Synaxis 1987 V

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ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO

V

CATANIA

1987


Proprietà letteraria riservata

Stampato in Italia @ Stab. Tip.

«.e AL ATE A»

Pri,nted in I-taly di G. Maugeri - Corso Italia - Acireale


PRESENTAZIONE

Synaxis V continua la tradizione culturale dei numeri precedenti. È innanzitutto criticamente attenta al passato nel tentativo di ricercare e di capire se le nostre Chiese locali hanno avuto caratteristiche proprie da mantenere e da sviluppare nel pre-

sente.

Ma, al contempo, partecipa al dibattito filosofico-teologico conte111poraneo perché intende inserirsi attivan1ente nel vasto

mondo della cultura. Synaxis lavora particolarmente sotto il segno della storia per la duplice consapevolezza che nella conoscenza delle fonti le scienze sacre rinvigoriscono continua111ente e che l'eredità

storica passata nutre le giuste risorse dell'intelligenza per uno sguardo acuto sul presente. Detta prospettiva dona unità di orizzonte a Synaxis che, conservando la natura miscellanea, potrebbe apparire del tutto disorganica. Le nostre Chiese dovrebbero essere studiate ulteriormente oltre che dal punto di vista strutturale anche da quello teologicoculturale, non escludendo né le loro tradizioni di liturgie proprie, di feste popolari e di catechismi e nemmeno la loro dimensione eciunenica. Synaxis si propone pertanto di continuare nel tentativo generoso, forse anche ambizioso, di coniugare quanto di valido ha la nostra tradizione con le istanze della realtà moderna, evitando ogni sorta di sterile nostalgia del passato come pure il correre dietro ad ogni nuova moda culturale. Per attuare tale progetto, Synaxis, oltre che servirsi dei suoi «Quaderni J>, ha dato vita alla nuova collana « Docu111enti e Studi di Synaxis ,, il cui primo numero è appena uscito. Catania, Natale del Signore 1987.

SALVATORE CONSOLI



L'EPISTEMOLOGIA TEOLOGICA DI M. - D. CHENU ITINERARIO E PROSPETTIVE

ANTONINO FRANCO*

Introduzione «Della instancabile, fervida e vivacissima produzione di M. - D. Chenu è già decretato che resterà l'opera storica, precisamente gli studi di teologia medievale. Il resto pure ricco della stessa linfa è come il sale evangelico, destinato a dissolversi per dare sapore al mondo del proprio tempo» 1• Tale affermazione di G. Colombo, pur nella sua lapidaria sinteticità, descrive con esattezza la parabola della teologia chenuana. In un precedente lavoro ci siamo ampiamente occupati dell'opera storica di Chenu approfondendone il motivo ispiratore, puntualizzandone i contenuti e evidenziandone le prospettive per la riconsiderazione del metodo teologico '. Nel presente saggio vogliamo rivisitare gli scritti chenuani che non si connotano come ricerche di teologia medievale e che si presentano come riflessioni e proposte sullo statuto della teologia. La teologia di Chenu, nella variegata pluralità dei contenuti, approfondisce nel suo lungo itinerario evolutivo l'intentio pro'" Docente di Teologia fondamentale e Filosofia nello Studio Teologico S, Paolo di Catania. I G. COLOMBO, Editoriale, -in M. ~D. CHENU, La teologia come scienza nel XIII secolo, Jaca Book, Milano 1985, 7. 2 Cfr. A. FRANCO, Realis1110 toniista e rinnova1nento della teologia nella opera di M. ·D. Chenu, in Synaxis 4 (1986) 183 -233.


Antonino Franco

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fundior che l'ha ispirata: da riappropriazione della teologia alla fede. Tale orientamento metodologico si realizza dapprima nella lettura storica del tomismo e del vasto movimento religiosoteologico dei secoli XII e XIII. Chenu ribadisce con forza, all'interno della sua crn1eneutica tomista, cl1e la scienza teologica è originata dalla fede, poiché è la fede che assicura la continuità tra la scienza di Dio (subalternante) e la scienza teologica (subalternata) 3• In un secondo momento, lo stesso motivo, riferito al cammino di fede della Chiesa nel mondo, dà luogo ad un approfondimento in cl1iave storico-dinamica della nozione di tradizione, intesa come presenza attuale della Parola nella fede della Chiesa. Tale concezione, con le categorie di "segni dei tempi" e di "ortoprassi" che ne articolano il significato, conferisce all'intelligenza della fede una connotazione storico-pratica, facendo sì che la prassi ecclesiale diventi il luogo teologico eminente. Il pensiero di Chenu sviluppatosi nell'ambito del superamento del concettualisn10 scolastico ma che i1on ne contesta inizialmente il modello formale di teologia, giunge, nel suo esito finale, a una sostanziale riformulazione del concetto di teologia. L arco evolutivo si polarizza intorno a due figure di teologia: la teologia come scientia fidei subalterna/a secondo la tradizione tomista della scuola di Le Saulchoir e la teologia come intelligenza critica della prassi della Chiesa. Perciò dividiamo il presente lavoro in due sezioni, corrispondenti ai due momenti fondamentali della riflessione chenuana, di cui l'evento conciliare, ci sembra, costituisca la cesura ideale. Nella prima sezione, tenendo presenti le conclusioni degli studi di teologia medievale, articoleremo le coordinate della prima figura di teologia, mettendo in evidenza altresì le tensioni e le aperture che la orientano verso un suo s11p.erarnento. Nella seconda, prendendo in esame particolarmente i lavori 1

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<(Ciò per cui la teologia è scienza è anche ciò per cui essa è inistica. La teoria della subalternazione non è altro che la formulazione tecnica di questa esigenza strutturale del sapere teologico>). M. -D. CHENU, op.

cit., 107 - 108.


L'epistemologia teologica di M. -D. Chenu

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pubblicati dal Vaticano II a oggi, descriveremo l'altra figura di teologia e le sue categorie fondamentali. Le due sezioni sono articolate secondo tino schema binario, tendente a mettere in evidenza, in ciascuno dei -due momt:nti dell'evoluzione della riflessione teologica di Chenu la correlazione fra le categorie di fede e rivelazione da una parte, e la figura di teologia che queste comandano, dall'altra. In 11n breve bilancio critico conclusivo valuteremo la coerenza intrinseca, i rischi e le possibili contraddizioni dell'opera di Chenu con il progetto di rinnovamento della teologia ch'essa vuole perseguire.

I. LA TEOLOGIA COME SCIENZA DELLA FEDE

Dalle ricerche di teologia medievale emerge chiaramente l'intenzione e la prospettiva metodologica che sostengono la riflessione del primo Chenu. La fede, con la sua natura concreta e storica, è posta alla base del rinnovamento della teologia. Chcnu, n1ostrandoci come in Tommaso il discorso scientifico della teologia si coniughi con la fede, vuole ribadire che «nella riflessione teologica, Ja coerenza tra percezione religiosa e concettualizzazione scientifica è da considerarsi una legge essenziale e non co1ne una semplice condizione favorevole» 4.

4 Jo., La positìon de la théologie, in RSPT 24 (1935) 232- 257, ora La Parole de Dieu I. La fai dans l'intelligence, Cerf, Parls 1964, 115-138: 122. (Diversi lavori cli Chenu sono stati pubblicati inizialmente su riviste di teologia, di storia e di attualità ecclesiale. Molti di essi sono oggi raccolti nei due volu1ni La Parole de Dieu I, ci.t., e La Parole de Dieu Il. L'Evangile dans le te111ps, Cerf, Paris 1964. Per le citazioni. dei saggi ivi contenuti ci serviremo di queste due raccolte, indicandole rispettivamente can le abbr. FI e ET). Cfr. Io., La théologie au X!Je siècle, Vrin, Paris 19763 , 252-273; Io., La ihéologie con11ne science au Xli/e siècle, Vrin, Pa~is 19573, 101 -108. Nella conclusione di quest'ultimo volun1e, dal titolo Evangélis1ne et théotogie, è -detto esplicitamente: «Si donc la théologie s'équipe inaintenant en discipline scientifique et assume à son service la rais-on aristotélicienne,


10 1.

Antonino Franco La fede come virtù intellettuale e come partecipazz'one al 111istero teandrico

Chenu, per risolvere le antinomie del modernismo riafferma la dottrina tomista della fede come virtù intellettuale, nell'intento di fornire in questo modo una legittimazione alla complessità della conoscenza di fede e alla sua non eterogeneità con l'oggetto teologico. La percezione realistica della fede, diventando una virtualità umana, è la condizione di possibilità del "discorso" umano sulla verità di Dio. Ciò spiega la reciproca e profonda connessione tra dato rivelato e fede nell'esercizio della scienza teologica. L'implicazione di realismo e di formalismo nell'atto di fede trova un 111lteriore giustificazione nel mistero teandrico del Verbo incarnato. Le due prospettive, della percezione concreta della fede e del principio di incarnazione, convergono in un concetto dinamico di tradizione, in cui la trascendenza dell'oggetto teologico si media con la limitatezza della conoscenza umana. 1.1. La "percezione" della fede come "anima" della teologia

Sulla scia di Gardeil l'intenzione originaria della teologia di Chenu è di dimostrare la non eterogeneità tra verità rivelata e scienza teologica 5 , Ciò è possibile se la teologia è capace di recuperare il proprio oggetto, costituito dalla assimilazione credente del dato rivelato. Chenu è convinto, in conformità aHa concezione to-

c',est qu"elle est tout entrainée par une foi exigeante, désireuse d'organiser son savoir et de satisfaire les àmes en ces nouvelles conj.onctures. La théolDgie, la science théologique, n'est concevable que par et dans une fai en pleine efficacité; :la qualité scientifìque de cette théologie se rn,esure, non .pas premièrement à la rigeur des instru1nents rationnels utilisés, mais premièrement à la puissance de la foi, assentiment et Iumière)> (p, 106), 5 Cfr. A. GARDEIL, Le d'Onné révélé et la théologie, Cerf, Paris 19322, XIX; ibid., 77-114.


L'epistemologia teologica di M. - D. Chenu

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mista di teologia come scienza subalternata, che la validità delle conclusioni teologiche dipenda dal grado di assimilazione dei «principi, del dato rivelato» 6 • La rivelazione, oggetto della scienza teologica, non è astratta dall'assimilazione credente né tanto meno è una serie di fatti e di verità trattabili "positivamente": essa è il dato «in quanto per la fede diventa un habitus soprannaturale del credente». Con queste intuizioni Chenu comincia l'opera di costruzione del suo pensiero teologico: la teologia nasce dalla fede soprannaturale ed ha in essa la sua fonte di intelligibilità. «Pas de théologie, sans nouvelle naissance». Questa frase di T. Kuhn, posta in fronte all'articolo Position de la théologie, indica in maniera sintetica il programma del progetto teologico chenuano. Da questa impostazione del problema derivano importanti conseguenze. 1) La rivelazione di Dio va concepita come dono gratuito, non disponibile all'uomo, il quale, di fronte a Dio che si rivela, ha bisogno di una elevazione intellettuale 7 • 2) Rivelazione e fede sono soprannaturali, perché il dato è «Un insegnamento che di per sé e per natura, per la natura stessa delle cose e dell'intelligenza umana, è fuori dalla presa dell'uomo» 8 • Perciò ogni espressione umana del dato rivelato non può pretendere di essere assoluta e irreformabile. 3) L'uomo per la fede possiede un amorce della realtà divina che genera in lui un costante appetito di conoscenza che, nella tensione verso il faccia a faccia, si concretizza sempre in espressioni inadeguate e imperfette 9 • 4) La teologia (fides in statu scientiae) è intelligenza della fede, mediante l'esplicitazione e la rigorizzazione del dato rivelato. L'intelligenza teologale, per la natura storico-eco-

6 M. D. CHENU, La position ..., cit., 125. 7

Cfr. 1. c. ' lbid., 123. ' Cfr. ibid., 118 - 119.


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Antonino Franco nomica della fede-rivelazione, si sviluppa e cresce storicamente, secondo i ritmi e i dinamismi del soggetto credente e giunge a delle conclusioni relativamente omogenee con il dato rivelato.

La dottrina tomista sulla fede, come habitus intellectualis, costituisce il principio delle diverse argomentazioni. «Il dono di Dio è dono a tal punto da diventare proprietà umana: la fede è un habitus [ ... ], Essa è incarnazione della ve11ità divina nel tessuto stesso del nostro spirito. Non è una pura fiducia - la fiducia di Lutero - ma una virtù, inserita in noi come una potenza lo è in una natura» 10 •

Si può fare teologia solo a partire dalla fede e mediante la fede. Per questa via si intende ricomporre, in teologia, la ragione teologica e l'assimilazione credente del dato. {<La fede sola è il luogo dove, psicologicamente e scientificamente, possono comporsi, nell'unità di un sapere, documentazione e speculazione, "autorità" e "ragioni"; perché solo essa è, nello stesso tempo, percezione realistica, primo inizio di contem·plazione divina, e assenso a delle proposizioni autorizzate>) 11.

«Fuori dalla fede, nel senso più soprannaturale del termine, la teologia non ha più consistenza» 12 , diventando solamente una astratta impalcatura di argomentazioni incapaci di mediare, nelle loro conclusioni, una persona vivente.

10 Io., Une école de théologie. Le Saulchoir, pro manuscripto, EtioHes - r<:ain - les - Tournai 1937, 71. 11 Ibid., 57. Il pensiero di Chenu si articola su questa tesi. Troviamo affermazioni in proposito ,nella quasi totalità dei suoi scritti. Nell'articolo La théologie co1111ne science au XJI!e siècle, in Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age 2 (1927) 37 -71, l'A. conclude la sua analisi del pensiero to1nista con una punta polemica contro coloro che riducono la teologia di Tommaso a un arido esercizio iintellettuale. Egli ribadisce che l'Aquinate rifiuta «il titolo di teologo a chi non ha la fede, anche se fossero accettati dalla ragione sia il dato iniziale come anche principi del ragionamento» (p. 70). 12 In., Une école ... , cit., 57; cfr. ibi·d., 59.


L'epistemologia /fJologica di M. - D. Chenu

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1.1.1. L'Incarnazione come fondamento dello statuto teandrico della fede

Chenu introduce il discorso sistematico sulla natura e il metodo della teologia, affermando che il saggio di Gardeil Le donné révélé et la théologie non è il titolo di una qualunque opera teologica, bensì il programma e «l'asse del lavoro teologico della Scuola di 'Le Saulchoir'>>. Si ribadisce in questa maniera che la teologia costruisce la sua intelligenza teologale a partire dal dato rivelato e che essa è propriamente l'intelligenza critica della rivelazione, assimilata e vissuta nella fede. Si deve pertanto analizzare la comprensione che Chenu ha del dato rivelato e della sua natura poiché esso è il fondamento della fede e quindi della teologia. Seguendo lo sviluppo storico della teologia chenuana, possiamo costatare che Chenu, dal momento iniziale agli ultimi scritti, qualifica la rivelazione come una econo1nia storica e come una historia salutis 13 •

13 Riferendoci agli scritti di taglio più specificamente metodologico, citiamo nell'ordine cronologico: Le sens et les leçons ,d'une crise religieuse, in La vie intellectuelle, 10 déc. 1931, 356-380: 364; La position de la théologie, in RSPT 24 (1935) 232 - 257, ora in FI, cit., 115 -138 : 128; Une école de théologie .. ., cit., 58 - 59; Dimension nouvelle de la chrétienté, Paris, Juvisy 1938, in ET, cit., 87 -107; La théologie est-elle une science?, Arthème Fayal'd, Pari,s 1957. In questa opera si dà al discorso teologico un taglio fondamentalmente intellettualistico. La nozione di rivelazione oome ,economia storica è però esplicitamente menzionata. Mystère et raison, in Le n1ystère. Se1naine des intellectuels catholiques 1959, Paris 1960, 158 - 171. Qui il discorso .sull'economia salvifica è introdotto per din1ostrare l'omogeneità tra fede e teologia. Si dà rparticolare attenzione al principio cristologico come fondamento dello statuto teandrioo della fede e di tutte ,Je sue espressioni. Tra i saggi più .recenti segnaliamo: la raccolta Peuple de Dieu dans le monde, Cerf, Paris 1966, cc. 2 - 3; Histoire du salut et historicité de l'ho1nme, in La théologie du renouveau, I, Cerf, Paris 1968, 21- 32; Storicità e imtnutabilità della realtà cristiana, in L'ateisn10 conte1nporaneo, IV, SEI, Torino 1970, 145 - 161; Définition de l'unité de l'enseignement, in


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Il referente teologico di queste categorie è il fatto e il mistero dell'Incarnazione percepito da Chenu come il principio che definisce lo statuto teandrico dell'economia cristiana. L'applicazione del principio cristologico alla realtà cristiana non scaturisce ultimamente da un particolare approfondimento della cristologia. Chenu subisce, fin dall'inizio, l'influenza della teologia francese degli anni '40-50 che, mediante un ritorno alle fonti biblico-patristiche, aveva contribuito a fare riscoprire il fatto che la rivelazione e il cristianesimo sono un'economia storica 14 • Per approfondire quindi la natura del dato rivelato si devono precisare i livelli di comp.rensione che il termine "econo· mia" assume nel linguaggio dell'Autore. Il termine "economia", riferito alla realtà cristiana, connota in primo luogo il riferimento del mistero di Dio al tempo ed alla storia. Il Verbo di Dio, per instaurare con l'uomo un dialogo di comunione, ha scelto la via dell'Incarnazione e della solidarietà con la condizione umana. Nel Verbo incarnato l'incontro tra Mistero e storia segna il momento culminante dell'economia salvifica, perché il Verbo di Dio, assumendo la natura mnana e divinizzandola si pone di fron,te a tutto il genere umano in un «dialogo esser1ziale» 15 • L'economia della salvezza è la Parola di Dio «che entra nel tempo, nel corso di una storia» 16 e che si esprime in una serie di iniziative gratuite, «il cui tratto essenziale è di essere senza

Seminarium. 2 (1971) 267 ~279; Orthodoxie et orthopraxie, in Le service théologique dans l'Eglise. Mélanges offerts à Y. Congar pour ses soixante - dix ans, Ced, Paris 1974, 51- 63. 14 Cfr. J. ·DANIELOU, Les orientations présentes de la pensée religieuse, in Etudes (avril-juin 1946) 5-21; Y. CONGAR, Situation et tdches présentes de la théologie, Cerf, Paris 1967, 11-40; In., Le nion1ent 'écono1nique' et le mon1ent 'ontologique' dans la sacra doctrina. (Révélation, Théologie, Somme théologique), in Mélanges offerts à M. -D. Chenu, n1aitre en théologie, Vrin, Parls 1967, 136-143. is M. -D. CHENU, Les sacrements ,Jans l'écono1nie chrétienne, in ·FI, cit., 324. 16 Io., Une école ... , cit., 58.


L'epistemologia t'eologica di M. - D. Chenu

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ragione [ ... ]: contingenze soavi e terribili di un amore che non ha nessun conto da rendere dei suoi benefici e dei suoi abbandoni» 17 • Il Mistero nel tempo scandisce la storia umana, nella sua totalità, in tre momenti essenziali: «economia creatrice e governatrice; Incarnazione e Redenzione; in fine economia dei sacramenti e del sacrificio» 18 , per una presenza della grazia in tutta la durata della storia. In altri termini, "economia" significa che Dio rivela il suo mistero e dice all'uomo la sua parola, in una storia santa al centro della quale c'è il fatto per eccellenza; l'Incarnazione del Verbo, pienezza della rivelazione del Padre. Il credente pertanto, quando accoglie la rivelazione, «aderisce a dei fatti e anche a delle dottrine; o meglio le sue dottrine sono impegnate in dati di fatto che ci consegna la storia» 19 • Queste affermazioni sulla strutturale economicità della rivelazione non si con1pongono, fino al Concilio, con un concetto di rivelazione intesa come il complesso delle verità dogmaticamente definite. Negli scritti sistematici fino al 1937 la dimensione storicoeconomica della rivelazione è sempre affermata contestualmente alla problematica della storicità noetico-epistemologica delle formulazioni dogmatiche e della teologia, e della loro relativa omogeneità con il dato rivelato 20 • E' evidente, in questa impostazione, la dipendenza dalle problematiche suscitate dal modernismo, nel tentativo di superare le antinomie tra storia e dogma, ragione e fede, natura e grazia, senza che uno dei due termini venga eliminato 21 •

Jbid., 61. In., La position ... , cit., 130. 19 Io., Le sens et les leçons .. ., cit., 364. :w L. c. 21 Questo tentativo ha come punto di riferimento teorico la sintesi tomista. Per Chenu, Tommaso ha potuto operare «una ·accettazione franca 'e oordiale dell'attività razionale, in campo filosofico e teologico, [ ... ] perché (tale accettazione) riposa sulla metafisica della causa seconda, pienamente ,causa nel suo ordine, per la più grande gloria della Causa 11

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In seguito, negli anni '40 e '50, la stessa prospettiva fornirà la giustificazione teologica deHa non eterogeneità .della grazia con le realtà terrestri. Chenu ribadisce che il fatto dell'Incarnazione «decide dell'economia della salvezza, introducendo nella più metafisica delle teologie il suo coefficiente essenziale» n Ciò, nella prospettiva del primo Chenu, significa: che la vita divina infusa nell'uomo non riduce né menoma la sua struttura originaria, ma la eleva come tale al piano soprannaturale 23 ; e che la legge dell'Incarnazione di Cristo diventa legge e paradigma dell'incarnazione della vita divina nel corso dei secoli, nella Chiesa 24 , La conseguenza che se ne trae riguarda imn1ediatamente

il piano metodologico: l'economicità della rivelazione si applica alla complessità delle strutture conoscitive umane, quando operano all'interno della fede, In questo senso il principio dell'incarnazione fonda l'implicazione di formalismo e realismo nelle enunciazioni dogmatiche, definite «incarnazio11e in concetti della Parola di Dio» 25 e quindi giustifica ultimamente lo sviluppo del dogma.

prima}). Le sens et les leçons ... , cit., 370; cfr. ;bid., 373-374. Tali osservaz·ioni individuano con precisione i presupposti metafisici che stannu alla base degli inipasses teorici della crisi modernista, in taluni suoi esponenti, ,5pecialment·e in A. Loisy. Questa prospettiva ha trovato conferma in un saggi.o di C. Tresmontant, dedicato al modernismo. L'A., dopo aver analizzato alcuni passaggi dell'opera di Loisy, Les origines du Nouveau Testa1nent, affer1na: «Loisy part secrète111ent du principe suivant: ou bien up_e causalité est humaine, ou bien elle est divine, n1ais un effet ne peut pas à la fois étre causé par J'honune et causé par Dieu. Si c'est l'homn1e, alors ce n'est pas Dieu. Si c'est Dieu, alors ce n'est pas l'homme)}. C. TRESMONTANT, La crise 111oderniste, Seuil, Paris 1979, 44 ~ 45. 22 M. D. CHENU, Le sens et les leçons .. ., cit., 364. 23 Cfr. Io., Dilnensìon nouvelle .. ., cit., 92. 24 L. c. 25 Io., Une école .. ., cit., 60. Cfr. A. FRA.Neo, Realis1no to1nista .. ., cit., 185 - 205,


L'epistemologia teologica di M. - D. Chenu

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L'argomentazione si articola in maniera lineare. Il Verbo, incarnandosi e assumendo la natura umana nella sua interezza, diventa la parola umana di Dio. Secondo l'assioma di Agostino: «Per hominem more hominis Deus loquitur» 26 , cui corrisponde quello epistemologico e ontologico di Tommaso: «Omne quod recipitur in aliquo per n1odun1 recipientis recipitur in eo}). Quando l'uomo entra in comunione con il Mistero, che è sempre offerto in forma umana (fides ex auditu), è posseduto a tal punto dalla Parola «ch'egli penserà per essa e in essa ... » 27 • Il dono di Dio è dono a tal punto da diventare proprietà umana: la fede è un habitus humanus. La rivelazione come economia storica, con il suo regime incarnazionistico, quando è accolta nella fede, produce una «immanenza menta/e,, 28 della Parola. L'obiettivo è quello di introdurre la ragione con le sue strutture all'interno della fede per giustificarne la legittimità epistemologica 29 • <(La fede risiede nella ragione così abilitata a l1'EoÀoyELv» 30.

Vanno letti da questo punto di vista i termini implantation s'invertebrer, sève, attribuiti all'azione della Parola nell'intelligenza umana 31 •

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De civitate Dei, XVIII, 6, 2.

v M. D. CHENU, Une école .. ., cit., 70. Lo -stesso motivo intellettualistico ricorre anche in altri scritti dello stesso periodo e anche posteriori di qualche anno. Segnaliamo La position de la théotogie, cit., 125; La théologie est - elle une science?, cit., 35; La position théologique de la sociologie religieuse, in Paroisse et Mission 5 (1950) 5 - 9, ora ::i.n FI, cit., 59 · 62: 60; Mystère et raison, cit., 161. 28 Io., Vérité et liberté dans la fai, in Esprit (1959) 598- 619, in FI,

cit., 337 -359: 357. Sottolineatura nostra. 29 «Or la rraison, la raison théologique et théolog·ale, est entrée avec toutes ses ressources, y compris sa puissance ide conclure». Io., Une école .. , cit., 72. Per l'applicazione al dogma e alla Scrittura dello stesso principio: cfr. ibid., 62; Vérité et liberté .. ., cit., 348. 30 Io., Une école ... , cit., 70. 31 Io., St. Thomas d'Aquin et la théologie, Seui!, Paris 1959, 66-67.


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1.1.2. La tradizione come mediazione storica del!' intelligenza della fede. La presa di coscienza della dimensione storico-economica del dato rivelato (riferita prevalentemente alla complessità della noetica umana) è per Chenu la via per superare i vari dualismi presenti nella teologia. L'opposizione fra teologia positiva e teologia speculativa, e la giustapposizione tra teologia mistica e teologia speculativa, a livelli diversi, risultano fittizie. La prima è insostenibile per il carattere propriamente storico della rivelazione; la seconda per il fatto che la ragione teologica, lungi d'all'essere una impalcatura dialettica estrinseca alla fede, è «una armatura interiore che la fede si crea nella sua divina e umana sanità intellettuale» 32. Ma l'obiettivo principale della sottolineatura della dimensione storica della rivelazione è di giustificare lo sviluppo e la relatività storica di tutte le espressioni conoscitive della fede (prassi sacramentale, formule dogmatiche e teologia). Ora, nonostante il rapporto tra la storicità della rivelazione e la storicità della teologia sia qui esplicitato unicamente in rapporto alla struttura psicologica dell'atto di fede, queste pri· me intuizioni sulla natura economica della fede-rivelazione in· traducono una prospettiva che si rivelerà feconda nello svilup· po della riflessione di Chenu. Ci riferiamo all'introduzione di un concetto storico-dina· mico di tradizione, tendente a superare l'idea di tradizione co· me fedele custode di un deposito rivelato statico e immobile. «(La tradizione) Non è solamente una quantità di 'credenda', secondo una concezione empirica e statica dei loci, ma la presenza dello Spirito nel corpo sociale della Chiesa, divina e umana nel Cristo. [ ... ] ,La tradizione non è un aggregato di tradizioni ma rm principio di continuità organica, di cui il magistero è l'infallibile ·strumento, nella realtà teandrica della Chiesa corpo inistico di Cristo» 33. Io., Une école ... , 73. «Nous ne cédons pas à la défaiUance de certains thomistes .qui crurent devoir batir une "theologia mistica" par une extrapolation de la théologie .spéculative». lbid., 71. 33 lbid., 66. 32


L'epistemologia teologica di M. - D. Chenu

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La Chiesa, per l'ispirazione dello Spirito Santo e secondo

l'economia psicologica del soggetto umano, vivendo nella storia, ricomprende il Mistero con pe:ccezioni di fede sempre nuove: così facendo essa rende presente e "prolunga" la Parola nel tempo. «Essa (la tradizione) è, nella fede, la presenza stessa della rivelazione» 34 •

Questa concezione di tradizione, maturata nel primo Chenu come frutto di una riflessione sulla storicità della rivelazione in rapporto alla complessità della conoscenza di fede, introduce un elemento che sposterà l'asse della sua teologia da una .attenzione prevalente al dogma, come oggetto teologico, alla vita della Chiesa, depositaria e testimone, nella fede, della Parola. Le due prospettive non sono articolate tra di loro. Il discorso metodologico di Chenu in questi anni resta ancorato alla figura tomista di teologia e non riesce a rendere operante dentro la problematica tradizionale il principio cristologico e le categorie storiche da esso indotte. La prospettiva cristologico-incarnazionistica non modifica di fatto lo schema tradizionale. La verifica di quanto è stato detto si trova in alcuni scritti significativi, pubblicati nel 1937. Nell'articolo L'unité de la fai. Réalisme et formalisme, riaffermando la dottrina classica della Summa Theologiae (II' Il", q. 1, a. 2), Chenu sostiene che ex parte credentis l'oggetto della fede e quindi della teologia sono le formule dogmatiche. L'affermazione del realismo intende evitare la riduzione intellettualistica; resta fermo però che il teologo, nella costruzione della sua scienza, lavora esclusivamente sulle definizioni dogmatiche della Chiesa. Il motivo intellettualistico invece è pressocché assente nell'articolo Dimension nouvelle de la chrétienté. Qui è dichiarato che: «La teologia ha per oggetto primo la vita stessa della Chiesa, in pensiero ·e in opere. Ciò costituisce la sua materia propria e immediatamente ispiratrice: fare teologia, è essere presente 34

lbid., 67.


20

Antonino Franco al dato rivelato nella vita presente della Chiesa e nell'esperienza attuale della cristianità» 35 .

In questo articolo non si fa riferimento esplicito alla ragione teologica e alle formule dogmatiche. L'assenza non si spiega solo per il fatto ch'esso si presenta come una indagine sociologica sui mutamenti del!' epoca e sulla nuova coscienza emergente nella classe operaia. L'articolo infatti contiene affermazioni esplicite sul metodo teologico. La ragione è che, nonostante l'asserita necessità di un ampliamento dei luoghi teologici, Chenu non dispone di un modello alternativo a quello classico che pure percepisce come inadeguato. La composizione fra le due istanze non emerge nemmeno dal saggio Une école de théologie. Le Saulchoir, che pure si propone come un tentativo di sintesi. Vi si ripete che la fede è «assenso a delle proposizioni determinate» 36 , e che conseguenza della storicità della rivelazione è che <da fede trova la sua espressione più autentica in enunciati, solidali con la storia [ ... ] ,, 37 • Anche qui la teologia-scienza argomenta e deduce a partire dalle formule dogmatiche. E tuttavia, quando si affronta il problema della tradizione, dopo l'affermazione che essa non può essere concepita come un repertorio di verità o utilizzata come «una specie di prova esteriore per la verità di tale o di tal altro dogma», si dice espressamente che la tradizione come la Scrittura ((è per se stessa la propria verità» 38 • Essa «è prova nel senso c11e è la coscienza cristiana permanente, nella Chiesa, e serve da criterio per giudicare ogni innovazione)> 39 , essendo portatrice della presenza dello Spirito. «(La tradizione) non è 1solamente conservazione di dogmi elaborati, di risultati acquisiti o di decisioni prese nel passato; 35

In., Dimension nouvelle ... , cit., 107.

36

Io., Une école .. ., 60. lbid., 64. lbid., 66. L. c.

37 38 39


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ma prin·cipio creatore di intellegibilità e fonte inesauribile di vita nuova>> 4tl.

Queste affermazioni mostrano l'istanza più profonda di Chenu, la cui tematizzazione avrebbe richiesto una rifondazione della metodologia teologica. In questa prospettiva le formule dogmatiche non sono più l'equivalente speculare del Vangelo: l'attenzione si sposta sulla coscienza di fede della Chiesa in atto di testimonianza evangelica nella storia. Il teologo costruisce e organizza la sua intelligenza critica a partire dalla vita presente della Chiesa: la fede della comunità cristiana, in tutte le sue espressioni, è la presenza attuale della rivelazione 41 • Le formule dogmatiche restano ancora l'oggetto immediato della riflessione teologica, in quanto la fede ha bisogno di tali mediazioni per essere co11osciuta e proclamata. Esse però vanno concepite, per una loro giusta collocazione, come l'espressione tematica della fede vissuta della Chiesa, nel suo esser presente nella storia 4'. 1.2. La teologia come scientia fidei La prima figura di teologia operante nel pensiero di Chenu si organizza e si articola in sintonia spirituale e metodologica con lo schema scientifico della teologia, così come è proposto dagli scritti di Tommaso d'Aquino. Voglian10 qui riassumere brevemente le articolazioni e i passaggi logici della proposta.

"° L.c.

cette Parole je l'entends [ ... ] aujourd'hui dans l'annonce ac· tuelle 1de l'Evangile: c'est dans la communauté des croyants selon Ia succession apostolique réalisée .dans une ·societé visible, dépositaire et dispens,~ttrice de la Révélation, demeure de l'Esprit ·selon la promesse du Christ, que cette Parole m'est présente, tant ipour l'écouter dans Ia foi que pour la constnlire en savoir théologique. L'Eglise est 1e lieu spirituel du théologicn qui trouve en elle et 'son donné et sa lumière)). Io., La théologie est*elle une scìence?, cit., 44. 42 Cfr. Io., La positìon de la théologie, cit., 125; Io., Une école ... , 60·61. 41 « [ ... ]


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La teologia è una scienza atipica, perché fonda la sua costruzione argomentativa partendo da principi non evidenti in sé, che 11anno però una loro consistenza veritativa in quanto garantiti dalla testimonianza di Dio stesso. Tale testimonianza si accoglie e si percepisce nell'atto di fede. Il dato rivelato, quindi, assume all'interno della scienza teologica il ruolo che nel sillogismo scientifico è ricoperto dai principi evidenti 43 • La realtà divina offerta per grazia nell'assenso al Mistero, esprimendosi nelle strutture noetiche della •intelligenza umana 44 , si formalizza in enunciati che esprimono e garantiscono l'esistenza mentale di tale comunione al Mistero 4s. Per Chenu quindi, nella prima fase della sua ricerca, l'oggetto primario sul quale lavora il teologo è la rivelazione, mediata dalle formule dogmatiche che incarnano, nella fragilità composita della loro struttura, la luce della divina rivelazione. L'opera scientifica del teologo consiste in un procedimento discorsivo che dagli articoli-principi deduce delle conclusioni ad essi omogenee 46 • La teologia scaturisce dall'assenso al Mistero e dal lumen fidei, che, "invertebrandosi" nelle strutture conoscitive della ragione umana, l'abilita a percorrere un cammino di intellegibilità all'interno del Mistero stesso. Dato che per il nostro Autore «la deduzione è l'operazio-

43

Così scrive il ,nostr:o A. a proposito del ruolo della conoscenza di fede nella costruzione della teologia: ,,C'est donc là quelque chose de préalable à la scicnce et à Ia ieonstruction rationnelle, quelque chose qui 1demeurera la source toujours fra'ìche d'une élaboration toujours inadéquate, en son rationalisme, aux initia.les percept1ons>>. La position de la théologie, cit., 124. 44 Vd. In., La raison psycologique du développen1ent du dogn1e, in RSPT 13 (1924) 44 · 51, in FI, dt., 51-58; ID., Une école ... , cit., 61 - 62. 45 Cfr. Io., Vérité et liberté ... , cit., 357. 46 {(Le savoiT théologique compor,tc lui-aussi 1d'ans son aménagement essentiel, du donné et du construit; ou plus précisement, puisque une science suppose ses principes et ne les constitue pas, la théolog1e comme scicnce suppose un donné en dépendance duquel elle construit». La position de la théologie, cit., 125.


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ne caratteristica della scienza, là dove il processo di razionalizzazione ha la sua efficacia propria» 47, è chiaro allora che la scienza teologica si configura come un'argomentazione discorsiva concatenata in una serie di sillogismi. L'insistenza sulla storicità dei fatti della rivelazione e soprattutto la consapevolezza che la scienza teologica è originata, come appetito di intelligenza, dalla fede che è dono soprannaturale oltre che virtus e habitus umano intellettuale, intende correggere gli esiti intellettualistici mediante una concezione della fede, che, riferendosi a Tommaso, ne accentua il carattere di percezione concreta, quasi mistica e, almen·o verbalmente, storica 48 • La teologia fa sì che le verità rivelate, mediante il lavoro dell'argomentazione e del sillogismo teologico, passino da una ·percezione interiore personale e confusa «ad una esp.ressione universale, giustiificabile [ ... ], costituendo un dato teologico valido fuori dalla mia interiorità, trasmissibile per via di ins·egnarnento didattico» 49 • Il rapporto alla fede non permette al processo discorsivo del sillogismo teologico un modo di procedere autonomo; esso ha senso se resta sospeso alla fede, la quale, creando «Una elevazione spirituale» 50 nell'uditore della Parola, «Si radica nel tessuto stesso del nostro spirito» 51 • La ragione speculativa, con le sue argomentazioni sulle enunciazioni dogmatiche, è qui sentita come lo strumento pri-

47 ID., La théologie est-elle une science?, ·Cit., 51. 48 ID., La pasition de la théologie, cit., 116. 49 In., La théologie est-elle une science?, cit., 43. so lbid., 32; Io., La position .. ., cit., 123. 51 Chenu sottolinea a più riprese questa idea della trascendenza assoluta dell'oggetto di ifede e i limiti della ragione teologica. ·Nei suoi studi di teologia medievale, met·te molto in evidenza gli apporti del-la tradizione agostiniana e .di quella dionisiana 1della via negativa sulla teologia tomista e medievale. Vd. La théologie con1n1e science au XII/e siè.cle, cit., 44-86; Introduction à l'ètude de St. Tho111as d'Aquin, Vrin, Paris 19743, 44-51; La théologie au Xlle siècle, cit., 133. L'A. dedica inoltre, nel volun1e La théologie est-elle une science?, tutto un paragrafo del c. 3 al "Silenzio di Dio" (pp. 39-40).


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mario dell'intelligenza della fede, perché deduce, con rigore logico, l'intelligibilità implicita nelle verità di fede. Ci s·embra di poter affermare che fino al Concilio Vaticano II il pensiero di Chenu resti legato alla concezione di scientificità subalternata della teologia, almeno nei testi che riguardano la natura e i metodi del sapere teologico. Nel 1957, ribadendo che la scienza teologica si costruisce sull'assenso di fede al dato rivelato, così scrive testualmente: «E' questo un dato ch'io non posso- neanche immaginare, al di fuori di questo magistero div1no, determinato e esercitato nella sua Chiesa. Ricevere questi oggetti di fede, farne I'in~ ventario, è il pri1no atto del teologo. Non sono forse questi "a1~licoli di fede" i principi del ,suo sapere?» s2.

E' ancora l'epistemologia aristotelica che definisce la ragione teologica, fornendo alla fede quel tessuto razionale di cui ha bisogno per essere un atto di conoscenza un1ana 53 . Si deve certamente riconoscere un tentativo di bilanciamento reciproco fra la teoria della fede come percezione concreta e la teoria del concetto: la prima intende preservare la seconda dall'esito intellettualistico, la seconda corregge il possibile esito mistico e irrazionale della prima. Tuttavia, malgrado l'introduzione di istanze storico-esistenziali, la ragione teologica resta strettamente legata all'epistemologia greca, nella sua rielaborazione tomista. «Per i ragionamenti presentati fino a questo momento, il riferiinenio costante è stato alla logica e alla episte1nolo-gia greche, sia .nel platonismo sia nell'ari'stoteli.smo [ ... ]; di fatto è

52

Io., La théologie est-elle une science?, cit., 23. Il volun1e La théologie est-elle une science?, che si presenta come uno studio teoretico-sistematico sullo statuto della teologia, quando aJfronta il problema della ragione teologica, 1nella varietà delle sue forme (sillogis1no teologico, riduzione inferenziale, assiomi, argomenti di convenienza e risorse sensibili non razionali), ci propone can le s·tesse rparole quanto era stato -scritto rnel saggio Introduction à l'ét.ude ,de St. Thomas d'Aquin circa Je attività discorsive messe in atto dalla teologia tomista. Cfr. In., La théologie est-elle une science?, cit., 63 - 85; Io., Introduction à l'étude .. ., cit., 150-164. 53


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alla ragione greca e ai suoi metodi che ricorre la teologia occ1dentale)) 54.

In questa figura di teologia ciò che rende possibile il costituirsi del sapere teologico, in quanto inte/lectus fidei, è la ragione discorsivo-teoretica che, ehborando le verità di fede proposte con autorità dalla Chiesa, vi apporta ulteriori lumi «sia p.er ciascun,o dei suoi elementi, in una specie di razionalizzazione sacra, sia organizzando i diversi elementi tra di ]oro in un si~ sten1a» 55 . L'elaborazione razionale della teologia, cercando le "ragioni" dei fatti gratuiti della salvezza, apporta un incremento di intelligenza del dato rivelato, secondo il dinamismo tipico delle strutture conoscitive umane 56 • La cogitatio razionale, con le sue leggi proprie, è dunque l'operazione maggiore dell'intellectus /idei 57 • Quando Chenu afferma nel suo trattatello metodologico Une école de théologi'e. Le Saulchoir, del 1937, che d luoghi del credente e del teologo sono la vita positi"a della Chiesa» 58 , egli intende solo collocare gli enunciati dogmatici all'interno della fede della comunità credente, ma mantiene che gli enunciati costituiscono l'oggetto primario dell'indagine del teologo. A prova di quanto abbiamo affermato stanno le seguenti constatazioni.

54 ID., 55 ID.,

La théologie est~elle une science?, cit., 75. Les théologiens et !es évéquies, Colloque d'Abresle 1963, in FI,

cit., 297 -~98. 56 «Le théologien, croyant adulte, .lui, cherche des raisons, et pour les bien chercher pose des questions [ ... ]. Puisque la question est posée, il faut répondre. Ce ne sera point par une manière d'exstase hors des voies et des moyens de l'esprit, par un transport mystique hors de ma condition [ ... ]; la communication se fait, le <lialogue se tient à mon niveau psycologique». Mystère et raison, cit., 164. S'l Su questo punto Chenu è esplicito, egli scrive: «Il reste que le raisonnement est une opération n1ajeure en théologie, s'il est vrai que ce savoir camme dans ']es autres, il fournit les moyens d'atteindre ]es ressorts intelligibles des choses, d'en atteindre les causes)). La théologie iest-elle une science?, cit., 63. ss In., Une école ... , cit., 57.


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Come si è detto Chenu, quando parla di storicità del dato rivelato, negli scritti prima del Concilio, si riferisce prevalentemente alla relatività del dogma, fondata sull'assoluta soprannaturalità del Mistero e sul carattere analogico della conosoenza umana di esso 59 •

a)

b)

Inoltre, quando egli distingue i differenti compiti del teologo, sostiene che «il suo primo ruolo è quello di assistere il Vescovo nella sua funzione apostolica di testimone qualificato della Parola di Dio, di custode e trasmettitore delle verità di fede» "'. Il teologo è concepito più in funzione del carisma regolatore del magistero e quindi del dogma, ohe a servizio della fede della comunità cristiana. Chenu concepisce il magistero ed il suo carisma sempre all'interno della fede vissuta del popolo di Dio 61 ; il fatto che il teologo eserciti il suo discernimento a partire dalla fede del1a Chiesa, è qui l'ultimo servizio 62 • Egualmente, nell'articolo Les théologiens et les évèques, pubblicato nel 1961 in vista del Concilio, il nostro Autore indica come compito del teologo quello di lavorare «sugli enunciati e il contenuto della fede da trasmettere in buona e feconda intelligenza» 63 : un compito linguistico-filologico per calibrare i vocaboli della tradizione biblica e ecclesiale (definizioni) e così offrire al vescovo gli strumenti linguistici appropriati per annunciare la Parola in maniera culturalmente comprensibile, re-

59 60

Cfr. l. c.

Io., Les théologiens ... , cit., 300. Cfr. Io., Une école ... , cit., 66. 62 In un articolo del 1967, pubblicato in Concilium, J'A. riprende aHa lettera il brano del saggio Les théologiens et les éveques, concernente il compito filologico del teologo. Qui Chenu, pur restando tenuemente legato all'idea che il teologo è l'assistente tecnico del vescovo, colloca il compito filologico all'ultimo posto. L'intelligenza interiore della Parola di Dio, in atto nella testimonianza di fede del popolo di Dio nel suo dia"logo profetico con il mondo, è ora il primo e il più importante com~ pito della teologia. Il secondo è quello di elaborare «Una visione del mondo nella quale si rifranga e si impegni la luce della fede». La théo· logi1e camme science ecclésiale, in Conciliuni 21 (1967) 88. 63 Io., Les théologiens ... , cit., 294. 61


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stando fedele ai contenuti originari della tradizione apostolica"Non si fa ancora cenno al fatto che il teologo lavora e riflette sulla fede viva che il popolo di Dio professa nel suo cammino storico. Si può affermare che, nella produzione teologica precedente il Concilio, il modello di teologia cui Chenu continua a riferirsi è quello classico. In questo modello egli iscrive le sottolineature originali concernenti il primato della fede e il suo carattere esperienziale e sovraconcettuale (che egli comprende come un recupero dell'originaria posizione tomista), e il principio dell'incarnazione. In questo modo si cerca di risolvere il problema della storicità, intesa come continuo sviluppo dell'intelligenza della fede, senza però rinunciare al quadro teorico complessivo della teologia classica. Le nuove intuizioni si consolidano già, nella fase precedente il Concilio, attorno al tema della tradizione della Chiesa come luogo di intelligenza progressiva della rivelazione, in cui i due poli della fede (percezione soprannaturale e concettualità umana) e del principio di incarnazione (realtà divina e realtà umana) si mediano concretamente. L'allargamento dell'intellectus fidei, oggettivamente postulato da queste istanze, si esprimerà nella produzione teologica successiva al Concilio, in un superamento del modello classico di teologia. 1.3. Risultati e prospettive del prjmo Chenu A conclusione della prima sezione vogliamo ricapitolare brevemente la posizione del primo Chenu. La teologia chenuana è mossa originariamente dall'intento di restituire alla teologia il suo carattere concreto e storico in quanto sapere che dipende dalla fede. Ciò nel quadro del questionamento proprio della teologia tradizionale. La soluzione del problema è elaborata mediante i principi del realismo della fede e dell'inadeguatezza e della relatività dei concetti umani di fronte al mistero di Dio (formalismo).

64

Cfr. I. c.


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A sua volta la struttura della fede è pensata a partire dal principio dell'incarnazione, che costituisce il fondamento ultimo del carattere complesso (realismo e formalismo) dell'atto di fede. Fra le due prospettive, quella epistemologico-psicologica della fecle e quella teologica dell'Incarnazione, non si produce però u11a coerente mediazione. Di fatto la problematica dominante di questa fase della riflessione di Chenu è costituita dalla storicità della comprensione della fede e il suo sviluppo approda a una concezione storico-dinamica 'di tradizione, in cui convergono tutte le istanze suddette. L'insufficiente mediazione tra la problematica epistemologica e il principio cristologico spiega l'indeterminatezza della soluzione proposta. Le nuove istanze non producono una problematizzazione della figura classica di teologia che rimane il quadro formale in cui esse si iscrivono e in cui non trovano una adeguata giustificazione. Nel secondo Chenu si assisterà all'abbandono della problematica scolastica e all'approfondimento del concetto di tradizione in prospettiva storico-pratica 65 •

65 Vorrem.mo citare un passaggio della prefazione all'edizione italiana dcl volume Une école de théologie. Le Saulchoir, scritto da Chenu nel febbraio 1981. L'A. rivisita le tematiche del volume ~n maniera unitaria. La chiave di lettura unica è ormai la storicità della Parola di Dio nella vita di fede della Chiesa, vista come luogo di intellegibilità teologale e teologica. Scompaiono i riferimenti alla scientificità della teologia e alle formule dogmatiche come principi dell'argomentazione teologica. Così il testo: ((In primo luogo, la teologia, intelligenza della .fede, si sviluppa nella storia, perché ·la fede in se stessa ha per oggetto la Parola di Dio nella storia, e non un'ideologia astratta, in un insegnamento intemporale, disceso dal cielo e conservato in vitro. Questa è l'economia del Cristianesimo: Dio è entrato nella storia, attraverso un'incarnazione per la quale .si compiace di assumere tutte 1e condizioni dell'uomo, eccetto il peccato, e innanzitutto la temporalità. L'incontro così realizzato prosegue nella costituzione della comunità da Lui fondata e che, grazie alla stessa provocazione delle culture che si sviluppano nel corso dei secoli, prende conoscenza del dato rivelato, non soltanto delle proposizioni insegnate, ma di una persona che si n1anifesta mediante lo Spirito che ha inviato. Così il divenire storico è consustanziale al "mistero",


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La ridefinizione del concetto di teologia che questa svolta comporta rifletterà le ambiguità ereditate dalla mancata riflessione sul concetto di storicità nel suo significato ontologico e teologico.

II. LA TEOLOGIA COME INTELLIGENZA CRITICA DELLA PRAS· SI DELLA CHIESA

2.

La dimensione storico-pratica della fede

L'apertura a una concezione storico-dinamica di tradizione è stato l'esito della teologia del primo Chen.u. Il pensiero del secondo si sviluppa e si determina progressivamente a partire da questa categoria teologica, reinterpretata alla luce della ecclesiologia del Vaticano II, in chiave storico-prassistica. Il principio cristologico applicato alla dimensione missionaria della Chiesa nel mondo, è la molla che muove il cammino della tradizione verso nuovi orizzonti di intelligibilità teologale. In questo contesto si colloca la nuova concezione di tradizione e le categorie di segni dei tempi e ortoprassi, che, indicando le prospettive della testimonianza e dell'azione della alla Chiesa che ne è H soggetto portante, alla teologia che, in pensiero e in azione, ne è l'espressione. Non bisogna renderle atemporali per comprenderle, ma piuttosto accettare la relatività che la storicità comporta. [ ... ] Seconda posizione: la teologia emana dalla fede, nel senso più rigoroso del termine, in ogni credente, più profondamente nella Comunità dei credenti. Questa comunità è gerarchica, e il suo 1nagistero è una condizione del suo comportamento, come la colonna vertebrale è interna al corpo; ma non di meno la sua intelligenza teologale trae la propria qualità e propri valori da se stessa e non dal potere dell'istituzione. [ ... ] Le esperienze della .fede vissuta, nel Popolo di Dio, sono così il luogo eminente della teologia». Questo testo è la tra1d'uzione letterale dell'originale francese, fornitoci dall'Autore. Nella traduzione italiana di N. F. Reviglio ci sono delle piccole variazioni che, a nostro avviso, mitigano il pensiero di Chenu. Cfr. M. ~D. CHENU, Le Saulchair. Una scuola di teologia, Maric-tti, Casale Monferrato 1982, XXXIV -XXXV.


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Chiesa nel mondo, determinano un'epistemologia teologica storico-pratica della fede. 2.1. La fede del popolo di Dio: tradizione viva del Vangelo e luogo di intelligibilità teologale Le discussioni conciliari e i chiarimenti operati dalla Gaudium et Spes e dalla Dei Verbum, rispettivamente sulla missione della Chiesa nel mondo e sulla tradizione, offrono all'Autore l'occasione di dare una nuova sistemazione alle sue precedenti intuizioni sulla tradizione come presenza storica della rivelazione. Per capire l'idea di tradizione, che può considerarsi la categoria sintetica del pensiero di Chenu dopo il Concilio, è opportuno restituirne il contesto logico. Si è detto che l'Autore, mettendo in luce la centralità della Incarnazione del Verbo nell'economia salvifica, concepiva il fine di tutta l'opera di Gesù in termini di divinizzazione dell'uomo, e più precisamente, di incarnazione continua del Cristo nella storia umana. «Se Dio si incarna per divinizzare l'uomo è necessario che Egli prenda tutto nell'uomo dall'alto in basso della sua natura; non sarebbe -riscattato, non sarebbe divinizzato ciò che nell'uomo ·restasse ai margini della Sua impresa e 1d:eHa Sua assunzione» 66.

Tutti gli spazi della condizione umana debbono essere penetrati dal Mistero del Cristo, per essere redenti. La salvezza offerta da Gesù non si rivolge all'uomo staccato dalla storia, concepito come essere intemporale e individuale. Queste affermazioni di principio sul rapporto natura-grazia e sulla redenzione sono pensate all'interno di una antropologia, in cui l'uomo è caratterizzato da una strutturale dimensione sociale, derivante dal fatto ch'egli «consustanzialmente legato alla materia, non l1a essere, coscienza e perfezione, se r1011 nella misura in cui prova e sente la sua esistenza nel mondo» 67 • 66 67

M. - D. CHENU, Dùnension nouvelle ... , cit., 91 -92. Io., Histoire 1du salut .. ., cit., 30 - 31.


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L'uomo, come essere corporale, è solidale con il cosmo. La sua perfezione consiste nel vivere tale dimensione in piena socialità, cercando di realizzare, nella concretezza del suo esistere nel corpo e nel mondo, il pieno equilibrio ontologico e morale della sua natura 68 • Anzi il destino dell'uomo e la sua stessa redenzione sono legati in maniera indissolubile alla sua condizione storica. L'uomo si umanizza e si «realizza realizzan-

do il n1ondo» 69 • In questo processo la Chiesa, forma storica della grazia nel tempo inter;medio tra Incar11azione e parusia, deve realizzare l'avvento di Cristo nella storia umana. «Essa è nel mondo il corpo mistico di Cristo, testimone di Cristo e del suo Vangelo [ ... ], comunità dell'amore divino, segno dell'umanità di Dio, oggi» 10. La Chiesa dunque, nella sua dimensione teandrica, si definisce essenzialmente nella prospettiva della missione e del dialogo con l'uomo. Di qui il significato delle categorie in cui si articola il dialogo della Chiesa con il mondo nella storia. 2.2. I segni dei tempi Perché il dialogo Chiesa-mondo si realizzi sul piano concreto della storia, viene introdotta la categoria dei "segni dei tempi" 71 • Essa indica quei "fenomeni generalizzati" che esprimono le attese più profonde dell'umanità di oggi. Chenu, partendo dalla premessa della «presenza dell'opera redentiva di Dio» 72 nello sviluppo profano della storia umana, 68

Cfr. In., Situation humaine: corporalité et f,emporalité, in L'homme et son destin, (Actes du le Congrès international .de philosophie médiévale, Louvain 1958), Pari·s-Louvain 1960, 22 - 48, ora in ET, cit., 411-436. " Ibid., 432. 70. In., Les comn1unautés naturelles, pierres d'attente de cellul,es d'Eglise, in Peuple de Dieu dans le monde, cit., 142. 71 L'espressione era già stata utilizzata da Giovanni XXIII nella Costituzione Apostolica Hu1nanae Salutis del 25-12-1961, con la quale veniva convocato il Concilio Vaticano II. 72 M. D. CHENU, Les laics et la consécration du 1nonde, in PeupZ.e de Dieu ... , 86.


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afferma che i segni dei tempi si possono classificare in due categorie, secondo le tappe della storia della, salvezza. «Ci snno delle realtà atte a prendere valore dall'economia della Creazione [ ... ],·se è vero che la Creazione non è .un atto divino iniziale e preli1ninare [ ... ], ma una azione presente e continua alla qU:ale gli uomini partecipano per condurre a termine, come cause seconde, l'opera divina>> 73 •

Altre realtà invece, creando aperture dinamiche in direzione dell'amore fraterno, «trovano il loro senso divino in riferimento all'Incarnazione redentrice)> 74 • Su questa premessa l'Autore può asserire che i segni dei tempi, scrutati e interpretati da una fede vigile, indicano i luoghi dove la Parola e la grazia di Dio debbono incarnarsi, scandendo il cammino storico dell'economia cristiana. «(I ·segni dei tempi) non sono un insieme contingente di fatti che avrebbero il ruolo di stimolante idi fronte alla vita soprannaturale- trascendente, ma even1ti che, nel quadro dello spazio e sulla linea del tempo, sono altrettante direzioni per la ·realizzazione di Wl'economia di salvezza, tutta intera .j,nclusa nell'Evento assoluto, Gesù Cristu, loro punto culminante, loro centro, .Joro misura storica, loro pienezza» 75 .

La categoria "segni dei tempi" assume quindi un duplice significato: da un lato i segni dei tempi manifestano l'autocomprensione storico-esistenziale dell'uomo di oggi; dall'altro sono quasi delle epifanie dell'azione arcana di Dio nella storia e indicazioni concrete dei suoi disegni sul mondo e sull'uomo. Dal '39 al '60 la riflessione di Chenu si è sempre caratterizzata per l'attenzione ai problemi della società, nel tentativo di individuare, attraverso indagini socio-pastorali, i punti di congiunzione (aperture, nel senso di potentiae obaedientiales) della società con la grazia 76 • L'istanza è concepita nello spirito " In., Les signes des temps, in NRT 87 (1965) 29-39: 38. 74 75

L. c. ID., Une Constitution pastorale de l'Eglise, in Peuple de Dìeu ... ,

cit., 18. 76 Sul tema sembrano particolarmente significativi i seguenti scritti: Corps de l'Eglise et structures sociales, in Jeunesse de l'Eglise 8 (1948)


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e secondo il metodo "realista" di Tommaso: come il lumen fidei non modifica le strnttnre noetiche dell'intelligenza, così anche la redenzione operata dal Cristo è capace di assumere le nuove dimensioni deminrgiche e sociali che l'umanità progetta, senza modificarle 77 • In questo contesto si precisa il concetto di tradizione, come principio creatore di intelligibilità. Alla base dell'argomentazione di Chenu sta l'acquisizione di una concezione ecclesiologica più articolata. La Chiesa è concepita come strumento e testimonianza dell'economia salvifica, «perché l'atto rivelatore di Dio si iscriva nella storia degli uomini e vi apporti la sua verità» 78 • Essa deve essere nel mondo per comprendere le attese degli uomini, i processi di umanizzazione in atto nella storia e tutto quanto è "pietra d'attesa" e apertura alla grazia, perché le aspirazioni dell'umanità trovino nel Vangelo la loro piena determinazione. «Anche nella loro sconcertante ambiguità questi valori sono in attesa. Essi hanno un senso, implicito, indubbiamente non formulabile, che oltrepassa il fatto bruto che ne è il 1supporto. Negli eventi che li fanno affiorare alla coscienza collettiva degli uomini, con tutto il dinan1ismo ·obiettivo di una storia in can1mino, la fede vigile potrà leggere i disegni di Dio, del Dio creatore e del Dio redentore, idei Dio che conduce la storia sacra. Allora gli avvenimenti, come altrettante interpellanze, p.resent ano un senso esplicito, .così orientati e valorizzati da questa inserzione nel •tessuto unico dell'economia d·el Logos venuto nella storia. Tutta la natura è così in attesa attraverso 1

145 -153; Position théologique de la sociologie ..., cit., 59- 62; Pour une théologie du travail, Seuil, Paris 1955; Sociologie de la connaissance et théologie de la fai, in Recherches et débats 25 (1958) 71-77, in FI, cit., 63-68; Civilisation technique et spiritualité nouvelle, in Masses ouvrières, mai (1948) 14- 37, in ET, cit., 137 -158. 77 (<Le progrès de l'humanité n'est que ,la matière toujours dram-a~ tique et toujours neuve d'·une incamation cuntinuée, à laquelle ne reste pas extérieur le .fait -sociétaire humain; il est le lieu meme de sa consommation. La gràce est sociale». Corps de l'Eglise ... , in ET, cit., 161. 78 Io., Les signes des ten1ps, Post - Scriptu1n, in Peuple de Dieu .., cit., 52.


34

Antonino Franco la med-iazione dei figli di Dio: 'poiché la creazione sarà riscattata anch'essa dalla schiavitù della corruzione; per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio>> 79.

Il rapporto della comunità credente, in atto di testimonianza evangelica, con la storia degli uomini, crea nella Chiesa le condizioni per una intelligenza sempre nuova del dato rivelato. Ciò spiega la seguente definizione di tradizione: «una rilettura della Scrittura che, in ogni generaziane della Chiesa, rivela così il proprio significato progressivamente, grazie alle luci che il momento presente proietta sul passato, quando passato e presente si incontrano aperti all'avvenire>> 80 •

Questa funzione ermeneutica della tradizione si iscrive nella natura profetica e missionaria della Chiesa. La vita di fede della comunità, tradizione viva del Vangelo, diventa così cammino di intelligenza delle verità di fede, nella identità immutabile della loro intenzionalità, sostenuto dallo Spirito, provocato dalla storia e regolato dal magistero. «(Il datn rivelato) è tenuto .nella traidizione viva di una Chiesa la cui storia è essa stessa portatrice di fede, una storia rivelante, non nel senso di verità nuove aggiunte alle antiche, 1na nel senso di un lavoro dello Spirito che, secondo la promessa del Cristo, ci insegnerà la verità tutta intera>> si.

Bisogna perciò superare una concezione della tradizione intesa come repertorio di un deposito rivelato, concluso, ipostatizzato e immobile. Benché il Cristo sia la pienezza e il compimento della rivelazione del Padre, è necessario che l'evento salvifico continui a compiersi nella storia presente e futura di tutta l'umanità. La tradizione sarà allora «l'emanazione autentica di questa verità definitiva, a favore degli avvenimenti del mondo, secondo il ritmo delle civiltà nelle quali la Chiesa si impianta nel corso

In., In., 81 In., théologie, 79

80

Les signes des ten1ps, cit., 37. Historie du salut ... , ci,t., 26 - 27. Les lieux théologiques chez M. Cano, ·in Le déplace1nent de la Beauchesne, Paris 1977, 50.


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dei secoli» 82 • La Parola di Dio deve essere detta anche oggi per la testimonianza profetica della Chiesa che, con le necessarie mediazioni, renderà presente la Buona Novella nei gangli vitali del movimento storico. «Il ricorso ai testi è radicalmente necessario, come criterio regolatore; questi testi in .situazione oggi prendono un significato che la pura esegesi non può fornire)) 83.

La storia delle dottrine cristiane deve far prendere coscienza che lo stesso contenuto dei dogmi è segnato da un'imprescindibile componente storica. I dogmi sono un'espressione dell'economia salvifica, presente nella vita della Chiesa e situata nel susseguirsi dei tempi e .delle culture. La Chiesa dunque, nel suo travaglio per rendere presente il Mistero nella storia, ricomprende sempre più profondamente il mistero del Verbo creatore «en amorce du Verbe incarné» 84 • La Chiesa in stato di missione «è il luogo di ascolto della Parola di Dio, il suolo umano della verità rivelata» 85 • Anzi, poiché la missione e la testimonianza sono dimensioni naturali della Chiesa, in quanto sacramento di «Un Dio rivolto verso l'uomo» 86 , si può affermare che la vita concreta e storica della comunità, nella pluralità delle sue espressioni, è la presenza stessa della rivelazione e della salvezza di Cristo e il «luogo eminente della teologia» 87 • 2.3. L'ortoprassi L'ampliamento della nozione di tradizione permette di superare una serie di dualismi che hanno pesato nella costruzione 82

In., Recherche interdis.ciplinaire et théologie, in Théologie et recherche interdisciplinaire, Cerf, Paris 1970, 73. 83 lo., Théologie en procès, in Savoir, faire, espérer: les lhnites de la raison, II, Bruxelles 1976, 649. 84 Io., Orthodoxie et orthopraxie, in Mélanges Congar, Cerf, Paris 1974, 56. 85 lbid., 53. 86 In., Théologie en procès, .ci,t., 694. 87 Io., Premessa alla traduzione italiana, ,in Le Saulchoir. Una scuola di teologia, cit., XXXV.


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di una sana teologia. Dovrà scomparire l'alternativa tra pastorale e dottrinale, tra ortodossia e ortoprassi. Essa, affondando le sue radici nella metafisica di Aristotele (Lib. III De Anima e lib. II Metafisica) ed essendo stata recepita da Tommaso nella distinzione tra intelletto speculativo e intelletto pratico, il primo avente per fine la verità e il secondo l'operazione, ha contribuito in qualche modo a separare la teologia dalla prassi di fede del popolo cristiano, condannandola ad uno sterile intellettualismo. La praxis ecclesiae (ortoprassi) non è l'applicazione pratica di verità dottrinali raggiunte speculativamente; essa vive in un rapporto di reciproca implicazione con la dottrina. {(C'è un'ortoprassi a beneficio stesso dell'ortodossia anche quando questa prassi non corniporta, nella sua operazione concreta e singolare, né formulazione né imperativo autoritario» ss.

Per il nostro Autore dunque la prassi della comunità credente, dalla proclamazione del kerigma alla pratica liturgica, dagli organismi di comunione ecclesiale all'impegno socio-politico, mentre ci manifesta la coscienza attuale di fede dei credenti, nella efficacità del Mistero in atto, è fonte di comprensione sempre più approfondita della verità di Dio in Gesù Cristo. Di qui la consapevolezza che «la prassi è luce», essendo «una espressione incarnata, una invenzio11e di comportamenti richiesti da un'autentica comunione al mistero» 89 • Secondo le esplicite dichiarazioni di Chenu, questa nuova acquisizione non nasce da opportunismo teologico influenzato dalle categorie marxiste sul rapporto di interdipendenza fra teoria e prassi; essa scaturisce dalla determinazione cristologica della verità evangelica. L'ortoprassi, come dato epistemologico, è esigita dalla natura stessa della verità evangelica e della conoscenza di fede. «[ ... ] E' evidente come la verità evangelica, la conoscenza di fede, abbiano un altro intreccio psicologico e epistemolo·

ss In., Ortfrodoxie... , cit., 53. 89

Ibid., 57.


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gico della verità co1nune e 1della conoscenza razionale: esse comportano un '.fare', esigono l'uni,tà della teoria e della p~axis. II 'dabar' biblico è di un'altra tempra del logos greco)) 9o,

In questo contesto l'Autore riprende ostentatamente il testo di Gv 3,21 «Qui facit veritatem venit ad lucem», per illustrare la natura pratica della conoscenza di fede. Chenu, prendendo posizione contro un'ortodossia puramente concettuale, afferma l'inseparabilità e circolarità della prassi e della teoria, perché il Vangelo di Cristo, essendosi realizzato come storia di salvezza prima di essere formulato in proposizioni dottrinali, "[ ... ] è una verità che si compie nella parola mostrandosi efficace, producendo ciò che dichiara» 91 • <(Non vi è svolgimento puramente intellettuale della verità del Cristo in un sistema filosofico-teologico [ ... ]. Non solo un giudizio vero, ma W1 evento liberatore. Di modo che la consustanziale articolazione del fare e del dire legitthna in parte l'umore dei cristiani che, oggi, denunziano l'insignificanza di una ortodossia puran1ente concettuale. L'nrtodossia non vale in se stessa. Il messaggio deve essere vissuto, portato, per essere compreso, per essere vero}) n.

Queste affermazioni si presentano anche come presa di coscienza e come descrizione dell'iter personale di impegno teologico di Chenu, nel quale l'impegno pastorale, la preghiera liturcgica e la ricerca teologica vivono in una perfetta simbiosi. Nella conoscenza di fede, non solo il momento pratico è indissociabile dal momento teoretico, ma sono la testimonianza e la prassi pastorale che conferiscono oggettività e realismo all'ortodossia. «[ ... ] L'ortodossia con le sue proposizioni trova la sua fedeltà, la sua oggettività, la sua assicurazione nel terreno di un'ortoprassi» 93.

90

lbid., 59.

9t

L. c.

" Ibid., 59 - 60. " Ibid., 61.


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2.4. Ripresa sintetica Chenu, sotto la pressione dell'istanza della riattualizzazione della vedtà, applica il paradigma cristologico-incarnazionistico non solo all'intelligenza dell'uomo nel suo modo di apprendere la verità rivelata, ma alla vita della Chiesa come compimento nel mondo e nella storia della salvezza di Dio. L'ampliamento del prinoipio antropologico introduce una nuova comprensione della storicità della fede e dello stesso principio cristologico. Dalla storicità dell'intelligenza delle verità di fede, si passa a una storicità inclusiva delle dimensioni collettive e pratiche. Correlativamente il principio di incarnazione è compreso nel suo dinamismo, il quale comporta la progressiva incorporazione degli uomini e delle realtà storiche nell'evento cristologico. In questo contesto prende senso il discorso dei segni dei tempi, come lettura di fede delle attese del mondo e della storia, per mettere in luce e sviluppare "i semi ,di grazia che in essi sono presenti. Anche la tradizione è compresa ora in questa direzione; essa attualizza storicamente la Parola di Dio perché l'uomo e il mondo ritrovino la loro verità e i mezzi di grazia per realizzare il loro destino. Per questa ragione la praxis pastoralis ecclesiae, funzione dell'incontro tra Dio e l'uomo, assume un ruolo fondamentale per una intelligenza progressiva del mistero di Cristo e per una teologia che vuole esser veramente sacra doctrina. Così Chenu sintetizza la nuova sensibilità: 11

«Il tempo non è eterogeneo allo Spirito. La storia non è l'impalcatura provvisoria di una ,contemplazione eterna. L'economia di un Dio incarnato si innesta nell'impresa degli uon1ini e 11ella costruzione del mond'o. L'Incarnazione conduce al suo termine la Creazione in attesa, anche n·el suo peccato. L'in1pegno del cristiano nella storia non è un supplemento f,acoltati,vo di una fede pura, .tutta chiusa nel ·SUO oggetto divino: questo oggetto stesso è la Parola di D.io nel tempo, e la tcsti1nonianza evangelica non è altro che l'espressione spontanea di questa comunione» 94,

94

In., Post - scriptun1, in ET, cit., 676.


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La nuova prospettiva induce a pensare il mistero dell'Incarnazione in funzione della sua efficacia salvifica nella storia. Di conseguenza la rivelazione viene concepita come l'azione di Dio che, tramite la C·hiesa "assume" la storia umana e, incarnandosi in essa, la redime e la salva''. «Ci troviamo oggi di fronte a una nuova percezione dell'oggetto della teologia: il mistero di Dio entrato 1n comunicazione con l'uomo. La novità sta -in ciò, senza rigettare il suo riferin1ento a Dio, la fede trova il suo oggetto in una storia santa; per il credente Dio, non è il Dio-Dio, ma il Dio venuto, disceso nella candizione um·ana e perciò ·entrato nella storia» 96,

La Chiesa, rendendo presente con la sua vita concreta di fede e con la sua azione pastorale la Parola vivente, con l'assistenza dello Spirito Santo e la regolazione del magistero, ottiene una intelligenza sempre nuova dei fatti originari della salvezza97.

Da qui il ruolo centrale della praxis ecclesiae. Questa interviene nella riflessione di Chenu secondo due prospettive fra loro strettamente connesse benché formalmente distinte. a) In una prima prospettiva praxis ecclesiae significa 1' attualizzazione della rivelazione che si realizza nel vissuto di fede della Chiesa e nella testimonianza. La testimonianza qui è vista come elemento fondamentale per una progressiva assimilazione, nella fede, della Parola di Dio. L'attenzione è rivolta alla vitalità della Chiesa ab intra. Le «zone teologali e pastorali dove la prassi, l'ortoprassi, entrano nella correttezza teorica e nell'equilibrio pratico delle operazioni cristiane,, 98 sono la liturgia e gli organismi ecclesiali di comunione. 95 La prospettiva assunzionistica nel modo idi interpretare il m-istero dell'Incarnazione, è stata rimessa in circolazione intorno agli anni '40 per il decisivo apporto di E. Merch. Chenu ha tentato un'a larga applicazione del iprincipio assunzionistico alle varie ·emergenze storico-s-0ciali del mondo, dentro le quali la Chiesa prolunga l'opera salvifica di C·risto. Cfr. Y. CoNGAR, Le 1no1nent 'économique' ... , cit., 156-157. % M. - D. CHENU, La théologie en procès, cit., 692.

"' Ibid., 693. In., Orthodoxie .. ., cit., 56.

9S


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{{Nell'atto liturgico dove essa si realizza, la Chiesa dà sulla sua natura profonda una testilnonianza infallibile» 99,

Organismi di comunione e liturgia sono dunque l'autocomprensione pratica che la Chiesa, popolo di Dio radunato dalla Parola, ha di se stessa in una data epoca storica. Tale autocomprensione esprime anche l'intelligenza storica della rivelazione. Questa prassi ecclesiale, sorretta dai doni dello Spirito e dalla regolazione del magistero, ha il primato obiettivo di diritto e di fatto sulle formulazioni dottrinali. E' significativa la reazione del nostro Autore contro la espressione di Pio XII, che, nella Mediator Dei, aveva invertito la formula tradizionale Lex orandi, lex credendi con quella lex credendi legem statuat supplicandi. Egli definisce questo fatto «una reazione dottrinaria, senza dubbio, contro la pretesa regolatrice della prassi, un fare apparire la liturgia non come norma, ma con1e un com1nento alla fede» 100 • Questa reazione puntigliosa si dev.e intendere nel senso della pri111a accezione di prassi, «invenzione di comporta1nenti ricl1iesti da un'autentica comunione al Mistero» 101 , che è luce, norma, e criterio di verità per tutte le formulazioni dogmatiche 102 • In una seconda prospettiva la praxis ecclesiae è intesa come la testimonianza di fede della comunità, che, per la sua natura 111issionaria, istaura un dialogo con il n1ondo. Qui l'accento cade sul rapporto con il mondo. Per Chenu la Chiesa, vivendo nel mondo e nella storia, con la sua azione pastorale approfondisce le «capacità di grazia» presenti nella vita degli uomini e opera una costante ri-

b)

99

L. c.

100

lbid., 57.

101

L.c.

«En quel sens à partir de :l'Evangile, une définition dogmatique peut ètre vraie? C'est à condiHon quelle s'inscrive à '1'intérieur d'une proposi,tion de la foi, c'est~à-idire à l'intérieur de l'acte de foi vécue dc manière que la vérité de I'Evangile, ne se résorbc pas dans cette formulatian}), Orthodoxie ... , cit., 60. 102


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lettura del Vangelo, perché la salvezza di Cristo possa essere efficace e significativa, collocandosi in continuità e in sintonia con i "semi di grazia" presenti nella storia umana. <(Ogni presa cli coscienza della storicità dell'uoino, co1ne la sentiamo oggi così vivam,ente, ma che si è già :prodotta nel passalo, provoca dunque, normalmente, un rinnovamento dì intelligenza del .contenuto della fede, sia nella architettura del suo oggetto come anche nella vivacità 1della sua sensibilità storica» 103.

La Chiesa dunque, coniugando in un dialogo sostanziale la storia umana e il mistero del Cristo e entrando così nei gangli vitali del travaglio storico, sviluppa, in pensiero e in azione, una intelligenza progressiva della rivelazione "totale" di Dio e del Vangelo di Cristo 104 • Certamente le due prospettive si richiamano necessariamente, dato che la Chiesa, nella sua missione pastorale ad extra trasmette solo la ricchezza della sua vita di fede; ma inversamente la vita di fede è condizionata storicamente dalla sua presenza nel mondo, dall'attuale esperienza di dialogo che essa vive con l'uomo e dall'autocomprensione che gli esseri umani hanno di sé e del loro destino in un preciso momento storico. Tutti questi elementi mutevoli della storia provocano un continuo approfondimento del messaggio evangelico. E' nell'evoluzione dalla prima prosperniva alla &econda che si vede l'originalità del secondo Chenu.

3.

La teologia come intelligenza critica della praxis ecclesiae

Durante gli anni del Concilio e del post-Concilio nel pensiero di Chenu quelle istanze che, già presenti nel momento sorgivo, erano state pensate nel quadro della concezione classica di teologia, trovano una nuova sistemazione.

103 104

Io., Théologie en procès, cit., 693. Cfr. In., Histoire du salut ... , cit., 26-27.


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Ci riferiamo in pratica all'idea di tradizione, intesa come «la presenza stessa della rivelazione» 105 e «luogo di intelligibilità progressiva del dato rivelato» 106 • L'approfondimento di questa prospettiva condurrà il nostro Autore verso Uitla nuova figura di teologia, che vede il progressivo ridimensionamento del ruolo della ratio all'interno dell'intellectus fidei e l'integrazione nel sapere teologico di nuove risorse epistemologiche, simboliche e pratiche, scaturenti dalla ricchezza della vita di fede della comunità e che oltrepassano l'orizzonte della pura razionalità teorica 107 • La comunità cristia· na, con le sue continue riletture stoniche del dato rivelato, è nell'oggi della storia la presenza efficace e salvifica della Paro· la di Dio. 3.1. Lo statuto pratico della teologia Ciò spiega l'affermazione del nostro Autore, che «la fede ha per oggetto primo la vita stessa della Chiesa in pensiero ed in azione» 108 • La Chiesa, essendo la tradizione virva della rive· !azione, è la presenza mediatrice della salvezza lungo tutto lo arco della storia umana. E' per essa che gli uomini entrano in dialogo con la Parola di Dio; per essa Dio continua a parlare anche oggi, in tutte le situazioni e in tutte le culture. Parola di Dio e mondo, per la mediazione della Chiesa, vi· vono un rapporto di circolarità ermeneutica, in modo tale che «l'attualità di questo mondo illumina la Parola di Dio, e la Parola di Dio illumina !'.attualità di questo mondo» 109• Abbiamo già descritto, il ruolo che occupa in questo ambito la lettura dei segni dei tempi e il suo apporto alla reinterpretazione attuale della Parola. Tale lettura non è da intendere solamente nel senso dello sforzo che la Chiesa compie per deci· frare le attese degli uomini e le preparazioni evangeliche pre-

10s Io., Une école ... , cit., 67. Jbid., 65.

106 101

Cfr. Io., La théalogie conzme science ecclésiale, cit., 92.

10s Io., Dimension nouvelle .. ., cit., 107. 109 Io., Recherche interdisciplinaire ... , cit., 75.


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senti nella storia, come operazione previa al dialogo Chiesamondo. Il c11istiano stesso, vivendo in una ontologica e strutturale solidarietà con il mondo e con il .dinami~mo storico, è portatore di nuove prese di coscienza personali e collettive che diventano nuovi orizzonti pratico-teorici di comprensione della Parola 110 • Di qui lo statuto ermeneutico della teologia. La vita del cristiano nella sua appartenenza ecclesiale è, per sua natura e per la natura stessa della Chiesa, proiettata verso la realizzazione del clialogo con la storia e con il mondo. Poiché l'atto supremo della rivelazione è la Parola di Dio incarnata, «Un Dio rivolto verso l'uomo)> 111 , diventa legge imprescindibile della rivelazione la sua «Continua incarnazione e tradizion-e storica, perché la Parola dica anche oggi la verità di Dio»"'Alla luce di queste considerazioni si spiega laffermazione secondo cui la praxis pastoralis ecclesiae costituisce il referente primario e proprio dell'intelligenza teologica. ((Il primo atto teologico è l'inteJligenza della Parola di Dio, in atto nella fede vi'5suta del Popolo di Dio}} 113 •

L'inizio del discorso teologico è la fede in atto, fede vissuta nella integralità delle sue condizioni. Di qui l'inclusione della teologia pratica come momento essenziale della teologia 114 : l'azione pastorale è parte fondante e costituiva dell'intellectus fidei. A questo proposito ci sembra particolarmente significativo Cfr. In., Théologie en procès, ieit., 693. lbid., 694. 11 2 Io., Orthodoxie ... , cit., 61. lJJ M. - D. CHENU, Lettera inviataci il 28-7-1982. Il testo originale recita: « [ ... ] 'Le premier acte théologique est I'intelligence de la .Parole de Dieu dans la foi vécue du Peuple de Dieu. D'où le ròle majeur de ,Ja praxis (au sens plenier du .mot); et donc de la -théologie pastorale, qu'est tout autre chose que une casuistique 1de l'acdon évangéliquen. Su questo problema, della prassi ·storica come luogo teologico, ofr. C. GEFFRE', El realisnio de la encarnaci6n en la teologia del Padre Chenu, in Ciencia Tomista 112 (1985) 297 · 313 : 307 - 313. 114 Cfr. ID., De co111n1ercio inter Ec.clesiam et mundum, secundum oonstitutionem 'Gaudiun1 et Spes' (n. 44), -in Acta Congressus internatio· nalis de theologia Concilii vaticani II, LEV, Romae 1968, 648-651. 110

111


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un passaggio di una intervista concessaci dallo stesso Chenu nel gennaio 1982. «La teologia pur restando scienza, utilizza rjsorse che non cleri,vano dalla nozione aristotelica, .ma che vengono dall'inlelligenza (la parola intelligenza è più comprensiva di quella di scienza) della vita di fede in atto: 1a fede "in actu", la fede vissuta. Ciò è una grande evoluzione, che è scaturita dalla mia azione pastorale. I-Io compreso che l'intelligenza della fede si elaborava non sola1nente con dei ragiona1nenti a partire dalla scienza aristotelica, ma nell'azione -stessa che era luce [ ... ]».

Queste affermazioni contengono gli elementi di una nuova figura di teologia. Essa è definita da Chenu nei termini seguenti: «Il discorso teologico, discorso critico della fede a partire dalla vita della Chiesa attuale, la quale pretende di trasmettere all'uon10 di oggi, nella tradizione, il messaggio liberatore di Cri.sto)) 115,

La teologia è l'intelligenza critica della fede del popolo di Dio, nel suo cammino storico di attualizzazione e di inculturazione della Parola. Il compito del teologo si colloca all'interno dell'ambito totale della Parola di Dio, in atto nella comunità ecclesiale. «La praxis attuale della Chiesa è il luogo biologicamente fecondo dell'intelligenza critica, costruttiva, contemplati· va» 116 del sapere teologico. Chenu identifica qui la prassi eccle· siale con il sensus fidei dei fedeli, che è frutto dell'azione dello Spirito e dell'azione del carisma regolatore del magistero 117 • L'affermazione secondo cui la teologia è l'intelligenza critica della vita della Chiesa significa da una parte che essa trova Io., Orthodoxie .. ., ci,t., 62. L. c. 11 7 In un articolo del '71, Chenu chiarifica in maniera puntuale questo concetto, dopo aver sostenuto la necessità per la «Speculazione teologica» di articolarsi sulla storia «come luogo dell'economia divina}). «Sans doute la mise en oevre technique de ce grand proJet soulève beaucoup de problèmes; mais le bon moyen 1de les résoudre et déjà de les poser, est de tenir ferme cette inclusion de la théologie ,dans le processus de la Révélation - et donc sous la mouvance de l'Esprit, meneur de 1a part du Christ (. .. ) de cet accompHssement de la foi)). Définition de l'unité de l'enseignement, in Seminarium 2 (1971) 267 ·279: 271. 115

116

1


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molteplici risorse di intelligenza nell'ambito della fede vissuta del popolo di Di<:> che, nella continuità della tradizione, esplicita la ricchezza della Parola; e dall'altra che, in quanto sapere critico, essa verifica e valuta, attraverso il riferimento costante alle sacre Scritture e quindi alla rivelazione originaria di Dio in Gesù Cristo, la fedeltà e la coerenza della prassi di fede della comunità credente, nelle su-e varie espressioni, con il suo principio fondante e costitutivo. Ciò comporta una piena coerenza pratica e l'unità epistemologica fra ortodossia e ortoprassi. Le affermazioni di Chenu a questo riguardo sono frammentarie e non si lasciano ricondurre a un pensiero sistematico. Frasi che affermano il primato deH'ortoprassi sull'ortodossia sono seguite e commentate da affermazioni più prudenti che si muovono sostanzialmente nello schema classico, con la semplice preoccupazione di non ridurre il sapere teologico a una metafisica sacra. Il significato del concetto non è tematizzato nel contesto del dibattito filosofico, dal quale presumibilmente è attinto. Ci pare che l'assenza di un modello teorico di riferimento lasci la categoria dell'ortoprassi fluttuante e indeterminata. Essa sembra ridursi al semplice richiamo a non concepì.re la teologia come un puro argomentare sui dogmi e alla necessità di integrare nel sapere teologico dimensioni che, benché non riconducibili alle operazioni della logica aristotelico-scolastica, hanno una precisa valenza cognitiva all'interno della conoscenza di fede. In realtà Chenu vede nella nuova prospettiva la messa in opera della sua iniziale intuizione del carattere concreto della percezione della fede; essa esprimeva l'esigenza di ancorare la teologia alla rivelazione i'n una adesione quasi mistica al Mistero e di ridimensionare le pretese de1la ragione discorsiva, dato che l'oggetto della fede è una realtà soprannaturale e il mistero di Dio si manifesta nella gratuità di un'economia storica ns. 118" Cfr. Io., La position ... , cit., 131-137; Une école ... , cit., 71; La théologie est-elle une science?, cit,, 41 - 42.


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L'allargamento di comprensione qui consiste nel sottolineare il rapporto della fede con il cammino storico della comuni tà credente e con la sua attuale tradizione interpretativa della rivelazione. Ciò fa sì che la scientificità di stampo aristotelico-tomista non sia più considerata come «l'operazione maggiore in teologia» 119 e nemmeno la più caratteristica 120 • Tuttavia la ragione discorsiva non è eliminata dallo statuto epistemologico della teologia; essa è uno degli elementi di quel più ampio intellectus fidei, nel quale «sono impegnati tutti i livelli epistemologici, tutte le discipline e tutti i metodi, tutte le grammatiche, tutte le forzature immaginative e poetiche, tutte le compiacenze dello spirito» 121 • La scienza discorsiva, con la sua ricerca delle ragioni, adempie ancora nella teologia un compito rigorizzatore della praxis ecclesiae, nutrendo di intelligenza le varie espressioni di fede della comunità. Essa però è vista, nell'ultimo Chenu, meno secondo il modello della scienza deduttiva di tipo aristotelicotornista, che come orizzonte razionale tout court 122 •

Io., La théologie est-elle une science?, cit., 63. Cfr. Io., La théologie com1ne science ecclésiale, cit., 92. Qui la deduzione delle conclusioni teologiche è detta: «operazione limite certo, ma non caratteri s1tica della teologia)). JJ9

120

1

121 122

Intervista concessaci nel gennaio 1982.

Ad una nostra 1domanda circa il ruolo della scienza teologica nella nuova figura di teologia, l'A. ha risposto in questi termini: «Je conserve l'élém ent qui venaiit de la science aristotéli.cienne, mais ce n'est plus qu'un élément; il .n-'esit plus le premier, 1parce que quand la foi vécue dans la Communauté entre, elJe utilisera les ressources de la science déductive, mais il y en a d'aut:res qui sont d'un autre type de perception, par ex. l':i.ntelligence contemplative des dons du St. Esprit qui rentre dans le travail théologique. Tandis que dans la science aristotélicienne Ies dons 1du St. Esprit n'ont rien à faire et, de fait, dans mon petit livre sur la théologie ·au Xllle siècl'e, il n'y a pas une allusion aux dons du St. Esprit, par.ce qu'ils sont des ressources d'intelligence qui dépassent de beaucoup les -structures rationnelles. Autrement dit, dans ma .seconde position j'ai introduit, sans détruire ma première positio.n, des éléments -nouveaux et j'ai un champ d'inteJligence beaucoup plus éténdu. Cela lui do.nne un nouveI équilibre, et tout en conservant la notion de science aristotéli1


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Nell'articolo Orthodoxie et orthopraxie del 1974, non si parla più della scientificità né tanto meno delle conclusioni teologiche; e nell'articolo La théologie camme science ecclésiale, del 1967, dove esiste un paragrafo dedicato espressamente alla scienza teologica, si parla con estrema discrezione della ragione discorsiva e delle conclusioni teologiche. Questi accenni sono seguiti da affermazioni che ribadiscono, in teologia, il primato dell'argomento di convenienza e l'inadeguazione della ragione teologica alla trascendente e gratuita rivelazione di Dio. Qui è detto chiaramente che il campo della teologia e della scienza teologica «non si limita né a opportune apologetiche né a elucubrazioni scolastiche, a conclusioni dedotte dal dato rivelato [ ... ]. Essa è veramente !'intelligenza della fede, intelligenza speculativa e pratica» 123 • In questa prospettiva di unità epistemologica teorico-pratica si deve comprendere il ruolo della conoscenza razionale. Essa si dispiega all'interno delle varie espressioni del sapere della fede e diviene lo strumento di una presa di coscienza criticoscientifìca che conferisce plausibilità universale all'intelligenza spontanea e pratica della fede. (<[ ... ] Fin da ora bisogna notare che, mediante la sua stessa elaborazione, la ragione teologica, già nell'analisi del suo og~ getto, e più ancora nella sua articolazione, fa passare il contenuto della fede dall'ascolto pers0tnale della Parola a una espressione universale, sempre giustificabile; della fede [ ... ], costituendo un "dato teologico", come si dice, validb fuori daJia mia interiorità, trasmissibile per via di insegnamento didattico» 124.

La ragione teologica deve tematizzare la visione del mondo o le varie visioni del mondo in cui si rifrange la luce della fede, elaborando una visione generale (cosmologica - antropologica -

cienne, elle est équilibrée autrement, elle est de l'intérieur transformée. Je passe de la théologieMscience à la théologie·s·agesse, en tant que la sagesse comport·e ides éléments qui ne sont pas réductibles à la science». Intervista .. ., cit. 123 Io., La théologie co1111-ne science ecclésiale, cit., 91. 124 Io., La théologie est-elle une science?, cit., 43.


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storica) che sia un'interpretazione teologica coerente della realtà e dell'esistenza umana 125 • Il ruolo della ragione si esplica in due direzioni. a)

La prima: di dare alle varie percezioni pratiche, simboliche e contemplative della conoscenza cli fede, rigore di pensiero e sistemazione logica plausibile.

b)

La seconda: di proiettare l'intelligenza spontanea e storica della fede vissuta e testimoniata, in un dialogo con il mondo. L'orizzonte razionale, espressione del bisogno incoercibile dello spirito umano di cercare ragioni e nessi nella relatività e discontinuità degli accadimenti storici, permette alla teologia di dire umanamente la Parola di Dio. Ove umanamente significa soprattutto in maniera comprensibile all'uomo di oggi ed anche in maniera plausibile razionalmente.

Ma lo sforzo di organizzare il pensiero di Chenu circa il ruolo e le funzioni della ragione teologica, all'interno della figura di teologia come sapere critico della prassi ecclesiale, ci pare urti contro la frammentmietà dcl suo discorso. La difficoltà decisiva risiede nel fatto che egli introduce le categorie di prassi e di ortoprassi senza una precisa calibratura semantica e una adeguata giustificazione teorica. 3.2. Lo "spostamento" dei luoghi teologici Il nostro Autore passa dalla convinzione che il lavoro teologico si istituisce a partire dagli articoli di fede come principi del discorrere teologico a una concezione dove la vita della Chiesa, nel suo cammino storico, diventa il luogo biologicamente fecondo dell'intelligenza della fede. Nel quadro di un tale sviluppo assume particolare importanza il tema dei loci teologici. Esso, dal punto di vista del1a sua precisazione semantica e del suo allargamento contenutistico, ci fa percepire in maniera chiara il senso della teologia di Chenu e la sua tipicità all'interno della vicenda teologica del XX secolo.

12s Cfr. Io., La théologie con11ne science ecclésiale, cit., 92.


L'epistemologia teologica di M. - D. Chenu

49

Il nostro Autore, fin dagli inizi della sua riflessione, aveva tentato un superamento della concezione classica di luogo teologico, così come era stata enunciata da M. Cano e così come era stata recepita dalla teologia manualistica. Semplificando, la concezione di Cano si caratterizza per il fatto che i /oci sono repertori di dati, dai quali i teologi debbono dedurre le loro argomentazioni. Essi, classifioati in 10 categorie secondo una scala di autorità che dalla S. Scrittura arriva fino alla storia, comportano una cesura tra i luoghi propri della teologia e quelli considerati estrinseci e non omogenei al sapere della fede, quali la ragione, la filosofia e la storia 126. Questa proposta metodologica era presente nel manuale sia con lo schema tripartito, «probatur ex scriptura, probatur ex traditione, probatur ex ratione» con il quale si dava legittimazione positiva alla tesi teologica, sia con la giustapposizione e conseguente esteriorità rispettiva della fede e della ragione. Chenu, cogliendo i rischi di una tale riduzione empirica e positivistica del dato rivelato e del dato teologico, con la conseguente estraneazione della ratio, comincia con il riproporre una epistemologia teologica che, alla stregua delle Somme medievali, fosse fondata sulla peroezione di fede del dato rivelato. Solo la virtù teologale della fede può comporre, nell'unità di uno stesso sapere, le "autorità" e le "ragioni", la documentazione e la riflessione speculativa, il dato rivelato e la costruzione teologica. La teologia nasce quindi dalla «incorporazione viva in strutture razionali della luce della fede» 127 • 126

127

I 1. 2. 3. 4.

luoghi pr:opri deHa teologia sono: .L'autorità della S. Scrittpra L'autorità delle tradizioni di Cristo e degli apostoli L'autorità della Chiesa cattolica L'autorità dei concili, specie quelli generali, ,nei quali risiede l'autorità idella Chiesa cattolica 5. L'autorità della Chiesa romana che per privilegio divin-o è ed è chiamata apostolica 6. L'autorità dei santi Padri 7. L'autorità dei teologi scolastici. M.-D. CHENU, La position, .., cit., 125. Cfr. Io., Une école ... , cit., 56-57.


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Nella fecondità del lumen fidei si sviluppa «Una attività dell'intelligenza secondo le diverse risorse della sua natura, giacché la luce divina della fede è come incarnata in questa intelligenza» 128 • Questa prospettiva, incorporando l'attività razionale all'interno del lumen fidei, riporta la "ratio" e la "storia" (nel caso la complessità dell'a conosoenza umana) ad assumere il ruolo di loci proprii della teologia, di elementi costitutivi della! epistemologia teologica. Essa riconosce alla ragione un ruolo creativo all'interno del sapere della fede 129 • Collegando la ratio alla fede, si ridona vitalità alla ratio che, dopo la svolta imposta alla teologia da Cano, risulta ridotta al ruolo di riconoscere il dato rivelato e di confermare le autorità 130 • Tutto ciò fa superare al nostro Autore, già nella sua fase iniziale, la concezione statica dei loci: il dato rivelato, i dogmi e le conclusioni teologiche vanno ricondotte al loro contesto storico-genetico che è la fede, la Scrittura e la tradizione viva della Chiesa m. Dal 1937 Chenu, coniugando due intuizioni della sua teo.. logia e cioè che «l'Incarnazione si compie nel Corpo mistico di Cristo» 132 e che «la tradizione è nella fede la presenza stessa della rivelazione» 133, afferma che «i luoghi del credente e del teologo, è tutta la vita positiva della Chiesa, i suoi costumi e i suoi pensieri, le sue devozioni e i suoi sacramenti, le sue spiritualità, le sue istituzioni, le sue filosofie, secondo l'ampia catns Io., La théologie est-elle science?, cit., 34. «,La théologie doit Ctrc toujours en oevre d'invention - puisque elle est toujours en appetit de foi - retrouvant toujours son do.nné, vivant en lui, baignant dans l'expérience chrétienne comme dans l'a:tmosphèTC hors de laquelle 'S'atrophie». La pasition... , cit., 125. 13° Cfr. G. COLOMBO, La teologia 1nanualistica, in La teologia italiana oggi, Morcelliana - La Scuola, Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano 1979, 43-44. 131 Cfr. M. -n. CHENU, Une école ... , cit., 60; L'unité dans la fai, .in La vie spirituelle. Supplé111ent 72 (1937) 1 - 8, ora in FI, cit., 13-19. 132 Io., Dùnension nouvelle ..., cit., 90. m Ibid., 107. 12 9

1


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tolicità della fede nel suo spessore storico e su tutta la superficie della civiltà» n4 • Un tale ampliamento semantico dei loci, pur all'interno della figura di teologia come scienza subalternata, permette di cogliere i dogmi come strettamente legati al cammino storico della comunità credente e come espressione storica e relativa della fede della Chiesa nel tempo. Questo concetto di luogo teologico, con l'idea di tradizione che gli fa da supporto, congiunge il primo al secondo Chenu, orientando tutta la sua ricerca verso un approfondimento della presenza missionaria della Chiesa nel mondo di oggi. Ciò avviene con il tema dei segni dei tempi. In questa nuova prospettiva il luogo complessivo in cui si compie l'intelligenza teologale e teologica della rivelazione è la comunità presente nel mondo, in atto di testimonianza profetica. E poiché il mondo, con le sue attese e provocazioni, è fattore di reinterpretazione della Scrittura, esso, nella sua consistenza ontologica creata e continuamente ricreata in un processo .di umanizzazione e di ''creazione continua", assurge a luogo di intelligenza teologica. Vorremmo concludere, citando un testo recente dell'Autore, dove questo punto di arrivo è tematizzato in maniera chiara. «Dio parla oggi sotto la provocazione degli avvenimenti della storia umana. Reinterpretazione che trova la sua .regola i.n un magistero, ma che si alimenta delle percezioni e delle sensibilità del Popolo di Dio in cammino verso il Regno. Per questa Chies·a nel monido, :il mondo si fa luogo teologico, in quanto .nel suo costruirsi fornisce delle disponibilità all'incarnazione della grazia, individuate come segni dei tempi» 135.

Il discorso sulla "Chiesa in atto [ ... ] , dove la teologia troverà la totalità della Parola di Dio, in situazione di immanenza dinamica» 136 nel mondo, libera il concetto .di luogo teologico da ogni connotazione statica e astorica. Ciò non solo perché il

U4

Io., Une école ... , cit., 57; cfr. ibid., 46.

!35

Io., Il Concilio in atto vent'anni dopo. Teol,agia conciliare e dati

culturali, in Vita e Pensiero 65 (1982) 14. 136 Io., La théologie en pro.cès, cit., 691.


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cammino di ricapitolazione nel Cristo, operato dalla Chiesa, è un locus proprius dell'intelligenza della fede, ma soprattutto perché tale intelligenza avviene nell'atto stesso in cui si compie dina1nicamente in una incarnazione continua, il mistero della redenzione. Quindi il luogo creativo di intelligenza della fede è la Chiesa nel mondo. E' implicito in questa concezione di tradizione il superamento della problematica della Scrittura e della tradizione come duplice fonte della ri<velazione. Scritt11ra e tradizione sono concepite come due espressioni organiche, distinte e correlative della rivelazione totale di Dio in Gesù Cristo. La teologia trova nella tradizione il suo proprio Sitz im Leben, diventando la «presa di coscienza, riflessa e critica, di una economia nella quale l'incorporazione continua di valori umani nel Cristo divinizza l'uomo proprio là dove egli si umanizza» 137 • Queste conclusioni che elevano la tradizione della Chiesa e la sua prassi pastorale a primus locus, determinano una nuova concezione del ruolo del teologo. 1

3 .3. Il magistero del teologo Nell'imminenza del Concilio il teologo è visto come assistente tecnico del vescovo nella sua funzione apostolica di testimone quwlificato della Parola di Dio e di trasmettitore delle verità della fede; egli è «il suo informatore, il suo ricercatore e anche il redattore dei suoi testi pubblici e privati» 138 • Dopo il Concilio, quando la prassi ecclesiale è vista come il luogo proprio dell'intelligenza teologwle, il servizio del teologo non è più collocato in relazione privilegiata al carisma magisteriale. Questa relazione non è negata, ma, come lo stesso carisma magistrale, è iscritta all'interno dell'intellectus fidei integrale della comunità confessante. Questa posizione, timidamente

131 138

L. c. Io., Les théologiens ... , cit., 300.


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espressa nell'articolo La théologie camme science ecclésiale del 1967 diventerà in seguito un punto acquisito stabilmente 13'. «Appare che il teologo non è prima di tutto un esperto al servizio dei vescovi, corporativamente responsabili dell'ortodossia e neanche un guardiano alla porta della Parola di Dio aperta sul n1ondo [ ... ]. Il teologo ,non si situa anzitutto di fronte all'autorità, ma all'interno del popolo .di Dio, il suo caris1na lo mette al servizio del popolo idi Dio, dove egli trova ,Ia misura del suo intervento, con il discorso dei carismi ge,rarchici)) 140.

La concezione dei luoghi teologici e dei compiti del teologo conferma i punti nodali dell'evoluzione del pensiero di Chenu. L'intenzione originaria di fondare la teologia su una epistemologia della fede "realistica" e storica, capace di comporre in unità la soprannaturalità dell'oggetto teologico e la contingenza-storicità del soggetto credente, porta Chenu dapprima a includere nello statuto epistemologico deHa fede la storicità della conoscenza razionale, e poi a recuperare la storia e il mondo come ambiti di mediazione della rivelazione e come condizioni antropologiche irrinunciabili per una integrale intelligenza. Da questo punto di vista non si può parlare solo di spostamento dei luoghi teologici, quasi che si sostituisca, nella scala delle autorità, un luogo a un altro. Il discorso è più radicale: i luoghi teologici hanno validità e senso se colti all'interno dell'«atto teologale eminente di intelligenza interiore di una economia nel tempo, di una storia di salvezza» 14!' che si svolge e si compie nella prassi di fede della Chiesa. «Il sensus ecclesiae è un :luogo teologico; esso è anzi il luogo dove tutti gli altri consumano la loro validità e 'la loro penetrazione» 142.

139 140

141 142

Cfr. In., La théologie conune science ecclésiale, cit., 87. ID., Orthodoxie... , cit., 62. Io., Les lieux théologiques ... , cit., 49. Ibid., 50.


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BILANCIO CRITICO

Il progetto di elaborare una teologia della fede in grado di articolare la soprannaturalità del dato rivelato e la sua storicità ha determinato e orientato lo sviluppo della teologia di Chenu, facendola attestare su una concezione dinamica di tradizione nella quale converge il carattere storico della rivelazione e della sua appropriazione umana. La tradizione, assunta come la mediazione concreta dell'istanza teologica e di quella storica, diventa la categoria fondamentale di un'epistemologia teologica teorico-pratica. Il nodo del discorso appare essere la categoria della storicità, che Chenu dapprima elabora in rapporto alla conoscenza umana e successivamente ai fattori complessivi che costituiscono la realtà umana come storia e che, a partire da questa, determinano la stessa realtà cristiana. Il carattere problematico del concetto di storicità riguarda principalmente questi sviluppi. Ad essi conviene pertanto riferirci per un bilancio critico. Prendiamo quindi in esame dapprima il problema in se stesso e successivamente nelle tematiche specifiche dei segni dei tempi e del!' ortoprassi.

1.

La storicità della fede e il primato della rivelazione

Ricostruendo lo sviluppo del concetto di tradizione in Chenu, abbiamo cercato di dare forma organica a un pensiero che sfugge a una rigorosa articolazione. Bisogna riconoscere che i lavori di carattere teoretico non hanno la ricchezza documentaria e il rigore argomentativo delle ricerche di teologia medievale. Tuttavia, sulla scorta delle analisi precedenti, vi possiamo trovare interessanti intuizioni che precorrono di qualche decennio la Dei V erbum. Tra queste ci pare opportuno menzionare:

a)

Il superamento di una concezione dottrinalistica di tradi-


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zione come fonte di rivelazione giustapposta alla Scrittura. Già nel primo Chenu la tradizione è definita come «principio creatore di intelligibilità e fonte inesauribile di vita nuova, non aggregato di 1'radizioni ma principio di continuità organica, di cui il Magistero è l'infallibile strumento, nella realtà teandrica della Chiesa, corpo mistico di Cristo" 143 ; e ancora: da presenza stessa, nella fede, della rivelazione" 144 • La tradizione, come cammino di testimonianza e di intelligibilità del dato rivelato, si fonda sulla testimonianza della Seri ttura che è la memoria oggettiva della Parola di Dio. Il ritorno costante alla testimonianza dei testi sacri fa della tradizione un principio organico di continuità 145 • Perciò la fede della Chiesa può superare la lettera del testo, facendo progredire la concettualità teologico- dogmatica nel tentativo di reinterpretarne il senso e la verità nell'oggi della storia. b)

Il passaggio da una concezione di rivelazione-oggetto, cioè come il complesso delle verità rivelate a una idea di rivelazione-atto, cioè come la manifestazione di Dio in una storia rivelante 146 • L'idea astorica di verità è superata dall'identificazione della rivelazione con il Verbo incarnato e dall'approfondimento della struttura storico - escatologica del dabar biblico. Negli ultimi scritti di Chenu il diswrso sulla rivelazione come historia salutis è ancora più esplicito per l'influsso della Dei V erbum.

In., Une école ... , 66. lbid., 67. us Cfr. Io., Vocabulaire biblique et vocabulaire théologique, in NRT 74 (1952) 1029-1041. 146 Cfr. Io., La position ... , cit., 130; Une école ... , cit., 61. Per i collega1nenti con la Dei Verbu111, !Segnaliamo: H. BourLLARD, Le concept de la révélation de Vatican I à Vatican Il, in Révélation de Dieu et langage des ho1nnzes, Cerf, Paris 1972, 35-49; B. -D. DUPUY, Historique de la Constitution, in La Révélation divine, 1, Cerf, Paris 1968, 61-117; C. GEFFRÈ, Esq.uisse d'une théologie de la révélation, in La Révélati'On, Bruxelles 1977, 177-181; G. VOLTA, La nozione di rivelazione al Vaticano I e al Vaticano Il, in La teologia italiana oggi, cit., 195-244. 143

144


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In questo senso Chenu ha dato un reale contributo alla maturazione teologica che ha preceduto il Concilio. Egli è stato coraggiosamente tra i primi a intuire la necessità per la teologia di desolidarizzarsi da una concezione astratta di verità, portando la rivelazione alla sua matrice storicocristologica e radicandola alla testimonianza e alla tradizione viva della Chiesa. Significativamente P. Parente, commentatore ufficiale della sentenza del S. Uffizio che metteva all'indice il volume Une école de théologie. Le Sauchoir, gli rimproverava «Una strana identificazione della Tradizione (fonte di Rivelazione) con il Magistero vivo della Chiesa (custode e interprete della Rivelazione)»; e inoltre l'idea che «la Rivelazione è quasi in atto nel Magistero vivo della Chiesa e insieme con essa si evolve e cresce))

147.

