Synaxis 1988 VI

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ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO

AXI VI

CATANIA

1988


Proprietà letteraria riservata

Stampato in Italia

Printed in Italy

@l Stab. Tip. "GAL A T E A » di G. Marugeri · Corso Italia · Acireale


PRESENTAZIONE

Synaxis si presenta al suo solito appuntamento an1nuafe del Natale.

Superata la soglia del quinquennio, Synaxis intende porsi al servizio di una più approfondi'ta coscienza culturale e te!ologica. I cinque anni d'ella sua presenza nel panorama teologicocultw•ale hann'o consolidato in noi la consapevolezza che lo studio, la riflessione e la memoria del passa;to più o meno recente della no~tra Sicilia - che caratterizzanp siempre più Synaxis - offrono alle comunità ecclesiali e al mondo della cultura un 11icco contributo di idee e di esperienze che favoriscono /'incontro e il confronto, momenti necessari nella ricerca della Vierità. Synaxis VI continua a porre la sua attenzione ailla storia relig,iosa della Sicilia njQfnché alle fonti delle nostre Chiese locali, nella consapevolezza che necessita /'esperienza trascorsa pe'r poter comprendere il presente e per p01ter fare emergere i germi di novità indispemabili per progettare un futuro più umano. Synaxis VI ncm trascura però i problemi attuali. Lo studio su N ewman si colloca nel vivo del dibattito teologico odierno, in cui la figura del teologo inglese è oggetto di vivo interesse, anima cQfnvegni di studio e provoca un confronto serrato. E non va dimenticato poi che Synaxis ut,ilizza come stru-


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Presentazione

mento privilegiato per il dialogo con l'attualità i suoi «Quaderni» che già hanno raggiunto il quarto numero. Synaxis quest'anno accoglie anche articoli di indole letteraria, infatti ali' attività degli scrittori è sempre sottesa una visione antropologica e attraverso il loro linguaggio simbol.ico trovano spesso espressione le attese del popolo: né l'una né le altre possono esse1°e ignorate dalle scienze umane e teologiche.

Quanto de.No ci impegna a migliorare il nostro lavoro e ci sostiene, unitamente al sincero e genjeroso apprezzamento degli amici, a superare le innumerevoli difficoltà che si incontrano nel cammino di Synaxis. Catania, Natale del Signore 1988. Sc'l:LVATO&E CONSOLI


LA «FIGURA,, DI NEWMAN: ANGLICANO E CATTOLICO

GIUSEPPE CRISTALDI *

Prologo ** Il termine di «figura» evoca qualcosa di diverso, pur sulla linea deJ.l'analogia, del termine «ritratto>>. Il ritratto indica prevalentemente i caratteri somatici del viso di una persona. Certo tali tratti soma tici si caricano di allusioni e di rimandi al campo psicologico e spirituale. Il ritratto, non solo con la vivacità dello sguardo, ma anche con le varie pieghe e linee del vi,so, rimanda a quel sottinteso mondo personale, che talora resta insondabile ed enigmatico. Ma il ritratto, anche quando si carica di rimandi e di allusioni, è tuttavia determinato, fisso, statico. Il dinamismo della persona vi può sì trasparire, ma come in penombra, quasi fermato da quel fissarsi, in quel momento, del volto con le sue marcate e determinate linee. Il dinamismo, sottinteso e alluso, vi è come ripreso e condensato in quel «momento» che nel ritratto si consegna e si fissa. Il termine «figura» non include la precisa determinatezza del ritratto e si colloca oltre la linea della definizione statica. Il suo riferimento è, piuttosto, al complesso della personalità morale, al formarsi e al muoversi di questa in un contesto

* Docente di Filosofia .ctiella Religione all'Università Cattolica di Milano. ** Relazione svolta nella settimana sulla "Storia rreILgiosa dell'Inghilterra", tenutasi nella villa Cagnola di Gazzada (Varese) nei giorni 7-11 settembre 1987, i cui Atti sono in corso di pubblicazione. 1


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vario e dinamico, dove le varie componenti convergono in sintesi, in plessi, in nodi che recano il segno del mutamento della vita. Se il ritratto è più determinato, e quindi statico, la figura è più sfumata, ma perciò più dinamica, più carica di implicazioni e di rimandi, più ricca, per usare un'espressione di Newman, di <<senso illativo». In altre parole: il ritratto si pone prevalentemente sul piano della determinazione fisica, di per sé statica e definitiva; la figura invece si colloca sul piano delle connotazioni morali, con la pregnanza dell'implicito e con il dinamismo talora sfuggente delle allusioni. Il ritratto è più vicino all'immagine, come riproduzione e ripetizione. La figura invece è prossima al simbolo, dove il reale alluso e l'ideale espresso si saldano in sintesi dinamica, mai esaustiva. Ne consegue che la figura richiede attenta e delicata ermeneusi, vigile compartecipazione, e quella facoltà di lettura integrativa che Rosmini chiamava facoltà indovina. Parlando di Newman si preferisce perciò il termine di «figura», sia perché la sua personalità emerge nel corso di una lunga vita, anche cronologicamente distribuita in due periodi: quello anglicano e quello cattolico, sia perché il complesso delle sue opere, - pur potendosi dichiarare unitario nell'ispirazione profonda e anche nell'intenzionalità espressa - , per il personale tono con cui tali opere sono condotte impedisce che Newman venga classificato in toto dentro una delle varie categorie storico, filosofo, teologo, predicatore, poeta, romanziere ecc. - , pur potendo comparire, in prospettiva dinamica, in ciascuna di esse. La figura si delinea su uno sfondo. Da esso ricava rilievo, luci, ombre. D'altra parte la figura co)]ferisce allo sfondo, con la sua funzione, come una sfumata consistenza. Si dà, perciò, come un flusso di scambi tra figura e sfondo. Flusso talora -sottile e tenue, che però contrassegna, con il 1suo dinamismo, la prospettiva. Nel delinearsi della figura di Newman, prima anglicano poi cattolico, le varie componenti dello sfondo, dell'ambiente, dell'Umwelt, sembrano convergere, secondo quanto emerge dalla confessione che, in diversi momenti, Newman fa di se stesso,


La «figura» di N ewman: anglicano e cattolico

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nel tratto più significativo e specifico della figura di lui: la religiosità. Una religiosità che, giustificandosi strutturalmente nel dinamismo della coscienza morale, si determina storicamente come anglicanesimo prima, come cattolicesimo poi, nel travaglio di una continuità esistenziale che si commisura, in coerenza morale prassica, con la rivelazione storica. Ci si insedia così nel segreto di quella figura: la scommessa della libertà per Dio, che si manifesta mediante il senso e la legge morale nella interiorità della coscienza e si rivela, nelle scansioni della storia, nel tempo della Chiesa. E' qui, nella determinazione assiologica del tempo della Chiesa, che si svolse il travaglio, profondamente e talora angosciosamente sofferto ma lucidamente perseguito con vigile coscienza morale, di quella che è stata chiamata la «seconda conversione»: il passaggio dall'anglicanesimo al cattolicesimo, non nel mutamento della «forma» della religiosità, ma con il suo approfondimento e inveramento nel «contenuto» della fede cattolica. Nel concreto cammino esistenziale - religioso di Newman lo anglicanesimo fu veramente come una via media nel senso di transizione verso lo sbocco nella pienezza della «forma» religiosa, con la sua determinazione storico~esistenziale. La figura cioè risulta, nel suo muoversi esistenziale, dalla tensione e cl.al rapporto tra {(forma» e «contenuto». Se la forma è costanten1ente quella religiosa, il suo contenuto la determina via via in concretezza di flessioni esistenziali. Così la figura di Ncwman, anglicano e cattolico, reskrà fondamentalmente e specificatamente figura religiosa. Nel riandare, nell'Apologia, alle vicende della sua vita Newman identificherà questa con la storia ·delle sue «opinioni religiose» 1, dove il terrnine inglese opinion ha, fenomenologicamente, il significato di ciò che si presenta, nel suo aspetto per così dire oggettivo, agH altri, cui però soggettivamente corrisponde la «convinzione» 2• Anglicanesimo e catto-

1 J. H. NEWMAN, Apologia pro vita sua. Being a historie of his religious .apinions (with an introduction by Basil Willey), Oxford University Press, •London 1964 (le citazioni vengono fatte secondo questa edizione). 2 N,ella Gra111n1ar of Assent (edited \Vith introduction and notes by I. T. Ker, Clare.nson Press Oxford 1985) Ne\v1nan pone l'«opinione))


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hcesimo sono due momenti della traiettoria che la stessa figura religiosa percorre, approfondendo e determinando la propria «forma>>, con la concretezza del contenuto 3• Il nucleo del rapporto tra forma e contenuto nella figura religiosa di Newman può essere individuato nel rapporto tra fides quae, come contenuto noematico, e fides qua, come forma esistenziale. La sua figura religiosa si caratterizza come figura religiosa cristiana. La fede cristiana vi è perciò determinante. Come la fede è centrale nella sua esperienza vissuta, così il problema della fede sarà centrale nella riflessione del suo pensiero, dai giovanili University Sermons del periodo anglicano, alla matura originalità della Grammar of Assent, del periodo cattolico. Nello svolgersi della figura religiosa cristiana di Newman, si tratta ora di cogliere il passaggio dal contenuto anglicano al contenuto cattolico, nella continuità della stessa fides qua, costantemente intenzionata alla «realtà» della rivelazione cristiana. Ciò che determinerà questo passaggio, che come contenuto di fides quae farà sì che la figura religiosa cristiana assuma la forma cattolica, sarà l'individuazione del «luogo storico» della Chiesa, nella sua funzione attuale di essere, per successione apostolica, depositaria della verità cne salva. L'anglicanesimo, come fides quae, non si annuHa né si ripudia, ma si "'sviluppa» nel contenuto cattolico in forza dello stesso urgere della fides qua come intenzionalità a·l e< reale» della (<economia divina» 4. 1

(oipinion) tra gli assensi nozionali, avvertendo che la parola ipuò anche significare ((credenza}> (credence) o «convinzione» (co.nviction). Avverte

ancora che talora l'accezione di opinione è in opposizione a quella di convinzione. Newman precisa la sua accezione: «I ,shall bere use the word to denote an assent, but an assent to a proposition, not as true, but as probably true, that is, to Uhe probability of that which the proposition enunciates; and, as that .probaibility may vary in strength without Iimit, so may t'he cugency and moment of the opinion)) (p. 44 [58]), (Tra paren· tesi .si indica 1'1mpwginazione dell'edizione uniforme, segnata in margine nell'edizione del 1985). 3 Si po'Lrebbero analizzare semanti'camente le espressioni i;nglesi, ilnage, figure, for111, shape in rapporto a content o subject. 4 Cfr. cap. IV e cap. X della Grammar of Assent.


La «figura» di Newman: anglicano e cattolico

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In concreto si dovrà seguire l'itinerario di fede di Newman, così come egli lo ha vissuto e lo ha riflessivamente pensato, individuandone la continuità formale e la discontinuità di contenuto, ma rilevando nello stesso tempo come tale discontinuità si saldi paradossalmente con la continuità formale. E' la stessa esigenza della fides qua che richiede, nella sua crescita atipica, il dislocamento del contenuto dall'asse anglicano all'asse cattolico. La figura religiosa di Newman risulterà figura in movimento. Ma il movimento della vita è dialettico: comporta continuità e discontinuità, evoluzione e rottura. Il progresso è un andare avanti, ma anche un lasciare dietro; è un vivere, ma anche un lasciar morire.

I.

La figura religiosa della pruna conversione

Nella tersa prosa dell'Apologia, il raoconto della prima con" versione, acvvenuta a Eacling nelle vacanze del 1816, ha come l'incantata suggestione di un preludio che anticipa i motivi ispirntori di quella vita religiosa, che il libro intende descrivere nelle sue vicende, come dovuta confessione pubblica, con sincerità estrema. Non a torto il Dessain scorge in queste pagine, pubblicate nel 1864, il nucleo di quella Grammar of Assent, che apparirà nel 1870 5 . Ma qnal è il tipo di conversione di cui si parla? Newman, ritornando nei suoi Diari su questa esperienza, la definisce radicale e decisiva. Accompagnata da sofferenze che solo Dio conosce, essa lo rese, non da cattivo ragazzo ma da «demonio» qual'era, un cristian,o 6 • s C. S. ·DESSAIN, fohn Henry Newnzan, Oxfor:d University P-ress, London 1980, 4-5 ( «He was struck by their reflex ,character 'I know trhat I know', and by thei·r ·consistency, the hallmark of t•ruth- a Gra1nmar of Assent in embryo» ). 6 «Another trhought has come on me, that I have had three great illnesscs i,n my life, and how bave they turned oult The first Keen, terrible one, \Vhen I \Vas a boy of 15, and it made in·e a Christian - with experience before and after, awful, and fonown only to God. My second, not painful, but tedious anici' shattering \Vas that which I had in 1827 \vhen I \Vas one 1


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L'espressione è forte. Si tratta forse di quell'enfasi retrospettiva con cui una coscienza eticamente matura e religiosamente salda riprende e riconsidera un antico fatto adolescenziale? Ciò che dai vari resoconti, nei Diari e nell'Apologia, risulta chiaro, dell'esperienza del 1816 è questo: non si trattò di una semplice conversione intellettuale - anche se la dimensione intellettuale vi fu presente con una specifica flessione - , ma di conversione radicale, come orientamento di vita. La figura religiosa si configura come figura «etica». Ma in che consisteva questo demonio, che venne decisamente esorcizzato ne] crogiolo dell'esperienza di conversione? Dessain, in una persuasiva analisi dei testi newmaniani, individua tale demonio nello spirito di orgoglio 7 • Forse Newman maturo credeva di individuare segreti bagliori di orgoglio luciferino nel gusto adolescenziale di pensare alle obiezioni del trattato di Thomas Paine o nella suggestione volteriana di fronte alla negazione dell'immortalità dell'anima'. Nella recente e, per tanti versi, suggestiva voce su «Newman», scritta rper H Dictionnaire de spiritualité, Thomas GorgaH segue l'interpretazione dell'orgoglio, aggiungendovi però !'«impurità» (citando Meditations and Devotions, p. 410) '. Si tenga però presente il quadro puritano dell'epoca e il clima di evangelicalism, in cui si svolse quella prima conversione di Newman. Certo in questo campo la virtù di Newman si mostrò piuttosto austera e ombrosa, come emerge da alcuni suoi discorsi parrocchiali e

of the Exarnining Masters, ancl it too broke 'me off from an incipient liberalis'ln and deter111ined' n1y religious course. Thc thindl was in 1833, \Vhen I \Vas in Sicily, before the co1n·mencement of the Oxford Movemenb> (Ecrits auto[Jiographiques, testo inglese con traduzione .francese, Desclée de Brouwer, B:r:uges 1956, 422-24). E ancora: «O my God, that T>hy wo-nderfW grace turned ine right round whe.n I \Vas more like a devii that a \Vicked boy, at the age of fiftheen, and .gave me what by Thy continuai aids I never lost. Thou di1d1st change my heart, and in pa:rt rny \vhole menta! comiplexion at that thne» (p. 370), 7 S. DESSAIN, Ne1v1nan's fìrst oanversion, in Newn1an~Studien 3 (1957) 37-53. B Apologia, cit., 3. 9 Voce Ne11nnan, in Dictionnaire de Spiri1ualité (=·DS), t. 11, 163-181.


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dalla reazione negativa che egli ebbe alla notizia del matrimonio di Keble, che Newman amava e venerava 10 • Il resoconto dell'Apologia si apre con questa espressione densissima: «quando avevo quindici anni (nell'autunno del 1816) un grande cambiamento d'idee si verificò in me» (a great change of thought took piace in me). Da notare che nei Diari si precisa il periodo cronologico dentro cui si svolse la decisiva esperienza: dal 1 agosto al 21 dicembre. Non si trattò, perciò, di una intuizione immediata o di una emozione improvvisa, ma .di una ben precisa maturazione nel tempo. La trasformazione di mentalità e di pensare è poi precisata come passaggio ad un «credo definito» (I fell under the influence of a definite Creed). Il passaggio non è dalla incredulità, ma da un credo «non definito» ad un credo «definito», cioè, secondo i termini della Grammatica, da un assenso ((nozionale)> ad un assenso <(reale». Newman infatti era stato educato nella «religione della Bibbia» e aveva una conoscenza perfetta del catechismo (I had a perfect knowledge of my Catechism). Si trattava di un credo «non definito» non tanto nel senso che mancassero le definizioni nozionali, ma nel senso che esso non si definiva come «reale», con incidenza sulla vita. Nei Diari si precisa l'influente contenuto del credo, la Trinità, l'Incarnazione, la Predestinazione, cui si aggiunge la luterana apprehensdon of Christ, che in seguito venne abbandonata 11 • Si tratta appunto di verità che ora, nella conversione, vengono «apprese» come «reali». Nel resoconto dell'Apologia, la «definizione» del dogma si traduce nel ricevere «nell'intelletto impressioni del dogma, che, per la misericordia di Dio, non si sono mai più cancellate od

rn Cf·r. i ser1noni Segret Faults del 12 giugno 1825 in cui si può supporre l'influsso dell'evangelicalis1n, e Moral consequences of sin.gle sins del 20 n1arz-o 1836, alla cui data però .non c'è più traccia di evangelicalisn1. (in Parochial and plan Sennons, IV, 44 ss.; III, 37 ss.). Cfr. P. UoINI, Il tnessaggio di I. H. NeHnnan nei serfnoni parrocchiali, LIEF, Vicenza 1981, con l'elenco cronologico, 171 ss. In merito a Keible: «Ne\vman le considerait tellement camme .un ange que le mariage de Keble, le 10 octobre 1835, lui fut une cruclle décep-tion» ('L. COGNET, Newman ou la recerche de la vérité, .Dcsclée, ·Paris 1967, 50). 11 Ecrits autobiographiques, cit., 203.


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oscurate» (and received into my intel/ect impressions of dogma, which, trough God' s mercy, have never been effaced or obscured). Newman intende precisare che non si trattò principalmente di emozione, anche se l'emozione non .dovette mancare, ma di lucido processo della coscienza, in cui è presente quella dimensione intellettuale da cui germina e a cui ritorna l'articolato travaglio del pensare. Ma che significa impressioni del dogma dell'intelletto? Significa, secondo il linguaggio della Grammatica, quell'apprensione reale, che rende possibile l'assenso reale. Dentro il quadro di questa conversione come forte esperienza di fede, si deve collocare la nota formula incisiva del myself and my Creator, come i «due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti» (two only absolute and luminously self-evident beings). Si tratta sì della struttura naturale della coscienza umana, come coscienza etico~religiosa, ma nel caso concreto della conversione questa struttura originaria e, per dir così, trascendentale della coscienza umana viene come riscoperta allo interno dell'esperienza di fede. La «definizione» del credo comporta l'emergere di questa struttura profonda, connaturata con la coscienza dell'uomo e, perciò, originaria. Newman dirà nella Grammatica che non è possibile provare la divinità del Cristianesimo senza il presupposto della coscienza etico-religiosa n Nel discorso religioso quella coscienza costituisce ciò che sono, per ogni scienza, i propri primi principi, che sono ammessi e non discussi per una loro propria evidenza. Però quella coscienza originaria, strutturale, può essere oscurata e, in certa maniera, deformata dall'interferire e dal sovrapporsi di elementi allogeni che hanno radicale origine nel male morale, cioè nel peccato. Si richiede, quindi, una conversione, che non

12 «I have no scruple in begìnning f:!he revie\v I shall take of Christianity by ,professi.ng to -consuit for those only \Vhose minds are properly prep·a,red far it; and by being prepared, I mean to denote those who are imbued \Vith ,reHgious Dipinions and sentimcnts which I ihave identified \Vit;h Natural Religion [ ... ] I as·sume the presence of God in our conscience, and ùhe universal experience, as kcen as our experience o.f bodily pain, of \Vhat we call a sense of sin or guiltii (Gra1-n1nar of Assent, 267-268 [415-417]).


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è solo dell'intelletto, ma di tutto l'uomo. Ora, nell'attuale situazione storica .dell'uomo, segnata dal peso del peccato ma anche daH'accondiscendenza di Dio, la conversione morale è, almeno implicitamente, conversione nella fede. E' perciò sempre all'interno di una esperienza di fede, almeno implicita, che si riscopre l'originaria struttura religiosa della coscienza umana.

La formula myself and my Creator merita una più attenta analisi. Newman parla di un «riposo» nel pensiero (rest in the thought) di questi due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti. Non si tratta di un'intuizione prima e immediata, ma di un'intuizione .di secondo grado, per dir così, cioè di un'intuizione «conseguente», quale sguardo contemplativo, che presuppone la fatica del distacco dal visibile e l'impegno della concentrazione interiore. Il pensiero riposa nell'evidenza oggettivo-soggettiva di questi due esseri. Qui la luminosità dell'evidenza è di carattere psicologico, che poi all'esame della ragione dialettica mostrerà il suo fondamento ontologico. Ma, perché questa luminosità emerga, si richiede la scommessa della libertà che decide di voler guardare «dentro» (in interiore homine) e di «vedere» ciò che si mostra. Potrebbe sembrare, a prima vista, che la formula di Newman ponga i due esseri - myself and my Creator - su una stessa linea di continuità evidenziale, quasi trascurando quella «differenza qualitativa» di cui in pagine frementi parlano Kierkegaard e Barth. E' invece il peso semantico dei due termini a segnare, con la differenza infinita, quel primo paradosso ontologico che è la creazione su cui s'innesterà il «paradosso assoluto» (secondo l'espressione ancora di Kierkegaard) della Incarnazione. Il myself indica l'appartenenza dell'io a se stesso nella riflessione, mentre il my Creator esprime l'appartenenza dell'uomo, come creatura e dono di libertà, alla Trascendenza dell'Assoluto, che nella creatura cosciente mostra la sua misteriosa presenza. E' l'evidenza assoluta del my Creator che genera quella del myself e a sé l'assimila. Ripetutamente Newman precisa che l'originaria struttura religiosa dell'uomo ha dimensione etica. Il Creatore è avvertito come Legislatore e Giudice. Il legame creaturale-ontologico si trascrive immediatamente, per la presenza della libertà, in rapporto etico. La libertà della 1


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creatura, posta in atto dalla libertà dell'Assoluto, è coinvolta e scommessa in scelte assiologiche che dicono riferimento allo assoluto Valore e comportano un'opzione fondamentale, con cui la libertà decide del suo destino. La formula newmaniana, ancora, non esprime un processo dimostrativo, ma un processo di consapevolezza. Non viene dimostrata l'esistenza di Dio partendo dall'io; ma nell'io, nella coscienza dell'uomo disvelata a se stessa, si avverte la presenza di Dio, come creatore che sanziona lo scommettersi della libertà. La dimostrazione nasce dopo. E' come un percorrere a ritroso, con tappe riflessive, il cammino che era già stato percorso con l'agile passo del «senso illativo». Per questo verso la posizione di Newman si presenta vicina a quella di Kierkegaard n La dimostrazione di Dio è come un andare a ritroso verso il «mostrarsi» di Dio. Anche le note vie di S. Tommaso conducono ad 1111 Dio già avvertito in anticipazione, come <<prese11te» nel!'intelligere e nel dìcere degli uomini 14 • L'esperienza di conversione .di Newman, nell'autttnno del 1816, avviene nel clima dell'evangelìcalìsm 15 . Il movimento, che in certa maniera si poteva chiamare carismatico, intendeva reagire alle freddezze dottrinali e alle compromissioni politiche dell'anglicanesimo ufficiale. Ma non mancava di sfasature dottrinali, sotto l'influsso del calvinismo, come la svalutazione del sacramento del battesimo e la dottrina della doppia predestinazione. Ma gli uomini con i quali Newman ebbe rapporto e verso i quali espressamente riconosce il suo debito, come Walter Mayers («che, scrive Newman ne1!'Apologia, fu il mezzo umano di questo inizio della fede divina in me!» 16) e Thomas Scott («aI quale, umanamente parlando, debbo quasi la mia 1

l3 Cfr. ·E. PRZYWARA, Kierkegaard - Nev11tnan, in Ne1vn1an-Studien 1 (1948) 77-101; W. H·aim,mel, Die "natUrliche Religion" bei Nennnan und die "Reliogiositiit A" bei f(ierkegaard, in Ne1v111an-Studien 2 ,(1954) 21-48. 14 .Of.r. S. T. D'AouINO, S. Th., I, q. 2, art. 3: ((omnes intelli;gu.nt Deum [ ... ] on1nes Deum nominant [ ... ] omnes diount Deum [ ... ]». 15 Cfr. La réaction "évangélique" della voce Anglicane (spiritualité) di F. P. Harton, in DS, t. I, 665-667. 16 «Who was the hun1an means of this beginning of ·divine faith in n1e>) (Apologia, 4 ). 1


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ani1ma» 17) dovevan·o avere una gran1de libertà interiore nei riguardi delle rigide posizioni calviniste. Così Thomas Scott rifiutava la dottrina della doppia predestinazione. Newman dichiara di aver considerato di quella dottrina solo la parte positiva, che appHcava a 'Sé, sentendosi così oggetto di elezione da parte della misericordia divina. L' evangelicalism che si richiamava, come indica la stessa parola, alla freschezza originaria del Vangelo, metteva in primo piano la nuova «nascita» (Birth) della conversione. Trasformazio11e interiore, cambiamento radicale di vita, intensità di preghiera, rigore morale. Non senza indulgere all'emozione. L'influsso dell' evangelicalism sulla esperienza newmaniana è indubbio. Egli stesso dichiara di essersi liberato totalmente dagli influssi evangelicalistici, specie nelle movenze calvinistiche, solo verso il 1827, nel clima culturale di Oxford "Ma pare che lo stesso Newman, nel resoconto della sua conversione, ci tenga a distinguere questa - come sua <(personale» conversione - dai gusti del movimento evangelicalistico, là dove sottolinea le impressioni ricevute nell'intelletto e dove espressamente dichiara riprovevole la dottrina calvinista della doppia predestinazione (detestable doctrine). Comunque tutto l'insieme del racconto di Newman accusa una certa presenza di quell'«egotismo» che gli sarà rimproverato da più parti - e che costituirà uno dei motivi conduttori della ricostruzione «psicologica)> fatta da Henri Bremond 19 ma che lo stesso Newman maturo difenderà, nella Grammatica, come il principio della vera modestia 20 • Non si può, d'altra parte, non riconoscere che la figura religiosa della conversione del 1816, pur caratterizzata dalla dichiarata dimensione intellettuale,

«[ ... ] to whom (hun1anly s,peaking) I almost vwe ·my soul>) (lbid., 5). ts Apologia, 8 ss. 19 H. BREMOND, Ne1v111an. Essai de biograp!tie psy.chologique, Paris

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1932. 20 .«I beginn \Vith expressing a seintiment, vvhich is habitually in my thoughts, whencvcr thcy are turned to the subject of n1ental or moral science, and vvhich I am as \Villing to a:pply here to the Eviàences of ReHgion as it propurly a1pplies to Metaphisics or Ethics, viz. that in tihe"e provoncies of i.nq_uiry egotism is true modesty» (Gra1n1nar of Assent, 248 [384·385]).


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porti il segno ambiguo dell'evangelicalism, con l'emergere di una soggettività che potrebbe correre il rischio di farsi principio egemone dell'esperienza religiosa. L'egotismo religioso aveva bisogno di un correttivo. E prima che nell'influsso culturale di Oxford, Newman intuisce il correttivo nel movimento oblativo nella Chiesa e con la Chiesa. La decisione di rimanere celibe, in vista di un lavoro missionario, e la decisione di dedicarsi al ministero ecclesiastico non ubbidiscono a spinte emozionali, ma si inseriscono in una lucida visione di fede dove la libertà si offre e si scommette, donandosi 21 •

2.

La figura oxoniense

La figura religiosa di Newman, nel decisivo periodo oxoniense (1819-1843), è attraversata, all'inizio, da una tensione: tra la «forma noetica» e la <<forma storica» o tra «Struttura» ed «evento», che si radicalizzerà come tensione tra principio liberale e principio dogmatico 22 • Per forma noetica s'intende la struttura del pensare, con la tendenza della ragione a farsi sovrano principio totalizzante. Nell'Apologia Newman confessa di aver corso il pericolo di farsi sedurre dall'intellettualismo e di cadere nel principio liberale 23 • In una appendice all'Apologia New.man 1

21 «I am obligedl to .m'ention, thoUrgh I ido it with great reluctance, another deep imagination, which at this time, the autumn of 1816, took ;possession of me, - tihere can be no mistake about the fact; rviz. that it would be the will of God that I should lead a single life. This anticipa· tion, which 1has he1'd its ground almost continuously ever since, - with the bre·ak of a month now and a month then, up to 1829, and, after that idate, without any break at ali, - was· more or less connected in my mind with the .notion, that ,my calling in Jife wouJd require suoh a ,sacrifice as celibacy involved; as, for instance, mission·ary work among the heathen, to which I lh.aid drawing .for some years. It also strengthened my feeling of separation from the visibie worl<l» (Apologia, 7-8), 1

22

Cfr. T. MERRIGAN, Netvman's Oriel experience: its significance far his life and thought, in Bijdragen 47 (1986) 192-211. 23 <(The t·ruth is, I was 1beginning to prefer i-ntelJectual excellence to mora!; I was drifting in tihe direction of the LiberaJism o:f the day» (Apologia, 14).


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maturo e cattolico precisa il tipo .di liberalismo cui egli si riferisce, .diverso .da quello cattolico francese .di Montalambert e di Lacordaire 24 • L'insidioso avversario della religione - la quale, nella sua progressione logica è: naturale, cristiana, cattolica - è il liberalismo, che esalta la struttura intellettuale e razionale dell'uomo come suprema libertà. L'errore filosofico che, nella prospettiva di Newman, intacca in radice il liberalismo è l'identificazione della libertà con il pensiero. Questo perciò si gonfia, oltre i suoi limiti noetici, come valore originario e assoluto. Il liberalismo, perciò, tende a svuotare la fede del suo volume reale, atipico, per risolverla in contenuto noetico, cioè nozionale. La figura religiosa verrebbe sopraffatta dalla forma noetica, perdendo la carica di paradosso, .di rottura, di provocazione. La religione diventa accomodante, si piega alle pressioni mondane della politica e del costume. In fondo le stesse espressioni di High Church e di Low Church, come in seguito quella di Broad Church, quali articolazioni dell'anglicanesimo, tradivano interferenze allogene e denunciavano l'infiltrarsi corrosivo del principio liberale. Newman dice che, a livello esistentivo, il correttivo al rischio corso lo ebbe con la prova della malattia e del lutto (la morte della sorella Mary, all'età di diciannove anni) 25• Ma, a livello di consapevolezza critica, il correttivo alla forma noetica gli venne dalla «forma storica,,. Per forma storica s'intende l'avvertimento del cristianesimo come «evento». Sì, è vero, il cristianesimo, appunto perché diretto all'uomo, av~à a che fare con le strutture 'dell'uomo, e quindi anche con la struttura noetica, ma rivendicherà sempre, di fronte a ogni pretesa totalizzante della struttura, la sua originale originarietà di evento che irrompe nella storia per la libera e sorprendente iniziativa di Dio. Al principio liberale, come principio strutturale totalizzante, si oppone, secondo il lessico di Newman, il principio dogmatico, come principio storico della libertà di Dio, che interpella e coinvolge la libertà dell'uomo. Qui il dogma è inteso non tanto 24

Cfr. Nota A dell'Apologia, 297-310.

2s Cfr. Apologia, 14.


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come verità proposizionale autoritativamente affermata, quanto come evento rivelativo-soterico. Nel gioco dialettico delle prospettive, il principio liberale si rivela come principio di dominio e di intolleranza, mentre il principio dogmatico, che sboccia dalla libera storia della salvezza, si configura come principio di libertà e di liberazione. Il rischio della flessione intellettuale - noetica si lega, nella vicenda di Newman, a due nomi: Richard Whately e Edward Hawkins.. Newman ne parla con rispetto e con gratitudine, specie nei Diari 26 • Al primo deve riconoscere la capacità di eccitare alla ricerca della verità, all'altro il merito di avergli aperto nuovi orizzonti 27 • Il nuovo orizzonte era quello della «tradizione,,. Newman avvertì che lì, nel solco della tradizione bisognava camminare, per raggiungere le origini, cioè l'autenticità apostolica, e confrontare con essa la situazione attuale. La esplorazione sugli ariani del IV secolo 28 , lo studio, palpitante di compartecipazione devota, di S. Atanasio 29 lo rendono avvertito che la grande decisione della fede si gioca nel grembo della Chiesa. Newman ama la sua Chiesa anglicana che vede però insidiata, attraverso la compromissione politica e la rilasciatezza del costume, dal principio liberale. Fu, in fondo, questo amore intransigente e fiero, che lo spinse, assieme a R. H. Fronde e H. Willbeforce, a rinunciare alla tutorship di Oriel. La rinuncia non avvenne senza sofferenze e senza traumi 30 • Qui si inserisce il viaggio in Italia e nel mediterraneo, con la malattia in Sicilia. Newman ricorda questa sua terza crisi, che prepara la svolta del suo cammino 31 • Di quella vicenda in terra siciliana, che lo portò in limine mortis, non senza profondi e irreversibili trasa26 ·Cfr. Ecrits autobiographiques, 158 ,5·s.; 189 ss.

n Cfr. Apologia, 14 ss.; 8 ss. w The Arians of the fourth century, their doctrine, te1nper and conduct, chiefly as exhibited in the coun.cils of the Church betvveen a. d. 325 and a. d. 381, 1833. 29 Select treatises of St. Athanasius, translated, with notes and indices, 1842-44. 30 Cf·r. Ecrits auf,obiographiques, 214-276. '' Ibid., 422-424.


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limenti dello spirito, Newman stese e curò un apposito diario 32 • Perché solo sulla malattia, trascurando l'ampio periplo del viaggio, si concentra, con densità di annotazioni, questo sin~ golare diario? Perché nella crisi che già travagliava lo spirito di Newman quella vicenda assumeva un carattere emblematico. Era come un reduplicarsi, a distanza di anni e nel vigore della maturità, della conversione del 1816. Anche qui myself and my Creator. Nella solitudine dell'assolata campagna siciliana, lontano dalla patria, dalla famiglia, dagli amici, nella difficoltà di comunicare per via della lingua non nota, tra i sussulti della febbre e la prostrazione dello spirito, Newman ebbe l'esperienza non dicibile di un bagliore di grazia: «Non ho peccato contro la luce; Dio ha ancora del lavoro in serbo per me» 33 • 32

Il testo apparve in Letters and Correspondence of J. H. Nevvnian during his Li-fe in the English Church 1vith a brief Autobiography, by Anne Mozley, London 1891, I, 41H30. Il testo, che in qualche parte era stato mutilato dalla Mozley, è stato pubblicato integralmente assieme alla traduzione francese, Ecrits autobiografiques (voi. II di Textes New~ 1nainiennes) a cura di H. Tristram, ,L. Bouyer, M. 'Nédoncelle, Desclée de Brouwer, Paris 1956. La traduzione italiana, Malato in Sicilia, Morcelliana, Brescia 1950, condotta sul testo della Mozley, è introd'.otta da dense pa,gine di Giuseppe De Luca, 'dhe seri,ve .fra l'altro: <<Non ~ricordo di aver letto in un viaggio in Si,cilia nulla che tassomigliasse a queste nude e s.perse pagine di Ne\v·man. Il viaggio puramente descrittivo, con 'm'Olto panorama e un poco di storia, non ha :ohe vedere col viaggio che io chiamerei spirituale [ ... ]. Quella Sicilia di Newman mi apparisce .una solitudine, un deserto, un eremo. Veduta appena, tra gli accessi della febbre alta, e poi caduta anche dargli occhi e dai sensi, fuorché in un rnmore di passi, in un rin· tocco di campane, in un intermezzo id~ musicanti girovaghi, nelle voci stÙla strada. Ne1n1neno un ricordo classieo, e sì che Newman fu malato nel luogo più ardente del mito religioso siciliano, nei luoghi di Proseripina, e tutto si iprestava a una t,rasfigurazione mitica del suo male di ,morte e della luce del sole che scompariva. Nessun ricordo nern1neno della patria e della teologia. NWla .fuorohé un rancore di essersi avventurato, da solo, per quelle vie; e anche qui come w10 scrupolo di 'C'aparbietà. Tutto intorno si era spento, fuorché la notazione rumilissirna del poco o nulla che galleggiava in lui durante il male, fuorché quella voce: 'Non ho pec~ cato contro la luce'» (pp. 11~12). 33 «I have not sinned against light · God: has still work for me to do» (Ecrits autobiograpltiques, 318).


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E sul battello, che, dopo tante traversie, lo porta da Palermo a Marsiglia, verso la patria, erompe il canto della preghiera: Lead, kindly Light, amid the encircling gloom, Lead Thou me on; The night is dark, and I am far from home, Lead Thou me on. Keep Thou my feet; I do no! ask to see The distant scene: one step enough for me 34•

3.

La figura dell'anglicanesimo «implicito»

Nei quindici University Sermons il termine «ragione» mostra un'ampia curvatura semantica, che va .da una iniziale diffidenza ad una successiva rivalutazione, all'interno dello sviluppo dialettico della fede 35 • Si configura così, nel XIII sermone, la distinzione tra ragione «implicita» e ragione «esplicita», dove l'implicito non indica imperfezione o insufficienza di fronte all'esplicito. Si può forse dire che, nella prospettiva di Newman, i due termini «implicito» ed «esplicito» non indicano due gradi del processo conoscitivo, ma esprimono due «modalità» noetiche della medesima ragione. La ragione «implicita» è la modalità del conoscere vivo, pregnante di virtualità, ricco di implicazioni esistenziali, innervato con la complessità dinamica del reale, mentre la ragione «esplicita» è quella modalità che si esprime in riflessi e articolati passaggi proposizionali. Il «senso illativo», teorizzato in seguito nella Grammatica, si radica nella ragione implicita e ne segue le modulazioni intuitive. Tale prospettiva è, approssimativamente, coeva all'altra, che Newman conquista attraverso lo studio della «tradizione» nella

34 Rirportato in H. DENNERLEIN, Newn1an als Dichter, in Newman Studien 1 (1948) 122. La poesia porta il titolo: The Pillar af the Cloud e la data: Al sea- lune 16, 1833. 35 L'introduzione di M. :Néd:oncelle alla t,rad. francese porta questo ,titolo: Drame de la fai et de la raison (Ser111ons Universitaires, voi. I di Textes Newn1aniennes, 'Desclée de Brouwer, B~uges 1955).


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antichità cristiana. L'ampio e, come distribuzione di parti, non proporzionato studio sugli Ariani nel IV secolo è particolarmente significativo, non tanto per gli apporti storici non sempre adeguatamente documentati (si pensi al giudizio decisamente negativo sulla scuola di Antiochia), quanto per la maturazione di principi teologici. Nel confronto con la fede esplicita, quale si precisa nelle definizioni conciliari e nell'elaborazione teologica, si rivendica la pregnante ricchezza della fede iniziale. La fede implicita contiene in pregnanza la fede esplicita. La fides quae, il dispiegato e definito contenuto noematico-proposizionale della fede, si radica nella fides qua. Ora questa si articola come movimento esistenziale verso l'evento, che è Cristo Gesù. Le Lectures on the Justification, apparse nel 1837, in pieno movimento trattariano, possono forse essere considerate come un abbozzo e un'indicazione di fenomenologia cristologica. La sola fides, di estrazione luterana, verrebbe a declinarsi in senso astratto e nozionale, se la fede fosse sganciata dal suo concreto riferimento al reale che è Cristo Gesù. Sì, la giustificazione è anche <<nozione», che va chiarita e calibrata semanticamente, ma essa esprime e rimanda alla realtà del mistero di Cristo. La realtà (die Sache), per usare l'espressione heideggeriana), di cui si parla nella giustificazione è Gesù Cristo. Il mistero si fa, in Gesù Cristo, concretezza storica, che tocca e coinvolge ogni esistere umano. Può sembrare strano che, in Newman, il senso del mistero sia più vivo e pertinente in questo periodo, che non nella matura Grammatica dell'assenso, dove, forse per una sottile suggestione illuministica, il mistero è trattato come «misteriosità», nozione astratta. Forse l'intento era proprio quello di vanificare la obiezione illuministica verso il mistero, riconducendo tale obiezione nel campo dell'astratto e del nozionale. La fede viva, invece, va verso il reale, oltre il nozionale. Ma questo reale, quale sorprendente iniziativa di Dio, è proprio il mistero, nel suo significato paolino e patristico 36 •

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Ofr. G. BORNKAMM, Mysterion, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, VII. 646-715; A. SoLIGNAC, Mystère, in DS, t. 10, 1861-1874.


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Si può parlare, in merito all'anglicanesimo di Newman, di anglicanesimo «implicito», nel senso cl1e il suo anglicanesimo, vissuto nell'impegno della vita (vita personale e vita «pastorale») ed espresso nella costante riflessione teologica su base storica, nella sua intenzionalità profonda andava al di là delle forme anglicane esplicite, sorte dentro la contingenza e la precarietà della storia? Non andava tale anglicanesimo «implicito» al di là dei celebri 39 articoli della professione anglicana, in merito ai quali Newman scrisse quel noto Traci 90, che suscitò clamore e scandalo 37 ? L'implicito, i11somn1a, non era forse non solo più ricco, ma anche più vero dell'esplicito, qualora nell'esplicito fossero intervenuti elementi dì corruzione 38 ? E quali sarebbero stati questi elementi corruttori, se non l'interferire indocile dell'uomo con l'orgoglio della ragione e dell'arbitrio? E non si profila, allora, come «probabilità antecedente», una garanzia dentro lo spessore della storia che salvaguardi fa genuinità e la purezza della fede? Fin dalla conversione del 1816 Newman sarà decisamente orientato alla sintesi tra fede e dottrina, tra fede e vita. Per questo si era opposto al Regius Professor di teologia a Oxford, Renn Dickoson Hampden che, sulla base di un positivismo biblico, poneva una dicotomia tra fede e dottrina 39 • Per questo si era opposto all'impostazione di Hawkins, con la sua dicotomia tra insegnamento e formazione etico-religiosa 40 • Nella sua adolescenza la lettura di Thomas Scott gli aveva fatto balenare l'impegno di seguire la verità dovunque lo conducesse 41 • A

37 Scrivendo, il 2 giugno 1860, al Revd Canon Estcourt, Newman usa la nota es•pressione: <'Catholics did not make us Catholics; Ox.fofld made us CatholicSJ>. E imrrnediatan1ente prima chiarnava Oxford «de facto ipaidag6gos into thc Ohur ch>) (Letters and Diaries [Dessain], t. 19, 352). 38 Per la <<corruzione» della dottrina nella storia, si veda il Saggio sullo sviluppa della dottrina cristiana, ip. II, cap. V, trad. it., Il Mulino, Bologna 1967, 181 ss. 39 Cfr. Ecrits autobiographiques, 250. 40 Ibid., 214 ss. (cap. IV). 41 «What, I suppose, vvill strike a.ny reader of Scott's history and \.vritings, is his bold un\vnrl,dJiness and vigorous independence of n1ind. 1


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Oxford Whately lo aveva incitato alla ricerca della verità 42 ; Hawkins gli aveva indicato il largo orizzonte della tradizione 43 • La tradizione scorreva lungo il corpo visibile della Chiesa. Bisognava risalire questa tradizione lungo il corpo della Chiesa per attingerne, alle origini, l'autenticità. Il problema era quello della tradizione «autoritativa» della Chiesa: fu questo l'assillo e il crogiolo di Newman anglicano. Newman non dubitava che la Chiesa anglicana fosse la Chiesa delle origini. Era questo l'anglicanesimo implicito di Newman. E se l'esplicito non avesse corrisposto all'implicito? La certezza della fede, dirà in seguito Newman, non sopporta il dubbio: il dubbio epistemico, s'intende, non il dubbio psicologico, che Newman chiama «difficoltà». Per cui diecimila difficoltà non fanno un dubbio 44 • Ora la certezza della fede si saldava, nella sua intenzionalità profonda, con la realtà di Cristo e, quindi, della Chiesa come suo corpo, nella visibilità della storia. La Chiesa, quindi, originariamente e costitutivamente saldata con la realtà di Cristo, non può venir meno nella trasmissione della verità che salva. E' «indefettibile» 45 • He followed ùruth wherever it led hi:m, beginning \viht Unitarianisro, an<l ending Ln a zealorus faitih in the Holy T1rinity. It was he who first planted deep in my mind that fundamental t,vuth of re11gion» (Apologia, 51). 42 {(And now as to Dr. Whately. I owe him a great deal. He was a man of generous and \Varm heart. He was p·articularly loyal to his friends [ ... ]. He [ ... ] taught -me to tihink and to use n1y reason [ ... ] he hard taUrght 'ffie to see with my ow,n eyes and to walk with my own feet [ ... ]. What he di1d ,far me in point of religious opinion, was, fir:st, to teaoh me the existence of the Ohurch, as a substantive body or conporation; next to fix in me those anii-Erastion vie\vs of Ohurch polity, which were one of tihe most prominent features of the Tractarian morvement» (Apologia, 11"12). 43 «He was the first who tau,ght me to weigh .my words, and to be cauiious in my ,statements [. .. ]. There is one other principle, \Vhiah I gained fro1n Dr. Hawkins, more directly upon ,Catholiicism, tihan any that I have 'mentioned; and ihat is the doctrine of T radition» (Apologia, 8-9). Si didhiara ancora che la sua concezione «opened .upon me a large fie!d of thought,, (lbid., 10). 44 «Tcn thousand difficulties do not m·ake one do.ubt, as I uniderstand the subject; difficulty and doubt are incommensurate» (Apologia, 248). 45 Su questo ;punto è particolarmente significativa, anche per le riso1


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Newman distingue tra tradizione apostolica e tradizione profetica. La tradizione apostolica si salda, assieme alla Sacra Scrittura, alla rivelazione. Ma la tradizione profetica, la tradizione cioè che si «realizza)) nella trasmissione dell'annuncio ricevuto dagli apostoli, non è sottratta alle contaminazioni e alle corruzioni della storia. Il compito profetico, in una fedeltà che si deve continuamente costruire dentro l'opacità della storia, è l'esaltante ma auduo compito della Chiesa. Di questa tensione drammatica tra fedeltà e attualità vibrano le Lectures on the profetica/ Office of the Church 46 • Ma, nella fedeltà alla Parola, la tradizione profetica è garantita, e come, nell'economia divina? E' trasmissione ripetitiva oppure, nello sviluppo, fedelmente nuova? L'anglicanesimo implicito si raccoglie e condensa nell'«idea» di «sviluppo». Il tentativo, costruito con tanta fiducia da Newman, dello anglicanesimo come via media tra l'ultraprotestantesimo e il romanesimo si rivelò, alla verifica storica, inconsistente. La via media, infatti, non consisteva tanto nello stabilire una specie ·di equidistanza tra due estremi, quanto nel «mediare», sulla base dei Caroline Divines del sec. XVII 47 , tra la tradizione apostolica, che conserva il deposito di fede, e la tradizione profetica che lo interpreta, con il costituirsi di quelle «dottrine fondamentali»,

nanze avute nell'evoluzione del pensiero ;personale di Newman, la controversia, da lui avuta, nel 1834, con ,J'A~bbé J.-N. Jager. Cfr. H. TRISTRAM, In the Lists with Abbé lager, in J. H. Newn1an, Centenary Essays, London 1945, 201-222; J. STERN, La controverse de Newman avec l'abbé lager, et la théorie du développen1ent, in Nev. 1n1an-Studien 6 (1964) 123-142. 46 J, H .. NEWJdAN, The Prophetical Office of the Church viewed relatively to Romanis1n and Paipular Protestantism, 1837; importante prefazione alla terza edizione del 1877, inserita .nel I vol. The Via Media, 1877; 1883. 47

Venirvano chia,mati Caroline Divines quei teologi ohe, vissuti nel periodo .dlel regno di Carlo II, diedero una sistemazione t·eologica alla dottrina anglican·a, come Hoocker, che viene consi1derato il fondatore, Laud e Stillingfleet. Per il problema de'lla ((t•radizione» in Newman anglicano cfr. J. STERN, Bible et Tradition chez Newman. Aux origine·s de la théorie du déveloippement, Aubier, Lione 1967.


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che per un verso si collegano al deposito e per l'altro verso fondano e sorreggono l'elaborazione teologica, che lo stesso officio profetico della Chiesa richiede. Ma l'accurata indagine storica, che in quel torno di tempo Newman compie intorno alle vicende del monofisismo e del Concilio di Calcedonia, lo porta alla conclusione che nella dottrina della fede non poteva darsi via media. L'alternativa era o l'adesione o la separazione. Il luogo storico della Chiesa si ha dove c'è l'adesione, dove c'è il consenso, dove c'è l'unità. Lo scisma stava nel mettersi fuori da quel luogo storico. In fondo lo scisma era la rivendicazione di una sotterranea pretesa strutturalistica di non accoglimento dello evento conciliare. Securus judicat orbis terrarum, l'espressione di S. Agostino, a proposito della questione donatista, ripresa in un articolo di N. Wiseman, giunse in quel momento a Newman, come egli confessa nell'Apologia, quale illuminazione sconvolgente"'. Il criterio di verità non è con chi si separa dal corpo della Chiesa, ma con chi resta, in essa, nella continuità dello sviluppo della stessa fede. Si può dire, a questo punto, che l'anglicanesimo implicito di Newman chiede di maturarsi nel cattolicesimo? Se c'è la Chiesa come luogo storico della verità che salva, si dà la probabilità antecedente che lo sviluppo della dottrina sia garantito, oltre che dalla indefettibilità, anche dalla infallibilità. Alla verifica del riscontro storico, come si configura la

48 Il brano di S. Agostino è il -seguente: «0-uapropter seourus judicat orbis terrarum bonos non es-se qui se d.ividunt ab olìbe terrarum, in quacunque parte orbis terrarum» (C.antra Epist. Parine. III, 4, PL 43, 101; SEL 51, 131. Sul :pensiero :di S. Agostino v:d. introd. e note di Y. CONGAR, Traités antidonatistes, I, 1Paris 1963 [;Bibl. ·August;]). L'articolo di Wisernan era: Anglican Claiin of Apostolica[ Succession, in Dublin Revievv, agosto 1839, 139-180; esso seguiva un precedente articolo, con il medesi,mo titolo, apparso .nell'ottobre 1838, 285-309. « F-0r a mere sentence, the words of St. Augustine, struck .me with a tpO\ver whioh I never had felt -from any words .before [ ... ]. 'Securus judicat orbis 'terraruan!'. By those great words of the ancient Father, interpreting and ·s um,ming up tthe long and varied course of ecclesiastica! history, the tiheory of the Via Media was absolutely pulverised» (Apologia, 121 ). 1

1


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Chiesa anglicana? Come si configura la Chiesa di Roma? A questo interrogativo Newman attese, nel silenzio orante di Littlemore, scrivendo il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana 49 • Il saggio non era ancora compiuto, ma a maturazione era giunto il processo intellettuale e il concomitante processo morale della coscienza, quando Newman incontrò a Littlemore, il 9 ottobre 1845, il passionista italiano Domenico Barberi, e gli chiese di essere immesso nella Chiesa cattolica romana.

4.

La figura del cattolicesimo «essenziale"

Approdato esplicitamente al «luogo storico» della verità che salva, diventato cattolico, Newman confessa nell'Apologia che la sua certezza rimase serena, senza più dubbi 50 • Il dubbio, infatti, che gli era sorto nei riguardi della Chiesa anglicana non era stato un dubbio epistemico che si opponesse alla certezza della fede, ma un dubbio storico circa la determinazione, nel tempo della storia, della Chiesa autentica nelle sue origini

49 J. H. NEW1\1AN An Essay on the Develop1nent of Christian Doctrine, 1845 (seconda edizione riveduta 1878). Su una copia personale, conservata all'Oratorio di Birminghan, :si legge la seguente nota scritta dalla mano di Newman: «This is the philosophical ·v1ork of a \vriter whv \vas noi a catholic and did not pretend to be theolagian, addrcssed to those who were not catholics» ('riportata da J. Gu1rroN, La philosophie de Neivn1an. Essai sur l'idée de dévelo·ppenient, Boivin ei ·Cie Editeurs, Paris 1932, 119). Trad. it .•del saggio: Lo sviluppo della .dottrina cristiana, II 1v1ulino, Bologna 1967. 50 «I have been in perfect peace and conientment; I never :have had one doubt. I was noi conscious to myself, on .my conver·sion, of any oha-nige, intellectual or mora!, wrought in my min<l. I was not conscious of firrn_er faith in the fu1ndamental truths of Revelation, or of ·m·ore self" command; I had not more fervour; but it was like comi.ng into port after a rough sea; and my happiness on that score rernains to this day witlhout interruption» (Apologia, 247). Cfr. pure Ecrits autobiographiques, 200 ss. Sul prohlen1a della «certezza» (certitude e certainty) cfr. oltre alla Gran1n1ar of Assent, The Theological Papers of. J. H. Newn1an on Faith and Certainty, :(edited by J. D. Holmes, vvitih a note of introduction by Ch. St. Dessain), Ciarendon Press, Oxford 1976,


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e nel suo sviluppo. Il dubbio non riguardava la realtà essenziale, teologica, della Chiesa, verso la quale si era sempre rivolta nella pregnanza dell'implicito l'intenzionalità della fede, ma riguardava la sua determinazione storica. L'intenzionalità implicita che, proprio nei riguardi della Chiesa, pervadeva il suo anglicanesimo implicito, si era fatta ora esplicita, determinandosi come intenzionalità cattolica romana. I dubbi erano ormai costituzionalmente esclusi. Ma potevano esserci delle difficoltà, anche se diecimila difficoltà non costituiscono un dubbio. Le difficoltà non mancarono, sul piano psicologico, ambientale, culturale. Le difficoltà d'intendersi con Wiseman, con Manning, con Faber, con Ward, con l'ambiente romano. Il caso Achilli. L'esperienza negativa dell'Università di Dublino. La mancata fondazione a Oxford 51 . Ma non mancarono neppure le conisolazioni e i riconoscimenti, dall'affetto dei «cari» padri dello Oratorio di Birmingham alla comprensione degli amici, al successo, anche presso gli anglicani, dell'Apologia, all'attribuzione di Fellow onorario al Trinity College di Oxford, al cardinalato. In un passo dell'Apologia, con lucida e tagliente coerenza, Newman afferma: «arrivai alla conclusione che, filosoficamente parlando, non c'era via di mezzo tra l'ateismo e il Cattolicesimo, e che uno spirito veramente coerente, nelle circostanze i11 cui si trova collocato quaggiù, deve abbracciare o l'uno o l'altro» 52 • 51 Nel suo Diario intimo, in data 21 gennaio 1863, non mancano espressioni sofferte e amare: «O how forlom and dreary has been my comse since I havc been a Catholic! here has been cantrast - as a Protestant, I felt my ,religion dreary, .not my Jife - but, as a CathoJic, my life dreary, not my religion)> (Ecrits autobiographiques, 384). E precedentemente, 1'8 gennaio 1860, aveva soritto: «I bave no friend at Rame. I have Iaboure:d in England, to be rnisrepresented, bacfubitten, and scornedl. I have Jaboured in Ireland, with a door ever shut in ;rny face. I seern to have had many failures, and what I did well v.1as not understood. I do not think I am saying this in any bitterness» (p. 374). 52 «And tihus again I vvas led on to examine .more attentively what I 1doubt not was in my thoughts long before, viz. the concatenation of argument by \:vhich the rnind ascends from its first to its fìnal religious idea; and I can1e to the conclusion that there \Vas no medium, in tirue philosophy, ,between Atheism and Catholicity, and that a per.fectly consistent mind, under those circumstances in \Vhich it finds itself here below, 1


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La decisa affermazione è di ordine logico-intellettuale, non di ordine psicologico o sociologico. Non si trascrive, quindi, in atteggiamento di intolleranza; richiede anzi un trepidante rispetto della libertà. L'espressione sarà ripresa e chiarita nell'appendice 2 della Grammatica 53 • Il teismo, cioè l'affermazione, come riconoscimento, deLI'esistenza di Dio attestata dalla coscienza morale dell'uomo, si apre nel riconoscimento della realtà di Dio che entra nella storia in Gesù Cristo. Il riconoscimento di Gesù Cristo porta al riconoscimento della sua Chiesa, come determinato luogo storico della salvezza, nella Chiesa cattolica. Questo cammino si ribalta dialetticamente in quello opposto: l'abbandono della Chiesa cattolica porta, logicamente, all'abbandono del cristianesimo e all'incredulità. Sono le due parabole dei due opposti principi: il principio dogmatico e il principio liberale. E dietro i due principi ci sta, come presupposto esistenziale, la decisione e la scommessa della libertà. Ora il rischio dell'anglicanesimo, staccatosi da Roma, era quello di deflettersi, per l'immissione del principio liberale, in incredulità. Ma, al di là della parabola logica, resta e vive, nella complessa realtà della storia e dell'esistenza, la ricca pregnanza dell'anglicanesimo implicito. In esso rimasero Keble e Pusey, continuando a dare convinta testimonianza cristiana 54 • Parlando di cattolicesimo, Newman intendeva riferirsi alla sua «essenza», da cui sapeva distinguere le forme contingenti, precarie, segnate anche dall'errore e dal peccato 55 • Forse, più che

mu:st ·embrace either the one or the otiher. And I hold this still: I a·m a Catholic by virtue of my ibelieving in a God; and if I am asked wihy I 'believe in a God, I an·swer that it is because I believe in myself, for I feel it impossible to believe in my own existence (and of that ifact I a.m quite sure) without believ:i.ng also in the existence ·of Him, who lives as a ,Per.sanai, All-seeing, All-Judging Being in my conscience» (Apologia, 206). 53 Grammar of Assent, 495-500. 54 Su John Keble e Bd:ivard B·auvere Pusey cfr. le ::rispettive voci, a oura di I'h. Corbishley ,e di R. D. Downsend, in DS, t. 8, 1692-1694 e t. 122, 2678-2680. Si veda pure la voce Richard Hurrel Froude, a cura di D. Gorce, in DS, t. 5, 1538,1540. 55 In questo senso si .muove la seconda parte del I voi. di Certain dif!iculties felt by Anglicans in Catholic Teaching, Longrnans, ·London 1918.


La «figura» di Newman: anglicano e cattolico

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«essenza», avrebbe preferito il termine «idea», come essenza viva, progressiva, intelligibile. Nei momenti, poi, della controversia, quando le differenze tra anglicani e cattolici si caricavano di malintesi e di deformazioni che avvelenano la comunicazione, Newman sa distinguere l'essenziale dall'accessorio, da quell'accessorio che può rendersi talora schermo deformante del primo. Così di fronte all'Eirenikon di Pusey, che scorge nella devozione mariana cattolica un ostacolo per l'incontro nella pace, Newman rivendica con espressioni vibranti il significato teologico e l'umana bellezza dell'essenziale devozione alla Madonna, distinguendola dalle forme improprie e degeneri 56 • Così, quando, dopo la definizione dell'infallibilità pontificia, Gladstone ebbe a dire che, ormai, i cattolici inglesi non potevano essere leali cittadini inglesi, Newman scrisse al Duca di Norfolk, suo discepolo e grande amico, quella mirabile lettera, che è poi un incisivo e articolato trattato, in cui precisa, con finezza teologica, il senso e i limiti della definizione e lealmente ridimensiona la portata del Sillabo. AI centro .della lettera ci sta, quasi nucleo galvanizzatore di tutto il dispiegato procedere, il capitolo sulla «Coscienza». Al termine del quale si trova quella battuta in cui Newman dice che, trovandosi a dover brindare al papa, egli avrebbe brindato sì al papa, tuttavia prima alla Coscienza, e poi al Papa 57. Il principio prossimo dell'a20ione morale è la coscienza, con il suo segreto di libertà. E' la coscienza che risponde a Dio e che giudica solo Dio.

56 La lettera si trova nel Il vol. di Certain Difficulties felt by A.nglicans in Catholic Teaching, Longmans, London 1920, 1-170. s7 ·La lettera si trova nel II vol. di Certain Di{ficulties ... , cit., 171-378. L'es.pressione, cui ci si richiama, suona letteral,mente così: <(I add one remark. Certainly, i:f I am obliged! to bring .religion into a.fter~dinner toas,ts, {which indeed does not seem quite the thing) I si.hall drink - to the 1Pope, j,f you please still, to Conscien<:e first, and to the 'Pope afterwa:rds» (p. 261).


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5.

Giuseppe Cristaldi La figura oratoriana

Il cattolicesimo essenziale di Newman passò, a livello esistenziale-personale, attraverso la spiritualità di S. Filippo Neri. La figura cattolica di Newman assunse le fattezze e le movenze della figura oratoriana. Perché Newman scelse la congregazione dell'Oratorio? Egli ritenne che Ia formula oratoriana, dove, secondo lo spirito di Filippo Neri, la vera regola è costituita daMa libertà neHa carità e dalla carità della libertà, si prestasse meglio, proprio per la sua duttilità, a farsi veicolo del nuovo apostolato cattolico che Newman intendeva •svolgere in Inghilterra. E Newman mirava in particolare all'apostolato scolastico popolare e all'apostolato intellettuale. Oxford non poteva essere dimenticata. Ma forse la scelta dell'Oratorio avvenne per una strana e profonda congenialità tra il santo fiorentino-romano e l'intellettuale di Oxford. La congenialità, cioè, al livello del cuore. Cor ad cor loquitur. Forse fu proprio quella cordiale e forte spiritualità della libertà, che tutta pervade la persona e l'opera di Filippo Neri, a conquidere il cuore grande e libero di J. H. Newman. Il caso, per così dire, anomalo rispetto agli abituali ordini religiosi di non volere il vincolo dei voti significa che si faceva assegnamento su un continuo e rinnovato donarsi della libertà. La via della santità, così passava attraverso la libertà che, come diceva Kierkegaard, è il segreto dell'esistenza, e di qui s'irradiava ìn forme anche nuove e originali. Qui, nel cuore dell'esistenza, s'insediava con audacia originale la spiritualità di Filippo Neri. Egli non aveva paura della libertà; ma non aveva paura della libertà perché aveva immensa fiducia nella potenza .dell'amore. Il fascino di questo santo che, anche da vecchio, seppe conservare un cuore giovane, aperto al sorriso e alla gioia, conquistò il cuore di Newman 58 • Questi avvertì che quella spiritualità,

SB In una pagina del suo Diario, il 15 dicembre 1859, New.man si lamenta :del diminui,re, con il passare degli anni, del fervore ·sensibile, e guarda con am.mirazione ai santi «vecchi», come S. Filippo. «I more and more wonder at old ·Saints. St. Aloysius or St. F·rancis Xavier or St. Ca·rlo,


La ((figura)) di NeH1111an: anglicano e cattolico

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dolce e forte ad un tempo, poteva essere la sua; che nel clima della santità del Neri il suo cuore si dilatava. Cor ad cor loquitur. Certo il messaggio di Filippo Neri è lo stesso messaggio di Gesù, ma viene trasn1esso, nelle durezze della storia, con Ja passione di un cuore innamorato e con le geniali risorse della libertà. Ne\vn1an sentì rispondente alie sue esigenze e alle sue attese questa spiritualità, l'assimilò e la riespresse con il tocco della sua genialità personale 59 • La figura filippina di Ncwman è come la vibrazione, in saggia e ilare .dolcezza, della sua figura cattolica.

are nothing to St. .Philip. O Philip gain me some little portion of thy fer· vour)) (Ecrits autobiographiques, 368). A conclusione dei suoi discorsi su Idea di Università, Ne\v1nan delinea la «1ezione1) di S. Filippo Neri. Dopo aver precis~1to la diffé.èrcnza da altri santi dell'epoca, precisa: {(No; sarebbe stato sol!anlo un s0cerdotc ardi· nario con1e gli altri; e le sue ar1ni sarebbero sL1te sol!~nto l'u1niltà senza affettazione e l'an1ore senza pretese. Tutto quello che egli fece doveva essere fatto per Jnezzo della luce ·del fervore e clelJa eloqnenz't convincente del suo carattere personale e della sua amabile conversazione>) (L'idea di Università, traci. it., Vita e Pensiero, Milano 1976, 267). Concludcnid:O l'Apologia pro vita sua col nome di S:-in Filip,po e nel giorno della festa cli San Filippo, ripo-rta la seguente pa~in1 della vita del Bacci: «San Filippo aborrì oltre .modo .ogni affettazion:, tanfo in sé come negli altri, cosl nel parlare con1c nel vestire, e in tutte l'al1re cose; fug· gendo in particolare alcune cerin1onie che hanno del se:::olaresco, e alcuni con1pli111enli che si usano 'per le corti; inostrandosi an1icissin10 della sc1n-plicità cristiana in ogni cosa; onde non s'acco1nodava troppo volentieri, quando aveva da trattare con persone di prudenza 1nondana. Ma sopra tutto gli dispiaceva il trattare con le persone doppie che non andavano con lealtà e schiettezza nel negoziare E fu capita! 11e111ico delle bugie, che perciò ricordava spesso a' suoi, che se ne guardassero co111e dalla peste)). Ne\.vn1an aggiunge: «Questi sono i princìpi in base ai qu:1li ho agito prin1a di diventare cattolico_: questi sono i princìpi che, spero, n1i sosterranno e mi guideranno sino alla fine» (traci. it., Ed. Paoline, Roma 1956, 310). 59 Cfr. l'i111porlante lavoro di P. MuRRAY, Ne1v111an the Oratorian, the Bir1ninghan1 Oratory, 1980 (contiene le inedite allocuzioni rivolte alla congregazione di Birminghan1).



LA RETORICA IN PLATONE COME DIALOGO D'AMORE

ENRICO PISCIONE*

Introduzione A differenza di tanti altri termini del corrente lessico filosofico, non si può certo sostenere che la parola "retorica" abbia goduto di buona fama nella storia della filosofia moderna né tanto meno di una risonanza emotiva favorevole. Questa posizione di ostracismo è stata superata, nel più recente clima speculativo, da taluni filosofi che si sono impegnati, con una notevole apertura critica, a ridare cittadinanza filosofica ad una tale disciplina, nel passato quasi esorcizzata. Basterebbe qui citare soltanto i nomi di Chalm Perelman e cli Paul Ricoeur perché ci si possa rendere subito conto che ci troviamo davvero, per dirla con l'efficace espressione di uno studioso italiano, di fronte al tentativo di una «redenzione della retorica» 1• Gli studi di Perelman hanno ridato credito alla nozione di retorica perché, sulle orme di Aristotele e in contrapposizione al razionalismo moderno, hanno cercato di cogliere l'originalità dell'argomentazione persuasiva scorgendo in essa quel prezioso organon che dà voce al vasto campo del "ragionevole". Ricoeur, con lo spessore teoretico e la vivacità culturale che lo contraddistinguono, ha dedicato uno scritto di ampia

* .Docente nei Licei. 1

L'espressione «redenzione della retorica» si trova nel titolo di un denso saggio di C. A. VrANO dedicato alla retorica di Aristotele. C. A. VIANO, Aristotele e la redenzione della retorica, in Rivista di filosofia,

1967, 371- 425.


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Enrico Pfiscio·ne

mole allo studio dell'immagine retorica della metafora. Il suo volume La métaphore vive e opera singolarissima perché l'autore è riuscito a trasformare un'arida .discussione di stilistica in un'organica trattazione filosofica dove il problema retorico si intreccia con l'ontologia. Se vogliamo cogliere à la source la genesi storica di questa tanto dibattuta questione, dobbiamo rifarci alla vivacissima polemica fra i sofisti e Platone, il quale ebbe nei confronti della retorica un atteggiamento oscillante fra la netta condanna e la piena riabilitazione. Forse non è addirittura azzardato affermare che la posizione platonica contenga in sé, quasi in mod·o emblematico, tutta la successiva storia della retorica. Chi appunto volesse comprendere come sia stata possibile l'ostracizzazione di quest'arte e con1e oggi se ne tenti un giudizio più positivo troverà negli scritti platonici non pochi ed illuminanti motivi di riflessione. Platone, profondamente inquietato da ciò che la retorica era divenuta nelle mani dei sofisti, ha vissuto nei confronti di essa uno stato d'animo cl1e è passato dal timore all'ammirazione, fino ad intravedere nel discorso persuasivo la via regale della paideia e lo strumento indispensabile dell'educazione politica. Ci tocca ora esaminare gli affascinanti testi platonici perché si possa avere innanzitutto la dovuta conoscenza di q_uesto problema nella sua prima e, per certi aspetti, paradigmatica tematizzazione.

l.

Retorica e giustizia

La parabola percorsa da Platone per riabilitare la retorica, che in un primo momento aveva condannato per la sua forte contrapposizione nei confronti della giustizia, è consegnata a due grandi dialoghi: il Gorgia e il Fedro. Il primo è appunto, come suggerisce il sottotitolo, il dialogo "sulla retorica" intesa come quell'arte che, presente ovunque si dibatta il problema del giusto e dell'ingiusto, trova il suo luogo naturale nelle pubbliche discussioni assembleari e


La reto11ica in Platone come dialogo d'amore

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nei tribunali. Sostanzialmente l'opera si struttura come una vivace, radicale querelle fra Socrate, il portavoce della esigenza di un superamento del gretto utilitarismo dei sofisti, e tre figure di rètori: Gorgia, Polo e Callicle che, pur accomunati dalla convinzione della superiorità della retorica sulla filosofia, prospettano in maniera diversa il rapporto fra l'arte del persuadere e la giustizia. Per Gorgia, infatti, il rètore, anche se è «in grado di parlare contro tutti su tutto, sì da persuadere [ ... ] la massa su tutto quello che vuole» 2, non deve prescindere dalla dimensione della giustizia. Opinione questa che non è condivisa da Polo, convinto com'è che esiste un'insuperabile estraneità fra l'esercizio del discorso persuasivo e la giustizia. Il confronto con questo secondo interlocutore è estremamente interessante perché in esso assistiamo alla dura contestazione da parte di Socrate della tesi che la retorica possa assurgere alla dignità di un'arte. Essa, infatti, appartenendo ad una delle tante forme di adulazione (il termine greco difficile da rendere è Kolakeia), non è dissimile, tutto sommato, come evidenzia il passo 465e, dall'empirismo che caratterizza il cucinare. Questa grossolana empiria che, secondo l'analisi platonica, sta alla base della retorica fa sì che il cosiddetto discorso persuasivo, lungi dal dimostrarsi utile ai buoni, serva soltanto per giustificare la condotta immorale dei cattivi di cui esso asseconderebbe le irrazionali passioni dell'anima. La verve polemica di Socrate raggiunge la sua acme quando egli, per dare un'esemplificazione concreta del principio etico che le passioni utilitaristiche debbano piegarsi al dettame della ragione, conclude a bella posta il suo dire con un paradosso che disorienta e scandalizza Polo. Si tratta della ben nota affermazione che è meglio patire ingiustizia piuttosto che farla ed è meglio, se si è colpevoli, essere puniti piuttosto che riuscire ad evitare, grazie ad un'abile difesa oratoria, la dovuta punizione.

2 PLATONE, Gorgia, 457a, trad. it., in PLATONE, Opere complete, teca Universale Laterza, Bari 1982, 155.

Biblio~


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Enrico Pliscione

E' proprio a questo punto che si colloca l'intervento decisivo di Callicle il quale, contrapponendosi alla tesi di Socrate, con spregiudicato cinismo proclama il diritto del più forte sul più debole e difende la retorica come quello strumento indispensabile alla realizzazione di fatto dell'incontrastato dominio del Kratos. C'è di certo, come ha notato Viano, una connessione tra la tesi sofistica che la parte irrazionale dell'anima sfugge al controllo della ragione e la «dottrina che per natura il più forte è fatto per dominare» 3 • Non ci è possibile qui riferire le varie fasi e le reciproche accuse dello scontro frontale fra Callicle e Socrate che le pagine platoniche rappresentano con una tonalità ironica e drammatica ad un tempo. Di questo duro confronto intendiamo sottolineare soltanto un passaggio, esattamente quello in cui Callicle con lo scopo evidente di ritorcere l'accusa socratica della inutilità della retorica, sferra un astioso attacco contro la filosofia, di cui mette in luce l'astrattezza e l'insignificanza sul piano pratico. Darsi alla filosofia è per Callicle come un divenire schiavi di una sorta di sottile droga che allontanerebbe l'animo giovanile dall'impegno politico e dalla cura dei propri interessi all'interno della città. La figura di chi coltiva la filosofia ha in sé, per il nostro rètore, qualcosa di ridicolo, perché il filosofo condurrebbe un'esistenza inutile passando un'intera «vita nascosto in un canto, chiacchierando a bassa voce con tre o quattro ragazzi, senza dire mai qualcosa di veramente libero, gran.de, significativo» 4 • Ma il Gorgia, che non è un dialogo aporetico, ci presenta una sorpresa: Socrate, dopo avere replicato al suo interlocutore che la filosofia implica una scelta radicale di vita, ammette la possibilità di una retorica che non si riduca ad «adulazione e brutta demagogia» 5. Accanto al rètore che difende il diritto del più forte potrà pur esservi un oratore che persegua l'ideale

3 C. A. VIANo, Retorica, 1nagia e natura in Platone, in Rivista di filosofia, 1965, 443. 4 1PLATONE, Gorgia, cit., 485d-e, 191. s !bici., 503a, 214.


La

mvo~ìca

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dell'autentica giustizia e sarà capace di dire la verità e di trasmetterla nelle anime dei suoi concittadini. Ci pare questo il primo, serio tentativo compiuto da Platone per riabilitare la retorica la quale appunto, in base alle cose che si son venute dicendo, si può ora definire come un discorso persuasivo intorno alla giustizia. E non è certamente un caso che Socrate si identifichi con una tale figura di oratore il quale in fondo è un testimone, cioè una persona che con la sua esistenza fa intravedere che è più conforme a ragione vivere in armonia con l'esigenza ideale della giustizia. Esigenza questa che impone, per cedere di nuovo la parola a Platone, una severa disciplina ascetica perché non accada che «l'anima nostra giunga all'Ade carica di ogni ingiustizia» 6 • Quest'ultima citazione del Gorgia, a parer nostro, introduce bene il lettore nella parte conclusiva del .dialogo che è il racconto avvincente del mito del giudizio finale e della sopravvivenza delle anime in quell'aldilà in cui, ormai al riparo dalle insidie che l'utilitarismo tende all'agire umano sulla terra, risplenderà per sempre quella giustizia perfetta che assegna ad ognuno premi e castighi secondo i propri meriti. E' dunque questo, se non andiamo errati, il contributo che il Gorgia offre alla dibattuta questione della retorica: più persuasiva delle lusinghe retoriche è la struttura incontrovertibile del pensiero, ossia quel logos che, fondando in modo irrefutabile il corretto ragionare, trova nel mito dell'aldilà una conferma escatologica del suo rigoroso procedere. Socrate ha dunque vinto Callicle e la cattiva retorica attraverso un serrato confronto logico. Il fisolofo ateniese, tuttavia, ben lungi dall'essere pago di una tale vittoria, servendosi del caldo linguaggio religioso, è magnanimamente proteso ad ottenere da Callic!e quel consenso interiore che è la condizione indispensabile perché il suo interlocutore cambi vita. Le ultime battute del dialogo, pervase come sono da un co1nmosso cli111ax di carattere esortativo, si possono forse considerare un paradigma concreto di un uso non scorretto del

' Jbid., 522e, 241.


