagherà la somma di denaro in esso indicata; tale somma, inoltre, in nessun modo deve considerarsi pagata. Qualunque somma sarà riscossa dalle contravvenzioni a questo decreto vogliamo sia devoluta in sussidio alle guerre che il Re sostiene contro gli eretici. Piazza, 1 dicembre 1638, nel corso della nostra visita generale. la chiesa madre per la cura spirituale e l’amministrazione dei sacra187


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menti dispone di 4 sacerdoti, chiamati con il nome di rettori [fol. 107v] (uno è nello stesso tempo rettore e priore) a giudizio dei quali tutto è amministrato. Questi stessi, assieme ad altri 2 laici scelti fra i maggiorenti della città, si occupano dell’amministrazione dei beni. gli amministratori affermano che non devono in alcun modo render conto delle spese e così tentano di sottrarre alla potestà dell’ordinario la cura dei beni ecclesiastici. Ma, come abbiamo già detto, ci siamo opposti a questo proposito, sia esaminando la contabilità e i registri a noi esibiti, sia con la promulgazione di editti che, però, abbiamo incluso fra quelli comuni, per non dare l’impressione di uno specifico intervento su questo problema e per non offrire il pretesto di un ricorso alla protezione del tribunale della Regia Monarchia che svuoterebbe di contenuto la nostra autorità. Tutti i sacerdoti furono chiamati singolarmente e interrogati sul loro stato e sulla loro condotta; quando si ritenne necessario furono istruiti e paternamente ammoniti, anche se destituiti dal loro ufficio per giusti motivi e colpiti con le pene dovute per i loro errori [fol. 108r]. le ammonizioni non furono fatte solo agli ecclesiastici; anche ai secolari furono spedite le prime note in cui è difficile apportare correzioni; infatti, appena costoro sentono lo stimolo della correzione del pastore, immediatamente si rivolgono al giudice della Monarchia il quale, autorizzando contro ogni norma di diritto divino e umano le cause spettanti agli ordinari, anche in primo grado, sembra concedere quasi l’impunità di peccare. Mentre scrivo queste cose mi viene in mente il caso successo di recente di don Placido lo Core, illustre per la croce di gerusalemme. Quando venimmo a conoscenza dei suoi gravi delitti, sebbene avessimo noi la competenza di intervenire, di nostra iniziativa lo avevamo rimesso agli organi del suo ordine; ma l’eminentissimo gran maestro, per l’amore che nutriva alla moralità, non lasciò impunito alcun delitto. Placido, spaventato, si rivolse al tribunale della Monarchia, il quale con il pretesto di una certa cautela, immediatamente scrisse una lettera, perché la nostra curia inviasse gli atti del processo, ritenendoli illegali [fol. 108v]. Ma ritorniamo alle chiese di Enna. al servizio della chiesa sono addetti 4 sacerdoti, dei quali uno è chiamato priore, gli altri rettori; 20 sacerdoti svolgono il ministero per turno durante la settimana; inoltre altri prestano la loro attività in altri compiti. Per la retribuzione di tutte queste persone e anche dei laici di cui la chiesa si serve, sono spese 1.903 once; il reddito globale della chiesa ogni anno è di 1.667 once. Pertanto da questa somma restano 573 once che di solito sono 188


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impiegate per la manutenzione del tempio, per la revisione dei tetti, le feste, la musica, per i sacri arredi e l’argenteria. la chiesa è intitolata alla Madonna delle grazie, quantunque le fiere che ogni anno si tengono ad Enna, con gran numero di partecipanti, abbiano luogo nella festa di s. Martino. Dentro la chiesa madre ci sono 11 altari [fol. 109r], sui quali si celebrano di frequente messe per diversi legati pii. le altre parrocchie hanno un proprio reddito, ma alquanto esiguo, per il sostentamento del parroco, dei custodi e degli altri ministri. Se si esclude una che è più ricca, tutto il reddito ammonta a 213 once. agli altari eretti in queste chiese i sacerdoti celebrano frequentemente per dei legati pii. Oltre queste, fornite di rendite, ce ne sono altre meno importanti: 24 nella città, 1 o 2 fuori. Entro queste chiese sono state erette 20 associazioni e confraternite. le famiglie dei religiosi nella città sono 8: domenicani, francescani, agostiniani, carmelitani, cappuccini, francescani dell’osservanza, minimi di s. francesco di Paola, gesuiti. I monasteri femminili sono 6, sui quali c’è qualcosa da dire [fol. 109v]. Infatti, per la lunga assenza dell’ordinario dalla visita di questa città si era avuto un rilassamento nella disciplina; le norme sulla clausura di giorno in giorno venivano ignorate e divenivano sempre più frequenti i colloqui con gli esterni; da ciò la necessità di estirpare non poche consuetudini tutt’altro che convenienti. Se non fossi intervenuto, i monasteri femminili di Enna avrebbero certamente compromesso gravemente la loro reputazione. Perciò, oltre la diligente visita dei singoli monasteri in cui ho rinsaldato le norme della clausura, proibendo i colloqui a coloro che non erano consanguinei in primo e secondo grado, ho dato norme riguardanti i criteri, i rimedi, il controllo da esercitare nei colloqui, ho ripristinato la vita comune e l’obbligo di obbedire prontamente e dovunque. Sono state emanate leggi per mantenere viva l’osservanza religiosa e per esigere il rendiconto; fu dimostrato a tutte che il peccato contro la vita comune non è provocato dalla mancanza di denaro [fol. 110r], così come pretendevano di sostenere (infatti avevano di che nutrirsi a sufficienza), ma dall’incuria e dalla negligenza, per non dire del disprezzo della disciplina. Pertanto tutte, dopo avermi ringraziato, si disposero sollecitamente a riprendere l’osservanza della vita religiosa, nella quale si impegnano fino ad oggi con grande gioia. Uno di questi monasteri è nuovo; è stato costruito da pochi anni per disposizione testamentaria di un defunto; in esso le ragazze discendenti da nobile famiglia, ma che sono in povertà, dedicano a Dio la propria vita. 189


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attualmente ve ne sono 8 e vivono con onestà e modestia, ma sono per lo più ignorate dalle persone pie. avevano inviato a Roma dal Sommo Pontefice alcune persone per ottenere la qualifica di monastero con il conseguente obbligo della clausura religiosa; ma non so per qual motivo sembrò che tutto questo non potesse essere concesso dal Sommo Pontefice e non solo non chiesero nulla, ma risposero che non potevano ottenere nulla. Sussistendo ancora le stesse cause che avevano spinto il Sommo Pontefice a non concedere il riconoscimento [fol. 110v], mentre la sede di Catania era vacante, don francesco de amico, vicario generale, con un suo decreto eresse quella casa in monastero, concesse la clausura religiosa e consentì che le monache facessero la professone dei voti solenni. Dicono che tutto questo sia stato fatto di sua iniziativa e offerto alle monache in cambio di una certa somma di denaro, che di fatto fu data; per la qual cosa pensammo di rivolgerci per consiglio al Sommo Pontefice. abbiamo voluto ricordare questo, perché fosse manifesto il danno che deriva alla chiesa, se resta priva per un lungo periodo del vescovo. ad Enna vi è anche una casa che accoglie le fanciulle orfane; attualmente ve ne sono 12 con 2 anziane direttrici e 1 inserviente; vivono comodamente con sufficienti redditi; quel che rimane, dedotte le spese annue, è dato in dote ad una delle ragazze che deve sposare; di solito sono date circa 300 once. a Calascibetta ci sono 2 chiese: Santa Maria e San Pietro, entrambe aventi attualmente il titolo di matrice; sono 12 i canonici [fol. 111r] che devono avere nell’una e nell’altra chiesa il proprio posto e il proprio coro ed amministrare i sacramenti ai fedeli. Dei redditi annui, 540 once vanno ai canonici di entrambe le chiese; 390 once per le necessità del culto, per l’addobbo, per le feste; il resto è speso per la fabbrica. la chiesa di San Pietro per suo privilegio è regia ed ha un priore regio con una rendita annua di 40 once. a Calascibetta è stato anche stabilito che un sacerdote distinto per dignità, tenesse delle lezioni di teologia morale con uno stipendio dedotto dai beni ecclesiastici. fu anche costituito un vicario diligente e attivo per la disciplina del clero. Infatti chi ricopriva questo ufficio era anziano e stanco per la malattia; difficilmente si alzava dal letto; dopo alcuni giorni dalla nostra partenza ci fu comunicato che era morto. Esistono 2 monasteri femminili; uno non era ancora ultimato e abitato, l’altro era vecchio [fol. 111v] ed in esso vivevano 38 monache, 2 coriste e 1 inserviente. Per esse, data la notevole esiguità del patrimonio, non ho potuto emanare alcuna legge per ripristinare la vita comune, lasciando 190


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tutto al buon senso delle monache e del sacerdote responsabile della curia locale. Nonostante tanta povertà c’è una grande ricchezza di virtù e desiderio di vivere bene. Oltre le chiese madri a Calascibetta si trovano: 18 chiese nelle quali spesso sono celebrate alcune messe da legati e molte da offerte raccolte una volta l’anno o più spesso; 3 conventi di religiosi: cappuccini con 12 frati, domenicani con 4, carmelitani con 5. Non c’è nessuno che si metta in evidenza. le famiglie sono 1.404 con 4.270 abitanti. furono cresimati molti bambini e in presenza del clero furono lette le leggi comuni e particolari riguardanti l’arredamento delle chiese, la correzione dei vizi [fol. 112r]. a Piazza la chiesa madre, erede dell’asse patrimoniale di Marco Trigona, possiede 1.655 once annue dall’eredità e 560 da altre fonti. In totale possiede 2.216 once. Disponendo di questi mezzi è stato possibile ricostruire con un progetto più ampio e più bello la stessa struttura della chiesa, che era vecchia e angusta (i lavori non sono stati ancora ultimati) e aumentare notevolmente il servizio pastorale. Infatti con privilegio pontificio è stato istituito un nobile collegio di 22 canonici e 4 dignità (prevosto, cantore, tesoriere, decano). ai singoli canonici sono divise come distribuzioni quotidiane 12 once; inoltre le prebende per i canonici e le dignità ammontano globalmente a 800 once. a 12 sacerdoti, che chiamano beneficiati o secondari, spettano 16 once per ognuno [fol. 112v] Oltre questi stipendi, altro denaro è pagato per gli altri ministri e officiali della chiesa, altro per l’acquisto di ciò che è necessario ai sacerdoti; molto per legati. la spesa totale è di 1.556 once; il resto va per la fabbrica. la cura delle anime spetta alle 4 dignità, che si impegnano ad amministrare i sacramenti; essi tuttavia, per evitare la fatica avevano introdotto la consuetudine di farsi sostituire da altri sacerdoti; questo abuso è stato da noi eliminato, come altrove, secondo il principio per cui chi riceve i proventi deve impegnarsi personalmente nella cura delle anime e nel lavoro. Data la grandezza della città, sono state costituite altre 6 chiese sacramentali; per ognuna di esse ho nominato 2 curati, giacché uno solo non era sufficiente per il servizio della sua parrocchia; relativamente al lavoro che svolgono è pagato un esiguo stipendio e cioè 12 once; ma è giustificato dalla povertà delle chiese. Tutti costoro sono nominati e rimossi a giudizio dell’ordinario. I beneficiati della chiesa madre sono scelti [fol. 113r]: 4 dalle dignità, altrettanti dal capitolo, il resto dai fidecommissari; tutti devono essere approvati e confermati dall’ordinario in iscritto. la nomina dei canonici con l’alternanza dei mesi, secondo l’uso, spetta parte al Romano Pontefice, parte 191


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all’ordinario. le dignità hanno diritto all’opzione fra loro; i posti vuoti sono occupati con il principio dell’alternanza, come per i canonici; solo il prevosto è nominato sempre dal Sommo Pontefice10. le chiese minori costruite per la città sono 30. Esse sono affidate in forza del beneficio, dei legati, della liberalità dei fedeli, che spesso invitano i sacerdoti alla celebrazione della messa. I monasteri femminili sono 4, ai quali furono date delle norme per mantenere la disciplina e per amministrare rettamente il patrimonio; inoltre c’è anche un orfanotrofio costruito per il testamento di Marco Trigona; al suo mantenimento provvedono i fidecommissari e gli amministratori della chiesa madre, che ogni tre anni danno il rendiconto; ad ognuno sono date 20 once [fol. 113v]. C’è pure una casa di donne e di ragazze che si sono segregate dal mondo e vivono insieme con grande edificazione della città, osservando in modo straordinario i doveri della vita religiosa. Ci auguriamo che questa casa al più presto possa essere elevata in monastero di religiose, secondo la loro insistente richiesta. le case religiose maschili sono 10: francescani con 20 frati, francescani dell’osservanza con 22; francescani riformati 28, domenicani 24, agostiniani 12, carmelitani 14, cappuccini 25, agostiniani scalzi 12, gesuiti 12, teatini 12. Si contano pure: un ospedale e 15 confraternite. Di recente si è aggiunto un monastero di benedettini in cui vivono solo tre padri, ma esso è sorto fuori posto per dei monaci; infatti si trova nella piazza, fra la confusione e i continui clamori della folla [fol. 114r]. ad aidone oggi si contano 8.000 abitanti per i quali c’è la chiesa madre intitolata a San lorenzo, con un reddito annuo di sessantacinque once, con cui provvede al sostentamento dei custodi, all’organo e alle altre necessità del culto e dell’arredamento. Responsabile è il beneficiale o parroco presentato dal signore del luogo e confermato dal vescovo, a cui, in forza di alcuni emolumenti, competono ogni anno ottanta once. Egli si sceglie altri 4 sacerdoti come coadiutori, 2 di quali esercitano la cura delle anime nella chiesa madre, gli altri 2 nell’altra chiesa sacramentale; sovente cambiano fra di loro il luogo in cui svolgono il ministero. I proventi della chiesa sono divisi in sei parti: due vanno al beneficiale, le altre ai quattro coadiutori. Nella chiesa sacramentale c’è una confraternita con il nome di Santa

10 vedi i rilievi negativi sul capitolo di Piazza nella seconda relazione ad limina dello stesso branciforte (rel. 1646, fol. 143v).

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Maria che ha un reddito annuo di 48 once; [fol. 114v] sono impiegate per la celebrazione delle messe e per predisporre il necessario per il culto. Il monastero di Santa Caterina da Siena, noto per l’osservanza e la disciplina, ha una sede adorna con quadri e con un ricco tabernacolo; in esso vivono 22 monache, 3 converse, 7 educande che danno un reddito proporzionato al loro numero. Nel paese vi sono altre 8 chiese, nelle quali si celebrano le messe. Tutte infatti ogni anno riscuotono delle somme: chi ne riceve di più chiama più spesso i sacerdoti, chi ne riceve di meno li chiama più raramente. Nella Cittadella c’è una chiesa con un beneficio che è di diritto di patronato, con un reddito di 35 once annue; se ne danno 10 al sacerdote che nelle domeniche e nelle feste vi celebra la messa. ad assoro la cura delle anime è esercitata da 5 sacerdoti che chiamano cappellani e dal vicario del luogo; a questi ne abbiamo aggiunto altri 2 per ascoltare le confessioni dei fedeli ed amministrare i sacramenti [fol. 115r]. Nell’esercizio del ministero sono aiutati da 9 sacerdoti; e tutti formano una comunìa. ad ognuno sono assegnati ogni anno per la celebrazione delle messe, oltre i proventi delle primizie, delle esequie e delle decime, 15 once dal legato di un testamento. la chiesa è dedicata a San leone, cittadino e vescovo di Catania, in essa vi sono molti altari, troppo vicini fra loro, tutti dotati di legati, che sono concessi dai fondatori e dalle famiglie. Pertanto, poiché il loro numero non può essere diminuito facilmente, fu ordinato di non celebrare le messe nello stesso tempo in altari vicini. ad assoro sorgono altre 22 chiese nelle quali, dove con maggiore e dove con minore frequenza, sono celebrate le messe da legati, da rendite o da elemosine. C’è un monastero femminile molto noto, celebre per l’esempio delle monache, provvisto di convenienti redditi per nutrire venti persone. le case religiose maschili sono 4: cappuccini, francescani riformati, agostiniani [fol. 115v], francescani del terz’ordine, con un numero conveniente di religiosi. Il paese conta 8.000 abitanti, perciò ci è sembrato che difficilmente la sola chiesa madre avrebbe potuto venire incontro alle necessità di un popolo così numeroso; dopo matura riflessione ne parlai col principe nostro parente; era nostra intenzione erigere una seconda chiesa sacramentale in cui amministrare tutti i sacramenti, non diversamente da come si amministrano nella chiesa madre; tuttavia essa doveva restare soggetta e subordinata alla chiesa madre e i suoi introiti avrebbero dovuto essere devoluti alla comunìa per essere distribuiti successivamente ai sacerdoti; 2 di essi a turno sarebbero stati incaricati per svolgere il ministero in questa chiesa sacra193


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mentale. la proposta piacque al principe e ai sacerdoti e spero che si possa realizzare. fino ad oggi non è stato possibile portarla a compimento per la povertà e la penuria dei nostri tempi. ad agira il tempio di San filippo è costruito alle falde del monte, sostenuto dalle colonne di un’antica costruzione; ad esso è annesso un grande edificio che una volta costituiva il domicilio dei benedettini [fol. 116r]; da ciò deriva oggi il nome di abbazia; i sui redditi molto elevati sono portati al Re cattolico come suo patrono. Oggi, dopo l’espulsione dei monaci ordinata dal Sommo Pontefice, sono stati chiamati 12 sacerdoti secolari, che svolgono il ministero nella chiesa con un determinato compenso; pretendono di essere esenti dalla visita dell’ordinario. ad agira si contano 3.500 famiglie e 11.790 anime. Perciò il paese è diviso in sette parrocchie indipendenti fra loro; nessuna di esse è sottomessa ad un’altra e riconosce una chiesa madre; da questo fatto derivano molti inconvenienti. anzitutto nel suono delle campane ognuna cerca di prevenire l’altra; in tal modo il suono dell’ave Maria, che di solito è suonato di sera, al tramonto del sole, è dato al clero quando è ancora giorno. anche negli altri segni c’è una grande confusione e una tenace ostinazione. Durante le processioni spesso si hanno tumulti [fol. 116v] fra coloro che occupano un posto ritenuto il primo e coloro che cercano di cacciarli. Queste scenate non succedono solamente fra i laici o fra il volgo, ma in particolare fra i nobili e i sacerdoti; e quando l’animosità contagia tutti, spesso si giunge ai diverbi, alle imprecazioni e alle offese reciproche. Il rimedio a questo morbo è sempre sembrato difficilissimo ai prelati. Per grazia di Dio ci è venuta un’idea per mettere un freno al paese malato: anzitutto disposi che i curati non dovessero svolgere il loro ministero sempre nello stesso posto e che venissero trasferiti da una chiesa all’altra; speravo in tal modo che non si sentissero legati ad un solo luogo, contro la dignità degli altri; così essi vennero subito cambiati. Inoltre ho ordinato che durante la quaresima venissero chiamati solo 2 predicatori nelle chiese principali a spese della città; il senato avrebbe dovuto recarsi in queste chiese per turno; e là dove era stato l’anno precedente non doveva recarsi l’anno successivo. Terzo: sarebbe stato compito della chiesa che fosse risultata prima [fol. 117r], dare i segni delle campane come sogliono fare le chiese madri; le altre chiese avrebbero dovuto seguirla, e furono stabilite pene per i contravventori. È impossibile dire come sia stata difficile e quanta fatica ci sia costata la visita delle chiese di agira, il cui accesso è così arduo da non con194


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sentire di giungere né a piedi né a cavallo; la discesa, poi, era quasi un precipizio, soprattutto perché ci sorprendeva la notte profonda. Per vincere il buio e raggiungere il colle a volte erano appena sufficienti le funi, per la violenza dei venti e per la neve che cadde abbondante in quei giorni; per quanto fosse difficile uscire, fu necessario superare tutti gli ostacoli e portare a termine la visita. Sono 3 i luoghi di residenza di eremiti, tutti posti sulle cime dei monti: Rossomanno, Scarpello, Iudica. Poiché questi eremiti non fanno vita comune, cercammo di convincerli ad osservarla in qualche modo, almeno quando prendevano i pasti; ma non riuscimmo a persuaderli [fol. 117v]. Tuttavia hanno stabilite le ore della notte che alcuni devono trascorrere in piedi, altri in preghiera, ritrovandosi insieme in riunione in una sala comune; in un giorno stabilito si riuniscono nella chiesa per pregare Dio. hanno un proprio superiore a cui devono chiedere il permesso per scendere dal monte, quando devono sbrigare qualche affare. Per loro abbiamo stabilito delle norme allo scopo di aiutarli a vivere bene, in pace e con amore. abbiamo anche rimosso i vecchi superiori che non piacevano e li abbiamo sostituiti con altri più diligenti [fol. 118r]. Iv

– NORME gENERalI EMaNaTE NEl CORSO DElla vISITa PaSTORalE

1) Editti comuni riguardanti il culto, le messe, gli altari, le chiese e la cura del loro patrimonio

1. Negli altari in cui mancherà una delle cose qui indicate non si potrà più celebrare la messa, se dentro un mese non si sarà provvisto opportunamente. Chi farà il contrario si ritenga sospeso. 2. la mensa dell’altare sia coperta da lapide leggera o da una tavola; non deve contenere fosse o fratture. la posizione dell’altare di marmo deve essere tale da non consentire al piano dell’altare stesso di essere troppo elevato. 3. la pietra sacra sia leggera e stabile, in modo che non costituisca un pericolo per il calice; sull’altare deve esserci il gradino di legno per sostenere la croce o il crocifisso con la sua base e due candelabri. Il gradino, poi, sia ornato da una pittura o ricoperto da una tela di lino o di seta. Inoltre vi sia la tabella per recitare il Gloria e le altre orazioni. 4. l’altare sia coperto e ornato da tre tovaglie; sotto i piedi del sacer195


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dote vi sia una pedana di legno o almeno una tavola più larga che deve essere fissata al gradino di pietra [fol. 118v] e possibilmente sia coperta da un tappeto o da un panno. 5. a lato dell’altare ci sia una piccola finestra o una mensola per posarci le ampolle di vetro; così pure vi siano dei chiodi per appendere la berretta, in modo che queste cose non creino disordine. 6. Dentro le sacrestie non siano trattati affari, né si chiacchieri a lungo o a voce alta; non è bene che siano presenti dei laici, che devono essere mandati via. Mentre si celebrano le messe nessun secolare deve mettere piede in sacrestia. vogliamo che questo sia tenuto presente dal vicario e dai custodi, in modo che i contravventori che vi entrano siano puniti anche con il carcere. 7. Nessun sacerdote si rechi dal confessore per liberarsi dei suoi peccati indossando un qualsiasi abito sacerdotale; prima si copra o almeno deponga la sopravveste e si confessi; altrimenti sia sospeso per un mese. 8. Nessun sacerdote esca dalla sacrestia prima di avere con sé tutto quel che occorre per la celebrazione [fol. 119r], perché non sia costretto ad aspettare in modo indecoroso per i riti sacri; le pene da infliggere sono lasciate al giudizio del vicario. 9. Il pavimento delle chiese sia piano e non pieno di fosse o disuguale; parimenti i loro tetti o quelli delle sacrestie o spogliatoi non facciano passare la pioggia dentro. 10. Dentro le chiese non devono essere suonati tamburi, soprattutto durante la celebrazione delle messe e dei sacri riti. Parimenti durante le celebrazioni non siano portati in chiesa cadaveri, perché il sacro edificio non si svuoti dei fedeli e si disturbi il culto. 11. Se qualcuno si rifugia nella chiesa o perché gravato di debiti o perché spinto da altro motivo, anche banale, non può essere avvicinato né dalla moglie, né da altra donna per rimanere con lui di giorno o di notte; e coloro che si rifugiano stiano attenti, occupando parte del tempio, a non impedire l’accesso delle donne alle sacre celebrazioni; in caso contrario dopo ventiquattr’ore saranno sottoposti alle pene che noi decideremo; per quanto riguarda il secondo caso di rifugiati, si osservi l’altro editto da noi promulgato [fol. 119v]. 12. Con i redditi delle chiese anzitutto si pensi a pagare: i cappellani, i curati, gli officiali che vi prestano servizio, e le cose necessarie per il culto, come l’olio, il vino, le ostie e le candele. 13. Nessuna somma di denaro, sia che provenga da un ufficio par196


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ticolare, sia che costituisca il reddito, il frutto o un’elemosina sia spesa per acquistare altri redditi senza il nostro permesso dato in iscritto, sotto pena di pagare il doppio di quel che è stato speso e dell’invalidità dell’atto. 14. Non si venda a nessuno, né si dia in comodato o in pegno alcuna suppellettile o alcun mobile della chiesa, sia per celebrare le feste sia per qualsiasi altro fine; a meno che non si tratti di piccola cosa di poco valore; per nessun motivo se si tratta di oggetti d’argento. 15. Se qualcuno degli oggetti sopra descritti è stato alienato dopo la promulgazione di questo editto, il tesoriere è obbligato a pagare di tasca propria. 16. Nessun tipo di spesa venga fatta, anche per libero mandato, senza che il tesoriere abbia indicato di suo pugno il nome della persona alla quale bisogna pagare la somma [fol. 120r]. 17. Tutte le volte che bisogna dare una somma in elemosina, si richiede l’intervento di due testimoni, scelti fra gli interessati, che sottoscrivano il mandato di spesa. 18. Nessuna chiesa o in suo nome i procuratori, i rettori, i cappellani, le abbadesse, i governatori o chiunque altro, facciano spese maggiori del reddito annuo che la stessa chiesa percepisce, sotto pena di non trascrivere la spesa nei conti del tesoriere; le abbadesse e le econome saranno anche rimosse dall’ufficio. 19. l’esperienza ci insegna che certi procuratori, rettori, cappellani e altri prendono l’occasione di girare per i luoghi sacri per promuovere cause in loro favore, recandosi a Palermo o in altre parti del regno e venendo anche nella nostra curia vescovile, quasi come difensori delle cause pie, ma in realtà per sbrigare i propri affari a danno dei beni ecclesiastici. Pertanto stabiliamo che da oggi in poi non si deve conferire a nessuno questo genere di procura senza aver ricevuto da noi il permesso scritto [fol. 120v]. 20. In forza di questo nostro editto, fin da oggi revochiamo ogni permesso di costituire procuratori dato da noi o dai nostri predecessori, vicari o visitatori durante la sede vacante. Nel caso in cui si richiede la procura useremo i necessari e gli opportuni rimedi nel concederla: e cioè la daremo solo per un giorno determinato, trascorso il quale immediatamente essa non avrà più valore. Qualsiasi superiore dei detti luoghi, chiese e monasteri, considerati insieme o singolarmente, che abbia istituito e concesso tali forme di procura, ed anche i tesorieri che danno il denaro necessario ad esercitare la procura, ogni volta che avranno disobbedito a queste nostre 197


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proibizioni dovranno pagare cinquanta once, che destiniamo fin da ora come aiuto agli eserciti con cui il Re combatte le provocazioni degli eretici. le abbadesse e le econome ipso facto devono considerarsi private [fol. 121r] ed escluse dall’ufficio di governare e dal diritto di partecipare alle elezioni con voto attivo e passivo. 21. I governatori, i rettori e i procuratori che negli ultimi dieci anni hanno ricoperto l’ufficio di governatore, rettore, procuratore, entro un mese devono fare il rendiconto di tutte le somme versate a suo tempo, in modo da verificare se il tesoriere le ha trascritte nei registri; e ciò sotto pena di pagare il doppio delle somme non trascritte; le somme versate dai contravventori saranno devolute come aiuto agli eserciti del Re. E poiché somme ingenti che i procuratori, i rettori o altre persone devono esigere come censi annuali o bollali e altre somme che rimangono presso gli stessi procuratori, rettori o altri si perdono definitivamente, dato che le chiese, i monasteri e gli altri luoghi pii ignorano che siano state riscosse, incarichiamo alcune persone, e cioè N.N. perché indaghino e cerchino le somme o i redditi annui, spettanti a chiese e monasteri [fol. 121v], che siano stati incassati dai detti procuratori. a questi ispettori assegniamo quella somma che riteniamo proporzionata alla diligenza e al lavoro svolto; concediamo inoltre e comandiamo ai medesimi di verificare i registri e le contabilità, assegnando un competente salario in once, che sarà versato dai singoli luoghi pii per la parte loro spettante, anticipatamente ogni tre mesi. 22. Ordiniamo che per ogni somma di denaro che il tesoriere o cassiere deve spendere per qualunque caso o necessità delle dette chiese, sia per salari, sia per altre cause, debba essere rilasciato il mandato o foglio firmato dal parroco o cappellano, dai procuratori o da tutti gli altri che hanno il compito di provvedere alle spese di dette chiese. Se nel mandato manca la firma di qualcuno, il tesoriere o cassiere faccia una relazione scritta esponendo i motivi che hanno spinto quella determinata persona a non firmare e indichi questi motivi nel mandato che egli dovrà scrivere. Se la persona è assente [fol. 122r], o dopo il suo ritorno metterà la firma o il tesoriere annoterà il motivo addotto per non firmare. Se tutto questo non sarà fedelmente osservato dai tesorieri o dai cassieri, la somma spesa non sarà computata nella contabilità delle chiese ed essi pagheranno di tasca propria cinquanta once per ogni annata che sia stata computata erroneamente: somma che sarà devoluta come contributo alle guerre di sua maestà. Per quanto riguarda i legati, non sia pagata alcuna somma ai cessionari o donatari dei legati medesimi; in caso contrario, chi ha pagato verserà la somma di tasca 198


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propria: è risaputo, infatti, che tali pagamenti si risolvono in un gravissimo danno dei legati. 23. le cassette delle elemosine siano chiuse almeno con due chiavi, di cui una deve essere tenuta dal vicario o dal curato e l’altra dai governatori, rettori o altro officiale, in modo che non si possano aprire senza la presenza degli uni e degli altri, sotto pena di quattro once da pagare ogni volta che saranno aperte le cassette; le somme pagate dai contravventori saranno versate in favore della stessa opera pia. 24. Ogni chiesa, associazione, monastero, confraternita [fol. 122v] o altro luogo pio abbia il suo registro in cui scrivere i nomi e i cognomi di tutti coloro che ogni anno devono qualcosa ai detti luoghi pii. Segnato a parte per prima cosa ciò che resta del denaro dovuto dall’anno corrente fino al 1638, vI indizione ultima scorsa, dopo aver segnato e aggiunto ciò che è dovuto come reddito annuale, iniziando dal 1° settembre della vII indizione, si scrivano a parte i conti propri di ogni ente e a fronte i pagamenti del medesimo; il denaro pagato sia consegnato al tesoriere o cassiere, in modo che ogni luogo pio abbia l’elenco di coloro ai quali deve chiedere i propri redditi. 25. Il tesoriere, a cui bisogna consegnare i beni e i proventi delle chiese, per quanto è possibile sia un sacerdote; se bisogna necessariamente rivolgersi ad un laico, questi non può esercitare il suo ufficio senza la nostra conferma della sua elezione. 26. I terreni, i campi, i luoghi e gli altri beni ecclesiastici che devono essere dati in locazione, possono essere concessi solo mediante pubblica asta [fol. 123r], da farsi in un giorno di festa con l’intervento del banditore. la locazione può essere assegnata dopo che il conduttore avrà pronunziato il terzo segno. Essa, dopo essere stata già notificata per tre giorni di festa, sarà promulgata nel giorno stabilito, in cui sarà data ad ognuno la facoltà di stipulare liberamente il contratto. Quando si dovrà pronunciare il terzo segno liberatorio, se i beni apparterranno ad un monastero, tutto dovrà avvenire alla presenza del visitatore, del vicario, del cappellano e del procuratore; se, invece, apparterranno ad altri enti, alla presenza dei loro officiali, rettori e procuratori ai quali spetterà annotare i loro beni. Se non saranno osservate tutte queste condizioni e se al terzo segno liberatorio non seguirà la nostra conferma, la proprietà di locazione ed il contratto dovranno essere considerati nulli, a meno che successivamente non siano stati da noi confermati gli atti della locazione o dopo otto giorni non si rin199