Questo giudizio mette in evidenza, per contrasto, le novità che Chenu aveva introdotto nel panorama teologico degli anni trenta. Nell'articolo del Parente è chiaro il riferimento alla tradizione cor11e fonte autonoma di rivelazione e alla rivelazione intesa come deposito delle verità rivelate da Dio. L'autorità del magistero è ipostatizzata e staccata dal cammino storico della Chiesa 148 • Chenu è fuori da questo modo di impostare il problema. Per lui la fede crea una tale fecondità interiore, all'interno delle vicissitudini storiche, che promuove nuove e continue riletture del dato rivelato. Poiché l'oggetto della rivelazione è la manifestazione di Dio in Gesù Cristo, non si tratta di aggiungere nuove verità. Tuttavia la comprensione di questo oggetto si sviluppa con i mutamenti delle precomprensioni del soggetto. Soggetto e oggetto vivono in una profonda circolarità ermeneutica: l'oggetto non è dato fuori dalla comprensiorre del soggetto. E il soggetto, specie nel secondo Chenu, non è più solo il singolo, ma la Chiesa

147 P. PARENTE, Nuove tendenze teologiche, in L'Osservatore Ro1nano, 9-10 febbraio 1942. 148 Cfr. M. - D. CHEl\'.U, Les lieux théologiques ... , ciL, 50; Orthodoxie ... ,

cit., 55.


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che vive il suo cammino storico di intelligenza della Parola, guidata dallo Spirito e assistita dal carisma magisteriale. In Chenu, storico di professione, opera, in dialettica con la concezione positivistica della storia, la consapevolezza almeno atematica del carattere peculiare, non oggettivistico, della conoscenza storica. La storicità e quindi la relatività, vanno attribuite allo stesso contenuto degli enunciati. Egli afferma infatti che, al di là dei benefici metodologici apportati dal metodo storico, oggi «questa storicità si estende allo stesso confanuto: enunciati e definizioni hanno per oggetto una storia [ ... ].Non si tratta solamente di una storia dei dogmi, ma i suddetti dogmi sono lespressione di una realtà incarnata nel susseguirsi dei tempi, una economia» 149 • D'altra parte il conoetto di storicità che coinvolge la stessa "res" salvifica non è tematizzato. Manca un'analisi approfondita sulla problematica antropologico-filosofica della storicità in generale e della conoscenza storica i11 specie. Possediamo su questi temi solo due lavori specifici: una conferenza pronunciata a Lovanio per il !° Congresso Internazionale di filosofia medievale, nel 1958, intitolata Situation humaine: aorporalité et temporalité; e un articolo pubblicato a Toronto nel settimo centenario della morte di Tommaso d'Aquino (1974), dal titolo Créatz1on et Histoire. Questi lavori, pur limitati all'indagine storica sul medioevo, presentano (soprattutto il primo) un esame sufficientemente accurato sullo sviluppo delle categorie bibliche di tempo e di storia negli autori medievali, specie in Tommaso. Si analizza anche l'influsso dell'agostinismo e del platonismo nell'antropologia e si sottolinea la differenza con la visione di Tommaso, che riafferma la consistenza delle cause seconde, contro la teoria delle idee eterne (Platone) e delle rationes semina/es (nella tradizione agostiniana). L'obiettivo è di sottolineare la differenza fra la concezione biblica del tempo e quella greca dell'eterno ritorno. Il tutto è

149

Io., La théol'Dgie en procès, cìt., 693. La sottolineatura è nostra.


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corredato da un importante e ricco apparato documentario 150 • Tuttavia, nonostante la ricchezza della documentazione, il saggio rimane l'abbozzo di un'analisi non più perseguita sistematicamente. L'idea di storicità, pur essendo per molti aspetti indotta dalla cultura moderna, resta ancorata per la sua fondazione alle categorie della filosofia greca (ilemorfismo aristotelico) e soprattutto alle intuizioni di Tommaso, immediatamente trasposte in chiave moderna 151 • Il riferimento più esplicito al dibattito moderno avrebbe permesso a Chenu, che a partire da istanze teologiche percepiva in modo irriflesso il problema, di dare una fondazione più chiara alle sue affermazioni. La riflessione acvrebbe potuto scvilupparsi nelle seguenti direzioni. 1)

Un approfondimento del discorso metafisico tale da inglobare, nella sua stessa fondazione, la storicità come categoria essenziale. Su questo punto i medievali, impregnati di cultura biblica e conoscitori della tradizione agostiniana, fornivano ampi spunti; ma lo sviluppo riflesso del problema si è prodotto solo in età moderna.

iso L'articolo Création et histoire, preseintando una lettura, in chiave storica, dell'antropotogia di S. Tommaso, propone, nello stesso tempo, una ·serie di interessanti considerazioni circa l'idea dell'uomo immagine di Dio. Qui Chenu, forse influenzato da letture rahncriane, tenta una fondazione teologica della socialità dell'uomo e dei suoi compiti strutturali per umanizzare il mondo e la storia. Cfr. Création et historie, in Co1n111e111orative Studies, Toronto 1974, 391-399. 1-' 1 L'arlicolo Création et histoire è significativo a questo proposito. Vogliamo citarne un passaggio: «La conception hylé1norphique aristotélicienne, à laquelle recourt St. Thomas dans son anthro:pologie, radica.lise à ce poi-nt, de manière imprévisible pour le Philosophe, l'historicité de l'ho1nn1e. La densité du temps vécu ·Se double dans la densité des générations qui composent la société. L'histoire est par td"éfinitian sociale. I-Iistoire de l'ho1nme, elle embraye sur l'histoire de la nature. Les instants du tc111ps et les Ebertés des -individus ne deviennent une histoire que par et dans une sociabilité des hom1nes qui vive.nt dans ce temps. L'histoire es·l le lieti humain de .Ja Création». Créati·on et histoire, cit., 394-395.


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Un ripensamento critico del concetto di rivelazione e della sua peculiare storicità nei confronti della storicità della esperienza umana in generale.

L'assenza di questo sviluppo spiega il ca·rattere estrinseco e ultimamente "dogmatico" del modo nel quale Chenu utilizza il principio dell'incarnazione, fondamentale nel suo discorso. A ciò si collega l'indeterminatezza del suo concetto di tradizione. Un accostamento quasi immediato del principio di incarnazione con le categorie moderne della storicità rischia di dissolvere in un concetto generico di sviluppo il fondamento cristologico della rivelazione e della sua singolare storicità 152 •

2.

I segni dei tempi e la singolarità di Gesù Cristo

La mancanza di una riflessione sistematica sulla storicità in generale e sulla rivelazione in particolare si rivela nella difficoltà che Chenu incontra nel tentativo di rigorizzare il discorso su "i segni dei tempi". Si è detto del ruolo centrale che questa categoria svolge nel discorso di Chenu. I segni dei tempi, indicando i punti di impatto della Parola nella sto-ria, costituiscono l'elemento dinamico per una attualizzazione costante del Vangelo nel tempo, aprendolo verso nuovi orizzonti di intellegibilità.

152 E' attribuibile anche a Chenu la critica che G. Angelini rivolge a Congar e a Schillebeeckx, circa la lettura in chiave storico-salvifica della teologia di S. Tnn1maso. Egli scrive: «Se certamente dev'essere accolta ] 'istanza fondamentale di questi studi, intesi a mettere in evidenza quanto siano ancora -operanti in S. Tommaso gli schemi istorico-salvifici, caratteristici degli antichi simboli di fede e delle somme di sentenze della prima scolastica, rimane per altro aspetto indubitabile, che la direzione alla quale Tommaso riflessamente e intenzionahnente si volge, è quella dell' "ordo disciplinae", cioè quella di una ,sistemazione della verità cristiana che ricalchi gli schemi della scienza in senso aristote11co ( connessione necessaria di verità, sottratte all'indice temporale 1della contingenza)». G. ANGELINl, Storia-Storicità, in DTI, III, Marietti, Casale Monferrato 1977, 344. 1


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Questa categoria, in una teologia che si concepisce sotto il segno della storia, assume un valore epistemologico fondamentale per l'intelligenza della fede. Essa realizza la legge strutturale dell'economia cristiana, la continua incarnazione della Parola nel tempo per la redenzione dell'uomo. Sotto questo profilo sembra immediatamente che ai segni dei tempi sia riconosciuto solo il compito prospettato dal n. 44 della Gaudium et Spes, secondo cui l'evoluzione storico-culturale del mondo può arricchire di nuove capacità di intelligenza il dato rivelato. Ma a un'indagine più attenta si scorge un significato più radicale. I segni dei tempi, per «la presenza operante dell'opera redentrice di Dio» 153 nella storia, mentre indicano le aperture alla grazia, manifestano i disegni del Dio creatore per il mondo e la storia. A questo riguardo Chenu sente di esporsi al duplice rischio di vanificare la consistenza delle realtà create e di assolutizzare la storia facendola quasi coincidere con il Regno di Dio. Perciò, quando parla dei segni dei tempi come manifestazioni dei disegni di Dio, si affretta a ribadire che ciò non sopprime il significato diretto e proprio degli accadimenti storici, e inoltre che i segni dei tempi non sono «delle capacità positive di accedere alla grazia» 154 e che essi emergono all'interno ,di una storia problematica e ambigua, il cui sviluppo non sfocia di per sé nel Regno di Dio 155 • Queste riserve e cautele non riescono a evitare ogni ambiguità e tradiscono i limiti della chiarificazione tematica. A tale scopo occorreva elaborare una criteriologia per individuare, nella vasta gamma delle prese di coscienza storiche,

M. - D. CHENU, Les laics .. ., cit., 86. Io., Post-scriptun1, in ET, cit., 28. 155 Cfr., Io., Les signes des te1nps. Post-s.criptun1, cit., 52-53. «Certes les événen1ents qui constituent la trame de l'histoire n'entrcnt aucunement clans l'objet ni dans la lu1nière de la Révélation, pas .plus qu'ils ne débouchent sur l'avénement du royaun1e; ni la nature ni J'histoire n'ont capacité de révéler le mystère de Dieu: sa Parole vient "d'en haut'', par l'initiative d'un amour gratuit, s'engageant ·dans une communìon amourcuse». flistoire du salut ... , cit., 28. 153 154


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quelle che sono segni dei tempi e attese di grazia, e quelle che rappresentano una chiusura all'azione di Dio. Questo chiarimento si impone nel passaggio dalla prospettiva del primo Chenu a quella storico-pratica del secondo Chenu. Mentre lo statuto incarnazionistico della grazia si può applicare senza ambiguità quando si tratta della struttura noetico-conoscitiva dell'uomo, esso non risulta immediatamente praticabile quando, con i segni dei tempi, ci si riferisce alla storia umana nel suo complesso. La storia infatti è l'effetto della libertà umana, la quale si muove nella dialettica di grazia e di peccato e rinvia come tale a un discernimento. In questa direzione Valadier osserva che un ricorno troppo facile ai segni dei tempi, nell'intenzione di proporre una teologia concreta e storica, quando non affronta i nodi teorici connessi a una corretta ermeneutica del segno, rischia di risolversi in una scorciatoia che crea più problemi di quanti ne risolva 1.56 • Ciò vale per i fenomeni generalizzati, quali la promozione della donna, l'accesso di nuovi popoli all'autonomia politica, i bisogni e le aspirazioni dell'umanità presente, che Chenu indica abitualmente come segni dell'azione di Dio nella storia. In questo modo «non si rischia di attribuire alla divinità ciò che deriva dalla libera e ambigua iniziativa dell'uomo?» 157 • Non è aperta così la strada a una sorta di soggettivismo dove ciascuno può « [ ... ] leggere nei segni dei tempi i propri desideri e la conferma delle proprie idee» 158 • L'ambiguità riguarda più radicalmente la stessa nozione di presenza agente di Dio nella storia. Ciò rischia di compromettere da una parte la libertà di Dio e la sua trascendenza, dall'altra la consistenza e in primo luogo della libertà umana. L'assioma teologico·-cristologico sancisce una visione ottimistica e progressistica della storia, vista come un cammino verso

15& Cfr. P. (1971) 261-279.

VALADIER,

157

Jbid., 268.

1ss

Ibid., 269.

Signes des ten1ps, signes de Dieu?, in Etudes 335


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una maggiore umanizzazione dell'uomo, ordinato ad aprirsi quasi ineluttabilmente sul Regno di Dio. La mancanza di una criteriologia per una ermeneutica dei segni dei tempi è avvertita dallo stesso Chenu e dai suoi discepoli. Egli riconosce che per una corre! ta lettura dei segni dei tempi «bisognerà avere delle regole di discernimento contro uu'intollerabile soggettività» 159 • Tuttavia la soluzione che viene proposta appare piuttosto incerta. Da una parte si attribuisce al magistero la regolazione del discernimento, dall'altra si riafferma che la teologia «deriva la sua luce da se stessa, nella fede in atto di intelligenza, e non dal potere dell'istituzione» '"'. A nostro giudizio, le ambiguità osservate riconducono piuttosto al significato del principio stesso che Chenu pone a fondamento del suo discorso sui segni dei tempi, il principio dell'incarnazione. Questo interviene come un paradigma JM Si parla :;pesso di statuto teandrico della realtà cristiana e dell'economia della grazia, per indicare un orientamento di lettura della realtà, ove tutti gli spazi dell'umano debbono essere assunti, come nel Cristo, dalla potenza salvifica della grazia. Un tale discorso che potrebbe essere caratterizzato di <<cristocentrismo obiettivo» 162 , genera nella teologia di Chenu il rischio che, con le parole del Moioli, possiamo definire «Un tendenziale dissolvimento della concretezza-singolarità di Gesù Cristo nell'universalità-astrazione dell'idea di Cristo, riducendo pertanto Cristo a sigla del reale» 163 • Il discorso sui segni dei tempi, anche se esprime la legittima esigenza di ancorare la grazia alla natura e la rivelazione alla storia attuale, non può esimere dall'approfondimento dello statuto singolare di Gesù di Nazareth, il quale comporta che

M. - D. CHENU, La théologie en procès, ci,t., 694. lbùl., 695. 161 Cfr. Io., Din1ension nouvelle ... , cit., 92. 162 Tale e&pressione è del Grillmeier. Essa viene utilizzaita qui per indicare quel filone della teologia che tende a vedere nel Cristo «ora la sintesi, ora la sigla, ora il luogo della realtà>), Vd. G. MoIOLI, Cristologia. Proposta siste111atica, pro 1nanuscripto, Milano 1978, 43. 163 G. MoIOLI, op. cit., 48. 159

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solo nel Cristo l'avvenimento è verità, nel senso che solo in Lui la parola dj verità si dice pienamente in termini di esistenza e di individualità storica. Ciò esclude una certa "ontologia eristica", secondo cui la storia condurrebbe energeticamente al Regno. L'evento-verità di Gesù Cristo determina e realizza ultimamente il senso della storia della salvezza, cosicché solo un riferimento al significato specifico di questo evento può fondare una criteriologia di lettura dei segni dei tempi. Più concretamente: gli eventi storici e le prese di coscienza degli uomini possono essere qualificati come segni dei tempi, dal punto di vista teologico, solo se da essi emerge un riferimento esplicito alla singolare rivelazione di Dio in Gesù Cristo e alle sue pretese salvifiche 164 • Qui non si tratta di confessionalizzare la storia, ma di ribadire che il credente, allorché si pone davanti alla storia per interpretarla, può riconoscere come segni dei tempi e predisposizioni alla grazia solo quelle prese di coscienza storiche che lasciano la libertà umana incondizionatamente aperta alla verità. Queste aperture possono essere percepite come preparatio evangelica, nel senso

164 L'esigenza è formulata in maniera pertinente da G. Colombo: <(Se il cristocentrismo in quanto cristologia di Gesù di Nazareth, "determina" la verità della rivelazione, configurandola, al di là della semplice nozione formale, co1ne 1a rivelazione del Dio di Gesù cioè del Dio trinitario, correlativamente iJ "çristocentri,smo" determina la verità dell'uomo, fonda1nentalmente nel senso dell'alterità di Dio, che interdicendo ogni identificazione o ri1soluzione dell'uomo in Dio, impone di riconoscere all'uomo una propria veri,tà». G. COLOMBO, 'Teocentrisn10' e 'Cristocentris1no', in T eol.agia 4 (1981) 300. Per una sintetica messa a punto della proble1natica teologica dei segni dei tempi, cfr. H. SCHUTZEICHEL, Die Zeichen der Zeit er!cennen, in TThZ 91 (1982) 304-313: 310-311. E' qui sottolineata con forza la singolarità di Cristo come «l'unico, effettivo e irrepetibile segno del tempo» (p. 310): «Die Zeichen der Zei!t .sind nicht der Oder flir ein neues Wo:rt Gottes an die I<irche. Sìe enthalten jedoch von Gott gesteuerte Anrufe und Anfragen an die abgeschlo.sisene Offenbarung Gottes. Sie kOnnen helfen, das Evangelium tiefer und allseitiger zu verstehen. Fiir den christlichen Glauben bedeutet das: Er nahrl sich grunidlcgend und entscheidend durch die Erinnerung an die verga.ngene Geschichte Gottes mit den Menschen in der Zeit Abraham bis Jesus von Nazareth». L, c.


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che possono e debbono trovare nella fede-carità la loro piena determinazione. E' quindi necessaria una criteriologia di lettura dei segni dei tempi, fondata sul rapporto responsorio-dialogico della libertà umana con la singolarità di Gesù Cristo. Solo a questa condizione il discorso della rivelazione come historia salutis acquista pertinenza teologica e la lettura della storia si libera da possibili equivoci ottimistici.

3.

L'ortoprassi e la verità assoluta di Dio

Al tema dei segni dei tempi si collega strettamente quello sulla prassi della Chiesa. Come si è visto, la praxis ecclesiae, nel pensiero di Chenu, ha una duplice funzione epistemologica. La prima, più esteriore alla conoscenza della rivelazione propriamente detta, è costituita dagli apporti di intelligenza teologale che la Chiesa induce dalla sua presenza nel mondo, nell'atto di proclamare il messaggio. Il contatto con problematiche nuove e il tentativo di discernere i "semi" di grazia ape~ ran ti nella storia generano nella Chiesa una rilettura sempre nuova della Parola di Dio, in vista della missione. A questa dimensione si riferisce un passaggio del n. 44 della Gaudium et Spes, che recita testualmente: ~<L'esperienza dei secoli passati, i progressi della scienza, i tesori nascosti neUe varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell'uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche alla Chiesa» 165•

L'altra funzione è espressa dalla convinzione di Chenu che la praxis ecclesiae è l'elemento costitutivo _per l'attuazione del processo di comprensione della rivelazione. «L'ortodossia no.n vale in ,se stessa. Il messaggio() deve essere

165 Questa dimensione è presente in quaisi tutti gli scritti del volume Evangile dans le te1nps, e, in maniera più attenta ai problemi di oggi, nell'opuscolo Peuple de Dieu dans le 111onde. Di quest'ultimo segnaliamo il c. 2.


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vissuto, portato, per essere compreso, per essere "vero". 'Fare la verità'» 166 •

La Chiesa dunque comprende e invera il messaggio, vivendolo. Negli scritti di Chenu «la dialettica permanente tra ortodossia e ortoprassi» oscilla tra l'affermazione della circolarità tra le due istanze e il riconoscimento del primato della prassi nel processo di intelligenza della rivelazione. L'origine della categoria di prassi e ortoprassi si trova nel moderno pensiero prassistico. Ma, come d'abitudine, Chenu la collega immediatamente alla problematica teologica. La teologia del nostro Autore, fin dall'inizio, si era mostrata un terreno adatto a cogliere il ruolo determinante della praxis ecclesiae 16'. Ma in quel contesto la problematica era differente, in quanto la nuova prassi evangelica era determinata dal ritorno radicale alla verità del Vangelo, come norma assoluta di ortoprassi. La circolarità ermeneutica aveva questo ordine: Vangeloortoprassi-ortodossia (intesa spesso come sinonimo di teologia). L'ortoprassi, termine medio tra rivelazione e teologia, si riferisce alla verità assoluta del Vangelo. Nel nuovo contesto invece la prassi interviene come principio che fonda non solo l'intelligenza ma la stessa attuazione della verità teologica. Ci si chiede allora come in questa prospettiva debba essere salvaguardata la trascendenza e l'assolutezza della rivelazione. Non vi è dubbio che la vita di fede sia portatrice di una conoscenza della rivelazione, condizionata, nella prassi sacramentale, nelle scelte operative e persino nel linguaggio, dalla situazione storica. Tuttavia ciò non può pregiudicare l'oggettività e l'assolutezza del principio di rivelazione. Quando Chenu scrive che «la ortodossia, con le sue proposizioni, trova la sua fedeltà, la

166 167

M. -D. CHENU, Orthodoxie ... , cit., 59-60. A questo proposi,to rimandiamo a quanto .J'A. ha scritto sul risve-

glio evangelico del XII secolo: cf.r. La théologie au Xl/e siècle, ci,t., 252-273. Tali prospettive 1sono costantemente riprese in tutto l'arco della riflessione chenuana: cfr. l'articolo, relativamen,te recente, Risveglio evangelico e presenza dello Spirito nei secoli XII e XIII, in L'esperienza dello Spirito. Sfu,di in onore di E. Schillebeeckx, Queriniana, Brescia 1974, 183-184.


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sua oggettività, la sua assicurazione, nel terreno dell'ortoprassi» 168 , sembra affermare una relatività e una subordinazione della verità del Vangelo alla prassi. In realtà l'intento di Chenu è il superamento di una concezione astratta della verità rivelata. Ma in assenza di una tematizzazione del rapporto fra l'assolutezza della verità e la storicità, l'ambiguità delle formule non può essere superata. La "scorciatoia" di Chenu consiste nel riferirsi alla praxis ecclesiae, intesa come un comportamento complessivo caratterizzato formalmente dalla fede. Ciò gli permette di evitare i problemi, ma, come nella prima concezione di fede, l'insistenza sulla sua peculiarità sostituisce l'analisi dei principi di questa peculiarità 169 • A causa di questa indeterminatezza, la verità assoluta della rivelazione tende a risolversi nella vita di fede della comunità e la prassi della Chiesa rischia di non essere più normata dall'assolutezza dell'evento cristologico. Tutto ciò potrebbe portare di fatto la praxis ecclesiae a una totale perdita di identità, a un concordismo acritico con tutte le istanze ideologiche presenti nella storia. Ma in questo modo la Chiesa cesserebbe di essere, nel tempo, testimone del Vangelo e «forma storica della grazia» di Dio, apparsa in Gesù Cristo 170 •

Io., Orthodoxie ..., cit., 61. Su questo tema ci sembrano pertinenti i rilievi critici fatti da A. Bertuletti alla teologia di E. Schillebeeckx, nell'articolo Il concetto di esperienza nel dibattito fonda1nentale della teologia conteniporanea, in Teologia 4 (1980) 283-341. c<I -rischi ivi ·segnalati interessano anche la teologia di Chenu. La funzionalizzazione della verità teologica alla prassi storica, tende e ri1solvere ìl sapere t'eologico a discorso sull'esperienza credente relegando in una sorta di indeterminatezza :il 1peculiare riferimento cristologico della federivelazione. In aHri termini, la posta in giuoco della teologia idi Chenu, come anche di quella di Schillebeeckx, è 'la perdita della .singolarità di Cristo come referente assoluto di senso dell'es.per.ienza credente, a causa [ ... ] della risoluzione del sapere teologico in categorie di una filosofia religiosa incapace di gius·tificare la singolarità della .rivelazione di Gesù Cristo rispetto ·all'esperienza universale)). Jbid., 321. 170 P. Liégé ha posto con chiarezza una ·serie di domande alle teologie 168 169


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Questi rilievi critici non intendono disconoscere la pertinenza di un discorso sulla prassi nell'ambito dell'epistemologia teologica, e quindi, di riflesso delle istanze fatte valere da Chenu. Ma il discernimento di questa problematica esige di distin-· guere il livello originario che caratterizza la fede come opzione libera del soggetto nei confronti della verità assoluta di Dio, e quindi in questo senso come figura della prassi che in nessun modo compromette l'assolutezza della verità, giacché consiste in una radicale apertura a questa verità e alla sua indeducibile autocomunicazione (evento) 171 ; e il livello ermeneutico che riguarda la comprensione della fede nelle sue forme storiche e in cui la dimensione pratica interviene come fattore che promuove o inibisce l'intelligenza storica della verità. A questo secondo aspetto si collega la problematica relativa all'incidenza ideologica della prassi 172 •

del primato della prassi, che riteniamo possano essere rivolte anche a Chenu. Il L-iégé ·si doma,nda: «Suffit-il qu'une pratique ·soit mcnée par der chrétiens, pour que I'on ait à faire à une pratique chrétienne qui s'impose à l'attention théologique?». «La pratique que ne peut justifi.er d'aucun aippui dans l'expérience de la Tradition de foi, est~elle à prendre en compte?». «Faudrait-il pour cela distinguer pratiques et pratiques? Car il impor.te de ne point en1ever au discerniment croyant enraciné dans la traidition vivante, 1e dernier mot et l'initiative dernière de ses lan.gages. Il faut veiller à ne pas plier la .foi à n'importe quelle pratique, au risque de verser dans Ja théologie légitimatrice, à la .remorque des idéologies religieuses, rnorales et politiques» P. A. LIEGÈ, La pratique con11ne lieu théologique, in Le déplace1nent de la t!téologie, cit., 86.87.88. 111 .Cfr. A. BERTULETTI, Fede e sapere. Il concetto di fede, in Teologia 3 (1982) 249-269: 260-266. 172 «Se il princ1pio del primato della prassi ha una sua validità, evidentemente nella misura da stabilire, concerne non la rivelazione in se stessa, ma le precomprensioni indotte dalla prassi In questo spazio trova il suo senso la tematica dell'ortoprassi che .postulata dalla rivelazione, trova nella rivelazione stessa e non nella prassi il proprio criterio idi verità)). G. CoLO~l[BO, L'espressione linguistica della fede. La teologia, (Dispense di metodologia teologica A. A. 1978-1979), facoltà teologica dell'Italia Settentrionale, Milano, 41-42.


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Conclusione I rilievi che abbiamo rivolto al pensiero di Chenu si sintetizzano nella rivendicazione della singolarità di Gesù Cristo quale criterio assoluto e positivo della verità teologica. L'indeterminazione a questo riguardo degli esiti della riflessione di Chenu si pongono in contrasto con l'intenzione originaria del suo progetto teologico. Questa è stata individuata nell'esigenza di ridare alla teologia un contatto vitale con il dato rivelato 173 • In questa linea Chenu ha perseguito il superamento della teologia manualistica mediante il recupero del carattere concreto e storico della percezione di fede e del suo oggetto. Le intuizioni più sollecitanti della teologia chenuana (lettura storica del tomismo, dimensione storico-economica della rivelazione e delle sue espressioni, la Chiesa come tradizione vivente della Parola, i segni dei tempi) sono ormai patrimonio acquisito della teologia, dopo il Concilio. Così Congar riassume il significato dell'iter teologico di Chenu: «Nelle .di,fferenti direzioni nelle quali egli ha spinto la .sua rif1'essione teologica, il p. Chenu ha tenuto in modo notevole a tracciare programmi, illustrandoli con es·empi significativi. Egli è stato teorico più che pratico della teologia come scienza. Ci sarebbe piaciuto ch'egli affrontasse un'opera storicoanalitica 1della società, di tipo monografico, oppure una ricerca antropologica condotta più sistematicam·ente: l'uomo nel tempo, l'uomo sociale)) 174.

Questo giudizio del Congar è sostanzialmente condiviso dagli studiosi, che, attribuendo alla teologia chenuana il merito di aver indicato alla teologia compiti ineludibili, gli rimprove-

173 Per Congar una tale esigenza è comune alla teologia degli anni 1945-1965. Essa è stata formulata in maniera esplicita dagH esponenti della cosiddetta Théologie nouvelle . .Su questo punto Chenu è stato un precursore. Cfr. Y. CONGAR, Situation et tàches présentes de la théologie, Cerf, Paris 1967, 28; In., Le 1no1nent 'économique' ..., ci-t., 135-187: 136-137. 174 Io., M. - D. Chenu, in Bilancio della teologia del XX secolo, IV, Città Nuova, Roma 1972, 119. 1


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rano tuttavia l'assenza di un'articolata indagine sulla storicità della rivelazione e dell'uomo 17'. Ciò vale per la sua proposta teologica in generale e per i problemi particolari di cui Chenu si è occupato: divenire storico-sociale, il lavoro e l'attività dell'uomo nel mondo. Il nostro Autore si accosta a queste problematiche nuove per la teologia del tempo, con un impianto teoretico sostanzialmente tomista, il quale anche se integrato con sensibilità e suggestioni moderne, risulta insufficiente a chiarire la complessità che questi problemi assumono nel contesto della modernità. C'è comunque un'istanza fondamentale della teologia di Chenu che ci sembra ancora attuale. Ci riferiamo alla convinzione di Chenu che vede nella prassi ecclesiale l'orizzonte proprio dell'intellectus fidei. La Chiesa annuncia, in dialogo con l'uomo di oggi, il suo riconoscimento del Vangelo, il quale, lungi dall'essere la ripetizione del dato ricevuto, ne è la testimonianza sempre meglio percepita e compresa, nel suo cammino storico. Questa convinzione moti<va la definizione della teologia come sapere pratico, cioè come intelligenza critica dell'intellectus fidei della Chiesa in atto di testimonianza evangelica 176 • Ciò ci induce a riflettere a due prospettive particolarmente feconde per il lwvoro teologico. 1)

Da una parte, il magistero del teologo non deve essere concepito come pura esercitazione accademica, ma come servi-

11s Cf.r. G. ANGELINI, La vicenda della teologia cattolica nel secolo XX, DTI, III, Marietti, Casale Monferrato 1977, 601; M. L. MAZZARELLO, li rap· porto Chiesa-inondo nel pensiero di P. M. - D. Chenu, LEV, Città del Vaticano 1979, 40; F. ARnusso, Teologia contentporanea, in Nuovo Dizionario di Teologia Supplemento, I, Ed. Paoline, Alba 1983, 2057. 176 Tale progetto, presente già negli scritti del '37, è 'S•tato anticipatore delle riflessioni sullo statuto della teologia pastorale, maturate negli ambienti teologici tedeschi e francesi dagli anni '50 a oggi. L'inserimento vitale della scienza teologica nel vissuto ecclesiale è un motivo dominante nella riflessione metodologica della scuola domenicana francese, gravitante nell'airea di "Le Saulchoir". Cfr. Y. CoNGAR, Le théologien dans l'Eglise aujourd'hui, in Les qua.tre fleuves 12 (1980) 7-27: 14-16; J. M. TILLARD, Théologie et vie ecclésiale, in Initiation à la pratique de la théologie, Cer:f, Paris 1982, 162.


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Antonino Franco zio ecclesiale. Il teologo deve essere vitalmente inserito nel cammino della comunità credente. Egli apporta lucidità critica alla testimonianza presente della Chiesa, stimolando e suggerendo nuove vie al suo cammino missionario, rigorizzandone i progetti e arricchendo di elementi interpretativi e di risposte adeguate i problemi di cui il vissuto ecclesiale è portatore.

2)

Dall'altra, la vita della Chiesa, in tutte .le sue espressioni, dalla liturgia al magistero gerarchico, deve vivere in una consapevole sinergia con il magistero scientifico del teologo, il quale fornisce alla prassi ecclesiale le categorie per una attualizzazione della Parola coerente con il Vangelo.

Pensiamo che queste prospettive conservino un interesse nella recente vicenda teologica e che indichino un compito ancora non del tutto svolto nell'attuale ricerca teologica: quello di ripensare lo statuto della teologia pastorale (per Chenu la teologia pastorale è la teologia tout court), perché la riflessione sul vissuto ecclesiale, attrezzandosi di strumenti scientifici adeguati, diventi un vero sapere e non u11 savoir faire, puro tecnicismo organizzativo. Nella corretta articolazione fra le diverse competenze della teologia in quanto sapere critico della fede della Chiesa dovrebbe trovare esecuzione l'istanza che ha condotto Chenu dalla rivendicazione del carattere concreto della fede alla sua radicazione nel vissuto ecclesiale. La crisi modernista e il dissolvimento del pensiero razionalistico avevano posto la teologia di fronte al compito ineludibile di riformulare lo statuto epistemologico della fede e di superare la figura tradizionale di teologia. Questa, avendo posto in secondo piano la dimensione storica della rivelazione con il suo fondamento cristologico, aveva perso i legami con la vita della Chiesa. La vicenda teologica del secolo XX si sviluppa nel tentativo di istituire una epistemologia della fede, in grndo .di generare una figura di teologia all'altezza della problematica moderna del sapere e capace di articolare la verità della rivelazione cristiana con l'esperienza umana e la sua storicità.


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In questo sfondo si colloca la teologia di Chenu, la quale riflette i problemi e le difficoltà della teologia contemporanea. Se essa rimane spesso al livello di indicazione di compiti e si espone nei suoi esiti al rischio della riduzione, ciò si spiega anche per lo stile della sua opera teologica. Questa è stata l'opera di un testimone, amante della Chiesa, perspicace nel cogliere, talvolta con impertinenza, i segni dei tempi dentro i quali il popolo di Dio vive la sua testimonianza evangelica, ma non sempre preoccupato di insistere con pazienza nella fatica della rigorizzazione critica.



IL MATRIMONIO NEL PENSARE TEOLOGICO DI A. ROSMINI

GIUSEPPE CRISTALDI *

Introduzione Was heisst Denken? 1 La domanda di Heidegger è significativa. Se si pone la domanda è segno che la risposta "urge"'. Se ci si chiede che cosa significhi il pensare, vuol dire che nel pensare si dà un significato, che peraltro non è evidente, è nascosto, si sottrae allo sguardo oggettivante, ma che d'altra parte urge dall'interno, sommuove la riflessione critica, coinvolge quel!' esistere che il Denken caratterizza e drammaticamente qualifica. I sottotitoli dei due volumi heideggeriani indicano due

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Docente di FiLosofia della Religione all'Università Cattolica di Mi-

lano. 1 Cfr. M. HEIDEGGER, Che cosa significa pensare?, tr. it., Sugarco Ed., voi. I, Milano 1978; voi. II, Milano 1979. 2 «Alla do1nanda è essenziale i.I .fatto di avere un senso. Senso sig,nifica però direzione. Il senso della domanda è quindi Ja direzione nella quale, soltanto, la risposta si può trovare, se vuol essere una irisposta sensata, sig,nificante. ,La 1domanda agisce sul suo oggetto dislocandolo .in una deter111inata prospettiva. II sorgere di una domanda forza, per dir così, l'essere di ciò che ne è oggetto. Il l'Ogos che dispiega questo essere forzatamente aperto è già sen1pre, in tal senso, risposta, Esso ha senso solo nel senso della domand,a}} (H. G. ·GADAlvIER, Verità e 1netodo, tr. it., Fabbri Ed., Milano 1972, 419). {{Ogni :eomprensione comincia col fatto che qualcosa ci chia1na}} (Io., Il proble111a della coscienza storica, tr. it., Guida, Napoli 1969, 90).


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Giuseppe Cristaldi

termini emblematici dell'interrogarsi sul significato del pensare: chi è lo Zaratustra di Nietzsche e qual è l'essenza nascosta della tecnica moderna. I due temi sono emblematici come due categorie - l'uomo nicciano e l'essenziale segreto della tecnica moderna - situate nel tempo antropologico, dentro cui il pensare si significa. Allora il pensare sembra essere significante in quanto categoriale, in quanto legato al Dasein in der Geschichte, cO'me nella prospettiva della finitezza temporale di Sein und Zeit. Il significato del pensare sembra perciò drammaticamente segnato dalla frammentarietà temporale. Tuttavia, nelle ardue e suggestive pagine heideggeriane, si può intravvedere, sia pure in filigrana, un significato radicale del pensare per la fondamentale intenzionalità all'Assoluto. In questa prospettiva si possono leggere quelle connessioni, che Heidegger individua, tra Denken Gedachtnis e Danken, le quali sembrano indicare un asse ontologico, assiologicamente qualificato come pienezza di essere, come l'Assoluto 3 • Rosmini non ha scritto un'opera come quella di Heidegger, ina se ne è posto l'interrogativo, che corre, con I' "urgere" della sua risposta, lungo tutte le pagine del Roveretano. I due ritmi del suo filosofare, da lui stesso denominati, nella Teosofia, come filosofia regressiva e filosofia progressiva, costituiscono ad

3 «Ma la parola Gedanc non dice soltanto ciò che noi chiamiamo animo e cuore, e misurian10 appena nella ·sua essenza. Nel Gedanc pog~ gia,no ed hanno la loro essenza tanto la memoria {Gediichtnis), quanto il ringraziamento (Dank). Inizialmente Gedllc!ttnis non significa affatto la capacità di ricordare. Geddchtnis nomina l'intero .animo .nel sens-0 del costante raccoglimento interiore presso ciò che si crivolge essenzialmente ad ogni sentire. Gedii.chtnis dice originaria1nente la stessa cosa che Andacht: .l'incessante, raccolto rimanere presso [ ... ], e non solianto presso ciò che è passato, ma allo stesso 1nodo presso ciò che è presente e ciò che può venire. Passato, :presente e avvenire appaiono nell'unità di una presenza (An-1vesen), che è ogni volta la ,Joro propria» (M. HEIDEGGER, op. cit., II, 29). «N-on c'è bisogno di nessuna ulteriore spiegazione per rendere visi· bile che alla base della domanda del giusto pensare e parlare sta la db· n1anda sull'essere dell'ente ·che di volta in volta si ·manifesta. E,ssere, in quanto presenza, può mostrarsi in diversi modi di presenzai>. (ID., Fenon1enologia e te·D>logia, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1974, 47-48). 1


Il matrimonio nel pensare teologico di A. Rosmini

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un tempo domanda e risposta sul significato del pensare 4 • E i due ritmi - regressivo come movimento dalla periferia al centro, e progressivo come movimento dal centro alla periferia - si saldano nella circolarità del pensare. Che è un pensare in grande, in quanto il circolo non si chiude in pretesa esaustiva e totalizzante, ma costantemente si apre, nella saldatura dei suoi passaggi, verso l'Assoluto: testimoniato nell'idea dell'essere; dimostrato per inferenza dialettica; percepito, per la grazia, come presenza nella storia e nell'esistenza; nuovamente testimoniato, e stavolta nella sua ricchezza trinitaria, nella complessa intensità del pensare teosofico 5 . Seguendo espressioni e moduli della riflessione rosminiana, si possono individuare in essa i seguenti modi di pensare: il pensare gnoseologico, dalla prevalente flessione analitica; il pensare sapienziale, dalla specifica spinta sintetica; il pensare dialettico, quale spiegazione delle antinomie; il pensare teosofico, come contemplazione in movimento. Il significato di tali modi di pensare è sempre, quale istanza radicale, sia pure in prospettive diverse e con diversi ca1nmi11i la verità dell'essere. Pensare significa perciò pensare l'essere. La verità del pensare è l'essere. La verità dell'essere è il radicale significato del pensare. Ma vari sono i modi di pensare l'essere, diversi gli approcci e diverse le prospettive, giacché il pensare è inesaustivo della verità dell'essere. Da ciò l'intrinseco rinnovarsi del filosofare, le modalità del suo cammino, i diversi ritmi del suo scandirsi. 1

4 «Noi abbia1no riconosciuto doversi an1mettere la distinzione tra la Filosofia regressiva, che è quella che sulla via della riflessione riconduce la n1ente a trovare il principio da cui si deriva Ja scienz·a dell'ente, e la Filosofia progressiva, che è la stessa scienza dell'Ente 1d'al suo principio derivata, cioè la Teosofia; e nltracciò una Filosofia inedia, che è quella che son11ninistra le condizioni tanto .formali - Logica -, quanto materiali - Psicologia - del passaggio della n1ente specu.lativ·a dalla filosofia regressiva - Ideologia - alla progressiva e teosofica. La Teosofia dunque, benché meriti essa sul•a l'appellazione di teoria, non è la sola scienza filosofica, n1a è preceduta necessariamente da altre» (Teosofia, 16). 5 Cfr. il n1io saggio L'essere con1e "Testùnonianza di Dio", in Prospettive ros1niniane, Marzorati, Milano 1965, 47-63.


76 1.

Giuseppe Cristaldi Pensare filosofico e pensare teologico

Ora ci si chiede: come si configura e dove si colloca il pensare teologico di Rosmini in confronto ai quattro modi del pensare filosofico? In Rosmini credo si possano individuare due prospettive: una più tematizzata ma anche più aporematica; l'altra meno tematizzata ma più vigorosa e sicura. La prima, che chiamerei intellettualistica, si trova ampiamente esposta nel primo libro dell'Antropologia soprannaturale'; la seconda, che chiamerei storica, si trova qui e là, come accennata in felici scorsi, ma credo si possa dire delineata in actu exercito nella Filosofia del diritto 1. Già il parlare, come si fa in Antropologia sopr•ann'aturale, di filosofia e di teologia comporta un equivoco fondamentale: quello cioè di concepire la teologia come una regione epistemica in cui la filosofia non sia presente, mentre invece, se la teologia è una riflessione intensiva della fede e nella fede, non può mancare in essa la filosofia come intensivo sapere e come rigoroso inferire. Diventa perciò non significativo e fuorviante confrontare la teologia con lo statuto epistemico della filosofia, che

6 Antropologia soprannaturale, 2 voll., a cura di U. Muratore, Città Nuova Editrice, Roma 1983. L'ampio I libro è dedicato ai Confini della dottrina filosofica e della teologica (in sette capitoli, voi. I, 33-276). E' da tenere presente che l'Antropologia soprannaturale, che Rosmini nell'Antropologia a servizio della scienza 111orale (Ed. Naz., Roma 1954, 36 ), dichiara come I-a seconda parte «e Ja principale)>, rimase incompiuta. La storia redazionale è .ricostntita da U. Muratore nell'introduzione all'edizione critica citata. L'opera venne scritta a varie riprese e in diversi luoghi, dal 4 maggio 1832 al 27 apriJe 1836. Ci si può chiedere perché Rosmini non abbia ·ripreso l'opera lasciata incompiuta. Muratore avanza l'ipotesi del m·otivo apologetico. Pri1na di el aborare il discorso teologico, quale è quello della Antropo/.ogia soprannaturale, bisognava rafforzare il discorso filosofico, che è -discorso razionale e propedeutico alla fede. Muratore riporta le seguenti pa·role di Rosmini: «Gli uomini conviene andare a prenderli lontani perché ·sono andati lontani» (Ep. Compl., 4, 265). 7 Filosofia del diritto, Ed. Naz. a cura di R. Orecchia, 6 voll., Cedam, Padova 1967-1969 (con numerazione progressiva dei paragrafi ad opera dello stesso Rosmini). 1

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la teologia ha già immesso in sé, sia pure dentro la nuova e paradossale "logica" della fede. Se .il confronto è corretto, quando ci si rifà all'originario epistemico, cioè alla ragione e alla fede, il confronto non è più corretto, quando esso viene trasferito tout court alla filosofia e alla teologia, giacché questa si origina e dalla fede e dalla ragione, mentre solo dalla ragione si origina la filosofia nella sua autonoma, anche se non esaustiva, validità epistemica. Il confronto può anche correttamente allargarsi ai rapporti tra la filosofia, nel suo autonomo e coerente dispiegarsi dalla ragione, e la fede, quale nuovo principio epistemico, che non può non provocare e interpellare la ragione filosofica. La radice dell'aporia sta nell'accezione di fede, che nell'Antropologia soprannaturale presenta, sotto l'influsso dell'Illuminismo, una marcata flessione intellettualistica. L'attenzione è rivolta più alla fìdes quae, come contenuto nozionale e proposizionale, che alla fìdes qua, quale decisione di libertà e orientamento dell'esistenza. La preoccupazione prevalente diventa allora quella intellettualistica: individuare cioè la non contraddizione logico-formale dell'enunciato di fede, che viene fissato quindi in proposizioni sta ti che, con il risvolto di una pretesa alla definitività esaustiva, quando tali proposizioni si traducano in formulazione positiva, ciò che peraltro non si verifica nella prospettiva rosminiana, dato il carattere apofatico (ideale-negativo) della conoscenza di Dio. L'altra prospettiva invece fa perno sull'evento storico dj Gesù Cristo - il Principium qui et loquor vobis a cui si rifà Dell'idea della sapienza 8 - Verbo fatto carne, Sapienza increata entrata nella storia, con realtà di spessore umano. Gesù Cristo è allora il principio supremo per l'interpretazione del senso ultimo della realtà. Con riferimento alla realtà di Gesù Cristo, la fede mostra la propria essenziale e fondamentale configurazione esistenziale-storica di decisione di libertà e di adesione s Dell'idea della sapienza è la terza parte di Degli studi dell'Autore, in Introduzione alla filosofia, Nuova ed. critica a cura di P. P. Ottonello, Città Nuova, Ron1H 1979 (con nLunerazione progressiva dei paragrafi). Per il Principùun, qui (ovvero propterea) et loquor vobis si veda .il par. 83.


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all'evento soterico. Il pensare teologico ha come princ1p10 epistemico la fede, che è intesa nell'accezione di evento esistenziale-storico, con intenzionalità referenziale all'evento-Cristo. Certo, per essere "teologico", questo pensare della fede coinvolge, in intensità di riflessione e in rigore di procedimento, la ragione. Ma questa ragione, prima di essere formalmente ragione metafisica e dialettica, è ragione "storica", in quanto, rapportandosi la fede alla storia della salvezza, la ragione, che è coinvolta dalla fede, non potrà non rapportarsi alla consistenza epistemologica e al senso della storia, non potrà cioè non essere, in questo senso, ragione storica. Ma forse è da dirsi, ancor più propriamente e profondamente, ragione storica, in quanto essa stessa, la ragione, si avverte radicata nella storia, comportando quindi in sé una intrinseca dimensione storica, che si pone in un rapporto dialettico di tensione e di integrazione con la dimensione metafisica. Si può dire, allora, che in Rosmini il passaggio dal pensare filosofico - che tutto si dispiega con autonomia di procedimento dalla ragione - al pensare teologico - in quanto nel pensare irrompe il nuovo principio epistemico della fede che coinvolge la ragione storica - è "dialettico": nel senso che tra pensare filosofico e pensare teologico si dà continuità formale, in forza della forma sapienziale che caratterizza l'uno e l'altro, ma si dà pure discontinuità assiologica, in quanto, mentre la sapienza della filosofia è "astratta'', la Sapienza della teologia ha la cofr cretezza dell'evento storico. Di fronte, perciò, al pensare filosofico, che conosce le autonome arditezze del procedimento dialettico, il pensare teologico presenta come suo specifico e originale apporto l'assunzione del concreto storico come principio epistemico. Il pensare teologico si può quindi innestare all'interno del pensare filosofico, senza ledere l'autonomia di questo e senza compromettere la propria originale specificità, in due convergenti momenti: nel momento di tensione sapienziale della filosofia e nel momento in cui la filosofia viene avvertita dell'evento storico come Sapienza incarnata. Irrompe allora come nuovo principio epistemico la fede, che interpella e coinvolge la ragione, sia nella sua dimensione storica che nella sua dimensione metafisica.


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Ciò spiega come in Rosmini il discorso teologico possa trovarsi, in ,maniera più o meno dispiegata, anche in opere che sono dichiarate filosofiche, come nella Filosofia del diritto. Un'altra osservazione è ancora da fare. La filosofia rosminiana, pur caratterizzandosi, dagli Opuscoli filosofici del 1827 all'incompiuta Teosofia, con le costitutive coordinate del!' "unità" e della "totalità", non assume mai lo spessore di sistema chiuso ed esaustivo. L'apertura e l'inesaustività si hanno perché il principio del filosofare rosminiano è l'essere ideale, assoluto astratto, che a tutta la realtà è radicalmente intenzionato e, terminativamente, all'Assoluto reale - di cui l'essere ideale è la testimonianza logico-ontologica - ma senza adeguare a sé tale realtà, in quanto per l'adeguazione conoscitiva ressere ideale ha bisogno della sintesi percettiva, che manca nei riguardi del!' Assoluto, la cui cognizione è, perciò, ideale-negativa. La filosofia riguarda, sì, intenzionalmente l'intero, ma non lo totalizza in sé, per lo scarto tra l'ideale e il reale. Tale scompenso strutturale tra l'ideale e il reale consente alla filosofia rosminiana, non solo di non chiudersi nella pretesa dell'esaustività e della omnicomprensività, ma ancora .di aprirsi, in recettività attiva, alla novità dell'iniziativa rivelativa e soterica di Dio nella storia. E' la stessa vocazione e spinta sapienziale della filosofia a richiedere tale apertura e a riprendere, in chiave di riflessione intensiva, l'evento nuovo e sorprendente. 1.1. Discorso cristologico Proprio per tale apertura il discorso teologico puo mscriversi nella Filosofia del diritto, senza alterarne l'impostazione e l'indole filosofica 9• Se Rosmini definisce, indicando così il ta-

9 Cfr. A. AUTERO, An1ore e coniugalità. Antropologia e teologia del 1natrin1onio in A. Rosn1ini, Marietti, Torino 1980. All'Autore sen1bra che «da una lettura formale del 1pensiero .rosminiano sul matrimonio» emerga la «metodologia del -recupero dell'antropologia nel cuore ,stesso della teologia». Poco dopo ritiene necessaria la seguente puntualizzazione: «Rosmini aveva dell'ant·ropologia una visione prevalenten1ente filosofica. Ed è proprio questa antropologia filosofica che entra in simbiosi con la teologia


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glio e la dinamica della sua opera, la persona come il «diritto sussistente» 10, la realtà giuridica non sarà che l'espandersi della persona nella storia. Ed è qui, nella storia, che si presenta l'evento-Cristo, il quale, come evento decisivo di salvezza, coinvolge tutto l'uomo, anche nella sua sfera giuridica. La filosofia del diritto non "fonda" l'evento-Cristo, ma non può non prendere atto delle sue risonanze giuridiche. Si spiega perciò, all'interno della sezione prima della parte prima del libro secondo, il lungo capitolo XII Del dominio di Cristo. I cinque articoli che scandiscono tale capitolo 11 costituiscono un pensare teologico autonomo all'interno di un'autonoma trattazione filosofica. Discorso autonomo, ma fondamentale per una ripresa, in chiave teologica, di tutta la filosofia del diritto. L'emergenza assiologica dell'evento-Cristo illu,'mina il significato e il dinamismo della società teocratica, che si svolge nei quattro gradi:

del matri,monio. Volendo dare credito ·alla lezione teologica del Rosmini, dovremmo trasportare la sua metodologia, nella maniera idi fare oggi una teologia del matrimonio, ma con la consapevolezza che l'antropologia non è più solo antropologia filosofica. Essa è andata assumendo una caratterizzazione di maggiore comp.Jetezza: ha incluso nel suo· perimetro una più 1spiccata •sensibHità verso la ·prospettica psicologica, sociologica, culturale, così da presentarsi come tentativo di sguardo sintetico e globale ,sull'uomo e sull'umanità» (p. 144 ). Cfr. pure L. PRENNA, Antropologia della coniugalità. Corpo e sentilnento, Città Nuova, Roma 1980. Con taglio originale, la posizione di Rosrnini, nei 'riguardi del matrimonio, è posta sulla linea prospettica di S. Giovanni CTisostomo, in distacco dalla Unea naturaHstica 'agostiniano-tomista. La concezione di Rosmini, specie nel suo nucleo personaHstico, è ripresa e messa in confronto con i:l dibattito, in campo cattolico, sul:la natura e ,sui fini .a:el matrimo.nio. In questo lavoro, peraltro ricco di ·riflessioni sollecitanti, si avverte però una certa flessione enfatica nei 1-iguardi della corporeità. 1° Filosofia del ·diritto, 49. Per il senso del ,personalismo giuridico di Rosmini cfr. D. Zoto, Il personalis1no rosnziniano. Studio sul pensiero politico di Rosnn'ni, Morcciliana, Brescia 1963. Cfr. pure: L. TURIELLO, Persona e società civile nel pensiero di Rosnzini, Città Nuova, Roma 1982; M. MANGANELLI, Persona e personalità nell'Antropologia di A. Ros1nini, Marzor.atì, Milano 1967; M. CucruFFO, Morale e politica in Rosndni, Marzorati, Mi:lano 1967. 11 lbid., 611-631. Il discorso ,s'inserisce nella tra.ttazione del diritto sociale.


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la ragione umana sola; la rivelazione; la grazia; l'incarnazione. Anche qui si può dire che tra il primo e gli altri gradi si dà continuità formale - quella appunto della società teocratica - , ma si dà pure discontinuità assiologica, per l'irrompere, con l'evento-Cristo, di nuovi legami sociali, che attingono la libera e ineffabile comunicazione di Dio. 1.2. Discorso ecclesiologico

Al discorso su Cristo si collega il discorso sulla Chiesa, che si fa indubbiamente più complesso, giacché lo spessore umano-storico della Chiesa risente della presenza del peccato e dell'errore. Qui Rosmini si sofferma sui diritti della Chiesa, che peraltro richiedono, come propri risvolti, corrispettivi doveri. Il discorso teologico-giuridico che qui Rosmini svolge va peraltro integrato con il discorso teologico-storico-giuridico svolto da Rosmini nell'opera lucida e appassionata che ha per titolo Delle cinqae piag/ie della Santa Chiesa 12 • In questo contesto cristologico si inseriscono i quattro capitoli della sezione terza, che tratta del diritto comunale della società teocratica perfetta che è la Chiesa. L'espressione rosminiana società teocratica perfetta è da intendersi non già nel senso compiuto di perfezione socio-culturale, ma in quello, più profondo anche se più limitato, di perfezione iniziale ed essenziale, per l'iniziativa di Dio nella storia, con risonanza specifica e, si può anche dire, atipica nella sfera giuridica. La perfezione societaria teocratica proviene alla Chiesa dalla presenza di Cristo, che è pienezza della divinità e della salvezza. Tale perfezione intrinseca, per cui la Chiesa è nel mondo sacramento universale di salvzeza 13 , coesiste con tutta quella potenza del negativo, per usare un'espressione hegeliana, che porta il segno 12 Delle cinque piaghe ·della Santa Chiesa, ed. critica a cura di A. Valle, Città Nuuv,a, Roma 1981. Cfr. il mio saggio Storia ecclesiale e storia ecclesiastica nelle "Cinque piaghe della Santa Chiesa" di A. Rosn1ini, in AA.Vv., Rosn1ini e la storia, Sodalitas-Spes, Stresa-Milazzo 1986, 55-76. 13 Lun1en Gentiu1n, 1, 9, 48; Ad Gentes, 1, 5; Gaudium et Spes, 45.


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della fragilità umana 14 • Era stato infatti lo stesso Rosmini a vedere nella Chiesa, crocifissa nel mondo come il suo Signore, sanguinanti, anche nel secolo XIX, le cinque piaghe. Ora il diritto comunale della società teocratica perfetta, che trae da Cristo la sua origine e il suo sostegno, si esprime nel sacerdozio dei fedeli. Con spirito profetico, nei confronti della sua epoca, ma con spirito fedelmente memore delle origini cristiane, Rosmini dedica il cap. III al sacerdozio dei fedeli, rilevando, con originali e pertinenti riflessioni, come i semplici fedeli partecipino ai poteri lasciati da Cristo alla sua Chiesa: al potere costituente, al potere liturgico, al potere eucaristico, al potere di sciogliere e di legare, al potere ierogenetico, al potere didattico, al potere ordinativo 15 •

2.

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Il breve paragrafo 5 (Come il semplice fedele partecipi del potere ierogenetico) contiene in nuce tutto il discorso teologico sul matrimonio. Il sacramento non è un'aggiunta alla realtà umana del matrimonio, ma è questa stessa realtà a farsi, in forza del carattere dei battezzati, segno specifico dell'unione di Cristo e della Chiesa e veicolo della grazia divina. Per il sacerdozio battesimale, che in Cristo ha ripreso, nella sua radicalità ontologica, tutto l'esistere dell'uomo, gli sposi stessi sono i "ministri" del

14 La presenza del "male sociale" ha indotto P. Piovani, in un'opera suggestiva che ha costituito una tappa significativa nella letteratura intorno a Rosmini politico, a definire la concezi-o.ne giuridico-·politica rosminiana con1e "teodicea sociale". Cfr. La teodicea sociale di Rosn1ini, Cedam, Padova 1957. («La giustificazione rosminìana del male sociale, come ha le ·sue premesse nella concezione generale della teodicea, ha le sue conseguenze in una partico1are concezione della società, la quale non è, non può essere, una società idealizzata, ma è la società giudicata più idonea a consentire che il male, non ·Cancellabile dalla storia, dalla vita delle soci-età civili, venga limitato, combattuto con tutti gli sforzi dell'uomo». Jbid., 241). 1s Filosofia del diritto, 890-956.


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sacramento del matrimonio. In Cristo, essi sono i facitori del sacramento: sono "ierogeneratori". Quanto Rosmini dirà in seguito della società coniugale, il cui diritto sarà esaminato con rH!essione filosofica, deve essere ripreso, nella riflessione teologica, nella prospettiva dell'evento-Cristo, a cui si saldano, con carattere ontologico-esistenziale, i battezzati, e al cui mistero di unione sponsale con la Chiesa si rapportano gli sposi, che esercitano così, in una particolare modalità, il sacerdozio comune. Il cap. III della sezione prima della parte seconda del libro terzo costituisce la chiave per la ripresa, a livello teologico, di tutta la trattazione filosofica del matrimonio. Il nuovo principio epistemico della fede consente la ripresa .del sapere filosofico in una nuova prospettiva, quella teologica appunto, dove il punto di riferimento non è più la semplice saggezza umana, ma la paradossale sapienza di Dio. In tale luce, allora, si può parlare del "paradosso" del matrimonio cristiano. Il Concilio di Trento, più volte richiamato da Rosmini, asserisce che il sacramento del matrimonio assume, perfezionandolo, l'amore naturale dei coniugi e lo rende segno dell'amore che Gesù Cristo porta alla sua Chiesa. Il primo paradosso del matrimonio cristiano riguarda proprio quell'amore di unione e quell'unione di amore, che Rosmini definisce quale essenza del matrimonio. Attente, aderenti, fini, talora purn sottili, sono le analisi che Rosmini conduce nei riguardi dell'amore sponsale, nella sua progressione dall'attrazione sensibile alla donazione personale, di cui l'incontro sessuale è come il sigillo nella carne per un ulteriore e rinnovato donarsi nello spirito 16 • Quelli che Johannes Lotz ha chiamato i tre gradi dell'amore: eros, filia, agape 11 , sono esaminati da Rosmini, sia pure con diversa terminologia, nella loro reciproca implicazione, nella loro, si potrebbe dire, circuminsessione. Ora il paradosso cristiano è che tale amore, già totale, esclusivo e perenne nel suo

16 lbid., 1040-1068_ 17 J. LoTz, Die Drei-Einheit der Liebe, Eros -Philia-Agape, Knecht, Frankfurt/Main 1979.


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autentico e originario dinamismo, assume, pur in un contesto di fragilità psicologica e di mutabilità culturale, passando attraverso il mistero .dell'unione agapica di Cristo con la Chiesa, quella nuova consistenza che è l'indissolubilità sacramentale. L'agape deve resistere e deve essere riaffermata oltre ogni tentazione dell'eros o illanguidimento della filia, perché a sostegno di quell'agape c'è, non una risorsa umana, ma l'evento-Cristo, generatore di grazia. D'altra parte la riaffermazione, in forza della fede in Cristo, dell'agape ha risonanze di coinvolgimento sulla filia e anche sull'eros. In una società consumistica ed edonistica, dove il bene è misurato sul metro dell'immediato, del sensibile, dell'utile; dove l'oblatività è disattesa di fronte alla brama del possesso; dove, per usare i termini cari a G. Marce! e a E. Fromm, la categoria dell' "avere" prevarica su quella dell' "essere", l'indissolubilità del matrimonio costituisce, oltre che una sollecitante sfida, una potente riserva dell'amore, nell'affermazione del valore di un donarsi totale e perenne. Si può giustamente parlare, in una civiltà segnata e tentata dal senso del precario, della riserva sacramentale dell'amore, come riemergenza del senso e del valore del perenne. In corrispondenza al paradosso assoluto che è Cristo, come lo chiamava Kierkegaard, quale eterno entrato nel tempo, il matrimonio cristiano è il paradosso - arduo ma esaltante - dell'amore eterno dentro la labilità del tempo e la precarietà delle situazioni. Nelle pagine ros/lliniane si può ancora individuare un altro aspetto paradossale dell'amore cristiano nel matrimonio. Quando cioè, per una originale e potente riaffermazione dell'agape, in rispondenza ad una vocazione che coinvolge i due in quanto sono un solo spirito, liberamente si sospende l'esercizio dell'eros in segno di oblazione 18 • Questo aspetto oblativo della sospensione .dell'eros, che una volta si chiamava, con espressione non felice, continenza periodica, è oggi forse da riscoprire, per riaffermare, in quell'esercizio di sacerdozio domestico di cui parla Rosmini, il primato dell'agape. 18 «L'amore non richiede sempre il piacere sessuale; e quand'anco lo richieda, un desiderio più sublime e più dolce può 1preva1ere» (Filosofia del diritto, 1098).


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Un'annotazione infine sul pudore. Forse Rosmini usa termini non adeguati, come parte inferiore, parti meno nobili, vergogna, ma le sue osservazioni sono da dirsi pertinenti e fini al di là delle espressioni 19 • Il pudore rientra nella logica di quella discrezione che l'amore come agape non può non avere. Il coprire è il segno, non già di una vergogna verso parti meno nobili, ma di rispetto verso quelle parti, che proprio perché hanno la nobiltà di essere genitali vanno difese e sottratte al predominio e allo sfruttamento dell'eros. Se lo sguardo poi è puro, per una intenzionalità oblativa, esso è in grado di riportare ogni parte del corpo dentro un progetto, che è bello perché è progetto di amore oblativo. Un altro paradosso del matrimonio cristiano è il significato della fecondità. E' significativo che Rosmini parli dei coniugi come partecipi, in forza del loro sacerdozio battesimale, del potere ierogenetico della Chiesa. Il termine è singolare e inusitato - ma potentemente espressivo. Esso dice riferimento alla capacità e alla potestà generativa della Chiesa in senso sacramentale. Da ciò l'uso della parola ieròs, che però semanticamente viene trasportata dal piano della sacralità cultualeformale, propria del mondo classico e, in un certo senso, anche del mondo giudaico, al piano della sacralità cultuale-efficace, propria dell'orizzonte cristiano. !eros allora non solo è, semanticamente, contiguo a agios, ma in questo si traduce. Potere ierogenetico viene a significare il potere di dare vita al sacramento e di generare quindi, mediante il sacramento, la santità. Ora i coniugi partecipano al potere ierogenetico della Chiesa ad un titolo specifico e proprio. In quanto si donano reciprocamente in Cristo fanno nascere il sacramento e nel sacramento fanno rinascere, in santità, il loro mutuo amore. E nella santità riprendono la naturale capacità generativa che al mutuo amore si accompagna. Il sacramento del matrimonio, come segno efficace di grazia, dell'unione, nella santità dell'amore, tra Cristo e la Chiesa, immette i coniugi nella fecondità santa e santificatrice della Chiesa. E 11

11

19

Filosofia del diritto, 1088.


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come dall'amore sponsale di Cristo e della Chiesa proviene, in molteplici e varie testimonianze, la santità che circola nella storia, così la naturale fecondità del matrimonio viene assunta, nella dinamica del sacramento, quale segno e rimando a quella fecondità arcana e soprannaturale che è costituita dalla rigenerazione dell'uomo nella grazia. Come i coniugi, nella donazione di sé che si consuma nell'amplesso sessuale, generano una nuova vita, così essi, sacei;dotalmente partecipi del potere ierogenetico della Chiesa, sono chiamati a rigenerare nel battesimo la vita d·a loro nata e ad aiutare, con l'adeguata opera educativa, il libero e cosciente sviluppo di tale nuova vita, che è la dimensione della santità. In tale prospettiva il conferimento del battesimo ai bambini assume il significato e il valore di trasmissione di vita, a livello soprannaturale, in connessione con la naturale trasmissione di vita, il cui atto generativo è compiuto dai coniugi dentro la dinamica del sacramento del matrimonio, quale atto sacerdotale, cioè, nella partecipazione al potern ierogenetico. La fecondità nel matrìmonio cristiano assume quindi il valore, in forza dell'unione a Cristo che ama Ja Chiesa e la rende feconda di santità, di fecondità santa e generatrice di santità. Rosmini chiama la prole effetto del matrimonio 20 , la cui "essenza" è costituita dal libero e reciproco donarsi dell'uomo e della donna, in quella specifica parabola dell'amore che va dal libero e vincolante consenso all'attuarsi del reciproco dono, nel coinvolgimento totale della persona fino all'adeguato gesto sessuale. L'effetto materiale della prole può anche, in .determinate condizioni, mancare, ma non può mancare l'intenzionalità alla vita, che si inscrive nella stessa dinamica oblativa dell'unione coniugale, come, per i cristiani, no11 può mancare l'intenzionalità alla rigenerazione della vita a livello soprannaturale. Che anzi, mancando l'effetto, tale mancanza di fecondità naturale chiede di essere come compensata in un rinnovato impegno di oblazione, che più intensamente si effonda tra i coniugi e si apra, in linea orizzontale, in testimonianze e in opere di carità.

20

Jbid., 1063-64.


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Il circolo di amore tra i due, che non si è potuto aprire al sorgere di una nuova vita, deve ritornare a stringersi, con rinnovata freschezza oblativa, tra i due, non già per chiudersi tra i due - ciò che comporterebbe una caduta della dimensione oblativa per il prevalere di quella possessiva (l'agape cederebbe all'eros) - ma per riaprirsi, in rinnovata coscienza oblativa agli altri, nei gesti di una carità inventiva e creativa. 2.1. La spiritualità del matrimonio

Dal matrimonio come sacramento, all'interno della società teocratica perfetta che è la Chiesa, la quale opera dentro l'effettualità della storia che si esprime con rilevanza giuridica, si possono ricavare, nella prospettiva rosminiana, due postulati che, pur sporgendo in versanti diversi, sono tuttavia intercomunicanti nella concretezza della situazione umana e della realtà storica. Il primo postulato riguarda la spiritualità della famiglia 21 • La famiglia cioè, come specifica e originale situazione e missione cristiana, trae da se stessa il proprio tipo di spiritualità, senza n1utt1arlo da altre situazioni cristiane, pur con queste connettendosi e confrontandosi in un rapporto dialettico di scambio e di integrazione. Rosn1ini rileva, come in un crescendo, i due momenti fondativi della spiritualità coniugale e familiare. Il primo fondamento è, in forza del battesimo, il sacerdozio comune dei fedeli. Tale radicale partecipazione al sacerdozio di Cristo abilita ogni fedele ad assumere e a vivere in senso soterico le varie situazioni in cui si esprime l'esistere umano (l'existenzial di cui parla Heidegger), con un giudizio di discernimento, sempre ai fini della salvezza, circa i singoli contenuti esistentivi (l'existenziell di cui ancora parla Heidegger). Nell'assunzione di tali situazioni e nel ritmo di viverle, il fedele vive il rischio della sua Ubertà nell'interpretare la propria vocazione, anche in rapporto alle esigenze della storia e alle richieste della Chiesa. Il sacerdozio comune abilita il fedele all'assunzione, in senso soterico, delle situazioni mondane, ma non lo 21

Ibid., 1342-1368.


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garantisce dalla possibiHtà dell'errore, che va neutralizzata, per quanto possibile, con la riflessione attenta, con la decisione prudente, con l'intensa preghiera. Ma per quanto si possa riflettere e pregare, resterà sempre un margine più o meno ampio di rischio che si .deve correre con le risorse della fiducia umana e della fede cristiana. A tale livello di .decisioni, che comportano il rischio e la scommessa della libertà, si colloca la decisione di donarsi, con amore unitivo e fecondo, ad un'altra persona. Con il sacramento del matrimonio, il fondamentale sacerdozio comune si esprime e, per così dire, si specifica in una partecipazione "intensiva'' (sacramentak) al potere ierogenetico. Il sacramento assume, con finalità soterica, tutta la dinamica dell'amore sponsale, ma non immunizza dalla possibilità di errori e dal peso di limiti e carenze, sia sul piano psicologico che in quello morale. Ora la grazia sacramentale fa sì che anche deficienze ed errori possano essere ripresi come occasione e sprone per il riannod arsi dell'amore e per il suo diffondersi anche tra gli spazi aperti dall'inavvedutezza e dalla fragilità umana. La volontà e la capacità di recupero, in un impegno a due, fa parte della spiritualità cristiana del matrimonio. Questa volontà, che si può chiamare ierogenetica per la ricostruzione e per la diffusione della carità sulla base della santità del sacramento, si allarga ai figli, con l'assistenza delicata e discreta alla crescita della loro personalità cristiana. E' il co;mpito arduo ed esaltante dell'educazione cristiana, sulla linea di sviluppo di quella generazione soprannaturale, che è stata effettuata mediante il battesimo. La spiritualità del matrimonio e della famiglia si costruisoe tutta sulla tensione tra comunione e comunicazione. La comunione matrimoniale e familiare si salda nell'intimità delle persone, mediante il lume dell'intelligenza e la decisione della volontà (mediante il conoscimento e il riconoscimento), e passa, per sporgere nel mistero dell'amore .di Cristo, attraverso la grazia sacramentale. La comunione però richiede, come sua espressione e suo alimento, la comunicazione. Ora la comunicazione tra le persone, nel cui fondo c'è quel principio singolare che Rosmini, con la tradizione scolastica, chiama incomu1


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nicabile 22 e che Kierkegaard chiama segreto dell'esistenza, non sempre è agevole e talora può non essere possibile. Un tratto distintivo della spiritualità della famiglia sta proprio in questo donarsi nella comunicazione, senza pretendere - né dall'altro né da sé - l'esaustività, nel continuo riannodare e rinsaldare la comunione, al di là di ogni difficile comunicare. I gesti .della comunicazione sponsale sono quelli dell'amore che coinvolge la sfera sessuale. Ma la comunicazione è in funzione de],]a comunione che tutta si consuma nell'intimità della persona. E questa comunione passa, per riceverne nuova dignità e saldezza, attraverso l'amore sponsale di Cristo e della Chiesa, mediante il sacramento. Il gesto sessuale deve perciò esprimere un linguaggio personale, assumibile nella realtà significante del matrimonio. La spiritualità del matrimonio sarà, allora, per un verso ascetica, arginando e mortificando la prepotenza dell'eros, ma per un altro verso sarà incrementativa, attraverso la ribadita intenzionalità agapica del gesto erotico, della comunione delle persone nell'amore. Altri sono i gesti della comunicazione, nella sfera affettivosensibile, tra genitori e figli e tra fratelli. Rosmini ha pertinenti annot,azioni circa quel pudore", che costituisce una naturale e istintiva difesa della comunione parentale delle persone, contro l'eventuale prepotenza dell'eros che spingesse verso l'incesto. Il fatto si è che nel vincolo parentale si dà già una comunione nella carne e nel sangue, che sostiene e caratterizza la comunione di affetto tra le persone, per cui il gesto sessuale sarebbe un soprappiù erotico che disturberebbe e comprometterebbe con la forza della passionalità possessiva (e distruttiva di valori), la serena circolazione dell'agape nella comunione delle persone. In tal caso il rapporto sessuale non sarebbe comunicazione per la comunione, ma reciproca oggettivazione di persone in funzione del possesso egoistico; non sarebbe linguaggio significativo di amore, ma linguaggio dell'istinto immediato e prevarica tare 23 • 11

22 Nella Filosofia del diritto Rosmini parla 1d'ella «inconfusibilità delle persone)) ( 1065-1067). 23

Filosofia del diritto, 1117-1131.


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2.2. Risonanza giuridico-sociale del sacramento del matrimonio

L'altro postulato riguarda la stessa risonanza "giuridica" che la realtà sacramentale della chiesa domestica suscita. Non è che si voglia così contaminare il discorso giuridico, rigorosamente e formalmente inteso, con il discorso teologico. Il fatto si è che il pensane in grande 24 abbraccia la molteplicità dei vari discorsi, metodologicamente autonomi, e li stringe in sintesi dialettica. Il pensare teologico, inserito nel discorso autonomo di una filosofia del diritto che non si ferma alla Gestalt giuridica, ma coinvolge pure 1'Inhalt assiologico della formalità giuridica, immette nello stesso pensare giuridico nuove prospettive e sollecitazioni nuove. Se il diritto sussistente è la persona e questa è coinvolta nella storia della salvezza, anche il diritto deve essere ripreso dentro l'intenzionalità soterica. Sulla strutturalità giuridica, nella sua concretezza storica, si proietta la grand'ombra del peccato, con la rilevazione di squilibri e di antinomie, ma si posa pure la luce di Gesù Cristo il ristoratore dell'umanità 25 • La realizzazione del diritto sarà drammatica com'è drammatica Ia storia dell'uomo nella tensione tra peccato e grazia, tra perdizione e salvezza. Nella restaurazione della società e del diritto in chiave soterica, la famiglia come chiesa domestica gioca un ruolo decisivo. Come punto d'incontro e di rannodo tra la Chiesa, società teocratica perfetta, e la società civile, con il suo compito specifico di gestire non i diritti ma le modalità dei diritti 26 , la famiglia mutua dalla Chiesa, me-

24 L'espressione rosminiana si riferisce alla seconda piaga, l'insufficiente educazione del clero, .nelle Cinque piaghe della Santa Chiesa, cit., 25, nota 35. 2s Filosofia del diritto, 1559. 26 Jbid., 1587-1593. In n1erito alla distinzione, fondamenta.le nella concezione giuridica rosn1iniana, tra diritti, attenenti la sfera delia persona, e le 111odalità dei 1diritti, di competenza della società civile, cfr. l'acuto studio di F. MERCADANTE, Il regolan1ent.a della modalità dei diritti. Contenuto e lin,liti della funzione sociale secondo Rosmini, Giuffré, Milano 1957, ricco ,di richiami storico-culturali e di suggestive analisi di confronto, specie con la concezione hegeliana. AnaHsi aderente e persuasiva circa la preterizione tematica dello Stato


Il matrimonio nel pensare teologico di A. Rosmini

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diante H sacramento, la forza d'ell'amore unitivo e comunionale e tale forza irradia tra le giunture del vivere associato, perché la società diventi, nell'amore della giustizia e nella giustizia dell'amore, comunità. Anch'essa allusione e rimando al mistero dell'amore di Dio"-

nella prospettiva di Rosmini è compiuta da G. CAMPANINI Antonio Ros1nini e il proble1na dello Stato, Morcelliana, Brescia 1983. Cfr. la mia nota La lezione politica di Ros1nini, in Vita e Pensiero 68 (1985) 68-75. La connessione problematica tra società civile e società religiosa, con il carattere emblematico di questa, è trattata, con ampiezza di richiami testuali e con particolare riferi1nento alle Cinque Piaghe, da F. TRANIELLO, Società reUgiosa e società civile in Ros1nini, Il Mulino, Bologna 1966. 27 lhid., 967-68. E in vista dell'universale giustizia e dell'universale amore, di cui la Chiesa di Cristo è, per missione e per forza specifica, portatrice, tra il co1nplcsso e penoso travaglio dell'organizzazione del genere umano, Rosmini consegnava con fiducia il piccolo seme della Filos-Jfìa del diritto «alla logica del tempo e alla carità dei cristiani» (2683).



LE REGOLE DEL SEMINARIO DI CATANIA DEL 1788 APPROCCIO DI LETTURA CRITICA

PIERO SAPIENZA* - SALVATORE CONSOLI*''

Premessa Dal Concilio di Trento fino al Vaticano II, la Chiesa ha individuato nel seminario l'istituzione educativa più adatta e idonea alla formazione dei sacerdoti. I modelli educaH;ci, proposti dalla Chiesa, devono, però, essere calati nel particolare humus storico e culturale delle singole Chiese locali, in modo che la formazione dei sacerdoti possa rispondere alla probJ.ematica e alle esigenze dell'uomo concreto di una determinata area pastorale. Il presente lavoro esamina le Regole da osservarsi da' Convittori nel Vescovi! S'emin!ario de' Chierici di Catania emanate nel 1788. Affrontare lo studio delle regole suddette, sulle quali si modellava la vita dei futuri pastori, significa, fra l'altro, cominciare a stimolare una ricerca sull'impostazione della vita ,ecclesiale catanese dalla fine del Settecento alla prima metà dell'Ottocento.

* Docente di Filosofia e Scienze dell'Educazione nelle scuole secon· darie superiori. "'* Docente di Teologia n1orale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.


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Piero Sapienza - Salvatore Consoli

Questo nostro lavoro non vuole essere una riesumazione archeologica, bensÏ un tentativo di riconoscimento e di comprensione delle nostre radici locali. La stessa scoperta degli immancabili limiti e di lati oscuri e negativi, può servire per comprendere il cammino fatto fino al presente e orientare meglio J.e scelte future. Questo studio propone due chiavi di lettura che s'i integrano a vicenda: una sul piano della formazione pedagogico-disciplinare-culturale (P. Sapienza) e l'altra sul piano della formazione teologico-morale (S. Consoli).


Le Regole del seminario di Catania del 1788

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I. ASPETTI PEDAGOGICI E CULTURALI

Piero Sapienza

Introduzione Corrado Maria Deodata de Moncada, vescovo di Catania dal 1773 al 1813, dimostrò particolare attenzione e interesse per la formazione dei futuri sacerdoti, sin dall'inizio del suo episcopato 1• La sua sollecitudine pastorale per un problema così importante s•i espresse in modo significativo allorché, nel 1788, furono pubblicate le Regole del seminario, compilate dietro sua precisa disposizione'. Nella ppefazione si precisa che il vescovo aveva voluto che il nuovo regolamento venisse stampato affinché coloro che avrebbero dovuto osservarlo l'avessero «più agevolmente [ ... ] sotto gli occhi» 3 , e anche perché gli st•essi «Genitori e congiunti» 4 dei chierici potessero conoscere meglio il tipo di educazione impartita in seminario. Dalla data di fondazione canonica del seminario catanese, cioè dal 18 aprile 1572 5 fino al 1788, queste di Moncada sono le

I CATANIA, ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE {= ACA), Registro d'Editti, 1769-1776, 43v-47r. Gli Editti, mannscritti, che citeremo, d'ora in poi saranno abbreviati con E. 2 «Da ciò è nato il zelo del nostro Monsignore Ill.mo, e Rev.mo D. Corrado Deodata de Moncada di voler costrutto un cor.po di Regole pel suo Vescovil Seminario di Catania)) (Regole da osservarsi da' Convittori nel Vescovil Serninario de' Chierici di Catania, nelle stampe etnee per Francesco Pastore, Catania 1788, d'ora in poi abbr. Regole, V). 3 L. c. 4 L. c. 5 CATANIA. ARCHIVIO SEìvlINARIO ARCIVESCOVILE ( = ASA), La fondazione del Se1ninario di Catania, e i suoi benefattori, con le scritture concer~


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Piero Sapienza - Salvatore Consoli

terze regole di cui abbiamo notizia, e le uniche a noi pervenute. Infatti il v'escavo Giovanni De Torres, il 16 novembre 1621, aveva emanato le prime regole per il seminario di Catania 6, e negli atti del sinodo diocesano celebrato nel 1623, nella parte quarta al capitolo quarto si parla De seminario clericorum 1• Il vescovo Michele Angelo Bonadi-es si occupò del seminario nel sinodo diocesano del 1668. Nella terza sessione, il decreto XXII De Seminario Clericorum, in modo articolato tratta nel primo capitolo: De clericis, quos Alumnos vocant, de Convictoribus, de Rectore et deputatis seminarii, e nel capitolo secondo De reliquis Seminarij officialibus 8• Sappiamo, inoltre, che il Bonadies approvò le nuove norme del seminario (18 dicembre 1684) insieme ad un trattato «brevissimo», che riguardava il comportamento che avrebbero dovuto tenere i seminaristi «nelli giorni di Scuola, e nel tempo delle Vacanze» 9• Ma questi due ultimi documenti, come il regolamento del 1621, sono, purtroppo, scomparsi.

nenti alle tasse e ritasse, editti, destinazioni di delegati e con11nissarij, Regole e Stabilùnenti, Rolli, Aggravij e altri, manoscritto rilegato in pergamena, I, 1688, XI. Cenni storici sul sen1inario di Catania e utili notizie sul suo archivio storico si trovano in G. ZITO - C. ScALIA, Fonti per la storia ,della diocesi di Catania: l'archivio storico del se111inario, in Synaxis 1 (1983) 295-313. Una rapida carrellata sulla storia del seminario catanese, dalle origini fino 1alla conclusione della ,seconda guerra mondiale, si 1trova in G. PoLICASTRO, Il se1ninario arcivescovile di Catania, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, 'Serie IV, 1 (1948) 53-85. 6 ASA, La fondazione del Se111inario ... , cit., XX. Vd. G. ZITO - C. SCALIA, art. cit., 298. 7 Catanensis Ecclesiae Synodus dioecesana ab [ ... ] loanne De Torres [... ]episcopo catanensi celebrata, Typis I. Rossij et F. Petroni, Militelli V. N. 1623, 192-197. Nel capitolo sul -seminario troviamo un accenno alle regole del 1621: «[ ... ] peculia,res ·constitutiones, quas, ut faciliu·s et intelligantur, et exequutioni demandentur materna lingua componi iussimus [ ... ]i> (lbid., 196, Il. 51). 8 Decreta in principe dioecesana Synodo quan1 [ ... ] fr. D. A!fichael Angelus Bonadies episcopus catanensis [ ... ] celebravit Catanae die 11, 12, et 13 maij 1668. [ ... ], I. Bisagni, Catanae 1668, 276-288. 9 ASA, La fondazione del Se1ninario .. ., cit., XX. Vd. G. ZITO - C. SCALIA, art, cit,, 298; G. POLICASTRO, art. cit., 56. 1


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Per affrontare lo studio delle Regole di Moncada e avviarci alla comprensione del loro eventuale valore pedagogico, dobbiamo tenere presente lo sfondo socio-culturale del secolo dei lumi, in cui esse nascono. Di conseguenza la domanda, che sarà sottesa al nostro lavoro, riguarderà la sensibilità critica con cui gli educatori del seminario, attra,,erso il regolamento, affrontano i gravi problemi della loro epoca. Ciò significa chiedersi se essi riescono a cogliere e ad interpretare quelle eventuali giuste e sane esigenze provenienti dal clima culturale in cui vivono, per proporre, attraverso l'opera educativa del seminario, un modello di prete capace di dialogare con gli uomini del proprio tempo. E infatti rron si può negare che la corrente illuministica, nonostante i suoi risvolti negativi, soprattutto nei confronti del cristianesimo, «portò, direttamente o indirettamente, notevoli progressi alla cultura umana [ ... ] . Esplicò inoltre un influsso fortissimo sul sistema di educazione e di istruzione avviando delle riforme degli studi consone ai tempi» 10 •

Ventimiglia e Moncada: due vescovi niformatori d:e1 S1eminario di Catania

I.

Come già accennato in apertura, le Regole del 1788 costituiscono un momento culminante delle costanti premure e dello zelo che Moncada aveva rivolto venso il semin3!rio. E infatti, appena giunto a Catania, in uno dei suoi primi editti, e precisamente in quello emanato il 30 settembre 1773, il nuovo vescovo affronta il problema del seminario dei chierici. Nel documento ora citato, Moncada esprime innanzitutto la sua soddisfazione per aver trovato il seminario «in ottimo sta-

K. BrHLMEYER - H. TUECHLE, Storia della Chiesa, traid. it., IV, Morcelliana, Brefrcia 19663, 62. 10


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Piero Sapienza - Salvatore Consoli

to», sia sotto il profilo morale e culturale, come anche materiale ed economico: «[ ... ] Noi abbiamo provata una consolazione grandi1ssima ri-

trovando in ottimo ·stato ,questo semiinario clericale ·sì per quanto ·riguarda l'educazione nella pietà, e neJle let·tere, :sì in rapporto al temporale delle fabbriche e degli introiti -in maniera, che ringrazi,amo cordialmente il Si:gnore [ ... ]» 11.

Con queste parole Moncada riconosce la costante preoccupazione dei suoi predecessori, i quali «entrando nelle mire del Sacro Concilio non trascurarono giammai un'opera così importante» 12,

ma, quasi certamente, in modo particolare, il nuovo vescovo avrà voluto dare atto dell'intelligente e aperto rinnovamento portato avanti dal suo immediato predecessore mons. Salvatore Ventimiglia 13 • A questo punto ci sembra doveroso compiere una breve carrellata sul periodo ventimiliano, per precisare che mons. Moncada raccoglieva un'eredità prnziosa, ma allo stesso tempo molto impegnativa. Il trentaseenne vescovo Ventimiglia, giunto a Catania, aveva potuto constatare ben presto le gravi carenze di vita intellettuaJ.e e morale del clero catanese, e quindi il suo «stato deplorabile e di decadimento generale» 14 • Egli si impegnò, pertanto, a restaurare la disciplina ecclesiastica e a promuovere una solida formazione morale e culturale del clero. Per questi motivi ritenne necessario convogliare le proprie en.ergie per la ristrutturazione e il potenziamento del seminario. A tal proposito, nell'editto del 2 settembre 1759, il vescovo disponeva innanzitutto che tutti coloro che aspiravano al sacerdozio, avrebbero dovuto «passare la intiera loro adoloscenza nel Vescovil Seminario, e compiervi indispensabilmente il corso di 1d:ieci anni» 15 • 11

ACA, E, 1769-1776, 44r. L. c. 13 Salvatore Ventimiglia dei principi di Belmonte, fu vescovo di Cat<ania dal 1757 al 1772. 14 ACA, E, 1752-1761, 6!r. 15 lbid., 62r. 12


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Il curriculum studiorum, che i seminaristi avrebbero dovuto percorrere in questi dieci anni, era così articolato: a) i primi due anni sarebbero stati impiegati nello studio della grammatica.; b) altri due anni sarebbero stati dedicati allo studio delle lettere umane; e) due anni dedicati alla filosofia; d) gli ultimi quattro anni dedicati alla teologia 16 • Sempre nell'editto sopra citato, il vescovo puntualizzava, inoltre, che i chierici, durante gli anni della loro permanenza in seminario, avrebbero avuto la possibilità di apprendere «tutte quelle più utili cognizioni che convengono ad un degno Eoclesias~tico», e cioè <de lingue dotte, Ja :storia della Religione, l'eloquenza cristiana, la sana morale, le isti!tuzioni del diritto calllonico e civile, il computo ecclesiastico, il .canto corale, i riti e cerimonie della Chiesa)> 11.

SenZ'a lesinare en·ergie per un'istituzione educativa tanto fondamentale per la vita ecclesiale, Ventimiglia, infine, si impegnava a istituire in sen1inario «quanto altro» potesse ancora «contribuire» alla «coltura e perfezzione» dei chierici «sotto gli a-biH ·e dotti professori che vi •andremo int,rodu· cendo» 18 •

Durante il suo epi'5copato Ventimiglia attuò questo programma. E infatti, molto più tardi, ricordando la sua opera si poté scrivere che egli «stabilì [nel seminario] scuole proprie, di cui prima mancava [ ... ],lo provvide di una buona stamperia, vi chiamò a precettori uomini sommi ed esteri e nazionali [.,.])> 19 • Bisogna, inoltre, tenere presente che il Ventimiglia, rispondendo ad alcune delle istanze culturali più autentiche provenienti dall'Illuminismo, aveva promosso «Un metodo di studi più ordinato e adatto ai tempi», fondando nel seminario <<nuove

16

11

Vd. l. c. L. c.

is L. c. F. STRANO, Catalogo ragionato della biblioteca ventilniliana, Tip. della R. Università degli Studi, Catania 1830, V. 19


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scuole di scienze esatte e naturali» 10, e dotandole di «machine di fisica», per cui «da quell'angolo remoto di Europa colla evidenza dello sperimento si fu a parte del metodo con il quale il secolo cominciò a studiare le leggi dei corpi» 21 • L'impulso culturale e morale impresso da Ventimiglia al semi11ario, continuò a essere riconosciuto per lungo tempo, tanto da essere commentato con un simile giudizio: «sotto auspici così felici la Chiesa .catanese ebbe ministri degni di servirla, Catania e la diocesi ebbero uomini che furono ammirati pe' talenti, e per la virtu;, 22 • Mons. Corrado M. Deodato de Moncada, a sua volta, tenta di continuare a percorrere la strada delle riforme dei suoi predecessori e particolarmente del rinnovamento intrapreso da Ventimiglia. E infatti, sempre nell'editto del 1773, riconosce di essere posto in una situazione favorevole così da «poter approfittarci del frutto della loro pastora! vigilanza» 23 •

Per comprendere meglio lo spirito educativo che anima le Regole del 1788, dobbiamo, quindi, riferirci spesso all'editto del 1773, e cogliervi le coordinate pedagogiche entro le quali si muoverà Moncada.

2.

Motit'azioni che giustificano la necessità delle Regole del seminario

La chiave di lettura del regolamento di cui ci stiamo occupando la rintracciamo, ovviamente, nella Prefazione. L'estensore delle Regole 24 enuncia alcuni principi di filosofia

20 P. CASTORINA, Elogio storico di Monsignor Salvatore Ventimiglia vescovo di Catania, Tip. G. Pastore, Catania 1888, XIV. 21 F. FERRARA, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII. Con la descrizione degli antichi 1nanun1enti ancora esistenti e dello stato pre· sente della .città, Tip. ,L, Dato, Catania 1829, 241. 22 F. STRANO, op. cit., V. 2l ACA, E, 1769-1776, 44r. 24 Notiamo che Moncada non ha affidato all'équipe dei superiori del seminariD l'incarico di scri·vere le Regole, come ci saremmo aspettati. In-


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sociale, che fanno parte del patrimonio comune che sottostà a un'antropologia cristiana. La Prefazione si apre respingendo decisamente 1a concezione antropologica asociale e pessimistica di Hobbes, secondo cui «ogni uomo che al n1ondo ci nasce ,sia per natura alla nimistà portato e all'odio dei suoi 1simi.lL) 2s.

L'autore, invece, sostiene la naturale socialità dell'uomo e scrive: «la n•atura all'amor idi quelli [cioè dei ,simili] anzi forte lo in· clina, e perciò al viver compagnevole invittamente non men che soavemente lo tira» 26,

Tuttavia, mentre da un lato si afferma la naturale inclinazione umana per il vivere sociale, non si cade, d'altra parte, ìn un banaie e ingiustificato ottimismo antropologico. Infatti si precisa subito che nell'uomo è presente anche un elemento negativo proveniente dal peccato originale, per cui <da corrotta nostra rica'lci,trante natura, il torto nostro amor proprio)> 21

molto spesso ci impediscono di raggiungere i retti fini connessi con un sereno e armonioso vivere sociale. Partendo da questa breve premessa circa la natura dell'uomo, premessa che potremmo definire "realistica", lontana cioè dal pessimismo di marca hobbesiana o dall'ottimismo rousseauiano, l'autore delle Regole giustifica, per ogni tipo di società umana, la necessità della legge, la quale ha lo scopo di aiutare l'uomo a controllare e a superare le cattive tendenze causate dal suo stato di natura lapsa. Ma allo stesso tempo la legge, se osservata, permette di raggiungere «tale e tanta felicità quale all'esser ragionevole si appartiene,

fatti nella Prefazione è detto eS!pressamente che tale compito è stato affidato ad una sola persona, di cui, però, non conos·ciamo il nome. Forse il rettore del se1ninario? In ogni caso sarà 'stato qualcuno certamente molto vicino e devoto al vescovo, tanto da poter dichiarare che «'Si fa il pregiato onore di ·andare sempre a' versi del suo degnissimo Prelato» (Regole, V). 2s Regole, III. 26 L. c. i1 L. c.


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e qu'anta si può in questa caduca vira procacciar la maggiore» 28•

E infatti «senza un corpo di leggi regolatrici» 29 , ogni società sarebbe destinata alla completa rovina 30 • Queste considerazioni sulla vita sociale in generale, vengono applicate dal nostro autore alla vita comunitaria dei seminari, giustificando così la necessità e l'importanza di un regolamento. Anzi, la validità di tale regolamento, attorno al quale si impernia e si modella la vita dei seminaristi, trova un'ulteriore e più profonda motivazione. E cioè, il seminario ha lo scopo di formare coloro <d quali costituiscono qui in terra la milizia del Signore, e sono o almeno debbono essere de' popoli lo specchio ·ed esempion 31,

Quindi, di fronte a un compito così arduo, gli educatori del seminario hanno la responsabilità e il dovere di usare quei mezzi, ritenuti più idonei e opportuni, perché vengano superati gli eventuali ostacoli che si frappongono al raggiungimento del fine. Le regole, appunto, sono gli strumenti adatti a perseguire la meta sopra accennata. A esse, infatti, viene affidato un duplice ruolo pedagogico. Uno che potremmo definire "positivo", e un altro che potremmo chiamare "negativo" (o forse "preventivo"). Sotto il primo aspetto, le norme sono indispensabili affinché la «buona semente», sparsa «a larghe mani» nell'animo dei giovani seminaristi, possa svilupparsi in «piante feconde di santi,tà, e di dottrina>> 32.

L'osservanza delle regole, quindi, crea un clima che favorisce la maturazione dei valori umani e cristiani. Ma allo stesso tempo, le regole possono impedire (ecco il ruolo negativo o preventivo) l'affermazione delle cattive indi2s 29 30 ·11 32

L. c. L. c.

Vd. ibid., III-IV. lbid., IV. L. c.


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nazioni, facili a nascere nell'età adolescenziale. Esse, infatti, servono «a sbarbicare, e a far che non vengano via via le 1spine de' vizj, le quali ingombrerebbero il giovanil cuore ornai troppo soggetto a produrle» 33,

In conclusione, i seminaristi non dovrebbero sentirsi op~ pressi o limitati dalle regole, perché osservandole «appuntino» 34 potranno gradatamente raggiungere la liberazione dal giogo delle passioni, e potranno essere formati nello spirito e nel cuore, ottenendo così «un tenor di vita onorevole e decoroso» 35 • In tal modo, essi verrebbero a trovarsi <cin una situazione giovevole a' suoi, alla Patria, a,J Mondo>> 36,

Ideali formativi e

3.

st~umenti

pedagogici

Iniziamo adesso a mettere a fuoco le mete educative che il nostro regolamento intendeva raggiungere, per poter evidenziare la concezione pedagogica attorno alla quale si organizzava il seminario come istituzione educativa. Nelle Regole è dichiarato espressamente che c<il principale scopo, e il più interessante fine»

che deve prefiggersi il seminarista, consiste nell'apprendere cda Scienza dei Santi» 37.

Infatti l'ideale educativo che il seminario propone è la formazione di <(buoni e Santi Ministri del Santuari-O» 38 •

I chierici potranno pervenire a questa meta percorrendo le varie tappe dei due itinerari educativi fondamentali, cioè realizzando «l'avanzamento nella pietà cristiana e nella sana dottrina» 39 • 33 34

3s 36

37 38 39

L. c. L. c. L. c. L. c. Ibid., XI. lbid., VII. lbid., VIII, n. I.


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Per raggiungere i suoi scopi educativi, il seminario viene strutturato come ambiente rigidamente separato dal mondo, e inoltre un ruolo educativo fondamentale e preponderante viene riservato ai superiori. Costoro, con a capo il rettore, hanno il dovere di vigilare affinché siano osservate le regole, perché, come già abbiamo notato sopra, camminando su questi binari la vita del seminario può essere condotta rettamente, in modo conforme ai suoi fini. Notiamo, infatti, che agli scopi sopra enunciati sono dedicate le prime pagine delle Regole, le quali, molto significativamente, si aprono con questo titolo: Della obbedienza a' Superiori ed osservanza esatta delle Regole"'. 3.1. Il seminario, istituzione educativa separata dal mondo Abbiamo adesso accennato alla preoccupazione pedagogica emergente, secondo la quale la formazione dei candidati al sacerdozio doveva avvenire in una situazione di separazione dal resto della società. E infatti sotto questo profilo, il regolamento descrive il seminario come «luogo di Noviziato, e di pruova [ ... ], luogo in cui come in un groggiuolo .d:ebbe purgarsi la ·scoria dei vizj della Gioventù» 41 •

E ancora, adoperando un'altra immagine molto eloquente, le norme manifestano ulteriormente una concezione difensiva del seminario, definito come «Una Torre ben custodita», in cui «debbe rrova:r la sua difesa la innocenza di cotali fanciulli, e giovanetti dagli a'S'salti de' perfidi e degli ,scandalosi» 42•

Le minuziose e rigide prescrizioni che regolavano i rapporti dei chierici con le persone esterne (parenti compresi, come vedremo più avanti), manifestano chiaramente l'eccessiva chiusura del seminario verso l'ambiente esterno e la diffidenza nei con-

40

41

42

Ibid., VII. Ibid., VIII, n. I. L . .c.


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fronti di qualsiasi influsso proveniente da altri soggetti che non fossero i superiori 43 • Quindi, soltanto a condizione di essere posto in una istituzione educativa, strutturata come quella ora descritta, l'aspirante al sacerdozio potrà essere provato ed esaminato sull'autenticità della sua vocazione, e, allo stesso tempo, potrà essere aiutato (dai superiori e dalle regole) a staccarsi dalla mentalità secolaresca per acquisire tutte quelle virtù necessarie alla vita sacerdotale. Questa prospettiva pedagogica, d'altronde, appare in Moncada già nel citato editto del 1773. Richiamandosi ai decreti del Concilio di Trento, il vescovo ivi affermava che con l'istituzione dei seminari (una «SÌ santa fondazione») 44 , la Chiesa si era dato «Un metodo efficace» per preparare degni e pii sacerdoti 45 • Pertanto egli stabiliva, come «condizione necessaria» 46 , la permanenza nel seminario, per tutti coloro che avrebbero voluto ricevere il suddiaconato. Nelle Regole che stiamo esaminando non si accenna all'età di ammissione in seminario. Pertanto su questo punto ci può essere ancora di aiuto l'editto citato. In esso mons. Moncada, attenendosi alle direttive del Tridentino, ribadisce la necessità che i futuri preti siano educati ai doveri del sacro ministero sin dall'inizio della preadolescenza: «quanto conferisca al vantaggio della Chiesa la pia e cristiana educazione dei n1inistri di essa sin dalla tenera età»

è attestato "dalla sperienza cotidiana », e dalla prassi pedagogica testimoniata sin dai «ten1pi più antichi» e confermata dai decreti della Riforma tridentina 47 • Perciò il vescovo, pur auspicando che l'ingresso in seminario avvenga all'età di 12 anni, tuttavia stabilisce come limite massimo l'età di 16 anni. Si legge, infatti, nell'editto: <(Ancorché -desiderassimo che i giovanetti entrassero si111 d·aJ" Vd. ibid., XXIII-XXV. 44 ACA, E, 1769-1776, 44r. 4s

·1 6 47

L. c. Jbid., 44v. Vd. ibid., 43v.


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Piero Sapienza - Salvatore Consoli l':anno duodecimo accennato td!al Conci-Ho, tuttavia ci restringiamo a prescrivere per tutti coloro che domandano di entrare per la prima volta .nel nostro oseminario che non sieno maggiori di anni sedici, giudicando che sopra questa età non si•ano in Ì'stato di adempiere la mente del Concilio}) 48.

Quindi, con molta probabilità, anche al tempo delle nostre Regole, le disposizioni circa l'età di ammissione in seminario saranno rimaste pressocché immutate. Riteniamo fondata questa ipotesi, perché nel regolamento del 1788 permane la stessa concezione pedagogica di fondo presente nell'editto. In altre parole, la preoccupazione principale rimane sempre quella di preservare dai pericoli del mondo e dai vizi, prima che possano attecchire nell'animo del candidato al sacerdozio. Separazione dal mondo, quindi, «sin dalla tenera età». Ma questa separazione appare più radicale perché è anche rottura cli contatti con lo stesso ambiente ecclesiale. Nelle Regole, infatti, non si fa cenno alcuno a contatti pastorali con la comunità cristiana, se si esclude il tempo delle vacanze in famiglia, durante il quale si stabiliva che i seminaristi avrebbero dovuto assistere «alle funzioni ecclesiastiche», e avrebbero dovuto insegnare «la Dottrina Cristiana a' fanciulli.» 49 • La medesima prescrizione, che denota appunto una continuità pedagogica nell'impostazione del seminario moncadiano, la troviamo nell'editto del 1773, dove il vescovo scriveva che l'ammissione agli ordini, minori o maggiori, era subordinata, fra l'altro, alla «frequenza e lodevole iass}stenza alla Chiesa Parochiale nelle Messe Sollenni ed ofiìcij .ne' dì festivi [ ... ]))

e all'aver «insegnata la Dottrina Cristiana a' fanciulli» so.

Affrontando il problema delle vacanze che i chierici trascorrevano presso le loro famiglie, dobbiamo rilevare che il semi-

48 Jbid,. 44v. " Regole, XXXIV, n. XIII. ACA, E, 1769-1776, 46v.

'°


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nario delle nostre Regole era un'istituzione educativa non soltanto separata dalla società e dalla comunità ecclesiale, ma anche dallo stesso ambiente familiare. Dal regolamento noi non sappiamo quanto tempo trascorressero i seminaristi in famiglia. Se però .facciamo riferimento all'editto citato sopra, possiamo abbozzare qualche ipotesi. Nell'editto del 1773 si dice che la scuola aveva inizio il 15 settembre e terminava il 15 luglio 51 • Quindi se i seminaristi avessero potuto usufruire di tutto il tempo delle vacanze scolastiche, sarebbero rimasti in famiglia al massimo due mesi. Questa sarebbe, però, un'ipotesi ottimale. Infatti sarebbe potuto accadere quanto era già avvenuto nel periodo ventimiliano: il vescovo, dopo aver constatato che, durante i due mesi di vacanza, i seminaristi si erano «alienati dagli studi e raffreddati nel loro fervore» 52 , aveva stabilito, nell'editto del 29 agosto 1770, di ridurre le vacanze in famiglia a venti giorni e solo dietro espressa richiesta dei parenti 53 • In effetti il problema della durata delle vacanze familiari era affrontato un po' ovunque nei vari seminari. Le opinioni erano, però, diverse e riflettevano, più o meno, il grado di apertura verso le altre realtà che stavano fuori del seminario. Così, coloro che guardavano positivamente al ruolo che la famiglia avrebbe potuto svolgere nella maturazione della vocazione erano favorevoli ad un periodo più lungo di vacanze. E viceversa, coloro che vedevano nell'ambiente familiare un pericolo per la vocazione, tendevano a ridurre, o addirittura ad annullare le vacanze in famiglia. Il dibattito su questo problema, con toni ora più accesi ora più pacati, di fatto non si spense, attraverso i secoli, fino alle nuove aperture e impostazioni date dal Concilio Vaticano II 54 •

Vd. ibid., 45r. Jbid., llr. 53 Vd. !. c. 54 Su questo pro~len1a delle vacanze familiari, si potrebbe fare un confronto, sen1pre riferito allo -stesso seminario di Catania, .Jeggendo le regole emanate nel 1955 dall'arcivescovo G. L. Bcntivoglio, e in vigore fino ::1lla metà degli anni sessanta. Si può ivi osservare una conti,nuità metas1

s2


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Oltre al periodo delle vacanze estive, le nostre Regole prevedevano che i chierici si incontrassero con i loro familiari nel seminario di piazza Duomo. Ma si trattava sempre di visite sporadiche e rapidi colloqui. Il tutto sempre visto in ottica difens>va! Inoltre bisogna distinguere i colloqui che si potevano avere con i familiari di sesso maschile o femminile. Per quanto riguarda i primi, «Padri, o Fratelli, o al so1nmo Cognati dei convittori o Zii carnali Sacerdoti»,

la regola permetteva che i seminaristi potessero parlare con loro <1nelle parti ·superiori 1del Se1ninario» ss.