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Enrico Piscione

discorso persuasivo. A noi pare a tal proposito di poter dire che la esortazione finale del Gorgia sia quasi un esempio di quella parola viva di cui parla il Fedro, che è capace di scrivere nei cuori e di far ger1nogliarc in essi quel scn1e di verità che rende beato cl1i l'ha accolto.

2.

Rclorica, dialettica e psicologia

Il Fedro è il dialogo che, dopo un'attenta disamina di tre discorsi sull'an1ore, sviluppa nella sua ulti1na parte in mod·o a111pio l1na teoria del discorso che contiene la nuova posizione di Platone sulla retorica. Quesl'ulti111a, se non intende ridu.rsi a quel piatto en1pirisn10 già condannato dal Gorgia, deve avere il suo fondamento irrecusabile nella dialettica, di cui la Repubblica ci fornisce il più rigoroso schema concettuale. Non possiamo qui seguire la riccl1ezza argomentativa e la vivacità dell'esposizione dcl dialogo, ma dobbiamo limitarci a cogliere i passaggi fondamentali del discorso platonico. Il nodo teoreticamente decisivo della questione ci pare essere costituito dall'acuta critica che Platone muove alla teoria sofistica della retorica concepita co1ne l'arte del verosimile (eik6s), tutta orientata ad accondiscendere alle opinioni del pubblico cui si rivolge e per nulla rispettosa della verità oggettiva. Osserva Platone che I'eik6s, coercnte1ne11tc inteso, implica di necessità che l'oratore sappia andare da un giudizio al suo opposto e richiede pure al rètore, per un ulteriore inevitabile passaggio logico, la co_noscenza della totalità di ogni possibile tesi. Paradossalmente anche per ingannare l'avversario chi parla in tribunale, conformemente alla nota teoria gorgiana del legittimo inganno (dikaia apcite), deve avere una conoscenza adeguata del vero. Dal rilievo critico da Platone mosso alla teoria dell' eik6s deriva la convinzio11c che og11i discorso deve basarsi su una intelaiatura logica che, superando il piano sempre mutevole della d6xa, sappia approdare alla solida certezza del!' alétheia. Ben a ragione Socrate può dunque affermare che l'arte del «cacciatore di opinioni» è un'arte davvero ridicola, anzi a rigore


La retorica zn Platone come dialogo d'amore

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non si dovrebbe nen1n1eno definirla una téchne, nell'accezione forte del termine. Se la verità di per sé richiede ordine ed armonia, è impossibile im111aginare che un discorso privo cli coerenza logica possa avere la dovuta forza di persuasione. Esso, per ri11scire a convincere realn1ente, «deve essere costruito come una creatura vivente» e deve presentare «Un suo proprio corpo cosicché non manchi né di testa, né di piedi,, 7 ed abbia le sue parti in armonia fra loro. L'analogia fra discorso ed organismo vivente consente a Platone di conseguire un ulteriore, fondamentale guadagno speculativo: l'unica téchne a cui la retorica può guardare senza sospetto è la dialettica. Quest'ultima, infatti, col suo duplice processo cli sintesi (synagoghé) e cli analisi (diairesis) fa sì che il discorso presenli sc111prc una unità che lo mette al riparn dalla clispeicsione nel molteplice e, d'altra parte, evita che esso si bloccl1i ncll'i1n1nobilc visione noetica, proprio pcrcl1é il procedìi11cnto analitico riesce a "sciogliere" la compattezza dell'argomentazione nelle sue variegate articolazioni. Se tuttavia ci fern1assin10 ad individuare soltanto la stretta connessione tra dialettica e retorica, non riusciremmo ancora a cogliere la novità costituita dal Fedro, perché snatureremmo l'arte del persuadere rìducendola, contrariamente a quanto pensa Platone, ad un procccli1nento rigorosan1cnte intellettualistico e, perciò, privo di quella con1ponentc cn1otiva che è propria deJ discorso persuasivo. Che l'intento cli Platone sia quello di pervenire ad una sorta, per dir così, dì sintesi vivente fra astrattezza logica e capacità di penetrare nella ricchezza infinita de1l'ani1na urna~ na è ben testimoniato dal noto passo 271 cl in cui la retorica è presentata come una psicogogia, ossia con1c queII'arte che di~ rige le anin1e attraverso le parole. In arn1onia con una tale definizione, l'autentico rètore è chi, avendo la doppia conoscenza della verità dei discorsi e

7 PLATONE, Fedro, 264c, trad. it., sale Laterza, Bsri 1976, 269.

in PLATONE,

Opere con1plete, Univer-·


Enrico Riscione

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della natura dell'anima, riesce a trovare, di volta in volta con una duttile mediazione sapienziale che non è frutto di estro momentaneo ma di scienza e di studio, la dovuta corrispondenza (il termine greco Kair6s è di certo più pregnante) fra i vari discorsi e i vari tipi di anime. Ad ogni anima il suo discorso: è forse questa la formula sintetica che ben riassume la nuova e complessa visione platonica sulla retorica. Una tale posizione contiene due pericoli, quello dell'intellettualismo già esaminato e quello di un possibile cedimento ad una sorta di variopinto psicologismo. Quest'ultimo rischio si supera, come testimonia l'esempio di Pericle, da Platone ritenuto uno dei più grandi oratori di tutti i tempi, attraverso il possesso di una visione filosofica globale della vita che sappia fornire dei criteri fondamentali per connettere la variegata realtà dell'anima umana con l'immutabile vicenda cosmica. Il limite di Pericle è consistito nel fatto che si è ispirato alla discutibile filosofia di Anassagora e non ha avvertito la responsabilità etico-religiosa del parlare. L'oratore autentico, però, a qualunque pubblico si rivolga, ha l'obbligo morale di avvicinarsi il più possibile all'assolutezza della verità. Tralasciando per il momento di soffermarci sul primato che Platone assegna alla parola viva rispetto al discorso scritto (vi abbiamo già accennato e vi torneremo in sede conclusiva), non possian10 non chiudere la nostra trattazione osservando, come del resto fanno i più avvertiti commentatori del Fedro, che questo dialogo è quasi circoscrivibile dentro il perimetro ideale tracciato dalle figure di due oratori: Lisia ed Isocrate. I due vengono contrapposti in maniera radicale: il primo è condannato perché incarna la cattiva retorica dei "logografi", ossia, si direbbe con linguaggio moderno, degli avvocati parolai; il secondo, pur ancora giovane, viene elogiato in quanto, dotato di «nobile temperamento» e di un «Ìn11ato senso della filosofia», fa presagire che nel suo esercizio dell'arte della persuasione dirà «Cose gradite agli dei» 8 • 1

s Ibid., 273e, 281.


La retorica in Platone come dialogo d'amore

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Osservazioni conclusive Se vogliamo raccogliere in alcune sintetiche considerazioni i risultati della ricerca condotta, ci pare proficuo richiamare alla nostra mente le chiuse dei due dialoghi che appaiono poi, a ben guardare, sorprendentemente sulla stessa linea, quasi che l'affermazione del primato della parola sulla scrittura, teorizzato nel Fedro, sia la ripresa sul piano del pensiero riflesso di quella esortazione religiosa alla metanoia che suggella la pagina finale del Gorgia. In questo dialogo Platone ha condannato la retorica perché gli è parsa come quello strumento che permette di eludere l'interrogativo esistenziale di fondo, ossia quella difficile questione: «chi tu sei?» che avrebbe dovuto porre a Gorgia Cherofonte il quale, invece, la riduce banalmente ad un «che cosa tu fai?». Sia la domanda radicale per eccellenza che l'eventuale risposta: <do sono un rètore» vanno collocate, per essere bene intese, su un piano, si direbbe, di trascendentalità esistenziale. Quest'ultima fa un tutt'uno con quegli atteggiamenti etici che indicano in che modo si intende affrontare la comune condizione umana, cioè se si è disposti alla ricerca del significato globale dell'esistenza o se si vuole operare su di essa un'epoché vivendo una vita che si esaurisce in un prammatisrno utilita~ ristico. La 111agna quaestio: «chi tu sei?)), presente in una delle prime battute del Gorgia e poi messa fra parentesi per tutto il corso del dialogo, riemerge, anche se non più formulata in modo esplicito, nella conclusione dello stesso dialogo, laddove leggiamo il vibrante appello di Socrate a Callicle perché si decida a vivere secon-do giustizia. Approfondendo il significato del racconto finale del Gorgia non possiamo non ribadire che il suo i11veramento si trova nel Fedro, il quale valorizza al massimo il ruolo dell'interlocutore personale nella cui anima il sapiente sa scrivere parole di vita. Cade qui opportuna l'osservazione di Roland Barthes secondo cui financo «le particelle che incontriamo nei dialoghi di Platone e che ci fanno spesso sorridere (se pur non ci annoiano)


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Enrico Piscione

per la loro ingenuità e la loro piattezza apparenti» 9 hanno una precisa funzione strutturale. La loro presenza è un'ulteriore conferma che la retorica in Platone, implicando sempre due interlocutori profondamente sottomessi al suggestivo influsso dell'eros filosofico, trova nell'intimità dialogica fra il maestro e l'allievo la sua più significativa espressione. La posizione platonica presenta, dunque, una forte valenza pedagogica: trasn1cttere la verità mediandola con un discorso adeguato al tu concreto che di volta in volta si incontra. Questa sottolineatura ha oggi una grande attualità perché induce a ripensare ex ù11is i presupposti della nuova retorica sofistica, quella dei mass media. Essi, infatti, da una parte molto spesso non sono mediatori di verità in quanto strumento occulto di persuasione del potere che fa leva sugli aspetti irrazionali dell'uomo e, dall'altra, col loro discorso massificato, ignorano la bellezza del dialogo interpersonale.

9

R.

BARTHES,

La retorica antica, trad. it., Bompiani, Milano 1972, 18.


LETTURA "AGOSTINIANA" DI UN ROMANZO DI SVEVO CONTRIBUTO PER L'INTERPRETAZIONE DE "LA COSCIENZA DI ZENO"

SALVATORE PISCIONE*

Pren1essa

Scopo di questo saggio è di offrire una lettura del romanzo La coscienza di Zeno servendoci di alcune categorie antropologiche e teologiche agostiniane che, a parer nostro, possono gettare un fascio di luce su alcuni dei tanti problemi aperti dal capolavoro sveviano. Il lettore (ma anche il critico) infatti rimane perplesso sul significato complessivo del romanzo e, pur avvertendo di trovarsi dinanzi ad un capolavoro e ad un opera del tutto originale, ha la sensazione di non aver colto il nocciolo dell'opera e che qualcosa di fondamentale gli sia sfuggito: il romanzo, beffardo come il suo autore, sembra prendersi alla fine gioco di chi Io legge, Occorre dunque un esame più approfondito, perché a lettura ultimata ci si interroga su molti punti: chi è veramente Zeno? Un inetto, come spesso si dice, oppure uno spirito sornione che dall'alto della sua saggezza contempla l'affanno (o per dirla con un termine a lui consueto "la malattia") liniversale? E ancora: perché il protagonista è lncapace di smettere di fumare? Perché sposa Augusta, mentre desidera Ada? Perché considera an1ico il suo rivale Guido, di cui non solo non impedisce il fallimento ed il suicidio, ma non va alle esequie 1

-:, Doconte di Lettcfìe nei Licci.


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Salvatore Piscione

per una banale disattenzione o, peggio, per un lapsus freudiano? E infine, come va interpretata l'ironia e l'autoironia del romanzo? A queste domande che riguardano l'esegesi dell'opera ne vanno aggiunte altre sullo scrittore stesso e prima fra tutte: qual è il rapporto tra Svevo e la psicanalisi, che per la prima volta fa l'ingresso nel mondo della letteratura italiana? Ed ancora, l'ideologia di Zeno Cosini è la stessa del suo autore? Nei sessant'anni trascorsi dalla pubblicazione del romanzo vari sono stati i tentativi idi risposta a queste don1ande, ed ancora oggi <(si ha la sensazione che l'opera non sia stata interamente assimilata, posseduta dalla sensibilità critica contemporanea» 1•

Prima di arrivare al cuore dei problemi è bene partire da alcuni punti sicuri. Sicuro è che il romanzo sia a sfondo autobiografico (anche se Zeno non coincide perfettamente con Ettore Schmitz) 2 , come dimostrano diversi punti in comune tra il protagonista e il suo autore: entrambi dilettanti di violino, accaniti fumatori 3, dediti anche alla letteratura 4 , vivono nel medesimo ambiente commerciale della Trieste degli affari e rimangono profondamente de-

l CESERANl DE FEDERICIS, Il n1ateriale e l'ùnrnaginario, VIII, Loescher, Torino 1982, 1998. 2 Nome dello scrit,tore sostituito con lo pseudonimo di Italo Svevo ad indicare la id~'oppia nazionalità di cui si senl.iva .partecipe. 3 Cfr. Lm articolo di Svevo apparso nel 1890 -sull'Indipendente dove affern1a: «tutti noi, i fumatori, siamo convinti che il fumo non ci faccia bene e non abbiamn bisogno di veni,re convinti, ma continuia-mo a fumare [. .. ]. E' naturale che con se stessi bisogna essere molto più indulgen,ti che con gli altri)). 4 Il pers.onaggio Zeno se1nbra coltivare l'hobby dello scrittore come si evince da questa considerazione: «per dire la verità il n1io dialogo mi piace anche adesso, che ho fatta tanta pratica nel com-porre)) in I. SVEVO, Ro1nanzi, a cura di P. Sarzana, Mondadori, Milano 1985, 978.


Leittura "agostiniana" di un romanzo di Svevo

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!usi dalle capacità terapeutiche della psicanalisi. Del resto il carattere autobiografico dell'opera è stato recentemente confermato dalla figlia dello scrittore 5 e indirettamente dallo stesso Svevo, che ha sostenuto la necessità di "letteraturizzare" la propria vita. <«Di questi giorni scopcrsi .nella inia vita qualche cosa d'in1portante, anzi la sola cosa im portante che .mi .sia avvenuta: la descrizione da n1e fatta di una sua parte. Certe descrizioni accatastate messe in disp<irte per un medico che le .prescrisse [ ... ] 6 • E ora che cosa sono io? Non colui che visse ma colui che descrìssi. Oh! L'unica parte importante della vita è il raccoglimento. Quando tutti lo comprenderan·no con la chiarezza ch'io ho tutti scriveranno. La vita sarà letteraturizzata [ ... ]. E se una parte dell'umanità si ribellerà e ·rifiuterà di leggere le elucubrazioni dell'altra, tanto meglio. Ognuno leggerà se stesso. E la propria vita, ri&ulterà, più ·chiara o più scura 1na si ·ripeterà, si correggerà, si cristallizzerà» 7 • 1

Altro punto fermo è dato dalla novità dell'impianto narrativo, che corrode profondamente l'impostazione oggettiva del romanzo realista. S~gnificativa è la lettera a firma dottor S. 8 , che l'autore premette al racconto. Una pagina breve, che ha sul lettore un effetto dirompente. Lo psicanalista si considera defraudato dal fatto che Zeno, da lui invitato a scrivere i propri ricordi a scopo terapeutico, ha interrotto la cura; per vendetta decide di pubblicare le memorie del paziente, nella speranza anche di fargli riprendere la terapia. Con questa semplice Iettera-prnfazione l'autore, dando ad apertura di libro la parola

5

Si tratta di un intervento 1diella figlia dello scrittore, com.parso recentement·e in un articolo de Il Venerdì supplemento del quotidiano La Repubblica, il cui numero non sono riuscito a iden1ifìcare. 6 Come non vedere in quest'affermazione un riferimento punluale alla situazione di base dc La coscienza di Zeno? Non bisogna, quindi, prende:re tr:op.po sul ·serio le dichiarazioni dell'autore .che smentiscono il carattere autobiografico del ·suo capolavuro. 7 I. SVEVO, Opera onznia III: Racconti, saggi, pagi,ne sparse, a cura di B. Maler, Dall'Oglio, Milano 1968, 372. 8 Molti hanno voluto scorgere dietro questa sigla il nome stesso di F1reUJd: Sigmund.


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al medico-curante, ottiene vari effetti: anzitutto insinua un dubbio radicale e profondo su tutto quanto verrà raccontato dal protagonista (che è poi la voce narrante dell'opera). «Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal com1ncnto delle- tante verità e bugie che egli ha qui accumulate! [ ... ] >> 9 •

Fin dall'inizio si invita, dunque, il lettore a non prendere troppo sul serio quanto Zeno andrà dicendo di se stesso. D'altra parte le sue affcrn1azioni non vanno nen11neno rigettate in tronco: egli non è un puro bugiardo, perché il suo racconto è pieno di mezze verità. Conten1poranea1nente, però, il lettore è indotto a provare diffidenza per il terapista che rivela un atteggiamento non corretto dal punto di vista dell'etica professionale. Egli è troppo poco sereno e cListaccato per condurre efficacen1ente in porto la guarigione dcJ paziente; appare infatti irascibile e ve11dicativo («le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia») e particolarmente avido di ,guadagno: giudica l'abbandono della cura una "truffa" ai suoi danni e spera di ricavare "lauti guadagni" dalla pubblicazione di documenti, che dal segreto professionale è vincolato a tenere nascosti 10 , Comunque il lettore è subito spiazzato: nel romanzo fin dall'inizio sono presenti due punti di vista che si escludono a vicenda, nessuno dci quali va assolutizzato. Chi legge, insom111a, è jnvitato a non fidarsi piena 111ente di nessu_no dei due, ma a verificarli entrambi. E' così totalmente frantumato il piano della verità oggettiva, caro al romanzo realista. L'effetto voluto è quello di un doppio straniamento: il lettore prenderà le distanze da entrambi i punti di vista ed è lasciato solo nell'arduo con1pito di discernere le bugie dalla verità; è invitato a diventare egli stesso psicanalista, o con1unque indagatore e quasi detective, cioè interprete delle ambiguità del dottor S., e soprattutto delle numerose bugie-verità di Zeno Cosini. In questo 1

I. SVEVO, La coscienza di Zeno, in 1. SVEVO, Rornanzi, cit., 649. Più che tracciare un ritratto credibile deUo psicanalista sernbra che !o scrittore abbia voluto piuttosto fa.rne la caric·atura. 9

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senso Svevo introduce nel genere del romanzo una rivoluzione simile a quella operata nella drammaturgia dal teatro "epico" di B. Brecht. Un simile impianto narrativo ci impone di andare oltre le apparenze e le mistificazioni del protagonista per sciogliere i nodi irrisolti della sua tortuosa psicologia, senza peraltro far ricorso alle facili spiegazioni edipiche, di cui lo stesso SvevoZeno si fa beffe, e che comunque non sono valse ad ottenere la guarigione dalla malattia. Segno che la ricerca va fatta in altra direzione.

2.

Antropologia e morale in Agostino e Svevo

Emerge con molta chiarezza da numerose pa,gine del romanzo che Cosini è tormentato da vari sensi di colpa; non ha però il coraggio di ammettere di fronte a se stesso i propri errori, che cerca sempre di giustificare, a volte in maniera spudorata. «A -mio onore posso dire che bastò quel riso rivolto alla mia innocenza qua.nd'essa non esisteva più, per impedirmi per sempre <li ruba,re. Cioè rubai ancora, ma senza saperlo» 11.

Il senso del peccato (che ha rimosso) e la virtù cristiana dell'umiltà egli li ignora; non per questo sa liberarsi dai rimorsi dell'ingombrante coscienza; con abilissimo autoinganno, allora, trasforma il peccato e il fallimento della sua personalità in malattia da curare coi ritrovati della scienza moderna. Ai suoi occhi se solo potesse guarire diverrebbe il miglior uomo del mondo. Se solo avesse potuto togliersi il vizio del fumo quale grande uomo sarebbe diventato. «Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forse :fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente» 12.

Il I. SVEVO, Romanzi, cit., 653. " Ibid., 657.


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Egli è dunque incapace di assumere pienamente le proprie responsabilità, agendo da uomo maturo e consapevole né d'altra parte sa riconoscere i limiti oggettivi della sua personalità, ammettendo umilmente le proprie colpe o errori. Alla base di un simile atteggiamento distorto vi è il particolare rapporto che egli ha avuto con il padre. Troppe attese il genitore ha concepito sul figlio; troppi doveri gli ha imposto; in troppi campi ha preteso da lui serietà e impegno. «In quanto al mio 1disprezzo per le cose serie, io credo ch'egli avesse il difetto di considerare come serie troppe cose di questo mando l> n.

Questi doveri, imposti dall'esterno, opprimono e schiacciano il .giovane Zeno il quale, preso dall'ansia di non essere alla pari delle aspettative paterne (che del resto non vorrebbe deludere), si difende censurandole con la dimenticanza o con altri espedienti. L'educazione autoritaria del genitore si manifesta altresì nell'imposizione di un libretto, dove il figlio dovrebbe segnare tutti i propri doveri e impegni. «Impose quel li-bvetto anche a me» 14,

Zeno non contesta la morale che gli viene imposta; solamente ne farebbe ben volentieri a meno. Anche in ciò si ritiene meno fortunato di Guido che, con «la sua disinvoltura nella vita» 15 , sa fare il proprio comodo senza troppi scrupoli di coscienza. In sostanza egli, anche se diverge in molti punti dal modo di pensare del genitore, concorda con lui nel credere che l'uomo (se non è "malato") possa assolvere tutti i doveri che gli sono imposti. Si sente dunque colpevole, perché ha fatto propri questi doveri: il suo forte super-io lo tormenta e lo condiziona. Parimenti, però, fa l'esperienza deludente di non essere in grado ed abbastanza motivato per adempiere tutti questi obblighi .e accettare tanti divieti. Anzi il proibito suscita in lui il desiderio di violare la legge morale.

" Ibid., 682. t4 L. c. " Ibid., 961.


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((Non fu [ ... ] la mancanza di denaro che mi Tendes·se diffi· cile di ·soddisfa.ire il mio vizio, ma le proibizioni valsero ad eccitarlo» 16.

E' la stessa esperienza psicologica di cui parla S. Agostino commentando la Lettera ai Romani: «Nel Decalogo si trova il comando: non desiderare: mediante tale precetto, quantunque santo e giusto, [ ... ] il peccato mi sedusse [ ... ] e per suo 1nezzo mi uccise» 17 .

Sant'Agostino, e prima di lui San Paolo, possono dunque affermare con forza che la legge non salva nessuno, serve anzi ad accumulare pecca ti. «OuanidJo però venne il precetto, il peccato incominciò a destarsi mentre io morii: e çosì si trovò che il precetto, dato per la vita, era invece occasione di morte» 18 •

Nell'antropologia agostiniana la legge ha una funzione ben precisa: quella non di salvare (altrimenti Cristo sarebbe venuto invano), ma di essere "pedagogo": di convincere l'uomo della sua radicale impotenza a salvarsi coi propri mezzi, con la sola buona volontà, aprendolo così umilmente al dinamismo della Grazia e all'opera redentrice del Cristo. La legge è sì valida in se stessa, ma va interiorizzata; altrimenti diventa un tiranno che opprime e condanna. Nel romanzo di Svevo raramente si parla di religione e di cristianesimo e comunque, se salvezza esiste, questa non può venire dalla Trascendenza, ma solo - e Zeno ne è convinto per buona parte del romanzo - dall'impegno spasmodico dell'uomo, che deve imporsi con la forza in un mondo che lo incita alla lotta e all'impegno volontaristico. E' una visione antropologica molto simile a quella di Pelagio (oggetto della polemica agostiniana) che nega la Grazia e il peccato originale e fa leva solo sull'impegno dell'uomo perché quest'ultimo riesca vittorioso sul male. La concezione di Zeno {che è anche la stessa di Jbid., 655. 11 S. AGOSTINO, Lo spirito e la !et.tera, a cura di S. Iodioe, Studi tardoantichl, Napoli 1979, 53. 18 Citazione rpaolina fatta da Agos{ino in Lo spirito e la lettera, cit., 55. 16


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Svevo) è però infarcita di elementi darwiniani 19 : nel mondo c'è posto solo per chi sa superare la prova della selezione naturale. Solo i migliori vi riescono. «L'unico grido ammissibile è quello del trionfatore»'°. Tale lotta in vista del miglioramento progressivo dell'uomo non esclude, però, l'affinamento morale e la vittoria su se stessi. «lo m'aspettavo di divenire più nobile, più forte, più degno della mia divina fanciulla» 21.

Nella visione di Pelagio, come in quella degli stoici e in fondo in ogni concezione strettamente umanistica e immanentista, l'uomo in ultima analisi si trova dinanzi questo dilemma: o porsi come redentore di se stesso o essere destinato al fallimento totale. Zeno, contando sulle proprie forze, sogna appunto di diventare un uomo grande e forte; invece si percepisce di fatto come un essere in contraddizione con se stesso, incapace di far quel bene che pure desidera. Un critico in tal senso ha parlato per il protagonista del romanzo di una doppia volontà, profonda e di superficie :12. Come Paolo potrebbe dire: «Il volere mi è bensì a portata di mano, ma compiere il bene no. E difatti non il bene che vorrei, questo io faccio, ma piuttosto il male che non vorrei. Segno che [ ... ] il peccato [ ... ] abita in me» 23 • A differenza di Paolo e di Agostino, Zeno non crede, però, nel peccato (e di conseguenza nella Grazia) perché l'ha rimosso completamente, trasformandolo in malattia. Mentre Paolo può paradossalmente esclamare: «Quando sono debole è allora che sono forte» 24 , Zeno, invece, potrebbe rdire di sé l'esatto contrario: «Quando sono forte è allora che sono debole ed ho deciso di peccare». Quante volte fa propositi di ferro, e afferma di

" Cfr. I. SVEVO, op. cit., 1042. L. c. 21 Ibid., 733. 22 :Cfr. CESERANI DE FEDERICIS, o-p. cit.1 2005. " Rm 7, 18-20. " 2 Cor 12, IO. 20


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prendere decisioni con la massima energia; ma il lettore sa bene che dietro simili propositi, pieni di buona volontà, si farà ben presto strada il desiderio di compiere l'esatto contrario. Valga un esempio per tutti: mentre stabilisce di romperla definitivamente con l'amante, è già pronto a rivederla ancora un'ultima volta. «tMentire distrattamente fingevo di mangiare, cercai il sollievo in un proposito .ferreo: non la rivedrò più - pensai e se, per ·riguardo la dovrò rivedere, sarà per l'ultima volta)> 25 •

Di tante ultime volte e di tante ultime sigarette è piena la vita del prota,gonista del capolavoro sveviano. Nell'antropologia agostiniana l'uomo non è esonerato dall'osservanza della legge morale ma, profondamente rinnovato nell'intimo dallo Spirito Santo che gli è stato donato, prova autentica gioia nel mettere in pratica un precetto, non più obbligo esterno (da adempiere con animo servile), ma delizia interiore. Si realizza così, a detta del vescovo di Ippona, quanto ha profetizzato Geremia: {<.Porrò la ,mia legge nel loro animo, la scriverò ,sul loco 1

cuore» 26.

Da qui la libertà del cristiano, che nella Nuova Alleanza ha superato le angustie di una legge che «forinsecus terre!» n, per provare la bellezza del precetto divino che "delectet intrinsecus» 28 • Zeno Cosini nella prospettiva agostiniana è rimasto ancora legato, per così dire, alla schiavitù dell'antica legge. Incapace, dunque, di osservare la norma etica e, soprattutto, di saperla interiorizzar.e 29 e incapace, altresì, (per la forte presenza del super-io) di negare questa stessa norma o comunque di confessarsi umile peccatore (ponendosi in questo caso alla ricerca di una salvezza di ordine trascendente), non gli resta che il rifugio

25 26

I. SVEVO, op. cit., 852. Ger 31, 33.

27 S. AGOSTINO, op. cit., 158.

is L. c. 19

Come dovrebbe avvenire in un'autentica esperienza cristiana.

1


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dell'autoinganno, del nascondere a se stesso lo propria fragilità. Questo è il meccanismo di fondo di tutto il romanzo. Alla base de La coscienza di Zeno è, dunque, sottesa una particolare visione antropologica che non va applicata solo al protagonista, come ad un'eccezione, ma all'umanità intera, la cui "malattia" collettiva va precisandosi in tutta la sua evidenza alla fine dell'opera. Pertanto andrebbe, a parer nostro, di molto ridimensionata l'interpretazione che vuol fare di Zeno un inetto, alla pari dei personaggi di tanta narrativa contemporanea di autori come Borgese, Tozzi, Moravia. Il Cosini alla fine del romanzo appare un buon affarista. Come conciliare questo dato con la concezione dell'inetto? Inoltre, lnngo il corso della narrazione egli spreca notevoli energie ,intellettuali e usa stratagemmi elaboratissimi (a volte geniali) nell'azione dell'autoinganno. Ben diverso è il tipo dell'inetto quale lo presenta, ad esempio, il Borgese: Filippo Rubè, autentico incapace, vive una vita assurda e muore senza nemmeno sapere perché, travolto da una carica di cavalleria durante una manifestazione politica, di cui neppure comprende il significato. Invece la fragilità morale, di cui Svevo presenta un'ampia fenomenologia, non è appena un tratto saliente della personalità del protagonista ma, a ben guardare, un'esperienza tipica dell'umana condizione. Alla luce di tale visione dell'uomo, per tanti aspetti opposta a quella agostiniana, possono essere letti i vari episodi de La coscienza di Zeno, e forse risolti in buona parte alcuni dei numerosi interrogativi sul romanzo, non ancora del tutto chiariti. Tentiamo brevemente una lettura dei singoli episodi sotto tale prospettiva.

3.

Lettura di alcuni episodi del romanzo

Il prota,gonista, incapace di smettere di fumare, non dichiara mai la sua mancanza di volontà; invece genialmente (dal suo punto di vista) escogita una trovata che gli permette dì fumare con più voluttà, attenuando di molto i tormenti del rimorso. La trovata dell'ultima sigaretta, legata ad un avveni-


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mento importante (o presunto tale), ha un doppio effetto: da una parte gli fa assaporare con più voluttà il frutto proibito; dall'altra lo deresponsabilizza, perché la data con cui segnare la fine del vizio, cercata con molta cura, finisce con l'assumere il valore di un avvenimento magico 30 che dovrà operare il miracolo su di lui dall'esterno. Se la sua amante Carla Gerco stesse al gioco egli sarebbe capace di estendere questo meccanismo anche alle scappate extra-coniugali 31 • {(Perciò essa si ras-segnò. Mormoravano ambedue: Per l'ultima v-0Ita! Fu un istante delizioso. Il proposito fatto a due aveva un'efficacia .che cancellava qualsiasi colpa» J2.

Se, invece, Zeno Cosini si trova nudo ed indifeso dinanzi al male commesso, che gli appare in tutta la sua chiarezza e non ,gli offre nessun alibi dietro cui nascondersi, ricorre, quasi in maniera automatica, allo stratagemma di procurarsi, con un meccanismo inconscio, un .dolore fisico che trasforma la colpa in malattia 33 • Anche l'episodio buffissimo del fidanzamento può spiegarsi alla luce del suo acuto senso di colpa. Ancora una volta attribuisce ad un avvenimento esterno (in questo caso il matrimonio), che è estraneo alla sua coscienza e viene considerato alla stessa stregua di una medicina, la capacità di guarirlo completamente. Occorreva spostarsi, preferibilmente con Ada, ma il rimedio poteva essere agevolmente sostituito (al pari di una medicina) con Alberta o anche con la non bella Augusta. L'importante era non essere scacciato da quel salotto e sposare una delle figlie di casa Malfenti. Ma perché tanta ostinazione nel volere accasarsi con una signorina Malfenti? Il suocero, ai suoi occhi, è una figura sostitutiva del padre con cui Zeno vorrebbe riprendere il discorso, interrotto dalla Jo Cfr. G. GUGLIELMI,

Glosse a Svevo, in Letteratura come sistema e

come funzione, Einaudi, Torino 1967, 104-105. 31 Cfr. anche I. SVEVO, op. cit., 867. 32 Ibid., 920. " Ibid., 872.


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morte, per dimostrare al genitore (redivivo nel suocero), c10e al suo super-io, che con il matrimonio acquisterà la salute e diverrà ben presto quell'uomo ideale cui ha aspirato da sempre. ,«Madre natura [ ... ] ci 1dà a credere che dalla 1noglie ,risulterà anche un 1rinnovamento nostro» 34,

Parimenti i rapporti col cognato Guido sono caratterizzati dalla medesima volontà di autoinganno: nascondere a se stesso i sentimenti poco nobili che nutre verso "un amico" che ha desiderato di uccidere. Spesso Zeno assume nei confronti del cognato atteggiamenti protettivi e paterni, come quando si dichiara pronto a sacrificare in favore di lui una cospicua somma del suo patrimonio. L'autoinganno è così ben condotto che sinceramente il personaggio sveviano, anche a tarda età, fa fatica a riconoscere di non aver mai amato il povero Guido 35 • In realtà Zeno ha una profonda avversione ed invidia per il giovane Speier: non solo gli ha tolto Ada, superiore in bellezza alla sorella Augusta, ma è stato fortunato anche con l'amante (che del resto Zeno ha tentato di sedurre). Di fatto il protagonista non fa nulla per salvare il cognato (anche se è pronto a prestargli un quarto dell'ammontare della perdita avuta in un cattivo affare). Anzi perde tempo e, pur intuendo che Guido ha bisogno di particolare assistenza, rimanda tutto a domani 36, quando sarà troppo tardi. I suoi veri sentimenti vengono alla luce in maniera inequivocabile allorquando non va al funerale del suicida e anziché essere addolorato per la morte del "fraterno amico", è invaso da una gioia crescente per la rivalsa sull'antico avversario, gioia cui sembra partecipare la stessa natura. «Quel giorno il tempo s'era rimesso al bello. Brillava un ,magnifico sole prima;verile e, siulla campagna ancora bagnata l'aria era nitida e sana. I miei polmoni, nel movimento ohe inon mi ero concesso da vari giorni, si dilatavano. Ero tutto

" lbid., 711. 35 lbid., 1077. 36 lbid., 1057.


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Lettura "agostiniana" di un romanzo di Svevo

salute e forza. La salute non risalta che da un paragone. Mi paragonavo al povero Guido e salivo, salivo in alto con la .mia vittoria nella stessa lotta nella qu·ale egli era soggiaciuto. Tutto era salute e forza intorno a me, anche la can1pagna dall'erba giovane [ ... ]. Avevo perfettiamente dimenticato che ;venivo dal ftmerale dlel mio più intimo amico. Avevo il passo e il respiro diel vittorioso» 37 • 1

Schopenhauer, Freud e Svevo

4.

Questo sentirsi vittorioso nella lotta per la vita presuppone, come già detto, una visione darwiniana che appartiene anzitutto allo scrittore. Tuttavia Svevo, e con lui anche il suo personaggio, non sono del tutto convinti della validità di tale categoria del "lottatore" e oscillano continuamente tra l'accettazione e il rifiuto di essa. Il lottatore che vince è l'esatto contrario di come appare (anche ai suoi stessi occhi) Zeno Cosini, definito abulico e inetto. Quando alla fine del romanzo il protagonista interrompe la cura dichiarandosi guarito, lo fa perché convinto del suo radicale cambiamento: il successo negli affari (è diventato un profittatore di guerra) lo ha persuaso di essere un lottatore vincente, dandogli il senso della sua superiorità sugli altri. <(Nel ,momento in cui incassai ·quei denari mi si alla11gò il petto al sentiinento della mia foria e della mia salute» 38.

D'altra parte, però, proprio nelle ultime pagine il senso della sua superiorità nasce, invece, dalla consapevolezza della sua malattia. «E rivedendo la mia vita e anche la .mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata più bella la mia vita che 1non ·quella dei cosi1ddetti sani, coloro che picchiavano o avrebbero voJuto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti» 39.

Dal canto suo Svevo che per anni ha subito il fascino del mito del "superuomo" scopre, ,grazie alla lettura di Schopen31

38 39

lbid., 1069. lbid., 1115. lbid., 1097.


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hauer la bellezza .della malattia intesa come abulicità, inettitudine, noluntas. Il filosofo tedesco gli ha insegnato che in un mondo assurdo ("originale" direbbe Zeno) il meno malato è il malato stesso, colui che sa ridurre al minimo i suoi desideri aggressivi e acquista in umanità. Illuminante in tal senso è una lettera dello scrittore a Valerio Jahier, scritta quattro anni dopo la pubblicazione del romanzo.

«E perché voler ourare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all'umanità quello ch'essa ha di ·meglio? Io credo sicuramente che il vero -successo che mi ha dato la pace è ·consistito in questa convinzione. Noi siamo una vivente protesta contro la -ridicola concezione del superuomo come ci è stata gabellata [ ... ]. Il primo che seppe di noi è anteriore al Nietzsche: Schopenhauer, e considerò il contemplatore come un prodotto della natura, finito quanto il lottatore» 40 •

Schopenhauer fornisce, dunque, argomenti per l'elogio del1' "inetto". E' stata l'esperienza traumatica della guerra a dimostrare quanto i "sani" possano essere pericolosi per l'umanità e rivelarsi più perversi dei malati. A una tale saggezza, che in qualche modo gli ridà la pace, il personaggio arriva alla fine della vita, dopo lesperienza del primo conflitto mondiale 41 • Da qui il paradosso di certe sue affermazioni a proposito della moglie Augusta, da lui considerata il ritratto vivente della salute. «Scrivendone, -comincio a dubitare se quella salute non :aves·se avuto bisogno di cura o ·d'istruzione per guarire» 42,

Salute e malattia sono, dunque, realtà ambigue: l'acquisita guarigione, di cui Zeno parla alla fine del romanzo, è ben altra cosa del raggiungimento di quella perfezione cui egli aspira da sempre, che implicherebbe invece un radicale cambiamento in40 I. SVEVO, Lettera a Valerio Jahier da T·rieste, 27 dicembre 1927, in Carteggio con J. Joyce, E. Montale, V. Larbaud, B. Crenzieu.x, M. A. Comnéne, V. Jahier, a cura di B. Maier, Dall'Oglio, Milano 1978, 243-244. 41 In .tal 'senso La coscienza di Zeno ·si configura anche come un !romanzo di educazione sentimentale. 42 I. SVEVO, Rontanzi, cit., 816.


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teriore e la reale capacità di operare il bene (in termini cristiani si parlerebbe di metanoia). Egli è, invece, solo abile nel fare buoni affari. Alla base di un simile equivoco è sottesa una concezione per così dire "calvinistica" 43 del bene, che da sempre ha respirato nell'ambiente commerciale di Trieste e nella casa paterna. Di tale ,guarigione in fondo Zeno non è soddisfatto; è valsa soltanto a farlo sentire meno inetto, ma non migliore. «La vita attuale è inquinata alla radice»"'; e «qualunque sforzo di darci la salute è vano» 45• Dietro queste palesi contraddizioni vi è la scoperta di non essere diverso dagli altri: il male che prima credeva di vedere solo in se stesso si dilata apparendogli una realtà cosmica. Se ciò •da un lato lo rasserena, dall'altro lo incupisce in una visione di assoluto pessimismo. Quel peccato universale che Agostino e Paolo rimproveravano ugualmente a Giudei e Gentili in Svevo ha una sua versione laica: l'uomo ha violato profondamente le leggi di natura e il male domina incontrastato sul mondo. Altro che psicanalisi ci vorrebbe! Questa sfiducia verso Freud è anche dello scrittore. <(Debbo confermarle che in un caso trattato dal Freud in persona non si ebbe ·alcun risultato [ ... ]. Il Freud! ·stesso, do.po anni di cure implicanti giravi ·spese, congedò il paziente dichiarandolo inguaribile [ ... ]. Quel verdetto [ ... ] mi lasciò una impressione disgustosa» 46 .

Il romanzo è dunque l'affermazione di un male cosmico dinanzi a cui non restano che i pannicelli caldi dell'autoinganno e dell'autosuggestione. <<·Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere che la mia convinzione e ch'era una sciocchezza degna di un sognatore ipnagogocico di rvolerla curare anziohé per· suadere» 47. 43 Si fa rifer1mento alla inota interip.retazione sull'origine diel capitalismo di Max Weber. 44 I. SVEVO, op. cii., 1116. 4s L. c. 46 I. SvEvo, Lettera a Valerio Jahier, cit. 243. 1 47 I. SVEVO, Romanzi, cH:., 1114.


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Salvatore Piscione L'invito di Freud che in termini quasi agostiniani propone: «·Rientra in te stesso, nel tuo profondo, impara prima a conoscerti ed allora capirai :perché ti accade di doverti am·malare; e forse anohe potrai evitare di ·ammalarti» 48 ,

non può dunque essere accolto, perché nel profondo Svevo, lungi dal vedere la presenza di un altro «più presente a noi di noi stessi» o dal trovare la chiave per vincere i suoi complessi, scopre solo contraddizioni che la psicanalisi non sa sciogliere; anzi essa finisce per opprimere la coscienza con una colpa in più: «Il dottore ammetteva che ·sarei gu'arito [ ... ] quando [ ... ] mi sarei abituato a considerare quelle cose (il desiderio di uccidere il padre e di baciare la propria madre) come cose innocentissime .per le quali non c'era da soffrire di rrimorsi)} 49.

Queste convinzioni sono le stesse dello scrittore: egli al fine di curare una malattia psicologica nella lettera a Jahier, già citata, sconsiglia la psicanalisi e suggerisce «la cura dell'autosuggestione» (leggi autoinganno) con qualche dottore della scuola di Nancy 50 •

Riflessioni conclusive Alla luce di quanto detto trova una sua piena giustificazione la novità della struttura narrativa del romanzo, che non ha più il compito di raccontare oggettivamente, ma quello di farci percorrere i meandri tortuosi della coscienza del protagonista nel tentativo che egli fa di lenire i propri mali psichici e spirituali. Ugualmente assume una sua particolare valenza il titolo dell'opera, che indica la cattiva e tortuosa coscienza di Zeno. L'autoironia, infine, è data dal particolare atteggiamento del

48 S. FREUD, Una .difficoltà della psicanalisi, in Genammelte Werk, Internationaler Psychoanalysticher Verlag, Vienna 1924-29, XII, 3. 49 I. SVEVO, o,p. cit., 1087. 50 Scuola psichiatrica che in contrapposizione alla psicanalisi ufficiale sosteneva la pratica dell'autasuggestione e 1diell'ipnotisrno. I suoi maggiori esponenti ftrrono i n1edici fr·ancesi Bernheirn e ,LiébauH.


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protagonista che, ormai vecchio e in certo qual modo "saggio" (divenuto anche voce narrante del racconto) rivede la sua vita e ne scopre le mistificazioni. Nel fare ciò, tuttavia, egli nutre una distaccata simpatia per se stesso giovane, perché ha compreso che l'autoinganno è l'unico modo a disposizione dell'uomo perché la vita non faccia troppo male. Zeno, che come Charlot inciampa sulle cose, secondo la felice espressione del critico francese Cremieux 51 , nasce appunto da questa distanza tra la voce narrante e il personaggio del tempo del racconto, che non coincidono. Quella dell'autoinganno è comunque una soluzione che a lungo andare non può r<;ggere. Svevo è fin troppo intelligente per non saperlo. Scartata l'ipotesi religiosa, che presuppone una salvezza trascendente, ma anche l'impegno personale della conversione (dice ancora Agostino che quel Dio che ha creato l'uomo senza il suo consenso, non lo salverà senza la sua collaborazione), non resta che la menzogna sul proprio io e l'attesa di un disastro cosmico che prima o poi porrà fine a una vita assurda e immorale. «·Ci sarà un'esplosione cosmica che nessuno ·udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa e11rerà .nei cieli priva di parassiti e di ·malattie» s2.

Si tratta di una apocalissi senza l'eschaton. Svevo, approdato ad una visione della vita relativista e nichilista (per tanti versi simile a quella pirandelliana), ha comunque un merito oggettivo: guardare più a fondo (con la profondità che fu nei tempi antichi di Paolo e di Agostino) nelle contraddizioni dell'uomo moderno più di quanto non abbia fatto il positivismo (dai cui presupposti egli parte), con le sue semplicistiche e rassicuranti certezze. La scoperta delle intime contraddizioni dell'uomo accomuna Agostino e Svevo. Per il vescovo di Ippona questo è, però, solo

51 Critico f,rMLCese ohe insieme a Larbaud fece conoscere in Francia (ancor prima che divenisse fa.rnoso in Italia) Ja grandezza del nostro scrit~ tare. 52 Parole conclusive del romanzo in I. SVEVO, op. cit., 1117.


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Salvatore Piscione

un primo passo necessario nell'autoconoscenza. Fermarsi qui vuol dire disperare. Occorre per l\gostino scendere a un livello piÚ profondo per trovare la presenza misteriosa del Divino che salva. Svevo, invece, da laico si è solo fermato, per cosÏ dire, al primo livello e, scopertovi il male che abita nel cuore umano, cerca di esorcizzarlo con Io strumento dell'ironia per superare l'angoscia della disperazione.


STURZO E BASCETTA: MOTIVAZIONI E METODO DELLA LORO AZIONE SOCIALE

GIUSEPPE SCkRVAGLIERI *

Tra le figure più emblematiche del movimento cattolico sociale, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, emergono due sacerdoti siciliani: Luigi Sturzo e Vincenzo Bascetta 1• Il primo come protagonista di primo piano a livello nazionale, il secondo come rappresentante di quelli che, tecnicamente, sono chiamati "personaggi minori" 2 • Il loro accostamento, che a prima vista può apparire forzato, diventa logico e accettabile se si tien conto delle molteplici convergenze di fondo. Innanzitutto l'identità sul piano delle motivazioni del metodo della loro azione sociale che si inserisoe nell'ampio movimento vivo e interessante, attivo e dinamico originato e sostenuto dall'autorevole invito e dall'energico impulso seguito alla pubblicazione dell'enciclica Rerum

* Docente di Sociologia della .Religione nella Pontificia Università Gregoriana di Roma. 1 Fonda,m-entale a tale riguardo è l'opera di G. DE RosA, Storia del niovim,ento cattolico in f.talia, Laterza, Ba·ri 1966. Per l'uno e l'altro dei due personaggi ohe :sono trattati in questo articolo cfìr. i miei :relativi saggi: Libertà religiosa e laicità .dello Stato in Luigi Sturzo, CSFL, .Roma 1973, (<l'or·a in_. poi abbr. LR); Vincenzo Bascetta: l'azione sociale e politica, Dehoniane, Napoli 1979 (d'ora in poi abbr. VB). 2 Cfr. ·C. BoGNETTI - V. DAL PANE~ A. MoRGHEN, Proble1ni e ntetodi dell'odierna storiografia locale, 'Centro Librario, Roma 1974. 1

1


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Giuseppe Scarvaglieri

Novarum di Leone XIII 3• Essi inoltre sono associati tra loro dalla medesima dedizione alla Chiesa e dalla condivisione della stessa vocazione sacerdotale. Ulteriori motivi di somiglianza, non solo esteriori ma profondi e caratterizzanti, possono essere riscontrati nella vicinanza degli ambienti in cui sono nati e vissuti, sia purn in parte (almeno in riferimento a Sturzo). Infine non si può sottovalutare il fatto di aver affrontato gli stessi problemi e, se vogliamo, nell'aver lottato contro gli stessi "nemici" 4 • Ciò pertanto giustifica l'enunciazione del nostro tema, anche se richiede una serie di puntualizzazioni preliminari per circoscrivere e delimitare il nostro argomento. Direttamen1'e non trattiamo dell'azione politica, pur non dimenticando che specialmente Sturzo assurse a fama internazionale proprio in questo campo. Non includiamo l'attività amministrativa, pur sapendo che ambedue vi sono stati impegnati come sindaci dei rispettivi comuni e come consiglieri provinciali a Catania 5 • Anche l'azione pastorale non viene espressamente affrontata, sebbene l'uno e l'altro, in tale settore espressero, in vari modi e con creatività una dimensione importante della loro personalità e della loro missione sacerdotale 6 • 3 C-f'ir. A. GAMBASIN, Il movilnento sociale nell'Opera dei Congressi (1874"1904). Contributo per la storia del cattolicesiino sociale in Italia, Gregoriana, Roma 1958. 4 UHeriori a1pprofondimenti dei vari punti accennati ·si .pos·sono trovare nelle va:rie opere che trattano del ,movimento cattolico in Italia e ;più specificamente in Sicilia. In relazione a Sturzo cfr. F. D'A1\1BROSIO, Bibliografia sturziana, .Politica ·Popola1re, Napoli 1961, con le i•ntegrazioni che si possono riscontra~e in ·G ..DE ROSA, Luigi Sturzo, UTET, Torino 1977, 483-505. In relazione a Bascetta ofr. il mio saggio citato nella nota 1. 5 ~ofìr. AA.Vv., Sturzo nella sto.ria d'Italia, 2 voll., Ed. <li S.toria e Letteratura, Roma 1974. 6 1Cfìr. P. STELLA, Luigi Sturzo prete, Rogate, Roma 1979. Of;r. anche M. PENNISI, Fede e impegno politico in Luigi Sturzo, Città Nuov·a, .Roma 1982. Truttavia è bene sottolineare che questa esiclusione inon ·significa che tali altri aspetti non ·debbono es,sere tenuti ugualmente presenti, ma \Sono solamente accennati, in quanto essi sono costantemente inte~agenti con l'azione propriamente sociale.


L'azione sociale in Sturzo e Bascetta

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Di tale azione inoltre non trattiamo lo sviluppo lungo tutto l'arco della loro vita, ma restringiamo la nostra attenzione a quello più classico e fondamentale sia del movimento cattolico che dei due nostri protagonisti. Questo periodo è quello che ha fatto seguito alla pubblicazione dell'enciclica Rerum Novarum e che si protrae fino alla fondazione del partito popolare italiano per Sturzo e alla affermazione del fascismo per Bascetta. Con la fondazione del partito popolare italiano per Sturzo il piano di intervento e il tipo di lavoro sociale acquistano altre dimensioni e altra caratterizzazione. Per Bascetta, sul piano locale, l'affermazione del fascismo comportò la soppressione di tutte le sue iniziative che, insieme alle altre degli oppositori, facevano ombra o si ponevano in concorrenza con il regime 7. Così possiamo dedicarci di più al periodo in cui la Chiesa fa propri i problemi del mondo contemporaneo di allora e attua un grande sforzo per dare una risposta concreta alle interpellanze della storia. Tale periodo, che va dalla fine del secolo scorso all'inizio del presente, rappresenta una svolta storica nell'evoluzione della civiltà contemporanea in quanto vi si riscontrano cambiamenti sociali, culturali, economici, scien~ tifici e religiosi straordinari. Nella Chiesa inoltre si verifica una grande trasformazione della concezione che svilupperà sempre pm, circa la sua funzione in rapporto alla società. Dei problemi della convivenza umana sottolineerà con crescente interesse i problemi relativi al mondo del lavoro e al tema della giustizia sociale. In questo senso l'azione sociale del movimento cattolico privilegiava come destinatari preferiti quegli uomini e quelle classi sociali che, per vari motivi e circostanze, si trovavano in situazione disagiata, debole e spesso oppresse da ingiustizie e varie forme di sfruttamento. L'obiettivo principale pertanto era quello di promuovere singoli individui e classi sociali verso condizioni di vita migliori e più rispondenti alla dignità della persona umana 8 . ' Cfr. VB, 101-123. G. DE iROSA, Storia del movimento.. ., cit., passim. P. SCOPPOLA, Co~ scienza religiosa e democrazia nell'Italia conte1nporanea, II Mulino, Bologna 1966. 8


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Un'ultima notazione preliminare vogliamo fare a riguardo del nostro tipo di approccio. Esso è propriamente sociologico applicato a fatti storici 9• Con ciò vogliamo sottolineare che siamo direttamente interessati a cogliere l'entità e la portata della azione sociale nella sua struttura di fondo e nella sua dinamica ambientale e contingente. Ambedue tali aspetti, quello strutturale e quello dinamico, sono essenziali per capire il significato e l'importanza della presenza e funzione di personaggi o gruppi che operano a diversi livelli e nei diversi contesti socio-culturali '°. Tuttavia una corretta impostazione non può non tener conto di un'adeguata collocazione entro le coordinate spazio - temporali in cui la loro azione si inserisce. Questa infatti non si pott'ebbe capire se non entro il proprio e specifico scenario storico e socio - culturale. Da esso i protagonisti mutuano istanze e orientamenti, subiscono influssi e condizionamenti, ma nello stesso tempo su di esso agiscono imprimendovi un proprio segno e dirottando, a volte, gli eventi in altra .direzione u. Articoleremo pertanto il presente intervento in due grandi sezioni. In un primo momento ci soffermeremo sui tratti più importanti di questo periodo storico, e successivamente passeremo alla analisi della struttura dell'azione sociale individuandone il contenuto, osservandone le ragioni o motivazioni che muovono i nostri protagonisti e mettendo in risalto i principali aspetti del loro metodo.

9 Cfr. M. Tino 1958.

WEBER,

Il ntetodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, To-

10 -Nella nostira esposizione pertanto vogliamo proporre un concetto comp-0sito di ·azione sociale. Da una parte facciamo iriferimento all'aspetto psico-sociologico di base che caratterizza ogni condotta di un soggetto che opera entro 1determi.n.a:te coordinate culturali, dall'altra, tra queste "azioni", Jddstintguia1mo e sottolineamo quelle che hanno contenuto "promozionale" e comunque relativo ai problemi della giustizia !Sociale. u Cfr. P. BERGER-T. LucKMANN, La realtà con1e costruzione sociale, 1

1

trad. it., Il Mulino, Bologna 1973, 105 ss.


L'azionte sociale in Sturzo e Bascetta

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!. LA CORNICE STORICA

Accennando a questo periodo storico, abbiamo detto che in esso si è verificata una grande svolta storica. Consideriamo infatti la stessa prima guerra mondiale strettamente connessa e conseguente ai grandi cambiamenti che man mano si andavano verificando sul piano sociale, culturale, economico, scientifico e religioso. Tali aggettivi ci offrono i criteri per cogliere gli aspetti principali di questo scenario storico 12 • Possiamo pertanto individuare le seguenti dimensioni: la rivoluzione industriale e lo sviluppo del movimento operaio come sfondo generale, i postumi dell'unificazione politica dell'Italia, il movimento sociale dei cattolici, e infine la caratterizzazione generale della Sicilia in tale contesto.

La rivoluzione industriale e lo sviluppo del movimento operaio

1.

La rivoluzione industriale è un evento meno circoscritto nel tempo, ma non meno incisivo di altre grandi rivoluzioni socio-politiche di cui parlano i libri di storia. Essa sostanzialmente indica l'introduzione di nuove tecnologie nel campo della produzione con conseguenze su tutti gli aspetti della vita sociale. La tecnologia infatti influisce sul singolo, sulla sua capacità e creatività lavorativa. Da una parte potenzia le energie umane, dall'altra però le emargina e le rende superflue. Incide sulla famiglia, sulla sua unità, concezione, funzioni e funzionamento, modalità di sviluppo. Incide sulla società offrendo nuovo sviluppo, ma anche condizionandone l'assetto e spesso l'attuazione di giusti rapporti. La rivoluzione industriale inoltre ha una grande ripercussione sulla organizzazione sociale ed economica. Infatti, accelerando i tempi di produzione di alcuni manufatti, crea degli squilibri nei confronti di altri aspetti della vita economica, specie in riferimento all'agricoltura, legata a ritmi biologici 12

Oltre alle opere generali citate nelJe .note pirecedenti ofr. C. A. JEMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, UTET, Torino 1963.


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ed ecologici non contraibili e quindi necessariamente estensivi. Ciò è vero in qualche modo anche oggi, ma lo era ancor più circa cento anni fa 13 • Inizia in quel tempo, pertanto, il grande esodo .dalla campagna e la concentrazione di masse operaie soprannumerarie attorno alle città industriali. Così la rivoluzione industriale trascina con sé !'esplosione demografica e la grande urbanizzazione che favorisce e potenzia il movimento operaio, ormai alle prese con tutta una serie di problemi di non facile soluzione 14 • Per quanto riguarda più precisamente l'organizzazione del lavoro, sia industriale che agricolo, appare ormai irreversibile il processo di accumulazione capitalistica da cui dipendono le grandi strutture manifatturiere, anche se non sono scomparse del tutto né l'artigianato né la piccola proprietà contadina e se permangono vaste aree che si reggono ancora su un'economia pre-industriale 15 • L'organizzazione politica, e ancor più quella sindacale, sembravano caratterizzarsi sempre più in senso marxista. I tentativi, ripetuti e diversi (sia cronologicamente che dal punto di vista ideologico-organizzativo), di promuovere la tutela degli interessi della classe operaia e contadina a livello politico hanno dato luogo al sorgere del partito socialista in quasi tutti i Paesi industrializzati. Anche in Italia era nato nel 1892 il partito dei lavoratori italiani, che un anno dopo prenderà il nome di partito socialista. Esso impostava la lotta sociale sulla base dell'ideologia marxista. Specie l'ala massimalista era pro· tesa verso la rivoluzione sociale e a tal fine orientava le sue lotte, a volte anche violente 16 • 13

·Cfr. R. AUBERT, Pour un•e théologie de l'itge industrie!, ·Du 1Cenf, Paris 1971; G. FRIEDA1ANN ~ P. NAVILLE, Trattato di sociologia del lavoro, itrad. it., 2 voli., Comunità, Milano 1963. 14 .Cfir. O. GROSSI~ G. ROSOLI, Il pane duro. Ele1nenti per una storia della emigrazione italiana di massa (1861-1915), Savelli, Roma 1976. 15 1Cfr. G. BIANCHI -A. CADIOLI, Storia del 1novin1ento operaio italiano, Borla, Torino 1978. 16 G. TREVISANI, Storia del nzovimento operaio italiano, .Avanti, Roma 1958.


L'azione sociale in Sturzo e Bascetta 2.

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I postumi del risorgimento

L'Italia alla fine del secolo scorso non era guarita dalle piaghe pro.dotte .dal processo di unificazione politica, anzi, per alcuni versi le aveva aggravate. Ciò emergeva chiaramente dalle diverse inchieste nazionali sulle aree depresse che a più riprese erano state progettate dal governo centrale. Fra l'altro erano scomparse le figure carismatiche che in qualche modo avevano dato una carica ideale alle vicende risorgimentali. Restano però i problemi del sottosviluppo del sud, della discriminazione nella direzione degli investimenti, dell'incapacità del governo centrale di ristrutturare l'economia e lo sviluppo industriale ripartendolo più equamente e quindi con più senso di giustizia in tutto il Paese. Mentre nel resto d'Europa si verificava la grande trasformazione verso un'economia industriale moderna, in Italia rimanevano, specie nel sud, l'organizzazione terriera medievale, aggravata dalla crisi ormai crescente dell'agricoltura 17 • A tutto questo si aggiungeva la lotta religiosa. La minoranza aristocratica o comunque borghese, di indirizzo liberale e razionalista, massone e anticlericale, non nascondeva affatto propositi e progetti di sradicamento del senso religioso. La stessa invasione dello Stato pontificio, seppure significasse il coronamento del progetto politico di unità nazionale, era considerata anche nell'ottica della lotta religiosa"· Basta pensare ai discorsi dei vari esponenti dei governi dell'Italia unita e di altri personaggi del Risorgimento, non escluso lo stesso Garibaldi. Tale avversione religiosa si manifestava con satire, caricature, insulti e oltraggi alla Chiesa e a suoi pastori in occasione delle celebrazioni del 20 settembre degli anni successivi al 1870, anno dell'occupazione di Roma e della fine dello Stato pontificio 19 • A ciò si aggiungevano altri provvedimenti

17 Cfr. N. VALERI, La lotta politica in Italia dall'unità al 1925, Vallardi, Firenze 1948; G. DE RosA, Storia ·del n'lovimento ..., cit. 1 344 e ss. 18 Cfr. LR, 27-30. 19 Cfr. P. SCOPPOLA, op. cit., 15-46; G. DE ROSA, Storia del movimento .. ., cit., 95-120; 1G. 1CANDELORO, Il ntovimento cattolico in Italia, Ed. Riuniti, Roma 1953, 75·115.


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governativi contro gli ordini religiosi, il patrimonio ecclesiastico, l'insegnamento della religione nelle scuole 20 • I cattolici, che pure costituivano la maggioranza, si erano autoemarginati. Il non expedit, che nel breve termine poteva essere uno strumento valido, si trasformava in un'arma a doppio taglio. Specie il suo perdurare nel tempo aveva apportato più danni che vantaggi. Di fronte alla situazione di fatto gli orientamenti si andavano articolando fino a creare una pluralità di correnti, tra cui le due più importanti erano gli intransigenti e i transigenti. I primi sottolineavano l'ingiustizia etica e politica dell'occupazione dello Stato pontificio (ed anche degli altri Stati); pertanto propugnavano il riassetto politico con il ritorno dei legittimi sovrani (legittimismo), anche con l'aiuto di altre potenze europee. Inoltre pensavano che la precarietà del nuovo Regno italiano unificato era tale da far prevedere come imminente una catastrofe generale. Reagivano pertanto in modo violento (seppure passivo) e immobilista, attestandosi nella loro concezione e visione apocalittica della situazione. I secondi invece, pur non condividendo modalità e intenzioni .dell'unificazione, non valutavano negativamente il fatto politico in sé, ma si proponevano di poter agire all'interno del nuovo Stato in modo più costruttivo, fino al tentativo della costituzione di un partito che si denominava "cattolici nazionali". Benché il tentativo in sé non avesse avuto successo, tuttavia esso dimostra il diffondersi di un nuovo atteggiamento 21 • Funzione di mediazione, almeno fino ad un certo periodo e sbocco effettivamente operativo avevano avuto le varie forze attive tra i cattolici che convergevano nell'Opera dei Congressi. 20

V. DEL GruorcE, La questione r.on1ana e i rapporti tra Stato e Chiesa, Edizioni Dell'Ateneo, Roma 1948; G. SPADOLINI, Il Tevere più largo, Morano, Napoli 1967; C. A. JEMOLD, op. cii., 54·85; S. BELLIA, Chiesa e Stato nel pensiero di L. Sturzo, SEI, Torino 1956. I11nportantis-simi a questo rigua:11cto anche le ;riviste e i giorinali del tempo che triporta.no la cronaca di itali manifestazioni; vedi G. DE RosA (a cura .di), La Croce di Costantino, Ed. di Storia e Letteratura, Ro1n,a 1958, passim. 21 Cfìr..D. SEcco SuARDO, Da Leone XIII a Pio X, Cinque Lune, Roma 1967; Io., I Cattolici intransigenti, Morcelliana, Brescia 1962; :P. SCOPPOLA, Dal Neo~g.uelfismo1 alla Den1ocrazia Cristiana, Studiurn, Roma 1957, 40.


L'azione sociale in Sturzo e Bascetta

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Ad essa facevano capo i maggiori rappresentanti del pensiero e della azione dei cattolici. Essa seppure benemerita non riesce a far superare le divisioni teoriche interne. Ciò, unitamente ad altre ragioni, portò allo scioglimento dell'Opera stessa da cui derivò una nuova strategia: l'impegno in senso più sociale e l'ideazione di una strada nuova verso una nuova presenza dei cattolici 22 •

Il movimento sociale dei cattolici

3.

La posizione "reattiva" e di fatto sterile sul piano politico si arricchisce di caratterizzazioni più positive sul piano propriamente sociale. Non solo, ma si verifica anche un'evoluzione interna alla stessa concezione di azione sociale con il superamento dell'impostazione sostanzialmente assistenziale e caritativa verso un'impostazione più promozionale e più basata sulla nuova visione della giustizia. Si approfondiscono i problemi dei rapporti sociali e di giustizia ricavandone conclusioni più esplicite e esigenti nella regolazione dei contratti di lavoro, nell'individuazione degli altri diritti umani e sociali 23 • Questo filone di crescita e maturazione tuttavia non va disgiunto da quello derivante dalla pressione esterna dovuta alla lotta antireligiosa dei socialisti e alla loro concorrenza sul piano sociale. L'azione degli aderenti all'emergente partito socialista sembrava pili pericolosa perché, a differenza della lotta promossa dalla classe politica (elitistica e sganciata da un vero impegno sociale), costituiva una forza di trasformazione in quanto partiva dalla base e si appoggiava a un impegno sociale costante 24 •

22

A. GAMBASIN, op. cit., 495. Cfr. in rpiù punti i nos·tri due saggi :su StUJrzo e Bascetta già più volte cita·ti, .come anche le v·arie opere e studi 1sW ·movimento cattolico in Sicilia riportati in M. PENNISI, .op. ,cit., 502-504. ,C·fìr. anahe AA.VV., Sturzo nella storia d'Italia, 1cit.; S. ·BELLIA, I cat,folici nello Stato democratico, SEI, Catania 1964. 24 A. GAMBASIN, op. cit., G. DE RosA, Storia del movim·ento... , ci.t., passim. 23


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Sia nel periodo in cui tutta l'azione e l'impegno verso il Paese, da parte dei cattolici, si svolgeva all'interno dell'Opera dei Congressi, sia nel periodo succeduto al suo scioglimento, il movimento sociale si estrinseca in molteplici forme di attività. Pertanto si tendeva alla crescita della coscienza sociale e quindi dei diritti personali ed economici. Si prospettava una diversa concezione dei rapporti di lavoro sia in relazione al mondo industriale che in relazione al mondo agricolo tradizionale. Nell'un campo o nell'altro si puntava conseguentemente al superamento della situazione di sfruttamento 25 • Tale obiettivo aveva voluto dire per i cattolici riconoscere l'importanza delle strutture associative dei lavoratori che già erano state riconosciute dallo stesso pontefice Leone XIII nella Reriun Novarunt. La distinzione tra "associazioni" di soli lavoratori o associazioni miste rimaneva una grave questione interna, ma di fatto esistevano le une e le altre sia in Europa che in America, dove il card. Gibbons aveva validamente sostenuto associazioni di lavoratori con finalità rivendicative anche se non rivoluzionarie 26 • Altre iniziative importanti, oltre alle varie forme rivendicative, consistevano nella costituzione di cooperative, casse di risparmi e prestiti, casse rurali per la creazione della piccola proprietà. Ovviamente vi erano connesse anche tutta una serie di prestazioni secondarie riguardanti le infrastrutture, fino addirittura opere di bonifica specie nel settore contadino 27 •

Il contesto siciliano

4.

In misura più o meno rilevanti tutte queste componenti hanno proprie ripercussioni sulla Sicilia in genere e sulla Sicilia orientale in particolare. Era inevitabile che vi si ripercuotessero le conseguenze del 25

F. FoNzI, I Cattolici e la società italiana dopo l'unità, Studium, Ro=

ma 1953, 9·21. 26

Cf.r. T. GHIRELLI, La liberazione del lavoro nelle encicliche, PuL,

Roma 1980, 9-10. 21 Ck VB, 86-100.


L'azione sociale in Sturzo e Bascetta

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prooesso di unificazione. Guardando in retrospettiva quei fatti va notata una grande sfasatura tra unificazione politica e unificazione socio - culturale. Certo non si poteva pretendere un automatismo i cui effetti fossero immediati e ottimali, ma in realtà si verificarono anche controspinte in senso inverso, specie per le contraddizioni dei provvedimenti presi: estensione delle leggi piemontesi a tutto il territorio nazionale, la mancata concessione dell'autonomia promessa, la presenza di funzionari amministrativi piemontesi, aggravi fiscali, coscrizione militare obbligatoria, inconcepibile svuotamento delle casse .del Regno di Napoli, ecc ... Emblematico infine è stato il fatto del dirottamento al nord delle provvidenze e degli investimenti 28 • Accanto a questi fattori di scompenso nella relazione con il nord Italia, in Sicilia si subivano gli effetti di un feudalesimo ancora forte non solo sul piano amministrativo, ma anche sul piano della cosiddetta mentalità manageriale. Ciò portava i proprietari terrieri ad una politica economica suicida ìe cui conseguenze erano normalmente sofferte dalla povera gente, costretta a sempre n1aggiori restrizioni 29 • Sul piano antropologico culturale una tale situazione era caratterizzata da forte individualismo e da notevole sfiducia negli altri. Tale orientamento di fondo minava alla base ogni forma di collaborazione e di cooperazione sia sul piano politico che su quello economico, sia a livello macro - sociale che micro sociale. Il perdurare del bisogno nelle masse, inoltre, portava queste ad un immediatismo esagerato; non si aveva in prospettiva il futuro, ma neppure si poteva averlo. A ciò si aggiungevano le varie forme di corruzione, la strumentalizzazione clientelare, la sfiducia negli organi del potere costituito e la presenza di forme di governo sotterraneo o di prepotenza mafiosa 30 • D. MAsSÈ, Il caso di coscienza del Ris.orginiento italiano, .Paoline, Alba 1946, 45-51; cfìr. anohe R ..CoLAPIETRA, L'alie:nazione dei beni ecclesiastici nella Sicilia settentrionale-orientale dopo l'unità d 1/talia, in Rivista storica siciliana 2 (1974) 170 e 'S's. 2g ·Ofr. F..RAFFIOTTA, Storia della Sicilia postunificazione, III: La Sicilia nel prhno ventennio del secolo XX, Palumbo, Palermo 1959, 70,85. 30 Cfr. 'G. ScARVIGLIERI, Tratti s,acio-culturali della Sicilia nord-orientale, in Esperienze Sociali 35 (1977) 58.69. 28


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Anche sul piano religioso la situazione era molto precaria. La vita religiosa in genere era carente. In riferimento alla fede e all'approfondimento di essa era labile la presa di coscienza del messaggio evangelico e delle sue implicazioni operative. In relazione alla pratica religiosa si registravano livelli più alti degli attuali, ma non certamente ottimali, specie da parte degli uomini. L'accostarsi ai sacramenti era spesso formale e folkloristico. Notevole la credenza e le pratiche superstiziose. Il senso comunitario di fatto registrava un certo livello, ma spesso era fazioso e campanilistico, comunque 'legato alla identificazione con la propria comunità locale - culturale più che religiosa. Solo in pochi casi tuttavia esso era da intendere in senso di scelta personale e coscienza di corresponsabilità e partecipazione. La morale normalmente tradizionale aveva parecchie opzioni cristiane ben salde, ma altre erano corrotte dalla mediazione socio - culturale e in alcuni casi erano invalsi principi e comportamenti difformi dall'insegnamento della Chiesa (delitto d'onore, obbligo del perdono, senso della giustizia, doppia morale sessuale ... ) 31 • Situazione ambivalente si riscontrava nella qualità esistenziaie del clero, nella sua preparazione e formazione e così anche nell'esplicazione dello zelo apostolico. Lo stesso Sturzo suggerisce diverse riflessioni nelle sue analisi su questo punto. Accanto a coloro che prendevano coscienza dei nuovi bisogni spirituali e materiali della gente c'erano altri occupati e preoccupati delle loro faccende familiari, continuatori di forme di servilismo verso gli aristocratici di cui erano o cappellani o amici 32 • Le nuove istanze sul piano della speranza pastorale e dell'impegno sociale ritardavano ad affermarsi. L'Opera dei Congressi e la nuova mentalità facevano fatica a prender radici e a .diffondersi. Certo non erano pochi i sacerdoti impegnati, tanto che era invalso il convincimento che ogni paese avesse 31 lbid.; afr. anche i numerosi articoli di 'L. STURZO, in La Croce di Costantino, cH. 32 ·Cf:r. G. DE RosA, Vescovi popolo e 1nagia nel sud, Guida, Napoli 1971; S. B. RANDAzzo, Sicilianità, OFTES, Palermo 1985, 163-185.


L'azione sociale in Sturzo e Bascetta

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«il suo Sturzo»; tuttavia, in proporzione erano ancora una mi· noranza sebbene più aperta, dinamica, energica e tale da bilanciare la maggioranza stessa, accomodata e accomandante. Già al tempo stesso dei moti dei fasci siciliani in Sicilia era stata data vita a varie forme di intervento tipicamente assistenziali, ma anche ad altre sostanzialmente sociali 33 • In tale azione si distinguevano tra i vescovi, specialmente, Dusmet a Catania 34 , Gerbino a Caltagirone 35, Guttadauro a Caltanissetta 36 , Blandini a Noto 37 ed altri 38 • Per quanto riguarda i sacerdoti la lista, fortunatamente, è abbastanza lunga 39 • Sono pure molti i laici preparati o comunque in grado di dare un aiuto effettivo sia sul fronte dell'azione sociale che su quello politico 40 •

Il. L'AZIONE SOCIALE

Il complesso scenario appena tratteggiato presenta tutta una serie .di fattori che spiegano la genesi e lo sviluppo dell'attività sociale di un qualsiasi operatore sociale. Ovviamente stanno alla base anche dell'impegno di Sturzo e Bascetta, ma non

33 G. ·RENDA, Socialisti e cattolici in Sicilia, Sciascia, Caltanissetta 1972, 9 e -ss.; Io., Il 111ovùnento contadino nella società siciliana. Ed. :Sicilia al lavoro, Palermo 1976, 106. La .tesi .sostenuta dal Renda, tuttavia, :va vista criticamente; cfr. anche A. SINDONI, Studi sul 1novi1nento cattolico in Sicilia, in AA.Vv., Il n1ovbnento cattolico e la società italiana in cento anni di storia, Ed. ,di Storia e Letteratura, 1Ron1a 1976, 169-182. 34 T. LEcc1sorr1, Il Ca11d. G. B. Dus1net, OVE, Catania 1962; cfr. anche G. DI 'FAZIO, Dusni,et a Catania (1867-1894): Chiesa e movimento cattolico, in Archivio Storico per la Si-cilia Orientale 73 (1977) 89-138. 35 Cfr. M. PENNISI, op. cit., 56-68. 36 Cf,r. C. NARo, Il n1ovi1nento catitolico a Caltanis·setta (1893-1919), Edizioni del seminario, Caltanissetta 1977, 22-40. 37 L. CANNATA, La vita e le opere di 1nDns. Giovanni Blandi.ni, CsP, Modica 1913. 38 A. MoNTICONE, I vescovi 1neridionali: 1861-1878, in AA.Vv., Chiesa e religiosità in Italia dopo l'unità, Vita e ,Pensiero, Milano 1973, 62-71. " Cfr. VB, 39. 40 lbid., 40.


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bastano per farne cogliere la struttura specifica e per prospettarne l'identità e le peculiarità. In ordine a tale obiettivo sarà necessario vedere come tali elementi oggettivi vengano metabolizzati e quindi combinati con gli altri elementi personali, se non addirittura caratteriali, e, comunque, legati a quelle istanze interiori proprie di ogni persona (motivazioni) e ai procedimenti operativi che ne conseguono (metodo) 41 • La spiegazione quindi dell'identità dell'azione sociale sia di Sturzo che di Bascetta va ricercata nella convergenza tra pressioni ambientali e storiche (aspetto sociologico) e istanze interiori ed esigenze operative {aspetto psicologico) 42 • L'azione quindi risente .degli influssi ambientali e risponde alle pressioni esterne, ma si modula in base ai tratti della personalità, della formazione delle scelte esistenziali e valoriali degli operatori. In questa seconda parte, pertanto, vogliamo vedere appunto due componenti fondamentali nella specificazione della azione sociale che è data dalle motivazioni che la giustificano o la dinamizzano e dal metodo che la concretizza e la traduce in pratica 43 .

I.