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novi la sostituzione e alla presenza delle stesse persone essa non venga concessa al locatore che offre di più. 27. E poiché sappiamo per esperienza che fino ad oggi i tesorieri e gli altri incaricati di esigere i redditi ecclesiastici [fol. 123v] sono stati molto negligenti nell’adempimento del loro dovere, e che per tal motivo molte somme di denaro sono andate perdute con danno delle chiese, comandiamo agli stessi tesorieri, procuratori e agli altri responsabili delle suddette chiese: per quanto riguarda il prodotto residuo o la somma intera di tutti quei redditi che restano da esigere, procurino in tre giorni di festa, al grido del banditore, di invitare qualcuno ad assumere l’impegno di esigere quei redditi residui, determinando la ricompensa col sistema della candela che si spegne: si affiderà l’incarico a chi si sarà obbligato per un prezzo inferiore. ai predetti responsabili spetta l’incarico di sollecitare l’esazione delle annualità correnti. Ciò che è stato detto in questo capitolo vale per quei casi in cui bisogna ancora esigere una grande somma residua. Se invece si tratta di una somma esigua, il vicario vigili, e a suo giudizio ogni irregolarità sarà punita. 28. Nessuna spesa o pagamento sia fatto se non per mandato sottoscritto da tutti o dalla maggior parte degli officiali, qualunque sia il loro nome, a cui spettano l’amministrazione, la distribuzione e la cura dei beni ecclesiastici, sotto pena di pagare quel che fu speso [fol. 124r]; inoltre tutto quello che è stato raccolto in denaro, frumento, vino o altro di consistente venga subito consegnato al tesoriere, né sia speso in altro modo se non osservando le suddette condizioni. I governatori o gli officiali di qualsiasi nome, gli esecutori di legati abbiano un registro in cui annotare la somma dei legati e a fronte il nome di colui o di coloro ai quali il legato sia stato affidato; questo registro deve essere custodito nell’archivio. 29. gli stessi governatori non distribuiscano i legati per celebrare le messe in determinati luoghi a sacerdoti forestieri, ma ai sacerdoti e ai curati degli stessi luoghi; i quali dovranno soddisfare il loro obbligo negli altari indicati dal testatore. 30. gli edifici di proprietà delle chiese e dei monasteri devono essere rimessi in buono stato; devono essere dati in locazione alle stesse condizioni stabilite per i terreni; in caso contrario tutto quello che il tesoriere avrà pagato non potrà essere scritto per nessun motivo fra le spese della chiesa, ed egli dovrà pagarlo di tasca propria. 31. Qualsiasi lavoro di costruzione, nei monasteri o nelle chiese, non deve essere dato in appalto [fol. 124v]; dopo la sua esecuzione sarà valu200


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tato mediante la stima di esperti, detratte dalla stima le solite parti; se dagli esperti il lavoro sarà giudicato mal eseguito, dovrà essere rifatto. 32. I monasteri e le altre chiese non devono esercitare l’agricoltura, perché i loro territori non siano coltivati a proprie spese, ma con la responsabilità di altri, perché questo per loro non è vantaggioso. Infatti, se si esclude il caso molto raro della persona esperta e fedele che vigili continuamente sui lavori, dalla coltura dei campi, delle vigne o dei terreni non si ha mai un raccolto proporzionato alle spese sostenute. 33. Sappiamo che ai monasteri e alle chiese derivano molti danni se la locazione dei feudi, dei campi o dei territori e i lavori di costruzione che bisogna fare nelle loro proprietà e nelle loro case vanno a finire nelle mani dei parenti dell’abbadessa, della priora, del cappellano, del parroco, del rettore o di altri a cui spetta l’amministrazione dei beni. Infatti, quantunque si sia soliti mettere all’asta questi lavori [fol. 125r], assegnandoli al terzo segno del banditore, com’è prescritto, tuttavia anche con questo sistema è possibile l’inganno, perché l’asta è fatta in tempi ed ore così insolite che nessuno ne è a conoscenza; in tal modo la locazione è affidata al minimo prezzo ai parenti. Da ciò deriva un altro danno: il prezzo che è stato offerto è riscosso con molto ritardo. Pertanto ordiniamo e comandiamo che in questi casi si osservi minuziosamente quanto abbiamo già detto in precedenza, in modo che le locazioni non siano ritenute libere e legittime sino a quando non saranno state confermate da noi o non sia stata ripetuta l’asta, così come si è detto. 34. Tutto quello che sarà speso per liti relative alla difesa dei luoghi pii, nel registro sia segnato a parte e firmato dal procuratore; solo a queste condizioni le spese possono essere pagate con il regolare mandato; in caso contrario saranno a carico del tesoriere. 35. Quando i luoghi pii hanno bisogno del procuratore, devono eleggere a questo ufficio solo un ecclesiastico, mediante il quale [fol. 125v] possono fare il rendiconto della loro attività. 36. le procure per riscuotere non devono essere generali, ma specifiche per una determinata somma o debito; la procura deve essere conferita ad una persona di fiducia, in grado di dar conto di quel che ha fatto [fol. 126r].

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2) norme comuni sul culto e l’amministrazione dei sacramenti

37. Il ss. Sacramento dell’altare si rinnovi ogni giorno e al massimo ogni otto giorni; le pissidi siano monde il più possibile. 38. la comunione agli ammalati si può portare solo nelle ore da noi stabilite. Queste sono la prima o la seconda dopo la levata del sole, a giudizio dei parroci; nelle altre ore solo col permesso esplicito del medico e del vicario. Prima che il sacerdote esca deve essere avvertito sul numero dei comunicandi, perché possa espletare il suo servizio in una sola volta portando ostie sufficienti. 39. Il sacerdote che deve uscire per celebrare la messa abbia sempre dentro la pisside due o tre ostie in soprannumero, perché al ritorno non porti la pisside vuota commettendo un gravissimo errore. Chi farà così resti sospeso fino a nostro giudizio. Inoltre il sacerdote porti fuori il sacramento agli ammalati solo di giorno, a meno che non si tratti di viatico [fol. 126v], e a giudizio del vicario sotto pena di sospensione. 40. Il sacerdote, uscendo a portare la comunione, deve essere coperto sulle spalle con il velo di seta bianca, deve camminare sotto l’ombrello ed essere preceduto da almeno quattro torce e sei fanali. 41. Esortiamo tutti, soprattutto gli uomini, ad accompagnare volentieri il Signore gesù Cristo che fa visita agli ammalati. 42. Dentro il tabernacolo siano conservate senza interruzione due pissidi: una portatile e l’altra a forma di teca, secondo l’uso corrente. Dentro la teca sia conservata stabilmente un’ostia grande da rinnovarsi ogni otto giorni. Il tabernacolo, poi, deve essere sempre chiuso con la chiave, sotto pena di sospensione. 43. Dinanzi alla ss. Eucaristia restino accese giorno e notte almeno tre lampade e le pissidi siano coperte da un velo bianco, come si conviene. 44. Con nostro gran dispiacere abbiamo saputo che molti fedeli, uomini e donne, sono così negligenti nel fare il proprio dovere, che non si accostano all’Eucaristia dentro il termine stabilito dalla Chiesa, per osservare il precetto di comunicarsi [fol. 127r]. Ci è stato detto che credono di far questo impunemente, perché non è stato loro possibile e che sono convinti di poter soddisfare al precetto facendo nel tempo stabilito la comunione in qualsiasi oratorio privato o chiesa di religiosi. Pertanto ordiniamo fermamente che su questo argomento si osservi con precisione quanto è stato prescritto dal Concilio di Trento (sess. xIII, cap. 8, De Eucharistia): ognuno deve fare la comunione dentro il tempo stabilito o nella chiesa 202


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madre o nella chiesa sacramentale designata per ogni quartiere e deve riceverla dai cappellani o dai loro sostituti, sotto pena di scomunica stabilita dallo stesso concilio. a questo si deve aggiungere: anche se qualcuno entro il tempo stabilito ha adempiuto il precetto, ricevendo la comunione nella chiesa madre o nella sua chiesa sacramentale, nel giorno di Pasqua non può ricevere l’Eucaristia nelle chiese dei religiosi o nelle chiese private; questo stesso si deve intendere per i sacerdoti secolari. Infatti qualsiasi facoltà concessa ai religiosi [fol. 127v] di impartire la comunione in ogni periodo dell’anno, non riguarda comunque il giorno di Pasqua, secondo quanto ha stabilito la Sacra Congregazione il 23 gen. 1586 e il 21 mag. 1601 nel capitolo: Omnis de poenit. et remissione. Pertanto comandiamo ai cappellani, sulle cui spalle grava la responsabilità delle anime, di fare il giro delle case del proprio quartiere durante la quaresima, e di annotare in un registro le persone che hanno raggiunto l’età per essere ammesse alla comunione. Perché tutto questo possa venire a conoscenza della cittadinanza comandiamo al vicario di consegnarlo in iscritto ai predicatori, in modo che possano comunicarlo agli uditori. 45. I vasi per gli oli sacri e le cassette per contenerli devono essere d’argento; oltre questi se ne facciano altri tre della stessa materia nei quali ricevere gli oli appena consacrati. In ogni vaso si scriva a caratteri maiuscoli il nome dell’olio che è destinato a ricevere, perché non si abbiamo a commettere errori nel riceverli o nell’usarli. Per eseguire tutto questo concediamo tre mesi di tempo [fol. 128r]. 46. Il sacramento del battesimo, dell’estrema unzione e del matrimonio possono essere amministrati solo dal cappellano; nessun altro li amministri senza aver ricevuto la facoltà dal vicario o dal parroco; siano dati gratuitamente, sotto pena di privazione dell’ufficio, del beneficio e di quelle altre pene previste per i simoniaci. 47. le chiavi del tabernacolo e degli oli sacri devono essere custodite dal cappellano; a nessuno e per nessun motivo si può dare parte degli oli santi, sotto pena di scomunica e di altre pene a noi riservate da determinare a seconda della gravità della trasgressione. 48. I confessionali, collocati in un luogo ben visibile, devono essere comodi con gli sgabelli idonei per accogliere i penitenti, il cui volto non deve essere rivolto alla grata ma al muro, dove si deve collocare un’immagine sacra. la grata sia fissa e con fori radi e piccoli. Se non si trovano in queste condizioni, i confessori non ricevano in essi le confessioni, sotto pena di sospensione. 203


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49. Sull’altare in cui si conserva e si adora il ss. Sacramento o vicino ad esso, non si custodiscano reliquie di santi o gli oli sacri; in caso contrario i cappellani andranno soggetti alla sospensione [fol. 128v]. 50. Durante l’esposizione del ss. Sacramento nelle quarantore siano presenti o due sacerdoti o due chierici, o almeno due laici con i loro abiti a sacco; sull’altare devono ardere non meno di sei torce, secondo le norme pontificie. Se non è possibile osservare queste norme non si faccia l’esposizione. Esortiamo i prefetti delle città, i giurati e i nobili di onorare con la loro presenza il Signore quando si espone o quando si ripone e di servirlo come si suol fare nelle principali città della Sicilia. alla fine, al momento della riposizione, se è possibile si chiuda con un breve sermone. Esortiamo anche il capitolo e il clero a non mancare in un’azione così santa, anzi con la loro presenza la rendano più solenne e siano di buon esempio agli altri. vogliamo che il vicario, una volta al mese, ci comunichi i nomi dei sacerdoti che in questo compito sono più assidui, perché anche noi possiamo gioire della loro devozione. 51. la chiave del tabernacolo sia d’argento e appesa ad un cordone di seta; le porte, per maggiore comodità, si aprano dalla parte destra [fol. 129r]. 52. la vasca del fonte battesimale sia di marmo o di solida pietra e divisa in due parti: una parte conterrà l’acqua, nell’altra si purificherà il bambino; in questa deve esserci un piccolo canale per far defluire l’acqua sotto terra. 53. Questo recipiente sia coperto con una tavola che di sotto deve rimanere libera; di sopra, invece, deve essere rivestita da un drappo o da una pelle. la vasca deve essere sormontata da una cupola di legno rivestita dentro con stoffa verde o rossa, che deve rimanere chiusa con salde serrature quando non deve essere usata. 54. la tazza adoperata per versare l’acqua sul capo del bambino, con il suo manico, sia d’argento. 55. Il sacrario, e cioè il luogo dove si gettano o si bruciano le cose che sono servite per l’uso dei sacramenti, sia chiuso con porte e serrature, in modo che da esso non sia possibile portar via nulla. le chiavi sia del sacrario, sia del fonte battesimale devono essere custodite dal parroco. 56. Nessun cappellano, rettore, confrate o altri, senza la nostra espressa facoltà data in iscritto, ammetta un religioso qualsiasi nelle chiese a noi soggette per celebrare la messa o altro ufficio [fol. 129v]. 57. Nella celebrazione delle esequie comandiamo che il cadavere 204


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non sia portato via dalla sua casa senza la presenza del cappellano del quartiere a cui apparteneva il defunto. Il cadavere deve essere asperso con l’acqua lustrale al canto dell’antifona: Si iniquitates e del salmo: De profundis. Indi può essere trasportato in chiesa; se questa appartiene ai regolari, il cadavere sia deposto davanti la porta, se invece è a noi soggetta sia portato dentro e si cantino i suffragi che si trovano nel rituale. a tal proposito ordiniamo ai cappellani di non accettare dai poveri e dagli indigenti alcuna somma di denaro, anche sotto forma di offerta. Tutto questo è prescritto in ossequio alle costituzioni dei Sommi Pontefici sulle esequie, specialmente a quella di Paolo v, di felice memoria, che si trova nel rituale [fol. 130r]. 3) norme comuni

58. Tutti gli ecclesiastici coltivino bene il canto sacro, in modo che sappiano cantare adeguatamente dai libri liturgici; i chierici minori che non sanno cantare non siano ammessi agli ordini superiori; se persistono in questa ignoranza, dopo quattro mesi siano privati dell’abito ecclesiastico. I sacerdoti o gli ordinati in sacris, se entro quattro mesi non hanno presentato o dato a noi prova della loro capacità, ipso facto siano sospesi, come da questo momento li dichiariamo. 59. Ogni sacerdote partecipi alla lettura dei casi di coscienza, che si terrà nel collegio dei gesuiti (se vivono a Catania); a tal fine nominiamo i puntatori, ai quali ordiniamo di farci conoscere quante volte uno si è assentato; infatti, a prescindere dal processo che faremo contro di loro, questi sacerdoti devono essere considerati inidonei per ogni ufficio e beneficio; se sarà necessario, procederemo contro di loro per vincere la loro ostinazione. Nessun sacerdote faccia parte di contrapposte fazioni, iscrivendosi a qualcuna di esse, sotto pena da stabilire a nostro giudizio. 60. Nella chiesa madre e nelle altre chiese sacramentali [fol. 130v] i bambini imparino, la domenica, la dottrina cristiana. affidiamo questo compito ai cappellani e ai loro sostituti ed esortiamo i sacerdoti che prestino il loro aiuto ad un ministero così benemerito. Se i cappellani o i loro sostituti si assenteranno per tre giorni senza motivo, siano sospesi dall’ufficio. 61. Nessuno, laico o ecclesiastico, apra scuole di grammatica senza averne avuto facoltà da noi in iscritto. 62. Nessun laico senza nostro permesso vada per i crocicchi della città o per le case ad insegnare la dottrina cristiana. 205


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63. I confessori non permettano ad alcuna donna di accostarsi alla comunione più spesso di una volta la settimana, a meno che non ricorra una delle feste principali. 64. Nessun sacerdote si sostituisca o accetti di sostituire il parroco o il cappellano in una chiesa sacramentale per svolgere il ministero, sotto pena di sospensione e di altre pene da stabilire a nostro giudizio, a meno che in caso di malattia non si sia costretti a fare diversamente. la malattia deve essere certificata in iscritto da un medico; se poi si protrarrà oltre [fol. 131r], dobbiamo essere avvisati per diversi motivi. 65. Chiunque, curato o sacerdote, amministrerà il battesimo non permetta che ai bambini si impongano nomi che non siano di santi e che non risultino nel calendario o nel martirologio. 66. Nessuno indossi la cotta senza aver prima indossato l’abito clericale; inoltre la parte superiore della cotta deve essere integra tutta intorno e non interrotta. 67. Ogni chierico svolga il suo servizio nella chiesa a lui assegnata secondo le norme del Concilio di Trento e le prescrizioni nostre e dei nostri predecessori; se mancherà dodici volte in un anno o per un mese intero si intenda privato delle immunità proprie dei chierici. 68. Per questo motivo si ordina al cappellano di tenere un registro in cui segnare diligentemente le assenze di ogni chierico, sotto pena di sospensione immediata dall’ufficio; ci informerà su ognuno di loro perché sia possibile comunicare i nomi ai collettori di gabelle. 69. I monasteri, le associazioni e le confraternite non facciano alcuna spesa per feste, costruzioni o altre cose straordinarie senza averci domandato il permesso [fol. 131v], a meno che la spesa non sia inferiore alle due once; diversamente chiunque ha ordinato la spesa pagherà di tasca propria e il tesoriere non la segnerà nel conto; se ci sarà qualcosa in contrario dovremo essere opportunamente ammoniti. 70. Nelle chiese sacramentali devono esserci sepolcri distinti per i bambini, per i sacerdoti e per coloro che sono ordinati in sacris. Il curato scelga i sepolcri fra quelli che si trovano nella chiesa e vi apponga il suo contrassegno. 71. Nessuno adduca come pretesto l’ignoranza per non osservare queste norme. Comandiamo, perciò, al vicario di renderle note a tutti i suddetti fidecommissari, rettori, procuratori, tesorieri, depositari, sacerdoti o altri alla cui cura sono affidate le chiese, i luoghi pii di questa città o altro luogo, sotto le pene contenute nelle stesse norme. Tutti coloro ai quali 206


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abbiamo ordinato di rinunziare all’ufficio devono render noti questi nostri decreti ai loro successori, mediante atto pubblico [fol.132r]. Questi stessi, anche il vicario, devono con frequenza informarci sulla loro osservanza, diversamente la loro negligenza sarà punita con il meritato castigo. 4) norme comuni per le monache

72. Con l’aiuto di Dio, chiesto per questo motivo con pressanti invocazioni, abbiamo visitato tutti i monasteri femminili che si trovano nel territorio della nostra diocesi. Oltre le norme particolari, date per ogni monastero, abbiamo ritenuto di dover emanare altre norme comuni, già promulgate per tutti, che trascriviamo in questa parte della nostra relazione, come abbiamo già detto. 73. In primo luogo, sapendo che fondamento di ogni vita religiosa e di ogni spirituale devozione è la frequenza ai sacramenti, esortiamo vivamente tutte le monache, se non vogliono macchiarsi di peccato mortale disobbedendo a questo nostro precetto, di accostarsi, una volta all’inizio del mese, alla comunione, dopo aver confessato i loro peccati. Pertanto ordiniamo alle abbadesse di allontanare dalle grate del parlatorio quella monaca che nello spazio di un mese non si è confessata e comunicata [fol. 132v]. Se poi continuerà nel mese successivo, ci informi subito, perché possiamo provvedere al più presto con opportuni rimedi; se la madre abbadessa sarà negligente, incorrerà nella sospensione dall’ufficio fino a nostro giudizio. 74. Inoltre, se una monaca riceverà in vita del danaro proveniente da redditi privati o da altre fonti, non permettiamo che lo trattenga presso di sé, ma ordiniamo che lo consegni alla madre superiora. vogliamo che da questa somma si provveda a soddisfare le eventuali necessità della monaca; se qualcuna non osserverà questa norma e l’abbadessa non ci informerà sul rimedio che intende prendere per questa trasgressione, sia privata dell’ufficio. 75. Nessuna monaca può ricevere dai parenti un regalo, per quanto piccolo, senza il permesso esplicito dell’abbadessa, nonostante qualsiasi consuetudine contraria e dannosa. 76. Per quanto riguarda la mensa, ordiniamo a tutte di pranzare e di cenare in comune, nello stesso luogo e nella stessa ora [fol. 133r]: prima coloro che sono servite e poi quelle che servono, ad eccezione di chi per malattia non sia in grado di mangiare nel refettorio comune. Chi per una volta non osserverà questa norma, digiunerà per una volta con pane e acqua, 207


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se invece la trasgredirà spesso sarà sottoposta ad altre pene da determinare a giudizio della superiora; la superiora, a sua volta, deve tenerci informati, diversamente sarà sospesa dall’ufficio. 77. le monache siedano a mensa in ordine, separatamente dalle educande; mentre mangiano ascoltino la lettura spirituale, secondo le prescrizioni della regola. Perché si mantenga la vita comune, ordiniamo alla madre di non dare nulla di particolare ad alcuna monaca a spese del monastero, a meno che non si tratti di ammalate, che vogliamo siano trattate umanamente, secondo il parere del medico. vogliamo che questo sia osservato sotto pena di privare dell’ufficio la superiora, che per tre volte non ha osservato questa norma. 78. Perché tutte siano presenti al coro e si dedichino quanto più è possibile al culto divino, in caso di malattia permettiamo ai consanguinei o affini in primo grado che possano preparare da mangiare dentro il recinto del monastero [fol. 133v], purché ciò avvenga senza danno per il monastero e con il permesso esplicito dell’abbadessa; chi farà diversamente, ad ogni mancanza non potrà recarsi in parlatorio per quindici giorni. 79. Chi si rifiuterà di eseguire il proprio ufficio per un periodo di tempo inferiore ad una settimana, a meno che non si tratti di persone anziane e del tutto incapaci, per quella settimana non si accosti alle grate del parlatorio. 80. a nessuna può essere consentito di tenere carta e inchiostro; chi per motivi urgenti avesse bisogno di scrivere, li riceverà dalla madre, alla quale deve consegnare la lettera perché la legga; comandiamo all’abbadessa di sigillare le lettere solo dopo averle lette; similmente le lettere che pervengono al monastero siano aperte dall’abbadessa e a suo giudizio vengano consegnate alle destinatarie. Chi trasgredirà questa norma rimarrà chiusa in carcere per una settimana. 81. Nessuna di coloro che vivono nel monastero impari o insegni a leggere e a scrivere senza aver ricevuto il nostro permesso scritto. Ordiniamo a tutti e prescriviamo sotto il vincolo della santa obbedienza (al precetto aggiungiamo come pena la privazione del voto attivo e passivo) [fol. 134r] sia che si tratti di monache professe, di novizie o di educande, di non avere rapporti con l’esterno ad eccezione dei consanguinei di primo grado, che potranno incontrare ogni otto giorni e di secondo grado ogni quindici. I colloqui sono proibiti nei tempi di quaresima, di avvento, nelle vigilie, durante le quattro tempora, oltre che durante i divini uffici, i pasti e il tempo del silenzio. la madre che consente i colloqui proibiti, incorrerà 208


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nella pena della sospensione. Similmente le persone esterne che si saranno accostate alle grate del parlatorio pagheranno come pena un’oncia per ogni trasgressione e incorreranno ipso facto nella scomunica. E perché nessuno possa addurre come scusa l’ignoranza di queste norme ordiniamo che siano affisse alle porte del parlatorio. 82. Durante il tempo dedicato ai divini uffici, alla mensa e al silenzio le grate e la ruota dei parlatori devono restare chiuse a chiave; questa deve essere custodita per tutto il tempo dalla madre e non può essere data ad alcuno. 83. Nessuna monaca può parlare attraverso le grate della chiesa, ad eccezione della superiora e di chi è incaricata a notificare gli editti; ad esse concediamo di parlare [fol. 134v] solo a coloro che assistono al culto ecclesiastico e se sono presenti tre del monastero; da questa proibizione si escludono il giorno della vestizione e quello della professione di qualche monaca. In queste circostanze permettiamo che si possa parlare con i consanguinei e con coloro che si trovano in loro compagnia. Consentiamo che si possa parlare anche nella festa dell’ottava del Corpus Domini. 84. Nessuno di coloro che dimorano fra le mura del monastero, sotto pena di scomunica, osi comunicare con l’esterno attraverso la porta di servizio o il portico; per la madre che consentirà ciò vogliamo che alle pene sopraddette si aggiunga la privazione dell’ufficio. Se è necessario parlare dalle grate previste per le ordinazioni, lo si faccia osservando le norme prescritte. 85. le suddette porte non si aprano mai ad eccezione di quelle d’ingresso e del coro per consentire che entrino: i confessori, i barbieri, tutti coloro che il vicario e il visitatore dei monasteri giudicheranno necessari per i bisogni delle inferme, e le altre persone che non possono essere introdotte attraverso la ruota. le porte del monastero e della chiesa, se sono state aperte, devono essere subito chiuse al tramonto del sole e possono essere riaperte dopo che il sole sarà sorto, a meno che non accada un fatto improvviso e il confessore non ritenga di fare diversamente; questo stesso si faccia con il permesso del vicario e del visitatore [fol. 135r]. 86. Proibiamo di introdurre nel monastero, per qualsiasi motivo, bambini o bambine anche in tenera età; la madre che dovesse permettere questo sia privata dell’ufficio. 87. Nessuna donna sia ammessa nel monastero, anche con il pretesto di curare qualcuna, a meno che non sia stimata per la sua onestà e non abbia il permesso scritto dal medico. 88. Inoltre proibiamo che una monaca, una novizia o un’educanda 209


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dorma nello stesso letto assieme ad un’altra, sotto pena di incorrere ipso facto nella scomunica. la madre che ha permesso ciò o che non ci ha denunciato il fatto, sarà privata dell’ufficio e del voto attivo e passivo. Incorrerà nelle stesse pene la madre che permetterà a qualcuna delle monache o delle dimoranti nel monastero di dormire di notte fuori del dormitorio. 89. ad eccezione del cappellano o di chi ha ottenuto da noi il permesso, nessun sacerdote può celebrare la messa nelle chiese dei monasteri femminili. 90. agli operai che lavorano nei monasteri proibiamo che sia concesso di mangiare dentro il recinto, nella chiesa o sotto i portici. 91. Chi entra nel monastero deve essere sempre accompagnato da due monache di età non inferiore ai quarant’anni, a ciò destinate dalla madre; una di esse deve dare il segno con il campanello in modo che le altre si nascondano [fol. 135v]. 92. È molto sconveniente che delle monache consacrate a Dio, per la morte di qualcuno dei propri parenti facciano il lutto e dormano per conto proprio; perché questo abuso venga eliminato, consentiamo che per tre giorni, se la madre lo riterrà opportuno, coloro che hanno avuto un lutto fra i propri familiari, siano dispensati dagli uffici comuni; ma trascorso questo tempo smettano il lutto e riprendano i soliti uffici ed esercizi. 93. Per nessun motivo la madre deve permettere alle educande di indossare abiti a colori o di tenere i capelli sciolti o ricci e di camminare con la fronte coperta; il colore delle vesti deve essere nero o affine al nero. I capelli devono essere decorosi e acconciati con moderazione; a coloro che si comporteranno diversamente la madre proibisca di accostarsi alle porte o alle grate, fino a nostro ordine; se l’abbadessa si dimostrerà negligente sarà privata dell’ufficio. 94. l’educanda che intende vestire l’abito monacale deve pagare non meno di dieci once l’anno; se offrirà un lotto di beni stabili e perpetui, è sufficiente che dia una sola volta cento once, che si calcola possano rendere cinque once ogni anno; se invece pagherà in contanti, dovrà dare duecento once che saranno consegnate all’economa e riposte a parte nella cassa [fol. 136r] chiusa con quattro chiavi, secondo l’ordine che abbiamo già dato trattando dei redditi del monastero. 95. le educande per le quali non sarà pagata la retta per un certo periodo, hanno ancora un altro mese; se entro questo tempo non avranno saldato il debito la madre, se non vuole mandarle via dal monastero, le sospenda dall’ufficio. 210


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96. a tutte quelle educande per le quali quell’intervallo di tempo oggi è trascorso, consentiamo che paghino la somma di tutto il debito entro quattro mesi; diversamente siano espulse dalla madre sotto la pena già detta. 97. Non spendano nulla per costruzioni se durante la nostra visita non ne abbiamo dato il permesso. 98. ai farmacisti comandiamo, sotto pena di incorrere ipso facto nella scomunica, di non dare medicine ad alcuno per conto del monastero se non si esibisce la prescrizione del medico e dell’abbadessa; a chi farà il contrario, oltre la pena già inflitta non saranno pagati quei medicinali. le medicine che sono date con la prescrizione del medico devono essere pagate dalla cassa comune del monastero. 99. Perché i medici e i farmacisti osservino più sicuramente le suddette norme, priviamo l’abbadessa e ogni altra monaca della potestà [fol. 136v], per il tempo presente e per il futuro, di sostituire temporaneamente o definitivamente il medico o il farmacista assegnato al monastero, sotto pena di sospensione dell’ufficio per l’abbadessa; per le monache consenzienti della privazione del voto attivo e passivo fino a nostro giudizio. Se poi dovesse succedere qualcosa in contrario ci informino per lettera. 100. l’abbadessa non sottoscriva alcuna ricetta fatta dal medico in favore di estranei o delle educande, sotto pena da infliggere a nostro giudizio, per la sua negligenza e la trascuratezza nell’adempiere il suo ufficio e nel vigilare sui beni del monastero. 101. Il denaro che riceveranno i lavoratori e i coloni, perché non sia speso dai tesorieri, deve essere conservato nella cassa predisposta a questo scopo, chiusa con quattro chiavi diverse, la prima delle quali sarà custodita dalla madre, la seconda dall’economa, la terza dal cappellano, la quarta dal vicario; né si paghi alcuna somma se non dopo aver dato e ricevuto il mandato scritto che deve essere firmato con i quattro nomi. 102. Nessuna monaca, non esclusa l’abbadessa e l’economa, faccia una transazione, un’ipoteca [fol. 137r], o una ricevuta di pagamento a saldo, se non risulta che i precedenti pagamenti parziali e la ricevuta che hanno rilasciato sia relativa al saldo della somma indicata e non contenga alcuna garanzia richiesta dalle parti. la trasgressione sarà punita con la pena della privazione dell’ufficio per la madre, con la dichiarazione di invalidità della ricevuta, e con pene che determineremo per gli altri che lo hanno permesso. vogliamo che siano inflitte altre pene se il monastero si rivolgerà ad un notaio diverso da quello da noi stabilito. 103. Il procuratore, il cappellano, il visitatore, l’abbadessa e l’eco211


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noma ogni mese si riuniscano per controllare i registri e le spese quotidiane e diano delle indicazioni sulla provvista annuale di frumento, vino, formaggio, e di altri generi. le spese maggiori devono essere fatte solo con il nulla osta da noi sottoscritto e con l’intervento dell’abbadessa, del cappellano e del procuratore. 104. l’abbadessa curi con grande diligenza che tutte le persone residenti nel monastero siano presenti ogni giorno agli uffici usuali: l’ufficio divino, le preghiere, la mensa comune, il silenzio e i compiti propri di ognuno nei luoghi comuni e consueti [fol. 137v], in modo che nessuna, senza un motivo valido e senza il suo permesso, sia assente; può dare i permessi con moderazione e non per i casi più gravi, nei quali è obbligata ad informarci. 105. vogliamo ammonire l’abbadessa di non destinare nessuno a servizio di alcuna persona; in caso contrario ordiniamo di cacciare l’inserviente e di assumerne al suo posto un’altra, a giudizio del visitatore o del vicario del luogo, con il nostro permesso concesso in iscritto. 106. vogliamo e comandiamo che a queste nostre leggi siano aggiunte le norme particolari emanate e promulgate nelle norme comuni, che in qualunque modo hanno attinenza alla disciplina del monastero; soprattutto quelle riguardanti i pagamenti, le procure, le spese e argomenti analoghi, che devono essere osservate con la comminazione delle stesse pene con cui sono state proposte. 107. Infine esortiamo nel Signore le madri abbadesse e ordiniamo che osservino fedelmente e facciano osservare a tutte le persone interessate le suddette ordinazioni, considerato che sono munite di molte scomuniche, già stabilite dai nostri predecessori [fol. 138r]. abbiamo fatto tutto questo venendo incontro alle loro richieste e per far loro cosa gradita, certi che ciò servirà da stimolo maggiore per l’obbedienza. Il nostro proposito e la nostra intenzione non sono di abolire le regole di ogni monastero, alla cui osservanza le monache sono obbligate in quanto membri dell’istituto; anzi vogliamo che la madre avvisi noi oppure il cappellano o il visitatore che penseranno ad informarci, nel caso che una monaca si dimostri negligente nell’osservanza delle sue regole e delle nostre ordinazioni, a prescindere dalle pene già comminate in cui incorrerà, in modo che possiamo provvedere non avendo altra preoccupazione che la gloria di Dio, la salvezza e la perfezione delle monache, la buona fama del monastero. Perché le norme che abbiamo emanato siano da tutte ricordate vogliamo che siano lette una 212


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volta al mese in refettorio o dal cappellano alle grate del predicatore, alla presenza di tutte. Nel corso della visita, 1 dicembre 1638 Questa relazione è stata presentata personalmente. Roma, 5 gennaio 1640 Ottavio branciforte, vescovo di Catania

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1646 – Relazione del vescovo Ottavio branciforte, relativa al 20° triennio, presentata personalmente il 18 aprile 16461.