Se, invece, si trattava di madre o sorella, si precisava inhanzitutto: «debbe prima .esser colei 'ri·conosciuta per tale dal Porti.naia, o da altri degno di fede» 56,

Inoltre la conversazione non poteva avvenire all'interno dell'edificio, ma «nel gradino confinante col portone» 57 , perché doveva svolgersi «brevemente» 58 • Non solo, ma il colloquio doveva avvenire alla presenza di uno dei superiori del seminario 59 • In simili condizioni è inutile pensare al ruolo educativo che

dologi,ca nell'impostazione severa del .rapporto con Ia famiglia (Vd. Regole del serninario arcivescovile di Catania, Stab. Tipo Litografico Ind. Cesare Costantino, Catania 1955, 22-23). Per una p·anoriamica sulla discussa questione delle vacanze in famiglia vd. M. GuAsco, La for111azione del clero: i se111inari, in Storia d'Italia. Annali 9: La Chiesa e il pO'tere politico dal Medioevo all'età conte111pora· nea, Einaudi, Torino 1986, 629-715: 672, 687-688, 697, 712. Sulle nuove aperture del Concilio Vatioano II a proposito del rapporto seminario-famiglia si veda il decreto 'Sulla formazione sacerdotale Optata1n Totius, 2-3. ss Regole, XXIII, n. IV. 56 Regole, XXIV, n. V. s1 L. c. ss L. c. 59 Vd. 1. c.


Le Regole del semmarw di Catania del 1788

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la famiglia avrebbe potuto svolgere in sintonia e collaborazione con gli educatori del seminario. Da notare, infine, che le regole sulla conversazione, adesso descritte, valevano per gli stretti familiari dei seminaristi. Per gli estranei la regola prescriveva che, trattandosi di uomini, il seminarista, ~{ottenuta

priina la licenza dal Padre Rettore, o da altro Su·

periore»,

poteva andare a colloquio, in presenza, però, del prefetto, «nello scaglione confinante col portone)),

e si precisava: «il parlare debbe essere più breve che si può» 60 •

Qualora, invece, si trattava di donne, (che non fossero madri o sorelle, come sopra ricordato), le disposizioni escludevano categoricamente qualsiasi possibilità di colloquio, ordinando: «qualunque altra donna non può n1ai parlare con qualsi·sia de' Seminaristi» 61.

Dal quadro che abbiamo tentato di delineare, appare che il giovane seminarista veniva affidato alla monolitica istituzioneseminario, che, attraverso le regole e i superiori, gestiva in modo esclusivo la sua formazione umana, culturale e cristiana, stabilendo nei minimi particolari gli strumenti pedagogici necessari per raggiungere gli scopi prefissi. Le altre agenzie educative, come la stessa famiglia e la comunità ecclesiale, erano tagliate fuori dall'educazione del futuro prete e non si immaginava nessuna possibilità di interazione educativa. Anzi, come già notato sopra, in un certo senso la società e la famiglia erano guardate con sospetto. Nel Settecento, questa rigida e netta separazione tra seminario e altre istituzioni, forse, si poteva giustificare, tenendo presenti le particolari condizioni socio-culturali createsi con il movimento illuminista. Quindi la Chiesa, affidando il monopolio della formazione dei chierici al seminario, in un certo senso,

"' lbid., XXIV, n. IV. lbid., XXIV, n. V.

61


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tentava di difendersi dal veleno della crisi, e poneva le premesse per poterla superare. Un problema, però, sorge se si pensa che questo sistema educati•vo chiuso, magari giustificato in quella determinata epoca storica, affondava le sue radici in una tradizione che risaliva al Concilio di Trento, e che si sarebbe protratta, quasi del tutto immutata, nelle sue grandi linee portanti, fino al Vaticano II 62 • E infatti ci sembra opportuno precisare che le Regole del seminario catanese non costituiva110 un fenomeno specifico, legato all'ambiente e alla mentalità culturale ed ecclesiale della Catania settecentesca. Ci risulta, infatti, che le nostre Regole sono state modellate su altri regolamenti, allora diffusi nei seminari europei. Lo stesso autore, per conferire maggiore autorevolezza al suo lavoro, si preoccupa di precisare che alcune norme, in vigore nel nostro sen1inario, erano anche praticate «ne' migliori, e più cospicui Collegi della nostra Europa» 63 • In maniera esplicita cita le regole di S. Carlo Borromeo e di S. Alfonso dei Liguori 64 , che, com'è noto, costituirono la matrice comune da cui si andarono elaborando i regolamenti dei vari seminari 65 • 3.2. I superiori: ruolo educativo e mezzi disciplinari nella programmata vita del seminario Il seminario di Moncada, come abbiamo visto sopra, definisce le sue mete educative e si organizza creando .un'atmosfera 62 Cfr. su questa in1postazione educativa chiusa attuata nei seminari M. GuAsco, art. cit., 655 ss. Una nuov1a valutazione dell'apporto positivo che la famiglia può dare nella formazione del seminarista, la si .trova in Optata1n Totius, 2, dove si legge che le famiglie « se animate 1d'a spirito di fede, di ,carità e di pietà, costituiscono co1ne il primo sen1i·nario». E ancora a proposito della collaborazione educativa tra superiori e genitori si veda OT, 3, Il Vaticano II, inoltre, accenna al co-involgiinento della co1nuni~tà cristiana: «Quest a fattiva partecipazione di tutto il popolo di Dio all'opera delle vocazioni corrisponde all'azione della Provvidenza Divina>} (OT, 2). 63 Regole, X, n. III. 64 Vd. ibid., IV, XVIII, n. III, XXX-XXXII. 65 Vd. M. GUAsco, art. cit., 649-655, 671-674. 1

1


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asettica attorno ai suoi alunni. Dobbiamo adesso esaminare il ruolo educativo pr.imario e fondamentale che le nostre Regole attribuiscono ai superiori. Il rapporto che i seminaristi hanno con i superiori, è collocato nella prospettiva di aiuto che da questi possono ricevere per la maturazione clel!a loro vita cristiana e per H perseguimento degli obiettivi indicati dal regolamento. I superiori, infatti, sono stati costituiti da Dio «per indirizzare i sudditi per quella strada, che conduce, e alla Salute deH'A,nime, e all'aid'do-ttrinamento convenevole>>

affinché «riescano buoni e Santi Ministri del Santuario» 66 •

E' per questo moHvo che viene giustificata «la perfetta obbedienza» 67 che i se111inaristi devono p:r;estare ai superiori, <(co1-;r1e se fos-sero i loro P1adri medesimi» 68 .

Notiamo che le Regole si aprono e si chiudono trattando dei superiori 69 • E' come se tutto l'arco educativo della vita seminaristica fosse poggiato su questi pilastri, tolti i quali, lo stesso edificio ciel regolamento crollerebbe. I superiori, quindi, hanno un ruolo educativo essenziale, che costituisce, come già accennato, la stessa famiglia: «Conciossiachè i Superiori nel Seminario sono incaricati dell'obbligo che hanno i Padri e i Superiori domestici de' Convittori, [ ... ]» 70,

così iniziano le Regole. E ancora, ai superiori spetta il dovere di ((invigilare con tutta diligenza al bene, al profitto, agli andamenti, a' costumi>)

dei seminaristi

71

Regole, VII. L. c. 68 L. c. 69 ,Le Regole in1z1ano con queste parole: <(Conciossiaché i Superiori nel SeminaTio sono incaricati [ ... ]» (VIII), e conclud'on-0: <(siate obbedien,ti a' vostri Superiori, ed ,ad essi :soggetti [.,.]}> (XXXIV, n. XIV). 70 Jbw., VII. 71 L. c. 66

67


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Questo compito di vigilanza attenta e minuta, riservato agli educatori del seminario, si aggancia certamente alla collaudata tradizione dei collegi gesuiti, dove il retto~e aveva la mansione di «invigilare con ogni sollecitudine su tutti [ ... ] sia prevenendo, sia rimediando [ ... ] e curando che profittino nelle virtù e nelle lettere» 72 • Il nostro regolamento, quindi, presenta una concezione pedagogica ben lontana da quella del proprio contemporaneo Rousseau, il quale si limitava ad attribuire ali' educatore un compito "negativo". Riteniamo opportuno notare che, mentre da un lato nelle nostre Regole bisogna riconoscere il valore pedagogico dell'intervento educativo, che non concede nulla ad un ingenuo spontaneismo ottimistico, proprio in forza della prospettiva antropologica dichiarata sin dalla Prefazione, d'altra parte, però, occorre chiedersi se tale impianto educativo, con la sua eccessiva vigilanza e con il costante intervento dell'autorità, di fatto non mortificasse e soffocasse il sano sviluppo di una personalità matura, capace di autogestire rettamente la propria libertà e di orientarla responsabilmente verso gli obiettivi proposti dagli educatori. E infatti la regola non solo organizzava, attimo per attimo, tutta la vita dei seminaristi, ma la controllava minutamente, prescrivendo i comportamenti che essi avrebbero dovuto tenere ((nelle camerate, nelle scuole, in Cappella, ed in qualunque alt,ro luogo, e quando si donano al giuoco, e quando vanno a diporto, e dove altro che che ·si .facciano >>73,

Il nostro autore riconosce che una vigilanza cosi minuziosa potrebbe sembrare ({nojosa, o alquanto grave» 74 , ma egli esorta i seminaristi ad accettarla di buon grado affinché raggiungano gli ideali prefissi, cioè il bene della propria anima e quello delle persone che un giorno saranno affidate alla loro cura spirituale 75 •

n Costituzioni della Co1npagnia di Gesù, in M. BARBERA, La Ratio Studioru1n e la Parte Quarta delle Costituzioni della Con1pagnia di Gesù, CEDAM, Padova 1942, 99. 'IJ Regole, VII, n. I. 74 lbid., VIII, n. I. 75 Vd. 1. c.


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La vigilanza sulla condotta degli alunni era esercitata dal rettore (supremo responsabile del seminario dopo il vescovo), e dagli altri superiori, attraverso la mediazione dei prefetti e vice-prefetti. I seminaristi, infatti, erano divisi in gruppi ovvero "camerate" (era questo il termine usato), secondo l'età e la classe frequentata. Per ogni camerata erano responsabili un prefetto e il suo vice, scelti dai superiori tra gli stessi seminaristi. I prefetti condividevano pienamente e in tutto la vita della camerata, e quindi potevano esercitare, in modo più efficace di qualunque altro superiore, un'attenta vigilanza sulla condotta dei loro condiscepoli più giovani. Essi avevano il dovere di «fa.re eseguire le regole e ,tutti. gli ordi'lli particolari dell'II.mo e Rev.mo Monsignor Vescovo, e ;dtel Padre Rettore»

e di fare «puntualmente obbedire ai segni comuni» 76 • Inoltre era loro compito correggere «con fortezza,, coloro che non osservavano il regolamento 77, e riferire al rettore «i difetti» (specie se «abituali» o <<contro l'onestà») 78 , notati nei chierici di cui erano responsabili. Le Regole sottolineano che l'espletamento esatto dei compiti, sopra accennati, costituisce, per i prefetti, un preciso dovere di coscienza, di cui dovranno rendere gran conto davanti a Dio 79 • Infatti se essi non eserciteranno bene il loro ufficio, in molti casi «né Mons. Vescovo, né il Rettore» avranno la possibilità di conoscere le mancanze e quindi non potranno intervenire per «rimediare ai disordini, ed agli scandali». Pertanto i prefetti, a causa della loro poca diligenza, si renderanno responsabili <(della rovina deHa loro camerata, e forse di tutto il Semi· nario» 80•

In questo sistema educativo, dove ogni azione del chierico veniva direttamente o indirettamente sorvegliata dagli educato76

11 78 79 80

Ibid., Jbid., lbid., Vd. l. Jbid.,

XXX, n. I XXXI, n. V. XXXI, n. VI. c.

XXXII, n. VI.


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ri, le maglie del controllo divenivano ancora più fitte, in quanto la regola prescriveva ai seminaristi di riferire «secretamente» 81 · ai superiori le mancanze dei loro compagni. Una simile norma non doveva essere confusa con una sorta di bassa e vigliacca delazione, ma, secondo il legislatore, doveva considerarsi come un obbligo di «coscienza», che derivava dalla «carità», secondo il detto: «Il Signore mandavit unicuique de proximo suo» 82 • Chi taceva sulla cattiva condotta del suo pros·simo, ne diventava, in certo modo, corresponsabile «con una cooperazione negativa» 83 , perché ostacolava' la realizzazione del bene comune, che comprendeva sia H bene dei singoli come quello del seminario e della diocesi 84 • Ma tale impostazione pedagogica in chiave inquisitoria, anche se pretendeva di giustificarsi con il dovere della carità, era certamente lontana dallo stile evangelico dell'aperta e sincera correzione fraterna. Bisogna aggiungere, inoltre, che la regola prevedeva che non sarebbe stato reso noto «il nome e cognome de' zelanti ·rapportatori» 85 , per evitare le prevedibili reazioni degli accusati, sui quali piombavano le punizioni stabilite dai superiori. Anche su questo punto, a nostro avviso, bisogna osservare che nelle Regole manca l'educazione al leale confronto, come si sarebbe potuto avere, se apertamente si fossero manifestati i nomi degli accusatori. 3.3. L'osservanza delle regole: timore del castigo o convinzione? Sintetizzando quanto esposto sopra, potremmo dire che l'unico punto di riferimento del giovane seminarista era il regolamento, sul quale egli avrebbe dovuto modellare la propria vita, per poter essere domani un buon prete 86 • Inoltre la vigi" Ibid., IX, n. III. L. c. 8J Ibid., X, n. !IL 8' Vd. l. c. ss L. c. 86 Sulla permanenza di questo orientamento cduoativo fino alle soglie del Vaticano II, si veda M. GUASCO, art. cit., 704: «Negli anni della .formas2


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lanza dej superiori, mediata dai prefetti e completata attraverso i canali segreti (ossia i rapporti fatti dagli stessi condiscepoli), garantiva che gli alunni ricevessero quell'impronta voluta dall'istituzione-seminario. Ma le nostre Regole del 1788 prevedevano un altro strumento per spingere all'osservanza di quanto prescritto: il castigo. Ad ogni piè sospinto si profila la minaccia della punizione, la quale può essere considerata come il deterrente usato per indurre j chierici a praticare i vari punti del regolamento. Ecco alcuni esempi: erano previsti cast1ghi per coloro che non ubbidivano ai superiori 87 e per coloro che tentavano di reagire contro chi li aveva accusati 88 • Sarebbe stato punito chi non osservava la disciplina a scuola 89 e chi non aveva studiato con diligenza 90 • «Castighi severissimi» 91 erano riservati a coloro che tenevano «armi~> o libri proibiti 92 • Desta meraviglia, inoltre, il fatto che erano minacciate punizioni anche per coloro che, durante la preghiera comune, non mantenevano la compostezza del corpo, o recitavano le orazioni <cstrap.azzatamente, e di carriera, e senza tintura di devozione» 93 . La regola, infine, esortando a non parlare e a non stare distratti in Chiesa, così recitava: {(Per isfuggire ognuno qualunque castigo debbe onnina,mente dimorare in quella (Chiesa) con profondo rsilenzio, cogli occhi dimessi, con un ,sito di corpo ben composto, sicché sembri un·a -statua di divozione» 94.

Leggendo le Regole del seminario moncadiano, sembra quinzione il suo [del seminarista] punto .di orientamento doveva essere so·Io la regola e la parola del rsuperiore [ ... ]», In modo ,significativo, le ['egole del 1955 del ,seminario di, Catania •SÌ chiudevano con la ,seguente frase: «Qui :regulae vivit, Deo vivit)) (Regole del Seminario Arcivescovile di Catania, cit., 32). s1 Vd. Regole, X·XI, i!l. III. ss Vd'. ibid., X, n. III. " Vd. ibìd., XIX, n. IV. V d. ibid., XX, .n. VII. " lbid., XXI, n. VIII. " Vd. ibid., XXXI, n. V. 93 lbid., XIV, n. III. 94 lbid., XVI, n. I.

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di che in definitiva sia il timore del castigo a spingere il chierico a non agire scorrettamente. Se, infatti, tutto il percorso educativo, tracciato dal regolamento, era cosparso di possibili punizioni, quali convinzioni potevano maturare nell'animo del fu-· turo prete? E infatti all'interno della prospettiva sopra abbozzata, non troviamo indicato nessun suggerimento pedagogico atto a favorire l'interiorizzazione e l'assimilazione delle norme, come invece ci saremmo aspettati in una concezione educativa cristiana. Quindi, fra l'altro, dietro questa impostazione, a nostro avviso, si maschera una visione etica di sapore estrinsecistico. Tuttavia riteniamo opportuno osservare che bisogna collocare queste Regole del seminario catanese nello scenario specifico del Settecento, per tentare di comprendere quali fattori inducevano a creare una struttura educativa del tipo descritto. In primo luogo, dovremmo tener conto di un fattore sociologico di grande rilievo. Nel meridione d'Italia, data la grave arretratezza socio-economica, molti giovani sceglievano spesso il sacerdozio come unica strada per vincere la fame e la miseria 95 • Inoltre, data la prassi del chiericato esterno, ancora resistente e dura a sradicarsi anche nel seminario di Catania 96 , molti chierici accettavano malvolentieri i decreti vescovili, in cui si ordinava di passare in seminario tutti gli anni di preparazione al sacerdozio, o almeno l'ultimo periodo. Quindi era ovvio che questi candidati, costretti alla permanenza in seminario, tentassero di vivere secondo i loro criteri di comodo e non secondo le regole. Pertanto possiamo, forse, immaginare 95 Cfr. M. GuAsco, art. cìt., 669. Cfr. X. TOSCANI, Il reclutan1ento del clero (secoli XVI·XIX), in Storia d'Italia, cit., 572-628: 600,ss. Cfr. A. GAMBASIN, Religiosa magnifi.cenza e plebi in Sicilia nel XIX secolo, Roma 1979, 145, dove si legge che, nel 1772, i·n Sicilia, 1si potevano anche vedere «ire, quattro e cinque tr'a fratelli, figli e nipoti preti e chierici tutto affine di godere poi delle franchezze intieramente le famiglie con notabile d!anno della -religione» (ci tato in M. GuAsco, art. cit., 675, nota 25). % Vd. G. ZITO, Ordina1nento e sconosciuta vitalità della formazione culturale nel se1ninario di Catania nella priina 111età del sec. XIX, in Synaxis 2 (1984), 473-526: 478. 1


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la pesante atmosfera che si generava nell'istituto, e quindi possiamo spiegare (non condividere) il sistema educativo che si appoggiava sul terrore delle punizioni. In tal senso ci può illuminare la testimonianza di S. Alfonso, contemporaneo delle nostre Regole, il quale scriveva: «ordinariamente parlando, nei seminari vi sono più mali e scandali di quello che ne sanno i vescovi» 97 • Infine, per quanto riguarda gli atteggiamenti e la disciplina da osservare in chiesa, basterebbe ricordare che nel tempo in cui sono ambientate le nostre Regole si registravano spesso disordini e mancanze di riverenza nelle chiese, dato che molte persone assistevano alle funzioni sacre solo per formalità. Si provvide, perciò, a mantenere l'ordine, come nota D. Rops, m,edian te gli "scaccini", i quali con una verga percuotevano chi si comportava in modo irriverente. Dal 1778 gli scaccini furono sostituiti con gli "Svizzeri di Chiesa", armati di spada e d'alabarda 98 • All'interno di una situazione generale così difficile e complessa, il seminario doveva svolgere un compito molto impegnativo, che spesso contrastava in pieno con la mentalità corrente. Pertanto, nella laboriosa e faticosa ricerca dei mezzi più idonei a formare il clero, si possono comprendere certe scelte pedagogiche (come questa di un sistema educativo chiuso con H suo taglio disciplinare negativo), che certamente urtano la nostra sensibilità attuale. 4.

La formazione oultursaZ:e

4.l. L'organizzazione degli studi e i suoi scopi Insieme alla pietà e alla disciplina, la cultura costituisce l'altro caposaldo necessario, sul quale si deve edificare la formazione del futuro prete. 97 Riflessioni utili ai vescovi, contenute in Opere ascetiche di S. Al· fonso Maria de' Liguori, III, Torino 1880, 865-866, citato in M. GuAsco, -art. cit., 671. 98 Vd. D. RoPs, Storia della Chiesa del Cristo, .trad. i•t_., V /2, Marietti, Torino 1963, 280, nota 45.


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Le Regole ci permettono di conoscere le finalità attribuite allo studio, la ratio studiorum e la relativa organizzazione disciplinare. Il fine degli studi del seminario è così definito: formare «eruditi e scienziati» 99 che servano alla gloria di Dio e al bene della Chiesa 100 • I seminaristi, quindi, devono ess·ere forniti di un bagaglio culturale all'altezza del secolo dei lumi. Siamo lontani dai tempi in cui ci si accontentava di dMe al prete solo alcuni rudimenti culturali 101 • Un primo elemento importante che rileviamo nelle nostre Regole, consiste nel fatto che la formazione culturale, offerta dal seminario, viene vista da una prospettiva di apertura e di servizio alla comunità degli uomini. I chierici, infatti, devono avere la consapevolezza che se saranno «infingardi» nello studio e non usufruiranno bene dei «mezzi» m,essi ·a loro disposizione, perché acquistino una profonda cultura, si renderanno colpevoli «del tempo perduto» 10', non solo davanti a Dio, ma anche davanti al loro prossimo. Infatti la loro formazione culturale è finalizzata «a procurare il maggior bene possibile» agli uomini 100 • Quindi i seminaristi devono studiare con profitto, sia per non deludere le attese dei genitori e degli altri familiari, sia perché domani con il loro ministero dovranno essere "di gran prò a' Cittadini» 104 • Il curriculum scolastico è così articolato: a) scuole basse di grammatica, umanità, retmica; " Regole, XVII, n. I. Vd. Ibid., XVII. S. Carlo Borromeo ·aveva dirstinto cinque categorie o classi di preti, in base alle loro attitud!ini per lo 1studio: «Nella quarta clas·se .sarebbero andati quanti, pur non avendo tratto mo1to profitto dallo studio delle lettere, erano comunque in grado di spi egare al popolo i sacramenti e le cos·e essenziali per la s alvezza [ ... ]. [Era prevista] anche una quinta classe, composta da tutti gli altri, ai quali ,non sarebbe :stata mai affidata nessuna responsabil1tà pastorale diretta» (M. GuAsco, art. cit., 651). 102 Regole, XVII. 10i Ibid., XVIII, n. I. 104 lbid., XVII. 100 101

1

1


Le Regole del seminario di Catania del 1788 b) e)

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metafisica, fisica, geometria, cronologia, geografia; teologia morale, teologia dogmatica, diritto canonico 105 • Inoltre viene ripristinato lo studio della lingua greca: «:si è stimato .ottimamente fatto il rimettere in piedi nel nostro Semina.rio il tra'Scurato studio della .Lingua G.reoa tanto apprezzata da' dottL> 106,

Bisogna notare che in questa impostazione della ratio studiorum, importanza fondamentale viene attribuita alla grammatica, che è definita «la chiav·e di tutte le Scienze» 107 • Gli studenti che non avessero superato gli esami di grammatica non sarebbero stati promossi «alle scuole superiori» 108 • La possibilità stessa di essere ammessi agli ordini minori o a quelli in sacris era subordinata a questa perizia nella grammatica: il seminarista avrebbe dovuto offrire «certo saggio, e buono di essere un valente grammatico»,

oltre ad essere «molto avanzato nelle superiori .scienze» 109•

Anche nell'editto del 1773 si può notare il peso che Moncada dava alla preparazione nelle 1ettere: <(Nella collazione de' Benefìcii, che a Noi· isi appartiene, dichiariamo di dover avere in grandissima considerazione que' Seminaristi che avranno dato buon saggio di loro pietà e letteratura>) 110.

rns Vd. ibid., XVII, n. !. L. c. Con molta probabilità, nel ·seminario catanese, lo studio del greco era stato trascurato dopo la venuta a Catania dello stesso Monoada. Infatti sappia1no che Ventimiglia, durante il suo episcopato, fondò nel seminario una tipografia con caratteri greci e latini <<per la stampa delle opere che gli giovassero nell'insegnamento de' Chierici>} (D. SCINÀ, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, II, L. Dato, Pa~ !ermo 1824-1828, 320, nota 1). <<'Nel ·seminario dei Chierici si formò una famosa scuola di scienze eoclesiasti,che, di letteratura classica greca, latina ed italiana» (.P. CASTORINA, op. cit., XII). 107 Regole, XVIII, n. I. 1os L. c. iw L.c. 110 ACA, E, 1769·1776, 45r. 106


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Il valore dato alla grammatica e agli studi linguisticoletterari, nel nostro regolamento, viene motivato dal fatto che i seminaristi diventeranno ministri «della parola santa» con la quale «addottrineranno i popoli» 111 • La conoscenza grammaticale e letteraria, perciò, è fondamentale perché offre al sacerdote gli strumenti per comunicare in modo adeguato il messaggio religioso, permettendogli così di svolgere bene il suo ministero, utilizzando la propria cultura a favore della società e della religione. Infatti i seminaristi devono sentire l'urgenza di «avanzarsi nella letteratura» affinché «possano essere di giovamento alla società addott,rinando fa,ncitùli e grandi, predicando, amministrando con decoro della Religione e con profitto delle anime i SS. Sagramenti}> 112.

Ci sembra di notare in questo punto delle Regole la presenza di un'istanza, tipicamente illuministica, cioè a dire quella che considerava la cultura in vista dell'utilità sociale. Dobbiamo notare, però, che in questa struttura scolastica, la preminenza data alla formazione letteraria non corrispondeva alla sensibilità della cultura illuministica, la quale, invece, tendeva a valorizzare maggiormente le discipline scientifiche. Tuttavia è anche opportuno ricordare che nell'Italia meridionale, date le particolari condizioni storiche, continuava a sussistere una tradizione culturale di stampo umanistico, accanto alle nuove tendenze dell'Illuminismo 113 • Nella Catania della seconda metà del secolo XVIII, infatti, l'aristocrazia cittadina era solita incontrarsi in adunanze accademiche sia «per le scienze naturali», come anche <<per la classica letteratura» "'. Sappiamo, inoltre, che in città -esistevano fiorenti «scuole di greco e di latino nel pubblico e privato insegnan1ento» 115 • D'altra parte, come abbiamo notato nel presente lavoro, lo 111

Regole, XVII. L. c. 113 Cfr. A. SANTONI RUGIU, Storia sociale dell'educazione, ·Principato, Milano 1979, 321. 114 P. CASTORINA, op. cit., XI. us L, c. I12


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stesso Ventimiglia che aveva promosso gli studi scientifici, aveva anche dato impulso alla formazione letteraria dei seminaristi. Quindi, nel periodo in cui vengono emanate le nostre Regole, il seminario di Catania, dando spazio alla formazione letteraria, non faceva altro che continuare a percorrere la linea della sua tradizione culturale umanistica. 4.2. Innovazioni metodologiche nella didattica della grammatica Dato il rilievo assunto dalla formazione grammaticale, sarebbe opportuno soffermarsi ad esaminare il metodo seguito in tale insegnamento. Ma le Regole non ci forniscono alcun accenno. Tuttavia possiamo dedurre che fosse in vigore il metodo promosso da mons. Ventimiglia nel 1770, dato che l'artefice di quel rinnovamento, cioè il sac. Sebastiano Zappalà Grasso, continuava ancora ad insegnare nel seminario di Catania al tempo di Moncada Il'. Ventimiglia, nell'editto emanato il 29 agosto 1770, cosi scriveva a proposito di un progetto di riforma degli studi letterari: (([, .. ] volendo ancora che le scuole di Grammatica in tut,ta la nostra Diocesi tenessero lo stesso metodo di insegnare i prin* cìpi delle belle lettere e seguis·sero il medesimo teno.re, con cui si regolano gli studi nel nostro Seminario, abbiamo di nostro ordine fatto distender una Nuova Grammatica delle due lingue Latina e Italiana, e vogliamo, che nell'apentura delle nuove scuole tutti i precettori della nostra città e Diocesi di Catania, ·soggetti :alla nostra Vescovile giurisdizione, si servissero per l'avanti ·di questa nuova grammatica, e secondo il suo tenore .regolassero gli s'1udi, ed istilJassero a' loro allievi quel gusto delle lettere che abbiamo introdotto nel nostro Seminario ad intendimento, .che insegnandosi con n1etodo unifor1ne "le nuove lettere in tuttia la nostra diocesi, .potessero in breve tempo aver feHce progresso, e i figlioli che per l'avvenire entreranno in Seminario veni·ssero con quegli stessi lumi, e.o' quan alleviamo i nostri Chierici» 111. 116 Cfr. G. ZITO, Ordina1nenlo e sconosciuta vitalità ... , cit., 477. TI sac. Sebastiano Zappalà Grasso (1738-1820) insegnò i.n seminarlo greco, latino e italiano. Fu direttore della tipografia del se1ninario. Insegnò diritto canonico presso l'Università idi Catania. Nel 1803 ebbe la di•rezione delle Regie Scuole Norn1ali (Cfr. P. CASTORTNA, op. cit., 168). ll7 ACA, E, 1769-1776, llr.


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Di questa «Nuova Grammatica» da adottarsi in tutte le scuole della diocesi, era autore lo Zappalà Grasso. L'opera, divisa in due parti, era stata stampata nel 1770 nella tipografia del seminario di Catania, con il seguente titolo: Cento lezioni che confiengono le regole grammaticali delle du1ò lingue La,tina ed Italiana. Ad uso del Seminario di Catania 118 • Questo testo sarà stato famoso per lungo tempo. Infatti allorché nel 1817, sotto il rettorato di Giuseppe Amorelli, si attuò nel seminario catanese una nuova riforma degli studi, il Patti, nella sua prolusione, ricordava: la lingua latina «è stata qui [nel seminario] sempre insegnata con felice successo» 119, e tra i mezzi «straordinari» è stata adoperata la «lodevole grammatica della lingua latina, che in Cento lezioni il suo stesso autore ridusse» 120 • Quindi al tempo del nostro regolamento, il metodo didattico seguito in seminario per lo studio della grammatica era quello proposto dallo Zappalà nell'opera citata. Nella presentazione del suo lavoro l'autore precisa che lo studio della grammatica è programmato per due anni: cinquanta lezioni ogni anno, e, in media, una lezione suppone la spiegazione che si protrae nell'arco di una settimana 121 • Dal punto di vista metodologico lo Zappalà propone che l'esposizione delle regole grammaticali italiane e latine procedano «con pari passo» 122 • Egli sostiene, inoltre, che bisogna valorizzare la lingua italiana. Infatti è necessario non solo lo studio del latino che «torna in vantaggio per la intelligenza de' divini offici, e de' sacri libri della nostra Santa Religione» 123 , ma anche della lingua italiana che «riesce sommamente in acl1 8 S. ZAPPALÀ GRASSO, Cento lezioni che contengono le regole grammaticali delle due lingue Latina ed Italiana. Ad uso del Seminario di Catania, parte I e parte II, nelle -stampe del Seminario, Catania 1770. 119 A. PATTI, Prolusione agli studj del Chierica[ Seminario di Catania, per l'anno 1817-1818, recitata dal Sacerdote Antonio Patti, Tip. dei R. Studi, Catania 1817, 5. no L. c. 121 Vd. S. ZAPPALÀ GRAsso, op. cit., IV. i22 L. c. m Ibid., III.


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123

concio per la istruzione del Popolo, e per aprire i vostri sentimenti nel distenderli in iscrittura» 124 • Un aspetto didattico, a nostro avviso, molto importante, sottolineato dallo Zappalà, riguarda l'apprendimento delle regole grammaticali. Queste dovevano essere conosciute e apprese, ma non come un fine a sé stante (tanto da essere imparate a memoria, secondo i metodi didattici delle scuole dei gesuiti), bensì come un mezzo, anche se utile e indispensabile, per giungere alla comprensione dei testi degli autori: «Siate solleciti al sommo di ben capire le regole, senza prendervi gran fatto briga di recar>'ele a memoria (fuori de' piegamenti de' nomi, e de' verbi, che dovete bene a fondo fermarvi alla mente) che quanto al ritenerle non vi sarà esercizio migliore, che continuamente osservade, e renderne conto sulla lettura de' buoni Autori» 125 • Questo accostamento diretto ai classici, avrebbe generato negli studenti il «verace gusto» delle lingue 126 • Zappalà, infine, per facilitare agli alunni lo studio aveva aggiunto alla sua opera un vocabolarietto, ideato con alcuni accorgimenti didattici molto significativi. Rivolgendosi ai suoi futuri allievi, l'autore così presentava il suo «picciol Vocabolario»: esso «Vi mostrerà le voci, ma tutte della più pura Latinità, delle cose più comuni ripartite in varie classi, per entro cui vi ho racchiuso la Mitologia, o vogliam dire la Scienza delle favole del Paganesimo, e i Riti dell'antica Roma, senza le quali contezze è a voi malagevole molto, od anzi impossibile pervenire alla fondata intelligenza degli aurei Scrittori Latini» 127 • 4.3. Metodi di verifica per il profitto negli studi Le Regole del 1788 ci fanno conoscere quale metodo di verifica veniva adottato in seminario per giudicare il progresso che gli alunni compivano nello studio. Innanzitutto bisogna distinguere «le classi di ogni scienza

124 125 126

127

L. c. !bid., V.

Vd. l. c.

ib~d.,

VI.


Piero Sapienza - Salvatore Consoli

124

superiore» 128 (cioè quelle del corso filosofico e teologico), e de classi delle altre scuole» 129 , cioè delle scuole basse di grammatica, di umanità, di retorica (grosso modo 1e nostre scuole medie e ginnasiali). Per le classi di scuola inferiore, il regolamento prevedeva delle verifiche, che possiamo intendere come normali interrogazioni. Tali verifiche avvenivano senza una scadenza fissa e senza alcuna programmazione: gli alunni avrebbero dovuto dimostrare la loro preparazione e la loro costanza nello studio offrendo «di quando in quando» «saggio all'improvviso dell'avanzamento ne' loro rispettivi studj » no_ Le loro carenze nelle diverse discipline sarebbero state punite con i (<dovuti castighi» 131 • Per quanto riguarda invece gli studenti del corso filosofico e quelli del corso teologico, troviamo che la loro preparazione veniva verificata, con scadenze fisse e progran1n1ate attraverso i cosiddetti <<circoli» 132 • Questi circoli di studio si tenevano ogni quindici giorni «per due ore intiere» 133 , e venivano organizzati per ogni classe con la medesima struttura. A questi incontri-verifica partecipavano non soltanto i professori, come diretti responsabili dell'insegnamento, ma anche il rettore e gli altri superiori del seminario 134 , i quali durante Io svolgimento del circolo non erano semplici osservatori, ma avevano anche un ruolo di stimolo, in quanto intervenivano ponendo quesiti o invitando l'uno o l'altro degli allievi ad argo1nentare. L'impostazione di questi circoli riecheggiava il modello delle "dispute" della ratio studiorum dei gesuiti. Il professore o qualcuno dei superiori, come detto sopra, chiedevano ad un chierico di esporre e dimostrare «all'impronto» un punto della tematica studiata nelle due precedenti settimane m. Al termine 1

129

Regole, XIX, n. VI. !bid., XX, n. VII.

130

L. c.

128

L. c. m Vd. ibid., XIX, n. VI.

u1

L. c. Vd. !. c. ns Vd. ibid., XX, n. VI. 133

134


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Le Regole del seminario di Catania del 1788

125

dell'esposizione, un altro seminarista sarebbe stato chiamato a proporre le obiezioni che si potevano sollevare intorno all'argomento illustrato, o a sciogliere le eventuali difficoltà. Questo tipo di verifica, attuato attraverso il dibattito, non escludeva però la possibilità che, durante lo svolgimento del circolo, i seminaristi fossero sottoposti ad altre eventuali domande ovvero interrogazioni 136 • Notiamo che per gli studenti di teologia morale, la prova si basava sulla discussione del "caso morale". Ogni allievo avrebbe dovuto aver pronto «il suo caso» da proporre alla discussione di tutti, .e allo stesso tempo doveva essere preparato a risolvere i casi proposti dagli altri 137 • Da questo rilievo affiora il taglio casistico, tipico di quel periodo, dato all'insegnamento della teologia morale. Gli studenti, quindi, dovevano arrivare alla scadenza quindicinale in cui si teneva il circolo, preparati «ad argomentare e rispondere» JJs alle questioni che sarebbero state loro proposte. Coloro che non avessero espletato con la dovuta competenza e diligenza i loro ruoli di «argomentanti e rispondenti» durante il dibattito, sarebbero stati puniti con delle pene proporzionate «ai commessi errori» 139 • Riteniamo opportuno, a questo punto, osservare che con il metodo di verifica, attuato attraverso i circoli di studio, gli educatori del seminario potevano raggiungere alcuni scopi ben precisi. Innanzitutto, come sopra accennato, tutti i superiori della comunità d,el seminario erano coinvolti attivamente nel seguire l'iter della preparazione culturale dei chierici. Il dato che, a nostro avviso, qui emerge è che il sistema educativo del seminario non operava una dicotomia tra formazione spirituale morale - disciplinare e formazione culturale. Il soggetto da educare era considerato globalmente nella sua unità; pertanto anche i responsabili dei vari aspetti della vita seminaristica erano 136

137

138 139

Vd. I.e. Vd. l. c. Jbid., XIX, n. VI. Jbid., XX, n. VI.


126

Piero Sapienza - Salvatore Consoli

chiamati ad esprimere, insieme ai professori, un giudizio sui progressi compiuti dal seminarista nel campo culturale. In secondo luogo, con il sistema della disputa, i superiori e i professori potevano attuare un controllo sulle opinioni che venivano illustrate, onde evitare che i chierici accettassero delle tesi non conformi all'ortodossia cattolica. Infine, abituare i seminaristi a dibattere i problemi studiati poteva essere utile per farli esercitare ad esporre in elegante forma letteraria gli argomenti trattati (non dimentichiamo che gli studi linguistico-letterari erano considerati fondamentali). Ma l'esercizio del dibattito si dvelava utile anche per un secondo motivo: i seminaristi, attraverso questo metodo, avrebbero avuto la possibilità di affinare le proprie capacità dialettiche per poter controbattere e confutare le opinioni degli intellettuali di moda, denigratori della fede e avversari della Chiesa cattolica. Anzi, a nostro avviso, quest'ultimo punto potrebbe essere individuato come il fine principale di questo sistema di v.erifica. E infatti le Regole esortano i seminaristi a leggere quei testi «di finissimo gusto» letterario, e al tempo stesso «eruditissimi» ed «edificanti» di quegli autori cattolici, i quali li possano formare alla «sana e vera dottrina» 140 In tal modo, rafforzati nelle loro convinzioni dottrinali con solide argomentazioni, i chierici sarebbero stati capaci di essere (<tutti fuoco a fare cascare in cenere tutti quegli errori, di cui si fianno belli cotali :saccentuoci alla moda, i quali ·sono o mi'nuti Filosofi, o ciechi, ammiratori della menzogna, o scostumati, e corrotti di cuore amanti di liberitinaggio [ ... ]» 141 •

Su tale sfondo, a nostro avviso, deve essere collocata la norma che vietava ai seminaristi di possedere o leggere libri contrari alla fede e alla morale, anche se non .espressamente proibiti dalla Chiesa m Nessun alibi di ordine letterario o poetico o artistico, doveva essere escogitato per giustificare la lettura di quei libri <<·osoeni e perniciosi» 143 , in quanto il danno

140

t4t 142 143

Jbid., XXI, n. VIII. L. c. Vd. l. c. Jbid., XX, n. VIII.


Le Regole del seminario di Catania del 1788 che che ben che

127

essi avrebbero arrecato alla vita spirituale e la confusione avrebbero generato nel campo dottrinale, sarebbero stati più grandi di qualsiasi vantaggio o «di altro ideato bene si fosse» 144 •

4.4. Disciplina e ritmi di studio Il valore che il seminario dava alla preparazione culturale dei suoi alunni, si traduceva anche in alcune prescrizioni disciplinari, che completano lo schizzo sopra delineato. Alla base di queste disposizioni stava il presupposto che «ricavare un vero profitto dallo Studio» era «un'essenziale dovere nel Seminario)} i4s. La giornata di studio era scandita in quattro ore e mezzo, così distribuite: due ore al mattino; mezz'ora dopo pranzo «prima di scuola»; due ore ogni sera 146 • Questo tempo, d.edicato allo studio personale doveva essere sfruttato pienamente e senza alcuna distrazione. Pertanto ogni seminarista doveva essere puntuale al segno di inizio dello studio, il che significava che avrebbe dovuto avere l'accortezza di provvedere per tempo a tutto ciò che gli era necessario per studiare: carta, penna, calamaio ecc. 147 • Inoltre nessuno poteva lasciare la sala di studio, tranne «per qualche necessità corporale» 148 , e sempre con il previo permesso e i dovuti controlli dei prefetti. Per quanto riguarda lo svolgimento delle ore di scuola, le Regole non ci danno nessuna indicazione, tranne quella che dopo pranzo c'erano delle ore di scuola. Forse altre lezioni si tenevano anche per qualche ora della mattinata, come nei collegi dei gesuiti 149 •

lbid., XXI, n. VIII. Ibid., XX, n. VIII. '" Vd. ibid., XVIII, .n. II. 147 V1cL l. c. 148 Jbid., XVIII, n. III. 149 Cfr. Ratio atque institutio studiorun1 societatis Jesu, Feltrinelli, Milano 1979. 144 1 ''


128

Piero Sapienza - Salvatore Consoli

Durante la scuola, la regola raccomandava al seminarista di stare «con modestia ed attento alle lezioni, che -riceve dal Maestro».

Inoltre, in classe era l'insegnante stesso responsabile della disciplina, pertanto gli si doveva «tutta la obbedienza», accettando «senza replica, senza mica brontolare», i castighi che egli avrebbe ritenuto opportuno infliggere agli allievi negligenti o indisciplinati 150 • Per un ordinato svolgimento delle lezioni e per conservare la dovuta concentrazione e attenzione, anche durante le ore di scuola, come già per lo studio, era proibito lasciare l'aula. Il maestro avrebbe accordato il permesso di uscire soltanto in caso di «vera necessità pe' provvedimenti corporali» 151 • Con queste puntualizzazioni che disciplinavano i ritmi di studio, il seminario voleva creare delle condizioni tali che favorissero un impegno fattivo e concreto nel lavoro scolastico, senza distrazioni e senza dispersione di tempo e di energie.

Osservazion.i co·nclusive Le Regole del 1788 ci mostrano uno spaccato della conce· zione educativa e della vita del s·eminario catanese con le sue luci e le sue ombre. Tentando una valutazione conclusiva al termine di questa nostra lettura, notiamo, in primo luogo, che il regolamento moncadiano, dal punto di vista strettamente pedagogico-disciplinare, ripropone, sostanzialmente, come già abbiamo osservato, gli schemi delle regole già collaudate nella tradizione dei collegi gesuiti, oppure ricalca, per molti aspetti, le regole di S. Carlo Borromeo, o quelle più vicine di S. Alfonso. Le nostre norme, cioè, si rifanno a un cliché comune nello spazio e nel tempo. E infatti, se si eccettua qnalche debole segnale positivo, già notato lungo la nostra trattazione, bisogna riconoscere che le nostre Regole non si calano nel particolare contesto socio-

150

Regole, XIX, n. IV.

151

Ibid., XIX, n. V.


Il sen1inario di Catania: particolare (piazza Duomo)

(foto P. Sapienza)



Le Regole del seminario di Catania del 1788

129

ecclesiale catan,ese, e non sembrano tener conto, o almeno restano indifferenti di fronte ai nuovi scottanti problemi posti dalla cultura illuminista, anche in campo educativo. In secondo luogo, osserviamo che ci sembrano buone le alte pretese di formare preti culturalmente preparati e qualificati 152 • In tal modo il seminario tentava di dare una risposta a certe esigenze tipiche del secolo dei lumi. Tuttavia bisognerebbe verificare se il piano cli studi riusciva a fare i conti con la cultura contemporanea, mettendo il prete nelle condizioni di sapersi inserire concretamente nei dibattiti culturali emergenti nel campo filosofico, scientifico, teologico e anche politico. Per esempio, quando vengono pubblicate le Regole di Moncada, da temp·o era già in atto la famosa "rivoluzione copernicana" operata da Kant nel campo gnoseologico, e la metafisica era stata messa fuori gioco e dichiarata impossibile come scienza. Le questioni poste sul tappeto dal filosofo di Kèinigsberg avranno avuto come interlocutori critici i professori del seminario di Catania? Una risposta a questa e a simili domande potrebbe darsi se si allargasse la ricerca fino a rintracciare i programmi proposti dagli insegnanti e i testi in uso per lo studio delle singole discipline. Ancora sul versante culturale, ricordiamo che, durante la nostra esposizione, abbiamo rilevato come le Regole sottolineano che la preparazione intellettuale del seminarista deve essere vista nella prospettiva dell'utilità sociale. Ci sembra questa non solo una sana esigenza portata avanti dall'Illuminismo, ma un valore tipicamente cristiano. Il prete doveva avere la consapevolezza che la sua cultura dovesse essere posta al servizio del popolo di Dio. Anche sotto questo aspetto è legittima la domanda: questi preti, usciti dal seminario di Moncada, saranno stati capaci di calare la loro cultura tra il popolo e di tradurla nelle categorie della gente semplice e umile? E a questo punto ci viene restituita una questione fondamentale: se la vita condotta durante il periodo seminaristico

"' Vd. ibid., XVII.


130

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era completamente scollata dal resto del mondo, come si sarebbe potuto intraprendere questo dialogo con la comunitĂ degli uomini? E' quindi legittimo chiedersi: quali saranno stati gli esiti della formaz1one impartita attraverso il piano educativo proposto dalle nostre Regole? Anche qui la ricerca dovrebbe aprire uno spiraglio sulla situazione del clero inserito nelle parrocchie o in altre realtĂ ecclesiali, per verificare quale tipo di pastorale i sacerdoti riuscivano a promuovere.


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131

II. TENTATIVO DI LETTURA TEOLOGICO-MORALE

Salvatore Consoli Lo scopo delle Regole

1.

Nella Prefazione viene espressa la decisione del vescovo Corrado Deodato de Moncada di {<[ ... ] voler costrutto un corpo di ·Regole pel suo Vescovi! minario di Catania» 1

Se~

e si precisa lo scopo della regola stessa. Le regole, se «osservate appuntino» dai giovani, non solo {(formano in loro lo spirito, formano il cuore» 2 ma sono in grado di «apparare in essi [ ... ] la Scienza de' Santi» 3 e, conseguentemente, «loro procacciono un tenor di vita onorevole e decorosa; esse l:L mettono in una situazione giovevole a' suoi, alla Patria, al Mondo»'. Giacché il seminario è, per definizione, un luogo di semina, è compito delle regole far sì che possano «[ ... ] venir sù <lalla buona semente [ ... ] le piante feconde di santità, e di dottrina)) s

tenendo conto che i sacerdoti «[ ... ] costitui·scono qui in terra la milizia del Signore, e sono o almeno debbono essere de' popoli lo ·specchio ed esempio» 6•

Regole da osservarsi da' Convittori nel Vescovil Seminario de' Chierici di Catania, nelle stampe etnee per Francesco Pastore, C-atan.ja 1788 1

(d'ora in poi abbr. 2 Ibid_, IV. 3

4 5

6

L.c. L.c. L. c. L. c.

Regole), V.


Piero Sapienza - Salvatore Consoli

132

I seminaristi grazie alle regole crescono come «[ ... ] piante feraci di virtù sante, e di :sane dottrine»

7

e così diventano «[ ... ] attenti, e buoni cultori 1ctel terreno del Celeste Capo di

famiglia»

8,

Le regole infine «[ ... ] servono pure come di strumenti a sbarbiçare, e a far

che non vengano via via le spine de' vizj, le quali ingombre;rebbero il gi-0vanil cuore ornai troppo soggetto a produrle» 9•

Anche se manca una vera motivazione di tipo teologico ed ecclesiale, alla regola, oltre lo scopo negativo del togliere i vizi, si assegnano le finalità positive del costruire formando alla santità e alla scienza dei santi. E' abbastanza marcata la dimensione sociale del sacerdote considerata, secondo le categorie dell'epoca 10, in relazione ai parenti, alla patria e al mondo.

L'immagine di sacerdote in/Jesa dalle Regole

2.

Qualsiasi norma è relativa allo scopo che vuole raggiungere. Sorge, pertanto, la domanda: quale immagine di sacerdote hanno le nostre Regole? Quale tipo di sacerdote intendono formare? Il seminario mira «[, .. ] alla Salute dell'Anime, e all'addottrinamento convenevole a quelH, che aspirano ad essere aorrolati nell'alto Ministero celeste, e divi.no, onde riescano buoni e Santi Ministri del Santuario» 11.

' Ibid., V. 8

L. c.

' Ibid., IV. 1° Cfr. G. ZITO, Ordinamento e sconosciuta vitalità della fonnazione culturale nel se1ninario di Catania .nella prima nietà del sec. XIX, in Synaxis 2 (1984) 473-526: 477-479. La sottolineatura del giovamento alla patria ·si trova anche in Decreta in principe dioecesana Syrwdo quam [ ... ] fr. D. Michael Angelus Bonadies episcopus catanensis [ ... ] celebravit Catanae die 11, 12, et 13 1naij 1668 [ ... ], I. Bisagni, Catanae 1668 (d'ora in poi abbr. Synodus Bonadies), s. 3, d. 22, c. 1, 6. " Regole, VII.


Le Regole del seminario di Catania del 1788

133

Il sacerdote deve esercitare la funzione cultuale «[ ... ] amministrando con decoro della Religione, e con profitto

delle anime i SS. Sagramenti}> 12.

Unitamente al ruolo cultuale si evidenzia quello ecclesiale: egli infatti è responsabile «[ ... ] del bene di quelle anime, cui debbono un giorno senri'r di gui1d:a, di edificazione, di buon'esempio con essere il ·sale che condisce» n.

La "cura delle anime" va innanzitutto esercitata con la testimonianza della vita: da qui il convincimento che il chierico deve essere «vero Cristiano» 14 • A tal fine le Regole vogliono che seminaristi fin dagli anni del seminario «[ ... ] sieno specchio, ed esempio di devozione a' Fedeli))

15

e che «[ ... ] ·servano di edificazione al popolo»

16.

I sacerdoti «[ ... ] sono H lume che illumina, i Maestri che edificano le anime, le quali ,sono comprate col Sangue dell'Agnello Di~

vino))

17 •

Sono chiamati al ministero della predicazione 18 e si ricordino che «Le labbra dei Sacerdoti son quelle che custodiscono la Scien~ za labia Sacerdotun1 custodiunt scientian1, dice lo Spirito Santo}> 19•

Il ministero della Parola a servizio del popolo di Dio pone alla Chiesa un grave problema: «Ma come s'applicheranno dessi al ministero della parola santa, con1e addottr:iineranno i popoli se non sono forniti a dovizia delle opportune scienze a tanto fare?» 20 • 12 13

14 15 16 11 18

t9

20

lbid., XVII. lbid., VIII, n. I. lbid., XXXIV, n. XII. lbid., XV, n. I. lbid., XVI, n. III. lbid., VIII, n. I. Cfr. ibid., XVII. L. c. L. c.


134

Piero Sapienza - Salvatore Consoli

La Chiesa ha risposto a tale problema istituendo, nel Concilio di Trento, i seminari. Ma incombe sul seminario il grave dovere di pn:parare seriamente a tale ministero. Gli alunni sappiano che «Non si può abbastanza dire quanto perciò .debbano i Seminarj,sti ess·er presi dalla premura di ben i,struirsi e divenire a gloria di Dio, e .a vàn,taggio della Chiesa eruditi m·olto e scienziati>} 21 •

Il motivo teologico del dovere della cura delle anime e della responsabilità ecclesiale è la salvezza operata dal Cristo. E il sacerdote viene considerato in relazione a Cristo, a servizio della sua opera di salvezza. Da qui l'impegno del seminario a che gli alunni possano «[ ... ] riuscire, come debbono, buoni Mi,nistri del Signore)) 22 •

Nell'immagine di sacerdote che emerge dalle Regole confluisce l'aspetto cultuale sottolineato dal Concilio di Trento, come pure il dovere dell'apostolato (cura animarum) e della santificazione personale sviluppato dalla scuola francese "Devotio moderna" fin dal primo decennio del sec. XVII. Meraviglia che il tema del sacerdote alter Christus, caratteristico della stessa scuola, non sia nemmeno accennato 23 • Questo ideale del sacerdote proteso alla ricerca e alla conquista delle anime mira a superare la visione e, soprattutto, la prassi del sacerdote alla ricerca di una sistemazione attraverso l'acquisizione del beneficio e dei privilegi 24 • Lo sforzo di ordinare non in vista di un beneficio da assegnare ma di un servizio ecclesiale da prestare (cura animarum), come in altre Chiese 25 lo troviamo nella Chiesa di Catania. · Già il sinodo diocesano celebrato dal vescovo Giovanni De L. c. Ibid., VIII, n. I; cfr. anche XXXIV, n. XII. Cfr. M. GuAsco, La forn1azione del clero: i sen1inari, in Storia d'Italia. Annali 9: La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età cante111po21

22 23

ranea, Einaudi, Tori-no 1986, 658-668. 24 Cfr. X. TOSCANI, Il reclutamento del clero (secoli XVI-XIX), in Storia d'Italia, cit., 577-628. " Cfr. ibid., 602-615.


Le Regole del seminario di Catania del 1788

135

Torres nel 1622 insiste sull'ideale di sacerdote a servizio delle anime 26 , e vuole il seminario perché la Chiesa locale di Catania abbia degli ottimi sacerdoti in cura di anime 27 • Un impegno tutto particolare in tal senso lo mette il ve· scovo Salvatore Ventiviglia (1757-1772) fin dal suo arrivo in diocesi 28 , preoccupato di promuovere al sacerdozio solo coloro che «[ ... ] colla .santità di lor vita, col disinteresse di .lor condotta, col lume di .lor dottrina, colla forza del loro esempio, e coll'ar:dore di lor carità possano edificare il Mistico Corpo di Gesù Cristo}> 29.

In questa scia s'inserisce il suo successore Corrado M. Deodata Moncada (1773-1813) 30 e a tale scopo, nel 1788, fa pubblicare le Regole da os~ervarsi da' Convittori nel Vesidovi/ Seminario de' Chierici di Catania.

3.

L'educazione alla pietà ovvero al rapporto con Dio

La pietà costituisce uno dei capitoli fondamentali delle nostre Regole, come del resto di tutte quelle che seguono il modello di S. Carlo Borromeo. 26 «Clerici in sortem Dom:imi electi, Sacramentorum admiillistri, Christiani populi Duces, ac Doctores, uti ceteris dignitate, ac ordine antecellunt, ita morum, & vitae p.robitate a.nteire debent, tantumque eorum vivendi ratio praestare debet reliquorum vitae, quantum a grege distat vita Pa·storis)): Catanensis Ecclesiae Synodus di'Oecesana ab [ ... ] Joanne De Torres [ ... ] episcopo catanensi celebrata, Typis I. Rossij et F. Petroni, Militelli V. N. 1623 (d'ora in poi abbr. Synodus De Torres), p. 3, c. 1. Da notare che viene ripreso i1l tema del sacerdote "specchio" proprio del Concilio di Trento. Simile ideale <li ·sacend'ote, anche ,se non minore enfasi, lo si tr~ova jn Synodus Bonadies, 's. 3, d. 22, c. 1, 5-6; d. 26, 2. 27 «Clericorum .Seminarium [ ... ] eiusque alumnos optimis moribus :i.nstrui, et,iaim atque etiam in Domino optamus, ut ubere1n fiructum tempore suo Ecclesia nostra (idoneos videliicet anima.rum curatores) .colligere possit)): Synodus De Torres, p. 4, c. 3. 28 CATANIA. ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE, Registro d'Editti, 1752-1761, ff. 55r-63r. " Jbid., f. 61r. 30 Cfr. ibid., 1769-1776, ff. 43r·47,r.


136

Piero Sapienza - Salvatore Consoli Il seminario, per raggiungere il suo scopo cura «l'avanzamento nella pietà C·ristiana» 31

degli alunni. Acquisire la pietà, detta anche «Scienza de' Santi» dovere fondamentale di chi sta in seminario:

32

,

è il

{{Apprendere dunque una tale Scienza è il principale scopo, e il più interessante fine, che debbe proporsi ciascnno che vive nel Collegio» 33,

Per poter essere da sacerdote modello e guida di vita cristiana, il seminarista deve procurarsi l'esperienza della preghiera. Si evidenzia, infatti, la priorità dell'aspetto esperienziale su quello intellettuale quando si afferma che bisogna impararla «[ ... ] non ·soltanto speculativamente, ma praticarla con gli esercizj di pietà» 34.

Le prescrizioni delle Regole mirano appunto ad una vera esperienza della pietà. «Nello svegliarsi la mattina» 35 col «Benedicamus Domino» e il «segno della S. Croce» ciascuno innanzitutto «fra se stesso ringrazi il Signore, e lo benedica» 36 • Seguono la recita del Credo, del Pater, dell'Angelus, del Gloria, del ricordo Memor esto quonia111 mors non tardat e, infine, ciascun·o «subito che pone li piedi in terra s'inginocchi adorando quella Croce, o Crocifisso che tiene nel capezzale» 37 • Le Regole, con queste indicazioni, inculcano i sentimenti e gli atteggiamenti propri di una vera esperienza religiosa cristiana: il ringraziamento e lo stabilire un rapporto vivo col Dio vivo attraverso quelle espressioni che la Tradizione chiama fede, speranza e carità. L'adorazione della croce, oltre che riconoscimento grato

31 32

33

34 35 36 37

Regole, VIII, n. I. lbid., XI. L. c. L. c. lbid., XI, n. I. L. c. Ibid., XII, n. I.


Le Regole del seminario di Catania del 1788

137

della salvezza da lì scaturita, è accettazione e professione del senso e dello stile da dare alla vita nella sequela di Cristo: donazione al Padre e ai fratelli. Opportune le sottolineature che bisogna recitare le preghiere «più col cuore che colla bocca» 38 ; con «divozioni e pausa» 39 ; «Con fervore di carità verso al nostro unico, vero, vivo Dio» 40 e che durante la preghiera e con la preghiera bisogna esprimere «atti di perfetto Amor di Dio» 41 • La sera, nell'andare a letto, all'adorazione della croce segue la recita del Credo, del Pater, dell'Ave Maria, del Gloria e si conclude con il Memor esto quoniam mors non tardat; il In n1anus tuas Doniine co1n1n'en,·do spiritum m·eun1 e In pace in idipsum dorn1iam, ,et requl'esca111. Come ben si vede, ai sentimenti e atteggiamenti espressi al mattino si aggiunge quello della fiducia e della confidenza 42 • Da notare che il ricordo della morte, presente anche nella preghiera del mattino, mira non solo a suscitare il timore ma anche a stimolare la speranza, sia pure concepita solo in senso escatologico. Queste pratiche di pietà, oltre a consentire un'esperienza religiosa e teologale per il presente, garantiscono al futuro sacerdote di poter esplicare il suo ruolo di guida e di specchio: «Da un tale diurno, e notturno santo esercizio che molto si racco1nanda ai Giovani, qualora sia ben fatto, riporterà ogni allievo 1d'el Seminario un sicuro profitto ed abbondevo-le [ ... ]» 43 •

Da notare che si tratta di un esercizio ((diurno, e notturno» e che non è sufficiente farlo comunque, ma che «sia ben fatto» 44 •

Le Regole non si accontentano dell'osservanza giuridica ed esterna, ma insistono molto sulla interiorità: dovendo formare 38 39

40 41

Jbid., XI, n. I. Jbid., XII, n. I. L. c. L. c.

42

Cfr. ibid., XIII, n. II.

43

L. c. L. c.

44


138

Piero Sapienza - Salvatore Consoli

dei sacerdoti che siano modelli e maestri di preghiera, esse hanno la preoccupazione di aiutare ad avere l'esperienza della preghiera, ad essere uomini di preghiera. Per le orazioni vocali comuni le Regole raccomandano innanzitutto l'attenzione: <(Debbonsi far cotali preghi non a fior di labbra sol an1ente, ma col cuore applicato a quanto si dice» 45. 1

E poi viene ribadita la coralità: non bisogna infatti «recitare Je preci precipitosamente, che però si comanda che con posatezza, e con aggiustata prolazion di parole l'orazione si faccia» 46.

Ed infine la compostezza del corpo: <<Gran male è dunque far le comuni orazioni sbadigliando, dormicchiando, volgendo gli occhi quà e là: ,segni tutti manifesti dello sv·agamento, o sia deUa dfstrazione dello spirito)) 47 •

Queste indicazioni non hanno uno scopo formale, non mirano infatti a curare l'esteriore quanto ad aiutare a non <([.,.] recitave le orazioni vocali in maniera disdicevole ad uno

che parla coll'Altissimo Dio Re dei Re>> 48 •

Le Regole sono chiaramente preoccupate a salvaguardare la teologicità della preghiera. Opportuna la richiesta di «tutto il raccoglimento» 49 di spirito per gli esercizi che precedono le ordinazioni, per la «meditazione cotidiana della mattina» 50 e per il ritiro mensile.

" Ibid., XIIl·XIV, n. III. 46 Jbid., XIV, n. III. 47 L. c. 48 Ibid., XIII, n. III. Per gli ordinati in sacris si prescrive di recitare l'ufficio in comune ogni giorno e si danno indicazioni analoghe a quelle per .la preghera ill1 comune: «[ ... ] con fermar,si all'asterisco, e con recitarlo attentamente, con divozione interna, e ben composti nell'esterno»: ibid., XV,n. VI. " Jbid., XV, n. VI. so L. c. Le Regole non parla.no idlella durata della meditazione e della preghiera mattutina, mentre i-1 Synodus De Torres prescrive: «per quadrans horae spatium>> (p. 4, c. 3, 48) e alla .stes,sa maniera il Synodus Bonadies ( «unum horae quadrantem»: s. 3, d. 22, c. 1, 21). E mentre in


Le Regole del seminario di Catania del 1788

139

Saggio il richiamo alla corresponsabilità nella preghiera: « [ ... ]

ciascuno ,sia dj edificazione al compagno [ ... ]>> s1.

Insistono pure sulla responsabilità ecclesiale del seminarista nel campo della preghiera. Nelle chiese - «Case di Orazione» 52 - i seminaristi «sieno specchio, ed esempio di devozione a' Fedeli» 53 e con il loro atteggiamento interiore ed esteriore sembrino «Una statua di divozione» 54 • Fin dagli anni del seminario «servan 0 di edificazione al popolo» 55 • Si nota subito l'uso della categoria tridentina del sacerdote "specchio" del popolo cristiano che viene applicata a proposito della preghiera. 1

Se soddisfano le insistenze sulla interiorità, come pure la visione del seminarista uomo di preghiera e della chiesa quale casa di preghiera, non altrettanto può dirsi del fondamento biblico ridotto al solo «Initium sapientiae timor Domini» veterotestamentario. Infatti, tra le scienze che i seminaristi debbono apprendere «[ ... ] la primaria [ ... ] è la Scienza dei Santi, i quali, debbono senza alcun fallo temere Dio: Timete Don1inu1n 01nnes Sancti eius [ ... ])) 56.

L'impianto biblico è molto povero e, quel che maggiormente impressiona, non si fa riferimento alcuno al Nuovo Testamento. E poi è del tutto assente la fondazione teologica della preghiera: non troviamo nessun accenno a temi quali la figliolanza divina, la incorporazione a Cristo, l'inserimento nella Chiesa, la presenza dello Spirito. ainbedue i sinodi (ofr. l.c.) si parla espressamente dell'esame di coscienza (i,l sinodo Bonadies precisa addirittura «post coenam ·sero, qurnrtam partem horae conscientiam examinent)}: l.c.) nelle nostre Regole non se ne parla affatto. s1 Jbid., XIII, n. III. 52 I bicl., xv Il, I. 53 L. c. 54 Jbid., XVI n. I. 55 Ibid., XVI, n. III. 56 Ibid., XI. I


Piero Sapienza - Salvatore Consoli

140

I sacramenti

4.

Le Regole parlano esplicitamente della Comunione eucaristica e della Confessione. In primo luogo vien detto con quali atteggiamenti accostarsi a questi sacramenti, evidenziando che bisogna «conservare tutto il raccoglimento» 57

come pure «most,rare coll'esterno quello spirito di pietà e di divozione che -si conviene, massime pel Sagramento del Corpo e Sangue di Gesl1 C:risto>) ss,

Si è in piena linea con le indicazioni incontrate a proposito della preghiera. Per quanto riguarda la frequenza «Si desidera poi che alme.no ogni otto giorni si comunicassero, e si presentassero al loro rispettivo Confessore o per con+ fessarsi, o per riceve-re qualche direzione santa per la condotta di lor vita» 59,

Si tratta però soltanto di una indicazione orientativa, si aggiunge subito infatti che «Su tal punto .non si dà una regola fissa» 60

perché la periodicità della frequenza dei sacramenti «dee prescriversi da' prudenti, e zelanti Confessori» 6I,

e non in

mod~o

generico, ma personalizzato

«attesa la divozione, ed il fervore id'el Penitente)) 62,

Per la frequenza della Confessione e dell'Eucaristia, in precedenza si ha l'indicazione dei sinodi De Torres e Bonadies che la prescrivono due o tre volte al mese 63 • 57

Jbid., XIV, n. IV.

ss L. c.

L. c. w Jbid., XV, n. IV. 61 L. c. 59

o2 L. c. «[ ... ] singulis deinde mensibus, bi,s, terve Sacramenta Poenitentiae,

63

atque Sanct.issimae Eucharistiae ,summa cum animi devotione obeant


Le Regole del seminario di Catania del 1788

141

Il problema della frequenza di questi sacramenti registra un cammino e una certa varietà. Il Concilio di Trento aveva prescritto che «[ ... ] confessino i loro peccati almeno ogni mese [ ... ],ricevano il corpo di nostro Signore Gesù Cristo quando il loro con· fessore lo giudicherà opportuno» 64,

S. Carlo per i seminaristi prescrive la Confessione ogni quindici giorni e in alcune domeniche e feste 65 ; la Comunione la prescrive per la prima domenica di ogni mese, per le solennità e ogni quindici giorni nei tempi di avvento e di quaresima 66, e la consiglia per tutti i giorni di domenica e di festa 67 • Le nostre Regole, pur rifacendosi alla indicazione borromeana, non sono tuttavia precettive, perché maggiormente rispettose del ritmo spirituale del seminarista, e per questo affidano la decisione alla prudenzialità del confessore. In questa linea di rispetto della persona sono più attente anche dei sinodi De Torres e Bonadies. Oltre queste indicazioni non se ne trova nessun'altra che parli del rapporto tra i sacramenti e la vita del seminarista. Inutilmente si cerca se e come vivere i sacramenti nella vita quotidiana: non essendo la vita del seminarista fondata sui sacramenti, manca qualsiasi indicazione o riferimento di tipo mistagogico. La preoccupazione principale delle Regole, infatti, non è di aiutare a fondare, e quindi a vivere, la vita cristiana sui sacramenti ricevuti - come è proprio della migliore Tradizione quanto piuttosto quella di preparare a celebrarli bene, nel miglior modo possibile 68 • Si inculcano ai seminaristi solo i doveri

[ ... ])): Synodus De Torres, p. 4, c. 3, 46, Si t'rova la stessa indicazione in Synodus Bonadies, s. 3, d. 22, c. 1, 9. 64 Sess. XXIII, c. 4, can. 18. 65 Cfr. Institutiones ad universum sen1i11-arii regimen pertinentes, p. 2, c. 4; p. 3, c. 1 in Acta Ecclesiae Mediolanensis [ ... ], t. II, Typis Sen1inarii, Patavj,j 1754, 830-835. 66 Cfr. ibid., p. 3, c. 1, in op. cit., 835. 67 'Cfr. ibid., p. 2, c. 4, in op. cit., 831. 08 Cfr. Regole, XVII.


Piero Sapienza

142

Salvatore Consoli

nei confronti dei sacramenti e non si insegnano i doveri che derivano dall'aver ricevuto i sacramenti. Manca del tutto e non è poco - la visione sacramentale e mistagogica della vita cristiana e quindi della vita seminaristica e sacerdotale.

5.

La carità nei rapporti reciproci

Per quanto riguarda i rapporti reciproci tra i seminaristi si afferma che «[, .. ] niuno de' suoi [del sen1ina,rio] Al:lievi dica parola ingiuriosa al suo cornpagnn, non gli faccia gesti da poterlo fare andare in collera, cessi ogni motivo di rissa}) 69,

come pure «Si proibisce il .rissarsi ne' giuochi, ed il gridare [ ... ])> 10.

Sono delle indicazioni nega ti ve 71 , si dice cioè quello che non bisogna fare, alle quali però non segue nessuna indicazione positiva, che dica come vivere la carità fraterna nei rapporti interpersonali. Probabilmente questa assenza di proposta edncativa è dovuta alla paura del possibile tralignamento di un rapporto ispirato alla carità. Nelle Regole domina, infatti, la preoccupazione di far evi tare le cosiddette "amicizie particolari". Vengono descritti quali «delitti» e quindi proibiti {<[ ... ] il prendersi i Convittori mano con mano o a braccetto, il dar baci, e il far carezz·e>> 72 •

E ancora si dice che nessuno «[ ... ] scriva lettere, biglietti ad altro di un'altra camerata, ancorché si parli in essi di cose 1d:i spirito» 73 •

Ed è rivelativo di un clima di paura e di diffidenza il grave d overe che si assegna ai "prefettini" e ai "viceprefettini'' - tra1

!bid., JCXV, n. IX. Ibid., XXVI, n. II. 71 Lo stesso stUe negativo ("caveant") si trova in Synodus De Torres (dr. p. 4, c. 3, 50) e in Synodus Bonadies (clr. s. 3, d. 22, c. I, 26). 12 Regole, XXXIII, n. V. 73 lbid., XXXII, n. I; dr. anche XIX, n. III. 69

10


Le Regole del seminario di Catania del 1788 scritto dalle regole di S. Alfonso M. de' Liguori continuamente che

143

di vigilare

«(, .. ] tutti stiano sotto i suoi occhi, e vicini, acciocché possa vedere e sentire quello che si fa, e si dice» 74,

La preoccupazione della degenerazione del rapporto è costante e sempre più esplicita. Si proibisce al seminarista innanzitutto di «[ ... ] proferir parola alcuna; iehe ·sappia di disonesto, o pure equivoca, sicché rjcuopra un senso 1n qualche maniera i.mpu-

ro» 75,

E poi «[ ... ] si proibiscono certi gesti sconvenevoli all'onestà Cristia na, o che sieno affettuosi» 76.

0

Ed infine «Molto meno .si comporterà il coricarsi insieme ancorché ve stiti» 77 ;

0

come pure durante i giuochi «[ ... ] si proibiscono affatto i giuochi di mano, e il toccarsi fra di loro>' 78

e persino «Niuno s'avvic1ni rper qualunque cagione si fosse ad nn'altro che sta a giacere ·sul letto}> 79.

Resta il grande dubbio se con tali prescrizioni negative sì riusciva veramente nello scopo, quello di evitare tutte le possibili degenerazioni. Sarebbe stato più producente indicare in che cosa consiste e come va vissuto un rapporto interpersonale alla luce del precetto evangelico dell'amore fraterno. La perplessità aumenta analizzando un'altra costante delle Regole. " Ibid., XXXI, n. IV; cfr. anche XXVII, n. VI. 1s Ibid., XXIII, 11. III. 76 77

L. c.

L. c. A questo proposito il ;sinodo De Torres prescrive drasticamente: «Singuli singulis lectis cubent)): p. 4, c. 3, 49. 78 Regole, XXVI, 11. I. 79 Jbid., XXXIV, n. X.


144

Piero Sapienza - Salvatore Consoli Leggiamo che «[ ... ] chi si sente oltreggiato ricorra a' Superiori senza attaccarsi coll'ingiuriante, che gli sarà fatta giustizia» so.

Ma simile prescrizione, a parte l'impressione di primitività che suscita, sembra ispirarsi più ai codici civili che al Vangelo, misconosce infatti il dovere della riconciliazione, presente soprattutto nel discorso della montagna. Manca una vera educazione ai sentimenti e agli atteggiamenti specificamente cristiani. Parlando del rapporto dei seminaristi coi superiori si sottolinea: «Sappiano che sono obbligati in coscienza quando secretamente sono dimandati ·SU gH andamenti, e i costumi de' compagni Allievi del Seminario senza la menoma colpa tacere della quale si sono accorti che dessi hanno co1nmesso, o sieguono tuttavia a comm·ettere» s1.

Le perplessità, già forti a proposito della richiesta segreta da parte del superiore e dell'obbligo morale che se ne fa, aumentano leggendo le motivazioni che se ne adducono: <{I! Signore 1nanlla.vit unicuique de proxin10 suo. Per legge .d[ carità sono obbligati i Convittori e certa·mente sotto grave

colpa a mani.festare i difetti altrui, e altrimenti facendo divengono cooperatori con una cooperazione negativa, dicono i Teologi, de' delitti degli altri» 82 •

Le Regole, così affermando, si ispirano ad una certa morale casistica dell'epoca e non al Vangelo, che vuole innanzitutto la correzione interpersonale e solo come ultima ratio il ricorso all'autorità 83 , senza però quel clima di indagine poliziesca che sembra di poter scorgere nelle nostre Regole 84 • Più che alla legge della carità, a questo modo sembra che si educhi maggiormente alla delazione e alla denigrazione. E poi, nasce il dubbio se simile indicazione sia veramente

so lbid., XXV, n. IX. "' Jbid., IX, n. III. s2 Jbid., IX-X, n. III.

" Cfr. Mt 18, 15-17. 84 Si garantisce che i superiori ''[ ... ] mai manifesteranno il nome e cog.nome de' zelanti :rapportatori»: Regole, X n. III.


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Le Regole del seminario di Catania del 1788

145

a servizio del seminarista che sbaglia o non piuttosto funzionale al "potere" del superiore. Le stesse Regole, peraltro, avvertono la debolezza del fondamento di simili prescrizioni quando sentono il bisogno di giustificarsi ricorrendo a motivi estrinseci: «Né si creda che una tal regola e dottrina sia di•sonorevole o falsa o non praticata ne' migliori, e più cospicui Collegi della nostra Europa)) ss.

E lascia non poca amarezza il fatto che simile prescrizione sia considerata tra «[ ... ] le prime :regole, che possono chiamarsi .fondamentali)> 86 •

Identiche indicazioni troviamo per quanto riguarda i doverì dei "prefetti" e "prefettini", trascritte da S. Alfonso: <<Invigili con esattezza sopra i difetti di ci ascheduno, e sia 1

fedele in riferirli a'l Rettove [ ... ] grande sarà la sua mercede se sarà 1d.1ligente, e fedele a riferi•re tutto al Rettore [ ... ]» 87 .

Impressiona negativamente che si parli del riferire e mai del correggere, dell'esortare, che sono i veri atteggiamenti cristiani inculcati dall'apostolo Paolo per la vita della comunità.

6.

Ubbidienza e libertà

Al superiori del seminario dovere di

come a padri -

incombe il

«[ ... ] invigilare con tutta diligenza al bene, al profitto, agli andamenti, a' costumi di essi» 88 ;

ai seminaristi, invece, quello di « [ ... ]

una perfetta obbedienza verso di quelli come se fossero

i luro 'Padri medesimi» 89.

ss L. c. Si ·citano espressamente .Parigi e Lione. s6 L. e, s1 Ibid., XXXI, n. VI. 88 Ibid., VII. s9 L. c.


Piero Sapienza - Salvatore Consoli

146

E questo dovere viene fondato biblicamente e teologicamente sul «~primo

comandamento della seconda

Tavola»~.

L'ubbidienza fa sì che il seminario raggiunga il suo scopo di formare «buoni e Santi Ministri del Santuario» 91 , «buoni Ministri del Signore» 92 , a condizione però che sia fattiva « [ ..• ] uniformandosi alla .loro volontà, ed eseguendo appuntino, e con .prontezza i loro coma:ndi, e precetti in tutto e per tut-

to

[.,.])>93,

Si ritorna all'ubbidienza alla fine delle Regole, trascrivendo quasi alla lettera il brano dell'epistola agli Ebrei: «Siate obbedienti a' vostri Superiori ed ad essi soggetti, mercè che su di voi forte vegliano come coloro, che 1dovranno :render conto delle vostre anime, ed acciò esercitino il lor mestiere con g·audio, e non mai con tr1stezza. 11 fare altrimenti non è a voi spedie.nte» 94. 1

L'ubbidienza è motivata sia dalla responsabilità che i superiori hanno nei confronti dei seminaristi, sia dal dovere che questi hanno di rendere più leggera e gioiosa la loro fatica. Ma, come ben si vede, sono delle motivazioni esterne e quindi insufficienti: mancano le grandi motivazioni quali quella cristologica, indispensabile nella sequela, e quella ecclesiologica. Giacché le regole e i superiori sono garanzia della formazione del sacerdote ne segue che «[ ... ] stia inteso ciaschedun Seminarista all'osservanza di tutte le pres·critte regole, che sairà benedetto da Dio, e sarà a por· tata di ricava·r profitto per se e pel prns-simo. [ ... ]» 95,

Si parla della responsabilità dei superiori e, per conseguenza, della ubbidienza loro dovuta, ma non si trova alcun

90 L. c. Significativo in tal 'senso che nelle Regole si parli di «Padre Rettore». 91 L. c. " Jbid., VIII, n. !. 93 Jbid., VIII, n. Il. " Jbid., XXXIV·XXXV, n. XIV. 95 Jbid., XXXV, n. XIV.


Le Regole del seminario di Catania del 1788

147

accenno alla responsabilità personale che il seminarista ha di se stesso e, quindi, della sua formazione al sacerdozio. Non è previsto alcuno spazio per la corresponsabilità: deve essere fatto solo quanto le regole e i superiori comandano. Preoccupazione delle Regole è determinare tutta la vita e la giornata del seminarista, senza lasciare nemmeno un angolo alla sua determinazione: anche per questo, ma non solo per questo, è voluta una vigilanza continua. Non essendo lasciato un ruolo alla creatività e alla iniziativa della persona è ovvio che la vigilanza sia «[ ... ] attenta a non farlo rest ar solo>)%; 1

pertanto si insiste che il "prefetto" «[ ... ]procuri che tutti stiano sotto i suoi occhi, e vicini [.,.])) 97 •

Suo compito non è aiutare all'uso della libertà, come sa,. rebbe logico, ma <e[ .•. ] a far eseguire Je regole e tutti gli ordi ni particolaTi del· l'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Vescovo, e del Padre Rettore, e faccia -puntualm·ente obbedire ai segni comuni>> 98 • 1

E' sintomatico che le Regole si aprano con un paragrafo dal titolo, l'unico a caratteri tutti maiuscoli, «Della obbedienza a' Superiori ed osservanza esatta delle Regole» e si chiudano coll'affermane che essa sola garantisce la riuscita della formazione al sacerdozio. Manca qualsiasi tentativo di educazione all'autodominio, al retto uso della libertà, allo sviluppo dello spirito di iniziativa. In una parola, non sono previste né la creatività né la corresponsabilità. Resta il grande interrogativo se simili Regole garantivano realmente la crescita verso una autentica maturità cristiana e una responsabilità attiva, indispensabili in un "curatore" di anime e in uno "specchio" del popolo cristiano.

!bid., XXXI, n. III. !bid., XXXI, n. IV. Ibid., XXX, .n. I. Ed 1aincora «[ ... ] sia attento ad osservare 1se si ,trova ne' giovani la puntualità nell'esegui re le regole tutte [ ... ]»: ibid., XXI, n. VI. 96

97 98

1


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Salvatore Consoli

Educazione al rapporto con la donna e col mondo

7.

Sono molte le indicazioni dalle quali emerge il tipo di educazione che si dava al rapporto con il sesso femminile. Dentro il seminario per conferire col chierico sono ammessi soltanto ((Padri, o Fratelli, o al ·sommo Cognati ·de' Convittori o Zii carnali Sacerdoti)} 99;

con quanti non rientrano in queste categorie di persone il seminarista può comunicare «[ ... ] •ottenuta prima la licenza 1dal Padre Rettore, o da altro Superinre nello scaglione confinante col portone a vista del Pre.fettino, o del Viceprefettino, ed il parlare debbe essere più breve che si può» 100.

Le r.estrizioni aumentano a partire già dalla madre o dalla sorella: e<[ •.. ] .non .parlerà con esse se non nel gradino confinante col portone, e brevemente alla presenza non del Prefetti.no, ma o del P. Vicerettore, o del Maestro di Spirito, o del Prefetto deUa Comunità)) 101,

Per quanto riguarda le altre donne la indicazione è categorica e drastica: «Qualunque altra donna non può mai parlare con qualsiasi de' Seminarjsth) 102.

Oltre la categoricità delle affermazioni, impressiona non poco l'assenza di qualsiasi tipo di motivazione, indispensabile in ogni progetto educativo. Le restrizioni aumentano sempre più: «Fuori del Seminario ·non parlino con chicchessia senza una espressa licenza del Prefetti,no o del Viceprefettino, i quali non l'accorderanno senza urgentissima cagione, trattandosi idi pa:rlare con uomini» 103.

lbid., XXIII, n. IV. Jbid., XXIV, n. IV. 101 lbid., XXIV, n. V. 102 L. c. 103 lbid., XXV, n. X. 99

100


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149

Ed ovviamente si conclude (<Ma per niun caso osino parlare con donna alcuna eziandio che sia Madre, o Sorella, o Cognata, neppure la salutino, o alcun gesto le facciano. Avvicinandosi ella qualunque -si fosse a parlare col Semi:narista, questi abbas·si gli occhi, non le dia retta alcuna, anzi altrove si rivolli, e sca.nzi subito l'incon~ tro»

104 •

Si fa difficoltà a capire il perché della diffidenza e della grande paura del rapporto con gli altri, soprattutto se si tien conto che le Regole preparano il sacerdote che dovrà essere in cura di anime. Questo atteggiamento sembra ispirarsi a quella visione negativa di certe correnti di spiritualità che trovano nel «ogni volta che sono stato a contatto con gli uomini sono diventato meno uomo» 105 la propria espressione e il proprio fondamento. Troppo esagerato quanto viene p!'escritto nei confronti della donna, soprattutto perché diventa negazione delle comuni e minime regole di buona creanza, come il far finta di non vedere e di cambiare strada. Del tutto innaturale quanto vien indicato per il rapporto con la sorella e, soprattutto, con la madre. Sorge la domanda seria se tali norme siano personalizzanti, se si tien conto che una persona è tale quando sa stabilire un rapporto sereno con gli altri; e se sono cristiane, dato che della donna 11anno una concezione demoniaca. A con.ferma troviamo un'altra norma: «Trovandosi· in qualche orto o giardino donne di qualunque condizione si fossero, stiano a prendere .sollazzo i Seminaristi in parte ,as·sai lantana da esse e se non può usarsi tal cautela non ent·rino nel luogo di diporto, o già entrati, diano H luogo a quelle con andarsene modlestamente via» 106 •

La cautela è in verità molto esagerata.

L. c. ·Cfr. ad es. De in1itatione Christi. '"' Regole, XXVII, n. V. JM

105


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150

La spiegazione la si può trovare anche nella concezione che le Regole hanno del seminario. E' concepito come «[ ... ] una Torre ben custodita>>

101

dove {{[ ... ] debbe trovar la sua difesa la i,nnocenza di cara.li fanciul-

li, e giovanetti dagli as-salti- de' .perfidi e degli scandalosi» 10s.

Così concepito, il seminario ovviamente prepara sacerdoti modellati da «Un ideale di separazione dal mondo, di vera e propria fuga mundi, luogo di pericolo, di tentazioni, o almeno d'inutile dissipazione» 109 • Siamo in quella visione negativa del mondo, caratteristica di certe correnti di teologia morale, che trattavano del mondo nel capitolo dedicato alle tentazioni. In tale contesto l'uscita dal seminario e gli incontri con gli altri sono considerati quale occasione pericolosa. Sarebbe importante poter constatare che tipo di rapporto poi, nel ministero, riuscivano a stabilire col mondo i seminaristi ·educati al distacco da esso e con quale trauma vivevano la discontinuità tra preparazione e vita pastorale nel mondo. Il problema di una vera educazione cristiana, che deve fondarsi sul giusto valore da attribuire ad ogni realtà, è quello di aiutare a stabilire un dialqgo e un confronto col mondo, non la fuga dal mondo.

Conclusioni 1. Le Regole citano espressamente S. Carlo Borromeo 110, i collegi di Parigi e di Lione 111 e S. Alfonso dei Liguori, di cui

101 Jbid., VIII, n. I. ws L. c. 109 M. GuAsco, art. cit., 655. uo Cfr. Regole, IV; XVIII, nota 1. S. Carlo Borron1eo, il 9 ottobre 1688, con decreto del vescovo Francesco Antonio Carafa era ·stato dichiarato «Protettore e Patrono» del ·se1ninario di Catania. 111 Cfr. ibid., X, n. III.


Le Regole del seminario di Catania del 1788

151

trascrivono le «Regole pe' Prefettini, e Viceprefettini» 112 • Così facendo s'inseriscono nell'uso comune, in quanto tutte le regole dei seminari si rifacevano, anche se con accenti e sottolineature diversi, al modello borromeano, a queUo sulpiziano e a quello alfonsiano 113 • Senza addentrarci in particolari analisi e confronti, sembra che si possa affermare che le nostre Regole si rifanno a S. Carlo per la struttura del seminario e gli studi; al modello sulpiziano per la pietà, ed è questa la parte più ricca e più curata della corrispettiva carolina; e a S. Alfonso per il taglio negativo e la severità. 2. Nelle Regole il grande assente è Gesù Cristo: non si fa mai riferimento al suo modello né alla sua parola che propone la novità di vita. La sequela - categoria fondamentale per una educazione morale cristiana - non solo verbalmente non ricorre mai ma, quel che è peggio, non fa parte della struttura educativa. 3. Non risulta che i sacramenti abbiano un ruolo specifico nella vita del seminarista e nel suo cammino di assimilazione a Cristo. Il seminarista viene preparato a ben amministrarli, ma non viene aiutato a viverli, o meglio, a vivere l'esperienza cristiana a partire dai sacramenti celebrati. 4. E' difficile riuscire a trovare in mezzo alle molteplici regole, quasi tutte al negativo, una vera e chiara proposta di antropologia cristiana. Mancano infatti i valori e le virtù per i quali il seminarista deve impegnare la sua libertà e la sua responsabilità. 5. Le indicazioni per la scelta del celibato non sono soddisfacenti. L'impostazione è negativa; la preoccupazione infatti è che il seminarista non abbia nessun tipo di rapporto con l'altro

112

C!r. ibid., xxx.XXXII.

IB Cf.r. M. GUASCO, art. cit., 668-681. Sarebbe ilnportante studiare l'even-

tuale influsso 1del sacerdote Giovanni Di Giovanni, che nel 1747 aveva pubblicato la Storia de' Sen1inari Clericali, rettore del se1nina'rio di Palermo, ove Venti1miglia era stato vicario generale.


152

Piero Sapienza - Salvatore Consoli

sesso: ne segue che non avrà la conoscenza del valore della donna, indispensabile perché la vita celibataria sia una scelta. E poi, quel che è peggio, manca del tutto la motivazione «per il regno dei cieli» propria del Vangelo. Il celibato è ben lontano dall'essere presentato come un valore positivo. Le Regole, pertanto, non si presentano con un vero progetto educativo. 6. Se si eccettua il capitolo sulla pietà, il più ricco e il più soddisfacente da un punto di vista teologico, non si nota la preoccupazione che il seminarista interiorizzi le varie indicazioni e prescrizioni. 7. Mentre sono da giudicare positivamente le regole date per il rapporto con Dio, cioè la preghiera, non altrettanto quelle per il rapporto con gli altri e con il mondo. 8. C'è un grande divario tra l'ideale di sacerdote che si vuole e i mezzi che si offrono e le strade da percorrere che si indicano per realizzarlo. Non c'è congruità tra le regole e il sacerdote che dovrebbe uscirne. Sorge allora la domanda se questo divario veniva superato dalle indicazioni ascetiche provenienti dal rettore, dal confessore, dagli altri superiori nonché dai sussidi che i seminaristi usavano per la meditazione. Questa ricerca sulle Regole, pertanto, dovrebbe essere seguita ed integrata da un'altra sulle indicazioni e sui sussidi ascetici offerti in quel tempo ai seminaristi.


IL DIBATTITO SU RELIGIONE NATURALE E RIVELAZIONE CRISTIANA NELLA FILOSOFIA MODERNA

ENRICO PISCIONE *

Introduzione

1.

La linea dominante della filosofia moderna sembra essere costituita dall'affermazione presente, pur con sfumature diverse, in tanti pensatori che la ragione umana non è abilitata ad ammettere la verità della rivelazione cristiana. Questa posizione teoretica avrà come esiti - è ben noto - in un pri1no momento, la riduzione del fenomeno religioso alla religiosità naturale della teologia deistica e, in un secondo momento, il virulento ateismo di alcuni illuministi e del giovane Fichte. Le figure che riassumono esemplarmente nei loro scritti il dibattito religioso dell'età moderna sono, a parer nostro, Pascal e Spinoza nelle cui opere, come ha osservato il Brunschvigc, è possibile ritrovare «la più perfetta descrizione dei due statilimite verso i quali tendono per un verso l'ideale della coscienza religiosa, per l'altro l'ideale della verità filosofica» 1• La prospettazione spinoziana del problema religioso attecchirà in ambiente inglese dove, nel "periodo augusteo" susseguente alla "gloriosa rivoluzione" del 1688, verrà sferrato da parte dei deisti e, con una sua originalissima posizione storia-

* Docente nei Licei. 1

150.

L. BRUNSCHVIGC, Spinoz.a et ses conte111porains, Alcan, Parls 1923 3,


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Enrico Piscione

grafico-teoretica, da parte di David Hume il più sistematico ed aggressivo attacco alla rivelazione cristiana. Sarà appunto uno scritto di John Locke, La ragionevolezza del cristianesimo, ad aprire l'infuocata querelle su religione naturale e dogma cristiano coinvolgendo in una accesa discussione, per quasi tutto il primo trentennio del '700, freethinkers ed apologeti del cristanesimo. II deismo inglese, ripreso dai philosophes illuministi troverà nella celeberrima Professione di fede del vicario savoiardo una delle pagine letterariamente più felici e destinata ad influenzare non poco le generazioni colte del primo Romanticismo. Infine ci occuperemo della kantiana «religione entro i limiti della sola ragione» non foss'altro che per notare come quel processo di de-dogmatizzazione dello specifico cristiano, iniziatosi col Trattato teologico-politico spinoziano, raggiunga nel pensatore di Kiinigsberg la sua formulazione filosoficamente più elaborata. Non sarà dunque un caso se il successivo idealismo tedesco con Fichte muoverà i suoi primi passi prendendo le mosse, per dirla proprio col titolo di uno dei primi scritti fichtiani, dalla Riceroa di una critica di ogni rivelazione.

2.

L'iconoclastia della rivelazione cristiana in Spinoza

II Trattato teologico-politico di Spinoza del 1670 che è, ad un tempo, un'opera di critica biblica, di filosofia della religione e della politica, anticipa i temi che saranno propri della pubblicistica del deismo settecentesco. Vari elementi accomunano questo volume spinoziano alla successiva produzione dei freethinkers inglesi del secolo seguente, pensiamo soprattutto a tre aspetti: all'atteggiamento fortemente polemico nei riguardi della teologia cristiana, all'intima connessione, che traspare fin dal titolo, tra problema teologico e problema politico ed infine al tipo di lettore cui si rivolge, ossia non il volgo ignorante ma il libero pensatore esperto di filosofia. Da un punto di vista rigorosamente speculativo l'affermazione chiave del trattato è la separazione tra filosofia e teologia, affermazione questa a cui Spinoza non giunge ex abrupto, ma


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attraverso un procedere rigoroso e logicamente serrato. L'intento di Spinoza è quello di negare ogni valore di conoscenza alla rivelazione cristiana, demolendo l'uno dopo l'altro i pilastri del tradizionale edificio apologetico. Prima di soffermarci in modo particolare sulle critiche che il filosofo olandese muove alla nozione di miracolo e al tema della ispirazione divina della Scrittura, sarà opportuno sottolineare il tono di violento, arrabbiato attacco dell'Autore nei confronti della tradizione religiosa ebraica per la quale non nutre il rispetto di un Grazio e alla quale toglie qualsiasi compito spirituale, soprattutto quello, intravisto da Pascal, di perpetua testimonianza della verità del cristianesimo. Spinoza, con la troppa scoperta ragione di screditare, eliminandone ogni fondamento teologico-morale, la scomunica inflittagli nel 1656 per «eresie praticate ed insegnate» dalla sinagoga di Amsterdam, sostiene che la cosiddetta elezione del popolo ebraico va riferita solo «all'ordine politico e al benessere materiale; perché quanto all'intelletto e alla vera virtù nessuna nazione si distingue dalle altre» 2 • Per quanto riguarda la validità apologetica del miracolo, il testo spinoziano ricorre ad una argomentazione estremamente lineare: il miracolo non può essere considerato uno strumento per conoscere l'essenza e lesistenza di Dio, perché se si dovesse dare un qualche credito razionale al fenomeno miracoloso, crollerebbe il fondamento stesso del procedere filosofico more geometrico, in quanto si dovrebbe ammettere che possa accadere nel mondo e nello uomo un quid capace di turbare o mutare l'ordine e la connessione necessaria dei processi della natura. I miracoli non possono essere accettati dal lume razionale ma rientrano nella sfera dell'immaginazione e dell'ignoranza o, per citare direttamente Spinoza, sono «fenomeni naturali» 3 cl1e vanno spiegati iuxta propria principia. L'esame iconoclastico a cui il nostro Autvre sottopone la fede cristiana non può non affrontare il problema, già così acuta2 B. SPINOZA, Trattato teologico-politico, trad. it. Giancotti Boscherini, Einaudi, Torino 1972, 93. 3 B. SPINOZA, op. cit., 167.

di

A. Droetto e E.


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mente sentito all'interno degli ambienti della Riforma, dell'autentica interpretazione della Parola di Dio. La Scrittura per Spinoza, in linea col razionalismo esegetico del Socini, va interpretata in base al «lume naturale, che è comune a tutti» e non ammette né «un lume soprannaturale né una autorità esterna» 4 • Questa regola fondamentale di ermeneutica biblica permette a Spinoza di sviluppare nel capitolo XIII del Trattato i due grandi temi della sua filosofia della religione, ossia, da un lato, la ricerca del vero contenuto dottrinale della Bibbia e, dall'altro, una possibile definizione della fede concepita in modo del tutto separato dalla ragione umana. Per quanto attiene alla prima questione, l'Autore nega che la Sacra Scrittura contenga delle verità dogmatiche, giacché essa si limiterebbe a presentare delle indicazioni di vita prati ca che non esigono dal fedele una adesione intellettuale ma solo un atteggiamento di pietà e di obbedienza. La fede - e veniamo così più esplicitamente al secondo tema - non implica una conoscenza della verità, ma tocca soltanto la sfera nebulosa del sentimento. Da queste premesse discendono "i dogmi" della religione razionalistica spinoziana che si soffermano sostanzialmente sulla credenza nel Dio, Ente supremo, unico e presente ovunque e sulla necessità della obbedienza considerata come il vero culto che l'uomo può rendere alla divinità e come l'unica norma di vita che conduca alla salvezza. Alla base della proposta teologica di Spinoza sta, come già si ricordava, l'affermazione che fra ragione umana e rivelazione divina vige il principio di separazione sia per lo scopo, sia per i fondamenti. Il filosofo olandese non nega dunque lesistenza della rivelazione, anzi talora si spinge a considerarla come «maxime necessaria», solo che la svuota dal di dentro e la priva di ogni contenuto dogmatico riducendola a una propedeutica al problema, tipicamente filosofico, di una conoscenza che sia adeguatamente fondata. Del resto chi leggesse l'epistolario del Nostro si accorgerebbe che con lui, forse per la prima volta in maniera così

4

Ibid., 207.


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rigorosamente tematizzata, la filosofia dichiara la sua incompatibilità con le forme storiche della religione positiva e in modo particolare con il messaggio ebraico-cristiano. C'è in Spinoza un radicale rifiuto del fatto cristiano, quasi una sorta di scandalo della ragione di fronte a un Dio che si è fatto carne e di converso una sopravvalutazione del lume naturale al quale il nostro Autore assegna un compito, che saremmo tentati di definire messianico, ma si tratta di un messianesimo che i1on conosce, in armonia nonostante tutto con la tanto disprezzata spiritualità ebraica, la dimensione escatologica.

3.

Il deismo e il cristianesimo ragionevole di Locke

Nella controversia deistica che, come abbiamo avuto modo gia di accennare, dominò l'ambiente culturale inglese fino al primo quarantennio del '700, pur in epoche e con propositi diversi, furono impegnati i tre grandi filosofi dell'empirismo inglese: Locke ne fu, in un certo senso, forse l'inconsapevole iniziatore, Berkeley fu l'acuto apologeta del cristianesimo e Hurne, con le sue ricerche sulla storia della religione, ne segnò la definitiva conclusione. Sarà opportuno, prima di analizzare la posizione lockiana sul problema religioso, individuare i termini essenziali di questa grande battaglia culturale e religiosa che ebbe anche non poche implicazioni politiche. Il porno della discordia fra i freethinkers e i custodi dell'ortodossia anglicana era costituito dalla diversa interpretazione che essi davano al concetto di "legge naturale". I deisti proclamano I' "autonomia" della norma morale sganciandola dal patrimonio dogmatico del cristianesimo storico, i sovran_naturalisti, in,vece, la consideravano come una propedeutica alla rivelazione e quasi un preambolo razionale di essa. Questa querelle fu appunto aperta dalla pubblicazione, avvenuta nel 1695, del saggio di Locke La ragionevolezza del cristianesimo nel quale il nostro Autore si sforzava, attraverso un'esegesi puntuale del Nuovo Testamento condotta secondo i criteri razionalistici della teologia liberale di quel tempo, di estrapolare dal contenuto storico della rivelazione


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cristiana quel nucleo di verità che fosse conforme alle esigenze dell'intelletto critico. Dunque un "cristianesimo ragionevole" che potesse favorire la concordia fra le varie confessioni cristiane, così come andavano insegnando in quegli anni i pensatori della scuola di Cambridge. Ma cosa significa realmente "cristianesimo ragionevole"? Già il titolo del!' opera pone un notevole problema interpretativo. L'espressione "ragionevolezza" - questo par certo - non va intesa secondo i parametri del successivo deismo negatore della positività dogmatica del messaggio cristiano, ma secondo il significato che il termine "ragione" assume nel capitolo XVIII del IV libro del Saggio sullo intelletto umano. In questo libro Locke espone, tra l'altro, le sue tesi fondamentali sul problema religioso che è bene qui richiamare per una maggiore intelligenza dei concetti che andremo sviluppando. Il filosofo empirista ammette la possibilità dei miracoli e della rivelazione e definisce quest'ultima come una serie di proposizioni che ottengono «il più alto grado del nostro assenso)), garantite come sono «da un essere cl1e non può ingannare né essere ingannato: da Dio stesso» 5 • Certo aggiunge il cauto pensatore - prima di dare il nostro consenso al contenuto della rivelazione che può non accordarsi «Con l'ordinario corso delle cose», bisogna avere la certezza morale di trovarsi di fronte al Dio che si rivela, onde evitare di esporsi alle stravaganze dell'«entusiasmo, che mettendo da parte la ragione, vorrebbe sostituirle la rivelazione senza ragione». Ottenuto questo tipo di certezza, Locke sostiene chiaramente che, nel caso in cui tra intelletto critico e verità rivelata si dovesse manifestare un conflitto, non dovrà essere il lume naturale a piegarsi alle proposizioni che gli sono superiori perché esse sono paragonabili alla «remota luce di una stella, non visibile ad occhio nudo» 6 • Collocato il concetto di "ragione" entro questo contesto di gnoseologia empiristica, possiamo ora tentare di cogliere, nelle linee generali, il contenuto de La ragionevolezza del cristias J. LocKE, Saggia sull'intelletto u111ano, trad. it. di C. Motzo Dentice di Accaidia, Principato, Milano 19564, 193. 6 J. LOCKE, op. cit., 201.


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nesimo. L'unica verità dogmatica proposta dal "cristianesimo ragionevole" di Locke è la messianicità di Gesù che il fedele può accettare «prestando fede ai miracoli che Egli compì e alle dichiarazioni che su se stesso Egli fece» 7 • La presentazione del dato rivelato da parte di Locke è certamente riduttiva e semplificatrice perché egli elimina fra l'altro, nel tentativo di raggiungere la tolleranza religiosa fra le varie confessioni cristiane del '600 inglese, ogni valore di mediazione salvifica della Chiesa. Ma ciò non ci autorizza ad affermare che la filosofia della religione lockiana apra consapevolmente la strada al deismo; anzi l'attenta lettura delle ultime pagine dell'opera potrebbe convincerci del contrario. Tesi come quella secondo cui la legge morale non è autosufficiente ma trova il suo fondamento nella pienezza della rivelazione cristiana, o l'altra che sostiene la necessità di un nesso fra virtù e felicità, sono ben lontane non solo dalle posizioni di un Toland, l'autore del celebre libro Cristianesimo non misterioso, ma anche dalle dottrine più moderate di uno Shaftesbury, diretto discepolo di Locke. Davvero La ragionevolezza del cristianesimo appare un testo complesso che si presta ad una pluralità di interpretazioni, anche se in genere i discepoli di Locke svilupparono l'aspetto deistico dello insegnamento del Maestro ed eliminarono quella fragile connessione fra fede e ragione che caratterizza la gnoseologia lockiana ed approdarono così ad una religiosità senza dogmi e senza misteri.

4.

Corrosione scettica e valenza pratico-sentimentale del fenomeno religioso in Hume

La saggistica humiana sul problema religioso può ben considerarsi come una originale sintesi dei temi dibattuti in Europa fra il '600 e il '700 da Hobbes, Spinoza, Shaftesbury e, in modo particolare, dai freethinkers inglesi. Più che nel Trattato

7 J, LOCKE, Scritti filosofici e religiosi, a cura di M. Siena, Rusconi, Milano 1979, 279.


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sulla natura umana è nel Saggio sulla superstizione e I'entusiasmo del 1741 che sono contenute in nuce le tesi che avranno poi un ben più ampio sviluppo nella celeberrima Storia naturale della religione del 1757. Nello scritto Sulla superstizione e l'entusiasmo il filosofo scozzese, rifacendosi a motivi che già erano stati di Hobbes e Shaftesbury, non solo vede nella superstizione e nel fanatismo «le due corruzioni della vera religione» 8, ma si interroga anche sulle conseguenze politiche che tali atteggiamenti patologici dello spirito hanno avuto sulle più recenti vicende storiche inglesi e giunge alla conclusione, non priva di acutezza storica, di un nesso fra il partito wchig e i deisti latitudinari. Nella Storia naturale della religione l'indagine si fa più penetrante e prende le mosse da una domanda, in un certo senso, insolita: da che cosa - si chiede Hume - nasce nello uomo la credenza religiosa? La risposta da lui fornita è sorprendentemente spregiudicata: il fatto religioso non sorge da «Un istinto o da un impulso spontaneo della natura, come quello donde nascono l'amor proprio, l'affezione fra i due sessi, l'amore dei figli, la gratitudine, il risentimento» 9 , ma è un prodotto secondario e comunque non razionalmente giustificabile dello spirito umano. Procedendo nella sua fredda analisi la scepsi humiana, anche appoggiandosi ai dati etnologici ed antropologici offerti dagli studi eruditi di Fontanelle, perviene all'affermazione secondo cui il monoteismo, a differenza di quanto ritenevano gli stessi liberi pensatori, non è stata la prima religione dell'umanità o, come egli scrive, «la religione originaria della specie umana» 10 . Questa acquisizione teorica fa approdare Ht1me alla nozione del «flusso e riflusso di politeismo e teismo» con la quale, come osserva acutamente Meinecke, viene colpita «non soltanto la fede cristiana rivelata, ma anche la vecchia fede

s D. HUME, Della superstizione e del fanalisn10, trad. it. in Il pensiero di David Hu111e, a cura di A. Santuoci, Loescher, Torino 1972, 214. 9 D. HUME, Storia naturale della religi'One, ·a cura di P. Casini, Laterza, Bari 1970, 41-42. 10 D. HUME, op. cit., 46.


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giusnaturalistica dell'antichità nella ragione degli uomini, stabile ed eternamente valida» 11 • Lo scettico indagatore non ritiene tuttavia, forse in felice contraddizione con le sue stesse premesse, che la ragione possa sradicare il sentimento religioso dall'humus vitale di un popolo, senza fare precipitare quest'ultimo in uno stadio «di poco superiore ai bruti». E se è pur vero, come leggiamo proprio nella pagina conclusiva della Storia naturale della religione, che «dubbio, incertezza, sospensione del giudizio appaiono l'unico risultato» dell'indagine sul problema religioso, è anche vero «che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica» e si deve pur cedere alla constatazione oggettiva che non esiste sulla terra «t1n popolo interamente privo di religione» 12 • Il nostro cauto ricercatore riconosce al fenomeno religioso non tanto il valore di verità apodittica perché esso non presenta alcun fondamento teoreticamente valido, quanto la funzione pratica di mezzo necessario al costituirsi della vita sociale e della solidarietà fra gli uomini. L'origine rozza e quasi belluina del consorzio civile, anche se è ben lontana dall'essere interpretata alla maniera di G. B. Vico dentro gli schemi provvidenziali di una «Storia ideale eterna», non impedisce tuttavia a Hume di intravvedere nel profondo della natura umana una innata sensibilità etica che non spinge gli uomini all'hobbesiano "bellum omnium contra omnes», ma al contrario li stimola ad un comportamento regolato dalle norme della morale della simpatia. L'idea di una funzione positiva sul piano pratico del fenomeno religioso serpeggia pure in alcune pagine dello scritto Dialoghi sulla religione, pubblicato postumo nel 1779. L'assunto dell'opera appare chiaro: essa, polemizzando contro il deismo newtoniano, critica le tradizionali prove dell'esistenza di Dio e soprattutto la prova cosmologico-teleologica che riscuoteva un particolare credito filosofico dopo la grande scoperta di Newton

11 F. MEINECKE, Le origini dello storicis1no, trad. it. di M. Bjscione, C. Gundolf e G. Zamboni, Sansoni, Firenze 1967, 166. 12 D. HUl\,fE, Storia naturale della religione, cit., 115.