Le motivazioni

Le motivazioni sono la risultante di stimoli ambientali (o bisogni) e istanze interiori dell'operatore. I primi rappresentano l'occasione o comunque l'elemento materiale, le seconde sono invece le componenti ideali e finalistiche che, in fondo, daranno uno specifico significato e una specifica portata all'azione. Non possiamo in questo contesto soffermarci sulla esposizione teorica circa la natura e la dinamica delle motivazioni. Ci limitiamo a cogliere le principali ispirazioni che sono sottese alle loro scelte nei vari settori di presenza e di intervento,

41 ,G. W. ALLPORT, Psicologia .della personalità, ,traci. it., PAs - Verlag, Zi.1rioh 1969, 147-159. 4z P. F. SECORD -C. W. BACKMAN, Psicologia sociale, trad. it., Il Mulino, Bologna 1972, 455-485. 43 Ibid., 900-912.


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adducendo testimonianze del loro pensiero ed esemplicazioni concrete del loro agire 44 • Non possiamo però non sottolineare la molteplicità di tali motivazioni e la interdipendenza e gerarchizzazione che le caratterizzano. Peraltro la molteplicità dimostra la polivalenza e la ricchezza della loro personalità come piattaforma di fondo ma anche l'apertura d'angolo della loro sensibilità alla vita sociale del tempo. Invece la interdipendenza e la gerarchizzazione tra le st·esse motivazioni sottolinea la complessità della situazione personale e storica in cui essi vivono e, nello stesso tempo, la perspicacia e la forza ideale che li spinge. Ciò premesso, ci sembra che le motivazioni principali si possano così enumerare: motivazione evangelica e pastorale, motivazione ecclesiale, motivazione filantropica e sociale 45 • Queste motivazioni sono già abbastanza bene qualificate dai vari aggettivi. Ma si possono ancora meglio specificare aggiungendo qualche ulteriore dettaglio. 1.1. L'ispirazione evangelica

Sul piano motivazionale il riferimento al vangelo è quello che radica l'azione in una concezione cristiana della vita. Questa orienta tutti quanti i rapporti sociali caratterizzandoli con la dimensione della carità. E' quindi ovvio che dei sacerdoti trovino nell'ispirazione evangelica il leit-motiv della loro azione a favore di altri fratelli. Tale ispirazione li orienta ad una mo-

« Oltre alle note sopra riportate c.fr. anche: D. KRECH - R. S. CRUTCH E. L. BALLACHEY, Individua{ in society, Mc G•raw - Hill Book Company, New York 1962, 68:102. FIELD -

45 Ovviamente si nota una certa sche1natizzazione e semplificazione, ma cjò è indispensabile se ·si vuol ·tracciare la fi_,sionomia dei due nosbri protagonisti in modo .parallelo ed anche rapiu::fo. Questa visione d'insieme peraltro ha una certa origin·alità JVistio che i vari ·saggi su Sturzo e .Bascetta spesso sottolineano ora l'uno ora l'altro aspetto :soltanto. In relazione alle citazioni ;per tutta l'esposizione che segue cfr. i miei saggi: Libertà reli· giosa .. ., cit. e Vincenz,o Bascetta ... , cit. Aggiungeremo altri riferimenti rpiù specifici solo per Sturzo, dato che per Bascetta mancano aHrre pubblicazioni.


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tivazione altamente ideale e disinteressata, ma anche capace di sprigionare energie, di far superare ostacoli e traversie, di far pagare un costo, spesso rilevante, per il conseguimento degli obiettivi concreti. Sono molte le testimonianze orali e scritte riguardanti Sturzo e Bascetta che fanno riferimento all'ispirazione evangelica della loro azione. Basta sfogliare la grande produzione scritta di Sturzo per rendersene conto. Sia negli articoli che nei saggi, come anche nelle opere poetiche, è costantemente esplicito il riferimento all'insegnamento di Cristo, alla carica ideale che promana dal messaggio di salvezza annunciato nella buona novella 46 • Fin dai primissimi scritti emerge Io slancio apostolico di Sturzo e il riferimento costante a come dovesse essere impregnata la vita cristiana di tensioni ideali procedenti dal principio della carità cristiana come regola fondamentale dei rapporti sociali. Centrale è anche il riferimento alla visione storico-religiosa basata sulla paternità di Dio e quindi sulla sua provvidenza che dà forza e valore a tutta la vita, anche nei periodi più difficili e nel momento della sofferenza e della croce 47 • L'instaurare omnia in Christo diventa non tanto uno slogan, ma la spinta ideale verso un nuovo ordine sociale, che successivamente sarà sviluppato nella Sociologia del Soprannaturale. «Noi miriamo - affermava nel 1902 in un discorso ai seminaristi di Messina - a far rifiorire nel popolo il principio religioso. Da un secolo il liberalismo ed oggi il socialismo hanno staccato il popolo da Cristo, riducendo la religione ad un puro fatto interno» 48 • Ne deriva pertanto il grido «fuori il prete dalle sacrestie», che esprime il nuovo imperativo categorico dell'azione sociale che sia anche azione pastorale 49 • 10'fr. M. PENNISI, op. cit.; così anohe sono interessanti le varie biograSturzo. ,Più in particola1re vedi i saggi di P. STELLA, Don Luigi Sturzo, il prete di Caltagirone, Catania 1971; Io., Luigi Sturzo prete, cit. 47 F. PIVA-F. MALGERI, Vita di Luigi Sturzo, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1972, 82; cfr. anche M. PENNISI, Croce e ùnpegno politico in Luigi Sturzo, in AA.Vv., La Sapienza della Croce oggi, III, Loc, Torlino 1977, 327-337. 48 L, SruRzo, Giornalisn10 ed educazione nei se1ninari, in Scritti ine,diti, I, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1974-76, 217-233. 49 Lo slogan era diventato comune in quel te1npo e aveva sipinto molti <Ui

fie

di


L'azione sociale in Sturzo e Bascetta

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Per Bascetta si può notare più l'atteggiamento esistenziale che una vera e propria documentazione scritta. Tuttavia l'ispirazione di fondo è la medesima, come dimostra la presa di posizione di fronte ad atti di intolleranza contro la religione e la Chiesa. Ecco come il Bollettino Ecclesiastico dell'arcidiocesi di Catania commenta l'episodio avvenuto nel 1906: «Per la reazione alla manifestazione antireligiosa dei massoni, un plauso va dato al clero e in special modo una sincera lode al giovane sacerdote Don V. Bascetta, il quale avendo dato un forte impulso all'associazione della gioventù cattolica democratica, ha saputo formare un drappello di baldi combattenti nel vasto campo dell'azione popolare [ ... ] " 50 • Uguale orientamento si rileva da alcune frasi dell'opuscolo polemico contro il ministro evangelico Fasulo che sosteneva solo una presenza misticheggiante del clero nel servizio pastorale. Bascetta gli contrappone una visione più aperta che comprende pure l'impegno pastorale "· 1.2. L'istanza ecclesiale La motivazione ecclesiale completa e rende pm specifica e sociale la motivazione evangelica e la estende all'ambito del conflitto allora in svolgimento tra religione e concezione laica della vita, tra Chiesa e Stato, tra Chiesa e organizzazioni sia liberal-massoniche che socialiste. Infatti la Chiesa viene a trovarsi nella situazione di dover difendere i fedeli dalla diffusione delle idee libertarie e antireligiose di tali orientamenti ideologici 52 • Ciò giustifica e spiega anche l'impegno per la difesa della libertà religiosa e dell'opposizione alla concezione materialistica della vita portata avanti dai socialisti del tempo, e la richiesacerdoti all'azione ,sociale. A tale proposito F. RENDA in Luigi Sturzo e il rnovin1ento contadino in Sicilia nei prin1i a.nni del secolo, parla di "preti sociali''. Cfr. AA.Vv., Sturzo nella storia ,d'Italia, cit., II, 463. so Bollettino Ecclesias.tico della arcidiocesi di Catania 10 (1906) n. 19-20, 238-239; ofr. anche Il Risveglio 2 (1906) n. 40. s1 10fr. V. BASCETTA, Intorno alla conferenza del nzinistro evangelico G. Fasulo: Clericalisnia e Religione, Tip. Sociale, Bronte 1911. s2 Ofr. G. ,DE RosA, Storia del 111ovimento ..., cit.


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sta della libertà dell'insegnamento religioso nelle scuole, ecc ... Vi è inclusa, inoltI'e, la prospettiva di fondo di come regolare i rapporti tra fede e scienza, tra idee moderne e continuità cristiana nella incarnazione, ma anche trasformazione delle realtà temporali nell'ambito di una concezione spiritualistica cristiana 53 • Questo tipo di motivazione si incentra sul concetto di fedeltà e impegno verso i doveri religiosi e morali che derivano dalla appartenenza alla Chiesa, sia degli organizzatori che dei destinatari dell'azione sociale. Le iniziative sociali servono a favorire le esigenze di mantenimento della fede, del suo potenziamento tramite l'approfondimento della dottrina cristiana. Si propongono la fedeltà alla pratica religiosa e alla propria comunità ecclesiale. Gli operatori sociali sono anche dei sacerdoti preoccupati del livello qualitativo di vita religiosa degli aderenti alle opere sociali, sul piano della fede, della pratica religiosa, dell'impostazione etica 54 • Sia Sturzo che Bascetta insistono molto sulla connessione tra iniziative sociali e motivazione ecclesiale. Le iniziative devono servire alla crescita e allo sviluppo del senso di appartenenza e di fedeltà alla Chiesa, come strumento e occasione di progresso civile e umano. Da questa convinzione deriva la loro concezione circa la funzione del clero nella società e nella Chiesa 55 .

53 E·mblematica a questo rigua.rdo è la concezione di Sturzo :secondo cui l'approccio sociologico non può non sboccare in una Sociologia del Soprannaturale (1943). Cfr. anche V. FILIPPONE THAULERO, Sociologia ed esperienza religiosa e politica in Luigi Sturzo, in Luigi Sturzo e la storia d'Italia, cit., Il, 221. 54 Anche questa .motivazione è centrale nei due nostri p.rotagonis ti, con1e giustamente viene :rilevato da tutti i saggi e gli scritti iehe ne mettono a fuoco la coer:enza vocazionale. ss l1nter:essante è a questo rigu.arrdo la lotta contro il carattere neurtro deHe casse prOtITioS\Se dal Luzzatti e dal Wallomborg. Tale atteggiamento s.la alla baise della ".grande controversia" sulla confessionalità ,delle iniziative sociali. Essa facilmente viene vinta dalla cor:rente che propugna la confessionalità delle cooperative e delle ca&se rurali e a,rtigiane 1 come proposte dal Ceruti e avallate dall'O.pera dei Congressi; cfr. VB, 55-72; 1


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Interessante a questo proposito l'empito poetico espresso da Sturzo nella poesia composta nel giugno del 1898 per l'ordinazione sacerdotale di Giuseppe Montemagno (uno dei snoi primi collaboratori). «Pèra colui, che unto di Dio, la voce Alto non levi, e fuor dai chiusi altari - Non esca a ritracciar l'errante gregge [ ... ] ,, 56 • Benché non mancassero difficoltà a tale progetto, legate principalmente alla impreparazione del clero, tuttavia, Sturzo continuerà in tale prospettiva bilanciando l'impegno sociale con la esigenza di una più consistente e valida preparazione e formazione interiore, come ampiamente espone nell'articolo «Giornalis1no cd educazione nei seminari» e come emerge costantemente in tutta la sua attività di animazione della educazione e cultura del clero 57 • In riferimento a Bascetta tale istanza è documentata da molteplici episodi e da varie indicazioni pratiche. Bascetta accettava infatti le linee principali dell'orientamento delle casse rurali cattoliche enunciate dal congresso di Fiesole del 1896. A detta dello stesso Lorenzoni "tra le ispirazioni fondamentali emergevano le istanze non solo economiche, ma anche tendenti all'organizzazione morale dei cattolici, che poteva facilmente 1 divenire organizzazione politica» 58 • 1.3. La dignità della persona umana Una terza motivazione è infine suscitata dal senso umanitario che la osservazione delle condizioni di vita degli operai, dei contadini o addirittura dei senza arte né parte suscita in loro. Non per nulla essa si sprigiona in Sturzo alla vista delle condizioni di vita della povera gente che abitava intorno a

M. PENNISI, Fede e impegno politico ... , cit., 260-280. Centrali a questo !rÌguarrdo sono le opere di A. GAMBASIN e di ·G. DE ROSA, citate nelle note 1 e 3. 56 L. STURZO, A Giuseppe Monternagno speranza dell'azione cattolica per la sua unzione sacerdotale, in La Croce di Costantino, 5 giugno 1898, 1-2. 57 In 1dliverse OC'casioni e 1n diversi ·scritti Sturzo insiste sia su1la diagnosi ohe sulla 'terapia delle condizioni ·del clero in Sicilia. 58 Cfr. G. LoRENZONI, Giunta Parla1nentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, VI, Tipografia Nazionale, Roma 1910, 707. 1

1


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ponte Sisto in Roma. Ancora studente alla Gregoriana, convittore del collegio Capranica, ha occasioni di vedere tali condizioni di vita. Per cui si iscrive al circolo Immacolata, che oltre a finalità religiose si proponeva lo studio dei problemi sociali del tempo 59 • Anche Bascetta comincia la sua posizione sociale come presidente della congregazione di carità che aveva sede nella chiesa di S. Leonardo in Adrano che lo porta a costatare le condizioni di vita della povera gente 60 • L'istanza generica sottesa a tale sensibilità per la dignità della persona umana si sostanzia e si concretizza nell'impegno sociale concepita come la sintesi delle molteplici istanze che fanno riferimento alla situazione di poco sviluppo e anche di sfruttamento in cui specie la classe contadina veniva a trovarsi. Tale nuova coscienza si era venuta creando e aveva ri~ cevuto dalla Rerum Novarum nuovo impulso e una consacrazione ufficiale 61 • Contrapponendosi alla nobiltà e alla borghesia latifondista da una parte e all'impostazione socialista dall'altra, si tende a favorire la nascita e il consolidamento della piccola proprietà considerata in sintonia con il diritto naturale e funzionale per la libertà dell'individuo e della sua famiglia. Accanto si pone l'obiettivo del superamento delle situazioni di sfruttamento padronale ai vari livelli e nelle diverse situazioni (mondo contadino, mondo operaio, ecc .. ), non esclusa la lotta al!' usura 62 •

Venendo a più particolari va fatto riferimento a tre aspetti principali della motivazione sociale: l'urgenza di fronteggiare le condizioni di svolgimento del lavoro con le relative forme di sfruttamento inumano; la proposta di una più valida e corretta concezione della proprietà privata; infine, l'esigenza di supes9 Sturzo stesso racconta l'episodio in un articolo pubblicato su Il

Mondo, nell'ottobre del 1941. 60 Ck VB, 49·54. 61 Ofr. nota 3. Il fenomeno dell'usura era infatti molto grave in quel temrpo; nei inostri paesi erano stati regist;rati interessi fino al 60-80°/o e anche lOOo/o e più. La lotta ~ll'usura sarà quindi uno dei grandi aspetti .ùella 1.fìondazione di cais1se d.i 'mutui e p•restiti e delle casse rurali. 62 CDr. G. LORENZONI, op. cit., 708-736.


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ramento dell'emarginazione del popolo dalla partecipazione attiva alla vita politica della nazione. Quanto al lavoro, la sua centralità e importanza per l'individuo e la sua famiglia è fondamentale. Da esso infatti, oltre che ricavare sostegno materiale, deriva quel senso di sicurezza e di autostima che è un fattore determinante per lo sviluppo e l'affermazione di sé nella vita sociale. Assieme al lavoro vanno sottolineati i temi della giusta remunerazione, della sua durata, delle condizioni ambientali in cui esso si svolge e la sicurezza di poterlo mantenere. L'azione sociale si proporrà di migliorare le modalità di svolgimento del lavoro e la regolamentazione dei rapporti di giustizia che ne derivano 63 • Sia Sturzo che Bascetta sono costantemente in contatto con una realtà, la siciliana, che a questo riguardo era in stridente contrasto con le intime esigenze dei lavoratori. «Ecco perché oggi - scrive nel suo giornale - questa religione chiama gli operai, i lavoratori sotto il vessillo della democrazia cristiana, che è la bandiera della giusta rivendicazione dei lavoratori oppressi, unendoli insieme alle altre classi nei rapporti di giustizia, animati dal vero amore cristiano» 64 • Anche Bascetta assumeva, fin dai primissimi anni del suo lavoro sociale, ruoli e posizioni interessanti «come rappresentante delle organizzazioni cattoliche, divenendo il portavoce e l'intermediario nelle occasioni di conflitto interno ed esterno» 65 • Un'altra grande area è costituita dalla problematica della proprietà privata. L'azione sociale .del clero parte dalla concezione prospettata dalla RN. Ne viene pertanto accettata la esistenza e la si giustifica come garanzia di autonomia e di libertà per il lavoratore e la sua famiglia. Così l'impegno dei cattolici era rivolto da una parte contro la concentrazione della proprietà in poche mani di proprietari terrieri e industriali, dall'altra contro l'impostazione socialista e massimalista che rifiuta il principio della proprietà privata 66 • 63

64 65 66

Cfr. T. GHIRELLI, op. cit., 7-11. L. Srunzo, La Croce -di Costantino, 27 giugno 1903. Cfir. Archivio Casa Bascetta, attestati di contemporanei. Ofr. il con1mento al pensi-ero di L·eone XIII nella Rerun1 Novarum


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Nei confronti della proprietà privata l'azione sia di Sturzo che di Basoetta trova una grande spinta ideale. Le iniziative a favore dei contadini ne sono una grande dimostrazione. Esse infatti sono tra quelle che caratterizzano di più l'azione sociale .dei due preti siciliani. Sturzo ne è come l'antesignano e il grande animatore fin dal 1897. Il discorso di inaugurazione .della Cassa Rurale di prestiti S. Giacomo descrive la natura e la funzione di tale iniziativa e ne sottolinea l'utilità sociale associando insieme «le grandi ricchezze con le piccole proprietà, i modesti capitali con l'assiduo lavoro, i giusti risparmi con la generosa beneficienza» 67 • Bascetta fin dalle sue prime iniziative sociali propugnava il superamento del latifondo agricolo a favore della formazione della piccola proprietà. A tale riguardo alcune testimonianze affermano che Bascetta abbia realizzato una delle più significative e consistenti "riforme agrarie" (fino a 1000 nuovi proprietari) con la lottizzazione di parecchi fondi e feudi comprati dalla Cassa Rurale S. Nicolò Politi e suddivisi ai contadini, e spesso anche bonificati e arricchiti di infrastrutture necessarie 68 • Il terzo ambito di esigenze è dato dalla problematica dei rapporti sociali e politici. Il partecipare, l'essere protagonista nella vita sociale, non solo oggi, è considerato un diritto dovere di tutti i cittadini. Esso è anche la condizione di un'impostazione dei problemi e della loro soluzione in corrispondenza al senso della giustizia e dell'equità. Specialmente in Sicilia l'azione sociale esigeva l'impegno a far crescere questo nuovo senso .del vivere civile. Ciò veniva propugnato in vari modi. Sul piano economico e sociale con la costituzione delle cooperative, che appunto perché basate sulla cooperazione stimolavano al coinvolgimento e alla presa di coscienza e di responsabilità di tutti i componenti delle casse rurali. Sul piano politico, essendo ancora in vigore il non-expedit, attraverso la co-

da parte di P. PAVAN-T. ONOFRI, La dottrina sociale cristiana, AVE, Roma 1966, 161-174. 67 L. STURZO, Scritti inediti, cit., I, 40. " Cfr. G. Succr, La cassa rurale, Gutemberg, Ach"ano 1935, 22-31.


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sidetta "via municipale" 69 • Tale via infatti serviva, secondo Sturzo, a far superare il pericolo, che l'inesperienza di molti cattolici poteva comportare, di una strumentalizzazione clientelare e impostazione frammentaria, essendo ancora priva di un progetto globale di partito politico cattolico. Questa posizione era piuttosto tattica, anziché strategica. La vera partecipazione e l'assunzione di responsabilità completa si sarebbero avute con la fondazione di un partito politico. Tale fatto però appariva ancora prematuro e "molto discusso" sul piano esecutivo, ma già Sturzo andava enucleando ed elaborando i punti fondamentali che presenterà nel discorso di Caltagirone fin dal 1905 70 • Anche in Bascetta il problema è presente fin dai primi anni della sua presenza in Adrano, come emerge dal suo scritto polemico contro la conferenza del ministro evangelico G. Fasulo su «Clericalismo e Religione». In tale opuscolo Bascetta sostiene che la presenza e la partecipazione alla vita politica sono occasione di «rivendicazione dei diritti materiali e morali del popolo», contribuendo così alla crescita autentica della democrazia n

Il metodo

2.

Tecnicamente parlando il metodo è un complesso di principi logici e di regole procedurali per una produzione efficace e valida. Esso quindi si applica normalmente al tipo di attività solitamente ripetitive e meno a quelle che richiedono creatività. In un senso più lato tuttavia il concetto di metodo ha un'utile applicazione anche nel settore delle attività semiripetitive quali sono le relazioni interpersonali e comunque tutte le relazioni che caratterizzano i rapporti all'interno dei gruppi, delle comunità e della società in genere. Anche in tali settori permangono le istanze derivanti dai principi logici 69 P. PIVA- F. MALGERI, op. cit., 125-172. Cfr. LR, 79-86. 71 Cfr. V:B, 10-123; S. BELLIA, I cattolici nello Stato de1nocratico, cit., 133-138. 10


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e cioè la loro plausibilità e la loro legittimazione razionale 72 • In parte permangono le regole procedurali in quanto derivanti dal tipo di attività che si sta svolgendo (fondamento oggettivo e sociale), dal tipo di personalità degli operatori (fondamento soggettivo), dall'esigenza di ripetizione e dall'influsso della memoria esperienziale (fondamento dinamico) 73 • In questo senso quindi è possibile parlare di metodo di attività in riferimento ai nostri due protagonisti (ma anche in relazione agli altri operatori a loro assimilabili e cioè coloro che, come Sturzo e Bascetta, membri del clero, si sono impegnati sul piano sociale). Gli aspetti principali del metod'o operativo dell'azione sociale di Sturzo e Bascetta possono ridursi: all'esigenza di aderenza alla realtà, (e quindi entro i parametri spazio-temporali); coerenza di fondo con la propria personalità (base caratteriologica integrata dalla formazione umana, intellettuale e spirituale); prospettiva di azione valida oggettivamente ed efficace (in senso strumentale) 74 • Anche per questi aspetti (come già abbiamo notato per le motivazioni) vanno sottolineate alcune caratteristiche particolari. Da una parte emerge l'importanza e la validità in sé di tali aspetti, essi infatti ripropongono i principali parametri di ogni metodo operativo facente riferimento all'azione sociale. Inoltre essi derivano direttamente e dipendono strettamente dalle motivazioni dei nostri protagonisti, Sturzo e Bascetta, evidenziandone la sensibilità sociale, la solidità della formazione, la serietà e centralità dell'impegno nell'azione. Infine va notata la interdipendenza tra i vari aspetti e conseguentemente l'influsso reciproco e potenziante, per cui ne risulta una validità globale ed una esemplarità che giustifica l'attualità della loro "lezione". Ciò premesso passiamo ad una chiarificazione concettuale di tali aspetti e a documentarne sia la presa di coscienza che la loro traduzione in pratica da parte di Sturzo e Bascetta. 72

G.

73

.P. F.

ScARVAGLIERI,

Metodologia della ricerca sociale,

8-11. SECORD

-C.

" Ibid., 456-486.

w.

BACKMAN,

op. cit., 613-667.

PUG,

Roma 1958,


L'azio~e

sociale in Sturzo e Bascetta

87

2.1. L'aderenza alla realtà Questa prima modalità del metodo prende le mosse di avvio dalla presa di coscienza e dalla costatazione oggettiva delle condizioni di vita della gente fra cui essi vivono. Non si tratta per loro di realizzare dei progetti ottimali, utopistici, e quindi irraggiungibili, ma .di piani a breve e medio termine con efficacia garantita dalla esperienza già verificata, con rispondenza alla cultura ambientale e alle attese degli stessi beneficiari. Questo li porta a vagliare criticamente le varie possibilità. Specie in riferimento a Sturzo si nota la valutazione critica nei confronti dell'atteggiamento con cui recepire e vivere le condizioni socio-politiche derivanti dal non-expedit, dalla struttura organizzativa e dalle finalità dell'Opera dei Congressi, dalle stesse prospettive operative della democrazia cristiana di Murri 75 • Non che Sturzo non fosse partito dalla accettazione globale di tali tre elementi, ma con passi celeri e incisivi nel giro di pochi anni, dal 1896 al 1903, già attua una sua comprensione e visione personale di tali problematiche, specie nello sforzo di adattamento all'ambiente siciliano e al clero siciliano del tempo. Un altro aspetto di tale aderenza alla realtà ambientale si può riscontrare nell'impegno per la promozione delle casse rurali, tanto che in breve tempo sia Sturzo che Bascetta diventavano dei pionieri in Sicilia. La Cassa S. Giacomo di Ca1tagirone emerge, anche se non per precedenza di fondazione, certamente per modalità di conduzione. Sturzo diventa un leader e un propugnatore di tale provvidenziale istituzione 76 • Bascetta, leggermente più giovane di Sturzo, amico e ammiratore del caltagironese, in modo più intuito che razionale, più implicito che esplicito, più imitativo che creativo, accetta tale impostazione e ne è anche lui un propugnatore valido. Il suo campo è più ristretto, ma non per questo meno incisivo come data la sua incardinazione e presenza in una provincia

75 .'Cfr. L. BEDESCHI, Dal moviinento di Murri all'appello di Sturw, ARES, Milano 1969. 76 F. PIVA - F. MALGERI, op, cit., 55-62.


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che da allora in poi prenderà (assieme alla diocesi di Caltagirone) la guida ideale del movimento sociale dei cattolici in Sicilia 77 • Tale senso di concretezza inoltre si manifesta nell'assunzione di responsabilità amministrative a livello comunale e provinciale. Ambedue furono sindaci dei rispettivi comuni e poi insieme consiglieri provinciali a Catania. Queste attività offrivano loro lesperienza diretta che sta alla base della successiva "teorizzazione" della via municipale alla partecipazione completa alla vita politica del Paese 78 • Lo stesso Sturzo sottolinea questo senso pratico e questa aderenza alla realtà. Scrivendo a Murri nel maggio del 1906 affermava: «non credere che io sia o voglia essere un opportunista o un prudentone [ ... ]. Io invece sono e voglio essere pratico cioè arrivare allo scopo intero e senza transazioni, ma anche studiando il terreno sul quale si cammina, per non cadere in trabocchetti, e per non scivolare e perdere quel che si è già guadagnato» n Aderenza alla realtà e senso pratico però non escludevano la funzione di propulsione che costantemente esercitava nei confronti del clero e dei laici. V. Filippone Thaulero ha scritto: «In Sturzo domina il piano della risposta rapida e del dettato della soluzione contingente che sembrano essere le caratteristiche dell'uomo d'azione, la cui esperienza e le cui decisioni .denotano grande ingegno [ ... ] » 80 • Le citazioni potrebbero continuare, ma non farebbero altro che confermare quanto appena esposto. In riferimento a Bascetta va anche ribadito l'ambito più ristretto delle sue preoccupazioni o comunque del suo raggio d'azione, ma ugualmente si hanno attestazioni di tale senso pratico e di aderenza alla realtà. Varie testimonianze scritte e orali di contemporanei sono convergenti nell'affermare tali

11 78

Cfr. VB, 57-72.

Cfr. G. GrARRIZZO, Luigi Sturzo anuninistratore locale, in AA.Vv., Sturzo nella storia d'Italia, I, 1cit., 349-402. 79 Cfr. L. BEDESCHI, La corrispondenza inedita tra Sturzo e Murri (18981906), in AA.Vv., Sturza nella storia d'Italia, II, cit., 67-109. 80 .cfr, V. FILIPPONE THAULERO, op. cit., 221.


L'azione sociale in Sturzo e Bascetta

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caratteristiche nell'attuazione della divisione delle terre, e nella gestione della Cassa Rurale 81 • 2.2. La coerenza con se stessi

La seconda importante componente del metodo della loro azione sociale può riscontrarsi nella coerenza con se stessi. Tale caratteristica tuttavia appare ambivalente. Da una parte costituisce come un freno, un limite alla loro azione, mentre dall'altra diventa una piattaforma e una pista .di lancio per le loro iniziative. Così la loro azione sociale acquista un grande respiro, si estende ad una concezione dell'uomo e della realtà sociale ampia e integrale. Riguarda non solo il bisogno di sopravvivenza della gente, ma anche la ricerca di significato da dare alla propria esistenza. Verrà quindi incontro alle classi più disagiate sia per alleviarne le ristrettezze materiali, ma anche per trasmettere loro un messaggio il cui contenuto trascende il bisogno immediato, e che si pone quindi sul piano della esigenza di dignità personale e sociale 81 • Questo abbinamento di idealità può facilmente apparire strumentale se non addirittura "mercimoniale" e, in un certo senso, come opera "corruttrice". P.er scartare tale interpretazione basta rifarsi alla concezione non puramente sociologica che essi hanno della Chiesa e della funzione della religione. Infatti dai loro scritti, dal complesso della loro azione, si può evincere una concezione ideale dell'istanza evangelica e religiosa. E in realtà in Sturzo come ideatore e in Bascetta come seguace va notata fin dagli anni iniziali (basta pensare che il discorso programmatico che pone il fondamento della concezione del partito popolare italiano e dell'aconfessionalità dello Stato è del 1905), per concludere che le motivazioni filantropica, sociale e politica non sono strumentalmente ordinate a quella ecclesiale e pastorale, come fatto aggn;gativo, come espressione di una dinamica di gruppo (di potere o comunque di pressione),

" Cfr. VB, 94-98. C.fr. le diverse testimonianze nei vari saggi già varie volte citati nelle nate precedenti. 112


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ma come occasione di attuazione di una visione evangelica. Nel complesso quindi si tratta di un'azione polivalente e polimotivata che dà adito ad una visione più completa della natura umana, così come i nostri due protagonisti la intendono e la vivono 83 • Il bene spirituale per Sturzo si realizza non soltanto orientando le persone, ma informando tutta la vita terrena dei principi cristiani. Pertanto il sacerdote deve occuparsi di animare cristianamente la vita sociale e politica, cercando di finalizzare la ricerca della giustizia e la realizzazione di un certo benessere terreno al conseguimento della salvezza eterna. Egli, pur distinguendo il campo propriamente pastorale da quello più espressamente politico, non ebbe dubbi che la sua azione sociale fosse l'esplicazione di un apostolato religioso. Spesso egli denunciava la separazione tra fede religiosa e vita sociale, presente in molti cristiani. Nell'articolo «Coscienza religiosa e coscienza politica» afferma chiaramente l'impossibilità di una privatizzazione della religione, escludendone l'influsso sulla vita sociale. A tal fine è indispensabile l'azione aperta dei pastori che miri ad una conciliazione tra tali due componenti della vita umana: la componente religiosa e quella umana e sociale 84 • In riferimento a Bascetta si pnò affermare lo stesso, anche se in lui tale coerenza è piuttosto esistenziale che propriamente teorica, ma è ugualmente centrale ed interessante per capire la sua azione. Per questo nel nostro saggio su Bascetta abbiamo illustrato in uno specifico capitolo questo argomento. Seppure in linea di principio va affermata l'autonomia tra la sfera temporale e quella spirituale, tuttavia l'osservazione storica mostra che «Ciò che potrebbe apparire congiunturale è storicamente strutturale». Per questo la sua azione, come quella di Sturzo, si muove tra due sponde: tra la fedeltà a Dio e l'impegno per l'uomo. In tale fedeltà e impegno Bascetta esplica il meglio delle sue qualità: dedizione, creatività, costanza, versatilità, inCfr. i due saggi di P. Stella sulla concezione della vocazione sacer~ do.tale in Sturzo. 84 La conferenza veniva pubblicata in La Croce di Costantino del 7 ottobre 1900. 83


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traprendenza... «Gli uomini ci abbandonano - soleva dire il Bascetta - perché noi non li avviciniamo. Non dobbiamo aspettare che vengano da noi, ma noi, come Gesù, dobbiamo andare da loro». E andare da loro era anche impegnarsi sul piano sociale 85 • 2.3. L'esigenza di efficienza Questa caratteristica della loro azione va vista sotto diverse angolature: da una parte come contenuto, viene infatti superato il concetto caritativo~ assistenziale, con cui si caratterizzavano (e si sono caratterizzate anche dopo) molte iniziative di cattolici o di ecclesiastici. Più propriamente si tratta di un'azione promozionale che tende a rendere i beneficiari protagonisti e operatori dei loro stessi vantaggi. L'impostazione promozionale porta con sé anche la dimensione pedagogica della loro azione. Ed era questa dimensione che specialmente in Sicilia era più necessaria ed urgente. Un po' per la tendenza all'individualismo e alla sfiducia negli altri, propria dei siciliani di "tutti i tempi", un po' per la particolare difficoltà che comporta lo stato di bisogno verso forme di fiducia e di lungimiranza, tale azione promozionale incontrava più difficoltà. Tuttavia tale caratteristica era privilegiata nel loro metodo. Occorreva avviare un processo ascensionale e graduale verso forme di maturità non solo personale ma sociale e culturale e anche socio-.econo1nica dei partecipanti alle varie iniziative. L'essere riusciti non a produrre una rivoluzione sotto la spinta del bisogno, e talvolta della disperazione, ma a spin,gere ad un progetto di sviluppo personale e di gruppo è uno dei meriti maggiori dell'azione del clero in genere e dei due nostri protagonisti in particolare 86 • Certo non mancavano i vantaggi anche a breve scadenza. Nelle cooperative e nelle casse i partecipanti in primo luogo, ma anche tutta la popolazione del comune, ritrovavano parec-

"' Cfr. VB, 159-166. Cfir. G. tale, cit. 86

ScARVAGLIERI,

Tratti socio-culturali della Sicilia nord-orien"


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chi benefici. Tuttavia tanti altri vantaggi erano o a lunga scadenza o di natura socio-culturale e quindi come forme di crescita individuale e sociale collegate specialmente con il principio della democrazia interna e della partecipazione effettiva ai programmi. Anche in ciò, gradualmente e secondo le proprie funzioni, i soci partecipavano ai piani di programmazione, alle decisioni e alla stessa esecuzione dei progetti da realizzare. Pertanto questi vanno attribuiti come benefici non indifferenti della loro azione sociale e in particolare del loro metodo 87 • Già nel 1895, parlando «dell'educazione della gioventù alla azione cattolica» Sturzo proponeva questo aspetto pedagogico a riguardo della conquista del diritto di voto. «[ ... ] Al popolo afferma - si è dato il diritto di voto, diritto prezioso, soggetto alle pressioni che più si agitano, ai partiti del giorno, alla vergogna del corrompimento; si disciplini oramai questo popolo inconscio dei suoi diritti, si faccia conoscere ch'è supremo dovere di coscienza che il voto si dia a persone idonee [ ... ]» 88 • Lo stesso Torregrossa, che in un primo tempo aveva qualificato come fanfaronate le iniziative sturziane, due anni dopo si ricrederà e pubblicherà sulla «Cultura Sociale»: «[ ... ] veramente la organizzazione del movimento sociale cattolico di Caltagirone è la piì.1 bella prova dell'efficacia del programma democratico cristiano. Luigi Sturzo non è un empirico: egli ha premesso lo studio all'azione ed ha diretto l'organizzazione con criteri scientifici e pratici al tempo stesso [ ... ]. A vederlo [ ... ] non lo si crederebbe quella fibra che è, quell'anima credente che ha saputo vincere mille ostacoli, superare la glaciale ì.ndifferenza dei molti, infondere l'entusiasmo in tanti cuori, forma.re tante coscienze[ ... ]» 89 . In altre parole, possiamo condividere, a riguardo di Sturzo, quanto afferma Pennisi: «tra alcune componenti del suo pensiero, che stanno costantemente presenti nella sua azio11

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87 .Questa descrizione può essere applicata anche da altre casise, ma certamente lo è in 1111udo p.regnainte per quelle "gestite" dai nostri protagonisti. 88 Cfìr. G. ·DE RosA (a -cura di), La Croce di Costantino, cit., 10. s9 Cfìr. R. MURRT, Carteggio 1898, II, Ed. Idi Storia e Letteratura, Roma 1971, 54.


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ne [ ... ] notiamo: il non dimenticare la finalità ultima della sua azione sociale e politica, il costante riferimento all'esperienza pratica, il puntare sui tempi lunghi con costanza e fiducia nell'avvenire, un sano ottimismo che spinge all'azione» 90 • Anche per Bascetta, anche se in misura più limitata, possono notarsi uguali orientamenti. Gli stessi giudici del processo per il fallimento della Cassa, sebbene notino delle carenze sul piano tecnico, tuttavia rilevano di continuo il prestigio, l'abilità del Bascetta, la fiducia che veniva a lui dai componenti della Cassa e dall'intera popolazione. E infatti viene andhe descritto come «Uomo integro, di larghe vedute e fattivo che scuoteva indiscussa fiducia» 91 • Confermano inoltre questo giudizio di efficienza e concretezza gli altri aspetti della sua azione, sia con1e amrninistrator.e sia come operatore pastorale. In ciò concordano sia i contemporanei che gli sono stati pm v1cm1, ma anche avversari politici che, seppure distanti da lui sul piano ideologico, tuttavia riconoscono la sua lealtà e abilità 92 • Prima di concludere questa trattazione è necessario fare delle puntualizzazioni circa due possibili obiezioni che potrebbero essere avanzate e circa la ,giustificazione della impostazione della presente relazione. La prima delle due obiezioni riguarda il rischio di un'esagerata attribuzione di meriti a Sturzo e Bascetta nell'ambito dell'azione del clero impegnato nel movimento cattolico in Sicilia. La seconda invece fa riferimento all'accostamento, che potrebbe sembrare forzato, dei due personaggi (Sturzo e Bascetta) e la collocazione del secondo sullo stesso piano del primo. Ci sembra opportuno quindi evitare tale possibilità di equivoco e collocare le cose nel loro giusto ordine, evitando la tendenza ad attribuire meriti condivisi da tutta una categoria limitandoli solo al protagonista (o nel nostro caso ai protagonisti) del nostro tema, da una parte, e dall'altra a presentare 1

M. PENNISI, op. cit., 202. Per cui anche ·se in prima istanza ora stato condannato, in seconda istanza veniva assolto ,con formula piena. Cfr. VB, 76-77. 92 lbid., 136-147. 90

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uno schema interpretativo tale che mostra la portata e i limiti dell'abbinamento dei nostri due protagonisti. Non abbiamo voluto certamente attribuire né a Sturzo né tantomeno a Bascetta meriti che in realtà sono propri del movimento sociale dei cattolici in genere, e del suo successo realizzato in Sicilia, e al suo interno della funzione del cospicuo numero di ecclesiastici che hanno operato in quel contesto. La presenza del clero nell'ambito dell'azione sociale nella Sicilia a,gli inizi del secolo è stata imponente sia sul piano della quantità (ogni comune o quasi aveva «il suo piccolo Sturzo,, è stato più volte scritto e ripetuto anche da parte non sospettabile di apologetica verso i cattolici), sia come qualità (concezione del tipo di intervento, validità degli obiettivi e efficacia nel conseguimento di vantaggi polivalenti). Tuttavia, pur ridimensionando doverosamente e criticamente la presenza e la funzione dei nostri due protagonisti non si può negare che, nel complesso del clero, essi occupano, specie Sturzo, un posto preminente e di tutto rispetto sia per l'apporto concettuale e dottrinale, sia per la qualità della loro azione, per le responsabilità che hanno assunto e, se vogliamo, per il costo che hanno pagato 93 . Non abbiamo voluto fare un panegirico a buon mercato, ma la descrizione di due personaggi che nell'ambito delle situazioni ambientali (socio-culturali e ecclesiali) di quel tempo e in un dato territorio hanno offerto un loro contributo qualifìcato e interessante, anche se non esclusivo. Pertanto quello che andrebbe sottolineato è il complesso di sfumature che caratterizzano e identificano la portata e il significato della loro azione sociale per quanto riguarda le motivazioni e il metodo del loro impegno. Per quanto riguarda l'altra possibile obiezione, quella riguardante l'indebito abbinamento e l'incongrua equiparazione tra Sturzo e Bascetta, ci sembra che possiamo qui riprendere

93 .Purtroppo non esiste un'opera che studi l'azione del clero siciliano nell'ambito del ·movimento cattolico sociale. Indicazioni a questo riguardo vanno :ricercate nella ·ormai ampia bibliografia, in paTte citata nelle note precedenti.


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quanto scrivevamo a conclusione di un nostro saggio su Bascetta: «E' stata nostra preoccupazione cogliere fedelmente e collocare nel loro giusto contesto la presenza di due personaggi che sebbene si siano avviati con moltissimi punti di convergenza, tuttavia alla fine sono pervenuti a forme di presenza e funzioni su piani molto differenziati». Non abbiamo voluto, quindi, risolvere l'obiezione solo basandoci sul fatto che, per gli aspetti considerati e per il periodo fatto oggetto di analisi, le loro due forme di presenza siano più vicine di quanto non sarebbero i giudizi globali su tutta la loro vita ed attività. Pertanto ci è sembrato più funzionale, in riferimento al giudizio globale ma, limitatamente ai contorni e alle delimitazioni del tema svolto, utilizzare uno schema di comparazione e di tipologia proposto dal sociologo americano Robert Merton, distinguendo ''l'influente locale" e "l'influente cosmopolita" 94 • Questa distinzione offre la chiave di interpretazione sul piano sociologico e su quello psicologico di due orientamenti e di due livelli di azione diversi, di personaggi che pure hanno in comune la capacità di polarizzare su di sé, e per gli stessi motivi, l'attenzione di coloro che li circondano e li ammirano. In questo senso la tipologia aiuta a rilevare, da una parte, le somiglianze (che specie in relazione al nostro tema sono maggiori che non nel ,giuclizio globale), ma anche le dissomiglianze, sia in relazione al piano di influenza che al livello e alla qualità di essa. Le fonti di differenziazione sostanzialmente dipendono da qualità personali e da fattori occasionali spazio-temporali che caratterizzano la loro stessa nascita, la formazione, le esperienze e i contatti con l'esterno. Tali elementi, inoltre, delimitano l'ampiezza, la varietà e il livello di influenza. Così Sturzo si configura come "l'influente cosmopolita" (influenza che trascende i limiti territoriali, si estende in molti campi, che perviene ad un livello di profondità rilevante). Bascetta si presenta come "l'influente locale" per spazio geografico e sociale, per la minore varietà dei temi cui si interessa, per la competenza teorica con cui affronta

94 R. K. MERTON, Teoria e strutitura sociale, traid. it., Il ·Mulino, Bo" logna 1966, 625-669.


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i problemi. Pertanto tale impostazione offre una buona base interpretativa dell'influenza di due personalità per un Iato simili tra loro e per l'altro anche abbastanza diverse, il cui raggio di azione e di influenza è chiaramente differenziato. In conclusione, come possiamo qualificare il tipo di presenza e di impegno sociale di Stnrzo e di Bascetta? Da quanto abbiamo esposto ci sembra che la loro azione sociale possa essere spiegata e caratterizzata sulla base della tipologia proposta da Max Weber, secondo il quale ogni azione sociale può presentarsi in uno o più tipi fondamentali: o come azione tradizionale o come azione razionale quanto al fine o, infine, come azione razionale quanto ai mezzi 95 • Il primo tipo (azione tradizionale) comporta un contesto socio-culturale conservatore che esercita molta influenza sui protagonisti rendendo così la loro azione poco creativa e innovativa e quindi piuttosto convenzionale. Il secondo tipo (azione razionale quanto al fine) sottolinea la presenza di trasformazioni valoriali per cui gli operatori sociali si propongono nuovi obiettivi e tentano di perseguirli con grande carica ideale. Il terzo tipo (azione razionale quanto ai mezzi) comprende quelle forme di impegno che puntano all'efficacia dell'esito, tramite l'adottare scelte tecniche e strumenti validi. Sulla base di queste definizioni e tenuto conto di quanto abbiamo esposto circa le motivazioni e il metodo dell'azione sociale di Sturzo e Bascetta, ci sembrano più applicabili nel nostro contesto il secondo (riferimento alle motivazioni) e il terzo tipo (riferimento al metodo). Si tratterebbe quindi di una valutazione molto interessante e valida sul piano storico e sociologico. In ciò si può cogliere sia l'importanza della loro presenza e funzione nell'ambito del movimento cattolico sociale a cavallo tra il secolo scorso e l'attuale, sia il significato della loro presenza anche nel nostro tempo.

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M.

WEBER,

Econon1ia e società, trad. iL, Comunità, Milano 1980, 19-34.


PRIMO CONGRESSO DELLA PARROCCHIALITA' ORGANIZZATO DAL VESCOVO MARIO STURZO NEL 1937

SALVATORE LATORA*

Mons. Mario Sturzo è stata una delle figure più prestigiose di vescovo siciliano la cui opera culturale, filosofica ed ecclesiale va studiata in correlazione con quella del fratello Luigi, perché insieme hanno elaborato un progetto di rinnovamento del mondo cattolico di grande attualità: il primo in campo filosofico, religioso ed ecclesiale, il secondo in campo sociale e politico. Per questo le loro opere si integrano a vicenda, come abbiamo sostenuto altre volte, su questa stessa rivista 1•

* Docente di Filosofia nei Licei. 1

Dei tanti studi su Luigi Sturzo indichiamo: G ..DE ROSA, Sturzo, UTET, Torino 1977; A. Dr LASCIA, Filosofia e storia in Luigi Sturzo, Cinque Lune, Roma 1981; G. DE RosA, voce Luigi Sturzo in Dizionario Storico del Movi111ento Cattolico in Italia - I Protagonisti, II, Marietti, Torino 1982, 615-624. Sul vescovo Mario Sturzo si possono conf.rontM--e: F. BARTOLONE, voce Mario Sturzo in Dizionario, cit., 624-626; F. BATTAGLIA, Croce e i fratelli Mario e Luigi Sturzo, Longo Editore, Ravenna 1973; P. STELLA, Il Vescovo Sturzo, Epistolario spirituale. Note biografiche, Bdigraf., Catania 1977; e i seguenti saggi: -S. LATORA, Un maestro di pedagogia religiosa: il Vescovo Mario s,tu1-zo, in AA.Vv., La fa1niglia e la scUDla, UCII1..it:, Roma 1983; Io., Il Neo-sintetis1no di M. Sturzo con1e possibile rin1wva.n1e-nto della filosofia scolastica, in Synaxis 1 (1983) 117-149; In., Una lettera inedita di don Luigi Sturzo al fratello Mari-o, Vescovo di Piazza Ar111erina (Londra, 9-10 gennaio 1926). Commento e interpretazione, in Synaxis 2 (1984) 129-150; Io., Un 1


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Nell'opera di rinnovamento ecclesiale voluta dal vescovo Mario Sturzo ha avuto certamente un posto di rilievo il primo congresso diocesano della pastorali tà, che si tenne in Enna nell'ottobre del 1937 e che ebbe grande successo. Vogliamo ora presentare e commentare gli Atti integrali di quel congresso diocesano 2 • Nel paragrafo conclusivo intitolato Ultima giornata trionfale si scrive: «I Congressisti sacerdoti e laici pervenuti da tutti i paesi della Diocesi, hanno sentito i frutti ubertosi degli scambi di idee avvenuti in questi giorni, degli incitamenti, delle istruzioni. La Parrocchialità dovrà avere un impulso abbastanza considerevole in tutti i campi: nelle varie attività dell'Azione Cattolica, nella cura dei fanciulli, delle fam\glie lontane dalla Chiesa e ·dai Sacramenti, degli uomini che, in maggior parte vivono nell'indifferenza religiosa. Si spera che si sia dato già il primo impulso perché questa vita parrocchiale riprenda tutto il suo sano vigore che il Santo padre attende, e perché la Parrocchia sia la fucina e la madre ·di ogni attività santa, che scuota, inciti sorregga, corregga, in un moltiplicarsi crescente di opere»'.

dibattito epistolare sul principio del Neo-sintetismo. Corrispondenza tra il Vescovo Mario Sturzo e il Prof. Agosti,no Faggiotto dell'Università di Padova (1930-1931), in Synaxis 3 (1985) 219-256; In., Il Neo-sintetismo e la sua dialettica nel pensiero dei fratelli Mons. Mario e Don Luigi Sturzo, ln Synaxis 4 (1986) 235-268; In., Il Neo-sintetismo di Mons. Mario Sturza esposto e interpretato in un articolo del fratello Don Luigi Sturzo, in Synaxis 5 (1987) 169-203. 2 Il testo che abbian10 esaminato e che ora pubblichiamo in appendice integralmente, dopo parecchie vici·ssitudini, ci è srtato gentilmente fornito dal sac. prof. Salvatore Muscia e dal :sac. Lillo Buscemi, che qui if'ingraziamo vivamente. In ,modo p·a,rticolare il prof. ·don Salvatore Muscia, feclele seguace della spi1ritualiià ,sturziana, :cultore idel pensiero 1diel vescovo; egli infatti, in anni non vicini, si laureò a Catania discutendo con il p:ro.f. Car~ melo Ottaiviano la tesi slÙ pens.Jero filosofico del Neo-sintetis,mo; più di recente ha cuxato la riedizione di un'opera d.i Mario Sturzo: La vita in Dio, e ancora oggi .custodisce con riverenza di discepolo quella eredità culturale facendosene solerte diffusore. 3 Il prùno Congresso della Parrocchialità, Tipografia Editrice Piemontese, Torino 1937, 16.


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Il vescovo, che nel Carteggio 4 parla più volte di questo congresso al fratello Luigi esule a Londra, assai interessato all'avvenimento aveva sempre curato gli aspetti pastorali della diocesi, oltre che con le sue eccellenti lettere pastorali, anche con iniziative simili, infatti aveva organizzato nel 1931 il I congresso diocesano dell'Azione Cattolica che si tenne a Piazza Armerina e nel giugno del 1933 il II; nell'aprile del 1934 partecipò in modo rilevante alla elaborazione della Pastorale Collettiva nella Conferenza Episcopale Siciliana, che si tenne a Catania, nella Villa San Saverio 5• Eppure, se guardiamo attentamente alle date, proprio nel 1931 la Sacra Congregazione del S. Ufficio proibisce a mons. Sturzo, dopo avere inviato un visitatore apostolico nella diocesi di Piazza Armerina, di occuparsi di filosofia e di insegnarla ai chierici del seminario; a questo ammonimento segue 1'8 aprile dello stesso anno, esempio di grande umiltà e di profonda fede nella Chiesa, la pubblica ritrattazione del vescovo, coram papula, nella cattedrale di Piazza Armerina. Contemporaneamente, però, l'attività pastorale del vescovo è in crescendo, dal '31 al '33, al '34, fino al trionfale congresso del 1937. Come dare ragione di questi fatti? Conviene ripercorrere brevemente alcuni avvenimenti storici significativi che ci restituiscano il clima di quel periodo. Fin dalla pubblicazione dell'enciclica Pascendi (1907) di Pio X (papa Giuseppe Sarto, 1903-1914) si era venuto creando, nel mondo cattolico e particolarmente in Italia, un clima di sospetti che perdura anche sotto i successivi pontificati di Pio XI (Achille Ratti, 1922-1939) e di Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958), in cui furono coinvolte, con varie motivazioni, tante personalità della Chiesa. 4 L. STURZO -M. STURZO, Carteggio, voli. I-IV e indici (1924-1940), a cura di G. DE RosA, Ed. di Storia e Letteratura, Istituto L. Sturzo, Roma 1985, 226-227, 231. 5 M. STURZO, La Pastorale Collettiva degli Arcivescovi e Vescovi della Sicilia dopo le Conferenze .dell'aprile 1934, per la Quaresilna 1935, Scuola Tipografica S, Giuseppe, Asti 1935. 1


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Sembra anzi che quasi nessuno di coloro che poi avranno ruoli anche di grande importanza si salvi da accuse o sospetti, «dal Cardinale Ferrari, a Meda, a Grosoli, a don Pini e addirittura al Toniolo [ ... ]. Si scatenò così quasi una caccia alle streghe [ ... ]. In seguito tra i sospettati ci fu pure don Angelo Roncalli (poi Giovanni XXIII) [ ... ]. A Milano mons. Giovanni Battista Montini, allontanato da Roma anche per le sue idee diverse da quelle di Pio XII e del suo entourage in diversi punti [ ... ]. [In campo pedagogico] Nosengo e Riva, laici, furono accusati di incompetenza teologica e di pedagogismo d'oltralpe e [ ... ] di eresia dell'azione. A conclusione della polemica il Nosengo, per imposizione dei suoi superiori, dovette lasciare l'insegnamento di religione e la stessa Milano e trasferirsi a Roma, e l'incarico venne tolto pure al Riva, che scelse in quella circostanza la via sacerdotale, mentre ad entrambi fu proibito dall'autorità ecclesiastica milanese di tenere conferenze a corsi e convegni. Ma per fortuna si trattava del seme evangelico messo sotterra per produrre poi frutti maggiori» 6 • E così possiamo dire è stato per il vescovo mons. Mario Sturzo. Sono da intendersi questi fatti come dialettica fra profetismo e istituzione? Istituzioni che si sclerotizzano e profeti più sensibili all'ascolto dello Spirito e che rinnovano la comunità con sempre nuove pentecosti? In un recente saggio Giuseppe Ruggieri propone una lettura di questa problematica in chiave storica ed escatologica, alla luce del documento conciliare Dignitatis Humanae 7 • Nell'oriz6 S. TRAMONTIN, Profilo di Storia della Chiesa, Marie1ti, Torino 1980, 63-64, 85-86, 102. 7 G. RUGGIERI, Al cdi là di tolleranza e intolleranza: per una Chiesa della

riconciliazione, in AA.Vv., De Caritate Ecclesia, Ed. Messaggero, Padova 1988, 143-176. Special,mente il 3.3. Per una diversità riconciliata, in cui vengono additati .tre compiti essenziali per la vita della Chiesa: 1" integrare la diversità come elemento costi,tutivo, seguernd:O il modello della concordia trinitaria di Dio. «La concordia suppone e non cancella la di· versità, ,mentre invece è il contrasto che si oppone alla concordia}>, 174; 2° esiste un ordine o gerarchia delle verità -della dottrin·a cattolica, ma Cristo è al di là della verità, l. c.; 3° la Chiesa ha (l'iconosciuto la prassi di ,tolleranza delle società ,moderne occidentali. Q,uesta è la prima metà


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zonte di tale visione possiamo interpretare anche la vicenda storica del vescovo di Piazza Armerina. Mario Sturzo, da autentico pastore della Chiesa, vive ed interpreta gli avvenimenti, anche quelli suoi più personali, nel senso della Theologia crucis. Ecco perché la sua opera continua ad essere sempre feconda per la comunità ecclesiale, anche dopo il 1931. Con grande sacrificio e dolore personale egli può cambiare sentiero, proprio perché l'itinerario fondamentale resta sempre diretto verso la stessa meta, come testimoniano i versi de «L'ultimo sacrificio» nella raccolta, Il mio canto 8 • La riuscita di questo C01'gresso e il suo significato moderno ne sono una conferma. Gli avvenimenti storici danno ragione all'indirizzo antifascista dei fratelli Sturzo. del compito. La seconda metà consiste in rma ricomprensione ancnra più profonda della comunion·e ecclesiale, ibid., 175. Già prima, a p. 169, aveva rico11dato i noti testi di Origene, In Levitic.un1 }fon1ilia XIV, e di S. Ago~ stino, De vera religione, 33, dove ·si sostiene che coloro che soppoTtano con pazienza l'ingiuria, pro ecclesiae pace e evitano di introdurre nuovi scismi e eresie «insegnano agli uomini con quanto vero affetto e con quanta sincerità di amore ·si debba serviire DioJ>. E' questo anche il caso dei fratelli Sturzo! .Qfr. anche S ..LATORA, Un maestro di pedagogia religiosa ... , ci!., 194-195. s M. STURZO, Il n1io canto, ed. Rogate, Roma 19802. L'ultimo sacrificio S'è scritto in Ciel, tra i gemiti dicea, Che il ver che è ascoso ancor nella mia mente, Ch'è la mia vita, inesorabilmente Perisca, haimè, Signor, io 1ripetea, Ahimè, Signor, il tuo voler che crea, E' virtù che risana im·mantinente ... Ma s'egli è 'Scritto in Ciel, l'alma consente Al sacrificio ... E in così dir fremea. Voci ipartian 1dal cor profondo allora Cupe, .ribelli, ,ma subitaneamente Voce so:rgea c'al ·sacrificio incuora "\!1'1sciugavo le lacrime brucianti E cos·t•ringea la t;ravagliata mente A desiar solo il guiderdon dei isanti.


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Occorre infatti ricordare che dopo le prime entusiastiche illusioni per i Patti Lateranensi, possiamo dire all'indomani stesso della loro firma, cominciarono, com'era prevedibile, i primi gravi scontri con la dittatura. La Divini illius magistri è dello stesso 1929 e tratta dell'educazione cristiana. La politica ecclesiale di Pio XI mira ad instaurare la regalità di Cristo nella società attraverso la centralità delle parrocchie animate e vivificate dall'Azione Cattolica, che il papa riteneva garantita dall'art. 43 del concordato 9 • Dice il Tramontin: «L'obiettivo di Pio XI, che a ragione viene chiamato il papa dell'Azione Cattolica, era quello che in ogni parrocchia esistesse un circolo maschile, uno femminile, il gruppo donne e quello degli uomini e in ogni diocesi gli universitari e poi i maestri e i laureati. Questa rete capillare avrebbe dovuto contribuire a diffondere quella regalità sociale di Cristo nel paese, che aveva costituito il programma del suo pontificato. Si veniva così ad abbracciare, anche se la situazione non era la stessa in tutta l'Italia, quasi con un mantello protettivo tutto il paese e a crearvi una centrale propulsiva. Avrebbe dovuto essere però evidente che, sia pur ridotta ad un'attività strettamente religiosa, l'Azione Cattolica non poteva non urtare le suscettibilità locali e centrali del regime, che intendeva monopolizzare ogni forma organizzativa e si trovava di fronte, sia pure contro voglia, un'antagonista»

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La tensione è in crescendo: il papa fa consegnare a Mussolini una nota di protesta il 17 aprile 1928 11 ; nel luglio del 1931 con l'enciclica Non abbiamo bisogno viene condannata la concezione totalitaria dello Stato fascista, e nel marzo del 1937 proclama la Mit Brennender Sorge (con grande preoccupazione) con la quale denuncia gli errori del nazionalsocialismo. 9

L'art. 43 del concordato recita: «Lo Stato riconosce le organizzruzioni dipendenti dall'Azione Cattolica italiana in quarnto esse, siccome la Santa Sede ha disposto, S!Volgano le loro attività al di ·fiuori di ogni partito politico e sotto l'immediata dipendenza dalla .Gerarchia della Chiesa, per la 1difiusione e l'attuazione dei principi cattolici». IO S. TRAMONTIN, op. cit., 52. 11 G. ·MARTINA, La Chiesa nell'età del totalitaris1110, IV, Morcelliana, Brescia 1978, 146, nota 18.


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E' questa il clima storico in cui il vescovo Sturzo organizza a Enna il congresso sulla parrocchialità. Nella presentazione degli Atti si dice: «Il Congresso della Parrocchialità [ ... ] corrisponde a un desiderio vivissimo del S. Padre Pio XI il quale diverse volte ha insistito sul tema della parrocchialità, specialmente nella settimana nazionale della gioventù maschile di Azione Cattolica tenutasi nell'aprile del 1936» 12 • Il Vaticano approva e benedice liniziativa della diocesi armerina con una lettera dell'allora cardinale Eugenio Pacelli, segretario di Stato di Sua Santità (20 sett. 1937). Il vescovo Sturzo la comunica integralmente al clero e al popolo della diocesi di Piazza Armerina: «Il Santo Padre, non solo ci concede la implorata Apostolica Benedizione, ma ci onora del Suo Sovrano compiacimento e, con parole tutte luce e calore, ci traccia il più efficace programma per la rigenerazione della vita parrocchiale» 13 • Cosa aveva detto nella settimana nazionale del '36 il S. Padre? Egli aveva in sostanza sottolineato il rapporto gerarchico delle autorità religiose. Come gli apostoli sono stati coloro che hanno diffuso i tesori inestimabili del Divin Redentore così i vescovi sono la longa manus degli apostoli e, a loro volta, i parroci sono la longa manus dei vescovi. Parrocchia deriva da parà-oikìa, continua il S. Padre, cioè un agglomeramento di persone che hanno le loro case vicine, a capo del quale sta il parroco che provvede ai bisogni della collettività. «E' questa la preziosità, la dignità, il merito grande del Parroco, quello che il popolo sente così bene, ed onora il Parroco di tanta fiducia, specialmente nei momenti più difficili, quando tutti hanno più o meno bisogno di un conforto, di un consiglio. Il parroco è proprio la provvidenza di tutti quanti» 14 •

12 13 14

Il prùno Congresso della Parrocchialità, cit., 1. lbid., 3. lbid., 1.


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Il vescovo Sturzo è su questa linea di Pio XI, cioè di una scelta puramente religiosa, centrata sulla parrocchia e sull'Azione Cattolica al servizio della gerarchia ecclesiastica? In linea di principio sì, ma in modo tutto suo, dove si vede il frutto delle sue esperienze precedenti e soprattutto il vigore della sua grande personalità, capace di cogliere in ampie sintesi il senso del lungo periodo, al di là degli effetti contingenti. Bisogna allora saper cogliere questi aspetti del documento che va letto globalmente e nei dettagli, per ciò che dice e per ciò che rivela tra le righe, per tutto quello che ci tramanda il testo, se si riesce a ricostruire anche il contesto socio-politicoreligioso. Anzitutto una definizione di Chiesa più ampia, in cui si notano le idee frutto delle discussioni epistolari giornaliere con il fratello Luigi esule 15 • Cos'è la Chiesa per Mario Sturzo? «La Chiesa è la Società Cristiana, la Società fondata dallo stesso Gesù Cristo che ne è il Capo, la Società Universale. Una per tutto il mondo; la Società che affratella nella stessa Fede, nella stessa Speranza, nello stesso Amore i popoli di tutte le stirpi, di tutte le lingue, di tutte le civiltà [ ... ]» 16 • Ripete l'aforisma della tradizione: «La Chiesa virtualmente è nel Papa: Ubi Petrus, ibi Ecclesia», ma poi aggiunge una sottolineatura sua: «Che cosa potrebbe fare il Papa nel mondo, se non ci fossero le Diocesi? E che cosa potrebbero fare nelle Diocesi i Vescovi, se non ci fossero le Parrocchie?» 17 • Il centro della vita religiosa è la coscienza dei fedeli che si storicizza nelle parrocchie, ecco perché è da lì che bisogna cominciare lopera di rigenerazione. Il vescovo, che ha partecipato in mddo rilevante alla elaborazione della Pastorale Collettiva, conosce benissimo il problema e la situazione delle parrocchie della Sicilia e, in modo particolare, di quelle della sua diocesi «Cause che qui non è necesC·fr. L. STURZO, Chiesa e Stato, Zanichelli, Bologna 1959, la cui prima edizione fu pubblicata in francese nel 1937. 16 Il primo Congresso della Parrocchialità, cit., 2. i1 L. c. 15


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sario enumerare, minarono da lungo tempo in Sicilia la vita parrocchiale. Ora però è il periodo della ripresa [ ... ] » rn Egli si è mosso non da ora fondando nuove parrocchie e coltivando nei fedeli lo spirito della vita cristiana. «Le pastorali che io vi ho scritte su Il Giorno del Signore, Sull'orazione mentale, sull'Eucaristia e sul Catechismo nelle esplicazioni della Pastorale Collettiva, sono state una remota preparazione a questo Congresso; allo stesso fine mira la Pastora/e sull'educazione che si va pubblicando su "L'Angelo della Famiglia"» 19 • Inoltre, perché le parrocchie, dove il lavoro sociale di istruzione e di santificazione si individualizza, fossero adeguatamente fornite di pastori d'anime, il vescovo si è formata fin dal 1918 una folta schiera di sacerdoti, disposti ad andare dovunque lo richiedesse il bisogno, senza nulla chiedere e nulla domandare, chiamati "Oblati Di Maria" e legati al loro pastore non solo con la promessa ma anche con il voto di ubbidenza. Scrive mons. Gioacchino Federico: «Trovo un appunto scritto a Roma e che reca la data del 22 maggio 1924: Dalle ore 11 alle 11,15 udienza del S. P. Pio XI, cordialissima [ ... ]. Circa gli Oblati ebbe parole d'oro. E promesse» 20 • Contando sulla loro collaborazione egli poté sapientemente organizzare il congresso sulla pastoralità gettando le basi per le nuove organizzazioni e percorrendo i tempi per la grande prospettiva di insieme. Nei primi due giorni vengono affrontati i temi parrocchiali, nelle tre sezioni: I clero, II uomini, III donne.

18 L. c . .Per la vita parrocchiale in Sicilia sono utilissimi: A. LONGHITANO, la parrocchia nella diocesi di Cata,nia prùna e dopo il Concilia di Trento, Istituto Superiore di Scienze Religiose, Palermo 1977, e i contributi dello stesso LONGIIITANO ,su Synaxis 1-5; G. Zrro, La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dus1net (1867-1894), Galatea .Editrice, Acireale 1987; special.mente la ·parte III, Vita e 111inistero pastorale del clero, 245486; G. DE RosA, Chiesa e religione popolare nel 111ezzogiorno, Laterza, Bari 1978; In., Vescovi, popolo e 111agia nel sud, Guida, Napoli 1971; In., Bakunin, Gra1nsci, Sturzo e il clero 1neridionale, in Storia conte1npora11ea 2 (1971) 3·15. 19 Il prin1.o Congresso della Parrocchialità, cit., 2. 20 G. FEnERICO, Il Vescovo Sturzo, Gela 1960, 29.


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Si discute del sacerdozio concepito come immolazione, come partecipazione alla pastoralità di Cristo: «Pro nobis sacerdos, quia sacrificiurn; pro nobis vietar et victima, et ideo vietar quia victima» 21 • Si parla degli uomini in rapporto alla indifferenza religiosa e all'opera dell'Azione Cattolica; si tratta dell'apostolato delle donne nelle famiglie, contro la vanità e la immodestia, e della Gioventù femminile di A.C. Negli altri due giorni, guardando a modelli come S. Giovanni Bosco e la Venerabile Maddalena di Canossa, si affrontano ì problemi dell'insegnamento del catechismo, della formazione dei catechisti, della responsabilità delle famiglie; si trattano pure i problemi della stampa, del riposo festivo e delle varie opere parrocchiali. Alla fine di ogni ,giornata c'è un importante incontro di sintesi tra i vari gruppi, quello che oggi si chiamerebbe "lavoro di intergruppo". E' ancora importante sottolineare il fatto che, oltre ai partecipanti al congresso di Enna, venivano giornalmente coinvolti tutti i fedeli della diocesi con omelie e funzioni sacre contemporanee. Un congresso, dunque, bene organizzato e ben riuscito! Tuttavia, se nelle definizioni di "parrocchia" e ''parroco" come nei lavori delle sezioni è facile riscontrare principi che sono validi sempre e nel vescovo e nei parroci più avvertiti elementi che precorrono i tempi, bisogna dire pure che le loro idee si muovono dentro una concezione di Chiesa gerarchica e clericale, di Chiesa come "società ineguale", né certamente possiamo trovare cate,gorie come Popolo di Dio, ministeri o carisn1a 22 né la concezione ·della parrocchia come "comunione di comunità", che si fa carico di tutti i problemi umani compreso 1

s. AGOSTINO, Conf. X, 43, I. Si veda il chiaro saggio di: A. LoNGHITANO, La recente riflessione sui 111inisteri e i riflessi sulla concezione degli stati giuridici dei battezzati, in Monitor Ecclesiasticus 106 (1981) 411-436. Cfr. anche il can. 519 del nuovo Codice di Diritto Canonico. li

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l'impegno socio-politico nel territorio 23 • Questi caratteri non ci sono perché non ci potevano essere, essendo connotazioni di momenti storici successivi. Qui siamo in un periodo di dittatura, anzi vicini alle leggi razziali del 1938. Il movimento cattolico è disorientato; l'Opera dei Congressi era stata soppressa già da molto tempo (1904) e il Partito Popolare Italiano, abbandonato a se stesso dalla Chiesa, aveva subito la stessa sorte degli altri partiti. Bastano alcune sottolineature che subito emergono quei tempi! «Riunione di Assemblea. Presiede S. E. Mons. Vescovo. E' relatore il Rev.mo Decano Mario Arengi, Parroco di Enna. Prima di dare la parola all'oratore, si legge in pubblico, tra la più viva attenzione e scattando tutti in piedi, la lettera che il Card. Pacelli, a nome di S.S., mandò in occasione di questo Congresso» 24 • Emergono parole antiche ma rivestite dall'aria dell'epoca, come nel caso seguente. Il canonico Di Fede, da Gela, parlando della Chiesa ne loda la «sua costituzione divina, per la mirabile gerarchia apostolica» 25 e il rev.mo Gioacchino Federico, ribadendo lo stesso concetto, dice: «Dal sommo Gerarca si arriva così attraverso gradi alle singole anime, ai piccoli nuclei, alle unità inferiori, le Parrocchie» 26• Eppure egli pronunzia una delle migliori relazioni per impostazione, organicità e dottrina, certamente quella che rispecchia più da vicino il pensiero del vescovo! Negli Atti le si dà più spazio 'di tutte (pagine 13-15). Il secondo giorno il parroco Salvatore Santoro da Mazzarino tratta il seguente tema: La lotta contro ogni azione contrastante o divergente nella Parrocchia. Si parla di lotta, ma contro chi bisogna lottare? E veniamo a sapere che i fedeli devono ubbidire ai comandi del parroco e devono preferire e fare preferire la chiesa par-

23 A. FALLICO, Il clero di Sicilia verso il terzo 1nillennio, in Comunità 15 (1988) 6-8; M. ·LISENI - A. SARCIÀ, Trenta parroci si incontrano attorno al progetto «Parrocchia Con1uniane di Conzunità}), ibid., 19-26. 24 lbid., 11. 25 lbid., 13.

in L. c.


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rocchiale nei battesimi, nei matrimoni e nei funerali! Gli ostacoli vengono nientedimeno che dalle chiese rettoriali e dagli istituti, e si cita il can. 859, par. 3! Per altro verso appare spesso la figura del parroco dotto e della parrocchia come oasi di pace. Leggiamo infatti nella relazione del parroco Milazzo da Aidone reminiscenze de La Chiesa di Polenta del Carducci! "Un'aura di pace, una soave tranquillità, un godimento di riposo, una sicurezza da ogni pericolo e da ogni ambascia, un oblio lene della faticosa vita [ ... ]» 27 • E il sac. Federico ricorda che Dante esule ha l'animo pieno di sdegno verso i suoi concittadini depravati, tanto che egli si sente «florentinus natione, non moribus», mentre sospira di riveder il suo bel S. Giovanni, cioè il battistero della sua parrocchia. Malgrado questi aspetti e anche limiti, il congresso diocesano della parrocchialità resta un fatto di portata profetica. Per queste n1gioni ci sembrano ben giustificate le parole con cui "Letture Domenicali", rassegna settimanale di vita cattolica siciliana, sintetizzava lopera episcopale del vescovo: «Mons. Sturzo era Decano venerato dell'Episcopato Siculo, che lo riguardò sempre come una fulgida gemma e come colui che rappresentava tutto il passato quarantennio di fatiche e di lavoro dei cattolici siciliani, alla testa dei quali fu sempre tra le guide principali, nel campo del lavoro pratico e fecondo, specie in quello delle attività sociali di Azione Cattolica» 28 •

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L. c.

2& G. FEDERICO,

op. cit.,

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AP1PENDICE

IL PRIMO CONGRESSO DIOCESANO DELLA PARROCCHIALITA' Il Congresso della Parrocchialità, tenuto ad Enna dal 12 al 17 ottobre 1937, c:orri&ponde ad u,i1 1deis:Uderio vivissimo del S. Padre Pio XI il quale diverse volte ha ~nsistito sul tema della Parrocchialiità, specialmente nella settimana nazionale della Gioventù .Maschile di A. C. tenutasi nell'ap.riJe del 1936: mCome furono gli Aipostoli, così i Vescovi, continuano ad es·sere la "longa •m:anus" del D1vin Redentore, che a.ndò via via span:diendo i tesori inestimabili id.ella Redenzione. E i Pa-r,roci, a loro volta - continua il S. Padre - sono la "longa ·m,aITTus" dei Vescovi, come lo dice il nome &tesso, la stessa et:iimologia. I nomi i.nfatti dtl «1parochus» e di parrocohia, i.nv]tano a considerare due eti11nologie: w1a che :propriamente riguarda la parrocchia ed è la più conosciuta: Parrocchia che viene da «ipaTa-oicos», ohe è proprio quanto dire un agglon1eramento non n1olto grande ·di persone che vivono insieme e 1hanno le loro case vicine l'una all'altra. E poi il 1Parroco è 1naturafo.nente chi 'Sta a capo idii questo agg ruppamento di persone conviventi in una relazione di assoluta vicinanza, quello ohe provvedle a tutt'a la collettività, a t·utto quello di cui la collctt1vità può aver bisogno nella sua inter'a vita ... Lns01n1ma è proprio quello che è nella :pratica e 1nella sua genuina sostanza il Parroco, l'uomo ic:he provvede a tutto. ·Per t·utte le -cose si va al Parroco che ha una parola, una proviv:idenza per tutti, proprio nella minuta pratica della vita. Ai Vescovi, ai successori degli apostoli il gettare le grandi Unee, 1dare grandi direttive, intervenire nei gr·andi m01nenti. Al Parroco prendere dal Vescovo e scendere alle ult~me particolarità della vita cristiana ... «E' ,questa la rpreziosi1tà, lo dignità, il 1merito g-ra:n1de del Parroco, quello :ohe il popolo sente così bene, ed onora il Parroco di tanta fiducia, specialmente nei momenti 1più difficili, qual]]-do tutti hanno più o .meno bisogno di un conforto, di un consiglio. Il ,PaProco è proprio la provvidenza di tutti quan'tiJJ, 1

Per richiamare i fedeli a questo concetto di Parrocchialità e di Parroco, il nostro amatissimo Vescovo ha voluto questo Congresso. Il pnpolo ohe conosce la prop1i-a Parrocchia e ìl proprio ·Parroco, non può assolutamente sfuggire all'atitività benefica di tale istituzione che .rappresenta in piccolo ciò che la Chiesa è in grande, cio:è la piccola Gerusalem.me rterrena che conduce le anime alla Gerusalemme celeste. Gli atti 'del Vescovo es.primono diffusamente questo concetto e la lettera 1d'el Supremo Pastore, il Santo ·Padre, ne è la -conferma rpiù c0infortain;te.