[fol. 143r] Eminentissimi e reverendissimi Signori, con la relazione presentata nella mia ultima visita, vi avevo descritto l’organizzazione e lo stato di Catania e della sua diocesi, in cui non si è verificato alcun cambiamento; anzi con l’aiuto di Dio e con il mio notevole impegno nella mia circoscrizione l’immunità ecclesiastica è stata difesa strenuamente, le direttive e le sanzioni di cotesta S. Congregazione sono rimaste in vigore senza alcuna limitazione. a Dio piacendo, continuerò ad impegnarmi con tutte le mie forze per il futuro, fino all’ultimo respiro. Stando così le cose, colgo questa occasione per sottoporre alla conoscenza delle Eminenze vostre qualcuna delle necessità di maggior rilievo della chiesa di Sant’agata vergine e martire invittissima. la chiesa dedicata a Sant’agata, madre e guida di Catania, è stata edificata dai miei munificentissimi predecessori con tale ampiezza e con tale magnificenza, che sul suo conto non c’è assolutamente nulla da dire. Poiché un numero straordinario di fedeli confluisce ad essa sia dalla città, sia da fuori per rendere omaggio alle sue reliquie, non sembra sufficiente il servizio reso dai dodici canonici, per lo più anziani e malaticci, da altrettanti secondari e dai pochi cappellani; tanto più che i vescovi spesso se ne servono come confessori delle monache. Un rimedio a questa situazione c’è, se le Eminenze vostre lo giudicheranno valido; né penso che i vescovi miei successori, persone certamente più capaci, respingeranno la soluzione che mi viene in mente in questo momento, perché si tratta di denaro che è dato a noi senza essere soggetto al diritto di spoglio e alle tasse reali.

1 Rel Dioec 207 a, fol. 143r-144r. Sul dorso si legge: «alla Sacra Congregazione del Conseglio. Per mons. vescovo di Catania. Relatio status Ecclesiae Catanensis pro 20° triennio» (fol. 144v). alla relazione sono acclusi: i certificati della visita alle basiliche di San Pietro, in data 15 aprile 1646 (fol. 145r) e di San Paolo, in data 9 aprile 1646 (fol. 146r); la lettera del vescovo alla Congregazione: «Eminentissimi e Reverendissimi Signori. Ottavio branciforte vescovo di Catania, humilmente supplica le vostre Eminenze Reverendissime si degnino accettare la visita che l’oratore ha fatto ad limina, conforme all’obligo che si deve, conforme apparisce per la fede delli sacristani delle due basiliche e del restritto {che} dà della sua chiesa e visita della diocese acciò non apparisca contumace e si receverà a gratia. Quod Deus etc.» (fol. 147r).

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Ottavio Branciforte (1638-1646)

l’attuario vescovile o magister notarius (così è chiamato) versa ogni anno al vescovo mille scudi dai proventi del suo ufficio, ed in questo pagamento i re non interferiscono neppure durante il periodo di sede vacante. Se da questa ingente somma si detraggono circa quaranta scudi, si avrà la possibilità, come l’esperienza ci insegna, di mantenere a sufficienza altri sette canonici, senza escludere la prebenda del canonico teologo, [fol. 143v] che fino a questo momento è rimasta vacante per mancanza di un sacerdote idoneo. Spinto da questa carenza di ministri, ho deciso di ripristinare l’ufficio dell’arcidiacono, che di fatto presta il suo servizio senza alcun onere per la chiesa. Tuttavia mi sembra opportuno, se piace alle Eminenze vostre, che l’arcidiaconato nella mia cattedrale non debba comportare alcun esercizio di autorità, così com’è attualmente; onde evitare che si riaccendano le discordie e le liti sorte in passato con il vescovo e oggi del tutto sopite. E poiché l’attuale cantore, che sfortunatamente è prigioniero dei turchi, possiede a stento le cognizioni minime, al suo posto si potrebbe nominare un sacerdote più preparato; quando sarà liberato dai turchi, non sarà difficile conferirgli un altro beneficio. visto che se ne offre l’occasione, non posso omettere di far conoscere alle Eminenze vostre alcuni fatti strani, incomprensibili e poco convenienti. Da qualche tempo alcune dignità esistenti nella mia diocesi, anzi anche quelle di un’insigne collegiata, sono conferite a persone non solo incapaci, ma dal comportamento riprovevole e malvagio. Mi riferisco alla città di Piazza, dove nelle nomine si segue il principio dell’alternanza con codesta Sede apostolica. Per questo motivo ho dovuto lamentarmi energicamente e piangere ogni giorno, quando, spinto da qualche necessità, sono stato costretto a conferire dignità cosi importanti a persone del tutto incapaci, mosso solo dalla carità per i deboli. Soprattutto se si tiene conto della prassi vigente delle raccomandazioni e dei favoritismi. Ma dopo queste brevi considerazioni, non è difficile trovare un rimedio a questo problema; tanto più che i benefici sono abbastanza ricchi. Infine il numero degli esuli e dei facinorosi in Sicilia si è accresciuto a tal punto, [fol. 144r] che quotidianamente la giurisdizione ecclesiastica entra in conflitto con quella civile. Infatti i cinque capitoli di cui gode non sono più riconosciuti, e la furbizia dei ministri riesce a inventare e a trovare pretesti per farsi ragione. Perciò sembra opportuno che al vescovo si conceda una maggiore discrezionalità. 215


Ottavio Branciforte (1638-1646)

Supplico con insistenza le Eminenze vostre di accogliere le mie suppliche; che Dio, ecc. Delle Eminenze vostre servo devotissimo Ottavio branciforte, vescovo di Catania {1646}

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MaRCO aNTONIO gUSSIO (1650-1660) 1. la fIgURa

Dopo la morte di Ottavio branciforte (1646) la sede vescovile di Catania rimase vacante per quattro anni. le Chiese di Sicilia erano di regio patronato e spettava al re presentare al papa i nomi dei vescovi; ma la prassi di riservare alle esauste casse della regia corte le rendite delle mense vescovili durante il periodo di sede vacante, non era di stimolo alla sollecita presentazione dei candidati1. Nel 1648 fu presentato dal re per la sede di Catania lo spagnolo Martino de leon y Cardenas, vescovo di Pozzuoli, che non accettò il trasferimento2. Due anni dopo fu trasferito dalla sede di Cefalù il vescovo Marco antonio gussio, una persona che sembrava avesse le qualità necessarie per assumere il governo della diocesi di Catania3. Egli era nato a Nicosia verso il 16084, secondogenito dei quattro figli di Martino gussio, esponente di una nobile famiglia siciliana di origine francese, che aveva ricoperto importanti incarichi nel Regno di Sicilia5.

vedi «Introduzione», n. 3. la notizia è riferita da P.b. gaMS, Series episcoporum Ecclesiae catholicae, graz 1957, 945, che include Martino de leon y Cardenas nella serie dei vescovi di Catania. fa giustamente notare il gauchat che questo prelato non è stato mai vescovo di Catania, perché fu semplicemente presentato dal re, ma non ebbe la nomina pontificia (P. gaUChaT, Hierarchia catholica, cit., Iv, 142). 3 Sul vescovo Marco antonio gussio vedi: I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 288292, che gli dedicò la sua opera e la pubblicò mentre egli era ancora in vita. Il De grossis probabilmente attinse dal gussio molte notizie sulla sua famiglia, ma il rapporto di amicizia e di stima che lo legava al vescovo non lo pose nelle condizioni migliori per esprimere un giudizio obiettivo, che è più facile trovare in: a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] addictiones et correctiones, cit., 130 e 196-197; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., II, 469-473; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 175-183; g. MISURaCa, Serie dei vescovi di Cefalù, Roma 1960, 49-50. 4 gli storici non riportano la data di nascita del gussio, ma nel processo informativo per la sua nomina a vescovo di Cefalù, svoltosi a Roma il 27 aprile 1644, i testi affermano che egli «è di età di 36 anni in circa» (Proc Cons 42, fol. 353 e 354v). 5 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 289-290 1 2

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Marco antonio, dopo aver studiato teologia, aveva conseguito la laurea in utroque iure nell’Università di Messina6 e probabilmente era stato ordinato sacerdote nella stessa città. ancora giovanissimo era entrato nella corte di filippo Iv, che gli manifestò la sua stima chiamandolo a far parte — il 17 ottobre 1630 — dei regi cappellani e affidandogli — il 12 dicembre 1641 — la commenda dell’abbazia di Santa Maria di Mandanici, con una pensione a vita di quattrocento scudi dall’abbazia di San filippo d’agira, e il 1° maggio 1643 la commenda dell’abbazia di San Michele di Troina7. a trentasei anni, il 23 maggio 1644, fu nominato vescovo di Cefalù8. Nel processo informativo, tenutosi a Roma il 27 aprile 1644 sotto la presidenza dal card. francesco Montalto, protettore del Regno di Sicilia, il gussio è descritto dai testimoni come una persona «di vita innocente, di boni costumi et di bona conversatione et fama […] grave et prudente et nelli negotii, molto buono et diligente»9. anche se non aveva avuto esperienza di cura d’anime, gli furono riconosciute le qualità necessarie per essere nominato vescovo10. Nei sei anni trascorsi alla guida della diocesi di Cefalù si dimostrò uomo di pietà, zelante, non privo d’iniziativa, che riuscì a difendere la sua giurisdizione senza entrare in conflitto con quella civile11. Un segno della

6 Il teste Rocco Trainizio nel processo informativo depone: «Io so che è dottore nell’una e nell’altra legge et ha anco studiato theologia nella città di Messina» (Proc Cons 42, fol. 353v). 7 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 291-292; a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] additiones et correctiones, cit., 196. 8 Il Mongitore, citando il Passafiume, scrive che il gussio fu consacrato vescovo a Roma nella chiesa di Sant’anna al Quirinale dai cardinali Montalto e albornoz (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] additiones et correctiones, cit., 196); ma nel processo informativo per il trasferimento a Catania, il teste Salvatore de Oddo dopone: «So che il detto monsignore fu consacrato vescovo a Roma nella chiesa di San Carlo alle quattro fontane» (Proc Cons 48, fol. 610). 9 Proc Cons 42, fol. 353 e 354v. 10 «Non so che habbia havuto cura d’anime […]. Io lo stimo idoneo a ben reggere una chiesa cattedrale et particularmente la Chiesa di Cefalù alla quale deve essere promosso et lo giudico degno di quella et acciò sarà utile et proficuo alla detta Chiesa et a quelle anime che staranno sotto il suo governo» (Proc Cons 42, fol. 359). 11 gli storici e le testimonianze dei suoi contemporanei sono concordi su questo punto. Scrive il Mongitore: «a regiminis sui exordio statim pastoralem vigilantiam detexit; vix enim elapso mense Ecclesiae visitationem aggressus, mox magno labore dioecesim perlustravit cum magno ovium beneficio […]. Ecclesiasticae disciplinae zelo flagravit; voluit etenim ut omnes ecclesiasticas leges observarent et ipse omnium primus observavit. Nonnullis illustravit ornamentis cathedrale templum; praesertim maius sacellum (tribunam vocant) picturis et

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stima che godeva presso le autorità religiose e civili fu l’incarico di presiedere il braccio secolare del parlamento riunitosi a Palermo nel 164812 e il trasferimento alla sede di Catania. Marco antonio gussio fu nominato vescovo di Catania il 22 agosto 165013; prese possesso della diocesi il 5 settembre, mediante procura fatta allo zio canonico Martino Celestre, che nominò vicario generale14; giunse a Catania ed iniziò personalmente il suo ministero il 27 ottobre15. Come il branciforte, anche il gussio era un uomo ben visto al regime, perciò esposto al rischio di essere coinvolto nei risentimenti verso la corona spagnola, che si erano manifestati in diverse circostanze e in par-

marmorata calce auro detecta insignivit…» (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] additiones et correctiones, cit., 196). Un’altra significativa testimonianza gli è resa nel secondo processo infomativo: «So che il detto monsignore Marco antonio è stato sempre vigilante in defendere le sue ragioni et della sua giuriditione spirituale e temporale e delli beni di essa per haverlo inteso dire e celebrare per homo zelante, essendo andato per la sua difesa più volte a Palermo» (Proc Cons 48, fol. 610v). 12 leggiamo nel cerimoniale dei viceré: «a 6 settembre 1648. Si fece la preposta del Parlamento generale da Sua Eminenza a mente, et il prelato fu don Marco antonio gussio, vescovo di Cefalù» (Ceremoniale de’ signori Viceré, cit., 184). vedi pure: f.M.E. vIllabIaNCa, Della Sicilia nobile, cit., I/1, 196. la designazione del gussio alla presidenza del parlamento probabilmente fu un atto di riconoscimento dell’azione mediatrice da lui esercitata per evitare che anche a Cefalù si propagassero i tumulti del 1647. leggiamo nel diario di D. vincenzo auria: «Nella città di Cefalù v’ebbe un debolissimo principio di tumulto […]. Ma la diligenza dell’Ill.mo D. Marc’antonio gussio vescovo di quella città, non che del capitano, giurati e gentiluomini di essa, non fecero passare più oltre il rumore tenuto di poco momento» (g. DI MaRZO, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, III, Palermo 1869, 92). 13 la bolla di nomina è trascritta in Tutt’Atti 1650-1651, fol. 16-16v. In essa non troviamo alcuna prescrizione sulle prebende del teologo e del penitenziere nel capitolo della cattedrale, risultate inesistenti nel processo informativo (Proc Cons 48, fol. 607v). Il re nella presentazione aveva imposto, come di consueto, pensioni per un ammontare di 8.400 scudi (P. gaUChaT, Hierarchia catholica, cit., 142) sui frutti della mensa vescovile, che, a detta di uno dei testimoni del processo informativo, ammontavano a 28.000 scudi (Proc Cons 48, fol. 607v). 14 Il testo della procura è trascritto in Tutt’Atti 1650-1651, fol. 12v-14 e in essa si legge che il can. Martino Celestre è «eius avunculum»; il verbale del possesso canonico si trova nello stesso volume ai fol. 14r-15v. Il can. Celestre esercitò l’ufficio di vicario generale fino al 17 maggio 1651, data della sua morte (aCC, necrologium […] canonicorum […] cathedralis ecclesiae catanensis) gli succedono nell’ufficio: leonardo bongiorno, ansaloro Scammacca e francesco amico. 15 I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 292. Il primo documento firmato dal gussio ai Tutt’Atti è del 1° novembre 1650, fol. 92v-93. Seguono nei giorni successivi le nomine degli ufficiali della contea di Mascali (fol. 98v-100) e il conferimento di alcuni benefici (fol. 107-112v).

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ticolare nei moti del 164716. Ma il nostro vescovo dimostrò un temperamento più prudente e conciliante del suo predecessore; non solo evitò con le autorità cittadine gli scontri che erano costati al branciforte l’esilio, ma si rese benemerito verso tutta la cittadinanza per aver condotto al tribunale della gran corte di Palermo, personalmente e a sue spese, le trattative per il riacquisto dei casali dell’Etna17. Era questo un problema vitale per i catanesi; i casali del bosco erano considerati parte integrante del territorio della città e necessari alla sua economia e al suo sviluppo. la regia corte nel 1640, per rimpinguare le stremate finanze del regno, li aveva venduti come feudi ai privati. la città con gli introiti dei dazi, raccolta la somma di 149.500 scudi, la offrì per riacquistare i casali e per indennizzare le persone che li avevano comprati: vespasiano Trigona, Domenico Di giovanni e giovanni andrea Massa. le trattative furono complesse, ma il gussio raggiunse lo scopo prefisso e, con grande soddisfazione dei cittadini, Catania ritornò in possesso dei suoi casali18. Tuttavia la gioia e la soddisfazione dei catanesi non durarono a lungo, perché due anni dopo la regia corte, sempre alla disperata ricerca di introiti per le finanze del regno, rivendette i casali agli stessi compratori; ma questa circostanza non fece venir meno la stima per l’opera svolta dal vescovo gussio in un momento particolarmente delicato della città di Catania. Dal punto di vista del ministero pastorale, svolto a Catania fino al 3 luglio 1660 data della sua morte19, il vescovo Marco antonio gussio è ancora tutto da scoprire e la particolare natura della relazione ad limina che

Il gussio nella intestazione degli atti ufficiali si presenta anche con il titolo: «del conseglio di Sua Cattolica Maestà». 17 Il fatto è riferito con grande rilievo dagli storici catanesi: I.b. DE gROSSIS, Catana sacra, cit., 292; v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 469-470; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 175-178. la complessa vicenda della vendita dei casali del bosco di Catania è esposta da a. lONghITaNO, Sant’Agata li Battiati, cit. 18 Per l’occasione il giurista catanese Mario Cutelli pubblicò un fascicolo in lingua spagnola in cui espose i fatti e le motivazioni che avevano spinto i catanesi a ricomprare i casali: M. CUTEllI, […] Catania restaurada, Catania 1652. Sull’argomento vedi pure: M. gaUDIOSO, La questione demaniale, cit., 91-112. 19 a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] additiones et correctiones, cit., 130. lo stesso autore afferma che il gussio era stato seppellito: «In plano ecclesiae ante sacellum SS. Sacramenti»; l’amico conferma: «In plano cathedralis basilicae SS. Eucharistiae sacellum, ut ipse mandaverat, humatur» (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 473); ma del suo sepolcro oggi non c’è traccia; probabilmente, dopo il terremoto del 1693, nei lavori di ricostruzione della cattedrale, i resti del gussio saranno stati trasferiti nella cripta. Sembra sia rimasto vuoto il monumento sepolcrale, che il vescovo si era fatto erigere nella cattedrale di Cefalù. 16

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pubblichiamo non ci aiuta a colmare questa lacuna. anche se gli storici catanesi sono concordi nel valutare positivamente la sua figura, non possiamo contentarci delle formule stereotipate di cui si servono per esprimere i loro giudizi20. Un’obiettiva valutazione dell’attività del vescovo gussio è possibile solo attraverso un attento esame dei documenti del suo decennale governo pastorale; un lavoro che fino ad oggi non è stato fatto e che va oltre i limiti della presentazione di questo documento. Possiamo tentare un primo approccio alla conoscenza della sua personalità, dando una scorsa agli editti promulgati nel suo primo anno di governo a Catania. la lettura di questi documenti se da una parte mette in evidenza le necessità più immediate della diocesi dopo quattro anni di sede vacante, dall’altra ci dà la possibilità di conoscere i problemi che stavano più a cuore al nuovo vescovo, la cui soluzione poteva essere ritenuta inderogabile. Si tratta comunque di un test indicativo ma non esauriente, che lascia aperto il problema dell’approfondimento delle linee pastorali seguite dei vescovi di Catania per attuare le norme del Concilio di Trento21.

20 Il Mongitore formula questo giudizio sul decennale episcopato del gussio: «Pastorali vigilantia creditam sibi ecclesiam regere studuit. Plura edidit decreta ut ad morum integritatem oves suas revocaret et ad pietatis officia impigre extimularet. Collapsam ecclesiasticorum disciplinam magno cum zelo instaurare curavit et sanctimonialium observantiam sedulo promovit» (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] additiones et correctiones, cit., 130). gli studiosi danno molto spazio ad un fatto che destò viva impressione nella cittadinanza e servì a dimostrare la forte personalità del gussio. Mentre egli si trovata ad aci, il 16 luglio 1653, furono trovati uccisi in episcopio: suo fratello leandro, la moglie, una figlia di primo letto di costei e due servi. Si sospettò che autore della strage fosse stato il nipote diciassettenne antonio, figlio di un altro fratello, per vendicarsi di essere stato respinto dalla zia. Il gussio, nonostante tutto, tentò di salvare il nipote facendolo fuggire da un’uscita secondaria; ma il giovane fu inseguito dai soldati e dal popolo, catturato vicino la foce del Simeto, processato e decapitato al piano della fiera (l’attuale piazza Università), il 14 ottobre 1653 (v.M. aMICO, Catana illustrata, cit., 470-471; f. fERRaRa, Storia di Catania, cit., 178-182). l’episodio non è riferito dal De grossis, la cui opera Catana sacra porta come data di stampa il 1654. I fatti sono stati raccontanti in un romanzo: P. NICOlOSI, Assassionio nel vescovado di Catania, acireale 1992. 21 Se dobbiamo essere grati agli storici catanesi dei secoli precedenti per averci tramandato notizie preziose sui vescovi e sui fatti più importanti accaduti durante il loro governo, difficilmente possiamo servirci della loro testimonianza per affrontare problematiche che solo la storigrafia più recente ha messo in evidenza. volendo verificare nelle singole diocesi la linea pastorale seguita dai vescovi per attuare la riforma tridentina, solo come ipotesi di lavoro possiamo accettare le affermazioni di coloro che affrontano il problema nelle linee generali. l’argomento può essere trattato esclusivamente attraverso lo studio attento degli atti di governo di ogni singolo vescovo e l’analisi della società in cui egli si trova a svolgere il suo ministero (g. DE ROSa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, cit., 401-

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2. I PROvvEDIMENTI DEl gUSSIO NEl PRIMO aNNO DEl SUO gOvERNO PaSTORalE

I primi interventi del nuovo vescovo sono di natura disciplinare. a distanza di pochi giorni dal suo ingresso in diocesi, furono emanati diversi editti sui problemi più vari, senza un preciso ordine logico e con qualche ripetizione, come per rispondere a situazioni di cui il vescovo viene man mano a conoscenza. I provvedimenti riguardano prevalentemente il clero, le monache, i beni ecclesiastici e alcuni problemi generali. Nei loro contenuti ci danno qualche indicazione sulle linee pastorali seguite dai vescovi di questo periodo: ritenuti superati i problemi dottrinali posti dalla Riforma, si interviene esclusivamente sul piano disciplinare, lungo le direttrici indicate dal Concilio di Trento: il comportamento del clero, la sua istruzione e preparazione, la disciplina nei monasteri femminili, il catechismo ai bambini, il precetto pasquale, la pubblica moralità, la difesa della giurisdizione ecclesiastica… lo schema seguito nella stesura degli editti è sempre uguale: dopo un richiamo ad alcuni princìpi dottrinali, si impartiscono le norme concrete, seguite dalle sanzioni per gli inadempienti. Nell’esposizione delle motivazioni che sono portate a sostegno dei provvedimenti, si nota una sincerità di espressioni e lo sforzo di giungere al convincimento dei sudditi prima ancora che si impartiscano le norme munite di pene. a) Editto per un censimento dei chierici minori con le norme per le ordinazioni

Il primo provvedimento non risulta agli atti, ma se ne richiama il contenuto nell’editto riportato nella prima pagina del volume, di cui può essere considerato la continuazione22: riguarda i chierici in minoribus; il vescovo ordina di fare una sorta di censimento generale per rendersi conto della situazione in cui si trovano: «Per nostro primo editto esortatorio […] fu ordinato che nel termine in

421; ID., Chiesa e religione popolare nel mezzogiorno, bari 1978, 167-186; M. MaRIOTTI, Problemi di lingua e di cultura nell’azione pastorale dei vescovi calabresi in età moderna, Roma 1980). 22 aSDC, Editti 1650-1679, fol. 1r-3r.

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quello prefisso dovessero darne chiarezza che patrimonio seu beneficio tengano fede, dell’età, quanto tempo ha che han preso l’habito clericale, perché causa non hanno asceso all’ordini o ordini magiori e proiurare alla prima ordinatione si ordinassero, dovendo tutti quelli hanno entrato o pretendino entrare nella militia clericale, haver particular cura e speciale fine di passare innanti nello stato ecclesiastico, e non havendo ordini ascendere a quelli, et havendoni alcuni ascendere alli maggiori e finalmente al sacerdotio…».

Il testo del documento è in parte mutilo, ma sembra che il vescovo preannunci un’ordinazione e inviti coloro che devono ricevere gli ordini a preparare la documentazione che attesti la loro idoneità: «Portino li loro patrimonii certi e fidelemente fatti in la forma solita, guardandosi ogniduno di non portare patrimonii con donationi finte e fatte in fraude, ma che siano veri, liberi e proprii…».

Infine ordina ai chierici

«in minoribus che non tengano designatione di chiesa, fasse far detta designatione, che per quanto tocca alla nostra diocese per lo presente concediamo licentia et autorità alli reverendi vicarii di farla, che però portiranno fede di essa insieme con la ben servita, senza la quale saremo forzati con dolor dell’animo nostro a non conferirli ordine veruno».

l’editto porta la data del 13 novembre 1650, Iv ind. e reca in appendice un minuzioso elenco degli impedimenti e di alcune condizioni che non consentono la recezione degli ordini sacri: «In primis chi non ha l’età requisita. Chi non è cresimato, però si fa la cresima. Chi è rozzo e ignorante. Chi è criminoso e solito commettere delitti. Chi havesse fatto publica e solenne penitenza. Chi è neofito, cioè di novo venuto alla religione cristiana. Chi è lasso, cioè caduto in peccato di fede doppo di haver preso l’ordini. Chi è spergiuro. Chi è usurario manifesto […]. Chi è notabilmente deforme. Chi non è nato di legitimo matrimonio. Chi è forastero o incognito. Chi è bigamo, cioè che habbia avuto due mogli. Chi è irregolare in qualsivoglia altro modo. Chi fosse stato in guerra dove sia esequita morte di homini. Chi havesse esercitato l’officio di giudice criminale nel foro secolare. Chi havesse dato sentenza capitale. Chi havesse esercitato l’officio di procuratore fiscale, dove habbia potuto incorrere inre-

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golarità. Chi è sospeso. Chi è interdetto dall’ingresso della chiesa. Chi è scomunicato. Chi è pazzo. Chi è sottoposto al mal caduco. Chi è vessato da spiriti immondi o spiritato. Chi è approbato senza esame. Chi è promosso per salto, cioè non passando ordinatamente da un ordine ad un altro. Chi non ha esercitato li debiti interstizi nel pigliar l’ordini. Chi portirà lettere di favori o raccomandatizie. Chi non ha servito le chiese con assistenza e feste solenni e di precetto. Quelli che non hanno assistito alla lettione di casi di coscienza, dove si legono. Quelli che non sanno cantare, se haveranno andato alla scola di canto fermo. Quelli che da tre anni in qua sono stati proseguiti di peccati di lascivia, di fatti e di altri eccessi gravi. Quelli che non haviranno la scienza che si ricerca per li sacri canoni e Conseglio Tridentino. Quelli che non haveranno patrimonio in titulum benefitii o proprio di onze dodici di rendita l’anno».

gli ordinandi dovranno certificare di avere questi requisiti e il parroco dovrà informare il popolo sugli impedimenti elencati in calce al decreto. l’elenco dovrà essere affisso alle porte delle chiese madri. b) Editto per il comportamento e la disciplina del clero

anche in questo documento il gussio si riferisce ad un analogo editto promulgato nei giorni precedenti sullo stesso argomento23. Dopo una lunga premessa con le motivazioni teologiche e le esortazioni al clero di «menar vita esemplare e demostrarsi nelli costumi essere specchio nel quale potessero li secolari vedere e conoscere ogni santità di vita», impartisce alcune norme specifiche: — obbligo di «portar l’habito e tonsura, le vesti così la sottana seu robbone con il manto seu firriolo siano e debbano essere talari e non d’altro colore se non nigri, con fodere modeste e servate in modo che non possano fare ostentatione di farsi vedere li vestiti sotto, quali vogliamo che siano modesti e le calzette pure negre o inorate o pavonazze…». Si consente l’uso del cappello «quale sia conforme a sacerdoti si conviene». Tuttavia in chiesa o durante le funzioni «si lasci il cappello et si usi il biretto sacerdotale». — Proibizione «a tutti e singoli canonici, sacerdoti e chierici che non habiano, né debbiano portar mostaccio e barba grande e disdicevole, né 23

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ibid., fol. 3r-6r.