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della gravitazione universale. Il filosofo scozzese può confutare facilmente tutto l'apparato apologetico dei seguaci di Newton perché il concetto di causa, già sottoposto ad uno spietato esame critico nel Trattato, è per il nostro Autore, come è noto, privo di qualsiasi giustificazione speculativa e non supera il modesto perimetro del belief. I Dialoghi, tuttavia, nel capitolo conclusivo, sembrano proprio sul punto nodale della discussione concedere qualcosa all'avversario, laddove, quasi inaspettatamente, si afferma che ccl'universo non poteva dunque, all'origine, giungere all'ordine e all'assestamento che gli appartengono senza qualcosa di simile all'arte umana» 13 • Questa prudente apertura humiana ad una considerazione teleologica della natura, anche se non va sopravvalutata, sembra essere una ulteriore conferma di un certo valore pratico attribuito al fenomeno religioso considerato sia nelle ingenue rappresentazioni degli uomini primitivi, sia nell'elaborato monoteismo dei "liberi pensatori''.

5.

Coscienza e rivelazione cristiana in Rousseau

Il deismo di Rousseau, sia quello del Contratto sociale sia quello dell'Emilio non dimostra - va detto subito per correttezza storiografica - una particolare originalità e, tuttavia, è innegabile che esso, soprattutto nella commossa presentazione che ne fa il vicario savoiardo, abbia avuto un influsso straordinario su intere generazioni, costituendo quasi la lettura obbligata dei più pensosi spiriti europei del primo Romanticismo. Di certo la causa di questo successo va ricercata non tanto nei contenuti dottrinali, quanto in quel tono caldo e convincente con cui il pensatore ginevrino sa trasporre nella pagina scritta la ricchezza della sua personalità. Personalità segnata dall'appassionata ricerca del Dio vivo e di una fede salda che lo tenesse al riparo sia dallo scetticismo dei philosophes e sia

13 D. HUME, Dialoghi sulla religione naturale, trad. it., in Il pensiero di David Hun1e, cit., 231.


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anche dall'angosciosa incertezza creata in lui dalle diversità dogmatiche delle varie confessioni cristiane, la cattolica e la calvinista in modo particolare. Proprio perché in Rousseau, più ancora che in altri pensatori, v'è un profondo nesso fra vicende biografiche e riflessione filosofica non potremmo intendere la sua posizione religiosa se prescindessimo dalla sua complessa e, talora, contraddittoria esperienza personale. Il Nostro, educato a Ginevra alla fede calvinista, divenne cattolico a Torino sotto l'influsso, non del tutto limpido, di Madame de Warens, ma ben presto Jean-Jacques rinnegò la sua poco meditata adesione alla Chiesa di Roma per approdare di nuovo al calvinismo. Entrato nella cerchia dei philosophes, egli condivise, per qualche tempo, le loro posizioni "empie", ma poi le rigettò vigorosamente dando spazio al suo dirompente senso religioso e facendosi sempre più interrogare dalla pre· senza misteriosa del male nell'uomo e nel mondo. Il pensatore ginevrino, in materia religiosa, non volle es· sere un conformista: infatti, come egli stesso osserva nei Sogni di un viandante solitario, desiderò avere opinioni sue distanti sia dagli «ardenti apostoli d'ateismo» sia dagli «imperiosi dogmatici» 14 . Questa equidistanza critica tanto dal materialismo dei philosophes, quanto dall'ortodossia calvinista e cattolica la possiamo ben riscontrare nel capitolo conclusivo del Contratto sociale e nella Professione di fede del vicario savoiardo nel IV libro dell'Emilio. Nella prima opera è certamente dominante la preoccupazione politica di costruire una «religione civile» che garantisca la coesione interna della società giusta. Messa al bando della città «la religione del prete» perché impedisce ai suoi abitanti di «essere ad un tempo devoti e cittadini» 15 , la fede dell'uomo e del cittadino diviene per Rousseau una gelosa prerogativa del foro interno della coscienza con il solo obbligo esteriore che i convincimenti privati del singolo non entrino in conflitto con 14 J, - J. RousSEAU, Les réveries du pron1eneur solitaire, Bclitions Garnier Frères, Paris 1949, 21. is J. - J. RoussEAU, Del Contratto sociale, trad. it. di T. C·elotti, Andò, Palermo 1952, 145.


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la pubblica utilità del sovrano che, per garantirsi i suoi incontestabili diritti, può imporre, anche con i poteri coercitivi della legge, una «religione civile». Essa ha - come è stato osservato - una funzione edificante, perché dovrebbe essere una specie di succedaneo della rivelazione e costituisce, sul piano visibile, una sorta di chiesa laica che preservi l'originaria "bontà" della natura umana. Il deismo dell'Emilio che presenta, invece, una intonazione più squisitamente esistenziale, viene prospettato come il sicuro approdo a cui giunge il vicario savoiardo, dopo che una radicale crisi di senso ha attanagliato la sua anima. Il vicario, stanco dell'inconcludente ricerca filosofica, è in preda ad una forma di rigetto antiintellettualistico contro lo «spaventevole apparato» dei filosofi, fonte perenne di dubbi ed incertezze. «Compresi - confessa il vicario a J ean-J acques - che lungi dal liberarmi dai miei dubbi, i filosofi non avrebbero fatto che moltiplicare quelli che mi tormentavano e non ne avrebbero risolto alcuno» 16 • Da qui la decisione del vicario di prendere come guida per la ricerca delia verità religiosa il "lume interiore" che si può considerare una sorta di non ben definita sintesi fra il criterio cartesiano dell'evidenza e le suggestioni emotive che vengono dal cuore in palpitante contatto con la natura. Il vicario, pur rivalutando ampiamente l'importanza del sentimento in religione, non approda tuttavia ad un misticismo irrazionale perché sa demolire, attraverso gli strumenti discorsivi delia ragione, le posizioni degli atei e dei materialisti. Ma il pacato ragionare è solo una breve parentesi perché subito dopo la pagina rousseauiana torna a fremere di passione per acquistare quasi un sapore "popolare" quando Jean-Jacques, che si è nascosto dietro «la figura autobiografico-simbolica del pastore d'anime)) 17 con tono co1n1nosso e che ricorda da vicino la spiritualità pietistica, esalta il ruolo della coscienza. <{Coscienza! coscienza! istinto divino, immortale e celeste voce, guida sicura di un essere ignorante e limitato, intelligente 16 J. - J. RoussEAU, E1nilio, trad. it. di A. Visalberghi, Laterza, Bari 1979, 193-194. 17 P. CASINI, Jntr.aduzione a Rousseau, Laterz'a, Bari 1974, 118.


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e libero giudice infallibile del bene e del male, che rendi l'uomo simile a Dio, sei tu che fai l'eccellenza della sua natura e la moralità delle sue azioni» 18 • La coscienza in Rousseau, priva come è di quella profondità ontologica nella quale secondo Agostino abita un Ospite segreto più interiore di noi a noi stessi, non riesce ad aprirsi ad una presenza realmente trascendente. Una prova di c10 è certamente lo scetticismo del vicario nei confronti della rivelazione cristiana: per lui infatti non è possibile che una religione storica rivendichi per sé l'esclusività del vero. Le manifestazioni storiche delle religioni si equivalgono giacché esse sarebbero legate «al clima, al governo, al genio del popolo, o a qualche altra causa locale che rende l'una preferibile all'altra secondo i tempi e i luoghi» 19 • Questa ulteriore svalutazione della verità rivelata da parte di uno spirito pur sinceramente religioso quale fu Rousseau, dimostra che non può esserci posto per la rivelazione cristiana laddove non si concepisca la coscienza umana, diremmo quasi istituzionalmente, come fatta per l'ascolto e l'accoglimento del Dio che si rivela.

Gli esiti della religione kantiana: moralismo e razionalismo illuministico

6.

La filosofia della religione di Kant si può ritenere, in un certo senso, la più matura e significativa parola del razionalismo moderno di fronte al cristianesimo storico, prima della riduzione della dogmatica cristiana ai termini della pura teoresi operata dalla filosofia idealistica. Il criticismo kantiano, anche sul piano religioso, preannunzia l'idealismo trascendentale facendo suo, d'altra parte, quell'indirizzo di pensiero seisettecentesco che aveva considerato la morale come l'esito ultimo del fenomeno religioso. Nell'uomo kantiano, che celebra l'autonomia della legge 18 19

J. - J, ROUSSEAU, op. cit., 202. lbid., 204.


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morale e che è gia entrato con l'Aufkliirung nell'età adulta, la religiosità nasce dall'innato ,desiderio di concepire «Un fine ultimo ai suoi doveri, come conseguenza di essi» 20 . E' appunto una considerazione teleologica della realtà che apre l'etica kantiana, altrimenti così autosufficiente, alla dimensione religiosa rendendola disponibile alla ricerca di «quel fine ultimo (della creazione del mondo) che può e deve essere nello stesso tempo il fine ultimo dell'uomo» 21 • E' legittimo chiedersi a questo punto quali siano, in tale prospettiva, i rapporti fra etica e religione. Kant li delinea in maniera assai limpida nella seconda introduzione della sua Religione entro i limiti della sola ragione del 1793. Fra morale e religione non v'è una aprioristica estraneità, anzi il filosofo di Kiinigsberg, usando la bella immagine delle due sfere che costituiscono due cerchi concentrici, sostiene che la rivelazione è «come una sfera più vasta della fede, che contiene, come sfera più ristretta, la pura religione razionale» 22 • Ora il compito del filosofo della religione è appunto quello di raggiungere il dato rivelato prendendo le mosse dalla sfera più ristretta della fede razionale e tentare di scoprire la possibile "compatibilità" o addirittura «unione fra la ragione e la Scrittura» 23 • Se fra le due dovesse insorgere un conflitto, esso va superato, secondo Kant, mettendo fra parentesi il contenuto storico del messaggio cristiano. Al dato dogmatico, infatti, l'uomo adulto del secolo dei lumi può riconoscere soltanto la funzione di "veicolo" o mezzo da cui prendere spunto per aderire pubblicamente all'unica fede realmente santificante, ossia quella razionale. Dunque ancora una volta ci troviamo di fronte ad un primato della morale sulle altre categorie dello spirito umano, un primato cl1e porta con sé l'assorbimento e l'annullamento della sfera religiosa perché a quest'ultima vien negato un proprio spazio autonomo.

20 I. KANT, La religione entro i lilniti della sola ragione, trad. it. di A. Poggi, Laterza, Bari 1980, 6. 21 Ibid., 7. n Ibid,, 13. " Jbid., 14.


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Se dall'introduzione ci portiamo alle pagine centrali del volume kantiano sul problema religioso ci accorgiamo che il nostro autore, ben lontano dall'ottimismo antropologico di un Rousseau, è pervaso dall'intima convinzione che all'uomo, nella condizione storico-esistenziale presente, è negata la possibilità di raggiungere la perfezione morale. Infatti una tendenza insita nella natura umana inspiegabilmente corrompe il fondamento stesso di ogni agire moralmente corretto. E' il cosiddetto "male radicale". Esso, avendo Kant consapevolmente scartata l'ipotesi del peccato di Adamo, presenta un'origine enigmatica nemmeno riconducibile alla sensibilità e alla ragione e perciò rimane un fatto misterioso preesistente al concreto esercizio della libertà umana, un disordine inspiegabile che fa piegare con difficoltà l'inclinazione dei sensi alla purezza dell'intenzione morale. Se questa sorta di peccato originale, che tuttavia non può essere imputato alla colpa di Adamo, fosse del tutto invincibile, la continua lotta fra il bene e il male avrebbe alla fine un esito negativo e l'immagine della santità, che l'agire u,mano tenta faticosamente di adeguare, avrebbe davvero qualcosa di realmente chimerico. Ma alla tensione etica dell'uomo, spasmodicamente impegnato in questa terribile battaglia contro il male, viene incontro il Figlio di Dio, che non è per Kant il Logos incarnato della Scrittura, bensì semplicemente il «modello dell'intenzione morale in tutta la sua purezza» 24 , il Maestro dell'Evangelo che guida gli sforzi etici dell'uomo perché questi possano riuscire accetti al Creatore. Un particolare interesse, ai fini della nostra indagine, presenta il terzo capitolo dell'opera che si occupa di ecclesiologia ed elabora la dottrina della "repubblica etica", una sorta di regno di Dio sulla terra che fondandosi sul presupposto della pura fede razionale espunge dalla Chiesa invisibile ogni elemento storico-dogmatico del cristianesimo. A questo punto del suo argomentare, Kant, da autentico figlio dell'Illuminismo, attribuisce una :maggiore credibilità alla fede razionale rispetto

24

Ibid., 63.


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a quella rivelata, in quanto soltanto la prima, che è più facilmente comunicabile a tutti gli uomini, riesce ad assurgere al livello dell'universalità, mentre la seconda rimarrebbe legata ai condizionamenti storico - temporali ed ambientali in cui è sorta. Da queste premesse discende la conseguenza che soltanto nella Chiesa non istituzionale è possibile celebrare, in maniera invisibile, il trionfo della legge morale e stabilire il vero culto dovuto a Dio contro ogni fede illusoria e contro ogni esteriorità che rischia di divenire feticistica. Fra i vari tipi di fede illusoria l'Autore menziona quella nella grazia. Il credere nella grazia è un'illusione perché «il concetto di un intervento soprannaturale è - a dire di Kant un concetto trascendente ed una semplice idea, di cui nessuna esperienza può garantirci la realtà» 25 • Ridotta così la religione alla «conoscenza di tutti i nostri doveri come comandamenti divini» 26 , il fondatore del criticismo dimostra davvero una radicale sordità nei confronti del mistero inteso come quella realtà in cui 1o stesso soprannaturale raggiunge e trasfigura la finitezza umana proprio attraverso l'esperienza sacramentale del darsi di segni visibili della grazia di Dio che operano nella concreta vicenda esistenziale di ogni uomo.

" Ibid., 213. " Jbid., 168.


IL NEO SINTETISMO DI MONS. MARIO STURZO ESPOSTO E INTERPRETATO IN UN ARTICOLO DEL FRATELLO DON LUIGI STURZO

SALVATORE LATORA ''

Nel J930 don Luigi Sturzo scrisse un lungo articolo sul pensiero filosofico dcl fratello, mons. Mario Sturzo, vescovo di Piazza Armerina, e lo fece pubblicare in lingua inglese su The Dublin Review, october-december 1930, con il titolo: Theory of Knowledge in Neo-Synthetism 1. Egli, che conosceva così bene quel pensiero per il lungo

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Docente di Filosofi.a nei Licei.

Ho chiesto l'articolo in inglese -a The Public Library dì Dublin che lni ha inviato gentiln1ente copia fiotostatic·a dell'originale su cui ho lavo~ rato. Anche l'Istituto Luigi Sturzo di Ron1a a cui 111i sono rivolto per avere copia del 111anoscritto in italiano (secondo quanto all'erma A. Dr LASCIA, Filosofia e storia in L. Sturzo, Ed. C·1nque Lune, Roma 1981, 97, nota 1), ini ha inviato lo stesso testo in inglese non riuscendo a reperire l'altro. Questo secondo testo, che abbian10 -confrontato con il primo, è, con n1olla probabHità, una bozza di stampa, data la nu111erazio.ne diversa delle pagine e le diverse correzioni a penna. Va detto inoltre, che ho potuto leggere il saggio in lingua inglese cvn l'aiuto di 111io figlio Vito, a cui va il n1io grazie, che naturalmente resta in fan1iglia; un grazie sentitissimo alla dott.ssa Concetta Garozzo che ha avuto 1a bontà di rivedere la tr'aduzione.


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d1battito che aveva avuto con il fratello, non interrotto neppure durante i lunghi anni di esilio, come dimostra il Carteggio che quasi giornalmente intrattenne con lui, era la persona più adatta a scriverne, anche percl1é, a nostro parere, ne con.divideva in modo creativo i principi fondamentali 2 • Don Luigi vuole fare conoscere il nuovo sistema filosofico del vescovo, che prende il nome di Neo-Sintetismo, nell'ambiente culturale britannico, sperando che una mentalità abituata alla libertà di pensiero e quindi aperta, rispetto a quella ufficiale dell'Italia di allora, così come aveva accolto lui esule possa ora accogliere le novità della filosofia dcl fratello, senza quelle chiusure che in terra nostra avevano portato prima ad alcuni sospetti e poi al richiamo da parte del S. Ufficio. Don Luigi, a chiusura dell'articolo chiama «audace» il

2 Mons. Mario Sturzo nacque a Caltagirone il 1° novc1nbre dcl 1861, dai coniugi Felice Sturzo, dei baroni d'AJtobrando, e Caterina Buscarelli, figlia di un noto medjco calatino. E' stato il secondogenito della famiglia Sturzo-Boscarclli; gli ultimi, dei sei figli, sono stati i gem·elli, Luigi (26 nov. 1871 - 8 agosto 1959) ed Emanuela o Nelina, che segul finché poté il più famoso idei fratelli. Mario studiò a Caltagirone e poi al seminario vescovile di Noto, dove ebbe inodo di apprezzare quel vescovo d'eccezione, aperto ai proble1ni sociali, che fu mons. Giovanni Blandini. A vent'anni, ·per una crisi religiosa lasciò il seminario; si iscrive alla facoltà di legge .dell'università di Catania, ina poi prosegue in quella di Roma, dove si laurea in giurisprudenza. Nel 1887, ·aveva già 26 anni, se.ntendo rinascere la giovanile 'Vocazione, rientra nel seminario di Caltagirone e il 21 settembre del 1889 viene ordinato sacerdote. Insegna ,nel- sen1inario e ricopre diversi incarichi nella curia; scrive, fond'a riviste, è attivissimo e prestigioso nella vita ecclesiale. N·el 1903 il pontefiee Leone XIII Io nomina vescovo di Piazza Arn1erina, dignità che egli ricopre per trentotto anni, fino alla sua morte, avvenuta il 10 nov. 1941. AI problen1a filosofico egli dedicò, tra gli altri, i seguenti volumi: M. STURZO, Il pr.able111a della conoscenza. Lezioni di fìlosofìà per i licei, Soc. Ed ..Libr. Ital., Ron1a 1924; Il Neo-sintetis1110 conte contributo alla soluzione del proble111a della conoscenza, Vecchi, Tra,ni 1928; Il pensiero dell'avvenire, Vecchi, Trani 1930. Inoltre scrisse numerosi articoli sulla Rivi· sta dì Autofonnazione filosofica e letteraria, Vecchi, Trani 1927-1930, fondata e quasi interamente redatta da lui con la collaborazione del fratello


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tentativo filosofico del fratello, ma ben meritevole di attenzione e di studio, perché da esso mons. Sturzo aveva derivato nuove e interessanti visioni sull'etica, sulla pedagogia, sull'estetica, e su quei fondamenti aveva discusso a lungo i problemi dell'anima e di Dio. Nel saggio si avverte con evidenza l'eco di quelle vicissitudini come quando egli si chiede: «Non è tutto ciò infetto dal microbo dell'immanentismo? Non ha il diavolo immanentista preso l'abito del Neo-Sintetismo?». Ma egli ci tiene a rassicurare l'attento lettore che non c'è nessuno di questi pericoli. Il vescovo, nella sua attività di filosofo, tiene sempre presente il motto: «Superare Conservando», che sostanzialmente corrisponde alla espressione della Aeterni Patris, 29: «Vetera novis augendo et perficiendo».

Luigi che, anche dall'estero, 1na,ndava i suoi articoli firmandosi: S, S. (Sacerdote Sturzo). Nel gennaio del 1931 ricevette un esplicito richiamo da parte del S. Ufficio per il suo insegnamento e per i suoi scritti di filosofia; d'allora in poi egli non pubblicò più nulla su tale disciplina, anzi in un solenne pontificale celebrato .in cattedrale il vescovo rese pubblica .fa sua ritrattazione. Essendo ormai lontane quelle ragioni contingenti, oggi si può guaDdare con :più serenità tutta la questione e soprattutto l'apporto culturale, filosofico ed ecclesiale del vescovo Sturzo. Egli ci ha lasciato una ventina di volu1ni, oltre a nun1erosi articoli e lettere pastorali. Si è interessato anche di estetica e di letteratura, del problema e.dU.cativo, del problema n1istico e di inolti problemi di pastorale. Per un elenco delle sue opere e per la storiografia su Mario Sturzo, si .possono cfr. i ·seguenti ·saggi: S. LATORA, Il Vescovo Mario Sturzo, in AA.Vv., La fa1niglia e la scuola, ed. U.C.I.LM., Roma, 1983; Io., Il Neosintetisn10 di M. Sturzo co1ne possibile rinnova1nento della filosofia scolastica, in Synaxis 1{1983)117-149; Io., Una lettera inedita di don Luigi Sturzo al fratello Mario, vescovo di Piazza Annerina (Londra 9-10 gennaio 1926). Convnentv e interpretazione, in Synaxis 2 (1984) 129-150; Io., Un dibattito epistolare sul principio del Neo-sintetis1no. Corrispondenza tra il vescovo Mario Sturzo e il prof. Agostino Faggiotto dell'Università di Padova (19301931), in Synaxis 3 (1985) 219-256; Io., Il Neo-sintetis1no e la sua dialettica nel pensiero dei fratelli Sturzo, i.n Synaxis 4 (1986) 235-268.


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Com'è strutturato questo nuovo sistema filosofico? Punto di partenza è una nuova teoria gnoseologica, che ha però implicita una metafisica, i cui principi sono fecondi nel prospettare una rinnovata concezione della storia, dell' etica, della pedagogia e dell'estetica. C'è da sottolineare inoltre che il motivo ispiratore di tutto il sistema è di origine religiosa ed ecclesiale. I fratelli Sturzo sono stati sempre testimoni autentici della fede cattolica, e da questo punto di vista la loro opera resta al di sopra di ogni polemica. Una teoria della conoscenza nuova, quella di mons. Sturzo, che da una parte vuole superare certe incongruenze della gnoseologia aristotelico-scolastica, senza tralasciarne però il sano realismo; e dall'altra vuole evitare l'apriorismo e il soggettivismo kantiani e l'ingiustificata assolutizzazione di tipo idealistico. Il conoscere, per il vescovo Sturzo, 11a inizio con l'intuizione sintetica in cui sono in stretto rapporto sia il senso che l'intelletto. «Dopo un'attenta analisi, egli giunge alla conclusione che non è il senso che sente né l'intelletto che conosce, né la volontà che vuole, ma il soggetto, l'uomo, che in un'unità sintetica sente con i suoi sensi, conosce con il suo intelletto e vuole con la sua volontà». Questo rapportualismo, che è alla base della gnoseologia sturziana, si fonda su t1n dinamismo sintetico universale e quindi metafisico. «L'intero mondo· è un sistema immenso di sintesi e relazioni. Ogni essere è una sintesi e tutti gli esseri sono relazionali. Per questo il mondo è organico». Da tale metafisica rapportualista deriva una concezione della storia molto diversa da quella sostenuta dagli idealisti. «La nostra vita intera procede da sintesi in sintesi di soggetto e oggetto, ed è accresciuta dalle moltiplicazioni di altri soggetti cognitivi con i quali noi entriamo in contatto diretto o indiretto, formando così la vita sociale per la quale ogni singola esperienza è trasformata e sviluppata in esperienza collettiva». La storia concepita dall'Idealismo è dialettica dell'Assoluto; la storia concepita dal Neo-Sintetismo è dialettica del contingente. E' vero che il contingente postula l'Assoluto, ma quest'ul-


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timo è al di sopra della contingenza, al di sopra della dialettica, non è processuale, è pura attualità. Il più fedele neo-sintetista in campo sociologico e politico è stato proprio don Luigi Sturzo, degno seguace, ma in modo personale, delle teorie filosofiche del fratello mons. Mario 3•

3

Ad ulteriore conferma dì questa "tesi si cfr. l'opera di L. STURZO, La vera vita. Sociologia del soprannaturale, Zanichelli, Bologna 1960, specialmente il cap. IV della parte prin1a, dal titolo Co1nunione (66-80), tdUve c'·è una lunga discussione sul problema della conoscenza. E il cap. III della parte seconda, intitolato La storia (161-181), dove gH autori a cui fa soprattutto riferimento sono: Vico, Blondel, Maritain e, naturahnente, il frateilo Mario.


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APPENDICE I

LA TEORIA DELLA CONOSCENZA NEL NEO-SINTETISMO

{Traduzione italiana)

Questa è la prima occasione nella quale scrivo di mio fratello, mons. Mario Sturzo. Sebbene le nostre vite siano spiritualmente unite, esse di fatto sono state indipendenti e separate. Più anziano di me di dieci anni, egli è stato per me sempre non solo un fratello amato, ma una guida e un consigliere. Eppure siamo vissuti separati per gli ultimi 27 anni; io immerso nella vita politica, in studi sociologici e storici, lui nei compiti pastorali di vescovo di una grande diocesi siciliana. La libertà mentale e la sincerità del rapporto nel quale siamo stati educati ci hanno portato a guardare ciascuno l'attività dell'altro imparzialmente e criticamente, mentre le diverse esperienze di ciascuno hanno aiutato l'altro - specialmente me - a completare e ad integrare le sue proprie. Il pubblico britannico non avrebbe alcuna ragione immediata per interessarsi a mons. Sturzo se i suoi studi e le sue attività non l'avessero reso esponente di un nuovo sistema filo-· sofico al quale egli ha dato il nome di Neo-Sintetismo e che costituisce un notevole contributo alla soluzione del problema della conoscenza. Egli non è stato un filosofo di professione. La sua cultura e i suoi primi interessi furono in prevalenza letterari, e i suoi studi professionali furono quelli di legge, nelle Università di Catania e di Roma. La direzione del Seminario di Piazza Armerina, dove egli fu nominato vescovo nel 1903, lo obbligò ad assumere l'insegnamento di filosofia; e fu questa esperienza pra-


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tica che lo portò a sentire profondamente la inadeguatezza dell'epistemologia scolastica. La elaborazione di questo problema durante 10 anni è confluita poi in varie pubblicazioni: la prima del 1925, Il Problema della Conosoenza; la seconda del 1928, Il Neo-Sintetismo; e la terza nel 1930, Il Pensiero dell'Avvenire. Tre tappe distinte che segnano lo sviluppo della sua teoria e il consolidarsi del suo sistema. Durante il primo quarto del secolo attuale le correnti filosofiche in Italia furono dominate dal Neo-Idealismo del Croce e dall'Attualismo del Gentile. Il Croce ha elaborato il suo Idealismo nel campo storico e nell'estetica, l'Attualismo del Gentile, invece, si è rivolto principalmente a quello della educazione e della politica. Ma il problema centrale che determina il movimento delle idee nella recente filosofia italiana e la loro influenza nei vari campi della cultura è stato quello della conoscenza - un problema che ha tormentato gli uomini per secoli e continuerà a tormentarli ancora per molti altri, perché esso è inesauribile, presentando in ogni età luci e ombre in rapporto alle mutevoli tendenze del pensiero. Comunque, mentre nel medio-evo il problema che tormentava i filosofi era la conoscenza dell'essere metafisico, dal rinascimento in poi la filosofia moderna si è rivolta all'essere concreto e, all'astratta funzione dell'intelletto, ha opposto la funzione sintetica dell'esperienza. Ma, cosa strana, mentre la filosofia più vicina a noi è giunta all'essere concreto (simultaneamente con lo sviluppo delle scienze fisiche e naturali, della storia, della sociologia e dell'economia politica) la più profonda realtà oggettiva è fuggita verso una soggettività che si va accentuando sempre più. Nel corso di questo processo la revisione di Kant del problema della conoscenza segna la separazione tra la concezione della realtà come oggetto dell'esperienza e le forme a priori dell'intelletto. Da qui un fondamentale scetticismo, che il pragmatismo della ragione pratica non può rimediare; la via per il moderno Idealismo è chiara. E questo in sostanza non è altro che la risoluzione dell'oggetto nel soggetto, in quanto che


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il conosciuto si risolve nel conoscente, che è, nell'esperienza unico e fondamentale, fuori del quale niente si può dire che esista o che sia. Il Neo-Realismo italiano si è sforzato di reagire, rompendo il circolo vizioso e ammettendo la conoscenza della realtà esterna come essa è, nella sua piena oggettività. I suoi esponenti partono dal principio che la senso-percezione è fondamentale e primaria e il senso comune è coscienza collettiva della verità del reale. La realtà, come essi la considerano, si dissolve in semplici elementi logici o sensoriali; con ciò né si riduce la molteplicità ad unità né si affronta alcuna connessione intrinseca al di fuori delle relazioni fra entità date. I neo-scolastici, d'altro canto, sebbene realisti, insegnano che l'essere concreto non può essere conosciuto intellettualmente, salvo che il concetto astratto della concretezza, giacché per loro la conoscenza intellettuale raggiunge non il particolare ma l'universale. Secondo i neo-scolastici, l'essere concreto ci sfugge. Ma questo aspetto della teoria scolastica della conoscenza fu reso insostenibile nel momento in cui fu possibile asserire, anche senza piena spiegazione e prova, la diretta conoscenza intellettuale della realtà concreta. La difficoltà centrale, che è in fondo la difficoltà di tutta la filosofia, antica e moderna, sta nella maniera in cui il senso e l'intelletto sono congiunti nel singolo atto della conoscenza del concreto, cioè nella modalità della sintesi cognitiva e nel valore che noi dobbiamo attribuirle. In altre parole, esiste una tale sintesi? E se essa esiste, serve per rappresentare un mondo extrasoggettivo o è semplicemente un'esperienza dello stesso soggetto? Questi due problemi sono distinti ma nello stesso tempo intimamente connessi, poiché il valore dell'atto cognitivo dipende dalla persona che attua la sintesi cognitiva. Questo, dunque, è il problema fondamentale. Tutte le teorie della conoscenza partono dalla senso-percezione, come sono costrette dalla stessa realtà della natura umana e distinguono nella sensazione tra la funzione cognitiva o percezione dei dati sensoriali e la funzione pratica della conazione (tendenza, impulso). E' questa semplicemente una distinzione logica o forse


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corrispondente a una reale e psicologica divisione nell'atto della sensazione? La maggior parte dei teorici è incline per la seconda soluzione. Monsignor Sturzo, al contrario, trova che la sensazione p-resa in se stessa è una sintesi primaria, cioè «Un processo prodotto dalla attività interiore». Infatti percepire è individuare, cioè distinguere. Non si può percepire ciò che è indifferenziato, confuso, caotico. Percepire for111e, suoni, odori, sapori, resistenze non è una percezione slegata, ma la percezione di ciò che è distinto e relativo. Ora cosa c'è nella vita dei sensi che produce questa classificazione? Nient'altro che l'attività conatica. Qui noi abbiamo non la semplcie simultaneità di due atti distinti ma la sintesi di due tendenze o forze nella singola facoltà se11sitiva, in quanto cl1e non ci può essere percezione senza discrin1inazione conativa. Faccio un passo ulteriore. All'inizio del suo sistema mons. Sturzo si chiede se nell'uomo ci sia una qualche cosa come la sensazione pura, se le sensazioni umane nel concreto dell'esistenza siano sempre realmente pure sensazioni, distinte, non solo logicamente, ma anche psicologicamente da ogni funzione intellettiva. Tutti i filosofi spiritualisti ammettono che nell'uomo vi siano due mondi, da un lato la sensazione e il processo sensitivo, dall'altro l'intelletto e il processo intellettivo e quindi essi cercano un ponte che congiunga i due mondi e i due processi. I platonici dicono che con la sensazione avviene un risveglio delle idee innate. In generale tutti gli aprioristi pongono un mondo esterno o dei sensi e un mondo intellettuale delle idee innate, o di categorie a-priori. Questi due mondi rimangono, non solo distinti ma separati e non correlati. Aristotele cerca di risolvere il problema con la costruzione di m1 meccanismo interiore, un intelletto che opera senza conoscere (l'intelletto agente, l'intellectus agens) che trasmette all'intelletto passivo (o possibile) le intellegibili specie astratte dalla immagine sensibile. Gli scolastici medievali accettavano l'intelletto agente, ma ritenevano che esso fosse assistito da uno speciale intervento divino. Questo misterioso elemento scomparve nel Neo-Scolasticismo, che, comunque, rimane fedele all'intelletto agente di Aristotele. Di qui, anche secondo Aristo-


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tele e gli scolastici antichi e moderni, il processo di conoscenza ha due aspetti, da una parte la percezione del senso, dall'altra quella dell'intelletto. I filosofi. moderni che mantengono la dualità del senso e dell'intelletto (escludendo i puri materialisti o sensisti), mentre non accettano il meccanismo aristotelico, non sono sfuggiti alla teoria di un doppio e distinto processo cognitivo. Quindi essi partono da una ricognizione della pura sensazione priva di ogni intellettualità. Nel sistema idealistico il senso e l'intelletto lavorano in sintesi, ma qui, nello stesso modo in cui l'oggetto si risolve nel soggetto, il senso si risolve nell'intelletto, lo spirito fenomenico nello Spirito Assoluto, del quale l'intero mondo esistente è solo un cosciente, o piuttosto un autocosciente processo dialettico. Per gli idealisti, quindi, la sintesi del senso e dell'intelletto non è la sintesi di due principi distinti ma di un singolo processo dialettico·. Ma quando essi parlano di sensazione, la intendono come pura, cioè una tappa in se stessa del processo cognitivo. Alla domanda di mons. Sturzo, se esiste una qnalche cosa come la sensazione pura, tutti rispondono più o meno esplicitamente in modo affermativo. Dal punto di vista della teoria della conoscenza, quindi, egli chiama gli esponenti di tali sistemi o separatisti, come i platonici e gli aristotelici, o sintetisti incompleti, come gli psicologisti, sensazionalisti, e idealisti. E quindi, al suo sistema, che è principalmente una teoria della conoscenza o epistemologia, egli dà il nome di Neo-Sintetismo. Secondo il Neo-Sintetismo, tutta la nostra conoscenza inizia con la intuizione dell'oggetto reale ed esterno, vale a dire con la cognizione diretta del concreto. Questa intuizione non è una sensazione pura, ma anche una cognizione intellettuale e quindi una sintesi di sensazione e intellezione. La nostra controversia è qui principalmente con gli scolastici che non ammettono una conoscenza intellettiva diretta dell'essere concreto, mentre altri sistemi moderni, ognuno a proprio modo, ed in accordo ad una logica interna, ammettono tale conoscenza. E come si può negare che la cognizione del reale concreto sia una percezione intellettiva diretta, quando l'uomo


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dall'unità dell'esperienza individua, valuta, classifica l'oggetto d'esperienza? I neo-scolastici sostengono che per questo una conoscenza intellettuale indiretta è sufficiente, in quanto che la nostra mente si forma l'idea o il concetto astratto della concretezza. Questo modo di evitare la difficoltà non solo ripugna al pensiero moderno, ma è contraddetto dall'intera esperienza, che non è separativa o analitica, ma unitiva e sintetica. L'avere evitato il problema da parte dei neo-scolastici è il risultato non tanto dell'astratto punto di vista dei vecchi scolastici quanto della paura di unire insieme due così opposte funzioni come quella spirituale dell'intelletto e quella materiale dei sensi. Anche nel XIII secolo la stessa ripugnanza portò ai tentativi di sostenere che nell'uomo esistevano tre anime, o almeno due, la vegetativa e sensitiva, e la intellettiva. A tal punto che, fra le proposizioni nelle opere di S. Tommaso d'Aquino condannate dal vescovo di Parigi e dall'Università di Oxford vi era quella dell'unità dell'anima - l'anima intellettiva - presentata come la forma singola e sostanziale del corpo e quindi con funzioni vegetative e sensitive. Dante nel famoso canto XXV del Purgatorio desiderò rivendicare la teoria tomistica; era allora una questione del giorno. Questo non è semplicemente u11 riferimento storico, ma serve ad illustrare l'ipotesi di sintesi per mezzo di un elemento 'indiscutibile, la natura del soggetto cogniti'l'o, l'uomo, in cui il corpo e l'anima sono unite in una sintesi meravigliosa. Mons. Sturzo non basa la sua teoria su un qualche elemento a priori, ma affronta il problema del processo cogniti'l'o direttamente. Dopo un'attenta analisi egli giunge alla conclusione che non è il senso che sente né l'intelletto che conosce, né la volontà che vuole, ma il soggetto, l'uomo, che in un'unità sintetica sente con i suoi sensi, conosce con il suo intelletto, e vuole con la sua volontà. «Noi diciamo [ ... ] che il soggetto umano è egli stesso una molteplice capacità, essendo questa capacità di un soggetto unico e molteplice; una capacità fondamentale che si realizza in singole attività di cui ognuna compie la propria funzione, tuttavia tutte partecipi delle funzioni sintetiche e del carattere del soggetto, in virtù della sua unità sintetica» (La


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Tradizione, III, Palermo 1930, I-II). In sostanza gli atti umani non iniziano né finiscono con le facoltà, né sono le facoltà i soggetti dell'attività umana; sono solo i mezzi, e mentre ogni mezzo è distinto in se stesso, il soggetto, l'uomo agisce in sintesi. Una volta stabilito questo principio, non c'è difficoltà nell'ammettere una primaria, originale e fondamentale sintesi del senso e dell'intelletto nell'atto dell'intuizione. Né c'è alcun bisogno di introdurre un intelletto agente, che in ogni caso non sarebbe un vero intelletto perché senza conoscenza. E' sufficiente la sintesi naturale che si presenta in un soggetto dotato di senso e intelletto, poiché la funzione sensitiva non è esercitata dai sensi e nemmeno quella intellettiva dall'intelletto, ma entrambe in sintesi dal soggetto intero. Un'attenta indagine sulla natura della conoscenza ci ha portato a questa conclusione - una conclusione non del tutto nuova - poiché gli scolastici ebbero una intuizione fugace di essa, e S. Tommaso affermò ciò quando scrisse che è l'uomo che conosce e non le sue facoltà. Il processo sintetico non si ferma al senso, né al senso e all'intelletto; la volontà stessa sempre entra in sintesi nella funzione del conoscere, proprio come l'intelletto entra in sintesi con la funzione del volere. Questa dichiarazione è in armonia con ciò che noi abbiamo già asserito, che l'agente è il soggetto stesso che agisce attraverso le sue facoltà. Esiste qualche cosa come un atto puramente intellettuale? O un puro atto di volontà? Anche la più fr.edda e più arida speculazione è in se stessa un atto di volontà, che contiene valori affettivi siano essi diretti o indiretti. Noi lo chiamiamo atto intellettivo perché è principalmente teoretico, proprio come chiamiamo atto primariamente pratico un atto di volontà. Non si può concepire pura teoria o pura pratica; non esistono cose del genere. Il problema che ci si presenta è se ci siano due processi, intellettivo e volitivo, ciascuno dei quali appartiene ad una fa·coltà ed è giustapposto o coordinato dal soggetto, o se ci sia un singolo processo sintetico in cui o la teoria prevale sulla prati.ca o viceversa, secondo la direzione data dal soggetto alla sua attività.


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Proprio come il senso, come già abbiamo visto, è originariamente una sintesi dei poteri percettivi e conativi, allo stesso modo intelletto e volontà sono una sintesi di teoria e pratica. E proprio come non ci sono due processi, uno sensitivo e l'altro .intellettivo, ma un singolo processo sensitivo·intellettivo in sintesi, la sintesi abbraccia tutte le facoltà, anche la volontà. Quindi non ci potrebbe essere né la conoscenza senza la sensazione, né una conoscenza senza la volontà, né una volontà senza sensazione e conoscenza. La più alta speculazione intellettuale richiede l'espressione rivolta all'interno e all'esterno fondata sui simboli - simboli di immagini o numerici, di linguaggio parlato o scritto, di gesti interiori o esteriori. E questi elementi non sono giustapposti o concomitanti, ma sintetici nella intima essenza, anche se non espressi esternamente nello stesso momento. Il carattere sintetico della volontà è ancora più chiaro perché inizia e finisce nell'essere conc:r:eto. L'essere astratto non muove la volontà, a meno che esso non si presenti come concreto o possibilmente concreto, cioè come un bene. Noi così torniamo al fattore centrale, che è l'intuizione di-

retta del/' essere concreto come punto di partenza della oonosc1enza e C!ome scopo della volontà. Cos'è allora questa intuizione diretta dell'essere concreto? Pura sensazione? Se fosse così, non ci potrebbe essere conoscen~ za di un dato oggetto che rimarrebbe circoscritto all'interno della conazione sensitiva. E' essa l'astratta o universale idea di concretezza? Se fosse così, ci dovrebbe essere impedita ]'esperienza della realtà concreta. La base della cognizione, invece, è un'esperienza simultaneamente sensitiva e classificatoria, affettiva e volitiva, teorica e pratica. E questa base nel moderno linguaggio si chiama "esperienza"; essa è una sintesi perché è esperienza del molteplice ridotta ad unità. Se la nostra esperie11za d-ell'essere concreto fosse unicamente sensitiva, come si potrebbe essere coscienti di essa? E se la nostra esperienza intellettuale fosse unicamente astratta, relegata nell'universale, come potrebbe essere ridotta al concreto? E se la nostra esperienza volitiva fosse isolata, come potremmo apprezzare l'essere concreto come desiderabile e buono? Se queste tre esperienze


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fossero distinte, come potrebbero essere unite e fuse tanto da diventare una e sintetica? Secondo il Neo-Sintetismo, quindi, il processo cognitivo è un processo di sintesi o integrazione che termina in una sintesi completa. O piuttosto è una singola sintesi della quale il processo di integrazione è solo un passaggio dalla potenza all'atto. Ma qual è il suo valore? Il processo cognitivo rappresenta un mondo extrasoggettivo o è solo una pura esperienza dello stesso soggetto? Questo è il secondo problema per il Neo-Sintetismo, la sua soluzione è prettamente legata alla natura del processo che noi abbiamo esaminato «Sintetismo è dinamismo. Sintesi epistemologica è dinamismo epistemologico. Ma dinamismo è sintetismo. Dinamismo epistemologico è sintetismo episten1ologico». Così mons. Sturzo inizia un recente articolo che deve apparire fra breve su una rivista filosofica francese. E non si deve pensare che ciò sia semplicemente un gioco di parole; al contrario esso è una verità fondamentale che è stata intuita da molti, ma non è stata mai così chiaramente formulata. Fino ad ora abbiamo considerato la sintesi soggettiva del processo cognitivo, ma questa rimarrebbe un inutile gioco interno se non fosse possibile per il mondo esterno entrare in sintesi con il soggetto. Il soggetto può conoscere solo ciò che è in correlazione con lui, mentre ciò cl1e non è in rapporto con lui è inconoscibile. Ma perché ci possa essere relazione, ci deve essere un principio di omogeneità; l'eterogeneità pura è irrelata e quindi inconoscibile. Ma il relativo non può mai attuare la sua relatività, tranne che entrando in sintesi con il suo correlativo, vale a dire rimanendo immanente in esso. Senza immanenza non c'è conoscenza. Questo videro gli idealisti e videro bene, ma non trovando alcuna relazione fra un mondo esistente all'esterno e la mente, lo spirito che conosce, essi negarono il mondo esterno; per loro ogni cosa è spirito. Il Neo-Sintetismo, al contrario, riconosce il mondo esterno come oggettivo e quindi altro dal soggetto, e nello stesso tempo lo riconosce come relativo al soggetto, perché tutti e due trovano un principio di omogeneità nella natura fisica ugualmente presente in entrambi. Ecco qui una salda fondazione, che in ogni caso appartiene a tutti i sistemi della filosofia tradizionale.


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Comunque, secondo il Neo-Sintetismo, l'oggetto nel contatto fisico con il soggetto diventa immanente in esso, vale a dire, esso attua la sua relatività come oggetto in sintesi con il soggetto. Non si deve pensare che la parola "immanenza" qui non serva ad altro che a dare un'aria di novità alla teoria tradizionale, e sia solo usata per solleticare le orecchie moderne. Gli scolastici, invece, pensavano che l'intelletto conosce sé diventando tutte le cose: lntellectus fit omnia. Per gli scolastici l'oggetto, essendo materiale, non è legato all'intelletto, ma quest'ultimo crea da sé, per questa mancanza di relatività, divenendo tutte le cose, in quanto che esso procede per assimilationem per raggiungere la verità, adaequatio rei et intellectus. Per il Neo-Sintetismo «la realtà esterna per essere conosciuta deve farsi interna per mezzo di vie non cognitive, essendo impossibile che essa possa diventare tale per delle vie cognitive che sono del tutte interne e non possono diventare esterne [ ... ]. Il mondo esterno, per il fatto che è corporeo, non può avere relazioni, tranne che con termini affini [ ... ]. Le attività del mondo non sono in1111anenti in noi in una maniera connaturale1 perché esse non sono noi stessi _ma altro da noi [ ... ] esse sono im1nanenti in un processo relazionale e in inaniera transitoria. L'intero mondo è un sistema immenso di sintesi e relazioni. Ogni essere è una sintesi, e tutti gli esseri sono relazionali. Per questo il mondo è organico. E' organico perché ogni sintesi che costruisca il mondo dà e prende; prende risolvendo in se stesso le attività affini che emanano dalle altre sintesi; dà irraggiando intorno a sé parte della sua attività [ ... ]. E' il corpo dell'uomo estraneo a questo dinamismo? E come potrebbe esso rimanere isolato quando vive solacmente attraverso gli elementi del mo11do circostante che esso riceve e risolve in se stesso? Vivendo, l'uomo vive per mezzo di questi elementi, conoscendo egli conosce attraverso quella porzione di questi elementi che ha relazione con la sua fìsio-sensitività. Ogni elemento che è in relazione alla fisio-sensitività dell'uomo, che agisce sul suo corpo e che in questo si risolve, modifica lo stato di quel corpo [ ... ]. E come il corpo vive attraverso l'anima, ed attraverso l'anima è attivo e senziente, la modificazione non si ferma all'attività sensitiva del corpo, ma investe il suo intero essere.


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L'entrata è lasciata aperta dai nervi per ciò che concerne la natura fisiologica e cioè per ciò che è inconscio. Ma la ricezione non si ferma alla natura fisiologica, perché questa non è isolata dalla sensitività; né la sensitività dalla intellettività. E come tale diventa cosciente, per mezzo del processo che noi chiamiamo espressione» (Op. cit. In corso di pubblicazione). Avendo dunque chiarito la relazione sintetica fra l'oggetto e il soggetto, possiamo ritornare al nostro problema. Qual è il suo valore cognitivo? Secondo le nostre premesse, noi dobbiamo rispondere che il suo valore cognitivo può essere solo in ciò che è immanente. Poiché l'oggetto diviene immanente nel soggetto solo attraverso ciò che è relativo al soggetto, quello che è conosciuto può essere la stessa relazione. Ciò esclude la conoscenza della cosa in se stessa, se per cosa in se stessa intendiamo l'oggetto così com'è, al di fuori della conoscenza, poiché tali dati stanno al di là della nostra relazione con l'oggetto e sono, quindi, inconoscibili e in1pensabili. I11 sostanza, noi conosciamo i dati dell'oggetto che sono relativi a noi e da questa conoscenza deduciamo altri dati ed clementi che ci rappresentano la realtà che noi cerchiamo di comprendere. E' bene chiarire questa duplice operazione. La prima, della quale abbiamo trattato finora è l'intuizione, la diretta e immediata apprensione del reale concreto, nella sua relazione con noi, chiamata anche cognizione propria, così come la indicavano gli scolastici. L'altra, né diretta né immediata, ma indiretta, è l'esplorazione. {(Essa sin1ilmente è vera cognizione», scrive mons. Sturzo, «perché è strettamente connessa con la cognizione intuitiva; poiché essa non procede a priori per mezzo di forme innate, come Kant avrebbe voluto, ma nel suo modo proprio a posteriori, e dunque procede utilizzando gli elementi posti dall'intuizione, e le relazioni espresse o come categorie empiriche (tipi) o come categorie logiche (idee)» (Op. cit.). Quindi, tralasciando qualsiasi idea o forma di idea a priori e tralasciando l'adeguazione deil'intelletto alla cosa, tutto quello che rimane è il rapporto relativo, possa essersi questo formato direttamente attraverso l'intuizione o acquisito indirettamente attraverso !'esplorazione. Qui sembra sorgepe una grave difficoltà. Su cosa, allora, uno potrebbe chiedersi, l'astratta funzione


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dell'fotelletto si basa, se non sull'oggetto? Come possiamo conoscere l'essenza delle cose, se tutto quello che noi conosciamo della realtà sono relazioni? Mons. Sturzo scrive: «S. Tommaso non fa distinzione fra idealizzazione delle essenze e idealizzazione delle relazioni, ma parla di loro in maniera tale da far vedere chiaramente che per lui entrambi questi processi, e in ugual misura, rendono l'universale. Infatti, per lui l'astrazione 'a materia sensibili individuali' quanto l'astrazione 'a materia sensibili communi', entrambe rendono I'universale: la prima rendendo l'universale delle ·essenze fisiche, la seconda l'universale matematico e l'universale trascendente» (Autoformazione, III, 6, 324-325). Ora, secondo mons. Sturzo, il primo non può essere chia1nato veramente universale, ma una sintesi di particolare e universale " [ ... ] Quando noi diciamo vegetale noi indichiamo un complesso di dati particolari (piante), la qual nozione è teoretica per il concorso di dati universali, come a dire, quantità e qualità, processualità e vitalità, e simili. L'idealizzazione, cioè, la conoscenza teoretica di ogni oggetto reale, qualunque esso sia, è sempre sintesi di particolare e universale. Il qual universale, non potendo derivare da nessun particolare, deve derivare da altro e1emento, che non può essere che la ragione di rapporto [ ... ]. Con parole più tecnicamente chiare possiamo dire che il particolare è il fisico, l'universale il logico» (Op. cii., 325-326). Può sembrare che mons. Sturzo ripudi il realismo tomistico; ciò non è corretto. Egli tiene pPesente come motto: «Superare conservando)}, conservando per superare, che è una formula di progresso, mentre "conservare" solamente sarebbe statico, e "sorpassaPe" solamente, il segno di un inizio nuovo. Infatti egli è d'accordo con i tomisti aristotelici, che l'elemento primario da cui l'universale deriva, è da ricercarsi nella realtà oggettiva (e questo è il "conservare"), mentre egli ritiene che questo elemento primario non è nelle essenze, ma nei rapporti (e questo è il "sorpassare"). Egli scrive: «I termini, cioè gli oggetti non sono suscettibili di universalizzazione, dal momento che sono fisici, particolari e individuali; essi sono, comunque, suscettibili di idealizzazione attraverso le loro relazioni e le sintesi di queste.


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Le relazioni, d'altra parte, in quanto sono il rapporto fra termine e termine, sono nello stesso tempo fisiche e logiche. Esse sono fisiche nella loro esistenza concreta, in quanto che sono quelle date relazioni, quelle date dipendenze, quelle date connessioni [ ... ] sono logiche, in quanto sono rapporto fra termine e termine. L'uomo apprende particolari termini e particolari relazioni; apprendendo, egli conosce queste relazioni come il rapporto fra termine e termine. Egli esprime in modo particolare certi termini e certi rapporti; esprime la relazione tra termine e termine idealmente. Questo è l'universale» (Op. cit., 327). Da quello che abbiamo precedentemente detto, dovrebbe essere chiaro che il valore della cognizione, dato che si riferisce all'oggetto, deve essere chiamato oggettivo, ma non interamente oggettivo. Solo, dato che l'oggetto è relativo a noi stessi, sia come dato particolare o concreto, sia come dato universale o ideale. Quindi al problema su quale sia il valore dell'atto cognitivo, noi potremmo ora rispondere: il suo valore è insieme oggettivo, relativo e ideale. Mons. Sturzo fa una importante distinzione che viene qui riporta ta: «Nell'atto cognitivo», egli scrive, «noi possiamo di~ stinguere tre aspetti, il soggettivo, il modale e ]'oggettivo. Il primo potremmo chiamarlo, con la parola preferita dagli idealisti, autocoscienza, il terzo, coscienza, e il secondo, stato di coscienza, un tern1ine comune ad ogni sistema». Vediamo ora se questi tre aspetti si possono risolvere l'uno nell'altro. «Autocoscienza e coscienza sono nozioni opposte, perché l'autocoscienza è la consapevolezza dell'io, mentre la coscienza è la consapevolezza del non io. Se il non io potesse essere risolto nell'io, in una unione di coscienza e autocoscienza, esso non apparirebbe come opposto. Il fatto è che così appare, quindi esso è così. Poiché al di là del campo della conoscenza noi non possiamo andare [ ... ] per l'uomo la realtà è quella che gli viene presentata dalla conoscenza [ ... ]. Gli stati di coscienza sono precisamente un aspetto modale, perché essi non sono concepibili, tranne che in relazione a qualche altro elemento, ma essi sono una modalità soggettiva e non oggettiva [ ... ]. Essi possono essere, per esempio, stati mentali come un senso di benessere o di 1


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malessere, di gioia o di dolore, di energia o di languore, e così via. Essi non sono isolati dall'oggetto conosciuto, proprio come questo non è isolato dal soggetto, ma possono essere considerati senza riferimento ad esso, e così noi li consideriamo quando ne parliamo. Gli st<cti di coscienza sicuramente non possono essere risolti nell'oggetto, neanche quando, modificando la nozione, noi diciamo: questa conoscenza mi rend·e felice o mi rende triste'. Molto meno possono essere risolti nell'oggetto, quando, limitandoci alla pura nozione, noi diciamo: 'sono contento o triste e non so perché'. Essi possono, comunque, essere risolti nel soggetto, perché non sono nient'altro che modalità dell'autocoscienza [ ... ] e noi non li consideriamo in se stessi se non per astrazione o analisi. Così troviamo che nella nostra coscienza, che è la nostra conoscenza considerata nella sua realtà sintetica, ci sono due nozioni non risolubili l'una nell'altra, perché esse sono· opp.oste, e una terza cl1e, sebbene possa essere isolata analiticamente, è nello stesso tempo un elemento che ammette la risoluzione nel soggetto. Se l'Idealismo fosse vero, quello che noi diciamo degli stati di coscienza, si potrebbe dire della coscienza, cioè della cognizione dell'oggetto» (Art. cit.). La citazione è stata lunga, ma si potrebbe esprimere con più chiarezza e più marcata evidenza uno dei più controversi e fondamentali punti della filosofia? L'oggettivo valore della nostra conoscenza diventa chiaro. Ma noi aggiungiamo che esso è anche relativo. In precedenza, in questo articolo, abbiamo avanzato l'ipotesi che la nostra conoscenza potrebbe raggiungere la cosa in se stessa o l'oggetto così come esso è; la nostra conoscenza è dell'oggetto in quanto questo è relativo a noi stessi. E noi abbiamo evidenziato che il rapportualismo è la base organica della vita cosmica, che è una vita di sintesi e che queste sintesi si formano in quanto il correlato diventa immanente. La nostra esperienza è esperienza oggettiva del relativo, e noi di solito la ricapitoliamo in termini astratti come esperienza del vero, del buono, del bello. Queste categorie di base corrispondono alle categorie di relazione tra soggetto e oggetto. In realtà, l'oggetto, in quanto può essere conosciuto dal soggetto, è vero, in quanto può essere desiderato dal soggetto è buono, e in quanto 1


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può essere ammirato dal soggetto è bello. La verità, la bontà e la bellezza non appartengono né al soggetto in se stesso né all'oggetto in se stesso, ma all'esperienza che il soggetto fa dell'oggetto, cioè alle relazioni che nascono fra il soggetto e l'oggetto. Come si può vedere con uno sguardo di insieme, questo è il fattore ideale nella coscienza, che si sviluppa dal relativo. In termini più chiari si può dire che il soggetto, avendo una esperienza dell'oggetto a sé relativo, lo trasforma idealizzandolo e lo trascende. Per questa ragione noi possiamo dire che la cognizione è un atto creativo; l'intelletto esprimendo idealmente le relazioni fra soggetto ed oggetto crea il suo oggetto ideale. Tutte queste sono formulae che potrebbero avere una giusta ed esatta delineazione all'interno del sistema che stiamo considerando, ma che, al di fuori di esso potrebbero essere sbagliate o inesatte. In sostanza il valore della nostra conoscenza, e ciò che si applica alla conoscenza si applica anche all'autoconoscenza, il valore, in breve, della esperienza un1ana, è oggettivo "relativo", ideale Noi abbiamo citato una frase espressiva di i11ons. Mario Sturzo: <<sintetismo è dinamismo». Ciò significa che esso è un processo. Tutti ammettono che la conoscenza è un processo e parlano sempre di processo cognitivo, ma non tutti comprendono il valore della sintesi nel processo, che potrebbe essere descritta come «la dialettica del relativo che divenendo immanente si fa trascendente», che è come dire che il valore della conoscenza è oggettivo, relativo, ideale. E perché noi viviamo per mezzo della conoscenza e ogni nostro atto è sempre cognitivo e conscio, e anche i nostri mo~ vimenti vitali e inconsci si risolvono negli atti coscienti, la nostra vita intera procede da sintesi in sintesi di soggetto e oggetto, ed è accresciuta dalla moltiplicazione di altri soggetti cognitivi con i quali noi entriamo in contatto diretto o indiretto, formando così la vita sociale per ]a quale ogni singola esperienza è trasformata e sviluppata in esperienza collettiva. Questo processo, interno ed esterno, individuale e collettivo, e che noi possiamo esprimere con le categorie di spazio e tem.po gli idealisti chiamano "storia", e giustamente, ma essi 11

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sono costretti a considerarlo come una dialettica dell'Assoluto, dello Spirito, che diventa contingente nell'io fenomenico e questo, a sua volta, per conoscere si deve duplicare in soggetto e oggetto così da ritornare dopo in sé come soggetto, e così via, in un perpetuo fare e disfare. Ma dialettica e Assoluto sono due idee tali che l'una esclude l'altra. La dialettica appartiene al contingente e solo al contingente, in quanto che essa è insieme potenza e atto, o, meglio, processo e risolubilità, immanenza e trascendenza, unità e molteplicità. E' vero che il contingente postula l'Assoluto, ma un Assoluto molto differente da quello degli idealisti, che deve patire la dialettica dell'essere e del non essere, affermazione e negazione, potenzialità e attualità. L'Assoluto postulato dalla contingenza è al di sopra della contingenza, e quindi non processuale; al di sopra della dialettica e quindi non potenziale; è attualità, pura attualità, attualità assoluta. Il Neo-Sintetismo dà anche il nome di storia al processo interno ed esterno sia individuale che collettivo, ma per il NeoSintetismo questa è la dialettica del contingente e insieme e nello stesso tempo è soggettivo e oggettivo, relativo e immanente, trascendente e ideale. E quindi anche per il Neo-Sintetismo la storia è filosofia, nel senso di conoscenza ed esperienza dell'essere concreto o contingente nei suoi rapporti e nella sua dialettica. Ci si può chiedere: non è tutto ciò infetto dal microbo dell'immanentismo? Ha il diavolo immanentista preso l'abito del Neo-Sintetismo e si è travestito da monaco trascendentalista? Ma di questo non ci deve essere alcun timore. Tutto quello che abbiamo qui sostenuto è la giustificazìone, in nome della verità integrale, di quella verità parziale che la moderna filosofia ha raggiunto. E' un errore pensare che tutta la speculazione filosofica moderna sia stata una perdita, né si dovrebbero temere le parole, perché queste servono a prospettare nuovi modi di pensare. Da questo punto di vista lo storicismo moderno, basato sul binomio filosofia-storia, con l'una che si risolve nell'altra, è una conquista in se stesso, sebbene sia nato con l'Idealismo e sia stato alimentato dalla teoria idealista.


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E esso proietta un nuovo raggio di verità, se è separato dalla dialettica idealista, che noi abbiamo chiamato la dialettica dell'Assoluto, e viene sviluppato all'interno di un sistema filosofico come il Neo-Sintetismo, che si fonda sulla dialettica del contingente. Si può vedere chiaramente che «gli eventi umani sono storia non perché sono fatti, ma perché sono fatti animati dal pensiero. Per la stessa ragione ogni pensiero umano, in qualunque modo es,presso, è storia, non perché esso è un pensiero, ma perché è un pensiero risolto in azione, cioè, in fatto [ ... ]. Dove c'è pensiero c'è logica, e dove c'è logica ivi c'è filosofia. La storia è un fatto, perché dovunque c'è un fatto c'è logicità, e dove c'è logica c'è filosofia. Quindi appare chiaramente che dove c'è storia c'è filosofia e dove c'è filosofia c'è storia» (Autoformazione, IV, 2). Questa è la teoria della conoscenza nel Neo-Sintetismo. Mons. Sturzo deriva da essa nuove e interessanti visioni suH'etica, la pedagogia, l'estetica, e da questo punto di partenza, egli ha discusso a lungo i problemi dell'anima e di Dio. Questo tentativo di innestare un nuovo sistema sulla filosofia tradizionale è audace, ma ben meritevole di studio e discussione.

Luigi Sturzo {Traduzione di Vito Latora)


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APPENDICE II

Art. 7. THEORY OF KNOWLEDGE IN NEO - SYNTHETISM BY DON LUIGI STURZO

(Translated by Barbara Barclay Carter)

THIS is the fĂŹrst occasion on which I bave written of my brother, Mgr. Mario Sturzo. United as our lives are spiritually, practically they have been independent and detached. Older than myself by some ten years, be has been to me always not only a beloved brother but a guide and counsellor. Yet, on the other band, for the last twenty-seven years we bave lived apart, I immersed in political Iife, in sociological and historical studies, he in the pastora! duties of Bishop of a large Sicilian diocese. The mental freedom and ,sincerity of intercourse in which we were brought up bave led us to look upon each other's activities impersonally and critically, \Vhile the diverse experiences of each have helped the other - in my case especially - to complete and round off his own. The British pubUc would have no direct reason to concern itself with Mgr. Sturzo had not his studies and activities made of him the exponent of a new philosophic system to which he has given the name of NeoSynthetism, and \vhich constitutes a notable contribution to the solution of the problem of knowledge. He has not been a professional philosopher. His culture and early tastes were preferably literary, and his professional studies \Vere in Law, at the Universities of Catania and Rome. The care of the Sem.inary of Piazza Armerina, where he was appointed Bishop in 1903, obliged him to assume the teaching of Philosophy. It was this practical experience that led him to feel keenly the inadequacy of scholastic epistemology. His elaboration of this problem during ten years has resulted in various publications: the first in 1925, Il Proble1na della ,Conoscenza; the second in 1928, Il Neo-Sintetis1no; and the third in 1930, Il Pensiero dell'


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Avvenire. Three distinct stages, which mark the development of his theory and the consolidation of his system. During the fìrst quarter of the present century philosophic currents in Italy were dominateci by Croce's Neo-Idealism and Gentile's Actualism. Croce has worked bis Idealism into Historicism and .JEsthetics, Gentile's Actualism has invaded education and politics. But the centrai problem determining the movement of ideas in recent Italian philosophy and their influence in various fields of culture has been the problem of knowledge - a problem which has torrnented men far centuries and will torrnent them far centuries more, far it is of those that are inexhaustible, in each age presenting their Jights and shadows in accordance with the varying trend of thought. However, whereas in the Middle Ages the problem t'roubling the philosophers was the knowledge of 1netaphysical Being, from the Renaissance on\vards 1nodern philosophy has been directed to\vards concrete Being, and to the abstractive function of the intellect has opposed the synthetic function of experience. But - strange mirage! - the closer philosophy carne to concrete Being (and simultaneously we find the de· velopment of physical and natural ,science, history and sociology, and politica! economy), the further objective reality fled towards an ever-increasing subjectivity. In the course of this process l(ant's revision of the problem of knowledge marks the separation between reality as object of experience and the intellectual à priori forms. 1-Ience a fundamental scepticism, which the pragmatism of practical reason cannot remedy; the way is plain for rnodern ldealism. And this in substance is nothing other than the resolution of the object into the subject, inasmuch as the known resolves itself into knowing, that is, into experience as one and fundarnental outside which nothing can be said to exist or to be. Italian Neo-Realism has striven to rea.et, breaking down the circle and adrnitting the knowledge of external reality as it is, in its full objectivity. Its exponents take their stand on sense perception as fundamental and prima!, and on common sense as collective consciousness of the real truth. Reality, as they conceive it, dissolves into ·mere logical or sense elements; it neither reduces multiplicity to unity nor affords any intrinsic connection outside the relations between given entities. The Neo~SchoJa.stics, on the other band, though Realists, teach that concrete Being cannot intellectually be known save through the abstract concept of concreteness, since for them intellectual cognition attains not the particular but the universal. According to the Neo-Scholastics, concrete Being escapes us. But this aspect of the Scholastic thcory of knowledge was rendered untenable the day it was possible to assert, even without full explanation and proof, the direct intellectual cognition of concrete Reality.


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The centrai difficulty, which is, at bottom, the difficulty of ali philosophy, ancient and modern, lies ,jn the manner in which sense and intellect are conjoined in the single act of cognising the concrete, that is, the mode of operation of the cognitive synthesis and the value we should attribute to it. In other \Vorcls, in there ·Such a sy.nthesis? And if there is, does it serve to represent an extrasubjective world or is it merely experience of the subject itself? These two problems are distinct, yet at the same time closely connected, since the value of the cognitive act depends on the character of the cognitive synthesis. This, then, is the fundamental problem. All theories of knowledge start from sense-perception, as they are bound to do by the very fact of human nature. And in sensation all discriminate bet,veen the function of cognition, or perception of the sense data, and the practical function of conation. Is this discrimination merely one of :logical analysis, or does it çorrespond to a real and psychological distinction in the act of '5ensation? The majority of theorists incline towards the latter solution. Mgr. Sturzo, on the contrary, finds sensation taken in itself to be a prirnary synthesis, i.e. "a process produced by inner activity". In fact to perceive is to indivi.duate, that is, to discriminate. One cannot perceive \vhat is undifferentiated, conh1sed, chaotic. To perceive shapes, sounds, smells, tastes, resistances, is not unrelated perception but perception of what is distinct and relative. Now, \vhat is there in the sense-life to produce this classification? Nothing else than the conativc activity. Here \Ve bave not the n1ere simultaneìty of t\vo distinct acts but the synthesis of tvJo tendencies or pov.rers in the single s·ensitive faculty, inasmuch as there cannot be perception without conative discrimination. One step further. At the very beginning of his system Mgr. Sturzo asks himself if in man there is such a thing as pure ·Sensation, if human sensations in the concrete of existence are ever really pur-e sensations, distinct not only Iogically but psychologically from any intellective function. All the spiritual philosophers admit that in man there are two worlds, on the one hand sensation and the sensitive process, on the other intellect and the intellectual process, and hencc they seek far a bridge that will connect the two v.rorlds and the two processes. Platonists say that with the sensation comes an awakening of innate ideas, In generai all à-priorists posit an external or sense world and an inteJiective \Vorld of innate ideas, or of à priori categories. These two worlds remain not only distinct but separate and unrelated. Aristotle tries to selve the problem by the construction of an interior mechanism, an intellect operating \vithout cognising (the inflellectus agens) \Vhich passes on to the inteflectus passibilis, the intelHgible species ab·


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stracted from the sensible image. The Medireval Schoolmen accepted the intellectus agens, but they held .it to be assisted by special divine intervention. This mysterious element has disappeared in Neo-Scholasticism, which, however, remains faithful to Aristotle's intellectus agens. Hence, even aocording to Aristotle and the Scholastics ancient and modern, the process of cognition is -twofold, on the one side sense perception, on the other that of the .inteJlect. Modem philosophers who maintain the duality of sense and intellect (excluding therefore pure .materialists or sensationalists), while not accepting Aristotelian mechanism, bave not escaped from the theory of a double and distinct cognitive process. Hence they 路sta路rt from a 路recognition of pure sensation, devoid of any intellectuality. In the ldealist system sense and intellect work in synthesis, but here, in the same way as the object resolves itself into the subjcct, sense resolves itself into intellect, the phenomenal spirit into the Spirit of which the \Vhole existential world is only a conscious, or, rather, self-conscious, dialectic process. Por the ldealists, therefore, the synthesis of .sense and intellect is not the synthesis of t\VO distinct principles but of a single dialectical process. But when they speak of sensation they understand it as pure - that is, as a stage in itself of the cognitive process. To Mgr. Sturzo's question as to whether there is such a thing as pure sensation, all reply more or Jess explicitly that there is. From the point of view of theory of knowledge, therefore, hc calls the exponents of such systen1s either separatists, such as the Platonists and Aristo路 telians, or inco111plete synthetists, such as thc Psychologists, Sensationalists, and Idealists. And therefore, to his own system, which is primarily a theory of knowledge or epistemology, he gives the name of NeoSynthetism. According to Neo-Synthetism, all our knowledge begins with the intuition of the real and external object, that is, with direct cognition of the concrete. This intuition is not pure .sensation, but also intellectual cognition and hence a synthesis of sensation and intellection. Our argument is bere chiefly w.ith the Scholastics, vvho do not admit direct intellective knowledge of concrete Being, vvhereas other modern systems, each in its own way and in accordance with its inner 'logie, admit such knowledge. And how can it be denied that cognition of the concrete real is direct intellective perception, \Vhen man from the unity of experience individuates, appraises, classifics thc object cxperienced? The Neo-Scholastics maintain that for this an indirect intellectual kno\vledge is sufficient inasmuch as our mind forms the idea or abstract concept of concreteness. This \Vay of avoiding the difficulty is not only repugnant to modem thought, but is contradicted by the who1e of experience, which is not separative or analytic, but unitive and synthetic.


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The avoidance of the issue by the Neo-Scholastics is the result not so rnuch of the abstract standpoint of the old Schoolmen as of the fear of mixing two such apposite functions as the spiritual one of the intellect and the n1aterial one of the senses. Even in the thirteenth century the same repugnance led to .attempts to maintain that in man there existed three souls, or at least two, the vegetative and sensitive, and the intellective. To such a point, that among the propositions in the works of St. Thomas Aquinas condemned by the Bishop of Paris and the University of Oxford was that of the unity of the soul - the intellective soul, presented as the single and substantial form of the body, and hence with vegetative and sensitive functions. Dante in the famous Canto XXV of Purgatory wished to vindicate the Thomistic theory; it was then one of the questions of the day. This is not ·merely an historical reference but serves to illustrate the hypothesi.s of synthesis by an indisputable elen1ent, the nature of the cognitive subject, Man, in whom body and soul are united in marvellous synthesis. Mgr. Sturzo ,does not base his theory on any à priori element, but attacks the problem of the cognitive process directly. After a ca:reful analysis he reaches the conclusion that it is not the sense that feels nor the intellect that knows, nor the will that wills, but the subject, Man, who in synthetic unity feels with his senses, kno\\~s with his inteHect, and wills with bis \Vill. "We -say ... that the human subject is himself a manifold capacity, this capacity being the activity of the one and manifold subject; a fundamental capacity realising itself in single activities of which each fulfils its O\Vn function, and yet all share in the synthetic functions and character of the subject, in virtue of the synthetic unity of the subject. (La Tradizione, Palermo, Voi. III, Nos. I-II, 1930). I.n substance, human acls do not begin and end \VÌth the faculties, nor are the faculties the subjects of hu1nan activity; they are only the means, and while each means is distinct in itself, the subject, Man, acts in synthesis. This principle once established, there is no difficulty in admitting a primary, originai, and basic ,synthesis of sense and intellect in the act of intuition. Nor is -there any need to introduce an intellectus agens, which in any case would not be a true inteilect because without ,cognition. The natural synthesis arising .in a subject endowed with sense and intellect is sufficient; for the sensitive function is not exercised by the senses nor the intellectual by the intellect, but both in ·synthesis by the subject as a whole. A careful inquiry into the nature of cognition has brought us to this conclusion - a conclusion not wholly new, for the Schoolmen had


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a glimpse of it, and St. Thomas asserted it when he wrote that it is man that knows and not his faculties. The synthetic process does not ,gtop short with sense, nor with sense and intellect; the wil.1 itself always enters in synthesis into the function of knowing, jusi as the intellect enters in synthesis into thc func.tion of willing. This statement is in harmony with what we have already asserted, that the agent is the subject itself acting through its faculties. Is there such a thing as a purely intellectual act? Or a pure act of will? Even the coldest and most arid speculation is in .itself an act of will, containing affective values whether direct or indirect. We call it an intellective act because it is mainly theoretical, just as we call a prirnarily practical act an act of will. We cannot conceive of pure theoria or pure practice; there are no such things. The problem before us is whether there are two processes, intellectual and volitional, each tak.ing piace in its own faculty and juxtaposed and co-ordinated by the subject, or whether there is a single synthetic process in which either theoria prevaiis over practice or vice versa, according to the direction given by the subject to its activity. Just as sense, as we bave seen, is originally a synthesis of perceptive and conative po,vers, in the same way intellect and wtill are a synthesis of theory and practice. And just as there are not two processes, one sensitive and the other intellective, but a single sensitive-inte1Iectual process in synthesis, the synthesis embraces all the faculties, even the will. IIence there can be neither cognition \V.ithout sensation, nor cognition without volition, nor volition without sensation and cognition. The highest intellectual speculation requires the inward and outward expression founded on symbols - sym bols imagist or numerica!, Ianguage spoken or written, gesture interior or exterior. And these elernents are not juxtaposed or concomitant but in\vardly synthetic, evcn if not outwardly expressed at the same moment. The synthetic character of volition is even plainer, for it begins and ends in concrete Being. Abstract Being does not move the vvill unless it presents itself as concrete or possibly concrete, that is, as a good. We thus come back to tbc focal factor, that is the direct intuition of concrete Being as starting point of cognition and as goal of 1vill. What, then, is this direct intuition of concrete Being? Pure sensation? If so, there could be no cognition of the individuated objcct, which \.vould ren1ain circumscribed \.vithin sensitive conation. ls it the abstract or universal idea of concreteness? If so, \V路e should be debarred experience of concrete reality. The basis of cognition, indeed, is an experience simultaneously sensitive and classif矛catory, affective and volitional, theoretical and practical. And this basis in modern parlance is called "experience"; it is one and synthetic because it is experience of


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the multiple reduced to unity. If our expcrience of concrete Being were solely sensitive, how could we be conscious of it? And if our intellectual experience were solely abstract, confined to the universal, how could it be reduced to the concrete? And if our volitional experience were isolated, how could we attain to an appreciation of concrete Being as desirable and good? If these three experiences were .distinct, how could they be united and fused so as .to become one and synthetic? A·ceording to Neo-Synthetisrn, then, the cognitive process is a process of syntheses or integrations ending up with a complete synthesis. Or, rather, it is a single synthesis of which the process of integration is only a process from potentiality to actuality. But what is its value? Does the cognitive proccss represent an ·extra-subjective world, or is it only pure experience of the subject itself? This is the second question, and for Neo-synthetism its solution is closely bound up wiith the nature of the cognitive process \Ve bave examined. "Synthctism is dynamism. Epistemologica! synthesis is epistemologica! dynan1ism. But dynamism is synthetism. Epistemological dynamism is epistemologica} synthetism". Thus Mgr. Sturzo begins a recent article which is to appear shortly i.n a French philosophical revie,v. And it must not be thought that here tl.s merely a play nn words; on the contrary, it is a fundamental truth which is felt by many, but has never been so clearly formulated. Up to the present we have considered the subjective synthesis of the cognitive process, but this would remain a useless inward game were it not possible for the outer world to enter into synthesis \Vith the subject. The subject may knovv only what is relateci to ~tself; the unrelated by itself is unknowable. But in order that there may be relativity, thére must be a principle of homogeneity; pure heterogeneity is unrelated and hence unknowable. But the relative can nev:er actuate d.ts relativity ·save by entering into synthesis 'vith it,s ca-relative, that is, by becoming immanent in it. Without immanence there is no knowledge. Th:is the Idealists saw, and saw truly, but not finding any relativity between an outward existent world and the m.ind, the spirit that knows, they .ctenied the autside \Vorld; far them everything is spirit. Neo-Synthetism, on the contrary, recognises the autside world as objectiv:e and therefore other than the subject, and at the same time necognises it as lìelative to the subject, for both find a principle of homogeneity in physical nature, equally present in both. H.ere is a firm foundation, which in any case belongs to all the systems of traditional phllosophy. However, according to Neo-Synthetism, the object in physical contact with the subject becomes .immanent in it, that is, ±t actuates its relativity as object in synthesis with the subject. It .must not be thought that the word "immanenoe" bere serves 1


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but to give an air of novelty to traditional theory, and is only used to tickle modern ears. The Schoolmen, illdeed, thought that the inteHect knows by itself beoo1n1ng all things: intellectus fi-t 0111nia. Far .the Schoolmen the object, being materjal, is unrelated to the intellect, but the 1atter makes up far this lack of relativìty by itself becoming all things, inasmuch as it proceeds per assiJnilationem àn arder to reach the truth,

adcequatio rei et intellectus. Far Neo-Synthetisrn "the iexternal reality in arder to be known must make itself internal by non-cognitive paths, it being impossible that it should become so by the paths of cogniNon v,11hich are wholly internal and cannot become external. [ ... ] The external world, in ·SO far as it :is corporea!, cannot hav;e relations save with kindred terms. [ ... ] The activities of the world are not immanent in us in a ·ca-natural manner becau.51e they are not ourselves, but other than ourselves [ ... ] they are immanent in a processive relational and tra,nsitory manner. The whole world is an immense system of syntheses and relations. Every being is a synthesis, and aLI beings are relational. Because of this, the \Vorld is organic. I t is organic because ievery synthcsis making up the world takes and gives; it takes by resolving the kindred activities radiati.ng from other syntheses into itself; it gives, radiating round itself a part of its activity. [ ... ] Is the body of man 1extraneous to this dynamis1n? And how could it remain apart when it only lives through the elements of the surrounding world vvhich rit reccives into its,elf and resolves into itself? Llving, man liv.es by thcse c1ements, knowing he knovvs by that portion of these elen1ents that has relation to his physio-Siensitivity. Every .element that is in relation to the physio-sensitivity of inan acting upon his body and becoming resolved into it modlfies the state of that body. [ ... ] And as the body livcs by the soul, and by the soul is active and -sensient, the modification does not stop short .a-t the sensitive activity of thre body but invests his \Vhole being. The entry is thro\vn open by thc nerves in so far as physiological ,nature is :concerned, and thus far it is unconscious. But the reception does not stop short at physiological nature, for this is not ~solateci from sensitivity, nor sensitivity from intellectivity. And as .such it becomes conscious, by 1n\Cans of the process wie call expression". (Op. cit. jn course of publication). Having thus cleared up the synthetic relationship bet,v,een object and subject, Jet us 11eturn to our quesHon, What is its cognitive value? According to our premises, we must answer that its cognitive vahre can only be of that which 1is immanent. And sinae the object becomes immanent in the subjiect only ihrough what is .relative to the subj:ect, what is known ,can only be this v.ery re1ation. This excludes knowledge of the thing ·in ifs,elf, if by thing in itself we mean the object as it is, outside kno\vledge, for such data lie bcyond our re1::ttionship \vith the object, and are therefore unknowable a.nd unthinkable.


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In substance, we know the data of the object which are relative to us, and from this knowledgie \V/e deduoe other data and elements re· presenting to us the reality we seek to comprehend. It is well to be clear as to this twofold operation. The first, vvith which we have dealt up till now, d.s intuition, -the direct and immediate apprehension of the concrete real in its relativity to us; called also cognition proper, and so the Schoolmen caliled it. The other, neither direct nor immediate, but ffidirect, is exploration. "I t likewise is true cognition", \Vrites Mgr. Sturzo, "far it is closely connected with intuitive cognition; since it does not proceed à priori by rneans of fumate forms, as ICant would bave it, but in its o\vn way à posteriori, and since it prooeeds by utilising the elements posited by intuition, the relationships expressed ,either as empirica! categories (types) or as logica! categories (ideas)''. (Op. cit.) Therefore, ruling out any à priori idea or form of idea, and ruling out the adequation of the intellect to the thing, aU that remains is the relative relationship, whether this be seized directly through intuition or acquired indirectly through exploration. Bere a grave difficulty seems to appear. On what, then, one might ask, does the abstractive function of the intellect base itself if not on the object? How can we know· the essences of things if all we know of reality is relations? Mgr. Sturzo writes: "St. Thomas does not ,discrim.inate between the idealisation of essences and the idealisation of relations, but speaks of them in such a manner as to make it clear that for him either of· these processes, and one as much as the other, gives the univ.ersal. In fact for hi1n abstraction 'a n1ateria sensibili individuali' and abstraction 'a 111ateria sensibili con1uni', both give the universal, the first type of abstrac tion giving the universal of the physical 1essences [ ... ] the second the mathematical universal and the transcendent universal". (Autoforn1azione III, 6, pp. 324-325). Now, according to Mgr. Sturzo, the first cannot truly be ca:Ued a universal, but a synthesis of particular and universal "[ .. ,], When we say vegetai \ve indicate a complexus of particular data (plants), and this notion >is theoretical through the concurrenoe of universal data, such as quantity, quality, and so forth. The idealisation, that is to say the theoretical knowledge of any real object whatever it be, is always a synthes~s of particular and universal. And this universal, since it cannot derive from any particular, must derive from some other elernent, \Vhich can only be the element of relationship, With words t·echnically clearer we may say that the particular is the physical, the universal the logica!''. (Op. cit., pp. 325-326). It rnay appear to some that Mgr. Sturzo repudiates Thomistic realism; this is not correct. He holds as motto "superare conservando", conserving to surpass, which is a formula of progress, \vhereas "conserving" alone would be statica!, and "surpassing" alone the sign of a 0


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fresh beginning. In fact, he agrees with the Aristotelian Thon1ists that the primary element from \vhich the universal is derived is to be found in objective reality (and this is "conserving") 1 whereas he holds that this primary element is not in the essences, but in relations (and this is "surpass1ng"). He \Vrites: "Terms, that is to say objects, are 11ot susceptible of universalisation, since they are physical, particular, and individuai; they are, ho\vever, susceptible of idealisation through their relations and the synthesis of these. Relations, on the other band, 1n so far as they ar:e the relationship between term and ter1n, are at once physical and logical. They are physical in their concrete existcnce, inasn1uch as they are those given relations, those given dependencies, those given connections ... they are logical inasmuch as they are the relationship between term and tern1. M.an apprehe111ds particular ter1ns and particular relations; apprehending, he knows these relations as. the ,relationshi:p between term and term. He .expresses particular tern1s and particular relationships particularly; he expresses the relationship betwecn tern1 and term ideally. This is the universal''. (Op. cit., p. 327). From what we bave already said ,it .should be clcar that the value of ,cognition, in so far as it refers to the objcct, musi be called objective, yet not wholly objective. Only in so far as the object is relative to ourselves, either as a particular or concrete datum, or as an universal or ideal datum. To the question, therefore, as to \Vhat is the value of the cognitive act, we may now answer: Its value is at once objective, relative, and

ideai. Mgr. Sturzo makes an important distinction which is herc apposite. "In the cognitive act", he writes "[ ... ] \ve n1ay distinguish three aspects, the subjective, the modal, and the object•ive. The fìrst we may call, with the favourite v.rord of the Idealists, self-consciousness, the third consciousness, and the second state-of-consciousness - a tcrm co1nmon to every system. Let us now see if these three aspects can be resolved one into the other. "Self-consciousness and consciousness are apposite notions, for selfconsciousness i-s co.nsciousness of the ego, \Vhereas conscious is consciousniess of the non-ego. If the non-ego could be resolved •into the ego, in a union of cons·ciousncss and self-consciousness, .it would not appear as apposite. The fact is that it so appears; therefore it is so. Since beyond the field of knovvledge \Ve cannot go [ ... ] for man reality is such as his knowledge presents io him [ ... ]. States of consciousness are a modal aspect precisely because thcy are not conceivable save in relation to some other ele1nent, but they are a subjective modality and not an objective one [ ... ]. They may be, for instance, states of mind such as a sense of vvell-being or uneasiness, joy or v..roe, stTength or 1anguor, and so forth. They are not isolated from the object knov..rn, just as thìs is not isolated from the subject, but they 1nay be considered without


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to it, and -thus we consider then1 vvhen we speak of them. States of consciousness assu-redly cannot be resolved into ~the object, not even when modifying the not.ion we say 'this knowJedge rnakes me glad or sorry'. Much less can they be resolved Unto the obj.ect when confining ourselves to the specific notion we say 'I an1 glad or sorry and do not know \vhy'. They can, however, be resolved into the ,subject, for they are nothing other than modalities of the self-consciousness [ ... ] ànd we do not consider them in themselves save by abstraction or analysis [ ... ]. Thus we find that in our consciousness, whìch is our knowledge cons.idered in its synthetic realiity, there arie two notions not resolvable one into the other because they are opposites, wùth a -third which, although it may be isolated analyticaHy, is at the sa1ne time an element adm.itting of resolution into the subject. If Idealism were true, \Vhat we say of states of consciousness could be said of consciousness, that is, of the cognition of the object". (Article already quoted). The quotation has been a long one, but could one of :the most controversia! and fundamental points of philosophy bave been expressed with greater clarity or stronger evidence? The objective value of our knov./ledge becomes plain. But wie added that it is also 11elative. EarJ.ier in this article \Ve ruled out the hypothesis that our cognition could reach the thing in itself or the object as it is; our knowledge .Js of the object in so far as this is relative to oursehces. And W1e pointed out that relatedness is the organic bas·is of cosmic life, which is a I.ife of synthesis, and that these syntheses form themselves in so far as the related becomes immanent. Our experience is objicctive experience of the relative, and we usuaHy sum it up in abstract terms as experience of the true, the good, and the beautiful. These basic caùegories correspond to the categor.ies of relations bet\veen ·subject and object. Indeed, .the object in •S-o far as it can be kno,vn by the subject is true, in so far as it can be desired by the subject it is good, and in so .far as it can be admired by the subject it is beautiful. Truth, goodness, and' beauty appert.ain neither to the subject in itself nor to the -object in itsclf, but to the subject's experience of the .object, that is, to the rclations arising bet\veen subject and object. As one may ·seet a glance, this is the ideal factor in consciousness, which develops from the relative. In .more expressive terrns one may say that the subject, having an experience of the object relative to itself, transforms it by idealisation and transcends it. For this reason we n1ay say also that cognition ~s a creative act; the inteHect by expressing ideally the relations between subject and object creates [ts ideal object. AU these are formulre that may have a right and exact colouring inset in the system we are considering, but \Vhich outside this system might be wrong and inexact. In substance, the value of our k:;no\vledge, and \Vhat appJies to knowledge applies also to seJf~knowledge, the vailue, .in short, of "human ex-


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perience", is objectlvie, relative, ideal. We have quot,cd an exp11essive phrase of Mgr. Sturzo's that "synthetism is dynamism". Which means that it is a process. AH admit that ·cognition is a process and speak always of the "cognitive process", but all do not fully understand the value of synthesis in the proccss, which might be described as "the dialectic of the relative which becoming immanent makes itself transcendeni". And this is the same as saying that the va1ue of knowledge is objective, relative, ideal. And since vv1e live by knowledge and every act of ours is alw.ays cognitive or conscious, and even our vital and unconscious movements resolve themselves into consoious acts, our whole life proceeds fro1n synthesis to synthesis of subject -and object, and is multiplied by the multiplication of other cognitive subjects \Vith \Vhich we enter into direct or ·indirect contact, thus form.ing the socia! Jrife by which each single experi.enoe is transformed and developed in the colJective ,experience. This process, inner and outer, ind·ividual ancl collective, and \vhich we n1ay express by the categor.ies of space and time, the Idealists call history, and rightly, but they are forced to look upon it as a diarlectic of the Absolute, the Spirit, which becomes contingent in the phenomenal ego, and this in its turn in order to knovv must duplicate itself into subiect and object ,so as afterwards to return upon itself as subject, and so forth in a perpetuai making and unmakiing. But dialiectic ancl Absolute are t\.vo ideas of which one rules out the other. Dialect belongs to ihe contingent and only to the contingent, inasn1uch as it is at once potentia:lity and actuality, or, better, prooess and resolvability, immanence and transcendenoe, unity and multiplicity. It is true that the contingent postulates the Absolute, but a very different absolute from that of the ldealists, which has to suffer the dialectic of being and not being, affirmation and negation, potentiality and actuality. The Absolute postulateci by contingence is aboVle contingence, and hence not proccssual, above dialectic and hence not potential; ~t is actuality, pure actuality, absolute actuality. Neo-Synthetism also gives the name of history to the inn.er and outer individuai} and coUective process, but for Neo-Synthetism this is the dialectic of the contingent, at one and the same time subjec"Ùive and objectiv.e, relative and imn1arnent, transcendent and ideal. And hence far Neo-Synthetism tao history is philosophy, in the sense of knowledge and experience of conc11ete or contingent Being in its bearings and in its dialectic. It may be asked: Is not all this infected \vith the microbe of i1111nanentisn1? Has the immanentist devii takien the frock of N,eo-Synthetism and become a transcendentalist monk? Of this there need be no fear. AH we bave bere is the vindication, on behalf of integrai truth, of what parti al truth modern philosophy has attained. I t is a mistake to think that all modern phi•losophical speculation has been a Ioss, nor


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should one be afraid of words, for these serve to prospect 路new ways of thinking. From th<is point of view modern histori,cism, based on the binomia! philosophy-history, with one resolving into the other, is an achievement that stands by its,elf, even though lit was born with Idealism and nourished by ldealist theory. And it projects a new ray of truth if it is separated from Idealist dialectic, which we have called the dialectic of the Absolute, and developed within a philosophic system such as NeoSynthetism, which is founded on the dialectic of the contingent. One can then see clearly that "human events are history not because they are facts, but because they are facts animated by thought. For the same reason every human thought in whatever way it is expressed is history, not because it ~s a thought, but because it is a thought resolved into act, that is, into fact [ ... ]. Where there is thought there is logie, and wher:e there is logie the:re is philosophy. History is a fact because wherever there is a fact there is logicity, and where ther:e is logie there ~s philosophy. Hence it appears clearly -that wh路ere there .is history there is philosophy, and vvhere there is philosophy there is history". (Aulofor1nazione IV, 2). Such is the theory of knowledge in Neo-Synthetism. Mgr. Sturzo derives from it ne\v and interesting views on ethics, pedagogy, and IBsthetics, and from this stand-point he has discussed at length the problems of the soul and God. This endeavour to graft a new system on to traditional philosophy is a bold one, but one well \Vorthy of study and discussion. L. STURZO


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NOTE SUL PENSIERO EDUCATIVO E DIDATTICO DEL CATANESE GIUSEPPE COCO ZANGHY

FRANCESCO FURNARI ''

G. Coco Zanghy è nato a Catania il 17 marzo 1829. Dopo avere compiuto gli studi nel seminario arcivescovile, nel 1854 fu ordinato sacerdote dal vescovo Felice Regano. Di <<ingegno perspicace e svegliatissimo», unitamente all'esegesi biblica, alle scienze biologiche e al diritto canonico si dedicò ad altre scienze come la cosmologia, la fisica, l'economia e larcheologia. Insegnò teologia dogmatica all'Università di Catania ed esegesi biblica, lingue orientali e diritto canonico nel seminario arcivescovile. Fu bibliotecario della biblioteca comunale e socio di molte accademie nazionali ed estere. Dal 1867 vicario generale del cardinale Giuseppe Benedetto Dusrnet, arcivescovo di Catania, che accompagnò quale teologo al Concilio Vaticano I. Morì il 21 novembre 1878, non ancora cinquantenne «poco agli anni e molto alla scienza e alla virtù» 1. Di recente, su Coco Zanghy sono apparsi degli studi che

'" Docente di Psicologia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Cfr. F. CASTRO, Elogio funebre di Monsig. Giuseppe Coca Zanghy letto nelle solenni esequie celebrate nella Chiesa cattedrale 23 nove1nbre 1878, Tipografia Roma di Ros·ario Bonsi~nore, Catania 1879, 6.


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mettono bene in risalto alcuni aspetti molto interessanti del suo pensiero teologico 2• Il presente contributo prende in considerazione l'aspetto psico-pedagogico e didattico così come emerge dalla lettura di una sua opera: L'educazione della gioventù studiosa. Programma proposto per il Seminario Arcivescovile di Catania, Tipografia E. Coco, Catania 1869 3•

1.

Educazione del clero ed educazione cattolica

Nella Introduzione 4 , riferendosi alla allocuzione fatta da Pio IX al Concistoro del 9 giugno 1862, il Coco Zanghy afferma che le parole del pontefice comprendono in «sintesi un programma di educazione per il giovane clero, potendosi nell'istesso tempo riferire ad una generale educazione cattolica» 5 • Ecco gli avvisi che si leggono intorno all'educazione cattolica: «[ ... ] ·si badi che ,la gioventù dei due sessi sia informata al-

l'onestà di cuore, alla degli studi sia salutare studi.i nulla ·si insinui alla religione, a' buoni

pietà e a tutte le virtù, che l'ordine [ ... ], che nelle lettere e 1nei forti e alti che possa tornar contrario alla fede, costumi» 6•

Il Nostro sembra dunque del parere che l'educazione per il cristiano, sia esso chierico o laico, debba essere unica e non scissa o scindibile, se non per i ruoli o per i diversi ministeri. Convinzione che a partire dal Concilio Vaticano II ha preso sempre più piede. Il cristiano deve essere educato alla luce di Dio, come Sua Immagine, a prendere coscienza di sé come u,omo e a prendere 2 C.fr. S. CONSOLI, Cristianesin10 e pena di morte. Attualità del pensiero del catanese Coco Zanghy, in Synaxis 3 (1985) 33-65; cfr. Io., La n1orale nel pensiero del catanese Giuseppe Coca Zanghy. Alcuni tratti della sua concezione teologica, in Synaxis 4 (1986) 123-150. 3 D'ora in poi sarà citato con L'educazione. 4 L'educazione, 3. 5 L. c. 6 L. c.


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coscienza del dono della fede. Un cristiano così formato sarà capace di libertà e di responsabilità e di agire per il bene della società 7 • Queste considerazioni formative valgono a maggior ragione per la educazione del clero: ((·L'ilnportanza dell'educazione del clero ·si unizza con la stessa i1nportanza della religione che si .i,ncarna nei suoi ministri in cui e per cui appalesa le sue meraviglie» 8 •

Ed è proprio per il seminario catanese che, nel 1869, il Coco Zanghy espose, inseriti in un progetto 9, i principi ai quali doveva richiamarsi l'educazione igienica, spirituale, morale e culturale dei giovani e futuri candidati al sacerdozio. Il suo progetto riceve senso e significato dall'ormai mutato quadro politico e culturale conseguente all'avvenuta unità d'Italia nel 1860. La cultura laica, liberale e positiva della seconda metà dell'Ottocento, buttando discredito sulla vita religiosa e sul sacerdozio contribuì, assieme alla diffusione dell'istruzione pubblica, almeno di quella elementare, al decremento degli alunni in seminario ma diede nel contempo un benefico effetto p11rificando <<Ì motivi vocazionali e per favorire un lento ma crescente cammino per sostituire ad un clero pletorico e altarista un clero religioso e fondamentalmente impegnato nella pastorale» 10 • La mutata situazione politico-culturale ha avuto comunque effetti differenti al sud nei confronti del nord. Nel sud, il se1ninario costituiva ancora una .preziosa occasione di studio e di carriera per i giovani di molte famiglie.

7 Cfr. la dichiarazione conciliare del Vaticano II sull'educazione cristiana Gravissùnun1 Educationis, in Euchiridion Vati.canu1n, I, ED, Bologna 1976 10, 450-475. Sulla educazione cristiana e sulla scuola cattolica si cf.r. M. PELLEREY (a cura di), Progettare l'educazione nella scuola cattolica, LAS, Roma 1981. s L'educazione, 4. 9 Nella Gravissin1un1 Educationis viene usato il termine iinago, che viene tradotto spesso con "disegno". Oggi si potrebbe dire "progetto". 10 G. ZITO, La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1891), Galatea, Acireale 1987.


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La situazione scolastica nel Regno delle due Sicilie, nonostante i ricorrenti progetti di riforma e di riordinamento dell'istruzione di un Mazzetta e di un De Sanctis, è la più cristallizzata che nel resto dell'Italia. «Se qualche cosa rin1ase anzi fu in senso conservativo e clericale, sotto un regime che diventava sempre più paternalistico quando non autoritativo>> 11,

Nel 1859, con la legge Casati abbiamo un tentativo più organico di legge sull'istruzione scolastica. Questa legge restò in vigore fino al 1923. Non fu comunque una legge innovatrice. Ripropone, infatti, in modo più compiuto gli stessi principi delle leggi precedenti vigenti nel periodo della restaurazione risultando, di conseguenza, causa ed effetto, al tempo stesso, del ritardo democratico del nostro paese. Al sud si constata, inoltre, una maggiore presenza di seminari. Questo certamente non favoriva una educazione e formazione di profondo e largo respiro, tenendo anche conto che l'unica fonte di aggiornamento culturale era allora La Civiltà Cattolica, che divulgava l'idea che la scienza e la filosofia fossero ancelle della gerarchia. Si capisce così come in questo clima del "dopo la presa di Roma" il clero avesse una formazione apologetica, integrista e ultramondana. I seminari delle piccole diocesi del sud non potevano essere, dunque, «istituti vigorosi ed utili, nonché agli alunni laici, neppure agli stessi chierici» 12 • A Catania, invece, così come a Palermo, Monreale ed Agrigento esisteva un piano di studi completo, dove si impartiva da un minimo di 11 ad un massimo di 14 anni di formazione e culturale e spirituale. In questo clima spirituale e culturale che è a Catania quello impresso e stimolato dal Dusmet, si inserisce la proposta Il B. BELLERATE, c. CIANCIO, G. FERRETTI, e altri, Filosofia e pedagogia. Profilo storico ed anaJi,si delle istituzioni educative, III, SEI, Torino 19852, 225. 12 .G. BARBERIS, Dei Se1ninari del Regno. Relazione a S. E. il Ministro per l'Istruzione Pubblica, in Bollettino ufficiale del Ministero della Pub· blica Istruzione 5 (1879) 155-189: 162. ·


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del progetto di riforma degli studi in seminario e dell'educazione da dare ai seminaristi. Senza volere mettere assolutamente in discredito la formazione ascetica - di essa si augurava anzi che si facesse un serio studio in quanto «parte trascendentale dell'etica» e non come forma di quietismo «nell'apprendimento dei nostri doveri specialmente verso i simili» - il Coco Zanghy riteneva assolutamente indispensabile dare ai futuri preti una buona educazione apologetica e sociale per affrontare con competenza il rapporto col mondo moderno: «i giovani 1destinati alla tribù di Levi non possono iniziarsi oggi con predilezione alla vita contemplativa quando è giocoforza agguerrirli per sostenere i combattimenti nel campo delle dispute religiose e nella palestra de' morali e sociali conflittL> B,

A tale scopo propose non solo la lettura ma financo Io sceneggiare sulle pareti del seminario le gesta «de' campioni della fede per educarsi ad abnegazione, ed evangelico rinnegamento di sangue ed a tutta generosità». I frequenti rapporti con i familiari, infatti, nuocevano alla formazione dei seminaristi i quali, insieme alla scienza e alla pietà, dovevano educarsi alla generosità: virtù fondamentali al giovane sacerdote per combattere e vincere i nemici di Cristo. La formazione spirituale nel periodo di Dusmet seguiva quello che era il suo ideale sacerdote: il giovane chierico era educato a distaccarsi dal mondo in obbedienza perfetta con la Chiesa. In questo modo, da sacerdote avrebbe dovuto e potuto proporsi come modello di santità, docile alla volontà di Dio per la salvezza del popolo. Il clima devozionale era, invece, quello comune alla maggior parte dei seminari italiani della seconda metà dell'Ottocento: la pietà si basava sul sentimento e su un forte bisogno di mostrare, con una pratica ai sacramenti e a un numero di esercizi ben precisi. Al fine di rispondere alle esigenze formativo-culturali delle

B

L'educazione, 11-12.


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diverse fasce di età degli alunni, su proposta del Dusmet la deputazione del seminario, il 24 novembre 1868, deliberò la distinzione in "piccolo seminario" e 'seminario ecclesiastico". Per dare possibilità di riconoscimento civile degli studi, il piccolo seminario veniva aperto "a norma dell'art. 9 della legge 22 giugno 1857 e dell'art. 39 del Reg. approv. col Real decreto del 13 luglio 1857,, 1'. Nelle due classi elementari si tenevano lezioni di grammatica, lettura, religione, esercizio di composizione, di memoria e di dettato, aritmetica, geografia e storia. Nel corso ginnasiale, invece, erano previste lezioni di lingua italiana, latina, greca e francese, geografia, storia greca e romana, aritmetica e calligrafia 15 • Nel liceo, si studiavano: letteratura italiana, latina e greca, eloquenza, filosofia, filosofia del diritto, matematiche (algebra, geometria, e nozioni di computo ecclesiastico), fisica e storia naturale. Negli studi teologici era previsto lo studio della dogmatica, della morale, del diritto canonico, dell'esegesi, della lingua ebraica, della liturgia (come "sacre cerimonie") e canto gregoriano. Solo nell'anno scolastico 1877-1878 venne introdotto lo studio specifico della storia ecclesiastica, studio che Coco Zanghy auspicava e che, con profetica lungimiranza, riteneva che bisognava tenere in speciale considerazione quelle «pagine che illustrano le chiese particolari», poiché 1

(<le inemorie .patrie ,s·ono eminentemente educatrici, e si può cogliere nelle eccezionalità topografiche e cronologiche un insieme armonico di elementi che cospirano al centro dell'etnarchia vuoi ecclesiastica, vuoi civile» 16•

Neanche l'interessante proposta di quattordici anni trovò ~pazio:

<<Il corso del piccolo Seminario durerà anni otto distribuiti in 14

Docu1nenti riguardanti il Sen1inario Arcivescovile di Catania, T1p. G. Galatola, Catania 1869, 67. ·Una tale nota è •riportata anche dal G. BARBERIS, op. cit., 157. 1s C.fr. G. ZITO, op. cit. 16 L'educazione, 28-29, ,nota 1.


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quattro bienni; il teologico anni sei distribuiti in due triennii; e tutto l'intero corso seminarile anni quattordici, da incominciarsi all'età di circa undeci compiti a -mente de' padri del Concilio Tri·dentino» 11.

Nell'istruzione inferiore la formazione doveva essere prevalentemente letterario-umanistica, usufruendo di autori classici, sia pagani che cristiani (Fedro, Cicerone, Sallustio, S. Ambrogio, S. Bernardo, etc.), posti a confronto per cogliere le differenze fra le due letterature con sano effetto sul senso critico: ((Nelle quali si avrà il desi,ro di osservare a colpo d'occhio la differenza che corre fra la lingua e ,Jetteratura pagana e la lingua e letteratura cristiana, e di paragonare le due corrispondenti civiltà [ ... ]» ts.

Una intuizione didattica veramente interessante e attuale è quella della gradualità dal semplice al complesso: dalle declinazioni e coniugazioni alla sintassi. Un'altra visione didattica attuale e moderna è quella della esemplarità e del modello: lo studio della antichità classica non viene giustificato coll'interesse antiquario o semplicemente erudito ma viene posto al servizio della vita e del tempo presente e della lingua che oggi si parla. 11 Jbid., 18. Il Nosil'O ci dà, nel suo opuscolo, una tavola unica dove inette l'orario delle materie di insegnamento per le ,scuole del "piccolo" se1ninario e del seminario maggiore. Nel piccolo seminario le materie principali, che si svolgeranno dalle ore 9 alle 11,30 a.m ..sono rispettivamente: 1° biennio: preparazione alle tre letterature, g:reca, latina, italiana ed al.la storia civile; !Ilei 2° biennio: umanità n1inore; nel 3° biennio: un1anità maggiore; nel 4° biennio: perfezionan1ento delle lettere uni.ane, belle lettere ed eloquenza. Le materie complementari, -che si svolgeranno dalle 11,45 alle 12,45 a.m., saranno: la caUig.rafia nel 1°, la Hngua francese nel 2°, la .matematioa e la geografia nel 3° e la fisica e storia naturale nel 4°. Nel sen1inario maggiore, le materie principali che si iSvolgeranno dalle 9,00 alle 11,30 a.m., saranno: 1° triennio: filosofia e ·morale; le complementari: nel 1° e 2° ,anno, il canto gregoriano, nel 3° anno, il diritto filosofico. Nel 2° triennio: teologia 1dogmatica, canoni e disciplina; ,Je complementari: .nel 1° anno: diritto filosofico; nel 2° e 3° anno: lingua ebraica ed esegesi biblica. 18 Ibid., 21.