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Salvatore Latora ATTI DEL VESCOVO

Al Clero e al .Popolo della Citrtà< e Diocesi di Piazza ATmeri1na salute e pace nel Signore. A Dio piacendo dal 26 al 31 del prossin10 ottobre celebreremo in Enna il 'Primo Congres:so Diocesano della Pa·rrocchialità. Lo celebreren10 in Enna, perché è la città che ha il 1naggior ,nun1ero di parrocchie, e perché i,n Enna in quei giorni saranno com:memorati con p'articolare solennità S. Giovanni Bosco e la Serva di Dio Maddalena di Canossa; l'uno nell'occasione ,deJla benedizione dell'artistica statua, l'alitra nella ricor· renza del primo giubileo .della fondazione in Enna .cteUa prima casa di Suore Canossiane, e ness1rnno ignora quanta attinenza abbiano le Opere Salesiane e ·Cainos1siane con la vita '}Jarrocahiale. La Chiesa .è la Società CriSrtia!lla, la Società .fondata dallo stesso Gesù Cristo ohe ne è il ·Capo, la Società Unirversale, .Una per tutto il mondo; la Società che affratella nella stessa Fede, nena stessa Speranza, nello Jsteisiso An1ore i popoli di ~utte le stirpi, di tU1ite le lingue, di tutte le ci1Viltà, di tutti gli Stati; la Società reNa i·n noine e da rparte di Gesù Crisito ·dal Papa, che perciò è chiamato il Vicario dello ·stesso Gesù, il dolce Cristo in terra come lo chiamava Santa Caterina da Siena. Le Diocesi !Son le Società nel gran Regno, nell'unico Regino 1cùella Chiesa, nel Regno Univers·ale, .sono i 1Regni della stessa Chiesa, :sono i Regni particolari; i poteri legislativo, giudiziario e discjiplinare che il Papa ha per tutta la Ohiesa, sopra t,utte le Diocesi, i Vescovi li harn110, .suboI'.dinataniente, ne!Jie rispettive Diocesi. Questi poteri dei Vescovi con.feriscono all'Ondine, la subardin:azi0tI1e all'Unità. Le Parroochie son le Famiglie; son le Unità Lnferiori, come le Diocesi son le Unità 1Medie, -come la Chiesa è la Suprema U111ità. Ohe cosa potrebbe fare il Papa nel mondo, se non ci fossero le Diocesi? E che cosa potrebbero fare nelle Diocesi i Vescovi, se rnon ci fosisero le Parrocchie? 'La ,Chiesa virtualmente è nel Pzipa: Ubi Petrus, ibi Ecclesia; a reggere la Chiesa, col Papa, lo :Spirito Santo pose i Vescovi: Spiritus Sanctus posuit Episcopos regere Ecclesia111 Dei; i Parroci nella Chiesa son i pastori inferiori, e son quelli che hanno coi fedeli le comunicazioni im1me,diate. Di qui la g.r:anide importanza del lavnro parrooohiale, la grande impor,tanza della vitalità delle parrocchie, e, quando questa vi1talità, sotto l'azione dcl !.en1po, le insidie ,ct;el den1onio, la negligenza degli uomini, si attenua, la necessità, l'urigente necessità d'un lavoro di riainin1azione, risi,stemazione, di 1nuova fecondazione. Tra i tanti rnezzj con.ducenti a questo fine, non ultimi né i 1neno efficaci ·sono i Congressi della Pa,rrocchialità; e Congressi della Parrocchialità già si celebr'ano irn molte Diocesi; 1


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ed è grande fortuna che la nos:tra Diocesi .non viene l'ultiima in questo i·mportantissimo quanto necessario laivoro. Cause che qui non è .necess,ario enumerare, 1ninarono da lungo tempo in Sicilia la ·vita parrocchiale. Ora però è il periodo ·della r:iipresa, ne son ·segno, tra l'altro, i Cong ressi Eucaristici e . catechistici, parrocchiali, diocesani, regionali, che si &uccedono gli uni agli altri con ritmo accelerato e con entusiasmo. Coroneranno l'o,pera i Congressi della Parrocchialità. Occorre ridare al Clero e al Popolo il vero concetto della Parrocchia. La Parrocchia 'è la Madre; le altre Chiese son le Figlie, ci t.Son per la Parrocchia come ele1nenti di convergenza e non di separazione, tanto n1eno d'opi_posizione o di contrasto. Conosciuto bene che cosa è la Parrocchia e quale è la ·sua missione nella Diocesi, la rpredicazione ,parrocchiale viene guardata con altro occhio, ainata con al•tro cuore, frequentata come uno dei primi doveri del cristiano. Lo stesso si dica della ,santificazione della festa, della .dottrina cristiana ai fanciulli, dell'Azione ·Cattolica; lo stesso si dica della stessa Eucaris1tia. Quarudio run popolo ha smarrito il senso della fa•miglia, ·decaide; .decade la vita cri<stian:a, quando il popolo smarrisce il senso della parirocchiali;tà. 1

1

Le pastorali che io vi ho ·scritte s-ul Gior110 'del Signore, sull'Orazione Mentale, sull' Eucaristia e sul Cateohismo nelle es.plicazioni della Pastorale Collettiva, sono state una remota prep.:arazione a questo Congresso; allo stesso fine mira la . Pastorale sull'Educazione che si va rpubblicando su «L'Angelo della Famiglia>>. Di tali a,11gomenti p.rima di tutto si occuperà il pros·simo Congresso in 1-nodo sintetico e in ondine alla pratica; se ne occuperà nella visione centrale del rvero concetto della Parrocchia. Ciò premesso invitiamo il Rev.rmo ,Clero e il Popolo a intervenire numerosissi1mi al Congresso. Il ·Clero, come prep'arazione, vi recherà un particolare studio delle cennate Pastorali, rdi quel che si è fatto per t·radurre in pratica i sugger:iimenti e gli ordini; cJ1e cosa si potrà fare per un più efficace iisul,tato. Lntarnto 011diniarrno: 1° ·Che da oggi alla fine del Congresso nella Santa Messa, in luogo della ,Colletta A cunctis, si reciti la -Colletta dello Spirito Santo; 2° Ohe in tutte le Chiese Parrocchiali e nelle altre Chiese, anche in quelle dei Regolari, in tutte le domeniche di questo mese si legga e si spieghi la presente lettera si preparino i fedeli alla giornata Pel Congresso, c1he sarà celebrata in un giorno festivo con particolari preghiere e con la questua per concorrere alle non lievi spese del Congresso; 3° Ohe le singole :Parrocchie concor.rano a queste spese nella misura 1


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che le loro co.rndizioni consentono, n1a vi concorrano con generosità, considerando che il buon risultato del Congresso rifluisce a bene delle singole Parrocohie; 4° ,Che le som,me raccolte e snche 1-e offerte spontanee d'ani1ne :arniche di Gesù e della salute propria e al:t,rui, siano senza ritardo spedite alla nostra Curia. Fratelli e Figli dilettissin1i, non è il Pastore della Diocesi che vi ~nvita, 111a il Supremo Pastore della Chiesa, Gesù Cristo. Egli vi dà l'appunta1nento a Enna. Lì vi chiama e vi vuole e ·vi aspetta con le mani colme di grazie ohe Egli, Misericordioso e Ainoroso, verserà in larghissima n1isura su di Voi, sulle vostre .Parrocchie, sulle vostre famiglie, sulle vostre c·ase, sulle vostre catTl'pagne, ·pel temrpo e per l'eter.nità; Egli che vi chiama vi benedice per mezzo 'del ipovero Pastore, il quale, pieno di sante speranze, affretta col cuore i giorni della Miserico11dia e della Grazia. Piazza Armerina, 1° setlembre 1937. t Mario Vescovo 1

Al Clero e al Popolo della Città e Diocesi di .Piazza Armerina. Non posso aspettare i giorni del Congresso per comunicarvi la lettera con la quale il Santo Padre non solo ci concede la implorata Apostolica Benedizione, 111a ci onora del Suo Sovrano compiac:Un1ento e, con parole tutte luce e calore, ci traccia il più efficace .progTa1nma per la rigenerazione della vita parrocchiale. Ve la m·ando ora, perohé sia a tutti d'efficace incita1nenlo al lavoro di preparazione, d'autorevolissi1mo invito a partecipare al Cong,resso, a parteciparvi con amore ed entusiasmo nelle migliori <li,sposizioni di spirito per cavarne il masisi·mo profitto. Figli miei amatis·simi, or·a non è .più il 1povero Pastore che vi invita; vi :iinvita, v'incoraggia, vi consiglia con quelle voci che si ,ricevano come comando, lo ·stesso .Papa. E il Papa, il Vicario di Gesù -Cristo vi dice che la Ohiesa 1Parrocchiale è l'aula 1natema ·della preghiera, la famiglia provv~dia e cara, che i battezzati devono conosçere, -frequentare ed amare. Il Congresso darà a rvoi istruzioni e norme; nulla però potrà a voi dare il Cong,resso di più 'autorevole e di più fondan1entale. Le parole «aula materna; famiglia provvida e cara» dicano tutto e danno alla Parrocchia il carattere specifico ohe la distiniguc da ogni altro centro di attività religiosa, e ìa pone :al .primo e i.nsurrogaibile iposto. Voi, ainatissimi .parroci, leggerete il .pontificio documento ai vostri par·ro.cchiani in una delle prossime domeniche; voi, retto1i di chiese, lo leggerete ai vostri fedeli; voi, padri e niad!ri rdi famiglia, lo leggerete ai vos•tri figli, ai vostri domestici, ai vostri amici. Dopo averlo letto, vi i:ngi-


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nocchierete portandovi con lo spirito a ipiè del Santo Padre, e, come se il Santo Padre in quel punto vi benedicesse, voi vi riceverete l'Apostolica Benedizione segna11Jdovi .col segno della Santa Croce. Il povero PastoTe s'unisce a voi nello stesso spirito e nella 1stessa fede e anch'egli ·si prostra a piè del Santo Padre e si riceve con voi la Benedizione Apostolica.

,Piazza Armerina, 23 settembre 1937.

t

Mario Vescovo

LA LETTERA DEL SANTO PADRE Segreteria di Stato di Sua Santità N. 164430

Dal Vaticano, 20 Sett. 1937. E·ccellenza .Rev;ma, All'Augusto Pontefice è ·sembrato :degno Idi elogio e di approvazione il divisan1ento iehe l'Eccellenza Vostra Rev.ma ha tpreso di tener ad Ernna il primo Congresso Diocesano della pa·rrocchialità. I feliCi presagi, che Ella trae da questa celebrazione diligentemente 'Preparata e fervorosa· mente attesa ,sono condivisi anche dal Santo Padre, il Quale nella vita parrocchiale bene 011ganizzata e ,curata in ogni suo aspetto vede uno dei principali fattori di rinascita religiosa, di vittoria sulle disgregatrici forze del .n1ale e di magnifica .rifiorirtura della rfeàe. Pr~mo elemento idei ivasto edificio visibile e .sociale della Chiesa, aula materna idella preghiera, iSorgente di luce, focolare di attività sante, sacro recinto, dove le ani1me si mvvicina.no e si uniscono al .meidesilno Altare ed elevano in cor.o a ,Dio le ,voci idi giubilo, dell'adorazione, del ringraziamento devoto e idei supplici voti, la ehiesa parrocchiale è la .famiglia provvida e cara, ohe i battezzarli devono conoscere, f,requcntare ed aimare, lieti di onorarla con la loro virtù e di renderla sempre posseinte con la loro generosa ipartecip·azione personale alle varie rma:nifestazioni ·della sua attività. La Santità Sua augura di cuore ahe il Congresso, così apportunan1entc indetto, coi suoi insegnam·enti e con le sue dirett1ve ;pratiche sviluppi nei sacerdoti e nei fedeli urna stima e un'affezione crescente per l'istituto della parrocchia e sia ad essi nuovo ed energico stimolo, perché in perfetta ar1nonia d'intenti e di fat,tivo lavoro sappiano portare le sin~ gole paI'.rocchie di cotesta Diocesi a novella vitalità e pevfezione. Il coanun Padire conv'alida il voto con la Benedizione Arpostolica, e i1nparte volentieri questa a V. E. e a quanti si adoperano per il fausto svolgi.mento e successo del Congres·so o a:d esso interverranno. 1


Salvatore Latora

114 Mi valgo con di sincera st1m"a.

pi~cere

della circostanza per confermarmi con sensi

di Vostra Eccellenza Rev.ma Servitore

E. Card. Pacelli A Sua Eccellenza Rev.rma .Monsignor ·Mario Sturzo Vescovo di Piazza Armerina

PROGMM!MA DEL CONGRESSO Giorno 12 (,1nartedì) ore 17 - Apertura del Congresso - Confereinza di Mons. Vescovo. Giorno 13 (rmercoledì) ore 7,30 - In ciascuna Parrocchia: ·Messa con C01I11unione igenerale preceduta da mezz'ora di meditazione. Ore 9 - Sezioni. Sezione I - 1Clero. Sezione II - Uomini. Sezione III - Donne. TBMI - Sez. I. - Il Sace:PdOzio concepito come pastoralità; la pastoralità concepita come partecipazione alla pastoralità di Gesù C'risto che è <~Pastor bonus» il .quale mdat animam suam p.ro ovibus suis» o, come dice S. Agostino: <('Pro nobis (Deo) sacendos et saorifìcium et ideo sacerdos, quia sacri:fìcium; pro nobis victor et victima, et ideo victor quia victi,ma}> (1Conf. X, 43, 1°). Il sace:ridozio è i'm-molazione; la rpastoralità è saccridozio; per questo anch'essa è immolazione. Da q1uesto modo di concepire il sacerdozio deriva più .chiaro il dovere d'ogni sacerdote della propria santificazione sino alla morte •dell'uomo vecchio. Il sacer:dote che non si immola sino a spegnere in sé ogni forma d'egoismo; il sacerdote che per la .gloria di Dio e la salute delle anime non iè disposto ad ogni irn.molazione, non è vero sacerdote, non è rvero pastore, .ma indegno mer~ cenario. La fecondità ·del 1sacerdote è in 'Proporziane del grado della sua i mmolazione. La ,sua fecondità non è da lui, ima da Gesù Cristo nella misura che Gesù Cristo ,vive in lui. ·Gesù 1Cristo vive in noi nella misura che noi cessiamo idi vivere a noi .nel nostro egoismo. Motto sintetico di questo lavoro di santificazione, quello di S. Ignazio di Loyola: «L'orazione per la mortificazione, per l'1unione con Gesù 1Cristo» (Relatore Parr. Giacomo Magno). Sez. II - Uomini Cattolici e Gioventù Catrtolica. Urgente bisogino di promuovere largamente l'Unione degli Uomini cattolici e le Associazioni 1della .Gioventù; a) per vincere l'indifferenza .re1


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Jigiosa del sesiSo maschile; b) per formare uomini e .giovani a questo apostolato nella famiglia e nella società; e) 1per fecondaTe le vacazioni al sacer-dozio di ·cui la diocesi e qui,ndi le parro-cchie hanno urigentissimo bisogno (ReI. Pa:rr. Mario Scarlata).

Sez. III - ·Donne Caittoliohe e Gioventù ifem:minile di A. C. ·L'Azione Catt. conceipita come mezzo efficace di rinnovazione in Gesù Cristo della vita 1cristiana, che non consiste nelle pure pratiche esteriori, ma nella ·Vera e propria interiorità evangelica. 'L'Azione Cattolica deve formare anin1e sante e deve rerndiere idonee le donne all'apositolato di santificazione del rprossi'mo secondo le possibilità 'del loro stato. Nella vera vita interiore non c'iè posto per la vani:tà, tanto meno rper la vanità morbosa del vestiire ,poco modesto. In mezzo a tante occasioni di dissip'azione, le donne e le giovani di Azione .Cattolica devono, ,come Santa Caterina da Siena, forunare in se stesse, nel fondo del proprio cuore, la oella ove possano S'pesso ritirarsi con Gesù 1n quell'abituale raocoglimento che è condizione necessaria per vincere le seduzioni del ·mondo e fare il bene con perseveranza (Rel. ·Mons. Antonio Li ,Destri). Ore 16 - 1ln ciascuna Parrocchia per i rispettivi parrocohiani predica sul fine dell'uomo al cui conseguimento è ordinata la vita parrocchiale. Ore 18 - In Santa Chiara assemblea con ·discorso sintetico degli argomenti svolti la mattina nelle rispettive sezioni (Rei. ·Decano M. Arengi). Giorno 14 (giovedì) ore 7,30 - 1111 ciasouna parrocchia come il giorno precedente. Ore 9 · Sezioni. Sez. I - Clero. Il Parroco sul modello di San Gio;vanni Vianney. Gli alt ri sacerdoti come .cooperatori .diret•ti o indiretti dei rispettivi Parroci. La lotta contro ogni ·azione contrastante o divergente. La parrocchia è la ,madre, è il centro deila famiglia parrocohiale. Motto d'ordine: «Tutto nella parrocchia o in ordine alla rparrocchia, tutto in arunonia colla parrocchia (Rcla· tori: Paid!re ·Luigi Di Rosa · ·Par·roco Sa1'v. Santoro - ·Parr. Gius. Velardi,ta). 1

Sez. II - Uomini. La santificazione della festa secondo la pastorale «Il giorno del Signore)}, Motto ,d'ordine: (<La n1attina delle domeniche e .feste tutti in Parrocchia per la S. Messa e l'omelia, il pomeriggio tutti in parrocohia pel c·a·techi&mo» (Relatori: Parr. Francesco Galesi - .Pa.rir. Lorenzo Milazzo). Sez. III - Donne. Lo stesso tema. Motto d'ordine: ((Tutte apostolesse della Pa:rrocchialità. Mattino e pomeriggio tutte in parrooohia con i rispettivi uo·mini» (Relatori: ,Parroco 'Luigi Giunta da Enna - Can. Antonino Di Fede). Ore 16 · In .ciascuna Parrocchia predica sul p,rogra·mma dato da Nost·ro Signore alla se11va di Dio Luisa Margherita Claret De la TouC'he:


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I parrocchiani attorno al Parroco, i diocesani attorno al Vescovo, i cristiani attorno al Papa come una catena che leghi gli uomini in Gesù e.risto nell'unità degli spiriti e .dei cuori, nella luce della Verità e della Carità. Ore 18 - J.n S. 1Chiar'a as·semiblea con discorso sulla Chiesa come suprema unità, come u;nità universale, come unità di Fede, Siperanza, Amore ed Opere ohe genera le rn1ità medie, le Diocesi, e le inferiori, le Parrocchie. Ragione di questa gerarchia ·di Unità: dovere di vivere nelle 'medesime con profondo ed efficace spirito di disciplina, con l'amore col quale nella vita naturale si vive nella famiglia, nella rpatria, nella nazione, anzi con un amore ,più profondb e più .puro, qual si conviene alla vita .s0ipranna~ turale ordinata -alla vita eterna (R.el. Tesoriere Gioacchino Federico). Ore 19,30 - ·A S. Giuseppe ad uditorio di intellettuali, discorso sul te1ma: <<'La ,religione nella pratica è la vera filosofia della vita» (Rel. PadTe Luigi Di Rosa). Giorno 15 (venerdì) -· S. 1Giov,anni Bosco. Ore 7,30: Mat,rice - Messa con Comunione generale. Ore 10: Matri'ce - ·Messa solenne con p·anegirico in onore di S. Giova:nni Bosco. Pontiilìca 'Mons_ A. Addeo Oratore: Can. Vincenzo Batù. Ore 16 - In ciascnna parrocchia istruzione -sul catechismo ai fanciulli. Doveri dei parenti in ordine alla frequenza e assi,duità dei loro fanciulli al catechismo. :Cooperazione al ibuon andamento e all'oridine del cateohismo nelle ,rispetti,ve parrocchie, sopratutto con le funzioni disciplinate ·di catechisti e catechiste. Ore 18 - A'S'semblea con discorso sul ,metodo educativo di S. Giovanni Bosco in ordine al catechismo ai .fanciulli (Rei. Padre Luigi Di Rosa). Giorno 16 (sabato) - ,La Venerabile Maddalena di Canossa. 011e 7,30 - 'Messa con Comunione nella 'Chiesa del Collegio di Maria. Messa con Comunione per i 1fan1ciulli e le fanciulle in tutte le parrocchie. Ore 10 - Matrice - Messa solenne con sermone sulla .missione catechistica della Ven. M. di Canossa (Rel. Mons. Angelo Termine). Ore 16 - In ciascuna parrocchia predica sulla vita di famiglia vissuta cristianamente; sulle letture pie in comune, alrne:no le dòmeniohe, e .sulla recita del S. Rosario in comune, la sera. Ore 17 - Nel ,salone delle Canossiane - Assemblea con disco.Iìso su la vita e le opere della Ven. M. di Canossa ed accademia pel XXV dell'apertura della :prima casa canossiana in Enna (Rei. Padre Luigi Di Rosa). Gio~no 17, Domenica. ,Dalle 23 del sabato alle 2 della dorn,enica, sacra veglia in Matrice con Messa e Comunione, per .soli uomini. Ore 12 - Solenne 1PontiJìcale ed omelia (Mons. G. Peruzzo). Ore 16 - Solenne processione euc'ari1stica di chius;ura. 1


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Il comitato promotore

Rev.·mo Mons. 1Dott. Angelo Te:rimine - Decano Dott. Mario Arengi · Can. D. Concetto ·Mongelli, degli Oblati di Maria. Elenco dei

Sace~doti

intervenuti al Congresso

Da Piazza Al1ffierina: ,RevJmi ,Mons. Vincenzo Fondacaro, Vie. Gene· raie; .Prev. Parr. ·àella ,Cattedrale D. Giuseppe La Vaccara; Parr. Gran Priore di S. Andrea D. Giuseppe Velardi ta; Tesoriere ·D. Gioacchino Federico; Can. D. Giuseppe :Carbone; Can. D. ·Guglielmo Raimondi; Sac. D. Francesco Federico, ·Cancell. Vescovile; c·an. iD. Giuseppe Di Seri. Da Eutera: Parroco rdella Madrice D. Mario :Scarlata; Can. Giuseppe Vullo. Da Barrafranca: D. ·Luigi Giunta, Parroco della ,Madrice. ·Da Enna: Tutto il Clero al completo. ·Da Gela: Mons. D. Antonino !Li Destri, Parr. Arcidiacono della Madrice; Parr. D. E·manuele Martor'ana di S. Giacomo; Can. D. Antonino Di Fede. Da Mazzarino: Can. D. Salvatore Santoro, :Parr. della Madrice; Can. D. Salvatore :Calì, Parr. di S. Maria Maggiore; Can ..D. Ferdinando Quat· tracchi di S. Lucia; ·Can. 1D ..Giuseppe Scebba, della B. V. della Lagrima; Can. Salvatore Cannarozzo; Can. D. Vincenzo Alessi ·Ba.tù. Da Niscemi: Can. D. Francesco Galesi, Parr. della Madrice; Parr. D. Francesco Spinelli di S. Giuseppe; Pa.rr. D ..Luciano Tizza del Purgatorio. Da Pietraperzia: Parr. della Madrice :D. Michele Carà. :Da Riesi: :Parr. Arciprete della Madrice Don Ferdinando Cinque. Da Valguarnera: ·Parr. della ·Madrice ,n. Giacomo ·Magno; Parr ..di S. Giuseppe :D. Umberto Longo. Da Villarosa: Mons. Luigi Scelfo, Parr. Arciprete della Ma:drice; Par.r. D. Giovanni ,Camn1arata della Concezione. Da Villapriolo: Parr. D. Giuseppe Camrpo. 1

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IL CONGRESSO 12 Ottobre

Apertura del Congres·so Avvenne al Teatro Comunale e parlò al foltissimo uditorio attento l'Ecc.imo Mons. Vescovo D. Mario Sturzo, ·dopo aver ,detta la preghiera di rito e dichiarato aperto il Congres·so. Erano presenti oltre a S. E. il Prefetto, tutte le Autorità civili e politiche della Città, il Clero cittadino e diocesano e gran numero di congressisti. L'Eccellentissimo Vescovo 1


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trattò della Parrocchia in qu'anto è l'organismo i1mmediato della vita cristiana. La vita cristiana è interiorità, è la vera interiorità, quella che, fuori della .Chiesa, non è rpossi1bile attuare nemmeno come semplice perfezione natur'ale. Il vero organismo della vita cristiana è la 1Chiesa ohe è la grande società, la società universale, il regno ·di Gesù Cristo. La Chiesa è veramente universale, perch:è è veramente individuale, ·perché è vera interiorità. La sua organizzazione come società, cìuè, la sua organizzazione esterna c'è per la sua organizzazione interna; la vita di corpo per la vita di ·s•pirito, per la vita dello spirito che è la vita interiore. Nel mondo non c'è altra società universale; universale c'è solo il concetto di umanità che ha il suo corrispondente concreto nell'indivLduo. L'un1anità è tutta nell'indivi:duo, è u:no svolgi1nento .di tutto ciò che di essenziale Dio ipose nell'individuo. Universale nell'umanità .c~è sol-0 la morale. ·Chi parla delle morali, se non vuol err·are, deve giudicarle come attuazioni relative e parziali e progres·sive dell'unica morale..La morale è l'ordine della vita interiore che si 1manifesta e organizia socialmente nelle azioni e negli i·stituti sociali. Perciò S. Tommaso potè di.re che «la legge lllffiana in tanto ha ragione di legge, in quanto deriva dalla legge di natura», la quale, come dice S. Paolo, è .scritta nel .fondo della coscienza, «opus legis .scriptrnn in CO.Ildilbus)), La vi,ta cristiana è la vita morale soprannaturalizzata. Il Cristianesimo è uni versalità, 1perohè la vita morale è universalità. Il cristianesimo è religione, è la .vera religione, è religione ·positiva; ma il suo forndo è la religione naturale -c..-he è la stessa morale. La morale è l'ordine interiore dei raipporti uinani. I prin1i e i più veri r'aipporti l'·uomo li iha verso Dio. La .morale è l'ordine interiore che si fa esterno socializzandosi; dico l'ordine dei doveri. Ma i doveri nel ·mondo ci sono, perché l'uomo è da Dio. Senza .Dio, veri doveri .tra •Uomo e uomo non ce ne sarebbero; ma senza Dio non ci sarebbe nemmeno l'uomo..Perciò disse Tommaso Moro che tutti i doveri sono un sol ,dovere: il dovere verso Dio, ·da cui scaturiscono i doveri verso noi stessi e verso gli altri. La moral.e, 1così concepita, né è possibile concepirla altrimenti, è religione, è l'aspetto naturale ,della religione, che diventa la religione cristiana per la elevazione al soprannaturale, per la rivelazione dei misteri, per l'integrazione .con la parte ,positi,va. Lo dlis se .solennemente S. Giacomo, quando dichiarò che «la religione pura e immacolata al cospetto <li Dio e Padre, ·è visitare i pupilli e le vedove nelle loro tribolazioni, e serbarsi mondi da ogni peccato}}, Il culto non è tutta la religione, .ma ·tU1a parte, è la 'parte ·che riguarda Dio direttamente e che influisce sulla vi,ta ohe chiamiamo etica, la investe ed eleva e santifica; n1entre l'etica, cioè, tutte le azioni della vita nell'ordine dei fini, è il culto d'o:gni ora che prestia·mo a Dio 'compiendo i nostri doveri, .che fa del .mondo un gran ,tempio, delI'anLma un s·antuario. Perciò la S. Scrittura chia·ma Regno di 1Di.o la Chiesa, Regno di Dio l'ani·ma: «Regnum •meuun non est de hoe 'munda ... Re.g:num Dei intra vos 1

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est. .. » Perciò acca.nto al sace11dozio 1per virtù degli ordini ,sacri, c'è il sacerdozio per virtù della iCOns:acrazione della carità. «Et fecisti nos Deo nostro -regnu1n et sacerdutes, et .regnabimus super terram}>. Il cristiano è :nel regno di Dio, ed è il regno di Dio; s'inchina al sacerdote, ed è sacerdote. Re, per regnare su se 'Stesso; saceDdote, rper offrire se stesso a Dio ostia di lode e di pentimento. La universalità della Chiesa non poteva meglio venir disiposata alla .sua ragione di indivi1dualità; né meglio ipoteva esser insegnato agli uomini che tutta la redenzione fu ordinata aUa santificazione dei singoli individui nell'.ord:i.ne -della universalità. ,La storia è il libro ipiù interessante nel mando. Ma la storia è storia perchè gli agenti sono gli indi1vidlui. La storia ipiù bella, più interessante, interes,sante pel tempo e per l'eternità, .è la storia della santità. Ogni santo è una storia, perchè la ·s·antità è tutta la interiorità in azione. E' la storia umana e divina, la storia dell'uomo che cerca Dio, che lo trova e lo ama e si santifica, è la ·s'1oria di Dio che cerca l'uomo, [Jreviene le sue preghiere, benedice le sue azioni, si dà a lui e vive in lui. La santità è storia d'an1ore; i santi sono i veri inna1nora:ti, perohé sono innamorati di Dio, ai quali Dio risponde da innaunorato. La parrocohia è l'organismo immediato della vita cristiana, perché nella rparroochia il lavoro sociale ·di istliuzione e di santificazione s'individuaiizza. La parrocchia ;inira all'indivi•dfuo; il :parroco è pasto.re e padre. E noi ·per questo, come arnian10 la madre Chiesa, dobbiamo amare la madre parrocchia e in essa e con essa attendere alla nostra santifica· zione.

LA ,PRIMA GIORNATA 13 Ottobre 1937

Sezione Clero E' relatore il Parroco D. Giacomo Magno. Presiede Mons. Vincenzo Fondaicaro che reca la Benedizione di Mons. Vescovo. Segretario Sacerdote Francesco Federico. E' presente il 'Clero cittadino al completo e gran rparte 1del 1Clero Diocesano. ·.Parla il Parroco Magno del Sace11dozio concepito come pastoralità. Il Pastore è 1partecipazione della pas,toralità id.ii Gesù ·Cristo il quale è Pastor bonus e dat animam sua111 pro ovibus suis. Questo concetto è rfonasto impresso nella coscienza cristiana 1fin dalle pr~me tradizioni. La Pastoralità è come la sintesi di tutto l'apos,tolato. I sacerdoti sono cooperatori di Cristo. Egli i1nfatti prima di dire il «pasce» a Pietro richiese da lui l'attestazione •dell'amore. S. Pietro e S. Paolo dànno calde raccomandazioni ai rpastori delle anime perché il loro apostolato sia frutto di amore perché pascano e governino non per vile 1guadagno, ma per amore. Cristo 1

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è il ~modello. E come Bgli di0de la .sua 'Vita per le anime, così i Sacerdoti e i 1parroci 1devono anch'essi immolarsi. Devono imitare ·Cristo nell'ansia per la ricerca della ipecorella smarrita, nel sacrificio, specialmente nel Sacrificio della Messa. Questo sacrificio è i:Inmolazione di Cristo, ma anche immolaziane ·d1el sacerdote per custodirsi puro •in questo mondo e portare le ani111e a Dio. Sacrificio che importa la castità per cui il Sacerdote non si ·distingue dal religioso, povertà, perché il pastore non deve badare agli interessi ·materiali, ma a quelli delle anime, UJbbidienza, già promessa al Vescovn. Quanti ideali di sacrifici e di apostolato nella gio· ·vinezza: dedicarsi alla salute delle anime per portarle a -Dio, dolore per i peccati degli uomini. 'Per at tuare questi ideali occorre I'im,molazione certe volte anche cruenta come i mirabili es·e1npi che ci hanno lasciato recente111ente eroici pastori nella Spagna, nel Messico, nella Russia, i quali non lasciarono il cain11po di lavoro se non col martirio di sangue. Ma se non con questa i1nmolazione di sangure, tu'l ti -devono im•1nolarsi col sacrificio silenzioso, quando si è avwersati dal male del 1mondo; quando si è oppressi dal lavoro. Il parrroco 1deve interessarsi di 'tutti i bisogni delle anin1e, dei fanciulli, ·degli ignoranti, !malati, peccatori, buoni, dell'Azione Cattolica, ovunque e sen1pre, senza in'lpazientirsi né inorgoglirsi, senza averne male .nell'ani111a e tutto questo è immolarsi. «-Cadrem·mo in un grave errore - così egli dice - se dovessimo ridurre il nostro lavoro parrocchiale al 1disbrigo di carte matrimoniali e alla corrispondenza epistolare con i nostri superiori. ,Cadrem.Ino in un gravisshno errore se i fedeli dovessero vederci solo quando celebriamo la S. Messa, e se idupo quell'oretta di tempo la -chiesa ·dovesse serrarsi e il iparroco dovesse essere irreperibile per tutte le altre ventitrè ore. Se questo stato di cose dovesse durare anni e anni e avessimo la stoltezza di dire cJ1e nella nostra :parrocchia non c'è da fare e che possiamo dedicarci ad -altre cose che «non sunt ad Deum)) (Heb.), io m-i domando se proprio non siamo di quei ·mercenari che N. S. Gesù Cristo condannò quando parlò dcl Buon Pastore. Ai poveri il Parroco dev'essere padre e sos tegno, e il bacio sta1n.pato sulla sua mano sace:rrdOtale da un povero vecchio cadente, che egli ha satollato col suo dan·aro e con quello procurato da altri, per esem,pio, con le Cnnferenze di S. Vincenzo ide' Paoli, dovrebbe essere una sua pura gioia, oltre a quella ohe gli darà Dio. Ai Fanciulli, agli ib,111oranti dev'essere più che madre, luce e guida: egli deve penpetuare la- scena divina della Palestina <(Sinite parvulos venire ad me» (Matt. XIX, 14). Ai peccatori deve aiprire gl'infiniti tesori della misericordia del Signore, -facendosi .così continuatore dell'opera di -Gesù che venne a cercare ed a salvare i peccatori. Contro i .vizi e gli errori dev'essere avversario illuminato e prudente, e con coloro che sono istruiti nella fede e con i buoni dev'essere il 'maestro che li conduce alla perfezione. Ciò richiede studio, carità e la predicazione, .proprio quella crnnandata dal Codice di Diritto ·Canonico. Ai malati deve conforto e assistenza, :perché i dolori della vita siano sopportati pazientemente e quando sarà giunto 1

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il momento ·della 1norte, perché l'anin1·a santiJìcata dalla grazia e purificata dal dolore sia da lui consognaia nelle mani di Dio. I Vica.ri cooperatori in questo lavoro grande e continuo ·sono al certo i nostri buoni aiutanti, ma non 1possiamo riservare ad essi soli questa sublime missione sacerdotale. •Proprio qualche gianna addietro un buon uomo quasi paralitico mi inandò a dire: «Voglio ,proprio lei. Mi vi recai: aveva bisogno di conforto e non lo trovava, perché i ,parenti e i vicini dicevano che avev·ano da fare. Più che parlare io, :parlò lui e di Gesù Crocifisso: lo ascoltai con ammirazione, aggi.unsi qualche .parola e ini alzai 1per andarmene. Disse quell'uo1no: «E la Comunione non n1e la porterà domani?». Co1nipresi che ero stato un trascurato nel ,non far cadere il discorso su questo grave argomento: 11la lo Spirito Santo oper"a tante volte anche senza di noi. Tornai a sedePmi, lo confessai e poi me ne andai edificato. Se facessimo così con frequenza quante anime sarebbero santificate! ,E l'Azione Cattolica, che di tanti laici fa tanti apostoli in aiuto al .1ninistero pa.rroechiale e che tanta forza e tanta ·virtù seria e profonda porta alle anime degli associiati nelle quattro grandi organizzazioni, non ha nel Parroco il suo Iegittin10 .capo? In tutti gli stadi della vita, dalla culla alla tomba egli è sem1pre presente, di. giorno e di notte nello svolgersi pacifico della vita e nelle ·p.ubbliche calamità. Per far .tutto ciò sempre e bene, cioè con a1nore, ·con gentilezza, senza stanoars·i, s·enza averne inale nella sua anima, .nei necessari rapporti, che dovrà avere con gente così diversa di carattere, di temperamento, con persone ·di ·diverso sesso, è necessaria una perfetta im,molazione. I m·molarsi, .perché dobbiamo essere profonda1nente pe1~suasi che la fecondità del lavoro non è da noi, ima da Gesù che vive in noi: «vivo aiutem jam non ego, vivit vero in mc Christus» i(Gal. 2, 20), e che bisogna prima 1norire a noi stessi, vincendo il nostro orgoglio ed il nos·tro egoismo, per essere stru1ne.nti adatti nelle n1ani di Dio ad operare la santificazione delle anime. E quanto più saren10 immolati a noi stessi, tanto più il nostro apostolato sarà fecondo. Ecco la in1n1ensa distanza che esiste tra un Parroco santo e un Parroco ·che ha una qualche pietà e qualche poco di imn1olazione; nel prin10 la in1111olazione è piena, nell'altro è solo inc1piente: del primo si serve Dio per travolgere il mondo, ·clel secondo Iddio si può servire solo per ,fare qualche cosa. Questa considerazione ci fa spiegare perché facci an10 tanto poco bene nelle nostre parrocchie e perché non siamo riusciti a convterlire tante anilnc, e perché tanti e tanti mali regnano indisturbati tra le nostre :pecorelle. Ma oltre a fare questa constatazione così amara, dobbiamo ancora avere una profonda confusione di noi stessi, al vederci ancora così lontani da quella im:molazione a cui dovren1mo tendere per essere più simili a Gesù Pastore; ,mentre dall'altra pa·rte .non ,dobbian10 affatto inorgoglirci di qualche !facile successo, da imputare piì.t alla grande misericordia di Dio che alla n"Ostra valentia. Dove troverà il SacePd:ote, il Parroco questo spirito di sacrificio e 1

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questa i·mmolazione? Nella vita interiore. E' questa una risultante dei princi pi soprannaturali ben compresi, assaporati e vissuti, per oui si vive di fede e abbracciati alla croce di Gesù. La fede è il faro che ci illumina le tenelbre della coscienza e del mondo e crea in noi un cuor nuovo e un'anima nuova, una visione nuova della vita. ·La croce è una bandiera, ,un programma, è l'esemplare divino del vincitore perché vittima, secondo la iforte frase di S. Agostino, che ci obbliga a seguirlo: <(Qui wult venire post me, abneget sernetipsum, tollat crucem surnm et sequatur me» (·Mtt. 16-24). «lustus 1neus ex fide vivit» (ad Hebr. 10, 38). «•Cristo confixus sum cruci» (ad Gal. 2, 19). Questi principii soprannaturali, im1parati nei teneri anni, approfonditi nel Seminario, innaffiati ·dialla grazia con l'Eucaristia e la preghiera, difesi col separarsi del mondo, andando solo al mondo quando lo dobbiamo santificare, vanno quotidianamente rivissuti con la meditazione e l'esame di coscienza, e ogni biennio al1meno con gli esercizi spirituali e col ritiro mensile. Due Sommi Pontefici hanno -parlato a noi Sacerdoti e 1Parroci in due recentissimi docum1enti: .Pio X nell'«Exortatio ad Clerumn del 4 agosto 1908 nell'occasione del s.uo Giubileo sacerdotale, ed il regnante Pontefice Pio XI nell'Enciclica sul Sacerdozio -Cattolico <diel 20 dicembre 1935, anch'essa scritta nell'occasione del suo Giubileo sacerdotale. Essi ci hanno ricordato l'altezza del nostro ministero, i saeri doveri che ci incombono, i mezzi che dobbiamo usare. 11 nostro Ecc.mo Vescovo non si lascia sfuggire alcuna occasio.ne per ricordarci t·utte queste cose e per spingerci sempre più in alto. Il Santo -P1a,rroco Giovanni ·Maria Vianney, che questo -Congresso vuole prarporre .come esempio a tutti i sacerdoti, e specia1rnente a chi ha cura di anime, ci stia sempre -davanti. Non sarà il lato miracoloso e straordinario della sua vita che noi potremo sperare di i1mitare, perché «Spiritus ,uhi vult sipirat)), 'lna l'amore profondo che egli aveva al suo Dio, l'amore che aveva alle ·anime, con quel progran1ma che si formulò sin da giovane: «Se sarò prete vorrò guadagnare molte anime a ,Dio}>; potremo e dovremo in1itare il suo spirito d;i umiltà, il suo spirito di ipreghiera, la sua .mortificazione, i ,tre grandi mezzi, che resero così fer'ace di bene il suo ministero parrocchiale e che resero possibile la sua piena immolazione. Questo :primo Congresso della Parrocchialità vuole mettere nella sua gi,usta luce la Parrocchia, questo grande onganismo che è in diretto e immedi,ato contatto con le anime. Vuole mostrare ai 1f:iedeli come e quanto essi debbono amare la Parrocchia. Ma vuole ancora prima di tutto dire a noi, che siamo in cura di anime, Parroci e Vicari Cooperatori, di essere all'altezza ·del nostro :ministero. Che cosa varrebbe avere una cattedrale, una chiesa parrocchiale, soleggiata, ampia; cosa varrebbe avere ricchi tesori, dono della pietà degli antichi, e congrue più o meno sufficienti, assicur'ate a noi da leggi sapienti? ·Cosa varrebbe tutto ciò per il Regno di Dio? Darebbero tutte queste cose, pur buone e giuste, gloria al Padre nostro che è nei cieli, e porterebbero alto alto le anime, se non vi fosse in 1


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quella Chiesa, in quella casa il 'Pastore buono, il Padre, che come Gesù dà la sua vita per le pecorelle? .Quella ,Chiesa bella ma deserta sarebbe come quei monumenti archeologici, che si visitano rper istudio o per .curiosità, anzicchlè ·palestra di ogni virtù: quella Casa ocoupa{a da •UD essere pigro, orgoglioso, mercenario e comunque .peccatore, sarebbe il colte1Io di un gregario a ·servizio del regno di Satana, anzicché la cittadella di un capitano del Dio d:ei cristiani. La Parrocchia prin1a di tutto e 1sopratutto ha bisogno -del Pastore secondo il cuore di Dio, pieno dello s.pirito di sacrificio, sin1ile al divin Maestro che si chiamò il Bi.1on Pastore. Il Si1gnore per l'intercessione della -sua Im1n·acolata Madre, ci dia la grazia di essere quei Buoni Pastori e, come prometteva S Pietro nella sua I Epistola ai Pastori del suo tem·po, «Quando apparirà il Principe ,dei Pastori, riceveremo anche noi la incorruttibile corona di Gloria» (I Pietr. 5). Sezione Uomini. E' relatore il Rev.mo Mario Scarlata, :Parroco <li Eutera. Presiede il Rev.mo Mons. Luigi Scelfo da Villarosa, segretario è il Rev.mo Tes. Gioac chino Federico. Il Relatore con parola 1persuasiva, tratta della necessità di promuovere l'istruzione delle .Associazioni Uomini e Gioventù, dichiarandone i compi ti e facendo .vedere il bene che esse compiono in ogni :parrocchia a se stessi e agli altri. Descrive inoltre la desolante ignoranza nel .campo maschile delle cose di religione e l'urgente bisogno che si rechi il rimedio a questo fatto. Parla inoltre 1dlel .piccolo Clero che in aloune Parrocchie già esiste e fa vedere come .proprio l'Azione Cattolica maschile deve aver aura principale delle vocazioni ecclesiastiche. Avendo considerato quindi la pericolosa indifferenza religiosa degli uomini, il bisogno di un apostolato efficace nella .famiglia e nella società e l'urgenza di avere vocazioni ·sacerdolali si fanno voti: 1° che in ogni .Parrocchia .si istituisca l'Unione Uom:ini e Gioventù ·Maschile; 2° che si sviluppi lo studio metodico della cultura religiosa; 3° che in ogni Parrocchia si aiutino e si incoraggino le vocazioni ecclesiastiche. Sezione ·Donne. Presiede il Rev,1no Mons. Li Destri, Areici. Parroco della Maicùrice di Gela. E' segretario il Rev ..mo Gr. 'Priore D. Giuseppe Velardita. E' relatore lo stesso ·Presidente. Dopo a:ver parlato dei compiti della donna nella società e specificatamente nell',Azione Cattolica, concepita com,e .mezzo efficace di rinnovazione in Gesù :Cristo della rvita cristiana, passa alla considerazione di quello che alcune [\/Olte non è l'.A. C. intesa in questo senso, e dice: «-Come l'uon10 risulta di ani1na e di corpo e il corpo non ha nessun valore, se non in qu'anto è vivificato dall'anima, così anche nella Parroc-


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chia abbia1110 l'anima e abbia1no il corpo, e tutto ciò che può appartenere al corpo, non vale a nulla, o vale a ben poco, se non è vivificato da ciò che forma l'anima dell•a parrocchia ... Quando tutta la vitalità dell'A. C. si riduce ad avere una sede ed una bandiera, quando le socie credono di trovarsi in regola con la propri:a coscienza, sol perché hanno pagato la ressera, 'Portano il distintivo (se lo portano) e si degnano di intervenire alle riunioni, non im1porta .poi se anche là portano la nota della loro mon~ danità, le an1bizioni e le gelosie, i pettegolezzi e le detrazioni; con tutto questo bagaglio ·di .iniserie possiamo dire che tali socie appartengono allo spirito dell'A,C. e •della Chiesa? o non piuttosto e appena al corpo? E intanto è lo spirito quello che vivifica. E se questo spirito in talune associazioni ancora non c'è, bisogna suscitarlo e farvelo rivivere. Purtroppo, se n1olte delle nostre parrocchie non hanno acquistato ancora la loro vera fìsiono1nia spirituale e continuano ad essere corpi senz'ani1na, lo si deve sopratutto alla scarsa o alla nessuna collaborazione dell'A.C. Ma sono appunto proprio tali parrocchie che da questo Congresso, così opportuna111ente indetto dal 'N. Ecc:mo Vescovo, come dice il Papa, attendono anche da voi, o Donne e Giovani cattoliche, :quel soffio vivificatore col quale il profeta Ezechiele vedeva risorgere a nuova vita le ossa aride della visione escatologica! E' questo un bisogno quant'altri mai urgente, anzi il più ungente dei bisogni. Con la sua conoscenza profonda dei bisogni della Chie.sra, Pio X aveva spesso idlelle .v;edute geniali. L'A111ico del Clero di Parigi, nel n. del 20 gennaio 1921 ricorda un'ii1nportante conversazione del Pontefice santo con un gnippo di Cardinali: <(Qual'è, disse il Papa, la cosa più necessaria oggi per la salvezza della società? - Edificare scuole cat,toliche, disse uno. - No. - Moltiplicare le chiese, dis·se ,un altro. Neppure. ~ Pro1nuavere le vocazioni ecclesiastiche, disse un terzo. No, no, rispose Pio X, <iqucllo che presentemente è più necessario è di avere in ogni Parrocchia un gruppo di laici, che siano ad un tempo assai virtuosi, illuminati, risoluti e veran1·ente apostoli». Avete inteso specialn1,ente voi, Donne Cattoliche, che per salvare la società presente bisogna che lavoriate ,nella parrocchia e che sopratutto siate virtuose? E' necessario che anzitutto e sopratutto attendiate sul serio alla vostra santificazione, viviate cioè in Gesl1 Cristo e per Gesù Cristo. Questo è l'ideale evangelico a cui debbono mirare le nostre Associazioni Femn1inili di A. C., quello che in ascetica si chia111a vita interiore, senza di che, come dice Mons. Dupanloup, il suo apostolato non è che l'ipocrisia ed anche l'eresia del1'.A. ·C. Emerge chiaro quindi, come e quanto la vostra formazione spirituale -debba es·sere diversa -da quella vernice .di religiosità che sogliono darsi talune donne per una specie di rispetto umano a rovescio, che non le faccia passare per irrel1giose, ma che con1plcti le toilette della loro femminilità. Sarebbe enorn1e e disonorante in società pass·are per irreligiose ... non farebbero fortuna. iDisse un giorno Pio XI ad lU1a rappresentanza della G. F.: «Ci chiedete una direttiva? eccovela: santificatevi, cercate innanzitutto la vostra santificazione, la santificazione delle vostre


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anime, vale a dire, i vostri rapporti intimi col Re divino idi cui dovete essere le apostole, le ·missionarie, le conquistatrici)). Il relatore passa quindi a parlare dei mezzi per arrivare a ciò: Ma di quali m:ezzi dovete servirvi per acquistare questa vita interiore? Ve li suggerisce il Santo Padre Pio XI. In un prezioso autografo al Consiglio Superiore .della G. F. ,(20 n1arzo 1930) così Egli scr~veva: «Siate eucaristicamente :pie, ange1ican1ente pure, apostolicamente operose)>, Dopo avere parlato dell'Eucaristia, considera la purezza, e la mostra con1e mezzo di vita interiore e di apostolato, riportando le parole del Santo Padre alla G. ·F. a Roma il 22"V-1927: «Siate benedette per tutto quello che fate e farete per dare al vostro proposito di purezza un'espressione sempre più 11iva, eloquente ed edificante. Poiché c'è tanto bisogno che si ·moltiplichino le anime salde, sa.ne e pronte ad entrare in campo per la difesa di questa così bella, ma pur così vulnerabile virtù. Sono molte le :poverette che credono di poter difendere i loro fiori dalla devastazione degli uomini e delle belve senza circondarli delle siepi e dei muri della cristiana modestia e verecondia, idove sono in gioco .non solo la fedeltà a Gesù Cristo, ma anche lo stesso onore vostro e la vostra dignità». E conclude: «Quando si è eucaristic·an1ente pie, e si vive angelicamente pure si di,viene apostolicamente operose)). Circa l'apostolato, il relatore mette in guardia le donne contro il pericolo della vanità, e fa vedere con maiggior risalto la necessità della vita interiore. «La vanità tante volte arriva al .punto di sacrificarsi non per carità, ·ma per vanità. E voi, donne, nel vostro apostolato troverete mille occasioni di dissipazione trattando col mo,ndfo, sia pure .con le migliori intenzioni di fare del bene. Quale il rimedio? Tapparsi in casa o confinarsi in un angolo di chiesa a pregare e a gemere su la rovina di tante anime? Preghiera si, in chiesa si, per attingervi il segreto dell'apostolato, ma anche azione fuori della chiesa, in mezzo al mondo rper salrva·re le anime. E allora? Se non se1npre si può fuggire il mondo, sempre se ne .devono fuggire le dissipazioni e reagire allo spirito del secolo ritemprandosi nella solitudine e nel raccoglimento interiore, costruendo nel proprio cuore, come .dice S. Caterina da Siena, come una cella, che S. 'Deresa chiama ((Il castello interiore». Non altrimenti la pensava- S. Vincenzo de' Paoli. Lanciando le Figlie della Carità all'apostolato in mezzo al mond:o, suggeriva appunto alle sue Figlie di for1narsi nell'in,timo del cuore .questa cella interiore. «Siano le corsie degli ospedali, diceva egli, il vostro monastero; sia la modestia la vostra grata, e sia la custodia dei sensi e 51Pecie degli occhi la ·vostra clausura; sia la presenza di Dio la vostra regola)>, ,Siate ovunque e sempre raccolte in Dio, co1ne lo fu Giovanna d'Arco anche sui campi di battaglia e tra i pericoli di una soldatesca licenziosan. Il relatore infine propone il seguente ordine del giorno: 1° Ciascuna intervenuta si metta subito al lavoro per vivere essa stessa una vita più


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cristiana per portarla nella famiglia e nella società; 2° Che si epurino le associazioni esistenti da ele111enti che producono scandalo con una moda non cristiana; 3° Che si faccia propaganda contro la moda immodesta e la vanità.

Riunione d'assemblea Presiede S. E. ,Mons. Vescovo. E' relatore il Rev.n10 .Decano Mario Arengi, Parroco di Enna. Prima di dare la parola all'oratore, si legge in pubblico, ira la rpiù viva attenzione e scattando tutti in ·piedi, la let,tera che il 1 Ca1~cl« Pacelli, a no1ne di S. Santità, mandò in occasione di questo Congresso. Il relatore s·voJge sinteticamente e con calore tutti gli argomenti svolti nelle d~verse sezioni. Il Parroco, .dice l'oratore, è il padre a cui fanno capo tutte le attività dirette a condurre le anin1e a salvamento. La sua missione viene da Gesù Cris{o che l'affidò a Pietro e in lui a tutti i pastori di ani1me, quando, dopo la triplice pron1essa d'amore, gli diede ì1 mandato di p·ascere le pecorelle. E Gesù stesso neJla similitudine del buon pastore traccia il progra,mma di sacrifizio e di amore a oui è chiamato il ,Parroco. Il Parroco .quindi deve essere acceso da grande zelo per le ani me, !pronto ai più grandi sacrifici per.ché le sue pecoreJle abbiano la vita. Il ·suo ministero deve essere di giustizia, isipePanza, ioarità. E per questo occorre prhna di tutto che il Parroco stesso possegga in som·mo grado queste virtù, perché sia .di esempio vivente e continuo alle anime. Perciò S. Paolo esorta i pastori di anime a fuggire i desideri giuvanili, a resistere contro i pericoli del n1ondo per serbarsi puri e im,macolati nei loro costu1ni. ·La caratteristica principale del buon pastore è il .sacrifizio. E grande sacrifìzio importa tutta la sua complessa attività. Egli deve correre al capezzale dei moribondi, al confessionale, deve spezzare alle anime il Pane ·Divino, diffondere a tutti i tesori dei Sacramenti; ,j:eve aver l'occhio vigile su tutto il suo ovile per difenderlo dai lupi rapaci, per avviarlo nei pascoli ubertosi; deve formare attorno a sè un nucleo di anime che lo coadiuvi nel suo zelo, e quelle deve formare con cure speciali. Ma, dopo essersi così logorato, potrebbe essere deJ,uso per l'incorrispondenza delle anime a tanti sacrifici. Anche a questo quindi il Parroco deve ,prepararsi mediante la rinunzia ad ogni egoismo avendo di n1ìra semplicemente la gloria ,d:i Dio e la salvezza delle anhlne, nulla aspettando :per sé sulla terra. E perciò sono necessarie l'orazione e la mortificazione. Il supremo Pastore, Gesù Cristo, santificò se stesso per le anim·e fino alla n1orte di croce. Se è questa l'attività del Parroco, quale sarà quella ·dei fedeli? ·L'oratore passa quindi a parlare dell'Azione Cattolica maschile facendo risaltare come gli uomini e i giovani oggi sono molto estraniati dalla religione, perché occupati nel .mondo. Occorre souotere il tor.pare, chiamarli ai principii .fondamentali del Vangelo: «.Quid µrodest homini ... ?}>, Ill.uminarli con la sana ,dottrina, suscitare delle ani-n1e ferventi che siano come il lievito nuovo che ,deve fermentare tutta la n1as1


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sa. Anche la .donna .deve prepararsi all'apostolato; essa ha grandi poteri ed energie, ma deve .prepararsi a vivere la 'Vi,ta cristiana perché la sua opera sia feconda di lbene. Guai se le sue energie sono rivolte altrove! La ·donna, Sipecialmente la giovane, ha molti nemici nel n1ondo: teatri, cinematografi, balli, ca1npagnie, letture cattive. ·Deve preservarsene co1ne un fiore, con la preghiera, la .SS. Eucaristia, che danno ad essa quella impronta di modestia ,e serietà che la distingue dalle altre. Se in ogni Parrocchia, uomini e .donne così prep·arati danno esen1pio di vita santa e si sacrifi.cano nell'apostolato, la vita parrocchiale risorge, la santità dei costumi è più fiorente. Alla fine del discorso S. E. Mons. Vescovo .disse brevi parole di ringraziamento, riassumendo poi i lavori della giornata nel motto «Tutto ordinato alla Parrocchia nell'Azione Catlolica maschile e femminile; vita cristiana in terra per trovare la vita felice in Cielo». Alla fine di questa .giornatia S. E., in una radunanza al Clero, parla con profondità di unzione e di pensiero ·del sacerdozio chiamato non solo ad una vita cristiana con1une, ma alla santità, e, con argomenti efficacissimi, fa rvedere quanto male produca un sacerdote non solo cattivo, ma anche mediocre.

LA SECONDA GIORJNATA 13 [sic?] Ottobre 1937

Sezione Clero. Sono relatori i R·ev.mi P. Di Rosa dei Minori, Parroco Salv. Santoro e Gran :Priore Giuseppe Valardita. Il Rev.1no P. Di Rosa, già noto per le sue pubblicazion•i, parlò s·u S. Giovanni V·ianney, come modello dei Parroci. L'oratore investiga le ragioni per cui il Curato d'Ars fu il Parroco m,eraviglioso che in tiempi così ·tristi e avil/ersi alla religione, santificò non solo la sua Parrochia, n1a fece sentire il suo influsso anche al inondo. La ragione di tanto :bene non furono solo i carismi del santo, né i suoi iniracoli, ma fu principalmente il senso rprofondo ·del dovere. Il Sacerdote non è llll uomo privato, ma rapp-resentante del popolo, e perciò non deve pensare solo a sé, 1na principahnenie alle anime a lui affidate. Deve sentire profondo il duvere di salvare le anime, pensando che non può salvare la sua senza salvare pure quella degli altri; pensando che egli deve essere come Cristo mediatore tra cielo e terra, deve portare riparo al n1ale degli altri anche colla sua i1n,1nolazione. 'Da questa persuasione nacque lo zelo immenso dei santi e di San Giovanni Vianney che stava al confessionale 18 ore al giorno, .predicava, istruiva, penetrava nei cuori e non aveva il tempo nemmeno per mangiare e dormire. Il discorso fu molto iarppJ.audito. 1


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Il Presidente, Mons. Fondacaro, dà quindi la ,parola al secondo relatore, il Parroco Salvatore Santoro da ,Mazzarino, il quale tratta il seguente teina: «La lotta contro ogni azione cantrastante o divergente nella Parrocchia>>. Il relatore esaurientemente din1os,trò che la Parrocchia è l'unità, il principio e il centro dell'unità; e affinché la vita parrocchiale si svolga con ordine e profitto, è necessario che tutte le forze operanti in seno alla ,parrocchia siano subordinate alla vita parrocchiale. Egli tratta ·della preziosa colla,borazione dei Sacerdoti con il Parroco per ottenere questa unità, e del n1ale che ne deriva ·da ogni azione divergente. «Il Parroco nella sua parrocchia, così egli dice, è il Pastore delle ani· ine, e i preti suoi confratelli, che sono come i cooperatori .d;ell'opera sua nella parrocchia, non devono a lui, più che i fedeli, docilità ai suoi consigli e alle sue ·direttive, ubbidienza ai suoi co1nandi e alle sue proibizioni, cooperazione cordiale e volenterosa .per tutte le opere di bene, aJJe quali il Parroco li invita nel campo della parrocchia? Nessun rprcte e nessuna assDciazione può arrogarsi il diritto .di sostituirsi al ·Parroco nella dire· zione delle aniine e in tutto quello che è ambito e lavoro di parrocchialità. Una parrocchia, ove di-versi rvogliono camandare e Jare da sé, o peggio contro il Parroco, diverrà non un ovile, .non •lilla famiglia di anin1e, 1na una Babele, un ca1npo squassalo dalla tempesta e un regno di desola· zione e di 1norte. ·Lo ha detto Gesù ·Cristo: Regnun1 in se divisum de-solabitur . ... Aprile il Diritto Canonico e leggete: .Dove deve ordinariamente darsi il sacran1ento .del Battesimo e del Matrin1onio? Nella Chiesa Parrocchiale (Can. 774). Dove si devono ,portare i cadaveri? Nella propria :Chiesa (Can. 1216). ·Dove deve farsi la Pasqua? Oggi la Chiesa ha largheggiato con i fedeli, ma al tem,po stesso ha raccomandato che essi adempiano questo e.rovere in sua quisque paroecia, nella propria ·parrocchia. Anzi il Canone 3.·ggiunge che chi la riceve altrove ne renda consapevole il proprio Parroco (Can. 859, § 3). Dave si deve udire la catechesi agli adulti? In parrocchia, perché il Parroco ha grazie speciali, per il suo ufficio, nel predicarla. Del resto, dO'Ve -deve farsi la dottrina ai fanciulli? ,Donde de;ve partire il Viatico e anche la Con1unione pubblica agl'infermi? ·Dalla Par~occhia. Qui la -precedenza .delle funzioni più solenni; qui le predicazioni straoDdinarie; qui lo svolgimento reale e con]pleio di tutta la vita religiosa dei parrocchiani. E aHora non vi meravigliate se vi dico: preferite e fate pre· ferire la Chiesa Parrocchiale alle altre. L'alienarsi e fare alienare dalla propria parrocchia è ,privarsi e fare privi dei beni spirituali che essa sola1nente possiede; è un concorrere a paralizzare il centro -della vita cristiana; è un ·mettere il proprio Parroco nella impossibilità di svolgere la propria azione parrocchiale)), Ad unnnimità furono quindi deliberati i seguenti .punti: 1° Che gli altri Sacerdoti della Parrocchia, come ausiliari cooperatori diretti e indiretti, secondo le diret1i,ve ,del proprio ;Parroco, tutto ,facciano perché l'azione religiosa si svolga in ordine alla Parrocchia e in armonia con la Par·


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ro.cchia; 2° 1Che .nelle ore della Messa Parrocchiale, della spiegazione del Vangelo, l(flel Catechismo e rd.i altre funzioni e attività parrocchiali, le Chiese rettoriali, gli Istituti ecc. facciano in modo da non creare ostacolo affinché i :parrocchiani assistano con frutto ·51pirituale nella :Chiesa Parrocchiale; 3° Che i Parroci e i Sacerdoti coadiurvino e facilitino, direttamente o indirettamente la Parrocchialità con la preghiera, il buon esempio e la buona parola di propaganda. Il Presidente dà la parola al Gr. Priore ·Parroco Giuseppe Velar.dita. Egli parlò esaurientemente sulla necessità di fare in ogni parrocchia lo stato delle anime e diede delle norme pratiche perché questi dooumenti arricchiscano gli archivi parrocchiali e diano al Parroco un mezzo efficacissimo .per conoscere le anime a lui affidate. 1

Sezione Uomini e Sezione Donne. Nella sezione Uon1:ini e Gioventù maschil·e furono relatori i Rev.mi Parroci D. Lorenzo Milazzo di Aidone e D. Francesco Galesi da Niscemi; nella sezione Donne H R.ev.1no Parroco ·Luigi Giunta di Enna e il Can. Antonino .Di ,Fede. In tutte ·e due le sezioni gli oratori p·arlarono della santificazione id1ella giornata e della santificazione della .festa, intonando la prima relazione alrEnciclica sul Rosario di S. Santità, nel senso che la giornata, santificata dal Jarvoro, sia chiusa dalla recita del Rosario, e la seconda nel senso che la santificazione della festa, culmine della santificazione deJla giornata, rechi un contributo alla vita parrocchiale, frequenv tando cioè santamentre la Parroochia, assistendo alla Messa paxrocchiale e, tutti, uomini e .donne, al catechismo agli adulti. Ecco alcuni passi più salienti di queste relazioni. Il Parroco Lorenzo ·Milazzo cosl si esprime: «Il Pap·a invita alla preghiera, alla recita del Santo Rosario, perché nella preghiera e nella meditaziune 1d'ei divini misteri l'anima si elevi a Dio e si tempri alle virtù cristiane delle quali il prototipo è Gesù Cristo. Ma la vita cristiana in modo speciale si deve esplicare nella domenica - il giorno del Signore - e nella Chiesa Parrocchiale che è la casa del nostro spirito. Quivi 1'1ani-ma è nata alla grazia mediante il Battesimo; vi è confermata nella Cresim,a. Q.uivi la mente si apre alla conoscenza delle verità eterne e il cuore innocente prova il rapimento degli Angeli quando per la prima 'Volta si ,unisce al suo Dio. Nelle vicende <dell!a vita, nella lotta 1contro lie passioni, nelle cadute tempestose, che altrove portereibbero alla dis1perazione, qui J'anin1a com~ batte e spera. Un'aura di pace, un·a soave tranquillità, un godimento <li riposo, una sicurezza dia agni pericolo e da ogni ambascia, un oblìo lene della faticosa vita, una serenità ,perfetta nei ,pensieri, nei sentimenti e negli affetti quirvi si prova. Quivi si gioisce, ma la gioia non è sfrenata; si piange, ma non si dispera; qui santa è Ja gioia, santo è il dolore, santo è l'amore.


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.Nel rgiomo del Signore, 1dbpo una setti;m,ana di lavoro, me.ntre si concede il riposo dovuto al corpo, l'anima ascolta la parola di Dio nella spiegazione del Vangelo e nella spiegazione catechistica. A somiglianza di Maria nella casa di .Betania noi sentiamo parlare il Maestro divino per bocca dei suoi ministri; Io sentiamo con amore e con fede; e quella parola sicende serenra nei cuori, rifocilla la n1ente nella conoscenza delle più alte verità; e, non distratta dalle tempeste della vita, la mente l'accoglie come J1a terra fertile 1accoglie il buon semre che farà germogliare e crescere e fruttificare e ,produrre il cento per uno. E il cuore viene rapito dall'amore che sgorga dalle parole divine, e ne sente tutta la soavità; e si modella a quei ,precetti, a quei consigli che invitano alla perfezione: Siate perfetti com'è perfetto il :Padre vostro che è nei cieli». Parla poi il Rev.-mo Can ..Di Fede. Tra l'altro così egli dice: «La vita soprannaturale .che il Figlio di Dio ci ha .dato face,ndosi uomo e morendo in croce, a noi viene comunicata per 1mezzo della Chiesa. E la .Chiesa, una nella sua costituzione divina, 1per la sua mirabile gerarchia apostolica: Papa, Vescovo, Parroco, scende a darla, mantenerla e accrescerla in ciascun individuo in particolare per mezzo dei sacramenti e dell'azione pastorale. E occorre essere ad Essa uniti come il tralcio alta vite se non si vuol essere come un legno, buono solo ;per ardere. E di questa unione alla rvita parrocchiale hanno bisogno anche ,gli uvmini. No.n basta per la vita soprannaturale che sta nella grazia santificante, un atto qualsiasi di 1reliigione, se pur atto dì .religione può ahiamarsi una formula a cui non risponde un palpito e la realtà della vita. Quando la vita interiore in voi è esuber'ante; quando non siete dei malaticci, dal volto pallido e dalle occhiaie infossate, barcollanti o paralitici per la -vita della grazia stentata o ·mantenuta per forza; o peggio dei moribondi per le forze estenuate dalle ininterrotte cadute, saprete irnfondere negli altri, nei vostri 1cari, questi .propositi, li saprete condurre in Parrocchia e anche per essi la Parrncchia diventerà il centro propulsore, l'aula santa, e anche essi con voi santificheranno la festa con la santificazione di tutte le giornate». Infine il ·Rev . mo Di Fe.d:e propone il seguente ordine del giorno: 1° Meditazione, Messa, Comunione; Visita •al SS:rno e Rosario tutti i giorni in Parrocchia con1e mezzi di santificazione nella continuità dell'ascesi; 2° Condurre i propri uomini in Parrocchia a fare che anch'essi vivano la vita parrocchiale. Discorso d'Asse1nblea E' relatore il Rev.mn Tes. Gioacchino Federico. Presiede il Rev.n10 .Mons. Ciantro Angelo Termine, il quale dà la parola al relatore. Questi, dopo aiver parlato della ·Chiesa come unità universale, centro vivificatore delle anime che vivono di fede, di ·Srperanza, di amore e di un meravi-


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glioso prodursi di opere che c0-J1dn1ce alla vita eterna, passa a ragionare delle unità medie, cioè le -Diocesi, e delle unità inferiori, cioè le Parrocchie. «Questo Congresso della Parrocchialità, così egli dice, sarebbe vano se non recasse anche un contributo di interessamento dei fedeli alla voce del Vescovo e alla voce del Papa. E invero un Congresso della Parrocchialità studia i mezzi per unire i fedeli non solo al Parroco, ma, per \SUO inezzo, al Vescovo, al ,papa, cioè all'unità della Chiesa, perché il lavoro sia ben diviso, peI'.ché se il supremo magistero parte ,d'al Papa, e poi si rende più immediato, attraverso i Vescovi, il magistero j,mmediato, la cura particolareggiata delle anime l'ha il Parroco. Dal som·mo .Gerarca si arriva così attraverso gradi alle 'Singole anime, ai ipiccoli nuclei, alle unità irnferiori, le Parrocchie. Le m1ità inferiori, le Parrocchie. ~ Fin dai iprimi secoli della ·Chiesa troviamo attorno al Vescovo un gruppo di anziani, cioè presbiteri o sacerdoti, e un gruppo di diaconi. La gerarchia ecclesiastica così è co1npleta; ognuno ha il suo campo nell'unità uni,versale della Chiesa. ·La istituzione giuridica deUa ·Parrocchia sorse più ta~di, ma viveva come in embrione fin dalle origini. 'L'Apostolo S. Giacomo parla ,dei presbiteri che debbono essere chiamati dai fedeli nel caso che alcm10 di essi sia infermo per amministrargli il Sacra,mento della Estrema Unzione. ·Nella Chiesa di Antiochia e dell'Asia Minore, S. Ignazio parla molto spesso dei Presbiteri che coadiuvano il Vescovo, hanno la cura delle anime; e siamo ancora alle origini della .Chiesa, verso l'anno 107. :Questi preti quindi, in unione col Vescovo, anzi come collegio dello stesso Vescovo, avevano facoltà di santificare iperohé amministravano i Sacra1nenti, e facoltà di insegnare. S'intese poi più tardi il bisogno di affidare a questi saceI!doti un territorio nelle ca1npagne, nel sec. VI, ed anche neJle città verso il sec. XI. Ma ancora la posizione gturidica della ;Parrocchia non era ben determinata; se ne sentirva la necessità, viveva, direi quasi in molti luoghi nell'attuazione pratica, ma senza una legge ben determinata e stabilita, ln modo che quando ieonllnciò nella Chiesa il movimento di riforma che culminò poi con il Concilio di Trento il concetto giuridico di questa istituzione così 1prmwide.nrziale era già ,oompletarnente maturo, anzi pullulava con1e una necessità di prim'ordine nella ,mente idi alcuni riformatori con1e il Giberti e -S. Carlo Borromeo e nella sess. XXIV del Concilio di Trento fu ordinato di erigere in tutte le diocesi del :mondo il regime parrocchiale, oon confini, Pastore e 'Chiesa 1proip,ri. Il Catechismo del Concilio tridentino :è «ad uswn Parochorumi>, per aiutarli nella loro missione di istruire e santiifìc·are il popolo. Il movimento di riforma allora fu più sistematico e completo. Per alcuni Vescovi diventò addirittura una preoccupazione continuata. Anzi già pri11na che il Concilio avesse emanato la legge per tutto il ·mondo qualche Vescovo aveva creato il regime e la vitra rparrocchiale. Così il Vesçovo ,Giberti nel 1529, nella Diocesi rdi Verona è in continuo movimento per fondare la vita parrocchiale e per mettere in contatto i parrocchiani con il loro Parroco, arriivando persino, come


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dice il Pastor (Storia dei Papi) a far dhiudere completamente al culto delle chiese proprie ·di confraternite o di pie associazioni che allontanavano i fedeli dal 1Parroco, oppure formavano nn nucleo di fedeli che non si interessaiva della vita parrocchiale. Dal Concilio di Trento in poi, la Chiesa non ha mai .cessato di inculcare ai fedeli la vita iparrocchlale, cercando idi:i S·membrare le 1Parrocchie trOPfPO grandi, e, alcune volte, di riunire le PaTrocohie troppo piccole. Con la nuova sistemazione -deirAzione

Oattolica, Pio XI ha voluto dare ana vita parrocchiale un nuovo impulso, definendo l'Azione .Cattolica come essenzialmente pa,rrocchiale, svolgente tutte le proprie attività per 'aiutare il Parroco nel suo ministero di santi· ficazione e di insegnamento, per sviluppare tutte le opere parrocchiali che interessano la santità delle famiglie, la morale, la cultura catechistica, i sacra1nenti, la carità, la -diifesa contro il proselitismo protestante, la preservazione della fede e della morale contro gli influssi più o meno diretti della propaganda antioristiana, atea o contro Dio e pervertitrice della società cristiana. Opere tutte che, sviluppate in ogni Parrocchia, ren· dono feconda ;dii opere sante la vita di ogni cristiano, mettono un fermento nuovo di s·anti:ficazione in ogni territorio 1ptarrocchiale, uniscono le pecorelle al Pastore immediato, cioè al Parroco, e per mezzo di questi al Vescorvo, e, per il Vescovo, al Papa, unendo così tutti i fedeli a Colui sul quale è fondata la Chiesa, S. Pietro. ·La ,Parrocchia così diventa la cellula della vita ,cristiana; cellula che ha vita propria, ma .nel corpo, nel grande corpo che è la Chiesa; ,è come l'ultimo ramo del grande albero, la -Chiesa, ramo che in tanto porta fiori e !frutti in quanto pern1ane unito alle radici. Quanta gra-ti,tudine quindi a -questa istituzione che la Ma.dre Chiesa ha .dato ai fedeli; quanto amore per essa, quanta sottomissione al ,Pastore che la regge! Con quanto amore dobibiamo frequentarla per avere luce di rvita cristiana e ardore di s:antità, con quanto interessamento dobbiamo p.romuoverne lo sviluppo e la vita, giacchè essa, come ,una madre ci accoglie nell'unità della preghiera, nell'unità della adorazione, rrelI'unità dell'·Eucaristia, vita delle nostre anime, nell'tmità della gioia e del dolore, come una famiglia, in cui i fratelli si a1mano e il padre ama i suoi figli! Con quanto orgoglio santo dobbiamo onorare la nostra Parrocchia con la nostra virtù, con la nostra attività; con l'aiuto .che dobbiarmo recare al .Parroco nella •diffusione .dei principi cristiani e nel consolida· menta di essi nelle nostre anime e in quelle degli :altri fratelli. Con quanta disciplina dobbiamo ubbidire al nostro ,Parroco che .rappresenta il Ve· scovo e il P:apa, cioè Gesù nella Parrocchia! Quale cura non dobbiamo porre perché la vita parrocchiale, come dice il Papa nella lettera inviata al nostro Ecc ..mo Pastore il 20 settembre 1soorso, sia «bene organizzata e curata in ogni suo as,petto», -dal qual fatto lo stesso Pontefice vede uno dei principali fattori di rinascita religiosa, di vittoria sulle disgregatrici forze del male e di magnifica rifioritura della fed'e, ed augura ohe questo Congresso svHuppi nei sacerdoti e nei fedeli una stima e una affezione crescente per l'istituto della Parrocchia e sia ad essi nuovo ed energico


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stimolo, perché in perfetta armonia di intenti e di fattivo lavoro sappiano portare le singole parrocchie di questa ·Diocesi a novella vitalità e :perfezione; e il nostro .Pastore, il Vescovo, nel presentare il venerato documento ai .fedeli, dice: «il ,Papa, il Vicario di Gesù Cristo, vi dice che la chies1a .parrocchiale è l'aula materna della ipreghiera, la famiglia provvida e cara che i battezzati debbono conoscere, frequentare ed amare ... queste parole di·cono tutto e dànno alla Parrocchia il carattere specifico che la di1stingue da ogni altro centro 1dl attività 11eligiosa e la ipone al primo e insurrogaibile posto». Amiamo noi la nostra :famiglia? Chi non l'ama è snaturato; ma il Signore oltre a istituire la famiglia che unisce gli uomini nel vincolo del sangue, ·ha voluto i,stituire, rper mezzo della Chiesa, la Panroccbia, che ci unisce più fortemente nei vincoli sacri deIIa fede, della speranza e dell'amore. Uniamoci in questo alla tradi,zione italiana .dei nostri grandi che curarono ed abbellirono con intelletto d'amare le loro Parrocchie, e ne siano testimonio le grandi e beIIissime 1Chiese e Cattedrali che fanno l'orgoglio diella nostra cara Italia. Unia1noci all1amore di Dante, che, esule, con l'animo pieno di sdegno 1verso i suoi concittadini ·depravati, tanto da fargli dire che egli è fiorentino solo per nascita e non 1per costumi, «Florentinus natione, non moribus», tuttavia sospira di rivedere il suo bel S. Giovanni, ciaè il Battistero, della Parrocchia della sua Firenze, da cui ebbe inizio la sua vita soprannaturale, il solo vincolo di affetto che ormai gli rimaneva verso la città, che Io aveva scacciato e mandato in esilio! Amiamo la nostra patria? E chi .non sente nelranimo il desiderio ardente di rendierla più bella, più grande, più forte, perché contiene il deposito sacro dei nostri affetti più cari, -delle nostre tradizioni e 1d:ella nostra fede? Così amiamo la nostra .Diocesi, anzi più fortemente perché nella vita so~ prannaturale essa conserva il sacro deposito di Gesù Cristo, .perché regge le nostre anime iper mezzo ·del Pastore, rveglia, Angelo t,utelare, sulla nostra eterna salute. Ami'a:mo gli altri uomjni che hanno comune con noi la .fede e aspirano alla stessa vita e allo stesso fervore di opere sante. Questo amore triplice, Parrocchia, Diocesi, 'Chiesa, è unico sotto triplice aspetto. La ·Madre .Claret de La Touche, fondatrice dell'aIIeanza sacerdotale uni;versale degli amici del Sacro Cuore, unifica questi tre amori in questo senso, cioè, ·che attorno ai sacerdoti s antifìcati dal -contatto divino dell'amore infinito del Sacro 1Cuore cli Cristo, stiano le anim·e, ossia i Parrocchiani, attorno al Ves,covo i Diocesani, 'attorno al Papa tutti i fedeli. Questo amore prodfuce la disciplina e Conformità agli insegnamenti di Cristo iche da questa ·Patria ci condurrà alla vita eterna. Questa è la vita cri,stiana, in cui la fede è lume .che rischiara la via, la speranza è forza che ci tiene saldi a -Cristo e l'amore è la vita nuova che domina Ja morte, è il sacro fuoco chie la Madre Chiesa, Vestale vergine ed eterna, custodisce gelosamente in questo esilio e lo rende perenne nelle anime che vi aderi· scono transumanandole nella visione deJI'Eterno)). 1 1

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Salvatore Latora

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15 Ottobre GIORNATA IN ONORE DI SAN GIOVANNI BOSCO S. Giovanni Bosço educatore meritava tutta l'atte,mione in un Congresso per la Parrocchialità. Sebbene Egli non 1fu un .Parroco, ebbe tuttavia (profonda comprensione .della vita e .delle esigenze parrocchiali. Si diirebbe che fu il g.rarnde .c:atechis·ta dei fanciulli che sfuggivano alle parrocchie. L'insegnamento catechistico e il sistema educativo .di D. Bosco richiam'ano tutta l'attenzione dei Parroci non solo, ma anche dei fedeli i quali ,debbono ispirarsi a :Lui come modello di educatore cristiano e debbono far sì che lo spirito che animò il Santo, animi le loro opere catechistiche. Per questo in ciascuna Parrocchia si tenne un'adunanza sul catechi smo ai .fanciulli, sul dovere dei parenti in ordine alla .frequenza e assLduità dei loro fanciulli al catechismo, sulla loro •cooperazione al buon arudarnento e all'o:rdine del catechismo nelle .rispettive Parrocchie, so:pra tutto con, le funzioni disciplinate di catechisti e catechiste. Alle ore 7 nella 10hiesa Madre il Rev.mo Mansignor Vincenzo Fondacaro, Vicario Generale, benedisse l'artistica statua di S. Giovanni Bosco che a:vrà culto ne11a chiesa di S. Giuseppe e <Celebrò la S. Mess;a in onore del ,Santo a cui assistevano gran nun1ero di fedeli i quali si accostarono alla S. ,Comunione. Pontificò S. Ecc. Rev.ma .Mons. Addeo, Vescovo di Nicosia e disse l'orazione panegiricia il Rev.mo Can. Vincenzo Alessi Batù, il quale mise in evidenza l'attività .del Santo nella educazione .della gioventù nel contributo alla soluzione della questione operaia e ai nuovi rapporti che dvVCViano .riallacciarsi tra l'autorità ecclesiastica e le nuove autorità politiche. Nel pomeriggio il Rev.mo P. ·Di Rosa parlò tra la più viva attenzione in Santa Chiara del meto-do educativo di ·Don Bosco in o:rdine al Catechismo ai -fanciulli. In unia adunanza di Clero, Mons. Vescovo dis-se parole pastorali ai suoi Sacendbti incitandoli ad una vita migliore di preghiera e di mortificazione ipeilché il loro apostolato si svolga ani1mati dallo sipirito di Gesì:t e .perché la vita sacerdotale t.rascorrra nellia più alta santità- :Frattanto, nella ·Chiesa delle Carmeli'tante Scalze, a S. Marco, il popolo acconreva nu1neroso per prende:re parte all'ora di adorazione. 1

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16 Ottobre

GIORNATA JN ONORE DELLA Ven.