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sversa che non sia piccolina, né veruna specie di capillera, coma seu riccioli, né zazzera.». — Proibizione di portare armi «in particolare quelle che sono universalmente prohibite, come scopettoni e stiletti, quali ne anco possano tenere in casa…»; «l’armi delli sacerdoti e clerici devono essere l’orationi, lacrime e digiuni e non altre armi manuali». — Proibizione di esercitare «alcuno offitio d’avvocati e procuratori, né compaiano in giuditio secolare etiam per cause civili, se non per cause proprie e di loro chiese […], né ricevere carico di giudici compromissarii seu arbitri, né pigliar officio di tutore e curatore, né dar testimonianza ancor per cause civili nel foro laicale, né intercedano per leggi per altra qualsivoglia persona in corte secolare», senza espressa licenza del vescovo. — Proibizione di tenere rapporti con «qualsivoglia bannito o ladro pubblico, né possano intromettersi in negotii e compositioni delli suddetti sotto qualsivoglia pretesto, acciò sotto specie di pietà o carità, non divenghino coadiutori di furti e rapine, né possano anco essere datori di lettere di simili persone…». — Proibizione di «giocare a carte e dadi in pubblico né in privato, né intervengano in luoghi dove si gioca, né siano spettatori d’essi giochi…». — Proibizione di esercitare «qualsivoglia officio basso o vile non decente al decoro ecclesiastico e in particolare: di servire qualsivoglia signore e cavaliere o altra persona in tavola o in altri servigii, né accompagnar dame quantunque nobili e come si suol dire “dargli il braccio”, non esercitino officio di massari, non facciano officio di medico e massimamente di chirurgia, né si ingeriscano in altri offici simili non convenienti al stato loro…». — «Non s’esercitino d’andar a caccia prohibita dalli sacri canoni, né tenghino cani di caccia, falconi et altri animali atti e dedicati per servizio di caccia…». — «Non vadano vagando ad hore insolite e precisamente non eschino fora di lor case doppo d’essere passate le hore due di notte; ma nel termine di esse due hore si retirino in quelle, né usino musici istromenti fuori delle loro case (o delle chiese per decoro del culto divino) e per nessun caso presumano né di giorno, né di notte altrove esercitarsi in d’impiego, né cantare o andar sonando o andar in compagnia di altri che cantassero o suonassero…». — Proibizione di coabitare con donne «eccetto che essi cherici fossero figli di famiglia, ma altri che stanno per case proprie non possano tener 225


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altre donne se non madre, sorelle, nepoti e cugine in secondo grado con le quali l’istessa natura esclude ogni suspicione […]. In quanto poi alle famule o servitrici siano almeno di anni quaranta, di bona vita e fama e che non habiano dato mai mal odore e suspetto di loro honestà et questo con licenza in scrittis danda…». — Proibizione per tutti, secolari e chierici, del concubinato e ordine di separarsi immediatamente dalle concubine. «le ruffiane che persuaderanno a tali donne e l’inducessero a tale peccato siano in pena ipso fatto della publica frusta e di mesi sei d’esilio dalla diocese…». — Norme per i confessori: «Non vogliano negotiare o trattare con loro penitenti fuori del confessionario o fuori delle chiese e perciò li prohibemo di poter andare alle case, né trattenersi in case d’altri o altro luogo fuori delle chiese se non in caso d’infermità […] e similmente possano ingerirsi in loro negotii e cose domestiche, né habbiano d’haver corrispondenza per via di viglietti o lettere con ditti penitenti». c) Editto per la disciplina nelle chiese, il diritto d’asilo, il decoro del culto, la residenza dei chierici e l’esercizio di alcune professioni non confacenti al loro stato

Il gussio riassume in un unico documento del 20 novembre 1560, Iv ind.24, norme che hanno per oggetto problemi di natura diversa: — dopo essersi richiamato alle disposizioni date dai predecessori nei sinodi sulla partecipazione al culto divino nelle chiese, che esige silenzio, modestia e devozione, per evitare il frequente abuso del diritto d’asilo ordina: «Per tutte le chiese di questa città e nostra diocesi ove non si cantano li officii divini che finite le messe si serrino per tutto il giorno; ma ove si cantano li divini officii si serrino in sino ad hora di vespero e da vespero in sino a compieta, e dato poi il segno dell’ave Maria subito si serrino…». — «Non possono tenersi e ricettare i rifugiati per civile o criminale più di tre giorni nelle chiese e luoghi sacri…». — Obbligo per tutti i sacerdoti di un esame sulle cerimonie della messa, il «quale esame si farà attualmente con farglieli dir la messa, correntemente chiamata “messa secca” nella presenza nostra, del nostro vicario generale, mastri di cerimonie, esaminatori et altri da noi deputati…». 24

226

ibid., fol. 6r-7r.


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— Proibizione agli ecclesiastici di allontanarsi dalle loro chiese, se sono obbligati alla residenza secondo le norme del Concilio di Trento. — Proibizione agli ecclesiastici di esercitare la professione di «collettori seu esattori di gabelle, effetti et altri cosi spettanti ad università come a qualsivoglia altra persona cossì publica come privata…». Il vescovo, inoltre, manifesta il suo compiacimento nel costatare che la maggior parte degli ecclesiastici hanno già messo in pratica le norme emanate nel precedente editto e stabilisce un altro termine per coloro che ancora non hanno provveduto a tagliare barbe e baffi. d) Editto sulla disciplina dei monasteri, sulla piaga dell’usura, sui legati pii e l’amministrazione dei beni ecclesiastici

l’argomento iniziale di questo editto, emanato il 20 novembre 1650, ind.25, è il comportamento dei laici nei monasteri di clausura: — Proibizione per tutti di recarsi nei parlatori o in altri luoghi dei monasteri per parlare con monache, novizie, converse, educande e domestiche, ad eccezione dei parenti. Queste norme hanno anche vigore per i cosiddetti monasteri esenti, soggetti alle cure dei regolari, nei confronti dei quali il vescovo rivendica l’autorità di delegato apostolico conferitagli dal Concilio di Trento e dalla Congregazione. — Si ricordano ai religiosi le norme vigenti, che proibiscono di recarsi nei monasteri anche del loro stesso ordine e di parlare con le monache senza il permesso della Congregazione o, nei casi urgenti, del vescovo. — Norme per la celebrazione del sacramento della penitenza: i sacerdoti devono confessare nel confessionale con la veste talare, la cotta e la stola; i religiosi con l’abito regolare e la stola. I confessionali devono essere muniti della prescritta grata. — Norme per sradicare «l’usuraria pravità sempremai esecrata e severamente castigata cossì per le leggi divine come humane». Si raccomanda ai predicatori e ai confessori di non trascurare questo argomento, in modo che i fedeli siano edotti sulla gravità di questo peccato. Si esortano coloro che sono state vittime degli usurai di riferire al vescovo «quanto sia passato con ogni reserbezza e confidenza, per potersi dar da noi li rimedi Iv

25

ibid., fol. 7v-11r

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più efficaci e salutari con paterna pietà». Per gli usurai è prevista la pena di carcere ad arbitrio del vescovo26. — Norme sull’adempimento dei legati pii. Il vescovo essendo venuto a conoscenza che molti legati pii «lassati da fedeli testatori per celebratione di messe, maritaggio di orfani, fabriche e fundationi di chiese e monasteri come di qualsivoglia opera pia», «siano da ademplirsi», stabilisce un termine perentorio per la loro esecuzione. allo stesso tempo ordina una sorte di censimento di testamenti, donazioni, atti in cui sono contenuti i legati pii. — Norme sull’amministrazione dei beni ecclesiastici: gli amministratori devono ottenere la licenza scritta dal vescovo prima di fare spese straordinarie per conto di enti ecclesiastici. e) Editto per l’indizione della visita pastorale

Il gussio, il 1° gennaio 1651, Iv ind.27, indisse la prima visita pastorale della diocesi, che avrebbe avuto inizio dalla cattedrale il 6 gennaio successivo. avrebbe visitato i luoghi soggetti alla sua giurisdizione come vescovo, i luoghi esenti come delegato apostolico. agli ecclesiastici e agli amministratori di chiese, monasteri e luoghi pii ordinò di predisporre la documentazione e i registri secondo le prescrizioni canoniche. ai vicari ordinò di fare un censimento di tutte le anime della città, terre e casali:

«Quante anime sono di confessione e di comunione; farne annotamento; […] descrivendo tutto il clero, i nomi, l’età, l’ufficio; quali siano i confessori e similmente quanti monasteri ni sonno sotto qualsivoglia regola e titulo, quante monache in esse, novizie, educande e servitrici col nome, età con ufficio loro; quali siano i capellani, confessori, procuratori ed altri ministri e se ni sono monasteri pretesi esenti dalla nostra giurisditione e che numero; quante chiese parocchiali, sacramentali, abbatii, priorati et altri beneficii, monti di pietà, hospidali, chiese dentro e fuori le loro città et terre, cappelle, luoghi pii, oratorii, congregationi, compagnie, confraternità, quanti conventi di regolari, sotto qual regola e titulo, il numero dei religiosi

26 27

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Si vedano supra il profilo e le relazioni del vescovo Innocenzo Massimo. Editti 1650-1679, fol. 11r-12r.


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in ogni convento, quanto confessori e di che età e se siano fondati dall’anno 1615 a questa parte. faranno annotamento da tutti nostri officiali e ministri della nostra corte spirituale e giuliane fedeli delle scritture di loro archivi e di tutti i legati pii e quali siano i fedecommissari che terrano in ordine e ben disposti per presentarli al nostro arrivo».

Il vescovo, inoltre, si dichiarò pronto «per sentire tutto quello che ogneduno vorrà in pubblico ed in segreto manifestarci per la salute dell’anime e beneficio delle chiese e servicio di nostro Signore». f) Altro editto per la visita pastorale

Il gussio riprende il tema del precedente editto28 e, dopo aver spiegato i fini che si propone di raggiungere con la visita pastorale, invita ancora una volta i fedeli a dare tutte le informazioni utili per il governo della diocesi. Si chiedono in particolare notizie: sui confessori (ai superiori religiosi si chiede l’elenco dei sacerdoti confessori abilitati), sui responsabili delle chiese sacramentali, su coloro che avessero occupato terre o beni ecclesiastici, su coloro che non eseguono i legati pii, sugli officiali della curia vescovile e delle curie locali, nel caso che non avessero agito con giustizia, ma per rispetto umano, per denaro o altri motivi. g) Editto che disciplina il servizio dei sacerdoti nelle feste pasquali

Il vescovo, il 2 aprile 1651, Iv ind.29, ordina ai sacerdoti di Catania che non sono assegnati al servizio di chiese sacramentali o della collegiata di assistere alle funzioni pasquali nella cattedrale.

28 29

ibid., fol. 13r-14r. ibid., fol. 15r.

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h) Editto sulla processione del Corpus Domini

Il gussio, il 17 giugno 1651, Iv ind.30, ordina che nella processione del Corpus Domini i sacerdoti non dovranno partecipare fra le confraternite di cui sono membri e con gli abiti di esse, ma dietro la croce del clero.

i) Editto per il censimento delle persone che usufruiscono delle esenzioni fiscali

Il vescovo, il 17 luglio 1651, Iv ind.31, chiede i nomi delle persone ecclesiastiche e di coloro che vivono nei monasteri e nelle loro dipendenze, per avere riconosciute «le dovute franchezze alle persone ecclesiastiche delle vettovaglie che hanno necessario per lievare ogni difficultà e dargli giustamente quel che gli tocca». l) Editto per la festa della visitazione di Maria

Il vescovo, il 18 giugno 1651, Iv ind.32, in vista del concorso di popolo che si avrà in occasione della festa, ordina di separare in chiesa le donne dagli uomini. m) Editto per i monasteri femminili

Il vescovo, il 2 agosto 1651, Iv ind.33, ordina alle abbadesse di non sottoscrivere alcun contratto senza il suo consenso. n) Editto sulle recite teatrali

Il gussio, il 10 agosto 1651, Iv ind.34, dà precise disposizioni sulle recite teatrali: 30 31 32 33 34

230

ibid., fol. 15r-15v. ibid., fol. 15v-16r. ibid., fol. 16r-16v. ibid., fol. 16v-17r. ibid., fol. 17r-19v.


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— i sacerdoti e i chierici per evitare tutto ciò che li distrae dal loro impegno specifico e per essere coerenti con la scelta dello stato clericale, non possono recitare nei teatri dove «accadono per tal causa inconvenienti, disordini e male esempii gravi, trasmutandosi in donne et altre figure indecenti con fare attioni incongrui all’habito loro»; — istituisce una forma di censura preventiva sulle opere teatrali che si vogliono mettere in scena: «Prohibiamo qualsivoglia rappresentatione, recitatione di comedia, tragedia, tragicomedia, historia, opera et altri di sorta espresse cossì in prosa come in rime, cossì sacra come profana o indifferente che si fosse manuscritta, quale non possa da nessuna persona secolare e di qualsivoglia stato e condizione, che sia in rappresentarsi in qualsivoglia luogo cossì publico come privato della nostra diocesi, senza esser prima riconosciuta et approbata da noi e nostra gran corte vescovile in scriptis et questo ad effetto di riconoscersi da noi se in quelle vi fossero prohibitioni che deviassero dall’istituti di nostra santa fede o che fossero contrarii alle decisioni e bolle apostoliche o fossero contra bonos mores».

o) Editto per il pagamento delle decime

Il vescovo, il 27 agosto 1651, Iv ind.35, ordina il pagamento delle decime in favore della cattedrale, dovute per la dogana di alcuni prodotti nel territorio di Catania e di aci. p) Editto per il censimento delle vigne dei chierici e dei sacerdoti

Il vescovo, il 7 settembre 1651, v ind.36, ordina a tutti i sacerdoti e chierici di rivelare in iscritto tutte le vigne che possiedono e di indicare i titoli da cui deriva il possesso.

35 36

ibid., fol. 20r-21v. ibid., fol. 21r.

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q) Editto che vieta alle donne di andare in giro mascherate

Il gussio, il 6 settembre 1651, v ind.37, essendo venuto a conoscenza che a Catania e nel suo territorio

«van camminando alcune donne sotto vestiti et habiti di sfrazati e sconosciuti, che vulgarmente chiamano “babalutate”, di che ni risulta che alcune di esse, vedendosi in habiti sconosciuti e presumendosi non esser conosciuti, perdendo il rossore della modestia et il freno della pudicitia, sviate dalle inclinationi fragili, si danno con facilità in preda di alcuni inconvenienti gravi […]; di che volendoni con più fondamento certificare, ne habbiamo in genere discorso con alcuni padri spirituali delli più gravi e zelanti […] et havendo l’antedetto pervenuto a notitia di questo illustrissimo senato, col solito zelo e prudenza ni han fatto instanza che dovessimo sopra ciò, per quanto ni tocca,dare l’opportuno rimedo […], ordinamo et comandamo che da venerdì 8 del corrente, innanti e per l’avvenire, nessuna donna di qualunque età, grado e condittione che sia, voglia né debbia presumere divertirsi et andar camminando per le chiese, luoghi di devotioni et altri di questa città e suo territorio con vestimenti et habiti sfarzati e sconosciuti, né andare babalutati…»38.

3. la RElaZIONE AD LiMinA (1655)

la notevole rilevanza storica del documento che pubblichiamo, risalta anche ad una sua prima lettura per la ricchezza e la completezza dei dati che ci offre sulle città e le terre della diocesi di Catania, in un momento particolarmente delicato della storia siciliana. Il gussio non poteva interpretare in modo migliore le norme pontificie che gli chiedevano di descrivere lo stato della diocesi e compila un documento che ha i requisiti e le caratteristiche di una moderna statistica. Oltre a fornirci il numero degli abitanti delle città e dei centri della diocesi, raccolto con metodi e con finalità diverse dei vari censimenti del Regno di Sicilia, ci dà un quadro completo delle persone e delle istituzioni ecclesiastiche esistenti: chiese, clero, fedeli, istituti di carità, confraternite ed associazioni laicali…

ibid., fol. 21v-22r. Sulla prassi nella città di Catania delle “’ntupateddi” vedi supra il profilo del vescovo giovanni Torres. 37 38

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Mettendo a confronto la relazione di Ottavio branciforte del 1640 con quella del gussio, è facile notare le differenze di natura e di stile dei due documenti: la prima costituisce il resoconto della visita pastorale e dei provvedimenti presi dal vescovo all’inizio del suo governo, ma non ci dà dati completi ed esaurienti sullo stato della dicesi; la relazione che pubblichiamo ci offre un quadro completo di dati, ma con scarse note personali dalle quali non è possibile dedurre il tipo di azione pastorale svolta dal gussio e l’incidenza avuta nelle strutture e nella vita della diocesi; tuttavia questa diversità, più che contrapporre i due documenti, li rende complementari e ci consente di avere a distanza di pochi anni una notevole quantità di dati e di notizie per lo studio della situazione della diocesi di Catania nel secolo xvII. I dati forniti dalla relazione del gussio acquistano un particolare significato, se si tiene conto del momento storico in cui il documento è scritto: la crisi economica e politica culminata nei moti del 1647; la ridistribuzione della popolazione fra i diversi comuni della Sicilia, in seguito alla fondazione e allo sviluppo di nuovi centri abitati; l’autonomia concessa ai casali etnei, una volta parte integrante del territorio di Catania, con la loro vendita ad alcuni fuedatari; la grande eruzione dell’Etna del 1669 e il disastroso terremoto del 1693, che di lì a pochi anni cambieranno la topografia della diocesi di Catania. Una breve analisi dei dati offertici dalla relazione potrà essere di aiuto al lettore per la valutazione del documento. a) Particolari competenze del vescovo di Catania

la relazione, dopo i convenevoli d’uso, inizia con le notizie generali sulla sede vescovile di Catania, con l’elenco delle particolari competenze del vescovo non direttamente collegate al suo ufficio episcopale (la potestà esercitata come signore feudale nella contea di Mascali, l’ufficio di cancelliere dell’Università, il diritto di confermare i pubblici notai nella città e nel territorio della diocesi) e con la descrizione della cattedrale. Si tratta di notizie che di solito si ripetono in ogni relazione e che non hanno bisogno di ulteriori approfondimenti: «Catania, capoluogo della diocesi, città antichissima, sede e protettrice di re, preclarissima fra le principali città {della Sicilia} è fondata in riva al

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mare. Il vescovo è conte di Mascali, cancelliere del pubblico ginnasio e conferma nel territorio della città e delle diocesi i notai. la sede vescovile fu istituita dal Principe degli apostoli, dopo la fondazione della chiesa di antiochia, e come primo vescovo fu inviato berillo, come ha confermato recentemente Cesare baronio nel martirologio. È di diritto di patronato del re cattolico di Spagna» (fol. 163v).

b) Descrizione della cattedrale

la descrizione della cattedrale acquista una particolare importanza perché ci consente di conoscere il suo interno prima della distruzione nel terremoto del 1693 e la successiva ricostruzione nelle forme attuali:

«la cattedrale è molto ampia, maestosa, la più grande della Sicilia. fu costruita e dotata nel 1092 dal Conte Ruggero e dai re suoi successori nel regno, che emularono la pietà di Ruggero verso s. agata v. M., patrona e signora della sua città, fu arricchita di molteplici benefici. le strutture di questo tempio sono grandiose, costruite sulle antiche terme con una forma perfetta, in tre navate e tre emicicli o tribune, di cui la prima a destra serve alla conservazione dell’eucaristia in un tabernacolo costruito con pietre preziose, quella a sinistra, invece, conserva integro con il velo, in reliquiari d’argento, il corpo della suddetta sposa di Cristo; quella centrale e maggiore, infine, è ornata da un affresco che ritrae l’incoronazione di s. agata da parte del Signore gesù e i santi martiri e vescovi catanesi. Contiene all’intorno: gli stalli per il capitolo dei canonici, i beneficiati e i mansionari, i quali si riuniscono ogni giorno nelle ore stabilite, per cantare i salmi alla divina Maestà, ed anche sette corpi di re racchiusi i due mausolei. Dal lato destro della basilica c’è un altare dedicato a Cristo crocifisso […]. a questo altare corrisponde dal lato opposto quello dedicato alla Madonna, che serve per conservare la sacra suppellettile: i vasi, i candelieri d’argento, gli arredi e gli ornamenti necessari per il culto. la cattedrale è arricchita di altri sei altari costruiti artisticamente con marmi preziosi, dei quali il primo, dal lato destro, è dedicato a San giorgio, il secondo alla Madonna, a San giuseppe e al Santo Precursore, il terzo agli apostoli Pietro e Paolo. Dal lato sinistro: il quarto a Sant’agata, il quinto, vicino a quest’ultimo, all’arcangelo Michele, l’ultimo a Cristo Risorto. altri tre saranno eretti prima delle prossime feste di Natale: uno a San berillo, primo vescovo della città, un altro a San Carlo, un altro ancora a San francesco di Paola. Infine dal lato destro del tempio, vicino al cor-

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tile grande, si innalza molto in alto, il campanile a forma di torre quadrata, munito di campane» (fol. 163v-165r).

c) il capitolo e le processioni a cui è tenuto a partecipare

Il capitolo della cattedrale, un tempo formato dai monaci benedettini e dopo il Concilio di Trento dal clero secolare, è costituito da quattro dignità (il priore, il cantore, il decano, il tesoriere) e dodici canonici39. a questi bisogna aggiungere: dodici beneficiati, otto mansionari e il maestro cappellano, a cui compete, assieme a quattro curati, l’amministrazione dei sacramenti. Spetta al vescovo, come delegato della sede apostolica, conferire tutti questi benefici. l’indicazione delle processioni cittadine più importanti alle quali il capitolo è obbligato a partecipare, ci offre elementi utili per ricostruire la religiosità popolare della città di Catania: «le processioni straordinarie alle quali il capitolo deve partecipare sono: quella con il braccio di s. Sebastiano che ogni anno, il 20 gennaio, si muove verso la chiesa a lui dedicata, in ringraziamento per la fine della peste, come attesta un’antica tradizione; la seconda di s. Cataldo, il cui capo, il 10 maggio, è solennemente trasportato nella chiesa dedicata al suo nome; la terza con la gola di s. biagio, il 28 aprile, che si chiude nella sua chiesa, in ringraziamento da un voto del senato, per la fine della difterite che aveva contagiato i bambini della città; tre in onore di s. agata: una, detta “la luminaria”, il 3 febbraio, un’altra con il velo il 17 giugno, in ringraziamento per la fine dell’eruzione dell’Etna, la terza il 17 giugno con il braccio, per la liberazione dalla peste, per l’intercessione della medesima vergine e martire agata; infine due durante la quaresima con la bolla della santissima crociata» (fol. 166v)40.

39 Notizie più dettagliate sul capitolo della cattedrale di Catania sono riferite da: R. PIRRI, Sicilia sacra, cit., I, 571-574; I.b. DE gROSSIS, Catanense Dechacordum, cit., I, 5368. Ottavio branciforte aveva ripristinato la prebenda dell’arcidiaconato e l’aveva conferita al fratello luigi (vedi supra il profilo del vescovo Ottavio branciforte). Dalla relazione del gussio si deduce che si era trattato di un provvedimento ad personam, che non ebbe seguito dopo la nomina di luigi branciforte a vescovo di Melfi. 40 Nella descrizione delle processioni di s. agata, il copista per errore ha indicato la stessa data per due di esse. In realtà le processioni avevano luogo: il 19 gennaio con il velo dalla cattedrale a Sant’agata la vetere, il 3 febbraio per l’offerta della cera, e il 17 giugno con il braccio in ringraziamento per la liberazione dalla peste. altre due processioni solenni

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d) Le chiese sacramentali della città e l’organizzazione della cura delle anime nella diocesi

Il gussio non sembra molto interessato a riforme di struttura; stando ai dati contenuti nella sua relazione, si potrebbe affermare che egli si limiti ad accettare la situazione che trova al momento del suo ingresso. Durante il suo governo non pare siano state apportate modifiche all’organizzazione della cura delle anime esistente in diocesi o siano state erette chiese sacramentali autonome41. Nella sua relazione non specifica la differenza che esiste in alcune chiese fra la cura collegiale delle anime affidata alle comunie e la cura delle anime affidata al singolo cappellano o beneficiale. Il suo silenzio non può essere interpretato come un cambiamento della situazione esistente durante il governo dei suoi predecessori, perché i vescovi che gli succedono si porranno questo problema e incontreranno non poche difficoltà a risolverlo, fino al punto da chiedere consiglio alla Santa Sede42. Nel descrivere l’organizzazione della cura delle anime nella città e nei comuni, egli si limita a fornire alcuni dati elementari, riducibili ad uno schema comune, senza scendere nei dettagli:

«[a Catania] si contano altre cinque chiese sacramentali coadiutrici della cattedrale con il compito di amministrare ai fedeli i sacramenti; una per ogni quartiere: la prima delle quali è quella di San filippo apostolo, la seconda di Santa Marina, la terza di Santa Maria dell’Itria, la quarta di San biagio, l’ultima di San Tommaso; ognuna di esse ha il suo cappellano» (fol. 167v.). «[a Paternò] alla cura delle anime sono destinati i cappellani» (fol. 193r). «[a Regalbuto] i cappellani amministrano ai fedeli i sacramenti» (fol. 196r). «[ad assoro] per l’amministrazione dei sacramenti prestano servizio i cappellani» (fol. 198r)…

alle quali la relazione del gussio non fa cenno, perché venivano fatte per iniziativa dei religiosi, erano: quella del s. Chiodo, che partiva dal monastero di San Nicola l’arena il 14 settembre, e quella dei ss. Capelli della Madonna, che l’8 dicembre iniziava dalla cattedrale per chiudersi nella chiesa dell’Immacolata, (f. PRIvITERa, Annuario catanese, cit., 222-223. le notizie riferite da questo autore vanno prese con cautela, perché imprecise e raccolte con molta approssimazione). 41 vedi a tal proposito: a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit.; M. DONaTO, Le chiese sacramentali del territorio di Aci, cit., 39-90. 42 vedi infra i rilievi del vescovo Salvatore ventimiglia nella relazione del 1762.

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Si dimostra, invece, molto attento a indicare le fonti del sostentamento dei cappellani sacramentali: i benefici, le rendite della chiesa, le primizie (nella maggior parte dei casi), la retribuzione da parte del feudatario. I cappellani sacramentali sono di libera nomina vescovile; solo in alcuni casi si ha la presentazione del feudatario43. Possiamo trovare la chiave di lettura per interpretare il pensiero del gussio nell’affermazione che troviamo alla fine della sua relazione, sulla figura giuridica dei vicari foranei, che di fatto in ogni centro abitato avevano la responsabilità del governo pastorale: «In ogni luogo di questa diocesi abbiamo un vicario foraneo (forse sarebbe meglio chiamarlo nostro vicario episcopale), per il governo spirituale delle chiese e l’amministrazione della giustizia» (fol. 207r).

Non sembra azzardato affermare che per il gussio sia questo l’ufficio più rilevante nell’organizzazione pastorale della diocesi, fino al punto da non dare eccessiva importanza ai cappellani sacramentali, che si limitavano ad un lavoro di routine, sotto la guida del vicario foraneo. anche se nella sua relazione non affronta esplicitamente il problema che angoscerà i suoi successori, di stabilire cioè se nella diocesi di Catania esistano veri parroci distinti dal vescovo, con la piena responsabilità della cura delle anime, in realtà si dimostra convinto che la maggiore responsabilità del governo pastorale spetti ai vicari foranei e che i cappellani sacramentali siano dei semplici amministratori di sacramenti44. e) il seminario

Uno dei punti nodali della riforma tridentina era l’erezione in ogni diocesi del seminario per la formazione dei sacerdoti45. la Santa Sede esercitò sui vescovi continue pressioni perché si attuasse questa riforma; i vescovi non tardarono ad accogliere l’invito46; ma non sembra che questo

Si veda il caso dei comuni di Pietraperzia (fol. 199r) e aidone (fol. 200r). Per questo argomento vedi: a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 35-40; 117-150. 45 Sess. xxIII, c. 18, COeD 750-753; h. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, cit., Iv/2, 105-115; l. WIllaERT, La restaurazione cattolica, cit., 102-108. 46 Per la diocesi di Catania vedi «Introduzione», n. 9. 43 44

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istituto abbia esercitato per un lungo periodo di tempo un’apprezzabile influenza nella vita delle chiese. I dati forniti dal gussio nella sua relazione sono indicativi:

«Esiste il seminario dei chierici, fondato secondo le prescrizioni del Concilio di Trento; perché in esso i fanciulli di buona indole siano istruiti e imparino la grammatica e la musica, abbiamo nominato come rettore (con tutto lo zelo conveniente) una persona prudente, di buona fama, eminente per virtù. I seminaristi nelle domeniche e nei giorni festivi, secondo le norme del suddetto sacro Concilio, prestano il loro servizio nella cattedrale. I contributi per il mantenimento del seminario sono pagati dalla nostra mensa vescovile, dalle confraternite, dalle chiese e dai benefici della città e della diocesi. Quattro deputati, eletti secondo il decreto del suddetto Concilio di Trento, hanno il compito dell’amministrazione e di provvedere al necessario. I bambini che vi alloggiano sono: due convittori e otto alunni» (fol. 167v-168r).

Se si tiene presente: che nel 1655 vivevano in seminario solo dieci bambini (pueri) che imparavano la grammatica e la musica; che la stessa relazione indica in 524 il numero dei diaconi, suddiaconi e chierici di tutta la diocesi (fol. 209v); che nelle condizioni per ricevere gli ordini, indicate dallo stesso gussio negli editti sopra citati, non esiste quella che obbliga i candidati ad una sia pur minima presenza in seminario, c’è da concludere che questo istituto non aveva una influenza rilevante nella formazione dei chierici; il ruolo modesto che svolgeva nella diocesi non era proporzionato alle finalità che il Concilio di Trento si proponeva di raggiungere. f) Censimento della popolazione della diocesi

fin dal secolo xvI avevano avuto inizio nel Regno di Sicilia i censimenti ufficiali per il calcolo della popolazione, ma i loro risultati erano tutt’altro che obiettivi; poiché i fini che si prefiggevano le autorità erano prevalentemente fiscali e militari, i cittadini erano portati a rivelare un numero inferiore di componenti delle famiglie nella convinzione di limitare le conseguenze negative del censimento47.

47 f. MaggIORE PERNI, La popolazione di Sicilia e di Palermo dal sec. x al xViii secolo, Palermo 1892. Per la popolazione della città di Catania, vedi: g. CavallaRI, La popolazione di Catania attraverso il tempo, Catania 1948.

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Il numero degli abitanti dei diversi centri, indicati nella relazione del gussio, provengono da un censimento ordinato dal vescovo nell’editto di indizione della prima visita pastorale48; pertanto cambiano sia i criteri di raccolta dei dati, sia le finalità e le persone che eseguono il censimento. Queste circostanze dovrebbero indurci a dare una maggiore credibilità alle cifre riportare nella relazione; ma un confronto fra i due censimenti non esclude perplessità e riserve (in alcuni comuni le cifre di uno dei due censimenti sono quasi il doppio rispetto a quelle dell’altro). In ogni caso disponiamo di nuovi e interessanti elementi per affrontare il difficile problema della popolazione siciliana nel secolo xvII.

Città Catania Piazza Enna Calascibetta San filippo d’agira aci Inferiore aci Superiore Motta Sant’anastasia Malpasso Paternò biancavilla adrano Centuripe Regalbuto leonforte assoro Pietraperzia barrafranca aidone Mirabella valguarnera viagrande Trecastagni Pedara 48

vedi supra.

Relazione gussio 12.022 15.300 10.480 3.890 8.780 10.230 5.745 560 1.370 4.500 2.000 4.200 750 5.400 2.360 7.857 1.530 1.030 7.658 230 — 1.690 3.200 1.588

Censimento ufficiale 11.340 13.641 10.500 4.530 8.291 8.805 6.994 563 4.120 4.011 2.549 5.933 879 4.343 2.530 3.988 2.250 1.638 6.422 — 394 1.826 3.293 1.612

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Città Tremestieri San giovanni galermo Sant’agata Misterbianco Plache (gravina) Mascalucia Nicolosi Mompileri Camporotondo San gregorio Trappeto San giovanni la Punta San Pietro

Relazione gussio 1.135 492 330 2.657 935 1.035 980 200 1.600 450 332 1.007 625

Censimento ufficiale 1.071 406 326 3.656 715 1.413 — 515 895 556 294 935 1.021

Una sommaria analisi di queste cifre ci fa costatare che Catania, nonostante l’ampolloso titolo di «metropoli» datole dal gussio nelle ultime pagine della sua relazione (secondo lo stile degli storici catanesi del tempo), non è la città più popolata della diocesi: Piazza la supera, Enna ha quasi lo stesso numero di abitanti, San filippo d’agira e aci aquilia seguono a poca distanza. Ma le cifre riportate nella relazione, oltre a darci il numero complessivo degli abitanti, ci danno anche il numero delle famiglie e il numero di coloro che sono obbligati al precetto della comunione pasquale. a tal proposito le diverse espressioni adoperate dal gussio nella relazione49 potrebbero indurci a credere che siano indicati i fedeli che a Pasqua fanno il precetto. Riteniamo poco probabile questa ipotesi, considerato che il vescovo nell’editto in cui ordina di raccogliere i dati che poi utilizza nella relazione, si esprime con queste parole: «a tutti i reverendi vicari della nostra diocesi comandiamo a far descrivere tutto il popolo delle loro città e terre; quante anime sono di confessione e di comunione»50. Inoltre non sarebbe stato facile fare un censimento dei fedeli che a Pasqua facevano il precetto, considerato che da tempo non si registravano più i nomi di coloro che si confessavano e si comunicavano, per individuare e punire i renitenti51. Per tal

«Qui pane eucharistico refocillantur […]. Qui per sacramentum Deo reconciliantur…» (fol. 177r). «Qui praeceptum eccesiasticum communionis adimplent…» (fol. 194r). 50 Editti 1650-1679, fol. 12r. 51 vedi supra profilo del vescovo Ottavio branciforte e la rel. 1640, fol. 127v, art. 44. 49

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motivo non riteniamo possibile stabilire da queste cifre la percentuale dei praticanti nella popolazione totale dei diversi centri abitati. In tema di cifre saremmo stati curiosi di sapere se in mezzo ad una popolazione cattolica esistessero minoranze di altre confessioni e religioni; ma il gussio nella parte finale della sua relazione è orgoglioso di comunicare alla Santa Sede: «Ringraziando la divina Maestà gli abitanti di questa diocesi osservano tutti la fede cattolica e non abbiamo trovato nessuno che si sia allontanato da essa» (fol. 207v). l’affermazione non dovrebbe sembrare esagerata se si pensa all’espulsione di tutti gli ebrei dalla Sicilia nel 1492 e alla repressione seguita al primo diffondersi delle idee luterane ad opera della santa Inquisizione52. g) Sacerdoti, chierici, monasteri e conventi di religiosi, eremiti

Dai soli dati forniti dal gussio nella sua relazione è impossibile stabilire il grado di preparazione del clero, le linee dell’azione pastorale, l’attività dei numerosi istituti religiosi esistenti nella diocesi di Catania e il loro contributo per attuare le linee di riforma emerse dopo il Concilio di Trento. Conosciamo la problematica affrontata nella sess. xxv del Concilio di Trento sulla presenza dei religiosi nell’azione pastorale delle diocesi53, ma occorrerebbero elementi molto più ricchi e specifici per stabilire fino a che punto le comunità monastiche, gli ordini mendicanti e gli altri istituti religiosi esistenti in diocesi recepirono lo spirito della controriforma e cercarono di tradurlo nella vita e nell’azione54.