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In Coco Zanghy si vede questo crescendo in modo chiaro: dal latino all'italiano e al siciliano. Latino, greco e italiano, con le discipline relative alle tre lingue, corrispondono al triplice pensiero dell'umanità: «l'ispirato dell'Oriente, il riflesso del lazio e l'italiano che deve essere la sintesi di quei due cristianamente fondati» 19 • Il tutto deve essere studiato non a sé ma in funzione della lingua: attuale parlata dall'alunno. Importanza e rivalutazione del dialetto, dunque. «[ ... ] E' dovere del precettore po.rre in rilievo tali rapporti e

ile analoghe differenze, e far .notare secondo le occasioni, nelle diverse scuole, come ,la frase .italica ritragga dalla siciliana, e come il dialetto siculo alla sua volta siasi arricchito delle spoglie letterarie degli stessi vincitori dell'isola: Ja qu·ale per tal modo è divenuta maestra del continente. Cominciare dallo ·studio della propria lingua è porsi nella via ;più agevole del progresso letterario [ ... ], ed è far cosa eminentemente patria e sociale; se è vero che il deposito delle più care tradizioill venga affidato alla favella>> 20.

Al triennio filosofico, per il Nostro, competeva la preparazione immediata allo studio della teologia, e lo studio della dogmatica doveva essere attivato «dalla polemica preparata dalle antecedenti discipline» 21 • Contrariamente al riduzionismo positivista imperante in quello scorcio di secolo, seppe proporre una valorizzazione delle ricerche e delle scoperte scientifiche per lo studio della teologia: «le scienze, le lettere e le arti sono state adoperate come armi contro la rivelazione», era necessario dimostrare come esse, invece, "suonano una lode al Signore e preludiano per la loro adulta età alla più splendida manifestazione di lui e dei suoi attributi nel grande Cosmos della natura» 22 • 19 Jbid., 24. Per una motivazione .didattica delle lingue classiche si cfr. R. NICKEL, L'insegna1nento delle lingue classiche, Cadmo, Ro1na 1976. 20 lbid. 1 19, nota 1. 21 lbid., 26-27. 22 Ibid., 27. E' importante notare come nell'impostazione degli stuidj teologici e filosofici il Coco Zanghy precede quello che sarà il decreto sulla .formazione sacerdotale, Optatam Totius, del Concilio Ecumenico Vaticano 1


Il pensiero educativo e didattico di G. Coca Zanghy

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Il programma-progetto proposto dal Coco Zanghy non si allontana di molto riguardo all'educazione classica dalla Ratio Studiorum del 1599.

2.

Sull'educazione <(Educazione, quasi eductio, importa cavar fu.ori ciò che sta in gern1e nelle facoltà deU'uomo [ ... ])) 23 .

Nella definizione del concetto di educazione, Coco Zanghy si colloca nella tradizionale corrente aristotelico-tomista 24 • Dalla definizione si può evincere una certa ambiguità della realtà educativa: l'originaria nobiltà del suo inserimento nell'essere (atto) e l'insita povertà della sua collocazione ai margini tra l'essere e il non essere (potenza). L'educazione non è un passaggio dall'essere in atto all'atto, ma un passaggio dalla tendenza all'essere all'attuazione di tale tendenza. Educazione viene ad essere, quindi, acquisizione di una perfezione reale, che prima non c'era. Si presuppone nel!'educando una reale potenzialità di crescita ontologica con la conseguenza di pervenire realmente all'acquisto di una perfezione. Si esclude, quindi, sia la totale autoeducazione che la totale eteroeducazione. IL Tutte le 1discipline sembrano essere viste alla 1uce della rivel,azione. Si noti anche l'importanza che il Nostro attribuisce alle lingue della Scrittura: ebraico, greco e latino, nonché l'importanza della storia della filo· sofia, della morale, della Chiesa e del diritto. 23 Jbid., 4. 24 Nella tradizione culturale ,catanese 1a dottrina tomista era di ca·sa, a parte qualche eccezione come quella del can. Michele Stella, la cui opera sembra subire l'influsso illuminista e gallicano, e del can. Antonino Ru,sso Signorelli, un seguace dell'ontologismo gìobertiano. Basti solo hl ricordo dcl sac. Francesco Platania, professore di dogmatica nella facoltà di teologia dell'Università di Catania, lo scolopio padre MelchiorJ:e Galeotti, il sac. Giovanni Sca.lia, il can. Francesco Farcisi, e j,l prof. padre Antonio Maugeri, che tese sen1pre alla concil-iazi-0J1e tra differenti sistemi, elaborando un nuovo ·sistema filnsofico da lui 1d:e.nominato "psiche-onto1ogis1no". Il Neo-Tomismo si .radicò ancora meglio con la venuta ad arcivescovo di Catania del card. Nava.


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Questa crescita si attua allora non da sé ma con la collaborazione di un agente esterno (l'educatore) e di una permanente opera concreatrice (Dio). Proprio, dunque, perché l'essere è limitato, finito che esiste per partecipazione, l'educazione si deve iscrivere necessariamente nell'orizzonte religioso 25 • Il "cavar fuori", 1'eductio, ci spinge o paragonare l'educazione alla generazione, di cui questa è l'antecedente mentre l'altra ne è il conseguente e prolungamento. L'educazione non è altro allora che generazione umana, la quale tende a raggiungere il suo adempimento. L'educazione poi è un fatto per l'uomo non in quanto indi· viduo ma in quanto "persona", cioè in quanto valore e interiorità 26 • 2s A proposito del sentimento religioso, il -Coco Zanghy propende per l'innatismo di tale sentimento. Questa propensione è chiaramente espres· sa in due pagine significative della sua opera: «[ ... ] il sentin1ento religioso, intorno al cui innatismo scrivea un Padre della Chiesa 'l'anin1a viene al Inondo naturahnente cristiana'» (L'educazione 4). Ed. ancora: «[ ... ] Atteso l'innatisn10 del ·sentimento religioso, questo manifcst~si ne' primi passi della vita: e fin d'allora fa mestieri dirigerlo» (lbid., 10). Propendendo per l'innatismo del sentimento religioso, il Nostro si inserisce nella schiera di quegli studiosi che, in opposizione all'empirismo positivistico imperante in quell'arco di tempo del secondo Ottocento, accetlano la religiosità del bambino come spontanea e naturale. Sen1bra, con1unque, che il problema tra itDnatisti ed empiristi non sia ancora •stato •risolto. Ci ·sono, infatti, ·studiosi nel campo della psicologia 1d'ell'età evolutiva che negano la presenza nel ·bambino di una religiosità autentica, come il Castigliani, il Gemelli, l'AUport, il Clarck, e Stunk O. Jr. Altri, invece, sono di parere contrario come Bovet, Barbey, Aragò Mitjans, Cruchon, Grasso, Vergote e Lutte. Parecchi, poi, sono gli studiosi ·che sostengono la spontaneità, l'istintività, l'innatismo religioso: Jung, Gemelli, Girgensohn, Tenstenjak, Lorenzini, e altri. Contrari sono quelli della scuola behaviorista e della psicoanalisi .freudiana. A mio avviso, la contrapposizione non è importante ed è inf:iruttuosa. E' più importante sapere co1ne i dati interni ed esterni si integrano e come si evolvono e si strutturano. ,Per una visione più a1npia sull'argo~ mento si cfr. G. C. MILANESI - M. ALETTI, Psicologia della religione, LDC, Torino - Leumann 1973; R. VIANELLO, La religiosità infantile, Giu.nti-.Barbèra, Firenze 1976. 26 Cfr. A. AGAZZT, Saggio sulla natura del fatto educativo in ordine alla 1


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L'uomo come persona non può essere ridotto alle sue componenti bio-fisiche o solo a quelle mentali o spirituali, ma è una unità sostanziale integrale di spirito e corpo, per cui {(l'educazione del corpo non può disgiungersi da quella della inente per l'intima unione delle 1d'ue sostanze -che costituiscono l'uomo e per la lor.o solidarietà ,nell'azione [ ... ]» 21.

Dunque, l'uomo è inserito e parte del mondo fisico, in cui emerge la sua spiritualità rivelata dalla sua capacità di pensare e di volere. Il perfezionamento dell'uomo si costruisce, anche se frammentariamente e nel Jimite, attraverso l'azione e successione di atti. Il suo destino si realizza storicamente mediante attività, voluta e prodotta per decisione personale, intreccio di sensazione, di desideri, di pensieri e di volizioni. E' interessante quello che il Nostro afferma subito dopo riguardo la gradualità dello sviluppo umano e sulla conseguente triplice ripartizione educativa: «[ ... ] E perché nell'anima .fa d'uopo distinguere la parte men-

tale, propriamente detta, dal dominio degli affetti, ne risulta naturalmente una triplice educazione: del conpo, del cuore, dell'intelligenza: in altri termini: l'igiene, ,Ja morale, l'istruzione. L'indicata divisione :siegue l'ordinario andamento dello sviluppo individuale. Si presenta dapprima nell'individuo lo svolgin1ento delle forze materiali, vierne poscia ]'espansione affettiva, ed infine inanifestasi l'attività dell'intelletto» 28.

Lo sviluppo umano è graduale: da una fase operativa-reale, l'intelligenza passa, al suo culmine, ad uno stadio operativosimbolico. L'esercizio dell'attività motoria prepara il bambino all'uso della logica pre-verbale che si manifesta nel concreto fare. Lo sviluppo del linguaggio facilita poi la formazione delle operazioni simboliche e la partecipazione democratico-cooperativa alla collettività. Anche lo sviluppo morale segue la stessa teoria della persona e dei valori, La Scuola, Brescia 1951; G. CATALFAMO, Il problenia pedagogico, Morcelliana, Bresci,a 1955; per un'idea oom1pleta e varia sulle teorie dell'educazio.ne: P. BRArno, Filosofia dell'educazione, PAS - Verlag, Ztirich 1967. 27 L'educazione, 4, 28 Ibid., 4·5.


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tendenza del cognitivo: dall'eteronimia all'autonomia del giudizio. Un contatto simbiotico con la madre nella primissima infanzia e la accettazione e la stima incondizionata di questa è il presupposto necessario ad uno sviluppo affettivo ed emotivo sano e costruttivo. Frutto di una spiccata sensibilità educativa e di rispetto per !'educando sono le norme di igiene che il Coco Zanghy propone: aerare la stanza da letto prima di coricarsi, assumere la giusta postura al tavolo da studio, non caricarsi di troppi vestiti durante l'inverno, fare sette ore di sonno e non svegliare bruscamente i più lenti, nella sala da pranzo ci devono essere: pulizia, aria, luce e colore ed evitare le meditazioni troppo deprimenti durante il pranzo 29 • Tutto questo serve non solamente a fortificare il corpo ma anche la mente. La scuola per il Nostro, così come per gli antichi o per Comenio e Froebel, non deve essere intesa come luogo di penitenza e sofferenza, ma rivalutando l'uso originario del vocabolo stesso (Scholé=otium) dovrebbe essere un'autentica officina u11 mana dove la formazione si raggiunge ,con piacere e come gio~ co" (ludus). L'occupazione, il lavoro intellettuale è certamente un'attività che affatica ma che affina l'animo. Per avere, poi, un buon e retto uso della mente è necessario l'esercizio muscolare, il moto, il gioco, la ginnastica. La ginnastica non è intesa come divertimento ma come qualche cosa di molto serio, che si collega a tutto un insieme di preoccupazioni igieniche mediche e dietetiche allo stesso tempo. Un corpo sano e ben curato e allenato sta alla base di un produttivo uso della ragione e predispone alla concentrazione e allo studio. Già nell'Apologia 30, Socrate si presenta ai suoi giudici come un maestro che è stato mandato dalla divinità per ricordare agli uomini che devono prendersi .cura di sé e della loro anima più che preoccuparsi per cose esteriori come le ricchezze. E

" Cfr. ibid., 5· IO. Jo Cfr.

PLATONE,

Apologia di Socrate, 29 d-e.


Il pensiero educativo e didattico di G. Coca Zanghy

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Seneca, riprendendo in una delle sue lettere il tema epicureo della necessità della cura di sé 31 afferma: ~(Un

cielo sereno, quando ha acquistato il più alto grado di purezz,a e di splendore, non può ;ricevere una chiarezza più viva. Così l'uomo che, ha cura ,del corpo e dell'anima e che per mezzo loro si .fabbrica ,Ja sua felicità raggiunge il culmi.ne dei suoi desideri e :si 1Tov·a in uno stato perfetto, in quanto il suo animo non è più agitato e il suo corpo è senza dolore» 32.

In rapporto al corpo il bene è rappresentato con la salute; in rapporto al comportamento, il bene è dato dalla ragione e dalla virtù 33 • Possiamo veramente dire che il Coco Zanghy ha avuto delle buone intuizioni riguardo alla cura di sé attraverso la ginnastica. Anche in campo morale, il Nostro ha qualche intuizione interessante. Criticando il Rousseau col suo principio di lasciare fare alla natura, esalta invece l'intervento educativo diretto, rispettoso però della persona dell'educanda, e dell'ambiente educativo che deve agire secondo modelli e deve essere preventivo e non punitivo 34 • E' chiaro abbastanza che il "modello", con la sua competenza e il meccanismo dell'apprendimento per osservazione, stimola in modo spontaneo nell'educando il desiderio proiettivo di diventare come lui. E' importante che non si dimentichi il fine: educare alla capacità di decidere liberamente e secondo ragione 35 • Queste intuizioni del Coco Zanghy li troviamo più tardi, anche se provenienti da altre fonti ed in chiave positivista, in

Epistola a Meneceo, 122. Cfr. SENECA, Lettere a Lucili'O, 66, 45. 33 Cfr, J. LocKE, Pensieri sull'educazione, trad. ii., Paravia, Torino 19692. 34 Cfr. L'educazione, 10-12. 35 .Cfr. P. ·BRAIDO, Il siste111a educativo di Don Bosco, SEI, Torino 1969 4; A. ARTO, Crescita e 1naturazione 1norale, LAS, Roma 1984. Per app.rofondi,re la teoria del 111odello, dell'imitazione in un oontesto behaviorlstico: A. BANDURA- R. H. WALTERS, Socia! learning and personality developnient, Holt, Ne'v York 1963. 31 EPICURO,

32


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A. Gabelli (1830-1891) nelle sue Istruzioni ai programmi della scuola elementarre del 1888. In questa opera, il Gabelli afferma che la scuola ha da servire a tre fini, a dare vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo. Donde la sua attenzione allo sviluppo fisico, da favorire non solo con l'igiene e la ginnastica, ma anche con il lavoro manuale; al progresso intellettuale, partendo dall'osservazione e studio del proprio ambiente; alla formazione dell'animo, per cui ha importanza l'esempio del maestro e, più che la conoscenza dei propri doveri, l'assuefarsi ad adempierli. E' importante acquisire abitudini seguendo esempi e modelli.

Sull'istruzione

3.

Il professore deve essere come un libro vivente e preparato nella sua professione; «deve mutare ed atteggiarsi secondo le capacità ed il genio degli alunni» 36 • Calarsi nei panni dell'educanda non è perdere di autorità ma crescere in autorevolezza ed efficacia educativa. Il maestro deve nelle sue lezioni usare un metodo stimolante, vario, chiaro, piacevole. Solo in questo modo si può ottenere che gli alunni imparino molto di più di quanto ci si possa attendere: {([.,.] il metodo è via che vuol'essere allegvata da 1piacevole varietà; quindi 1devono i precettori impegnarsi a condire in varie guise le loro lezioni, sapendo eziandio destramente scen· dere a otta a otta dal grave all'onesto .faceto, dimesticandosi con i discepoli per n1ezzo di una giudiziosa eutrapelia, senza scapito di autorità magistrale, ed istruendo sempre. Per tal n1odo si può anche ottenere che si ammaestrino con grata lusinga i giovanetti in :alcune discipl:i.ne iSenza che loro ne venga imposto un espres·so còmpito, o ne cresca considerevolmente la se1na dei libri}> 37.

36

L'educazione, 13.

37

L. c.


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I buoni risultati scolastici si hanno, dunque, con la sinergia di due forze: la volontà degli alunni e l'abilità dei professori 38 . L'efficacia didattica è garantita dall'arte del professore, la quale scaturisce dal connubio della personalità del docente col metodo. La personalità da sola, staccata dalla reale situazione didattica, non vale. Anche il metodo, però, deve essere vivificato dall'umanità della persona. Senza l'insegnante nessun processo didattico potrebbe avere inizio: intuisce i bisogni dell'alunno; li riporta ad un principio educativo e vi commisura un metodo. 3.1. La personalità del maestro 11

Il maestro ha una funzione ministeriale" nei confronti dell'alunno: si pone al suo servizio per condurlo alla perfezione personale, all'autonomia. Questa è la sua arte: "cavar fuori", educere. L'Aquinate ha ben messo in evidenza il principio che il maestro è un agente, estrinseco e quindi secondario, subordinato all'agente principale che è la natura del discepolo. Il discepolo non è allo stato di semplice potenza passiva, ma in potenza attiva, vitale, di fronte ai valori culturali. La sua opera consiste nel cooperare con l'allie,vo per portare all'atto ciò che esiste già in potenza, partendo dalla esperienza personale del1'al·lievo 39 •

3.2. Rapporto tra educatore ed educando Non ci dovrebbE\ essere, tra maestro e alunno, subordinazione autoritativa, ma autorevolezza e "comunione d'anime", come hanno notato gli spiritualisti del Personalismo cristiano (Devaud, Maritain, Stefanini) e gli idealisti (Gentile, LombardoRadice). Il maestro deve essere una guida: deve creare uno spirito, animare, trascinare 40 • " Cfr. ibid., 12-13. 39 Cfr. TOiviMASO D'AQUINO, De Ver., 1; Sun11na tlteol., I, 117, 1 ad 1, ad 2; In ep. ad Gal,, 4, 1.6; Summa theol., III, 36, 5; I-Il, 111, 4. 4o Cfr. TOMMASO D'AQUINO, Sun1111a theol., Il-II, 10, 12; E. DEVAUD, Per una scuola attiva secondo l'ordine cristiano, La Scuola, Brescia 1955.


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Anche se non bisogna dimenticare che il rapporto tra educatore ed educando è un rapporto dispari, per età e preparazione, tuttavia il ra:pporto tra maestro e alunno deve cedere il posto alla realtà stessa come principio strutturante del processo educativo-didattico 41 • Nell'ambiente classe, il Nostro propone un modello interattivo basato sul!' abilità dell'insegnante di adeguarsi di volta in volta alla situazione didattico-educativa e sulla sua arguzia, presenza di spirito, lepidezza e urbanità senza con ciò perdere ìn autorità: «dimesticandosi con i discepoli per mezzo di una giudiziosa eutrapelia, senza scapito di autorità magistrale, e istruendo sempre» 42 • Il Nostro, cioè, non perde di vista il fatto

41 Afferma il Nostro: «Non bisogna perdere di vista che la società fra maestro e discepoli, benché sia, come ogni altra, fondata nell'amore, pure in ,specie è una società di . disuguali. L'istitutore è detto Magister quasi µE:yLo ..toç cioè massim-o fra i soci» (L'educazione, 13, nota 1). Oggi sono molto attuali gli studi sulla co1nunioazione ed interazione educativa. Si confronti il volume ·di H. FRANTA, Interazione educativa, LAS, Roma 1977. Dian10 breven1ente alcune interpretazioni della :relazione educativa: Socrate e Platone hanno affermato che il rapporto ed'ucativo deve consistere nell'instaurarsi di un'intima relazione t·ra educatore ed educando; costituendo l'eros il ·principio ·strutturante della stessa interazione. Rousseau ed Herbart cunsiderano .il rapporto in n1odo "indiretto", ponendosi la realtà deila vita al centro della relazione. Secondo Pestalozzi, invece, la relazione educativa va vista sotto l'aspetto della educazione familiare. L'amore tra la n1adre e il figlio ·costituisce un modello esemplare. Nello svolgimento dell'azione .pedagogioa l'educatore deve restare aperto all'autorealizzazione dell'educanda, come esigenza di formazione e .di svi,Juppo. Il processo educativo è stimolato da un clin1a idi fiducia e di amore reciproco. Per Don Bosco, religione, ragione e amore costituiscono i tre principi che struttu11ano il rapporto ·educativo. Dal pUJlto di vista dell'educatore ciò .significa an1orevole e preventiva assistenza nei diversi settori in cui si svolge la vita del .ragazzo. " 2 L'e-ducazione, 13. Per i modelli di interazione-comw1icazione nel contesto classe si cfr. L. LUJ\1BELLI, Educazione co1ne discorso, Il Mulino, Bologna 1981; G. BALLANTI, Il co1nporta1nento insegnante, Armando, Roma 1975; N. A. FLANDERS, lnteraction analysis in the classroo111: a 111anual for observers, School uf Educatio.n of the ·University of Michigan, Ann Arbor 1966; Io., Analysing teaching behavior, Ad'dison-Wesley, Reading 1970; J.


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che il comprendere e l'entrare in empatia con il discente non significa confondere i ruoli o perdere le differenze 43 • 3.3. Istruzione individualizzata Il maestro «deve mutare ed atteggiarsi secondo le capacità ed il genio degli alunni» 44 • Un buon insegnante sostituisce la sua filosofia o visione dell'uomo e del mondo in generale con la prudenza nella identificazione concreta di precise indicazioni di metodo adattate all'individuo, al temperamento e al ritmo evolutivo dei singoli. rL'abate e pedagogista R. Lambruschini, operante nella prima metà dell'Ottocento, ha affermato: «Ecco in quali modi l'autorità vpera efficacemente e salutairmente. Ma se si debba usare l'uno piuttosto che ,l'altro, o insistere più j,n questo che in quello, lo consigliano le congiunture e le circostanze. E in primo luogo i caratteri diversi dei fanciulli [ ... ])) 45 •

Dal contesto in cui è inserita la suddetta affermazione del Coca Zanghy si evince che altro è il modo individuale dell'inse-

gnamento e altro è quello individualizzato. Il metodo individuale proclamato dallo Zanghy rispetta la dignità e la socialità della personalità dell'alunno, quello individualizzato, invece, rischia di cadere in uu individualismo didattico e chiudersi in un dialogo strettamente inter-individuale o in un dialogo con una Inacchina programmata 46 • P. DE CEcco - W. R. CRAWFORD, The psychology of learning and instruction, Prentice - Hall, InC'., Englewood Cliffs, Ne'v Jersey 1968 2• 4J Ave:re un Jlapporto basato sulla comprensione, sull'amorevolezza significa nel linguaggio dello psicologo Rogers essere non direttivi. Ma essere non direttivi non significa .non esercitare l'autorevolezza e non significa perdere 1e differenze. Una n1iscon1prensione di ciò ha portato ad interpretare la non direttjvità con1e lasciar fare e la·sciar passare che è l'antieducazione. Per tale problematica si cfr. C. ScuRATI, Non direttività, La Scuola, BTescia 1976. 44 L'educazione, 13. -1 5 R. LAMBRUSCHINI, Della educazione, La Nuova Italia, Firenze 1943, 95. 46 Cfr. II. BouCHET, L'individualisation de l'enseigne1nent, A,Jcan, Paris 1933; E. CLAPAREDE, L'école sur 1nesure, Delechaux et Niestlé, Neuchatel


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Come innumeri e sempre nuovi sono gli alunni e le situazioni, così vari sono e sono stati i metodi e i procedimenti didat'tici. Quello che importa però tenere sempre presente è che bisogna studiare più che i libri la natura derI'educando che non può che essere rispettata; !'educando «non è una tavola da dipingere, né cera .da fondere, né creta da modellare, né disco da incidere, ma un essere attivo, intellige.ne, morale e libero, con facoltà proprie che Dio gli ha dato perché ne faccia uso [ ... ]» 47.

Conclusione Dopo avere brevemente esposto il pensiero di Coco Zanghy e averlo, durante l'esposizione, messo a confronto con autori del passato, a lui contemporanei e presenti, possiamo dire che il Nostro ha avuto, nel campo dell'educazione e della didattica, de!J.e intuizioni abbastanza moderne. La sua sensibilità per la persona considerata nella sua unità psicofisica gli ha fatto comprendere l'importanza di una formazione integrale che, partendo dalle esigenze del corpo e della cura di sé, possa dare un fondamento a un intelletto e a un sapere radicato nell'umano e nel cristiano. La formazione del clero, che deve avvenire attraverso un serio curriculum di studi di ben quattordici anni e che dovrebbe continuare anche dopo come educazione permanente o col dottorato preso a Roma centro dell'unità 48 , anche se risente del!' effetto psicologico della "presa di Roma" e di ciò che ne conseguì, e anche se limita un po' l'allargamento degli orizzonti nella stessa formazione del clero (solo Roma e non altri centri e meno le facoltà statali), tuttavia manifesta un senso profondo dell'unità e serietà che lo studio e la ricerca della verità deve

19532; R. DoTTRENS, L'i11seg11a111ento individualizzato, t,rad. it., AVJO, Ron1a 1957; F. FURNARI, Tecnologie dell'educazione e infor1natica, in Fonnazione e società 9 (1983) 77-100. 47 A. MANJON, Le scuole dell'Ave lvlaria, trad. it., AVIO, Ro111a 1954, 44. 4B Cfr. L'educazione, 15.


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dare alla persona, che deve essere conscia degli impegni morali e intellettivi! che la sua storia presente le pone. E' interessante, come abbiamo già rilevato, l'idea che il <Coca Zanghy ha della storia come studio degli avvenimenti locali e particolari. In questo concetto del particolare, il Nostro sembra far confluire la cultura umanistica passata, che si esprime mediante lo studio della lingua, nell'atto educativo-didattico in cui il maestro con le sue capacità umane e tecniche, con la sua autorevolezza basata sull'amore, si rende modello davanti agli allievi di un passato che deve essere studiato in funzione del presente che è gravido di futuro. La formazfone umanistica proposta dal Nostro è una formazione integrale che si rivolge non ad un uomo erudito o astratto ma ad un uomo nella sua dimensione stonico-escatologica.



RINASCITA E DECADENZA DEL MONASTERO BASILIANO DI S. FILIPPO DI FRAGALA'

SALVO NIBALI *

Gruppi di monaci e di eremiti che seguivano la regola di S. Basilio 1 e di S. Teodoro Studita 2 erano certamente giunti in Sicilia quando l'isola divenne parte dell'impero bizantino, ma un flusso di monaci provenienti dall'Oriente continuò ad inte,., Dottore in Lettere e Giornalista. 1 S. Basilio era nato intorno al 330 a Cesarea, città nella quale tenne, in seguito, la sede arcivescovile tper 8 anni. Abbandonò molto presto ogni attività per ,ritirarsi a fare una rigorosissima vita da eremita, spinto dal desiderio di una esistenza perfetta .e più vicina a Dio. Scrisse anche alcune opere ascetiche: le Moralia, le Regulae brevius tractatae e le Regulae fusius tractatae. Morì nel 379. 2 S. Teodoro Studita nacque a Costantinopoli nel 759. Fu abate del monastero di Studio {da cui, poi, Studita). Sotto -gli imperatori Leone Am1ncno e Michele Balbo, iconoclasti, fu perseguitato e mori ·martire nell'826. Lasciò molte opere tra cui un famoso testamento (al quale penserà nel 1105, come si vedrà più av·anti, l'egumeno di S, Filippo di Fragalà, G!'egorio, sentendosi in punto di morte). Teodoro fu autore della prima riforma del monachesin10 greco e rese .obbligatoria, nei monas,teri, la biblioteca. Il monastero di Costantinopoli di cui era abate fu tra i più famosi della Chiesa orientale. N'era stato fondatore il patrizio iromano Studio che .aveva rfabbric·ato una chiesa e un monastero in onore di Giovanni Battista. «Il typicon di S. Teodoro Studita per il suo monastero di S. Giovanni Battista a Costanti1nopoli [ .. ,] è uno di quelli che hanno esercitato il più grande jnflusso sui regolam·enti monastici delle epoche seguenti)): M. SCADUTO, Il 111onachesin10 basiliano nella Sicilia medievale, Ed. Storia e Letteratura, Roma 19822, 197.


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Salvo Nibali

ressare soprattutto il Val Demone nel VI, nel VII e nell'VIII secolo. Fu soprattutto tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX secolo che la Sicilia accolse il maggior numero di monaci che si rifugiavano in Occidente all'epoca delle persecuzioni iconoclastiche scatenate in Oriente, dal 717, da Leone Isaurico e condotte in seguito da altri imperatori bizantini. I monaci rifugiatisi in Sicilia non si organizzarono subito in grandi monasteri (questi seguiranno, infatti, solo in epoca normanna) ma vissero in eremi costituiti, nella maggior parte dei casi, da semplici grotte o da primitive abitazioni prive di ogni pur minimo agio. Spesso si univano in "Iaure", in piccole comunità, cioè, in cui ogni santo monaco, poteva conservare rigorosamente la propria indipendenza e la propria solitudine servendosi, insieme agli altri, di un tempio comune. La conquista araba della Sicilia, interessando relativamente tardi il Val Demone dove s'era concentrata la maggior parte degli eremi e delle chiese greche, significò per i numerosi monaci greci l'inizio di un'epoca più difficile e tormentata anche se, ad eccezione di qualche caso 3, le comunità eremitiche non furono perseguitate o sterminate'. Una data fondamentale della storia di Sicilia è certamente il 1060, l'anno in cui ha inizio l'epopea normanna che in trent'anni circa scaccerà dall' isola gli Arabi dando così corso a un'epoca nuova e a un nuovo sisten1a amministrativo. Grazie all'accordo tra il normanno Roberto il Guiscardo e papa Nicolò II, i Normanni, dopo il 1061, realizzarono un'effettiva penetrazione in Sicilia: una penetrazione che, dopo alcuni non felici tentativi, si avviò attraverso il Val Demone in maniera sufficientemente veloce e costante. Preoccupato d'instaurare un effettivo dominio sull'isola, il

3 Si veidla la testimonianza dell'egumeno di Fraga1à, Gregorio, che accenna a sevizie e a violenze ·subite da parte dei ·Saraceni. G. SPATA, Le perga1nene greche esistenti nel grande archivio di Palernto, VI, Tip. Clamis e Roberti, Palermo 1861, 198. 4 L. T. WHITE, Il 111onachesin10 latino nella Sicilia normanna, trad. it., Catania 1985, 55.


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

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gran conte Ruggero non fu, in un primo momento, molto tenero e generoso con i centri greci e con i pochi monasteri basiliani sopravvissuti durante la dominazione araba'. Egli seppe presentarsi però ben presto come paladino nella lotta contro gli infedeli e come soccorritore dei cristiani e, soprattutto, di quella minoranza religiosa greca che per due secoli aveva subìto, senza estinguersi, il cosiddetto "giogo musulmano". Una volta costruiti, o ricostruiti, i monasteri e le loro dipendenze, la vita dei monaci basiliani si fece sempre più organizzata dentro i inonasteri e, inevitabilmente, sempre meno eremitica. Molti degli eremiti ancora fermi alla vita delle !aure, infatti, vennero, nell'epoca normanna, accolti entro le mura delle abbazie. Gli insegnamenti restavano sempre quelli lasciati da S. Basilio nelle sue opere ma ogni monastero ebbe, sin dalla sua fondazione, un Typicon proprio, un codice contenente le regole che ordinavano in maniera precisa la vita del cenobio. A capo del monastero era 1 egumeno l'abate, che veniva eletto da tutti i monaci del cenobio ma che a partire dal 1131 dovette essere confermato dall'archimandrita di Messina, cioè dall'egumeno ch'era a capo di tutti i monasteri basiliani della regione e che risiedeva nel monastero del SS. Salvatore «in lingua phari» 6 • In un monastero basiliano il "grande ecclesiarca" era incaricato di curare il culto; il "grande economo" era l'amministratore delle proprietà, spesso molto estese, e degli introiti; il "docheario" si preoccupava delle cose preziose della chiesa nonché degli ospiti; il "nosocomo" era l'infermiere; il "cellario" il dispensiere; il "prototrapezario" il refettoriere; il "protose1 11

11

,

5 «E' significativa quella specie di liquidazione effettuata -dai Normanni, nei primi tempi, del patrimonio dei monasteri basiliani fatto passare alle dipendenze delle grandi abbazie benedettine, come non meno significativa quella m1al celata avversione del clero greco che qualche volta non rifuggì dall'in1pugnare le armi contro gli invasori»: M. SCADUTO, op. cit., 16. 6 Il monastero del SS. Salvatore «in lingua pharii>, così denominato perché -sorgeva sulla lingua di rterra del faro di Messina, venne abbattuto nella prima metà del Cinquecento per disposizione .di Carlo V che al suo posto fece innalzare robuste fortificazioni.


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nocodo" !'ospedaliere; lo "scevofulaca" il sacrista 7 • Fondamentale era la biblioteca, luogo in cui si conservavano e si trascrivevano preziosi codici. Le biblioteche basiliane furono per secoli le depositarie dei più importanti documenti della cultura classica 8 e ad esse la civiltà occidentale deve la conoscenza delle più grandi opere del mondo greco 9• La vita dei monaci basiliani era basata su una rigida penitenza, su grandi privazioni e sulla mortificazione del corpo. Perché lo spirito potesse elevarsi fino a Dio era necessario che il corpo fosse continuamente punito e macerato. Lo stesso abito basiliano, composto semplicemente di una tunica, un pettorale e un largo manto 10 , dà l'idea dell'essenzialità ricercata dall'ordine in ogni aspetto della vita. Questo rigore voleva che i monaci avessero per giacigli dei sacchi di paglia e che non potessero mai mangiare carne, che infatti era, per la regola basiliana, peccato gravissimo, paragonabile solo alla fornicazione. L'alimento di base dei monaci era il pane ma anche il pesce, il vino, i legumi e la frutta erano permessi, sempre, si capisce, entro limiti ben precisi. I basiliani osservavano diversi periodi all'anno di digiuno. Digiunavano, infatti, tutti i luuedì, mercoledì e venerdì, durante il periodo della quaresima e, con la proibizione di alcuni cibi, dalla metà di novembre fino a natale e dalla seconda domenica

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M. SCADUTO, op. cit., 201-2 e G. SPATA, op. cit., 204 ss. Tanto più gravi appaiono, dunque, la perdita ·e la distruzione di moltissimi manoscritti greci custoditi nelle biblioteche basiliane fino all'epoca degli abati com1nendatari (XV-XVI secc.) e, più in là, fino alla legge del luglio 1866 che sequestrò i beni degli ordini religiosi a beneficio del nuovo Stato italiano. 9 Basti pensare alla intensa attività svolta in questo senso dal ·monastero del SS. Salvatore di Messina, sede dell'archima.ndritato, ({uno dei centri dove l'attività calligrafica fu più in efficienza>): M. SCADUTO, op. cit., 212. 10 Solo con la riforma gregoriana del 1579, che cercherà di mettere un po' d'ordine ·nell'ormai decaduto basilianesin10 italiano, 11abito dei monaci sarà uniformato a quello dei benedettini. C. ICoROLEVSKJ, Basiliens italo-grecs et espagnols, in Dictionnaire d'hist.aire et de geographie ecclesiastique, t. VI, Paris 1932, 1239. 8


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di pentecoste fino al 15 agosto 11 • Tutto ciò che il monastero possedeva doveva essere in comune tra i monaci 12 per i quali ogni possesso personale, anche minimo era proibito. La regola basiliana prevedeva sanzioni durissime contw il monaco che peccasse contro la castità 13 e, al fine di impedire questo peccato, era vietato non solo ricevere donne nel monastero ma anche soltanto confessarle od intrattenere, dopo l'ingresso in convento, relazioni con la stessa parentela e con persone del secolo, anche di sesso maschile. Per le colpe contro la castità la pena più pesante a cui un basiliano andava incontro era l'isolamento entro una cella, detta appunto "di segregazione", completamente priva d'aperture e, spesso, sotterranea. Come s'è detto, queste regole così rigide discendevano dagli insegnamenti e dai principi di S. Basilio e di S. Teodoro Studita ma era l'abate, caso per caso, a far sì ch'esse fossero messe in pratica e ad organizzare tutta la vita del cenobio. L'osservanza di queste regole andò attenuandosi col tempo e già nel XII secolo esse erano spesso trasgredite. L'archimandrita Luca, che nel 1132 visitò i monasteri basiliani sottoposti alla sua giurisdizione, non solo si rese conto della penosa decadenza in cui versavano le fabbriche delle abbazie ma notò, soprattutto, il decadimento morale e religioso in cui i monaci ormai vivevano 14 ; e dopo avere constatato questo degrado e il nessun conto in cui era tenuta la regola di S. Basilio, stilò nuove regole di vita per i cenobi basiliani 15 • Il monachesimo basiliano era però destinato a decadere sempre più e le misure del re o dell'archimandrita a nulla sarebbero purtroppo servite: «Man mano che avanzava l'elemento latino diminuiva quello greco che non era capace di popolare un così gran numero di cenobi; perciò le chiese cadevano lenta11 G. SPATA, op. cit., 206·7 e M. SCADUTO, op. cit., 203 ss. CfT. a questo proposito il testamento dell'egumeno Gregorio in G. SPATA, op. cit., VI, 197 ss. 12

u Ibid. e M. SCADUTO, op. cit., 209.

M. SCADUTO, op. cit., 184. Il testo delle nuove regole fu trasmesso a tutti i monasteri basiliani nel 1133. All'archhnandritato furono .subito sottomessi 41 monasteri. lbid., 185 ss. 14

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mente in rovina» 16 • Nell'epoca, poi, in cui i monasteri basiliani passarono sotto regime di commenda, il potere dell'abate vero e proprio diminuì enormemente mentre aumentò quello degli abati commendatari eletti non dai monaci ma direttamente dal re; ed anche la funzione dell'abate mutò, allora, profondamente. Non a caso anche, se non soprattutto, alla istituzione della commenda è da imputare l'aggravarsi della crisi e del degrado dei monasteri greci di Sicilia. Dei più antichi monasteri basiliani del Val Demone, al momento in cui i Normanni intraprendevano la conquista dell'isola, erano ancora attivi quelli di S. Angelo di Brolo, S. Barbaro di Demenna e S. Filippo di Fragalà 17 • Nel corso del ventennio che va dal 1084 al 1105 circa, decine e decine di monasteri basiliani nacquero, o rinacquero, in Sicilia e soprattutto nel Val Demone, dove da tempo resisteva una forte componente etnica greca e dove le particolari condizioni fisiche del territorio avevano favorito l'insediamento di !aure eremitiche e di cenobi basiliani. Questa rinascita venne coronata, nel 1131, dalla fondazione dell'archimandritato voluto da re Ruggero per assolvere al non facile compito di regolare la vita dei monasteri basiliani, di dirimerne le controversie e di giudicare in materia cultuale 18 in un'epoca fattasi, ormai, estremamente difficile per il monachesimo greco di Sicilia incalzato da una inesorabile latinizzazione, minato da continue usurpazioni dei possedimenti ma anche da una certa corruzione dei costumi. Non tutti i monasteri furono sottomessi all'archimandritato nella stessa maniera. Alcuni, detti "ubbidenziali", erano alla diretta dipendenza del SS. Salvatore e governati da un economo nominato dall'archimandrita; altri, detti "autocefalici", o "autodespotici", erano i monasteri maggiori che potevano eleggere l'abate ma, per esempio, dipendevano dall'archimandritato per le questioni disciplinari.

16 M. SCADUTO, op. cit., 187, Cfr. anche Codex n?essanensis graecus 105, a cura di R. Ca.ntarella, Palermo 1937, XVII ss. 17 M. SCADUTO, op. cit., 69 ss. e C. I<.oROLEVSKIJ, op. cit., t. VI, 1182. 18 P. P. RooorÀ, Dell'origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia, II, Roma 1758-1760, 85, e M. SCADUTO, op. cit., 165 ss.


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà 1.

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L'epoca normanna

Il monastero di S. Filippo di Fragalà, o di Demenna, è l'esempio più emblematico delle travagliate vicende del monachesimo basiliano nella Sicilia del medioevo, per la sua resistenza nel tempo e la sua fedeltà agli ideali monastici di S. Basilio. Cerchiamo qui, perciò, di fare un resoconto essenziale della sua storia sulla scorta dei pochi documenti che ci è stato possibile consultare. La maggior parte di questi documenti, relativamente più numerosi rispetto a quelli pervenutici degli altri monasteri basiliani di Sicilia, è stata pubblicata nel secolo scorso dallo Spala, daI Cusa e dal Silvestri 19• Molti altri, però, andarono purtroppo dispersi nei primi anni dell'unità d'Italia, quando furono espropriati i beni del monastero 20 ed altri ancora sono stati smarriti in tempi più recenti 21 • 19 G. SPATA, op. cit.; S. CusA, I diplon1i arabi e greci di Sicilia, Palermo 1868-82; G. SILVESTRI, Tab.ulario di S. Filippo di Fragalà e di S. Maria di Maniaci, in Docu1nenti per servire alla storia della Sicilia, I serie, Diplon1atica, voi. XI, Fase. I e II, TLp. V. n·avy, Palerm.o 1887. In pa•rte, il diploma è stato pubblicato da G. CozzAHLuzr, Del testan1ento dell'abate fondatore di De1nenna, in Archivio Storie.o Siciliano 15/1890, da E. CASPAR, Roger II und die GrUndung der Norn1annisch - sizilischen Monar· chie, lnnsbruck 1904, da C. A. GARUFI, I docun1enti inediti dell'epoca nor~ 1nanna in Sicilia, ·Palermo 1899 e da G. STARRABBA, Contributo allo studio della diplon1atica siciliana dei ten1pi nonnanni. Diplon1i di fondazione delle chiese episcopali di Sicilia (1082-1093), in Archivio Storico Siciliano, 18 (1893) 33-135. 20 I .più antichi documenti, compreso il diploma di rifondazione del conte Ruggero del 1090, andarono id.istrutti qualche anno dopo il 1866, quando il .sindaco del vicino comune di Frazzanò consegnò pergamene e «carte vecchie>> ad un pirotecnico che ne fece fuochi d'artificio per la locale festa di S. Lorenzo. Cfr. G. FRAGALE, S. Filippo di Fragalà, Palermo 1929, 12 e A. SALINAS, Il n1onastero di S. Filippo di Fragalà, in Archivio Storico Siciliano, 12 (1887) 391. 21 Qua.udo il Castello Nelson, l'ex abbazia di S. Maria di Maniace il cui destino fu per secoli legato a quello dell'abbazia di Fragalà, fu ven· duto dai discendenti dell'arnn1iraglio inglese Horatio Nelson ed acquistato dal comune di Bronte, molti documenti furono consegnati all'ATchivio di Stato di Palermo dove ancora giacciono non consultabili. Num·erosi 1


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Il documento che parla della rifondazione del monastero di S. Filippo di Fragalà è un diploma del 7 maggio del 1117 nel quale re Ruggero conferma all'egumeno Gregorio i privilegi concessi da suo padre. Com'era d'uso a quei tempi, il documento riporta il testo della precedente concessione fatta dal gran conte Ruggero nel 1090 22 • Proprio a questo documento dobbiamo il fatto di conoscere la data certa della fondazione o, meglio, della rifondazione del monastero di Fragalà: il 1090, appunto. Rivolgendosi a Gregorio, «categumeno del monastero del santo e glorioso taumaturgo apostolo Filippo del territorio denominato di Demenna, vicino al luogo soprannominato di Militiro» 23 , Ruggero dicl1iara il cenobio esente «dai vescovi, arcivescovi che sono e che saranno per essere in quest'isola» 24 • «Nessuno dei miei eredi e successori - ingiunge - abbia rnai libertà di perturbare siffatto santo monistero di Dio e tutto ciò che da esso si tiene in proprietà, uomini poderi e vigne, monti di ghiande e divisioni di acque e mobili ed immobili» 25 • E' questo il primo di una serie di diplomi che durante tutta l'epoca normanna, ed anche oltre, attribuiranno ai monaci di S. Filippo estesissime possessioni. Ma il documento più importante in assoluto, almeno per quanto riguarda la rinascita del monastero, è il testamento dell'egumeno Gregorio, risalente al maggio del 1105 26 • Il buon Gredocun1enti, però, compresi in una voluminosa carpetta catalogata come Causa ex basiliani e da chi scrive esam.inata, giacevano in possesso del sac. Salvatore Calogero Virzì che, morendo all'improvviso, non ha fatto in tempo a consegnarli all'Archivio di Stato. Essi si trovano, perciò, ancora presso !'.istituto .salesiano S. Basilio di Randazzo. Molto altro materiale riguardante il monastero di Fragalà ·era in possesso del defunto prof. Giuseppe Fra.gaie, appassionato cultore di storia locale e proprietario, fino a tempi .recenti, idi parte dei fabbricati dell'abbazia, acquistati alcuni mesi fa dal comune di Frazzanò. 22 G. SPATA, op. cit., XIV, 245 ss. e S. CusA, op. cit., I, 383 ss. 23 Si tratta dell'odier,no paese di Mirto che sorge a pochi chilometri di distanza dal monastero. 24 G. SrATA, op, cit., XIV, 246, 25 lbid. 26 Questo importante diploma è stato pubblicato in duplice .forma, l'una ristretta e l'altra completa, da G. SPATA, op. cit., VI e VII, 197 ss.


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gorio, artefice della ricostituzione del cenobio di S. Filippo, sentendosi vicino alla fine dei suoi giorni 27 , redige una lunga confessione in cui egli parla degli sforzi compiuti per rimettere in sesto il monastero e ricostituire la comunità monastica. Il documento merita di essere citato in gran parte: «lo umile e peccatore Gregorio [ ... ] sin dalla prima età rinunziai al mondo ed alle vane cose del mondo e che sono come sogni e dedicai me stesso al predetto monistero di S. Filippo, che era pure inabitato ed affatto disparso e non già ripieno di molti monaci, come oggi si vede,, "- Già dalle prime parole di Gregorio abbiamo la prova che il monastero esisteva prima del 1090 e che esso era andato in decadenza durante gli ultimi anni della dominazione araba. Gregorio non ci dice a quale epoca risalga la fondazione vera e propria del monastero ch'egli ha fatto rinascere. Dalle sue parole deduciamo però che il monastero doveva esistere già molto tempo prima che i Normanni lo dotassero 29 • Il buon egumeno parla anche del tempo, tristissimo per i cristiani, della don1inazione saracena. «Rimasi fermo - confessa - combattendo assai in questo luogo per mettere in comparsa l'opera ch'era svanita. E già da poco tempo respirando l'isola di Sicilia dalle spesse effusioni di sangue e dalla schiavitù fatte dagli atei saraceni, imperciocché io pure meschino da essi soffrii molte sevizie in questo sacratissimo monistero» 30 • Questo infaticabile monaco, che resistette pur tra le «sevizie" inflittegli e pur fra le distru2lioni apportate dai saraceni al suo cenobio, ci offre poco più avanti un'altra testimonianza che ci aiuta a dedurre che la distruzione saracena ha riguardato

ma anche da S. CusA, op. cit., 400 ss. Cfr. pure G. CozzA-Luzr, op. cit., e B. LAVAGNINI, Aspetti e problenzi del 1nonachesin10 greco nella Sicilia nor1nanna, in AA.Vv., Byzantino-Sicula, Palermo 1966, 51 ss. 27 Almeno dodici anni ancora egli doveva vivere. Abbìan10, infatti, docu1nenti che nel 1117 - anno probabile rdella sua morte - ne parlano come di un abate ancora vivo. Cfr. G. SPATA, op. cit., 245 ss. 28 G. SPATA, op. cit., VI, 197. l9 lbid. 30 Ibid., 198.


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soprattutto il luogo del culto, la chiesa: «Per la saviezza di quel valorosissimo Ruggero Conte, e per l'opera di me da poco, e per l'obbedienza che s'impose a coloro che primamente abitarono in tale monistero e per la subordinazione che hanno fratelli e padri, dalle stesse fondamenta questo tempio innalzassi e la torre fu edificata» 31 • La chiesa e la torre campanaria furono, dunque, costruite ex novo nel 1090, o immediatamente dopo, ed anche il monastero vero e proprio dovette, sempre in quegli anni, essere ampliato, ristrutturato e reso più capace. L'opera di Gregorio fu anche più vasta ed efficace. L' egumeno di Fragalà, infatti, si rese bene conto dell'ottima disposizione d'animo del conte Ruggero e dei Normanni di Sicilia nei confronti del culto e dei monasteri greci, oltreché, naturalmente, di queUi benedettini 32 e colse l'occasione perché quel culto greco e quei monasteri basiliani, così numerosi, potessero tornare a vivere. Egli dichiara infatti: «E non solo per questo grande monistero diedi opera io indegno edificatore, ma eziandio per la vicina chiesa dell'Arcangelo Michele e per quella del precursore Giovanni e per quella della Santa Madre di Dio e dell'apostolo Pietro e per quella dei SS. Filadelfi e di Tallaleo e del nostro Santo Padre e sommo sacerdote Nicolò e per l'altra chiesa dell'apostolo P&etro e per quella della Santa Madre di Dio di quel valorosissimo di Maniace e per la chiesa dell'Apostolo S. Marco ultimamente fabbricata in questa città e a sante donne affidata [ ... ] e per molte altre possessioni che questo grandissimo monistero ricevette per possederle fermamente con i suoi diritti [ ... ]» 33 • lbìd. L. T. WHITE, op. cit., 94 ss. 33 G. SrATA, op. cit., 198. Molte di queste dipendenze del monastero di Fragalà sono oggi scomparse mentre per alcune di esse è problematico ritrovare tracce. La vicina chiesa dell'Arcangelo Michele ,fu forse inglobata nell'ala settentrionale del nuovo monastero; della chiesa del precursore Giovanni non si sa assolutamente nulla; di quella della Santa Madre di Dio, invece, si può pensare che essa sorgesse presso l'abitato di Frazzanò. Per le chiese, poi, dell'Apostolo Pietro, dei SS. Filadelfi, di Talleleo, del So1n1no Sacerdote Nicolò e dell'Apostolo Pietro sappiamo che si tratta 31 32


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«Fabbvicai ancora - c'informa Gregorio - colla torre celle ed appartamenti superiori nei quali i monaci dormono ed hanno il necessario alimento; e proventi di vigne e di poderi per via di mia sollecitudine a questo monistero ho procurato per sostentamento degli stessi permanenti monaci e di tutti quelli che concorrono a questo santo e divino monistero [ ... ]. Ed inoltre ho consacrato le mie domestiche possessioni ereditate dai parenti, mobili ed immobili, quando da principio feci la professione e fui annoverato nel ceto dei monaci» 34 • L'egumeno Gregorio lavorò indefessamente per rimettere in piedi un cenobio in cui durante la dominazione musulmana lui solo, forse, era rimasto ad amministrare il culto, e in un tempio probabilmente cadente o già del tutto abbattuto. Quest'uomo che seppe dare un senso alla rinascita del monachesimo basiliano di Sicilia non risparmiò neanche i propri averi perché il suo monastero risorgesse ed i monaci da lui governati potessero tranquillamente esercitare quel culto tanto minato dalla dominazione araba e messo in pericolo - ma né Gregorio né

rispettivan1ente di S. Pietro di Mueli presso Galati, dei SS. Filadelfi presso S. F11atello, di S. Talleleo D Santu Leu, nei pressi di Naso, di S. Nicolò (oggi santuario) nei pressi idi Alcara Li Fusi ·e dell'altra chiesa di S. Pietro de Deca, ancora oggi esistente nei pressi di Terranova. Della chiesa dell'Apostolo S. Marco sappiamo ch'essa probabilmente sorgeva in S. Marco d'Aluntio dove ancora oggi sopravvivono i resti dell'antico tempio di Ercole, probabihnente riutilizzato nel medioevo come chiesa di .rito greco. Di S. Maria di Maniace si sa, invece, molto dì più: nata, infatti, come cappella fondata nell'XI secolo dal ge1nerale bi· zantino Giorgio Maniace, fu trasformata un secolo dopo in un grande monastero benedettino e, nei primi decenni del secolo scorso, ritrasforn1ata ancora ed adibita a residenza dei duchi Nelson·Bridport, discen· denti dell'an1miraglio Nelson a cui re Ferdinando nel 1799 aveva donato i possedimenti delle abbazie di Fragalà e di Maniace. Cfr., per quest'ultima fondazione, S. NIBALI, Il Castello Nelson ovvero storia dell'abbazia di S. A1aria di Maniace nei secoli, Gravina 1985. Cfr., inoltre, per queste dipen· <lenze, M. SCADUTO, vp. cit., 107 s.s.; ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, codice Vaticanus Latinus 8201, 56, 79v., 130 148, 314 e S. NIBALI, Il Monastero di S. Filippo di Fragalà e la rinascita basiliana in Sicilia nel Medio Evo, in corso di stampa. Appendice II. 34 G. SPAIA, op. cit., 199.


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altri potevano ancora rendersene conto proprio da coloro che apparivano, ed erano, i liberatori: i Normanni 35 • Nel giro di qualche decennio, infatti, questa incredibile espansione dei monasteri basiliani conoscerà una decadenza pari, in velocità, al suo manifestarsi intorno all'ultimo scorcio dell'XI secolo, così come nel VII ed VIII secolo essa aveva conosciuto un'espansione straordinariamente vasta in Sicilia. Ma torniamo al nostro egurneno. «Ho gover11ato ancora i divini monaci che si professarono sotto di me e la regola dei SS. Padri ho consegnato ad essi, voglio dire del grande Basilio e di S. Teodoro Studita e di tutti i padri per astenersi affatto dalla carne, ciò ch'era andato in disusanza nell'isola di Sicilia per essere stata saccheggiata essa dai discendenti di Agar 36 e trasportata nel disordine. Similmente ho comandato che egHno non solo nella grande e celebre Quadragesima digiunassero, ma anche nella Procatarsima 37 , dal dì dell'apostolo Filippo, di Natale e dei Santi Apostoli e per tutto l'anno nei due giorni, il mercoledì e il venerdì, tranne i santi illustri e gli infermi di corpo» 38 • Il nostro buon Gregorio ricorda ancora come abbia ordinato ai monaci di «intuonare a Dio i cantici di lui e le laudi di lui portare non tacitamente nel lavinge loro. E attenzione maggiore aver essi nella meditazione delle sacre e divine scritture [ ... ]» 39 • Nelle sue parole, tutte dedicate alle tappe della sua opera

35 E-ra infatti inevitabile che i Normanni avviassero J.1_ell'isola, pur incoraggiando il monachesimo basiliano, la latinizzazione del culto e favorissero, perciò, gli ordini monastici latini. Cfr. M. SCADUTO, op. cit., 71 ss. e L. T. WHITE, op. cit., 94 ss. 36 Dai .inusulmani, cioè, che erano ,nel medioevo chiamati anche così da Agar che, sposato Abra1no, generò Ismaele da cui discesero poi gli Arabi . .ii La «Procatarsima» era l1a prepurgazione. Secondo G. Spata qui si sottjntende {(settimana», cioè settin1ana di prepurgazione. Le settimane di prepurgazione, nella chiesa greca, erano quelle che precedevano la pasqua, il natale e l'assunzione della Vergine. Cfr. G. SPATA, op. cit., 206. 38 Jbid., 199. 39 Jbid., 200.


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di ricostruzione e di ricostituzione e pervase sempre di religiosa modestia, brilla ogni tanto anche la malinconica scintilla della riflessione personale, autobiografica: «Ed ora, a vecchiaia e ad impotenza ridotto dai molti mali, ho giudicato col mio discreto discernimento vicino essere dell'inesorabile morte il debito. E comeché la canizie non riverisca, così della giovinezza ha pietà. E comeché torni di buon augurio a tutti, secondo il divino profeta, e di bel suono: ché non havvi uomo che vivrà e che non vedrà la morte: e niuno libererà l'anima sua dalla mano dell'orco» 40 • Gregorio testimonia quindi di avere eletto il «piissimo Blasio», suo «discepolo e che sin dall'infanzia si è allevato [ ... ], erudito essendo e monaco diligente», "afìgumeno" del monastero. A Blasio e a «tutta la sua congregazione» Gregorio impone che si astengano «anche dal peculio» e che «tutte cose siano comuni e simili secondo è negli atti degli apostoli [ ... ] » 41 • Eg1i non manca, infine, di ricordare, nel suo testamento, anche tutti coloro che lo aiutarono, insieme al conte Ruggero, nella piissima opera: «Nicolò gloriosissimo camerlengo», il «gloriosissimo Leone Logoteta», «Eugenio mansuetissimo nella sua nobiltà col padrone e colla padrona Adelasia» 42 • Il testamento conclude lanciando «anatema e catanatema e pantanatema» su chiunque cercherà di separare le dipendenze di S. Filippo e distruggerà «la regola disposta dai Santi Padri» 43 • Abbiamo riportato quasi per intero il testamento dell'abate Gregorio perché ad esso sempre si richiamano gH altri documenti che riguardano Fragalà. Ma a questo punto dobbiamo fare un passo indietro, fino al 1091. E' di quest'anno un diploma del conte Ruggero che concede a Gregorio la facoltà di rinnovare la dipendenza di S. Talleleo e gli concede altresì «i poderi vicini al monistero di S. Talleleo per alimento dei monaci» ed altri ancora, «quelli vicini a Macrolitario» 44 • Jbid. Ibid., 202. " Ibid., 203. 43 Jbid. 44 Jbid., 164. Incaricato di fissare sconte R.aberto. 40 41

confini della dipendenza è il vi-


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Nel 1092 Ruggero concede - «e soprabbondantemente» 45 al monastero poderi a "Mueli", un monte nei pressi di Galati Mamertino 46 e nel 1094 dona al monastero le dipendenze di S. Nicolò della Scala o di Paleocastro («antico castello») e di S. Ippolito e «i poderi per alimento dello stesso monistero» 47 • Morto nel 1101 il gran conte Ruggero, «adiuvator christianoru1n», come in tanti documenti viene chiamato, l'egumeno Gregorio continua ad implorare aiuti, presso la corte normanna, per rendere ancora più estesa e completa la sua opera di riorganizzazione ed estensione del monachesimo basiliano nella Sicilia orientale. La reggente Adelasia si dimostra in ciò molto prodiga. Dell'ottobre 1101 è, infatti, un documento che testimonia di quanto la contessa sia grata al monastero di Fragalà entro le cui mura il figlio, il futuro re Ruggero, ha ricevuto la guarigione 48. Essa concede a Gregorio «quattro villani» 49 , delle vigne nelle contrade "Oria", Vagitza ed "Erepi", la facoltà di «far molini» al fiume di "Panagìa" e «Un podere di quattro moggi del pezzo di Pauliano e di Galati e di Patera» 50 • Nell'aprile del 1110 la contessa conferma al monastero di S. Filippo una donazione, fatta dal defunto suo marito nel 1097 e riguardante la possessione «che ha nome i Nudi, la selva e il bosco e il monte dei pascoli e la villa in perpetuo [ ... ] » 51 ; nel marzo del 1112 conferma i poderi che il monastero possiede in S. Maria della Gullìa e che erano stati donati da suo figlio Simone 52 • 11

11

lbid., 174. lbid. 47 Jbid., III, 179-182. 48 Si tratta di un evento riportato da più :fonti. Cfr. per tutte G. SPATA, op. cit., 193. 49 I nomi dei quattro vjllani, o «pellegrini», riportati nel documento, sono i seguenti: Stefano Filomaco, Pietro di Teodoro, Costantino Porcelli, Teodoro Daneste. so G. SPATA, op. cit., V, 193. s1 Ibid., IX, 225. 52 Ib~d., Simone era inorto il 28 settembre del 1105. Cfr. M. SCADUTO, op. cit., 108. E' la prima volta che questa dipendenza di S. Filippo, S. Maria 45 46


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Nelle vicinanze di quest'ultima dipendenza ne sorgeva un'altra, quella di «Santa Maria di quel valorosissimo di Maniace» 53 , sorta probabilmente molti anni prima a ricordo della vittoria riportata dal «protospatario» bizantino Giorgio Maniace sugli Arabi 54 • Ma torniamo alle donazioni di Adelasia. Nel novembre dello stesso 1112 la contessa, che dimorava allora «vicino S. Marco», «avendo veduto il detto santo monistero povero essere e il detto categumeno (Gregorio) e i vecchi dello stesso monistero mancar di alimento» dona a Gregorio «cinque villani del paese di S. Marco e suo territorio» 55• Anche quest'ultimo documento riveste una grande importanza. Dalle parole della contessa Adelasia, infatti, si capisce che a questa data - 1112 - il monastero di S. Filippo è, malgrado i tanti e tanto vasti possedimenti, «povero» e che i monaci che vi vivono mancano di «alimento». Eppure, sono trascorsi solo sette anni da quando Gregorio nel suo testamento descriveva entusiasticamente le condizioni del suo grande cenobio e quelle dei suoi monaci. Evidentemente, l'epoca d'oro della rinascita basiliana nella Sicilia orientale è già in quest'epoca terminata. Adelasia parla anche di «vecchi dello stesso monistero», quasi a sottolineare che solo vecchi monaci vi abitano e che vi manca lafflusso dei giovani adepti. E' difficile spiegare questa repentina decadenza - di questo come anche di molti altri monasteri 56 con la progressiva 57 latinizzazione dell'isola o col fatto che la «espansione basiliadella Gullìa, viene inequivocabilmente chian1ata col suo nome. Nel testamento dell'egumeno Gregorio del 1105 troviamo, infatti, la menzione di una Santa Madre di Dio c0in la quale si deve identificare la chiesa, non più esistent·e, di Santa Maria di Frazzanò. Cfr. M. SCADUTO, op. cit,. 107-8. 53 Cfr. il testamento dell'egumeno Gregorio in G. SPATA, op. cit., VI, 198. 54 B. RADICE, Il casale e l'abbazia di S. Maria di Maniace, Palermo 1909, 43 e S. NIBALI, op. cit., 23 ·SS. 55 G. SPATA, .ap. cit., XI, 233-4. Abbiamo i nomi di questi «cinque villani»: Filippo Fisali, il vecchio Filippo Crasavio, Ruggiero Calabrò, Niccolò Guarneri. Il paese di S. Marco è, con ogni probabilità, S. Marco rd'Aluntio. 56 M. SCADUTO, op. cit., 115 ss. 57 lbid., 75 e L. T. WHITE, op. cit., 65 ss.


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na fosse stata precedentemente il risultato di preoccupazioni politiche, spiegabili con la situazione particolare della Sicilia che durante il governo di Ruggero I era per due terzi musulmana e un terzo greca» 58 • Malgrado le più convincenti spiegazioni resta sempre un mistero come, a distanza di appena qualche decennio, quell'entusiasmo religioso che all'incirca tra il 1085 e il 1105 ha infiammato i cuori delle popolazioni greche si sia spento quasi improvvisamente, soprattutto se si tiene conto del fatto che tutto ciò avveniva nel Val Demone, cioè nella regione in cui lelemento greco era sempre stato preponderante. E malgrado tutti gli aiuti che i signori normanni continuano ad elargire ai cenobi basiliani del Val Demone, una sorta di "furia usurpatrice" pren-· de molto presto, come si vedrà più avanti, ad infierire sui grandi monasteri basiliani e su quello di S. Filippo di Fragalà in particolare. I signori normanni prima, e quelli svevi poi, dureranno molta fatica a mantenere integro, con minacce e in,giunzioni, il patrimonio di S. Filippo di Demenna. Ma, tornando ai privilegi del monastero, troviamo un'altra concessione di Adelasia, forse risalente allo stesso 1112 59 • Si tratta della concessione di uomini al servizio del monastero, fatta su intercessione dello stesso egumeno Gregorio 60 • Al 22 maggio del 1116 risale poi un diploma in cui il normanno «Eleazaro, figlio di Guglielmo Mallabret della città di Galati», dichiara di aver concesso alla chiesa di S. Pietro di Galati, dipendenza di Fragalà, uno dei suoi «villani», «Pietro soprannominato Tzengaropollo con tutte le sue sostanze mobili ed immobili» ed, inoltre, i «poderi per servizio e per sostenta-

58

M.

SCADUTO,

op. cìt., 73.

59 L'anno esatto di .questo documento è, infatti, molto difficile 1da sta-

bilire, manc-ando in esso qualsiasi indicazione cronologica. Cfr. G. SPAIA, op. cìt. 1 XII, 237 ss. 60 Ibid. r nomi di queste persone sono: Basilio S1ngene di I<.annem, Pietro di Basilio, Merocrino di Condè, Lico Pietro, Niccolò Calce detto !Colo, lo zoppo, e Stefano e Giorgio, detto Ecmaloto, Io schiavo, e Irene, figlia di Battola. Il 1documento citato .riveste una particolare importanza perché riporta la tr'ascrizione del diploma originale di re Ruggero.


Il campanile della Chiesa di FragalĂ

(foto G. Guzzet ta)



Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

241

mento di coloro che ivi s'imbattono e che ivi passano la vita» 61 • Eleazaro dichiara altresì di donare in perpetuo al monastero di S. Filippo anche «la vigna esistente vicino Santo Ippolito verso il boschetto» 62 • Del 1117 è il diploma di Ruggero II che abbiamo citato .per primo e contenente il privilegio del gran conte del 1090 63 mentre di una data non esattamente precisabile, ma che si può porre con buona approssimazione intorno allo stesso 1117, è un altro diploma riguardante la concessione di "Santa Anastasia" nel territorio di "Amistrato", da parte di Matteo di Creun ", concessione confermata dallo stesso Matteo nel 1122 65 • Un diploma del 1125 riguarda un'altra dipendenza di S. Filippo, S. Nicolò di Paleocastro che probabilmente sorgeva nei pressi di Alcara li Fusi. In esso il vescovo di Messina e di Troina, Guglielmo, conferma ai monaci basiliani il diritto di pascolo sulle terre di "Limina", "Castro" e "Storiano" 66 • Il documento prova che le usurpazioni ai danni dei possedimenti e delle dipendenze di S. Filippo hanno già avuto inizio (e da parte di altri monaci basiliani!) e lascia facilmente immaginare ciò che dovette avvenire su tutti i territori di pertinenza del monastero dal secondo decennio del XII secolo in poi. Nel 1133 due antiche dipendenze dell'abbazia, S. Pietro de Deca e S. Barbaro di Demenna, passano sotto la giurisdizione dell'archimandritato di Messina per un privilegio di re Ruggero concesso al monastero del SS. Salvatore 67 • Sempre nel 1133 anche l'abbazia di S. Filippo di Fragalà viene sottoposta, come autodespotica, all'archimandritato di Messina 68 e nel 1145 re Ruggero ne conferma all'egumeno Bonifacio tutti i possedimen. tI

69

.

Ibid., lbid. 63 lbid., 64 Ibid., 65 lbid., "' Ibid., 61

XII, 242.

62

67 68 69

XIV, 245 ss. XV, 246. «An1istrato}) era il no1ne dell'odierna Mistretta. XVI, 257. XVII, 261·2. M. SCADUTO, op. cit., 183. lbid., 186. G. SILVESTRI, op. cit., 153 e G. SPATA, op. cit., XLI, 381.


242

Salvo Nibali

Dopo quest'ultima data abbiamo un lungo silenzio. E' infatti, del 27 novembre del 1171 il diploma della regina Margherita che riconferma a Pancrazio, egumeno di Fragalà a quel tempo, il diritto del monastero sulle terre di S. Marco e di Maniace perché i gestori del territorio di Demenna e di quelle terre (alias villaggi) hanno «ingiuriato" il monastero 70 • Le ingiurie vanno probabilmente interpretate, qui, come usurpazioni di quelle proprietà che ormai da quasi un secolo il monastero possedeva a S. Marco e a Maniace, usurpazioni che devono essersi moltiplicate con straordinaria frequenza e a danno, soprattutto, dei piccoli possedimenti (per i quali potè sembrare inutile, ai monaci di S. Filippo, ricorrere all'autorità giudiziaria). Si spiega così il fatto che gli egumeni di S. Filippo sentano sempre più il bisogno di farsi confermare alcuni privilegi, giacché all'atto pratico i privilegi vecchi non riescono più ad assicurare al cenobio un effettivo controllo e un tranquillo godimento dei possedimenti. Da ciò il gran numero di documenti di riconferma che ci sono pervenuti. Sforzi inutili, come si vedrà, perché le usurpazioni ai danni di una così vasta estensione di proprietà si fecero col tempo sempre più frequenti e sempre più dannose. Nel giugno del 1182 «Beatrice padrona della terra di Naso" conferma all'egumeno Pancrazio <di punto del monte che aveva il santo monistero di S. Filippo entro il sno territorio .. e concede al cenobio la «coltura esistente nel luogo nominato S. Talleleo" 71 • Ma già nel settembre dello stesso anno i «regi giudici Rolando di Maletta e Filippo d'Eufemio" devono intervenire costringendo Beatrice a cedere a Fragalà «la possessione di S. Talleleo derubata dai padroni di Naso" 72 • Costretta a cedere i territori usurpati, Beatrice fa di più: regala, o riconfern1a, all'abbazia «Una coltura di otto "gumari" vicino la possessione del grande martire Talleleo» 73 • Il documento ci fa intuire che la dipendenza di S. Talleleo - che nel teG. SPATA, op. cit., XXI, 274 ss. Ibid., XXIII, 280 ss. n Ibid., XXIV, 288 ss. 73 Ibid. 10

11


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

243

stamento dell'egumeno Gregorio risultava un "metochio", c1oe una dipendenza a tutti gli effetti religiosa, rimesso a nuovo e servito da monaci, fosse, intorno al 1180, già andato in rovina o abbandonato, essendo stato usurpato a più riprese. Nel documento del giugno 1182 Beatrice ha infatti parlato di un «luogo chiamato S. Talleleo» e non si chiama certo così una grangia, cioè un piccolo monastero o una chiesa che siano ancora in vita e funzionanti o di cui restino, comunque, consistenti vestigia. Già in quel tempo, dunque, era difficile trovare tracce di questa dipendenza. La stessa donatrice, in un documento posteriore, sembra però ravvedersi e non solo per quanto riguarda l'usurpazione delle terre ai danni di S. Filippo. Essa si ricorda, infatti, improvvisamente, del «grande martire Talleleo» ma non accenna né ad una chiesa né, tantomeno, ad un monastero. Come S. Talleleo, molte delle piccole dipendenze di Fragalà, sparse su un territorio incredibilmente vasto, intorno alla fine del XII secolo dovevano già essere scomparse o evacuate dai monaci che, considerati i tempi infausti e lo scemare dei nuovi adepti, preferirono sempre più rimanere presso la casa-madre. Nell'aprile del 1183 è la volta di un'altra vicenda di usurpazione. Lo «straticoto di Centuripi» dichiara di avere restituito all'egumeno di S. Filippo, Pancrazio, i poderi della «contrada Malaventri» 74 • Nello stesso anno il monastero viene ancora una volta molestato dagli abitanti di Maniace e re Guglielmo "il Buono" deve ordinare un nuovo giudizio che costringe i maniacesi «a rilasciare le terre, le divise, il bosco di S. Giorgio Agrappidà, usurpati» 75 • Eppure, il monastero di S. Filippo, forse nella speranza di acquistare terreni che garantisca110 una certa produttività, continua ad accrescere il proprio territorio, almeno sulla carta. Non è più, però, il tempo delle grandi donazioni normanne 76 e i nuovi acquisti sono spesso solo compere di piccoli poderi. E' il caso di un documento dell'agosto del 1183 che testimonia di 74 75

G. SPATA, op. cit., XXV, 294 ss. G. SILVESTRI, op. cit., 7 ss. e B. RADICE, op. cit., 18.

76 Sono i monasteri latini, e ·soprattutto benedettini, a ricevere ormai grandi donazioni. Cfr. L. T. WHITE, op. cit., 94 ss.


244

Salvo Nibali

come il monastero di Fragalà abbia acquistato due poderi posti «verso il luogo nominato S. Flaciano». A venderli sono stati tale «Sacerdote Granerio e la moglie Omenessa» 77 • L'egumeno Pancrazio - uomo, da quel che risulta dai documenti, anch'egli infaticabile e che per la sua opera costante a favore del monastero richiamerebbe alla memoria il grande Gregorio se non fosse che, purtroppo, i tempi e le circostanze politiche e religiose in cui si trova ad operare non sono più quelli del suo santo predecessore - l'egumeno Pancrazio, dicevamo, non perde l'occasione, nel dicembre del 1192, di farsi confermare da re Tancredi tutti i privilegi 78 •

2.

L'epoca sveva

L'epoca sveva non apporta novità di rilievo nell'ambito del monachesimo basiliano che sembra, nel migliore dei casi, trincerato e confinato sulle montagne del Val Demone, sopravvivenza sempre più anacronistica. Le usurpazioni ai danni delle vaste proprietà basiliane, infatti, si susseguono regolarmente e sempre impunemente. La vicenda di una di queste usurpazioni ai danni dell'abbazia di Fragalà ci dà la misura e il senso della poca considerazione in cui erano ormai tenuti i monaci basiliani e, di conseguenza, di come fosse cosa normale invadere ed usurpare i loro territori. Nell'aprile del 1217 Costantino di Eufemio, «imperiale camerario della valle di Demenna e di Mili», dichiara di avere ricevuto una lettera da parte clell'«arconte e gran giudice» Ugo Capasino - «imperial giudice di Sicilia al di qua del fiume Salso» 79 - il quale dichiara di averne, a sua volta, ricevuta una dall'imperatore Federico che gli ingiungeva di fare giustizia dell'usurpazione patita dai monaci basiliani a causa dei benedettini di Maniace.

77 G. SPATA, op. cit., XXVI, 298 ss. 78 lbid., XXIX, 300. 79 Jbid., XXX, 309 ss.


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

245

Cos'era accaduto? I monaci benedettini di S. Maria di Maniace avevano, abate in testa, «turbato» i basiliani in «una certa possessione di poderi giacenti vicino i poderi di Maniace, la quale vien detta S. Marchetto» 80 • La tracotanza dei benedettini di Maniace, si dice nel documento, era giunta fino al punto di catturare un basiliano e tenerlo prigioniero per tre giorni 81 • Gli stessi benedettini avevano poi disturbato ancora i basiliani deviando 82 un corso d'acqua che alimentava il mulino che questi possedevano alla Gullìa, sulle sponde del Simeto e non molto lontano dall'abbazia di Maniace. Capasino ordina dunque all'«imperial camerario» Costantino di Eufemio di recarsi sui luoghi della controversia; questi obbedisce, appura la legittimità dei diritti dell'abbazia di Fragalà alla Gullìa ma, arrogantemente, i benedettini di Maniace non si presentano a lui benché a più riprese invitati a comparire in giudizio 83 • La lite fu comunque risolta ma possiamo presumere che molte altre di queste disavventure toccarono in quell'epoca ai monaci di S. Basilio, evidentemente ormai incapaci e numericamente insufficienti a difendere i loro vasti possedimenti. Se si eccettua un documento del novembre del 1220 nel quale Parisio, arcidiacono di Messina, riconosce «il legittimo dritto della chiesa di S. Filippo di Demina su possedimenti di terre site nel territorio di Naso» 84, nei documenti di quest'epoca non trovian10 che quasi esclusivamente testimonianze di usurpazioni ai danni del monastero. Nel giugno del 1223 lo «stratigoto» della terra di Centuripe, «Martino figlio di Guglielmo milite», dichiara di avere ricevuto una lettera dello stesso impera" tare Federico in cui si ordina di non «molestare e turbare» le

Jbid., 310. Ibid. s2 Così, infatti, pare vada intesa l'espressione un po' contorta: «con violenza e di propria autorità il corso dell'acqua per il quale il mulino 111acinava, il detto .categumeno (del monastero di Maniace, n.d.r.) contro 80

81

la consuetudine per il luogo loro ha travolto. Perciò nel detto mulino danno non picciolo patirono)): ibiid., 310-311. 8 ' Jbid., 312. 84 G. SILVESTRI, op. cit., 8-9.


246

Salvo N ibali

«possessioni dai beati re nostri predecessori» concesse al monastero di S. Filippo 85 • Si tratta della proprietà "Malaventri" che già una volta, in precedenza, come abbiamo detto, aveva subìto usurpazione. Nel 1224 il monastero fa parte di quei cenobi basiliani che, malgrado i mutati rapporti tra clero greco ed episcopato latino, obbediscono ancora solo all'archimandrita ed eleggono i loro abati in piena libertà 86 • Sempre nel 1224 ritroviamo la questione riguardante S. Talleleo nel territorio di Naso e, l'anno dopo, quella dei possedimenti di "Granatieri" e del fiume "Panagìa" 87 ; nel 1245 è la volta dei confini delle dipendenze di S. Marco, di "S. Giorgio Agrappidà" e di alcune terre che il «maestro forestario» Filippo di Eufemio è costretto a restituire 88 • La controversia riguardante il possedimento di S. Talleleo ritorna, ancora una volta, nel 1257. A quest'epoca è egumeno di Fragalà Pafnuzio 89 che lamenta «furti e molte cose» da parte degli uomini del signore «della terra di Naso e Pietraperzia, Matteo figlio del fu messer Matteo Garresi» 9-0, nipote di quella Beatrice che abbiamo incontrato già due volte nei documenti e sempre per la medesima questione. Gli uomini di questo signore, infatti, c<anco non aver riguardi giudicarono bene ma speculare e macchinare contro di esso ill'onistero» 91 • Matteo, signore di Naso e Pietraperzia, comunque, conforma per l'ennesima volta la «coltura nel luogo denominato Santo Talleleo» "Fra le tante usurpazioni troviamo, ogni tanto, anche qual-

"' G. SPATA, op. cit., XXXI, 316. 86 M. SCADUTO, op. cit., 238. 87 G. SPATA, op. cit., XXXIII. " Ibid., XXXIV, 336. 89

Pafnuzio è egumeno di Fragalà dal 1245 al 1273. Ibid., 368. Ibid., XXXV, 342 ss. lbid. E' difficile comprendere bene cosa significhino qui «speculare» e <<macchinare contro» il monastero. Forse si deve intendere, per speculare: usurpare - e sappiamo che si tratta della proprietà di S. Talleleo, già tante volte «invasa>) -, ma macchinare e, soprattutto, macchinare cont,ro? 92 lbid. 9D 91


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

247

che atto d'acquisto. Nel dicembre del 1273, infatti «Alessandro di Bonsignoro», di Randazzo, vende a Pachimio, abate di S. Filippo, «due case con orto site nella terra di Randazzo sul poggio di S. Martino per onze quattro d'oro» 93 • Nell'ottobre del 1279 è una tale «Maria, figlia del fu Giovanni Cattune», a vendere al monastero, nella persona del su 0 egum,eno Giacomo 94, un suo podere nella terra di Mirto nel luogo nominato dell' "Oliveto" per quindici tari d oro 95 • Nell'agosto del 1280, quando non ci si aspetterebbe più di trovane nei documenti donazioni in favore dell'abbazia, troviamo invece che «Adelasia moglie del fu maestro Giovanni Ferraio» concede in dono «al venerato monistero di S. Filippo di Demenna e al messere Giacomo, Canegumeno cli esso, e al medesimo cenobio due abitazioni che possedeva entro nella terra di S. Marco [ ... ] e un pezzo di podere [ ... ] nel luogo denominato di Luri >> 96 • La buona Adelaide, nell'atto di donazione, ricorda di aver ricevuto entro le mura del monastero «l'angelico abito» e di essere «professa». Una donazione nata dalla devozione, dunque, che proprio per la sua eccezionalità nell'ultimo scorcio del XIII secolo, ci fa ancora meglio comprendere come davvero i tempi siano profondamente cambiati e siano ormai da molto tempi duri per il monastero di Fragalà. Basta paragonare, per rendersene conto, la donazione di questa pia donna - due abitazioni! - con le concessioni dell'epoca dei primi re normanni. 1

1

L'epoca angioino-aragonese

3.

«La manomissione della proprietà immobiliare dei basiliani, che è uno dei segni della loro decadenza - scrive M. Scaduto - incominciò anche prima, negli ultimi anni della dinastia G. SILVESTRI, op. cit., 13-15. Giacomo è egumeno di Fragalà dal 1280 al 1302. Cfr. G. cit., 368, 95 Jbid., XXXVII, 354. 96 Ibid., XXXVII, 360 ss. 93

94

SPATA,

op.


248

Salvo Nibali

sveva» 97 • La guerra ang101no-aragonese, la malaccorta politica religiosa di Carlo d'Angiò, «la tendenza dei latini ad assorbire i greci» 98 ed altre cause che, riferendo dell'abbazia di Fragalà, abbiamo indicato portarono il monachesimo basiliano al progressivo decadimento. Anche il monastero di S. Filippo subì la sorte di tutti i monasteri basiliani della Sicilia orientale e, infatti, i documenti di privilegi in suo favore si fanno, dal XIV secolo in poi, sempre più rari, mentre aumentano quelli che riguardano le usurpazioni e i danneggiamenti. Agli inizi del XIV secolo negli anni 1308-10, la decima che il monastero pagava alla S. Sede ammontava ad un' onza e quindici tarì 99 • Nell'agosto del 1302 troviamo la donazione di usufrutti su alcuni possedimenti da parte di «Ventura, vedova di Leone Catamorfrica di S. Filippo» che concede in perpetuo tutti i suoi beni a Gioacchino di Seminara, probabilmente abate del monastero, riservandone la rendita in favore di frate Crifone, suo figlio 100 • Nel marzo del 1305 è l'abate di S. Filippo, Melezio, a fare tma concessione. Cede, infatti, Ia chiesa e le «pertinenze» di San Nicolò di Pirgario al prete Giovanni di Niciforo 101 • La chiesa, che si trovava nel casale Mirto, pare fosse stata devastata dalle guerre e sorgesse su terre ormai «gerbe et steri!es et nullius redditus et provcntus» 102 • Il documento è particobrmente interessante perché lo stesso abate confessa che il monastero di S. Filippo manca di proventi e che esso, insieme ai suoi averi, «totaliter fuit destructum» ' 03 • E non c'è da stupirsene: è questa, infatti, l'epoca de!la guerra angioino-aragonese che altra distruzione e povertà apporta ai monasteri basiliani di Sicilia 1°'97 98 99

M. SCADUTO, op, cit., 290. Jbid., 292. Cfr. pure L. T. WHITE, op. cit., 94 ss. Rationes deci111aru111 Jtaliae. Sicilia, a cura di P. SELLA, Città del

Vaticano 1944, 54 e 60 e M. SCADUTO, op. cit., 314. 100 G. SILVESTRI, op. cit., 16. 101 Ibid., 19. 102 lbid., 20. Anche di questa chiesa non restano ·più tracce, Jbid. 104 M. ScAnuTo, op. cit., 303 ss.

103


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

249

Nel maggio del 1310 l'abate Melechio concede a vita «a maestro Oddone figlio di Costa Lampasi di S. Marco» una casa appartenente al monastero, <<per il censo di grani dieci d'oro» coll'obbligo di migliorarla 105 • In quest'epoca i monaci presenti nel monastero sono sette, di cui quattro sacerdoti. Nel 1328 risiedono nel monastero ancora sette n1onaci n1a le abitazio11i e le celle sono in rovina e l'archimandrita Ninfa, che tra il 1328 e il 1330 visita i monasteri sottoposti, ordina che si eseguano restauri nell'abbazia 106 • Da un documento risalente all'anno 1331 circa apprendiamo che l'egumeno Nifo11e, o Ninfa 107 , acquista per «sei rubbi di grano" un podere «posto nel luogo chiamato Agrieleo» da un certo «Cartulario» 108 • Del giugno del 1335 è un documento in cui tali «Costa Russo e Prancato Crassa di Frazzanò, abitatori del casale di Bolo» confessano di dovere al monastero di S. Filippo, «come diritti ascrittizi per ragione di villanaggio», quattro tarì d'oro ciascuno all'anno 109 • Una piccola donazione troviamo nel febbraio del 1338: tale Roberto di Corilione, insieme alla moglie Francesca, in ricompensa per i benefici ricevuti dona ad Anichio, abate del monastero, uu pezzo di terreno sito nel territorio di Randazzo 110 • Del febbraio dell'anno dopo è un'altra donazione: «Franco di Marchisana di S. Mm·co», dona, sempre all'abate Anichio, <<Una terra sita in S. Elia ed un vigneto in contrada Croci» 111 • In questi anni, egumeno Anichio Longo, nel monastero si trovano dieci n1onaci 112 •

105

G, SILVESTRI, op. cit., 24.

106

M. SCADUTO, op. cit., 452. Il monaco Ninfa .fu egumeno di Fragalà dal 1331 al 1335. Cfr. G.

107

SPATA, op. cit., XXXIX, 368. 1os Ibid., 366. La località corrisponderebbe al luogo oggi denominato «Ogliastro». 109 G. SILVESTRI, op. cit., 34. llO Jbid., 37. lll lbid., 45. 112 M. SCADUTO,

op. cit., 452,


250

Salvo Nibali

Nel settembre del 1360 Vinciguerra di Aragona, barone di S. Marco, «rilascia», cioè rinunzia al censo, consistente in un'on~ eia d'oro dovutogli dal monastero su una vigna posta nel territorio di S. Marco 113 • Ma le usurpazioni ai danni dell'abbazia di Fragalà devono purtroppo continuare se nel 1391 l'archimandrita Paolo deve intervenire presso le autorità militari e civili affinché il monastero non sia più molestato dai «vicari» dell'arcivescovo di Messina che si sono impossessati di un pezzo di terra appartenente al monastero 11'. A queste vicende, tuttavia, si alternano ancora episodi di piccole donazioni, che sono davvero poca cosa se si pensa che i vastissimi possedimenti di S. Filippo erano continuamente ogget.to di usurpazioni o rimanevano in gran parte infruttuosi ed incolti. Nel gennaio del 1398 tale Giovanni di Salvo di Naso «dona al monastero di S. Filippo di Melitiro del Val Demina» una vigna «Con terre vacue e con alberi selvatici e domestici» lls. Nel 1398 abbiamo testimonianza che il monastero ha ceduto in gabella a tale Cristoforo Gomiz, «per il censo annuale di due oncie d'oro» una vigna e ttn mulino nel territorio di Ra11dazzo 116 e, nello stesso anno, troviam_o il _nome di t1n benefattore del monastero, «Pandolfo Cupani del casale di Mirto» 117 • Un'importante novità compare in un doct1mento del novembre 1400: Agnato, o Aganato, egumeno del monastero, stipula un contratto di società, della durata di tre anni, con tali «Roberto di Casta e Giovanni Catanzaro» di Alcara. Nel capitale sociale l'abate mette cento pecore, capre e la metà di una giumenta dìglata (sic) cum unu pultru masculu appressu»; gli altri due mettono in tutto cinquantatre bestie fra pecore e capre e l'altra metà della giumenta 118 • Il 19 aprile del 1408 i giudici 1

113

G. SILVESTRI, op. cil., 68. Non sappiamo se questa località sia quella

cli S. Marco 1d'Aluntio -o di S. Marco, o S. Marchetto, nei pressi di Maniace. 114 lbid., 72. 115 lbid., 75. li 6 lbid., 81. u1 Ibid., 78. 118 lbid., 84.


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251

di Randazzo confermano Aganato, egumeno, nel possesso della dipendenza di S. Maria della Gullìa 119 • Si tratta della vicenda di un'usurpazione che si ripete da due secoli 120 • Non sono, però, i benedettini di S. Maria di Maniace ad avere occupato, questa volta, il feudo ma l'abate commendatario di Maniace, Giovanni Ventimiglia, barone di Sperlinga 121 • Come abbiamo detto, il feudo di S. Maria della Gullìa era, fra quelli posseduti dal monastero di Fragalà, il più distante e il più difficilmente governabile e si comprende, perciò, come esso facesse gola a molti e, soprattutto, ai benedettini di S. Maria di Maniace, da tempo intenzionati ad impossessarsi dei mulini e delle terre della Gullìa. Fra le altre cose, nel documento non è più citata la grangia della Gullìa ma soltanto la chiesa che porta lo stesso nome e a cui spettano i proventi del feudo. Dobbiamo dedurne che la grangia, in questo principio del XV secolo, non era più abitata dai monaci?

In regime di commenda

4.

Del luglio del 1409 è un atto, fatto redigere dall'abate Agnato, o Aganato, in cui appare il nome cli un altro benefattore del monastero, Filippo di Roberto, di Barcellona 122 • Nel 1417 viene nominato abate commendatario cli Fragalà - con diritto di voto nel parlamento siciliano - Marco, o Mario, da Monteleone "'Da quel che sappiamo, è questa la prima volta che il monastero viene dato in commenda, cioè in co11cessione praticamente feudale, ad un barone: un «provvedimento» che arriva relativamente in ritardo se si considera che tantissimi monasteri, greci e non, lo subiscono già dalla seconda metà del Trecento. Ma qui come altrove il nuovo regime aggiunge clecaclenza alla decadenza, poiché gli abati commendatari non si preoccu-

119

122

lbid., 88 ss. Cfr., qui ,sopra, 244 ss. G. SILVESTRI, op. cit., 88 ss. lbid., 95.

123

G. SPATA, op. cii., 368.

120

121


252

Salvo N ibali

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peranno mai, in genere, che di sfruttare al massimo il «feudo», senza prendersi assolutamente cura del culto e delle condizioni di vita dei monaci o dello stato delle fabbriche e delle chiese. Ma torniamo alle vicende dell'abbazia di Fragalà. Il 24 maggio del 1441 Marco, o Mario, di Monteleone rende pubblici alcuni provvedimenti risalenti all'epoca normanna e comprovanti le grandi donazioni ricevute dal monastero nell'XI e XII secolo. I documenti, che in origine, naturalmente, erano scritti in greco, sono ora pubblicati in latino e in siciliano e tradotti da «Blasio de Blasio della terra di Naso» 124 • Si tratta di akuni diplomi riguardanti le terre del «Casale Malaventri nel territorio di Centorbi», <da terra di S. Nicola della Scala in Paleo Castro e S. Ippolit·o coi loro territori, diritti di pascolo, l'esenzione delle angherie e diritti sul mercato che si teneva regolarmente nei pressi del monastero» 125 • Viene da chiedersi, davanti a questa pubblicazione fatta nel pieno dell'epoca degli abati commendatari, per quale ragione Marco di Monteleone abbia reso pubblici quei documenti, riguardanti precisi diritti, e no11, invece, altri fra i tanti che certamente ingombravano la sagrestia della chiesa o il suo appartamento. Una spiegazione, che forse non è molto lontana dal vero, può essere quella che gli abati commendatari di quest'epoca tentassero di recuperare privilegi e diritti che col tempo erano andati quasi annullandosi, cercando così cli ingrandire il loro patrimonio. Il recupero di diritti e rendite non significò mai, però, un miglioramento delle condizioni di vita dei monaci che continuavano a ricevere, per il loro sostentamento, lo stretto indispensabile e, spesso, neanche quello. Dell'aprile del 1453 è un documento, redatto a Naso, in cui si parla di un debito di venticinque onze che Paolo, archimandrita, ha contratto con Marco, abate di Fragalà 126 • Nel 1456 l'abbazia di Fragalà viene ceduta da re Alfonso a certo «Iacobo de Balbo» 127 e nel 1464 l'abate di S. Filippo, ma non sappiamo se

124

12s 126

121

G. SILVESTRI, op. cit., 99 e M. SCADUTO, op. cit., 104. G. SILVESTRI, op. cit., 102 ss. Jbid., 119. G. L. BARBERI, Benefìcia ecclesiastica, I, Manfredi, Palermo 1962, 145.


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è ancora lo stesso de Balbo, viene incaricalo dall'archimandrita di Messina del governo dell'antico monastero di S. Maria di Mallimachi (o de Malimatii), sito tra l'abitato di Castanea e quello di S. Salvatore, cosa che irrita il barone di Castanea che, evidentemente, contava ormai di impadronirsi delle proprietà del vecchio monastero basiliano. Mentre questo ed altri monasteri si dibattono in grandi difficoltà, nel 1466 il cardinale Bessarione tenta un'estrema radicale riforma del monachesimo basiliano in grave decadenza anche dopo il pur fruttuoso insegnamento del greco da parte di un grande maestro come Costantino Lascaris 128 • Le leggi sancite dal capitolo dei basiliani da lui convocato a Roma nel 1466 non bastano però a ribaltare una situazione ormai compromessa. Le regole basiliane fatte compilare dall'infaticabile cardinale - le Regulae fusius tractatae, le Regulae brevius tractatae e le Constitutiones monasticae pubblicate a Roma nel 1578 - non serviranno però a ridare ai monaci basiliani l'antica sapienza nell'uso del greco o nella trascrizione di codici antichi e, soprattutto, non serviranno a rifare dei n1011asteri basiliani quei luoghi di cultura e di santità ch'erano stati un tempo 129 • Nel 1491 130 l'abbazia di Fragalà, insieme a que11a di S. Maria di Maniace alla quale è stata molto tempo prima aggregata 131 , viene ceduta da papa Innocenzo VII, con bolla dell'S luglio, all'«Ospedale grande e nuovo» di Palermo 132 • A papa Innocenzo le due abbazie, coi loro estesi possedimenti, erano state donate, M. SCADUTO, op. cit., 344 ss. Jbid., 348 ss. 130 G. SPATA, op. cit., Appendice II; B. RADICE, op. cit., 68 ss. e S. NIBALI, up. cit., 69 ss. 131 G. SPATA, op. cit., 167. Cf.r., .iinoltre, B. RADICE, op. cit., 68. Radice non è convinto che l'unione delle due abbazie fosse avvenuta molto tempo prin1a deila seconda metà del Quattrocento. Una fonte autorevole co-me Rocco Pirri sostiene, invece, che questa unione abbia avuto luogo - se non 1naterialn1ente, ufficialrnente - ,nel 1188. Cfr. R. PIRRI, Sicilia sacra disquisitionibus et notilis illustrata, L. IV, 1. II, Tp. P. Coppola, .Palermo 128 129

17333, 1259. n2

G.

SPATA,

op. cit., Appendice IL


254

Salvo Nibali

lo stesso anno, dal cardinale Rodrigo Borgia, abate commendatario di Maniace 133 e futuro papa col nome di Alessandro VI. A quest'epoca, quando per qualche storico 134 la vita del monastero è già finita, l'abbazia possiede ancora i feudi di S. Nicola de Petra (o S. Nicolella), di Semantile, di S. Giorgio Agrappidà (o, più semplicemente, Grappidà) e della Gullìa 135 • E' probabile che questi feudi a cavaliere tra il versante nordoccidentale dell'Etna e le montagne dei Nebrodi siano rimasti in linea di massima gli stessi che il monastero deteneva da antica data e ciò malgrado le continue usurpazioni che anche su questi estesi territori si ripeterono nel corso dei secoli. Del luglio e dell'agosto dello stesso 1491 sono poi due documenti che diffondono la bolla di papa Innocenzo in Sicilia. La prima è a nome di Giovanni, «vescovo di Girgenti» 136 , la seconda a nome di re Ferdinando 137 • Nel dicembre del 1494 !'«Ospedale grande e nuovo» di Palermo, commendatario delle due abbazie di Maniace e Fragalà, fa la prima concessione in enfiteusi riguardante uno dei tanti feudi ricevuti. Si tratta, ancora una volta, del feudo e della grangia di S. Maria della Gullìa, qui detta «Gudìa», che viene data in gabeììa a certo Filogato con l'obbligo di corrispondere ali' ospedale «la decima di tutto il prodotto ed onze tre nel mese di agosto di ogni anno» rn Priore del monastero è, a quest'epoca, frate (<Paolo de Gazardo de terra Trayne» 139 • Del 27 gennaio del 1497 è, poi, un documento che testimonia ancora della profonda crisi in cui l'ordine basiliano ormai si trova e del grado di decadenza religiosa e culturale in cui il monastero di Fragalà è precipitato. Papa Alessandro VI, exabate di M«niace, concede infatti all'ospedale di Palermo la

133

Jbid.

357. Co1nunità rurali della Sicilia 1noderna. (1747-1853), Catania 1969, 123. 136 G. SILVESTRI, op. cit., 132. 137 Jbid., 137 ss. 138 Jbid., 141. 139 Jbid., 142. 134

ns

M. G.

SCADUTO, op. cit.,

Lo GIUDICE,

Bronte


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

255

facoltà di sostituire i monaci basiliani di S. Filippo con i benedettini di S. Maria di Maniace 140 • Non solo: egli concede ai rettori del!' ospedale anche la facoltà di eleggere o rimuovere a proprio piacimento i priori nelle due abbazie 141 • La motivazione di tale concessione, com'è spiegato nello stesso documento, sta nel fatto che è ormai molto difficile reperire monaci basiliani dall'onesta vita 142 • Del luglio del 1519 è un documento spedito da Roma al vescovo di Girgenti perché quest'ultimo indaghi su uno stranissimo fatto avvenuto nella chiesa di S. Filippo o, meglio, ai suoi danni. Si tratta, infatti, di un'incursione fatta dai membri di una confraternita di Lentini che hanno trafugato alcune preziose reliquie dalla chiesa del monastero e, precisamente, «il capo dell'Apostolo Filippo e le reliquie dei santi martiri Alfio Filadelfìo e Cirino» m Del luglio del 1559 è invece la concessione del cardinale Rainizio ai rettori del!' ospedale di Palermo della facoltà di scegliere, per i due monas,teri di Fragalà e dd Maniace, monaci di ogni ordine, anche di «mendicanti», consi· derata la penuria di monaci benedettini e basiliani 144 • Rapporti certamente non ottimali dovettero intercorrere, in quest'epoca, tra il commendatario, cioè i rettori dell'ospedale, e i monaci delle due abbazie se troviamo, nell'ottobre del 1598, un documento con cui il "protonotaro apostolico" di papa Clemente VIII comunica alle autorità ecclesiastiche della diocesi di Messina la bolla di Innocenzo VIII che unisce i due monasteri e li concede all'ospedale di Palermo ed ingiunge a quelle autorità di avvertire gli abati e i monaci di guardarsi da qualsiasi «opposizione o molestia contro l'Ospedale» 145 . lbid., 148. Ibid. 142 Ibid., 149. 143 lbìd., 156. Le reliquie dovettero però in seguito essere recuperate, se le trovia1no nel catalogo del reliquiario stilato nel Settecento dal regio visitatore G. Angelo De Ciocchis che controllò di persona lo slato <leJ n1onas-tero. Cfr. G. A. DE CroccHIS, Sacrae regiae visitationis, II, Tip. Diarii l40

141

1

Litterarii, Palermo 1836, Vallis Nemorum, 439. 144 G. SILVESTRI, op. cit., 159. 145 Ibid., 161.


256

Salvo Nibali

Un altro diploma, simile a questo, risale al maggio del 1600. In esso si ammoniscono le autorità ecclesiastiche e tutti gli interessati affinché «i re'ttori e !'Ospedaliere dell'Ospedale nuovo di Palermo sien lasciati nel pacifico possesso dei monasteri» 146 e nel godimento dei "benefici dipendenti, cioè: chiesa di S. Caterina in Tartarici, priorato di S. Maria del Brugnolito, chiesa di S. Maria di Acquadolce, di S. Giacomo in S. Fratello, di S. Maria del Soriano in San Fratello e chiesa di S. Basilio in Naso» 147 • La stes•sa ammonizione appare in un documento del 28 maggio del 1607 in cui il "protonotaro apostolico" Paolo Crescenzio ordina a tutte le autorità civili ed ecclesiastiche del regno d'impedire «Ogni molestia contro gli amministratori dell'Ospedale di S. Spirito di Palermo nel pacifico possesso dei beni propri e di quelli dei monasteri» 148 • Nel luglio del 1617, poi, papa Paolo V ratifica un contratto di gabella stipulato «tra i rettori dell'Ospedale di Palermo e tali Sebastiano Marco ed Arcangelo de Martoglio» 149 • La gabella riguarda «tutti gli stati e terra di Bronte spettanti alle abbazie di S. Maria di Maniaci e S. Filippo di Fragalà per la rendita di novemila e cinquecento scudi sicilia11i» 150 • Quelli tra XVII e XVIII secolo sono tempi ancora più duri per il monastero di Fragalà, per i quali non abbiamo neanche molta docu·mentazione. Da alcune sparse notizie ricaviamo, però, l'impressione che i pochi monaci che ormai vi abitano passino il loro tempo a cercare di tenere in piedi strutture cadenti e a sbarcare il lunario alla men peggio con ciò che i rettori del!' ospedale forniscono loro. La vita del monastero appare scandita da pochi fatti: nel 1613 viene rifatto il portale della chiesa 151 , nel 1690 muore l'abate Antonino Magrì cui viene dedicato un sepolcro nella chiesa 152 , nel 1731 un sepolcro viene pure

14'

lbid., 167. lbid. Jbid., 175. lbid., 179.

iso

Ibid.

146 147 148

1s1 G. FRAGALE, 152

lbid., 11.

op. cit,, 10.


S. Filippo di FragalĂ : la Chiesa

(foto G. Guzzetta)



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dedicato a un altro abate, Filippo Papa, morto nello stesso anno 153 • Nel 1742 il monastero cli S. Filippo viene visitato dal regio visitatore Giovanni Angelo De Ciocchis 154 • In questo stesso anno, come ci testimonia appunto De Ciocchis, le grangie di S. Filippo sono: S. Giovanni Battista nel territorio cli Frazzanò («che commenta al momento attuale non esiste più»), S. Basilio sopra Frazzanò (e anche questa dipendenza non esiste più), S. Alfio sopra Frazzanò («anch'essa disparsa»), S. Teodoro (forse S. Teodoro di Mirto, antica dipendenza del monastero), S. Maria del Brignolito, vicino alla città di Militello (anch'essa, specifica De Ciocchis, non più esistente), S. Caterina in territorio cli Tortorici (anche questa non più esistente, secondo il visitatore), S. Anfiloco nel territorio di Naso, S. Maria vicino la città cli Castania, Tutti i Santi, SS. Pietro e Paolo "de Veca" sulla spiaggia cli S. Marco e S. Maria del Monserrato vicino alla città di Longi 155 • Come si vede da questa testimonianza, le dipendenze di S. Filippo alla metà del Settecento sono ormai ridotte al minimo rispetto alle clonazioni dell'epoca normanna e quasi tutte si trovano in stato di abbandono o cli sfacelo. Il visitatore, com'è suo costwne, prende in esame ogni aspetto dell'abbazia, ispezionando ogni cosa, dagli arredi sacri al reliquiario alle fabbriche. Le condizioni del monastero vero e proprio non sembrano essere, a giudicare dal suo resoconto, particolarmente malandate. Il monastero ha infatti molte celle per i monaci ed ha officine, un giardino, una biblioteca con molti libri e un archivio in cui si conservano gli antichi privilegi - e, fra gli altri, anche quello del conte Ruggero 156 • Tuttavia, dalla stessa relazione appare chiaro che le fabbriche hanno parecchio bisogno cli restauro e che le celle dei Ibid. G. A. DE C1occHrs, op. cil., II, Vallis Nemorum, 438ss. 155 Ibid. Nel novero delle dipendenze non si trovano più tanti «me1ochi» dell'epoca normanna mentre ,ne co1npaiono alculli assolutamente nuovi come S. Anfiloco di Naso o S. Maria del Monserrato vicino a Longi. 156 lbid., 439. 1s3

1s4


Salvo Nibali

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monaci non sono per nulla ospitali 157 • Nel 1742, apprendiamo ancora, nel monastero vivono otto religiosi, cinque monaci sacerdoti e tre conversi 158 • Resosi conto delle misere condizioni in cui vivono i fra ti basiliani di S. Filippo a causa dell'ingordigia e dell'infingardaggine dei rettori dell'ospedale di Palermo, De Ciocchis stabilisce che da parte dell'ospedale siano pagate al monastero 185,24 once di cui 153 per il vestito ed il vitto di nove monaci; 14,24 per tutto ciò che riguarda il culto nel monastero; 18 per la riparazione delle fabbriche della chiesa e del monastero 159 • Non si deve però pensare che dopo la visita di De Ciocchis, che pure ristabilì per qualche tempo gli elementari diritti dei monaci di Fragalà, le cose siano andate meglio. Probabilmente le fabbriche dell'abbazia continuarono a decadere e le condizioni di vita al suo interno a peggiorare. Nel 1762, intanto, altri restauri venivano apportati alla chiesa e ai locali del monastero, egumeno il monaco Travagliante 160 • Anche durante il corso della prima metà del XIX secolo la vita del cenobio - di questo come pure di pochi altri resisti ti a una rovinosa decadenza - dovette svolgersi fra simili difficoltà e, anzi, fra difficoltà maggiori che culminarono nel luglio del 1866, quando gli ordini monastici furono aboliti e i loro beni - ove ne possedessero ancora ,- incamerati nel demanio statale. Naturalmente, anche il monastero di S. Filippo di Fragalà subì la stessa sorte ma non ci pare che la legge del 1866 abbia provocato, in effetti, danni più gravi di quanti, invece, più lentamente e più rovinosamente, ne avesse già provocato il regime della commenda sotto cui sin dal XIV secolo molti monasteri erano passati. Del grande monastero di S. Filippo di Fragalà, centro della rinascita basiliana in Sicilia nel XII secolo, fino al 1866 non sopravvisse che appena un'on1bra, un monastero che nei secoli 157

Jbid., 440.