MADD~LENA

di CANOSSA

L'opera oatechistica della Venerabile Maddalena di Canossa è essenzialmente unita all'attirvità Parrocchiale. ·Le suore Canossiane prestano il loro aiuto al Parroco nell'azione catechi1stica 1con lo stesso spirit'o della


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loro fondatrice. Così iilJfatti le Suore ·Canossiane hanno d'atto in Enna p'er ben 25 anni. ,L'opera .catechistica nelle parrocchie, oltre ohe a S. Giovanni Bosco, deve ispirarsi anche alla madre di Canossa: queste due grandi ani,me hanno la stessa ciaratteristica nelle loro .fo.ndazioni: educare e is:t:rui· re la gioventù. Non senza ragione quindi il Oongresso della Parrocchialità dedicò anche una giornata alla !Venerabile di Canossa. 1

Questa ebbe inizio con la eom,tmione generale nel Collegio di Maria tenuto dall·e suore Canossiane, dove centinaia ·di ragazze, educate dalle ·medesime suore, ;parteciparono 1al Banchetto Eucaristico. Il Rev.mo Mons. Vincenzo Fondacaro, Vicario generale, celebrò la Santa .Messa e al fervorino, disse aHe giovani così bene avviate .nella conoscenza 1dlei misteri divini, pariol·e esortanti a iprogvedi•re se1nrpre più nella via loro aperta innanzi. Alla ·Messa cantata il Rev.mo ·Mons. Angelo Termine, ·Ciantro e Par· roco della Madrice di Enna, parlò .della ·missione catechistica tdiella vene rabile 1M addalena di ·Canossa. L'oratore dopo aver parlato della legislazione della Chiesa in ordine al catechismo ai fanciulli, e d0;po aver riferito sul grande interesse .che ha la Chiesa perché ciò veng:a praticato in tutte le parrocchie, aggiunge: 0

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((:Non notate in quest'ians·ia meravigliosa .della ·Chiesa il ,grido della 1nadre ,che chian1a al soccorso per la salute eterna dei suoi figli? Questo gr1do era stato già ascoltato da Maddalena da ·Canossa un secolo prima, perché essa era stata ispirata dallo stesso spirito che anima la Chi.esa: J.ddio. E difatti nelle regole scritte dalla Venerabile per le Figlie della Carità è espressamente .detto: «le Sorelle assisteranno alla scuola della dottrina .cristiana cli quelle parrocchie, ove sar'anno situate le Case dell'Istituto; alle ragazze poi .che frequenteranno le Case dell'Istituto, le Sorelle raccnmanderanno ,d'intervenire assiduamente alle 1dottrine parroc<chiali. In queste souole di dottrina le Sorelle si presenteranno ad assistere e servire in qualsiasi modo desiderasse il Superiore delle dottrine medesime»; ed Enna 1per ben 25 anni ha visto ogni anno le solennità delle prime ·Con1unioni nelle parrocchie di S. ·Cataldo e S. Tommaso preparate dalle benemeri'te Suore Canossiane; per ben 25 anni ogni domenica ha visto aidi nna data ora uscire le suore dall'Istituto per recarsi a catechiz· zare i <fanciulli nelle parrocchie viciniori, dove sono state di validissimo aiuto ai rispettivi Parroci, fulgido esempio per i catechisti delle altre parrocchie. E' evidente .che sebbene il parroco dev'essere testa dell'insegnamento catechistico, deve organizzarlo e .dirigerlo personalmente, puTe ;per farlo bene, non rpuò fare tutto. Ha bisogno assoluto della cooperazione dei buoni laici, i quali, se vogliono far bene e devono farlo per la legge su· periore della carità, devono ricordare che buon maestro fa buona scuola. E' necessario perciò che la catechista abbia ,una preparazione scientifica e religiosa. ·La scientifica si acquista con Io studio dei testi 1drì religione. La preparazione religiosa si acquista con la vita di 1pietà. Questa prepa~


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Salvatore Latora

razione non è meno neces·saria della prima, perché, Io si noti bene, scopo del <eatechis·mo, non è solamente l'istruzione propriamente detta, ·ma tutta la formazione religiosa e morale dei .fanciulli. Guai se ci Iimitassi1mo a farne dei saputelli o dei dotti, che sanno tutto e non sentono nulla, perché il ma.estro non plasmò d.elle anime, non educò delle coscienze, non :pene.trò tutta la loro vita del se.ntin1ento :rreligioso. Un catechista pieno di fede, di bontà, di zelo andente e caritatevole, dà con tutta la sua vita, con tutta la sua personalità, con l'aspetto, .col comportamento, col linguagg1o, i più potenti impulsi morali ·sull'anima impressionabilissima del fanciullo: per la quale egli diventa un i1rresistibile e vivente elemento educativo. Un catechista vigilante sa prevenire la colpa nei ,suoi allievi e profitta di tutte le •civcostanze per adempiere bene iJ suo ministero)) . .Nel pomeriggio, nel salone delle Canossiane fu tenuta un'assemblea con un discorso n1olto applaudito del Rev.mo P. Di 1Rosa sulla vita e le opere della Venerabile Maddalena di Canos,sa. ,Le fanciulle educande idei Collegio di Maria tennero un'accademia molto ben .preparata, in cui, anche con quadri plastici ben eseguiti, resero vive dinanzi al pUJbblico tutte le opere educative ,della Venerabile Maddalena di Canossa.

ULTIMA GIORNATA TRIONFALE DEL CONGRESSO DELLA PARROCCHIALITA' Sia1no all'ulti,mo giorno del Congresso. I Congressisti sacerdoti e laici pervenuti da tutti i paesi 1deJ1a ·Diocesi, hanno sentito i ifrutti ubertosi degli soambi di idee avvenuti in questi giorni, degli incita.meruti, deile istruzioni. La Parrocchialità dovrà avere un impulso abbastanza considere· vole in tutti i campi: nelle varie att1vità dell'Azione Cattolica, nella cura dei fanciulli, delle famiglie lontane dalla 1Chiesa e dai Sacramenti, degli uomini ahe, in maggior parte vivono nell'indifferenza trellgiosa. Si spera che si sia dato già il primo impulso perché questa vita parrocchiale ri· prenda tutto il suo sano vigore che il Santo Padre attende, e perché la ParroC'chia sia la fucina e la madre di ogni attirvità santa, che scuota, inciti, sorregga, .corregga, in un moltiplicarsi crescente di opere. Stanotte un numero abbastanza considerevole di uomini fa la veglia notturna al SS. Sa•cramento, :ascolta la S. Messa dopo mezzanotte, celebrata dal Rev.m-0 Mons. Li ·Destri e sì accosta alla Comunione. Questi uomini ch·e hanno dato questa prova di sacrificio J.asiciand10 di notte le loro case con il freddo intenso, sapranno affrontare, Tafforzatì da Cristo, i sacrifici necessari per svolgere la loro opera in unione col Parroco nelle loro Parrocchie. S. E. Mons. PeTll!ZZO, Vescovo di Agrigento, il quale in altre occasio,ni m.eritò la simpatia e la corrispondenza idii questo popolo, ha pontificato


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nella Chiesa .Madre, facendo sentire nell'omelia, la sua pastorale e calda parola. Nel pomeriggio la processione Eucaristica, a cui pa;rtecipa grandissimo numero dì popolo tra gli sfarzi delle luci e della maestosità dei iriti chiude trionfahnente, alla gloria di Cristo Bucaristia, Pastore e Custode nascosto nei tabernacoli di tutte le parrocchie del mondo, ques,to primo Congresso Diocesano della Pa:nrocchialità.



SANTI E SANTITA' NEI COMUNI ETNEI IN EPOCA CONTEMPORANEA IL CASO GIUSEPPINA FARO

GIUSEPPE DI FAZIO*

Premessa Per le popolazioni rurali della Sicilia ottocentesca la santità costitnisce un'esperienza familiare e rilevante all'interno della vita qnotidiana, sia a livello personale che sociale. «Il santo con i suoi miracoli - come ha acutamente osservato Gabriele De Rosa in Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno - non rappresenta una storia a parte, la sua vita non sta al di fuori della vicenda quotidiana delle popolazioni locali, non è un'evasione o un'appendice folkloristica, ma fa parte pienamente della struttura della società, la compenetra di sé e a suo modo l'esprime, nel segno ovviamente della sua singolare dimensione culturale». Vista in quest'ottica la storia della santità e dei santi rientra pienamente nel campo della storia sociale e non può essere ridotta - come purtroppo è acca,duto per tanto tempo - a una curiosità per etnologi o sociologi. Negli ultimi anni, per la verità, la storiografia più avveduta ha cominciato ad operare una inversione di rotta, includendo lo studio della santità tra i fenomeni essenziali per comprendere una comunità sociale. «Si tratta di vedere - suggerisce Giu-

'' Docente di Storia delle Chiese locali nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.


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Giuseppe Di Fazio

seppe Galasso in un suo famoso saggio, Santi e santità, - che cosa è il santo e che cosa è la santità agli occhi delle popolazioni, da dove sorge la fama di santità e in che cosa si concreta il patrimonio di immaginazioni, di sensazioni, di idee, di emozioni collettive che viene a formarsi intorno alla figura e al culto del santo». L'indagine che proponiamo intende proprio analizzare il caso di una fanciulla siciliana, vissuta alle pendici dell'Etna fra la rivoluzione .del '48 e la presa di Roma, che per il grado eroico in cui visse l'esperienza cristiana fu appellata da subito come la «Beata Peppina». Attraverso la vita di Giuseppina Faro, questo il nome della fanciulla, dell'ambiente storico in cui si trovò a vivere e dei modi in cui si è sviluppata la fama della sua santità, in Sicilia e all'estero, è possibile ricostruire uno spaccato della vita sociale e religiosa etnea nella seconda metà dell'Ottocento.

I. I BIOGRAJFI DI GIUSEPPINA FARO

1. Il 24 maggio del 1871 moriva a Pedara, all'età di 24 anni, Giuseppina Faro, figlia terzogenita di una ·delle più cospicue famiglie del piccolo comune etneo 1• La fanciulla godeva in paese di una grande fama, soprattutto per il suo apostolato a favore dei poveri e degli ammalati e per la sua semplice e, al tempo stesso, profonda spiritualità. In particolare aveva destato meraviglia a Pedara la decisione della giovinetta di dedicarsi totalmente a Dio come laica consacrata ("monaca di casa"). Si spiega così l'enorme afflusso di popolo che si registrò il 25 maggio del 1871 ai solenni funerali di Giuseppina Faro e anche la fama che presto si sparse nelle zone vicine sulla sua santa vita. Fama che si alimentò ancor più a seguito di alcuni atti ritenuti dalle popolazioni locali prodigiosi e che i biografi fedelmente registrano.

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Sulla famiglia Faro e il 'ruolo che ebbe nelle vicende

dell'Ottocento a Pedara .ci .snfferimeromo più avrunN.

socio.;pol~tiahe


Santi e santità nei co1nuni etnei

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Le autorità religiose diocesane, molto attente al "caso", mostrarono di riconoscere in Giuseppina Faro i segni di una esemplare vita cristiana da proporre come modello alle genti etnee. Il beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania in quell'epoca'. acconsentì nel 1872 a che i resti della fanciulla pedarese, trovati incorrotti ad un anno dalla morte, venissero posti in un'urna dietro laltare maggiore della chiesa della Annunziata '. Il 9 luglio dello stesso anno l'arcivescovo, secondo quanto annotato nella relazione sulla visita pastorale di Pedara, «Si portò a visitare la Chiesa della SS.ma Annunziata, 'dove osservò la salma della piissima giovane Giuseppa Faro depositata in una cassa con la vetrina, posta in una camera dietro l'altare maggiore» 4 • Il 10 giugno del 1872, inoltre, per ricordare il primo anniversario della morte della fanciulla di Pedara, il vicario generale della diocesi monsignor Giuseppe Coco Zanghy tenne una Lode funebre, che venne poi pubblicata e costituisce la prima, e forse la principale, fonte per la biografia della Faro. Nel breve volgere di tre decenni la fama della vita di Giuseppina Faro si sparse in Italia 5 e all'estero 6, merito anche

2 G. B. DuSlIIlet (1818-1894) fu 1tncivescovo di Catania dal 1867 al 1894. E' stato beatificato da Giovanni Paolo II il 25 set'tembre 1988. Su di lui çfr. G. AMADIO, Il cardinale Dusmet, Catania 1928; T. ·LECCISOTTI, Il car.dinale Dusmet, OvE, Catania 1962; G. Dr FAZIO, Dusmet a Catania (1867-1894): Chiesa e 1novi1nento cattolico, in Archivio storico per la Sicilia Orientale 73 (1977) 89-138; G. ZITO, La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894), Galatea, Acireale 1987. 3 Cfr. F. M. CARUSO, Vita della Serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara, tip. Sociale, Bronte 19082, 103-104. 4 ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE CATANIA (ACA), Pedara 1, Corrispondenza •de1I'011dinario e disposizioni. 5 'Nel 1896 la "Società laic·ale ieiattolica per la diffusione gratruita dei buoni libri" rpu:bblicò in uno stesso libretto quattro biografie f.ra cui quelle della Faro e di 1Leone Dupont che vennero così fatte conoscere in arrnbito ca:ttolico nazionale. 6 .Sulla fama di Giuseppina Faro in F'rancia, e particolarmente nella diocesi di Langres, .si ,veda l'introduzione al volll!Il1e d:i N. COUTURIER, La


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Giuseppe Di Fazio

delle biografie che in questi anni vennero pubblicate. Dopo il più citato testo di monsignor Coca Zanghy, nel 1892 si pubblicò a Catania per i tipi di Galatola la Vita della serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara scritta da Felice Maria Caruso, frate cappuccino di Bronte. A pochi anni di distanza uscivano altre due biografie: la Breve vita della serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara scritta dal sacerdote Salvatore Gaeta (De Rubertis, Napoli 1896) e La servante de Dieu Giuseppina Faro de Pedara (Sicilie), RalletBideaud, Langres 1901} del sacerdote Nicola Couturier. 2. La Lode funebre scritta da monsignor Coca Zanghy e le biografie del Caruso, del Gaeta e del Couturier costituiscono, in mancanza di altri documenti di prima mano, le fonti principali per ricostruire la vita di Giuseppina Faro. Risulta perciò di particolare importanza l'esame critico di tali opere con speciale riferimento alla personalità degli autori. a) Giuseppe Coca Zanghy Giuseppe Coca Zanghy nacque a Catania il 12 marzo 1829. Compiuti gli studi presso il locale seminario, fu ordinato sacerdote 1'11 giugno 1854 da monsignor Felice Regano. Si distinse presto per le sue non comuni capacità intellettive. Buon conoscitore delle lingue (padroneggiava bene latino, greco, ebraico, francese, inglese, spagnolo e tedesco) egli spaziò in vari campi del sapere quasi sempre conseguendo eccellenti risultati. Fu un apprezzato oratore sacro; scrisse opere giuridiche, filosofiche, apologetiche; si occupò di scienze naturali e di epigrafia. Presso il seminario arcivescovile di Catania fu docente di etica, lingue orientali e sacri canoni, mentre alla Facoltà teologica della Regia Università ricoprì l'incarico di docente di teologia dommatica. Nel 1861 fu prescelto quale primo preside del Liceo governatjvo di Catania.

servande de Dieu Giuseppina Faro de Pedara (Sicile), Imprin1erie Rallet Bideaud, Langres 1901.


Santi e santità nei co1nuni etnei

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Nel 1867 il nuovo arcivescovo, monsignor Giuseppe Benedetto Dusmet, lo nominò vicario generale dell'arcidiocesi. Al seguito del Dusmet, in qualità di teologo, Giuseppe Coco Zanghy partecipò ai lavori del Concilio Vaticano I. In campo ecclesiastico egli fu anche nominato canonico della cattedrale di Catania e, quindi, divenne priore. Ma i suoi ampi interessi lo aprirono al dialogo col mondo della cultura. Fu socio di alcune importanti accademie: la Gioenia di Catania, la Peloritana .di Messina, la Pontificia di Roma, quella dei Georgofili di Firenze e quella di Scienze naturali di Bruxelles. Il suo ministero sacerdotale svolto sempre con zelo e la sua ampia cultura fecero di lui una delle figure più significative della città nei primi decenni postunitari. Morì a Catania ;J 21 novembre 1878 7 • La produzione letteraria, filosofica e scientifica di monsignor Coco Zanghy fu copiosa e corrispondente alla molteplicità dei suoi interessi. Egli si occupò di oratoria sacra 8 e di apologetica 9 , di que-

7 Su mons~gnor Giuseppe Coco Zanghy cfr.: F. P. BERTUCCI, Elogio di M.ansignore Giuseppe Coca Zanghy, detto nella seduta st,rao11dina.ria del1' Acc·a,demia Gioenia il 16 febbraio 1879, GaJ.atola, Catania 1879; F. CASTRO, Elogio funebre di Monsignor Giuseppe Coca Zanghy, vicario generale della arcidiocesi di Catania, Tip. Rama, CaJtania 1879. Si veda anche S. CONSOLI, Cristianesinto e pena di 1nort e. Attualità del pensiero ·del catanese Coco Zanghy, in Synaxis 3 (1985) 33.65; In., La 111orale nel pensiero del catanese Giuseppe Coca Zanghy. Alcuni tratti della sua concezione teologica, in Synaxis 4 (1986) 123-152. 8 Nel ca.in.po dell'oratoria saora egli iprnbblicò: a) I trionfi della fede nelle glorie de' Santi, ovvero ragionantenti panegirico-a,pologetici, tip. Pastore, Catania 1858; b) Progra111111a di oratoria sacra, t]p. Bellini, Catania 1867; e) Saggio idi sennoni panegirico-apologetici o verità cattoliche esposte e difese ne' loro rapporti e.on la civiltà, tip. BelJjni, Catania 1867; d) La Madre Inunacolata, tip. Pastore, Catania 1872. 9 Nel ca•m1po d.eU'apologetica egli sicris·se le seguenti opere: a) Gesù Cristo vero figlio di Dio contro le osservazioni di Ernesto Rénan, voll. 2, tip. Coca, Catania 1864-1865; b) No.te critiche contro la nuova opera di Ernesto Rénan des Apòtres, tip. Bellini, Catania 1867; 1


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Giuseppe Di Fazio

stioni giuridiche", intervenne nel campo delle scienze filosofiche ed economiche 11 e in quello scientifico 12 • Monsignor Coco Zanghy intervenne nel dibattito circa la pena di morte schierandosi per la sua abolizione 13 e scrisse anche, libri di memorie di viaggio 14 • Egli, infine, fu autore di numerosi elogi funebri 15 • e) Sugli errori di Ernesto Rénan nel suo terzo libro Saint Paul. Colpo d'occhio critico, tip. BoniS,ignore, Catania 1875. 10

Nel campo giuridico :mcmsiignor Coco Zainghy pubblicò: abusionibus. Monita juriàico - ntoralia, Catinae MDOCCLVII; b) Questioni discusse e risolute nell'interesse de' fideca.m.missarii dell'eredità Vela e Twdisco contro il Den1anio dello Stato, tip. Roma, Cartania 1876. 11 'Nel ieaimpo ·delle -scienze filoso.fiche ed econarniche sorisse: a) Sulla libertà di arbitrio, in Giornale Gioenio, 1858, IV; b) Sul ron1anticisn10 e sull' ontologi.snto nelle scuole, in Giornale Gioenio, 1859, V;

a) De quibusdam

1

e) Filosofia del diritto pubblico ecclesiastico sui rapporti della religione e dello Stato, Catania 1869; 1d) Lav.aro e riposo al cospetto dell'u1nanità, della civiltà e della religione, .tip. ·La Fenice, Catania 1872. 12 Nel settore scientifico fu autore, fra l'alt,ro, delle iS:eguenti opere: a) Intorno a una nuova n1acchina ottica. Lettera al Prof. Sig. Car· melo Sciuto Patti, Segretario Generale dell'Accade1nia Gioenia, .tip. Coco, Catania 1867; b) L'uomo e la scùnmia, in Atti ·dell'Accaden1ia Gioenia, serie III, voi. V, 1871. 13 Ofr. Il cattolicesin10 e la pena di n1orte, tip. Bonsignore, Catania 1875; Sul cattolicesinio e la pena di morte ancora due parole di risposta a' suoi censori, -tip. Bonsignore, Caitania 1875. 14 In queista .materia Co.co Zanghy ·scrisse: a) Il n1io viaggio a Tiberiade, Catania 1875; b) Il Portafoglio della inia rapida escursione in Italia e in Francia, Catania 1876. 15 A ,proposito degli elogi funebri ·scritti dal Nostro, rvale la pena ricordare: a) Ne' funerali del sac. Michele As1nondo Paternò Castello de' Marchesi di San Giuliano, t~p. Coco, Catania 1863; b) In 1norte di Alfio Pappalarido n1edico pedarese, tip ..Coco, Catania 1863; e) Per il R-everendissimo P. M. Salvatore Maria Calì catanese Ministro


LODE FUNEBRE DELLA

SERVA DX DIO

DA

Mgr. GIUSEPPE COCO ZANGHI NEL SOLENNE ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI LEI AVUTO IN PEDARA LI IO GIUGNO 1872.

CATANIA TIPOGllAF'IA Dr ANTONINO PASTOilE

1872


BREVE VITA DELLA SERVA DI DIO

GJUSI~PPINA

FARO

DA PEDARA THACCIATA DAL

Prof.

s~c.

SALVATORE GAETA

del)(J Cougrogazioni dello l\!issioni do! Cloro di Nd.pQ] i. Coopo1路ttto1路0 Salehi1tno G Tc-rzi:trio Franel'Sl!Hno

~)

NAPOLI CAI-{,LO DE

I~UBER"L'lS

1irei;1:io il R. StH.b. Tip. di D. DE FALCO Vicoletto Sa.lata ai Ventaglieri, IJ.

__.,,,_

1896


Santi e santità nei comuni etnei

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Monsignor Coca Zanghy lesse la sua Lode funebre di Giuseppina Faro nella chiesa madre di Pedara il 10 giugno del 1872, ad un anno circa dalla morte di lei. Il valore di questa testimonianza è legata alla prestigiosa figura dell'oratore, che, come abbiamo avuto modo di vedere, era non solo una delle autorità ecclesiastiche della diocesi, ma anche un profondo uomo idi studi. La commemorazione di Giuseppina Faro avvenne in un contesto per le meno singolare. Da poco tempo, infatti, il vicario di Pedara don Gaetano Pulvirenti e i sacerdoti Francesco Consoli e Salvatore Recupero avevano ispezionato le spoglie della fanciulla e, avendole trovate nel sepolcro ancora incorrotte, avevano ottenuto dall'arcivescovo Dusmet il permesso di traslarle in una «cameretta attigua al cimitero, che riesce dietro l'altare maggiore della Chiesa dedicata alla Vergine Annunziata, Patrona di Pedara» 16 • Da più parti inoltre, era arrivata notizia di grazie ottenute per intercessione di Giuseppina Faro. Il vicario generale, pertanto, accettando in quel contesto di commemorare la fanciulla pedarese veniva a suffragare la ipotesi, diffusa nelle popolazioni etnee, delle virtù non comuni di Giuseppina Faro e a rafforzare la fama di santità che attorno ad essa si era, fin .da subito, manifestata. Perché mai, ci si potrebbe chiedere, monsignor Coca Zanghy accettò l'invito a tenere la Lode funebre di Giuseppina Faro? Non poteva ciò contrastare con la usuale cautela delle autorità ecclesiastiche di fronte a fatti che l'opinione popolare già collocava sotto l'alone della santità? In base agli elementi a nostra disposizione possiamo ricavare alcuni motivi che convinsero l'oratore ad accettare l'invito. Li elenchiamo sinteticamente: 1) le notizie singolari che egli aveva avuto modo Idi conoscere dalle monache del monastero di S. Giuliano a Catania, dove la giovane aveva dimorato come educanda per 18 mesi; Generale de' Minori Conventuali prilno de' Siciliani, ;tip. Coco, Catania 1864; d) Discorso funebre in 1nvrte del servo di Dio Giuseppe Guardo de' Minori Osservanti Rifannati, tip. Bonsignore, Catania 1874.

" F. M. CARuso, op. cit., 103-104.


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2) l'amicizia che lo legava allo zio di Giuseppina, l'avvocato Filadelfo Faro (a cui egli dedica la Lode funebre), uno dei principi del foro catanese, che fu anche deputato al parlamento dal 1867 al 1870; 3) l'attenzione e la benevolenza con cui l'arcivescovo Dusmet guardava al "caso"; 4) un episodio che si ricava dalla testimonianza di una delle più fedeli amiche della Faro, Teresa Caudullo. Quest'ultima raccontava che in sogno Giuseppina le aveva indicato il nome del Coco come quello ·dell'oratore che doveva tenere la sua commemorazione. «E quando la Caudullo invitando monsignor Coco gli riferì la visione avuta, questi volle che gliene facesse giuramento sul Crocifisso e quella giurò» 17 • b) Felice Maria Caruso

Le informazioni sulla vita di Felice M. Caruso sono poche, ma tali da consentire di ricostruirne la figura. La notizia della sua morte, avvenuta il 23 giugno 1915 18 , fu data dal Bollettino ecclesiastico diocesano di Catania con queste parole: «Il popolo che aveva da lungo tempo ammirato i nobili esempi di zelo e di carità di quest'umile e pur dotto sacerdote, accorse numeroso e commosso ai suoi funerali, tanto da dare al giorno, non la mestizia d'un mortorio, ma la gioia serena d'una festa. E' morto .un santo! si diceva da tutti» 19 • Questo dato sulla vita esemplare del sac. Felice Maria Caruso riportato dal Bollettino ecclesiastico trova riscontro in Bronte nella fama popolare che ancora oggi si conserva di lui"Il Caruso fu frate cappuccino, e dopo la soppressione delle corporazioni ecclesiastiche si dedicò particolarmente alla predi11 S. GAETA, Breve vita della serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara, De Rubertis, Napoli 1896, 94. 18 Cfr. ARCHIVIO DELLA :CHIESA MADRE DI BRONTE, Congregazione Sacerdoti, voi. Messe, da cui si ricava anche la data di nascita: 14-4-1838. 19 Bollettino Ecclesiastico dell'Arcidiocesi di Catania, 1915, 13. 20 Numerose testimonia.me in ques'to sen·so sono state da noi personalmente raccolte in Bronte con l'ai,uto del rvicario parrocchiale ·della chiesa madre, sac. Sal'Vatore Sanfilippo.


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san~tità

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cazione. Per questo motivo si spiega la sua periodica presenza a Pedara (distante da Bronte poche tdecine di chilometri) dove conobbe sicuramente la signora Teresa Faro, madre di Giuseppina, e alcune delle amiche più care di quest'ultima 21 • Non abbiamo, invece, elementi per attestare che egli conoscesse direttamente Giuseppina Faro. Non risulta inoltre che il Caruso abbia pubblicato altre opere di rilievo. La biografia della Faro rimane perciò la sua opera a stampa più fortunata (per via delle traduzroni che ebbe). e) Salvatore Gaeta

Anche su questo autore le notizie non abbondano. Sappiamo che nacque a Termini Imerese e visse qualche tempo a Bronte 22 • Si trasferì poi a Napoli dove fece parte delle "Congregazioni delle Missioni del clero". E' autore di un volumetto dal titolo L'anima alla scuola di Gesù sacramentato e idi un saggio su Schouvaloff e sullo scisma russo 23 • Il suo livello culturale, a giudicare dalla biografia, è certamente più elevato di quello del Caruso. d) Nicola Couturier

Sacerdote e professore presso la cattedrale di Langres in Francia, fu andhe un esperto organista. In questa veste fu invitato a Catania dall'arcivescovo Dusmet nel 1877 per collaudare il nuovo organo del .duomo 24 • Nel corso della sua permanenza a Catania, come egli stesso racconta, ebbe modo di accompagnare monsignor Dusmet a Pedara e di «Venerare il corpo di Giuseppina» 25 • Qualche giorno più tardi egli sperimentò personalmente un episodio singolare

21 22 23

24

25

,Questi dati ·si rilevano ,dalla biografia ·di G. Faro scritta dal Caruso. Ofr. S. GAETA, op. cit., 15. lbid., 21 e 87. lbid., 102. N. COUTURIER, op. cit., 102.


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legato a Giuseppina Faro 26 • Quando l'arcivescovo Dusmet venne a conoscenza dell'episodio disse al Couturier: «Senza dubbio Giuseppina vu'ole farsi conoscere in Francia» 27 • Il Couturier rientrato in Francia si adoperò molto per far conoscere la vita della Faro. Anche a Langres, alcune grazie ottenute per intercessione della fanciulla pedarese, fecero presto diffondere in quei luoghi la sua fama. In forza di ciò, nel 1901, il Couturier pubblicò in francese una biografia della Faro.

II. LE BIOGRAjfIE

Dopo l'accenno agli autori, passiamo adesso ad esaminare le biografie, analizzando lo scopo con cui vennero scritte, il tempo della composizione, le edizioni, e il contenuto. a) Lo scopo delle biografie

Occorre qui fare una distinzione tra la Lode funebre scritta dal Coco Zanghy e le tre biografie. La prima, infatti, è dettata da un evento commemorativo e rientra in un genere ben preciso. L'orazione funebre, per sua natura, è un documento che per essere utilizzato in chiave storica va purificato degli artifici retorici e delle affermazioni apologetiche dettate dalla circostanza. E' questa una indicazione metodologica che vale a maggior ragione quando ci si trova di fronte ad un esperto oratore quale fu il Coco Zanghy. Ciò nondimeno rimane notevole il valore documentario del testo. Esso presenta, infatti, il pregio di essere stato scritto e pronunciato ad un anno di distanza dalla morte della Faro: un periodo, cioè, in cui era vivo e

26 L. c. :Il Couturier .raoconta che dopo la visita a .Pedara iSognò di pos,sedere un libro e Ull1 ,fazzoletto di G. Faro. Il giorno dopo in cattedrale viJde venire suor Teresa Consoli, amica della Faro, che gli recava per l'appunto 1UJ11 libro e un fazzoletto che erano stati di Giuseppina. La Consoli riferì al ·Couturier che aveva visto in sogno Giuseppina che la incaricava di quel c0rmpi'to. TI lbid., 103. 1


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presente il suo ricordo, ma, nello stesso tempo, si erano allentati i motivi emozionali e c'era stato un lasso di tempo per riflettere sulla sua vita e sugli effetti benefici del suo operato. C'è inoltre da tenere presente che il Coco Zanghy, nella chiesa madre di Pedara affollata di fedeli provenienti da tutto il circondario, parlava in qualità di vicario generale dell'arcidiocesi ed è quindi da presumere che su alcune questioni fondamentali esprimesse anche il parere dell'arcivescovo Dusmet. Per quanto concerne le biografie, invece, c'è da fare un discorso a parte. Gli autori sono accomunati dal desiderio di presentare un modello di vita cristiana che possa suscitare il desiderio dell'imitazione in un tempo che si ritiene essere minacciato dalle teorie del naturalismo e del positivismo. Il richiamo agli «errori idei naturalismo imperante» è presente nel!' opera del Caruso 28 , mentre il Gaeta vuol dimostrare la tesi che «per quanto l'empietà sembri trionfante [ ... ] la Città di Dio sarà sempre ricca di anime elette, le quali neUa purezza del cuore, ne11a umiltà santa, seguono Gesù e sono per ciò stesso ripiene di luce e illuminatrici» 29 • Lo scopo delle biografie è, inoltre, come abbiamo detto, legato alla proposizione di un modello non solo per i cristiani di una determinata epoca storica, ma anche per determinate categorie di persone. Così il Caruso propone il modello di Giuseppina Faro per le donne impegnate in diocesi nell'«opera di soccorso agli infermi poveri a domicilio e alle Pie Sacramentine» 30 mentre l'abate Couturier fa riferimento in particolare alle figlie di Maria 31 • b) Tempo di composizione

Per quanto riguarda l'ordine cronologico, la prima biografia ad essere pubblicata fu quella del Caruso che venne data alle stampe nel 1892 a Catania. La biografia del Caruso incontrò

op. S. GAETA, op. cit., Jo F. M. CARuso, op. 31 N. COUTURIER, op,

28 1F, M. CARUSO,

29

1

cit., 10. 6.

cit., 11. cit., IX.


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un certo successo tanto che nel 1908 l'autore pubblicò a Bronte una seconda edizione aggiornata dell'opera, e fra il 1906 e il 1907, rispettivamente in Argentina e in Brasile, vennero stampate le traduzioni in lingua tedesca e portoghese 32 • Del 1896 è invece la biografia curata dal Gaeta, che non conobbe altre edizioni. Infine l'opera del Couturier, che risulta essere una rielaborazione delle precedenti biografie con l'aggiunta delle grazie ottenute per intercessione della Faro in Francia, fu pubblicata nel 1901 a Langres. Tenuto conto di tutti questi elementi idobbiamo rilevare che l'opera che presta più sicuro affidamento è la Lode funebre del Coco Zanghy, non solo per la personalità dell'autore, ma per la conoscenza diretta dei fatti narrati. A lui, come ad una fonte autorevole, si rifanno poi gli altri autori. Il Caruso, che scrisse per primo una completa biografia, porta alla luce tutta una sede di episodi e fatti nuovi, raccolti da testimonianze di persone che hanno conosciuto la Faro. Gli episodi sono narrati quasi sempre senza indicare la fonte. Scritta con stile semplice e popolare la biografia del Caruso non risponde certo a criteri di scientificità, ma può essere comunque annoverata come una fonte significativa. Preoccupazioni di rigore critico presenta invece la Breve vita della serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara di Salvatore Gaeta. L'autore è uomo aduso agli studi e non si limita a raccontare fatti ed episodi ma cita al contempo la fonte. C'è da dire, tuttavia, che le principali fonti usate dal Gaeta sono orali. Egli, in particolare, raccoglie le testimonianze di Angela Consoli, Teresa Caudullo, Carmela Squatrito, le amiche di Giuseppina, che seguirono la fanciulla pedarese nelle sue opere di carità e nell'esperienza cristiana e, alla di lei morte, cercarono di imitarne l'esempio e ne custodirono i resti. c) Contenuto

L'esame comparato del contenuto delle biografie ci consente di compiere alcuni ulteriori approfondimenti. 32 La notizia delle traduzioni in tedes·co e in portoghese 'dJell'o:pera è data dal ,Carusn nella seconda edizione della Vita.


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I testi in esame utilizzano uno schema pressoché simile, che ripercorre fra l'altro quello usato nella Lode funebre dal Coco Zanghy. Questi focalizza la sua trattazione su quattro aspetti: 1) l'ambiente familiare e la prima infanzia; 2) i tratti caratterizzanti della personalità; 3) l'ingresso nel monastero; 4) l'ultima malattia e la morte. Nelle tre biografie del Caruso, del Gaeta e del Couturier a queste quattro parti se ne aggiunge un'altra in cui vengono narrate le grazie ottenute per intercessione di Giuseppina Faro. Il testo base, che fornisce tra l'altro un'impostazione teologica nella lettura della personalità della Faro, è quello del Coca Zanghy. Egli, infatti, oltre a citare i fatti salienti della biografia di Giuseppina, poi ripresi dagli altri autori, traccia un profilo spirituale della fanciulla pedarese. I tratti salienti di questo profilo possono essere così sintetizzati: a) amore a Dio che si manifesta attraverso: lo spirito di mortificazione (ricche testimonianze in proposito l'autore raccoglie nel monastero di S. Giuliano); l'obbedienza a coloro che il Signore gli poneva accanto come autorità (i genitori, i direttori spirituali, le monache del monastero); l'umiltà da lei praticata in sommo grado; il desiderio dell'imitazione di Cristo; la preghiera assidua e l'adorazione dell'eucarestia; b) amore del prossimo, che si manifesta attraverso: la quotidiana pratica caritativa nei confronti dei poveri di Pedara, per i quali essa spesso si privava del suo («ella sotto le amiche ombre della sera, vestita da contadina e accompagnata da donne familiari, correva per le case delle povere ammalate a spazzarne il lurido bugigattolo, e prepararne a sue spese e con le sue mani il cibo, e medicarne le piaghe, a lavarne le marcio se ed insanguinate pezzuole»); l'insegnamento del catechismo offerto a molti bambini del paese; i soccorsi dati ai bisognosi a Catania imp1egando «quella somma che per onestamente diportarsi le somministravano in copia i genitori» nel periodo del suo soggiorno al monastero. Gli autori delle tre biografie non apportano sostanziali mutamenti a questo schema, ma si limitano piuttosto ad approfondire i singoli aspetti utilizzando in qualche caso fonti diverse.


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Un cenno particolare merita l'opera del Couturier che per quanto riguarda gli aspetti biografici della vita .di Giuseppina Faro non introduce alcun elemento nuovo rispetto alle altre due biografie. Essa risulta, invece, di estremo interesse per il racconto che l'autore fa della sua visita in compagnia dell'arcivescovo Dusmet alla salma della Faro e per la descrizione dettagliata delle grazie ottenute per intercessione della fanciulla di Pedara a Langres.

III. LE FONTI

a) Le

fa,n~i

della "Lode funebre" di GìuS>eppe Coca Zanghy

Monsignor Coca Zanghy nel comporre l'orazione attinse ad alcune fonti ben individuabili dal testo stesso e che si dimostrano attendibili. L'orazione, infatti, non fu preparata solo per essere letta, ma anche per essere stampata. La prima fonte utilizzata dall'autore è costituita dalle monache benedettine del monastero di S. Giuliano di Catania presso le quali Giuseppina Faro trascorse come educanda gli ultimi due anni della sua vita. «Ebbi la sorte - scrive Coca Zanghy - di avermela concittadina durante la sua biennale dimora nel più antico monastero benedettino del mio paese. Di .lì essa diffuse tale un odore di virtù, che appressandomi per obbligo di mio ministero a quelle sacre !aure, non potei non sentirne a parlare del continuo dalle venerande suore, che attonite ne testimoniano spontaneamente ed a gara le non comuni qualità» (p. 14). Nel corso del testo continui sono i riferimenti a testimonianze fornite direttamente al Coco Zanghy da parte di monache o convittrici di quel monastero («le convittrici del Monastero [ ... ] a me stesso rivelarono», p. 13; «le benedettine di S. Giuliano la videro [ ... ] », rp. 37, 38). Altre fonti a cui l'autore ha sicuramente fatto riferimento sono: 1) lo zio di Giuseppina, avvocato Filadelfo Faro; 2) l'ul.timo confessore di lei, canonico Bongiorno, del clero di Catania, che l'assistette fin sul letto di morte (a lui il Coco fa riferimento esplicito a p. 31); e, infine, è da ritenere che il Coco Zanghy


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avesse avuto modo di sentir parlare di Giuseppina Faro da sacerdoti e semplici fedeli nella sua veste di vicario generale («Io conoscevo i pregi della vostra Giuseppina, anzi dico meglio della nostra, chè mia anche fu lasciando lungo desiderio di sè nella mia patria ed in tante anime affidate alla mia pastora] cura», p. 14). b) Le fonN della "Vita" del Caruso

Nella Vita scritta .dal Caruso la citazione delle fonti è assai scarsa. Malgrado ciò è possibile in!dividuare con relativa sicurezza alcune fonti a cui l'autore fa riferimento. Anzitutto il Caruso disponeva già dell'Orazione del Coco Zanghy che egli ampiamente utilizza sia per gli episodi ivi citati che per il profilo spirituale della fanciulla pedarese 33 • Inoltre l'autore ricava le altre informazioni sulla vita della Faro dalle «persone che vissero con la santa Verginella» e «dai Sacerdoti che ebbero la sorte di conoscerla ed ammirarne le virtù e i carismi}> 34 . Per il periodo trascorso da Giuseppina Faro al monastero di S. Giuliano a Catania il Caruso dimostra di aver attinto le sue informazioni dalla stessa badessa suor Maria Concezione Costantino e Ida suor Maria Battistina Paternò Scammacca 35 • c) Fonti della "Vha" del Gaeta

Come abbiamo già osservato il Gaeta mostra una solerte preoccupazione a corredare il racconto della Vita di Giuseppina Faro con testimonianze ben identificabili. «E' doloroso - lamenta l'autore - che si siano lasciati passare ben venticinque anni, senza aver pensato di far raccogliere le giuridiche deposizioni di tutti coloro che conobbero la Serva di Dio» 36 • Il fatto 33 Scrive il Caruso: «La stupenda Lode funebre, letta .nell'anniversario della 'morte della Faro 1dal dattis·s-imo e non abbastarnza compianto mons. Giuse,ppe ,Coco Zanghy [ ... ] mi •fu di sicura sconta>) (cfr. F. M. CARUSO, op. cit., 11-12). 34 lbid., 11. 35 Jbid., 77. 36

s.

GAETA, op. cit., 16.


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secondo il Gaeta è grave perché i testimoni oculari cominciano a venir meno senza che rimangano le loro deposizioni. «Sventuratamente - egli nota a proposito dei direttori spirituali di Giuseppina Faro - nou abbiamo potuto avere una loro relazione essendo la maggior parte di essi, se non tutti, volati al Signore» 37 • Le fonti a cui princip::rlmente attinge il Gaeta sono le testimonianze delle amiche idi Giuseppina Faro. In particolare Angela Consoli, che fu cugina della Faro; Teresa Caudullo, terziaria dell'Addolorata; Carmela Forzesi Petronio, Carmela Squadrito, Maria Pappalardo, Domenica Pappalardo, Maria Nicotra. Inoltre il Gaeta ha raccolto Ie testimonianze della madre di Giuseppina, signora Teresa Consoli, di Suor Nazarena del monastero di S. Giuliano di Catania, e del sacerdote Salvatore Recupero coetaneo della Faro. Le testimonianze raccolte dal Gaeta arricchiscono la biografia della Faro di numerosi episodi che vengono riproposti dall'autore nella versione originale fornita dalle sue fonti. A questo proposito si devono fare due rilievi. Primo. Gli apporti documentari forniti dal Gaeta confermano e approfondiscono l'immagine di Giuseppina Faro fornita dalla Vita del Caruso e dalla Lode funebre del Coco Zanghy. Secondo. La maggior parte delle testimonianze riportate dal Gaeta sono rese da amiche di Giuseppina Faro che vivevano ormai, a più di vent'anni dalla sua morte, nella convinzione della sua santità. I racconti, perciò, sono avvolti da un alone fortemente agiografico che va adeguatamente purgato ai fini di una ricostruzione storica. L'opera del Gaeta pone anzi una nuova questione alla ricostruzione storica della vicenda legata alla Faro. Si tratta della esistenza, dopo la morte di Giuseppina, di un nutrito gruppo di inonache di casa, o bizzocche, che si consacrano al Signore, si dedicano alle pie pratiche iniziate dalla Faro, e hanno cura del sepolcro di lei. d) Fonti della biografia curata dal Couturier

Per quanto riguarda i dati della biografia di Giuseppina 37

lbid., 43.


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Faro l'opera del Couturier non apporta alcun elemento di novità. Essa si basa esclusivamente sulle fonti edite (Coco Zanghy, Caruso, Gaeta). L'opera, invece, risulta di notevole interesse per la testimonianza personale che l'autore fa circa la sua prima visita al sepolcro della Faro in compagnia dell'arcivescovo Dusmet. Il fatto e alcuni altri simili raccontati dal Couturier confermano l'ipotesi di una particolare benevolenza che il cardinale Dusmet nutriva verso quella fanciulla che aveva dedicato la sua vita alla preghiera e all'assistenza dei poveri e dei malati 38 • Inoltre l'opera del Coutnrier ci fornisce una testimonianza riccamente documentata della diffusione della fama di santità di Giuseppina Faro nella diocesi di Langres in Francia.

IV. VALUTAZIONE CRITICA DELLE BIOGRAFIE

Pur con alcune differenze che metteremo in evidenza, sia la Lode funebre del Coco Zanghy che 1e biografie del Caruso, del Gaeta e del Couturier, si presentano, dal punto di vista storico, attendibili. Ciò non tanto per l'apparato critico che le sostiene quanto per un riscontro esterno che è possibile fare e che ne attesta la veridicità. La Lode funebre del Coco Zanghy è la fonte principale della vita di Giuseppina Faro. Abbiamo dimostrato come pur essendo una orazione funebre essa presenti i caratteri di un documento storicamente valido. C'è 1da aggiungere che l'autore, a differenza dei rimanenti tre biografi, scrive poco dopo la morte deila Faro e ha modo di raccogliere testimonianze di prima mano. La carica di vicario 38 ·La spi,ritualità .e i tratti ·d'ella personalità cristiana deMa Faro cor~ ris1pondono ·molto all':ùm·magine di cristiano ohe l'arcivescovo tenta di .for" mare in diocesi. Il cristiano, secondo Dusmet, è anzitutto uomo dì pre~ ghiera e di fe.rvorosa carità. ·Lo ·stes'so arcivescovo è un esempio vivente di questo ide'ale. Egli che era stato l'abate del monastero benedettino d~ S. Nicola, e che ora aveva la responsabilità pastorale della diocesi, viveva in maniera modesta sempre 1pronto a :privarsi di 1tutto pur di aiutare le persone in difficoltà (çfr. T. LEcc1sorr1, op. cit.).


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generale della diocesi che il Coco Zanghy ricopre ha permesso, inoltre, all'autore di entrare in contatto con i direttori spirituali della Faro e, nel periodo della di lei permanenza a Catania, con le monache .di S. Benedetto che egli visitava anche come confessore. Per quanto riguarda la Vita del Caruso, essa acquista valore documentario probante per alcuni riscontri esterni che si possono fare. C'è da notare anzitutto che l'autore, un umile e pio cappuccino, fa parte di quella schiera di uomini di santa vita che hanno popolato le campagne del mezzogiorno d'Italia in epoca moderna. L'immagine di santità che Giuseppina Faro incarna e che accende l'attenzione del Caruso è anch'essa semplice, legata al mondo rurale dei paesi etnei. Giuseppina non è famosa presso la sua gente per la sua dottrina o per la sua intelligenza, quanto per essersi fatta umile, da ricca che era, per aver incarnato un cristianesimo fatto al tempo stesso di amore di Dio e di amore per i più bisognosi. C'è in questo senso un'affinità tra il biografo e la protagonista che promana da ogni pagina dell'opera. NeHa biografia bisogna r.Hevare qua e là qualche approssimazione soprattutto per quanto concerne le date. Errata è, per esempio, la data di nascita di Giuseppina Faro indicata dal Caruso nel 19 gennaio (anziché nel 16} del 1847. Lo stesso errore viene poi ripetuto dal Gaeta e dal Couturier. La biografia del Caruso, come abbiamo già accennato, conobbe una grande fortuna tanto da richiedere una seconda edizione e numerose traduzioni. Nella parte introduttiva della seconda edizione il Caruso riporta una lettera .del cardinale Nava, successore idi Dusmet alfa guida della diocesi di Catania, che presenta alcuni elementi cli interesse. Il cardinale Nava, diversamente dal suo predecessore è uomo di alta cultura, attento più alla fondazione razionaie della coscienza di fede che non alle forme di devozione popolare 39 • 39 Sul cardinale Francica Nava cfr. Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia, III/2, Marietti, Torino 1984, ad vocem e la bibliografia ivi citata.


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Fu lui ad esempio a ordinare la rimozione della salma della Faro dalla vis.la dei fedeli nella chiesa dell'Annunziata a Pedara e a esigere che venisse tumulata sotto una navata della stessa chiesa. Tenuto conto di questi dati risulta significativo quanto il Nava scrive: «Le numerose grazie che si sono ottenute, specialmente nell'estero, per l'invocazione del suo [di Giuseppina Faro] nome - afferma il cardinale - danno a sperare che un giorno il Signore vorrà innalzarla agli onori degli altari». E di seguito il presule aggiunge: «Benedico perciò volentieri la detta ristampa, augurandomi che .il libretto sarà molto diffuso anche nelle nostre contraJde, affinché le virtù della pia Verginella non solo siano ammirate, ma, quello che più importa, accuratamente meditate dai fedeli»"'· Sulla Vita scritta .dal Couturier non c'è altro da aggiungere rispetto ai giudizi già espressi in precedenza.

V. GIUSE!IPINA FARO E L'AMBIBNTE IN CUI VISSE

1. In questa parte del nostro lavoro ricostruiamo le tappe fondamentali della vita di Giuseppina Faro utilizzando la Lode funebre e le tre biografie citate, integrandole però con la nuova documentazione di cui siamo venuti in possesso. Giuseppina Faro nacque a Pedara il 16 gennaio 1847 da Alfio Faro e Maria Teresa Consoli 41 • li giorno successivo ricevette il battesimo nella chiesa madre del paese dalle mani del sacerdote Andrea Barbagallo, avendo come padrino Gaetano Consoli, nonno materno 42 • La sua famiglia era una delle più agiate e influenti di Pedara. Il nonno paterno, Emanuele, figurava nel 1838 al 1" posto

40 Riportato .i.n F. M. CARuso, op. cit., 7. 41

Cfr. copia conforme all'ariiginale dell'atto di narscita rilasciata dal comune idi Peidara in data 12-1-1976, ohe si conserva presso l'archivio del '1Comitato rpro Serva di Dio Giuseppina Faro". 42 Registro dei battesinii .della Chiesa Madre di Pedara, all1ilo 1847, n. 8.


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nella lista dei ricchi pedaresi "- Il prozio Luigi Antonio (17551832) era stato dal 1819 al 1824 priore generale dell'ordine carmelitano 44 • Lo zio Filadelfo (1813-1883) fu un eminente avvocato e nel 1867 fu eletto deputato al Parlamento nel collegio di Paternò 45 • Il padre di Giuseppina, Alfio (1812-1881), era medico e ricoprì in varie circostanze cariche pubbliche a Pedara (fu più volte eletto decurione e nel 1848 fu uno dei tre giurati della magistratura municipale). La madre, Teresa Consoli, donna di grande religiosità, proveniva da un'altra famiglia benestante del paese. I genitori di Giuseppina, nonostante la loro posizione sociale, furono persone molto pie e attente ai bisogni dei poveri 46 • La vita di Giuseppina Faro si svolse in prevalenza a Pedara, un piccolo centro etneo che a metà '800 contava circa tremila abitanti 47 • Il comune aveva una storia singolare. Fin dall'epoca medievale era stato un "nodo" dell'asse viario (la via Magna) che congiungeva Paternò ad Acireale 48 • In seguito il luogo, che costituiva uno dei "casali" di Catania, passò sotto la baronia dei Di Giovanni, una famiglia di origine messinese legata al mondo del commercio e della finanza, che scelse la propria sede nella vicina Trecastagni 49 • Pedara visse il suo periodo di grande splendore nella seconda metà del XVII secolo grazie all'opera della famiglia Pappalardo. In questo periodo si svolse «Uno sforzo imponente sul terreno culturale (il teatro, le scuole), religioso (la nuova

43 ARCHIVIO COMUNALE PEDARA, Registro Atti decurionali, 1819-40, f. 330r; ofr. G. ;PAPPALARDO, Pagine storiche della Pedara, III, Ila Palma, Pa" lermo 1982, 54. 44 ·L. CoRVAIA, Elogio funebre del Rev.1110 Ex Generale Luigi A. Faro, Catania 1833. 45 S. PAOLA, Per l'anniversaria con1.n1e111orazione dell'avvnca,fo Filadelfo Faro, Ca1tania 1884. 46 Cfr. F. M. CARuso, op. cit., 15; S. GAETA, op. cit., 9-10. 47 ,Ofr. V. AJ\11co, Dizionario topografico dei co1nuni, ad vocem. 48 G. GIARRizzo, Introduzione a G. PAPPALARDO, op. cit., 7. 49 ,Cfr. G. PISTORio, Pedara, Catania 1969, 70.


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chiesa), economico (la fiera e la festa, di grande ricchezza e complessità)» 50 • Nel XVrIII secolo Pedara cessò di gravitare nell'orbita economica di Messina per passare in quella di Catania-Acireale 51 . Agli inizi del XIX secolo, infine, con l'abolizione della feudalità, il centro divenne comune autonomo e venne aggregato alla provincia di Catania. A parte poche famiglie di ricchi possidenti la gran parte della popolazione viveva in una condizione molto modesta. L'agricoltura era la principale fonte di ricchezza del paese (assai diffusi erano i vigneti e i castagneti) ma la proprietà era concentrata in poche famiglie. I contadini piuttosto che piccoli proprietari erano braccianti e coloni parziari 52 • 2. Pedara contava nell'Ottocento sette chiese 53 e un solo oratorio privato: in casa della famiglia Faro. I sacerdoti, alla data della visita pastorale del Dusmet del 1872, erano 12, un numero che appariva aI vicario foraneo e al sindaco del tempo insufficiente ai bisogni della popolazione 54 • La metà di essi, infatti, aveva un'età superiore ai 55 anni, e anzi ben 4 su 12 superavano i 65 anni. Inoltre 4 di essi erano monaci riparati a Pedara dopo la soppressione degli ordini religiosi, e non avevano ancora un preciso incarico pastorale. Nella relazione all'arcivescovo del 1872 il vicario a fianco del loro no.me annota semplicemente: "confessore". La situazione doveva essere ancora più difficile agli inizi degli anni '60 se il sindaco Vincenzo Pappalardo scriveva alla curia arcivescovile che i sacerdoti erano insufficienti per am~

.G. GIARRIZZO, op. cit., 12. «La nobiltà, vecchia e nuova, è attratta per vie diverse da Catania, importa11Jte me11ca1to e centro finanziario, e grande città di cooisumo al tempo stesso)>, ibid., 13. ,, Cfr. G. PAPPALARDO, op. cit., 349-358 e 378-379. 53 E·sse erano .così denominate: Matrice, S. Antonio, Annunziata, S. Biagio, S. Vito, S. Maria 1dlella Stella, S. Maria delle Grazie. (Cfr. ACA, Pedara, fase. 16, anno 1868). 54 Stato no1ninativo .dei sacerdoti sia secolari che regolari domiciliati in questo co1nune nell'anno 1872, in AcA, Pedara, 1. 50 51


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mm1strare i sacramenti e per tenere il catechismo e per chiedere che venissero presi provvedimenti"· A confronto con la situazione attuale il rapporto cleropopolazione che si registrava a Pedara non sembrerebbe giustificare tali lamentele. Eppure bisogna tenere presenti due fattori: a) il raffronto che i contemporanei di Giuseppina Faro facevano con le epoche passate, in cui i sacerdoti erano in numero spesso esorbitante, e b) la ricca fioritura di pratiche religiose che richiedevano la presenza costante di sacerdoti. Ogni festa della Madonna aveva le sue novene o i suoi tridui e così pure le ricorrenze forti dell'anno liturgico, senza dire dei santi particolarmente venerati in paese come S. Caterina, S. Antonio, S. Biagio e S. Vito. In più c'erano le confraternite con i loro statuti, le loro periodiche riunioni, le loro feste. A Pedara se ne contavano almeno quattro: quella del SS. Sacramento, quella deH'Annunziata, quella di S. Antonio Abate e quella della Madonna del Carmine 56 • La religiosità della popolazione 'di Pedara, come quella dei comuni etnei, era molto semplice, legata più alle pratiche devote che non alla conoscenza razionale dei dogmi della fede. Essa era legata in particolare alla devozione del Cristo crocifisso e alla Vergine Maria 51 . Inoltre bisogna aggiungere che la popolazione di Pedara aveva per secoli convissuto con terribili eventi naturali legati all'Etna: eruzioni, terremoti. Questo aveva accentuato il sentimento di precarietà della vita nella coscienza collettiva e una naturale spinta religiosa. 3. La vicenda terrena di Giuseppina Faro (1847-1871), vide la Sicilia alle prese con il tormentato periodo risorgimentale: la rivoluzione antiborbonica del '48, la spedizione garibaldina, le disillusioni dei primi anni post-unitari, i fenomeni del brigan-

ss AcA, Pedara, 1, fase. 3, lettera del 23.5.1862. PBda:ra, 2, faisc. 1, Confraternite. 57 Gfir. A. SINDONI, Chiesa e società in Sicilia e nel Mezzogiorno, secoli XVII-XX, Edizioni di "Historica", Reggio Calabria 1984, 11-45. 56 ACA,



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taggio, gli anni della soppressione degli ordini religiosi, il riverbero della presa di Roma 58 • In questi pochi decenni i rivolgimenti politici e sociali di grandissima portata che si verificarono in Italia ebbero riflessi fin nei più sperduti paesi della Sicilia. Per quanto riguarda la diocesi di Catania, in cui ricadeva Pedara, basti solo pensare che essa rimase, a seguito del nuovo clima politico, senza vescovo per ben 6 anni, dal 1861 al 1867 ", con gravi conseguenze per la vita religiosa. Inoltre le leggi di soppressione degli ordini religiosi, che costituivano l'asse portante della struttura ecclesiastica catanese, provocarono profonde trasformazioni nella vita ecclesiale diocesana. Gli eventi risorgimentali penetrarono fin dentro la famiglia Faro. Nel 1848, in piena rivoluzione, a Pedara si costituì un "consiglio civico" di cui facevano parte il padre e il nonno materno di Giuseppina"'· Così pure nel primo "consiglio civico" costituitosi a Pedara subito dopo lo sbarco dei mille figurava un altro membro della famiglia Faro: Emanuele, fratello di Giuseppina. Ma in casa Faro vi fu anche chi partecipò alle sedute del parlamento italiano in qualità di deputato. Fu lo zio della fanciulla pe'darese, Filadelfo, eletto deputato nel marzo del 1867, che militò nelle file della sinistra liberale 61 • 4. Sull'educazione ricevuta da Giuseppina Faro, uno dei biografi, il Coco Zanghy, ci fa sapere che essa fu adeguata alla condizione familiare 62 • Giuseppina fece, quasi certamente, degli 58 Sulle vicende politiche risorg1mentali a ·Pedara, cfr. G. PAPPALARDO, op. cii., 57-77. 59 Cfr. G. DI FAZIO, op. cit. 60 G. PAPPALARDO, op. cit. 61 Cfr. A. MALATESTA, Minis,tri, Deputati, Senatori dal 1848 al 1922, Enciclopedia biografica e bibliograifìca italiana, ,se.rie XLIII, Milano 1940, ad vocem. 62 Anohe S. GAETA, op. cit., 10, scrive: «.Riç.ca pu r di doni na'turali ella corrispose ben ipresto alle mire !dei suoi, i quali volevano ch'ella ingentilisse l'ainiano suo coll'esercizio ·delle letture e delle arti belle [ ... ]}), 1

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studi di musica, e già ragazzina conosceva i pezzi vocali che si cantavano nei teatri di Catania 63 , città dove veniva spesso condotta dai genitori e dove risiedeva lo zio Filadelfo. Ancor giovinetta, tuttavia, Giuseppina volle rinunziare agli agi della sua condizione scegliendo di darsi totalmente a Dio. Sembra questo, a leggere fa Lode del Coco Zanghy e le altre biografie, l'episodio che segnò la svolta nella vita della fanciulla pedarese. «Ella - scrive il Coco - dopo aver rinunziato, e chiuse le orecchie alle terrene armonie visse in un ambiente di perfetta mortificazione» 64 • La consacrazione al Signore tendeva man mano a manife. starsi in forme esterne. Ben presto, infatti, la fanciulla chiese alla madre di poter «lasciare le vesti signorili e poter vestire da umile divota» 65 • Era tradizione in Sicilia che alcune donne vivessero la vita consacrata pur rimanendo nella propria casa. Esse venivano perciò chiamate monache di casa o bizzocche. Quest'uso serviva talora nelle famiglie agiate ad evitare la di9persione del patrimonio familiare. Secondo il Caruso, Giuseppina ottenne dalla madre il permesso di vestire secondo l'uso delle "bizzocche" solo dopo «due anni di preghiere e di prove», quindi quando ella aveva circa 15 anni 66• L'avvenimento a Pedara non poteva certo passare inosservato. Che la figlia dei Faro abbandonasse gli agi della casa paterna per con.durre vita di monaca .di casa, non era certo un fatto 'di poco conto. Quel che più interessa notare, però, è che l'esempio di Giuseppina suscitò in alcune sue amiche un naturale desiderio di imitazione. Ella trasformò la sua casa, secondo quanto scrive il Coca

63 G. 1Coco ZANGHY, Lode funebre della serva di Dio Giuseppina Faro, T]pografìa Paratore, Catania 1872, 19-20. Scrive il Caruso: {{fornita di orecchio delic'ato e di bella vooe eh.be grainde ,genio per la .musica, e l'apprese ben presto 1sotto la direzione di p·ersona versata in tal 1disciplina». 64 Ibid., 36. Il Caruso dwta questa svolta al 1850, cfr. F. M. CARUSO, op. cii., 20. 65 lbid., 24. 66 lbid., 25.


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Zanghy, in «ritrovo di anime pie» che «l'accompagnavano alla Chiesa ed alle stamberghe dei poverelli» 67 • In questi anni la fanciulla si dedicò interamente alla vita di preghiera e alla cura dei poveri. Le biografie ci attestano che ella fu animatrice di numerose pie pratiche in Pedara. Per esempio nel 1864 ella introdusse nella chiesa madre la pratica della recita quotidiana •del rosario col canto delle litanie lauretane 68 • Le novene delle feste mariane e le pie devozioni del mese di maggio la vedevano sempre fra le più ferventi animatrici, e il suo esempio non mancava di trascinare le amiche. Di questi anni è ancora il suo fervido apostolato di carità. «Ella sotto le amiche ombre ,della sera, - scrive il Coco Zanghy - vestita da contadina e accompagnata da donne familiari, correva per le case delle povere ammalate a spazzarne il lurido bugigattolo, e prepararne a sue spese e con sue mani il cibo, a medicarne le marciose ed insanguinate pezzuole» 69 • La carità ·della fanciulla pedarese ebbe modo di manifestarsi particolarmente nelle crisi ricorrenti che caratterizzarono la vita di Pedara: le carestie continue che afflissero il paese negli anni '60 o il colera del 1867 che a Pedara fece diverse vittime. 5. A 17 anni Giuseppina, che custodiva in cuore il desiderio di ritirarsi in convento, fece voto di verginità temporaneo 70 • Nel novembre del 1869 fece il suo ingresso come educanda presso il monastero di S. Giuliano a Catania 71 • Sul periodo di permanenza della Faro a S. Giuliano monsignor Coco Zanghy, che in quello stesso periodo si recava periodicamente in monastero per confessare le monache, ci descrive di Giuseppina la sua abitudine costante alla preghiera, la sua

67 G. Coco ZANGHY, op. cit., 36. 68 F. M. CARUSO, op .cii., 62-63. 69 G. Coco ZANGHY, op. cit., 41. 10 F. M. CARuso, op. cit., 34. 71 Sulla data di falJgresso in :monas1tero di G1useppina Faro le fonti presentano qualche disc:ord!anza. Il Ca·ruso assegna l'i1ngresso in monastero di Giuseppi11J.a Faro all'età di 21 1anni, che corrisponderebbe :però al 1868. All'inverno 1869 si riferisce invece il Gaeta (pp. 72-73).


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ubbidienza, il suo amore a Gesù nell'eucarestia, le sue meditazioni sulla persona di Cristo n 6. Agli inizi .del 1871 Giuseppina Faro, mentre si trovava in monastero, fu colta da grave malattia. Il fatto convinse i genitori nell'aprile dello stesso anno a riportarla a Pedara "In questa ultima stagione della sua vita la giovane, stretta dai tormenti del male, diede un'altra grande prova •di cristiana vir.tù. Il desiderio dell'imitazione di Cristo trovò in quest'ora della sofferenza un'altra occasione di realizzarsi. Il racconto che degli ultimi momenti di vita di Giuseppina Faro ci fanno il Coco Zanghy e gli altri biografi denota una forte personalità cristiana di doti non comuni. «Il male che la travagliava - scrive il Caruso - venne sempre aggravandosi, e nei primi giorni di maggio si pose a letto, nè potè mai più levarsi. I dolori che soffriva erano acerbissimi, il suo corpo divenne piagato, una febbre cocente la struggeva, ma dalle sue labbra non sfuggì una sola parola di lamento: tranquilla, serena, ilare pativa e desiderava sempre più ·di patire per amore del suo Dio [ ... ]. Nella sua camera volle s'innalzasse un altarino alla Madre di Dio e pregò le giovinette sue compagne a celebrare con lei per l'ultima volta il mese mariano» 74 • Tutte le testimonianze raccolte dai biografi concordano nel rilevare che anche in questo periodo di gravi sofferenze che preludeva la morte, Giuseppina fu .di edificazione per quanti ebbero modo di avvicinarla 75• Giuseppina Faro concluse la sua vita terrena il 24 maggio 1871 76• Sugli ultimi momenti della vita della Faro disponiamo di un documento, ritrovato di recente, che risulta essere di ecce-

" G. Coco ZANGHY, op. cit., 37-38. 73 Ofr. G. Coco ZANGHY, op. cit., 31 e '&S.; F. M, CARUSo, op. cit., 86 e 'S's.; S. GAETA, op. cit., 79 e ss. 74 F. M. CARUSO, op. cit., 90-91. 75 Ibid., 90 e ss; S. GAETA, op. cit., 78-85. 76 ARCHIVIO CHIESA MADRE ·PEDARA, Libro dei morti, 1871, n. 33.


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zionale importanza per confermare quanto sostengono le biografie. Si .tratta di una lettera autografa del sacerdote Domenico Bongiorno che assistette Giuseppina Faro fino all'ultimo respiro. La lettera datata Trecastagni 24 maggio 1871 è diretta alla madre di Giuseppina, signora Teresa. Scrive fra l'altro il Bongiorno: «son imparadisato!! Ho veduto cose sole che si dicono de' Santi di gran virtù e di squisita perfezione [ ... ]»TI. 7. Il funerale di Giuseppina Faro vide l'accorrere di tutto il paese. E fin da subito si sparse la fama della sua santa vita. A meno di un anno di distanza dalla sua morte si registrò un avvenimento che suonò ai suoi concittadini come segno premonitore. Ne troviamo un accenno anche nella Lode del Coco Zanghy che fa esplicito riferimento all'evento non usuale dell'integrità del cadavere di Giuseppina Faro. «Le vostre lacrime - dice il Coco Zanghy rivolto ai cittadini di Pedara - mutansi adesso in pianto di tenerissima gioia in vederla integra e incorrotta nelle sue fredde spoglie verginali»"L'autorità ecclesiastica si mostrò indulgente verso il fervore popolare che si andava sviluppando e permise che il corpo della fanciulla fosse disposto in un'urna di legno con copertura in vetro e collocato in luogo accessibile ai fedeli, dietro l'altare maggiore della chiesa della Vergine Annunziata di Pedara n 77

L'originale -della lettera è custodito ipresso l'arichivio d-el "Comi1tato pro Ser·va rdi ·Dio Giuseppina Faro" .di Pedaira. 78 G. Coco ZANGHY, op. cit., 13-14. Per :molti 'a!Ilili la ohies-a dell'.Annunziata fu rrnèta di fedeli e di ouriosi attirati dalla fama .della .fanciulla pedlares-e. Nel 1896 il co11po della Faro si 'manteneva aiJlcOra integro come attesta n ·dottor Giov'anni Pappala·rdO in Wla dettagliata relazione scientifica al termine della quale conclude: <<·sono -certo e coTIJV.into che la perfetta e completa conserv'azione del cadavere della Faro sia uno dei sonprendenti fenomeni)> (la .rei. è riportata 111 F. M. CARUSo, Vita d-ella Serva di Dio Giuseppina Faro, cit., 187-190), 79 Durante l'epi·scopato di monsignor ·Nava (1895--1928) il co:npo Oi Giuseppina Farro fu tolto alla vista dei fedeli e sotterrato nella na'Vata centrale della medesi ma chiesa. Una ricognizione effettu·ata nel 1982 alla presenza deJI'aurtorità ecclesiastica 'ha accertato che il cada'Vere era omnai in .s1tato di decomposizione. 1

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Le biografie riportano, inoltre, un elenco dettagliato delle grazie ottenute da diverse decine di fedeli in varie parti della Sicilia e anche all'estero per intercessione della Faro. Nell'elenco di questi casi le biografie del Caruso, del Gaeta e del Couturier si completano a vicenda. Senza voler giudicare l'attendibilità medico-scientifica dei singoli casi riportati dai biografi, si deve tuttavia rilevare che nel giro di pochi anni si venne diffondendo attorno alla figura di Giuseppina Faro una vera e propria fama di santità. In una società contadina la santità è un avvenimento che rientra qnasi natnralmente negli schemi mentali e nella prassi quotidiana della gente. Il Santo rappresenta colui (o colei) che, per via di fede, riesce a vincere il pesante fardello dei mali che attanagliano la vita dell'uomo e al tempo stesso offre la speranza di un intervento straordinario di fronte al limite umano. Così i contadini etnei fedeli cominciarono a ricorrere a Giuseppina Faro quando la malattia sembrava incurabile, quando la pioggia tardava a venire e si temeva per il buon esito dell'annata agraria; e quando ancora la lava scendeva minacciosa sui fianchi ·del vulcano a distruggere campi coltivati e abitazioni. In questo contesto sorse quella fama, che la Chiesa cercò subito di incanalare proponendo la figura di Giuseppina Faro come modello di vita cristiana in un contesto culturale e sociale che si mostrava ostile al cristianesimo. I due aspetti, l'attenzione alla serva di Dio ·per la sua "capacità :miracolosa" e l'i·mitazione del suo esempio sono andati nel tempo di pari passo. Se è vero, infatti, che numerosi sono stati i casi prodigiosi dovuti all'intercessione della Faro, è anche vero che la sua vita suscitò in molte fanciulle il desiderio di consacrarsi al Signore nella verginità 80 e nella carità. Le fonti a stampa ci testimoniano che ancora nel 1908 la fama di quella che il popolo aveva consacrato come la «Beata

80 Scrive il Caruso: {{A ragia.ne ac1Ulllque si attribuisce all'ese1npio, alle :preghiere della semia rdi Dio, ·se in Pedara attualmente 1siano cresciute assai di numero le vevgini CO'llJsacvate al Siig1nore)J (F. M. CARuso, Vita ... , cit., 27).