M. gaUDIOSO, La comunità ebraica di Catania nei secoli xiV e xVi, Catania 1974; a. lONghITaNO, La parrocchia nella diocesi di Catania, cit., 47-52. 53 h. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, cit., Iv/2, 245-249. 54 Per questo argomento vedi: l. WIllaERT, La restaurazione cattolica, cit., 115-210; E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 688-697; a. galUZZI, La vita religiosa in italia dopo il Concilio di Trento, in Problemi di storia della Chiesa nei secoli xV-xVii, Napoli 1979, 201-222; E. bOaga, Aspetti e problemi degli ordini e congregazioni religiose nei secoli xVii-xViii, in Problemi di storia della Chiesa nei secoli xVii-xViii, cit., 91135. I vescovi assumevano un diverso atteggiamento nei confronti dell’esenzione: il branciforte, ad esempio, visitando i monasteri femminili dipendenti dalla giurisdizione dei regolari, riconosceva i limiti che ne derivavano per la sua azione pastorale ed auspicava: «Expedit sane omnia huiusmodi monasteria ab ordinariis dirigi» (vedi supra, rel. 1640, fol. 103v). Il gussio, invece, si appellava con più decisione alle facoltà ricevute dal Concilio di Trento come «delegato dalla Sede apostolica», per superare i limiti posti dall’esenzione (vedi supra nel suo profilo l’editto per l’indizione della prima visita pastorale). 52

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Sappiamo che i religiosi solo in casi eccezionali e in mancanza del clero diocesano potevano esercitare la cura delle anime55. Tuttavia, a parte questa limitazione, rimaneva loro un ambito notevole di autonomia per svolgere il ministero legato al proprio specifico carisma. Desta qualche meraviglia l’elevato numero di sacerdoti, chierici, religiosi e religiose in rapporto alla popolazione esistente56. Nella sola città di Catania ad una popolazione di 12.022 abitanti laici bisogna aggiungere: 110 sacerdoti, 90 chierici, 564 religiosi in 62 monasteri e conventi, e 849 religiose in 23 monasteri (fol. 209v-210r). Negli altri centri abitati della diocesi ad una popolazione di 116.191 laici bisogna aggiungere: 633 sacerdoti, 433 chierici, 564 religiosi in 62 monasteri e conventi, 849 religiose in 23 monasteri (fol. 210r-211r). Particolare rilevanza nella relazione del gussio acquistano i dati relativi agli eremiti esistenti a Rossomanno, Iudica e Scarpello (fol. 206v), soprattutto se integrati con quelli della prima relazione di Ottavio branciforte57. Si tratta di eremiti che, secondo la terminologia bizantina, per certi aspetti possono essere definiti «calibiti», in quanto abitano ciascuno in una cella separata, ma partecipano in tempi determinati all’ufficio liturgico in chiesa; per altri aspetti possiamo considerarli «cellioti», perché si dedicano ai lavori degli orti o di piccoli campi. Non riteniamo che questa forma di eremistismo possa essere considerata irregolare, perché di fatto i vescovi esercitavano sugli anacoreti la loro giurisdizione58.

55 Nella relazione di O. branciforte leggiamo: «a Centuripe, un piccolo villaggio, visitammo la sola chiesa esistente in cui gli agostiniani scalzi amministrano i sacramenti ai centuripini; vi si tenne la cresima per i bambini. furono esaminati ed approvati per ascoltare le confessioni due padri, uno di essi fu nominato vicario del luogo» (rel. 1640, fol. 103r). al tempo del gussio, sebbene la chiesa madre fosse sempre affidata agli agostiniani, i sacramenti venivano amministrati da due sacerdoti secolari (rel. 1655, fol. 196r). Per questo tema vedi: a. lONghITaNO, Conflitti di competenza, cit., 177-196; 359-386. 56 Da tenere presente che la relazione è antecedente alla soppressione dei piccoli conventi maschili, ordinata da Innocenzo x con la bolla instaurandae regulares disciplinae del 15 ottobre 1652 (E. bOaga, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in italia, Roma 1971). I dati forniti dal gussio costituiscono, pertanto, un riferimento prezioso per verificare il numero dei conventi soppressi nella diocesi di Catania in seguito al provvedimento pontificio. 57 vedi supra rel. 1640. 58 leggiamo nella prima relazione del branciforte: «Per loro abbiamo stabilito delle norme allo scopo di aiutarli a vivere bene, in pace e con amore. abbiamo anche rimosso i vecchi superiori che non piacevano e li abbiamo sostituiti con altri più diligenti» (fol. 117v). Su questo tipo di anacoreti, vedi: Ph. ROUllaRD, Eremistismo in Occidente, in DIP, III, cit.,

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h) Le istituzioni di carità

la grande fioritura di istituti e di iniziative di carità, che può essere considerata una delle caratteristiche della controriforma, trova il suo riflesso anche nella diocesi di Catania59. la relazione ci dà una buona testimonianza sulla presenza di queste iniziative sia nella città, sia nei centri più popolati: gli ospedali, i brefotrofi, i monti di pietà, gli orfanotrofi, le case di accoglienza per forestieri, gli istituti per le donne ‘pentite’, i legati di maritaggio per le ragazze povere, i legati per costituire la dote alle ragazze povere che vogliono entrare in monastero…60. Di solito questi istituti non sottostanno esclusivamente all’autorità ecclesiastica; la direzione e l’amministrazione sono affidate ad un consiglio formato anche da laici designati dalle autorità civili61. Da notare a Catania l’esistenza di una casa ‘aperta’ per quelle donne che vogliono abbandonare la prostituzione: «sotto la direzione di una donna di buono spirito […] vi abitano liberamente» (fol. 172v). In tutta la diocesi si contano: 13 ospedali, 8 orfanotrofi, 3 case per donne ‘pentite’, 1 casa di accoglienza per forestieri, 13 monti di pietà, 30 legati di martaggio, 2 legati per monache (fol. 211r). i) Le confraternite e le associazioni laicali

Uno dei dati più rilevanti della relazione è quello riguardante le confraternite e le associazioni laicali, delle quali è difficile trovare in altre fonti un elenco così vario e dettagliato come quello che ci offre il gussio. Sebbene il documento si prefigga di offrire solo dati statistici, ci dà anche 1230-1244; f. fERRERO, Eremitismo individuale in Occidente, ibid., 1245-1258; T. SPIDlIk, Calibiti, ibid., I, Roma 1974, 1713-1714; J. REZaC, Cellioti, ibid., II, Roma 1975, 747-748; P. MagNaNO, L’eremitismo irregolare nella diocesi di Siracusa. Documenti inediti del sec. xViii, Siracusa 1983. 59 vedi introduzione, nn. 8-9. 60 Catania, fol. 164r-v, 171r-174r; Piazza, fol. 179v-180v; Enna, fol. 182v-183v; Calascibetta, fol. 185r-v; San filippo d’agira, fol. 188r; aci aquilia, fol. 188v; Paternò, fol. 194r; adrano, fol. 195r-v; Regalbuto, fol. 196v-197r; assoro, fol. 198r-v; aidone, fol. 200v. 61 Il gussio in diversi punti della sua relazione descrive i consigli di amministrazione delle opere pie, composti da membri nominati dalle autorità ecclesiastiche e civili: Catania, fol. 164v, 173r-v; Calascibetta, fol. 185v-186r; Paternò, fol. 194r; Regalbuto, fol. 197r.

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la possibilità di distinguere la diversa natura di queste associazioni laicali, che nei secoli xvI e xvII hanno avuto un periodo di grande fioritura62. la relazione distingue fra: confraternitates, sodalitia, congregationes, probabilmente per indicare le diverse forme di associazionismo laicale: le confraternite, fondate prevalentemente su basi corporative, i terzi ordini che si prefiggono di rendere partecipi i laici della spiritualità e della missione degli ordini religiosi, le associazioni moderne che sorgono su basi di tipo culturale63. Tutte queste forme di associazioni si prefiggono scopi formativi, di carità e di culto: assistere i condannati a morte64, dare una sepoltura cristiana ai defunti65, servire i malati negli ospedali, gestire i monti di pietà e gli istituti assistenziali66. Sono molte le confraternite del Santissimo Sacramento e del Rosario, fondate per impulso della controriforma allo scopo di incrementare il culto eucaristico e mariano67. In ogni caso le diverse forme di associazionismo laicale devono essere considerate fra i soggetti principali di quella religiosità popolare che trova nelle pratiche devozionali, nelle processioni e nelle feste le sue più significative manifestazioni. Da sottolineare le associazioni promosse nelle chiese dei gesuiti, come tipo di associazionismo più aperto, che cerca di superare le forme tradizionali per una maggiore incidenza nel sociale68.

62 l. WIllaERT, La restaurazione cattolica, cit., 201-210; g.g. MEERSSEMaN – g.P. PaCINI, Le confraternite laicali in italia dal Quattrocento al Seicento, in Problemi di storia della Chiesa nei secoli xV-xVii, cit., 109-136. Per la storia delle confraternite in Sicilia e nella diocesi di Catania vedi lo studio monografico: Associazioni e confraternite laicali in Sicilia in età moderna, cit. 63 E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 681-682. 64 Catania, fol. 174r; Piazza, fol. 181r. 65 Catania, fol. 174r; Piazza, fol. 180v; Calascibetta, fol. 185v; biancavilla, fol. 194v. 66 Catania, fol. 173v-174v; Piazza, fol. 180v-181r; aci aquilia, fol. 188v-189r; Paternò, fol. 194r. 67 E. ISERlOh – J. glaZIk – h. JEDIN, Riforma e controriforma, cit., 680-682. Dalla relazione del gussio possiamo rilevare in quasi tutti i centri abitati della diocesi l’esistenza della confraternita del SS. Sacramento, che promuove la processione eucaristica ogni terza domenica del mese; meno numerose le confraternite del Rosario: Catania, fol. 174v, 176r; Enna, fol. 183v; Calascibetta, fol. 185r; San filippo d’agira, fol. 187r-v, in questa città troviamo tre «societates Sanctissimi Sacramenti» in tre chiese diverse; aci Platani, fol. 190r; aci Sant’antonio, fol. 189v; aci San filippo, fol. 190r; aci Santa lucia, fol. 191r; valverde, fol. 191v; aci bonaccorsi, fol. 192r; Malpasso, fol. 192v; Paternò, fol. 193v; biancavilla, fol. 194v; adrano, fol. 195v; leonforte, fol. 197v; viagrande, fol. 201r; Trecastagni, fol. 201v; Tremestieri, fol. 202v; Misterbianco, fol. 203v; Mascalucia, fol. 204r; Nicolosi, fol. 204r. 68 Catania, fol. 176r.

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4. Il SUCCESSORE CaMIllO aSTallI

alla morte di Marco antonio gussio il re filippo Iv presentò per la sede di Catania il card. Camillo astalli, nato a Sambuci di Roma il 21 ottobre 1616, da fulvio astalli e Caterina Pinelli. la bolla pontificia di nomina porta la data del 28 giugno 1661. Il nuovo vescovo prese possesso per procura nel mese di luglio, raggiunse Catania il 13 dicembre 1661 e governò la diocesi per pochi anni, essendo morto il 21 dicembre 1663, all’età di 47 anni, senza inviare alcuna relazione ad limina69.

69 P. gaUChaT, Hierarchia catholica, cit., Iv, 142. Su questo personaggio meritano di essere riferite alcune notizie a testimonianza di una mentalità e di una prassi ancora vive in quegli anni nella Chiesa. Camillo astalli era nipote del card. Domenico Pinelli, ma entrò nelle grazie del Papa Innocenzo x, che lo adottò come nipote, in seguito ad un episodio curioso: un nipote del papa, Camillo Panfili, aveva lasciato la porpora e gli onori della corte pontificia per sposare Olimpia aldobrandini; il pontefice per ripicca offrì il cognome, la porpora e le cariche del nipote al giovane astalli, che portava già lo stesso nome del Panfili. Ma i sentimenti del papa verso il nipote adottivo mutarono negli anni e il giovane, privato dei privilegi acquisiti con l’adozione, fu allontanato dalla corte pontificia e da Roma. alla morte di Innocenzo x, il card. astalli partecipò al conclave che elesse alessandro vII ed accettò le proposte di filippo Iv, che in un primo tempo lo volle cardinale protettore dei regni di Napoli e di Sicilia e successivamente vescovo di Catania (a. MONgITORE, Siciliae sacrae […] additiones et correctiones, cit., 130; P. gaUChaT, Hierarchia Catholica, cit., Iv, 29).

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1655 – Relazione del vescovo Marco antonio gussio, relativa al 23° triennio, presentata nel gennaio del 1656 dal procuratore g. Pappalardo, canonico della cattedrale1.

[fol. 163r] Santissimo Padre, la bontà divina e l’eterna sapienza per la sua gloria, prima impose sulle nostre spalle, senza alcun nostro merito, la cura e l’ammini-

Rel Dioec 207 a, fol. 163r-207v. alla relazione sono allegati i seguenti documenti: 1) lettera del vescovo alla Congregazione: «Em.mi e Rev.mi Signori, la continova indispositione, caggionatami da una grave infermità havuta nella città di Piazza in discorso di visita m’ha reso inabile di far lungo viaggio senza mio evidente pericolo, sicome per fede del protomedico ed altri medici di questa città le vostre Signorie Eminentissime riconosceranno; mi scusino perciò che presentialmente non vengo a visitare il limen apostolorum e rappresentare il stato di questa Chiesa, per lo qual effetto mando uno delli canonici di questo capitolo con la potestà necessaria, acciò da mia parte complisca l’obligo che devo et alle vostre Signorie Eminentissime riverisco offerendomi prontissimo servitore pregandogli dal Signore ogni maggior contento e baciandole l’eminentissime mani. Catania, 8 di novembre 1655. Eminentissimi e Reverendissimi Signori. Dell’Eminenze loro devotissimo servitore. Marco antonio, vescovo di Catania» (fol. 150v); 2) procura redatta dal notaio Carlo Milici il 7 novembre 1654, Ix ind., alla presenza dei testi il sac. D. giovanni battista Caponetto, giuseppe Capace e antonio Milice per il canonico della cattedrale D. giuseppe Pappalardo, recante in calce l’autentica del senato (fol. 153r-154v); 3) un certificato firmato dal protomedico e dal collegio dei medici in cui si attesta che «Ill.mus et Rev.mus Dominus D. Marcus antonius gussio, Episcopus Catanensis, ob fervidissimam hepatis intemperiem continuo morbo icterico vexatur, cuius merito ventriculi imbecillitate infestatur ita ut non possit recte et ut decet cibum concoquere et ex consequenti totius corporis cachexia detinetur, his itaque de causis non potest ullo pacto longo itinere defatigari nec navigando, nec equitando. Nam secus faciens necessario in evidentissimum vitae discrimen incursurum iudicamus» (fol. 155r155v); 4) una dichiarazione sottoscritta dai canonici della cattedrale sulla malattia del vescovo manifestatasi durante la visita pastorale: «Nos dignitates et canonici cathedralis ecclesiae Catanensis indubiam fidem facimus et testamur Sanctae Sedi apostolicae, Sacrae Congregationi Eminentissimorum Cardinalium Sacri Concili Tridentini interpretum ac omnibus aliis presentem visuris pariter et lecturis, qualiter Ill.mus et Rev.mus D.nus D. Marcus antonius gussio, noster Catanensis episcopus, in civitate Platiae in discursu visitationis in maximum morbum incidit non sine nimio vitae discrimine ex quo remansit in continua aegritudine ut nullo modo possit longo defatigari itinere, nec navigando, nec equitando, aliter faciens, in manifestum vitae periculum incursurus nostro videtur iudicio. In quorum omnium fidem presentem facimus manu propria subscriptam et sigillo capitulari munitam. Catanae, die decimo novembris, nonae inditionis, 1655» (fol. 156r-156v); 5) due certificati della visita alle basiliche di San Pietro e di San Paolo in data 4 gennaio 1656 (fol. 151r e 152r). 1

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strazione spirituale della Chiesa di Cefalù, ora quella di Catania nel Regno di Sicilia. avremmo tanto desiderato adempiere i precetti pontifici, così come richiede la natura del nostro ufficio pastorale, e quindi recarci a Roma per visitare le sacre tombe degli apostoli, presentare la relazione sullo stato della nostra chiesa cattedrale e della diocesi, e baciare i piedi di Sua Santità; ma le persistenti cattive condizioni di salute e la cura delle anime ce lo hanno impedito. Pertanto, tramite un canonico del nostro capitolo a ciò incaricato, trasmettiamo alla Santità vostra e agli Eminentissimi e Reverendissimi cardinali della Congregazione del Concilio la relazione sulla città e la diocesi [fol. 163v]. Catania, capoluogo della diocesi, città antichissima, sede e protettrice dei re, preclarissima fra le principali città {della Sicilia}, sorge in riva al mare. Il vescovo è conte di Mascali e cancelliere del pubblico Studio e nel territorio della città e della diocesi conferma i notai. la sede vescovile fu istituita dal Principe degli apostoli, il quale, dopo la fondazione della Chiesa di antiochia, come primo vescovo, inviò berillo, secondo quanto ha confermato recentemente Cesare baronio nel martirologio. la diocesi è di diritto di patronato del re cattolico di Spagna. la cattedrale è molto ampia, maestosa, la più grande della Sicilia; fu costruita e dotata nel 1092 dal Conte Ruggero e dai suoi successori nel Regno, che emularono la pietà di Ruggero verso s. agata vergine e martire, patrona e signora della sua città; fu arricchita di molteplici benefici [fol. 164r]. le strutture di questo tempio sono grandiose, costruite sulle antiche terme con una forma perfetta, in tre navate e tre emicicli o tribune, di cui la prima a destra serve alla custodia

Catania città insigne, sede e protettrice dei re

Il vescovo è conte, primo vescovo fu s.berillo inviato da s.Pietro principe degli apostoli

la chiesa cattedrale fondata e dotata dal Conte Ruggero nel 1092

Descrizione della magnificenza di questo tempio

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Relazione sui tre altari principali

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Due mausolei con i corpi di sette re

Prima cappella, in cui ogni anno si donano i legati di maritaggio a circa venti ragazze orfane, ognuno dei quali ammonta a 50 monte d’oro di questo regno

Seconda cappella

altri sei altari

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dell’Eucaristia in un tabernacolo costruito con pietre preziose, quella a sinistra, invece, conserva integro con il velo, in reliquiari d’argento, il corpo della suddetta sposa di Cristo; quella centrale e maggiore, infine, è ornata da un affresco che ritrae l’incoronazione di s. agata da parte del Signore gesù e i santi martiri e vescovi catanesi. Contiene all’intorno gli stalli per il capitolo dei canonici, i beneficiati e i mansionari, i quali si riuniscono ogni giorno, nelle ore stabilite, per cantare i salmi alla divina Maestà, ed anche sette corpi di re racchiusi in due mausolei. Dal lato destro della basilica c’è un altare dedicato a Cristo crocifisso, eretto con le elemosine dei buoni cittadini allo scopo di favorire le opere di pietà, ed arricchito di un patrimonio notevole [fol. 164v], dalle cui rendite si ricava la dote per consentire a 20 ragazze orfane e prive di sostentamento di contrarre matrimonio. ad ognuna di esse sono date come dote 50 once d’oro di questo Regno, sebbene oggi per le difficoltà dei nostri tempi i matrimoni siano diminuiti. Il governo e l’amministrazione sono affidati a 4 rettori: 2 appartengono alla nobiltà, il terzo ai cosiddetti iudices idioti, l’ultimo alle corporazioni degli artigiani; costoro sono estratti a sorte dal senato in modo che ogni anno solo due nomi siano deputati, uno dei nobili e l’altro dei popolari; il loro mandato si protrae per due anni. In corrispondenza a questa cappella c’è quella della Madonna, dove si conservano le suppellettili sacre: i vasi, i candelieri d’argento, gli altri oggetti preziosi e gli arredi necessari al culto [fol. 165r]. la cattedrale si fregia di 6 altari costruiti in forme eleganti con marmo e diaspro: il primo sul lato destro è dedicato a San giorgio, il secondo alla vergine Maria, a San giuseppe suo


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sposo e al precursore San giovanni battista, il terzo agli apostoli Pietro e Paolo. Dal lato sinistro: il quarto a Sant’agata, accanto a questo il quinto, dedicato all’arcangelo Michele, l’ultimo a Cristo Risorto. Prima delle feste di Natale se ne erigeranno altri 3: uno dedicato a San berillo, primo vescovo della città, il secondo a San Carlo e l’ultimo a San francesco di Paola. Infine dal lato destro del tempio, vicino al cortile grande, si innalza molto in alto, il campanile a forma di torre quadrata, munito di campane. In questa basilica si conservano molte reliquie insigni di santi: le teste di s. Cataldo, vescovo di Taranto e di s. Margherita vergine e martire, custodite in altrettante teste d’argento, le braccia di s. Sebastiano martire e di s. giorgio, anche queste custodite in braccia d’argento [fol. 165v]; due spine della corona che insanguinò il capo di Cristo, un frammento della Croce, la gola di s. biagio; queste ultime reliquie sono conservate in teche d’argento. Il capitolo di questo tempio una volta era regolare, composto dai monaci benedettini, in seguito ai provvidenziali interventi dei papi è diventato secolare: è costituito da 4 dignità e 12 canonici. Il priore è la prima dignità dopo il vescovo, il cantore la seconda, il decano la terza, il tesoriere l’ultima. Ci sono anche 12 beneficiati o canonici secondari e 8 mansionari. a questi bisogna aggiungere il maestro cappellano, cui compete amministrare ai fedeli i sacramenti con l’aiuto di quattro sacerdoti. Il conferimento di tutti questi benefici spetta con pieno diritto al vescovo, come delegato della Sede apostolica. l’abito corale dei canonici o le insegne canonicali sono: il rocchetto, la cappa e la moz-

Prossimamente se ne erigeranno altri tre Campanile

Insigni reliquie dei santi

Capitolo della cattedrale con 4 dignità e 12 canonici

12 beneficiati, 8 mansionari, il maestro cappellano e 4 cappellani sacramentali Il loro conferimento è di esclusiva competenza del vescovo abito dei canonici

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Obblighi del coro Sagristi

Obblighi di messe

Processioni

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zetta nera. Per i beneficiati, i mansionari [fol. 166r], il maestro cappellano e i curati: la cotta e l’epitogio nero. l’ordine di precedenza è stabilito secondo l’anzianità del conferimento e del possesso dell’ufficio; in nessun modo i capitolari possono avvalersi dell’opzione. Ogni settimana devono partecipare alla recita dell’ufficio divino 2 dignità, 6 canonici e otto beneficiati; nelle domeniche e nelle feste devono intervenire tutti i canonici e i mansionari. Sono addetti al servizio di questo tempio 4 sagristi, uno di loro è un sacerdote ed è responsabile del governo della sacrestia e della chiesa; gli altri sono chierici, che servono durante il coro, le messe e nelle altre necessità della chiesa. Ogni giorno si canta la messa conventuale, ma privatamente, per soddisfare diversi legati pii e molte intenzioni dei fedeli, derivanti da un fondo costituito anticamente, si celebrano 2 messe dai canonici e dalle dignità, altrettante dai beneficiati, 4 dai cappellani, 6 dai mansionari [fol. 166v]. le processioni straordinarie alle quali il capitolo suole partecipare sono: s. Sebastiano con la reliquia del braccio, ogni anno, il 20 gennaio; si conclude nella chiesa dedicata al santo, in ringraziamento per averci liberato da una pestilenza, così come attesta la tradizione; la seconda è di s. Cataldo, il cui capo, il 10 maggio, è solennemente portato nella chiesa a lui dedicata; la terza con la reliquia della gola di s. biagio, il 28 aprile, e si conclude nella chiesa a lui dedicata; questa processione ha origine da un voto del senato come ringraziamento al santo per aver liberato i bambini da una epidemia di difterite; 3 processioni in onore di s. agata (la prima chiamata «della luminaria» il 3 febbraio, la seconda con il velo, il 19 gennaio, in ringrazia-


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

mento alla santa per aver fatto cessare un’eruzione dell’Etna, la terza con il braccio, il 19 giugno, in ringraziamento alla santa per aver fatto cessare la peste); infine 2 nei giorni del digiuno quaresimale per la bolla della Crociata [fol. 167r]. Nella città di Catania c’è pure una collegiata intitolata alla Madonna dell’Elemosina, eretta dalla Santa Sede; è costituita da 3 dignità e 19 canonici. la prima dignità è il prevosto, cui spetta la cura delle anime; egli presiede il coro e tutte le altre funzioni, convoca il capitolo e dà per primo il voto. la seconda dignità è il tesoriere, il cui compito è di custodire le suppellettili del tempio e i vasi sacri d’argento. la terza è il cantore, cui spetta intonare in coro le antifone e i salmi. In conformità al rescritto di papa Nicolò v, l’assegnazione dei benefici vacanti avviene con l’opzione e l’elezione da parte dei capitolari, ad eccezione del priore, la cui nomina è riservata alla Santa Sede. le insegne canonicali sono la cotta e l’epitogio filettato di seta rossa. Per accrescere il culto divino [fol. 167v] sono stati aggiunti al capitolo altri 6 canonici, chiamati soprannumerari; anche loro usano le insegne e partecipano al coro; l’elezione spetta ai capitolari. Nella città si contano altre cinque chiese coadiutrici per l’amministrazione dei sacramenti ai fedeli; ognuna di esse ha una sua circoscrizione e il proprio cappellano: la prima è San filippo apostolo, la seconda Santa Marina, la terza Santa Maria dell’Itria, la quarta San biagio, l’ultima San Tommaso. alle prime quattro, oltre i proventi derivanti dall’unione dei benefici fatta dal nostro predecessore, vengono pagati dalla mensa vescovile 100 once d’oro. la chiesa di San Tommaso e della collegiata non ricevono nulla dalla mensa,

Erezione della Collegiata di Catania 3 dignità, 19 canonici

Competenze delle dignità

l’opzione e l’elezione spetta allo stesso capitolo ad eccezione della prima dignità

abito dei canonici

6 canonici soprannumerari altre 5 chiese filiali della cattedrale per l’amministrazione dei sacramenti

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Marco Antonio Gussio (1650-1660) Seminario

18 istituti di religiosi: il 1° dei benedettini in cui si conserva il chiodo della mano destra di Cristo, donato da re Martino, un frammento della croce e una spina, la comunità è di 58 persone

2 di agostiniani, in entrambi 31 persone

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hanno solamente i proventi dei benefici uniti dal predetto nostro predecessore. C’è il seminario dei chierici, fondato secondo le norme del Concilio di Trento [fol. 168r]. Per insegnare ai ragazzi di buona indole la grammatica e la musica, con l’attenzione dovuta, abbiamo nominato come rettore una persona matura, di buona fama e nota per le sue virtù. I seminaristi nelle domeniche e nei giorni festivi, secondo le norme del suddetto sacro Concilio, prestano il loro servizio nella cattedrale. I proventi necessari per il sostentamento del seminario provengono dalla mensa vescovile, dalle confraternite, dalle chiese e dai benefici della città e della diocesi. 4 deputati, eletti secondo le norme del suddetto Concilio, amministrano il seminario e provvedono alle sue necessità. vi risiedono 8 alunni e 2 convittori. le case religiose maschili sono 18: il celebre monastero benedettino di San Nicola l’arena, al quale è unito l’altro monastero di Santa Maria di licodia nel territorio di Paternò [fol. 168v], è reso illustre: dal chiodo della mano destra (così come afferma un’antica tradizione) con cui gesù Cristo fu affisso alla croce, donato dal re di Sicilia Martino, da un frammento della Santa Croce, che lo stesso re Martino portava appeso al collo, dalle spine con cui il santissimo capo di Cristo fu incoronato e da molte altre reliquie di santi. Il monastero accoglie 31 sacerdoti, 13 chierici e 14 laici. 2 monasteri degli eremitani di s. agostino: uno dentro le mura della città, dedicato a Sant’agostino, l’altro porta il nome di Santa Maria di Nuovaluce e dista circa 1.000 passi dalla città, ad occidente; ha un abate commendatario di regio patronato; in origine questo monastero era affidato ai certosini, successivamente ai


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

benedettini, poi ai carmelitani scalzi, oggi agli eremitani di s. agostino che osservano la regola di s. Nicola da Tolentino [fol. 169r]. In questo monastero risiedono 6 sacerdoti e 4 laici; nel primo 14 sacerdoti, 5 chierici e 2 laici. 2 case di domenicani: una, dentro le mura della città, è intitolata a Santa Caterina da Siena, accoglie 8 sacerdoti e 3 laici; l’altra, fuori le mura, è intitolata a San Domenico, in essa risiedono 10 sacerdoti, 6 chierici e 2 laici. 6 conventi francescani: il primo dei minori conventuali è dedicato a San francesco; i frati che vi abitano sono 15 sacerdoti, 5 chierici e 8 laici; è celebre per un’altra delle spine che cinsero il capo di Cristo, da un frammento della Santa Croce, dai corpi dei santi martiri filippo e vitale, fratelli, figli di s. felicita e dal dito di s. biagio vescovo e martire; il convento è regio perché eretto da Eleonora, regina di Sicilia, che prese il nome da Carlo II re di Napoli, figlia di Claudio, madre di federico III [fol. 169v], già re di Sicilia e di Pietro II, sorella di Roberto re di Napoli e di s. ludovico vescovo di Tolosa; il convento è reso famoso dal sepolcro della medesima regina. 2 conventi dei minori osservanti: uno di stretta osservanza dista circa un miglio dalla città verso occidente ed è intitolato a Santa Maria di gesù, l’altro dell’osservanza meno rigorosa, chiamato comunemente «della Provincia», ha sede dentro le mura della città, nell’antico tempio di Sant’agata, chiamato comunemente «Sant’agata la vetere»; in questa chiesa c’è il carcere della predetta gloriosa martire e il sepolcro in cui fu seppellito il corpo della medesima vergine. Nel primo convento dimorano 8 sacerdoti, altrettanti laici e 2 chierici; nel secondo 10 sacerdoti, un chierico e 6 laici.