158

lbid.

Jbid., 443·4. 160 G. FRAGALE, op. cit., 10. JS9


Il monastero basiliano S. Filippo di Fragalà

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successivi al XII fu tale solo architettonicamente; entro il quale la grande lezione di Basilio di Cesarea e di Teodoro Studita e il grande patrimonio di civiltà protetto e mantenuto in vita dai più antichi monasteri basiliani presto si dissolsero o, meglio, da lì si espansero intorno, passata ormai l'epoca della dominazione musulmana e riacquistata quella libertà di culto inseguendo la quale i primi monaci greci erano giunti in Sicilia. Compiuta la loro missione, i monasteri basiliani, così poco adatti, ormai, con le loro usanze cultuali e linguistiche, alle nuove esigenze d'un regno non più arabo e non più normanno, cominciarono a n1orire lentamente, lasciando il posto, nei secoli XIII e XIV, ad ordini religiosi politicamente più utili. Per altri s·ecoli, poi, il monastero di S. Filippo di Fragalà, come altri dello stesso ordine, visse in una specie di agonia, perdendo via via e quasi impercettibihnente la propria fisionomia, il culto e la lingua originali. Fu una sopravvivenza che ha quasi dell'inspiegabile nella storia dei monasteri basiliani di Sicilia ma che in parte è dovuta al fatto che probabilmente i monetci e gli abati che si alternarono al governo dell'abbazia si sentirono sempre, in qualche misura, i discendenti del grande egumeno Gregorio che tra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII aveva fatto del grande monastero di S. Filippo di Fragalà il cuore della rinascita del monachesimo basiliano di Sicilia.



ANCORA SULL'ENCOMIO "LACERATO

»

DUE EPISTOLE INEDITE DI EMERIC BIGOT A LEONE ALLACCI

CARMELO CRIMI *

In un precedente articolo, apparso in questa Rivista 1, si è cercato di far luce, nei limiti della documentazione disponibile, sulle curiose vicende connesse alla falsificazione di una parte piuttosto consistente dell'Encomio di S. Agata, opera di S. Metodio di Siracusa, patriarca di Costantinopoli tra 1'843 e 1'847. L'annosa querelle intercorsa nel Seicento tra Palermo e Catania a proposito della patria di S. Agata - ambedue le città rivendicavano a sé l'onore di aver dato i natali alla santa - fu l'àmbito in cui la falsificazione avvenne ed in cui essa trova spiegazione. Soltanto l'edizione critica del testo greco dell'Encomio, pubblicata nel 1950, ha permesso di chiarire le cose 2• Due sono i codici che tramandano l'orazione: il Mare. Gr. 362 3, che 1.

Professore associato di Civiltà bizantina nell'Università di Catania. 1

C. CRIMI, L'encontio «lacerato». A proposito di un apocrifo secentesco su S. Agata, in Synaxis 3 (1985) 387-412, cui si rimanda per una rlco· 'Struzione delle vicende meno somm·aria di quella qui presentata. 2 E. MroNI, L'encomio di S. Agata di Metodio patriarca di Costantinopoli, in AA. Vv., Mélanges Paul Peeters, II, Soc. <les Bolland., Bruxelles 1950, 58-93 ( ~ Analecta Bollandiana 68). 3 Descrizione del ms. in E. MIONI, Bibliothecae Divi Marci Venetiarum, Codices Graeci manuscripti1 11, Thesaurus antiquus, codices 300-625, Ist.


262

Carmelo Crimi

contiene il testo per intero ed il Vallicell. B 34 che ne trasmette solo l'incipit e la parte iniziale per la caduta del quaderno successivo che doveva contenere il séguito e la conclusione. Nella ·seconda metà degli anni '30 del Seicento, ci fu chi appiccicò ad una versione latina esemplata sul genuino, ma parziale, testo greco di S. Metodio contenuto nel predetto Vallicelliano, una continuatio - in ,latino - in cui più e più volte Catania veniva detta patria della santa. Il poligrafo Pietro Carrera (1573-1647) pubblicò tale composito testo latino - costituito dalla versione dell'autentico scritto metodiano fino ad un certo punto e, poi, dal vero e proprio apocrifo - nel volume secondo delle sue Memorie historiche della città di Catania 4 ed asserì speciosamente ch'egli presentava ,Ja versione latina tratta dal Vallicelliano prima che dei nemici della causa catanese lacerassero alcuni fogli del codice, mutilando così il testo dell'Encomio 5• Nacquero, naturalmente, polemiche roventi e furono lanciate furibonde accuse di falso contro Carrera. Anche il grande ellenista Leone Allacci (1588-1669) fu fatto scendere in campo ed .un suo parere, espresso in una lettera del 20 settembre 1652, favorevole all'autenticità complessiva del testo stampato da Carrera, fu inserito in un libro del catanese Giovanni Battista De Grossis, Agatha aatanensis, interamente dedicato alla querelle ·sulla patria della santa 6 • In verità, un mezzo realmente efficace e definitivo per dirimere la vexata quaestio legata all'Encomio c'era: il reperimento di un altro codice che tramandasse il testo greco dell'opera metodiana nella sua interezza avrebbe permesso di accertare la

Poligr. e Zecca dello Stato, Roma 1985, 119-121. Sul copista vd. ora A. Nicolas d'Oria. Un copiste de Pouille au Saint-Sauveur de Messine, in Quellen und Forschungen aus Jtalienischen Archiven und Bibliotheken 65 (1985) 133-158. 4 P. CARRERA, Delle 1nen1orie historiche della città di Catania, II, G. Rossi, Catania 1641, 15-37. 5 lbid., 229 s. 6 I. B. DE GRossrs, Agatha catanensis sive de natali patria D. Agathae dissertatio historica apologetica, ap. V. Petronium, Catanae 1656, 234 s. L'epistola dell'Allacci è .stata ripubblicata ~n C. CRIMI, art. cit., 405-407. JACOB,


Ancora sull' enconiio

«

lacerato

» ...

263

verità. Ed invero questo manoscritto esisteva - si trattava proprio del Mare. Gr. 362 - ma solo parecchio dopo gli avvenimenti qui delineati, quando ormai la querelle era in pratica spenta, il mondo dei dotti avrebbe saputo che in esso si trovava anche l'Encomio di S. Agata di S. Metodio 7 • 2. Due epistole del 1661, indirizzate al!' Allacci dall'erudito francese Emeric Bigot 8, che si conservano tra le Carte Allacciane' della Biblioteca Vallicelliana di Roma e di cui si dà infra il testo, testimoniano la buona fede dell'Allacci: questi, significativamente, non sn1ise di cercare e di far cercare, anche anni dopo gli eventi cui si è fatto cenno, il testo greco integrale dell'Encomio di S. Agata. Solo per una serie di sfortunate circostanze che si desumono dal!' epist. I - impossibilità di eseguire la trascrizione, fretta del Bigot - , egli non poté venire in possesso di una copia dell'Encomio stesso tratta dal Mare. Gr. 362. L'Allacci avrebbe visto così smentito dai fatti il giudizio che, poco cautamente, egli aveva espresso, quasi un decennio prima, in favore del testo pubblicato da Pietro Carrera.

7 C.fr., ad. es., [A. M. ZANETTI - A. BONGIOVANNI), Graeca D. Marci Bibliotheca codicu1n manu scriptoru1n ... , ap. S. Occhi, [Venetiis] 1740, 166 's.; J. A. FABRICIUS ·G. C. HARLES, Bibliotheca Grae.ca, VII, ap. ·C. E. Bohn, Hamburgi 1801, 273. 8 Nato a Rouen nel 1626 da agiata famiglia ed ivi morto nel 1689, il Bigot, bibliofilo ed 'appas·sionato ricercatore idi manoscritti, compì viaggi cli ·studio in Olanda, Inghilterra, ,Germania ed Italia. Fu .:i.n contatto con numerosi dotti del suo tempo e raccolse una ragguardevole biblioteca. Sul personaggio vd. P. BAYLE, Dictionnaire historique et critique, I, Rotterdam 17153, 608-609; L. MORERI, Le grand Dictionnaire historique .. ., II, F. Pitteri, Paris-Venise, 174319, 218; J. C. F. HOEFER, Nouvelle Biographie générale, VI, Firmin Didot, Pari-s 1862, coll. 59-60; J. CARREYRE, Bigot (Emeric), in DHGE VIII (1935) col. 1462. 9 Segnature: Carte Allacci CXLVI 7, ff. 70-71 (epist. I: copia) e ff. 76-77 (epist. II: originale). Una terza breve epistola di Bigot ad Allacci, scritta a Milano il 10 agosto 1661 - qui non pubblicata - ·si trova nel medesimo fascicolo a f. 80v. Sulle Carte Allacci vd. C. MAZZI, Tre epistolari nella Vallicelliana di Roma, in Rivista delle Biblioteche 18-19 (1889) 103-105; T. I. PAPADDPDULos, Aè Carte Allacciane ·djç liv 'Pwµn BcPÀ.co8-lpn1ç Vallicelliana, Athine 1963.


264

Carmelo Crimi

Come mai nelle due epistole in questione si riascolta un'eco delle non lontane vicende dell'encomio «lacerato»? Nella seconda di esse v'è quasi un ricordo delle conversazioni intercorse tra l'Allacci ed il suo corrispondente: «Io m'imagino» scrive Bigot «di star in camera di V. S. a discorrere con lei, scriuendole le cose cosi se11za ordine nessuno, ma io so che benché siano cosi senza ordine non saranno a disgusto di V. S.». Nulla di strano che il grande ellenista, nel corso di questi conversari, abbia chiesto a Bigot di ricercare, inter alia, il testo di Metodio nelle varie biblioteche dove il francese, nel suo curioso ed erudito iter I talicum, si sarebbe recato. Nel!' epist. I, infatti, proprio all'inizio, il Bigot con soddisfazione annuncia al corrispondente qualcosa d'impreveduto che sa che riuscirà gradito: «Credo che V. S. IJJ.m• non averà disgusto di saper ove si trova una cosa ch'io mi riccordo ch'ella pensa persa e spenta. Nella Libraria di S. Marco scamno XXIX Codice secondo, orazione sesta, si trova l'orazione intiera d'Amfilochio Arcivescovo di Constantinopoli in lode di San Agata [ ... ]». La svista in cui incorre il Bigot - Anfilochio anziché Metodio - , che sarà stata immediatamente notata e riprovata dall'Allacci, viene malamente giustificata nell'inizio del!' epist. II, scritta circa un mese più tardi della prima: «Quando scrissi a V. S. Ill.m• era tempestato» si scusa il Bigot «d'una tussa che non mi Iasciaua troppo attendere a quello che scriueua, pero ella scusera se io ho pigliato, e scritto Amphilochio pro Methodio». Il lapsus appare, invero, una spia della fretta con cui Bigot («io ch'aveva pochi giorni a fermarmi a Venezia [ ... ]» scrive nell'epist. I) ha affrontato e cercato di esaudire il desideratum dell'Allacci. 3. Le due epistole sono anche un documento, necessariamente limitato, degli interessi eruditi del Bigo!, rivolti nelle direzioni più varie - si pensi all'accenno, presente nell'epist. II, ai curiosi Cyranidum libri 10 - , ma quasi sempre afferenti 10 Su idi essi vd. J. A. FABRICIUS - G. C. HARLES, op. cil., I, Ha1nburgi 1790 (fotorist. Olms, Hildesheim 1966), 69-74; R. GANSZYNIEC, l(yraniden, in A. PAULY-G. Wrss9wA, Realencyclopiidie der classischen Altertu1nswissenschaft XII, l (1924) coli. 127-134.


Ancora _sull'encomio __ ____________ ,

'<

lacerato

» •..

265

all'àmbito della storia ecclesiastica. Va in particolare notato l'accenno al Bios di S. Giovanni Crisostomo scritto da Giorgio d'Alessandria 11 • Si tratta di un dato significativo che rivela !'interesse che il francese ebbe a nutrire per la tradizione biografica relativa al grande oratore cristiano e che sfocerà, nel 1680, nel!' editio princeps della principale testimonianza biografica sul Crisostomo: il Dialogo sulla vita di S. Giovanni Crisostomo scritto da Palladio 1'. Si noteranno anche gli sparsi e numerosi accenni di Bigot a codici e testi connessi con il Concilio di Firenze. Tutto ciò che riguardava questo argomento doveva essere tra i desiderata dell'Allacci, in quel tempo impegnato nella pubblicazione di alcune opere a carattere polemico. Tra il 1661 e il 1665 ne escono ben quattro 13 • In esse, inter alia, il dotto, dispiegando un'imn1ensa erudizione n1essa al servizio della Chiesa romana, 11 Edizione recente in F. HALKIN, Douze récits byzantins sur Saint Jean Chrysosio111e, Soe. des Bolland., Bruxelles 1977, 69-285. 12 Titolo 00111p1cto: Palladii episcopi Helenopolitani de vita S. Johan· nis Chrysoston1i Dialogus. Accedunt honzilia S. Johann. Chrysost. in laude111 Diodori Tarsensis episcopi. Acta Tarachi, Probi, et Andronici. Passio Bonifatii Ro111ani. Evagrius de acta cogitationibus. Nilus de acta vitiis, 01nnia nunc primum Graeco-Latina prodeunt cura et studio Emerici Big.olii, Roto1nagensis, ap. vid. E. Martini, Luteciae Parisiorum 1680. 13 Esse sono, nell'oncline: Ioannes Henricus Hottingerus fraudis, et ilnposturae 1nanifestae convictus a L. A., typ. S. Congr. dc prop. fide, Ro1nae 1661; Vindiciae Synodi Ephesinae et S. Cyrilli De processione ex Patre et Filio Spiritus Sancti, auctore L. A., typ. S. Congr. de 1prop. fide, Romae 1661; De octava synodo Photiana. Annexa est Ioannis Henrici Hot· tingeri Disputationis apologeticae, de Ecclesiae orientalis atque occiden~ talis tarn in dog1nate, qua1n in ritib.us dissensu et Iuvenis Uln1ensis Exercitationis historico·theologicae de Ecclesia graecanica hodierna refutatio, typ. S. Congr. de prop. fide, Ro1nae 1662; In Roberti Creyghtoni apparatu1n, versione111 et notas ad fiistorian1 Cnncilii fiorentini scripta1n a Silvestro Syropulo de unione inter Graecos et Latinos .. ., cxc. Mascardus, Ro111ae 1665. Per queste opere, vd. C. JACONO, Bibliografia di Leone Allacci (1588-1669), presso l'Accacle111ia, Paler1no 1962, 36 ss. Sul significato che Ja ricerca di n1anoscritti riveste in Allacci vd. R. MAISANO, Manoscritti e libri stan1pati nell'opera filologica di Leone Allacci, in AA.Vv., XVI. Intern. By· zantinistenkongress, W.ien 4.9 Okt. 1981, Akten II, 6, 197-206 ( = Jahrbuch der Oesterreichischen Byzantinistik 32, 6 [1982]).


266

Carme/o Cri mi

ribadisce, in vivace contrapposizione con gli avversari, le sue note tesi sulla sostanziale consensio 14 , nelle questioni di fondo, tra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica e sulla non insormontabilità degli ostacoli frapposti all'unione. Infine, le due epistole sono una testimonianza minima, ma non per questo disprezzabile, sulle due grandi biblioteche frequentate dal dotto francese, la Marciana di Venezia e l'Ambrosiana di Milano. Su di quest'ultima 15 , in particolare, e sull'ospitalità del Prefetto del tempo, Francesco Bernardino Ferrari 16 , esse gettano una luce assai vivida.

14 Tesi principahnenie espresse nei De ecclesiae occidentalis atque orientalis perpetua consensione, libri tres ... , ap. I. Kalcoviu1n, Coloniae Agrippinae 1648. Sull'opera vd. C. FRAZEE, The De ecclesiae of Leon Allatios. A Church History of the Seventeenth Century, in The Greek Orthodox The.ological Review 29 (1984) 51-63. 15 Su idi essa vd., in generale, A. PAREDJ, Storia dell'An1brosiana, Neri Pozza, Milano 1981. 16 Su Francesco Bernardino Ferrari (1576-1669), prefetto della Biblioteca Ambrosiana dal 1650 al 1663, vd. F. ARGELATI, Bibliotheca Scriptor.u111 Medìolanensii11n ... , I, 2, Mediolani 1745 (f.otorist. Farnborough 1966), coll. 602 s.


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EPISTOLA

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I

(Roma, Biblioteca Vallicelliana, Carte Allacci CXLVI 7, ff. 70-71: copia). Di Milano, ai 15 Giunio 1661 Illust."' Sig.' e Pad."e Col."'0 0

Credo che V. S. Il!."" non averà disgusto di saper ove si trova una cosa ch'io mi riccordo ch'ella pensa persa e spenta. Nella Libraria di S. Marco scamno XXIX Codice secondo, orazione sesta, si trova l'orazione intiera d'Amfìlochio 17 Arcivescovo di Constantinopoli in lode di San Agata, la quale aveva cominciato di copiare per V. S. ma come andai per seguitare, il Sig.' Bustronio 18 Custode della Libraria mi dice, che parechi Sig"' Veneziani avendomi veduto scrivere dentro la Libraria, li quali avrebbero puotuto parlare alli Sig.'; Procuratori, egli non poteva più lasciarmi copiare niente senza la licenza delli Sig.ci Procuratori intendenti della Libraria io ch'aveva pochi giorni a fermarn1i a Venezia, pensai che d'andare per questa cosa alli Sig.ri Procuratori sarebbe render la cosa più difficile per un altro, perche per me non aveva piu di, tempo di copiare niente, non andai alli Procuratori, e non parlai mai al Custode, che cosa [f. 70'] era ch'io copiava, ed egli credeva, ch'io pigliava nuota delle

17 Si tratta (vd. supra) di una svista di Bigot, che avrebbe dovuto scrivere Metodio ..Per un lapsus simile vd. nota 54. rn Giovanni Matteo Bustr.one o Bustroni, nato a Venezia (ca. 1581) da fa1niglia oriunda da Cipro, allievo del Collegio Greco di Ro1na, .fu «custode)) della Biblioteca Marciana dal 1659 ad ahn·eno H 1667 (ofr. Z. N.

TsIRPANLTs, Tò 'E\kr1vcxò Ko\Hyco 'l:i'jç 'Pwµnç xa:l oc µa:01]1'Éç 1'0U (1576-1700), Patriarchikòn Idryn1a Paterikòn Meletòn, Thessaloniki 1980, 322-324 ).


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Vite di Santi. di tal maniera se V. S. desidera d'aver copia di ciò che le manca di questa Omelia, ella potra averlo facilmente mediante il P. Bustronio 19 Penitentiere di S. Pietro amico del Sig.' Tomaso, e fratello del Custode 20 , pero senza parlar di me in modo nessuno. trovai nella medesima libraria un essemplare dell'istor.ia Tripartita di Teodoro Lettore scritto da trecento anni in qua 21 , la piu gran parte dei MSti di questa Libraria sono recenti. La medesima cosa è ancora di questa di Milano. Il Sig.' Francesco Bernardo Ferrari custode di questa Libraria 22 è la cortesia istessa 23 e benche cieco di vechiaia, egli va alla Libraria la Mattina, e il giorno, mi communica facilmente le cose le quali desidero di vedere. ho gia cercato tra varij MS'' d'Encomij di Santi, se per fortuna non si trovasse quello d'Amfìloehio per supplire alla mia disgrazia di Venezia, ma fin adesso non lo

Giorgio Bustrone o Bustroni, fratello minore di Giovanni Matteo, anch'egli alunno 1d'el Collegio Greco, fu paenitentiarius Graecus, per più di trenta anni, della Chiesa .di S. Pietro a Roma, ove morì il 27 agosto 1661, appena due mesi dopo che il Bigot aveva scritto la lettera. Sul personaggio vd. Z. N. Ts1RPANLIS, op. cit., 345 s. e J. KRAJCAR, Rectors of the Greek College and Suine Problenzs they Encountered 1630-1680, in AA.Vv., Il Collegio Greco di Ro1na. Ri.cerche sugli alunni, la direzione, l'attività, a cura di A. Fyrigos, Pont. Coll. Greco S. Atanasio, Roma 1983, 149-199: 172 s. e 175 ss. 20 In Carte Allacci CXLVI 17, f. 154 è conservata un'epistola indirizzata all'Allacci di Giovanni Matteo Bustroni (da Venezia, 22 dicembre 1663: edita da E. LEGI~AND, Bibliographie flellénique ou d·escripti'()n raisonnée des ouvrages publiés par des Grecs au dix-septièn1e siècle, III, Picard et fiJ,s, Paris 1895, 470 s.). Essa no.n dice nulla .che riguardi un'eventuale richiesta dell'Allacci in merito all'Enco1nio di S. Agata. 21 Il codice di cui parla Bigot è da identificare col Mare. Gr. 344 della fine del XIII secolo (descritto da E. MroNI, Bibliothecae Divi Marci Venetiarun1 ... , cit., 94-95). Sull'opera idi Teodoro Lettore vd., di recente, M. MAZZA, La Historia Tripartita di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Sena· fore: 111etodi e scopo, in Av.Vv., Atti della Settilnana di Studi su Flavio AJagno Aurelio Cassiodoro, (Cosenza-Squillace 19-24 settembre 1983), a cura di S. Leanza, Rubbettino, Saveria Mannelli 1986, 210-244: 217 ss. e note 50 ss. (alle pp. 236 ss.). 12 Sul pers·onaggio .vd. nota 16. 23 «istessaJ> si trova in margine. 19


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trovato. fra tanto se compiace a VS IIJ.m• di commandarmi alcuna cosa mi fermerò qui a Milano fin al Mese di Settembre [f. 71] ricercando l'occasione di farle conoscere che io sono di v.s. Umilissimo e Devotissimo servitore Emerigo Bigot [ ... ]


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EPISTOLA II

(Roma, Biblioteca Vallicelliana, Carte Allacci CXLVI 7, ff. 76-77: originale) 24 • Milano, li 13 Giulio 1661 111..";mo Sig.re e pad.ne col.m quando scrissi a V. S. Ili."" era tempestato d'una tussa che non mi lasciaua troppo attendere a quello che scriueua, pero ella scusera se io ho pigliato, e scritto Amphilochio pro Methodio. per leuar ogni ocasione d'inganno le rimando il titulo ed il com· mincio in questa carta aggiunta 25 con una lista d'alcune cose ch'io ho osseruato trouarsi in questa libraria, concernenti il concilio di Firenze. ella sapra che il cod. 162. che contiene tutta l'Istoria del detto concilio 26 è scritto circa istesso tempo ed apparteneua a l'arciuescouo di Philadelphia 27 ed è stato comprato a Venezia. questa istoria è affatto conforme alla stampata. 0

24 Copia della lettera si trova nel medesi1no fascicolo ai ff. 73-?Sv. ·Non se ne trova più alcuna traccia. 26 Il codice è da identificare, con ogni probabilità, coll'A111bros. D 77 sup. del XV secolo (descritto da AE. MARTINI - D. BASSI, Catalogus codicu111 Graecorun1 Bibliothecae A1nbrosianae, U. I-Ioepli, Mediolani 1906 [fotorist. Hildcshcin1 - Nev.r York 1978), 278 s.). Va comunque notato che nel predetto manoscritto ed in quelli citati alle successive .note 28.31.33 non si trov·a alcun indizio - come mi ha as-sai cortesemente informato il Prefetto dell'Ambrosiana, Mons. Enrico Galbiati, che qui ringrazio - dell'antica nu1nerazione progressiva cui fa riferimento l'erudito francese. 27 Si tratta di Gabriel Severn (1541-1616) iprimo vescovo greco, sotto il titolo di arcivescovo di Filadelfia, della fiorente .comunità ellenica di Venezia (.sui codici di ·sua proprietà passati poi all'Ambrosiana vd. AE. MARTINI - D. BAssr, op. cit., XIII s.). 2s


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il cod. 229. " apparteneua al Sig.'° Vincenzio Pinelli" ed è stato compilato a che mi pare dal suo ordine, nel indice di questo libro è scritto 30 che la difesa di cinque capi 31 è male stampata sotto il nome di Gennadio e ch'ella è di Bessarione, in un capo di questa difesa v'è in piede il nome d'autore, e mi riccordo che il Caryophilo va dubitando di che sia, benché l'attribuisca al Gennadio 32 • il codice 48. che contiene questa istoria ecclesia-

2s Codice non identificato. L'A1nbros. D 246 inf. del XVI secolo (descritto da AE. MARTINI -D. BASSI, op. cit., 1042 s.) contiene (f. 63) un «Index quorundam Theodori Gazae et Bessarionis operum}> ch'è di mano del Pinelli. 29 Su Gianv1ncenzo Pinclli (1535-1601), erudito, grande collezionista di inanoscritti, passati poi all'Ambrosiana, vd. A. RIVOLTA, Catalogo dei codici pinelliani dell'A111brosiana, tip. Pont. Arcivesc. S. Giuseppe, Milano 1933, XVII ss. (cfr. anche AE. MARTINI - D. BASSI, op. cit., X-XII e A. PAREDI, op. cit., 11 s.). 30 <<è scritto» si trova nell'interlinea. 31 Si allllide ad un'opera apologetica del Concilio di Firenze, scritta in greco e pubblicata (,Roma 1577) ·sotto il non1e di Giorgio Scholarios (ca. 1405 - post 1472), che fu patriarca di Costantinopoli sotto il nome di Gcnnadio, e precisa1nente alla Expositio pro Sancta et Oecun1enica Synodo Fiorentina ... et Defensio quinque capitun1 ... (in PG 159, 1109-1394). In realtà, l'opera non è né di Giorgio (Gennadio) Scholarios né del Bessarione, bensì di uno dei supporters di quest'ultimo, il vescovo Giuseppe cli Mcthone ( «sicherlich identisch n1it Joannes Plousiadenos»: così H. - G. BECK, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, Beck, Miinchen 1959, 771). Un codice mila,nese, l'A111bros. C 259 inf. del XVI se~ colo, già appartenuto al PineHi, contiene (f. 186) il predetto scritto apologetico del Concilio di Firenze (rd'escrizione del ms. in AE. MARTIN! - D. BASSI, op. cii., 1003· 1008). 32 Non è possibile individuare con certezza a quale delle opere di Giova11rri Matteo Cariofillis (ca. 1566-1633), alunno del Collegio Greco (cfr. Z. N. TsrRPANLIS, op. cit., 289-292), il Bigot faccia riferimento. Comunque, nella Explanatio quinque capitu1n definitionis S. generalis Florentinae Synodi, ia1n oli111 pie conscripta, Nunc vero ad co1nmune111 Graecorun1 utilitate1n vernaculo eoru111 sermone donata, falso antea Genna.Jio Patriarchae adscripta, typ, S. Congr. de prop. fide, Romae 1628, - versione attribuita al Cariofillis (cfr. T. I. PAPADOPOULOS, 'EÀÀ.'t]VLJ<{j Bt~À.toypcxcplo: (1466 ci.· 1800), !, Athinc 1984, 196 n. 2635) - si legge (pp. iniziali non nume· rate) «Itaquc opus hoc Defensionis quinque Capitum S. Synodi nullo modo potest esse elaboratum a Scholario Gennaidio, qui fuit perpetuus Flo·


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stica della quale mi scriue V. S. egli è venuto dell'isola di Chio, scritto in carta bambicina da quatro o cinque centum anni in qua 33 • egli è assai tarlato. stimo io che preso iutiero non sarebbe a stampare, ma se si facesse un essamine si potrebbe forse trouare alcune lettere non stampate. dintro c'è il tratatello di Theodoro Raithu 34 de incarnatione con la seconda parte accennata dal istesso autore in fine della prima, non stampata a cio che sappia, seguitano 165 35 definitioni d'Anastasio Antiocheno 36 che io so trouarsi altroue. ho descritto di questo libro la lettera di Thoma patriarcha di Ierusalem 37 con gli capi aggiunti d'alcune proposizioni d'Eustratio metropolita di Nicea 38 . ella mi farebbe fauore d'accennarmi a che tempo viueua questo Theodoro di Raithu, e se ha cognitione che questa seconda parte si troui nella libraria Vaticana. [76"] ho descritto d'un antichissimo codice latino 39 un discorso sopra l'eresia di manichei al quale era

rentinae Synodi hostis [ ... ]». Sembrerebbe che la memoria del Bigot sia incorsa in un lapsus. 33 Si tratta deII'A1nbros. M 88 1sup. del XIII secolo (descritto da AE. MARTINI "D. BASSI, op. cit., 645-651) in cui è tràdito (f. 1) «Gelasii Cyziceni historiae eC'clesiasticae liber tertius mutHusJ>. 34 E' la IIpo7tapo:crxEu1J di Teodoro di Rhaithu (vd. H. - G. BECK, op. cit., 382 s.) edita da F. DIEKAMP, Analecta Patristica, Pont. Inst. Orient. Stud., Roma 1938, 173-222. 35 «165» è correzione di «185i>. 36 Su Anastasio I, patriarca di Antiochia in due riprese (559-570 e 593-599), e le sue opere >0d. H. - G. BECK, op. cit., 380 6. 37 Si tratta, invero, dell'Epistola continens fide111 orthodoxa1n, 1nissa a beato Thon1a patriarcha Hierosolyn1itano ad haereticos in Annenia arabice dìctata a Theodoro, cogno1nento Ab.ucara ( = Abu QUrra: su questo autore vd. JI. - G. BEcK, op. cit., 488 s.) ... et a Michaele presbytero et syncello Ecclesiae Hierosoly111itanae, in Graecu111 serinonen1 translata ... (in PG 97, 1503-1522). 38 Su Eustrazio vd. H. - G. ·BECK op. cit., 618 ·S. Va notato che Bigot dà notizia delle opere contenute nel codice nell'ordine in cui esse vi si trovano. 39 Da idenNfica:re con l'Anzbros. O 210 sup. del VI secolo. Su questo codice vd. E. A. LOWE, Codices latini antiquiores, part III, ltaly: AnconaNovara, Oxford 1938, nr. 358 (riprod'. di f. 21v). Descrizione sommaria del cod. in Inventario Ceruti dei 1nanoscritti della Biblioteca A111brosiana, IV, Etirnar, Trezzano s/N 1978, 372.


Ancora sull'encomio

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aggiunto una lettera d'Archelao a Diodoro della medesima materia 40, per dirle il mio parere, non la crederei genuina ma mi pare scritta da un huomo intelligente essendo assai latina. forse ch'un giorno ne faro stampare una dozina d'essemplari per dar agli amici, ho osseruato in un codice antico d'Euthymii panoplia una prefatione che manca nel stampato 41 • dopo ho trouato il testo greco del libro Kyranus Kyranides 42 del quale parla Barthius nelli suoi aduersarij 43 , e Reinesio nelle sue varie lettioni 44 , ne ho pigliato nuota, non faciendo altramenti conto essendo un libro supposto. questi Sig.'; desiderauano assai di poter rincontrare il testo greco. io m'imagino di star in camera di V. S. a discorrere con lei, scriuendole le cose cosi senza ordine nessuno. ma io so che benché siano cosi senza ordine non sa40 Sono due estratti degli Acta Archelai (su di cui vd', J. QUASTEN, Patrologia, trad. it., II, Marietti, Torino 19732 , 360 s.) in un'antica traduzione latina. Il dubbio di Bigot sull'autenticità dell'opera è infondato. Lo stesso erudito r-itor,nerà, anni dopo, sull'.argon1ento degli Acta Archelai. Nella «P.raefatio>> dell'edìtio princeps (1680) del Dialogo sulla vita di S. Giovanni Crisosto1no (vrd. nota 12), egli accenna al fatto di aver trasmesso ad Henricus Valesius (vd. nota 49) l'antica interpreta/io -latina dei predetti Acta. E·ssa è proprio quella dell'An1bros. O 210 sup.: vd. S-ocratis scholastici et Hermiae Sozoineni Historia ecclesiastica. Henricus Valesius Graecum textum ... en1endavit ... Adjecta est ad calcem disputatio Archelai Episcopi adversus Manichaeum, exc. A. V:itré, Parisiis 1668, p. 203 delle «Annotationes>> (il Valesius pubblica, pp. 197-203 delle «AnnotationeSJ>, il testo fornitogli dal Bigot), nonché Hegen1onius, Acta Archelai, hrsg .... von C. H. Beeson, J. C. Hinrich, Leipzig 1906 (GCS 16), XIX. 41 Dovrebbe trattarsi delI'A1nbros. C 176 inf. dell'inizio del XIII secolo (descritto da AE. MARTTNI - D. BASSI, op. cit., 973 s.) che contiene la Panoplia dogn1atica ·di Eutimio Zigabeno (su di cui vd. H. - G. BECK, op. cit., 614 ss.). Ad iessa, nel codice in questione, è premesso (.f. 1) -un 10p6ypo.µµa. 42 Sui Cyranidun1 libri vd. nota 10. Il Bigot ha veduto nno dei manoscritti milanesi che li contengono, o I'A1nbros. C 296 inf. (descritto da AE. MARTIN! - D. BASSI, op. cit., 1025) o I'Ambros. D 134 inf. (ibid., 1037). 43 Si allude all'·opera di Kaspar von Barth (1587-1658) Adversarior.um con1n1entarioru1n libri LX ... , ap. D. et D. Aubrios et C. Schleich:ium, Francofurti 1624. 44 'Bigot si riferisce ai Variaruin lectionu1n libri III priores in quibus de scriptoribus sacris et profanis classicis plerisque disseritur .. ., O. Michael, Altenburgi 1640 dell'erudito tedesco Thomas Reinesius (1587-1667).


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ranno forse a disgusto a V. S. dopo auerle parlato delle cose viste, le scriuero un dubio ch'ebbi l'altro giorno legendo un libro stampato oue era riferito un luogo della Vita di San Chrysostomo scritta da Georgio 45 , scriue Giorgio che gli audi tori di San Chrysostomo alquando per monstrare il godere eh' aueuano a sentir le sue prediche spiegauano loro faccioletti, altri Cutzulon pennas quatiebant "', l'autore di questo libro dice che giettauano penni d'uscelli 47 • ho difficulta di crederlo. la prego di veder il testo greco, perché non c'è qua, e scriuermi il suo parere 48 , ieri scrissi al Sig." Valesio 49 e gli accennai quello, che da lei m'è stato ordinato, ed io gia ne le rendo grazie. non so se questo Sig." che le diede una lettera di Sig.'" Valesio, e scrisse queste varie lettioni non era tedesco d'Hamburgo ch'ha fatto stampare in Pariggi l'inuerno passato il tratato d'Hippo-

Vd. nota 11. Il testo greco, nell'ediz. cit. -di F. Halkin, § 42, p. 196 così suona: xo:/, Éxp6'"C'ouv aù-r6v [se. S. Giovanni Crisost·omo] ùtjJoUv't'Eç Ei.ç 't'Òv O:.ipa oL µEv "t'à.ç xÀavlOa.ç a.ù-r:Wv, oL OE 't'à. 1t't'E.pUyta 't'WV xou-i-tSoUÀwv, E'tepot lìè ÉYXELplow; xal ifÀJ,oc '"'"' '!'tx><coÀ.ca whwv ... 47 L'autore del libro che riferisce il passo del Bios di S. Giova.uni Crisostomo scritto da Giorgio d'Alessandria ·mi riinane sconosciuto. E' da escludere, ad ogni buon conto, che Bigot alluda alla prima versio.ne latina a stampa del Bios in questione (S. loannis Chrysostomi .. Vita, authore quide111 Georgia Alexandrinae civitatis Archiepiscopo, at nunc prirnum e Graeco in ,Latinam tralata coloniam .per Godefridum Tilmannum .. ., a-p. Audoenum Parvum, Parisiis 1557) ove il passo cit. alla nota 46 vien così tradotto: <<quare ipsius conciones excipiebant plausu, ipsum ferientes aerem, iHi quidem iacta.ndo praemollia amicula, alij autem Cutzulon pennulas qu-atiendo, alij vero tangendo glaidiolos aut sicas, alij item fasciolas [, .. ])) {p. 47) e non si fa alcun cenno al ·significato del Cutzulon. I dubbi di Bigot sull'attendibilità dell'interpretazione del passo di Giorgio d'Alessandria son più che giustificati: xoU't"SouÀov designa, infatti, (cfr. DUCANGE, col. 746 s. v.; LAMPE, 773 s. v.) una sorta di mantello peloso. 48 L'Allacci non esaudì la richiesta del Bigot. Questi, -infatti, nel per scritto dell'epistola del 10 agosto 1661 - qui non pubblicata - {vd. nota 9) reitera quanto aveva domandato. 49 Henricus Valesius (Henri de Valois) (1603-1676), .eminente editore di iStorici soprattutto ecclesiastici ed erudito .francese (cfr. U. VON WILAMOWITZ · MoELLENDORF, Storia della filologia classica, trad. it., Einaudi, To· rino 1967, 62). 45

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lyto de Antichristo 50 , il quale scriue benissimo in greco, se fosse lui, mi mirauiglio che sia tanto poco ristato a Roma. ho auuto fortuna di parlar qui al Sig." Furstemberg 51 il quale mi rallegro della nuoua della sua elettione al vescouato di Paderborn 52 • mi dice dopo [f. 77] che V. S. l'aueua onorato de la [dedicaz]ione 53 del libro ch'ella ha scritto contra Peutingero 54 , e non puote dirmi al quale ella aueua dedicato l'altro del concilio Ephesino 55 • il primo giorno faro ancora diligenza per scoprire alcune cose sopra il concilio di Firenze, tra tanto se nella nuota che io le ho mandato sia alcuna cosa che faccia al proposito di V. S. d'accennarmela, e le afferisco e la mia penna, la mano e me tutto, essendo sicuro che il Sig." Ferrari custode di questa libraria mi dara ogni licenza, auendo una stima particulare della virtu di V. S. restero qua fin alli dieci d'Agosto ch'io ne partiro per Turino e Francia, oue forse avro piu di campo di seruirla e riconoscer li fauori ch'ella m'ha fatto protestandole ch'io sono del tutto il cuore di V. S. Ill.m• umillimo e deuotissimo seruitore Emerigo Bigot [

... ]

50 E' la e-dìtio princeps del De Antìchristo di Ippolito (e typ. Cramosiana, ,Lutet. Par-is. 1661) curata .dall'erudito tedesco Marquard Gudius (Gude) (1635-1689). 51 Ferdinand von Fiirstenberg (1626-1683), principe-vescovo di Paderbor,n e poi di Miinster, letterato, era stato in rapporti amichevoli con .J'Allacci (sul von Fiirstcnberg vd. Allgenieìne Deuts.che Biographie, VI, Duncker & Humblot, Leipzig 1877, 702-709). 52 L'elezione era avvenuta qualche mese prima, il 30 maggio 1661 (cfr. P. GAUCHAT, Hierarchia Catholìca· 1nedii et recentioris aevi... , IV, Mona,sterii 1935 [fotorist. Messaggero di S. Antonio, Patavii 1960), 270). 53 II .supplemento è tratto dalla copia {v.d. nota 24) .f. 75 lin. 17. 54 Un altro lapsus di Bigot, che avrebbe dovuto scrivere «Hottingero» non <<Peutingero». L'erudito francese allude aid un'opera polemica dell'Allacci, del 1661, contro lo Hottinger (è la prima tra quelle citate alla nota 13), La dedica di essa è effettivamente «IIlustrissimo et Reverendissimo Don1ino Ferdin'a,ndo episcopo PaderboI'nensi [ ... ] >>. 55 L'opera cui il Bigot fa riferimento, le Vindiciae Synodi Ephesinae (cit. per esteso alla nota 13), è dedicata al cardinale Mario Alberici (16231680) segretario della Congregazione .de Propaganda Fi.de (sul personaggio vd. G. MoRONI, Dizionario di erudizione storico-ec.clesiastica... , I, tip. Emiliana, Venezia 1840, 196 s.).



IL MONASTERO CATANESE DI S. NICOLA L'ARENA TRA IL 1675 E IL 1719

GAETANO ZITO*

1.

!I ritrovamento del Registro

Già lo scorso anno 1 abbiamo dato la notizia che l'Archivio della Curia Arcivescovile di Catania, grazie alla munificenza dell'amico Vincenzo Anastasi Fardella, si è arricchito di un nuovo fondo archivistico, il Fondo Anastasi, appunto, che ha come nucleo principale documenti concernenti la presenza benedettina a Catania e, più in generale, in Sicilia. Fra questi, di particolare interesse si è rivelato il Registro delle disposizioni degli abati e della cronaca del monastero S. Nicola l'Arena dal 1675 al 1863. Le vicende che hanno permesso di poter usufruire oggi di un così ricco materiale documentario testimoniano di quanta scarsa attenzione, anche da parte degli uomini di Chiesa, molte volte si sia riservata alla memoria storica, alle sue fonti e testimonianze, documentarie ed artistiche. Dopo l'espulsione da S. Nicola l'Arena (1866) alcuni monaci andarono a vivere in arcivescovado insieme con l'abate Dusmet quando egli venne chiamato, nel febbraio 1867, a reggere l'arei-

* Direttore della Biblioteca Agatina 1d!el Seminario Arcivescovile di Catania. I G. ZITO, La vita del monastero catanese S. Nicola l'Arena dalle ine~ dite disposizioni dell'abate Dusmet (1858·1866), in Synaxis 4 (1986) 477·534.


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Gaetano Zito

diocesi di Catania, che già da sei anni era sede vacante 2 • I membri di questa piccola comunità - Luigi Taddeo Della Marra, Remigio Chiarandà, Paolo Proto - con a capo il Dusmet, nel 1875 si accordarono nel nominarsi reciprocamente eredi universali, per cui l'ultimo a rimanere in vita avrebbe ereditato tutto quanto apparteneva agli altri 3 • Toccò al Della Marra, rimasto in vita più a lungo degli altri - morì il 6 maggio 1911 - , entrare in possesso di ciò che avevano man man·o lasciato i suoi confratelli, i quali si erano anche preoccupati, sulla scia della tradizione culturale del loro monastero, di formare in arcivescovado una preziosa raccolta di libri e documenti 4. Qualche anno prima di morire egli, «erede del Card. Dusmet Giuseppe Benedetto Arcivescovo di Catania, del P. D. Paolo Proto e del P. Remigio Chiarandà tutti defunti», fece testamento in favore del can. Luciano Marcenò, nominandolo suo erede universale. Questi, a sua volta, fece testamento in favore della sorella Angelina la quale nominò suo erede universale il sac. Paolo Romano 5• Gli eredi di quest'ultimo (deceduto nel 1964) non avendo ricevuto, probabilmente, circostanziate disposizioni testamentarie concer11enti il prezioso e copioso materiale archivistico e bi~ bliografìco del quale entrarono in possesso, vennero nella determinazione di disfarsene. Un consistente quantitativo (dieci

2 Sulla scelta del Dusmet ad arcivescovo di Catania, cfr. Io., La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894), Galatea,

Acireale 1987. 52-67. 3 Di tale testan1cnto ·scrisse il Dusmet al card. Rampolla il 24 giugno 1893: «Nel 1875 tutti e quattro testa1nmo scambievolmente. Ciascuno istituì .suoi eredi gli altri tre allo oggetto che i.n morte di -alcun di noi la roba, della quale il l'vlonaco, giusta '1e regole monastiche e i sacri canoni è puro usufruttuario, non cadesse in mani ·Straniere al monachismo»: la minuta in ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE (ACA), Fondo Anastasi, Carte card. Dusmet. 4 Sul Tilevante apporto 1dato d-ai monaci alla cultura catanese e siciliana, cf.r. C. NASELLI, Letteratura e scienza nel Convento Benedettino di S. Nicolò l'Arena di Catania, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale (ASSO) 25 (1929) 245-349. 5 Copia dei tre testamenti in ACA, Fondo Anastasi, Carte Della Marra.


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grandi sacchi) venne venduto ad un antiquario catanese, e di esso si hanno al presente solo labili notizie. Venne consultato anche l'amico Anastasi Fardella, il quale comprese immediatamente l'importanza e la ricchezza di quelle carte e di quei libri per la storia e la cultura cittadina, e si rese disponibile ad acquistare tutto quanto era rimasto. Tuttavia, ancora una parte purtroppo è andata irrimediabilmente perduta poiché, forse nella fretta di ottenere sgombra la casa, venne consegnata agli uomini della nettezza urbana ... e distrutta! Molta parte di quanto è stato salvato da Anastasi Fardella, in seguito alla donazione da lui fatta, è ora a disposizione degli studiosi presso l'Archivio della Curia Arcivescovile costituente, come già detto, un fondo a sé stante che, ci auguriamo, possa ulteriormente arricchirsi. Di questo nuovo fondo archivistico abbiamo ritenuto importante iniziare la pubblicazione - che sarà periodica su questo "annuale" - del Registro, già precedentemente citato e del quale è stato edito, in parte, quanto concerne il governo dell'abate Dusmet 6 • In tal modo intendiamo offrire all'attenzione degli storici e degli studiosi di storia patria una fonte che permette di ricostruire con maggiore attenzione e chiarezza momenti e figure della rilevante presenza benedettina nel territorio catanese, della sua influenza religiosa e culturale ma anche sociale, economica ed artistica. Il Registro, al quale abbiamo dato noi tale denominazione non avendone alcuna propria, è un volume in robusta legatura che misura cm. 29,5x19,Sx9 e conserva ancora i segni evidenti di una coppia di ganci, utili per tenere chiusi i ben 707 fogli di cui si compone e dei quali: i primi 8 e gli ultimi 65 sono bianchi e non numerati; e a un primo gruppo di fogli che hanno la numerazione a pagina (1-55) segue la segnatura a fogli (da 6 Cfr. nota 1. La scelta delle di,sposizioni del Dusmet è stata dettata .fondamentalmente da due considerazioni: la rilevanza della sua figura anche con1e abate e, soprattutto, la scarsa conoscenza della vita del mona~ ,stero alla vigilia della soppressione, periodo per il quale molti si affidavano acriticamente alla esposizione romanzata di De Roberto ne I Vicerè.


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56r. a 662v.) della parte pm consistente. E' da notare, inoltre, che da p. 1 a f. 73v. gli atti riguardano il sec. XVII; da f. 74r. a f. 337v. il sec. XVIII; e da f. 338r. a f. 662v. il sec. XIX, ma con l'inclusione di alcuni documenti relativi al secolo precedente. Compilato, da quanto è stato possibile capire, dai vari archivisti del monastero 7, contiene: le disposizioni emesse dagli abati, ma non sempre, in occasione della pubblicazione dei periodici elenchi dei superiori e degli "officiali" del monastero; la nomina degli abati e la promozione di monaci alla dignità di priori, decani, o ad altre cariche 8 ; gli atti delle visite compiute dagli abati alla grancia di Paternò sotto titolo di S. Maria di Valle Giosafat; i decreti di espulsione di monaci che conducevano vita scandalosa; la trascrizione della corrispondenza con gli abati presidenti della congregazione cassinese relativa a particolari situazioni del monastero o di singoli monaci; la licenza di ammettere giovani alla vestizione monacale accordata dalle Congregazioni romane su richiesta degli abati; la trascrizione dei decreti emanati dai capitoli generali della congregazione'';'. 7 Avendo avuto Ja possibilità, grazie aH'amico A.na-stasi Fardella, di poter vedere --la continuazione delle Cronache del Taverna, -sulla vita del monastero, compilata da D. Bartolomeo D'Alessandro, abbiamo riscontrato che alcune pagine del Registro delle disposizioni degli abati e della ero· naca del 1non.astero S. Nicola l'Arena dal 1675 al 1863 (d'ora in poi Registro) sono state scritte da lui negli anni in cui ricopriva la carica di archivista: Registro, 30, 42-47. 8 E' possibile ricostruire la carriera monastica di alcuni, come D. Bar· tolomeo D'Alessandro e Platamone di Patemò: 1669, già decano di gover· no, eletto cellerario di S. Nico.la l'Arena (Registro, f. 69v.); 1708 decano e priore titolare di Cerami (ibid., .f. 96v.); 1709 nuovamente cellerario (ibid., f. 97r.); 1711 priore claustrale (ibid., f. 98r.); 1712 priore amministratore (facente funzione di abate) del monastero catanese (ibi·d., f. 108r.); 1718 abate (ibid., ff. 112v. · 113r.). Notizie su idi lui in M. ARMELLINI, Bibliotheca benedectino-casinensis sive scriptorunz casinensis congregationis alias S. Justinae Patavinae ... , Typis Feliciani et Philippi Campitelli fratrum, Assisii 1731, 72. Bbis Si tratta dei decreti pro bono Congregationis emanati dai capitoli generali della congregazione oas·sinese: Registro, 3·7 (1675), 34-39 (1690), ff. 58r. · 59v. (1695), 62r.v. (1696); e un·a lettera circolare, su alcuni aspetti della vita religiosa, dell'abate preskfente D. Angelo da Civitella, del 28 luglio 1705: ìbid., ff. 87v.-88v.


)

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La vitia del monastero

Il monastero di S. Nicola l'Arena faceva parte della provincia siciliana della congregazione cassinese, insieme con altri otto monasteri: S. Maria Nuova in Monreale, S. Martino delle Scale presso Palermo, S. Maria in Gangi, S. Benedetto in Militello, SS. Benedetto e Luigi in Palermo, S. Flavia in Caltanissetta, S. Maria di Fundrò in Piazza Armerina e S. Placido in Messina 9• La congregazione nel 1620 stabilì che il monastero catanese poteva comodamente alimentare una comunità di 52 monaci e 16 laici professi o fratelli commessi; e nel 1650 il monastero dichiarava la presenza di 45 monaci e chierici, 15 fratelli e 6 inservienti o famigli, insieme con quelli che vivevano nelle sue grancie nei comuni di S. Maria di Licodia e Paternò 10 • Gli elenchi degli "officiali" del monastero, riportati dal Registro iniziando dal 1684, ci permettono ora di conoscere 9 Per un breve ma documentato excursus storico sulla presenza benedettina in Sicilia, cfr. P. CoLLURA, Vicende e proble1ni del 1nonachesimo benedettino in Sicilia, in Atti della Accade1nia di scienze lettere e arti di Palenno, parte seconda: Lettere 40 (1983) 31-64. 10 T. LEcc1sorrr, I 111onasteri cassinesi della Sicilia alla 1netà del se· colo XVII, in Benedictina 26 (1979) 147·160. II Lecdsotti pubblica la relazione sul inonastero stilata in occasione dell'inchiesta promossa da Innocenzo X, con la costituzione apostolica Inter Caetera .del 17 dicembre 1649, sulla consistenza delle comunità religiose maschili d'Italia, al fine di sopprimere quelle con pochi membri, ritenute incapaci a mantenere una esatta osservanza della vita religiosa. Alla provincia cassinese di Sicilia Innocenzo X fi.ssò in 324 il limite inassi1no di me1nbri. Alla stessa fante, interessandosi di tutti i conventi siciliani e arricchendola con vasta docun1entazione inedita per meglio far emergere le coordinate economico-politiche e socio-religiose dei secoli XVI-XVII, ha attinto anche S. CucINOTTA, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socioreligiosa fra cinque-seicento, Ed. Storiche Siciliane, Messina 1986. Di una copia rimasta fra le carte dell'a11chivio del monastero, e dopo il 1866 con· servata presso l'Archivio di Stato ·di Catania, ,si è servito invece M. GAUDIOSO, L'abbazia di San Nicolò l'Arena di Catania, in ASSO 25 (1929) 228230. Per la soppressione iimocenziana, .c.fr. E. BoAGA, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, Ed .. di Storia e Letteratura, Roma 1971; F. F. MASTROIANNI, L'inchiesta di Innocenzo X sui conventi cappuccini italiani (1650): analisi dei dati, Pontificia Università Lateranense, Roma 1985.


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l'organigramma della comunità benedettina di Catania. Da essi, insieme con gli incarichi affidati dagli abati ai vari membri, si possono facilmente individuare interessanti aspetti di vita religiosa, economica e culturale. La comunità monastica, nella quale venivano ammessi come monaci professi esclusivamente giovani di famiglie nobili 11 , non ebbe in realtà una costante presenza di 52 monaci di coro, quanti gliene erano stati assegnati come limite massimo. Già nel 1675 l'abate e i monaci facevano presente al capitolo generale, radunato in Perugia, che il monastero «è scarsissimo di Professi»; e, ancora nel 1709, alla S. Congregazione della Disciplina Regolare, si faceva presente che era - da notare la significativa definizione di monaco - «assai scarso d'Operarj per il dovuto servigio di Dio» 12 • Periodicamente, su richiesta degli abati, la S. Congregazione sullo Stato dei Regolari 13 concedeva la facoltà di ammettere giovani al noviziato e, successivamente, alla professione religiosa per l'incremento della comunità: tra il 1680 e il 1695 per 28 giovani, ma 16 al 1698 dovevano ancora essere ammessi 14 ; nel

H Alcuni storici come Collura (Vicende e proble1ni, 53), attribuiscono ancora tale decisione .ad un breve di ·Clemente VIII (9 dicembre 1599) che autorizzava il monastero «a ricevere nel proprio noviziato persone probe, di buona famiglia ed idonee»: il regesto del breve in C. ARDIZZONE, I diplo.1ni esistenti nella Biblioteca Comunale ai Benedettini: regesto, Catania 1927, 389. Eppure Gaudioso aveva già chiarito che «tale tendenza comincia a delinearsi fin dai primi anni del secolo XIV»: M. GAUDIOSO, op. cit., 227. 12 Registro, 1, f. 106v. Ma in un'altra supplica l'abate scriveva che il monastero era ·solito «alimentare cinquanta Monaci»: ibid., f. 107r. 13 :La S. Congregazione sullo Stato dei R·egolari venne istituita da Innocenzo X nel 1649 con il compito di censire i membri e le entrate delle singole comunità italiane e delle isole adiacenti, di esaminare la recezione dei novizi e di eseguire le disposizioni pontificie concernenti la soppressione dei piccoli conventi. La S. Congreg·azione della Disciplina Regolare, invece, con il con1pito dii promuovere la riforma della disciplina e, in particolare, di occuparsi dei noviziati, fu istituita da Innocenzo XII nel 1695, il quale soppresse la precedente nel 1698 per le inevitabili interferenze. Sulla Ioro istituzione, funzione e soppressione, cfr. N. DEL RE, La curia ro1nana, Ed. di Storia e Letteratura, Ro1na 19703, 374-375, 388-390. 14 Registro, 68v. "69r. Un novizio, no.n indicato nel testo riportato in


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1704 per 10 giovani su 22 richiesti, e altri 10 su 12 nel 1708 1.i. Questi dati, anche se sommari, sono pur sempre quanto mai indicativi: è possibile sostenere che la Sicilia Orientale - in specie le attuali provincie di Catania e Siracusa - dalla quale provenivano i monaci di S. Nicola, costituiva, a cavallo fra '600 e '700, un ampio e sic11ro serbatoio di "vocazioni" per i benedettini, ed è lecito supporre per lo stato religioso più in generale. Sarebbe certamente interessante, a questo punto, conoscere i motivi vocazionali dei giovani novizi; ma lo stato attuale delle fonti non ci permette un così significativo approfondimento 16 • Le motivazioni, invece, con le quali l'abate giustificava la 11ecessità di nuovi novizi, dai testi a nostra disposizione, essenm zialmente possono ritenersi valide, e cariche di significato per la vita religiosa: incrementare il numero dei membri, «assai sminuito per le disgrazie del Terremoto del 1693», nel quale perirono 32 religiosi 17 , e per la morte di «molti altri susseguenAppendice, passava a Catania dal monastero di S. Flavia: ibid., 69.r. Su questo monastero, che non ha ancora ·ricevuto molte attenzioni da parte degli storici, .cfr. G. ZITO, Un inedito di Dusniet, priore di S. Flavia: il regola1nento per il 1nonastero e la spiegazione dei decreti del capitolo generale cassinese del 1852, in Benedictina 31 (1984) 9-22. Nel 1675 l'abate e i inonaci ottennero dal c·apitolo generale la facoltà di ampliare i locali adibiti a noviziato, ritenuti insufficienti, per favorire l'ammissione di un inaggior numero di novizi e pater «Sovvenire a gl'altri Monasterij della Provincia, i quali non hanno Noviziato}): Registro, 1. A Catania, dunque, venivano educati anche i novizi di altri monasteri siciliani. 15 Ibid., 78v. - 79r., 106r. Onde evitare che, in seguito al nome assunto al momento della professione .religiosa, col passare degli anni potessero cadere in oblio nom·e, cognome e famiglia 1dti. provenienza di ogni monaco, l'abate Severino «ab Asculo» il 1° agosto 1677 prescrisse che le generalità secolari veni·ssero indicate sul :retro della «cartulae professionis uniusque professorum nostrorum»: ibid., 11. Probabilmente l'abate intendeva evitare ,che in futuro 'si avesse diffi·coltà ad identificare più .monaci con identico nome religioso. 16 Indicazioni di carattere generale, in P. STELLA, Strategie fan1iliari e celibato sacro in Italia tra '600 e '700, in Salesianu1n 41 (1979) 73-109. 17 Su questo tragico avvenimento, del quale molti e a diverso titolo si sono occupati, cfr. ora S. NrcoLosr, Apocalisse in Sicilia (Il terremoto del


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temente»; mantenere la esatta osservanza della regola; incrementare «il dovuto servigio di Dio» sia nel coro che nel culto; cooperare alla salvezza delle anime «ne' Confessionarij et amministrazione de' Sacramenti» 18 • Tuttavia, nel 1711 l'organico dei superiori del monastero si era ancora ulteriormente contratto, al punto da toccare, forse, il suo minimo storico dall'insediamento dei monaci in città: oltre all'abate, appena tre priori e tre decani 19• Neanche !'interdetto apostolico, comminato alla città e diocesi di Catania, come ad altre dell'isola, in conseguenza della lotta fra Vittorio Amedeo II di Savoia re di Sicilia (1713-1718) e la Curia romana negli anni della controversia liparitana 20 , impedì all'abate Lucio Bonanno di ammettere segretamente all'abito religioso 5 giovani. Per loro, nel 1719, l'abate Bartolomeo D'Alessandro chiese alla S. Congregazione del Concilio la facoltà di «far rattificare [ ... ] la già nulla Professione», oppure di poter «deporre l'Abbito Religioso». Il 12 agosto 1719, alla presenza di don Giovanni Rizzari, vicario generale della diocesi e vicario apostolico, e del notaio Vincenzo Russo, venne ratificata la professione e redatto il relativo atto. Tra la richiesta dell'abate, però, e l'atto di ratifica si riscontra una inspiegabile discrepanza: coloro per i quali venne chiesta e concessa la facoltà erano Remigio di Siracusa, Giovanni Battista di Siracusa, Placido di Catania, Mauro di

1693), Tringale Ed., Catania 1983, 70-75 per il monastero benedettino catau .nese, per il quale cfr. anche M. GAuoroso, op, cit., 235-239. Per il numero dei bened'ettini inorti nel terremoto, Registro f. 78v. Per la riedificazione del monastero i n1onaei si fecero costruire un apposito acquedotto che portava acqua da loro possedimenti. E, mentre il 15 aprile 1704, «ad evitandas lites, et tollenda iurgia)>, la dieta cassinese stabilì di non poterne canccdere alla città sotto pena di sospensione da ogni ufficio e dignità; l'anno successivo, appianatisi i rapporti con la nobiltà cittadina, i monaci chiese~o ed ottennero ((1d'i poter dare ad Annuo Censo parte di detta Acqua, che è superflua per la fabrica»: ibid., ff. 86r. · 87r. 1s Jbid., f. 106r.-v. IO fbid., f. 98r. 2° F. SCADUTO, Stat'O e Chiesa nelle due Sicilie, I, Ed. della Regione Siciliana, Palermo 1969, 136-154.


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Paternò e Odoardo di Siracusa; mentre, l'atto notarile, trascritto nel Registro, riporta i nomi di Anselmo Corvaia di Catania, Michele Maria Rizzari di Catania, Remigio Statella di Siracusa, Giovanni Battista Platamone di Siracusa, Placido Scammacca di Catania e Mauro Savuto di Paternò 21 • Un tentativo di soluzione ci è offerto dagli elenchi dei monaci professi del monastero. Da essi, infatti, sappiamo che Anselmo Corvaia e Michele Rizzari emisero la loro professione, rispettivamente, il 12 e il 26 settembre 1713; Remigio Statella, Giovanni Battista Platamone e Placido Scammacca 1'8 dicembre 1715: tutti e 5 mentre era in vigore !'interdetto apostolico. Gli stessi elenchi, invece, non danno alcuna notizia di Mauro Savuto e Odoardo di Siracusa: è lecito supporre che entrambi abbiano abbandonato la vita religiosa. E' significativo, inoltre, notare che, pur avendo l'abate D'Alessandro considerata «già nulla» la professione emessa mentre era in vigore !'interdetto, negli atti ufficiali del monastero venne registrata la data del 1713 e 1715 e non quella del 1719 22 • Le Costituzioni, poi, stabilivano che l'età minima per ammettere «all'anno della Professione» era di 15 anni. E l'abate, che fra gli alunni del monastero intendeva ammettere al noviziato ragazzi di età inferiore, doveva chiedere la dispensa alla S. Congregazione della Disciplina Regolare: presentava ragazzi anche di 12 anni, ma veniva concessa l'ammissione soltanto per coloro che avessero compiuto il 14° anno di età 23 • Per i giovani professi l'abate, oltre ad esercitare la potestà ordinaria su tutto quanto concerneva la vita religiosa, aveva anche la facoltà, propria dei vescovi, di conferire loro libera-

2l

Registro, ff. 114r. · 116v.

Ms. C. 14, Monachorum Casinensiu1n Series, c. 170r. Ma in un elenco successivo a stampa, che riprende il manoscritto, non è "indicato Giovanni Battista Platamone: Elenchus Monachoru111 Professor.uni in Monasterio S. Nicolai de Arenis Catanae, s.n.t.: il volume si· compone di un insie1ne di fogli a stampa, di vario formato e a cura dei vari monasteri, con l'elenco 1diei ,monaci di ognuno di essi e la data di prDfes>Sione, databile non prima del 1760. 23 Registro, ff. 106v. - 107v., 109r. 22 CATANIA, BIBLIOTECA CIVICA URSINO - RECUPERO,


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mente la prima tonsura (che immetteva il giovane nella condizione di chierico) e gli ordini minori, cioè: ostiario, lettore, esorcista, accolito 24 • Insieme con la pubblicazione degli "officiali" l'abate emanava, ma non sempre, le disposizioni alle quali tutti avevano l'obbligo di attenersi; ed esse, formulate per lo più al negativo, lasciano ampiamente trasparire quali erano gli aspetti della vita personale e comunitaria che necessitavano maggiormente di essere emendati. Riguardavano, per lo più, l'osservanza della clausura, la vita comunitaria («Che ogn'uno si contenti della Vita comune», e si avesse ((uniformità nel vestire»), la costante formazione teologica con la assidua e tassativa presenza «alla lezione di casi di coscienza», l'esatto adempimento degli obblighi di coro e di culto, il voto di povertà, il divieto di giocare, sia dentro che fuori del monastero, e di «prestare denaro alcuno, né robba

24 ìbid., II. 74r., 92r. Il Concilio di Trento aveva stabilito che gli abati potevano conferire la tonsura e gli ordini minori esclusivamente ai loro sudditi nella vita religiosa (Sessio XXIII, can. X de ref.). Tuttavia nei decenni successivi l'interpretazio.ne di questo canone divenne -fonte di contes·a fra i vescovi e gli abati. I primi ·consideravano tale ,facoltà una intromissione nella loro giurisdizione, e quindi qualcuno si rifiutava di conferi.re gli ordini maggiori ('suddiaconato, diaconato e presbiterato) a coloro che avevano ricevuto gli ordini .minori 1dagli abati. Alcuni di questi, invece, tentavano di ampliare la facoltà loro concessa conferendo la tonsura e gli ordini minori anche a secolari che erano sotto la loro giurisdizione abbaziale. La S. Congregazione del Concilio, interpellata ·diverse volte, confermò il canone del Tridentino, a condizione, però, che l'abate avesse ricevuto la benedizione solenne, oppure che, «non benedictus», gli fosse stato conferito uno speciale 1privilegio apostolico a tal fine: Codicis Iuris Canonici Fontes, cura P. GASPARRI editi, V, Typis Polyglotti:s Vaticanis, Romae 1951, 169 (Porto 1591), 304-305 (Palermo 1647), 307 (Liège 1648), 326-327 (Coimbra 1655), e diversi altri. Naturalmente, lilla simile controversia non poteva non impiantarsi anche a Catania. Si verificò fra il vescovo Ottavio Branciforte (1638-1646), preoccupato di difendere i .privilegi e le immunità ecclesiastiche al rpunto da rompere i rapporti con le autorità civili per questioni di precedenza e andar via dalla città (A. LONGHITANO, Le relazioni "ad lùnina" della dio·


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di valuta, né vettovaglie a nessuno, ancorché sia parente stretto»: segno che i monaci personalmente ne detenevano e, eludendo la consegna alla cassa comune del monastero, liberamente se ne avvalevano per proprio vantaggio. Per alcune di queste prescrizioni veniva chiesta l'osservanza «sotto precetto di S. Ubbidienza»; mentre la trasgressione poteva comportare pene previste dalle Costituzioni, oppure ad «arbitrio del Superiore», e per quelle ritenute più gravi anche la «scomunica ipso facto» (tenere per sé vettovaglie o cose di proprietà del monastero) oppure la «Scomunica latae sententiae» nel caso si contravvenisse al voto di povertà. Ma nelle disposizioni si riscontra anche una preoccupazione che potremmo definire di tipo socio-religioso. Al rettore della comunità di Licodia, infatti, veniva raccomandato di impegnarsi «a fare la giustizia all'Inquilinh; di non permettere che questi fossero angariati «dalli Baglij» (esattori laici alle dipendenze dei monaci); di adoperarsi a che tutti i dipendenti vivessero

cesi di Catania (1640-1646), in Synaxis 2 (1984] 281-446), e l'abate di S. Ni· cola l'Arena, il catanese Francesco Cajetano che aveva conferito la tonsura e gli ordini minori, «cun1 Iitteris dimissorialibus Ordinariorum>), a giovani quindi ·che non erano ,suoi sudditi :religiosi. Il 15 febbraio 1642 la S. Congregazione del Concilio, assolvendo da ogni censura e convalidando gli ordini ;Yicevuti, decretò: «Abbates Regulares Benedictinos eiusdem Congregationis Cassinensis, seu alterius Congregationis, vel Ordini,s, aut I.nstituti, habentes etian1 iura episcopalia seu quasi episcopalia, usumque mitrae, baculi, et benedicendi, ac faculta1em primam Tonsuram et minores O.rdines conferenidi, non posse primam Tonsuran1 nec alios minores Ordines, ni,si suis subditis Regularibus conferre, non autem Regula~ribus alterjus Congrcgationis, Ordinis vel Instituti, etiam si habent litteras dimissorias suorum Superiorum Regularium, et consensum Ordinarium, intra quorum Dioecesum fines ipsi regulares ordinandi existunt, et multo m.inus personis saecularibus, etiam habentibus litteras dimisso,rias a suìs Ordinariis>>: Codicis ... , cit., V, 292. Se1npre intorno alla medesima questione, l'anno precedente si erano già verificate 'situazioni di conflittualità fra il vescovo e l'abate. Da Catania era stato chiesto: «An Abbates etia~m Ordinis Sancti Benedicti possint litteras dimissoriales conco:ìere etiam non suis subditis pro ordini,s suscipiendi·s)); e la S. Congregazione del Concilio il 23 febbraio 1641 aveva risposto che non potevano concederle: ibid., 290.


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cristianamente, ascoltassero la messa e non giocassero a giuochi proibiti; di rifiutare l'ospitalità in monastero a quei laici che vi andassero per propria comodità e, al contrario, praticare «cortesia e carità a' Religiosi, e Mendicanti, e Poveri che passano per detto luogo» 25 • In realtà, però, nel periodo da noi preso in esame solo l'abate Onorato Colonna emise dettagliate disposizioni nel 1684 e nel 1693, negli anni cioè del suo doppio mandato abbaziale (1682-1687, 1693-1695) 26 • Degli altri abati che pubblicarono "officiali" e superiori, qualcuno (Romualdo Rizzari, Camilla Mancini e Benedetto Asmundo) si limitò a richiamare in vigore le disposizioni del 1693, ma delimitando la clausura del monastero a «tutto il circuito di detto dentro le Mura e recinto» 27 ; qualche altro (Ferdinando Gioeni, Prudenzio da Messina e Lucio Bonanno), invece, non emise disposizioni particolari, né fece riferimento a quelle precedenti. Ripristinare le stesse norme, gli stessi divieti nel corso di oltre 20 anni probabilmente per gli abati era ormai diventata una consuetudine, ma è anche lecito supporre che sia indice di sistematiche inadempienze da parte dei membri della comunità monastica. E in alcuni casi di particolare gravità nelle prevaricazioni l'abate, o chi ne faceva le veci, con il priore claustrale e il collegio dei decani, dovette intervenire con decisione e severità per punire ed anche espellere dal monastero e dall'ordine benedettino i più recalcitranti, ed in particolare alcuni che si avvalevano dei beni del monastero a proprio vantaggio 28 •

Registro, 24-27, 53-55, f. 99v. Il Colo.nna fu abate di S. Nicola l'Arena anche dal 1673 al 1676, .ma non sappiamo se emise disposizioni durante questo suo primo mandato abbaziale e dal Registro, che inizia dal 1675, non si ricava alcuna notizia. 21 Ibid., f. lOOv. Per Romualdo Rizzati, cfr. M. ARMELLINI, Additiones et correctiones bibliothe.cae benedictino-casinensis, alias S. Justinae Patavinae ... , Typìs P. Campana, Fulginei 1735, 82"83; per Camillo Mancini, In., Bibliotheca, 110. 28 Tra il 1676 e jJ 1714 vennero cond;annati 9 fratelli commessi per aver dato scandalo con la loro condotta: chi introducendo in mon~stero «Mulierculas noctU>>, chi proferendo parole oscene e bestemmie, chi defraudando il mon·aistero, chi per aver .dissipato «Terremotus tempore 25

26


Stemma dcl monastero di S. Nicola l'Arena riprodotto da Monachoru1n (foto G, Vitali) Casinensiu1n Series


Il Registro

(foto G. V itali)


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Le proprietà del monastero, secondo la relazione del 1650, davano un introito di 10030 scudi; e tra spese ordinarie e straordinarie venne dichiarato un esito di 9609 scudi, compresi i 790 scudi annui elargiti, con diverse modalità, in elemosina. Una parte dei 420.8 scudi di residuo attivo venivano impiegati per la costruzione della chiesa di S. Nicola l'Arena 29 • In seguito alla colata lavica che nel 1669 investì Catania, la costruenda chiesa soffrì i maggiori danni dell'edificio monastico, e si decise di costruirne una nuova. Era indispensabile, tuttavia, «che si levi prima la xara, che vi è in gran quantità nel luoco dove si deve fabricare». Per tale motivo la comunità monastica chiese all'abate presidente della congregazione la licenza, e la ottenne, di impiegare frattanto i fondi per la costruzione al fine di estinguere i debiti contratti nel corso degli anni dal monastero, restituendo il denaro alla cassa della fabbrica non appena tolta la lava 30 • inultam frumentorum quantitatern}} e aver percepito illecitam·ente da diversi inquilini oltre 260 onze. Diversi di questi fratelli, prima idi essere espulsi, vennero rinchiusi per alcuni inesi in un apposito carcere di proprietà dei benedeltini a S. Maria di Licodia: Registro, 9, ff. 67r.v., 80v. - 81r., 108v. - J09v., ll2r. 29 La chiesa ((doverà ·essere a proportione del monastero servendosi al presente d'un vaso assai angusto e per la frequenza del popolo incapace et che puo no1na.rsi pili tosto oratorio che chiesa)). Ma la sua costruzione si protraeva ormai da molti anni poiché ·si tralasciava «totalmente di proseguire la fabrica sopradetta per applicare tutto il sopravanzo in estintione de debiti» che, nel 1650, ammontavano a scudi 3102.7.10: T. ·LECCIsorrr, op. cit., 159. Per le rendite destinate alla costruzione della chiesa, cfr. M. GAUDIOSO, op. cit., 234-235, nota 5. 3o Tale licenza venne concessa il 20 febbraio 1691 e riconfern1ata, su richiesta dell'abate e dei superiori del monastero, il 23 luglio dello stesso anno. E' da notare, linguisticamente, che nella lettera dell'abate presidente la lava venne chiamata «lapideo bituminen, mentre volgarmente, ancora oggi, viene designata col termine "sciara": Registro, 42-44. Lo stesso abate presidente, tuttavia, volle verificare l'amministrazione del cellerario, D. Benedetto ,da Catania, perché essa presentava un "deficit" di circa 10.000 ducati, equivalenti a 8333 scudi (ibid., 44-46): di gran lunga superiore ai debiti dichiarati 41 anni prim·ar E' anche vero, però, che molti usurpavano beni del monastero .nonostante le apposite scomuniche co1nminate dai papi a chi non li restituiva entro brevissimo tempo: cfr. C. ARDIZZONE, op. cit., 396-398.


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Buona parte dei possedimenti del monastero si trovava nel territorio del comune di Paternò, dove risiedeva una piccola comunità, 2 monaci e 1 fratello, ai quali era affidata la cura non solo dell'esazione delle rendite ma anche delle due chiese di S. Maria di Valle Giosafat, sede della grancia, e di S. Marco. Sulle proprietà, sulle chiese e sugli uomini che se ne occupavano l'abate esercitava libera e completa giurisdizione: con periodiche solenni visite, simili alle visite pastorali dei vescovi alla loro diocesi, ispezionava l'andamento della grancia ed emetteva quelle prescrizioni che riteneva più opportune 31 • Nel Registro si trovano trascritti gli atti notarili di quattro visite abbaziali alla grancia di Paternò. Di esse, nel testo pubblicato in Appendice, vengono riportate quelle del 1696 e del 1699; le altre due, del 1706 e del 1711, ricalcano ampiamente le precedenti senza apportare variazioni di rilievo"- L'abate si interessava, in particolare, di quanto concerneva la salvaguardia delle prerogative e dei privilegi del monastero, il culto, le reliquie, la gestione delle proprietà, l'impiego delle rendite ricavate sia da beni immobili che da censi perpetui o bollari 33 , il salario del sagrestano, la fidecommissaria, di cui era titolare l'abate, per tre legati di maritaggio, che ad anni alterni erano

31

Questa chiesa, particolarn1ente nel secolo XVI, fu occasione di con-

flitti di competenza fra l'abate e il vescovo poiché entrambi esercitavano su di essa una propria giurisdizione avendo annessa Ia cura d'anime. Di conseguenza, {{per la giurisdizione ·spirituale dipendeva dal vescovo, per quella temporale dall'abate»: A. LoNGHITANO, Confl.itti di contpetenza fra il vescovo di Catania, i benedettini e gli ordini 1nendicanti nei se.coli XV e XVI, in Benedictina 31 ( 1984) 372-384. I benedettini, effettivamente, godevano di molte esenzioni, a tal punto che il vescovo, per decreto della S. Congregazione dei Riti (20 agosto 1602), non poteva neanche obbligarli a partecipare alle processioni religiose, eccett:o quella del "Corpus Domi· ni": c. ARDIZZONE, op. cit., 389. 32 Registro, ff. 63v.-66v. (7 novembre 1696), 70r.- 71v. (28 ottobre 1699), 89r. - 91r. (18 maggio 1706), !Olv. -105v. (10 novembre 1711). 33 Il censo bollare (dalla bolla Cu1n Onus di S. Pio V), o consegnatìvo, consisteva nel «paga1nento di un c·apitale, che il concedente si obbliga a non più ripetere, conservando il diritto a1d' una prestazione annua»: G. STOCCHIERO, Enti e beni ecclesiastici in Italia dopo il c.ancordato, Società Anonima Tipografica, Vicenza 19332, 445·446.


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quattro, in favore di altrettante orfane del comune da assegnarsi ogni anno per sorteggio fra quelle che documentavano determinate condizioni 34 • La presenza benedettina a Paternò, oltre che di tipo socioeconomico, rivestiva naturalmente una funzione religiosa e devozionale che, in particolare, contribuì all'incremento del culto mariano: l'abate prescrisse espressamente specifici esercizi di pietà da compiersi nove giorni prima del natale, quindici giorni prima della festa dell'assunzione «e parimente per tutti li Sabbati dell'anno, e feste della Beatissima Vergine" 35 •

3.

Criteri metodologici seguiti nella trascrizione del testo

Si è ritenuto opportuno, innanzitutto, compiere una cernita dei documenti contenuti nel Registro, lasciando loro la sequenza con la quale sono in esso riportati, anche se in qualche caso non sono stati registrati con rigido ordine cronologico. Tale scelta, che forse non sarà condivisa, è stata dettata fondamentalmente da due considerazioni: pubblicare ciò che concerne esplicitamente il monastero catanese, escludendo in tal modo, per es. i decreti pro bono Congregationis che riguardano invece i cassinesi in genere; tralasciare, anche al fine di non ap.pesantire il testo, le superflue ripetizioni, come nel caso delle visite alla grancia di Paternò. Dalla documentazione edita, così, emerge meglio il rilevante contributo dato da essa per aggiungere nuove tessere al ricco mosaico della presenza benedettina a Catania, e di essa come comunità di primaria importanza fra quelle della provincia siciliana e, più in generale, della congregazione cassinese. Nel

34 Questi legati, che denotav·ano sensibilità alle diiSagiate condizioni economiche di n1olte famiglie, ed erano numerosi un po' dappertutto nei secoli XVI-XVIII in particolare, avevano anche lo ·scopo di porre un freno alle facili coì1vivenze. Tuttavkt, la graduatoria sociale indicata dall'abate non favoriva certo le orfane meno abbienti: cfr. Registro, f. 64v. 35 Jbid., .f. 104r. S<.ùla figura di Maria nella religione popolare, cfr. G. GALASSO, L'altra Europa, Mondadori, Milano 1982, 75-76, 85-88, 101-102.


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testo pubblicato, per tale motivo, si incontrano puntini di so.spensione in parentesi quadre: indicano i brani del Registro che abbiamo ritenuto superfluo pubblicare. Alla seconda delle due suddette considerazioni risponde anche la scelta di non riportare al completo tutti e undici gli organigrammi del monastero, limitandoci per alcuni ai nomi dei superiori delle tre case: Catania, S. Maria di Licodia e Paternò; per intero, invece, sono stati riportati quelli più significativi. Per i cognomi degli abati ci siamo serviti del saggio di Matteo Gaudioso, citato nelle note, poiché il Registro ne indica soltanto la patria di provenienza. Nella trascrizione, infine, si è sostanzialmente rispettato il testo, e delle abbreviazioni abbiamo sciolto le più difficili, indicando di volta in volta in parentesi quadre quanto è nostra interpolazione; abbiamo voluto lasciare l'abbreviazione che indica le onze (,.) essendo oramai nota agli studiosi.


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APPENDICE

[p. I]

"RR. PP.

L'Abbate e .Monaci del Monasterio di S. Nicolò di Catania riverente· mente espongono alle PP. VV. RR.me come il Noviziato idi detto Monasterio no.n havendo stanze bastanti all'habitazione, sì de' Novizij puri, come de' Professi, li quali non sono habili ad uscire dal Noviziato; perciò supplic'ano le PP. VV. R·R.me a concedere loro licenza di fare due cancelli in un dormitorio chiamato il Noviziato vecchio, nel quale possa trasferire i Giovani Professi sotto la cura d'un Decano di Regimento eligendo col consenso d'essi supplicanti, perché altrimenti non potrà il Monasterio, il quale, è scarsissimo di Professi, vestire altri Novizij, ne potrà sovvenire a gl'altri Monasterij della Provincia, i quali .non hanno Noviziato, ed il tutto riceveranno à gratia delle PP. VV. RR.me: quas Deus etc. Facultas petita ut supra conceditur, dummodo Pater superior, qui curan1 gerere debet Professorum sit Decanus regiminis, nequeat praetenM dere locum extra ordinem suae professionis inter alios Decanos. Datum Perusij in Comitijs ge.neralibus die 12 Maij 1675 D. Severinus ab Asculo scriba Capituli G[eneralis] locus + sigilli [ ... ]

[p. 7]

Pro Monasterio S.ti Nicolai de Catana.

Ex iniuncto Nobis munere in proximo praeterito Cap.lo Generali Perusij celebrato suo tempore [concluso il 14 maggio 1675] declarandi Decanos Regiminis duodecim Sacerdotes quorumdam Monasteriorum Cong.nis nostrae Professos, a Rev.mo Diffinitorio approbatos, et Canonice [p. 8] per secreta suff:ragia, sicut caeteri Decani Regin1inis, ad tempus electos, tamen ex defectu temporis Religionis a nostris Constitutionibus requisiti, nondum completi, in eodem Cap.lo G.nali non declaratos. Ideo officij nostri partes exercenrdo, prius hac desuper re authoritate, et be.ne~ placito E.mi D. Card. Barberini Protectoris muniti, pro Men.rio S. Nicolai praed.o declaramus et pronunciamus verum et legitimum Decanum ReM giminis Cong.nis n.rae P. D. Theodosium a Catana praefati Mon.rij S. Nicolai professum ex iustitia, quia Monasterium est capax, electum cum omnibus gratijs, privilegijs, praerogativis, et honoribus, quibus caeteri


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Decani Regiminis C-ong.nis nostrae in Cap.lo Generali electi, fruuntur, et gaudent. Rev.mo Praelato supraic:Li Monast.ij .facultatem facie.ntes, ut die 8 7bris Anni currentis 1675 et non prius, ewndem Decanum publice declarare possit, et valeat. Datum in Monast.o S.tae Mariae de Florentia Die prima 7bris 1675. D. Zenobius a Senis Praesid.s G.nalis Cong.nis Cassinen.s locus + sigilli D. Honorius a Pist. Cancell. de Mand. [ ... ]

[p. 9]

Catanae In Man.rio S.ti Nicolai de Arenis Cong.is Casin.is die 19 Aprilis 1676

Quia F. Antonius a Man.rio albo Co1nmissus stabilitus praed.i Monasterij inventus fuit scandalosus, et vitiosus fuit servata circa eu1n forma .regulae secundum Meriturn, ideoque servatis omnibus quae in Declaratorio Regulac ad cap. 28. n. 5. circa hoc stabiliuntur de consensu omnium Seniorum nemine penitus discrepante .expulsus fuit a praed.o Man.rio et Religione die quo supra. In huius rei fidem Seniores qui ad hoc convenere praesens scriptum propriae manus subscriptione roborarunt. [le firme che seguono sono autografe] D. D. D. D. D. D. D.

Ferdinandus a Catana Prior Claustralis Jacobus a Patel-nione Decanus et M. N. Federicus a Catana Decanus Anseln1us a Cata[na] Dec.s et Cell.-rius Jo'annes a Syracusis Dec.s Filippus a Caltag[iro]ne Decanus Theodosius a Cat[ana] Decanus

D. D. D. D.

Marius a Cat[ana] Dec.s Maurus a Pat[ernio]ne Decanus Martinus a Catana Dec.s Antoninus a Catana Dec.s

Rev.mo P.re Noi sottoscritti Priore, Decani, e sacerdoti di questo Monastero di S. Nicolò l'Arena per diffuggire l'inquietudine, e 1dìsordine de Religiosi in tempi di singolar devozione, come anco per onore e reputazione della Religione, supplichiamo V. P. Rev.ma di dar rigoroso ordine al P ..re Cell.o presente e futuri, e tutti Ministri che sono e saranno di non permettere che si diano nelle Feste di Natale e Pascha a nessuno di Noi, o altro Religioso di questa casa dì qualsivoglia stato, grado e condizione che sarà, Tume, Ricotte, ne ·altra sorte di Frutti di MallJd.ra, ne Capretti, ne alcuna sorte di Caccia, e Pollame, potendo V. P. Rev.111a [p. 10] ,ordinare che si ci raddoppij ad ogn'uno la Fera solita nella Religio.ne, ed in questa Casa sole darsi nel primo di Gennaro pro rata ad ogni Perso11a, cioè alli Fr.elli Commessi tarì 4. alli Clerici ta-rì 6. alli Sacerdoti tarì 8. alli PP. Deca[.ni]


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tarì 12. al P.re Priore tari 24. essendo oggi la metà dell'accennati, et ita supp[lican]t quam Deus [le firn1e che seguono sono autografe]

D. Ferdinando da Catania Priore Claustrale D. Giacomo 1da Paternò Decano, e M. di N. D. Federico da Catania Decano D. Anselmo da Cat.a Decano D. Giovanni di Siracusa Dee.o D. Filippo di Caltag.ne Decano D. Pietro da Cat.a Dee.o D. Innocenzo da Cat.a Dee.o D. Mario di Cat. Decano D. Martino da Catania Dee.o D. Antonino da Catania Dee.o D. Teodosio da Catania Dee.o D. Gio. Bat1.a di Cat.a Sacerdote D. Luiggi da Catania Sacerdote D. Camilla da Catania Sacer.te D. Romualdo :da Catania Sacer.te D. Geronimo da Catania Sacer.te D. Benedetto da Catania Sacer.te D. Mauro da Siracusa Sac.e D. Lucio di Siracusa [quanto segue è scritto di proprio pugno dall'abate] Praedictis Monachorum votis consensiens, Cell[erari]o u[ni]versisque ministris districte praecip[u]is, ut Fiat secundum petita sub penis mihi bene visis. Die 12 Xbris 1676.

[p. 11]

D. Honoratus a Mineo Abbas Pro praeteritorj notitia

Quoniam experientia docente, monachor[um] nostror[um] saecularia nomina, cognon1ina, ac familias, processu temporis in oblivione abire, non sine gravi monasterior[um] damno compectum est propterea, qui tantae incuriae in futurum occurratur, ut que pr'aedictorum memoria transmittatur in posteros, optimum fore censemus, ut a tergo cartulae professionis uniusque professorum nostrorun1, eo die, quo sole.nniter Altiss[im]o vota nuncupat non1en, et cogno1nen, quo quisque in saeculo appellabatur, adiunctis insuper genitor[um] nominibus dilucide exscribatur et ita servandum esse, quantum nostra interest, praesentiun1 tenore mandamus. Dat. Catanae die p[rim]o Augusti 1677. D. Severinus ab Asculo Abbas Catanae [firma autografa dell'abate].


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[ ... ]

[p. 13] Nos D..Petrus a Venetijs Praesidens Co.ngregationis Casinensis Ordinis Sancti Benedicti, et Abbas Sancti Georgij maioris Venetiarum

Vacante Abbatia n1on[aste].rij Sancti Nicolai de Arenis Civitatis Catana ob inortem R.rni Patris D. Stephani a Catana ultimi et inmediati eìusdem n1on[aste]rij Abbalis. Ne pracdictum mon[aste]rium capite privaturn, aliquid in Temporalibus, et Spiritualibus damnum patiatur; n[ost]ri Pastoralis muneris ratio postulat, ut e1dem Abba [p. 14] tiae ac rnonasterio sic vacante de idoneo Superiore qttamcitius provideamus; Quap[ro}p[te]r Te R.mus P. D. Honoratum a Mineo Abbatem Sancti Placidi ìnt-ra Messa· nam, de cuiq[ue] suflìcientia, prudenlia, atque morum integritate nobis ex certa scientia constat in praedicti mon[aste]rij, usque 'ad proxin1am futuram Dietam, in qua de legitimo Abbate providebitur, Administrato.rem, atque Superiorem, authoritate qua .fungimur instituimus ac deputamus; ac institutum, et deputatum praesentium tenore declaramus. Dantes tibi facultatem praedictu1n mon[aste]rium in spiritualibus, et temporalibus regendi, gubernandi, atquc omnia faciendi, quae verus, et legittin1us Abbas, et Supcrior facere, et exercere potest. Praecipientes in virtute Sanctac obodientiae et sub ·poenis nobis, ac Regimini reservatis Adm. Rev. P. Priori, Decanis, Monachis, atque Commissis, aliisque in praedicto n1onasterio degentibus, ac deputandis, ut te tanqua1n lcgittimum Adminis1ratore1n rccipiant, et recognoscant, Tibique in omnibus pareant et obediant. Datum Romae in edibus Sancti Calisti die 7 .februari 1682 D. Petrus Venetus Abbas, et .Presid. Cong.nis Loco + sigilli D. Isidorus a Pistorio proCancell.o [p. 18 bis]

Offìciali del Monasterio di S. Nicolò l'Arena reforntati in luglio 7.a lnd.e 1684

R.rno P. D. Honorato [Columna] da Mineo Abbate M.to R.do P. D. Francesco da Pat[ernò] Priore Claus[tra]le M.to R.do P. D. Friderico da Cat[ani]a Priore Tit[ola]re M.to R.do P. D. ·Giovanni di Siracusa Priore di Cerami P. D. Camilla di Cat[ani]a Decano e Maestro di Novizij P. D. Cherubino cli Cat[ani]a Decano P..D. Sin1eone di Cat[ani]a Dee.o P. D. Filippo di Caltagirone Dee.o P. D. Giacomo di Paternò Dee.o P. D. Mario di Cat[ani]a Dee.o P. D. Ludovico di Morreale Dee.o P. D. Benedetto M[ari]a di Messina Dee.o P. D. Antonino di Cat[ani]a Dee.o P. D. Teodosio· di Cat[ani]a Dee.o


Il monastero di S. Nicola l'Arena P. P. P. P. P. P. P.

D. D. D. D. D. D. D.

P. P. D. D.

Monasterio di Licodia D. ,Lorenzo di Cat[ani]a De.o e Rettore D. Valeriano di Cat[ani]a M.ro d'atti Giulio di Cat[ani]a Emiliano da Palerm-o Cell[erari]o

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Gio. Batt[ist]a 1dì Cat[ani]a Dee.o Ottavio di Cat[ani]a Dee.o Ron1ualdo di Cat[ani]a Dee.o e Cell[erari]o Pietro di Messina Dee.o Benedetto di Cat[ani]a Dee.o Gregorio di Cat[ani]a Dee.o Ruberto di Cat[ani]a Dee.o

Alla Cantina den1 Monasterio Sacristia e lanpi [:::;:lampade] Fra Maoro [p. 19]

Alla Cucina

Fra Michele

Alla Grancia di Paternò Il M.o R.do P. D. Giovanni di Siracusa, Rettore che haverà cura delli Magazzeni, e tenute. P. D. A,ntonino di Cat[ani]a haverà cura della Procura, Molini, e Censi. Alla Cocina Fra Leone In S. Nicolò lo Vecchio, e Castagneto Il P. D. Teodosio da Cat[ani]a n'haverà cura nelli tempi necessarij D. Prospero Sacerdote per Le Messe. Fra Vicenza Fra Modesto Alla Sacristia del Monasterio P. D. Simeone Vicario D. Graziano Sacristano, che haverà cura di sanare l'Ave M.a, Mezzo dì, ed Ave M.a de' Morti e p[rim]i Segni, e le tre chiavi dello S.to Chiodo le teneranno il R.mo, P.re Vicario, e P.re Cell[erari]o, e le chiavi della Sacristia, e Chiesa la sera si partiranno al P. Priore insieme con la Chiave del Coro. Frat'Ange1o alli Lanpi della Chiesa, e Mon[aste]rio Fra Benedetto batterà Nona. A Battere e sanare Matt[utin}o og.ni notte Li dui fratelli ultimi a settimana Alla Barbaria Fra Berna.ndo


298

Gaetano Zito

[p. 20]

Alla Celleraria del Monasterio

P. D. Romualdo Cell.o D. Costantino Concell.o, quale scriverà e partirà 1i conti ogni sera al R.mo, ed a cui ordinerà. Alla spesa Fra Stefano, che darà ogni sera il conto suo al Celi.o di casa. Alli Granari del Monasterio P. D. Ottavio, quale tenerà nella sua camera la cassa del Monasterio. Alli depositi delli Monaci Il M.to Rev. P. Priore di casa Alla cassa del Monasterio P. D. Cherubino Alla Procura del Monasterio, Censi e liti P. D. Benedetto All'Archivio del Monasterio P. D. Gio. Batt[ist]a, con D. Bartolomeo All'Organo del Monasterio M.to R.do P. D. Fi1derico, e per la notte, e q[uan]do pioverà, n1anderà un altro All'Inferma.ria P. D. Giacomo D. Domenico ]). Paolo Infermieri D. Bernardo fra Placido Alla Carità fra Gio. Batt[ist]a

}

[p. 21]

Alla Cocina dell'Inferm[ari]a

f. Gio. Batt[ist]a Alla Spetialia P. Celi.o, -che haverà cura di sottoscrivere il quinterno di giorno in giorno, senza la di cui mano non possa lo spctiale dar medicamenti a nessuno. Alla f.rostaria [=foresteria] P. D. Mauro D. Sebastiano D. Guiglielmo frosterarij fra Bernardo All'Incantina, Casaria fra Ro1nano, quale darà i conti al P. Cell.o Alla Cocina del Monasterio fra Raffaele, Massaro fra Bernardo fra Luca suoi compagni Un Perseverante

}

}


Il monastero di S. Nicola l'Arena

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Alla lezione di Casi di Cosc[ienz]a e Teologia li P. D. Camillo

Alla Lezione di :filosofia D. Stefano idi Palermo Alla libraria P.re Maestro con suoi compagni Al Refettorio P. D. Mario Mag[azzinie]re frat'Alessio con un'aggiutante Alla Revision de' libri Il P. Priore di casa col P. D. Filippo A far legger Ii Brevi Pontificij M.to Rev.do di Casa e P. Maestro [p. 22] Alla lezione di fratelli Commessi Il M.to R.do P. D. Fiderico Alla fabrica del Monasterio P.re Cellerario Alli libri di conti del Manasterio M.to R.do P. D. Giovanni di Siracusa All'orto del Monasterio P. D. Mario A servire il M.to R.do di Casa fra Bernardo Alla Porta del Monasterio frat'Andrea, e q[uan]1do sarĂ disoccupato f. Romano et ogni sera partirĂ le chiavi al P. Priore A Bombacaro fra Cle1nente Al Magazeno del orzio, e cura della stalla Il Cell.o di casa A sonar il Pai[er] N[oste]r, e a batter prima Tutti li fratelli con1messi a settimana All'orologio del MonasterĂŹo frat'A.ndrea A dare il Pane dell'elemosina frat'Andrea e fra Romano A dare il pane alli famigli fra Romano Alle tenule del Monasterio Fra Cle111ente con un Aggiutante

[p. 23] Alli libri del Choro Li Chierici a settimana Ad accomodare li sud[dett]i libri Il P. Maestro


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Gaetano Zito A scupare li Dormitorij

I Monaci tutti A scupare li Claustri sotto e sopra I fratelli Cnmmessi due volte la settimana A scap·are la scala del Po.nente Il Massaro dell'Infermaria A scupare la scala della sacristia Il se[rvito]re del P. Cell.o A scupa.re la scala di Mezzogiorno Il Se[rvito]re del P. Abbate

A scopare il Portone, e quadri frat'Andrea Alla Vestiaria II P. Abb.e R.mo, e P.re Celi.o All'Inventario di tutte !'officine, e camere delli Monaci Il P .re Celi.o, e Cell .o di Casa. [p. 24]

Avvisi ed Ordini del R.mo P. Abbate nel pubblicare l'Officiali

1°: La Clausura del rv1onasterio sarà il Portone; e la spetialia è fuo1·i di Clausura, e gl'Infermieri potranno solam[ent]e entrare per prendere le cose necessarie per !'Infermi. 2°: Che nessuno passi parlare con Donne in Chiesa senza espressa licenza del Superiore, e che la porta della Chiesa non s'habbia d'aprire se .non sonata la prima Messa, e fornito tutto l'officio della Mattina si serri, e s'aprirà a Vespro, ed a con1pieta, dopo de quali im1nediatamente si serri di nuovo. 3°: Che niuno introduca secolari nelle Camere, ne parenti, ne altri, e che niuno Monaco entri nella Cella dell'altro contro le nostre costituzioni, se non in caso di bisogno. 4°: Che ogn'uno si contenti della Vita comune, e ,non si mangi fuori dcl Refettorio, ne particolarità si facci nel 1nagnare, ed in tutto vi sia unif.onnità nel vestire, e tonsura secondo l'uso di questo Monasterio. 5°: Quando si va per città ,nessuno lasci il compagno. 6°: Niuno n1anchi alla lezione di casi idi coscienza, e si lasci ogni cosa, cossì sacerdoti, come Chierici e Superiori. 7°: Che si chiamino [sic!] le Messe in tutte le feste di precetto, e quelle sono di divozione nella Città, ed in tutti Venerdì di quaresima, acciò si camini ordinatamente; e la Chiesa sij servita, i secolari edificati, e li PP. Sacerdoti compliscono al gran debbito che tengono.


Il monastero di S. Nicola l'Arena

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[p, 25]

8°: Quando si .fa ricreazione, si dica a' suoi tempi l'officio in Coro, e che secondo il numero de' Chierici ed officio corrente s'habbia da cantare 1'Hinno, ed il Capitolo. 9°: Che ,non si tengono serrate le Casse, ne scabelli, ne studioli di nessuno ne superiore ne inferiore sotto pena ordinata nelle costituzioni. 10°: Nessuno IV1onaco, o fratello ed officiale tenga li vesti1nenti di suo uso, e fornimenti di letti, Bagulli, quadri, ed altra robba, ed ornamenti di camera fuori del Monasterio, cziandio in casa dei suoi parenti senza licenza del Superiore sotto pena del arbitrio del Superiore. 11°; Nessuno Monaco, o fratello cd officiali tenga nella sua camera per suo uso stramenti [sic!] di camera con1e letto, Bagulli, quadri ed altra robba di perso,na secolare, eziandio de' suoi parenti stretti senza licenza idei Superiore sotto pena ed arbitrio del Superiore. 12°: Ogni M-onaco, o fratello ancorché fosse officiale, che haverà per qualsivoglia via, titulo, e modo che sia denari, vasi d'oro e d'argento di Valuta, ·o legumi veltovaglie, bestiame, e qualunque sorta di robba di valuta, e fra' tre giorni non li rcvclerà a' Superiori, o rcspettive non li porterà in cassa del deposilo de' Monaci, incorra nella scomunica latac sententiae. 13°: Che niuno giochi a nessuna sorte di gioco ne dentro, ne fuori del Monasterio a denari, sotto precetto di S. Ubidienza. 14": Nessun Monaco, o fratello, ne officiale possa prestare denaro alcuno, ne robba di valuta, ne vettovaglie a nessun ancorché sia parente stretto senza licenza ide' superiori sotto precetto di Santa Ubidienza. 15": Nessun I\1onaco, o fratello, ne officiale possa tener legumi, aglio vittovaglie, bestiame, ne qualunque altra sorta di cosa, che sia [p. 26] nelli Granari, e cantine e luoghi, e feghi del Monasterio, così di Catania, come di Licodia, Paternò, Castagneto, S. Nicolò lo Bosco, Ba1nbacaro, Baglio di Licodia, ed in tutti altri luoghi del Monasterio senza licenza espressa del Superiore sotto precetto di S. Ubidienza, e di ·scomunica ipso facto. 16°: Nessun Monaco, o fratello, ne officiale possa tenere, e respostare le cose suddette espressate ne' sopraddetti luoghi idei Monasterio sotto nome d'altre persone eziandio di parenti st,retti senza licenza del Superiore, sotto precetto di S. Ubidienza.

Ordinazioni Per Il Monasterio di Lic.adia 1°: Che il P.re Rettore, e Monaci non possono pernottare fuori di Licodia senza licenza del R.1no P. Abbate, e per causa d'Infermità habbiano d'andare o in Paternò o in Catania. 2°: Il P.re Rettore habbia cura dei Monaci, ed attenda a fa.re la giu-


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stizia ·aU'Inquilini, e non per1nelta siano aggravati delli Baglij, e s'osservino le pandette, e constituzioni e consuetudini e sia in sua cura che Ii servidori, e Baglij vivano christianamente, facendo che ascoltano la Messa, e che in casa non s'habbia da giocare con giochi proibiti. 3°: Che non si ricevano secolari di qualsivoglia condizione che siano, che v'anidassero per Recreazione, o per loro negozij in Licodia, senza espressa licenza del R.o P. Abbate sotto precetto di S. Ubidie.nza, eccetto se fosse cosa di pas [p. 27] saggio, e che sij usata cortesia e carità a' Religiosi, e Mendicanti, e Poveri che passano per detto luogo. 4°: La Clausura per li Monaci di Licodia sarà tutto il Baglio per insino alli pergoli, e la strada dietro il forno insino alla Croce. Lo Trappeto e Baglio sono fuori di Clausura; ne si ci possa andare senza licenza del P. Rettore. 5°: Che si diggiuni il Vene11dì per tutto l'anno, come anco la Vigilia di tutte le feste della Madonna, e si cantino le Litanie in tutte le suddette Vigile, ed in tutti li Sabbati dell'Anno. [ ... ]

[p. 28]

Officiali del Monaslerio di S. Nicolò l'Arena di Catania eletti, e publicali a 29 Maggio xiii lnd.e 1690

R.mo P. D. Ferdinando [Gioeni] da Catania Abbate M.to Rev. P. D. Romualdo da Catania Priore Claustrale M.to R·ev. P. D. Fiderico da Catania Priore Titolare M.to Rev. ·P. D. Giovanni idi Siracusa Decano, Priore di Cirami e con1pu· tista del Monasterio P. D. Camilla da Catania Decano e Maestro di Novi.tij P. D. Cherubino da Catania Decano P. D. Simeone da Catania Decano P. D. Filippo da Caltagirone Decano P. D. Giacomo da Paternò Decano P. D. Mario da Catania Decano P. D. Martino da Catania Decano P. D. Antonino da Catania Decano P. D. Teodosio da Catania Decano P. D. Ottavio da Catania Decano P. D. Lorenzo da Catania Decano P. D. Benedetto da Catania Decano, e Cellerario P. D. Gregorio da Catania Decano P. D. Roberto da Catania Decano P. D. Felice Romano Decano P. D. En1iliano 1d'a Paler1no Decano Monasterio di Licodia P. D. Ottavio da Catania Decano, e Rettore


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D. Casimiro da Catania Cellerario Maestro d'Atti, Il Monaco a Mese D. Giuseppe Petronio Sacerdote per 4° Monaco [

... ]

Alla Grancia di Paternò P. D. Antonino da Catania Decano e Rettore, che haverà cura delli Magaseni, e Tenute D. Sebastiano da Catania Procuratore, haverà cura della procura, Molini, e Censi. [p. 29]

[

... ]

[p. 31] Alla fabrica della Chiesa Il M.to Rev. P. Priore di Casa Vicario P. D. Teodosio Procuratore D. Costantino Procuratore delli Censi F. Placido. [ ... ]

Alla letione de' Casi di Coscienza P. D. Ca1nillo da Catania Alla letione di Teologia, e Sagri Canoni P. D. Felice Romano Alla letione di Filosofia P. D. Filippo da Caltagirone Alla letione di Sagra Scrittura D. Graziano da Catania [p. 32] Alla letione della Logica D. Ludovico da Catania [p. 42]

R.mo P.re

L'Abbate, Priore, Decani, e Monaci del Monasterio di S. Nicolò di Cata·nia, humìlmente espongono a V . .P. R.ma, che la Fabrica principiatasi della Chiesa, non può per hora seguitarsi, essendo necessario che si levi prima la xara, che vi è in gran quantità nel luoco dove si deve fabricare, e ricercandosi n1olto tempo, per levar via detta robba, portata dal fuoco del Mongibello, quale è ·si idura, e impietrita, che senza gran fatiga, non può distaccarsi; onde il denaro esistente .nella Cassa per la fabrica, e l'entrata alla medema assegnata verrebbe a sostare oziosa e senza alcun frutto, perciò supplicano V. P. R.ma a permettere che detto denaro possa impieg·arsi fra questo spazio di tempo in estinzione di debiti, e sarà restituito dal Monasterio alla 1neden1a Fabrica, in che si potrà ripigliare, doppo levata la detta xara, ridondando ciò a gran beneficio di questo Iuoco, che idella .grazia Attcntis expositis in supplici libello, et veris existentibusque narratis,


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quantum nostra interest facultate1n facimus iuxta petita, ut pecunia Capsae particularis, in structuram fabricae nov·ae Ecclesiae Monasterij S.ti Nicolai de Arenls addicta, desumi possit, et in debitorum extintionen1 ·praefati Coenobij contractorun1, cedere valeat. Ita tamen quod lapideo bitumine, vulgo xara, effosso, eidem Capsae dieta pecunia in integru1n restitui debeat; et hoc tcmporis intervallo, praecitata xara continue excavetur usque dum ipsa novae Ecclesiae Fabrica omni sedulitate prosequi possit. Datum Casini 20 februarij 1691. D. Andreas a Neapoli Praesidens Locus

+

sigilli D. Carolus a Perusio ProcanceII.