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Peppina» era più che mai viva. Di quest'anno è la seconda edizione della Vita del Caruso con una prefazione dell'arcivescovo di Catania Giuseppe Francica Nava. «Benedico volentieri la detta ristampa - scriveva tra l'altro l'arcivescovo - augurandomi che il libretto sarà molto diffuso anche nelle nostre contrade, affinché le virtù della pia verginella non solo siano ammirate, ma, quello che più importa, accuratamente meditate dai fedeli>>. Il fervore di iniziative e di devozione verso Giuseppina Faro rimase assai vivo fino alla metà degli anni '20. Le testimonianze raccolte a cura del "Comitato pro Serva di Dio Giuseppina Faro" di Pedara sono tutte concordi nell'affermare che le amiche della fanciulla finché rimasero in vita non solo cercarono di imitare lo spirito di carità e la pietà della Faro, ma ne tennero vivo anche i1 ricordo in forma pubblica. L'esempio di vita cristiana e la fama di santità della Faro, intanto, avevano già valicato i confini. In Francia (dove la vita di Giuseppina venne conosciuta attraverso la testimonianza diretta e la biografia del canonico di Langres Nicola Couturier), ma anche in Argentina, Brasile, Egitto, Germania, la fama di Giuseppina arrivò, stavolta attraverso gli emigranti. Esemplare a questo proposito è una testimonianza del signor Aldolfo Scandurra nativo di Alessandria d'Egitto, ma .da genitori pedaresi, testimonianza che si conserva nell'archivio del "Comitato pro Serva di Dio Giuseppina Faro". Alla fine dell'800 i genitori del testimone si erano trasferiti ad Alessandria d'Egitto per ragioni di lavoro. Qui i coniugi Scandurra persero uno dopo l'altro, a causa della difterite, ben sette figli maschi. Anche l'ottavo, Adolfo - colui che ha reso la testimonianza - venne presto colpito dal male. Stavolta,· però, la madre di ritorno •da un viaggio a Pedara aveva portato con sé alcune reliquie di Giuseppina Faro. Grazie all'intercessione della Faro il piccolo Adolfo colpito da difterite mantenne salva la vita 81 • L'episodio è significativo perché ci indica le vie

81 Cfr. Testimonian'Za resa da Adolfio Scandur•ra in archivio 1del "Comitato pro Serva di ,Dio .Giuseppina Fa~o", Pedara.


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misteriose per le quali la fama della Faro si è sparsa per il mondo. Dagli anni '30 agli anni '60 rimase ininterrotta a Pedara e fuori la devozione alla giovane fanciulla. In paese quasi ogni famiglia aveva un'imm1:1gine o una reliquia della «Beata Peppina», mentre la tomba, nella chiesa dell'Annunziata era meta di pellegrinaggi spontanei. Quando agli inizi degli anni '70 sorse un "Comitato pro Serva di Dio Giuseppina Faro", promosso quasi esclusivamente da laici, tutta questa pietà sommersa venne alla luce. Dalla Argentina il parroco •di S. Maria Maddalena di Quilmes, padre Rosario Pappalardo, fece sapere che nella sua parrocchia operava un comitato intitolato a Giuseppina Faro e che si dedicava ad opere assistenziali. Da tutte le parti dell'isola, invece, semplici fedeli cominciarono a scrivere per comunicare le grazie ricevute tramite Giuseppina Faro o semplicemente il conforto che avevano ricevuto dall'esempio della fanciulla pedarese. La nascita del comitato ha segnato un passo importante nella storia della fama di santità di Giuseppina Faro. La Faro è stata sempre più riscoperta nella sua vera luce di fanciulla che visse cristianamente offrendo una testimonianza mirabile di amore a Dio e ai fratelli. E di recente la Chiesa locale di Catania ha ritenuto maturo il tempo di aprire il processo diocesano per la sua causa di canonizzazione 81 • A più di cento anni dalla morte la fama di santità della fanciulla pedarese è dunque più che mai viva e socialmente rilevabile e rilevante.

Il processo diocesano per la .ca.usa di cananizzazi0J1e di Giuseppina Faro è stato aperto ufficialmente dall'arcivescovo mons. Domenico Picchinenna a ,pe~dlara il 24 maggio 1988. 82


GIUSEPPINA FARO: UN'ESPERIENZA EVANGELICA DA RECUPERARE

SALVATORE CONSOLI*

Introduzione Questo breve S'tudio è fondato ·su G. Coca Zanghy, Lode funebre della serva di Dio Giuseppina Faro; F. M. Caruso, Vita della serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara; S. Gaeta, Breve vita della serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara; N. Couturier, La servande de Dieu Giuseppina Faro de Pedara (Sicile). La fondatezza, la ver1didtà e l'attendibilità di que~te fonti sono ampiamen1Je e chiaramente dimostrate da G. Di Fazio nel suo saggio Santi e santità nei comuni etnei in epoca contemporanea. Il caso Giuseppina Faro. NeUo seesso lavoro è anche motivato il valore particolare che bisogna attribuire agli atteggiamenti e/o alle testimonianze nei confronti di Giuseppina Faro deglri arcivescovi di Catania, il beato G. B. Dusmet e H card. G. Francica Nava, nonché del vlcario genernle mons. G. Coca Zan:ghy. I. STRUTTURA TEOLOGICA DELLA SUA VITA SPIRITUALE

1.

Amo,re di Dio ovvero una vita teocentrica

La Faro (1847-1871) è pres,entata come una che «ama lui (Dio), e con lui e per lui tutto ciò che egli ama»: 1 ella ebbe in * Docente di Teologia 1norale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1

G. ,Coco ZANGHY, L'Ode funebre della serva di Dio Giuseppina Faro, Tipografia Paratore, -Catania 1872, 35.


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Dio il pull!to di convergenza e, quindi, unificatore; ùl polo di attrazione per tu1ta la sua tensione morale 2 e la sorgente del suo amore per gli aJltri 3• La sua vita fu "teocentrica" oltre che nel senso etimologico aJnche nel senso teologko più pieno o, meglio, teologale. In lei vi fu la piena consapevolezza che, essendo da Dio, si è di Dio; ,ed, essendo per Dio, tutto deve essere ordinato a lui 4 • Il Gaeta può dire di lei «pur coi piedi in terra la mente e il cuore ,s•on· levati in Di 0» 5 • Il rapporto profondo e costante con Dio Giuseppina lo visse concretamente; leggendo le biogmfìe e le testimonianze lo si eviidenzia specialmente in tre momenti: la pr~ghiera; il pensiero costantemente rivolto a lui; la cura nell'evitare qualsiasi di1spiacere a Dio, cioè il peccato. 1

1.1. L'unione con Dio nella preghiera

La Faro dedicava molto tempo alla preghiera, vissuta come invocazione di Dio e unione con lui; la sua preghiera fu un «continuo amoroso soliloquio» 6 che si creava degli spazi ovunque e sempre, aJnche di notte 7 • Il profondo raccoglimento da tutti testimoniaJ!o, ammirato e annotato 8 olt11e aJd <'5•Se11e U!n contesto è soprattutto un segno della profondità del rapporto che Giuseppina riusd a s•tabtlire con Dio nella preghiera. L'amore tende aJll'unione; e il grande amore che la Faro nutrì per Dio diventò unione profonda ne11a preghiera 9 • La preghiera, la contemplazione e l'unione con Dio sono

2 Cfr. ibid., 36. ' Cfr. ibid., 40, 4 ,Qfr. S. GAETA, Breve vita della serva di Dio Giuseppina Faro da Pedara, Carola de Rubertis, Napoli 1896, 13. 5 lbid., 14. 6 G. Coco ZANGHY, op. cit., 37. 7 Cfr. ibid., 36; S. GAETA, op. cii., IO, 16-17, 51-52. s Cfr. G. Coco ZANGHY, op. cit., 36-37; F. ·M. CARUSO, Vita della serva di

Dio Giuseppina Faro da Pedara, Tipografia Sociale, Brente 1908, 16, 45, 78. 9 Cfr. S. GAETA, op. cit., 57.


Giuseppina Faro ...

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da ritenersi i mot!ivi profondi che le fecero tanto desiderare il morra.istero.

II grande desiderio dell'unione oon Dio le fece superare anche la paura della morte. 1.2. II pens.iero cost•ante a Dio Dio fu «l'unico obbietto del suo cuore» 10• A lui andavano sempre il suo amore e il ·suo pensiem: sono sign1ificative in tal senso le testimonianze che attestamo la ·sua continua unione con Dio 11 • Del Creatore le parlava ogni cosa e di uutto Giuseppina si servì per .elevarsi i,n 1ui 12 • Voleva che tutti g1i uomini oonoscessero e amassero Dio: si spiega bene la testimonianza secondo la quale «padava sempre che potea di Dio» n 1.3. L'impegno ad evitare qualsiasi peccato La Faro mise tutto l'impegno possibile nell'evitare qualsiasi peccato, anche veniale 14, nonché i difetti 15 per non dispiacere a Dio che amava: infatti era protesa a conoscere e a compiere i voleri divini, a purificare il proprio cuore per essere sempre più vicina e rassomigliante a Dio 16 • E' proprio, imfatti, dell'amore autentico non solo non arrecare dispiacere alla persona amata, ma cercarne la rasso·miglianza. Quanto eletto in questo primo punto oltre ad essere il segno dell'amore che ella nutrì per Dio si rivela Io strumento che le consentì di camminare a passi di gigante nella via dell'amore di Dio.

IO

F. 'M,

li

Cfr. S.

CARUSO, op. cit., ·GAETA,

op.

50.

cii., 16-18.

L. c. L.c. 14 F. M ..CARuso, op. cit., 22·23. 15 Cfr. S. GAETA, op. cit., 15. " Cfir. ibid., 14. i2

13


Salvator.e Consoli

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Amore a Cristo ovvero una vita cristocentrica

2.

2.1. La sequela Caratteristica del cristiano è la sequela che lo impegna a riprodurre in sé la "immagine" di Cristo. Giuseppina concepì e visse la pmpria vita come un avvicinarsi costante all'immagine del Redentore 17 • Contemplava H Cristo privilegiando il Mistero della Natività - fu grande la sua devozione al Bambino Gesù - e il Calvario - guardava spesso a Gesù Crocifisso. La contemplazione la preparò a11a imitazione: dal Cristo contemplato al Cristo seguito, imitato concretamente. Nella ·sequela Giuseppina Faro riservò particolare attenzione al Cristo paziente e sofferente. «Patire e sempre patire per conformarsi a Gesù fu sempre l'llll1ico suo desiderio» 18 • Tutte le sofferenze, e soprat1Jutto quelle dell'ultima malattia, le visse esemplandosi al Cristo della P·assione e unendosi - amorosamente - al Redentore 19 . 2.2. Intensa esperienza eucaristica Sono molte e unamimi le testimonianze sulla sua pietà eucaristica 20 : Ja oomu,nione sacramentale è da consi:derarsi un momento del tutto singolave non solo delle ·Sue giornate ma anche della sua vita; lo stesso dica•si del Viatico 21 • Compresa dal Mistero dell'Eucaristia, la Faro dedicava molto tempo me! contemplare Gesù presente in mezzo a noi e palpitante .di am·or:e per noi 22 • Fuori dal'Ia chiesa continuava il suo rapporto con l'Eucaristia .mediante la "comunione spirituale" che ripeteva spes-so 23 • Gfr. G. Coco ZANGHY, op. cit., 16-18, 31-32. F. M. CARuso, op. cit., 95. 19 Gfr. S. GAETA, op. cit., 35-37. 20 ,Qfr. G. Coca ZANGHY, op. cit., 38; F. ,M, CARUSO, op, cit., 78; S. GAETA, op. cit. 1 18. 21 ,Qfr. •F. M. CARUSO, op. cit., 32. 22 Cfr. ibid., 54-57. 23 Cfr. S. GAETA, op. cit., 20. 17

18


Giuseppina Faro ...

173

La possibilità di stare più vicina alla Eucaristia è da nitenersi uno dei motivi principali del suo grande desiderio di entrare nel monastero 24 • L'amore per Cristo, se da una parte divenne in Giuseppina Faro bisogno di unirsi a lui nella comunione eucaristica e di stare alla sua Presenza sacramentale, dall'a:ltm proprio da questa esperienza venne alimentato e accresciuto.

L'amore ai fratelli ovvero una vita altruistica

3.

L'amore a Dio e a Cristo divenne in Giuseppina Faro amore per i fratelli, specialmente bisognosi. Particolarmente significativa la seguente affermazione di mons. Giuseppe Coco Zanghy per la viva testimonirunza che vi si implica: «Uditori, fu serafina di aùllore verso Dio la nos·trra donzella; ma dite:tni, non .fu insieme l'apostolo della carità in mezzo a voi, l'angelo di conforto pe' poveri, per gl'infe:mni, per le anime afflitte, per le .desolaite famiglie? Oh mentre io vi an0nunzio come fìra le altre virrtù, onde si J'ese spettacolo la Giuseppina alle religiose del suo 1nonas tera, diede pure il suo splendore la sua carità verso i poveri a' quali con toccantissime fil'al1Ìere 1dava soccorsi impiegandovi, con l'ubbidienza, queJla somma che per onestamente diportarsi le somministravano in copia i genitori; si faccia innanzi e .parli chi tra voi ne' .giorni di ,cairestia la vide correre qua e là come An.gelo consolatore; si .faccia innanzi e parli chi la pietosa mano di lei ebbe a provar sovente nello asciugamento delle ascose lagrime, quand'ella sotto le amiche ombre della :sera, vestita da contadina e accompagnata da donne familiari, cor:reva per le case delle povere ammalate a spazzarne il lurido bugigattolo, e prepararne a sue spese e con sue ·mani il cibo, a medicarne le piaghe, a Iav:amne le marciose ed insanguinate pezzuole! [ ... ] Oh! tSi faccia innanzi ancora e parli 1chi ne ricevè Ì'Struzione nell'ignoranza, consiglio nella dubbiezza, conforto in ogni 1sorta di 1disavve.nture» 25. 1

24

25

Cfr. ibid., 22. G. 1Coco ZANGHY, op. cit., 40-42.


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La carità di Giuseppina è concreta, risponde cioè ai bisogni d<\gli altri ed è una carità che la coinvolge, dà cioè del suo la condivisione è una delle espressioni più significative e genuine dell'amore autentico - ed è totale, si rivolge a tutto l'uomo, preoccupandosi .anche dei bisogni spirituali e morali, mira cioè a rialzarlo ne1la iinterezza della sua persona 26 • Da sottolineare l'importanza che Giuseppina Faro assegnava alla "visita" ai poveri: questa oltre il dono delle cose comporta una presenza cl1e si rivela sempre "salvifica". Giuseppina Faro con il suo amore per il prossimo appare una vera ·discepola di Gesù, visse cioè il comandamento nuovo e caratterlst1oo del discepolato 27 • E' significativo che anche dumnte l'ultima malattia, in mezzo al dolore, non dimenticò i poveri: segno evidente di una vita ahruistica. Oltre che dall'obbedienza al Vangelo, il suo amore verso il prossimo è motivato e, quirrdi, reso possibile dalla "presenza sociale" di Cristo, chiaramente percepita: nei poveri vide sempre la persona di Gesù 28 • L'amore ai fratelli è per lei dilatazione dell'amore di Dio: si è davanti ad un amore veramente teologico.

Altre virtù emergenti

4.

Tra le altre virtù che formano la struttura spirituale di Giuseppina Faro meritano una eviidenziazione la semplicità, l'umiltà e l'ubbidienza. Tutti testimoniano .Ja sua semplicità evangelica" che non consentendole né 1'i1'ganno né 'la menzogna né l'ipocrisia la rendeva carrdida e trasparente come il "bambino" di cui parla il Vangelo 30 • 26

Cfr. Cfr. " Ofr. 29 Cfu-. 3 ° Cfr. 27

F. M. CARUSO, op. cit., 66-69; S. GAETA, op. cit., 55-67. Gv 13, 34-35; I Cor 13, 1-2. F. M. CARUSO, op. cit., 67; S. GAETA, op. cit., 58, 61. Mt 10, 16. Mt 13, 3.


Giuseppina Faro ...

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La malizia non fu presente nel suo agire; Giuseppina dunque era incapace di pensare male degli altri, anzi tentava sempre di scusare i loro difetti 31 • Concepiva e viveva l'umiltà come il fondamento su cui innalzare l'edificio della santità 32 • Grazie a questa virtù riuscì a stabilire un giusto rapporto con Dio e con gli altri. I testimoni dkono come la viva coscienza del proprio "nulla" la i.IJ!duceva da una parte ad evidenziare i doni generosi di Dio e dall'altra ad accettare serenamente tutte le contrarietà, considerandole di poca entità rispetto ai propri peccati e demeriti 33 • La Faro non si credeva superiore a nessuno; nei confronti degli altri più che accampare diritti aveva viva coscienza di avere dei ,doveri: da qui :la dolcezza, l'affabilità e il rispetto nei confronti delle serve di casa e ,dei poveri. Crebbe nell'umiltà meditando sulla santità di Dio. Altra virtù messa in luce dai testimoni è l'ubbidienza. Oltre che conseguenza dell'umiltà - che le faceva mettere gli altri al primo posto - per Giuseppina Faro l'ubbidienza fu una maniera di seguire Gesù che s'è fatto obbediente fino alla morte di Croce. La visse innanzitutto con i genitori: le scelte, quelle impegnative e quelle ordinarie, le compì in sintonia con loro. E poi con i direttori spirituali: il cammino della santità lo pe11Corse sotto la loro guida: «L'ubbidienza della Faro fu la meraviglia dei suoi confessori; e il Can. Bongiorno ebbe a dire all'Eminentissimo Cardinale Dusmet, che la vergine Faro per la sua ubbidienza era venuta così presto alla cima della santità cristiana» 34 •

Cfr. S. GAETA, op. cit., Cfr. F. M. CARUSO, o,p. 33 Cfr. S. GAETA, op. cit., 34 F. M. CARuso, op. cit., 31

67-71.

32

cit., 28. 33-38. 33.


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E infine con gli uguali, ai quali facilmente chiedeva consigli: tale ubbidienza oltre che l'apertura e l'ascolto denotavano in Giuseppina un rapporto di pace con tutti.

Il. LA FAMA DI SANTITA'

Un elemento che non può essere sottovalutato è la fama di santità di cui gode Giuseppina Faro da viva e dopo la morte.

Da viva

I.

Giuseppina è stata un punto di riferimento già da viva. Con la sua testimonianza trascinava altre all'esperienza cristiana, al punto che la sua casa divenne un vero «asceterio» 35 , un luogo cioè di esperienza religiosa. I concittadini ammiravano la sua virtù 36 , la sua esperienza di preghiera 37 e la sua carità 38 : tale ammirazione oltrepassò man mano i confini di Pedara per diffondersi nei paesi vicini. L'a·mmirazione e la stima che avevano per lei i sace!'doti del paese e i suoi direttori spirituali sono buona testimonianza della sua santità 39 • Preziosa la testimonianza di mons. Coco Zan,ghy e quella delle benedettine raccolte e riferite da lui stesso: «Non la conobbi come voi da vici·no, ma ebbi la sorte di aver-

mela a concittadina 1dur·ante la sua biennale dimora nel più antico monastero benedettino del mio p'aese ..Di lì essa diffuse tale un odore ,di virtù, che appressandomi rper obbligo di mio ministero- a quelle saore Iaure, non potei non ·sentirne a .parlare del continuo 1dalle venerande suore, che attonite .ne testfanoniavano spontanean1ente ed a gara le non comuni qualiità, gJi eccelsi carismi, i doni ineffabili, a lei dal molteplioe Spirito di Dio partecipati. Ond'è ohe io non ne vengo G. Coco ZANGHY, op. cii., 36. 36 Cfr. ibid., 46-47; F. M. CARuso, up. cit., 34, 89. 37 Ofr. F. M. CARUSO, op. cit., 45-46. 38 Cfir. ibid., 99. 39 Ofr. ibiJd., 92; S. GAETA, op. cit., 77; lettere del can. Bongiorno e del clott. ;Papaldo. 35


Giuseppina Faro ...

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come stranie1~0 ingaggiato a celebraT la memoria di una vos.tira carra defunta ·con usato elogio, vano e spesso .mensognero, fondato .solamente 1sulle altrui convinzioni. Io conoscevo i pregi della rvostrra Giuseppina, anzi dico meglio della nostra, chè mia anche fu lasciando lungo desiderio cli sé nella mia patria ed in tanite anin1e affidate alla mia pastora! cura; fu mia, ed io l'amavo non men di voi, con affetto più che a congiunti ed auni'ci ·si debbe; giaoché ho appreso alla scuola :dell'Aquinate dover essere misu~a dell'aa:nare il maggiore avvicinamento e la maggiore ras·somigliainza al Sirgnore nella persona che si am:a» 4o.

Particolare e significativa la convinzione che avevano della santità di Giuseppina i genitori 41 e Io zio che non esitava a dire ((ho una nipote santa» 42 • 2.

Dopo la morte

Già nel giorno del funerale la folla dei fedeli, oltre a!d acclamarla «beata, santa» 43 e a «ricordarne le meravigliose virtù» 44 , si rivolgeva a lei per ottenere delle grazie 45 • La fama di santità si diffuse subito nell'isola e fuori 46 • Da non ,sottovalutare il fatto che l'arcivescovo, il beato Dusmet, abbia dato il permesso, a pochi mesi dopo la morte, di trasferire il corpo di Giuseppina Faro dal cimitero e di esporlo nella cameretta dietro l'altare maggiore della chiesa dell'Annunziata 47 : tale permesso è da considerarsi testimonianza qualificata della fama di santità di cui godeva la Faro 48 • 40 G. Coca ZANGHY, op. cit., 14-15; cfr. anche 37-38; F. M. CARuso, op. cit. 1 77-78; S. GAETA, op. cii., 73-77. 41 Cfr. S. GAETA, op. cit., 77-78. 42 lbid., 34-35. 43 'F. M. CARUSO, op. cit,, 100. 44 L. c. 45 lbid., 100. 46 Cfr. ibid., 101-102. 47 F. M. CARuso, op. cit., 103-104; .S. GAETA, op. cit., 88-89, 92. L'iscrizione alla base su cui poggia l'urna di Giuseppina Faro è stata composta da inons. ,Giuseppe 1Coco Zanghy. 41!. Ofr. S. GAETA, op. cit., 77.


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Altra evidente testimonianza della sua fama di santità è stata la celebrazione dell'anniversario della morte il 10 giugno 1872: oltre 1a s(gnificativa presenza cli mons. Giuseppe Coco Zanghy, vicario generale del Dusmet, quale oratore 49, in essa è da evidenziare anche la grande folla di devoti che «non muovevan prieghi per l'anima della vergine Faro, ma sibbene alla sua intercessione si raccomandavano» 50 • Tale accorrere del popolo è da considerarsi «splendido omaggio alla virtù dell'angelica Giuseppina» 51 : e difatti «più che a mesto funebre, parve di assistere alla apoteosi d'un santo canonizzato» 52 • Significativo il fatto che tra i visitatori del sepolcro cli Giuseppina «vennero anche insigni prelati ed illustri personaggi anche dall'estero» 53 , tra i quali merita una menzione tutta particolare il beato Giuseppe Benedetto Dusmet 54 • E poi, come si sa, 1a fama cli santità di Giuseppina raggiunse la Francia tramite l'abbé N. Couturier. A Pedara e dintorni, non bisogna dimenticarlo, mai si è cessato di parlare della "Beata Peppina".

III. RILEVANZA ECCLESIALE DELLA SANTITA' DI GIUSEPPINA FARO

I contemporanei e i biografi hanno visto Giuseppina Faro come possibile "modello" di vita cristiana. Il Caruso ritiene che Giuseppina oltre a poter essere di «eccitamento a tutti e segnatamente alle giovinette per l'acquisto della cristiana perfezione» 55 può essere di esempio per quanti, a Catania, sono impegnati nel servizio dei poveri a domidlio e per le «pie sacramentine» 56 • 49 Cfr. lo ·studio .che precede di G. Di Fazio alle pagine 145-146. so F. M. CARUSO, op. cit., 105. " Ibid., 104. 52 -s. GAETA, op. cit., 93. 53 F. M. CARUSO, op. cit. 1 108. 54 ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE, Fondo visite pastorali, visite .Dusmet, 38: il 9 luglio 1872 visita «la sal.ma della piissiima giovane· Giuseppa Faro». ss F. M. CARUSO, op. cit., 11. 56 L. c.


Giuseppina Faro ...

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Il Couturier la vede come modello di virtù per «les personnes pieuses, !es jeunes filles plus spécialment, et sourtout !es Enfantes de Marie» 57 • Il vescovo di Langres è convinto che in Giuseppina Faro troveranno sostegno e incoraggiamento «!es ames pieuses dans le monde, ]es religieus.es dans leur cloitre et !es coeurs épris d' amour de Dieu» 58 • Ed ancora la "Società laicale cattolica" nel 1896 proponeva alla conoscenza e, quindi, alla imitazione del laicato cattolico d'Italia la Faro unitamente a Leone Dupont, successivamente canonizzato. Sono dei tentativi ammirevoli e significativi perché implicano il convincimento della rilevanza "ecclesiale" della santità di Giuseppina Faro. A questi tentativi credo che, oggi e per l'oggi, bisogna aggiungerne altri. Innanzitutto la dimensione popolare di Giuseppina Faro e della sua santità. Ha vis·suto in pienezza la vita cristiana servendosi delle "pratiche" popolari di pietà, dandovi naturalmente un'anima, e nutrendosi con la lettura delle opere ascetiche popolari, quali L'anno doloroso, il Diario spirituale, le Massime eterne e Le glorie di Maria di S. Alfonso M. de' Liguori. Il "popolo" ha sempre sentito vicina la Faro durante la vita, nella morte e dopo la morte e la vuole "santa". Ne è testimone Coca Zanghy nella chiusura della lode funebre: ((Salve, io :ti saluto a nome di tu,tto questo popolo che in men di cinque lustri di tua viita, <li te, del nome tuo innamorasti. .Sl, esso ha dolce confidenza che il Signo:re si degnerà quandocohessia irivelare la tua glorificazione» 59. 1

E non va disatteso il fatto che a promuovere la causa di beatificazione sia stato un comitato di laici costituitosi spontaneamente. " lbid., IX. ss 1N. COUTURIER, La servande de Dieu Giuseppina Faro de Pedara (Sicile), lmprimerie ·Rallet - Bideaud, Lanigres 1901, XI. 59

G. Coca

ZANGHY,

op. cit., 46-47.


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E va poi evidenziato il ruolo della famiglia. La famiglia, e in modo particolare la madre, la educò nella fede e la avviò, sostenendola, nella via della perfezione. Giuseppina compì le scelte principali del suo cammino di santità (il «vestire da umile divota», il confessore, l'ingresso nel monastero ... ) in pieno accordo con i genitori, restando all'interno della famiglia. L'ubbidienza, sulla quale tanto insistono i testimoni e i biografi, bisogna intenderla come capacità di un rapporto corretto e sereno coi geni tori. A sua volta Giuseppina diventò agente e stimolo per la crescita evangelica dei genitori e dei parenti. Nella sua carità, ad esempio, coinvolgeva la famiglia: ai poveri infatti distribuiva molti beni del patrimonio familiare. I genitori, consenzienti, ,sostenevano la figlia e gioivano della sua carità. Giuseppina Faro potrà dire qualcosa alla Chiesa di oggi che ha riscoperto col Vaticano II la famiglia come "piccola chiesa" o "chiesa domestica" e il suo ese111pio potrà essere di aiuto alla pastorale impegnata in tal senso.

Un'altra dimensione è la ecclesialità. La Faro, contemporanea del beato Giacomo Cusmano (18341888), fu anch'essa apostola della carità: mentre il Cusmano esercitava la carità anche in forma "strutturale", fondando il Boccone del Povero, Giuseppina la esercitava in forma personale, privata. Giuseppina Faro, figlia della Chiesa locale di Catania, non può non aver conosciuta e, qnindi, recepita l'esemplarità di vita del beato Giuseppe Benedetto Dusmet - prima abate del monastero catanese S. Nicola l'Arena (1858-1866) e poi arcivescovo di Catania (1867-1894) - riconducibile ad una intensa vita di preghiera, ad una carità eroica e ad una piena partecipazione alla vita e ai problemi del popolo. Bisognerebbe approfondire in che modo e in che misura il suo sentire e il suo agire siano stati in sintonia con le indicazioni e le priorità che provenivano dalla Chiesa locale: la Faro infatti non è un antesignano ma una figlia "devota" della Chiesa.


Giuseppina Faro ...

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La dimensione ecclesiale della sua santità emerge anche dalla piena docilità e ubbidienza che ella prestava ai confessori e direttori spirituali nel cammino di santità. La Faro potrà essere un segno in questo momento nel quale si evidenzia il senso e la portata della Chiesa locale per la missione, per la crescita della vita cristiana e per la testimonianza. Oltre a quanto hanno messo in evidenza i biografi della santità della Faro, occorre al di là di questi, a mio giudizio, rifare della vita di Giuseppina Faro una lettura di "laica" cristiana che ha vissuto le virtù evangeliche e le beatitudini nel mondo. Sono molti ,gli elementi che inducono in tal senso. Giuseppina avrà qualcosa da dire ai cristiani di oggi che non sempre riescono a far sintesi tra fede e mondo, tra impegni religiosi e impegni secolari e quotidiani: ella ha raggiunto una profonda unità, la sua vita infatti non è divisa a scompartimenti. E chissà che non possa dire anche qualcosa ai membri degli Istituti Secolari, che hanno affidato dalla Chiesa il compito di vivere la consacrazione a Dio restando nel mondo per testimoniarvi le beatitudini?

IV. CONCLUSIONE

Il Concilio Vaticano II, inserendosi nella Tradizione, ha ricordato alla Chiesa di oggi che «tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» 60 e, richiamando il fondamento cristologico della santità, ha precisato che è possibile viverla «seguendo l'esempio di Lui e fattisi conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre» 61 • La riflessione del dopoconcilio, che ha approfondito la possibilità e il modo di vivere la pienezza di vita cristiana 60

Lun1en Gentium, 40.

6t

L. c.


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data dalle virtù evangeliche e dalle beatitudini - nel mondo, ha trovato la sua ma·ssima espressione nel recente sinodo dei vescovi su "Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II», In questa fase, nella quale la Chiesa studia e inculca una vita evangelica specificamente laicale, è di grande aiuto proporre al Popolo di Dio modelli di cristiani che sono riusciti a far sintesi fra fede e mondo, tra impegni religiosi e impegni quotidiani, tra rapporto con Dio e rapporto col prossimo, E' da ritenersi che la struttura teologica della vita spirituale di Giuseppina Faro corrisponda appieno alla descrizione che della vita cristiana dà il cap, 5 della Lumen Gentium e in modo particolare il n. 42. Giuseppina Faro ha raggiunto nella sua vita una profonda unità tra rapporto con Dio e rapporto con gli altri. La sua vita infatti armonizza la dimensione teologica, l'amore a Dio espresso nella ricerca assidua e fattiva della sua volontà e alimentato nella preghiera; la dimensione cristologica, oltre che dalla sequela - facilitata dalla contemplazione del Bambino Gesù e di Gesù Crocifisso - , la sua esperienza religiosa è contrassegnata da una profonda pietà eucaristica; e quella altruistica, una vita spesa nel darsi e nel dare concretamente agli altri in risposta ai loro reali bisogni. Restando nella famiglia - dalla quale aveva ricevuto una profonda educazione cristiana e che poi Giuseppina è riuscita a coinvolgere nelle sue scelte di fede - e nel suo paese, Pedara, la Faro ha dato ai contemporanei una grande testimonianza di vita cristiana vissuta secondo le virtù evangeliche e le beatitudini 62 •

62

.La Chiesa di Catania aprendo, il 24 maggio 1988, il processo diocesano per la causa di canonizzazione di Giuseppina Faro ha opportunan1ente risuscitato il ·desiderio e il voto ·dei biografi (cfr. -S ..GAETA, op. cit., 7, 105), di mons. Giuseppe ;Coco Zanghy (cfr. G. -Coca ZANGHY, op. cii., 46-47), del card. Giuseppe ·Francica Nava (cfr. F. M. CARuso, op. cit., prefazione) e del vescovo di Langres (cfr. N. CouruRIER, op. cit., XI) ohe la Faro venga canonizzata, cioè che la Chiesa riconosca le virtù evangeliche che hanno contrassegnato la sua vita e la additi con1e esempio ai cristiani.


VINCENZO SCHILIRO' UN SACERDOTE-POETA

GERARDO RUGGERI C. P. *

Gli studiosi più attenti della letteratura italiana contemporanea hanno rilevato la presenza in Sicilia di una notevole produzione poetica e narrativa, che si ispira ai valori religiosi ed evangelici e di una tradizione di indagine critica sulla natura, sulla possibihtà e sulle caratteristiche dell'arte religiosa 1• Questo movimento è da ricollegare a quella fioritura della letteratura religiosa, che si attuò in tutta Italia negli :mni venti e trenta, che fu oggetto di attenta considerazione da parte dei critici della letteratura italiana degli anni trenta, ma che in seguito fu quasi ignorata. In Sicilia, uno dei rappresentanti più qualificati della produzione letteraria di ispirazione religiosa fu Pietro Mignosi (Palermo, 1895 - Milano, 1937), poeta, saggista, studioso di filosofia, narratore e fondatore di riviste, una delle quali, La Tradizione, dal 1928 al 1939, promosse fra l'altro l'approfondimento dei problemi metafisici e religiosi e un'analisi del neo-idealismo, di cui si mettevano in rilievo i limiti e le contraddizioni, ma se

* Docente ;di Storia 'e Filosofia nei Li'Cei. 1 Su .questo argomento e relativa bibliografia, ofr. C. Dr BIASE, ratura di ispirazione religiosa, in AA.Vv., Novecento siciliano, I, Catania, 1986, 391 ·e S·S. Cfr. anche AA.Vv., La poesia religiosa in nel nostro Novecento, SPES, Milauo 1986; S. Rossr (a oura di), La religiosa del Novecento in Sicilia, SPES, •Milazzo 1988.

LetteTi,feo, Sicilia

poesia


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Gerardo Ruggeri

ne assumevano le tematiche nel campo dell'estetica. Per il Mignosi la poesia vera è essenzialmente religiosa, cioè rivelazione della realtà umana e della natura, le quali nella loro contraddittorietà e limitatezza dicono essenziale riferimento all'invocazione, alla preghiera e al compimento; è conquista di un impegno esistenziale nel quale si manifesta la coscienza, che nell'assumersi una responsabilità etica, rivela il segno della vocazio11e al divino 2. Fra le varie personalità che collaborarono con il Mignosi e che furono fortemente att,ratte dall'atmosfera di studio, di ricerca e ·di produzione artistica che si era creata attorno alla spiccata personalità dello scrittore e poeta palermitano, si distinsero tre sacerdoti-poeti: Vincenzo Schilirò, Andrea Tosto De Caro (Trapani, 1906-1977), e Giuseppe Petralia (Bisacquino, 1906). Vincenzo Schilirò (Bronte, 1882 - Catania, 1950) 3 dedicò la

2 Su Pietro M~gnosi e La Tradizione ·vedi C..DI BIASE, Letteratura di ispirazione religiosa, in AA.Vv., Novecento siciliano, -cit., 395 e s·s.; G. FINOCCHIARO CHil'v1IRRI, Ritratto di Mignosi, in Tra Ottocento e Novecento, Giannotta, Catania 1973, 84-109. Per quanto .riguarda le caratteristiche fondamentali della poesia siciliana contemporanea, il tra'monto dell'arte ideologizzata e il superamento ,della "sicilitwdine", cfr. S. Rossr, Altri scrittori conten1poranei, :i.n Novecento siciliano, cit., 477 e ss. Andrea Tosto De Caro (Città ,di Vita 9 [1954] 4, 453) così ,sintetizza il pensiero di Pietro Mig.nosi sulla natura ,della poesia: «La poesia è rivelazione di un ordine ab extra ohe è ifuo1i idi noi, in quanto siamo i testimoni del suo attuarsi nel nostro spirito e del suo inverarsi: ·così è che raccontando riveliamo il nostro inthno colloquio». 3 Sv:olse la sua attività di insegnante nelle souole secondarie, a Bronte, rpresso il Real 1Collegio Capizzi, negli anni 1916-1921 e a Catania pr·esso il magistrale Tur·risi ·Colonna. Prese parte al dibattito letterario con numerose ,pubblicazioni, di cui ·manca un elenco -comrpleto. Si interessò anche di problemi :politici e di filosofia. Ricordiamo le ,seguenti opere (non sempre è possibile indicare la data e il luogo di pubblicazione): La credenza carducciana e il suo valore; Il Ro111anticis1no e gli "an1ici pedanti", I motivi estetici dell'arte dannunziana; Dall'anarchia all'Accade1nia (note sul Futuris1110); Papà Ottocento e il suo ra111pollo; Con1e vedo Pirandello, Catania 1935; Note dantesche, SEI, Torino; L'arte di Gabriele d'Annunzio, SEI, Torino 19382; Arte= Vita; Antologia Mignosiana, Torino 1939; Appunti d'Estetica preceduti da cenni storici s.ul pensiero estetico italiano, Stab. Tipografico Sociale, Bronte 1924; Il Sen1inatore che non miete, Stab. Tip.


Vincenzo Schilirò un sacerdote- poeta

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sua vita all'apostolato, alla cultura e a:ll'insegnamento. Fin da giovanissimo seguì con attenzione le opere dei maggiori scrittori italiani; alla morte del Mignosi, nel 1937, assunse la direzione della rivista La Tradizione, ne trasportò la redazione a Catania, ma dopo due anni fu costretto a sospenderne la pubblicazione. I suoi numerosi saggi letterari lo dimostrano studioso originale e pienamente inserito nel dibattito di quel periodo sul significato e il valore dell'arte. Il Croce seguì con benevola attenzione le sue pubblicazioni e a proposito di un suo saggio su Gabriele D'Annunzio pubblicato nel 1918 così fra l'altro gli scrisse: «Ella ha sentito il bisogno di formarsi concetti precisi sull'arte e sulla critica prima di accingersi ai problemi dell'arte dannunziana. E di questa arte, delle sue tendenze e di ciò che realizza, ha dato un giudizio che mi sembra esatto» 4. La preoccupazione di collegare la sua opera di critico letterario con la

Soc., Bronte 1923; Santo Francesco (poe1netto dranunatico); Il Carroccio (dra1nma milanese); Al pozzo di Sichetn, la ed. rpubblicata .presso La Tradizione, Paler1110 1934, za ed'. rpresso la SEI, Torino 1948; Gioventù in can11nino (racconto per i giovani); Jadvviga (romanzo); Ven. Ignazio Capizzi; Il fondatore della Con1pagnia di Gesù; Libertà e de1nocrazia, SELI, Roma; Sintesi dell'evoluzione del proble1na sociale; Nicola Spedalieri e la sua concezione del diritto. Per la bibliografia critica relativa alla .raccolta di poesie intitolata: Al pozzo di Siche1n, ·vedi: D. MONDRONE, in La Civiltà Cattolica, 1934, III, 503 ss.; P. MIGNOSI, i.n Vita Nova, XI, 6; ·G. SALA, in La Gazzetta, 13 nove1nhre 1934; F. AourLANTl, in Il nuovo Cittadino, 28 dicembre 1934; G. ALESSANDRINI, in Il Telegrafo, 1 novemb·re 1935; E. G., in Il Popolo idi Trapani, II, 6. Per quanto riguarda la bibliografia critica relativa alla sua opera di saggista e di teorico dell'estetica (in questo settare i •riconoscimenti sono stati molto pili lusinghieri e .positivi che non 1sull'ul~ lima opera .poetica: Al pozzo di Siche1n), vedi: Giornale dell'Isola letterario, VI, n. 7; La Scuola Media, III, n. 9; B. RADICE, in L'Ora, 9 luglio 1924; Il Messaggero di Sicilia, 6 settembre 1934; A. MANSION, in Revue néo-scolastique, 'Louvain 1934, 488 e ss.; E. DE FRANCO, in Corriere di Sicilia, XLVII, n. 50; E. fENU, in L'Avvenire d'Italia, 18 agosto 1938; Meridiano di Ro1na, 9 ottobre 1938; D. MAGiù, in Studiu111, ottobre 1938; F. CASNATI, i.n Illustrazione Vaticana, 16-31 ott·ohTe 1938; G. PETUALIA, in Vita e Pensiero, dicembre 1938; B. ZARI, in L'Italia, 26 febbraio 1939; R. BIZZARRI, in li nuovo Cittadino, 1 giugno 1939; L'Osservatore Rontano, 17 settembre 1939. 4 ·Citato dallo stes·so Schilirò in L'Arte di Gabriele d'Annunzio, Catania 19382, 5. 1


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Gerardo Ruggeri

teoria sui fondamenti e sulle ragioni dell'attività estetica fu sempre presente nello Schilirò; infatti, in seguito all'ordinanza ministeriale del 14 ottobre 1923, che introduceva nelle scuole secondarie lo studio del problema estetico, pubblicò ad uso delle scuole gli Appunti d'Estetica, dove la trattazione di tutti gli argomenti, ohe allora erano connessi allo studio del bello artistico, veniva preceduta da una breve ma attenta storia del pensiero estetico italiano. Lo Schilirò fu un profondo studioso delle opere del Croce, riconobbe la validità dell'impostazione crociana del pensiero estetico e ne fece sue alcune tesi che già erano divenute celebri. Anch'egli affenma che l'arte è intuizione lirica e che ciò che si intuisce in essa ha il carattere o fisionomia dell'individuale; identifica l'intuizione con l'espreS>sione, ammette il differenziarsi quantitativo del dono dell'arte in tutte le persone e l'universalità e cosmici tà della produzione estetica. Ad una più attenta considerazione ci si accorge che, al di là di queste convergenze, lo Schilirò si differenzia dal filosofo dei distinti su alcuni punti fondamentali. Naturalmente, il sacerdote-poeta non accetta la tesi dell'unico spirito immanente nella storia, di cui tutti gli individui sarebbero passeggere modificazioni. Egli pensa che la retta ragione possa dimostrare l'esistenza autonoma di ogni singola persona e la trascendenza di Dio e crede che la rivelazione abbia svelato all'umanità il volto di Dio e che, in Gesù Cristo, Dio abbia chiamato l'uomo a vivere lo spirito dell'amore. Lo Schilirò ha un'altissima considerazione dell'arte, la quale c<non è giuoco, non. è piacere, non è illusione: è la vita stessa, la più vera vita [ ... ]. Nel deserto ohe gli scetticismi fanno, nella sofferenza e nella cecità umana, essa, per fortuina, rappresenta l'oasi, il conforto, la vista. Se ombra che svanisce è l'uomo sulla

terra - pensava con Giobbe l'infelice poeta - l'arte è il raggio che colora e anima quell'ombra» 5 • Se poi si vuole trovare l'ultima e definitiva sorgente dell'arte, bisogna dire che è l'amore: «L'arte è vita; l'arte - cantavano i mistici del Cinquecento -

s Appunti d'Estetica ... , cit., 10.


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è anche amore. Se essa è affermazione di bellezza e la bellezza signum boni - argomentavano lo spagnolo Leone e Tommaso Campanella - è per conseguenza diletto dell'anima, fonte di desiderio, realtà .d'amore» 6 . Se l'arte è «realtà d'amore», «fonte .di desiderio», ciò significa che è intimamente legata a un ideale verso cui tutta la vita è protesa. Come una madre, la quale sente il figlio come carne della sua carne, ha l'impressione di peicdersi, di svanir;e al pensiero di doversene separare, allo stesso modo l'attività artistica è tensione verso qualcosa la cui mancanza fa sentire la vertigine del vuoto. L'amore è come la luce degli occhi. Se tutta la luce e la ragione di esistere è condensata in una persona, la morte di quella persona dà l'impressione del buio e delle tenebre ·C può nascere il desiderio di morire piuttosto che restare senza quella luce. Allo stesso modo, il sostegno più o meno conscio della vera arte è il perseguimento di una luce, in cui è veduta la ragione stessa della vita: «Scevri di lirismo mistico, noi col Leopardi vediamo, nell'arte, l'ansia di protendersi nell'infinito: necessità di sfogo, di comunione, di estasi. Un amore che nobilita e sorpassa l'istinto; che è bisogno continuo di vincere e di dominarsi, di afferrare l'attimo e di eternare la conquista» 7 • L'arte, allora, è il piceludio e il presentimento di «Un regno beatificante», di là dal mondo sensib>le, ed è la conseguenza dell'amore, che conduce l'uomo alla scoperta più o meno conscia del volto di Dio, di un fascino che fa entrare il poeta nel regno di un linguf\ggio e di suoni governati e sostenuti da un ritmo, che è l'espressione materiale di quella particolare intuizione che fa vedere le cose tutte come simbolo e immagine di Dio e quindi dell'Amore. Sulla scia di Platone e di Plotino, Schilirò vede l'arte intimamente legata a quel doloroso processo attraverso il quale l'amore conduce l'uomo dall'istinto alla scoperta di ciò che veramente vale e in cui egli può acquietarsi: «esaltazione dell'anima che sente la sua stirpe divina» 8• Quindi, seguire fino

Jbid., 11. L. c. s !bid., IO. 6

7


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in fondo il cammino dell'arte, significa scoperta del volto vero della natura, raffigurazione della grandezza deH'uomo e riconciliazione dell'uomo con se stesso, perché riesce a cogliere in sé quell'aspetto che lo fa immagine di Dio. La coscienza mette a nudo se stessa, ma in modo indiretto, poiché all'uomo è impossibile cogliere direttamente l'intima realtà della propria natura spirituale. Lo Schilirò usa .la parola «estasi» che è quell'uscire da se stessi, dalla caverna, direbbe Platone, per lasciare fluire la pura esigenza dell'amore, che è la testimonianza della spiritualità e che per l'artista diventa come un criterio che opera al di là dei concetti e che gli antichi immaginavano come un genio buono che ispira e detta. «Estasi» è anche dimenticanza di se stessi, della organizzazione logica del mondo, per obbedire all'esigenza di una nuova logica di cui non si può dare una compiuta fenomenologia, appunto perché sfugge all'uomo l'intuizione diretta della propria spiritualità: «In qual maniera sorge preciso il fantasma davanti alla nostra coscienza? Mistero. Solamente sentiamo di possedere una virtù divina. Lo diceva, esaltandosi, il dolente poeta di Sulmona: 'Est deus in nobis; agitante calesciinus illo'» 9 . «Nessuno potrà mai determinare i gradi, per cui a1la tendenza esprnssiva seguono i primi elementi della visione e a questi la perfetta creazione estetica». Lo Schilirò, richiamandosi alla tesi tomista della inscindibile unità della persona umana nell'unico atto di essere, afferma che le radici deHa poesia sono da ricercare in tutti gli aspetti dell'esperienza storica, dalla vita dei sensi all'opera della fantasia, alle aspirazioni dell'intelletto e alla tensione d'amore. L'arte non può essere attribuita a un'attività aurorale dello spirito, di crociana memoria, che stia al di qua della chiarezza intellettiva. «Diciamo che riesce artistico quanto lo spirito umano vede o crea con chiarezza e novità, senza la pr.eoccupazione di distinguere l'intuitivo dall'intellettivo. Lo spirito è fantasia e intelletto insieme, e come questo, nello svolgimento della sua attivit,à, ha bisogno e si confonde con ! int11izione, così la fantasia, pur sembrando facoltà indipendente, lavora e si confonde 1

9

Ibid., 184.


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con l'intelletto» 10 • E ancora: «L'arte, in quanto atto, significa espressione vitale d'un dato momento dello spirito, dal quale non si può escludere il sentimento, che è segno e condizione di vitalità, come non si esclude il contributo dei sensi, che sono le fonti perenni dell'esperienza, e non si escludono gli elementi intellettivi che coi fantastici hanno mutui e necessari rapporti» u La presenza dell'intelletto, però, qui non significa attività astraente, ricerca cioè di concetti universali, perché il fatto estetico possiede la fondamentale caratteristica della individualità e inimitabilità. Se vogliamo individuare il significato della poesia e dell'arte secondo lo Schilirò, al di 1à delle questioni tecniche o filosofiche dobbiamo dire che esso si trova nella rappresentazione della completezza dei valori umani. La persona deve attuare, per quanto è possibile, la propria perfezione, e l'arte raggiunge il suo compimento, quando riesce a creare un equilibrio fra tutte le potenziahtà, mette in rilievo le componenti della ricca ta· stiera interiore dell'uomo e colloca ogni nota al suo posto. In realtà, egli nella sua poesia si esprime con un linguaggio vibrante di sana sensualità, di passione contenuta, di spiritualità e di elevazione. Tutto nell'uomo deve essere valorizzato e l'artista completo, osservando bene la natura, si accorge che in essa viene simbolicamente espressa tutta la gamma delle sensazioni e dei sentimenti umani e soprannaturali. Egli vede l'uomo finalisticamente ordinato alla felicità, la quale consiste nel bene e nella verità. Qualora l'arte, anche se in forma smagliante e originale, dovesse chiudersi nella malattia, nella demenza, nel peccato e nel suicidio, resterebbe indice di una personalità incompleta 12 • «L'arte che si chiude nel morboso e nella foschia del pessimismo, non può contare che sopra un successo a metà» 13 • SchiUrò esprime questo giudizio a proposito di Pirandello. Parlando di «Successo a metà», egli non si riferisce alla IO 11 12 13

fbid., 139. Jbid., 150-151. v;d. Coni e vedo Pirandello, cit., 97. Jbid., 98.


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capacità di «trascrizione di disarmonie interiori» che lo scrittore agrigentino possiede in modo sublime e all'appassionata rappresentazione dello svuotamento e della solitudine umana, ma si riferisce alla sua esperienza esistenziale 14 • Pirandello, scriveva lo Schilirò nel 1935, non ha trovato se stesso, «ma per trovarsi, è necessario, direi, separare sé da sé; sciogliersi dal proprio io, sostenersi a una Realtà, farsene lume di codesta certezza e guardarla in faccia la nostra assetata umanità: povera briciola del Pane eterno. Invece l'uomo terreno presu·n1e di rinvenirsi se11za t1scire dal proP'rio vicolo chiuso: incentrandosi anzi vieppiù; ubriacandosi e illudendosi delle sue forze e delle sue risorse. Accecandosi» 15 • L'uomo rappresentato dal Pirandello, gli appare privo di risurrezione e di amore creativo. Questo tipo di espressione artistica è il segno della mancanza di libertà interiore costruttiva, il tentativo inconscio di distruggere la sicurezza dell'uomo, il valore e la stima della persona e della cultura. In questo modo la letteratura serve soltanto a creare un'appassionata ehborazione di un annunzio di Tnorte. Lo Sohilirò vede l'arte come fatto esistenziale e, qualora dovesse rispecchiare soltanto la mutilazione o la mortificazione della persona umana, si trasfo=erebbe in un rifugio alienante. La preoccupazione per il fatto letterario prende il sopravvento sulla vita e I1arte si trasforma in .una necessità auto·matica, in uno sfogo di amarezza. Al contrario, per il nostro autore, l'artista completo obbedisce al fascino e all'attrazione della felicità .e della pienezza, anche se questo non comporta per nulla dimenticanza del dolore e della tragicità de1la morte. Lo Schilirò fa sua la distinzione crociana fra arte e morale, ma osserva che l'artista, nel difendere l'autonomia della sua ispirazione, non può non dimenticare che il valore dell'arte deve essere coordinato con gli altri valori espressi dalla persona. Egli non intende proporre una teoria pedagogica o utilitaristico-

14

lbid., 105.

ls Ibid., 106.


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moralistica dell'arte, «tutt'al più sarà una veduta pedagogica in senso negat'ivo, in quanto nega all'arte la facoltà di impicciolire il dominio delle altre manifestazioni pratiche», e ciò perché la persona è un'uniità che comprende in sé aspetti vari che devono armonicamente integrarsi. «L'arte può dirsi vita: vita che può avere affermazioni utili e nocive, affermazioni morali ed immorali. E di questa libertà d'affermazione, l'artista - come uomo pratico - farà quell'uso che più risponderà alla sua concezione, moralistica o edonistica, della vita: salvi, s'intende, i motivi della sua responsabilità individuale» 16 • Questo appello alla responsabilità è essenziale per capire il concetto di autonomia dell'arte secondo lo Schilirò. L'artista dominato dal senso di colpa è sminuito nella sua facoltà creativa, sente spezzarsi la sua fortezza interiore. La persona libera dà un valore alle azioni in base alla propria coscienza retta. Allo stesso modo, l'artista completo è alla ricerca dell'unità e del!'armonia e dà il giusto posto a quella che è una nota della ricca tastiera dell'animo umano. Lo Schilirò scrisse molte opere in versi, qui ci riferiamo soltanto a Il Seminatore che non miete e a Al pozzo di Sichem. Il Sen1inatore che non niiJ.ete è u11 -racconto in prosa e in versi scritto nel 1923 e pubblicato alcuni anni dopo. E' la storia straziante di Massimo e Bianca. Massimo è un giovane di 24 anni, orfano di entrambi i genitori e appena laureato in legge. Si reca da Firenze a Caserta, ospite del cognato. L'arrivo nella casa della sorella Annie è triste, perché anch'ella è morta; H marirto, ,rimasto solo, accoglie con amore Massimo, perché vede in lui «gli occhi e il sorriso di Annie». Il giovane a Caserta incontra Bianca. Cresce un amore intenso e struggente, animato da sentimenti puri, ma proprio questa purezza rende i due amanti tesi nello spasimo dell'incontro. Nel maggio del 1915 Massimo va in guerra ed è gravemente feri>to al volto, che resta orrendamente sfigurato, e ad un polmone. Il sentimento patrio è vissuto intensamente dal protagonista, eppure, dopo la guerra; deve subire l'affronto di coloro che disprezzano la vittoria ita1

16

Appunti d'Estetica ... , cit., 166-167.


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liana e l'esercito. Inoltre è molto addolorato delle nuove violenze che si profilano sull'orizzonte politico italiano. Bianca esprime il suo amore incondizionato per la persona amata, nonostante la trasformazione spaventosa del viso e il continuo deteriorarsi della sua salute. Anch'ella soffre, si ammala, ma la venerazione per Massimo cresce. Questi muore nel giugno del 1922, confortato dalla fede e dalla cristiana rassegnazione di Bianca, la quale gli dimostra la propria fedeltà dedicandosi ad «u11a missione di bene e di civiltà» in un paese ignoto. Lo Schilirò costrttisce il suo racconto con vari elementi armonicamente coordinati: didascalie, note intime tratte dal diario di Massimo, lettere da lui scritte a Bianca e ad un amico ed infine effusioni liriche dello stesso Massimo, che costituiscono l'opera propriamente poetica. Tutta la vicenda si svolge nella oornice della natura che accompagna, nelle sue varie manifestazioni, lo sviluppo dei sentimenti e che diventa con le sue voci quasi il contrappunto esteriore di una vicenda intima e spirituale. Vi è un'osservazione di Massimo che ci permette di capire lo stato d'animo del sacerdote-poeta. Il giovane è in prima linea al fronte e nelle ore di ozio e di riposo legge Il mondo come volontà e come rappresentazione. Al termine della lettura scrive: «La mia anima aborre dai pessimis.ti che calunniano grossolanamente le opere del Signore, come rifugge dai fabbricatori dell'ideale irraggiungibile e da tutti quegli asceti ringhiosi che ostentano disprezzo e noncuranza per le bellezze, l'amore e le conquiste della vita» 17 • Lo stato d'animo fondamentale che pervade ogni pagina dell'opera e l'intensa meraviglia e la commozione che derivano dalla scoperta dell'amore. Se Dio ha creato la persona umana in modo da poter vivere il sentimento dell'amore nelle sue varie forme, allora .Ja vita è affermazione di un valore, e la stessa natura viene quasi coinvolta nella ricerca di qualcosa in cui t,rovare riposo e compimento: Rispondi, Bianca, e dim1ni: sai chi ·1nuove I1edera verde a stringer l'olmo con etenla1i amplessi?

17

Il Se1ninatore che non n1iete, Stab. Tip. Soc., Bron le, 64.


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Volge ·smagato il viso 1dbv'erra il sol l'el'iotropia: che le racconta l'astro che ,sì l'incanta? E che vorrà da l'alba quell'esil tremante vilucahio che le gentili labbra fremendo schiude? .Chi suggerisce, piano, nel bosco, agli awgelli 'I J"ichia·mo onde s'inebria lor poesia d'amore? Com·e di sole ubriache, due farfalle bianche s'istigano e fan caròle: chi ne conduce 'l Titmo? Non l'ihai notato, Bianca? Smarrita la timida polla va singhiozzando ne lo spinoso borro; ma, quando al verde ipiano raggiunge l'amico ruscello, trillando gaia, gli s'accompagna, eterna. Tutto è sentor di baci. ,Ris'.Pondimi: è forse l'Amore ohe plasma e infiora de l'-lmiverso il fato? 1s.

Dio è l'autore di questa fremente tensione di tutti gli esseri. La sorgente della vita è anche lo sbocco di ogni aspirazione . .L'amore dà alla vtta naturale la levità del gioco, che diventa motivo di gioia per l'uomo. La sopravvivenza dell'umanità è sostenuta e accompagnata dal movimento, dalle sensazioni e dalle aspirazioni inconsce della natura. Il poeta ha dimenticato le tribolazioni della vita terrena e vede la natura trasfigurata e spiritualizzaita: suoni, colori, bellezza, completamento reciproco, tutto è frutto dell'amore di Dio che crea. Per un momento, la soffenmza è allontanata dall'orizzonte della vita e viene messo in rilievo il compimento dello scopo di tutta la creazione: l'incontro con Dio. «Volge smagato il viso dov'erra il sol l'eliotropia / che le racconta l'astro che sì l'incanta?» 19 • Questo tema del girasole ohe si volge verso la luce del sole fu proposto anche da Montale nel 1925 con intonazione e tecnica diverse. Il girasole cerca la luce 'dorata del sole, ma il poeta di Ossi di seppia fissa il momento in cui il fiore svanisce consumato dalla sua tensione insoddisfatta: Portami tu la pianta ahe conduce 1dove songono bionde t,rasparenze e vapora la vita quale essenza.

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lbid., 29.

19

L. c.


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La [uce è presente come una realtà indistruttibile, ma tutta questa ricchezza di immensità non serve a nulla se il cuore è arido, se la speranza è morta, se l'uomo è preda di un pensiero distruttivo. La luce non può dare la vita là dove c'è la morte. Di fronte all'aridità di colui che non è mosso dall'amore, tutte le cose, che pur hanno ognuna una musica particolare, acquistano 'il tono negativo dello stato interiore: Portami il girasole ch'io lo trapianti nel mio teiireno bruciato dal salino.

Lo stato d'animo profondo che affiora è quello di un uomo profondamente immerso nelle vicende umane e la sua partecipazione è tale da farlo sentire come uno che porta su di sé il peso degli insolubili problemi che l'umanità deve affrontare. Il poeta non si fa illusioni; H godimento dura poco, le capacità umane sono Hmitate e allora ... svanire è dunque la ventura delle venture.

Al poeta oppresso da questo continuo affannarsi dell'uomo che ha come conclusione la morte, non resta che specchiarsi nella poesia. Attraverso la poesia egli dà alla famiglia umana il contributo della sua creatività, quindi il suo messaggio di persona che ha una responsabilità sociale non può restare chiuso nel nichilismo, deve aprirsi ad una speranza: Portami il ,girasole impazzito di luce.

Ma le forze umane sono deboli. Allora c'è da augurarsi quasi una reincarnazione, un ri111J1ovamento delil'umanità, per il quale siano cancellate le tenebre della vita e la tribolazione sia annietata dalla luce. Il S8'Cerdote-poeta collega la celebrazione della natura al movimento interiore dello spirito, il quale deve ritrovare Dio. Montale prende su dJ sé il peso di una umanità affranta dalla fatica e dalle delusioni e si augura la cessazione di questo triste destino. Se ciò non è possibile, •non resta che da auspicare l'annullamento della vita. Lo Schilirò prende su di '8é il peso e la cura della vita spirituale. Quella riconoiliazione fra la crea-


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tura e il Creatore, che nella natura è attuata per istiinto, nell'uomo è conquista dolorosa attraverso il perdono e l'amore. I due protagonisti ddla vicenda da lui raccontata rientrano nell'orizzonte della sua vita personale: tutti e due sono senza famiglia e anch'eglli ha rinunziato a formarsi una famiglia; tutti e due non consumano la loro donazione reciproca e sublimano la rinunzia attraverso la fede .e la carità; anch'egli rinuncia a .qualcosa e suppilisce a quella rinunzia svolgendo un servizio a beneficio di coloro ohe vogliono coltivare l'anelito verso Dio. La natura è veduta in questa ottica del raggiungimento di un fine spirituale. Ed è qui che la sua poesia trova la pecurialità di un animo sacerdotale: la vita sospesa tra l'aspirazione a Dio e la rinuncia a qualcosa che proprio dal rapporto con Dio veduto come amore, acqu;sta ili cara'ttere di un valore sublime e intoccabile: Invidio ... l'im'Pervia rupe ... rcui di colomba rade aippena l'ala;

.. JMa per te, soreIIa, le altezze invidio: ché in loco inaccesso vorrei meco menarti, i1m·macolata 20•

La donna amata, per Massimo, deve essere collocata su di un piedistallo, non sfiorata dal desiderio degli altri. E' diventata un odeale, la luce e la vita dell'uomo. L'amore è innalzato al di sopra dell'umano. La vicenda di Massimo è vissuta e calata totalmente nell'esperienza personale del poeta. Se il sacerdote dovesse dare un signilificato passionale al suo rapporto di servizio ai credenti sciuperebbe il senso della sua missione. E' questo il presupposto inconscio che determina la morte del protagonista e la consacrazione della fidanzata ad opere di carità. Se il credente, il quale ha fatto una scelta di donazione spirituale nel •sacerdo20io, dovesse cadere nell'angoscia della passione travolgente, per lui sarebbe meglio morire, proprio per non sentire quell'angoscia di un amor insoddisfatto. La realizzazione concreta dell'amore avrebbe significato la perdita di un sogno,

20

Jbid., 32.


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il deteriorarsi di UJila bellezza intatta. Da qui deriva quella tensione che è il sottofondo dell'opera dello Schilirò: egli celebra lamore, ed è difficille trovare un a1tro poeta che esprima con tanta intensità 'l'orientamento di tutte le cose verso la propria integrità e completezza, ma quest'amore deve essere spiritualizzato ed esprimere l'anelito di tutte le cose verso l'abbraccio mistico con il Creatore, Nessuno può sfuggire al legame dell'amore; il sacerdotepoeta lo ìdeaJ!izza. Però i111 questa elevazione quella originaria forza natura'1e non viene annullata, resta come una parte v'iva che non muore mai ed è da questa sensibilità accesa ma mortificata che tutta la natura acquista il carattere della festa e del]' armonia: ciò che in lui è impo,ssibile e irraggiungib'ile viene continuamente richiam:xto dai vari aspetti della realtà esteriore, la quale parla ed è in vivente sintonia con la tensione vitale del poeta. Tutte le cose danno voce a quella parte di umanità che nel poeta è sacrificata. Da un lato la forza vitale dà un contenuto al movimento spirituale, dall'altro lato, Ia stessa spiritualità vissuta dà all'amore una vita!Htà piì1 intensa. Anche nello Schilirò come nel Tosto De Caro, l'eserCizio del ministero sacerdotale rende più :viva Ia voce dello spirito, perché le angosce e le speranze dei credenti, confidate al ministro della re1~gione, 'lasciano una risonanza, quasi una presenza invisibile che accompagna e responsabilizza. E' proprio da questa percezione dell'indissolubile legame fra il credente e Gesù Cristo, che all'amore umano deriva rI carattere della indissolubilità. rI tema dell'amore è ripreso con un'w1tra immagine. I venti ebbero pietà di un arido e sconnesso muricciolo che stava per crollare e ;un giorno gli recarono su l'ali una gentil compagna. Or lussu,reggia ,su l'antico muro l'edera sempreverde: l'abbraccia, lo sostiene, Io penvade,

ne sa la vita arcana, ne condivide l'ansia, e con lui sfida, in un amplesso eterno, l'odio del tempo e l'ira degli umani. E separ'arli non è più possibile ...


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Non hai pensato, o Bianca, come di schianto crollerebbe il muro se ·sbarbicar volesse un rio 1destino l'ellera fida da le braccia a·miche? 21.

Massimo fa del rrnuro scricchiolante il simbolo della forza e delle facohà umane non sostenute dall'amore 'indistrurt1bile. Senza l'unione della vita, tutto è passivo, manca la produttività e le cose appaiono prive di valore. L'immagine dell'edera attaccata al muro cadente rientra in un contesto molto più ampio, quello de]la natura nel suo ìnscindibHe rapporto con l'uomo. Le due realtà non s'i possono separare: la natura senza l'uomo è morta, insignificante, così come sarebbe inesistente se non l'avesse creata Dio. Come l'uomo è immagine di Dio, così alla natura è essenziale la funzione .di simbolo di tut'to ciò che nell'uomo si attua a livello d1i spiritualità e di grazia. La natura è un dono di be1lezza fatto da Dio. ril poeta ne mette in risalto tutti i moti vivent'i e li collega con i diversi stati d'animo vissuti dalla persona. Massimo si è dovuto allontanare dal fronte per una breve visi'ta a Cut'igliano, suo paese di origine. Qui riascolta un suono a lui familiare, quello del ruscello, il quale scorrendo nel suo tortuoso e intricato cammino, ripete i suoni e [e voci degli animali e degli uomin'i: E ridi ... ridi ... forse che ram.menti cristalline risate di fanciulle vedute a zo.nzo per i camipi aulenti nel vestitino indocile di tulle? Or ti disperi e strilli senza posa, bianco sbavando. Certo, mi riifai l'affanno tragico di qualche s•posa o di piangente mamma i crudi lai.

La natura accompl:\gna gli uomini nel dolore e nella g10ia. Il bambino uscendo dal seno materno lancia il suo grido pieno di vita e di energia; egl'i è stato avvol'to dal liquido amniotico dove ha trovato rifugio e protezione. La nonna stanca ripete " Ibid., 69.


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con voce stentorea le preghiere delfa speranza. Ebbene, l'acqua del ruscello accoglie l'angoscia e la stanchezza della terza età come prima aveva nutrito i moti della vita nascente, e con la sua voce accompagna la vita che si spegne. Anche l'amante infe'lke sente rispecchiato nel suono dell'acqua il suo dolore: Qu'ale amante deluso o sfortunato venne a cericar la macchia solitaria e a .singhiozzar t'insegnò?22.

La natura svolge quasi una funzione materna e il ruscello è come la madre che piange in cuor suo per il pianto del figlio. Anche Massimo i=er,ge nell'acqua «le guance lacrimose» per nascondere e purificare Il suo dolore di soldato che prevede una morte prema'tura. Massimo, graverne11te infermo, ha ricevuto una ·lettera di Bianca, la qua'le gli promette una visita imminente e lo rassicura dei propri sentimenti di incondizionato amore. "Un'illusione breve, piena di fascino insidioso, esalta il cuore di Mass'imo», ed esplode in un canto, che è un rifugio ideale: Tieniti stretta a ime ... .Più .forte ... E ipairla.mi co' palpiti soltanto e con i teneri occhi di cielo, perché non senta il gufo appollaiato sul cipresso idi contro. - Ecco... varcato abbiamo già le oscurre e torve soglie del cimitero. E-ccoci soli e liberi! Solleva il velo e libra l'anima, vissuta in pianto, a queste ebbrezze di notturno incanto.

Nel delirio della malattia, rl giovane ode il gufo e già si predispone al1a morte. Desidera che questa lo ceilga con la gioia e la sicurezza d1 essere amato; vuole portare con sé i palpiti del cuore di Bianca. Allora la morte è vita e ;la srua nuova vita è l'amore di Bianca. Egli con la fantasia ha già superato il tormento ,della separazione da1l corpo e già vive la conqttista di un amore eterno: «<soli e liberi». Vi è una profonda simbiosi

22

lbid., 54.


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fra amor:e, dolore e gioia. Quanto più l'uomo ama, tanto pm esce dal cerchio della solitudine. Ma solo un'intensa capacità di soffrire mette in condizione di esprimere il culmine dell'amore. L'amore dà l'immortalità il cui simbolo è una polla d'acqua che i due amanti incontrano nel loro cammino onirico: ... il fonte igarrulo che bacia steli ed erbe, lor bisbiglia la voluttà cui dona in terra Amore. Ma ·sediamo, ché a noi iric'anta l'onda quel richiamo ...

Essere idealmente accolto dall'amore di Bianca, per Massimo s\gnifica essere protetto dall'amore di Dio; l'amore umano è segno della benevolenza del CreatoJCe per l'uomo e simbolo dell'appagamento totale che si avrà ndl'eternità: ,,.,C'è ·Dio, sorella, là dove ·s'ama; e allor la vita è bella 23 •

Man mano che si profila la fine della vicenda, lamore acquista il carattere di una rea:Ità irraggiungibile sulla terra e diventa fonte di sofferenza e di consumazione. L'amore si trasforma nel dramma della perdita, nel fremito e nel logoramento interiore: Lontan lontano, ne la notte nera, si spegne un grido. Bra singhiozzo o canto? Oh! for:se ·spasimo d'amore egli era, ma d'un amore che finisce in pianto ... 24•

L'infermo, al ritorno da una breve passeggiata si accorge che 1 peta'li della rosa lasciatagli da Bianca sono per terra. La morte questa volta gli si presenta nel suo volto nudo dì angoscia e di solitudine estrema. Man mano che l'amore umano è visto sempre più come simbolo del legame profondo dell'anima con Dio, e acquista quindi i caratteri di un'esperienza mistica, Massimo deve provare langoscia ddla derelizione. Come Gesù Cristo, prima della risurrezione, dovette provare il terrore della solitudine e dell'abbandono da parte di Dio, allo stesso modo

23

24

lbid., 78-80. Jbid., 94.


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tutte le esperienze mistiche implicano il momento dell'aridità e dell'abbandono, perché solo così lo spirito può rendersi purificato e adatto ad una conoscenza intuitiva superiore. Per un momento, Ma$simo di fronte aliJa rosa disfatta si sentì solo, abbandonato all'abisso della morte. Amll!va e odiava la vita. Di ·tutte 1'e cose belle restavano solo i ricordi come petali appassiti. Provava più il martirio dell'annullamento e della separazione, che non la consolazione dell'amore: ma non trovo ohe foglie sparpagliate: come i tuoi sogni, o vita, la cui fiam,ma brucia e .delude. Onde ti sprezzo e chiam·o, ti prego e t'odio; ché nel tristo dram·ma t·u mi .martiri più di quanto t'amo 2s.

Ormai :la fine è vicinis'sirna. Dopo un lungo asisopimento Massimo si ridesta e chiede di Bianca. La suora risponde che è andata in cappe'lla, dopo avere stretto e baciato il crocifisso. Egli scrive faticosamente dei versi: Volato il sogno, qual petalo bianco ghermito ·dal vento, w1'ala diaccia di morte le aduggia il cuore sgomento. Stanca ... riversa e molle di pianto, tende a la croce le braccia ... 26.

Il sogno è svanito. A Bianca non resta altro che attaccarsi al crocifisso, simbolo del do'lore universale. Anche Mas,simo è un crocifisso e Bianca si trova come la madre di Gesù, ai piedi della croce, con l'immenso dolore della separazione. Il sollievo per 'lei consiste nel condividere con Massimo la morte. In Massimo morente e in Bianca che soffre si continua e si rilpete la passione e morte di Cristo. Identificarsi con la pll!ssione e morte di Massimo significa identificarsi con la pa<ssione e morte di Crisito. L'amore doloroso che spezza il cuore di Bianca è il s.;gno del Cristo che vive in lei, è lo •stesso sentimento de1 Redentore che si ripete nel credente. Tutto ciò cl1e Bianca ha vis-

2s 26

L. c. Ibid., 124.


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suto dal momento in cui ha conosciuto Massimo è stato posto sotto il segno dell'amore naturale. Allo stesso modo, dal momento del ferimento di lui tutto è stato posto sotto il segno della croce del Cristo e del suo amore doloroso. Come l'amore di Cristo è un fatto eterno e 'tuttora operante nell'umanità, così tutto dò che è vissuto dal credente ne'llo spirito della carità di Cristo assume un valore eterno: ...·Affannoso,

·sommesso, gemica il core - ai piè del Cristo paziente rivo d'im.menso dolore. ed ebbra, folle di spasimo,

abbraccia il segno divino, mentre la chioma s'effonde sul capo al Martire chino, casto, :gentil.e velario de l'amoroso suggello 21.

Adesso, implicitamente •ritornano le immagini usate preceden:temente del ruscello che sbocca nel fiume e detl'edera che fa tutt'un·o con il muro. Lo sbocco mistico del poeta è la conseguenza necessaria del proiettarsi della propria realtà sacerdotale nel personaggio di Massimo. Quando questi, sfigurato dalle schegge, domanda a Bianca se ama ancora il suo corpo. «Massimo [ ... ] - ella geme - il tuo corpo m'è sacro!» 28 • Proprio il carattere della sacralità prevalente nell'animo del poeta dà alla vicenda una colodtura particolare. Un giovane, che tende al raggiungimento di un fine lecito, deve convivere con un animo sacerdotale. E allora, Massimo è la figura dolente di colui che è prigioniero d'amore, ha scoperto l'aspetto più bello de1'la vita, ma si scontra con Dio, il quale da un lato si fa sentire nella natura e nell'anima col sentimento dell'=ore, ma poi toglie ciò che prima ha donato. Bianca appare come colei che, dopo avere scoperto il più prezioso a•lfonento della sua vi.ta, lo vede svanire. Se l'anelito fondamentale dell'uomo è l'amore, perché viene meno la pos21 Ibid., 125. " Ibid., 87.


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Gerardo Ruggeri

sibilità di viverlo fino in fondo? I due protagonisti appaiono come coloro che stanno per 'rubare qualcosa che è dservato al cielo. La proiezione dell'animo sacerdotale del poeta si nota in un'altra caratteristica: tutte 'le creature non ragionevoìi sono nella sofferenza, perché non hanno ancora raggiunto la riconciliazione suprema. Bianca e Massimo sono il complemento della areazione, perché in modo cosciente, attraverso il dono della fede e la partecipazione mistica alla passione e morte di Cristo, hanno raggiunto queHa riconciliazione suprema alla quale tutte le cose tendono inconsciamente. Nonostante la grandezza dell'amore umano, esso è un valore hmitato rispetto alla esigenza di amore stabile e infinito. Massimo non può coartare il proprio cuore e costruisce un mondo meraviglioso. La triste realtà, però, punisce il cuore e questo si •converte e si riconcilia con la vita, rivivendo in chiave religiosa e mistica tutti i valori umani dell'amore: Così: fino a quando, benefico, nel gaio mattino, brillò ·su l'insonne lettuccio (la .1nam,ma schiudeva le imposte) un rraggio dorato di sole ... .. .il lucido sguardo di Dio, ehe rompe il mistero infinito e fi.t.ga .dai cuori basenti la morte in agguato... 29.

La vicenda di due persone s1 mserisce nella travagliata storia deM'umanità e nel gemito di tutta la creazione: «Sappiamo bene infatti che 'tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo 'le primizie dello Sph·ito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» 30 • Anche nella produzione dell'età matura 31 ritorna uno dei

" Ibid., 128. Rm 8, 22-23.

JO

31

Al Pozzo ,di Sichem, cit. R·ecensendo la prima edizione del 1934, il

critico gesuita D. MoNDRONE, in La Civiltà Cattolica, 1934, III, 503, scriveva:


Vincenzo Schilirò un sacerdote-poeta

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temi che era dominante ne Il seminatore che non mi1ete, quello della natura come specchio della vita dell'uomo: Casca di sonno il .mare, ché è notte tavda. Maternamente la spiaggia gli m.ormora: - baciami e domn.i - . S'affaccia la luna curiosa Pri.ma lo guarda incantata poi l'acciuffa per una cresta spumosa che pare un'ansa d'argento e lieve lo culla 32.

La luna, il mare, le stelle danno un'immagine vtswa di una vicenda interiore. Vi è il momento della tempesta incontrollata, della furia esplosiva, poi segue il momento della dolcezza, della pace, della rkonciliazione. La tensione delle ore di angoscia si placa ne]11'intimità domestica. La stella partecipò ai magi la lieta notizia della nascita del1'Amore suHa terra e divenne un segno visibile della misteriosa benevolenza del Padre per il! suo figlio prediletto. Le infinite sitelle che si riflettono sul mare sono il simbolo di quella unione intima che 'lega cielo e terra, predilezione divina e mistero gioioso della nasdta di ogni persona. Ma a questa visione rassicurante può far seguito il momento dell'orrore. Se si i1nterrompe il flusso che lega il cielo alla terra, se la luna si raccoglie in se stessa e le stelle non si riflettono sul mare, viene meno sulla terra la gioia della vita.