2 di predicatori, in entrambi 29 persone 6 conventi di francescani: il 1° dei minori conventuali con 28 persone, in esso si conserva una spina di Cristo, un frammento della croce, 2 corpi di santi martiri, è regio ed è reso celebre dalla tomba della regina Eleonora

Il 2° e 3° sono dei minori osservanti riformati «della Provincia»

Nel 2° c’è il carcere di s.agata e il suo sepolcro, la comunità è di 35 persone

Il 4° e il 5° dei cappuccini,

253


in entrambi le persone sono 26

Marco Antonio Gussio (1650-1660)

Il 6° del terz’ordine con 12 persone 3 dei carmelitani

Il 1° è regio con 27 persone

Il 2° dell’osservanza con 13 Il 3° di s.Teresa con 13

Il convento di s.francesco di Paola con 18 Nella ss.Trinità sono 10 2 collegi: nel 1° dei gesuiti si insegnano tutte le discipline, la comunità è di 30 persone

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2 conventi di cappuccini: uno verso occidente a circa un miglio dalla città, l’altro fuori la porta detta del Re. Il primo è intitolato a Santa Maria degli angeli [fol. 170r], in esso dimorano 3 sacerdoti, un chierico e 4 laici; il secondo, di recente costruzione, è intitolato all’Immacolata Concezione di Maria; vi dimorano 8 sacerdoti e 10 laici. l’ultimo è dei frati del terz’ordine o della penitenza; è intitolato a San Nicola dei Triscini; vi dimorano 6 sacerdoti, un chierico e 5 laici. 3 conventi dell’ordine dei carmelitani: il primo, intitolato a Santa Maria annunziata, sorge fuori della porta di aci ed è regio, in quanto fondato dall’imperatrice Costanza, regina di Sicilia, moglie dell’imperatore Enrico vI e madre dell’imperatore federico II, e arricchito pure dal re di Sicilia Martino; vi dimorano 16 sacerdoti, 4 chierici e 7 laici. Il secondo è di stretta osservanza, cioè del primo istituto, ha sede dentro le mura ed è intitolato alla Madonna dell’Indirizzo, [fol. 170v] la comunità è composta da 6 sacerdoti, altrettanti laici e un chierico. l’ultimo è dei seguaci di s. Teresa vergine, che ha sede nella chiesa dello Spirito Santo, fuori la porta della città detta del Re; vi dimorano 9 sacerdoti, un chierico, 3 laici. C’è un convento dell’ordine dei minimi di s. francesco di Paola, intitolato allo stesso santo; sorge fuori le mura, ad oriente, vicino alla riva del mare; vi dimorano 8 sacerdoti, altrettanti laici e 2 chierici. Un convento dell’ordine della ss. Trinità sorge dentro le mura della città ed è intitolato a Sant’anna; accoglie 6 sacerdoti e 4 laici. Ed infine 2 collegi di chierici regolari: uno della Compagnia di gesù, nella chiesa della Santissima ascensione, i cui membri insegnano


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

filosofia, teologia, letteratura latina, aritmetica, retorica e sono incaricati di leggere i casi di coscienza; vi dimorano 18 sacerdoti, 3 chierici e 9 laici. l’altro dei chierici minori regolari, detti volgarmente [fol. 171r] «minoriti», ha sede nella chiesa di San Michele arcangelo, dove dimorano 7 sacerdoti e 5 laici. fuori le mura della città, a circa 500 passi, nella località chiamata «la Mecca» c’è una comunità di chierici, che vivono come gli anacoreti, lontani dalle preoccupazioni del mondo, portano l’abito ecclesiastico, osservano gli statuti approvati dai vescovi e hanno in comune una chiesa intitolata a San girolamo, ma vivono in abitazioni diverse sotto la guida di un superiore; i sacerdoti hanno l’obbligo di celebrare ogni giorno tre messe; attualmente in questo istituto dimorano 3 sacerdoti e 5 chierici. I monasteri femminili sono 11: 8 osservano la regola di s. benedetto, 3 quella di s. Chiara e sono soggetti alla giurisdizione dei frati minori dell’osservanza. Quelli di s. benedetto sono: San giuliano, che è il più antico, in quanto fondato dal papa s. gregorio Magno nel secolo vII; le monache [fol. 171v] che vi dimorano sono 26, le educande 17, le inservienti 8; San benedetto, costituito da 30 monache, 10 educande e 11 inservienti; San Placido nelle cui mura vivono 32 monache, una novizia, 27 educande, 11 inservienti; Santa lucia con 10 monache, 6 educande, 3 inservienti; Santissima Trinità con 16 monache, 4 educande, 6 inservienti; Santa Maria di Porto Salvo nella cui clausura vivono 8 monache, 6 educande, 3 inservienti; Santa Caterina con 20 monache, una novizia, 9 educande, 6 inservienti; l’ultimo è intitolato a Sant’agata ed è costituito da 7 monache, 4 novizie, 3 educande, altrettante inservienti.

Il 2° è dei chierici regolari minoriti con 12 fuori le mura della città vivono 8 eremiti

11 monasteri femminili: 8 dell’ordine di s.benedetto sotto la giurisdizione del vescovo, 3 dei minori osservanti e sotto la loro giurisdizione Il 1° fu eretto da s.gregorio verso il 600 Negli 8 monasteri risiedono 288 persone

Uno dei tre monasteri di clarisse fu eretto mentre era in vita s.Chiara

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Marco Antonio Gussio (1650-1660) Nel 1° vivono 40 monache, nel 2° 49, nel 3° 28

Istituto per le donne pentite che vivono in clausura con 19 residenti

Orfanotorfio femminile con 23 ospiti

altro istituto di donne pentite senza clausura con 7

Orfanotrofio maschile con 8

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I monasteri che osservano la regola francescana di s. Chiara sono [fol. 172r]: il primo e più antico, chiamato «Monte delle vergini», fu costruito con le elemosine dei fedeli mentre era ancora in vita la predetta santa; le monache che vi abitano sono 35, 2 le novizie, 6 le inservienti; il secondo, intitolato a Santa Chiara, accoglie nelle sue mura 40 monache, 4 educande, 5 inservienti; il terzo e ultimo è quello di San girolamo in cui vivono 18 monache, 2 novizie, 3 educande, 5 inservienti. C’è una casa per donne convertite alla penitenza, intitolata a Santa Maria Maddalena, in essa convergono, come pecorelle che si erano allontanate dall’ovile, le donne che si pentono a somiglianza di Maria Maddalena e nella penitenza offrono se stesse a Dio come ostie viventi; osservano la regola di s. Chiara e sottostanno alla giurisdizione del vescovo; complessivamente sono 19. In un istituto dedicato a Sant’agata, a spese del senato, sono nutrite le fanciulle orfane dei genitori fino a quando [fol. 172v] non contraggono matrimonio o non entrano in monastero; per la loro educazione disponiamo di donne di buona condotta e di fama integra. le fanciulle ricoverate sono 23. È istituita una casa dove sono accolte, senza la clausura, le prostitute che cambiano vita; sono soggette alla direzione di una donna di buono spirito e sostentate con le nostre offerte e con quelle delle persone pie; sono libere di dimorare in questa casa fino a quando vogliono, perciò non si può dare di loro un numero certo. alcune di loro, almeno una l’anno, contraggono matrimonio sempre con l’aiuto delle persone pie. C’è una casa che accoglie i ragazzi che hanno perduto i genitori, chiamata volgarmente


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

«l’Orfanelli», intitolata alla visitazione della Madonna; fu fondata per autorità di giulio III, di felice memoria. Il governo della casa e dei suoi beni è affidato a 2 rettori, eletti dal viceré, che svolgono a vita quest’ufficio. I ragazzi [fol. 173r] sono provvisti di tutto il necessario e per la loro formazione abbiamo incaricato un sacerdote di buona vita e di integri costumi; gli alunni sono 8. C’è un ospedale intitolato a San Marco con una chiesa sacramentale istituita per il suo uso interno. fu eretto con le elemosine dei cittadini per accogliere le persone malate dell’uno e dell’altro sesso, deboli o misere, per far nutrire da balie, appositamente chiamate, i bambini esposti, che la povertà o la insensibilità dei genitori ha cacciato via dalle loro case, e per assistere i miseri dalle membra piagate, chiamati comunemente «incurabili». la direzione dell’ospedale, per decreto di Eugenio Iv, spetta a uno dei senatori della città, al priore del convento di San Domenico e a uno dei consoli popolari. Il priore è perpetuo, gli altri cambiano ogni anno e sono estratti a sorte dal senato. l’ospedale è soggetto all’autorità del vescovo, fu da noi visitato [fol. 173v] e per l’occasione furono emanate le necessarie disposizioni. C’è il monte di pietà, eretto per ordine del vescovo con le elemosine dei cittadini, per venire incontro alle necessità dei poveri, degli orfani e delle altre persone bisognose. ad essi si distribuiscono denaro, alimenti e vestiti; si preparano anche medicine per gli ammalati. Questo istituto è diretto da 7 rettori, dei quali il primo è perpetuo (il priore della cattedrale), gli altri sono estratti a sorte dal senato: 2 tra i nobili, gli altri dai cosiddetti iudices idioti, dagli artigiani e dalle persone onorate. Il monte è soggetto all’au-

Ospedale per malati di ambo i sessi, per i bambini esposti, per gli incurabili; il vescovo come primo rettore lo governa o lo visita

Monte di pietà

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Marco Antonio Gussio (1650-1660) Ricovero per i poveri senza fissa dimora Commenda di s.giovanni di gerusalemme 25 compagnie laicali 1a 2a 3a 4a

5a 6a 7a 8a

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torità del vescovo, da noi fu visitato e vi abbiamo emanato le necessarie disposizioni. C’è un ricovero per accogliere i pellegrini poveri e mendicanti dell’uno e dell’altro sesso, provvisto di letti e delle altre suppellettili; la sua direzione spetta ai confrati di Sant’Euplo [fol. 174r]. Nella chiesa San giovanni de fleri c’è una commenda dell’ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, che è conferita dal gran maestro dell’ordine. hanno sede nella città 25 compagnie di laici, istituite per partecipare alle processioni religiose e compiere opere di carità. la prima è quella dei bianchi, che ha sede nella chiesa di San Martino; come opera di misericordia si prefigge di confortare i condannati a morte. la seconda è quella di San giovanni battista, detta «degli azzoli», con sede nella chiesa dello stesso nome. la terza è di Sant’agata, i cui membri hanno cura del carcere in cui s. agata fu rinchiusa dall’empio tiranno, fu curata dall’apostolo Pietro e accolta morente dagli angeli. la quarta ha sede nella chiesa di Sant’Orsola e i suoi confrati hanno il compito di seppellire i corpi dei miseri che muoiono, portandoli sulle proprie spalle, assicurando loro gratuitamente una decente sepoltura ecclesiastica e raccomandando a Dio le loro anime con preghiere e suffragi [fol. 174v]. la quinta è intitolata allo Spirito Santo e ha sede nella chiesa di Santa Maria la Dagala, che è stata sempre ed è oggetto di grande venerazione, a motivo di una icone con l’immagine di Cristo Crocifisso e della vergine Maria. la sesta è di San giacomo apostolo nella chiesa di Maria Santissima della Misericordia. la settima di Santa Maria della Consolazione nella chiesa dei Santi Martiri Cosma e Damiano. l’ottava un


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

tempo si chiamava Santa Maria di Monserrato, oggi Santa Maria Maddalena nella chiesa omonima. la nona del Santissimo Sacramento, con sede, un tempo, nella chiesa di San Nicola dei Triscini, affidata ai frati del terz’ordine di s. francesco, oggi nel proprio oratorio annesso alla predetta chiesa. la decima è intitolata a Sant’Euplo con sede nella propria chiesa, detta «dei Cappuccinelli»; ai confrati spetta la direzione e la cura dell’ospizio dei pellegrini. l’undecima è quella di Santa Maria dei Miracoli [fol. 175r]; la dodicesima di San Costantino; la tredicesima di San Michele arcangelo; la quattordicesima della Presentazione di Maria Santissima; la quindicesima di San giuseppe; la sedicesima di Santa Maria dell’Indirizzo, tutte nelle proprie chiese. la diciassettesima Santa Maria della Rotonda, nell’antichissima chiesa che, una volta, al tempo dei pagani, era chiamata il «Panteon», ma nel 44 d. C. fu consacrata e dedicata alla Madre di Dio dal Principe degli apostoli. la diciottesima di San barnaba nella propria sede, la diciannovesima di Tutti i Santi nella chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano. la ventesima di Santa Maria del Soccorso; la ventunesima di San vito e la ventiduesima di Santa Maria della Cava nelle proprie chiese. la ventitreesima è quella di Santa Maria delle grazie nella chiesa di San Sebastiano, la ventiquattresima di San Sebastiano nella chiesa omonima [fol. 175v]. l’ultima è di Sant’agata alla fornace, poco al di fuori delle mura della città, dove s. agata fu bruciata dal crudele tiranno, questa cappella è oggetto di grande devozione; abbiamo ordinato la celebrazione quotidiana della messa nella vicina chiesa di

9a

10a 11a 12a 13a 14a 15a 16a 17a

18a et19a 20a, 21a et 22a 23a et 24a 25a

259


Marco Antonio Gussio (1650-1660) 6 confraternite

12 chiese semplici dentro e fuori la città

18 congregazioni

260

Santa barbara, posta all’interno delle mura, assegnata come succursale di questa cappella. Operano altre 6 confraternite: San Tommaso, Santa Maria della Concordia, Santa Maria di giosafat, Santissimo Salvatore, dei Santi Simone e giuda, l’ultima di San luca nella chiesa collegiata, le altre cinque nelle proprie chiese. Sorgono nella città altre 12 chiese semplici dentro e fuori le mura, nelle quali si celebra la messa: Santa Maria della Porta, San Cataldo, Sant’andrea, Santa Maria di betlem, San Matteo, San benedetto il vecchio, Santa Maria di Ognina, San giovanni detto «delli Cuti», Santa Maria di Monserrato, Santa Maria detta «del Riposo», Santa Maria [fol. 176r] detta «della grazia» e Santa Maria degli ammalati. Sono state istituite 18 congregazioni per l’esercizio delle opere di pietà e di carità: 8 nella chiesa della Santissima ascensione della Compagnia di gesù (una dei nobili, l’altra degli onorati, una terza degli studenti, due degli alunni nobili e popolari, una solo di alunni nobili, due di popolari), una dei nobili nella chiesa di San Michele arcangelo dei minoriti, l’altra dello Spasimo nella chiesa di Santa Marina, un’altra ancora nella chiesa di Santa Maria Maggiore, due nelle chiese dei domenicani (una del Santissimo Rosario nella chiesa di Santa Caterina, l’altra di San vincenzo ferreri nella chiesa di San Domenico), una dell’angelo Custode nella chiesa del grande padre agostino, una di Santa Maria di gesù nella chiesa di Santa Maria dell’Indirizzo, affidata all’ordine dei carmelitani dell’antica osservanza, una di San berillo nella chiesa di Sant’agata la vetere dei frati minori [fol. 176v] osservanti. l’ultima infine è dei sacerdoti secolari,


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

posta sotto la protezione dei ss. Pietro e Paolo ed eretta nella chiesa omonima per fare opere di carità e di cristiana pietà. Infatti i soci sono soliti assistere i moribondi, offrendo loro i rimedi spirituali contro le astuzie dello scaltro demonio e l’antidoto della consolazione contro i veleni della tentazione, esporre pubblicamente e adorare dentro la predetta chiesa la ss. Eucaristia e pregare umilmente per la salvezza spirituale dei condannati a morte. È stato introdotto il pio esercizio delle quarantore, che si pratica ogni giorno a turno in tutte le chiese della città. Infine c’è lo Studio generale, concesso da Eugenio Iv, per l’insegnamento della sacra teologia, del diritto canonico e civile, della filosofia, della medicina e delle altre arti liberali, simile a quello di bologna [fol. 177r], con tutti e singoli i privilegi, le insegne, le libertà, le facoltà, le esenzioni e altre prerogative in qualunque modo concesse o da concedere, con la potestà di costituire uno o più collegi per l’abitazione degli scolari, di conferire il baccellierato, la licenza, il dottorato, il magistero e gli altri gradi approvati. le famiglie della città sono circa 3.757. gli abitanti 12.022. I fedeli che ricevono l’Eucaristia 8.400. Coloro che si confessano 1.578. Tutti i sacerdoti sono 110; i diaconi, suddiaconi e chierici 90; costoro nelle domeniche e nei giorni festivi si ritrovano in cattedrale per prendere parte al culto divino. la diocesi ha diversi confini: [fol. 177v] ad est e a nord confina con la diocesi di Messina, ad ovest con quella di agrigento, a sud con quella di Siracusa. Nella sua circoscrizione si contano 6 città regie, 14 paesi e 16 casali.

Quarantore a turno per tutto l’anno lo Studio generale sul modello di bologna

le famiglie di tutta la città di Catania sono 3.757, gli abitanti 12.022, di confessione 1.578, sacerdoti 110, chierici di altri ordini 90

Confini della diocesi Nei confini della diocesi, oltre la città di Catania,

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

sorgono città regie, paesi e sobborghi le città regie della diocesi sono: Piazza, Enna, Calascibetta, S.filippo d’agira, aci superiore, aci inferiore o aci aquilia; aci inferiore comprende due circoscrizioni: aci aquilia e aci Patané aci superiore comprende nove circoscrizioni, delle quali 9 sono terre: S.antonio, S.filippo di Carcina, S.Maria della Consolazione, S.Maria della Catena, S.giacomo, S.lucia, acicastello, valverde e bonaccorsi

le città sono: Catania, capoluogo della diocesi, Piazza, Enna, Calascibetta, San filippo d’agira ed aci; quest’ultima città è divisa in due parti; la prima comprende aci aquilia e Patané (aci Platani)2; la seconda: Sant’antonio, San filippo di Carcina, Santa Maria della Consolazione, Santa Maria della Catena, San giacomo, Santa lucia, la Rocca o il Castello, valverde e bonaccorsi.

I sobborghi sono: viagrande, Trecastagni, Pedara, Tremestieri, S.giovanni galermo, S.agata, Misterbianco, Plache, Mascalucia, Nicolosi, Mompileri, Camporotondo, S.Pietro, S.gregorio, S.giovanni la Punta e Trappeto

I sobborghi sono: viagrande, Trecastagni, Pedara, Tremestieri, San giovanni galermo, Sant’agata, Misterbianco, Plache, Mascalucia, Nicolosi, Mompileri, Camporotondo, San Pietro, San gregorio, San giovanni la Punta e Trappeto.

I paesi sono: Motta S.anastasia, Malpasso, Paternò, biancavilla, adrano, Centuripe, Regalbuto, leonforte, assoro, barrafranca, aidone, Mirabella e valguarnera

I paesi sono: Motta Sant’anastasia, Malpasso, Paternò, biancavilla, adrano, Centuripe, Regalbuto, leonforte, assoro, Pietraperzia, barrafranca, aidone, Mirabella e valguarnera [fol. 178r].

2 Il toponimo ha avuto diverse dizioni: in latino Patanearum, in lingua volgare Patané, Patanei e dalla fine del secolo xvII, Aci Platani.

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

la chiesa madre di Piazza rifulge per il titolo dell’assunzione della beata vergine Maria, in essa con provvedimento pontificio è stato istituito un capitolo di canonici composto da 4 dignità, 24 canonici e 14 beneficiati, dei quali 17, fra canonici e dignità, sono stati eretti con il patrimonio di Marco e laura Trigona, 2 da antonio Saida, uno da beatrice da San filippo, un altro da Don Pietro visazza e un altro ancora da Don Michele lo Ciccio; dei beneficiati 12 sono stati eretti dal predetto patrimonio dei Trigona e 2 da Don vincenzo Colurevi. le dignità sono: il prevosto (la prima), il cantore, il tesoriere e il decano [fol. 178v]. l’elezione dei canonici della predetta eredità spetta alla Santa Sede, quella degli altri alle persone che hanno il diritto di patronato; i membri del capitolo devono essere approvati dall’ordinario e confermati con la nomina. I canonici non godono del privilegio dell’opzione, mentre le dignità possono optare fra di loro; solo il prevosto è riservato al Sommo Pontefice.

l’abito corale dei canonici è formato dal rocchetto, dalla cappa e dalla mozzetta nera e violacea. I beneficiati indossano la cotta e la mozzetta di diverso colore, occupano negli stalli il posto secondo l’anzianità della nomina. le dignità, i canonici e i beneficiati, durante la settimana, a turno, si recano in coro per cantare i salmi; nelle feste tutti devono essere presenti; ogni giorno cantano la messa conventuale [fol. 179r] e celebrano altre messe per l’obbligo derivante dalla fondazione e da diversi legati. l’ufficio di amministrare i sacramenti spetta alle dignità; lo esercitano personalmente,

Piazza, stato della città, la collegiata: 4 dignità, 22 canonici, 24 beneficiati

l’elezione dei canonici spetta alla Santa Sede e all’ordinario del luogo secondo l’alternanza dei mesi, altri sono di diritto di patronato; le dignità hanno le opzioni, la nomina del prevosto è riservata al Sommo Pontefice abito dei canonici

Obblighi del coro

l’amministrazione dei

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sacramenti spetta alle dignità 5 chiese sacramentali

Marco Antonio Gussio (1650-1660)

5 monasteri femminili: 4 di benedettine e 1 di clarisse Nei 4 monasteri di benedettine risiedono 161 persone, in quello delle clarisse 40

Orfanotrofio femminile; ogni anno 3 sposano con un legato di maritaggio che ammonta a 50 monete d’oro di questo regno per ognuna 10 istituti religiosi maschili: 1° è dei conventuali con 15 persone; il 2° degli osservanti con 20; il 3° dei cappuccini con 18; il 4° dei carmelitani con 10; il 5° degli eremitani di s.agostino con 12; il 6° dei riformati con 12; il 7° dei predicatori con 15; l’8° dei teatini con 8; il 9° della Compagnia di gesù

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a turno, secondo quanto è stabilito dalle bolle apostoliche. Per l’ampiezza della città sono state istituite 5 chiese sacramentali: San filippo, San Nicola, Santo Stefano, Santa venera e il Santissimo Crocifisso. In quella di Santo Stefano esercitano il ministero 3 cappellani, 2 in quella del Santissimo Crocifisso e 1 nelle altre. Ci sono 5 monasteri femminili, 4 osservano la regola di s. benedetto e uno quella di s. Chiara. I monasteri benedettini sono: San giovanni Evangelista, in cui dimorano 25 monache, 3 novizie, 12 educande, 7 inservienti; Santissima Trinità, dove dimorano 28 monache [fol. 179v], 2 novizie, 14 educande, 7 inservienti; in quello di Sant’agata: 23 monache, 2 novizie, 10 educande, 6 inservienti; in quello di Sant’anna: 12 monache, 2 converse professe, 6 educande, 4 inservienti; il monastero di Santa Chiara è dedicato alla santa omonima; vi dimorano 30 monache, 6 educande, 4 inservienti. C’è anche un orfanotrofio, che ha il suo sostentamento nel patrimonio dei Trigona ed è amministrato dai fidecommissari, dai procuratori della chiesa madre e della collegiata; vi sono accolte le ragazze prive di genitori con le direttrici, che sono donne di vita onesta. Ogni anno 3 contraggono matrimonio e ad ognuna di esse sono pagate 20 once. gli istituti dei religiosi sono 10; 3 professano la regola di s. francesco: uno è dei minori conventuali e in esso vivono 15 frati, l’altro è degli osservanti riformati [fol. 180r] e vi risiedono 20 frati; l’ultimo è dei cappuccini e vi sono accolti 18 religiosi. Un solo convento dei carmelitani, fra le cui mura vivono 10 frati; 2 della regola di s. agostino: uno degli eremitani, un altro dei riformati dello stesso ordine; nel primo dimorano 12 frati, altrettanti nel secondo; uno


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

solo di frati predicatori, ove vivono 15 frati; 2 istituti di chierici regolari: uno di teatini e l’altro della Compagnia di gesù; in entrambe le case si trovano 8 padri; il monastero dei benedettini è di recente istituzione, ma completo e in esso dimorano 6 padri. C’è anche un ospedale, intitolato allo Spirito Santo, per accogliere e curare i cittadini e i forestieri malati dell’uno e dell’altro sesso, dove si danno i medicinali necessari per la salute [fol. 180v]. C’è la chiesa sacramentale ad uso dell’ospedale. Nello stesso ospedale ha sede un monte di pietà per fare opere buone. la direzione e l’amministrazione dei beni del monte e dell’ospedale compete agli ufficiali della confraternita dei bianchi, fondata nella stessa città. Ci sono 12 associazioni e 7 confraternite di laici, istituite per partecipare alle processioni religiose e fare opere di carità, e cioè 2 dei defunti (una nella chiesa degli angeli Custodi, in cui si radunano ogni settimana nei giorni stabiliti molti confrati per fare le pratiche devote; l’altra ha sede nella chiesa di Santa Maria dell’Itria); la terza di Santo Stefano, la quarta di San giuseppe; la quinta di Santa Caterina; la sesta di Santa barbara; la settima di San girolamo, l’ottava di Santa Maria, la nona di Sant’Onofrio; tutte nelle proprie sedi; la decima di Sant’antonio (nella cui chiesa c’è un oratorio dell’Immacolata Concezione, dove in alcuni giorni della settimana si radunano [fol. 181r] molte persone per compiere pratiche di pietà e di devozione); l’undecima di San vincenzo nella propria chiesa; l’ultima dei bianchi, nella chiesa dello Spirito Santo, è l’associazione dei nobili, che assistono con ogni carità le persone afflitte e quelle condannate all’estremo supplizio. le confraternite sono: San girolamo, San filippo, Santissimo Crocifisso,

con 8; il 10° dei benedettini con 6

Ospedale con chiesa sacramentale a suo servizio Monte di pietà

12 compagnie di laici

7 confraternite

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8 chiese semplici o minori

le famiglie della città sono 3.800, gli abitanti 15.300, di comunione 11.070, i sacerdoti 90, di altri ordini 70 la città di Enna o Castrogiovanni; la chiesa madre è retta dal priore e da tre rettori, tutti sacerdoti la loro elezione spetta al Sommo Pontefice e all’ordinario del luogo a mesi alternati

16 sacerdoti da noi costituiti in capitolo celebrano ogni giorno in coro indossando l’almuzio nero 9 chiese sacramentali

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San Nicola, Santissimo Salvatore, Santa venera e Santa Maria della Misericordia, erette nelle proprie chiese. Si hanno otto altre chiese semplici, 3 nella città e 5 fuori; quelle dentro le mura sono: San bernardino, Santa lucia e San Martino; fuori le mura: Santa Maria detta «di belverde», Santa Maria della Noce, Santa Maria della Rocca, Santa Maria dell’Udienza e Santa Maria della grazia, nelle quali spesso è celebrata la messa. le famiglie della città sono circa 3.800 [fol. 181v]; gli abitanti circa 15.300; coloro che si nutrono del pane eucaristico 11.700; tutti i sacerdoti secolari sono 90; i diaconi, i suddiaconi e i chierici minori 70, costoro nelle domeniche e nei giorni di festa prestano il loro ministero nelle chiese loro assegnate. la chiesa maggiore di Enna è intitolata a Santa Maria della grazia ed è servita da 4 sacerdoti: uno è il priore, gli altri sono chiamati rettori. ad essi spetta il compito di amministrare i sacramenti e assieme a due laici della classe dei nobili amministrare i beni temporali. Il priore e i rettori predetti sono eletti dal Sommo Pontefice e dal vescovo, secondo il principio dell’alternanza dei mesi, e come insegne indossano la cotta e l’almuzio nero. Nel corso della nostra visita, per la maggior gloria di Dio [fol. 182r], abbiamo istituito un collegio di 16 sacerdoti con l’obbligo di recitare a turno l’ufficio divino e di celebrare ogni giorno la messa con lo stipendio di 30 scudi e l’uso dell’almuzio nero. a causa dell’ampiezza della città ci sono 9 altre chiese sacramentali, coadiutrici delle chiesa madre San giovanni: San Tommaso, San Cataldo, San biagio, San Pietro, San bartolomeo, San


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

leonardo, San leone, San giorgio e Santa Caterina; ognuna di esse ha un solo curato. I monasteri femminili sono 6: 3 della regola di s. benedetto, 2 di s. Chiara e uno della Madonna del Carmine. I monasteri benedettini hanno i seguenti titoli: San benedetto, San Michele arcangelo e Santa Maria del Popolo; quelli delle clarisse: Santa Chiara e Santa Maria delle grazie; quello delle carmelitane è intitolato San Marco. Nel monastero di San benedetto vivono 19 monache, 4 novizie, 6 educande, 6 inservienti. In quello di San Michele 10 monache, 2 novizie, un’educanda e 2 inservienti [fol. 182v]. In quello di Santa Maria del Popolo 35 monache, 5 novizie, 3 educande, 4 inservienti. In quello di Santa Chiara 14 monache, una novizia, 3 educande, altrettante inservienti. In quello di Santa Maria delle grazie 11 monache, 6 novizie, un’educanda, 3 inservienti. Infine in quello di San Marco 12 monache, 2 novizie, 4 educande, 2 inservienti. Nella città sorgono 2 istituti per ragazze prive di genitori, uno è intitolato a Santa Maria dell’Itria ed è obbligato alla clausura; fu eretto con il patrimonio di francesco Rotundo nel 1614 per custodire le ragazze fino a quando contraggono matrimonio, ad ognuna di esse si pagano 30 scudi; in questo istituto oggi sono ricoverate 15 ragazze, 2 anziane direttrici ed una domestica. l’altro, che accoglie le convertite, fu fondato con il patrimonio del p. Placido De gardo nel 1639 e nel corso della visita del 1652 [fol. 183r] lo abbiamo sottoposto alla clausura; in esso sono accolte 14 ragazze. Sono 9 le case dei religiosi: 3 della religione serafica di s. francesco (uno dei minori conventuali, un altro degli osservanti riformati, un terzo dei cappuccini; i primi sono 10, i secon-

6 monasteri femminili: 3 di benedettine, il quarto e il quindi di clarisse, il sesto di carmelitane

Nel primo monastero di benedettine le persone sono 33; nel secondo 15; nel terzo 47 Nel primo delle clarisse 26; nel secondo 26; nel carmelo 20

Un orfanotrofio femminile con l’obbligo della clausura e la dote per ognuna di esse di 75 monete d’oro; le ospiti sono 18

Un altro istituto che accoglie donne pentite, con la clausura, soggetto alla nostra giurisdizione; le ospiti sono 14

gli istituti di religiosi sono 9: 3 francescani e il loro numero è di 38 persone; il quarto dei domenicani con 8; il quinto dei carmelitani

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con 13; il sesto degli agostiniani con 10; il settimo di s.francesco di Paola con 8; l’ottavo della Compagnia di gesù con 8: il nono di s.giovanni di Dio per i malati con 4

Ospedale per i malati e gli incurabili

21 confraternite laicali

23 chiese minori e semplici dentro la città

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di 14, altrettanti i terzi); un solo convento dell’ordine dei predicatori, dove dimorano 8 frati; uno dei carmelitani con 13 frati; uno degli eremitani di s. agostino, con dieci religiosi; uno dell’ordine dei minimi di s. francesco di Paola con 8 frati; uno della Compagnia di gesù con 8 padri residenti, che insegnano agli alunni la grammatica, la retorica e hanno l’incarico di leggere i casi di coscienza; infine i religiosi di s. giovanni di Dio. C’è un ospedale intitolato a San giacomo per accogliere i cittadini e i forestieri infermi dell’uno e dell’altro sesso, soggetto all’autorità del vescovo [fol. 183v], che fu visitato nel corso della nostra visita; i frati che vi svolgono il loro ministero sono 4. Nella città sorge un altro ospedale per accogliere e nutrire i bambini esposti, dove sono ricoverati anche gli anziani infermi; la sua direzione spetta ai responsabili eletti dal vescovo.