[p. 43]

R.mo P.re

Noi sottoscritti Abbate, e Superiori di questo Monasterio di S. Nicolò di Catania humilmente supplichiamo la benignità di V. P. R.ma, che essendo emanato ad istanza di tutti li Monaci di questo Monastcrio un Breve della Fel. Mem. d'Innocenzio XI a 15 luglio 1686 per il quale ordina sotto pena in detto Breve contenuta, che l'entrate a,ssegnate alla Fabrica della nuova Chiesa, non si potessero in niun conto, senza espressa licenza de' Supremi Reggitori pro tempore ·esistenti, applicare ad altro, che a detta Fabrica. E perché, P.re R.rno attualmente si trova non potersi proseguire detta Fabrica, dovendosi prima levare la xara, ove deve fabricarsi detta Chiesa già principiata, e perciò il danaro applicato per 'detta Costruzione muore in Cassa, quando potrebbe risarcire gl'interessi di molti debbiti del Monasterio, de' quali sta gravemente oppressn, per tanto siamo per la presente ad hurnilmente supplicare V. P. R.ma acciò voglia per1nettere e dar licenza in scriptis secondo la facoltà a V. P. R.ma concessa per detto Breve, di cui se ne n1anda ingionta la Copia, di potersi prestare il Monasterio dalla c·assa delJa Chiesa detto denaro esatto, e quello pure esigerndo, siin tanto che si toglierà detta xara, ed allora parimente il Monasterio cominciarà a restituire alla Cassa della Chiesa quanto si trovarà haversi prestato, che così il danaro non resterà n1orto in Cassa, ed il Monasterio si sgravarà di debiti e degl'interessi che bave. Il tutto per esser sollievo di questo Monasterio per !'angustie che si trova, lo speriamo dalla suprema autorità di V. P. R.ma, e dal particolare zelo, ed affetto, col quale ha cura di questa Casa. Che dalla grazia Humilmente ed Obligatissimi servidori e figliuoli D. Ferdinando da Catania Abbate D. Innocenzio da Catania Priore Claustrale · D. Emiliano da Paler1no Decano e Maestro de' Novizij - D. Che·rubino da Catania Decano - D. Simeo.ne da Catania Decano - D. Filippo da Caltagirone Decano - D. Giacomo di Paternò .Decano - D. Mario idi Catania Decano - D. Martino di C'atania Decano e Priore di Cirame - [p 44] D. Antonino di Catania Decano e Cellerario - D. Teodosio da Catania De-


Il Registro: dorso

(foto G. Vitali)


li Registro: copertina

(foto G. Vitali)


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cano - D. Camillo da Catania Decano - D. Lorenzo di Catania Decano D. Benedetto di Catania Decano - D. Roberto di Catania Decano - D. Felice

Romano Decano. Cun1 alias instante Monasterio S. Nicolai de A:renis, in calce supplicationis Nobi·s porrectae mensibus elapsis, fuerit provisum iuxta tenorem sequentis Decreti [ ... ] [è stato trascritto il precedente decreto del 20 ,febbraio 1691]

Nunc vero eiusdem Monasterij repetitis supplicationibus perspectis ut supra ac praefati loci sublevamini quantum Nobis est, providere cupientes, dictan1 facultatem, ian1 concessarn cnnfi:rmamus, ac confirmatam praesentiu1n vigore executioni demandari iterum decernimus, atque permittimus. Datum Casini 23 Iulij 1691. D. Andreas a Neapoli Praesidens Locus + sigilli

D. Carolus a Perusio Procancellarius Delegatia pro Computis P. D. Benedicti a Catana Nos D. Andreas a Neapoli Abbas et Praesidens Congregationis Casinensis Sub die 30 Mensis Aprilis proxime elapsi Adm. R. P. D. Innocentio a Catana, ac P. D. Jacobo a Paternione commisimus, ut Computorurn Libros ad Oeconomicam administrationem P. D. Benedicti a Catana spectantium accurate discuterent, ac originem inquirerent aeris alieni, quo Monasterius S.ti Nicolai ad swnmam usque ducatorum decem millium [p. 45] circiter pro dieta aidministratione gravaturn extitit, et quoniam ad aures nostras in praesentiarum defertur, eide1n Coenobio tam grave detrimentum praefatum .P. D. Benedictum attulisse, et praecipue quod notabiles diversarum pecuniarum quantitates in Capsarn Depositi pro ijsdern asservandis addictam, de more nostrae Congregationis non deportaverit; Fructus in a.rboribus non dum pendentes, triticumque non adhuc satum, sive in pignus tradiderit, sive verudiderit; nummos ex Monasterij exactio,nibus provenientes in sui beneficium ob intero ·surium perceptum converterit, ijdemque pro expensis Coenobij faciendis, tamquam in Mutuum acepti, (cum tamen ad locum praedictum vere, ac de jure spectarent) ut in libris apparent .studuerit; addita insuper in describendis extra consuetam forn1am Creditoribus maxima eorumdem libroru1n confusione, praeter nonnullas stabilius locationes non veraces consimiles •partitas pluries geminatas, debitorumque aliquibus in locis falsum aequilibrium vulgo BHancio; Ea propter nostri Muneris partibus explendis incumbere satagentes, ac super praenarratis, nec non quibuslibet aliis in praefati Monasterij damnum expositis, aut exponendis per opportuna remedia prospicere volentes, attenta litterarum mora, locorumque distantia, Tibi R.mo


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P. D. Honorato a Mineo Abbati, ac Provinciae SicuJac Visitatori, praesentium tenore committimus, et iniungimus, tua integritate plurimum confisi, ut assumpto Socio, si opus fuerit, ac visa prius relatione a praedicìti,s Co1nputorum Revisoribus facienda, de omnibus, ac singulis praeinsertis circu1nstantijs, alijsque ut supra, diligentissimarn inforn1ationen1 capias, et processum formes per testimonia a quibuscun1que Personis, quae pro veritate testificari valent, desumenda, assignato ta1nen eidem P. D. Benedicto legitimo termino pro iuridicis defensionibus, quae ·si robur .non habere dignoscantur, illico a Decanatu ipsum suspendas, easque poenas praescribere non omittas, quae tuae prudentiae opportuniores videbuntur. Ne autem in actu Commissionis ulla suboriatur diffìcultas, pro libera illius executione plenam, ac necessaria potestatem inquirendi, ex·aminallJd.i, Testes citandi, personas etiamsi saeculares si oportuerit, tandemque ea omnia, et singula faciendi, quae per Nos metipsos agere, ac facere valeremus, usque ad [p. 46] sente.ntiam definitivam inclusive, pro hac vice tantum tribuimur atque impartimur; Mandantes interim quibuscumque nostrae Congregationis subiectis, quod omnem opem bisce partibus per·agendis oportunam tibi praestent, et qualem huiusn1odi Cornn1issionis vigore Te facimus, talern recipiant sub poenis .nostro arbitrio. Datum Casini die 15 Octobris 1691 D. Andreas a Neapoli Praesidens Locus + sigilli D. Petrus a Toffia [?] Procancellarius 1

[

... )

[.p. 47)

Pro Monasterio Catanae

Conceditur ifacultas R.mo S.ti Nicolai de Arenis declarandi in Magistrnrn Novitiorum iuxta praescriptum .nostrarum Constitutionum P. D. Gregorium a Catana cum omnibus praeminentijs et privilegijs, quae Novitiorun1 Magistris per1nitti solent. Datum Casini 28 Januarij 1692. D. Andreas a Neapoli Praesidens Locus + sigilli D. CaroJus a Perusio Procancellarius

Decreto e supplica per il Priorato di Cerarne

R.mi P.ri

D. Martino da Catania Decano e Professo del Monasterio di S. Nicolò l'Arena di Catania hu1nilmente espone alle PP. VV. ·RR. che ritrovandosi Priore di S. Salvatore di Cerami in virtù di Privileggi e Bolle Pontificie concesse a detto Monasterio, ultimamente eletto per la morte del P. D. Giovanni da Siracusa Decano di detto Monasterio, ed ulti1no Priore di Cerami, in virtù .di presentazione di detto Priorato fatto in persona di detto esponente dal R.mo P. D. Ferdinando da Catania Abbate di detto


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Monasterio con l'intervento di tutto il Capitolo di quello, per I'atti di notar Francesco Pappalardo di Catania pubblico, et apostolico di detta Città ·sotto il dì 30 Aprile 14 Ind.e 1691, e privilegio spedito per l'atti di detto Monasterio il dì suddetto, humilmente supplica le P.P. VV. RR. ad ammetterlo, e darli il luogo immediate post P.riores regiminis, com'è stato solito concedersi alli Priori di Cerami suoi predecessori. Tanto hun1ilmente chiede e spera dalla benignità delle PP. VV. RR., et ita supplicai ut Altissimus Attentis Oratoris precibus, in supplici Iibello expositis, quantum No· bis est, huius Decreti vigore statuimus [p. 48] ac statutum esse declara1nus, quod super praecedentia, a1ijsque ut postulatur, locus i.mmediatus post Priores regiminis assignetur cum titulo Ad Mod. Rev.di, et reliquis praerogativis soHtis, frui possit, et valeat. Datum Ca,sini in Comitijs Mi1noribus die 29 Aprilis 1692. Locus + sigilli D. Andreas a Neapoli Praesidens D. Angelus Benedictus a Janua Abbas et Vis.r D. Paulus Can1illus a Placentia Abbas et Vis.r D. Jo. 1-Iieronymus a Venetijs Scriba Dietae R.mo P.re L'Abbatc e Superiori del Monasterio di S. N·icolò idi Catania humilissimi Oratori di V. P. R.n1a riverentemente l'espongono che havendo D. Nicolò M.a di detta Città con1pito con gran sua lode li corsi di filosofia, teologia, e S. Canoni, ora desidera essere pron1osso alla Laurea del Dottorato; e perché a Lui manca la .facoltà dovuta di V. P. R.1na, con ogni ossequio la supplicano a concedergliela, esse.udo per altro approvato dalli R.mi esaminatori deputati dal Capitolo generale, come apparisce 1d:alle attestazioni, quali a V. P. R.ma si esibiscono; che il tutto Attento supplici libello, ac visi,s insuper attestationibus Reverendissimorun1 exa1ninatorum id.e sufficientia, et litteratura D. Nicolai Mariae a Catana, quantum nobis est, eidem facultatem opportunam concedimus, quod in aliqua publica Acaden1ia ad Laure·am Doctoratus promoveri pos· sit, ac valeat. Datun1 Casini 17 Septembris 1692. D. Andreas a N·eapoli Praesidens Locus + sigilli D. Carolus a Perusio Procancellarius [p, 49)

Officiali del Monasterio di S. Nicolò l'Arena doppo il Terrentoto reforn1ati, e pubblicati a 10 di Giugno p.a Ind.e 1693.

R.mo P.re D. Honor'ato [Columna] da Mineo Abbate M.to Rev. P.re D. Camilla da Catania Priore Claustrale


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M.to Rev. P. D. Filippo 1da Caltagirone Priore di Ciran1i P. D. Antonino 1da Catania Decano e Cellerario

P. D. Teodosio da Catania Decano P. D. Gio. Battista da Catania Decano

P. D. Lorenzo da Catania Decano P. D. Be.nedetto da Catania Decano

P. D. ·Roberto da Catania Decano P. D. Lucio di Siracusa Decano P ..D. Alessandro da .Palermo Decano P. D. Emiliano da Palermo Decano P. D. Graziano da Catania Decano

Monasterio di Licodia P. P. P. D. D.

D. Gio. Battista .da Catania Decano e Rettore D. Lorenzo da Catania Decano D. Alessandro da Palermo Decano Guglielmo da Scicli Decano e Cellerario Bernardo da Catania Maestro d'Atti 1

Alla Cantina del Monasterio Sagristia, e lampadi

Fra Mariano Alla Cucina Fra Paolo [p. 50]

Alla Grangia di Paternò

M.to Rev. P. D. Filippo da Caltagirone Priore <li Cerami, e Rettore, il quale haverà cura delli Magaze.ni. D. Sebastiano da Catania Procuratore, ed averà cura delli Molini e Censi.

Alla Cucina Frat'Angelo

In S. Nicolò lo Vecchio e Castagneto F.ra Michele Per la Messa, quando si .farà il Cap. la Chiesa

Il Cappellano Alla Sagristia del Monasterio P. D. Graziano da Catania Vic·ario D. Leonardo Sacristano, il quale haverà cura di sanare il Pater N.r, l'Ave Maria, nlezzo giorno, e l'Ave Maria de' Morti, e le chiavi delia Sacristia, e chiesa ogni sera si porteranno al P.re Priore, et anco haverà cura delle Lampadi della chiesa e dormitorio. Alla Cellera.ria del Monasterio Il P. D. Ante.nino da Catania Cellerario D. Giuseppe di Modica Concellerario, quale scriverà e porterà conti al R ..mo ogni sera, o pure a cui egli ordinerà.


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Alla spesa del Monasterio Fra Stefano, il quale darà conto ogni sera al Cellerario di Catania Alli Granari del Monasterio Il P.re D. Antonino da Catania Cellerario Alli .Depositi de' Mon·aci Il M.to Rev. P. Priore idi Casa [p. 51] Alla Cassa del Monasterio P. D. Graziano da Catania Alla Procura del Monasterio P. D. Benedetto da Catania All'Archivio del Mon·asterio D. Bartolo1neo da Paternò All'Infermaria M.to Rev ..P. Priore di Casa, Cellerario di Casa e fra Placido. Alla Carità Fra Placido Per Servire gl'Infermi Fra Francesco Alla Cucina Fra Gio. Battista con uno aggiutante Alla Spetiaria Il M.to Rev. P. Priore di Casa, il quale haverà cura di scrivere il quinterno di giorno in giorno, senz'a la di cui mano non possa il spetiale dare me'dicame.nto alcuno. Alla Cantina e Casaria Fra Ron1ano con Fra Francesco, quale darà li conti al P .re Cellerario. Alla 1ettione de' casi di Coscienza M.to Rev, P. Priore, cun D. Bartolomeo di Paternò AI Refettorio Il Cellerario di Casa con D. Leonardo Alla Revisione de' libri II M.to Rev. P.re Priore, col P. D. Emiliano.

[p. 52] A far leggere Ii Brevi Pontificij Il M.to Rev. di Casa Alla lettione delli Fratelli Commessi Il P. D. Graziano Alla fabrica del Monasterio Il M.to Rev. P. D. Romualdo da Catania Priore di Zara, quale haverà la sopraintendenza a tutti gli esercizij del Monasterio e Corti di Licodia, e Paternò, e rivederà tutti li conti ogni mese, e farà li saldi a tutte !'officine, unitamente col P. Cellerario così del Monasterio, come delle Corti.


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Alli libri de' Conti del Manasterio Il P. D. Emiliano da .Palermo A servire il M.to Rev. di Casa Fra Francesco Alla Porta del Monasterio Fra Benedetto, il quale haverà pensiero di porta-re le Chiavi al ·P.re Priore. A Bombacaro ed Incarrozza Fra Nicolò Frat'Anselmo Al Magazeno dell'Orgia e cura della stalla Il Cellerario di Casa A battere Prima e sanare le Campane per la .Prima Messa Fra Gio. Battista A Battere Nona Fra Gio. Battista A dare il .Pane dell'elemosina P. D. Benedetto A dare il Pane alli .famigli Il Cellerario idi Casa e fra R·omano. [p. 53]

Avvisi et Ordini del R.1no P.re Abbate nel pubblicare gl'Officiali.

1°: La Clausura del Monasterio sarà tutto l'orto sopra la Sciara, nel quale si ci anderà accom·pagn·ato, e tutto il piano innanzi il Monasterio, avvertendo di stare con .quella gravità che conviene a' Religiosi, e nessuno ardisca stare assettato in conversazione innanzi le barracche del'operarij. 2°: Che nessuno possi parlare con danne in Chiesa senza espressa Licenza del Superiore, e che la porta della Chiesa s'apra 1d.opo battute le Cammare, e fornite tutte le Messe si serri, e ·s'apra a Vespro, e fornito si serri. 3°: Che ogn'uno si contenti della vita C-omrme, e non si mangi fuori del Refettorio, né particolarità si faccia nel mangiare, et in tutto vi sia uniformità anco nel vestire, e tonzura secondo l'uso di questo Monasterio. 4°: Quando si va per Città nessuno lasci n Compagno. 5°: Nessuno manchi alla Iettiane de' Casi di coscienza, e si lasci ogni cosa. 6°: Nessuno Monaco o fratello et officiale tenga li vestimenti di suo uso, e fornimenti di letti, bagulli, quadri, et altra robba, et ornamenti di Ca1n1nara fuori del Monasterio etiamdio in casa de' suoi Parenti, senza licenza del Superiore, sotto precetto di santa obodienza, e di scommunica ipso facto.


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7°: Nessuno Monaco, o fratello et officiale tenga nella sua Cammara per suo uso strumenti di Cammara, come letto bagulli, ,quadri et altra robba di persona secolare, [p. 54] etiamdio de suoi Parenti stretti senza licenza del Superiore, ·sotto pena ad arbitrio di detto Superiore. 8°: Ogni Monaco, o fratello, ancorchè fosse officiale, che haverà per qualsivoglia via, titolo, e modo che sia, denari, vasi d'oro, ed argento di valuta, o lcgun1i, vettovaglie, bestiame, ·C qualunque sorta di robba di valuta, e fra' tre giorni non li revelerà a' Superiori, o -respective non le porterà in Cassa nel deposito de' Monaci, incorrerà nella scomunica latae sententiae. 9°: Che nessuno giochi a qualsivoglia sorte di gioco, né dentro, né fuori del Monasterio a denari, sotto precetto di santa obbedienza. 10°: Nessuno Monaco, o .fratello, né officiale possa prestare denare alcuno, né robba di valuta, né rvettovaglie a nessWlo, ancorché sia parente stretto senza licenza dcl Superiore, sotto .precetto di santa obbedienza. 11°: Nessuno Monaco, o fratello, ne officiale possa te.nere legumi, oglio, vettovaglie, bestiame, ne qualunque altra sorte di cosa, che sia nelli granari, e cantine, e luoghi, e feghi del Monasterio, così di Catania, come di Licodia, Paternò, Castagneto, S. Nicolò lo bosco, Bo1nbacaro, Baglia di Licodia, et in tutti altri luoghi del Monasterio se,nza licenza espressa del Superiore, sotto precetto di santa obbedienza, e di scomWlica ipso facto. 12°: Nessuno Monaco, o fratello, ne officiale possa tenere, e irepostare le cose suddette espressate ne' ·sopradetti luoghi del Monasterio sotto nome d'altre persone, etiamdio di Parenti stretti senza licenza del Superiore, sotto precetto 1d:i santa obbedienza. [p, 55]

Ordinazioni per il Monasterio di Licodia

1°: Che il P.re Rettore, e Monaco non possano pernottare fuori di Licod.ia, ne il detto P.re Rettore .possa dare licenza a Monaco alcuno di pernottare fuori del detto M-onasterio e senza licenza del R.mo P.re Abbate, e per caus·a infermità, habbiano d'andare o in Paternò, o in Catania. 2°: Il .P. Rettore habbia cura de' Monaci, e della Chiesa, e degl'officij divini a' suoi te1npi, et attenda a fare la giustizia agl'I,nquilini, ·e non per· metta siano aggravati dalli Baglij; ·e s'osservino le pandette, e costituz:oni, e Consuetudini: e sia in sua cura, che li Servi dori, e Baglij vivano cristianamente facendo, che ascoltino la Messa, e che in casa non s'habbia da giocare con giochi proibiti, né a denari. 3°: Che non si ricevano secolari di qualsivoglia condizzione che siano, che vi andassero per Tecreatione, o per loro negotij in Licodia senza espressa licenza del ·R.n10 P.re Abbate, sotto precetto di santa obbedienza; eccetto se fosse cosa di µ·assaggio; e che sia usata cortesia, e carità a' Religiosi, e inendicanti, e Poveri che passano per detto luogo.


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4°: La Clausura per Ii Monaci di Licodia sarà tutto il ,Baglio per insino alli Mergoli, e la strada dietro il forno, insino alla Croce. Lo Trappeto, e Baglio so.no fuori di clasura, ne si .possa andare senza licneza del P .re Rettore. 5°: Che si .diggiuni il Vennerdì per tutto l'anno come anca le Vigilie jdi tutte le feste della Madonna SS.ma, e si cantino le litanie in tutte le sudette Vigilie, et in tutti Ii Sabbati dell'anno. [f. 56r.]

Rassegna dell'Officiali del Monasterio fatta a 18 Giug110 1695.

R.mo P. D. Romualdo [Rizz'ari] di Catania Abbate M.to Rev. P. D. Camilla di Catania Priore Claustrale M.to Rev. P. D. Filippo di Caltagirone Priore di Cerami P. D. Antonino di Catania Decano e Celi erario P. D. Gio. ·Battista di Catania Decano P. D. Benedetto di Catania Decano P. D. Roberto di Catania Decano P. D. Lucio di Siracusa Decano P. D. Alessandro di Palermo Decano P. D. Emiliano di .Palermo Decano P. D. Graziano di Catania Decano

Monasterio di Licodia P. D. Roberto di Catania Decano, e Rettore D. Bartolomeo di Paternò Cellerario E tutti li .PP. Sacerdoti sbrigati d'Officij ander'amlo a ·Licodia per il 3° Monaco per ogni mese, o 2 Mesi secondo disporrà il R.mo P. Abbate; e questo sarà il Maestro de gl'Atti. [ ... ] Alla Grancia di Paternò M.to Rev. P. D. ifilippo di Caltagirone Priore di Cerami Rettore, quale haverà ·cura delli Magaz: [f. 56v.] zeni. P. D. Benedetto di Catania Procuratore, quale haverà cura delli Cenzì, e Molini. [

... ]

[f. 58r.]

La Clausura del Monasterio s'intende per Lnsino al .Portone, seu Porta idei Monasterio e che nessuno sia per trasgredi.re sotto pena ben vista al R.mo.

Avvisi ed Ordini del R.n10 P. Abbate nel pubblicare l'Officiali. Vede sopra pag. 53 n°. 2° Che nessuno ecc. [

... ]


Il monastero di S. Nicola l'Arena [f. 60r.]

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Rassegna delli Officiali del Monasterio fatta a 8 Luglio 1696.

R.1no P. D. Romualdu [Rizz.ari] di Catania Abbate M.to Rev. P. D. Camillo di Catania Priore Claust,rale M.to Rev. P. D. Filippo di Caltagerone Priore di Cerami P. D. Antonino di Catania Decano e Cellerario P. D. ·Gio. Battista di Catania Decano P. D. Benedetto di Catania Decano P. D. Roberto di Catania Decano P. D. Lucio di Siracusa Decano P. D. Emiliano di Palermo Decano P. D. Graziano id:i Catania Decano P. D. Bartolo1neo di Patemò Decano P. D. Giuseppe di Modica Decano

Monasterio di Licodia P. D. Bartolomeo di Paternò Rettore D. Ignazio di Catania Cellerario E tutti i Padri Sacerdoti, quali ·sono sbrigati d'Officij anderanno a Licodia per il terzo Monaco per ogni Mese, o due Mesi secondo di,sporrà il R.mo P. Abbate, e questo sarà il Maestro degl'Atti. [

... ]

Alla Grangia di Paternò M.to Rev. P. D. Filippo -di Caltagirone Priore di Cerami, Rettore, quale haverà Cura delli Magazeni P. D. Benedetto di Catania, quale haverà Cura delli Censi, e Molini. [ ... ]

[f. 6lr.]

Alla lettione delli Casi di Conscienza D. Nicolò [Maria Rizzari] di Catania [ ... ]

[f, 61v.] La Clausura del Monasterio s'i.ntende per insino al Portone, seu Porta del Monasterio, e che ·Nessuno sia per trasgredire sotto Pena ben vista al R.mo. [

... ]

[f. 63r.]

R.mi PP.

D. Nicolò Maria da Catania humilissimo servidore e figliolo delle PP. VV. RR. supplica humihnente la loro benignità a volerle concedere il Decreto di Lettore, havendo letto tre Anni la Filosofia, e Legge Canonica nel suo Monasteri.o di Catania, come costa per le Fedi portati in Dieta dal R.mo P. Visitatore, ed anca panno ben testificare tal verità il R.mo hoggi di Catania, Messi.na, e Gange, e le Conclusioni stampate tanto in Canone,


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quanto in Filosofia, ne quali ha assistito da Lettore, che il tutto riceverà a grazia p·articolare, et ita Supplicat. Attentis Supplicationibus praefati .P. D. Nicolai M.a a Catana, nec non iustificationibus narratorurn, ipsum declaramus, et annumeramus inter Lectorcs Nostrae Congregationis. Datum in Capitulo Generali Paiduae celebrato die 20 Maij 1696. D. Jo. Bapiista a Brixia Abbas et Praesidens D. Leander a Placentia Definitor l). Franciscus M.a a Papia Definitor Registratum in Actibus Capituli Generalis 1696. _D, Gregorius a Regio Abbas et Cancellarius Locus + sigilli D. Andreas a Neapoli Scriba RR. Deputatus [f. 63v.] Circa hora1n unan1 noctis omnibusque Jun1inibus acce.nsis iu~:ta Die septimo 9bris 5" lnd. 1696 Juris dispositionem I-Iaec est visitatio facta per R.1num P. D. R.01nualdum Rizzari Abbaten1 Venerabilium Monasterium S. Mariae de Licodia et S. Nicolai de Arenis, ac Priorem S. Marci in Ecclesia S. Mariae de Valle Josaphat, aC' in Ecclesia S. Marci huius Civitatis Paternionis, de rnembris et pertinensijs <lictorum Monasterioru1n canonice annessis, iuxta dispositionem S. C[anonun1] et S. C. T[.ridentini] et ad suu1n attinet et spectat officiurn visitare dieta Monasteria, Ecclesias et alia loca ad rdicta Mon·asteria spectantia et pertinentia vigore suorun1 Privilegiorum cum debita qua decet Veneratione ipsun1 R.mu1n P. Abbatem presentem facta et de omnibus infrascriptis diligenter inspeciis, visis et consideratis ipsemet R.mus P. Abbas 1nandavit adm. Rev. P. D. Philippo a Calatacrone Decano, Priori Cira111is et Rectoris dictae G.ranciae S. Mariae de Valle Josaphat praesentibus cognito pro ut infra disponitur viclelicet In pri1nis quod ipse Rev. P. Prior et Rector sollicita1n curam habeat ui clictae Ecclesìae bene, et fìdeliter serviat, et quod in ea 1non desit quot1die Missa Et ex inde visilavit altare 1\llaius, et SS.ae Eucharistiae Sacramentum et invenit illud bene detemptun1, et SS.um positum in Pisside argentea intus deaurata Et visitavit infrascr:Lptas reliquias, et primo lignum SS.ae Crucìs D.ni n.ri Jesu X.ri, et Lapidem S. Sepulchri Immaculatae Genitricis V. Mariae, et inve.nit eas bene custoditas Ite1n reliquias B. V. et Mart. S.a Barbarae in duabus partitis collocatas in uno brachio argenteo, et invenit eas bene conservatas


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Ite1n Vas argenteu1n in quo sunt 'Positae rcliquiae S. Bartholomaei S. Placidi, et sociorum, Iapidis Sepulchri D.ni n.ri J esu X.ri et rcliquias alioru1n sanctorun1 et i,nvenit eas bene dctemptas. Item Mandavit Idem R.mus D.nus quod ante Altare SS.mi Sacramenti rdetineantur .quatuor lampades accensas noctumque dieque sicuti modo reperiw1tur. Ite1n visitavit Altare dictae Gloriosae V. et M,i.s S. Barbarae positum in Cappella erecta in dieta Ecclcsia et invenit eum bene detemptum, ac etian1 voluit et 111a.ndavit ut ante Altare dictae V. S.ae Barbarae Patronae etia1n lampas continuo accensa detineatur, sicuti rnodn reperitur. Ite1n visitavit Altare SS.rni P. Benedicti, et invenit ilJud bene detemptum Item visitavit Altare S. Joannis, et invenit illud bene deten1ptum Item visitavit S.um Oleum Chrismatis, et unctionis, et invenit illud bene detemptum. [f. 64r.] Iten1 visitavit Sachristiam, Paramenta, et orna1nenta dictae Ecclesiae et invenit bene disposita. Di più volle ed: ordinò che si sodisfacessero le Messe di S. Nicolò Lumbardis, quali s'11avessero da dire d'un Sacerdote secolare che per hora detto ·R.mo elesse, ed elegge per il presente Atto al Rev. Sac.te D. Francesco la Loggia, con carico però di sodisfarle ogni festa con 1dirle all'alba e recitare le litanie della B.1na V.e .nel fine della Messa. Di più ha ordinato ed ordina che si dovessero so disfare le messe dcl quondan1 D. Girolamo Bonacquesto, cioè per ogni Domenica per il Sac. Pietro Stramundo Cappellano eletto da detto R.mo in virtù del presente atto, e sei 1\tlesse il inese le dovessero sodisfare il P. Rettore e P. Procuratore di detta Grangia pro tempore esistenti. Di più vuole comanda che si curasse a far sodisfare le Messe quotidiane dalli Cappellani obbligati alla Messa del beneficio dell'Alba, seu [di D. Michele] d'alcamo innanzi l'altare .di S. Giovanni, e che detti Cappellani ardimplessero la Mente del Testatore. Parimente visitò la Chiesa di S. Marco, ed havendola trovata bene ornata, ordinò che si .facesse la festa nel giorno di detto Santo e si n1antincsse col dovuto decoru, e che si rifacesse il Tetto. lten1 ordinò detto P. R.mo, che il P. Rettore e Procuratore pro tem· pare esistenti andassero a celebrare la Messa cantata, ne i giorni che sono obbligo, e nelle Chiese infrascritte, come chiese proprie ed il Monasterio ne tiene il diretto do1ni11io in virtù dei suoi atti alli quali cioè a S. Barbara il giorno di S. Maria Madalena all'Abbatia 1de Moniali, il giorno di S. Michel'Arcangelo al convento del Carmine, il ginrno della E.ma Vergi.ne ad Nives a S. Antonio nella Chiesa de PP. Zoccolanti, Il giorno di S. Antonio alla Chiesa de PP, Reforn1ati di S. Agostino seu la Grazia, il Giorno di S. Ippolito a S. Gregorio il giorno cli detto Santo ed a S. Blasio il giorno del suddetto Santo.


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Di più 011dinò che nella detta Chiesa della Grancia si dovessero rifare le Cappelle nel sito ·e modo designato con aggiungerci la 4 Cappella per il SS.mo Crocifisso, e 2 Figure a Jatere di S. Gertruda e S. Fava. Item ordinò che innanzi la Cappella del SS. Crocifis·so si dovesse accendere di continuo una lampada, come pure innanzi la Cappella del P. S. Benedetto e S. Giovanni si debbia mantenere una lampada accesa di continuo per ogni Cappella con assegnarci per ciò la Caf[isi] 9.10 (oltre li Caf. 12. d'aglio che le da il M-onasterio) che pagano, cioè, Caf. 3. D. Lorenzo Bufali maritali nomine sopra il ·suo Oliveto neJla contrata di fargionc seu Visitano, e S. Ma.rgaritella. Caf. 1. D. Ottavio Ciancio sopra il suo Oliveto [f. 64v.] in detta contrata. Caf. 3. che paga il Sac.te D. Paulo Stramundo sopra il suo Oliveto alla contrata della Serrazza seu Schittino, e malpassaggio. Caf. 2. dell'Oliveti all'acqua Rossa commessi al Rev.do Sac.te D. rFilippo Renda alla contrata dell'acqua Rossa per l'atti di p.co Notaro, e rot[oli] 4 che paga sopra il suo Oliveto alla contrata dell'acqua Rossa D. Vincenzo Sigillò cd Ansaldo come per l'atti del quondam Notar Mario Taverna die ecc, Item ordinò, volse e comandò, che si dovessero fare nella settimana di Passione le 40 horc iuxta Regulam con apparato mortaretti e Messe per le quali si ha assegnato, ed assegna r 4 annuali sopra li beni assignandi qui sotto. lten1, che si dovesse fare la ·festa del P. S. Benedetto ogn'anno con assignarsi 7 • 2. annuali sopra li beni infra assignandi. Item vole, e comanda, che al Sacristano oltre al solito che le dà il Monasterio se le dia per salario sopra li beni assignandi a detta Chiesa tari 12 il mese, stante il travaglio maggior-e e vigilanz'a che deve tenere al Culto divino. E perché il Rev.1do Sac.te D. ·Girolan10 Bonacquesto fundò un legato di • 24 per collocazione in Matri1nonio di 2 Orfane per og,ni anno del quale 7 di Bonacquesto esso R.mo P. Abbate è erede universale e fidecommissario, volendo ovviare alcuni disordini per il passato occorsi, ed acciò l'elezione delle donzelle che si dovranno nominare al concorso di detti legati sia canonicamente fatta, ·e secondo la voluntà e disposizione di detto idi Bonacquesto per ciò per il presente ordina che le concurrenti a tale legato habbiano, e debbiano havere li condizioni infrascritte, e non altrimente ,ne d'altro inodo, cioè che !'Orfane imbussuJande debbano essere Cittadini di questa Città ed anco commorante in questa, 2". che siano V·ergini, e di legitimo inatrimonio nate, di condizzione onorata, e che tanto esse, quanto loro Padre, e Mardre fossero stati onorati senza haver dato scandalo delle loro persone ed onestà; I ta che nel preferimento ,sia preferita la più di condizzione cioè se l'Orfana fosse figlia di persona onorata sia preferita alle figlie de Ministrali, e le figlie de Ministrali siano preferite alle figlie de Contadini, e che nessuna di loro non sia, ne sia stata Creata cli Casa, ne habbia andato a lavorare a fontane .pubbliche. 3". che le Ver-


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gini no1ninande, e concurrende al detto Bussolo non siano meno delli 12. ne più 1d'anni 30. in circa. 4°. che nel Bussolo suddetto nan possa essere commessa detto legato persona, che fosse estratta d'altro Bussolo, o legato fatto per maritaggio d'Orfane in altra Chiesa, o loco pio, altrimenti mancando una delle dette condizioni sia lecito a detto R.mo P. Abbate, o altri che pro tempore fossero ve [:f. 65r.] .nendo estratta Persona a cui le mancassero dette condizioni o alcuna di quelle, propria auctoritate, e de fatto cancellarla dal detto Bussolo e detto legato darlo ad altra persona o al 1detto R.mo ben vista, o a .cui concorressero le dette condizioni, nec non, che lo scrutinio doppo eletto del P. Rettore e .Procuratore anno per anno lo dovessero mandare al R.mo P. Abbate alli 2. d'Agosto, e pas~ sato detto giorno si chiudesse detto scrutinio. Item vuole e comanda che dell' 7 • 10. dell'elemosina di detta heredità se ne dovesse uscire un'altr'Orfana og;n'anno come per decreto fatto l'anno passato dal detto ·R.mo a::t istanza ·delli Spettabili Signori Giurati, Rev. Capitolo e Spettabili Cappellano e Sec.to di questa Città di Paternò, e che le condizzioni della 3" Or.fana fossero come !'altre di sopra. E perchè il Sig.r D. Mauro di Paternò fece un suo Testamento lo quale levò 7 • 10. annuali che esso dovea bavere dall'Ill.mo Sig. Duca di Mont'Alto, e volle un'anno 111avessero speso in beneficio di detta Chiesa della Grangia ed un anno s'havessero dato alli suoi Parenti, e così alter.te in perpetuo ita che cessando la linea di suoi Parenti, in vece idi loro in quell'anno s'havessero da erogare, e dare ad un'Orfana di .Padre e Madre patomese con estraersi nel Bussolo di detta Grangia a disposizione di detto R ..mo come in virtù di detto Testamento per l'atti di e perchè detto C.mo Sig. Duca di Mont'Alto si refuì 1detta Bolla di 7 • 10. annuali, e dal Monasterio fu il prezzo applicato nella compra della Metà della Tenuta detta del lupo secondo quale metà attualmente rende salme 4. di formento l'anno, e sempre dal Monasterio con detta Alternativa s'ha dato alli Parenti, ed alla detta Chiesa hora però havendo cessato detta linea e parentela di detto quondan P. D. Mauro, 1detto R.mo vole, e comanda, che quell'anno che toccava a detti Parenti se ne dovesse estraere un'Orfana patornesa quale sia di tutte quelle condizzioni, e qualità, e colli patti suddetti per !'altre 3. Orfane che s'imbussuleranno per l'eredità di detto quondam di Bonacquesto con assegnarci a questa 4a Orfana dette salme 4 di formento che sono di detta ·eredità tdi detto P. D. Mauro, 1per onde vole detto P. R.mo che s'incominciasse con detta alternativa dalla raccolta dell'anno corrente 5. Ind.ne e s'applicassero dette saln1e 4 di formento al servigio di detta Chiesa della Grangia, e l'anno 6. Ind.ne per detta Orfana et sic successive in infinitum. Con patto però, che per causa di dette 4. Orfane imbussulande si debba tenere questa Regola, cioè quell'anno che sono 3. Orfane per estraersi se ne idebbianu im-bussulare quindeci, e l'anno che se ne devono imbussuIare 4. se ne imbussulassero venti cioè per ogn'una orfana estra,enda si dovessero i1nbussulare 5. Orfane cioè 5. Palle di diversi nomi, e dette


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Orfane imbussulande sempre siano, e debbiano [f. 65v.] essere colle condizzioni con1e sopra s'ha <letto. Iten1 palto, per evitarsi che dette Orfane estratte non si pigliassero 1'ele1nosìna, e se la spendessero senza sposarsi in Faciem Ecclesiae, e per evitare altri inconvenienti detto R.mo vole, e comanda che il P. Procuratore non dovesse pagare tutta l'elen1-osina se non sposate che saranno in faciem Ecclesiae. Item patto, che morta qualche Orfana dopo che sarà estratta, del suo legato s·e ne dovesse mariiare w1'altra dal R.mo P. Abbate eligenida, e sempre che tenga le suddette condizioni. E perchè le salme 4 di tormento che sopra si dissero dell'eredità di detto quonda1n D. Mauro di Paternò spettanti alla detta Chiesa detto R.mo P. Abbate vole che si applicassero unitan1ente con !'infrascritti arrendamenti in beneficio della Chiesa ·Suddetta, per tanto ordina, e comanda che prilnariamente si ·spendessero, ed erogassero nella Fabbrica delle Cappelle suddette con p'atto però, che prima si dovessero scemare de primis i.ntroitibus onze trentaquattro, quali s'intendono -assegnare per le 3. Orfane dette di ·sopra di detta heredità di Bonacquesto e perchè non sempre !'Orfane si maritano subbito che sono estratte, per tanto s'ordina, che il denaro surd'detto debba .restar morto nella Cassa del Monasterio per trovarsi sempre pronto quando dette Orfane si maritiranno, ed il sopra più si debba applicare per la .paga dell'Orfane estratte, non maritate sin hoggi cioè Carmina Carni uscita nell'anno 1695. nell'anno 1696 Maria la Motta, Nunzia ·Privitera, e Giuseppa Chiantello quondam Placido, e dopo che saranno maritate e .sodisfatte dette Or:fane tanto -detto sopra più di dette r 34. quanto le -salme 4 di formento suddette che coll'alternativa toccano alla Chiesa, come sopra si disse, si 1debbano mettere in cumulo ogn'anno nella Cassa del Monasterio senza confondersi colli beni di detto Monasterio ma farsene libri a parte, osservandosi però nel 'resto la Bolla d'Alessandro VII. de Ccll.js, quale somma .restante, si debba erogare ogn'anno in beneficio della sudetta Chiesa della Grangia per Fabrica Giogali, ed ogn'altra, che si vedrà necessario, con !patto però che dette spese si dovessero fare sempre col consenso antecipat.te del R.mo P. Abbate pro tcmpore e M.to Rev ..P. ·Priore, e Decani idi detto Monasterio nec non del P. Rettore e .Procuratore di detta Grangia con d'arsi ogn'anno li conti d'introito, ed esito per libro a parte secondo l'uso Monastico con doversi sottoscrivere detti conti da detto R.mo, P. Priore e Decani. Li beni però che sono del quondam D. Girolamo Bonacquesto che si assegnano sano JJn primis la tenuta di Drago, seu Oliva, che paga di netto formento salme 3. 4. l'anno. Iten1 la Tenuta nomata di Poggio Russo, che paga formento di [f, 66r.] netto salme 2. 4. Item per la tenuta dello serrai11o, che paga fermento idi netto salme 5. cd Orgia s·aime 2. ogn'anno. 1


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Iten1 per il perpetuo d' 7 • 13. che paga D. Mazziotta Chiarenza a savuto sopra la Cortina ogn'anno. Ite1n 7 • 8. e tari 1. d'orgiu, che ogn'anno pagano di perpetuo l'eredi del quondam N .r Vincenzo ·Galluzzo sopra le \Tigne inchiuse alla contrada di S.o Vito. Item r 1. 6. di Gabbella del n1agazzeno, seu banca della Carne, che al presente paga Ambroggio Palazzolo, ed è posta detta Banca nel quartiero di S. Gregorio, seu piazza delli Porti. Ite1n 2 Censi di tarì 1. e l'.aHro di tarl 26. di detta eredità, cioè perpetui dovute sopra diverse case allo quartiero di S. Cataldo. Item la Gabbella della Chiusa di detta eredità posta nella Contrada di Bella carlina, seu M-olini, che ogn'anno si Gabella 7 • 2. 12. Item il censo perpetuo che pagano li PP. Domenicani di questa suddetta Città sopra il loro, olim, di Giovinetto alla contrada di .Bella cortina, che si paga 7 • 1. 18.

Item lo perpetuo di tarì 5. che paga Gio. Battista Costanzo sopra il luogo 1della contrada di Iacono Iannì. Item lo censo perpetuo di tarì 11. sopra una casa allo quarti ero di S. Maria dell'Itria, che paga Giuliano Virgillito, e per esso suoi eredi. Ed oltre a ciò se l'assegnano ah hodie a detta Chiesa ed arrogarsi del inodo sudetto tutti li Censi tanto Bollari, quanto perpetui in denaro, fo.r~ 111e.nto, Orgio, ed oglio, che si pagano da diverse persone qui in Patemò sopra molti beni, che secondo il registro detti censi annualmente arrivano alla somma di 7 , 35. ed oltre ciò li decorsi di detti censi 7 • cento e due sallne 2. 2. 2. di formento annuali. tumula 13.2. d'orgia pure annuali e rotoli 7. di Cera lavorata ogn'anno colli '5Uoi decorsi che sono sin'hoggi salme 3. 9. di formento e salme 9. 8. d'orgia, e decorsi della Cera secondo la Giuliana di detto Monasterio. E perchè nell'anno 1695 p.p. s'estrasse Barbara Carcagnolo d'età d'aimi sette [!],non nubile secondo le condizioni del R,n10 P. Abbate D. Onorato predecessore, e fiidecom1nissario di detta eredità, e così cascò in mano di detto R.mo di maritare lill'altra Orfana che tenesse le condizioni e qualità ricercate, per tanto detto R.mo e fundatario di 1dietta eredità vole, e con1anda, -che si dassero l' 7 . 12. che si doveano dare a detta Barbara per suo legato, a Maria di Silvestro orfana, che tiene le condizioni sudette n1a però sposata che sarà in faciem Ecclesiae et '5ic voluit che in perpetuo così s'osservasse. E per infine detto R.mo vole, e co1narnda che detta visita ed ordinazione si dovesse dalli PP. della Grangia, e dal Monasterio di Catania [f. 66v.] tenere copia ne i libri dei decreti, acciò da tutti ifosse alla notizia e si sapesse, e per togliere ad ognuno scuse di non sapere le condizione sudette. Ordina, e comanda, che di questo ·stabilimento fatto da detto P. R.1110 se ne facesse manifesto, e quello affigere alla Chiesa tdi detta Grangia


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nel primo Agosto di qualsivoglia anno per potersi da ogn'uno leggere, e s·apersi le condizioni che dovranno concorrere alle persone concurrenti a detto Bussulo, e così annualmente si voglia osservare acciò ad litteram s'ade1npissero le voluntà di detti fundatori, e non altrimente ne per altro modo et sic in perpetuum. Unde de Mandato <lieti R.mi P. Abbatis factus est praesens Actus suis die Testes Petrus de Iudice, Antonius ,de Cursulo quondam Io. Baptistae et Vincentius Romano quondam Vincentij Catanae D. Romualdus ·Rizzari a Catana Abbas conf.o ut supra. Ex Actis m·eis J oseph Guido p.r Regij Pat.ìs salva ooll.e [ ... ]

[f. 67r.]

Decreto per l'espulsione di fra Paolo da Catania Nulla maior Praesulibus esse potest Trìstitiae ac Maeroris Occasio quam cun1 se sciant pro viribus Debito officij Pastoralis incumbere inde videant extempore pr'avorum defectum, et vitiorum vepres excrescere. Hinc est quod cum non sine maximo Animi nostri dolore accepissemus nonnullos ex commissijs huius Monasterij penitus tepefacto Devotionis Fervore, et omni conscientiae cura post habita, cum gravissimo Animarum suarum detrimento, et Religionis 1dedecore parum hactenus honeste vixisse, et inter eos praecipue F. Paulurn a Catana et ·F. Gregorium a Pedara eo te1neritatis et impudentiae scelere fuisse adductos, ut Sacra Coenobia septa violare, intusque Mulierculas noctu introducere non erubuerint; ldcirco propriae sollicitudinis stimulis exagitati, convocatjs ah hoc serio Monasterij Senioribus, et ijs quae jam ad nostras Aures pervenerant enarratis, de communi ipsorum consilio Adm. Rev. Priori D. Camilla a Catana Prioris Claustrali, et P. D. Benedicto a Catana Decano, et Magistro Novitiorum commissirnus, quatenus eo quo pellent zelo, et integritate, quocurnque acta iudiciali relicto, et sola Facti veritate inspecta de -sup.radictis inquirerent, et Nobis quam primum quidquid de ijs agnovissent referrent. Cumque ipsi impositum opus fìdeliter esecuti Nobis retulerint, eis pro certo constare et Testibus fide dignis F. ·Paulum, et F. Gregorium vere praedictum fac1nus perpetrasse; tum insuper F. Ios·ephum, et F. lo. Baptistam a Catana paucis ab hinc mensibus incontinenter vixisse, et cum alijs Mulieribus inhonestos actus habuisse, Fratremque Niculaum ipsorum Fautorem extitisse; Ideo volentes omni nisa enatas in hac V1nea Domini, cui licet immerito praesidemus, s·pinas evellere, et arefactos Palmites salutaris remedij Falce proscindere, praesentis Decreti vi convocatis denuo Senioribus et re nlaturius discussa, statuimus et ·mandamus ut su-


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pradicti F. Paulus, et F. Gregorius per quatuor Menses in Mo.nasterio Licodiae carceri mancipentur, illisque pro obsonio quidquid simplicibus Famulis dari solet, tribuatur; ac elapso dictorum Mensium Spatio e Monasterio et Congregatione, tamquam enarratorum Criminum Reos, ac Sacrorum Canonum et Constitulionum Nostra-rum Contemptores iuxta harum Formam expellantur, pro ut nunc pro tunc expulsos, et eiectos esse decemimus et declaramus, Instrumentumque Professionis, seu Votonnn Si路mplicium 'inter Nos et F. Paulu1n n1ultis retro Annis firmatum, huiusmodi Decreti vigore rescindimus, et iam rescissimus ac cassum [f. 67v.] ipso :facto pronunciamus. Et cognoscentes Nos quam salubre adn1odu1n sit Misericordiam cum Iudicio aliquando coniungere, et pro Anilnarurn subditarum nequisltione 路et salute debitum alioqui Iustitiae rigore1n alternperare, idcirco erga ,p, Iosephum, F. Io. Baptistam, et Nicolaun1 intimae Pietatis visceribus inclinati, eos per sex Menses victum simplicium Famulorum ali iubemus; Fratrem vero Iosephum per duos Menses 111 Monasterio Licodiae Carceribus obtrudi, quo tempore expleto Catanam reverti ac cum :alijs insimul iniunctas Paenitentias exequi; F. Io. Baptistam vero qualibet Feria quarta sexta et Sabbato, F. Nicolaum quolibet Die Festo ante ianuas Refectorij prostratos, ore ad Terran1 adrnoto, tan1quam suorum excessuun1 veniam postulantes ad ipsorum ruborem et ali o rum exemplum stare, praecipimus et mandamus. I ta tamen ut ubi eos vel supradictas Paenitentias minutim non obsenrare, vel ijs nihil proficere Nobis aperte constiterit, tunc veluti Sanctae Obedientiae rebelles, Nostrique Paternae Charitatis officij Despectores, extremam expulsionis Paenam quam nunc benigne suspendimus, statim, et nulla Remissionis obtinendae Spe, se sciant incurrisse. Datum Catanae in nostro Monasterio S. Nicolai de Arenis Die 10 Maij 1698. [le firme che seguono sono autografe] D. Romualdus a Catana Abbas D. Camillus a Catana Prior Claustralis D. Benedictus a Catana Decanus et Magister Novitiorum D. Benedictus a Messana Decanus D. Io. Baptista a Catana Decanus D. Emilianus a Panormo Decanus D. Gratianus a Catana Decanus [ ... ] [f. 68v.] Nos D. Io. Baptista a Brixia Abbas et Praesidens Congregationis

Cassinensis Ordinis S. Benedicti Fidem faci1nus atque testamur qualiter ab Anno 1680 usque ad Diem 16 Aprilis 1695 Monastcrio S. Nicolai de Arenis vigore Facultatum S. Congregationis 路super statu Regulariwn assignati fuerunt Novitij vestiendi numero Viginti octo, nempe


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Vigore Facultatis pr'adictae S. Congregationis emanata sub Die 22 Januarij 1680 a quondam R.·mo P. D. Angelo M.a a Parma Praeside assignati fuerunt N.ovitij vestienidi n°. 2. Item vigore Facultatis eiusdern S. Congregationis emanatae sub Die 17 Septem.bris praedicti Anni 1680 a pr'aefato R.mo assignati fuere Novitij vestiendi n°. 4. Vigore Facultatis eiusdem S. Congregationis emanatae sub Die 13 Iunij 1681 a quondam R.mo -P. D. Petra a Venetijs Praeside assig.nati fuerunt Novitij vestiendi n°. 3. Item vigore ·Facultatis eiusdem S. Congregationis emanatae sub Die 4 lunij 1683 a praedicto R.mo assignati fuerunt Novitij vestiendi n". 2. Vigore Facultatis eiusdem S. C-ongreg·ationis emanatae sub Die prima Augusti 1684 a quondam R.mo ·P. D. Sebastiano a Mediolano Praeside assignati fuerunt N-ovitij vestiendi ne. 4. Vigore Facultatis eiusdem S. Congregationis emanatae sub Di-e 26 Octobris 1685 a quondam R.mo P. D. Anselmo a Panormo Praeside assignati fuerunt Novitij vestiendi ne. 3. Vigore Facultatis eiusdem S. Congregationis iemanatae sub Die 23 Augusti 1688 a R.mo P. D. Andrea a Nea:poli olim Praeside et nunc Archiepiscopo Ros·s·anense assignati fuerunt Novitij vestiendi n°. 4. Tandem vigore ,facultatis eiusdem S. Congregationis e1nanatae sub Die 12 Martij 1693 a quondam R.mo P. D. Leandro a Placentia Praeside assignati .fuerunt Novitij vestiendi n". 6. Atque haec omnia constant ex Regesto Actoru1n Co.ngregationis Cassinen,sis penes Nos asservato, quodque incipit ab Anno 1675, et .desinit in Diem 28 Martij 1696. In quorum fidem. B.rixia in Monasterio S. Faustini die 29 Maij 1698. D. Io. Baptista a Brixia Abbas et Praesidens. D. Petn1s a Toffia [?] Procancellarius

[f. 69r.] Copia di lettera scritta dal R.n10 P. Presidente al nostro R.mo Le licenze della S. Congregazione a poter vestire Novitìj non si trovano registrate che dall'Anno 1680 in quà. Onde non ho avuto ·modo di servire V. P. R.ma se non da detto Tempo inviandole l'annesso Attestato in cui vedrà l'Assegnazione ,fattasi a cotesto suo Monasterio di 28 Vestiendi e non essendosene vestiti che soli 22 compresi Ii presenti 9 Giovani per i quali io le ho spedita la Licenza, resta che V. P. R.ma possa vestire anca altri 6. Del che grandemente mi rallegro colla sua riveritissima Persona per il campo che ha di fare un Noviziato si Numeroso. Nel resto supplico V. P. ·R.m·a .a mantenermi nel possesso della sua rpregiatissima grazia e


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Il monastero di S. Nicola l'Arena con raffer1narle la mia somma Divozione le fo umilissima riverenza. Di V. P. R.ma Brescia S. Faustino 29 Maggio 1698. R.mo di Ca tani a Umilissimo Div.mo Se.re Obl.n10 D. J.o. Battista di Brescia Presidente [ ... ]

Dalla soprascritta Attestazione ·e lettera del R.mo P. Presidente si vede che dal Anno 1693 sin hoggi, tiene il Monasterio Nostro facoltà di vestire 16 Novizij. [ ... ]

Lf. 70r.]

Visita Grangiae Paternionis

Circa horam nnam Noctis Tribus luminibus accensis iuxta Juris Die Vigesimo Octavo Octobris Octava ind.nis dispositionem Millesim-o Sexcentesimo Nonagesimo Nono. Haec est Visita facta per R.mu1n P.rem D. Prudentium Messana Abba~ ten1 Ven. Monast. S. Mariae de Licodia et S. Nicolai de Arenis Urbis Catanae, et P.riore1n Grangiae sub Tit. S. Mariae de Valle Josaphat huius Civitatis Paternionis de membris et pertinentijs dictorum Monast. Canonice :annexis iuxta dispositionem Sac. Canonum, et S. C. T[ridentini] et aid suun1 attinet, et spectat oflicium visitare d.a Monast.a spectantia, et pcrtinentia vigore suorum Privilegiorum, cum debita qua decet V·eneram tione per ipsum R.mum P;rem Abbate1n presentem M[ihi] N[otario] c[ogni]tum facta, et de 01nnibus infrascriptis dìligenter inspectis, visis, consideratisque Ipse R.mus P.r Abbas mandavit Adm. R.do Patri D. PhiJippo a Calatairone Decano Priori Ciramis, Rectori dictae Grangiae S. Mariae de Valle Josaphat, ac Priori S. Marci in Ecclesia S.ti Marci huius praen1is,sae Civitatis cognito etiam Mihi Notario pro ut infra disponitur videlicet In Prin1is quod ipse R. P.r Prior, et Rector .sollicitam Curam habeat dictae Ecclesiae bene, et fìdeliter serviat, ·et quod in ea non desit quotidie Missa, nec deficiant Missae assignatae. Et exinde visitavit Altare Maius, et SS.mae Eucharistiae Sacramenturn, et invenit illud bene dete1nptum, et SS.um Positum in Pisside Argentea intus aurata. Iten1 visitavit infrascriptas Reliquias, et primo Lignum SS.mae Crucis D.ni N.ri Jesu X.ri, 'et Lapidem S.ti Sepulchri Imrnaculatae Genitricis Virginis Mariae, et invenit eas bene custoditas. Iten1 Reliquias Beatae Virg. -et Martyri-s Santae Barbarae Patr011ae huius


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Civitatis in duabus parti-bus collocatas in uno brachio argenteo, et invenit

eas bene conservatas. Item Vas Argenteum in quo sunt positae Reliquiae S.ti Bar [f. 70v.] tholomei Apostoli Videlicet Dens, Maxillare, ,et Ossum S.ti Placidi et Sociorum Martyrum, Lapidis Sepulchri D.ni N.ri Jesu X.ti, Reliquias Sanctorum Innoccntium Innessas in Reliquiarijs argenteis, et invenit eas bene 1detemptas. Et visitavit Oleum S.tum Chrismatis, et Unctionis, et invenit illud optime detempum. Item visitavìt Altare dictae Gloriosae Virginis, et Martyris S.tae Barbarae positum in Cappella erecta in praedicta Ecclesia, et invenit eum bene detempum. Item visitavit altare S.ti P.ris Be.nedicti, e invenit illud detemptum bene. Item visitavit Altare S.ti Joannis, et invenit illud bene detemptum. Ac etia·m, et Altare S.mi C·rucifixi, et invenii illud bene detempt1m1. Item visitavit Sacristiam, Paramenta, et Ornamenta dictae Ecclesiae, et invenit ea bene disposita. Et havendo osservato il ·detto R.mo P.re Abbate, che quanto fu disposto dal R.mo fu P. D. RomuaJ1do da Catania aII'hora Abbate di detti Monasterij come nella Visita fatta per l'Atti del quondam Notar Giuseppe Guido sotto il di 7 di 9bre 5a Ind.e 1696 .già .fosse stato posto in esecuzione, cioè per manutenersi otto lampadi continuamente accesi, e che fossero state fatte quattro .Cappelle di Stucco, e perchè la Chiesa non è anco fornita di Stucco, per tanto detto R.mo P. Abbatc ordinò che si spedisse tutta secondo è cominciata, e poi si facesse .l'Arco Maggiore dcl Santuario pure di Stucco di Rilievo, e spedita la Chiesa vuole, e comarnda, che si dorassero le Cappelle, e Lettorino. E per stare il Culto Divino ben servito detto R.mo P. Abbate conferma l'assegnazione del 1d'etto R.mo suo predecessore per l'Atti di detto quondam di Guido iuxta eius Seriem Continentiam, [f. 71r.] et Tenorem; cioè d'assignarci li Censi di questa Città predetta in detta Visita per extensum Calendati, con questo però, che sempre, et inviolabilmente il P.re Procuratore pro Tempore dovesse esigere, e tdare conto dell'Introiti, e Spese a detto R.rno, e regim·ento di detto Monasterio secondo le Bolle Pontificie. Di più vuole, e comanda, et Ordinò, che curassero tanto a detto R. P. ·Rettore, quanto al P. D. Angelo da Paternò Procuratore che curassero, et havcssero vigilanza in far sodisfare le Messe assignate in detta Grangia, tanto quelle d S. Nicolò de Lombardis all'Alba ogni festa di precetto con la Litania della Beatissima Vergine, Le Messe del R.do Sacend.e D. Gerolamo Bonacquisto, e detti P.re Rettore e Procuratore come pare il Sacerdote Secolare, come in detta Visita, alla quale s'habia relazione, quanto le Messe di Don Michele d'Alcamo, e Messe ultimate, e Legate dalla fu quondam Anna Farina, et Alessandro come per l'Atti miei infrascritto Notaio die Item visitavit Ecclesiam S. Marci huiusmet Civitatis, et invenit eam bene


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ornatam, volens tamen, et ordinans ipse R.mus P.r Abbas quod ma,nuteneatur cum debito decoro, e fiet Festivitatem pro ut solitum est. Et acciò che con maggior attenzione per l'avvenire s'havesse speciale cura, et affetto a detta Chiesa di S. Marco il predetto R.tno P. Abbate in Virtù del presente investì, e fece Priore di detta Chiesa il detto P. Rettore pro Tempore di detta Grancia, con incominciare ab hodie per il sudetto P. D. Filippo, e ciò per impositionem AnuJi, et Bireti, e questo della ·meden1a maniera, che esso P. Abbate, e suoi l'hanno tenuto in virtù de suoi Privilegij, Donativi, Bolle Pontificie. Volendo, et Ordinando detto P.re R.mo al detto P.re D. Filippo Priore id.i Cerami, al presente pure Priore di S. Marco, che havesse specialissima ,cura di detta Chiesa sua, e Priorato per maggiore servizio di Dio, e suo Culto Divino. [f. 71v.] Item il precennato R.mo P. Abbate ordinò, e comandò, che i detto P. Rettore, e Procuratore pro Ten1.pore esistenti andassero a celebrare la Messa Cantata, ne i giorni, che sono obbligo, e nelle Chiese infrascritte, con1e Chiese proprie di detto Monasterio per tenerne il diretto Do1ninio in virtù rde suoi atti alli quali cioè S. Barbara. Il ginrno di S. Maria Maddalena, Alla Batia de Moniali, il giorno di S. Michele Arcangelo, al Convento del Carmine. Il giorno della B. V. ad Nives. A S. Antonio nella Chies·a de PP. Zoccolanti, il giorno di S. Antonio A.bbate. Alla Chiesa de' PP. H.eformati di S. Agostino, seu la Gratia il giorno di S. Hippolito. A S. Gregorio il giorno sudetto, et a S. Blasio il giorno dcl detto Santo. E finalmente il sudetto R.1110 P. Abbate confirmò e confirma, laudò e lauda, ratificò e ratifica, approbò et approba, et ad unguem pienissimamente accettò et accetta a prima linea, usque ad ultimam quanto fu disposto, et ordinato nell'Atto della Visita ante passata, come per l'atti di rd:etto quandan1 de Guido si vede il dì sopracitato alla quale s'habbia relatione a detto R.mo P. Abbate si riferisce, come se qui fossero state ordinate, et apposte alla presente Visita, e ciò sopra il servigio della Chiesa e Culto Divino, et Extrattione dell'Orfane, Soggiungendo però che !'Orfane i1nbussulande a 21 Luglio tutte havessero portato in potere delli sudetti R. P. Rettore, e Procuratore le .fedi del Battesimo per esaminare Je condizioni in detta Visita ordinate, e non altrimente, ne in altro modo, [ ... ]. Unde de Mandato dicti R.mi P.ris Abbatis factus est praesens Actus suis die praedicto. Testcs Cl. D. Petrus Guama Cl. D. Franciscus Pace, et Magister Ioseph Giurgenti. D. Prudentio di Messina Abbate Conf.o quanto di sopra. Ex Actis Meis Caetani Chisari Regij Notarij Paternionensis Collectione Salva

[f. 72r.]

Rassegna dell'Officiali del Monasterio fatta a Primo 9bre 1699.

R.mo P. D. Prudenzio da Messina Abbate M.to R.do P. D. Benedetto da Catania Priore Claustrale


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D. D. D. D. D. D. D. D. D. D.

Emiliano rda Palermo Decano, e Maestro dei Novizij Antonino da Catania Decano Benedetto da Messina Decano Gio. Battista da Catania Decano Roberto da Catania Decano Graziano da Catania Decano Barto101neo da Paten1ò Decano Giuseppe da Modica Decano Stefano da Palermo Decano Pietro da Catania Decano

Monasterio di Licodia P. D. Antonino da Catania Rettore D. Mauro da Siracusa, Cellerario e Mastro 1dell'Atti D. Alfio Papa Sacerdote Secolare per 3°. Monaco [ ... ]

Alla Grangia di Pateriiò M. R. P. D. Filippo da Caltagirone Priore di Cerami, e Rettore, quale haverà cura delli Magazeni D. Angelo da Paternò, quale haverà cura de Censi, Molini, e spesa. [ ... ]

[f. 73v.] La Clausura del Monasterio s'intende per insino al Portone, seu Porta del Monasterio, ,e che nessuno sia per trasgredire sotto Pena ben vista al R.mo. [f. 74r.)

Nos D. Prudentius a Messana Abbas Monasteriorum S. Mariae de Licodia, et S. Nicolai de Arenis Catanae Ordinis S. Benedicti Congregationis Cassinensis.

Universis, ac singulis praesentes Iitteras .inspecturis notu1n facimus, atque testamur, quod 1die vigesilna prin1a Septembris Ind. X. Millesin10 Septincentesimo primo in supradicto Monasterio S. Nicolai Ordinationes inter Missarum solen1nia habentes, dilcctos nobis infrascriptos in Xr.o filios Monachos professos, ·ac famiJiae <lieti Monasterij ascriptos, et 01nnibus praeditos requisiiis, ad primam c1ericalem Tonsuram, et ad quatuor minores ordines osiiarij, lectoris, exorcisiae, et acolythi iuxta ritwn S. R. E. pro1novimus. Scilicet D. Leandrum a Syracusis, et D. Felicen1 a Syracusis ad officiu1n exorcisiarum, et acolytharun1. D. Gregorium a Syracusis, D. Honoratum a Catana, D. Casimirun1 a Militello, D. Hieronymum a Militello, D. Claudium a Melilli, et D. Ferdinm1du1n a Catana ad Priman1 Clericalem Tonsuram, ei ad quatuor -reliquis Minores ordines. D. Romualdum a Motuca aid offi·cium Lectoru1n, exorcistarum, ei Acolytarum. D. Ildephonsum a Ragusia, et D. Coclestinum a Motuca ad omnes quatuor Minores ordines.


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In quorum fìdem praesentes nostra ,5ubscriptiane firrnatas, ac publico Monasterij ·sigillo munitas dedimus ibidem die 21 Septembris 1701. D. Prudentius a Messana Abbas Loco + sigilli De mandato Pat.is suae Rev.mae D. Emilianus a Panormo Prosecretarius [f. 75r.]

Rassegna dell'officiali del Monasterio fatta a dì 4 luglio 1702.

R.mo ·P. D. Camilla [Mancini] da Catania Abbate M.to R.do P. D. Benedetto da Messina Priore Claustrale M.to R)d;o P. D. Filippo da Caltagirone Decano Priore di Cerami P. D. Emiliano da Palermo Decano e Maestro dei Novizij P. D. Antonino da Catania Decano P. D. Mauro da Siracusa Sacerdote P. D. Alessandro da Palermo Decano Titolare P. D..Graziano- da Catania Decano P. D. Porfirio da Catania Sacerdote P. D. Bartolomeo da Paternò Decano e Cellerario P. D. Giuseppe da Modica Decano P. D. Domenico da Palermo Decano P. D. Bernardo da Catania Decano Titolare P. D. Pietro da Catania Decano P. D. Ignazio da Catania Decano P. D. Angelo 1da Paternò Decano

Monasterio di Licodia P. D. Antonino da .Catania, Decano e Rettore, quale tenga la cura de Magazeni P. D. Mauro da Siracusa Celierario e Maestro dell'Atti ed habij cura dell'esigenza can far la spesa D. Giacomo Riggio Sacerdote Secolare per Terzo Monaco Fr. Clemente da Cata.nia alla Cantina, Sacristia e .Lampade Fr. Domenico da Catania alla Cocina.

Alla Grangia di Paternò M.to R.do P. D. ·Filippo da Caltagirone Priore di Cerami, e R·ettore, quale haverà cura idelli Magazeni P. D. Angelo da Pater,nò Procuratore quale haverà cura de' Censi, Molini e Spesa [f. 75v.] Fr. Romana da Catania alla Cocina. [ ... ]

[if. 77r.] ,La Clausura del Monasterio è tutto il Circuito di detto dentro le


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Mura, e recinto, e che nessuno sia per trasgredire, altrimente soggiacerà alla Pena della Regola, e ben i\dsta al R.mo.

Avvisi ed Ordini del Rev.1no Vede sopra pag. 53. n°. 2° Che nessuno etc. [f. 78v.]

Pro Monasterio Catanae E1nin.mi e R.n1i Sig:ri

L'Abbate e Monaci del Monasterio di S. Nicolò di Catania dell'ordine idi S. Benedetto .della Congregazione Cassinese espongono riverentemente all'EE. VV. che in detto Monasterio viene esattamente osservato quanto prescrive la loro Regola, e Constituzioni, come nell'annessa fede testimoniale, che si presenta all'EE. VV. alle quali con tutta rassegnazione porgono le loro suppliche acciò voglijno concederle la Facoltà di vestire vintidue Giovani Professi spogliati ,d:al ,numero Loro prefisso dalle Constituzioni, nell'occasione delli passati Terremoti, ne quali perirono trentadue Religiosi ,sotto le Tovine de med.mi potendo essere certe, .che una tale concessione 'riuscirà di ,molto giovamento alla .perseveranza della Santa Osservanza nel suddetto M-onasterio, nel quale si pregherà ·sempre S. D. M. per la conservazione dell'E.E. V.V. che dalla grazia [f. 79r.] quas Deus Sacra Congregatio super .disciplina Regularium licentiam impertitur Superioribus Regularibus Congregationis Cassinensis, ad quos pertinet, ut hac vice tantum decem Clericos, seu Choristas ad habitum probationis recipere in praefato Monasterio S.ti Nicolai de Arena, et finito tempore Novitiatus, ad Professionem admittere Licite possint, et valeant, servatis tamen omnibus, et si.ngulis, quae continentur in Decretis de mandato Sa. Me1n. Alexandri VII editis Die 11 Maij 1655 pro Novitijs in praefata Congregatione recipiendis; nec non huius S. Congregationis sub die 18 Julij 1695. Datum Romae hac Die 26 februarij 1704.

Loco

+

Sigilli

I. N. Card.lis lrnp.lis Praef.s I. Archiep.s Athen. Secr.rius Fuit emanatum aliud Decretum S. Congreg.nis ·eiusdem tenoris cum facultate vestiendi alios decem Juvenes pro Monasterio Catanae eodem dei 26 februarij 1704. Loco + Sigilli I. N. Card.lis Imp.lis Praef.s I. Archiep.s Athen. Secr.rius [f. 80v.]

Jesus

Nulla maior Praesulibus esse potest tristitiae, ac ·maeroris occasio, quam cum se sciant pro viribus debito officij pastoralis incun1bere, inde videant ex tempore pravorum defectuu1n, et vitiorum vepres excresC'ere. Hinc


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est quod cum non sine maxi1no Animi nostri dolore accepissemus F.ratrem Ioannem Baptistam a Catana, Commissum huius Monasterij penitus tepefacto devotionis fervore, et -0mni Conscientiae cura post habita cum gravissimo Animae suae detrimento, et Religionis dedecore panun hacte.nus honeste vixisse, et gravia delicta, et culpas perpetrasse; ldcirco facto de pra-edictis iuridico examine, et accurata inquisitione curo Patribus Decanis, .inveni1nus eum per multun1 te1npori·s incontinenter vixisse, cum maxin10 Religionis habitus dedecore ver [f. 81r.] ba obscena, et blasphemias contra Deum, cum publico Mon·asterij, ac saecularium .scandalo continue proferentem, et plura furta de bonis Monasterij perpetrasse, et Substantiam eius dissipasse, Superbum, Iracundum, et inobedientem repertun1, ita ut correctiones salutaresque paenitentiae ei pro ijsdem criminibus jnflictae sine ullo fructu in cassum ivere. Ideo volentes on1ni .nisu enatas in hac Vinea Domini, cui licet in1n1erito praeside1nus spinas evellere, .et arefactos palmites salutaris rem·edij falce proscindcre, praesentis Decreti vi, convocatis denuo Senioribus, ac re maturive discussa Deum prae oculis habentem .statuimus, et mandamus ut supradictum Fratrem Ioa. Baptistam a Catana e Monasterio et Congregatione ta1nquam enarratorum Criininum Reu1n, et nostrarum Constitutionun1 contcmptorem iuxta harum formam expellatur pro ut nunc expulsum, et eiectum esse decernimus, et declaramus, lnstrumentumque Professionis, seu Votorum Simpliciun1 inter nos, et Fratrem Ioa, Baptistam multo retro Annis firmatum, huiusmodi Decreti vigore irescindimus, et iam rcscissum, ac cassun1 ipso facto pronunciarnus. Dalurn Catanae in Nostro Monasterio S.ti Nicolai de Arenis Die [non è indicato] Mensis Iulij Anno 1704. [le firme che seguono sono autografe] D. Ca1nillus a Catana Abbas et Visit.r D. Benedictus a Messana Prior D. Graiianus a Catana Decanus et Magister Novit-iorum D. E1nilianus a Panormo Decanus D. Porphyrius a Catana Decanus D. Bartholon1aeus a .Paternione Decanus et Cellerarius D. Ansclmus a Syracusis Decanus et SS. Lector D. Severinus a Catana Decanus [ ... ] [f. 82r.]

Officiali e Superiori del Monasterio di S. Nicolò l'Arena di Catania, eletti, e pubblicati a 30 Giugno XII I fod.e 1705.

R.mo P. D. Camilla [Mancini] da Catania Abbate M.to R.do P. D. Benedetto da Messina Priore Claustrale M.to R.do P. D. Filippo da Caltagirone Decano e Priore di Cerami


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P. D. Severino da Catania Decano e Maestro de Novizij P. D. Antonino da Catania Decano

P. D. Mauro da Siracusa Decano P. D. Carlo da Messina Decano P. D. E1niliano da Palermo Decano

P. D. Graziano da Catania Decano P. D. Porfirio da Catania Decano

P. D. Bartolomeo- da Paternò Decano P. P. P. P.

D. D. D. D.

Giuseppe da Modica Decano Ignazio da Catania Decano Angelo ida ·Paternò Decano Anselmo da Siracusa Decano

Monasterio di Licodia P. D. Antonino Decano, e Rettore quale tenga la cura de Magaze,ni P. D. Angelo da Paternò Decano, Cellerario e Maestro degli Atti, et habij cura dell'esigenza e far la spesa D. Giacomo Riggio Sacerdote Secolare per 3°. Monaco Fra Clemente da Catania alla Cantina, Sacristia e Lampade Fra Domenico da Catania alla Cecina

Grangia di Paternò P. D. Mauro da Siracusa Decano, e Rettore .quale [f. 82v.] havra cura de Magazeni P. D. Giuseppe da Modica Decano, e Procuratore quale havra cura de Censi, Molini e Spesa Fra Geronimo da Catania alla Cocina

S. Nicolò lo Vecchio Fra Pietro id:a Catania, et un Sacerdote Secolare per la Messa quotidiana Castagneto Frat'Antonino da Catania Licatia Fra Nicolò da Catania Incarrozza Frat'Anselmo di Catanzaro Bombacaro Fra Michele da Catania [

... ]

Alla Procura del Monasterio P. D. Porfirio da Catania [ ... ]

All'Esigenza de' Censi del Regno P. Felice da Siracusa


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Alla .Procura In Palermo P. D. Gio. Battista, e P. D. Ignazio da Catania [ ... ]

All'Organo M. to R.do di Casa [clausura e avvisi come alla nota precedente del 1702] [ ... ]

[f. 86r.J Pro Monasterio Catanae Ad evitandas lites, et tollenda iurgia, qua tum maximo Monasterij ,supradicti praeiwdicio, oriri possent ob venditionem, vel quomodocumque alienationen1 Aquae pluribus expensis per Aquaeductus allatae pro aedificatione Monasterij omnino diruti ob Terremotum I.n Sicilia habitum die 11 Ianuarij 1693. Praecipimus et ordinamus Superioribus <lieti Monasterij sub praecepto Sanctae Obedientiae et sub poena suspensionis ab omni officio et dignitatc stati·m incurrendae, ut nllilo modo permittere valeant don·are, vendere, vel concedere [f. 86v.] sub quovis titulo, aut praetextu partem licet minimam Aquae absque expressa licentia Ca,pituli Generalis. Datun1 Farfae .in Con1jtijs Minoribus die 15 Aprilis 1704. D. Hippolitus a Neapoli Abbas et Praesidens D. Gregorius a Regio Abbas et Visit.r D. Felix a Montopoli Abbas et Visit.r D. Augustinus a Venetijs Abbas Visit.r Scriba Dietae Loco + SigiUi

Pro Monasterio Catanae. R.mi P.ri L'Abbatc e Monaci del Monasterio di S. Nicolò tdi Catania humilmente espongono alle PP. VV. RR.111e con1e per evitare molte dissenzioni, che erano inevitabili fra la Nobiltà di Catania e detto Mo.nasterio supplicarono nella Dieta passata Ii ·RR.mi Deitanti di un Decreto di nan potere concedere li sudeiti Esponenti alcuna Porzione dell'Acqua, che da una Possessione del Monasterio è stata ultimamente condotta nel medemo. E con1e che cessa adesso ogni sospetto di disturbo per haversi amichevolmente concertato le cose, e per altro la concessione di 1detta Acqua ridonda in beneficio del Monasterio, perciò sono le PP. VV. RR.,me pregate a ·concedere nuovo Decreto con che si permetta alli medemi Esponenti di poter dare ad [f. 87r.] Annuo Censo p·arte di detta Acqua, che è superflua per la fabrica, ed altro necessario a detto Monasterio, che della grazia. Veris existentibus narratis, non obstante Decreto emanato in praeterita Dieta, conceditur, ut petitur. D. Sevcrinus a Messana Scriba Capituli Generalis [Cesena 28 luglio 1705] Loco + Sigilli


332 [

Gaetano Zito

... ]

[f. 93r.]

Officiali, e Superiori del Monasterio di S. Nicolò l'Arena di Catania eletti e pubblicati i 30 Giugno Prima fod.ne 1708

Rev.mo P ..re D. Benedetto [Asmundo] da Catania Abbate M.to .Rev. P.1re D.n MaurQ da Messina P.riore Claustrale M.to Rev. P.re D.n Bartolon1eo da Pater.nò Decano, Priore di Cirami P.re D.n Graziano da Catania Decano, e Maestro de' Novizi P.re D.n Urbano da Palermo Decano P.re D.n Carlo da Messina Decano P.re D.n Emiliano da Palermo Decano P.re D.n Porfirio da Catania Decano P.re D.n Angelo da Paternò Decano P .re D.n Anselmo da Siracusa Decano P.re D.n Severino da Catania Decano

Monastero di Licodia P.re D.n Emiliano ida Palermo Decano e R,ettore quale tenga la cura delli Granari cos·sì di frumento co1ne dell'orgii D. Onorato da Catania Cellerario e maestro notaro degli atti, et habij cura dell'esigenza e far la spesa della casa D. Giacomo Riggio Sacerdote per 3°. Monaco Fra Lorenzo da Catania alla Sagristia, Cantine e Lampade Fra Paulino da Catania alla Cocina [f. 93v.] Grangia di Paternò P.re D.n Angelo da Paternò Decano e ·Rettore quale tenerà la cura delli Granari del Monasterio D.n Felice Maria 1da Siracusa Procuratore il quale haverà la cura delli Molini e Spesa; con1e pure havcrà la cura d'esigere tutti li beni assegnati alla Chiesa, ,e -deve fare un libro a parte cossì dell'introito come dell'esito per vedere il P.re Abbate a chi si spendono li sudetti Cenzi.

S.n Nicolò lo Vecchio D.n Nunzio di Cunsulo Cappellano, che deve ogni giorno celebrare in quel Santo Loco la Messa Fra Pietr:o da Catania che haverà cura della Cantina e tutto quello sarà necessario [ ... ]

[f. 96r.] Li Fratelli Commessi ogni giorno devono dire H Rosario ,tutti as· siemi in tempo di matutino .con li Padri o pure a nona et il molto Rev. di Casa ne deve havere la cura. [Clausura e avvisi come alla nota precedente 1del 1702]


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Maestro di Cerin1onie P.re D.n Graziano da Catania Secondo Maestro di Cerimonie D. Ildefonso da Ragusa [ ... ]

[f. 98r.]

Officiali, e Superiori del Monasterio di S. Nicolò l'Arena di Catania eletti e pubblicati a 8 Luglio 1711 4. lnd.e

R.mo P. D. Benedetto [Asmundo] da Catania Abbate M. R. P. D. ,Bartolomeo da Paternò Priore Claustrale M. R. P. D. Emiliano da Palermo Decano e Priore di Cerami M. R. P. D. Graziano da Catania Decano, Priore idi S. Marco, e Maestro di Novizij P. D. Carlo da Messina Decano P. D. Porfirio da Catania Decano P. D. Angelo da Paternò Decano

Monasterio di Licodia P. D. .Porfirio da Catania Decano, e Rettore, quale tenga la Cura de' Granari così ·di frumenti, come dell'orgi. D. Onorato da Catania Cellerario e Maestro Notaro ·dell'atti, et habbij cura dell'esigenza, e far spesa deìla casa. Che in detto Monasterio non sì riceva nessuno senza licenza del R.mo, eccettuati li Religiosi Mendicanti, e Pe· regrini, altrimente non si passerà la spesa alli Conti. D. Giacomo Riggio Sacendote per terzo Mo.naco Fra Lorenzo da Catania alla Sacristia, Cantina e Lampadi Fra Mauro da Catania alla Cocina.

Grangia di Paternò P. D. Angelo ·da Paternò Decano, e Rettore, quale tenerà la cura de' Gra~ nari del .Monasteri.o, come ancora haverà la cura de' Grani che entreranno dell'[f. 98v.] heredità di Bonacquesto, e di tutta l'heredità di D. Fabrizio Bellia, e che nell'elezione de' Cappellani del SS.mo Crocefisso deve sempre farla con la consulta del R.-mo. D. Mario id.a Catania Procuratore, qùale haverà cura delli Molini, esigenza in denaro, e deve far la spesa, come ancora haverà cura d'esigere tutti li censi assegnati alla Chiesa, e deve fare un libro a parte così dell'introito, come dell'esito, per vedere il P. Abbate a che si spendano li sudetti Censi. [ ... ]

S. Salvatore e Carrubba Fra Nicolò da Catania [ ... ]


334 [f. 99v.J

Gaetano Zito Alla Cassa del Monasterio

P. D. Bernardo da Catania, nella quale Cassa si devono po.rlare tutti li depositi de' ·Religiosi, come è solito del Monasterio, cnm·e anco li loro vitalitij, come s'ha osservato, doppo che il Monasterio accettò la vita comune, e si devono spendere per manum alienan1, cioè per Mano del P. Cellerario, il quale dovrà cumpra,re tutto il bisognevole alli Religiosi con prima però -ricevere la poliza del R.mo. [

... ]

[clau·sura e avvisi co1ne alla nota precedente del 1702] [

... ]

[f. 106r.]

Emin.mi e R.mi Sig.ri

L'Abbate e Monaci del Monasterio di S. Nicolò di Catania della Congregazione Cassinese umilissimi Oratori dell'EE.VV. riverentemente espongono, come havendo già altre volte ottenuto da questa S. Congregazione la facoltà di vestire Novitij in detto Monasterio in virtù della vita commune, tengono attualmente bisogno di aumentare il nu1nero di Religiosi assai sminuito per le disgrazie del Terremoto del 1693, e per la peridita di molti altri susseguentemente dopo passati all'altra vita, dovendo detto Monastero alimentare 52 Monaci di Coro. Perciò supplicano le EE. VV. a concedergli Licenza di poter ammettere all'abito religioso 12 Novitij il che servirà per accrescere il Culto Divino e per mantenimento dell'esatta osservanza, çhe ivi professasi. Che deìia grazia Sacra Congregatio super Dis-ciplina Regulari licentiam i1npertitur Superioribus Regularibus Congregationis Cassinensis, ad quos pertinet, ut hac vice tantum, ultra ·Novitios iam concessos, alias dece1n Clericos, seu Choristas, ad habitum probationis recipere in praefato Monasterio S. Nicolai, pro Novitiatu approbato, ei finito tempore Novitiatus, ad Professionern admittere Iicite possint, et valeant, servatis tamen omnibus, et singulis, quae -continent.ur in Decretis de mandato Sa.e. Mem. AlexallJdl~i VII editis xj Maij 1655 pro- N·ovitijs in eodem Ordine recipiendis, nec non Sac. Cong.nis sub die 18 Julij 1695. Datum Romae x 7bris 1708. L. Card. Colloredus Loco + Sigilli F. de Vico Secretarius [f. 106v.]

Ernin.n1i e R.mi Sig.ri

L'Abbate del Monastero di S. Nicolò l'Arena in Catania della Congregazione Cassinese umilissimo Oratore dell'EE. VV. riverentemente rapresenta, con1c dall'ultilnc rovine del Terre1noto, aggiuntavi -succcssiva1nente la Morte di 111olti Monaci si ritrova il detto Monastero assai scarso d'Operarj per il dovuto servigio di Dio, e tanto nel Coro, e funzioni Ecclesia-


Il monastero di S. Nicola l'Arena

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stiche, che nel .cooperare alla salute dell'Anime ne' Confessionarij et am1ninistrazione de' Sacramenti; presentandosi per .tanto bora !'infrascritti Giovani desiderosi di prendere l'habito Monastico della sua religione, a' quali però manca il tempo prefisso dalle Costitutioni per essere ricevuti all'anno della Professione supplica ossequiosamente le EE. VV. a compiacersi d'agraziarli della Dispenza essendosi conosciuto per esperienza che tali giovani allevati col latte della Religione ne' loro teneri anni sono .poi riusciti di tutta perfezione sì nello spirito che nelle Lettere humane. Che della Grazia D. Antonio Rizzari d'anni 14 e Mesi 7 D. Antonio Riccioli 1d'anni 14 D. Giuseppe Moncada d'anni 14 D. Giovanni Amico d'anni 13 e Mesi 8 D. Pietro Amico d'anni 13 e Mesi 6 D. Domenico Cordaro d'anni 13 e Mesi 7 D. Andrea Arena d'anni 12 e Mesi 6. Sacra Congregatio super Disciplina Regulari, attentis enarratis benigne Licentiam impartitur Superioribus ·Regularibus Monachorum Congregav tionis Cassinensis ad quos spcctat, ut suprascriptos Antonium Rizzari, Antonium Riccioli, et J osephum Monca da ad habitum pr:obationis, in enunciato Monasterio alias pro Novitiatu ab hac Sac. Cong.ne approbato, recipere licite possint, et valeant, non obstante rcspcctive eorum aetatis defectu. lta tamen, ut ante Legitimam aetatem i.idem non profiteantur, et in actu .Professionis, praesenti Indulto se uti velle declarent, contrarijs quibuscumque non obstantibus; Servatis de caetero omnibus, et singulis de Jure scrvandis. Datum Romae 12 Martij 1709. G. Ca11d.Iis Carpineus Loco + Sigilli F. de Vico Secr.s [ ... ]

[f. 108v.]

Nos D. Bartholomaeus a Patemione, Prior et Administrator, Caeterique Superiores Monasteriorum S. Marìae de Licodia et S.ti Nicolai de A:renis Urbis Catanae

Recidiva flagitia perpetrata a Commisso fratre Nicolao a Catana, qui per correctiones et salutares poenitentias, sibi iniunctas illihil melior factus, ita ut 1de eo bene dici potest curavin1us Babilonem et non est sanata; nam ln detrimentum anilnae suae, et in summum Mo,nasterij damnum et interesse, ac in aliorum scandalum, non solun1 Terre1notus tempore multam frumcntorun1 quantitatem dissipavit dum in Bombacario extitit, ut per libros Mon·asterij patet; vcrum etiam nunc probata, et ab ipsomet confessa sunt accepisse plusqua-m unceas ducentas sexaginta a dive:rsis Inquilinis dum Licatiae curam habebat, ac quasinovus Oeconomus, et


336

Gaetano Zito

Cellerarius acta1 apodixas, et alia faciebat; ac etiam quotiidie nova facinora patrasse intelligitur, ultra creditores multi, qui omni momento temporis pro surnmis ab eisde1n acceptis reclamant, et idcirco per trium 1nensium spatium in carcere eum .aliquibus poenìtentijs detentus est: attamen quia in dies novae insurgunt materiae, et causae, quae habitus, et Religionis iacturam inducunt, ac proinde ne caeteri eius pestifera cuntagione contan1inentur, et nisi amoris ·saltem tirnoris causa metum habeant, propterea auctoritate Nobis per SS.mi P. Benedicti Regulam, ac Constitutiones cap. 28 111. 4 f. 53. data sententiam ferendo decernimus, praedictum fratrem Nicolaum a Catana Commissum, supra inquisitum, processatum et carceri rn·ancipatum, e Religioso Coetus consortio, oblatis prius tonsura, et habitu, expellatur. Et ita statuimus, decernimus, ac de· finitive sententiam dicimus, omni meliori modo, et forma, quibus de Jure possumus, et valemus. Datum in praedicto Monasterio S. Nicolai Catanae die 20 Sep!embris 1712. [le firme che seguano sono autogr'afe] D. ;Bartholon1aeus a Paternione Prior et Administrator, D. Emilianus a Panormo Decanus, Prior Ciramis et Ceilerarius, D. Gratianus a Catana Decanus, Prior S. Marci et Magister Novitiorum, D. Carolus a Milit,ello Decanus.

[ ... ]

[f. 109r.] Admoniti ab IlLrno Iudice R[egiae] M[onarchiae] fratrem An· drearn a Via grande huius Monasterij stabilitum ad eum relatis clamoribus contra divinum praeceptwn alia abuti Vinea, et .scandalose vivere, ut iuste corripiutur nobis iniunctun1 fuit, ac serio singulis ad nos conscriptis cri1ninibus post aliquod 1.en1pus comprobatis, et adhuc alijs vicibus a nostris praedecessoribus admonitus ijsdem repertus est obnoxius delictis; hinc eum carceri per quinque menses damnamus mancipandum, in .quo bis in hebdommade in pane et aqua ieiunet; caeterisque diebus unico vescatur obsonio; ut ne una ovis infecta totum corrumpat ovile iuxta Regulam S[ancti] P[atri] N[ostri] B[encdicti] usi farro obscissionis indignum regulari habitu a votis Religionis absolvendum, et a Nostro Monasterio ac tota Congregatione .reiciendum damnamus. Datum Catanae in Nostro Monasterio S. Nicolai de Arenis die 15 Augusti 1713. [le firme che seguo.no sono autografe] D. Lucius a Syracusis Abbas; D. Gratianus a Catana Decanus Magister Novitiorum; D. Anselmus a Syracusis ,prior; D. Carolus a Militello Deca· nus; D. Severinus a Catana D·ecanus; D. Ernilianus a Panormo Decanus et Cellerarius; D. Felix Maria a Syracusis Decanus. [ ... ]

[f. l lOr.]

Officiali e Superiori del Monastero di S. Nicolò di Catania eletti, e pubblicati a 9 luglio 1714.

R.mo D. Lucio [Bonanno] di Siracusa Abbate


Il monastero di S. Nicola l'Arena

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M.to Rev. P. D. Anselmo di Siracusa Priore Claustrale M.to Rev. P. D. Emiliano da Palermo Decano Priore di Cerami e Cellerario M.to Rev. P. D. Graziano di Catania Dec·ano Priore di S. Marco P. D. AlessaTIJdro di Palermo Decano Titolare P. D. Porfirio di Catania Decano P. D. Carlo di Militello Decano P. D. Bernardo di Catania Dec·ano P. D. Severino di Cata.nia Decano P. D. Felice di Siracusa Decano Monaste1~0 di Licodia P. D. Porfirio di Catania Decano e Rettore quale tenga la cura de Magazzeni D. Claudio di Melilli Cellerario e Maestro d'Atti, quale habbia cura dell'esigenza e della ·spesa D. Giacon10 Riggio Sacerdote Secolare per 3°. Monaco F. Lorenzo di Catania alla Cantina, Sacristia e lampade F. Angelo idi Pedara alla Cucina

Grancia di Paternò P. D. Severino di Catania Decano, haverà la cura de Magazzeni D. Onorato di Catania Procuratore, haverà la cura de censi molini e spesa F. Raffaele di Catania alla cocina [ ... ]

[f. 112v.]

Nos Don Honoratus a Panormo A-bbas et P.raesi1d·ens Congregatianis Cassinensis

R·ev.mo Patri Don Bartholo1neo a Paternione, Abbati S. Mariae Magdalenae de Messana s·alutem in Domino. Destinato R.mo Patri Don Guido a Bergamo Abbate nostri Monasterij Sancti Nicolai de Arenis in AdministratoPcm Monasterij Sancta Maria Cesenatensis, ne praedictum Catanense Monastcrium Capite privatum, aliquod in temporalibus et spiritualibus detri1nentum :i.ncurrat, Nostri Pastoralis muneris ratio postulat, ut eidem Monasterio Consulentes, Idoneum Pastore1n, et Superiorem quantocius subrogemus; quamobrem •pracvio consensu Reverendissimorum Visitatorum Provinciae Siculae Te R.mum P.rem D. Bartholomaeum a Paternione Abbatem nunc Monasterij Messanae, Tua prudentia, et morurn integritate, quas probe noscirnus, confisi in Monasterij praedicti S. Nicolai Catanensis vacantis, usque ad proxhnam futuram Dietam, Administratorem, atque Superiorem authoritate, qua fungimur, ·eligimus, et instituimus, et electu1n, et insti tutum, tenol'C praesentium decernimus, et promulgamus. Propterea Te declara1nus a Regimine iam dicti Monasterij Messanae omnino absolutun1, et remotum: facultatem igitur tibi tribuimus Iaudatum


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Gaetano Zito

Catanense Monasterio gubernandi, moderandi, et regendi in spiritualibus et temporalibus, eaque omnia faciendi, et exercendi, quae verus et Jegi· timus Abbas de iure et consuetudine facere et exercere valeret. In V·irtute autem S. Obedientiae precipimus Ad1n. Rev. P.ri Priori Claustrali, Decanis, Monachis, Commissis, Oblatis, omnibusque degentibus praedicto Monasterio, ut Te tamquam verum, et legitimum Superiorem, et Administratorem recipiant ·et agnoscant; Tibique in on111ibus pareant, et obediant [f. 113r.] sub poenis nobis, et Regimini reservatis. In quorum fidem praesentes nostra manu Reverendissimorum Patruum Visitatorum Surpradictorum subscriptas, et nostro sigillo munitas expediri iussimus. Datum Perusij in Monasterio Sancii -Petri die 25 Mensis Octobris Anno Domini 1718. D. Honoratus Abbas et Praesidens D. Seraphinus a Senis Abbas et Visitator Don Anselmus a Sy.racusis Abbas et Visitator Locus Sigilli D. Anto.nius M.a a Bergamo Prior ProCancell.s [

... ]

[f. 114r.]

Em.mi e Rev.mi SS.ri

Don Bartolomeo d'Alessandro Abbate del Venerabile Monastero di San Nicolò l'Arena di Catania della Congregazione Cassinese del Regno di Sicilia Umilmente espone all'EE. VV., che no.n ostante il legitimo impedimento 1dell'Interdetto Apostolico nella sudetta Città e Diocesi dj Catania, per il quale veniva proibito a Regolari di poter ammettere alcnn Giovane all'Abbito Regolare l'Oratore inoderno Abbate del Monistero sudetto ha ritrovati vestiti e Professati li seguenti Religiosi cioè, D. Remigio di Siracusa D. Giovan Battista parim-ente di Siracusa, D. Placido di Catania, D. Mauro di Paternò, e D. Odoardo di Siracusa. [f. 114v.] Che però supplica l'EE. VV. per la benigna facoltà di poter novamente far rattifìcare a detti Religiosi la già nulla Professione, affinchè passino essere ammessi al numero prefisso di Professi nel sudetto Monistero o pure no.n volendo li medesimi rattificare la 1detta Professione passino deporre l'Abbito Religioso. Che Die 6 Maij 1719 Sacra Congregatio Em.orun1 S. R. P. Cardinalium Concilij Tridentini interpretum votis existentibus narratis, petitam facultatem admittendi pr'aefatos Religiosos ad rathificatianem Professionis, Abbati Oratori benigne impertita est. P. Card. Conradinus Prefectus Loco -1- Sigilli P. de Cambeccinis Sec.s Gratis etiam quo ad Secreteriam


LE RELAZIONI " AD LIMINA

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DELLA DIOCESI DI CATANIA (1691)

ADOLFO LONGHITANO

*

1. IL VESCOVO FRANCESCO ANTONIO CARAFA

Contrariamente alla prassi seguita solitamente dalla corona spagnola nella presentazione dei nuovi vescovi, dopo la morte di Michelangelo Bonadies, avvenuta il 27 agosto 1686, la diocesi di Catania non rimase a lungo vacante. Secondo una notizia riferita dallo storico catanese V. M. Amico, in un primo momento era stato invitato per la sede di Catania il vescovo di Reggio Calabria Martino Ibafìez, ma questi rifiutò la proposta 1• Nel novembre del 1687 dalla sede di Lanciano in Abruzzo accettò di essere trasferito a Catania Francesco Antonio Carafa, appartenente ad una delle famiglie onnipresenti nella società dei secoli XVI-XVII 2 e membro della congregazione religiosa dei chie-

* Docente di Di,ritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 V. M. A1\t11co, Catana illustrata, II, ex typographia S. Trento, Catanae 1741, 505. 2 La famiglia Carafa (o Caraffa) ebbe origine nel -secolo XII dalla famiglia Caracciolo. Ne f-u capostipite Gregorio Caracciolo, detto Carafa forse perché concessionario della gabella del vino. I Carafa a partire dal secolo XIV acquistarono importanza e ricoprirono uffici e incarichi dì


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Adolfo Longhitano

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rici regolari teatini, un istituto che aveva avuto un ruolo di pri· mo piano nei movimenti della riforma cattolica e della Contro· riforma. Le due realtà dalle quali proveniva il nuovo vescovo di Catania, la famiglia Carafa e i chierici regolari teatini, avevano alcuni punti in comune. Infatti tra i fondatori dei teatini, assie· me a Gaetano da Thiene, Bonifacio de' Colli e Paolo Consiglieri, troviamo nel 1524 il napoletano Gian Pietro Carafa (il futuro Paolo IV) 3• Questa circostanza determinò uno stretto legame fra la nuova congregazione religiosa e la potente famiglia dei Carafa: quest'ultima, infatti, contribuì alla crescita e alla diffu. sione della congregazione dei teatini sia dandole il suo appoggio morale e politico, sia indirizzandovi molti dei suoi figli cadetti. La personalità del vescovo Francesco Antonio Carafa va, pertan· to, delineata tenendo presente allo stesso tempo questa doppia matrice familiare e religiosa.

a) La congregazione dei chierici regolari teatini Fra coloro che avevano cercato di risolvere concretamente il secolare problema di riformare la Chiesa in capite et in mem· bris, troviamo nei secoli XV-XVI i fondatori degli oratori del Divino Amore e delle compagnie di S. Girolamo, che da Genova, Roma e Vicenza si diffusero in diverse parti d'Italia con un programma ben determinato: impegnare i loro membri, laici e chierici, allo stesso tempo ad una intensa vita interiore e ad una operosa azione di carità. Gli iscritti a queste istituzioni si im·

1prestigio in tutti i settori id.ella vita sociale (B. ALDIMARI, Historia genealo-

gica della faniiglia Carafa, divisa in tre libri, nella stamperia di Giacomo Raillard, Napoli 1689; V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare, 2 voll., Ed. Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1929, I, 312-313; per il profilo biografico dei personaggi più rappresentativi di questa famiglia vedi inoltre: Dizionario biografico degli italiani, XIX, Ist. Enciclopedia Italiana, Roma 1976). J F. ANDREU, voce Chierici regolari teatini, in Dizionario degli istituti di perfezione, Il, Ed. Paoline. Roma 1975, 978-999: 978.


Le relazioni "ad limina" della diocesi di Catania

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pegnavano nella preghiera assidua e nella partecipazione frequente ai sacramenti, promuovevano la fondazione di ospedali per incurabili, di orfanotrofi, di case per donne pentite e si dedicavano personalmente alla cura delle persone in questi ricoverate, erigevano e gestivano monti di pietà, fondazioni per assicurare la dote alle ragazze orfane o povere e altre opere assistenziali. E' noto che uno dei principali meriti di queste compagnie fu quello di aver accolto l'istanza di un serio rinnovamento della Chiesa senza attendere che dell'iniziativa si facesse carico l'autorità. Per realizzare questo loro progetto esse si impegnarono anzitutto nella conversione personale e cercarono di tradurre concretamente sul piano sociale la fede professata. In tal modo fu data una risposta ai bisogni di una società che incominciava a porsi in maniera diversa i problemi dell'assistenza ai malati, ai poveri e agli emarginati 4 • Da queste istituzioni nella prima metà del secolo XVI presero nuovo vigore le confraternite laicali e una nuova forma di vita religiosa, che avrebbe avuto una straordinaria diffusione anche nei secoli successivi: chierici 5 'regolari • In un primo momento i promotori di queste congregazioni di sacerdoti miravano solamente a riproporre la primitiva forma di vita apostolica alla quale si erano ispirati fin da S. Agostino tutti coloro che avevanci, preso a cuore le sorti del clero diocesano: vita di preghiera, povertà, celibato, vita comune, preparazione dottrinale adeguata, massima disponibilità per la cura delle anime ... Di fatto, però, l'iniziativa ebbe come effetto l'affermarsi di

4 M. BENDISCIOLI, La rifor1na cattolica, Studium, Roma 19732, 34-54; A. FLICHE- V. MARTIN, Storia della Chiesa, XVII, trad. it., SAIE, Torino 1977, 9-45; I-!. JEDIN, Storia ,della Chiesa, VI, trad. it., Jaca Book, Milano 1975, 518-522; G. C. MEERSSEMAN - G. P. PACINI, Le oonfraternite laicali in Italia dal Quattrocento al Seicento, in AA. Vv., Problemi di storia della Chiesa in Italia nei secoli XV-XVII, Ed. Dehoniane, Napoli 1979, 109-136. 5 A. PLICHE, - V. MARTIN, l. c.; P. BIANCHINI, voce Chierici Regolari, in Dizionario degli istituti di perfezione, cit., 898-978.


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una nuova forma di vita religiosa, che sviluppò ulteriormente l'istanza che troviamo all'origine degli ordini mendicanti: uscire dai chiostri e dall'isolamento per avvicinarsi maggiormente ai fedeli, evitare la rigidità eccessiva delle forme tradizionali di preghiera (la recita corale del breviario nelle ore stabilite) per consentire un maggiore adattamento alle esigenze della cura d'anime, assicurare ao sacerdoti membri una prepara2lione dottrinale adeguata ai problemi posti dalla Riforma. La diffusione che ebbero le diverse forme di chierici regolari testimonia la bontà di questa formula; ai teatini, nati ufficialmente il 14 settembre 1524, si aggiunsero ben presto barnabiti (1530), i somaschi e la compagnia di Gesù (1534), i ministri degli infermi (1582), gli scolopi (1617) ... L'ascesa al trono papale di Gian Pietro Carafa, uno dei fondatori dei teatini, consentì a questa congregazione di chierici regolari un maggior inserimento nelle strutture ecclesiastiche e un loro impiego nell'attuazione della riforma cattolica e del Concilio di Trento. L'inserimento di questi istituti nelle strutture della Chiesa ebbe come conseguenza un loro progressivo adegl1amento ai princìpi cl1e animarono la Controriforma, ancl1,e se rimase una certa differenziazione fra di essi, dovuta allo spirito dei loro fondatori e alle particolari opere apostoliche che si proposero di svolgere. Così, ad esempio, mentre la compagnia di Gesù trasferì sul piano dell'azione apostolica lo spirito mllitare del suo fondatore e si rese protagonista di quella mentalità battagliera, controversistica e intransigente che caratterizzò il movimento della Controriforma, i teatini si indirizzarono soprattutto verso la riforma liturgica che non comportava uno scontro frontale con gli eretici e si dimostrarono meno intransigenti e polemici. Pnr nel diverso spirito che animò la loro azione apostolica, le nnove congregazioni religiose riuscirono ad attuare, relativamente ai loro membri, la riforma del clero voluta dal Concilio di Trento, per la quale erano stati istituiti i seminari. Infatti mentre quest'ultima istituzione ebbe una vita grama e solo nei secoli seguenti raggiunse dei risultati apprezzabili, le congregazioni reHgiose fnrono in grado di dare una risposta immediata. Non n1eraviglia, perciò, se esse divennero un vivaio di ve-


Le relazioni " ad limina " della diocesi di Catania

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scovi e di sacerdoti colti, che in molti casi finirono per monopolizzare lo studio delle discipline teologiche 6•

b) L'ambiente familiare, la formazione e il ministero di Francesco Antonio Carafa Il vescovo Francesco Antonio proveniva dal ramo principale della famiglia Carafa detto «della Spina" 7• Il nonno Fabrizio aveva ottenuto da Filippo II, nel 1594, il titolo di principe per il valore dimostrato nella difesa di Roccella 8; ma il padre Vincenzo, in quanto figlio cadetto, si era dovuto accontentare del titolo di conte di Bruzzano, spettando al primogenito Girolamo quello di principe di Roccella. Dalle s,econde nozze che Vincenzo aveva contratto con Ippolita Staiti d'Aragona erano nati dieci figli, otto dei quali, secondo la ferrea legge del maggiorasco, furono indirizzati a prendere i voti in diversi ordini religiosi: Francesco Antonio nei teatini, Carlo nell'ordine militare di S. Giovanni di Gerusalemme, sei figlie femmine in diversi monasteri di Napoli e di Mes-

6 <(In quanta stima la Sede Apostolica abbia avuto i chierici .regolari lo pu© sufficiente1nente dimostrare il ,cospicuo numero di quelli che sono stati insigniti della -porpora cardinalizia e dell'ordine episcopale. Infatti oltre al papa Paolo IV, l'ordine teatino ·conta 8 cardinali [ ... ] più di 250 vescovi, per cui ha meritato l'appellativo di 'seminario di vescovi'}> (F. ANDREU, op. cit., 993). Per l'incidenza che i nuovi ordini Teligiosi ebbero nel ca1npo dello -studio delle discipline teologiche vedi: H. JEDIN, op. cit., 688-697; A. FLICHE · V. MARTIN, Storia della Chiesa, XVIII, ,[rad. il., SAIE, Torino 1976, 225-273. 7 Il ra1no veniva detto <cdella Spina» perché lo stemma era attraversato da un ,ramoscello spinoso. <cl Carafa d·ella Spina, vogliono gli autori, presero tale denominazione per il fatto che due c·avalieri di detta casa portando in una giostra sugli scudi le tre fasce rd'argento in campo rosso, alla ·Sorpresa di re Carlo II di Angiò, rper essere quelle le regie armi d'Ungheria, attraversarono lo scudo con un·a spina presa da una siepe vicina» (V. SPRETI, op. cit., 313). 8 B. ALDIMARI, op. cit., I, 277-304; C. Russo, voce Carafa Fabrizio, in Dizionario biografico degli italiani, cit., 541-542.