«Avversario dichiarat-0 del vacuo "astrattis.mo" ,predfietto da certi lirici ,moderni, questo siciliano :porta invece nella ·siua poesia il contributo di tutto l'uomo: intelligenza, im.maginazione, sensibilità artistica. Ogni sua lirica è avvivata 1da un pensiero, colto secondo aspetti per lo più originali ed espresso ora con ,estrema semplicità, ora mediante un carico sovrarp.porsi di colori, da far pensare ai capricciosi e sgargianti ghirigori di certi frascami arabeschi. Ma soprattutto c'è aria, c'è luce ed olezzar di agru. metì: una poesia ohe offre un buon documento di sincerità nel caratteri· stico ,sapore che ci i)Jorta alla sua terra». 32 Ibid., Sciabnrdio notturno, 19.


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Gerardo Ruggeri

Senza il raggio della luce divina, la forza mafofica toglie alla terra l'atmosfera della pace. Il lato infantile della vita è guardato dal poeta con benevola ironia ed è innalzato a simbolo del rapporto uomo-Dio. I bambini giocano e tentano di imitare le attività dei grandi. La loro fantasia trasforma i ciottoli ammonticchiati e le «molli sabbie del greto» riga1e con il bastone 33 in case e campi arati. Tentenna il capo la rnam;ma: ma infine indulge e sorride.

Anche gli adulti costTuiscono case e ai loro giochi danno il carattere dell'eternità e non sanno qual è la loro vera dimora. Con la fantasia hanno dato un valore eterno a ciò che è soggetto allo scorrere del tempo. Di fronte al miistero di Dio il pensiero dell'uomo non illuminato dalla saggezza della fede è un vano fantastica1re. Ma il poeta non condanna e non disprezza: Anche Tu, Signore, guarda induLgente a noi piccoli grandi che ·Spesso c'illudiamo ...

L'infanzia ha un suo fascino e il poeta già vecohio si sorprende a «t·rottare» accanto al bambino che egli fu e che resta incantruto al vedere i pupi esposti alla fiera e le maschere che gli fanno rivivere i sogni della prima età. E •tale è il trasporto dell'anziano poeta verso la vitalità e la fantasia infantile, che deve richiamarsi energicamente alla vita presente per rientrare nella saggia compostezza dell'uomo pensieroso. I bambini, per gioco, dopo un acquazzone, si affannano ad arginare i ruscelli «della strada in declivio». Il tempo scorre come un fiume impe1uoso e noi vorremmo fermarlo per stornare il pensiero dalla vecchiaia e dalla morte con le illusioni e le «labili opre»: E il fiun1e st·raripa, sommerge la vana fatica, e la convoglia al ·mare dell'eter.nità 34 • JJ

34

Jbid., Mani sudice, 7. Ibid., Ingenue dighe, 110.


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Il bambino ha paura del buio e si stringe alla madre per sentirsi protetto. Adesso, nella ta11da età, il poeta vede in quel buio un simbolo di tenebre ben più profonde e di paure pìù radicali: Più del fanciullo pavido che, nel buio, si stringe alle gonne materne, io ho paura deJI'ornbra e della notte Js.

Se dovesse restare privo della speranza, chiuso nel cerchio delle preoccupazioni terrene, senza la luce di Dio, la sua paura diventerebbe disperazione. Il poeta chiede al Signore che non ci siano ombre neilla sua coscienza e che non senta il terrore del Suo ,giudizio. L'opera giovani'le Il Seminatore che 'non miete, esprimeva le aspirazioni della gioventù, la gioia di vivere, il tumulto del cuore. Nell"opera Al pozzo di Sichem il dolore detta al poeta un tono malinconico e sofferto e gli fa sentire un intenso desiderio di purificazione. Dio, però, è sempre presente, sia in Massimo e Bianca, i quali spinti darI' amore tendono ad unire le loro vite, sia nel vecchio poeta che valuta i gesti della vita trascorsa e sente il peso della debolezza umana. Le cose conservano ancora il loro splendore ed esercitano un richiamo pressante sul suo animo, ma non lo toccano più, non entrano i1el cerchio dei suoi inter.essi: è rimasto soJo con Dio, separato

dwl giro tumultuoso, che lo trascinava. Non è un frustraito, anzi la vita lo ha appagato, è entrato nel vivo dell'es[perienza umana attnwerso la poesia, ma adesso è in cerca di un altro appaga,men.to, che consiste nell'unione con Dio: Fontana che non smorzi la n1ia sete, fiore che non hai per me olezzo, erica sconsolata, ... piccoli drammi d'i case nel buio a .me celati, cuori malati

35

Ibid., Preghiera, 74.


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Gerardo Ruggeri voi di pena vi st•ruggete, ché per me, ahimè, ,non esistete.

La sua stessa vita non gli appartiene e desidera creare in sé quello stato di nudità spirituale per la qua1e tutte le cos,e si annu~lano e regna la notte dei sensi e dello spirito, nell'attesa che possa essere eliminato l'os<tacolo che gli impedisce di percepire la luce ohe conso'la, C'è l'attesa <di una vita futura, ma quanta nostalgia! Vita che non sei la mia, vedovata ti penso: come la notte, bendata di "nulla". Ed è malinconia ... 36,

L'uomo ha reso «lorde di fango e polvere» le strade della vita. Il Figlio di Dio non ebbe paura della croce, ma nel momento della nasc1ta non sopportò lo spettacolo del1e «terrene strade» e pregò il Padre di coprire le spine e i1 fango e i ciottoli d'in1macolata neve.

Solo così la stella non ebbe ribrezzo di rischiarare il cammino ai magi e gli angeli poterono «sfiorare con ali caste la terra» per dare l'annunzio ai pastori, L'1n1ervento purificatore di Dio ha permesso agli uomini di scoprire la via verso il Redentore, Se non vi fos&e stata questa guuda dall'alto, gli uomini, abbandonati al meccanico e cieco impulso, operante in Erode, avrebbero elim1nato fin dal primo momento della nascita il Figlio di Dio: i pastori

trovarono soffici gli aspri sentieri e adorne di pendenti

irides'C'enti !e più povere gronde 37.

36

37

fbid., Malinconia, 73. Ibid., Il 1nio destino, 40.


Vincenzo Schilirò un sacerdote- poeta

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Ma il poeta non ha trovato un sentiero facilmente praticabile; 'le piante dei suoi piedi sono insanguinate e giorno per giorno è dovuto morire a se stesso, consumarsi per purificarsi. Qua,nto dolore, quanto sangue versato per conquistare Dio! Ormai è severamente imp~gnato nel cammino verso l'alto: Sulla vetta soltanto, ove il 'Maes-tro canta le beatitudini, s'indugia estatico l'ultimo sole. Ma è così erta la strada! JB.

Quel sole «esrtatico» è l'ultima risorsa a cui attingere per raggiungere il Maestro. Le beatitudini sono il rifugio a cui affidarsi, la luce definitiva. Gesù, in un giorno di afa, dopo avere tanto camminato, chiese da bere ad una samaritana. Questa poteva offrirgli soltanto l'acqua materiale; il Rederrtone, al contrario, le offriva l'acqua viva che disseta per tutta l'eternità. Il nostro poeta non può rivolgersi alla samaritana perché lo drsseti. La sua sete non può ess•er;e cahnata da nessuna acqua materiale, e quanto più sente l'aridità dell'arsura, tanto ,più egli attinge alla fonte de'Jl'acqua viva: Dinanzi alla fonte, che abbrivi,da di pena, m'abbandono sulle ginocchia, e nella coppa delle mani tremule, sgron1d'anti, allungo insaziate le labbra.

Questa esperienza interiore lo mette in condi.zione di comprendere una leggenda relatirva alla vita di S. Francesco. Il santo, per mettene a tacere il tumulto dei sensi, non ebbe dilfi·coltà ad avvo\gersi in mezzo ad un roseto. Le rose raccolsero quel sangue e tuttora, con il rosso vivo dei petali, danno una vivente testimonianza di quel sacrificio suggerito dall'amore. Il santo non disprezzò quel ohe Dio aveva creato nell'uomo, ma per una volontaria offerta, volle punire nella sua carne innocente la pas'sione di'struttiva che spinge gli uomini ad usare la

38

Ibid., Sconosciuto e solo, 116.


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Gerardo Ruggeri

violenza, travisando il senso profondo dell'amore. Egli volle prendere su di sé il dolore di tante vittime della mancanza di amore; scelse Dio, punendo nella sua carne tutti i desideri distruttivi dell'umanità. Non volle godere di ciò che aveva donato a Dio e non gli apparteneva più e la sua donazione comportò un sacrificio pari al desiderio. M\1 quel suo gesto ebbe una risposta da parte di .Dio e le rose rosso-vive ne sono una perenne dimostrazione. Il sacrificio si trasformò 1n uno spettacolo di godimento e in un invito a non tradire mai l'amore. Quel san.gue Ora Jo 'lTI·OSt,rano (come in un rito d'offerta) le rose candide, sopra dei petali ohe paiono teche di trasparente luminoso a~gento. E grida il tuo amore quel sangue. I ouori umani spesso lo 'profanano, l'amore. Le rose no. Sono fedeli e generose come il tuo cuore, o Frate dei poveri 39.

La raccolta di componimenti poetici inclusa ne Il seminatore cl-Je non miete alterna sonetti, canzoni e ballate, usate se:condo le varie moda'lità tradi!lionali. Con tale scelta stilistica l'autore non tenta di immettersi nella poesia moderna, se non con l'uso sparso di terminologie desuete, onomatopeiche, ricercate e adoperate a bella posta, quasi vezzo poetico, per spezzare la monotonia ritmica delle rime. Nella raccolta Al pozzo di Sichem, viceversa, il poeta allarga l'approccio con la poesia moderna, spezza il v.erso, trascura la rima. Ma, nella resa poetica, il verso subisce delle forzature stilistiche, spesso la metrica soppressa non viene sostituita da un ritmo intenso, da una musicalità che scaturisca spontanea. In certi casi la musicalità viene naturalmente a crearsi, ma d'improvviso si smorza, con urto stridente. Quando la sperimenta-

39

Jbid., Mistico sangue, 115


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Vìncenzo Schilirò un sacerdate-poeta

zione di ammodernamento del verso risulta da uno studio più attento e da un motivo di ispirazione più sentito, il verso si presenta più snello e musicato 40 • Lo Schilirò ha raggiunto il vertice della sua produzione poetica ne Il seminatore che non miete, dove non di rado si trovano pagine da antologia.

4o Già nel 1934 D. MoNDRONE, in La Civiltà Cattolica, .cit., osservava: «'Lo Schilirò .non vuole essere un novatore garibaldino, rivoluzionario; ma neppure vuol Tistagnare troppo sul passato. Tenace nella tradizione, non dei "clichés" .tradizionali, pare che la sua norma sia quella di fondere con spirito nuovo i buoni ele1ne.nti dell'arte poetica antica. Ma egli è in· tera1nente riuscito nel suo intento? [ ... ]. Tante belle impressioni destate dal libro dello Schilirò sono s.pesso attenuate dall'uso di un frasario piut· tosto ricercato, da modi abbastanza prosaici e ineleganti, e da irnmagini ·d'una certa "vi,rtuosità" secentesca [ ... ]. L'orecchio non ha saputo acco1nodairsi al suono di rparecchi t,ratti, 1d'ove difficilmente si riesce a percepire una gradita espressione ritn1ica, anche se cercata in tutto il giro d'un periodo strofico». 1



LA PSICOLOGIA NEL PENSIERO DEL CAN. FRANCESCO FISICHELLA (1841-1908)

FRANCESCO FURNARI *

Con questo breve studio intendo offrire un contributo alla conoscenza di un uomo di vasta cultura della Catania della seconda metà dell'Ottocento che si interessò di molti argomenti:: diritto, etica, economia, psicologia, ecc. Dei suoi svariati interessi e conseguenti produzioni 1 mi limito solo a prendere in considerazione una sua opera: La psicologz'a nelle scienze umane, Tip. D'Amico, Messina 1901.

* ·Docente di ;P.si•colagia nello Sturdio Teologico S. Paolo ldti Catania. 1 T,rascrivo l'elelllC'O completo delle opere del Fisichella: Roma e il inondo, Tip. 1Coco, ,Catania 1870; Il Protestantesùno nel sito concetto fon· dan1entale, Tip. Rama, Catania 1874; Vincenzo Messina Barone: Bibbia in rapporto al suo secolo, Tip. Galatola, Catania 1880; Ruggiero II, re di Sicilia, Tip. Gussio, 1Cefalù 1882; Sul fondam·enta razionale e storico del diritto di proprietà, Tip. Ro.mia, Catania 1883; Evoluzione e diritto, Tip. Galatola, Catania 1884; Sulla realtà della persona giuridica, Tip. Martinez, Catania 1885; La .donna e i suoi diritti, Tip. Martinez, Catania 1885; Dei rappo1~ti tra 1norale e diritto, T1p. Ma:rtinez, Catania 1886; La teoria dei contratti nella filosofia id el diritto, Tip. Ma-rtinez, Catania 1888; Dell'inter· dizione patrintoniale del condannato a pena perpetua, Ti•p. M'artinez, Catania 1888; Delle obbligazioni naturali, Tip. Martinez, Catania 1889; La 1norale nella vita economica, Tip. Martinez, Catania 1889; Il prof. p. Anta~ nino Maugeri e il suo sistema filosofico, Tilp. Galatola, ·Catania 1892; Il divorzio. Osservazioni e critiche, C. Distefano editore, :Messina 1894; Lotta ed etica, Tip. Se1'vagio e Caiponc, .Messina 1897; Chiesa e Stato nel matri~ 1nonio, ·Loescher ed., Torino 1899; Ragione e fede, T1p. Boccone del .povero, 1


Francesco Furnari

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Il mio augurio, presentando queste poche note, è che altri possano approfondire questa e altre sfaccettature del pensiero di uno dei migliori alunni e seguaci dello "psico-ontologismo" del padre francescano Antonino Maugeri.

I.

Note biografiche

Francesco Fisichella nacque a Biancavilla il 27 gennaio 1841 da Antonino e da Grazia Bellocchi. Sin da piccolo, dimostrando amore per lo studio e crescendo nella pietà, i suoi genitori lo avviarono alla carriera ecclesiastica. Fu educato nel seminario arcivescovile di Catania dove percors.e tutti gli studi classici e teologici fino alla ordinazione sacerdotale che avvenne nel 1864. Nello •studio si manifestò una tendenza alle scienze speculaticve, per cui i suo.i maestri lo dissuasero dal ritirarsi nel piccolo paese natio e lo indussero a rimanere a Catania per approfondire lo studio della filosofia 2 e dedicarsi all'insegnamento e alla missione della predicazione. <«Giovanissimo ancora, fu -chiamato a Bibliotecario della Benedettina di Catania eldJ ivi ·si chiuse com·e un bozzolo rper .}JTeparaTe la crisalide di un ,uon10 utile alla società)> 3.

Fu incaricato dal vicario generale del card. Dusmet, G. Coco Zanghy, di insegnare teologia nel seminari-o dei chierici e «da ·questa cattedra ·modesta -cominciò a ·dimostrare le sue

Palermo 1900; Il Regno di Dio nel secolo XIX, Titp. Boccone ,del povero, PaleilIDo 1901; La psicologia nelle scienze umane, Tip. D'Amico, Messina 1901; Che siamo? Dove andiamo?, Tip. Boocone del povero, Palermo 1902; Il diritto e i sordoniuti, Tip. 'Di Mattei, Catania 1902; La filosofia e i nuovi regolamenti universitari, Ti{p. Bizzoni, Pavia 1902; Manuale di filosofia 111.orale, T·~p. Di Mattei, Catania 1908. 2 Gfr. P ..BucoLo, Storia di Biancavilla, Grai:fiohe Gutenberg, Aidra:no 1953, 111; Io., Discorso funebre 1del sac. prof. Francesco Fisichella, Tip. F. Galati, Catania 1909, 9. 3 Io., Discorso funebre .. ., cit., 9-10.


La psicolomia nel pensiero di F. Fisichella

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grandi ,attitudini didattiche. Di'Ventato subito caro ai cultori di filosofia di quel tempo, in rpoco volgere di .tempo acquistò fama m.eritata di insigne oratore sacro, di valoroso scienziato, di abiliss1mo !docente» 4.

Ed ancora, ((Il suo ingegno era una fia•ccola che cominciava a mandare i pri:mi srprazzi ·di luce, la 1su'a vita intemerata e iint,egra di

sacerdote ri1splendeva di luce viva e la gloria, gi.usta dispensiera della vi,rtù, lo .fregiò delle insegne ca•nonicali, ed il corpo della Collegiata di ·Catania ·se l'ebbe a vanto ed onore d'a·verlo nel suo seno)) s.

Uomo modesto, non amava l'ostentazione del suo sapere e non rifiutava la compagnia degli umili. Seppe fondere armoniosamente scienza, sentimento e vita ·religiosa. «Si è creduto che la scienza distrugge la .fede religiosa e l'uomo rv.erarrnente sapiente rdeve essere neces,saTiamente intcredulo. Si è creduto di voler secolarizzare la scienza sott raend'ola al1'inJflusso della religione [ ... ] » 6. 1

Ottenne la libera docenza all'Università di Catania e poi, dopo vari ostacoli di diversa natura, occupò nel 1885 la cattedra di Filosofia del diritto nell'Università di Messina, ohe conservò fino alla morte acvvenuta tragicamente sotto le macerie del terremoto del 1908.

2.

Formazione culturale

Il Nostro ricevette la sua formazione cuhurale nel seminario di Catania, sotto l'episcopato di Felice Regano e poi sotto quello di Dusmet. Risentì del clima apologetico e di "autorità" che si respirava allora in tutta Italia per la "questione romana" e per la forte ascesa della cultura laica e massonica. 4 rB. M. VERZÌ, Il pensiero filosofico-giurtdico di Francesco Fisichella, Tesi di ·LaUJrea, Unirversità degli Studi di Catania, Catania 1964, 31-32. 5 P. BUCOLO, op. cit., 10. 6 lbid., 12.


Francesco Furnari

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I seminaristi erano chiamati a istruirsi per difendere non solo la fede ma anche la funzione sociale del messaggio cristiano ed, inoltre, a sconfiggere il razionalismo. Fu discepolo del padre Antonino Maugeri, professore di Filosofia morale nell'Università di Catania dal 1846 al 1891; e dal Maugeri il Fisichella apprese l'amore per il Rosmini 7 , non scostandosi dalla filosofia ufficiale tomistica, sentendosi però libero, come Io fu il suo maestro, da ogni schematismo intellettuale e aperto e attento alle istanze culturali e sociali del suo tempo. Il pensiero del Fisichella, a mio parere, può inserirsi fra l'ontologismo giobertiano e lo psicologismo rosminiano 8• Per lui la filosofia si può ritenere «la scienza dei primi principi •dell'essere» 9, la scienza che studia ,i primi principi della realtà e del pensiero, nel suo aspetto teoretico, la scienza che esamina il vero in quanto traducibile nella pratica, «primi principi del buono, il quale non è che il vero in quanto traducibile negli atti umani in conformità alla suprema finalità della vita» 10

7 In Sicilia inella ;seconda 1II1età del XIX ·secolo troviamo largamente seguì.te l'ontologismo (V. Di :Giovanni, .B. D'A!cquisto, G. Rom·ano, A. Maugeri), il pensiero ·di G. 'D. Romagnosi (V. D'Ondes - Reggio, B. Castiglia, E,meriico Armari, Sal1Vatore ·Marchese, docente quest'ultimo di Filosofia del diritto nell'Università di Ca:t ania dal 1840 al 1880), del ,Gioberti, e con parziali adesioni, anche il .Rosmini (cfr. E. DE CARLO, La Filosofia di Ros1nini in Sicilia, in Teoresi 3-4, 1955). Per la formazione ·oult,urale dei chierici nel periodo di Dursmet, cfr. G. ZITO, La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894), Galatea Edirrice, Adreale 1987. s E 1 da notare ·ohe il suo 1maestro A. Maugeri aveva elaiborato un sistema filosofico chiaimato psiohe-ontologico": l'io non poteva dire di es sere e di pensare :senza avere in sé un'idea. Questa idea era innata e messa .da Dio nell'atto della creazione (c:f:ìr. A. ·MAUGERI, Corso di filosofia razionale ossia sistema psiche-ontologico, Tip. Galatola, Catania 1865; F. FrsrcHELLA, Il prof. p. Antonio Maugeri e il suo sistema filosofico, Tip. Galatola, Catania 1892; G. ZITO, op. cit., 237-240). 9 F. FISICHELLA, Manuale di Filosofi-a morale, Tip. Di Mattei, Catania 1908, 4. IO lbid., 7. 1

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1

1


La psicologia nel pensiero di F. Fisichella

215

per quanto riguarda l'aspetto pratico della filosofia, cioè l'etica n. La psicologia studia invece il soggetto umano che porta in sé questi primi principi e li traduce a suo modo in volizioni, comportamenti, sentimenti e azioni.

3.

La psiaologia nelle scienze umane

La riflessione sulla psicologia nasce nel Fisichella dallo stimolo di un accadimento occasionale: la soppressione dell'insegnamento della psicologia e la riduzione di quello filosofico nei licei di Stato, fatta dal ministro Baccelli nel 1899; soppressione subito tolta dal ministro Gallo nel 1900. Fuod da questo contesto accidentale, l'opera del Nostro mantiene la sua validità e attualità perché si inserisce nella tematica filosofica più vasta sviluppatasi, subito dopo la critica kantiana, durante tutto il secolo XIX e ancora oggi viva, che è quella della fondazione epistemologica di una psicologia filosofica. Inoltre, il Fisichella pone l'accento sull'importanm fondamentale che ha la psicologia per le scienze umane, quali l'etica, il diritto, il linguaggio, la storia, ecc. Tutte le scienze umane o dello spirito, come le chiamava il Dilthey, si possono ricondurre in ultima analisi ad un fondamento unico che è dato dalla psicologia, giacché i dati delle scienze umane derivano in prima istanza dalle esperienze interne che l'uomo ha di sé e dalla comprensione che l'uomo, il "soggetto umano" può avere dei suoi atti esterni linguisticocomportamentali e degli altri uomini. Per il Nostro la conoscenza del mondo umano è una conoscenza dall'interno che avviene, al contrario del Dilthey, non solo attraverso Io studio dei prodotti storici e della vita ma

u Da queste affe11mazioni .sembra che il Fisichella, oltre ad essere contro qual1siasi forma di positivismo ma non 1d:ella positività, :iintesa come ricerca concreta, tolga e .releghi in .un .oan·tuccio l'antagonismo e l'irndipendenza che in Kant sembrano essersi affenmati tra ragion pura e ragion pratica.


216

Francesco Furnari

anche attraverso il metodo introspettivo per ciò che riguarda le motivazioni e le intenzioni che sostanziano gli atti medesimi. «'La psicologia .d'altronde, oltre del laboratorio e rpiù del laboratorio, ha un teat,ro di studio vasto ed esteso nella coscienza umana in 1sé .e nella ·sua estrinsecazione nella vita; teatro che non può essere >Surrogato dal laburatorio [ ... ]}) 12. 1

La psicologia è per il Fisiche!la lo {(studio del soggetto tonano, di ciò che siamo noi stessi; del soggetto penisante, e quindi dello ·studio del pensiero, della cosciente potenzialità ·umana, di questa ,potente energia Ida cui sgorgano tutte le ineraviglie del .mondo umano, e per cui sono lette ed interpretate le incra,viglie .del inondo naturale [ ... ]>> 13 •

Per il Nostro, anche se tiene in debito conto e rileva l'im-portanza di una psicologia empirico-sperimentale da laboratori-o, la psicologia è purtuttavia «parte della rfilorsofia, ohecché 1se ,ne dica in contrario; perché la metodologia e la logica in generale, .mentrre interessano tutte le scienze, non si ;possono studiare scientificam.ente senza la ;p1sicologia; penché ·è stato Io studio della dialettica subiett~va che ha Tivelato la dialettica ontologica, per cui -si è potuto ais•sorgere alle ·più vaste sintesi ·e al concetto delle leggi più generali della natura [ ... ]» 14.

La psicologia sperimentale-empirica di un 'Weber, di un Fechner o di un Wundt si interessa dei fatti psichici più elementari e sfugge ai fatti psichici più complessi, per cui soffermarsi su questi studi e ricerche, seppur utile, non serve aid altro «che a sottrarre un tempo che più utilmente s'impiegherebbe nello studio vero e proprio della psiche» 15 • Lo studio «vero e proprio della psiche» non si può fare se non nell'ambito e nel recupero scientifico di una psicologia filosofica che, sin dai tempi della critica kantiana 16, è stata definita

12 F. FISICHELLA., La psicologia nelle scienze u1nane, Tip. D'A1mico, Messina 1901, 5_ 13 lbid., 6-7. 14 Ibid., 7, nota 2. 15 Ibid., 8, nota 1. 16 ·Cf·r. I. KANT, Critica della Ragion Pura, A. 333-405.


La psicologia nel pensvero di F. Fisichel/a

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incapace di studiare l'io umano in modo scientifico e quindi di poterne dedurre l'esistenza ontologica. Giacché ogni conoscenza scientifica è legata al mondo dei fenomeni, la psicologia come disciplina filosofica è impossibile; e se una psicologia debba essere possibile lo può soltanto a patto che sia una psicologia empirico-speri1nentale 17 • Ma una psicologia empirica, a dire dello stesso Kant 18 , è anche criticabile da un punto di vista scientifico sia perché dovrebbe ricorrere sempre all'introspezione sia perché non potrebbe mai arrivare a delle verità di ordine generale ma spezzettate o pratiche, per cui potrebbe al massimo descrivere ma non spiegare 19 • A partire da queste considerazioni kantiane è corsa per tutto l'Ottocento una profonda sfiducia sulle possibilità di una psicologia filosofica e si è fatto a gara nel creare una psicologia empirico-sperimentale. Con questi antecedenti la psicologia empirico-sperimentale

Cfr. ibid., A. 382. Cfr. ID., Metaphysische Anfangsgrii.nde der Natur1vissenschaft, IV, 1786, 471. 19 Og1gi, :Ln campo episte;inologico, 1sembra invece es,sere accettato il consiglio di Aristotele nell'Etica a Nicomaco, 1094 B 11-1095 A 2, dove si parla di pluralità ,dei livelli di scientificità. E', infatti, propirio di una persorna saggia «cercare il rigore per ogni genere di ·cose solo nella ,misura in cui la natura idel soggetto lo ammette)}, La psicologia può allora es·sere considerata una S'Cienza ma non certo in tern1ini positivistici. Nella psicologia, infatti, abbiamo teorie unificanti 1na non verificate o teorie parziali e ben verHìcate. Per poter uscire 1cfall'e 1n·passe creata da :una acousa alla psicologia come tecnologia o ideologia bisogna abbandonare ·certi •pregiudizi e accetta-re il fa'tto e/o la possibilità che ,una teoria possa esrsere potentemente esplicativa e nello stesso tempo detbo1rnente appoggiata dia tentativi rigorosi di falsificazione; non ·voler negare a .tutti i -costi la soggettività umana ohiudendosi :iin ·spiegazioni 1mediante rstrutture, progetti o -siistemi fuori dal soggetto pensante e senziente ed, infine, ·sifuggire alla tentazione totalizzamte (cfr. P. RICOEUR, Science et ideologie, in Revue Phìlosophique de Louvain 14 [1974] 328,355; K. MANNHEIM, Ideologia e utopia, Il Mulino, Bologna 19704; J. •LADRIERE, Les sciences hu1naines et le problèn1e du fonden1ent, in Vie sociale et destinée, Ed. J. Duculot, Gemboux 1973, 198-210). 17 18

1


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Francesco Furnari

e scientifica, avendo come presupposto una concezione naturalistica dell'uomo, cerca di ridurre i fenomeni psichici a fatti puramente fisiologici e biolo,gici 20 • Il Filsiichella, come si può dedurre da tutto il discorso condotto nella sua opera sulla psicologia, sembra voler reagire a questa riduzione positivistica della psiche e cercare, come la maggior parte dei neoscolastici della seconda metà dell'Ottocento e della prima metà del Novecento 21 , una fondazione epistemologica di una psicologia filosofica, che possa essere messa come base di tutte le altre scienze umane. A me sembra che il fondamento epistemologico di una psicologia filosofica intuìto dal Nostro autore possa essere quel "soggetto umano", quella persona umana che viene così ad essere un presupposto a priori ontologico a tutte le manifestazioni psichiche interiori ed esteriori. L'opera del Fisichella non ,sembrerebbe così interessata a studiare le varie facoltà dell'anima o psichiche o la "natura" umana in sé e per sé ma a mettere il soggetto-persona umana a fondamento originale ed originario dei suoi atti e comporta1nenti e sentimenti. In questo contesto la persona è vista in funzione della sua apertura all'essere e alla metafisica. La psicologia è, dunque, per il Fisichella tra le discipline filosofiche quella più fondamentale e basilare che va intimamente connessa con la metafisica; quest'ultima, però, pur non essendo riducibile alla psicologia avrà sempre e comunque un carattere "personale". 0

Conclusione L'intuizione originale che si basa sul "soggetto umano", sulla persona umana è, a mio avviso, basilare per poter fondare 20 Si 10fr. la psicologia di Wundt, il behaviorismo, la concezione fisio~ logica e biologica del pri,mo Freud, ecc. 21 Si con'fronti1no i vari tentativi di .soluzione sul,la natura e ·Sul compito di una ip'sicologia .filosofiiC:a fatti <la rllil1 ·Mercier e in seguito dal Siwek, dallo St.rasser, dal Kelly e dallo Haberlirn.


La psicolog;z'a nd pensz1ero di F. Fisichel/a

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una psicologia filosofica che non sia astratta ma che si basi e studi, come voleva Rosmini, l'essere reale e finito dell'uomo. Questo, credo, è uno dei meriti filosofici del Fisichella che all'apertura del nuovo secolo, il XX, si può ben inserire e annoverare tra quelli che hanno tentato di dare una risposta originale alla fondazione di una psicologia filosofica, quali la fenomenologia, l'esistenzialismo e il personalismo.



DIPENDENZE DEL MONASTERO DI S. FILIPPO DI FRAGALÀ

SALVO NIBALI

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Lo scorso anno ci siamo occupati, per Synaxis, del monastero basiliano di S. Filippo di Fragalà, parlando della diffusione del monachesimo greco in Sicilia e della sua decadenza nel corso dei secoli; della vita e dell'organizzazione interna dei monasteri basiliani nonché della loro regola; dell'archimandritato di Messina e dello eroico egumeno Gregorio che della ricostruzione di Fragalà fu il principale artefice nel periodo della conquista normanna 1• Trattammo anche degli estesissimi possedimenti che i basiliani di Fragalà ricevettero dai primi re normanni e soprattutto dal gran conte Ruggero e da suo figlio, e della larghissima, quasi sterminata giurisdizione esercitata da questo grande monastero su una miriade di altri cenobi, di chiese e di luoghi sacri della Sicilia nord-orientale e, più precisamente, di una vasta area sita, grosso modo, tra l'Etna e i Nebrodi 2 • Vorremmo ora completare, nei limiti del possibile, quel!' excursus storico con altre brevi notizie e notazioni su quelle che furono le numerose dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà. Cominciamo col dire che alcune di queste dipendenze oggi purtroppo non esistono più e non ne restano tracce nemmeno nella toponomastica poiché furono lasciate crollare o vennero

,., 'Dottore in Lettere e Giornalista.

' Synaxis 5 (1987) 225-259. 2

L. c.


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Salvo N ibali

inglobate e trasformate in successive chiese molto diverse per stile e per dimensioni; di alcune altre, invece, sopravvivono soltanto pallidi e tristi ruderi che non hanno più niente, ormai, delle splendide chiese basiliane di Sicilia del XII e XIII secolo. Non furono, naturalmente, soltanto le numerose dipendenze dell'abbazia di Fragalà a subire questa penosa sorte; anzi, nella Sicilia occidentale, per esempio, molti di questi preziosi monumenti scomparvero più presto, anche se recenti ricerche locali hanno permesso di identificarne alcuni o, perlomeno, di identificare i luoghi in cui sorgevano 3 • Nella Sicilia nord-orientale, e soprattutto nel territorio messinese, resta ancora oggi il numero più consistente di chiese e monasteri basiliani che possano essere definiti tali quanto a stile architettonico e a testimonianze d'arte e di culto, ma lo stato di degrado in cui versano, se si eccettuano pochissime eccezioni, non fa certamente onore alla Sicilia e alle competenti soprintendenze ai monumenti, sorde da anni a qualsiasi appello da parte di associazioni, di studiosi o di semplici fedeli. Il monastero di S. Filippo di Fragalà rinacque nel 1090 per opera del monaco Gregorio che ne fu egumeno, cioè abate, fino al 1117. Nel 1105 Gregorio, sentendosi vicino a morte, dettò un testamento che ci è pervenuto 4 e nel quale egli enumera, fra l'altro, anche le numerose dipendenze del grande monastero 3 Due esempi per .tutti: del monastero ba,silìano di S. Mairia de Jummariis, nei pres·si di Mazara del Vallo, fondato im·rnediatamente dopo la conqui·sta n.ormanna, 1retto dai basiliani «fino a .tutto il secolo XIV» (M. SCADUTO, Il ntonachesinto basiliano nella Sicilia medievale, .Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1982, 125) e affidato irr1 ,seguito ai monaci benedettini, non 1si è saputo molto ·dopo il 1567, anno in cui passò ai ,cavalieri di Malta. E' diventato, nel tempo, il santuario mariano ·della Madonna dell'Alto. Ancora meno si sa idei monastero dei S·S. Cosmo e Damiano, ,di cui non resta niente. 1Di ·recente, però, uno studioso locale, A. Mogavero Fina, Io ha localizzato nei pressi di Pet,ralìa Soprana, sulle 1Ma1donie, nel luogo ohiamato Gonato (A. ·MOGAVERO FINA, Petralia e il monastero basiliano di Conato, in Il Corriere delle Madoni-e, 1 ottobre 1974). 4 Il .testamento è stato pubblicato per i ntero da G. SrATA, Le perga111ene greche esistenti nel grande archivio di Palermo, Tip. Clamis e Roberti, Palenmo 1861 e da S. CusA, I diplo1ni greci ed arabi di Sicilia, Palermo 1868-82. 1


Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà

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di Fragalà, e cioè: le chiese "dell'Arcangelo Michele", "del precursore Giovanni", "della Santa Madre di Dio", "dell'Apostolo Pietro", "dei SS. Filadelfi", "di Talleleo", "del Sommo Sacerdote Nicolò", "dell'Apostolo Pietro", "dell'Apostolo S. Marco" e di "S. Maria di quel valorosissimo di Maniace" 5 • Vediamo dunque nei particolari la storia di questi piccoli cenobi che l'egumeno Gregorio chiama genericamente "chiese" ma che furono, almeno in parte, veri e propri monasteri. Qui li esaminiamo distinguendoli in due ,gruppi: quelli citati nel testamento di Gregorio del 1105 e quelli che, invece, in quel testamento non sono menzionati perché furono acquisiti dal monastero soltanto dopo i primi anni del XII secolo.

Dipendenze del monais:tero di S. Filippo di Fragalà citate nel testamento del/' egumeno Gregorio

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1.1. S. Michele Arcangelo La chiesetta di S. Michele Arcangelo viene nominata per la prima e unica volta nel 1105, nel testamento dell'egumeno Gregorio 6• Gregorio la dice "vicina" ma riesce difficile capire dove esattamente potesse so~gere. Nei documenti successivi essa non viene più neanche nominata e si deve pensare che sia andata in decadenza molto presto. Secondo ipotesi recenti, che però non sono state ancora confortate da studi e scavi archeologici, questa chiesetta sarebbe stata inglobata nel monastero di Fragalà durante i lavori di ampliamento che, vivente Gregorio, interessarono i locali dell'abbazia e la stessa chiesa 7 • 1.2. Chiesa del precursore Giovanni Anche circa la chiesa del precursore Giovanni non abbiamo 5

G. SPAIA, op. cit., VI, 197-198. ' lbid., VI, 198. 7 C. FILANGERI, Monasteri basiliani di Sicilia, Biblioteca regionale universitaria, Messina 1979, 43.


Salvo N ibali

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altre notizie se non quelle contenute nel testamento dell'abate Gregorio 8 • Nonostante altre chiese basiliane, con annesso monastero, sembra siano state rintracciate, sotto questo titolo, nella Sicilia occidentale 9 , sembra a tutt'oggi impossibile poterla identificare, in assenza di documenti più precisi, con qualcuna delle tante chiese dedicate a S. Giovanni Battista nella Sicilia orienta:le e, in particolar modo, nella zona del messinese; e ciò vale, come si vedrà, anche per tante altre dipendenze di Fragalà. 1.3. Chiesa della Santa Madre di Dio. La chiesa della Santa Madre di Dio viene così menzionata, senza altra indicazione e quasi per antonomasia, nel testamento di Gregorio 10 • E' molto probabile che si tratti di una chiesa sita presso il vicino abitato di Frazzanò· 11 • In altri documenti del XII secolo troviamo infatti spesso una "Santa Maria di Frigano o di Frazzanò" 12 e pare certo, dunque, che essa non vada confusa con un'altra "Santa Madre di Dio", quella della "Gullìa", che all'epoca del testamento di Gregorio non esisteva ancora. Nel 1145 re Ruggero conferma che la chiesa di "Santa Maria di Frigano" appartiene sin dal 1097 al monastero di S. Filippo di Fragalà insieme all'altra dipendenza di S. Barbaro di De1nenna

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s G. SPATA, op. cit., 198. Una chiesa di S. Giovanni «castri de Ficaria}> viene registrata nelle Rationes decimaru111 f,faliae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, a cura di P. Sella, Città del Vatieano 1944, 64, negli anni 1308-1310. Ma è la nostra? 9 Si veda, per esem.pio, il caso dell'abbazia di S. Nicolò Regale citato in Italia ro111anica. La Sicilia, Jaca Book, Milano 1986, 227 ss. e in M. SCADUTO, op. cit., 403. 10 G. SPATA, op. cit., VI, 198. Jl ·M. SCADUTO, op. cit., 108-109. 12 G. SILVESTRI, Tabulario di S. Filippo di Fragalà e di S. Maria di Maniaci, in Dacunienli per servire alla storia di Sicilia, I serie, Diplomatica, vol. XI, Fase. I e II, Tip. V. Davy, .Palerrno 1887, 153; e G. SPATA, up. cit., XLI, 381. 13 G. SPATA, op. cii., XLI, 381.


Il 1nonastcro dci "Santi FiladelfĂŹ" a S. Fratello (Messina) (foto M. G. Guzzettaj

La chiesa di "S. Pietro de Deca" nei pressi di Terranova (Messina) (foto M. G. Guzzetta)



Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà

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1.4. Le due chiese dell'Apostolo Pietro La chiesa dell'Apostolo Pietro è nominata nel testamento di Gregorio 14 nel quale, però, viene anche menzionata un'altra chiesa intitolata a S. Pietro. Le due dipendenze si possono probabilmente identificare l'una con la chiesa di "S. Pietro de Deca" che ancora oggi sorge nei pressi di Terranova, in provincia di Messina, e l'altra con quella che in documenti successivi viene sempre chiamata "S. Pietro di Galati di Mueli". Della chiesa di Deca si sa che nel 1131 essa fu sottoposta all'archimandritato del SS. Salvatore di Messina 15 • Pur evidentemente rimaneggiata, la chiesetta, che rappresenta un unicum per la sua pianta ottagonale nel novero delle chiese basiliane di Sicilia, resiste ancora su una collina poco più in alto della spiaggia di Terranova in una proprietà privata. E' praticamente abbandonata, anche se sotto il vincolo della sopraintendenza. Della seconda dipendenza dedicata a S. Pietro sappiamo, invece, un po' di più poiché nel 1092 il conte Rl,\ggero concedette al monastero di S. Filippo di Fragalà alcuni poderi a Mueli, una località in cui subito dopo vediamo sorgere una dipendenza 16 • Mueli, specifica il documento di donazione, è vicino al feudo Gazzana 17 • Nel maggio del 1116, poi, il nobile normanno Eleazaro Mallabret, «della città di Galati», concede «al tempio di S. Pietro» un uomo «dei suoi villani», alcuni poderi e «la vigna esistente vicino Santo Ippolito» 18 • Al contrario della chiesa di S. Pietro de Deca, di S. Pietro di Mueli oggi non restano più neanche le rovine. 1.5. La chiesa dei Santi Filadelfi Anche per la chiesa chiamata dei SS. Filadelfi l'unico docu-

" lbid., VI, 198. M. SCADUTO, op. cii., 186 e c. FILANGERI, op. cit., 56. 10 G. SPATA, op. cit., II, 174. 11 L. c. 18 lbid., XIII, 242 e più avanti alla voce <(chiesa <li sa..nt'Ippolito». Si veda pure R. PIRRI, op. cit., 1028. 15


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Salvo N i bai i

mento che ne attesti l'esistenza è il testamento dell'egumeno Gregorio 19 • Dopo questa data, infatti, non ne sappiamo più nulla. Forse questa chiesa fu il primo nucleo dell'attuale chiesasantuario "dei tre santi" che sorge nei pressi di S. Fratello, anche se nella stessa zona si registra un'altra chiesa basiliana, quella di S. Pancrazio 20 , la cui ubicazione ci è sconosciuta, ma che nel 1131 era sottoposta all'archimandritato e nel 1180 beneficio della cappella palatina di Palermo 21 • 1.6. La chiesa di San Talleleo Di una dipendenza di S. Filippo di Fragalà denominata San Talleleo si parla per la prima volta in un privile,gio del conte Ruggero che concede all' egumeno Gregorio la facoltà di restaurare la dipendenza. Nell'occasione, il conte concede anche «i poderi vicini al monistero di S. Talleleo per alimento dei monaci}> 22 • Nel testamento di Gregorio del 1105 viene specificato che la dipendenza è soltanto una chiesa 23 • Nel 1145 re Ruggero conferma i beni concessi alla dipendenza da suo padre nel 1091 24 • Nel giugno e nel settembre del 1182 la dipendenza di San Talleleo viene menzionata rispettivamente in un diploma in cui Beatrice, signora di Naso, concede benefici a S. Filippo di Fragalà 25 e in uno riguardante la restituzione di taluni possedimenti al monastero 26 • Si ricava, comunque, dai documenti che parlano di questa grangia che essa sia presto andata in rovina, anche se nel 1224 27 e nell'ottobre del 1257 28 essa viene ancora nominata in due di" G. SPATA, op. cit., VI, 198. c. FILANGERI, ap. cit., 63. 21 M. SCADUTO, op. cii., 93.94 e R. PIRRI, op. cit., 1059. 22 G. SPATA, op. cit., I, 164. " Ibid., VI, 198. 24 ,R. PIRRI, Sicilia sacra .disqui.sitionibus et notitius illustrata, Tip. Coppola, Palermo 17332, 1027. 25 G. SPATA, op. cit., XXIII, 280. 26 Ibid., XXIV, 285·286. 21 Ibid., XXXII, 317. " Ibid., XXXV, 342-343. 20


Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà

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plomi riguardanti i possedimenti intorno alla dipendenza e alcune proprietà nel territorio di Naso. E nel territorio di Naso, dove esiste ancora una contrada denominata «Santu Leu», molto probabilmente la grangia sorgeva. Delle fabbriche del piccolo cenobio e della chiesa, comunque, oggi restano solo scarse tracce. 1.7. La chiesa di S. Nicolò La dipendenza di San Nicolò viene nominata come chiesa «del nostro Santo Padre e Sommo Sacerdote Nicolò» sempre nel testamento di Gregorio 29 • Come "S. Nicolò della Scala di Paleocastro" {"antico castello") la troviamo in un privilegio del 1094 nel quale il conte Ruggero concede all'abate di S. Filippo di Fragalà questa dipendenza unitamente ad un'altra denominata S. Ippolito, che abbiamo già incontrato in occasione della donazione fatta dal normanno Eleazaro Mallabret ad un'altra dipendenza di Fragalà, S. Pietro di Mueli 30 • Nel dicembre del 1105 il conte Ruggero conferma questa concessione donando «per grancia la terra di San Nicola della Scala in Paleo Castro e S. Ippolito coi loro territori» 31 • Nel marzo del 1125 la chiesa o dipendenza di S. Nicolò viene nominata in un diploma nel quale il vescovo di Messina Guglielmo ordina che i monaci di S. Nicolò tornino a possedere i pascoli di «Limina, Castro e Storiano» 32 • Nel 1145, poi, la grangia è ancora una dipendenza, riconfermata da re Ruggero, del monastero di S. Filippo di Fragalà 33 •

" Ibid., VI, 198 e M. SCADUTO, op. cìt., 109. Jo G. SPATA, op. cit., III, 179-182. Per la chiesa di S. Ippolito, ohe non viene ·menzionata nel tes·ta.mento di Gregorio ma che pure fece parte dei .pos·sedimenti di Frag-alà, si veda M. SCADUTO, .op. cit., 105 e 109 e più avanti alla voc:e che ne .tratta. 31 G. SILVESTRI, op. cit., 104-105. 32 G. SPATA, op. cit., XVII, 261. 33 .ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Codice Vaticanus Latinus, 8201, f. 79 v. Per i rp:roblemi :rigua11d:a111ti questa dipendenza, comunque, M. SCADUTO, op. cit., 109-110.


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Salvo Nibali

L'ultima notizia documentata che possediamo su questa grangia risale al 1310, anno in cui essa viene ceduta in affitto dall'archimandritato di Messina, alle cui dipendenze evidentemente è passata nel corso degli anni, a certo Arnaldo di Villardita e alla vedova di Nicolò Palizzi 34 • Qualche studioso 35 ha di recente suggerito l'ipotesi che essa possa riconoscersi, come antica fondazione, nel piccolo santuario di S. Nicolò presso Alcara li Fusi, in provincia di Messina, ancora oggi meta di pellegrinaggi e luogo di devozione per gli alcaresi che in S. Nicolò Politi, eremita adranita che nel XII secolo sulle montagne di Alcara visse una vita di penitenza e di santità insieme ai monaci basiliani, hanno il loro patrono 36 • 1.8. La chiesa dell'Apostolo Marco La «chiesa .dell'Apostolo Marco, ultimamente fabbricata e a sante donne affidata» è così, senz'altra indicazione, menzionata dall'egumeno Gregorio nel suo testamento 37 • Oltre a questo documento del 1105 e oltre a un fugace accenno in un diploma del 1245 che riguarda i confini della dipendenza di S. Marco 38 , non abbiamo altre prove dell'esistenza di questo metochio. Non siamo in .grado neppure di stabilire da questo semplice accenno se, invece che di un feudo, si tratti effettivamente dei possedimenti e della chiesa di S. Marco. Sembra comunque molto probabile che la chiesa sorgesse in S. Marco d'Aluntio e che nei primi decenni del XII secolo fosse retta da suore basiliane 39 • Anche in questo caso, circa 34 ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, 35

c.

FILANGERJ,

Codice Vaticanus Latinus, 8201, f. 314.

op. cit., 62.

Nella zona di Alcara li Fusi, ·tira l'altro, c'è la .presenza di un altro piccolo ·Cenobio basiliano, quello di S. Maria del Rogato, ancora oggi in discrete condizioni e meta anch'es·so di un pellegrinaggio che fa caipo an· cora una volta ad episodi della vita di S. Nicolò Politi, che qui dal suo eremo 'sulle Rocohe del Castro veniva .periodicamente a confessarsi con un ,sa.cerdote basiliano. Si veda S. NrBALI, Nicolò l'eremita, in La Sicilia, 8 agosto 1984. 37 G. SPATA, op. cit., VI, 198. " lbid., XXXIV, 336. 39 lbid., VI, 198. 36

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Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà

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l'identificazione della chiesa, abbiamo solo delle ipotesi. Il Filangeri, per esempio, ha di recente pensato ch'essa sia l'omonima chiesetta di S. Marco d'Aluntio «costruita dentro la cella di un tempio pagano» 40 , il cosiddetto "tempio di Ercole", e l'ipotesi non ci sembra, a un primo esame dei rifacimenti delle fabbriche di questa splendida chiesetta, molto lontana dal vero. 1.9. La chiesa di S. Maria di quel valorosissimo di Maniace Quella che fu in origine una modestissima dipendenza del monastero di Fragalà, la chiesa della Santa Madre di Dio di quel valorosissimo di Maniace, ha avuto nei secoli una storia molto più tormentata e ingarbugliata di tutte le altre grange e un'esistenza più lunga a causa, o grazie, alle trasformazioni subìte nel tempo. Quando l'egumeno Gregorio la fa ristrutturare, intorno al 1100, da molti anni esiste nello stesso luogo un grande culto per un'icona bizantina della Madre di Dio lasciata nella zona, secondo la tradizione, dal capitano o "protospatario" bizantino Giorgio Maniace 41 • Questi nel 1040 42 aveva riportato, in una pianura sita fra Randazzo e Troina, una cruenta ma importante vittoria sui saraceni, e a commemorazion.e di quella vittoria era sorta poi una chiesetta ai "Balzi" 43 , non lontano dai luoghi della battaglia. Lì per decenni si venerò l'icona di S. Maria di Maniace. Alla chiesetta s'aggiunse poi, secondo qualche studioso 44 , anche un ospizio, un piccolo monastero basiliano dipendente, naturalmente, dal monastero di Fragalà.

·C. FILANGERI, op. cit., 117. Questo tipo di riuso e di trasformazione non era, pare, sconosciuto alle fondazioni basiliane. 41 B. RADICE, Il casale e l'abbazia di S. Maria di Maniace, Palermo 1909, 43: «Una delle tante imnTagini deIJa Vergine che la tradizione attribuisce a S. Luca, portata dal valoroso capi tano bizantino [ ... ]>), 42 ,Per R. PIRRI, op. ci-t., 1255 ss. e V. M. AMICO, Dizionario topografico della Sicilia, I, a oura di G. Di Ma.rzo, Palermo 1858-1859, 469, l'anno sarebbe il 932. Per una visione completa del .problema B. RADICE, op. cit., 8 ss. 43 B. RADICE, op. cit., 43 e S. NIBALI, Il Castello Nelson ovvero l'abbazia di S. Maria di Maniace nei secoli, Maimone, Catania 1988. 44 B. RADICE, op. cit., 43. 40

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Se accettassimo questa ipotesi saremmo davanti ad un caso tipico, frequente nella storia delle dipendenze di Fragalà: il caso in cui, cioè, una gran,gia nasce in un luogo in cui o già esiste un culto greco o si dà inizio alla devozione verso un'immagine sacra. In quest'ultimo caso il culto non sarebbe nato nell'epoca della dominazione bizantina ma nell'XI secolo, durante il tentativo di riconquista di Giorgio Maniace. Ci sono però almeno due buoni motivi che c'inducano a considerare le precedenti affermazioni sull'origine di S. Maria di Maniace come prive di fondamento, e sono i seguenti. Innanzi tutto nel testamento dell'egumeno Gregorio, che abbiamo citato più volte, S. Maria di quel valorosissimo di Maniace appare solo come chiesa 45 • Si potrà obiettare che anche molte dipendenze citate in quel testamento solo come chiese furono poi, in effetti, dei piccoli monasteri, ma resta il fatto che non si ha notizia, fra XI e XII secolo, di territori di Fragalà che potessero essere direttamente amministrati da una grangia di S. Maria di Maniace. Inoltre, il modo con cui Gregorio ricorda la chiesa ("di quel valorosissimo di Maniace") sembra più un atto di devota memoria che un annoverare una dipendenza funzionante. D'altronde erano ,già trascorsi, dalla fondazione della chiesa, oltre sessant'anni. In secondo luogo, la dipendenza di S. Maria della Gullìa, in un documento del 1112, appare come una vera e propria grangia di S. Filippo di Fragalà 46 • Alla Gullìa, infatti, il grande monastero di Demenna possedeva feudi concessi già poco dopo il maggio del 1105 da Simone, figlio del conte Ruggero 47 , feudi che esso doveva amministrare tramite una comunità in loco, essendo quei territori molto distanti dal monastero. Nacque, perciò, dopo il maggio del 1105 e prima del marzo del 1112, un vero e proprio monastero alla Gullìa. Nella zona in cui sorgeva la chiesa di S. Maria di Maniace, invece, il mana-

" G. SPATA, op. cit., VI, 198. 46 Ibid., X, 229 ss. 47 L. c. e ·M. SCADUTO, op, cit., 107-108.


Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà

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stero di Fragalà non possedeva feudi: dalla grangia posta alla Gullìa era certamente più comodo per i monaci di Fragalà amministrare le proprietà della stessa Gullìa, di Semantile, di S. Nicola ed altre 48 e sfruttare le acque dell'alto corso del Simeto per alimentare un mulino che non solo appare nei documenti più antichi 49 , ma che fino ad epoche più recenti è sopravvissuto nella zona e del cui acquedotto restano ancora oggi consistenti tracce. Quando !'egumeno Gregorio decise di ricostruire la chiesa di S. Maria di Maniace, gli abitanti della vallata e di quel villaggio che aveva preso il nome di Maniace probabilmente già da tempo tributavano molti onori al culto della Santa Madre di Dio, anche in ricordo di un non lontano passato bizantino. La chiesetta, officiata dopo la sua ristrutturazione dai monaci basiliani già presenti, dopo il 1105, alla Gullìa, per volere della regina Margherita di Navarra, moglie ·di Guglielmo I, nel 1174 fu sostituita o, meglio, i[\globata, ingrandita in un grande monastero benedettino 50 • Prima di quell'anno, però, la chiesetta doveva essere gia andata in rovina, nonostante la grande devozione della popolazione locale per l'icona della Vergine che vi si custodiva; e questa rovina può essere attribuita ad almeno due cause: la prima, di carattere generale, riguarda la decadenza e il malessere cui erano già avviate, a cominciare dal terzo e quarto decennio del XII secolo, le opere basiliane malgrado le tante e tanto generose concessioni da parte dei signori normanni in favore dell'ordine 51 • L'altra ragione è, invece, particolarmente attinente al caso e r~guarda il fatto che la chiesetta di S. Maria di Maniace era non solo molto distante dal monastero di S. Filippo di Fragalà, ma anche posta in una zona così insalubre e malarica che gli stessi frati basiliani di S. Maria della Gullìa, che probabil-

48

49 50 Si

Si veda qui, più avanti, alla voce «S. Maria della Gtùlìa». G. SPATA, op. cit., XXX, 309 s-s. .B ..RADICE, op. cit., 80-81, appendice, 1d'oc. I ·e S. NIBALI, op. cit., 28 ss. M. SCADUTO, op. cit., 115 ss.


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Salvo Nibali

mente avevano il compito di officiarvi ogni tanto le sacre funzioni, dovettero ben presto desistere 52 . Come s'è detto, nel 1174 la chiesa di S. Maria di Maniace diventò un grande monastero benedettino e finì di essere dipendenza, almeno temporaneamente, di S. Filippo di Fragalà, anche se la sua storia continuerà ad essere ancora molto legata al grande monastero di Demenna 53 •

2.

Altre dipendenze del monastero di Fragalà

Fra le chiese e le grange che appartennero, durante la sua lunga storia, al monastero di S. Filippo di Fra,galà, ve ne sono molte che, al contrario di quelle di cui ci siamo occupati fin qui, non compaiono nel testamento stilato nel 1105 dall'egumeno Gregorio. Si tratta, in gran parte, di dipendenze che il monastero acquisì dopo quella data. Fra esse maggiore spazio dedichiamo qui alla dipendenza di Santa Maria della Gullìa poiché in qualche modo essa è paradigma di tutte le dipendenze di S. Filippo di Fragalà. Il suo nome, infatti, appare e dispare dai documenti dai quali si rileva pure ch'essa fu molte volte oggetto di usurpazione, che non ebbe mai un'esistenza facile e che, come per tante altre dipendenze basiliane, oggi non un solo rudere resta a testimoniare della sua vita. 2.1. S. Maria della Gullìa L'esistenza e la storia del piccolo monastero di S. Maria della Gullìa sono in ,gran parte avvolte nel mistero, come quelle di molte altre dipendenze dell'abbazia di Fragalà. In questo caso, però, il compito è reso assai più difficile da almeno due circostanze: la battaglia che Giorgio Maniace so52 Ancora nel Quattirocento, infatti, i monaci benedettini di S. Maria di Maniace lan1entavaino problemi riguar;danti la salubrità del luogo. B. RADICE, op. cit., doc. VII, 92 ss. 53 Per la storia di S. Maria di Maniace dopo la trasformazione in monastero benedett:iino e poi in castello Nelson, B. RADICE, op. cit., e S. NIBALI, op. cit.


Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà

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stenne vittoriosamente contro gli arabi, molto probabilmente nella zona della Gullìa, e la nascita del grande monastero benedettino di S. Maria di Maniace, fondato nel 1174 dalla regina Margherita. Nei documenti le acque sono intorbidate anche dal fatto che un altro monastero basiliano, S. Maria di Mandanici, viene spesso confuso con Santa Maria di Maniace; anzi, di Maniaci. Vediamo, perciò, di mettere un po' d'ordine. Sappiamo che nel 1040 il protospatario bizantino Giorgio Maniace ottenne, in una vallata dell'alto Simeto, sita fra Randazzo .e Traina, molto probabilmente vicino alla Gullìa, oggi territorio di Bronte, un'importantissima vittoria sugli arabi. La tradizione e gli storici locali ci dicono che Giorgio Maniace lasciò poi in questa zona un'icona della Vergine che aveva portato con sé da Bisanzio e che in onore a quell'immagine sacra gli abitanti della zona eressero una chiesetta che si chiamò da allora Santa Maria di Maniace. La chiesetta sorse probabilmente al di qua del fiume Simeto, su uno sperone di roccia lavica praticamente inaccessibile da ogni lato. Sull'altra sponda, nella vallata, era già popoloso un villaggio che si chiamava Maniace 54 • Perché proprio su quello sperone? Perché il villaggio più vicino al luogo della vittoria di Giorgio Maniace doveva essere, appunto, quello che poi avrebbe preso il suo nome, e non Traina, non Randazzo. Dopo il 1040, richiamato ormai in patria Gior,gio Maniace, la zona tornerà sotto il controllo degli arabi, ma la chiesetta con l'icona della Vergine sopravviverà, venerata dagli abitanti del luogo. Intorno al 1100, quando la Sicilia è ormai libera dal dominio musulmano, l'egumeno di S. Filippo di Fragalà, Gregorio, ricostruisce la chiesa di S. Maria di Maniace, probabil, mente andata in rovina col tempo. Come abbiamo già detto, Gregorio non parla nel suo testamento di una chiesa alla Gullìa, salvo a volere intendere in ma54 Fino al XII ·secolo il villaggio si chiamò Ghiran~ed-dequq, stando almeno a quanto ci tra·manda il geografo arabo EL IDRISI, Libro di re Rugge·ro, Flaccovio, Palermo 1968, 67.


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Salvo Nibali

niera forzata, la chiesa della Santa Madre di Dio come quella, appunto della Gullìa. Sappiamo, però, che poco dopo il testamento dell'egumeno Gregorio l'abbazia di S. Filippo ricevette dal conte Simone possedimenti alla Gullìa. E', infatti, del 1112 un privilegio della regina Adelasia che conferma all'egumeno di Fragalà i possedimenti appartenenti al «sacro tempio» della Gullìa, già donati dal conte Simone 55 • A partire, dunque, dal maggio del 1105 l'abbazia di S. Filippo di Fragalà possiede territori alla Gullìa e sicuramente vi possiede, nel 1112, una dipendenza con una chiesa. Possiamo perciò dedurre quanto segue. Il monastero di S. Filippo di Fragalà, nella persona del suo infaticabile egumeno Gregorio, ricostruisce intorno al 1100 la chiesetta di S. Maria di Maniace ma lasciandola com'.era, senza farne, cioè una dipendenza servita da monaci. D'altronde, in quest'epoca non avrebbe avuto senso costruire una gran,gia sul luogo perché l'abbazia non vi possedeva feudi. Dopo il 1105, cioè dopo la donazione del conte Simone, il monastero di Fragalà si trova a possedere, oltre ai feudi già ricevuti e posti sul versante tirrenico dei Nebrodi, vasti territori siti nella vallata fra l'alto corso del Simeto e le prime pendici dell'Etna - Gullìa, S. Nicola, Semantile, Gazzana, ecc. - e si viene quindi a trovare nella necessità di controllare e amministrare queste proprietà. Niente di più logico, allora, che restaurare e incrementare un piccolo cenobio intorno alla già esistente chiesa di S. Maria di Maniace. Invece scopriamo che nel 1112 esistono già una dipendenza ed una chiesa alla Gu!lìa. Che significa? Secondo noi può significare soltanto una cosa: che la chiesetta di Maniace rimase tale fino a quando la regina Margherita, nel 1174, ne fece un grande monastero benedettino. Dal luogo dove doveva trovarsi il tempio che ricordava la vittoria di Maniace e che conservava l'icona della Vergine bizantina non sarebbe stato molto agevole, per i monaci di S. Filippo di Fragalà, controllare e amministrare efficientemente i territori di Gullìa, Semantile, S. Nicola, siti più ad ovest e oltre le montagne, e della stessa Gazzana. 55 G. SPATA, X, 229 e M. SCADUTO, op. cit., 107-108.


Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà

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Era più pratico costruire alla Gullìa, quasi sulla sponda del fiume ma in posizione, per così dire, più aperta e comoda per il controllo della zona, una vera grangia, insomma, con una chiesa ed un mulino di cui ancora oggi, come abbiamo detto, rimangono consistenti tracce, ed atta ad amministrare quei vasti possedimenti di Fragalà posti in territorio etneo. Dai pochi monaci di S. Maria della Gullìa fu probabilmente officiata, fino alla fine del XII secolo, cioè fino a quando non fu innalzata la grande abbazia benedettina, anche la chiesetta di S. Maria di Maniace. La regina Margherita, come s'è detto, creò il monastero benedettino sullo stesso luqgo della chiesa di Maniace. Ma perché proprio lì? Secondo noi, per due motivi: l'uno religioso e l'altro, per così dire, territoriale. Il motivo religioso faceva, naturalmente, capo al ricordo dell'impresa di Giorgio Maniace; quello territoriale, invece, prendeva atto di una situazione che vedeva ad ovest della chiesa molti territori in mano al monastero di S. Filippo di Fragalà, nella zona rappresentato dalla grangia di S. Maria della Gullìa. Quei possedimenti non potevano essere toccati, in quanto donati dai primi re normanni di cui la regina Margherita era la discendente. I possedimenti concessi, perciò, alla nuova abbazia benedettina - che, come s'è detto, veniva privilegiata e arricchita enormemente, in linea coi tempi che ormai volevano il monachesimo latino, cioè benedettino, privilegiato dai sovrani rispetto a quello greco - riguarderanno la parte orientale del Val Demone e non toccheranno, in fin dei conti, i possedimenti del monastero di Fra,galà. Nel 1217 i benedettini di Maniace, ormai padroni di estesissimi possedimenti ed evidentemente sicuri di buone protezioni politiche, potranno permettersi anche l'arroganza di non presentarsi in giudizio davanti al giustiziere della zona, pur essendo colpevoli di usurpazione e di violenza ai danni dei monaci basiliani di S. Maria della Gullìa 56 • Intanto, dopo il primo ventennio del XIII secolo, i basiliani di S. Maria della Gullìa dovettero, a nostro parere, abbandos6 G. SPATA,

op. cit., XXX, 309

ss.


236

Salvo Nibali

nare piano piano la loro grangia e perfino la loro chiesa, lasciando i loro estesi possedimenti in balia degli usurpatori"· Così, della grangia e della chiesa della Gu!lìa non rimarranno ben presto né la memoria né il nome. Nel 1408 una controversia fra il monastero di S. Filippo di Fragalà e il barone Giovanni Ventimiglia, abate commendatario del monastero benedettino di S. Maria di Maniace, dguarderà ancora il feudo della Gu!lìa ed esattamente un luogo chiamato «lu cugnu di lu cuntrastu». Nel documento che ce ne parla, comunque, non troviamo accenno alla chiesa 58 • Si riparla della grangia di S. Maria della Gullìa il 19 dicembre del 1494, data in cui l'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, a cui le abbazie di S. Filippo di Fragalà e di S. Maria di Maniace sono state concesse nel 1491 da papa Innocenzo VIII, concede in temporanea enfiteusi la grangia di Gullìa a Filogato, abate di Fragalà, con l'obbligo di corrispondere la decima del prodotto e «onze tre al mese» 59 • Nell'aprile del 1510 troviamo menzionata in un documento una non meglio identificata «ecclesia Sancti Marci» sita «in Cathuna Maniaci» w. Di S. Maria della Gullìa nessun cenno. Ma dal 1494 in poi, nei documenti non c'è più menzione della grangia e della chiesa di S. Maria della Gullìa. In un documento del 1600, in cui sono enumerate le dipendenze dei due monasteri di S. Maria di Maniace e di S. Filippo di Fragalà, ormai appartenenti all'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, il nome di S. Maria della Gullìa non compare 61 • E non c'è da stupirsene. La storia di questa, come di altre dipendenze del monastero di Fn\galà, ebbe fine molto presto, forse più presto di altre, a causa della vicinanza di un grande

57 A quest'epoca, infatti, per gli egumeni dei n1onasteri basiliani è più importante r'accogliere nella casa madre tut·ti i monaci a 1d1.sposizione che gestire lontane e ormai im.produttive ·dipendenze. M. SCADUTO, op. cit., 115 ss. 58 G. SILVESTRI, op. cit., 88 ss. 59 Ibid., 141-147. 60 G. SPATA, op. cit., 379 ss. ma anche R. PIRRI, ,c1p. cit., 1028 ..Di questa chiesa di S ..Marco s'è perduta, nella zona, ogni ·memoria e ogni '1:raccia. 61 G. SILVESTRI, ap. cit., 167-171.


Dipendenze del monastero di S. Filippo di Fraga/à

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monastero benedettino che, come s'è detto, insidiò sempre ì poss.edimenti dei basiliani nella zona, ma anche a causa della grave crisi che investì in genere il monachesimo basiliano già nei primi decenni del XII secolo e non permise più ai grandi monasteri greci il tranquillo possesso dei feudi troppo lontani ed estesi né di quelli più vicini. 2.2. La chiesa di S. Maria di Brigno1ito Anche della chiesetta di Santa Maria di Brignolito, o "lo Brignolito", sita nei pressi di Militello Rosmarino, in provincia di Messina, si sa molto poco. Fu una dipendenza tarda del monastero di Fragalà e ne parla solo un documento riportato da Giuseppe Silvestri 62 , nel quale si dice che nel 1620 la chiesa era una dipendenza di S. Maria di Maniace. Senza una ragione apparente, però, la chiesa viene annoverata dal sacro visitatore De Ciocchis, alla metà del Settecento, fra le dipendenze del monastero di Fragalà 63 • Poté essere il terremoto del 1693 che distrusse l'abbazia di Maniace, a provocare la transazione? Oppure, visto che De Ciocchis la registra pure come dipendenza di Maniace, essa semplicemente appartenne alle due abbazie unite? 2.3. La chiesa di S. Ippolito Strano sembra anche il caso della grangia di S. Ippolito che nel 1094 viene concessa dal conte Ruggero a Gregorio 64 che, pure, non la menziona affatto nel suo testamento del 1105, forse perché non si trattava di una grangia che lui avesse costruito o ricostruito ma semplicemente di un piccolo monastero, in buone condizioni, concessogli dai sovrani. La donazione, comunque, viene confermata nel dicembre del 1105 poco tempo dopo il testamento dell'egumeno Gregorio 65 • lbid., 182. 63 G. A. DE :CIOCCHIS, Sacrae regiae visitationis ... , Tip. Diarii Litterarii, Palermo 1836, II, Vallis Nemorum, 430 e 438. 64 G. SPATA, op. cii., III, 179-182. 65 G. SILVESTRI, o.p. cii., 104-105. 62


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Salvo N ibali

Nel 1116 ritroviamo il nome di S. Ippolito in una donazione generosamente fatta da un nobile normanno della zona, Eleazaro Mallabret di Galati, che concede all'egumeno Gregorio alcuni poderi e la vigna esistente «vicino Santo Ippolito» 66 . E', questo del 1116, l'ultimo documento che ci parli della dipendenza di S. Ippolito. Andò anch'essa in rovina, come le altre, già nel XII secolo? 2.4. La chiesa di S. Barbaro di Demenna Pare che quello di S. Barbaro di Demenna fosse uno dei pochi monasteri ch'erano sopravvissuti alla dominazione ara· ba 67 • Nel 1097 S. Barbaro, insieme alla chiesa di S. Maria di Frigano, o di Frazzanò, era comunque una dipendenza del monastero di S. Filippo di Fragalà "Nel 1109 all'egumeno di S. Barbaro, Cosimo, vengono confermati i privilegi in precedenza concessi all'abbazia 69 e nel 1131 il cenobio è sottoposto all'archimandritato di Messina 70 • Nel 1136, però, il monastero di S. Teodoro di Mirto, altro cenobio un tempo dipendente da Fragalà, rivendica come propria la dipendenza di S. Barbaro 71 • Nel 1145, infìne, la conferma di re Ruggero delle gran,ge appartenenti a S. Filippo di Fragalà, S. Barbaro di Demenna e S. Maria di Frigano, non muta una situazione che vede da anni, ormai, S. Barbaro sottoposto all'archimandritato di Messina e nel 1136 assegnato, dopo una lunga controversia, al cenobio di S. Teodoro di Mirto 72 • 2.5. S. Teodoro di Mirto S. Teodoro di -Mirto era un cenobio che forse nel 1097 ap66 G. SPATA, op. cii., XIII, 242. 67 M. SCADUTO, op. cit., 110. 68 G. SPAIA, op. cit., XLI, 381 e G. SILVESTRI, op. cit., 153. 69 G. SPAIA, op. cit., VIII, 219. 70 ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Codice Vaticanus Latinus, e 130. 71 M. SCADUTO, op. cit., 110. n G. SPATA, op. cii., XVIII, 267.

8201,

ff. 56


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parteneva al monastero di S. Filippo di Fragalà 73 • Certamente in quest'anno appartenevano al monastero di Fragalà le terre intorno al cenobio di S. Teodoro 74 • Nel 1136, come s'è detto; l'egumeno di S. Teodoro rivendica e ottiene il possesso di S. Barbaro di Demenna 75 • 2.6. Sant'Anastasia di Amistrato Del monastero di «Sant'Anastasia sopra il luogo di Amistrato» (Mistretta) abbiamo un solo documento, risalente al 1122, in cui il normanno Matteo di Creun concede al monastero di S. Filippo di Fragalà questa dipendenza 76 • Per il resto nessun'altra notizia. 2.7. La chiesa di S. Nicolò di Pii;gario Sulla chiesa di S. Nicolò di Pirgario, «in tenimento casalis Mirti» 71 , abbiamo un solo ma importante documento, risalente al marzo del 1305. In esso l'abate di Fragalà, Melezio, concede la chiesa al prete Giovanni di Niciforo di Ficarra perché il monastero non può pm permettersi le spese che sarebbero necessarie per restaurare la chiesa, devastata dalle guerre"2.8. La chiesa dei SS. Cosma e Damiano Circa la dipendenza dei SS. Cosma e Damiano non possediamo che una sola notizia, risalente all'anno 1310, secondo la quale l'archimandrita di Messina cede in affitto la chiesa ad Arnaldo di Villardita e alla vedova di Nicolò Palizzi 79 , insieme

78

Ibid., XLI, 381. lbid., XVIII, 267. L. c. lbid., xv, 256. G. SILVESTRI, op. cit., 19. L. c.

79

ARCHIVIO SEGiiETO VATICANO,

13

74 75 76

77

Codice Vaticanus Latinus,

8201,

f. 314.


240

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ad altre chiese e grange basiliane. Probabilmente, sorgeva nei pressi di Tartarici w. Secoli dopo le grandi concessioni dell'epoca normanna e qualche secolo dopo l'avvento del regime di commenda, che fu una delle grandi cause che accentuarono la decadenza dei monasteri basiliani, troviamo ancora dei benefici in favore del monastero di S. Filippo di Fragalà, ma si tratta di donazioni che si confondono ormai con le proprietà del monastero benedettino di S. Maria di Maniace e con quelle dell'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo al quale le due abbazie, con i rispettivi possedimenti, furono assegnate nel 1491 dal cardinale Roderigo Bo~gia, allora abate commendatario di Maniace. Troviamo così nel 1600 i nomi di S. Maria del Brignolito, di cui abbiamo già detto 81 , di S. Caterina in Tartarici 82 , di S. Maria d'Acquadolce 83 , di S. Basilio di Naso 84 , di S. Maria del Soriano e di S. Giacomo in S. Fratello 85 • L'età d'oro delle dipendenze del monastero di S. Filippo di Fragalà si esaurisce con la fine dell'epoca normanna e con la crisi generale dei monasteri basiliani nel XII secolo. Di quell'epoca restano in Sicilia ancora grandi testimonianze architettoniche come le abbazie di Fragalà, di Mili, di S. Fratello, di Itàla, d'Agrò e ancora qualche altra che, essendo fra le più grandi e le più ricche che il monachesimo basiliano poté contare nel meridione d'Italia, sono giunte fino a noi pur fra difficoltà e distruzioni che in qualche caso ne hanno profondamente stravolto l'aspetto originario. Le più piccole numerose chiese basiliane di Sicilia non ebbero purtroppo, nella maggior parte dei casi, la stessa buona 80 S. FRANCHINA, Tortorici. Tradizioni popolari, I, Ed. Spes, Milano 1982, 91. 81 G. SILVESTRI, op. cit., 167-171. s2 L. c. ,Di S. Caterina :presso Tortorici sappiamo anche che nel 1600 essa passò in proprietà privata e ohe nel 1682 fu danneggiata «dalla catastrofica alluvione)) che investì Tortorici. Fu .poi ricostruita ma oggi è quasi un ·rudere e rildOtta a fienile. a3 L. c. 84 L. c. ss L. c.


Il piccolo monastero di "S. Maria dcl Rogato" nei pressi di Alcara Li Fusi (Messina) (foto M. G. Guzzetta)

Il piccolo santuario di "S. Nicolò Politi" ad Alcara Li Fusi, sorto probabilmente sulle rovine del monastero di "S. Nicolò di Paleocastro" (foto M. G. Guzzetta)



Dipendenze del monastero di S. Filippo di FragalĂ

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sorte o furono profondamente cambiate nella loro struttura o, piano piano, s'eguagliarono al suolo, tanto che oggi è praticamente impossibile ritrovarne le tracce o stabilire dove sorgessero. E ciò vale, purtroppo, non solo per le dipendenze del monastero di Fragalà , ma per quelle di tutti gli altri monasteri basiliani di Sicilia.