le confraternite dei laici sono 21: Santissimo Salvatore, San Pietro, Santa Maria di valverde, San giuliano, Santa Maria dell’Itria, San Nicola la Porta, San girolamo, Santa Maria Nuova, Sant’Onofrio, San Sebastiano, Santa Maria Maddalena, Sant’agata, Sant’agrippina, Santissima Trinità, Sant’Orsola, Santissimo Sacramento, Spirito Santo, Santa Sofia, fondata in una sede propria, San giuseppe nella chiesa omonima, adibita come grancia dei benedettini, Santa Maria di loreto nella sua cappella, all’interno della chiesa di San francesco di Paola, Santa Monica nella chiesa degli eremitani di s. agostino [fol. 184r]. le altre chiese della città sono 23: Santa Maria della vittoria, San vincenzo, Sant’Ippolito, Santissima Concezione, Santa venera, San


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Matteo, Sant’antonio di Padova, Santa lucia, Santa Petronilla, San Cristoforo, San Rocco, Sant’aloe, Santi angeli Custodi, Santi Cosma e Damiano, Sant’alberto, San giovanni, Santa Maria Nuova, Santa Margherita, Santi Pietro e Paolo, Santa Maria di Porto Salvo, San filippo del Monte, Santa Domenica e infine San Nicola nel castello vecchio; in tutte queste chiese si celebra di frequente la messa. fuori le mura della città sorgono 21 chiese: Santa Maria della grazia, Sant’anna, chiesa del Signore, San Calogero, Santa Maria di gattusi, Santa Maria della vittoria, San Marco, Santo Stefano, Sant’Ippolito, Santi Simone e giuda, San Paolo, Santa Maria degli angeli, Santa Maria della Portella, San Nicola, San giuseppe, Santa Maria di brancata, Santissima Concezione [fol. 184v], Santa barbara e infine San Nicola; in tutte si celebra la messa. le anime della città sono 10.480; coloro che si cibano del pane eucaristico 8.000; i sacerdoti sono 80; i diaconi, i suddiaconi e i chierici minori 90, che prestano il servizio nella chiese loro assegnate. a Calascibetta ci sono 2 chiese principali (San Pietro e Santa Maria, che godono alternativamente del titolo di matrice); in esse prestano servizio 12 sacerdoti, insigniti dell’almuzio nero, che amministrano i sacramenti ai fedeli, avendo come stipendio le offerte delle primizie; la loro nomina spetta al vescovo. la chiesa di San Pietro ha un cappellano di regio patronato, nominato dal re. Nelle domeniche e nei giorni festivi ed anche in alcuni giorni feriali, nelle predette chiese si celebrano molte messe solenni e piane [fol. 185r] dai frutti dei legati. C’è anche un’altra chiesa sacramentale,

21 chiese fuori la città

gli abitanti sono 10.480, di comunione 8.000, i sacerdoti 80, chierici di altri ordini 90 Città di Calascibetta; due chiese madri, vi prestano servizio 12 sacerdoti con le insegne Cappella regia Messe Chiesa sacramentale filiale

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Monastero di monache benedettine con 42 persone

3 istituti di religiosi: il 1° dei domenicani con 4 persone; il 2° dei carmelitani con 5; il 3° dei cappuccini con 12 Ospedale 8 confraternite

12 chiese semplici entro la città

altre 6 fuori

Ospedale per i malati, unito a quello di Santo Spirito dell’alma città di Roma

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intitolata a Sant’antonio, coadiutrice delle predette chiese e affidata al servizio di un solo sacerdote; anche lui riceve uno stipendio dalle primizie. Nel monastero femminile benedettino, intitolato al Santissimo Salvatore, vivono 28 monache, 3 novizie, 6 educande e 5 inservienti. gli istituti religiosi maschili sono 3: il primo dei predicatori, il secondo dei carmelitani, il terzo dei cappuccini; i frati domenicani sono 4, i carmelitani 5, i cappuccini 12. C’è l’ospedale, dedicato a San Pietro, per accogliere i cittadini e i forestieri infermi dell’uno e dell’altro sesso. le confraternite dei laici sono 8: del Santissimo Sacramento nella chiesa madre di Santa Maria, Sant’antonio, Santa lucia, Santissima Trinità, San giacomo, [fol. 185v] Santa Maria della Catena (i cui confrati hanno il compito di seppellire i cadaveri dei poveri portandoli sulle proprie spalle) San Michele arcangelo e San Matteo nelle proprie chiese dedicate a questi santi. Nella città sorgono altre 12 chiese: San bartolomeo, Spirito Santo, San Sebastiano, Santa Maria del Soccorso, Sant’antonio di Padova, San giuliano, Madonna di loreto, Santa Margherita, San Nicola, San filippo d’agira, Santa Maria di Calmeri, Santa Maria delle Scale; in esse si celebra con frequenza la messa. altre 6 chiese sorgono fuori le mura: Santa Maria dei bianchi, San giuseppe, Santa Maria del Carmelo, Santa Maria delle grazie, Santa Maria Maddalena, San giovanni; in tutte si celebra la messa. C’è un ospedale per accogliere i malati, dedicato a Santa barbara, unito all’ospedale di Santo Spirito di Roma e diretto da un sacerdote che indossa l’abito dello Spirito Santo; spetta ai


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

giurati [fol. 186r] e ai confrati della predetta chiesa eleggerlo e al superiore dell’ospedale di Roma conferirgli la croce. le famiglie della città sono circa 1.200; gli abitanti 3.890; coloro che adempiono il precetto della comunione 2.896; i sacerdoti 36; i diaconi, i suddiaconi e i chierici minori 24, che prestano servizio nelle chiese principali. la città di San Filippo d’Agira non ha una chiesa madre, è divisa in 6 parrocchie, secondo i decreti dei nostri predecessori; pertanto sono 6 le chiese sacramentali: Santa Maria, Santissimo Salvatore, Santa Margherita, Sant’antonio abate, Sant’antonio di Padova e San Pietro. Tutto il clero presta servizio in esse e ogni sacerdote va nella chiesa assegnatagli; in ogni chiesa sacramentale i cappellani amministrano ai fedeli i sacramenti e per il loro ministero [fol. 186v] sono pagati con le primizie. Il famoso tempio di San filippo confessore una volta era sede dei monaci benedettini; oggi è abbazia commendataria e l’abate è presentato dal re di Spagna. al suo servizio sono dediti 10 sacerdoti secolari con 2 chierici, ai quali l’abate dà uno stipendio. Uno di questi sacerdoti è chiamato priore, ma tutti indossano la mozzetta nera sulla cotta e pretendono di essere esenti dalla giurisdizione del vescovo. Il corpo di s. filippo è conservato nella propria cappella in un cassa d’argento. gli istituti religiosi maschili sono 6: eremitani di s. agostino e riformati dello stesso ordine; nel primo vivono 7 frati, altrettanti nel secondo; 3 della religione serafica di s. francesco: cappuccini, minori dell’osservanza più

le famiglie sono 1.200, gli abitanti 3.890, di comunione 2.896, i sacerdoti 36, chierici di altri ordini 24 Città di San filippo d’agira con 6 chiese sacramentali in ognuna delle quali servono 4 cappellani

Il famoso tempio di S.filippo, attualmente è abbazia regia, la nomina del commendatario spetta al Re di Spagna, prestano servizio 10 sacerdoti e 2 chierici, uno è priore, indossano la mozzetta nera e senza l’autorizzazione della Sede apostolica o dell’ordinario presumono di essere esenti. Il corpo di s.filippo

6 conventi di religiosi: il 1° degli agostiniani con 7 prsone, il 2° degli agostiniani riformati con 7, il 3° dei cappuccini con 12, il

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

4° degli osservanti riformati con 12, il 5° del terz’ordine con 14, il 6° dei carmelitani con 6

I monasteri femminili sono 3: 2 di benedettine, il 1° con 35 persone e il 2° con 28, il 3° delle clarisse con 33

8 compagnie di laici

11 confraternite

4 chiese semplici

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stretta, e del terz’ordine o della penitenza [fol. 187r], i minori cappuccini hanno 12 frati, altrettanti quelli dell’osservanza e 14 quelli del terz’ordine; l’ultimo, infine, è dell’ordine dei carmelitani, in esso risiedono 6 religiosi. I monasteri femminili sono 3: 2 di benedettine (uno è dedicato a Maria ss. annunziata e l’altro a Santa Maria la Raccomandata, in questo vivono 28 monache, 4 educande, 3 inservienti, nel primo 20 monache, 3 educande, 2 novizie e 3 inservienti); il terzo è delle clarisse, eretto nella chiesa di Santa Chiara; in esso vivono 22 monache, 8 novizie e 3 inservienti. le compagnie e le confraternite di laici, istituite per partecipare alle processioni e per esercitare le altre attività spirituali, sono 19. le associazioni sono 8: 3 del Santissimo Sacramento (la prima nella chiesa della Santa Croce [fol. 187v], la seconda in quella del Santissimo Salvatore, la terza nella chiesa di San Rocco), la quarta del Santissimo Rosario nella predetta chiesa del Santissimo Salvatore, la quinta di San vincenzo nella chiesa delle anime del Purgatorio, la sesta nella chiesa di San Paolo, la settima della morte nella chiesa di Sant’antonio, l’ottava di San giovanni battista nella propria sede. le confraternite sono 11: Sant’andrea, San biagio, Sant’Onofrio, Santa barbara, San Matteo, Santi Simone e giuda, Sant’Orsola, San Nicola, Santa Caterina, Santa lucia nelle proprie chiese dedicate a questi santi, l’ultima è della Santissima Concezione nella chiesa di Santa Margherita. le chiese semplici sono 4: Santa Maria dell’Indirizzo, Santa Serafina, Santa Maria della Catena e San Calogero, nelle quali si celebra spesso la messa.


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

Nelle chiese sacramentali si cantano messe solenni e si celebrano messe piane [fol. 188r] dalle somme di diversi legati; altrettanto si fa in quelle delle confraternite. C’è anche l’ospedale, intitolato a San lorenzo, per curare i cittadini e i forestieri infermi dell’uno e dell’altro sesso; l’amministrazione spetta a 2 rettori eletti dal priore della chiesa di San filippo. C’è pure il monte di pietà intitolato alla Madonna di loreto per fare opere di carità. le famiglie della città sono circa 2.700; le anime sono complessivamente 8.780; coloro che ricevono il pane eucaristico 6.000; tutti i sacerdoti sono 65, i diaconi, i suddiaconi e i chierici minori 30, che nei giorni festivi prestano servizio nelle loro parrocchie. Nella città di Aci Aquilia, che è la prima circoscrizione del territorio di aci, la chiesa principale è dedicata a Santa Maria dell’annunziazione; in essa, a turno, esercitano il ministero e amministrano i sacramenti ai fedeli 15 sacerdoti, ad ognuno dei quali si pagano 10 once dai proventi della gabella del pane con l’obbligo di celebrare alcune messe lette [fol. 188v] ed una cantata ogni sabato, nelle domeniche e nei giorni festivi, di cantare in coro i vespri, terza, sesta e nona negli stessi giorni festivi e nelle domeniche; si celebrano inoltre alcune messe private per l’obbligo derivante dai legati. Ci sono 2 chiese sacramentali coadiutrici della chiesa madre: Santa Caterina e San Michele; ognuna di esse ha il suo curato, che riceve 20 once dalla predetta gabella. le case dei religiosi sono 4: una di carmelitani dell’antica osservanza, 2 dei minori dell’osservanza di s. francesco e dei cappuccini, l’ultima dei domenicani. I carmelitani presenti

Messe Ospedale

Monte di pietà

famiglie 2.700, abitanti 8.780, di comunione 6.000, sacerdoti 65, chierici di altri ordini 30 la città di aci aquilia inferiore e la sua circoscrizione Chiesa madre servita da 15 sacerdoti con le insegne, obblighi di messe, canto in coro

2 chiese sacramentali filiali 4 istituti di religiosi: il 1° dei carmelitani dell’antica osservanza con 14 persone; il 2° dell’osservanza di s.francesco con 12; il

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

3° dei cappuccini con 12; il 4° dei domenicani con 7 Ospedale

3 compagnie di laici chiese semplici dentro la città; 3 fuori

famiglie 2.500, abitanti 9.980, di comunione 7.080, sacerdoti 90, chierici di altri ordini 40 Patanè seconda circoscrizione di aci inferiore, chiesa madre, i sacramenti sono amministrati da 2 sacerdoti, obblighi di messe 1 confraternita

famiglie 370, abitanti 1.250, di comunione 860, sacerdoti 7, chierici 4 S. antonio, prima circo-

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nel convento sono 14, gli osservanti 12, altrettanti i cappuccini e 7 i domenicani. annesso alla chiesa di Santa Maria di Monserrato c’è un ospedale, che accoglie i cittadini e i forestieri infermi dell’uno e dell’altro sesso, la cui amministrazione spetta alla confraternita del monte di pietà [fol. 189r]. Sono 3 le associazioni laicali: la prima è intitolata a San Sebastiano, la seconda ai ss. Pietro e Paolo ed hanno sede nelle chiese omonime (nelle quali ogni giorno si celebra la messa per l’obbligo di legati e per devozione), la terza del monte di pietà nella chiesa madre. le altre chiese sono 10: 7 dentro le mura e 3 fuori; dentro le mura si trovano: San francesco di Paola, San vito, San Rocco, Santa Maria dell’Itria, Santa Maria dei Miracoli e San giovanni Evangelista; fuori le mura: Sant’antonio di Padova, Santissimo Salvatore e Santa Maria di loreto; in tutte si celebra la messa nelle domeniche e nei giorni festivi. la famiglie sono circa 2.500; gli abitanti 9.980; coloro che si nutrono dell’Eucaristia 7.080; i sacerdoti 90, i suddiaconi e i chierici minori 46, che prestano servizio nella chiesa madre nelle domeniche e nei giorni festivi. la chiesa madre di Patané (aci Platani) appartiene allo stesso distretto ed è dedicata alla Madonna del Carmelo [fol. 189v]. 2 cappellani amministrano i sacramenti ai fedeli e ricevono da loro il sostentamento; nei giorni di festa celebrano entrambi la messa, nei giorni feriali a turno. C’è una confraternita del Santissimo Sacramento in una cappella della stessa chiesa. le famiglie sono 370; le anime 1.250; coloro che osservano il precetto della comunione 860. Sant’Antonio appartiene al secondo di-


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

stretto di aci ed ha la chiesa madre intitolata al medesimo santo, con 4 cappellani sostentati dalla stessa chiesa, che sono tenuti a celebrare la messa nelle domeniche e nei giorni festivi in forza del loro ufficio e alcune messe nei giorni feriali dalle rendite dei legati. Nella stessa chiesa hanno sede 2 confraternite: una del Santissimo Sacramento nella propria cappella ed è aggregata alla confraternita della Minerva di Roma, la seconda del Santissimo Rosario nell’altare dello stesso titolo [fol. 190r]. Ci sono altre 2 chiese e cioè San biagio e San Domenico. le famiglie sono 320; gli abitanti 1.487; quelli che si accostano alla comunione 1.050; i sacerdoti 4, altrettanti i chierici.

San Filippo di Carcina appartiene al predetto distretto di aci ed ha una chiesa madre dedicata allo stesso santo, dove 2 sacerdoti amministrano i sacramenti; i fedeli danno loro il sostentamento. Ogni giorno si celebra la messa per l’obbligo derivante da alcuni legati. Nella chiesa madre hanno sede 2 compagnie laicali, una del Santissimo Sacramento e l’altra di San Nicola. le famiglie sono 280; gli abitanti 1.235; coloro che ricevono l’Eucaristia 1.000; i sacerdoti 7 e i chierici 5, che prestano servizio nella predetta chiesa. Santa Maria della Consolazione nel medesimo distretto ha una chiesa madre dello stesso titolo [fol. 190v], servita da un solo curato. le famiglie sono 70; gli abitanti 250; coloro che si nutrono del cibo eucaristico 190; i

scrizione di aci superiore, chiesa madre e servizio prestato da 4 cappellani, obblighi di messe 2 confraternite

2 chiese semplici

famiglie 320, abitanti 1.487, di comunione 1.050, {sacerdoti 4, chierici 4}

S. filippo di Carcina, altra circoscrizione di aci superiore, prestano servizio 2 sacerdoti, obblighi di messe 2 compagnie laicali famiglie 280, abitanti 1.235, di comunione 1.000, sacerdoti 7, chierici 5

S. Maria della Consolazione, altra circoscrizione di aci Superiore, chiesa madre, 1 parroco famiglie 70, abitanti 250, di comunione 190, sacerdoti 3, chierici 4

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Marco Antonio Gussio (1650-1660) S. Maria della Catena, altra circoscrizione, chiesa madre, 1 cappellano famiglie 250, abitanti 845, di comunione 600, sacerdoti 6, chierici 6

S. giacomo, altra circoscrizione, chiesa madre, presta servizio 1 cappellano

famiglie 60, abitanti 185, di comunione 120, sacerdoti 4, chierici 3 S. lucia, altra circoscrizione, chiesa madre, prestano servizio 2 curati 2 compagnie di laici 2 chiese semplici

famiglie 230, abitanti 950, di comunione 740, sacerdoti 4, chierici 5

acicastello, altra circoscrizione, chiesa madre, presta servizio 1 sacerdote

famiglie 40, abitanti 125, di comunione 80, sacerdoti 1, chierici 2 valverde, altra circoscrizione, chiesa madre di

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sacerdoti 3; i chierici 4, che servono la stessa chiesa. Santa Maria della Catena si trova nel medesimo distretto di aci. la chiesa madre è intitolata alla Madonna, dove un solo cappellano amministra i sacramenti. le famiglie sono 250; le anime 845; coloro che ricevono l’Eucaristia 600; i sacerdoti 6, altrettanti i chierici, che prestano servizio nella stessa chiesa. San Giacomo si trova nel medesimo distretto di aci con una chiesa madre intitolata allo stesso santo, dove un solo sacerdote amministra i sacramenti. le famiglie sono 60; gli abitanti 185; coloro che adempiono il precetto di accostarsi alla comunione 120 [fol. 191r]; i sacerdoti 4, i chierici 3, che servono nella chiesa predetta. Santa Lucia appartiene allo stesso distretto di aci ed ha una chiesa madre dedicata alla stessa santa, dove 2 sacerdoti amministrano i sacramenti e ricevono il sostentamento dai fedeli. Nella stessa chiesa hanno sede 2 compagnie di laici, una del Santissimo Sacramento e l’altra del Rosario. Ci sono 2 altre chiese dedicate alla Madonna delle grazie e a s. Costantino. le famiglie sono 230; le anime 950; coloro che ricevono la comunione 740; i sacerdoti 4; i chierici 5, che servono la chiesa predetta. Acicastello dello stesso distretto di aci ha la chiesa madre dedicata a San Mauro, dove un solo sacerdote amministra i sacramenti. le famiglie sono 40; gli abitanti 125; coloro che si accostano ai sacramenti 80 [fol. 191v]; un solo sacerdote, 2 chierici. Valverde appartiene al predetto distretto di aci, la sua chiesa madre, dedicata alla Madonna,


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

è nota per la devozione dei fedeli, che vi si recano numerosi a visitare la Madre di Dio, che da parte sua distribuisce con generosità le grazie e coloro che le chiedono. 2 sacerdoti amministrano i sacramenti e ricevono lo stipendio dalle primizie dei fedeli. Nella chiesa madre hanno sede 2 compagnie laicali, una del Santissimo Sacramento e l’altra di Santa Maria della Misericordia. Ci sono altre 2 chiese dedicate alla Madonna annunziata e a s. antonino. le famiglie sono 370; gli abitanti 1.240; coloro che si nutrono del pane eucaristico 835; i sacerdoti 4, altrettanti i chierici, che servono nella chiesa predetta [fol. 192r]. Bonaccorsi appartiene allo stesso distretto di aci, la sua chiesa madre è dedicata alla Madonna dell’Indirizzo; è servita da 2 cappellani, che amministrano i sacramenti e ricevono lo stipendio delle primizie. Nella stessa chiesa hanno sede 2 compagnie laicali: una del Santissimo Sacramento nella sua cappella, aggregata alla confraternita di San Pietro di Roma, l’altra di Santo Stefano. Sorgono altre 3 chiese: Santa lucia, Santa Maria della Consolazione e Santa Maria della vena e in esse si celebra con frequenza la messa. le famiglie sono 320; gli abitanti 1.100; coloro che si nutrono del pane eucaristico 790; i sacerdoti sono 4 e i chierici 3, che prestano servizio nella chiesa madre. Motta Sant’Anastasia ha una chiesa madre dedicata alla stessa santa con 2 cappellani che amministrano ai fedeli i sacramenti. C’è una sola compagnia laicale intitolata a Sant’antonio con una sede propria. Ci sono altre 2 chiese (San Nicola [fol. 192v] e Santa Maria delle grazie), dove si celebrano le messe.

grandissima devozione, prestano servizio 2 sacerdoti

2 compagnie laicali 2 chiese semplici

famiglie 370, abitanti 1.240, di comunione 835, sacerdoti 4, chierici 4

bonaccorsi, altra circoscrizione, chiesa madre, prestano servizio 2 cappellani 2 compagnie laicali 3 chiese semplici famiglie 320, abitanti 1.100, di comunione 790, sacerdoti 4, chierici 3 Motta S. anastasia, 1° paese o terra, chiesa madre, 2 cappellani

1 compagnia laicale, 2 chiese semplici

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famiglie 150, abitanti 560, di comunione 400, sacerdoti 3, chierici 4

Malpasso, 2° paese, chiesa madre, prestano servizio 2 cappellani 2 conventi di religiosi: il 1° dei carmelitani con 4 frati, il 2° dei riformati dell’osservanza con 12

1 compagnia laicale partecipa alle processioni eucaristiche 2 chiese semplici, ove si celebrano 2 messe

famiglie 250, abitanti 1.370, di comunione 915, sacerdoti 8, chierici 6

Paternò, 3° paese, titolo della chiesa madre, prestano servizio, partecipano al coro e alla messa 20 sacerdoti con le insegne, 4 cappellani sacramentali 1 monastero femminile con 51 persone 5 istituti di religiosi: il 1° dei cappuccini con 14 persone, il 2° dei conventuali con 4, il 3° dei domenicani con 6, il 4° dei carmelitani

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le famiglie sono 150; gli abitanti 560; 400 di costoro si accostano all’Eucaristia; i sacerdoti sono 3; i chierici 4, che servono la chiesa madre. a Malpasso la chiesa madre è intitolata alla Madonna del Rosario, in essa 2 cappellani amministrano i sacramenti. Ci sono 2 istituti di religiosi, i carmelitani e i francescani di stretta osservanza. In questo dimorano 12 frati, nell’altro 4.

Nella chiesa madre c’è una sola compagnia laicale del Santissimo Sacramento, che ogni terza domenica partecipa alla processione eucaristica. altre 2 chiese sono dedicate ai Santi filippo e giacomo e a San vito, nelle quali si celebra la messa nei giorni festivi e nelle domeniche [fol. 193r]. le famiglie sono 250; gli abitanti 1.370; coloro che si accostano alla comunione 915; i sacerdoti 8; i chierici 7, addetti al servizio della chiesa madre. a Paternò la chiesa principale è intitolata a Santa Maria dell’alto, dove prestano servizio 20 sacerdoti, che nelle domeniche e nei giorni festivi recitano l’ufficio divino; vi si celebrano molte messe da lasciti e da legati; per la cura della anime provvedono i cappellani, ai quali vanno gli introiti delle primizie. C’è un solo monastero femminile, intitolato alla Madonna annunziata e vive sotto la regola di s. benedetto; vi dimorano 32 monache, 4 novizie, 8 educande e 7 inservienti. gli istituti religiosi sono 5: 2 di s. francesco (cappuccini e conventuali; nel primo dimorano 14 frati, nel secondo 4), uno dei domenicani con 6 religiosi [fol. 193v], un altro dei carmeli-


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tani con 5 frati, l’ultimo dei riformati di s. agostino con 8 religiosi.

le compagnie laicali sono 9 e le associazioni 8: Santissimo Sacramento cioè dei bianchi, Santa Maria della Raccomandata, Santa Maria della Consolazione, San giacomo, San Michele il Nuovo, Santa Caterina, Santa Maria dell’Itria, Santissimo Sacramento nella chiesa di San gregorio, dei bianchi nella chiesa di Santa Maria del Soccorso, tutte le altre nelle proprie chiese. C’è anche la confraternita di Santa Margherita nella propria chiesa. le chiese minori sono 13: Spirito Santo, Santa Domenica, San giovanni Evangelista, San Pietro, Sant’antonino, San Michele il vecchio, Sant’agrippina, Maria Santissima annunziata, Santa Maria delle grazie, Santa barbara, Sant’agata e Sant’antonio. In queste e nelle altre delle confraternite e delle associazioni [fol. 194r] si celebra la messa in tutte le domeniche e nei giorni festivi; di frequente nei giorni feriali per gli obblighi derivanti dai legati. C’è l’ospedale per curare i cittadini e i forestieri infermi, nel cui oratorio si celebra la messa nelle feste e una volta nel corso della settimana; è governato dai rettori eletti dai giurati. Il monte di pietà è stato istituito per compiere le opere di carità, fra le quali l’erogazione di somme per gli infermi poveri o per i carcerati; vi si celebrano 5 messe ogni settimana ed è governato dalla confraternita dei bianchi. le famiglie sono 1.200; gli abitanti 4.500; coloro che si nutrono del pane eucaristico 3.700; i sacerdoti 28, i chierici 20 sono addetti al servizio della chiesa madre. a Biancavilla la chiesa madre è dedicata alla Madonna dell’Elemosina, la cui immagine,

con 5, il 5° degli agostiniani riformati con 8 8 associazioni

1 confraternita

13 chiese minori

Ospedale con l’oratorio Monte di pietà per aiutare gli infermi e i carcerati, si celebrano cinque messe la settimana famiglie 1.200, abitanti 4.500, di comunione 3.700, sacerdoti 28, chierici 20 biancavilla, 4° paese, titolo della chiesa madre

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Prestano servizio 4 sacerdoti con tre messe quotidiane 2 compagnie laicali, si celebrano le messe nelle feste

1 chiesa semplice

famiglie 540, abitanti 2.000, di comunione 1.540, sacerdoti 6, chierici 8

adrano o adernò, 5° paese, titolo della chiesa madre, tre cappellani sacramentali, vi presta servizio tutto il clero, molte messe 90 persone in due monasteri: il 1° con la regola di s.benedetto con 59, il 2° di s.Chiara con 47

3 istituti di religiosi: domenicani con 8 persone,

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dipinta secondo lo stile bizantino, perché portata [fol. 194v] dai primi abitanti greco-albanesi, è oggetto di grande venerazione. Sono addetti all’amministrazione dei sacramenti 4 sacerdoti, che sono presentati dai giurati e da essi ricevono il sostentamento; gli stessi sono tenuti ogni giorno a celebrare 3 messe. Ci sono 2 compagnie laicali: una del Santissimo Sacramento nella chiesa dell’annunziata e l’altra della Morte nella chiesa di Sant’Orsola. Questi confrati hanno l’obbligo di seppellire i poveri che muoiono, portandoli sulle loro spalle, e di suffragare le loro anime. Nelle chiese si celebra la messa in tutte le feste predette e spesso anche nei giorni feriali. C’è un’altra chiesa dedicata a San Rocco dove si celebra la messa. le famiglie sono circa 540; gli abitanti 2.000; coloro che si accostano alla comunione 1.540; i sacerdoti 6, i chierici 8, che prestano il servizio nella chiesa madre [fol. 195r]. ad Adrano la chiesa principale è dedicata a Maria SS. assunta, i cui cappellani amministrano ai fedeli i sacramenti e ricevono le primizie. Tutto il clero presta servizio nella chiesa madre, dove si celebrano molte messe per i legati. Ci sono 2 monasteri femminili: uno, soggetto alla nostra giurisdizione e alla regola benedettina, è intitolato a Santa lucia, l’altro, soggetto ai francescani dell’osservanza e alla regola delle clarisse, è intitolato a s. Chiara, in questo vivono 30 monache, 3 novizie, 6 educande e 3 inservienti; nell’altro 40 monache, 4 novizie, 5 educande e 10 inservienti. gli istituti religiosi maschili sono 3: uno dell’ordine dei predicatori, 2 dei francescani


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(minori osservanti e cappuccini). I domenicani sono 8, i francescani dell’osservanza 16 e i cappuccini 12. Sono istituiti l’ospedale e il monte di pietà per accogliere i cittadini [fol. 195v] e i forestieri infermi dell’uno e dell’altro sesso e per fare opere di carità; fra queste da segnalare l’offerta di elemosine ai poveri, nelle feste di natale e di pasqua, da parte dei rettori della confraternita del monte. le associazioni di fedeli sono 3: del Santissimo Sacramento nella chiesa madre, della Morte nella stessa chiesa e di San Rocco nella propria chiesa. le confraternite sono 5: San Pietro, Sant’antonio, Santissimo Salvatore, Spirito Santo e Sant’antonino nelle proprie chiese. le altre chiese semplici sono 5: gesù e Maria, San giovanni Evangelista, Santa Maria del Tindaro, San vito e San Marco. Nelle chiese delle associazioni e delle confraternite spesso si celebra la messa. le famiglie sono 1.100; gli abitanti 4.200; coloro che si accostano alla comunione 3.850 [fol. 196r]; i sacerdoti sono 25, i chierici 18, addetti al servizio della chiesa madre. a Centuripe la chiesa madre, intitolata alla Santissima Concezione, è domicilio dei riformati di s. agostino; il paese per quanto piccolo è molto antico, essendo stato fondato dagli abitanti superstiti della città di Centuripe. amministrano i sacramenti ai fedeli 2 cappellani del clero secolare. I religiosi residenti nel convento sono 4; le famiglie 200; le anime 750; coloro che osservano il precetto della comunione sono 500; i sacerdoti 2, altrettanti i chierici, che prestano servizio nella chiesa madre.

francescani dell’osservanza con 16, cappuccini con 12

Ospedale e monte di pietà, ogni anno si distribuiscono anche elemosine per i poveri a pasqua e a natale 3 compagnie di laici 5 confraternite 5 chiese semplici o minori

famiglie 1.100, abitanti 4.200, di comunione 3.850, sacerdoti 25, chierici 18

Centuripe, 6° paese, titolo della chiesa madre amministrano i sacramenti 2 sacerdoti secolari la comunità del convento è di 4 persone, famiglie del paese 200, abitanti 750, di comunione 500, sacerdoti 2, chierici 2

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Regalbuto, 7° paese, titolo della chiesa madre e suoi cappellani sacramentali

altra chiesa sacramentale, servizio del clero in queste chiese

3 conventi di religiosi: il primo degli agostiniani con 3 persone, il secondo dei domenicani con 4, il terzo dei cappuccini con 12

3 monasteri femminili: 2 di benedettine con 77 persone, il 3° di agostiniane con 41

Ospedale per i malati e i bambini esposti, si distribuiscono anche elemosine per i poveri e i malati 2 compagnie laicali e altrettante confraternite

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a Regalbuto la chiesa principale è dedicata a San basilio, dove si celebrano alcune messe dalle rendite dei legati e i cappellani amministrano i sacramenti ai fedeli. C’è una chiesa sacramentale coadiutrice della chiesa madre, intitolata a Santa Maria della Croce; due parti del clero prestano servizio nella chiesa madre, una nella chiesa sacramentale predetta [fol. 196v]. Tutti ogni giorno sono tenuti a celebrare molte messe. le case religiose maschili sono 3: una degli eremitani di s. agostino con 12 frati, un’altra dei domenicani con 4 religiosi, l’ultima dei cappuccini con 12 frati.

I monasteri femminili sono anche 3: due dell’ordine di s. benedetto (Santa Maria della grazia e San giovanni battista; nel primo risiedono 18 monache, 2 novizie, 4 educande e 6 inservienti; nella seconda 24 monache, 3 novizie, 5 educande, altrettante inservienti) il terzo, intitolato a Sant’antonino, osserva la regola di s. agostino ed è soggetto ai frati dello stesso ordine; le monache sono 26, le educande 8, le inservienti 7. C’è un ospedale istituito per accogliere [fol. 197r] i cittadini e i forestieri infermi dell’uno e dell’altro sesso, i bambini esposti e per elargire elemosine ai poveri e ai malati. ha tre procuratori, eletti dal nostro vicario foraneo e dai giurati e soggetti agli stessi. Ci sono 2 compagnie laicali e altrettante confraternite; le associazioni sono: Santa Maria annunziata nella propria chiesa e Santissimo Purgatorio nella chiesa di San Rocco; le confraternite: San vito con sede in una propria cappella


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della chiesa madre e Santa Maria della Croce nella propria sede. le chiese semplici sono 4: San Calogero, Santa Maria di Porto Salvo, San Sebastiano e Santa Caterina; in esse si celebra la messa in tutte le domeniche e nei giorni festivi, ma nelle prima con maggiore frequenza. le famiglie sono 1.200; gli abitanti 5.400; coloro che osservano il precetto ecclesiastico della comunione sono 3.650 [fol. 197v]; i sacerdoti sono 23; i chierici 15 e prestano servizio nella chiesa madre e nella sua coadiutrice. a Leonforte la chiesa madre è intitolata a San giovanni battista, 4 cappellani vi svolgono il ministero e amministrano i sacramenti ai fedeli con la retribuzione delle primizie. le case religiose maschili sono 2: una dei cappuccini e l’altra del terz’ordine; nella prima vivono 12 frati, nella seconda 7.

C’è un’unica confraternita del Santissimo Sacramento con sede in una cappella della chiesa madre, i cui membri partecipano ogni terza domenica alla processione del Santissimo Sacramento. le chiese semplici sono 2: San Rocco e Sant’antonino e in entrambe si celebra la messa. le famiglie sono 250; le anime 2.360; coloro che si accostano alla comunione 1.840; i sacerdoti 6, i chierici 4, addetti al servizio della chiesa madre [fol. 198r]. ad Assoro la chiesa madre è intitolata a San leone cittadino e vescovo di Catania ed è servita da tutto il clero; ogni giorno si celebra la messa conventuale e diverse altre messe private di legati, ogni domenica si canta in coro l’ufficio. I cappellani sacramentali prestano servizio con i proventi delle primizie.

4 chiese semplici

famiglie del paese 1.200, abitanti 5.400, di comunione 3.650, sacerdoti 23, chierici 15 leonforte, 8° paese, titolo della chiesa principale con 4 cappellani 2 conventi di religiosi: il 1° dei cappuccini con 12 persone, il 2° del terz’ordine con 7 1 confraternita

2 chiese semplici

famiglie 250, abitanti 2.360, di comunione, 1.840, sacerdoti 6, chierici 4 assoro, 9° paese, titolo della chiesa madre, servizio del clero, messe, coro, cappellani sacramentali

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5 istituti di religiosi: 1° s.francesco dei riformati dell’osservanza con 12 persone, 2° dei cappuccini con 12, 3° del terz’ordine con 10, 4° dei carmelitani con 7, 5° degli agostiniani con 6 1 monastero femminile con 29 persone

Ospedale per i malati e i bambini esposti 6 confraternite

12 chiese semplici

famiglie 1.890, abitanti 7.857, di comunione 6.650, sacerdoti 26, chierici 16

Pietraperzia, 10° paese, titolo della chiesa principale, cappellano beneficiale

2 istituti di religiosi: 1° dei

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le case religiose maschili sono 5: 3 dei francescani (cappuccini dell’osservanza, riformati e del terz’ordine), la quarta dei carmelitani, l’ultima degli eremitani di s. agostino, i cui frati sono 6, mentre i cappuccini sono 12, altrettanti i riformati, 10 quelli del terz’ordine e 7 i carmelitani.

C’è un solo monastero femminile di clarisse con una chiesa dedicata a Santa Chiara, le monache residenti sono 20, le educande 4, le inservienti 5. C’è un ospedale istituito per accogliere i cittadini e i forestieri infermi dell’uno e dell’altro sesso [fol. 198v] e i bambini esposti. le confraternite di laici sono 6: Santissimo Purgatorio, in una propria cappella unita alla chiesa madre, Sant’Onofrio, San biagio, Spirito Santo, San Pietro e San Marco nelle proprie chiese. le chiese semplici sono 12: San bartolomeo, San leonardo, Sant’antonio, San giovanni battista, San Nicola, Madonna di loreto, Sant’agata, Santa Maria dei Miracoli, San Rocco, Sant’Elena, Santa Croce e San vincenzo; le ultime due si trovano fuori le mura. Nella predette chiese si celebra di frequente la messa sia con le rendite dei legati sia con le elemosine. le famiglie sono 1.890; gli abitanti 7.857; coloro che adempiono il precetto della comunione 6.650; i sacerdoti 23, i chierici 16 [fol. 199r], addetti al servizio della chiesa madre. a Pietraperzia la chiesa madre è dedicata a Santa Maria; un beneficiale, presentato dal signore del luogo e approvato dal vescovo, amministra i sacramenti ai fedeli con le offerte delle primizie. Ci sono 2 case religiose maschili: una di


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domenicani, entro le mura della città, con 4 religiosi, l’altra, fuori le mura, è dei riformati di s. agostino nella chiesa di Santa Maria la Cava; è soggetta alla nostra giurisdizione ed ha 6 frati. le compagnie laicali sono 3: anime del Santissimo Purgatorio nella chiesa del Santissimo Crocifisso, San Nicola e San Rocco nelle proprie chiese. C’è una confraternita intitolata a Santa Maria del Soccorso nella propria chiesa. Una sola chiesa semplice è dedicata a s. Sofia, vi si celebra la messa nelle feste con l’elemosina dei fedeli. le famiglie sono 450 [fol. 199v]; gli abitanti 1.530; coloro che si accostano alla comunione 1.050; i sacerdoti 6, i chierici 5, addetti al servizio della chiesa madre.

a Barrafranca la chiesa principale è dedicata a Santa Maria della grazia, dove i cappellani amministrano ai fedeli i sacramenti; si hanno legati di messe celebrate dai sacerdoti. Ci sono 3 confraternite con sede nelle proprie chiese: Sant’alessandro, San Sebastiano e Santa Maria dell’Itria. Una sola chiesa semplice dedicata alla Concezione di Maria; nelle feste e nella domeniche si celebra la messa, come suole avvenire anche nelle chiese predette. le famiglie sono 310; le anime 1.030; coloro che osservano il precetto della comunione 810; i sacerdoti 7; i chierici 3, che prestano servizio nella chiesa madre [fol. 200r]. ad Aidone la chiesa principale è dedicata a San lorenzo, in essa amministrano i sacramenti un beneficiale, presentato dal signore del luogo e confermato dal vescovo, con 4 cappel-

domenicani dentro il paese con 4 persone, 2° degli agostiniani riformati con 6 3 compagnie laicali 1 confraternita

1 chiesa semplice con la celebrazione della messa nelle feste

famiglie 450, abitanti 1.530, di comunione 1.050, sacerdoti 6, chierici 5 barrafranca, 11° paese, titolo della chiesa madre, cappellani 3 confraternite

1 chiesa semplice, nelle feste si celebra la messa famiglie 310, abitanti 1.030, di comunione 810, sacerdoti 7, chierici 3

aidone, 12° paese, titolo della chiesa madre, svolge il ministero 1 beneficiale con 4 cappellani

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6 istituti di religiosi: 1° dei domenicani con 10 persone, il 2° dei carmelitani con 4, il 3° degli eremitani di s.agostino con 6, il 4° dei cappuccini con 6, il 5° dei conventuali con 4 1 monastero femminile con 28 persone

Ospedale per i malati e i bambini esposti 2 compagnie laicali 8 chiese semplici

famiglie 1.570, abitanti 7.658, di comunione 6.090, sacerdoti 28, chierici 14

Mirabella, 13° paese, 1 chiesa sacramentale con due cappellani

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lani: 2 nella chiesa madre e altrettanti nella chiesa sacramentale intitolata a San Nicola, coadiutrice della matrice. I proventi delle primizie e gli altri introiti sono divisi in quattro parti, delle quali due vanno al beneficiale e le altre sono distribuite ai 4 cappellani. I conventi di religiosi sono 6: il primo è dei domenicani e vi risiedono 10 frati, il secondo dei carmelitani con 4 religiosi, il terzo degli eremitani di s. agostino con 4 frati, il quarto dei cappuccini e il quinto degli osservanti riformati; questi ultimi due sono costituiti da 12 religiosi, l’ultimo è dei conventuali con 4 frati. C’è un solo monastero femminile che osserva la regola di s. Caterina da Siena; vi dimorano 22 monache [fol. 200v], 3 novizie, altrettante converse. C’è un ospedale intitolato a San Tommaso, che accoglie i cittadini e i forestieri infermi dell’uno dell’altro sesso e i bambini esposti. le compagnie laicali sono 2, Santissimo Salvatore e San leone nelle proprie chiese. le chiese semplici sono 8: Sant’antonio, Santa Maria della grazia, San biagio, San giacomo, Santa Maria annunziata, Sant’antonio di Padova, Santa Maria dell’Itria e Santa Caterina, nelle quali si celebra con frequenza la messa. le famiglie sono 1.570; gli abitanti 7.658; coloro che si alimentano con il pane eucaristico 6.090; i sacerdoti 28; i chierici 14.

Mirabella è un paese di recente fondazione con una sola chiesa, che è sacramentale, dedicata alla Madonna delle grazie; vi prestano servizio [fol. 201r] 2 cappellani, sostentati dal signore del luogo, che ogni giorno celebrano la messa.


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le famiglie sono 60; gli abitanti 230; coloro che si accostano alla comunione 195; i sacerdoti 2, altrettanti i chierici.

Valguarnera è un paese costruito da pochi anni, che ha 2 chiese: la maggiore è dedicata a San Cristoforo, l’altra al Santissimo Salvatore ed è sacramentale; il signore del luogo dà il sostentamento ai cappellani e il necessario per il servizio alle chiese. a Viagrande la chiesa madre è dedicata alla Madonna dell’Itria, vi amministrano i sacramenti i cappellani e presta servizio tutto il clero, che adempie i legati delle messe. C’è una sola confraternita del Santissimo Sacramento in una propria cappella della chiesa madre. le chiese minori sono 8, 5 delle quali dentro le mura: Sant’agata, Santa Caterina, [fol. 201v] San biagio, Santa Maria dell’annunciazione e San vito; le altre fuori le mura: Sant’antonio di Padova, San Domenico e San francesco; in esse si celebra la messa nelle domeniche e nei giorni festivi e spesso durante la settimana. le famiglie sono 400; gli abitanti 1.690; coloro che si cibano del pane eucaristico 1.057; i sacerdoti 12, i chierici 15, addetti al servizio della chiesa predetta. a Trecastagni la chiesa principale è dedicata a San Nicola, vi presta servizio tutto il clero e 4 cappellani amministrano i sacramenti. le confraternite laicali sono 4: Santissimo Sacramento, in una propria cappella della chiesa

famiglie 60, abitanti 230, di comunione 195, sacerdoti 2, chierici 2 valguarnera, 14° e ultimo paese, 2 chiese con i cappellani

Sobborghi o terre nei dintorni di Catania

viagrande, 1° sobborgo, titolo della chiesa madre, prestano servizio i cappellani 1 compagnia laicale

8 chiese minori, nelle feste e spesso durante la settimana si celebra la messa

famiglie 400, abitanti 1.690, di comunione 1.057, sacerdoti 12, chierici 13

Trecastagni, 2° sobborgo, titolo della chiesa madre, prestano servizio 4 cappellani con il clero 4 confraternite laicali, si

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celebrano messe ogni giorno

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6 chiese minori, si celebra la messa nelle feste

famiglie 770, abitanti 3.200, di comunione 2.400, sacerdoti 14, chierici 6 Pedara, 3° sobborgo, titolo della chiesa madre, prestano servizio 3 cappellani con tutto il clero 1 confraternita

5 chiese minori, in tutte si celebra la messa famiglie 390, abitanti 1.588, di comunione 1.050, sacerdoti 8, chierici 11

Tremestieri, 4° sobborgo, titolo della chiesa madre, 3 cappellani con tutto il clero 2 compagnie laicali e 2

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madre, Santa Maria della Misericordia, dei Santi alfio, filadelfo e Cirino nelle proprie chiese, l’ultima è quella della morte nella chiesa di s. antonio abate, aggregata alla confraternita della morte di Roma [fol. 202r]. le altre chiese minori sono 6: Santa Maria dei Miracoli, Santa Maria dell’aiuto, Santa Maria del Soccorso, Sant’agata, Santa Caterina e Santa Maria dell’Indirizzo, nelle quali si celebra la messa nelle domeniche e nei giorni festivi, mentre in quelle delle confraternite si celebra ogni giorno. le famiglie sono 770; gli abitanti 3.200; coloro che si accostano alla comunione 2.400; i sacerdoti sono 14, i chierici 6.

a Pedara la chiesa madre è intitolata a Santa Caterina, tutto il clero vi presta servizio, mentre 3 curati amministrano ai fedeli i sacramenti. C’è una sola confraternita, intitolata alla Santissima annunziata, con una propria chiesa. le chiese semplici sono 5: Sant’antonio abate, Sant’anna [fol. 202v], Santa Maria della grazia, San vito e Sant’antonio di Padova, nelle quali si celebra la messa. le famiglie sono 390; le anime 1.588; coloro che si nutrono del cibo eucaristico 1.050; i sacerdoti 8 e i chierici 11.

a Tremestieri la chiesa principale è dedicata a Santa Maria delle Pace, vi presta servizio tutto il clero, mentre 3 cappellani amministrano i sacramenti.

Ci sono 2 compagnie laicale nella chiesa madre, una del Santissimo Sacramento e l’altra


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della Pace e altrettante chiese minori, Sant’antonio di Padova e San Rocco, in esse con frequenza si celebra la messa. le famiglie sono 330; le anime 1.130; coloro che si accostano alla comunione 787; i sacerdoti 5 e i chierici 2. San Giovanni Galermo ha 3 chiese [fol. 203r]: San giovanni che è la matrice, Santa Maria della grazia e Sant’antonio di Padova; un solo cappellano amministra ai fedeli i sacramenti con gli introiti delle primizie. C’è una sola compagnia laicale nella chiesa madre, intitolata allo stesso santo. le famiglie sono 130; le anime 492; coloro che si cibano del pane eucaristico 310; i sacerdoti 2 e altrettanti i chierici.

a Sant’Agata la chiesa madre è intitolata alla stessa vergine, vi amministra i sacramenti un solo cappellano con gli introiti delle primizie.

le chiese minori sono 3: Sant’antonio abate, Santa Maria dell’annunciazione e San Michele arcangelo. le famiglie sono 85; gli abitanti 330; coloro che adempiono il precetto della comunione 230; i sacerdoti 3, i chierici 2 [fol. 203v]. a Misterbianco le chiese sono 3: Santa Maria della grazia, Santa Maria della Consolazione e San Nicola. la prima è la matrice, le altre sono sacramentali. Nella chiesa madre in tutte le feste di precetto si cantano le messe principali e nei giorni feriali diverse messe private dei legati; tutto il clero presta servizio nella chiesa madre; 2 cappellani amministrano i sacramenti ai fedeli nella matrice e 2 nelle chiese sacramentali.

chiese minori nelle quali spesso si celebra la messa famiglie 330, abitanti 1.135, di comunione 787, sacerdoti 5, chierici 2 S. giovanni galermo, 5° sobborgo, titolo della chiesa madre, altre 2 chiese minori, 1 cappellano 1 compagnia laicale

famiglie 130, abitanti 492, di comunione 310, sacerdoti 2, chierici 2

S. agata, 6° sobborgo, titolo della chiesa madre, 1 cappellano amministra i sacramenti 3 chiese minori

famiglie 85, abitanti 330, di comunione 230, 3 sacerdoti, 2 chierici

Misterbianco, 7° sobborgo, titolo della chiesa madre, 2 chiese sacramentali, nella matrice nelle feste si canta la messa grande, ogni giorno si celebra la messa, 2 cappellani per ogni chiesa

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

1 convento di carmelitani con una comunità di 5 persone 1 compagnia laicale

famiglie 700, abitanti 2.657, di comunione 2.015, sacerdoti 12, chierici 8 Place, Plache o Prace, 8° sobborgo, titolo della chiesa madre, 2 cappellani 1 chiesa minore

famiglie 250, abitanti 935, di comunione 600, sacerdoti 3, chierici 2

Mascalucia, 9° sobborgo, chiesa madre, 2 chiese minori, 2 cappellani 1 compagnia laicale famiglie 330, abitanti 1.035, di comunione 722, sacerdoti 4, chierici 3

Nicolosi, 10° sobborgo, titolo della chiesa madre, 2 cappellani 2 compagnie laicali

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C’è una sola casa religiosa di carmelitani con 5 frati. Una sola compagnia laicale del Santissimo Sacramento in una cappella propria della chiesa madre. le famiglie sono 700; le anime 2.657; coloro che ricevono la comunione 2.015; i sacerdoti 12; i chierici 8.

alle Plache (gravina) la chiesa principale e madre di tutte le chiese è dedicata a Sant’antonio di Padova, vi amministrano i sacramenti 2 cappellani con gli introiti delle primizie [fol. 204r]. C’è una sola chiesa semplice dedicata a San Cristoforo. le famiglie sono 250; gli abitanti 935; coloro che adempiono il precetto della comunione 600; i sacerdoti 3, i chierici 2. a Mascalucia ci sono 3 chiese: Santa Maria della Consolazione, che è la matrice, Santi filippo e giacomo, San vito; 2 cappellani prestano servizio nella chiesa madre con gli introiti delle primizie. C’è una sola compagnia laicale del Santissimo Sacramento in una propria cappella della chiesa madre. le famiglie sono 330; le anime 1.035; coloro che si accostano alla comunione 722; i sacerdoti 4, i chierici 3. a nicolosi la chiesa principale è intitolata allo Spirito Santo, vi amministrano i sacramenti 2 cappellani. Ci sono 2 compagnie laicali, una del Santissimo Sacramento in una cappella della


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

chiesa madre, l’altra di Sant’antonio nella chiesa Madonna della grazia [fol. 204v]. le famiglie sono 200; gli abitanti 980; coloro che adempiono il precetto della comunione 700; i sacerdoti 3 e i chierici 2.

a Mompileri la chiesa principale è intitolata a Santa Maria dell’annunciazione, l’immagine molto antica della vergine è di marmo ed è oggetto di grandissima devozione; 2 cappellani vi prestano servizio per amministrare ai fedeli i sacramenti e da essi ricevono il sostentamento. C’è una sola compagnia laicale del Santissimo Sacramento in chiesa madre e 2 confraternite di Santa Maria della Misericordia e di Sant’antonio nelle chiese omonime. le chiese minori sono 5: la vera Croce, Santa Maria di Porto Salvo, San Michele arcangelo, San Rocco e Santa Maria della guardia, nelle quali si celebra la messa [fol. 205r]. le famiglie sono 70; gli abitanti 200; di essi 135 si accostano alla comunione; i sacerdoti sono 2, altrettanti i chierici.

a Camporotondo ci sono 2 chiese, delle quali una e la matrice ed è chiamata Santa Maria degli Infermi, l’altra Sant’antonio. 2 cappellani prestano servizio per amministrare i sacramenti. le famiglie sono 460; le anime 1.600; coloro che si accostano alla comunione 1.135; i sacerdoti 3, i chierici 2. San Gregorio ha 2 chiese: Santa Maria, che è la matrice, e Sant’antonio di Padova; un solo cappellano amministra ai fedeli i sacramenti con gli introiti delle primizie. le famiglie sono 135 [fol. 205v]; le anime

famiglie 200, abitanti 980, di comunione 700, sacerdoti 3, chierici 2

Mompileri, 11° sobborgo, la chiesa madre è un tempio di grandissima devozione, due cappellani 1 compagnia laicale e 2 confraternite 5 chiese minori, in tutte si celebra la messa famiglie 70, abitanti 200, di comunione 135, sacerdoti 2, chierici 2

Camporotondo, 12° sobborgo, la chiesa madre e 1 minore, 2 cappellani

famiglie 460, abitanti 1.600, di comunione 1.135, sacerdoti 3, chierici 2

S. gregorio, 13° sobborgo, 1 chiesa, 1 cappellano famiglie 135, abitanti

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

450, di comunione 230, sacerdoti 2, chierici 2

Trappeto, 14° sobborgo, chiesa madre, e 1 chiesa minore, 1 cappellano

famiglie 82, abitanti 332, di comunione 204, sacerdoti 2, chierici 3

S. giovanni la Punta , 15° sobborgo, chiesa madre, 2 cappellani 1 compagnia laicale 5 chiese minori famiglie 225, abitanti 1.007, di comunione 630, sacerdoti 4, chierici 3

{S Pietro, 16° sobborgo}, chiesa madre, 5 minori, 1 compagnia laicale

2 cappellani sacramentali, 1 per il servizio alla chiesa minore

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450; coloro che si accostano alla comunione 230; i sacerdoti 2 e altrettanti i chierici.

a Trappeto ci sono 2 chiese: San Rocco che è la maggiore e Sant’antonio; un solo cappellano amministra i sacramenti con gli introiti delle primizie. le famiglie sono 82; gli abitanti 332; coloro che osservano il precetto della comunione 204; i sacerdoti 2; i chierici 3.

a San Giovanni la Punta la chiesa principale porta lo stesso nome; i cappellani sono 2 e amministrano i sacramenti con gli introiti delle primizie. C’è una sola compagnia laicale, intitolata a San giovanni, nel proprio oratorio, i cui confrati si riuniscono in giorni stabiliti per recitare l’ufficio dei defunti e per fare altre devozioni. le chiese minori sono 5: Sant’antonio, Santissimo Salvatore, Santa Maria della grazia [fol. 206r], Santa Caterina e Santa Maria della Ravanusa, nelle quali si celebra la messa. le famiglie sono 225; le anime 1.007; coloro che si accostano alla comunione 630; i sacerdoti 4 e i chierici 3.

San Pietro ha 6 chiese: Santa Caterina vergine e Martire è la maggiore, le altre sono intitolate a Sant’antonio di Padova, a Santa Maria della grazia, a San Rocco, a San Pietro; in quest’ultima ha sede una compagnia laicale con lo stesso nome; i membri si riuniscono in giorni stabiliti per recitare i sette salmi penitenziali e per fare altre pratiche devote. Ogni giorno 2 cappellani celebrano la messa nella chiesa madre e amministrano i sacramenti ricevendo il sostentamento dalla rendite


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

della stessa chiesa, si celebra anche dal cappellano di Santa Caterina vergine e Martire; come pure ogni martedì si celebra nella chiesa di San Rocco, ogni giovedì nella chiesa [fol. 206v] di Sant’antonio abate, ogni venerdì nella chiesa di Sant’antonio di Padova e il sabato nella chiesa della Madonna della grazia. le famiglie sono 275; coloro che si nutrono del cibo eucaristico 456; gli abitanti 625; i sacerdoti 3, un diacono e 5 chierici.

In diocesi ci sono 3 case di eremiti edificate sui monti: Rossomanno, Iudica e Scarpello. Questi eremiti conducono una vita da contadini e fra di loro non fanno vita comune, né sono vincolati da voti di alcun genere; liberamente scelgono di dimorare in questi luoghi e liberamente, quando vogliono, se ne allontanano. hanno delle ore stabilite per riunirsi in preghiera, di giorno e di notte, in una casa comune; hanno un superiore, al quale devono chiedere il permesso per allontanarsi dal monte e sbrigare le loro faccende, e delle norme stabilite dai vescovi per regolare la loro vita. Ci sono anche legati per il matrimonio delle ragazze prive di genitori con una somma stabilita per la dote in città e nella diocesi, e per distribuire elemosine [fol. 207r] ai poveri e ai malati in denaro, frumento e farina, nelle feste di natale e di pasqua. vigiliamo con tutta la diligenza possibile perché si osservino queste e tutte le altre pie volontà dei defunti (come ci obbliga la nostra responsabilità pastorale). Nei centri abitati della nostra diocesi c’è un vicario foraneo (o nostro vicario episcopale); cioè abbiamo la cura spirituale delle chiese e quella per l’amministrazione della giustizia. E poiché dal precetto del Signore siamo

famiglie 275, abitanti 625, di comunione 456, sacerdoti 3, diacono 1, chierici 5 3 case di eremiti

legati di varie persone da adempiere in tutta la diocesi

Nei luoghi della diocesi c’è un vicario foraneo

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

obbligati a vigilare sul gregge a noi affidato e a indirizzarlo per la via della salvezza, fin dal nostro ingresso in questa diocesi, non abbiamo avuto altra preoccupazione che assicurare la salvezza di tutti e riformare i costumi dei fedeli. Quando ci siamo resi conto che qualcosa andava riformata con decreti particolari e generali, con tutte le nostre forze ci siamo adoperati per emanare disposizioni, secondo i canoni del Concilio di Trento e i decreti degli eminentissimi cardinali, riguardanti l’incremento del culto divino e del decoro ecclesiastico, l’amministrazione dei sacramenti, delle rendite e dei beni delle chiese, la riforma del clero, la correzione e la formazione dei fedeli, il mantenimento e il consolidamento della clausura e della disciplina delle monache [fol. 207v], in modo da prescrivere quel che man mano, con l’aiuto di Dio, avessimo ritenuto utile. gli abitanti di questa diocesi (ringraziando la divina Maestà) professano tutti la fede cattolica e non abbiamo trovato nessuno che si sia allontanato da essa. Umilmente prostrati preghiamo la Santità vostra di accettare benignamente questa relazione della nostra chiesa catanese, così come fu bene accolta da Innocenzo x, predecessore della beatitudine vostra, quella della chiesa di Cefalù. Infine preghiamo incessantemente la divina Maestà perché preservi incolume con tutta la sua Chiesa cattolica la Santità vostra, eletta per volere di Dio al soglio di Pietro, mentre baciamo (com’è giusto) i piedi di Sua Santità. beatissimo e Santissimo Padre Della beatitudine e della Santità Sua indegnissimo servo Marco antonio, vescovo di Catania {1655}

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Marco Antonio Gussio (1650-1660)

[fol. 209v] Compendio della relazione sullo stato della città di Catania capoluogo della diocesi

Il vescovo è conte e cancelliere dello Studio generale. la chiesa cattedrale si fregia di 4 dignità, di 12 canonici, insigniti del rocchetto, della cappa e della mozzetta, di 12 beneficiati e di 8 mansionari, che indossano la cotta e l’almuzio. Una collegiata con 3 dignità, 19 canonici e 6 soprannumerari, insigniti dell’almuzio nero, filettato di seta rossa, e della cotta. Chiese sacramentali coadiutrici della cattedrale 5. Un seminario con 11 alunni. Istituti religiosi maschili 20. I membri di questi istituti sono 342. Monasteri femminili 11. le monache che vi risiedono 405. Una casa con clausura per le donne convertite alla penitenza accoglie 19 persone. Un’altra casa delle stesse senza clausura accoglie 7 persone. Un istituto per orfane con clausura accoglie 23 ospiti. Un istituto per orfani accoglie 23 ospiti. Un ospedale per infermi e bambini esposti. Un ospizio per pellegrini. Un monte di pietà per distribuire medicine agli infermi. Una commenda di San giovanni di gerusalemme. Un romitorio che accoglie 8 persone. associazioni ed ognuna di essa con la propria chiesa 25. Confraternite con le loro chiese 6. Chiese minori o semplici 12. Congregazioni di devoti 18. Sacerdoti 110. Diaconi, suddiaconi e chierici 90. Tutte le chiese 91 [fol. 210r]. Quarantore quotidiane a turno con musica e solennità esterne. Doti per il matrimonio di orfane circa 25 ogni anno. altre 2 doti per entrare in monastero. Uno Studio generale simile a quello di bologna. le famiglie sono 3.757. Coloro che si accostano alla comunione sono 8.040. 295


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

Coloro che si accostano alla confessione sono 1.570. gli abitanti della città, esclusi i sacerdoti, i religiosi e le monache sono 12.022. I casali nel suburbio della città sono 16. Compendio dello stato della diocesi esclusa la sola città di Catania

le città regie, esclusa la città di Catania capoluogo della diocesi, sono 6; 2 delle quali (i distretti di aci superiore e aci inferiore) si suddividono in 10 borgate. I paesi sono 14. I casali del suburbio di Catania 16. le dignità 9. I sacerdoti insigniti 110. le collegiate 2. Un collegio di sacerdoti secolari. le chiese madri sacramentali sono 42. le chiese sacramentali 26 [fol. 210v]. Istituti religiosi maschili 62. Membri di questi istituti 564. associazioni 67. Confraternite 61. Chiese minori o semplici 185. Sacerdoti della diocesi 633. Diaconi, suddiaconi e chierici 433. Monasteri femminili 23. Monache che vi risiedono 849. Orfanotrofi femminili 2 con 38 ospiti. Una casa per accogliere donne convertite alla penitenza con 14 ospiti. Monti di pietà per gli infermi e i carcerati 4. Ospedali per gli infermi, i bambini esposti o carcerati 12. Un’abbazia regia. Una cappella regia. Doti per far contrarre alle orfane ogni anno il matrimonio 5. Residenze di eremiti 5. famiglie della diocesi, esclusa la città di Catania, 30.142. fedeli che si accostano alla comunione 75.922. 296


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

Tutte le anime, ad esclusione dei sacerdoti secolari, dei religiosi e delle monache, 116.191. I confini della diocesi: da oriente e tramontana Messina, da occidente agrigento, da mezzogiorno Siracusa [fol. 211r]. Sintesi della relazione sullo stato di tutta la diocesi di Catania con l’inclusione della città

Catania, città illustrissima e capoluogo della diocesi la diocesi comprende: 6 città regie, due delle quali (aci Superiore e aci inferiore) si suddividono in 10 borgate, 14 paesi e 16 casali o suburbi. Il vescovo è conte di Mascali e cancelliere dello Studio generale. la chiesa cattedrale. Dignità 16. Collegiate 3. Un collegio di sacerdoti secolari. Insigniti 160. Chiese madri 42. Chiese sacramentali 31. Un seminario. Istituti religiosi maschili 82. Religiosi in essi accolti 906. Monasteri femminili 34. Monache in essi accolte 1.254. Case di donne penitenti con o senza clausura 3. Persone in esse accolte 40. Orfanotrofi femminili 3. Ospiti in essi accolti 61. Un orfanotrofio maschile con 8 ospiti. Ospedali per infermi, bambini esposti o carcerati 13. Un ospizio per pellegrini. Monti di pietà per aiutare gli infermi 13. Case per eremiti e anacoreti 4 con 25 ospiti. associazioni 92. Confraternite 67. Chiese minori e semplici 276. Congregazioni 30. 297


Marco Antonio Gussio (1650-1660)

Sacerdoti 1.043. Diaconi, suddiaconi e chierici 524. Un’abbazia regia. Una cappella regia. Quarantore quotidiano a turno. Doti per ragazze orfane circa 30 ogni anno. Doti per monache circa 2. Uno Studio generale simile a quello di bologna. famiglie 29.867. fedeli che si accostano alla comunione 83.546. abitanti di tutta la diocesi, inclusa la città di Catania e con i sacerdoti, i religiosi e le monache 132.227.

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