L'ARCHIVIO DEL CAPITOLO CATTEDRALE DI CATANIA E LE ULTIME VICENDE DELL'ABBAZIA SANT'AGATA

t

GIOVANNI MESSINA*

1. La secolarizzazione del capitolo cattedrale [Il secolo XVI segna una svolta decisiva per le istituzioni benedettine di Catania 1• Due avvenimenti in particolare devono essere ricordati per la rilevanza che assumono nella storia della diocesi e della città: il cambiamento dello stato giuridico del capitolo cattedrale da benedettino in secolare, con la conseguente soppressione dell'abbazia Sant'Agata 2, e il trasferimento

* Già arohivista ,della curia arcivescovi'le id.ii Catania, deceduto 1'8 novembre 1980. Pubblichiamo questo Buo saggio ·che doveva servire da introduzione al regesto delle pergamene latine ·dell'-aI1chivio del .capitolo cattedrale di Catania. Il testo, a ,parte l'aggiunta dei paragrafi iniziali posti tra parentesi quadrre, è 'stato .rirvisto solo nella forma e aggiornato nelle ·note da Aldolfo 'Longhitano. ·Nella trascrizione ,dei documenti latini i dittonghi sono stati ·sciolti, la rpumteggiatura e le maiuscole adattate all'uso moderno. 1 Per un quadro generale delle istituzioni benedlettine nella diocesi di Catania vedi: A. LONGHITANo, Conflitti .di contpetenza fra il vescovo di Catania, i benedettini e gli ordini 111endican.ti nei secoli XV e XVI, in Benedictina 31 (1984) 177-196; 359-386: 177-184. 2 Sul c·ambiam.ento dello 'Stato giuridico del capitolo e la conseguente soppres-sione dell'abbazia Sant'Agata, vedi: A. LoNGHITANo, La parrocchia nella diocesi di Catania prùna e dopo il concilio di Trento, Istituto superiore di scienze Teligios·e, Palermo 1977, 66.


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Giovanni Messina

a Catania del monastero San Nicola l'Arena 3 • In questo saggio ci limiteremo ad un breve esame di alcuni documenti che riguardano il primo avvenimento, come premessa alla presentazione dell'archivio capitolare che di quelle vicende ci tramanda non poche memorie. La soppressione di un istituto reHgioso di solito costituisce lepilogo di una crisi che spesso affonda le sue radici in periodi molto lontani. La crisi dell'abbazia benedettina Sant'Agata, annessa alla cattedrale di Catania, più che alla decadenza degli ordini monastici sembra doversi imputare al suo legame istituzionale con la cattedrale e la città, che la coinvolgeva in avvenimenti non proprio idonei a favorire il clima di raccoglimento e di preghiera voluto da S. Benedetto per i suoi monaci•]. Tra la fine del secolo XV e l'inizio del secolo XVI la decadenza dell'abbazia sembra inarrestabile; il rilassamento dei 3

II monastero San Nicola l'Arena era stato fondato sopra l'attuale abitato di Nireolasi nel 1165 (R. PIRRI, Sicilia Sacra, II, a·pud haeredes Petri Coppulae, Panorrni 1733 3, 1155-1157). Il p·rogetto di trasferirsi a Catania, accarezz;ato più volte ·dai n1onaci nel corso dei secoli, fu attuato nel 1558 c:on ]a posa della prima -pietra del monastero che so11ge nel sito atLuale (M. GAuoroso, L'abbazia di S. Nicolò l'Arena di Catania, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale [=Asso] 25 [1929] 199·243). 4 La fo,ndazione dell'abbazia Sant'Agata (9 ·dicembre 1091) .rientrava in un ampio disegno •politico ohe il conte ·Ruggero aveva predisposto per Catania, città :con una forte -comunità ·1n.usulmana, che aveva già tentato di ribeHarsi. II conte Ruggero pensò di creare una forte aut.orità e affidò ad una persona di sua fiducia, il benedettino bretone Angerio: l'abbazia Sant'Agata ·annes·sa alla :cattedrale, la diocesi di Catania e il governo della città. Questa .convergenza di ,ruoli .e di responsabilità nella stesBa persona non durò a lungo; nel corso del secolo XII il vescovo non coincise .più con l'abate e la iprima -autorità dell'abbazia Sant'Agata diventò il priore, nel secolo XIII il vescovo non esercitò più la giurisdizione civile e penale sulla città, che divenne den1aniale. I monaci dell'abbazia, che erano titolari di un ingente 1patrhnonio immobiliare, costituivano il capitolo della cattedrale ed assolvevano i còmrpiti previsti dalle norme canoniche, soprattutto quello di governare la diocesi durante i frequenti periodi di 'S'ede vacante (A. LONGHITANO, La parrocchia, :cit., 7-19; L. T. WHITE, Il monachesin10 latino nella Sicilia nor111anna, tra:dl. it., Dafni, Catania 1984, 16H81).


L'archivio del capitolo cattedrale di Catania

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suoi monaci aveva raggiunto il limite di guardia. Stando alle informazioni inviate il 25 settembre 1567 a Pio V dal vescovo di Catania Antonio Faraone e scorrendo il libro delle professioni, sembra cl1e non tutti i monaci erano professi «a<d normam ìuris et secundum regulam sancti Benedecti»; la m:lggior parte di essi aveva fatto la professione «iuxta modum vivendi in cathedralem ecclesiam Cathaniensem». A titolo di esempio riporto in nota la formula di professione del monaco più anziano che il Farone trascrive 5 • Basta dare uno sguardo superficiale a questo documento per comprendere che tale formula è vuota di contenuto e redatta in modo da consentire a chi la pronunziava di non assumere alcnn impegno. Di alcuni monaci, poi, risulta che non erano affatto professi, perché avevano emesso solo una specie di professione privata. Mancava l'ideale spirituale che doveva costituire la molla nel servizio di Dio. La formula «iuxta modum vivendi in cathedralem ecclesiam» era priva di significato, in quanto la vita religiosa era completamente abolita; non vi era né vita né mensa comune, vigeva la proprietà privata, ogni monaco disponeva dei frutti del proprio ufficio e beneficio, aveva animali da cavalcatura a propria disposizione, non vigeva la clausura. Questo «modo di vivere» non era altro che un aggregato di persone commoranti più o meno sotto un medesimo tetto. Non mancarono le voci destinate a richiamare i monaci al fervore dei tempi passati: ripudiare lo spirito di insubordinazione e vivere una vita veramente religiosa; ma i richiami non vennero ascoltati. Sentiamo la voce di Giovanni Paternò, già priore di Catania, al tempo in cui scrive priore commendatario, nonché

5 «Die secuindo octobris 'an~1i 1522. Ego frater Hieronimus de Monsecalus pro·micto Omnirpotenti Deo et gloriosae virgini Mariae, beato Benedicto, .01nnibus sanctis et tibi in Christo pa'tTÌ Johanni Juvini, rpriori inaioris Cata.niensis ecclesia'e, stahilitatem meam et ohservare modrum vivendi in hac cathedrali eoclesia hactenus observatum, secundlliil regu~ lam qua.e in praesentiaru:m viget et observatur in hac cathedrali ecclesia, constructa •et fundata in honorem beatae virginis et mar.tyiris [ Aigathae] et non aliter. Amen)) (ARCHIVIO .CURIA ARCIVESCOVILE CATANIA [ = ACA ], Miscellanea di atti diversi, 488).


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Giovanni Messina

arcivescovo di Paleru10 e presidente del regno di Sicilia, che il 25 gennaio 1507 richiama l'attenzione della sua antica comunità religiosa all'osservanza, alla fedeltà del culto divino, al servizio della cattedrale: «Praesidens [ ... ] fidelibus regiis dilectis salutem. Havendo nui per diversi vij intiso, tanto per persuni chi venino di quessa cità, tanto per altri chi hanno venuto [ ... ],chi la ecclesia di quissa cità, tanto famata in religioni et virtuti; esseri destituta et quisto puplicamenti si dichi; et chi tanto in dormitorio, et in refectorio, et clausura quanto in huri canonici ad quilli mancano, et non fanno nulla residencia, et quod peyus est, non celebrano li missi li qmdi divino diri et cantari, et essendo di zo murmuracioni, fu .demandato la causa perchì non si celebrano li missi et non si servano in dieta ecclesia lo debito ordini [ ... ],, 6 • Poi in veste di presidente del regno continua: «[ ... ] averno voluto consultare cum li magnifichi indichi di la regia gran curti, advocato fiscali et cum altri de regio consilio et canuxendo lu guberuo et dieta ecclesia a nui speetare, per essere ius patrona tus praefatae maiestatis, etiam comu priuri di quilla, volendo per lo servicio di Deo chi la dieta sacra regia maiestà et dieta ecclesia et per oviari ali scandali, etiam per discarrico dila coscientia nostra, cum consilio dictorum m;xgnificorum havimo provisto et per la presenti providimo [ ... ]» 7 • A questo punto dà alcune disposizioni, per correggere i principali disordini che si verificavano nella .detta comunità catanese: «[ ... ] mandamus quod vivis praesentibus iniungiriti in scriptis, congregatim seu seorsim et singulis ipsorum, ali monachi .et dignitati et personarum dila dieta ecclesia, chi di continenti digiano serviri et celebrari li huri eanonaci solirisi cantari, prout fuit observatum in dieta ecclesia, horis solitis Bt consuetis, et chi digianu manyari in refectorio in communi, nen1ine exempto, .et dormiri in dormitorio et servari li debiti clausuri di lo <lieto monasterio de noeti et in die, soliti huri apriri oy

6 ARCHIVIO CAPITOLO .CATTEDRALE ~ CATANIA (=Ace),

vescovato di Catania ... , 1.5, 463r-465r: 463T. 1 Ibid., 463v.

Restauratione del


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fari apriri, s,tando in obedientia corno alo ordini di sancta Benedicto specta, diu obervari in la dieta ecclesia; et facta dieta iniunctioni et ii1 scriptis redacta, casu, quod non credimus, contraveniendo li <lieti monaci ala presenti nostra ordinacioni oy trovandosi extra monasterium di nocti in chi loco si fossi dormissiro, vobis et cuilibet vestrum potestatem concedimus li digiati de persona prendiri et carcerarli in castellu cum bona custodia ali quali nec de lie nec de nocte excarcerireti senza nostro expresso comandamento et si alcuno di li <lieti monaci si trovassi in casa di alcuna donna dishonesta lo prendiriti et carcereriti separato et de omnibus ni dariti adviso una oum li informacioni prendiriti contro loru et omni alio di li <lieti frati oy alcuno di quillo non volissi servari la data ordinacioni et serviri lu culto divino ecc.» 8• Questa lettera, pur mostrando l'impegno del Paternò a ricondurre la comunità catanese all'osservanza, pare sia stata una voce lanciata al vento come ci dimostrano altri documenti. Abbiamo ancora un altro richiamo e questa volta proviene dalla massima autorità ecclesiastica, su richiesta del priore locale, fra Benedetto Asmari, cappellano e predicatore regio, dottore in sacra teologia. Un breve apostolico di papa Giulio II, rimesso a detto priore il 15 agosto 1511 aveva proibito ai monaci di Catania di allevare nelle proprie camere cani, falconi e animali destinati alla caccia e di ospitare banditi: «[ ... ] ne ipsi monaci in eorum cameris retinere possint falcon.es, canes et alia animalia ad venationem, i1ec arma, nec in eorurn cameris laycos maxime bannitos recipere» 9• Il pontefice, inoltl'.e, sollecita il priore a fare osservare le norme della clausura con queste espressioni: «[ ... ] ut dictos monachos ne ad illicita prolabantur, coibere possis sed in semitis observantiae regularum institutionum dirigantur, et conserverentur ac ipsi monachi hora competenti in claustro et eorum cameris seu cellis resideant et ne extra illas extra tempora vagentur [ ... ] » ed ingiunge di richiamare i trasgressori 10 • ' lbid., 463v-464r. lbid., 80, (pergamena di n1 m. 406x142).

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Il fenomeno della rilassatezza, man mano che passano gli anni, non accenna a diminuire, anzi aumenta sempre di più. Il vescovo Luigi Caracciolo interviene per richiamare i monaci all'osservanza con certe prescrizioni che riguardano la vita comune. Di essi si ha memoria nei registri della curia arcivescovile: «Ordini et modi che si devono observare dalli reverendi monaci et canonici della ma,ggiore chiesa di Catania tanto dentro la chiesa et nelli officij quanto nel loro chiostro et di fuora per comandamento del reverendissimo signor Luigi Caracciolo sotto le pene qui socto contenti. Che tutti debano convenire al matutino et alli altri hore canonice cossì di notte come di giorno et ala missa che si canta, non havendo iusto impedimento manifesto al reverendo priore et nello intrar in choro et in chiesa debbiano adorar et far reverenda al sanctissimo corpo di nostro Signor etc.» 11 . Ad ogni articolo è aggiunta la pena prevista in caso di trasgressione. La naturale mitezza del vescovo Luigi Caracciolo contrastava con ordinamenti così drastici da far pensare che il comportamento dei monaci avesse travalicato ogni limite sopportabile. Il vescovo Nicola Maria Caracciolo, fratello di Luigi, subentratogli nella sede vescovile di Catania 1', fin dall'inizio del suo governo notò la rilassatezza dei monaci e li richiamò alla retta osservanza già da tempo trascurata, come si rileva dalle disposizioni da lui date e da una particolare constitutio non pervenuta fino a noi ma di cui spesso fa menzione. Nell'agosto del 1560 revocò certe dispense di mangiare a parte, fuori dalla mensa comune, da lui stesso concesse ad alcuni monaci malati o indisposti, richiamando il dovere che ogni monaco ha di partecipare e contribuire a questa mensa con i frutti del proprio servizio religioso 13 • Nella lettera con cui comunica queste sue 11 ACA, Tutt'Alti ( = TA) 1535·1536, 163r-166r. 12 Sulla figura idi questo ve-scovo, che governò la diocesi di Catania per oltre trent'anni, durante il periodo ili-dentino, vedi: A. LDNGHITANO, La parrocchia, :cit., 41"116; D. CACCAMO, Caracciolo Nicola Maria, in Dizionari'O biografico degli italiani, XIX, Istituto enciclopedia italiana, Ron1a 1977, 433-435. 13 (<Reverendo rprior, nostro carisisimo. Voi 'sapete che iper Je nostre 1


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disposizioni scrive pure di essere disposto a supplire del proprio se i frutti del servizio dei monaci non fossero sufficienti per la mensa o la vita comune 1'. Il documento è interessante anche perché ci fa conoscere il pensiero del Caracciolo sull'osservanza religiosa e la mensa comune 15 •

constitutioJli, infra le altre cose, è staio iprovisto et ordinato, con.forme al debbito dell'observantia regolare, che tucti et singuli reverendi monaci del ·capitulo di sancta Agata hHbbiano et ,debbiano conve,nire et mangiare in una n1cnsa çomune, come più largamiente per la nostra constitutione sopra ciò 1per noi facta appaire, alla quale ne riferiamo; et perché ne ricordiamo sopra id~verse cause haver ad alcuni deUi reverendi monaci della dieta chi'esa conces·so giratia o <dis1pensatione di poter mangiare appartata1nente dalla decta n1en,sa, et non sarria ·bene che le cause fossero 1nancate havcssero ancora da perseverare le grati'e e le dispensationi, perché a .poco a poco si vepria a dissolvere la disciplina regolare, per questo et per altre cause, che inoveno l'animo nostro, et per la presente vi -ordinamo et "Comandan10 che di ordine nostro debbia.te ordinaire et co111aindare a iucti et sii11goli s-upradicii n1onaci de Sanct'Agata, di qualunque stato, •che vogliano et debbiano, dal primo di 'Settembre della quarta inditione prossin1a sequente, co.nvenire et mangiare insieme et in una mensa co1n-mune, conforme alla dispositione della detta nostra constitutione, non obstante qualsivoglia graiia o dispensatione sopra ciò da noi per alcuno d'essi obtenta, le quali -per la p·rescnte cessano, .sospendi.mo et annulla1no, sotto pene in essa consiitutione contente». Lettera del vescovo Nicola Maria Caracciolo al pri-or;e della cattedrale Guglielmo Ansalone del 29 agosto 1560 (ACA, TA 1559"!560, 555r-556v: 555d55v). 14 « [ ... J Et pePché conviene che si habbia de 1d:ar .for1na circa il vivere di essi reverendi nlonaci tanto dell·e rendite, le quali sonno legate, donate et -date al dccto reverendo- crupitulo qu'anto della partione monacale, la quale a •ciaschiduno di loro si paga et dona delli fructi della nostra mensa episcopale, vi ordina.mo et c.0J1n1an<lamo che tucte le 1supra<lecte rendite legate et date al decto reverendo caipitulo et ala .mensa di esso reverendo capitalo le dcbbiate erogare ei dispendere et fair dispendere et erogar-e per J.o ·sostentamento della detta .inensa commune et in quell'altre cose solam·ente dispendere ·che .toccano in commune al detto reverendo capitu:lo non permetterndb che ·se ne faccia rep·arlimento o di·visione alcuna intra essi reverendi ,1nonaci, .non obstante qualsivoglia osseirvantia che si fosse fatta per il passato, la qual noi reputamo abusione et corniptela» (lbid., 555v). 15 «[ ... ] Et di ·s:pese .che farra1rnno le sopra:dctte rendite, -se quella non bastassero per tutto l'anno, si pot•rà surprplire il restante di essa mensa, delli dinari deHi detti portioni monachali, che essi :reverendi percerpono, 1


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Oltre ai richiami paterni, il Caracciolo iniziò presso la Santa Sede l'iter della pratica per la secolarizzazione del capitolo cattedrale. Tuttavia, prima di giungere all'inevitabile, con la propria autorità cercò di far capire ai monaci che la loro vita regolare non era conforme al modello voluto dalla Chiesa e dalla riforma tridentina. A tal fine indusse i monaci a far esaminare la loro situazione a persone esperte in diritto canonico. Gli esperti consultati, pur nella varietà di considerazioni e di giudizi, si trovarono d'accordo con il vescovo nel ritenere spiritualmente pericoloso lo stato di vita dei monaci. Di ciò abbiamo la testimonianza diretta di don Vincenzo Senese, canonico della collegiata, dottore in sacra teologia e in utroque iure, persona dotta, equanime, degna di fede, che per tanti anni fu vicario generale di Nicola Maria Caracciolo e del suo successore 16 .

dalli fructi della nostra ,mensa episcopale; et quello >ehe Ie avanserà di es-se :portioni le ,potranno convertere :per loro vestimenti et in altri usi et bisogni loro necessarij, leciti et ihonesti; et quando per "Sorte l'une et le alt,re rendite et altre obventione, che essi ·reverendi hanno, non le bastassero, noi non rnancaremo .ctella ·debbita provisione e oonforme o al servitio di Dio, al debito nostro et alli bisogni loro et le cose pre1nisse di anno i,n a1nno; nel modo predicto esequerete et farvete eseguire ;per quanto tenete cara la gratia nostra. Data in T.re Castagne alli XXIX di agosto Ili ind. 1560» (Ibid., 556r). 16 {{'Die XXVIII novembri:s, XV ind., 1571. Relatio sipectabilis et reverendi do1nini D. Vincentij Senensis, sacrae theologiae et utriusque iuris doctor, vicarrij generalis catanensis ac ipraerpositi et canonici ecclesiae collegiatae civitatis eiusdem facta crnm iuramento, tacto ,pectore, n1ani-bus sacris 1nore sacerdotali, dixi-t u-t infra [ ... ] et ,sa esso ,reverendo revelaturi che sonno anni si1d~ci o deci et setti, vel circa lo quondam illustri et reverendissimo monsignore Cola Maria Ca·raccio1o, vescov·o di Catania, conoscendo li detti reverendi es·sere n1onaci, et che non obseTVavano in tutto la observantia et reigula di ·sancto Benedetto, per discarrico della conscientia di ·sua signoria reverendissima feci intendere alli detti reverendi monaci et canonici che si havissiro pigliato advocati et, fattali studiare sopra lo s·tatu loro, si ,potev·ano stare con bona coscientia et si essi erano obli.gati alla observantia 1dlella .regula di santo Benedetto, maxime ·circa li tre voti etsientiali, perché era ,dubio di essi :reverendi monaci potevano tenere rproprio, perohé sua signoria reverendissima ci harveria fatto ancora studiare ad alcuni teologi et dotturi in iure; et li ·detti reverendi monaci si piglorno tre advocati, li quali foro li quondam signori:


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Per una maggiore sua sicurezza personale il Caracciolo sottopose il caso della inosservanza dei monaci di Catania al regio visitatore per le diocesi di Sicilia Giacomo Arnedo, che in quel tempo si trovava a Catania, per uno studio comune con alcuni dotti catanesi esperti in teologia e diritto canonico. Anche con lui si giunse alla stessa conclusione: lo stato religioso dei monaci della cattedrale di Catania non era moralmente sicuro per le loro coscienze. A questo punto lo stesso Caracciolo, il 10 gennaio 1557 [ = 1558] fece scrivere quanto segue dal notaio della curia vescovile: «Post collationem factam cum supradicto multum spectabili et reverendo visitatore et per attis collegij reverendorum et magnificorum et utriusque iuris doctoris non semel sed bis in praesentia praefati illustris et reverendissimi domini episcopi

Fra·nces·CO Bwrbuto et Ioanne Philippo di GuHo et ancora lo signor Ioanne Tho1nasi ,constantino, et sua ·signoria reverendissima feci ·studiare li quondain1 signori: Francesco Colle et Cola Intrigliolo et a<d esso reverendo signori rd:e Senesi rela-turi et alli reverendi patri Antonio Vinchi et Sanctio Navarro, theologi et idato lo giorno si congregaro tutti dentro la camera del detto quondan1 illustri et reverendissimo Cola Maria, et ·fu alli cameri verso tra1nontana, et in rpresentia di detti reverendi monaci si trattò et discusse lo statu di essi .reverendi et ultilnamente si conclruse iper li detti theologi et per li <letti signori F:rancesco ·Colle, Cola Intr1gliolo et esso signor di Senesi relaturi, -che lo modo idi vivere di detti reverendi rnunaci non era securo in ·conscientia, et che non iponno tenere proprio ma sono obligati alli tre voti -s,-ubstantiali el n1asshna'lnenti allo voto 'della povertà, et che non potevano disporre cli cosa alcuna senza licentia dello episcopo; et per contra fu concluso 1per li detti signori Francesco Barbuto, Ioanne Phili1ppo cli Gullo, et Ioairnnc Thomasi ,Constantino, che li detti reverendi 1nonaci stanno con buona conscentia et .che ,potrevano tenere proprio con1e vivevano, et per la disrpositio delli voti di detti dottO!ri lo detto quondan illu·stre et .reverendissimo monsignori episcopo tutti li detti sei dottori, che per lo ser,vitio di Dio ·et saluti delli anime volessero -suudiare di novo et ;poi ajuntarsi tutti ins0mi dentro uno 'Studio di alcuno di loro, et con li libri in n1ano .si risolvessero dalla verità; et havcnidb perciò studiato alcuni gianni, si agiuntarono tutti sei li detti dottori in l1fl1 giorno che fu di do1ninica, .poi di vesperi, denéro lo :studio del detto signor Ioanne Thomasi Constantino, et disicussiro fra loro lo negotio et statiu di detti reverendi 1nonaci; et per cinque di essi ·ciò ·è 'per li ,detti 'Signori Francesco Barbuto, Ioanne Thomasi Constantino, Francesco Colle, Cola Intri.gliolo et rper


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et <lieti spectabilis et reverendi visitatoris fuit conclusum et determinatum et ita per praesentem idem illustris et reverendissimus dominus episcopus mandavi! et manda! et ordinavi! et ordinat et quod statim per reverendos monacos dictae episcopalis Cataniensis et ecclesiae cathedralis ipsius mittatur canonicum et obtineatur a Sede Apostolica mutacio status et habitus n;gularis ipsorum reverendorum in canonicos saeculares quod, si non effecerint, providebitur remediis legalibus in quibus decet ut ad observantiarn regulae reducantur, salvurn circa substancialia ipsius, et supplebitur numerus saltern usque ad viginti prout expedicius ipsi illustri et reverendissimo domino episcopo videbitur pro servicio Onnipotentis Dei et ecclesiae praedictae et praesens ordinatio et provisio notificetur reverendo priori et capitulo ipsius ecclesiae» 17 •

esso reverendo <relaturi f-u ·concluso ohe li detti reverend'i n1onaci erano obligatì ad observa·ri la rt:igola di santo Benedetto, rn·axime li tri voti etsentiali et che altrimenti non stanno con bona conscientia, et CJhe lo detto monsignori reverendissfano non Ii poteria tollerari in quello modo di vivere, restando Io detto quonda.m signori loanne Philippo de Gullo nella prima sua opinione; et fu data questa resolutione allo detto quondam ['everendissimo di Caracciolo, et ·si .rico11d:a esso •rev,erendo signore rclaturi che, havendo ·vonuto in Catania regio vi1sitatore lo ,reverendissimo monsignori Diego [= Giaco1no] di Arnedo, feci certa cong1iegatione di <lottori et .theologi et .feci discutere innanzi di sé lo ,statu di detti reve·rendi .monaci, tra 1i quali ci fu esso rev.erendo signori a:elaturi, et fu concluso che lo detto statu era ipericuloso in conscientia et che erano obligati alli tre voti substantiali; et allora li detti reverendi monaci et canonici fecero certu aciu nelli atti 1d:ella corte episcopali di quista città di Catania circa lo tenere delle -robbe et di n.on potere alienare 'Senza licentia del vescovo, aHo quali attu esso reverendo sj,gnori ,relaturi si riferisce et sa ohe detti reverendi monaci non hanno potestà di testare, 1na li loro sipoglie poi di la loro n1·0rie ·sono del prelato; et si alcuno ha testat:iu, come esso ni sa alcuni, l'han !fatto con licentia del vescovo et del capitolo et ancora del papa et sa che alcuni di detti rreverendi monaci, come fu lo detto quonda1n reverendi,s·simo fra Geronimo Sismondo, per assi.ç:u:rarsi in co.nscie.ntia •dello ·stato suo, procu.rao certi ·diSipensi -dal papa delli quali non beni si ricorda, .et si procurò ancora in comune certa dispensa o rescriipto concesso allora per la ipenitenzieria apostolica» (AcA, Capitola cattedrale, caDp. VI, fase. 9, 20r-21v). 17 AcA, TA 1557-1558, 190r-190v.


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La testimonianza della notifica, fatta al priore del monastero, ci viene data dal notaio che scrive: «XXI ianuarij primae indictionis fuit supradictum capitulum et continencia in eo prout iacet lectum et lecta et notificata reverendo priori ecclesiae Catanensis et capitulo dictae ecclesiae convocato et congregato in lictirio ecclesiae praedictae, praesentibus et audientibus, per me Antoninum Cardì magistrum notarium magnae episcopalis curiae, de mandato et ordinatione illustris et reverendissimi domini episcopi, etc.» 18 • A questo punto gli stessi monaci della cattedrale convengono di chiedere alla Santa Sede il cambiamento dello stato monacale in quello secolare. Ciò avvenne in un capitolo celebrato il 12 gennaio dello stesso anno 1558. In tale capitolo i monaci, dopo l'appello dei presenti come di consueto, affrontano il discorso della secolarizzazione del capitolo cattedrale nel modo seguente: «[ ... ] capitulariter congregati ad sonum campanellae in loco capituli dictae ecclesiae, ut moris est, ubi <lieti reverendi capituli negocia agi et pertractari solent, capitulum facientes, repraesentantes spo11te omnes una11imiter, concorditer, nemine discrepante, pari voto habitis inter eos, matura discussione et consideratione, nonnu!Iis bonis respectibus, rationibus iustis et legitimis causis animus eorum digne moventibus, decreverunt et devenerunt ad infrascriptum actum prout infra: che si supplichi sua Santità che si degni di dispensare et conchediri chi li reverendi monaci di dieta cathedrali chiesa di Catania, li quali al presenti sono in numero di tredici comprehense li quattro dignitati, possano mutari ditta loro habito et vita regulari in abbito et vita di canonici seculari con retenere tanto li reve· rendo priore, decano, cantore et thesaurario li loro dignitati et priorati, quanto li reverendi monaci come al presente et chi si accresca numero di essi canonici et capitulo per via di eleccione nel modo et tempo infrascripto sin al numero di vinti otto, cioè di quattro dignità et dodici canonici, li quali siano et si chiamano primarij et altri dodici secundarij, li quali tucti facciano il capitulo di detta chiesa et possano et debbiano portar

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Ibid., 190v.


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li vesti et insegne canonicali conformi alli altri canonichi seculari de chiese seculari, di chiese cathedrali ben visti al reverendissimo signor episcopo» 19 • Con tale atto si chiuse uno stato di disagio morale, durato quasi un trentennio, tra il vescovo di Catania, che giustamente pretendeva l'esatta osservanza della regola, e i monaci-canonici suoi collaboratori, che intendevano vivere secondo la tradizione instauratasi abusivamente nella cattedrale; ma non siamo ancora all'ultimo atto. Contrariamente a quanto potrebbe apparire dal documento con cui il Caracciolo comandò di spedire a Roma gli atti della decisione presa dal capitolo, egli non fu precipitoso e non cercò di acco~ciare i tempi richiesti per risolvere un problema così complesso. Dal gennaio 1558 alla definitiva soluzione di questa vicenda trnscorsero lunghi anni, durante i quali si verificarono avvenimenti diversi: la prigionia del Caracciolo a Tripoli da parte del ras Dragut e la sua successiva liberazione 20 , la ripresa del Concilio di Trento al quale il vescovo fu invitato a partecipare con una lettera personale di Pio IV, dopo essersi riavuto dalla disavventura della prigionia 21 • Il Caracciolo vi

Ibid., 1%r-198v: 195r-195v. Quando si sparse la notizia della .prigionia del Caracciolo, il capilolo della cattedrale, sostenendo ·cnntro il .parere del vicario generale cihe la diocesi era vacante, pretese di nnminare due 'Vicari capitola;ri. Per circa due .mesi, a turni settimanali, i monaci si sussegui~ano in questo ufficio conferendosi Teciprocamente i benefici vacanti. Il loro governo ebbe termine ·con la nomina di 1dUe am,ministratori apostolici (A. LONGHITANO, La parrocchia, cit., 72-76). 2 1 Nell'archivio vaticano troviamo due lettere pers-0nali di Pio IV a Nicola Maria Caracciolo. Nella prin1a il papa si congratula rper la sua liberazione e lo invita a trascorrere un ·periodo di riposo (A. 'LONGHITANO, La parrocchia, cit., 76). Nella seconda il ·Caraeciolo è sollecitato a partecipare al concilio: «Die rprima decembris 1562. Venerabili frati episcopo Cataniensi. ,Piu·s Papa Quartus. Venerabiliis frater, salutem et aipostolicam bcnedictioncm. Permi,ssu1n tibi a nobis fiuissc ineminimus 11t, oum a praedonibus redemrptus .fuisti, ut tui ex illa cala1nitate reficiendi causa ad ecclesian1 tuam te conferires, inunc .cum satìs diu ibi quieveri'S, tuasquc et i.psius ecclesiae res comn1ode constituere potueris, fraternitatem tuam hortamur et ·mone111us ·Ut officiis cui men1or, 01nni amissa excusatione ac 1nora, universali ecclesiae debitu,m nuvaturus. Datum Ron1ae ap-ud sancturn 19 10


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prese parte fino alla ·sua conclusione 22 • Dopo la conclusione del Concilio di Trento, con lettera di Filippo II re di Spagna del 18 dicembre 1564, la Sicilia fu autorizzata ad eseguirne le disposizioni e i decr.eti. Le nuove leggi incominciavano a entrare nel vissuto della Chiesa e il Caracciolo non mancò di attuare le riforme necessarie per la Chiesa catanese 23 • Uno dei progetti che gli stava più a cuo.re era quello della secolarizzazione del capitolo cattedrale; pertanto inviò alla Santa Sede un memoriale per realizzare quanto già gli stessi monaci avevano staNlito di chiedere nel gennaio del 1558. Il documento per la «reductio ecclesiae de regularitate ad saecularitatem» porta proprio la data del 1564. Il progetto inviato dal Caracciolo è esaminato da alcuni cardinali della S. Congregazione Concistoriale e personalmente dagli eminentissimi Carlo Borromeo, Ranuccio Santangeli, Giovanni Michele Saraceno, che approvano la proposta presentata e danno il relativo voto nei termini seguenti: « [ ... ] retulimus sanctissimo domino nostro quod videtur concedendum», seguito dalle sottoscrizioni autografe e dalla data: «[ ... ] datum Romae apud Sanctum Petrum quinto decimo kalendas maij anno quinto [pontificatus sanctissimi domini Pij IV]» 24 • Nei libri della vice cancelleria della S. Congregazione Concistoriale troviamo la conferma di quanto detto sopra mediante questi documenti: il card. Graveland nella sua relazione su Catania così si esprime a proposito della riforma capitola.re: «Cum

Petru.m sub anrnulo pisicatoris, die prima 1diecembris millesimo quingentesimo sexagesin10 secundo, pontifìcatus nostri anno tertio. Antonius Florebellus LavelHnus)) (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO [ = Asv], Arn1adio XLIV, 11, 285v-286r, n. 308). 22 Il 4 dicembre 1563 il Caracciolo fu incaricato di celebrarre la .messa di chiusura allo Spirito Sainto, di leggiere :pubblicamente i decreti, di chi0d0re ai p·adri 1se era d.'aoco1~do di dichiarare chiuso il Concilio e di ottenere la conferma dal papa (H. JEDIN, Storia del concilio di Trento, trad. it., IV /2, Moricellia1na, Brescia 1981, 266). 23 P.er l'attuazione dcl Concilio di Trento neHa diocesi di Catania da parte di Nicola .Ma,ria Caracciolo vedi: A. LONGHITANO, La parrocchia, cit., 41-116. 2.i Asv, Supplicationes, 3110, 148 ss. 1


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felicis recordatio Pius Papa IV, praecibus Nicolai Mariae Caracciolo episcopi Cathaniensis ·defuncti, extinxerit ordinem Sancti Benedicti et omnes regularitates in ecclesia Cataniensi et illius ordinem et illius beneficis et suppresserit dignitates antiquas ecclesiasticas non conventuales et officia et beneficia monachalia et omnia alia beneficia ab ipsa ecclesia mediate et immediate dependentia et exemerit monachos a iurisdictione •regulari et absolverit a votis etiam emissis praeterquam castitatis, obedientiae et paupertatis ·et invenerit omnia statuta constitutiones et ordinationes ipsorum et instituerit novum saecularem statum, et creaverit novum capitulum, et erexerit quatuor dignitatibus sub nominibus quibus episcopo videbitur, quorum una esset maior post pontificalem, duodecim canonicatus cum totidem praebendis seu portionibus quotidianis et duodecim simplicia pro hebdomadariis [ ... ]et alias, prout in supplicatione data XV kalendas mai.i eiusdem Pij IV anno quinto» 25 • Fin qui il cardinal relatore riassume il progetto del Caracciolo per la rifonna del capitolo cattedrale e ricmda tre avvenimenti verificatisi nella Chiesa catanese: 1) il mutamento dello stato giuridico del capitolo cattedrale di Catania; 2) l'improvvisa morte del Caracciolo, al quale il cardinale accenna brevemente dicendo: «[ ... ] sed quia propter obitum <lieti episcopi huiusmodi gratia non habuit effectum, nec desuper literae fuerunt expeditae» 26 ; 3) il terzo fatto indicato dal Graveland è di natura politica; infatti .così si esprime: «[ ... ] ad praeces serenissimi Philippi Hispaniarum regis catholici, de cuius iure patronatus ec-· clesia Cathaniensis existitit, Sanctitas sua confirmavit omnia praemissa [ ... ] excepto !amen quod noluit monachos nunc ibi existentes fieri saeculares et quod computatis monacis nunc existentibus, qui sub regula vivere debeant, provideatur de canonicatibus clericis saecularibus usque ad numerum duodecim et similiter, deficientibus monachis regularibus, surrogentur in locum eorum clerici saeculares usque ad numerum praefatum 2s Asv, Acta vicecancellariae, 10, 68r. 26 L. c. Il Caracciolo morì a cinquantacinque anni il 9 gennaio 1567 1568]. La mancata srpedizione della bolla della secolarizzazione del capitolo si deve, dunque, alJa ·morte di una 1dielle due parti in causa.

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duodecim et similiter provideatur de dignitatibus et beneficis hebdomadarijs ut praefertur [ ... ]» 27 • L'intervento del re è caratteristico dell'epoca in cui fa sentire ancora il suo peso lo ius patronatus ricordato dallo stesso Carnccioro, quando sottoscrisse il capitolo del 12 gennaio 1558 che stabiliva la <(mutatio status monacalis in saecularem», con questa specificazione: «Illustris et reverendissimus dominus Nicolaus Maria [ ... ] episcopus Catanensis supradicto actui et omnibus in eo contentis adprobavit .eius consensum et assensum praestavit et praestat, sed servato tamen beneplacito et consensu regiae catholicae maiestatis» 28 • Il re Filippo entra così nella questione sotto la speciosa forma dello ius patronatus per salvare politicamente la faccia e venire incontro ai monaci. Oon una forma ibrida di compro1nesso si istituisce un capitolo che ,non è né monastico né secolare, tentativo umanamente spiegabile con la volontà di dare il tempo agli ultimi monaci di morire da monaci, anche se costoro nello spirito monaci non lo erano più, seppure lo fossero mai stati. Il ricorso, quindi, aUo ius patronatus agevolava la causa dei monaci, ma denotava nel sovrano atteggiamenti immobilistici molto più marcati di quelli della curia romana. La relazione del card. Graveland così conclude: «[ ... ] et omnium praedictorum executio futuro episcopo Cathaniensi demandata fuit» 29 • Nei libri della cancelleria vaticana non figura tale incarico al nuovo vescovo A-ntonio Faraone, né se ne trova traccia nella bolla di nomina. L'ordine sarà stato dato oralmente dal papa; ne è conferma la sollecitudine del Faraone e la spigliatezza con la quale, il 6 marzo, XV indizione 1572, portò a compimento la secolarizzazione del capitolo cattedrale e la conseguente soppressione dell'abbazia Sant'Agata 30• Tralascio lo svolgimento dei fatti della soppressione del

L. c. AcA, TA 1557-1558, 198v. ·La sottolineatura è nostra. 29 Asv, Acta vicencancellariae, cit. 30 ·La bolla idi Pio V del 9 febbraio 1668 aveva av.uto l'esecutoria del conte di Landriano a Messina in data 27 ottobre 1571, esecutoria introdotta con la :frase: «Hodie a nobis etc.». 21

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capitolo sotto il Faraone per amore di brevità. Dal 27 ottobre 1571 i benedettini dell'abbazia Sant'Agata non costituirono più il capitolo cattedrale di Catania. In tal modo a Catania veniva cambiato lo status giuridico della cattedrale e del suo capitolo stabiliti dal conte Ruggero nel 1091 quando, con il consenso di Urbano II, ricostituì la diocesi affidandola alla guida spirituale dell'abate-vescovo Angerio. L'abbazia Sant'Agata è soppressa, il capitolo diventa secolare, sebbene vi persistano ancora tredici benedettini, che via via con la loro morte faranno posto ai nuovi canonici scelti tra il clero secolare. Da allora ebbe inizio una nuova vita per il capitolo cattedrale.

2. L'archivio del capitolo cattedrale

A questo punto è spontanea la domanda: che ne è stato dell'archivio dei monaci? Non è facile dare una risposta; bisogna tener presente il tempo trascorso, gli avvenimenti storici di oltre tre secoli, la sensibilità delle diverse culture successive. Si può solo dire che buona parte dell'antico patrimonio si è conservato e ciò si deve principalmente alla gelosa custodia dei nuovi canonici, convinti del tesoro spirituale ereditato, spesso fra la disapprovazione e l'incomprensione pubblica. Il patrimonio cui si fa cenno è un patrimonio archivistico; quello immobiliare, date le varie svalutazioni subite nel corso dei secoli, è venuto meno quasi del tutto. Ma lasciando da parte ogni altra considerazione, ci fermiamo a parlare del patrimonio archivistico, quello che interessa di più la nostra attenzione. Dovendo parlare dell'archivio del capitolo cattedrale di Catania, credo che valga la pena ricordare brevemente la sua origine, la sua formazione, i danni subìti, il materiale che, nonostante le varie traversie, è pervent1to fino a noi. Fra gli archivi ecclesiastici di Catania, due soprattutto richiamano il nostro interesse: l'archivio del capitolo cattedrale e l'archivio della curia arcivescovile. Il primo comprende gli atti del capitolo, le scritture relative ai suoi beni, il tabularium, in poche parole: tutto quanto riguarda il funzionamento di un organismo ecclesiastico formato da persone che svolgono parti-


L'archivio del capitolo cattedrale di Catania

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colari funzioni a servizio della cattedrale, in un preciso contesto sociale. Si tratta, pertanto, di un archivio che riguarda un numero limitato di persone che svolgono funzioni particolari: culto, aiuto nel governo della diocesi, amministrazione dei beni. .. L'archivio arcivescovile abbraccia un campo più vasto e possiede vari fondi archivistici: a cominciare dagli atti di battesimo e di matrimonio dei fedeli di Catania fino a tutti gli atti che riguardano lo s,volgimento deila vita ecclesiastica della diocesi a tutti i livelli: individuale e collettivo, privato e pubblico. Infatti la fede cristiana entra nella vita di chi l'accetta e ne permea tutto il comportamento; le sue azioni assumono una particolare rilevanza per la comunità e quindi per l'archivio diocesano. A differenza dell'archivio capitolare, quello della curia riguarda un gran numero di persone, in pratica tutti gli abitanti della diocesi. Anticamente la Chiesa di Catania aveva un solo archivio, che veniva conservato nella sacrestia dell'abbazia-cattedrale di Sant'Agata. Leon Menager occupandosi di questo archivio scrisse che andò perduto sotto le macerie del terremoto del 4 febbraio 1169, quando con la città furono distrutti la cattedrale e gli edifici annessi 31 • Il noto stndioso si disse persuaso che le pergamene di cni oggi si vanta la Chiesa di Catania non sono che abili ricostruzioni, create in tempi posteriori; un'affermazione s~ggestiva, ma che ha bisogno di verifiche e di prove per essere accolta. Lasciando da parte le polemiche torniamo alla collocazione dell'archivio capitolare nella sacrestia della cattedrale. Questa notizia può essere docrnnentata fin dal secolo XIV. Infatti fu dimostrato dinanzi al tribnnale della città di Catania che il sigillo d'oro, che pendeva dal privilegio di Enrico VI re di Germania e di Sicilia, era stato rubato dalla sacrestia della cattedrale dallo stesso sacrista custode, un certo fra Angelo Pistate, monaco laico, per pagare le spese di matrimonio di una sua nipote. Agli atti del processo così viene riferita la testimonianza

31

Bullettino dell'Archivio Paleografico Italiano, N.S., II-III (1956-1957),

p. II, 145-174.


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Giovanni Messina

del monaco Antonio: «Praesbiter Antonius iuratus et interrogatus dixit ut proximus quod non audivit praedicta tamquam monachus, sed tamquam maniglerius dictae ecclesiae et addidit quod ipse existens maniglerius dictae ecclesiae quadam nocte praedictus frater Angelus, sumpta occasione quod volebat apparatum pro quadam nepta sua, quam dicebat sequenti mane desponsandam, accepit claves sacristiae et sub noctis tenebris latenter intravit sacristiam et aperta quadam caxia archivaria, uhi dictum privilegium et alia praedictae ecclesiae conservabantur, et facto per eum rumore, praedictus testis propinquus era! dixit: 'O frati Angilu, guardàti ki fakiti' ad qrnre praedictus frater Angelus dixit: 'Taki villanu, tu kindi hai affari?' Interrogatus se causa dixit quod interfuit, vidit et audivit praemissa tamquam maniglerius de loco ut supra; de tempore iam sunt anni viginti septem» 32 • La deposizione riguarda un fatto avvenuto circa ventisette anni prima, quindi circa il 1339. Troviamo un'altra testimonianza nel così detto Liber prioratus, un antico codice gotico della prima metà del secolo XV. In tale manoscritto si legge che in due casse, custodite nella sacrestia, si conservavano documenti che riguardavano l'abbazia e documenti spettanti il capitolo: una partita in theca vetere e un'altra partita in theca 1·ecenter facta. In una si conservavano i documenti più prestigiosi della Chiesa di Catania, nell'altra i documenti del capitolo. Nel citato Liber prioi-atus alle carte 30r-31v è scritto: «Ista privilegia, quae sunt hic scripta, sunt in theca noviter facta et sunt ecclesiae» e comincia l'elencazione: «[ ... ] in primis privilegia terrarum, quae Tancredus filius comitis Guillelmi et nepos comitis Rogerij donavi! ecclesiae sanctae A,gatae etc ... »; segue l'elencazione di trentadue documenti, parte pervenuti fino a noi, parte dispersi nel corso dei secoli. Nelle carte 37v-38v è scritto. "[ ... ] omnia ista privilegia infrascripta sunt in theca vetere et sunt pertinencia ad capitulum» e si dà una seconda lista: «[ ... ] in primis multae scripturae insimul ligatae infra unum pergamenum qua e pertinent ad ortum Messanae», segue un elenco di

32

Ace, Pergamene latine, n. 38.


L'archivio del capitolo cattedrale di Catania

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vari documenti dei quali alcuni ancora esistono, altri non pm, documenti che oggi con altri nomi e con indicazioni diverse si trovano tutti nel tabularium capitolare. Dobbiamo essere grati allo scrittore del Liber prioratus per il grande servizio reso alla storia della Chiesa catanese con le molte notizie tramandateci e per questo prezioso elenco di documenti dell'archivio capitolare. E' risaputo che l'abbazia S. Agata aveva alle sue dipendenze numerosi priorati titolari rurali, collocati nei vari feudi di sua proprietà e abitati da monaci che vivevano una vita di raccoglimento, intenti alla preghiera e alla coltura delle terre. In diocesi esistevano una trentina di questi priorati; i libri privilegiorum alias Tutt'Atti della curia arcivescovile ci forniscono gli elenchi 33 • Uno di questi è il priorato Santo Stefano di Bongiardo al quale fa cenno il diploma della donazione delle terre di Mascali fatta da re Ruggero nel dicembre 1124 al vescovo Maurizio per la Chiesa di Catania: «[ ... ] descendens flumine flumine foci

33 «.Suffraganei ecclesiae ,catanensis locuti in festa gloriosae S. Agathae die V februarij, XII i1rnd. 1553 [= 1554] iper reverendum dominuim Gregorium T'riani :ca:ppella11Uil11 eoclesiae praedictae. L'O abbati 1dri Sancta Nicola la ·Rina, con1-umax, lo abbati di Sancta Maria la Scala, contu·max, lo abbaii di Io Frundò, contumax, lo abbati di Sancta Maria di Nova Luci, contu111ax, lo priolo di Sancta Maria Io Bosco, contumax, lo priolo di Sancta Maria lo -Monaco di Ragusa, praesens, Io priolo di Santa Maria Magdalena di Viczini, contumax, lo priolo di Burgitabuso alla valli di Gulisano, contu1nax, lo priolo di Sancta Vennera di Mascali, praesens, lo J)riolo di Santo Gregorio di Chiazza, :praes·ens, lo priolo idi Sancta Andria di 11.'lilo, 'Praescns, lo priolo di Santa Maria di Asaro, -praesens, lo priolo di sancta Jacobo lo Bosco, praes-ens, lo priolo di Sancta Maria la Cava, solum hodic, lo priolato di Adernò, praesens, lo priolo di Sa.n-cta Anna terrae Jaccis, contun1ax, lo priolo di Sancta Decli, contumax, lo monastero di Sancta Benedie1Jto di Castro Ioanne, hodie, lo priolo di la AnnrUJnciata di Mascali, contumax, Sancta Maria la Grutta, praesens, Sancta Maria la Gua11dia, hodie, Sancta Maria lo Chiana di Ayduni, contumax, Sancta Andria di Chiacza, cuntumax, Sancta Gregari di Yachi, contumax, lo orocifero di Sancta Opulo hodie, lo priorato di lu .spettabili rlion Hieronimo di Gravini in la .majori ecclcsia di :Catania, hodie, Sancto Laurencio di Ai.duni, contumax, la -cappella di Santa .Maria Magdalena di Asaro, praesens" (AcA, TA 1553·1554. 166d66v).


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Giovanni M esS,iina

usque ad Dei genitricem eremitarum, et inde caulis caulis usque ad vivurn fontem de hospitali Blanchardi, et inde descendit caulis caulis usque ad criptam de Acchupardo, inde caulis caulis datur in Cannitellurn prope labia maris» 34 • Abbiamo la testimonianza del conferimento di detto priorato Santo Stefano, fatto dal vescovo di Catania Guglielmo Bellomo il 19 febbraio 1459, al monaco benedettino fra Benedetto da Siracusa: «[ ... ] vacante in manibus nostris prioratus et ecclesia sancti Stephani de eremo posito [ ... ] in loco nominato di Branchardu diu derelicto [ ... ] ubi tanquam benemerito ... praesentium tenore concedimus et conferimus et donamus» 35 • Di recente di questo priorato, per opera del prof. P. Lojacono, già sovrintendente ai monumenti della provincia di Catania, sono state trovate le piante e alcuni rilievi, come ricorda lo stesso in un suo scritto 36 • Nella stessa area di Bongiardo, oggi comune di Santa Venerina, fino a pochi anni addietro esisteva pure il priorato del Santissimo Salvatore, ubicato nei pressi dell'attuale cinema Eliseo. Di altri priorati possiamo ricordare: Santa Maria la Nuova di Ragusa, Sant'Agata di Messina, eretto dal vescovo di Catania Marziale nella seconda metà del secolo XIV con il consenso del pontefice regnante, dell'Annunziata di Mascali, di Santa Venera pure di Mascali, di San Giacomo del Bosco a Zaf<ferana Etnea 37 , di Sant'Anna di Aci, Santa Tecla di Aci, Santa Maria di Pozzillo («di lu Puccillu di Jaci» ), ecc ... Tali priorati esistevano non solo nelle campagne ma pure nelle città, come Agira, Castrogiovanni, Aidone, Adernò, Fun-

34 Co,ZZectanea nonnullorunz privilegio,ru1n et alioru1n spectantiu1n ad Ecclesian1 Catanense111 eiusque n1inistros, ex archivijs publicis desinnpta iussu ill.1ni et rev.nli 1do1nini fratris do1nini Michaelis Angeli Boinadies episc.opi Catanensis, etc., Catamae, in 1tyipographia Bisagni 1682 et 1792, 12. " AcA, TA 1450-1478, 51. 36 P. LOJACONO, La chiesetta di Dagala del re p1-esso Santa Venerina (Catania), in Tecnica e ricostruzione 15 (1960) 19-23. 37 G. PrsTORro, Il priorato di S. Giacon10 di Zafferana Etnea, Catania 1965.


L'archivio deJ capitolo cattedrale di Catania

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drò 38 • Ognuno di tali priorati era retto da un monaco, che attuava il programma benedettino ora et labora, sistema ancora usato presso i cistercensi riformati o trappisti. Questi priorati suffraganei, come sono definiti nei registri della curia arcivescovile, debitamente rappresentati dai titolari, ogni anno, nel giorno della festa di S. Agata venivano chiamati all'appello durante il solenne pontificale per prestare omaggio al vescovo di Catania (un tempo abate dell'abbazia Sant'A,gata) e presentare un dono reale consistente in cera, incenso ·o un'offerta pecuniaria, come si usava per i concessionari di terre o immobili in genere. I presenti prestavano omaggio personalmente, per gli assenti si segnava la parola contumax. Tale riconoscimento veniva fatto in cambio della concessione di cui godevano e del beneficio che era stato loro concesso. Questi priorati rurali col tempo divennero veri e propri titoli di benefici, che il vescovo elargiva ai monaci dell'abbazia a propria discrezione. Nella scheda relativa al citato Liber prioratus, in una nota abbiamo trascritto, per metterli in rilievo, i priorati esistenti nella seconda metà del secolo XV (1469) con i nomi dei relativi monaci-canonici che usufruivano del beneficio. Fra le carte dell'archivio capitolare troviamo un continuo richiamo al priorato Santa Maria la Nuova di Ragusa, San Gregorio di Piazza, Santa Maria di Adrano, Santa Maria della cittadella di Aidone, ecc ... , perché furono annessi al capitolo già secolarizzato, come attesta un documento del 29 dicembre 1580, che si esprime così: «Vincentius etc. [ ... ] in virtù delli detti bulli apostolici fu mutato il stato della decta nostra ecclesia di Catania di regolare in secolare in stato di canonici secolari et fu instituto in dieta ecclesia capitulo secolare e la quale mensa con l'autorità apostolica e regia forno uniti tutti et singoli fructi rendite di priorati, di tucti et singoli dignitati, officij, priorati ecclesie et cappelle et altri beneficij dipendenti dalla nostra ec-

38 AcA, TA 1370-1392, .f. 143 dove si parla del pe~messo conces·so da Simone del .Pozzo per la fondazione del priorato di Fundrò, come dipendenza di quello di San ·Gregorio di Piazza, col titolo di Santa Maria 1cti Arncoeli (1391).


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clesia di Catania in qualsivoglia loco existenti [ ... ]. Datum Cataniae die 29 decembris 1580» 39 . Avvenuta la trasformazione del capitolo da monastico a secolare detti feudi formarono il patrimonio capitolare, ma ìn uso dei singoli investiti dei canonicati della cattedrale. I preti beneficiari continuarono ad amministrare i fondi dei loro titoli, che formavano la prebenda del proprio canonicato. Tale fatto spiega la presenza di concessioni enfiteutiche che si incontrano con molta frequenza nel nostro archivio. Bisogna tener presente che con l'andare del tempo la terra fu maggiormente valorizzata e quindi concessa con facilità a censo; in tal modo si cercava di farla fruttare e non lasciarla a solo pascolo, come era avvent1to in tempi anteriori. La Chiesa di Catania è stata antesignana nella concessione di molte delle sue terre per colture di vigneti, oliveti e frutteti ìn genere, come risulta da un semplice sguardo al registro più antico della curia arcivescovile della fine del secolo XIV, dove si notano tutte le concessioni di feudi e terre in genere, operate dal grande vescovo Simone del Pozzo. Questi non lasciò incolto un pezzo di terra, facendone cessione a beneficio di chiunque ne avesse bisogno e a condizioni piuttosto favorevoli: in tal modo favorì le colture, bonificò le terre fino a quell'epoca rimaste incolte, aiutò il piccolo proprietario, beneficò 1a mensa vescovile e nello stesso tempo favorì il sorgere del piccolo proprietario, come si può constatare in tutti i comuni etnei formati dalle concessioni elargite dai vescovi di Catania e dal capitolo cattedrale, mediante i censi enfiteutici o altre forme di concessione. Questo indirizzo di creare la piccola proprietà mentre combatteva la manomorta, avvantaggiava i poveri, che potevano disporre di una loro proprietà.,. 39 AcA, TA 1580-1581, 115r-117L Q.uesti rprinc1pi t1urono teorizzati .dal vescovo Michelangelo Bonadies (1665-1686) in occasione ,di una vertenza con il Tribunale del Real Patrimonio, che gli 'c·ontestava la concessione in enfiteusi di alcune proprietà della mensa vescovile e della contea ,di Mascali. Per questo prable1na vedi: 4-0

S. FRESTA, Per la storia dell'enfiteusi nel .catanese (sec. XVII), in Asso 65 (1969) 51-61; A. LoNGHITANO, Le relazioni <(ad limina1> della diocesi di Catania (1668-1686), in Synaxis 4 (1986) 351-476: 366-369.


L'archivio del capitolo cattedrale di Catania

265

Quello che si dice a proposito della terra può anche affermarsi per le case, perché tutte le botteghe di proprietà della Chiesa di Catania, in città, venivano concesse ai privati per uso di abitazione o per uso di bottega o laboratorio artigiano e venivano cedute per un tenue canone di alcuni tari, raramente per qualche onza, salvo che si trattasse di grandi immobili, censi accessibili agli operai che dovevano guadagnare il "grano" col lavoro quotidiano. Altre notizie fornite dalle carte dell'archivio capitolare mettono in luce le varie questioni che si agitavano nei secoli passati fra il capitolo e i vescovi, tra il capitolo e le autorità civili, tra il capitolo cattedrale e il capitolo della collegiata di Catania. Ne viene fuori un vasto panorama sulla vita della Chiesa catanese; come, per esempio, la n1ovimentata resistenza che il capitolo cattedrale oppose quando si trattò di cedere nel 1722 l'amministrazione giurisdizionale al neo eletto cardinale Alvaro Cienfuegos, privo di bolle di nomina ma nominato in pubblico concistoro. Altra vertenza tra il capitolo cattedrale e il capitolo della collegiata scaturì dalla pretesa di quest'ultima di fregiarsi del titolo di "cappella regia". Altra vertenza contro la stessa collegiata avvenne circa l'uso della cosiddetta "cappa magna", certa veste usata dai canonici nelle celebrazioni corali. Così altra questione nacque tra le autorità civili della città e il capitolo circa il posto che dovevano occupare il vescovo ed il senato nell'ingresso in città o nella cattedrale dei vicerè; questioni che oggi fanno sorridere, ma che allora diventavano oggetto di liti importanti. Così nel 1686 abbiamo degli "stabilimenti" adottati tra il senato e il capitolo per l'uso del cuscino. Michele Catalano nella sua storia dell'università di Catania nel Rinascimento, trattando dei codici antichi esistenti a Catania scrive: «Più nu1nerose indicazioni ci avrebbe fornito il catalogo dei codici della biblioteca [della cattedrale] redatto ai tempi del vescovo Giovanni Primo e ancora oggi esistente nell'archivio della cattedrale circa un secolo fa, ma oggi introvabile» 41 • Non 41 M. CATALANO, L'università ,di Catania nel Rinasciniento, in AA.VV., Storia dell'università di Catania dalle origini ai giorni nostri, Tip. Zuccarello & Izzi, Catania 1934, 3-98: 93.


266

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fa meraviglia che nella cattedrale e nel suo archivio vi fossero antichi codici, tanto profani, quanto liturgici, perché è cosa ormai nota che tutti i monasteri e capitoli fossero veri centri di cultura e vere officine scrittorie; in un'abbazia benedettina, obbligata all'ufficiatura corale, non potevano certamente mancare i libri liturgici. A tal proposito, una testimonianza, sebbene alquanto tardiva (1556), ci viene dalla risposta del priore dell'abbazia di Sant' A,gata, don Guglielmo Ansalone, ad una lettera del vescovo Nicola Maria Caracciolo: «Per la quinta ordinazione chi abbia scriviri tutti li Hbri chi servino alu officiu legendu et cantandu, ni facza notamento lu quali è fatto et teneli in suo potiri per fari quanto ordinirà vostra Signuria reverendissima, et li parchimidi foru venduti et si hano spisu ad ordini di Vostra Signuria reverendissima» 42 • Forse questa è l'ultima volta che si parla di libri liturgici nella cattedrale di Catania poco prima della soppressione dell'abbazia. Si è occupato di libri liturgici all'inizio del secolo XVI il nobile Alvaro Paternò, quando da maestro dell'opera grande si interessò di far scrivere libri corali dal domenicano fra Antonio Giardino, palermitano, come si rileva pure dagli atti del notaio A!ntonio Merlino. Il fatto fu anche messo in evidenza alcuni anni addietro dal citato prof. Michele Catalano 43 • Purtroppo il lavoro di tanti secoli, in seguito alla riforma postridentina, venne distrutto e molti esemplari liturgici furono dispersi. Molti di essi andarono in mano di intenditori, altri in mano di amatori, ma non pochi finirono con l'essere adoperati come materiale per rilegatori che li usarono per rilegare volumi e registri notarili. Anni addietro mi sono capitati tra mano dei pezzi di pergamena, già appartenenti a vecchi graduali e messali, che erano stati adoperati per copertina di registri della curia arcivescovile, ma erano ormai in uno stato tale da non consentire il restauro del testo originale. Così è finito tanto nl!ateriale prezioso e artistico. Ace, Capitolo cattedrale, carp. VI, fase. 7, carte non numerate. M. CATALANO, Artisti e artefici nel Rinascimento a Catania, in Asso .14 ( 1938) 75-100. 42

43


L'archivio de!l capitolo cattedrale di Catania

267

Da questo accenno è facile concludere che ,]'archivio capitolare non ha nessun codice liturgico ad eccezione di uno solo, un volume corale dell'inizio del secolo XVI 44 , probabilmente sarà uno di quelli ordinati dal Paternò e scritto dal frate Antonio Giardino. Il volume riporta l'ufficiatura del rito benedettino, ma con deplorevole leggerezza è stato privato di alcuni fogli pergamenacei. Non porta miniature, anzi i capilettera in genere sono ciechi, ai1cora in attesa delle relative miniature: è l'unico ricordo del coro benedettino rimasto a Catania. Bisogna pure tenere presente che molti codici scomparivano durante le sedi vacanti, quando l'autorità regia esercitava il diritto di spoglio previsto dallo ius patronatus. Uno studioso di libri liturgici, alcuni anni addietro, mi ha assicurato che il messale gallicano usato dal vescovo Angerio, il primo dopo la restaurazione normanna, si trova conservato nel n1onumentale museo spagnolo dell'Escorial. A questo punto non possiamo fare a meno di dire qualcosa sui danni subìti daU'archivio ca.pitolare. Il primo e più grave danno, da tutti conosciuto, deve attribuirsi al terremoto del 1693, che non lasciò casa su casa. Subito dopo si radunarono torme di ladri e profittatori: un vero e proprio fenomeno di sciacallaggio. Abbiamo raccapriccianrti notizie di ladri, che non ebbero alcun ritegno a mutilare i malcapitati che avevano addosso oggetti d'oro 45 • Oltre ai danni del terremoto, dobbiamo ricordarne altri provocati da furti e incendi. Significativo l'editto promulgato dal vescovo Oùtavio Branciforte fin dall'inizio del suo episcopato: avendo trovato ]'archivio della curia «exausto e manche-

44 La datazione del volume si deduce dal fatto che tra le feste dei santi riportati nel graduale troviamo quella d·i S. Francesco idi Paola, canonizzato nel 1519. 45 F. PRIVITERA, Dolorosa tragedia rappresentata nel regno di Sicilia nella ciftà di Catania, Bisagni, Catania 1695, 71-83; C. MuGLIELGINI (D. Gu~ glieln1ini), La Catania destrutta, con la narrativa di tutte le città e terre danneggiate dal terrenzoto del 1693, Epiro, Palermo 1695, 26-27; V. M. AMICO, Catana illustrata, sive sacra et civilis urbis Catanae historia .. ., II, ex typographia Simonis Trento, Catanae 1791, 510-511.


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vole» delle ,sue scritture «che doveriano originalmente in esso tmvare», puniva con la pena della scomunica tutti i detentori di carte di archivio; ma poiché nessuno denunziò tale colpa, rinnovò l'editto maggiorando le pene 46 • Alcuni anni prima del Branciforte era stato pubblicato un bando contro tutte quelle persone che avevano presso di sé registri, scritture e oggetti d'argento rubati nella cattedrale e al suo capitolo in un furto avvenuto, come si legge, il 6 gennaio 1591 della IV indizione 47 • Rivoltando i volumi dell'archivio capitolare abbiamo notato in alcuni di essi i segni del fuoco nel dorso e nel taglio; ciò dimostra che le fiamme avvolsero i volumi da ogni parte. Questo incendio, avvenuto nel secolo XVII, è descritto nella scheda 3.3.36 dei volumi passati in rivista del nos>tro archivio, dove si parla di una vertenza sorta tra il capitolo cattedrale e il vescovo Andrea Riggio. Tra le altre cose, dopo aver parlato della elezione di un cerimoniere fatta dal capitolo si dice: «[ ... ] ex incendio successo in anno 1654, tempore illustrissimi de Gussio episcopo cataniensi, dum in sacristia praediotae cathedralis ecclesiae servabantur libri capituli magis quod causa terremotus anni praeteriti notariorum quamplurimi libri deperditi fuerint in quibus actus electionis ·praedictoru m magistroru1n ceremoniariorurn» 48 • Nella comparsa della causa vertente tra ,]'arcivescovo di Catania contro l'intendente di finanza (causa n. 1498 del 1883 per la chiesa Santa Maria della Mercede di Catania) è citato un attestato del 17 gennaio 1883 col quale si dimostra che l'antico archivio della Maramma o della Opera grande della cattedrale fu bruciato nell'aprile del 1849. La data del 1849 ci richiama alla memoria i fatti luttuosi avvenuti a Catania tra i regalisti e i nazionalisti. Questa guerra combattuta contro i barboni ci ha privwto, purtroppo, dell'archivio dell'Opera grande o Maramma, che registrava tutte le opere eseguite nella cattedrale e conteneva materiale archivistico di grande importanza e notizie di valore a cominciare dal tempo del vescovo Marziale (1355-1376), 1

46 ACA, TA 1638-1639, 19r. 41 AcA, TA 1590-1591, 139r-140v. 48

Ace, vol. 3.3.36, carte non numerate.


L'archivio del capitolo cattedrale di Catania

269

istitutore dell'Opera grande, fino al giorno del tdste evento del 1849. Nello stesso anno fu appiccato il fuoco all'archivio notarile di Catania, che ridusse in fumo tutte le memorie più antiche della città. Nel 1849 si è perduto, dunque, un prezioso materiale archivistico di ol~re sei secoli, che non è più possibile ricostruire in nessun modo, in quanto non si ritrovano copie per supplire i documenti perduti. A questo lu1Jtuoso evento c'è da aggiungere la distruzione dell'archivio comunale di Cata•nia avvenuta nel 1944, patrimonio anch'esso insostituibile: un ultimo colpo di pennello al triste quadro che descrive le cause della mancanza di tante importanti fonti storiche della vita catanese, di questa città straziata sempre da terremoti, da colate laviche o da incendi.



CRONACA DELL'ISTITUTO

1.

Nuovi Soci

Il consiglio direttivo ne'Jla riunione del 13 gennaio 1988 ha .esaminato la domanda di aggregazione al nostro Istituto di amici e studiosi p11esentati da Soci fondatori. A norma dello statuto è stata accettata l'iscrizione dei se,guenti nuovi Soci: l'ing. Angiolo Bella e il sac. Pasquale Magnano.

2.

Assemblea dei Soci

Il 13 aprile 1988 al'Ie ore 18,30 si è radunata l'assemblea dei Soci nella sede dell'Istituto presso il seminario arcivescovile di Catania. In tale seduta è stato presentato i.I resoconto delle attività del 1987; è stato approvato il bilancio consuntivo 1987 e preventivo 1988; sono state programmate le attività dell'anno 1988-89. La seduta si è conclusa con la cena sociale offerta ai Soci dal Presidente.

3.

Seminariio di S,tudib su «Questione sociale e litica a Catania (1890-1920),,

ques~zbirue

po-

Il 13 e 14 maggio presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, presso il monastero dei benedettini, si è celebrato un seminario di stud]o promosso in collaborazione da'llo Studio Teologico S. Paolo, dalla Facoltà di Lettere e Filosofia e dal nostro Istituto.


Cronaca dell'Istituto

272

Il tema «Questione sociale e questione politica a Catania (1890-1920)» è ·stato approfondito con i seguenti contributi: F. Renida, «Socialisti, cattolici e questione urbana». G. Lo Giudice, «Una città ìn crescita: economia e società». R Spampinato - G. Di Fazio, «L'organizzazione sindacale e delle forze di lavoro,,. G. Dato - A. Longhitano, «II territorio urbano». G. Zito, «Il clero da Dusmet a Nava: cliltura e model1i past·oraJi».

G. Barone, «La politica amministrativa e il ruolo dei cattolici». G. Bonetta, «L'istruzione pri111aria». G. Giarrizzo, ((Ruolo della n1asso11eria». Sono intervenuti alla discussione i professori: A. Sindoni, R. Mangiameli, S. Lupo, M. Stabile, C. Naro, M. Pennisi, A. Recupero, M. Saija.

4.

Tavola rotonda: «Morte

!>U

comando. Verso la legalizz.a-

z{one dell'eittanasia?>> O~ganizzata dal nostro Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo ha aNuto luogo il 2 marzo 1988 nell'aula magna del Palazzo delle Scienze di Catania una tavola rotonda sul tema: «Morte su comando. Verso la legalizzazione dell'eutana-

sia?».

Un numeroso e qualificato pubblico, tra cui l'arcivescovo di Catania mons. Picchinenna e il vescovo di Acireale mons. Malandrino, ha seguito attentamente le Te/azioni e l'ampio dibattito. L'avvio è stato dato dal Presidente del nostro Istituto, prof. Salvatore Consoli, il quale ha pres.entato le varie attività che l'Istituto dal suo nascere ha svolto. fl dott. Gaetano Caponnetto della redazione del quotidiano «La Sicilia» quale moderatore della tavola rotonda, al posto del dott. Nino Milazzo assente per impegni sopravvenuti all'ulti-


Cronaca dell'Istituto

273

mo momento, ha presentato in linee generali il tema e subito dopo i relatori. Il dott. Giuseppe Fail1a, aiuto responsabile della divisione oncologica medica dell'ospedale "Santi Currò" di Catania, ha presentato la concezione odierna della morte, non più vissuta, come lo era un tempo, co,me ".fenomeno sociale". Oggi, spesso, il malato destinato a morire si trova solo con se stesso senza aiuto e senza il conforto del medico, del personale ospedaliero e degli stessi familiari; la morte incute terrore e paura; al malato poi non sempre si dice la verità sulla sua malattia, sul suo stato di salute, perché la morte "fa paura" a tutti. In questo contesto si può capire l'eutanasia - "dolce morte'' - che, evitando n dolore fisico, l'angoscia, la disperazione del malato, sembra sia la logica conse,guenza per l'uomo contemporaneo. Ma spesso a causare ciò è l'insofferenza di chi assiste il malato. Il prof. Francesco D'Agostino, ordinario di Filosofia del diritto nell'Università degli Studi di Catania, ha analizzato il tema sotto il profilo giuridico. Il relatore ha messo in evidenza il fatto che lasciar morire una persona attivamente o passivamente senza il suo "deliberato consenso" non è eutanasia ma "omicidio". n principio giuridicamente più lecito sarebbe quello del "testamento biologico", in cui di proprio pugno con piena avvertenza e libertà il malato sceglie questo tipo di morte, ma anche questo, ha dimostrato il relatore, non è ammissibile. Il prof. P. Manuel Cuyas, oPdinario di Bioetica nella Facoltà Teologica di Barcellona (Spagna), ha presentato il concetto di eutanasia con un breve excursus storico, partendo da Bacone che per primo usa questo termine. Quindi ha presentato la posizione della Chiesa cattolica nei confronti dell'eutanasia sulla scorta del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1980. «Eutanasia è un'azione o omissione che provoca la morte». Da questa definizione il P. Cuyas ha trattato della responsabilità umana nei confronti della morte e dell'educazione che si deve dare per promuovere il diritto alla libertà di coscienza. Ha proseguito poi dando un significato proprio del tanto diffuso telllllin1e ".eutanasia", cioè .dolce morte; è un dovere far sì che la morte sia più pdssibi1e dolce e dobbiamo


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Cronaca dell'Istituto

ricorrere a tutti i modi consentiti dalla scienza moderna, ma non possi'amo mai stabilire il tempo della morte. Un vivace dibattito ha seguito gli interventi dei relatori.

5.

Pubblicazioni

Il nostro Istituto ha curato la pubblicazione dei seguenti vo1umi: !. Synaxis V: IJ'el mese di dicembre 1987 è stato pubblicato i.I n. V di Synaxis, ailJluale dell'Istituto. Il volume, composto di 463 pagine, comprende 12 contributi e ricerche di vaoria natura con particolare interesse per i fatti e le persone della Sicilia.

2. Quaderni di Synaxis n. 4: nel mese di giugno 1988 è stato pubblicato il n. 4 di Quaderni di Synaxis, edito da Galatea Editrice di Acireale, dal titolo «Manipolazione in biologia e problemi etico-giuridici». Il volume di 137 pagine pubblica gli Atti del convegno di studi che il nostro Istituto ha celebrato insieme allo Studio Teolo,gko S. Paolo e all'UnivePsità degli Studi di Catania nei giorni 14-15 maggio 1987, nell'aula magna della Facoltà di Giurisprudenza. GIAMBATTISTA RAPISAADA Segretario dell'Istituto


INDICE

PRESENTAZIONE (Salvatore Consoli) . LA «FIGURA» DI NEWMAN: A!NGLICANO E CATTOLICO (Giuseppe Cristaldi) Prologo 1. La figura religiosa della rpri,ma coniversione 2. La figura oxoniense . 3. La figura •cl!ell'anglica.nesimo «implicito» 4. La figura del cattolicesimo {<essenziale)> 5. La figura oratoriana

5

7 11

18 22 28 32

LA RETORICA IN PLATONE COME DIALOGO D'AMORE (Enrico Piscione)

Introduzione 1. Retorica e giustizia 2. Retorica, dialettica e psicologia Osservazioni conclusive

35 36

40 43

LETTURA "AGOSTINIANA" DI UN ROMANZO DI SVEVO. Contri,buto per l'interpretazi-0ne de "La coscienza di Zeno" (Salvatore Piscione)

Premessa

45

1. Punti fermi 2. An;tropologia ·e morale in Agostino e Svevo 3. Lettura di alouni episodi del romanzo 4. Schopenhauer, Freud e Svevo Riflessioni coniclusive .

46 49

54 57

60


276

Indice

STURZO E BPISCETTA: MOTIVAZIONI E METUDO DELLA LORO AZIONE SOCIALE (Giuseppe Scarvaglieri) I. La .oornice storica II ..L'azione sociale .

63 67 75

PRIMO CUNGRESSO DELLA PARROCCHIAL!TA'. Organizzato dal vescovo Mario Sturzo nel 1937 (Salvatore Latora) Alppendice

109

97

SANTI E SANTITA' NEI COMUNI ETNEI IN EPOCA CONTEM· PORA.NE:A. Il caso Giuseppina Faro (Giuseppe Di Fazio) Pren1essa I. I biografi di Giuseppina Faro II. Le biografie HL Le fonti IV. Valutazione critica •dielle biografie V. Giuseppina Faro e l'ambiente in cui visse .

157

GIUSEPPINA FARO: UN'ESPERIENZA EVAINGBL!CA DA RECUPERARE (Salvatore Consoli) Introduzione I. Struttura teologica della sua vita spirirtuale II. La fama di santità IJ:I. ·Rilevanza ecclesiale della santità di Giuseppina Faro . IV. CoilJclusione

169 169 176 178 181

VINCENZO SCH!L!RO' UN SACERDOTE · POETA (Gerardo Ruggeri C. P.)

183

LA PS1COLOGIA NEL PENSIERO DEL CAN. FRkNCESCO FISICHELLA (1841-1908) (Francesco Fumari) 1. N.ote biografiche . 2. Formazione culturale 3. La psicologia nelle scienze umane Conclusione .

139 140 148 152 155

211 212 213

215 218

DIPENDENZE DEL MONASTERO DI S. FILIPPO DI FRAGALA' (Salvo Nibali)

221

1. Dipendenze del ·1nonastero di S. Filippo di Fragalà citate nel testamento dell'egumeno Gregorio 2. Altre dipendenze del monastero di Fragalà .

223 232


Indice

277

L'ARCHIVIO DEL CAPITOLO CATTBDAALE DI CATANIA E LE ULTIME VICENDE DELL'ABBAZIA SANT'AGATA !t Giovanni Messina) 1. La 5.ecolarizzazione del capitolo :cattedrale 2. L'archivio del capitolo .cattedrale .

243 258

CRONACA DBLL'IST>ITUTO (Giambattista Rapisarda)

271



Finito di stampare il 20 dicembre 1988 coi tipi dello Stab. Tip. 路GALATEA~

Acireale



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