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sina. Solo il primogenito, Giuseppe, e uno dei cadetti, Federico, contrassero matrimonio 9 • Il nostro vescovo nacque a Napoli ma non conosciamo la sua data di nascita. Nel processo informativo che si tenne nel 1675, prima della sua nomina alla sede di Lanciano, risulta che egli aveva quarant'anni rn Si deve dedurre, perciò, che egli fosse nato nel 1635. Per indirizzarlo alla carriera ecclesiastica, dove poteva con tare sull'appoggio e la guida di diversi zii e cugini 11 , i suoi genitori lo fecero entrare all'età di dodici anni nella congregazione dei teatini 12 • Anche se sembra molto fondata l'ipotesi

9 10

B. ALDIMARI, op. cit., I, 321-334. II teste Girolamo Vitale depone: «Egli è 1nato nella città di Napoli

[ ... ]. Egli è nato di Iegitimo matrimonio da Cattholici e nobili parenti, havendo conosciulo suo padre D. Vincentio Carafa, .duca di Bruzzano e la madre era di casa Staiti, quali lo tenevano per figlio legitimo e natu· raie. Dal aspetto si conosce assai bene ch'egli ha finito l'età idi trent'anni e tocca il quarantesimo di essa» (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Processus Datariae [=PD], 53, 209). Il preposito generale della congregazione dei teatini certifica: «Fidem facimus et veritatis verbo testan1ur rev.mum patre1n Franciscum .A..ntonium Carafa praesbiterum nostrae congregationis [, .. ] esse procreatum jn civitate Neapoli de legitimo matrimonio ex catholica et nobilis-shna familia; agere aetatis suae annun1 quadlragesimum» (lbid., post 210). 11 Se non vogliamo andare indietro fino al papa Paolo IV (Gian Pietro Carafa, morto nel 1559) e al suo famigerato nipote, il card. Carlo Carafa, giustiziato nel 1561, fra i parenti più illustri di Francesco Antonio troviamo in tempi a lui più vicini .nella gerarchia ecclesiastica: lo zio paterno, card. Carlo Carafa, vescovo di Aversa, nunzio apostolico dei papi Gregorio XV e Urbano VIII, morto nel 1644; Jo zio paterno, Simone Carafa, arcivescovo di Messina, morto nel 1676; il .cugino, card. Carlo Carafa, vescovo di Aversa, nunzio apostolico in Svizzera, a Venezia e presso l'imperatore, infine legato pontificio a Bologna, morto nel 1680; il cugino Iacopo, arcivescovo di Rossano, nlorto nel 1664; il cugino Paolo, vescovo idi Aversa, morto nel 1686; il cugino, card. Fortunato Car'afa, morto nel 1697. 12 ((Franc:esco nell'età d'anni dodici si dedicò alla vita religiosa dc' chierici regolari teatini, e allevato sotto la disciplina di quell'ordine e nella maggior parte del tempo, sotto l'educatiane di D. Paolo c·arafa vescovo d'Aversa suo fratello, riuscì ese1nplare religioso» (B. ALDIMARI, op. cit., 327). Il "fratello" Paolo Carafa, nominato vescovo di Aversa il 6 luglio 1665, era in realtà suo cugino, uno dei figli cadetti rdi Girolamo, fratello del padre. La sede vescovile di Aversa poteva essere considerata 1


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di una vocazione "suggerita", pare che Francesco Antonio abbia accolto di buon grado il consiglio dei genitori e si sia mostrato docile agli insegnamenti ricevuti, perché dai documenti e dagli storici gli viene riconosciuta una intensa vita interiore e un non comune amore per i poveri, due delle caratteristiche fondamentali del modello di santità proprio dei chierici regolari"La formazione del futuro vescovo avvenne nello studentato interno dei teatini, che proprio in quegli anni avevano dato l'assetto definitivo al corso di studi necessario per accedere agli ordini sacri: «Terminato il corso umanistico gli alunni ne seguivano uno semestrale di sacra eloquenza; corsi speciali erano dedicati allo studio delle lingue bibliche [ ... ]. Seguiva il corso filosofico per un triennio; poi quello teologico, almeno per quattro anni e non più di cinque [ ... ]. L'ordine onorava i migliori studenti con il grado di "lettore", equiparato alla laurea, che coronava l'esame de universa theologia» 14 • Nel processo informativo per la nomina alla sede di Lanciano, il teste Girolamo Vitale afferma a tal proposito: «Egli ha fatto il suo corso di studij sì in teologia come di filosofia, essendo stato approvato in essi dalla religione con titolo di maestro, non essendo noi soliti prendere laurea di dottorato e fra di noi sempre è stato stimato per buonissimo teologo» 15 • Ma il titolo di «maestro in teologia», rilasciato dalla congregazione a 1

un "feudo" dci Carafa, se si tiene presente che dal 1616 al 1697 fu retta da quattro vescovi appar·tenenti a questa fa1niglia (Hierarchia catholica rnedii et recentioris aevi, IV, II Messaggero di S. Antonio, Padova 1967, 106; V, Padova 1952, 109). 13 Questa fan1a di pietà e di carità, tramandata idagli storici locali, spinse G. Am'adio ad inserire il suo non1e fra coloro che morirono in fama di santità (G. CONSOLI - G. AMADIO, Santi ed eroi di carità in Catania, Vi,aggio - Campo, Catania 1950, 122-123). 14 F. ANDREU, op. cit., 993-994. 15 PD, 210. II 1preposito generale dei ,teatini certifica: «Fìdem faci1nus et veritatis verbo testan1ur rev.dum patrem F:r'anciscum Antonium Carafa [ ... ] philosophìae et theologìae professorem, nullo autem gradu in dictis scientijs gaudere, cu1n hoc in nostra congregatione compertum non sit; pollere nihilo1ninus ea doctrina requisita in episcopo ad hoc ut aHos docere possit>} (Ibid., post 210).


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conclusione del suo corso interno di studi, probabilmente veniva equiparato nella comune estimazione a un titolo accademico 16 • Al termine della sua formazione e del corso di studi previsto dalle costituzioni dei teatini, Francesco Antonio fu ordinato sacerdote. Solo da alcune indicazioni del processo informativo possiamo stabilire approssimativamente che egli ricevette l'ordinazione sacerdotale verso il 1657-1658, all'età di ventidue o ventitré ain·ni cirioa 17 • Dopo l'ordinazione sembra che il Carafa sia stato inviato molto presto in Spagna, dove i teatini, fin dai primi decenni del secolo XVII, avevano fondato diverse case religiose. Ancora in giovane età ebbe la nomina di superiore a Madrid e a Saragozza, ufficio che esercitò per un decennio; fu anche visitatore, per la sua congregazione, delle due province di Castiglia e teologo del nunzio apostolico a Madrid 18 • L'esercizio di questo ministero gli permise di frequentare la corte spagnola e di farsi conoscere e apprezzare. Dagli storici, oltre che come teologo, è anche ricordato come predicatore della parola di Dio 19 • J6 Si spiega così la fama id:i «grande teologo» che gli fu riconosciuta dagli storici e la nomi1na di teologo del nunzio apostolico alla corte di Mad,ri-d che il Carafa ebbe durante la sua permanenza in Spagna. Dopo il suo trasferimento a Catania, nella intestazione del decreto di nomina del vicario generale, firmato dal Cara.fa a Napoli il 9 dicembre 1687, troviamo il titolo: «Sacrae Theologiae doctor» (ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE DI CATANIA, Tutt'Atti [=TA] 1687-1688, 219-220). 17 Il teste Girolamo Vitale afferma .nel 1675: (<Egli è sacerdote da più di 16 anni in circa» (PD, 210); mentre il preposito generale dei teatini si li111ila a scrivere nel suo certificato: «A pluribus annis in sacro ordine praesbiteratus constitutun1» (lbid., post 210), 18 B. ALDiìvlARI, op. cii., 327-328. Leggiamo nel processo informativo .per la no111i,na alla ·sede di Lanciano: «Il padre Carafa è stato visitatore in Spagna e proposito delli conventi di Madrid e Saragozza nella nostra religione et in essi ha dato sen1pre buonissimo saggio di sé, tanto circa la vita co1ne circa la dottrina e costumi con essersi portato laudabilmente» (PD, 210). 19 «Franciscus Antonius Carrafa, patritius neapolitanus, clericus regularis theatinus, celebri,s :theologus et idlvini verbi 1praeco» (F. UGHELLI, Italia sacra .. ., VI, cditio secunda aucta et emendata cura et studio Nicola-i Coleti, apud S. Coleti, Venetiis 1720, 794).


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In data 1 aprile 1675 fu presentato alla Santa Sede come arcivescovo di Lanciano dalla regina reggente 20 • La nomina porta la data del 27 maggio 1675 "; la consacrazione episcopale gli fu conferita dallo stesso papa Clemente X 21 . Fece il solenne iingresso nell'arcidiocesi frentana nel settembre del 1675 e il suo ministero -episcopale, che esercitò a Lanciano per dodici anni, sembra sia stato caratterizzato dall'impegno di riportare la pace nella città e nella diocesi e di promuovere la riforma del clero. Uno dci primi editti, emanato il 20 settembre 1675, subito dopo il suo ingresso in diocesi, ci consente di individuare le fondamentali linee del suo governo pastorale: la formazione culturale e morale dci chierici e dei sacerdoti, il loro comportamento in conformità alle norme canoniche, la catechesi. «Che i confessori fra un mese esibiscano le licenze e si assoggettino all'esame. Che i parrochi facciano le feste di catechismo. Che i preti vestano di lungo, con pochi capelli e cherica e calzette di color n1odesto; che non portino arme, né giuochino a giuochi illeciti. Che assistano nelle domeniche e feste i chierici alle funzioni della cattedrale e si com11nicl1ino ogni 15 giorn1i in essa. Che vadano a scuola e frequentino la chiesa sotto pena di perdere la franchigia»"Nel 1676 iniziò la visita pastorale della diocesi e nel 1680, dal 25 febbraio al 15 marzo, celebrò il sinodo diocesano. Ebbe

20 Veùi il certificato rilasciato dal segretario della Congregazione Concistoriale il 27 n1aggio 1675, in cui so-no trascritti i dati relativi alla presentazione da parte della «Maiestas Catholica [ ... ] sub data Matriti die prima 1nensis proxime praeteriti» del padre Antonio Carafa <'praepositum [ ... ] S.ti Caictani ad ccclesia1n Lancianen» (,PD, post 210). 11 Hierarchia Catholica, cit., V, 235. 22 B. ALDiìvfARJ, op. cit., 328. Non conosciamo la data della sua consacrazione. 23 Notizie e documenti avuti dalla cortesia del sacerdote Giuseppe Castiglione, che ha ·effettuato -ricerche nell'archivio capitolare di Lanciano (Regesto di mons. A. Ludovico Antinori, arcivescovo dal 1745 al 1754), nell'archivio della curia e nel volume di L. RENZETTI, Il santuario di Nostra Donna del Ponte e i Vescovi ed Arcivescovi di Lanciano, Tip. F. Tom111asini, Lanciano 1887, 113-114.


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a cuore il seminario diocesano minore; vi costruì la cappella interna, che dedicò a S. Gaetano, e completò le sue strutture, facendolo diventare fiorente. Nel 1682 consacrò la cattedrale della Madonna del Ponte. Gli storici sono concordi nel far rilevare la stima universale che riscosse nella diocesi di Lanciano 24 •

e) L'inizio del ministero episcopale di Francesco Antonio Carafa nella diocesi di Catania In riconoscimento delle sue qualità e dei buoni risultati ottenuti come arcivescovo di Lanciano il Carafa, su presentazione dcl re di Spagna Carlo II, fu trasferito a Catania, una sede che per la sua vastità e le sue rendite era ambita da molti 25 •

24 Vedi nota precedente. G. B. Pacichelli .nelle sue notizie sull'arcidiocesi di Lanciano riferisce: «Contigua all'arcivcscov'al palazzo [si scorge] la chiesa di S. Gaetano, eretta da monsignor D. Francesco Antonio Carafa}} (G. B. PACICHELLI, Il regno di Napoli in prospettiva, III, a spese dcl Parrino e del Mutio, Napoli 1703, 9). ·Questa stessa ,notizia viene ripresa da A. MoNGITORE, Siciliae Sacrae [ ... ] D. Rocchi Pirri additiones et correctiones, Typis A. Fe1icella, Panorn1i 1735, 135. In realtà -si tratta della cappella interna dcl seminario minore, che il Carafa aveva dedicato a S. Gaetano, da lui considerato un santo da proporre come modello nella formazione dei futuri sacerdoti. 25 U,n confronto fra le due diocesi per accertare la loro consistenza può essere fatto anche solo tenendo conto dei dati contenuti nei due processi informativi per la no1nina e il trasferimento di Francesco Antonio Carafa. Depone il teste Giovanni Agostino Felli nel 1675: «L'arcivescovo idi Lanciano non ha sotto di sé alcun vescovo soggetto, essendo poco che è stato eretto in arcivescovato e la sua giurisdizione si estende per poche n1iglia [ ... ]. Le entrate del arcivescovato di Lanciano consistono tutti 1n denari effettivi che in tutto ascenderanno al presente a 800 scudi incirca di quella n1oneta; né .sono gravati di alcuna pensione [ ... ]. In Lanciano non vi sono collegiate, cui 1nanca anca il monte di pietà, ina vi sono sì bene 7 chiese parrochiali con il suo fonte battis1nalc oltre Ia metropoli, un n1onastcro di 1non·ache, 5 conventi di regolari, l'hospedale e da 4 compagnie di lai.ci [ ... ]. Girerà la diocesi da 15 miglia in circa e ha sotto di sé 5 castelli e sono: Arielli, Castelnovo, Ari, Frisa e Crecchie [ ... ]. In detta città non vi è eretto il sen1inario» {PD, 208-209). Nel secondo processo del 1687 depone il teste Stefano A·rmetto: {(Il valore delle rendite


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Nella bolla pontificia del 24 novembre 1687 26, oltre alle espressioni consuete sulle buone qualità del nuovo eletto e sui frutti abbondanti del ministero da lui svolto nella sede di Lanciano", troviamo alcuni e1ementi utili, che val la pena sottolineare per una migliore comprensione dei problemi che il vescovo farà emergere nella sua relazione ad limina. Nonostante le precarie condizioni in cui da tempo si trova la mensa vescovile di Catania, si continua la prassi consueta di imporre al nuovo vescovo il pagamento annuo di pensioni a persone ed enti indicati nella bolla 28 • Probabilmente il Carafa avrà fatto presente alla Santa Sede la situazione della mensa della n1ensa vescovale di Catania potrà ascendere al presente a 24.000 scudi di quella moneta de frutti certi che ·si ricavano dall'affitto di Ma~ scali, deci1ne, censi et altro [ ... ]. So che vi sono più pensioni ascendenti aJla som1na di 7.500 scudi di quella inoneta, fra quali ve n'è una perpetua idi scudi 2.200 a favore della chi,esa di S. Maria Maggiore di Roma [ ... ]. In detta città oltre la suddetta cattedrale vi sano 6 chiese parrochiali con il loro .fonte battesimale et una collegiata chiarn·ata Santa Maria dell'E.Iemosina con 18 conventi di padri e 14 monasteri dj n1onache fra quali vi è un conservatorio e sopra 20 confraternite di laici e lùll hospedale con il monte della .pietà [ ... ]. La diocesi è vasta et ha sotto di sé moltis· simi luoghi fra i quali vi sono con la nuncupatione idi città che sono: Piazza, San Filippo, ·Rc·albuto, Paternò et altri [ ... ], Vi è il seminario ove si alleva.no sopra 14 alunni, oltre molti convittori» (ARCHIVIO SEGRETO VATI· CANO, Processus Consistorialis [=PC], 84, 123v-124). 26 TA 1687-1688, 216·217. Il Mongitore nelle sue Addictiones al Pirri scrive per errore: 1 dicembre 1687 (A. MoNGITORE, op. cit., 135). 27 Per quanto si tratti di formule che si ripetono sempre ·uguali per tutti, riteniamo che nel c·aso del Carafa non fossero prive di significato: «Ad ie archiepiscopum nuper Lancianense, consideratis grandium virtu1un1 1neritis quibus personam tuam illam Largitor Altissimus multipliciter insignivit et quod .tu qui ecclesi·ae Lancianensis actenus Jaudabiliter prae· fuisti, eandem ecclesiam Catanen. scias, voles et poteris auctore Domino salubriter regere et feliciter gubermare ... ,, (TA 1687·1688, 216·216v). 28 <cSuper cuius mensae episcopalis .fructibus redditibus et proventihus una perpetuo 1duorum n1illium et ducentorun1 basilicae S.tae Mariae Maioris de Urbe et alij mille Alvaro de Moncada et alia ducentorum Francisco de Grigento, necnon alia ducentorum Cosimo de Messines et ['eliquae pensiones a.nnuae antiquae inille ducatorum monetae regni Francisci J achelJi clericis dilectis filij.s illa'5 annuatim percipientibus dieta aucthoritate reservatae existunt, quas ·salvas esse volumus» (lbid., 216v).


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vescovile e l'impossibilità di pagare le somme imposte. Infatti troviamo trascritte nei registri della curia di Catania due «bolle apostoliche» indirizzate una alla corte di Spagna e l'altra all'arcivescovo di Monreale. Nella prima «s'esorta alla Catholica Real Maestà prestarli il suo aggiuto e favore per l'ampliat1one et conservatione delle raggioni spettanti alla mensa vescovale di Catania» 29 • Nella seconda «s'esorta al R.mo Arcivescovo della città di Monreale di prestare il suo aggiuto a ditta sua Chiesa suffraganea» 30 • La bolla di nomina consente al Carafa di continuare a fregiarsi del titolo di arcivescovo, nonostante Catania sia a quel te1npo una diocesi e non un'arcidiocesi 31 . Gli si ingiunge, inoltre, di erigere nel capitolo cattedrale le prebende del canonico teologo e del canonico penitenziere, secondo le prescrizioni del Concilio di Trento"; un obbligo che troviamo anche nelle bolle degli altri vescovi di questo periodo, ma la cui attuazione comportava notevoli difficoltà per la particolare situazione in cui si trovavano i vescovi di Catania 33 • Il nuovo vescovo il 9 dicembre 1687, dinanzi al notaio G. B. Barbano di Napoli, conferì la procura per il possesso canonico dell'ufficio e della mensa al catanese Orazio Paternò Castello, barone di Sigona 34 e in pari data nominò suo vicario generale il can. Giuseppe Celestre Ventimiglia, che aveva già ricoperto

29 TA 1687-1688, 220-220v. Jo Ibid., 221-221v. Jl «[ ... ] Licentiam tribuendo necnon tibi quoad vixeris titulum, nomen et nominatianem archiepiscopi Lancianen. ita ut archiepiscopum Lancianen. denominare et inscribere et ab alijs denominari et insoribi libere et licite valeas ac si eiusdem ecclesiae Lancianen. adhuc verus presul existeres [ ... ]» (lbid., 216v). Le espres·sioni usate nella boJ,Ia 1non sono 1110Ito chiare. 11 C,arafa n-on continuerà a fregiarsi del titolo di arcivescovo di Lanciano ma solam,enie del titolo di arcivescovo-vescovo di Catania. 32 «Praeterea etiam volumus ut teologalem et penitentiariam praebendas in dieta ecclcsia Catanen. ad proscriptum Concilij Tridentini erigas, conscicntia1n tuam in his onerantcs» (Ibid., 217). 33 A. LoNGHITANO, Le relazioni «ad lin1ina>> della diocesi di Catania (1668-1686), i.n Synaxis 4 (1986) 351-476: 365. " TA 1687-1688, 218v.


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questo ufficio con il vescovo Bonadies e durante il periodo di sede vacante 35 • Il verbale del possesso canonico porta la data del 6 gennaio 1688 36 • Il Carafa giunse a Catania il successivo 17 febbraio 37 •

2. PROVVEDIMENTI DEL CARAFA NEI PRIMI MESI DEL SUO GOVERNO PASTORALE

Può esserci di aiuto alla conoscenza della sua personalità una lettura degli editti emanati nei primi mesi del suo governo. Non ci troviamo di fronte ad un numero rilevante di documenti o a dei provvedimenti che ci fanno intuire l'esistenza di un piano pastorale organico. Li riteniamo utili, tuttavia, perché ci aiutano a capire i problemi che stavano maggiormente a cuore al nuovo vescovo e che, secondo la sua sensibilità, richiedevano un intervento immediato. Alcuni di essi ricalcano gli editti che il Carafa aveva già e1nanato a Lanciano subito dopo il suo ingresso in diocesi.

a) Editto sul comportamento e la disciplina del clero Nei secoli XVI-XVII il problema del clero era fra i più angosciosi per un vescovo: nonostante le indicazioni date dal Concilio di Trento, infatti, non si era riusciti a trovare una soluzione adeguata per arginare il numero crescente dei chierici e dei sacerdoti, per qualificare il clero esistente e per preparare

35 Jbid., 219-220. 11 can. Giuseppe Celestre è uno dei personaggi di n1aggior rilievo della storia catanese di questo periodo. Dopo essersi prodigato per l'assistenza ai profughi dell'eruzione del 1669, sarà fra i protagonisti nell'opera di assistenz·a e di ricostruzione dopo il terren1oto del 1693 (F. FERRARA, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, L. Dato, Catania 1819, 211-217). '' Jbid., 222-223. J7 F. PRIVITERA, Annuario Catanese, Catania 1690, 238.


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convenientemente quello futuro. Le iniziative che comunemente venivano prese nelle singole diocesi non sempre erano le più idonee per curare i mali alla radice e in molti casi i vescovi non potevano fare altro che limitarsi ad emanare norme disciplinari munite di pene, allo scopo di eliminare gli abusi più appariscenti o di istituire un certo controllo su una pletora di chierici e di sacerdoti, spesso privi di formazione 38 • Il Carafa dimostra almeno di avvertire il problema e di considerarne prioritaria la soluzione nel suo programma pastorale. I primi due editti che troviamo dopo il suo ingresso in diocesi hanno per oggetto il clero. Il primo è del 7 marzo 1688 39 e riguarda l'abbigliamento dei sacerdoti e dei chierici e la loro iscrizione ad una determinata chiesa. In questo primo documento il vescovo appare sinceramente preoccupato di eliminare nel clero quei comportamenti che egli ritiene contrari alle norme tridentine e alle costituzioni sinodali vigenti. Probabilmente il suo vuole essere un primo approccio allo spinoso problema del clero, in attesa di affrontarlo in modo più incisivo e su tematiche di più ampio respiro. 38 Il problema riguardava le due categorie del clero: i chierici e i sacerdoti. Molti ricevevano la tonsura e gli ordini minori, ma non proseguiv·ano fino al sacerdozio, ·perché avevano interesse solamente ad entrare nello stato clericale per godere delle esenzioni e delle immunità ad esso rico.nosciut-c. Coloro che giungevano fino al sacerdozio raramente avevano .ricevuto una preparazione culturale e spirituale adeguata. I ve~ scovi, nella migliore delle ipotesi, ,potev·ano esercitare un controllo su coloro che chiedevano di .ricevere gli ordini, n1a potevano fare ben poco su coloro che li avevano già ricevuti o riuscivano a riceverli con sotterfugi da vescovi compiacenti. I1n molti casi i benefici provenienti dalla vigi~ lanza dei vescovi sugli ordinandi potevano perdersi durante i lunghi periodi di sede vacante, quando vicari di pochi scrupoli concedevano il nulla osta per l'ordinazione con estrema facilità (A. LONGHITANO, Conflitti di co111petenza fra il vescovo di Catania, i benedettini e gli ordini n1endicanti nei secoli XV e XVI, in Benedictina 31 (1984) 177-196; 359-386; M. RosA, La Chiesa n1eridionale nell'età della Controrifor1na, in La Chiesa e il potere politico (a cura di G. Chittolinì e G. Mìccoli), Storia 1d'Italia. Annali 9, Einaudi, Torino 1986, 292-345; X. TOSCANI, J.l recluta1nento del clero (secoli XVI-XIX), ibid., 573-628; M. ·GUAsco, La for1nazio11e del clero: i se111inari, ibid., 629-715). 39 ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE CATANIA, Editti 1679-1694, Slv-52.


II vescovo Francesco Antonio Carafa (B. Aldimari, Historia genealogica della farniglia Carafa, I, Napoli 1691, 327).


Francesco Antonio Carafa (busto n1arn1orco del mausoleo eretto nella cattcdral.e di Catania} (foto A. CafĂ )


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«Nos archiepiscopus D. Franciscus Antonius Carafa Dei et Apostolicae Sedis gratia episcopus Catanensis, regius consiliarius, comes Mascalarum et almi Studij urbis eiusdem Catanae cancellarius. Perché ni è pervenuto a notitia con non puoco nostro sentimento che molti chierici e persone ecclesiastiche nostre suddite, così di questa città di Catania come della nostra diocese, puoco curandosi dello stato ecclesiastico in che si trovano, non solo non vanno vestiti da chierici in habito e tonsura, ma che con capelli lunghi e ruosa, con zazzare e perucche, con tramese e con maniche aperte e molt'altri con calzette di colore, contro la forma del Sacro Conseglio Tridentino e costitutioni sinodali, non servendo né meno la cl1iesa come sono tenuti, non senza puoco scandalo del popolo che suole ammirare li attioni delli ecclesiastici. Volendo noi però obviare a tali inconvenienti e redurre nel nostro governo lo stato ecclesiastico nel dovuto suo apportamento, habbiamo deliberato far lo presente publico editto, in virtù dello quale ordiniamo e comandamo a tutti chierici e persone ecclesiastiche nostre suddite, così di questa suddetta nostra città di Catania come di tutta la sudetta diocese, di qualsivoglia stato e conditione che siano, acciò che di qua innanti habbiano, vogliano e debbiano et ogni uno di loro habbia, voglia e debbia andare in habito e tonsura vestiti coll'habiti lunghi sino a' piedi, e non spinti come sogliono portare alcuni di essi chierici, con calzette nere o di colore honesto, senza capelli lunghi, zazzare o perucche, ma con capelli corti in modo che habbiano d'apparere !'orecchie, con lenze piccole e maniche serrate, regolandosi in maniera che venghino dal publico non solo stimati per veri chierici e persone ecclesiastiche, ma che ne venghi edificato; ordinando parimente a tutti i suddetti chierici a dover servir la chiesa nella quale sono stati assignati e quelli che non tengono tale assignazione habbiano da ricorrere da noi o dal nostro vicario generale e quelli della diocese dalli nostri vicarij foranei che li sarà assegnata. Et il tutto habbi da seguire al più fra lo spatio di giorni 15 da contarsi dal giorno che sarà affissato lo presente publico editto, altrimente facendosi, alli controventbri s'intendono pri-


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vati delle loro franchezze e non li difenderemo nelle loro occorrenze e li constiovemo nelle pene disposte nelle sudette constitutioni sinodali et in altre pene a noi benviste. Et acciò che il presente nostro editto pervenghi alla notitia di ogni uno e non si possi allegare ignoranza, habbiamo ordinato si affissasse nelli lochi soliti publici e consueti di questa sudetta città di Catania e di tutta la sudetta nostra diooese. Datum Cataniae, die 7 martii, XI ind. 1688. Franciscus Antonius, episcopus Cataniensis. Agathinus Lancilotto, magister notarius».

b) Editto per l'«ordinatione generale ad Sitientes» Nel secondo editto del 17 marzo, firmato dal vicario generale, si preannunzia lordinazione generale per il sabato della quarta domenica di quaresima (sabato Sitientes) 40 • Al di là della volontà di adempiere ad uno dei fondamentali dove11i di un vescovo, il documento è particolarmente rilevante perché oi fa intravedere la volontà del Carafa di i1on procedere indiscriminatamente alle ordinazioni, ma di attuave un opportuno discernimento dei candidati agli ordini sacri e di avere un minimo di garanzia per la loro formazione spirituale. Ricorda ai vicari la responsabilità che si assumono in coscienza davanti a Dio nel rilasciare g]i attestati di idoneità. Denuncia la prassi di presentarsi al vescovo con lettere cli raccomandazione per ottenere un esame benevolo sui requisiti richiesti nei candidati dalle norme canoniche. Probabilmente per la prima volta nella diocesi di Catania obbliga gli ordinandi a premettere all'ordinazione un corso di esercizi spirituali, una pia pratica introdotta dai gesuiti che si avviava a diventare cli uso comune. Confrontando questo editto con quello analogo emesso dal suo predecessore in data 28 febbraio 1683 41 , è possibile constatare che alcune prescrizioni in esso contenute sono proprie del Carafa.

'° Jbid.,

52v-53v.

" Jbid., 24-24v.


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«Nos archiepiscopus D. Franciscus Antonius Carafa etc ... Desiderando noi consolare la nostra diocese colle consolationi spirituali ch'essigge l'officio nostro pastorale, habbiamo stimato primariamente intimare l'ordinatione generale per Sitientes, tre del prossimo venturo mese d'aprile; e dovendo procedere alla collatione de santi ordini, oltre l'esame solito da farsi, la coltura dell'anime per mezzo degli essercicij spirituali per tutti quelli che desiderano graduarsi in un tanto ministerio, retirandoli in qualche chiostro e luogo da noi per tale effetto deputando. E perché la brevità del tempo non permetterà l'applicationc di quanti giorni fossero necessarij per ditti santi essercicij, habbiamo determinato far lo presente publico editto collo quale primariamente intimiamo la suddetta ordinatione per Sitientes come sopra; alla notitia di che, tutti coloro che desiderano e vogliano ascendere così alli minori come alli sacri ordini vogliano subito conferirsi in questa città di Catania inanzi noi per doverci designare il luogo dove debbano fare dicti santi cssercitij, quali per quessa volta tantum, attesa ditta brevità di tempo, siano per quattro giorni; ordinando e comandando a tutti e singoli che a detti ordini vorranno ascendere a dover venire coll'approbatorie de nostri vicarij foranei così de vita et moribus, habilità esercitio di chiesa, ordinando a ditti vicarij et incarendo la loro conscienza a non dover fare ditta approbatio11e se non li costerà secundun1 Deum et veritatem esser tali; altrimente oltre che da noi si procederà rigorosamente contro ditti vicarij, e li sudetti ordinandi se ne ritorneranno senza la consecutione di detti ordini e resteranno a carico della coscienza di ditti vicarij le spese et interessi che patiranno ditti ordinandi per la venuta qui. S'ordina parimente a coloro che intendono ascendere al subdiaconato: portino li loro patrimonij certi e fidelissimi, fatti in forma solita con I'approbatorie de vicarij delli lochi, guardandosi ogni uno di portare patrimonij finti e fatti in fraudi, ma che siano atti liberi e proprij, colle solennità solite e dovute. S'ordina pure che li regolali venghino con le dimissorie de loro superiori; venghi pure ogni uno accompagnato dal proprio merito et adorni di virtù, guardandosi di portare lettere commen-


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datorie, né· venire con mezzi o favori humani, che oltre non moveranno l'animo nostro dal giusto sentiero della giustizia incorreranno nella nostra disgratia. Avvertendo finalmente a tutti ditti vicarij che vogliano inviolabilmente osservare quanto si è detto di sopra colla dovuta attentione e zelo, altrimente l'accusiremo al tribunale di Dio Signore nostro per rendercene esatto conto, come lo renderanno a noi quando scopreremo esserci qualche falta e ne conseguiranno da noi severissimi castighi. Datum Catanae, die 17 martij, XI ind. 1688. D. Joseph Celestre, vicarius generalis. Agathinus Lancilotto, magister notarius».

c) Editto per proibire i travestimenti che si facevano in occasione del carnevale c<con sacchi, testiere e lensola)) Un terzo editto del 26 marzo 42 intende rimuovere gli abusi derivanti dai travestimenti che si era soliti fare in occasione del carnevale o della processione dei misteri nella settimana santa. «Poiché con l'andare le donne con sacchi e testiere o con lensola ni potrebeno nascere molte inconveniente e scandali appresso tutto il publico di questa città, volendo noi come zelanti dell'honor di Dio rimediare il tutto, habbiamo determinato far lo presente publico editto in virtù dello quale ordinamo e comandamo non solo a tutte le donne ma anche agl'huomini di qualsivoglia stato e conditione che sieno che di qua innanzi non attriviscono comparire né per le strade, né nelle chiese vestiti con sacchi, né con testiere, né meno le donne con lensola, atteso che non solo vi saranno quelli strappati e levati d'addosso con farli conoscere da ogn'uno che sieno, ma li costitueremo e declareremo ex nunc pro tunc, per escomunicati et incorsi nelle pene e censure; l'assoluzione della quale escomunica riserviamo a noi costituendo parimente in pena di quattro mesi di carcere

" Ibid., 53v-54.


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ad ogn'uno delle persone che commoderanno a quelli li suddetti sacchi e testiere e li privamo della fratellanza della quale si trovano fratelli con sentirsi dalle loro compagnie e confratie per cancellati; et acciò che venghi il presente nostro publico editto alla notitia d'ogni uno habbiamo ordinato che si affissassi nelli luoghi soliti e publici di questa città per non allegarvi ignoranza. Datum Catanae, die 26 martij 1688. Francesco Antonio, vescovo di Catania. Agathinus Lancilotto, magister notarius».

d) «Editto che non si diano le chiave dei sepolcri» Non è nuovo il richiamo, fatto in un editto del 14 aprile 1688 43 , alla proibizione di dare in consegna la chiave del «sepolcro», nel giorno del giovedì santo, a persone del popolo senza un opportuno discernimento della loro idoneità: si trattava di una disposizione che si ripeteva annualmente. Meraviglia notare che il criterio di idoneità non si fonda sulle qualità obiettive delle persone, ma sulle funzioni che esse svolgono anche nelle strutture amministrative civili della città o sull'appartenenza ai ceti nobiliari. «Archiepiscopus D. Franciscus Antonius Carafa episcopus Catanen. Perché d'alcuni anni a questa parte have occorso con non poco meraviglie appresso questo publico d'haversi dati le chiave dei santi sepolcri dove si retrova collocato il corpo sacrosanto di Cristo Signor nostro nel Giovedì Santo a persone secolare quasi di tutte conditioni e quesso viene a redundare a poca veneratione del culto divino e contro li decreti pontificij che Io prohibiscono; perciò n'è parso fare lo presente publico editto in virtù dello quale si prohibisce a tutti governatori et officiali delle chiese, congregationi et altri et anche a tutti superiori dei conventi di regolari di questa sudetta città che non vogliano in nessun conto consignare a persone secolari di qualsivoglia conditione che siano le chiave suddette de santi sepolcri, eccettuate 43

Ibid., 54·54v.


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però !'Ili.te Capitano Giustiziario di questa città con il Governatore della venerabile Compagnia delli Bianchi o persone che ne tengono facoltà; e questo sotto la pena a ditti regolari d'interdetta di loro chiese et a tutti li altri officiali dell'altre chiese pure di essere chiuse e di suspensione di loro officij ed altre pene a noi benviste. Datum Catanae, die 14 aprilis 1688. D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. Agathinus Lancilotto, magister notarius».

e) Due editti per la prima visita pastorale L'editto per l'indizione della prima visita pastorale è senza data 44, ma fu emanato probabilmente il 30 aprile, data di un secondo editto 45 , che pubblichiamo di seguito, con cui si invitano tutti i sacerdoti diocesani e religiosi ad assistere nella cattedrale all'inizio della visita. Il primo docu1nento costituisce un richian10 ai mh1uziosi adempimenti richiesti per la preparazione e lo svolgimento della visita pastorale. La conoscenza di queste prescrizioni può essere utile per una più obiettiva lettura dei dati che saranno riportati negli atti della visita e di riflesso nella stessa relazione ad limina. Il documento è firmato dal vicario generale e sembra rifarsi per la parte disciplinare ad un precedente editto del vescovo Bonadies; infatti si fa cenno all'osservanza delle norme del <mostro sinodo celebrato ultimamente». «Noi l'arcivescovo D. Francesco Antonio Carafa per la Dei gratia e della Santa Sede Apostolica vescovo di Catania, conte di Mascali, del conseglio di Sua Maestà e cancelliera dell'almo studio di detta città a tutti fedeli christiani della diocesi di Catania. Essendo molto necessaria la visita della diocese tanto incauta da sacri canoni alla quale m'obliga espressamente lo Spirito Santo nello Ecclesiastico con quel: Pecora tibi sunt inspice 44 Jbid., 55v-56v. " Ibid., 56v-57.


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et visit'll si come con l'esempio delle sue operationi ni insegnò Cristo Signor nostro quando in San Marco circuibat castel/a in circuitu doaens mentre per la visita si demonstrano i bisogni della diocesi e si soggeriscono i remedij salutari per corregersi i pravi costumi, si perfectiona la vita de sudditi, si conserva et augmenta il culto divino, il timor di Dio et il decoro della Chiesa e si provede finalmente a tutte le necessità. Per tanto volendo noi pratticare per quanto sia possibile l'appresi insegnamenti della divina sapientia, habbiamo determinato accincerne con la nostra pastorale vigilanza alla visita della nostra diocesi, quale in virtù di questo nostro editto generale paternamente intimamo, cominciando con l'aiuto di Dio, con il patrocinio della gloriosa Immaculata Vergine Maria e della padrona protettrice nostra Agata V. M. prima da questa nostra chiesa cattedrale e doppo successivamente proseguiremo nelle città e terre della nostra diocesi visitando tutte le chiese, parochie, monasterij, compagnie, confratcrnità, congrcgationi, oratorij, hospidali et altre chiese, luochi pij e persone che ni appartiene visitare per giuriditione ordinaria e delegata della Santa Sede Apostolica, S. Concili.i Tridentini, Bolle e costitutioni pontificie. E per non assegnare sotto l'ombra dell'inscienza qualche negligenza nell'apparecchiar le cose necessarie doveranno presentarsi in visita, notificamo et ordinamo a tutte le parrocchie, vicarij, cappellani, rettori, procuratori, mastri d'opera, tesaurari, depositarij, fidecommissarij, governatori et altri officiali delle chiese che tengono in ordine ogni cosa con descrittione e annotamento dell'abbatie, priorati, chiese collegiate con il numero dei canonici, dignità et altri ecclesiastici essistenti al servitio di esse chiese p:irocchiali, sacramentali et altri minori dentro e fuori di ogni città, terra ancor che fossero pretensi esenti dalla nostra giuriditione, eremiti, compagnie, confraternità congregationi, cappelle, oratorij, hospidali, monti di pietà et altri 1ochi pij, conventi di regolari di che ordine, titulo della chiesa, numero di frati che vi habitano di famiglia e quale siano le confessari e di che età e se in quelli si vive con regolare osservanza e se ve ne sono fondati doppo dell'anno 1625 o suppressi e reintegrati o si osservano le costitutioni ecclesiastiche contente nelle lettere della reintegratione. 1


Adolfo Longhitano

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Si terrà anche nota di tutto il clero secolare descrivendo con li nomi, età, officio e quali di essi siano confessori delli monasterij di monache, di che regola e vita ancorché pretense esenti con il numero delle professe, novicie, educande, converse e servienti, il numero di tutte le famiglie seu fuochi delle città e terre, dell'anime e quali siano di comunione di ogni città e terra.

Si farà ancora giuliana di tutti li legati pij, benefìcij che rendono e chi siano li fìdecommissarij con le conti dell'amministrationi di tutte le chiese, monasterij, compagnie, confraternità, ospidali et altri lochi e legati pij, delli depositarij de capitali doppo la nostra visione fatta nella precedente visita, repertorio delle Sante Reliquie con l'attestationi brevi d'indulgenze et altari privilegiati, delli giogali e supperlettili, delli beni, rendite con suoi decorsi e nomi di debitori, gravezze annuali e perpetue di tutte le suddette chiese, monasterij, compagnie, confraternità, ospidali, monti di pietà et altri lochi e legati pij di ogni città e terra che saremo per visitare come ordinario e delegato della Santa Sede Apostolica e le persone che tengono obligo di celebratione di messe anniversarij o altre opere pie mostrando fede dello adempimento di esse sopra tutto habbiano cura li vicarij di fare osservare esattamente il nostro sinodo celebrato ultimamente sicuri di haverne a render conto a Noi nel tempo della visita. Esortiamo pure a tutti quelli che non hanno ricevuto il S.to Sacramento della confìrmatione a venire in grazia a riceverlo nelle chiese e giorni che da noi si designeranno et essendovi calici, patene pissidi, corporali, vestimenti, sacre imma.., gini, tabernacoli, campane et altri paramenti ecclesiastici da benedire -et consecrare si tengono pronti per benedirli e consecrarli acciò che con questa prontezza possiamo dare la speditione e remedij necessari alle occorrenze offerendone in fine pronti per sentire tutto quello che ogni uno ci vorrà dire in secreto, in publico, per scrittura, per salute dell'anime, beneficio delle chiese e servitio di nostro Signore a cui sempre honore, gloria. Amen. Et acciò il nostro presente editto venghi a notitia di ogn'uno ordinamo si publichi nella nostra cattedrale e nelle matrici delle diocesi e si affissi nelli lochi soliti. 1


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Datum Catanae, in nostro episcopali palatio, die ... D. Ioseph Celestre, vicarius generalis. Agathinus Lancilotto, magister notarius». «Noi l'arcivescovo D. Francesco Antonio Carafa etc ... Essendo stata da noi per l'editto generale intimata la visita di questa nostra diocese in conformità di quanto espongono li sacri canoni e sacro Consiglio di Trento havendo giudicato conveniente a dar principio a questa santa opera dalla nostra cattedrale che per noi e per il presente nostro editto s'intima, ordina, e comanda a tutte le persone ecclesiastiche di qualsiasi stato e conditione siano cioè sacerdoti come clerici ai quali spetta, che domenica ventura, che saranno di 2 di maggio, ad hore 13 vogliano e debbiano e ciascheduna voglia e debbia trovarsi presente con le loro cotte nella chiesa cattedrale di questa città di Catania e intervenire alla funzione che a questo effetto si farà con la presenza et assistenza nostra et alla publicatione delli editti generali, quelli che mancheranno senza legittima causa di approvarsi da noi siano tenuti a pagare un rotolo di cera a Sant'Agata e restiranno pdvi delle franchezze per un anno. Incarichiamo anche a tutti li regolari commoranti in questa città che intervengano anche loro alla publicatione delli editti che si farà l'istessa matina nella sudetta chiesa cattedrale e per non allegarsi ignoranza vogliamo et ordiniamo che il pr·esente nostro editto si affissi nelli luochi soliti per la quale affissione si intendano e siano tenuti le persone di sopra esposte come se personalmente fossero state notificate et requisite. Datum in urbe Catanae, die 30 aprilis 1688. Francesco, arcivescovo vescovo di Catania. Agathino Lancilotto, mastro notaro». f) Editto per riconfermare ai sacerdoti le facoltà di confessare e di celebrare la messa in attesa dell'esame di ido-

neità Da un altro editto del 2 maggio 46

lbid., 57-57v.

46

siamo informati che il


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vescovo, nell'indire la visita pastorale, aveva sospeso ai sacerdoti della città le facoltà di confessare e di celebrare, in vista dell'esame di idoneità al quale tutti dovevano essere sottoposti; nello stesso tempo aveva stabilito un termine perché gli amministratori di beni ecclesiastici presentassero al suo controllo i libri contabili. Ma si vede obbligato a confermare le facoltà di cui ognuno è in possesso e a differire il controllo dei libri contabili, perché non prevede di poter fare tutto questo prima della sua partenza per la visita delle chiese della diocesi:

«Noi rarcivescovo D. Francesco Antonio Carafa etc ... Sin dal primo ingr.esso alla nostra santa chiesa e diocese di Catania habbiamo posta la mente che la dignità ed officio nostro pastorale esigge la visita del gregge alla nostra cura commesso; che però si come la nostra chiesa cattedrale è la prima, principale e capo di detta nostra diocese, così da noi è stato da essa ed in essa dato principio di detta s.ta visita; e perché giuste cause e motivi che guardano il solo servitio del Signore e dell'anime e la buona riforma de costumi ci chiamano alla visita delle chiese di ditta nostra cliocese, ed al ritorno colla gratia del Signore proseguire la visita di questa santa chiesa cattedrale et altre di questa città di Catania. Perché negli editti da noi promulgati vengono sospesi tutti li confessori, acciò si dovessero da noi esaminare, e non potendosi per la partenza stabilita da farsi per la visita di detta nostra diocese far ditta esame, per tanto per il presente publico editto vogliamo ed ordiniamo che detta sospensione di confessori non s'invenda da oggi innanzi come per li editti su detti, ma quindici giorni doppo il nostro ritorno in questa città, puotendo ogni uno de confessori in ditti giorni quindici presentarsi :innanzi noi e nostri esaminatori per essene esaminati et habilitati alla confessione. Stava pure ordinato negli editti sudetti che tutti li sacerdoti s'habbiano da presentare innanzi noi e n·ostri esaminatori per essere esaminati circa le cerimonie della S.ta Messa e questo fra lo spacio di giorni quindici, ma per la causa sudetta della nostra assenza vogliamo che ditti giorni quindici corrano doppo il nostro ritorno in questa città. E perché anche si ordinava negli editti sudetti che tutti li


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priori, tesorieri, depositarij, fìdecommissarij, governatori ed altri officiali a quali spettasse amministratione di beni, ad es. pensioni di chiese, monasteri, luochi pij et altri fra lo spaccio di mesi due havessero presentato li conti d'introito ed esito colli reveli in forma, come per ditto editto si vede, e per l'istessa causa di nostra assenza, non potendosi da noi esaminare ditti conti, ordinamo e comandiamo che il termine sudetto di mesi due se sia prorogato fino al nostro ritorno; con che all'arrivo nostro in questa città di Catania ogni uno di ditti officiali si trovi pronti ed in ordine di conti per presentarli a noi ed esaminarli e sententiarli secondo sarà di giustitia; che però per venire tutto alla notitia di ogni uno habbiamo ordinato il presente editto. Dato in Catania, ai 2 di maggio 1688. Francesco, arcivescovo vescovo di Catania. Agathino Lancilotto, mastro notaro».

g) Editto per le processioni nella festa del Corpus Domini Non è specifico del Carafa il consueto editto con cui annualmente si indicevano le solenni processioni eucaristiche per la festa del Corpus Domini 47 • Tuttavia il documento assume un particolare rilievo storiografico se si considera l'importanza che rivestiva questa festa nel periodo post-tridentino e della Controriforma. Da sottolineare l'obbligo della partecipazione per tutti i chierici, i religiosi e i laici organizzati, con le severe pene previste per coloro che si fossero assentati: «Archiepiscopus D. Franciscus Antonius Carafa episcopus Catanensis. Perché giovedì che saranno li 17 del corrente mese di giugno 1688 s'havirà da sollennizare la festività del SS.mo Sacramento assieme farsi le solite processioni così in ditto giorno come nell'ottava di quello; perciò in virtù del presente publico

47

lbid., 58.


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editto si notificano tutti sacerdoti, chierici etiam costituti in qualsivoglia dignità, regolari, compagnie, confraternità et altri che vogliano e debbiano intervenir.e alle sudette prooessioni con le loro insegne, come è solito, retrovandosi presenti in ditti giorni nella cattedrale chiesa di questa sudetta città ad hore 22, sotto la pena di mese quattro di carcere per ogni uno che contraverrà .ed altre pene a noi benviste et alle regolari d'interdetto. Ordinando a tutte le sudette persone che sotto la medesima pena al ritorno che stiano in detta chiesa né si vogliano né debbiano partire da quella se prima non sarà data la benedizione. Datum Catanae, die 14 iunij 1688. Celestre, vicario generale. D. Giovan Battista Lancilotto, mastro notaro». Gli elementi che ci offrono questi documenti non sono sufficienti per delineare la personalità di Francesco Antonio Carafa; servono tuttavia a farci intravedere qualcuna delle sue principali preoccupazioni pastorali e una certa linea di azione che lo pone nella categoria di quei vescovi osservanti e desiderosi di attuare la riforma tridentina nella interpretazione propria della Controriforma, ma che non riescon,0 per motivi diversi, a fare o a realizzare progetti di ampio respiro. Sperando che da un'accurata ricerca sulla documentazione riguardante il suo periodo di governo si possa delineare meglio la figura e l'azione di questo vescovo, possiamo limitarci a trascrivere i giudizi e le notizie riferite dagli storici. Il Mongitore scrive che il Carafa «Creditam sibi ecclesiam laudabiliter rexit» 48 • Vito Amico Io giudica «pastor vigilantissimus» e «praesul zelantissimus ", che si sforzò di inculcare al popolo i buoni costumi «Dee ta1n verbo, quan1 exen1plo»; «sumn10 bonorum omnium luctu" fu rimpianto dopo la sua morte pr·ematura 49 • Il Ferrara lo considera <<Uomo di somma pietà, in guisa che potea dirsi il padre dei bisognosi. La morte lo tolse ben presto a Catania 1

48 A. MONGITORE,

49

V. M.

AMICO,

op. cit.,

135.

op. cii., 505-507.


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della diocesi di Catania

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a 26 agosto del 1692. Non gli si trovarono che pochissime cose: tt1tto avea dato in elemosine» 50 . Fra gli atti più rilevanti del suo breve governo pastorale gli storici ricordano: le pubbliche preghiere indette in diocesi per le due eruzioni dell'Etna negli anni 1688-1689 e per il terremoto che colpì il regno di Napoli; la consacrazione della chiesa di S. Agata al Borgo (1690), eretta dal Bonadies per gli sfollati da Misterbianco e dagli altri comuni etnei, in seguito all'eruzione del 1669 51 ; l'erezione di alcune collegiate 52 . Vito Amico riferisce che, a giudizio di alcuni, la morte del Carafa fu determinata dal dispiacere che gli procurò un grave episodio accaduto nella festa del Corpus Domini: fra le confraternite dei nobili (i Bianchi e S. Maria della Pace), degenerò in lite una delle solite controversie dovute a motivi di precedenza. Quando il vescovo si accorse che i litiganti ponevano mano alle armi, per sedare gli animi fu costretto a deporre il SS. Sacramento e a chiudere la cattedrale 53 • Il Carafa «morì l'anno 1692 a 26 d'agosto, martedì, hore 19» 54 • Fu seppellito nella cattedrale

50 F. FERRARA, op. cii., 207-208. 51 A. MoNGITORE, op. cit., 135. In una lapide posta sulla porta della chiesa si legge: «D.O.M. Post Aetnae 1ncendium triun1phali Agathae non1ù1e insignitum pijs ac oblatis sumptibus erectum: ab 'antistite Caraffa consecratum: terremotu din1tum: aeternitati magnificentius reviviscit. Anno 1709». 52 A. MONGITORE, op. cit., 136. 53 \T. M. AMICO, op. cit., 508. Lo ,storico catanese nel nar:rare questo episodio non riferisce la voce popolarie di una predizione 1dell'imminente terren1oto fatta dal Caraf-a mentre rilnproverava i fedeli per i fatti accaduti: «Guai a te, Catania; ma io n-on vedrò le tue rovine» (G. CONSOLI G. AMADIO, op. cit., 122-123). Neppure la maggior parte delle cronache coeve del terremoto fa cenno di questa predizione, come ad es. il volu1netto di F. PRIVITERA, Dolorosa tragedia rappresentata nel Regno di Sicilia nel.la città di Catania, Bisagni, Catania 1695, nonostante la tendenza dell'autore a scrivere tutto ciò che aveva un car·attere straor.d.inario o miracoloso, e nonostante i diversi riferimenti che egli fa al Carafa nei suoi scritti. Probabilmente risente di questa voce popolare l'espressione finale dell'epigrafe latin'a, che si legge tutt'ora nel monumento funebre del Ca-rafa: «Fossi rimasto in vita! Catania non sarebbe andata in rovina». 54 F. PRIVITERA, Dolorosa tragedia ... , cit., 55. Da notare ch·e nel computo


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di Catania; nel 1695 suo fratello gli eresse il monumento funebre che fu collocato nel transetto, rimasto illeso dopo il disastroso terremoto del 1693, quando il tempio fu ricostruito e aperto al culto.

3. LA RELAZIONE «AD LIMINA" DEL VESCOVO CARAFA

Francesco Antonio Carafa governò la diocesi di Catania per quasi cinque anni e inviò alla Santa Sede una sola relazione ad limina. Contrariamente a quanto avevano fatto i suoi predecessori che, all'inizio del loro governo pastorale, avevano dato nella prima relazione un quadro ampio e dettagliato dello stato in cui si trovava la diocesi, il nostro vescovo ripete nello schema, e a volte anche nelle espressioni, le ultime relazioni del Bonadies 55 . Si limita solamente ad aggiornare i dati sulle persone e le istituzioni ecclesiastiche, da lui raccolti durante la visita pastorale; ma da un confronto fra questa relazione e l'ultima del Bonadies si può constatare che esistono poche varianti, ad eccezione dei dati sulla popolazione dei diversi centri. Un'analisi degli elementi contenuti in questo documento può aiutare il lettore nella sua utilizzazione storiografica.

a) La mensa vescovile Le tristi condizioni della mensa vescovile descritte dal Bonadies nelle sue relazioni non sembra siano cambiate al tempo del Carafa. La mensa è ancora amministrata dalla Regia Monarchia; al vescovo viene dato un assegno annuo di 4.000 scudi"-

del ten1po, si .iniziavano a contare le ore del gior.no dal tramonto del sole. Tenendo conto che il 26 agosto il sole tramonta dopo le ore 19, il Carafa inorì tra le 14-15. ss Vedi le relazioni del 1675, del 1679, del 1682, del 1686 (A. LoNGHITANO, Le relazioni <(ad lintina» della diocesi di Catania (1668-1686), .cit.). 56 Relazione del Carafa, 102v.


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b) La cura delle anime nella città e nella diocesi Non ci vengono dati elementi nuovi sull'organizzazione della cura d'anime nella diocesi di Catania. Il Carafa, secondo lo schema consueto, prima tratta della città e poi della diocesi; ma non aggiunge nessun dato nuovo a quelli che troviamo nelle relazioni del Bonadies. Nella città l'amministrazione dei sacramenti spetta al maestro cappellano della cattedrale, aiutato da quattro cappellani; si hanno anche quattro chiese sacramentali, coadiutrici della cattedrale, disposte nei diversi quartieri, le quali però non possono essere considerate parrocchie; i loro cappellani sono amovibili 51 • Non è specificata con chiarezza la situazione delle altre chiese della diocesi. Nella sintesi finale si dice solamente che si hanno quaranta chiese madri sacramentali nelle quali prestano il loro ministero trentadue cappellani amovibili e quattordici «parochi seu rectores» 58 •

e) Le collegiate Gli anni che vanno dal 1670 al 1754 delimitano il periodo in cui si diffusero nella diocesi di Catania le collegiate. Dopo l'erezione da parte della Santa Sede della collegiata di Piazza (1602), infatti, le antiche comunìe chiesero di essere trasformate in collegiate 59 • Fu il vescovo Michelangelo Bonadies che accolse le prime domande ed eresse le eolJ.egiate di Paternò (1670) e 57

lbid. Ibid., !04v. 59 Per -co1nprendere il processo di trasformazione che nella diocesi cli Catania dalle comunì-e porta alle colJegiate vedi: A. LoNGHITANO, La 58

parrocchia nella .diocesi di Catania priina e dopo il concilio di Trento, Ist. Sup. di Scienze Religiose, ·Palermo 1977, 109-142. In particolare è utile seguire il caso della chies·a inadre di Aci Aquilia (ipoi Acireale) (A. LoNGHITANO, La visita pastorale ,del vescovo Michelangelo Bonadies ad Aci Aquilia nel 1666, in Ade1noric e rendiconti dell'Accademia di scienze, lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici cli Acireale, serie III, 5 (1986) 367-423: 378381).


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di Assoro (1684); il suo esempio fu seguito sia dal vescovo Francesco Antonio Carafa (che ne eresse sei: quattro a San Filippo d'Agira nel 1689 - S. Filippo, Sant'Antonio, SS.mo Salvatore, S. Maria Maggiore - , le altre ad Adernò nel 1690 e ad Acireale nel 1691), sia dai suoi successori 60 • E' difficile stabilire gli obiettivi pastorali che intendevano raggiungere i vescovi con questi provvedimenti; forse si trattò di un tributo pagato al gusto per l'esteriorità e il formalismo barocco propri di quel tempo 61 • Nella sua relazione il Carafa si limita ad elencare le collegiate esistenti in diocesi senza far cenno alla sua j11iziativa di accrescerne il numero 62 •

d) Il seminario Non subisce alcuna variazione rispetto alle precedenti relazioni il numero di 15 alunni educati nel seminario 63 • Tuttavia, anche se la relazione non ne fa cenno, durante il periodo di sede vacante si era avuta una novità di rilievo nella vita di questo istituto: per iniziativa dei canonici era stato ingrandito l'edificio che lo ospitava e come rendita stabile gli erano stati assegnati gli introiti provenienti dalle pene 64 •

e) Le associazioni e le attività assistenziali L'unica variante che troviamo sul numero delle associazioni (sodalitafes) riguarda la città di Catania: mentre il Bonadies II Mangitore fa rilevare che l'erezione delle collegiate di San Filippo d'Agira provocò «iurgia inter ecclesiasticos» (A. MoNGITORE, op. cit., 136), fatto non nuovo per il clero di quella città. 61 Vedi le osservazioni critiche ·sulle collegiate che farà il vescovo di Catania S. Ventimiglia alla S. Sede nel 1762 (A. ,LONGHITANo, La parrocchia .. ., cit., 134-135). 62 Relazione del Cara.fa, 103v-104. 63 A. LONGHITANO, Le relazioni «ad limina» della diocesi idi Catania (1668-1686), cit., 370-371. 61 V. M. AMICO, op. cit., 505. 60


Stemma del vescovo Carafa (cattedrale di Catania)

(foto A. CafĂ )


Iscrizione dcl mausoleo del Carafa (cattedrale di Catania)

(foto A. CafĂ )


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nella relazione del 1686 ne aveva segnato 26 il Carafa ne indica 22 65 • Nell'elenco degli ospedali esistenti nei diversi centri della diocesi ne troviamo tre in più (16 invece di 13) "· Probabilmente sono stati inclusi in questo numero i tre orfanotrofi per ragazze che il Bonadies indicava come esistenti e dei quali non si dà notizia nella relazione del Carafa.

f) Il clero Un probabile errore del copista ha fatto aumentare notevolmente, rispetto alle relazioni del Bonadies, la consistenza numerica del clero della diocesi. Mentre nelle relazioni precedenti i sacerdoti di tutta la diocesi erano 1.050 e i chierici 1.500, nel documento del Carafa i sacerdoti diventano 1.500, ma non viene indicato il numero dei chierici 67 • Il copista, nel seguire lo schema delle ultime relazioni del Bonadies, probabilmente saltò il rigo dei chierici e la cifra ad essi relativa fu trascritta per i sacerdoti. Questa ipotesi è suffragata dal numero di sacerdoti e di chierici rimasto invariato nella città di Catania 68 e dal breve periodo di sede vacante avutosi dopo la morte del Bonadies: difficilmente nello spazio di un anno i sacerdoti della diocesi di Catania avrebbero potuto aumentare di ben 450 unità. Se si accetta questa ipo1'esi ci troviamo di fronte ad un numero di sacerdoti e di chierici che rimane invariato dal 1668, data della prima relazione ad limina del Bonadies: su una popolazione di circa 130.000 anime, abbiamo la media di 1 sacerdote per ogni 123 abitanti e 1 chierico ogni 87 abitanti (per la sola città: 1 sacerdote per 112 abitanti e 1 chierico per 90 abitanti), escludendo da queste cifre il numero dei religiosi 69 •

66

R·elazione del Carafa, 103. Ibid., 104v.

67

Jbid.

65

68

lbid., 103. 69 Se si confronta.no questi dati con quelli delle altre diocesi dell'Italia Jneridionale e settentrionale si può cons-tatare che Catania non si discosta dalla media nazionale (X. TOSCANI, Il reclutan1ento del clero, cit.).


370

Adolfo Longhitano g) La popolazione della città e dei diversi centri della diocesi

Dal nuovo censimento ordinato dal Carafa nel decreto di indizione della visita pastorale è stato desunto il numero degli abitanti della città di Catania (18.000) e degli altri centri abitati. A parte alcuni casi in cui si notano delle variazioni notevoli con i dati dell'ultima relazione del Bonadies (si veda il numero degli abitanti di Acireale, Paternò, Aidone, Barrafranca, Centuripe, Fenicia, Mascalucia, Tremestieri), si hanno generalmente varianti di scarso rilievo 70 , Un'attenta analisi di questi dati può darci indicazioni utili anche sulla ridistribuzione degli abitanti nei diversi centri etnei, seguita alla lava del 1669 e alla difficile e lenta ricostruzione degli anni successivi.

4. CRITERI METODOLOGICI SEGUITI NELLA PUBBLICAZIONE DI QUESTO DOCUMENTO

Non variano i criteri seguiti nella pubblicazione delle pre•cedenti relazioni: assieme al testo integrale latino del documento è stata data una libera traduzione in lingua italiana. E' stata riportata la numerazione meccanografica segnata nei documenti di questo fondo nell'Archivio Segreto Vaticano, dov'è conservato il testo originale della relazione. La trascrizione è stata fatta nel rispetto sostanziale del testo: le abbreviazioni più difficili sono state sciolte, le maiuscole .e la punteggiatura sono state adattate il più possibile ai criteri moderni. In nota sono state trascritte anche le sottolineature e le osservazioni dei prelati della Congregazione riportate in margine o in calce al testo; esse ci permettono di conoscere le impressioni e i criteri di lettura di questi documenti da parte degli officiali della Santa Sede. Ringrazio gli amici Proff. Salvatore e Maria Luisa Di Lorenzo per l'aiuto nella revisione dei testi.

10

Relazione del Ca,rafa, 104.


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XIX 1691 - Relazione scritta il 2 maggio 1691 dal vescovo Francesco Antonio Carafa e presentata a Roma per il procuratore can. Luca De Santis nel giugno del 1692 11.

[102] Beatissimo Padre, non permettendomi l'elevato numero dei miei anni e la malferma salute di venire a baciare i piedi della Santità Vostra, ho pensato di inviare il rev. can. D. Luca De Santis per attestare la verità di queste mie affermazioni, per venerare in mia V·ece le tombe degli apostoli e presentare alla Santità Vostra e agli eminentissimi cardinali la relazione sullo stato della diocesi. Prego umilmente la Vostra Beatitudine di accoglierlo con la consueta benevolenza con cui è solita accogliere tutti e di rivolgere uno sguardo di compiacimento verso la Chiesa di Catania.

71 Al documento sono aC'clusi: 1) una richiesta id.i proroga in data 23 .settembre 1690, indirizzata alla Congregazione del Concilio: «Rev.mi e E1n.1ni Signori, avvicinandosi il tempo di visitar i ·sacri limini e ritrovan· dosi conv·alescente per l'infermità avuta, il vescovo di Catania supplica umil1ne.nte l'EE.VV. della proroga di sei inesi» (f. 97) e la nota di acco· glhnento della ·dom·anda: «Ad sex menses. Sv Card. Carafa» (,f, 98v); 2) una se.conda richiesta per ottenere di inviare come delegato un sace11dote che non era membro del capitolo cattedrale: «Beatissimo Padre, Francesco Carafa vescovo di Catania dovendo visitare i ,sacri limini e no.n havendo canonico di sua soddisfazione per inviare, supplica umilmente Vostra Beatitudine concederli facoltà di potere inviare un sacerdote semplice della su·a 1diocesi)) (f. 99) e l'accoglimento della domanda <(die 16 novembris 1690. Annui!: [firma illegibile]» (f. 108v). In cima al foglio si legge: «Card. Carafa>); doveva trattarsi del cardinale Fortunato Carafa, zio paterno del nostro vescovo, al quale verosimilmente egli si era .raccomandato; 3) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio Giacomo De Napoli il 14 aprile 1691; 4) due attestati della visita alle basiliche romane i,n data IO e 20 giugno 1692.


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Durante il primo anno del mio governo episcopale ho iniziato, proseguito e completato con molto impegno la visita pastorale. Dovunque, per le calamità di questo nostro tempo, ho trovato molta miseria e afflizione che non ho potuto fare a meno di osservave con le lacrime agli occhi. Nondimeno ho cercato di consolare e venire incontro con le elemosine, secondo le mie possibilità; ai parroci e ai cappellani ho raccomandato l'amministrazione dei sacramenti e il decoro delle chiese; ho incoraggiato con zelo i chierici ai buoni costumi; ho istruito i fedeli con la predicazione; ho corretto le cattive inclinazioni sia con le pene sia con gli avvertimenti ed infine ho proposto, deliberato e ordinato tutto ciò che concerne il culto divino, il decoro delle chiese e quel che mi è sembrato necessario alla salute delle anime. Inoltre non ho trascurato di insegnare ai bambini il catechismo prescrivendo ai parroci di istruire i più ignoranti nei giorni di festa; ho visitato diligentemente le parrocchie, le chiese, gli ospedali, i luoghi pii; ho amministrato nei singoli luoghi la cresima [102v] 72 • Mi sia consentito dare alla Santità Vostra la relazione dettagliata sull'attuale stato di questa Chiesa e diocesi di Catania.

[La mensa vescovile] Inizierò dalla mensa vescovile che un tempo era mo! to ricca, ma ai giorni nostri è così gravata di oneri e di pensioni che i frutti percepiti non bastano a pagare i debiti. E, poiché per il sostentamento del vescovo e della sua famiglia non restava neppure uno spicciolo, sono riuscito ad ottenere dai frutti della mensa vescovile 4.000 scudi l'anno a titolo di alimenti. Questa somma mi è stata assegnata dai suoi frutti, per ordine del re, dalla Regia Monarchia, che amministra 1e rendite e paga i creditori come amministratore delegato. Questa situazione si protrarrà fino a quando la mensa, liberata da tanti one-

72

Nota della congregazione: {<Da lodare per le notizie contenute in tutta questa p'agina».


Le relazioni " ad limina " della diocesi di Catania

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ri, non sarà in grado (a Dio piacendo) di essere governata e amministrata dal proprio vescovo.

La chiesa cattedrale La celebre chiesa cattedrale della nobilissima città di Catania rifulge di grandissimo splendore per la residenza del vescovo, che allo stesso tempo si fregia del titolo di conte di Mascali e di cancelliere dell'almo studio dell'università; a lui compete il diritto di presiedere il collegio per il conferimento della laurea e di segnare con il proprio sigillo il relativo diploma. Ha cinque dignità (il priore, il cantore, il tesoriere e l'arcidiacono) e dodici canonici insigniti del rocchetto e della mozzetta; tutti prestano servizio nella cattedrale e costituiscono il capitolo, che nelle funzioni suole portare la mazza d'argento. Prestano servizio pure dodici beneficiati, chiamati anche secondari, che 'insieme ai canonici e alle dignità ogni giorno, a settimane alterne, recitano in coro le ore canoniche. Dispone pure del maestro cappellano, del cerimoniere, di quattro altri cappellani per l'amministrazione dei sacramenti, di otto mansionari che partecipano al coro nelle domeniche e nei giorni festivi, rivestiti della cotta e della mantelletta. Nei diversi quartieri della città si hanno quattro chiese sacramentali cl1e non rivendicano il non1e di "parrocchia": sono infatti semplici coadiutrici della chiesa madre e in esse prestano servizio cappellani amovibili che amministrano i sacramenti ai parrocchiani. [ 103] Deve servire nella cattedrale anche il seminario dei chierici, costituito da 15 alunni, che sono educati dai superiori incaricati e vengono istruiti con ogni diligenza. La nobilissima e antichissima città di Catania ha il vetusto liceo delle scienze che non è secondo nei privilegi all'università di Bologna. Ha complessivamente 4.000 famiglie e 18.000 anime. Sorgono in essa 18 conventi religiosi maschili. I monasteri femminili sono 12, tre dei quali sono diretti dai frati minori di S. Francesco dell'osservanza. Inoltre si trovano: una casa di donne pentite, una di ragazze .e un'altra di ragazzi orfani, un ospedale per gli infermi


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e per i bambini esposti, un ospizio per i pellegrini. C'è un solo monte di pietà che dà le medicine agli infermi, i vestiti ai poveri e la dote alle ragazze orfane. Una sola commenda di S. Giovanni di Gerusalemme. Una casa di eremiti per pii sacerdoti desiderosi di vivere in solitudine, posta fuori le mura della città e chiamata «la Mecca». 22 associazioni con le relative chiese; alcune di esse ogni anno danno ]a dote a ragazze sia per il matrimonio, sia per 1'1ingresso in monastero. 6 confraternite con le relative chiese. 12 chiese minori o semplici. 18 pie congregazioni. Circa 160 sacerdoti. Oltre 200 chierici. Tutte le chiese della città sono 90. C'è inoltre la preghiera quotidiana delle quarantore a turno con musica e pompa solenne. Alcune doti per il matrimonio o l'ingresso in monastero di ragazze orfane [ 103v].

[La diocesi] L'antichissima diocesi di Catania, eretta alle falde dell'Etna al tempo dei santi apostoli da S. Berillo inviato da S. Pietro in Sicilia, ha questi confini: a tramontana la diocesi di Messina, a occidente la diocesi di Agrigento, a mezzogiorno quella di Siracusa, a oriente il mare. Oltre la chiesa cattedrale ha 8 chiese collegiate: di cui una a Catania sotto il titolo di S. Maria dell'Elemosina con tre dignità (il prevosto che è parroco, il cantore, il tesoriere) e venti canonici, insigniti della cotta e del cappuccio, i quali attualmente hanno tenuissim,e prebende; vi sono inoltre S€Ì mansionari con il cerimoniere e un cappellano sacramentale, adornati anch'essi del cappuccio. Tutti costoro nei giorni festivi recitano le ore canoniche in coro e cantano solennemente la messa. Ha la seconda collegiata nella chiesa madre della città di Piazza; in essa si trovano quattro dignità (prevosto, cantore, tesoriere, decano) alle quali compete la cura delle anime, ven-


Le relazioni " ad limina " della diocesi di Catania

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tidue canonici adornati della mozzetta, del rocchetto e della cappa magna, dodici beneficiati, che ogni giorno alternativamente recitano in coro le ore canoniche. Ha la terza collegiata nella chiesa madre della città di Paternò sotto il titolo di S. Maria dell'Alto, con tre dignità (prevosto, cantore e tesoriere), che come parroci amministrano i sacramenti ai fedeli; essi assieme a dodici canonici e sei mansionari, nei giorni di festa cantano solennemente la messa. Le dignità assieme ai canonici indossano la mozzetta, il rocchetto e la cappa magna. Si trovano nella città di San Filippo d'Agira altre quattro collegiate, delle quali due sono maggiori e due minori. Le prime ogni giorno, in coro, recitano l'ufficio divino e cantano solennem mente le messe; [ 104] le altre recitano le ore canoniche solo nei giorni festivi. L'ultima collegiata sorge nella città di Assoro, ha tre dignità e nove canonici con la mantelletta e la cotta che cantano ogni giorno l'ufficio divino. La diocesi comprende molte città un tempo opulente; oggi però, a causa della penuria dei tempi, sono travagliate dalla povertà. Catania ha il primo posto e conta 18.000 anime.

Città Enna Piazza San Filippo d'Agira Calascibetta Regalbuto Acireale

9.118 12.841 8.331 4.158 3.530 12.261

Paesi Paternò Adernò Aidone Pietraperzia Assoro

5.000 5.700 5.825 3.780 3.226


Adolfo Longhitano

376 Barrafranca Centuripe Valguarnera Leonforte Fenicia Motta Aci Sant'AntorĂšo Aci San Filippo Valverde Bonaccorsi Nicolosi Biancavilla Mirabella

2.590 1.800 1.250 4.960 1.300 400 1.865 4.004 974 830 848 4.300 400

Villagi Misterbianco Mompileri San Pietro Camporotondo Mascalucia Gravina Pedara Gal ermo Viagrande Trecastagni Tremestieri San Giovanni la Punta Trappeto Sant'Agata Acicastello San Gregorio

1.000 462 508 276 2.538 960 2.027 404 2.000 3.046 462 1.020 303 350 200 657 [104v]

PerchĂŠ la SantitĂ Vostra possa conoscere in forma pm breve e schematica lo stato della diocesi viene riportata la seguente tabella. Anzitutto la diocesi di Catania, oltre la cattedrale e otto chiese collegiate, ha 40 chiese matrici sacramentali, nelle quali prestano il loro servizio 32 cappellani sacramentali amovibili;


Le relazioni " ad limina " della diocesi di Catania

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ha 14 parroci o rettori, le altre chiese sacramentali sono rette da cappellani amovibili. I conventi dei religiosi maschili sono circa 80 I monasteri femminili 35 Case di donne convertite 3 Ospedali per gli infermi e per accogliere i bambini esposti 16 Ospizi per pellegrini 2 Monti di pietà 13 Luoghi di eremiti 5 Associazioni 92 Confraternite 77 Congregazioni 30 Chiese minori o semplici 276 Sacerdoti circa 1.500 Abbazie regie 2 Cappellanie regie 2 Doti per ragazze orfane circa 30 ogni anno Preghiera delle quarantore quotidiana a turno Fedeli obbligati alla comunione pasquale circa 90.000 Tutta la diocesi con gli ecclesiastici ha oltre 130.000 abitanti; tutti professano la fede cattolica [105] e nessuno (per grazia di Dio) si è allontanato da essa. Questi sono i dati relativi alla diocesi di Catania che presento, prostrato ai piedi della Santità Vostra, nel primo triennio del mio episcopato. Supplico la Santità Vostra che si degni accettarli ed esaminarli benevolmente. Non mi resta altro che pregare Dio Onnipotente perché accresca la fede cattolica, riduca all'impotenza i nemici della Chiesa romana e conceda anni lunghi e sereni alla Santità Vostra a cui, baciando gli augusti piedi, chiedo umilmente la benedizione. Catania, 2 maggio 1691 Umilissimo e obbedientissimo servo Francesco Antonio Carafa, vescovo di Catania 73 73 Note della congregazione: «[105v] Catania: visita ad liinina. 21 giugno 1692>), «Il 7 giugno 1692 fu rilasciato l'attestato per il 35° e il 36°

triennioi>.


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XIX [102] Beatissime Pater,

Cum longa ,meorum annonun series ad Vestrae Beatitudinis pedes deosculandos ac mala corporis v·aletudo me conferr:e non sineret, rev.um can.cum D. Lucam De Sanctis ut hanc testetur veritatem et sacra limina 1neo nomine veneretur totumque dioecesis statum tum Sanctitati Vestrae cu1n eminentissi-mis Patribus conscriptis valeat exiberi mittendum duxi. Hunc igitur illa benignitate qua omnes Beatitudo Vestra amplectitur christifideles excipiat et Cathanensem ecelesiam charitatis lum.ine a-espiciat humiliter exoro. Primo anno episcopatus mei visitationem dioecesis incepi illam sum prosequutus magna denique sollicitudine compievi. Undique ob temporum calamitates, miserias afflictionesque multas comperi quas non siccis oculis conspexi; nihilominus quantum ego potui eleemosjnis adiuvi et consolatus sum, pa:rochJ.s et e-cclesiarum cappellanis sacramentorum adm:i~ nistrationem et ecclesiarum decoren1 commendavi, bonos n1ores in clericis ardenter excitavi, Christi fidelibus Dei .praedicationern disirninavi, depravatas rnentes partirn poenis, monitis partim correxi et tandem omnia quae ad 1divinurn cultum attinet, ad ecclesiarum nitorem, ad animanun salutem visa sunt necessaria proposui, mandavi et consului; praeterea pueros cathechismo inbuere non swn oblitus quem etiam rudiores festivis diebus docere parochis :indixi, parochias, ecclesias, ospitalia, loca pia <liligen,ter invi.si, sanctum chris1na singulis locis administ,ravi. [102v] 74 • De hac ecclesia et dioeC'esi cathanensi iuxta praesentem statum di~ sti.nctam relationem Sanctitati Vestrae dare mihi fas est. [De mensa episcopali]

Dc mensa igitur episcopali exondium summan1, quae si antea quam maxin1e oppulenta extitit, nostris .tam·en temporibus ita oneribus, pensionibus honcrata est ut nec fructus qui de ea colliguntur ad onera solvenda sufficiant. Et quia pro substentatione Praelati :Suaeque familiae nec remanebat obulun1, ex fructibus mensae episcop·alis consequi conatus sum pro alimentis scuta quatuor n1illia annualia, mihi ex ordine regio assignata super fructibus mensae episcopalis per Regiam Monarchiam, qu·ae inensam episcopalem administrat et fruotus creditoribus 1dispensat 74

Nota della congregazione: <(Laudarnd'us in tota pagina)>.


Le relazioni " ad limina " della diocesi di Catania

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tanquan1 icono1nus deputatus donec mensa {Deo annuente) tantis oneribus exonerata per proprium episcopatum gubernari et administrari poterit.

De ecclesia cathedrali Celebris cathedralis ecclesia nobilissimae urbis c·athanae episcopi residentia quan1 maxirne perfulget ·qui Maschalam comes ac almi studij universitatis cancellarius ,inscribitur, dottorandis in collegio etiam praesidens privilegia proprio sigillo sign·at. Quinque dignitates videlicet: prior, cantar, thesaurarius et archidiaconus, una cum duodecim canonicis .rochetto et muzzetta insigniti cathedrali ecclesiae inserviunt et on1nes complent capitulum quodl in funtionibus mazzam argcnteam defer1~e solet. lnserviunt etiam duodecim beneficiati qui secw1darij vocantur, qui ·sirnul cum canonicis et dignitatibus quotidie alternathn per hebdomadam in choro horas oanonichas persolvunt. Magistro cappellano itidem ac caeremoniarum utitur et ad sacramenta adrninistranda quatuor alias cappellanos aliosque octo mansiona·rios ut in chor.o epitogio et supcrpillicio insignitos .festivis diebus praesint detinet. SlU1t etiarn per urbem dispositae quatuor ecclesiae sacramentales quae parochiae nomen sibi non viilldicant sed tanquam matricis ecclesiae coadìutrices existunt quibus cappellani ammovibiles filserviunt, sacramenta administrando parochianis. [103] Debet praeterea cathedrali ecclesiae inservire seminarium clericorum quod ex quindecin1 alumnis constai, qui per deputatos officiales bene docuntur et cum omni diligentia instruuntur. Nobilissima et antiquissima urbs Catanae anticum scientiarum Iiceum quod privilegijs universitatis Bononiae non cedit conservat. Quatuor mille familias circiter .alit, animas vero duodeviginti millia. Canventus religiosorum virorum decem et octo in ea persistunt. Monasteria monialium duodecim quorum tria per fratres minores de observantia S.ti Francisci administrantur. Don1us tm a mulierum reparatarum, pueUarum altera virginum et alia puerorum orphanorum. Hospitale unun1 !pro infirmis et puellis expositis, hospitium pro pe~ regrinis unum. Mons pietatis unicus pro pharmacis jnfirmorum et vesti·tu pauperum et virginum orphanarum 1dotatìone. Unica commenda S.ti loannis Hierosolimitani. Heremitarum extra moenia locus appellatus «la Mecca» pro devotis sacerdotibus solitarie vivere volentìbus. Sodalitates cum earum ecclesiis 22 quarum nonnulJae singulis annis dotant 'aliquas puellas pro maritagio vel n1onacatu. Confratcrnitates cum suis eeclesijs sex. Ecclesiae minores seu simplices 12. 1


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Congregationes piae 18. Sacerdotes 160 circiter. Clerici 200 et ultra. Omnes ecclesiae civitatis sunt 90. Persistit etiam oratio 40 horarurn singulis diebus per circulum cum musica et pompa solemni. Dotationes etiam nonnullae pro maritagio et monacatu aliquarum puellarum virginum orphanarum. [103v] 1

[De dioecesi] Antiquissilna Catanensis dioecesis tempore Sanctorum Apostolorum ..per Sanctum BerilJum a divo ·Petra missurn in Sicilia eretta prope montem Aetnam suos habet fines: ex aquilane dioecesim Messanensem, ex oceidentem Agrigentinam, ex meridie Syracusanam, ex oriente autem respicit mare. Ultra ecclesiam cathedralem 8 habet ecclesias collegiatas: unam Catanae sub titulo Sanctae Mariae de Eleemosi.na, quae trjbus dignitatibus decoratur videlicet: praeposito qui parochus est, cantore et thesaurario ac viginti canonicis superpeliceo et cappuccio insignitis qui .wd praesens tenuissimas tene.nt praebendas, necnon sex mansionarijs cum magistro ceremoniarum ac w10 cappellano sacramentali etiam capuccio decoratis, qui omnes diebus festivis horas canonicas recitant in choro et missas solemniter cantant. Secundam habet collegiatam in civitate Platiae in ecclesia matrici; quatuor continet dignitates nimirum: praepositum, cantorem, thesaurarium et decanu1n qui ·curam habent animarum et viginti duos canonicos muzzetta, rochetto et cappa n1agna decoratos simul cu1n dundecim beneficiatis qui cotidie alternatim horas canonicas in choro persolvunt. Tertiam habet collegiatam in civitate Paternionis in ecclesia matrici sub titulo S. Mariae de Alto, quae tres dignitates continet videlicet: praepositum, cantorem et thesaurarium qui tamquam parochi sacramenta administrant et cum duodecin1 canonicis et sex mantionarijs festivis diebus sollemniter missas 1decantan,t. Dignitates simul cum canonicis 1nozzettam, rochettum et cappam magna1n gerunt. Quatuor alias in civitate S.ti Philippi de Argyrò quarum duae sunt n1aiores, alterae m:iinores. Primae quotidie in choro officium :recitant mis~ sasque sollemniter celebrant. [104] ·Ultimae vero diebus tantum festivis horas canonicas Deo persolvunt. Ultima in civitate Assari tres dignitates et nove1n canonicos oontinet epitogio, superpellicio decoratos, qui omnes quotidie officiwn decantant. Civitates quas dioecesis compleotitur quam iplures sunt, olim opulentae nunc temporìs iniuria paupertates acriter sentiunt. Catana primum obtinet locum quae complet numerum animarum duodeviginti millia


Le relazioni " ad limina " della diocesi di Catania Civitates Enna Platia S.tus Philippus de Argyrò Calaxibetta Regalbutus A-cis Regalis

9.118 12.841 8.331 4.158 3.530 12.261 Oppida

Paternio

5.000 5.700 5.825 3.780 3.226 2.590 1.800 1.250 4.961 1.300 400 1.865 4.004 974 830 848 4.300 400

Ader.nio

Aidonis Petrapertia Assarus Barrafranca Centum rupis Valguarnera Leonfortis Phenicia Motta Acis S. Antonij Acis S. Philippi

Valverde Bonaccursus Nicolosus Biancavilla Mirabella

Pagus Misterbianco Monpileris S. Petrus Camporotundus Mascalcia Gravina Pedara Galernum Viagrandis Trecastaneis T'1"emysterium S. Ioannis .La Punta Trappetun1 S. Agatha Castrum Acis S. Gregorius

1.000 462 508 276 2.538 960 2.027 404 2.000 3.046 462 1.020 303 350 200 657

[104v]

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Et ut breviter et compendiose Sanctitas Vestra statum totius dioecesis sciat pr'aesenti .tabella adnotatur. In primis dioecesis Cathanensis ultra cathedralem et octo ecclesias collegiatas quatraginta continet m·atrices ecclesias ·sacramentales, quibus cappell~ni amovibiles inserviunt ·triginta duas, parochos seu .rettores habet quatuordecim, reliquae eccJ.esiae ·sacramentales per cappellanos amovibiles gubernantur Conventus religiosorum viroru1n ottuaginta circiter Monialium monasteria triginta quinque Domus mulierum conversarrnn tres Hospitalia pro infirmis et µ·arvulis expositis sexdecim Hospitia peregrinorum duo Montes pietatis terdecim Heremitarum loca qu1nque Sodalitates nonaginta duas Confraternitates septuaginta septem C-ongregationes triginta Ecclesias mi.nores et 'Sirnplices 1dUcentas septuaginta sex Sacerdotes mille et quingentas ci-rciter Abbatias :regias duas Capellanias regias duas Dotationes puellarum orphanarum circa triginta singulis annis Orationes quadraginta horarurn singulis 1diebus per circulum Animas comrnunionis nonaginta millia circiter Et denique tota dioecesis simul cum ·ecclesiasticis continet supra C'entum triginta millia animarum omnes profìtentes catholicam [105] fidern et nullam (Dei gratia) a fide carentem. Haec tota clioecesis Cathanensis notitia quam ad pedes Sanctitatis Vestrae provolutus primo triennio episcopatus mei defero, ne illam dedignetur accipere et p·aterno Jumine aspicere Sanctitatem Vestram exoro. Nil d·enìque superest nisi Deum Omnipotentem exorare ut catholicam fidern augeat, Rornanae Ecclesiae inimicos ad nihilum reducat et nestoTeos annos Sanctitati Vestrae tribuat cui benignissimos pedes deosculando paternam benecLlctionem humiliter efflagito. Datum Catanae die 2 maij 1691 I-iumillimus et addictissimus servus Franciscus Antonius Carafa episcopus Cathanensis 1s.

75 Note della congregazione: «[105] Catanien. Visitatìo sanctorum Ji111inum. Die 21 iunij 1692», «7a iunij 1692 fuit data attestatio pro 35 et 36 triennijs».


UN RIFORMATORE ECCLESIASTICO NELL'ITALIA DEL SETTECENTO: GIOVANNI DI GIOVANNI

GIUSEPPE DI FAZIO*

1. Giovanni Di Giovanni fu personaggio tra i più significativi della cultura siciliana del Settecento. Per il suo coraggio, per la sua penetrazione critica e, insieme, per le doti mostrate come riformatore degli studi ecclesiastici egli «chiuse veramente un periodo della storia culturale dell'isola e ne aprì un altro più impegnato e vario» 1• Storico ed erudito, cresciuto alla scuola di Silvio Valenti Gonzaga (futuro segretario di Stato di Benedetto XIV), Di Giovanni partecipò attivamente del nuovo clima che si veniva formando in Sicilia sulla base dell'adesione alle idee del Muratori. Nato a Taormina, dopo aver condotto gli studi teologici e giuridici rispettivamente a Messina e Catania, nel 1721, a 22 anni, egli si trasferì a Palermo .dove stabilì dimora per il resto dei suoi anni 2 • Qui entrò a far parte dell'Accademia del Buon

* Docente di Storia delle Chiese locali nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. G. GIARR1zzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, :i.n Rivista storica italiana 79 (1967) 588. 2 Sulla biografia di Di Giovanni -si vedano: V. FONTANA, Giovanni Di Giovanni, jn G. ORTOLANI, Biografie degli uo1nini illustri di Sicilia, II, Na· poli 1818, ad vocen1; D. SCINÀ, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, Paier1no 1825, 258-276; A. NARBONE, Mons. G. Di Giovanni, la sua vita e le sue opere, .in Nuove effe111eridi siciliane, serie III, V, 1877, 227 e ss. 1


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Giuseppe Di Fazio

Gusto e divenne ben presto uno dei paladini del rinnovamento degli studi ecclesiastici e dell'antigesuitismo. Proprio per questi aspetti egli ottenne il sostegno e l'amicizia dei più noti ambienti antigesuitici della penisola: dal Lami al Bottari al Foggini. Con questi personaggi e, ancor prima, col Muratori egli intrattenne assidua corrispondenza. L'analisi di queste lettere consente di tracciare non solo alcuni aspetti inediti della biografia del Di Giovanni ma anche il carattere non provinciale della sua opera. L'itinerario che porta il Nostro a entrare in rapporto col Muratori, col Foggini, col Bottari e col Lami consente, inoltre, di ripercorrere i flussi culturali che, in entrata e in uscita, interessavano la Sicilia a metà Settecento. 2. Il primo esordio del Di Giovanni sulla scena storico-ecclesiastica avvenne nel 1736 con la pubblicazione di un'operetta scritta su invito dell'Accademia del Buon Gusto 3 . In quest'opera egli esaminava le variazioni verificatesi nel corso dei secoli nella liturgia e nella salmodia delle Chiese di Sicilia dai primi tempi del cristianesimo fino al periodo post-Tridentino. La pubblicazione del Tractatus consentì al giovane erudito siciliano di entrare in corrispondenza epistolare con il Muratori, che lo incoraggiò a proseguire negli studi e nelle ricerche 4 • Per comprendere l'atteggiamento del Di Giovanni è significativa la lettera che egli inviò a Modena il 21 agosto 1739 all'illustre interlocutore. Al Muratori che aveva manifestato qualche dubbio circa la veridicità della tesi secondo cui i Normanni avrebbero introdotto il rito gallicano in Sicilia, H Di Giovanni spiega con dovizia di particolari le ragioni che Io hanno indotto a usare il termine "rito gallicano" e cita le fonti a sostegno della sua scelta. Dopo questa autodifesa, però, il Di Giovanni dà l'ultima parola al Muratori rivelando così un atteggiamento di discepolanza verso il maestro modenese. «Tuttavia - scrive

3

G. DI GIOVANNI, De Divinis Siculorunt Ojficiis Tractatus, Panormi

1736. 4

Cfr. G.

FASOLI,

Il Muratori e gli eruditi siciliani del suo te1npo, in

AA.Vv., Mis.cellane·a di studi nu1ratoriani, Modena 1951, 116-118.


Un riformatore del Settecento: Giovanni Di Giovanni 385 se anche in questo ritrova vostra signoria illustrissima onde io .dovessi correggermi, favorirà dirmelo con libertà non inferiore all'autorità che tiene sopra di me qual suo riverente servo, venerando io il suo sentimento assai più, che mille autorità» 5 • La corrispondenza Di Giovanni - Muratori non fu molto ricca 6 ma è da ritenere che essa abbia avuto per il Di Giovanni, agli inizi della sua carriera di studioso, una importanza decisiva. Basta considerare la lettera del Muratori datata 16 ottobre 1739, con la quale egli di fatto consacrava la vocazione storiografica del Di Giovanni. «Sia pur certa - scriveva il Muratori - che la di lei nobil fatica avrà plauso presso chiunque s'applica a sì fatti studj. Ed io particolarmente me ne congratulo con lei, perché, tolta Roma, dove conosco due valentuomini di questa professione, pochi altri ne ha l'Italia. Si faccia pur animo per altre imprese, giacché Dio l'ha provveduta di sì buona volontà, e di sì felice ingegno». 3. Nel 1741 Di Giovanni enunciava nel Prospectus Siciliae Diplomaticae (Panarmi 1741) il programma dell'opera che lo avrebbe reso celebre al di fuori dell'isola e che al tempo stesso gli avrebbe procurato gravi dispiaceri in patria: il Codex diplomaticus Siciliae. Il disegno dell'opera prevedeva la raccolta in S tomi dei diplomi riguardanti la Sicilia, dall'era cristiana sino ai tempi dell'autore. Ma il primo volume, stampato nel 1743 e contenente documenti dal I all'XI secolo, incontrò tali e tante opposizioni da convincere il Di Giovanni a lasciare incompleta lopera. In essa l'autore dimostrava, fra l'altro, che nei primi secoli .del cristianesimo la Chiesa siciliana era alle dipendenze del patriarca di Costantinopoli, in conformità con l'antico sistema del decentramento ecclesiastico e con la posizione di

5 G. Dr GIOVANNI a L. A. Muratori, lettera del 21 agosto 1739, in Archivio Mu.ratoriano di Modena, 67.7, riportata in Appendice. 6 Nell'Archivio Muratoriano di Modena si conservano 3 lettere del Muratori a Di Giovanni. Si veda anche L. A. MURATORI, Epistolario, edito da A. Campori, IX, Modena 1898, Elenco dei Corrispondenti.


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vescovo di Roma e patriarca d'Occidente, spettante al romano pontefice 7• Contro il Codex diplomaticus insorse, ancor prima che venisse messo in circolazione, l'ottantenne Mongitore con uno scritto presentato al Senato di Palermo 8• La violenta requisitoria del Mongitore e la sua repentina morte (da alcuni attribuita ai dispiaceri provocatigli dall'opera del Di Giovanni) convinsero il Senato palermitano a proibire la diffusione del Codex. Tramite Giuseppe Querci, fiorentino, filogiansenista, che in quegli anni insegnava al collegio dei Teatini', alcune copie della opera giunsero a Napoli, Roma e Firenze. Il Lami fu il primo a schierarsi pubblicamente, attraverso le Novelle letterarie (7 giugno 1743) a difesa del Di Giovanni e a divulgare negli ambienti del riformismo ecclesiastico italiano la fama dell'autore siciliano. Anche il Muratori fece un accenno alla polemica in una lettera a F. Tamburini datata 12 luglio 1743, in cui prendeva di mira «quei buoni palermitani (che) son forte in collera anche contro del loro canonico Di Giovanni» perché si era permesso di respingere e confutare alcune tradizioni della loro Chiesa 10 • La vicenda ebbe parziale soluzione solo nel 1745 quando il Senato palermitano fece esaminare lopera ad una commissione di studiosi presieduta da Antonio Requesens, che ne permise la divulgazione a patto che l'autore inserisse sotto forma di "errata corrige" alcune correzioni. Dopo queste vicende che lo avevano profondamente amareggiato, il Di Giovanni sospese definitivamente la pubblicazione degli altni tomi del Codex. Con queste prime opere, tuttavia, 7 M. CONDORELLI, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani nel secolo XVIII, in Il diritto ecclesiastico 68 (1957) 341-342. s Nota agli errori e pregiudizi fatti alla Città di Palenn'D e a tutta la Sicilia dal canonico Di Giovanni nella sua opera intitolata Codex diplo1naticus Siciliae. 9 Giuseppe Querci verso la metà del secolo fu, poi, tra i Inembri attivi del Circolo dell'Archetto che si riuniva attorno al Bottari a Palazzo Corsini ·a Roma e che ·si caratterizzava per un forte antigesuitismo. 10 L. A. MURATORI, Epistolario, cit., X, 4739.


Un riformatore del Settecento: Giovanni Di Giovanni 387 egli si inseriva a buon diritto nel novero dei principali autori del nuovo filone che si stava sviluppando in Sicilia nel campo dell'erudizione e della storia ecclesiastica. Un filone di studiosi che «formatosi alla scuola dei Maurini, del Tommasi, ed infine del Muratori, portava nelle discipline ecclesiastiche un'ansia di rinnovamento e di ricerca della verità, un bisogno di sfatare le leggende, anche a costo di disperdere le tradizioni più commoventi e più dolci della religione cattolica» "4. A partire dagli anni '40 il Di Giovanni affiancò all'attività di ricerca quella di riformatore degli studi ecclesiastici, trovando nell'arcivescovo Domenico Rosso un suo convinto sostenitore. Anche in questo campo egli si fece promotore di un'ardita riforma che mirava a sottrarre ai gesuiti il monopolio culturale della città e a creare presso il seminario palermitano, di cui nel 1741 era stato nominato rettore, scuole autonome. Nel 1742 l'arcivescovo Rosso, dietro suggerimento del Di Giovanni ritirava i chierici dal collegio dei gesuiti per farli studiare in seminario, dove vennero istituiti corsi di teologia dogmatica e morale, diritto, geometria, filosofia, retorica, lingua latina e italiana, grammatica greca e canto gregoriano. La riforma del seminario condotta dal Di Giovanni si muoveva nella linea dell'antigesuitismo, ma soprattutto poneva lo accento sulla Chiesa locale, sul ruolo del vescovo e del clero secolare n Secondo Di Giovanni spetta ai vescovi e ai loro preti la cura dei chierici «giacché stando i seminaristi immediatamente soggetti alla direzione del proprio Prelato, e dei suoi Preti, può egli più facilmente ottenere una distinta cognizione del talento, e merito di ciascheduno in particolare, per destinarli poi opportunamente alla cura, chi di una chiesa, chi di un'altra, giusta la capacità di ognun di loro» 13 • Perché le scuole del seminario potessero stare alla pari con il collegio dei ge-

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M.

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F. M.

op. cit., 339. Il caso del dottorato in teologia nel seminario di Palermo, in 'O Theologos 4 (1977) 100-108. 13 G. DI GIOVANNI, Storia dei sentinarii chiericati, Roma 1747 (in realtà 1749), 114. CONDORELLI, STABILE,


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suiti era tuttavia necessario che esse venissero abilitate a rilasciare il titolo del dottorato. La facoltà, richiesta dall'arcivescovo Rosso, venne concessa il 30 aprile 1745 dal Papa Benedetto XIV con il breve In Supereminenti. Anche in questa circostanza, tuttavia, il Di Giovanni dovette incontrare resistenze e insormontabili ostacoli. I gesuiti, tenaci oppositori della nuova istituzione abilitata a rilasciare il dottorato, intervennero presso l'autorità regia per bloccare l'esecuzione del breve pontificio. Per quanto Carlo III fosse favorevole alla tesi del Di Giovanni il dibattito sulla questione del seminario di Palermo si trascinò presso la Giunta Generale di Sicilia per più di un anno e mezzo, fino a che non venne a mancare, per decesso, uno dei principali attori: l'arcivescovo Domenico Rosso (morto il 7 luglio 1747). La questione del seminario venne così risolta all'interno della stessa Chiesa palermitana. Dapprima il capitolo della cattedrale, in sede vacante, decise la soppressione delle scuole del seminario e quando il Di Giovanni ottenne dal re e dal viceré la sospensione del provvedimento egli dovette pagare la vittoria con la sua rimozione dalla carica di rettore. «Partimmo dal seminario - racconta lo stesso Di Giovanni - il primo settembre e si partirono con noi quasi in un'ora stessa 24 giovani educandi, solo perché temerono colla mutazione del Rettore doversi ancor mutare quel sistema del Seminario, che gli aveva sospinti ad entrarvi» 14 • Libero da impegni pastorali Di Giovanni tornò a scrivere e a pubblicare. La prima opera a cui si dedicò fu la Storia dei seminarii chierica/i, in cui egli si preoccupò di collocare i fatti di cui era stato protagonista in un contesto culturale ed ecclesiale più ampio. La pubblicazione dell'opera segnò il momento di maggior contatto del Di Giovanni con gli ambienti filogiansenisti romani. Attraverso il Querci, Di Giovanni era entrato in contatto nel 1744 con Pierfrancesco Foggini 15 e tramite quest'ultimo 14 Jbid'., 147. 1s P. ,foggini da pochi anni era stato chiamato a Roma da Giovanni Bottari, insieme al quale sarebbe poi s-tato rmo dci principali artefici del circolo dell'Archetto.


Un riformatore de/ Settecento: Giovanni Di Giovanni 389 entrò in amicizia col Bottari, che poteva essere considerato il capo del movimento giansenista a Roma. Fu proprio Giovanni Bottari 16 a fare da patrocinatore alla pubblicazione della Storia dei seminarii come si evince dal carteggio che pubblichiamo in Appendice. Attraverso questo epistolario possiamo ricostruire le tormentate vicende che accompagnarono la pubblicazione dell'opera. «La prego che sospenda la stampa del libro - scriveva Di Giovanni al Bottari il 21 giugno 1748 - . Temo che s'ecciti contro di me una grave persecuzione uguale a quella che soffrii per la pubblicazione del 1° tomo della mia Sicilia Diplomatica» 17 • Perché mai questa improvvisa decisione? Il 20 giugno il nuovo arcivescovo di Palermo, Melendez, aveva preso la decisione di chiudere definitivamente le scuole del seminario e di rinunziare al privilegio che esse avevano di conferire il dottorato. Il 2 agosto dello stesso anno in una nuova missiva Di Giovanni chiedeva che si riprendesse la stampa del libro, almeno fino al capitolo XII, «perché per tutto il corso di questi capitoli non si trova cosa che possa recar molestia ad alcuno». Nella stessa lettera l'erudito siciliano dichiara di stare studiando una formula che possa consentire la pubblicazione anche del resto dell'opera. La soluzione maturò 16 Giovanni Bottari (1689-1775), fiorentino di nascita, fu a serv1z10 dei Corsini a partire dal 1718: pri1na a Firenze, poi a Roma. Nel 1731 Clemente XII gli affidò la cattedra di Storia ecclesiastica alla Sapienza di Ro111a. A Roma egli stabilì la sua dimora a Palazzo Corsini. Qui seppe creare un centro di incontro di studiosi e personalità ecclesiastiche, il cosiddetto «Burchiello)). Tra il 1740 e il 1758 si andò accentuando in lui un forte atteggia111ento antigesuitico e filogians·enista. A m·età del secolo egli poteva essere considerato com·e il capo del moviinento giansenista a Roma. Nella divulgazione del pe.nsiero giansenista in Italia egli ebbe parte di primissimo piano. Fece tradurre e pubblicare numerose opere di filogiansenisti francesi e nel 1758 diede anche il patrocinio alla pubblicazione del catechismo del Mésenguy, sfidando l'Indice che aveva condannato l'-opera 1nella lingua originale. Pur nelle sue posizioni più avanzate tuttavia egli non entrò mai in aperta ribellione verso la Santa Sede (cfr. G. PIGNATELLI, Giovanni Bottari, in Dizionario biografico degli italiani, XIII, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1971, 409-416). 11 Cfr. Appendice, l·ettera 4.


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nello stesso mese di agosto e si concretizzò nell'anticipare la data di stampa da imprimere nel frontespizio, per evitare tutte le possibili polemiche. «La data dell'impressione deve essere indispensabilmente anticipata di un anno, cioè facendola comparire per effettuata nell'anno MDCCXLVII, perché come avrà benissimo potuto osservare si suppone sempre vivo il fu arcivescovo Domenico Rosso» 18 • Nella successiva lettera del 4 ottobre Di Giovanni comunica al Bottari di essere stato nel frattempo promosso a inquisitore fiscale. Nel febbraio dell'anno successivo la Storia dei seminarii è già stampata. Giovanni Bottari, che ha siglato l'approvazione ecelesiastiea, si va già adoperando per far conoscere il libro. La lettera del 7 febbraio 1749 del Di Giovanni è tutta incentrata sul tema della diffnsione dell'opera: ringrazia il Bottari per aver portato il libro a conoscenza del papa e lo prega di agevolarlo «nello spaccio dell'istess'opera in Italia». Dopo questa data la corrispondenza col Bottari si fa meno frequente, acquistando toni di maggior formalità. Ma non per questo viene meno l'amicizia fra i due. Ne è un esempio la lettera del 19 novembre 1759 in cui Di Giovanni comunica al suo protettore romano la notizia della sua fresca nomina a giudice di monarchia «che viene considerata come la prin1a carica ecclesiastica di Sicilia» 19 • In questa nuova veste Di Giovanni mostrò ulteriormente i caratteri del suo riformismo ecclesiastico. Pur difendendo i diritti della monarchia egli si adoperò - come scrive nella lettera al Bottari - per ricercare una «amichevole concordia tra il Sacerdozio e il Reame». In questo desiderio di obbedienza ultima al papa, che lega il fìlogiansenista Bottari con l'antigesuita Di Giovanni si può cogliere un tratto originale del giansenismo italiano. 1

5. L'analisi dei rapporti fra il Di Giovanni e i circoli del riformismo ecclesiastico italiano alla metà del '700 ha messo in evidenza gli stretti legami che univano la Sicilia col resto

ts Cfr. Appendice, lettera 6. Cfr. Appendice, lettera 9.

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Un riformatore del Settecento: Giovanni Di Giovanni 391 della Penisola. Tra Modena, Roma, Napoli, Firenze e Palermo (per fermarci al caso Di Giovanni) si era stabilito fin dai primi decenni del secolo un flusso regolare di scambi culturali favorito da un lato da alcune personalità del nord Italia chiamate a insegnare in Sicilia (è il caso ad esempio del teatino toscano Giuseppe Querci) e, dall'altro, dall'apertura di orizzonti che mostrava la nuova cultura siciliana. Per rendersi conto di questa apertura basta scorrere l'epistolario del Muratori. Lì si potranno trovare tra i corrispondenti dell'insigne letterato i più noti giuristi, letterati, storici ed eruditi siciliani 20 • Se la bontà di un movimento culturale si misura in gran parte dalla sua capacità di paragonarsi con esperienze diverse e più mature, bisogna dire che il fenomeno di "rinascenza" che investì l'isola a metà Settecento ha tutti i caratteri per essere considerato come un capitolo tra i più interessanti della storia siciliana.

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C.fr. G. FASOLI, op. cit.


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APPENDICE

Di seguito riportiamo nove lettere di Giovanni Di Giovanni indiriz. zate rispettivamente a Ludovico Antonio Muratori, Pierfrancesco Foggini e Giovanni Bottari. Esse offrono un interessante .spaccato dei rapporti che .l'autore siciliano intrattenne con alcuni dei più noti eruditi italiani del Settecento. La lettera a Ludovico Antonio Muratori, segnata al numero 1, si conserva presso l'Archivio Muratoriano di Modena (67. 7). Essa è la risposta ad una missiva del Muratori datata 12 maggio 1739 ( cfr. L. A. MURATORI, Epistolario, edito da A. Can1pori, IX, Mndena 1898, 4054). Le rimanenti lettere indirizzate al Foggini e al Bottari fanno parte del gruppo di 16 missive che si conservano presso la Biblioteca Corsiniana di Roma (cod. 1593, 32 E 14 "Lettere autografe del canonico Giovanni Di Giovanni scritte ai Monsignori P.ierfrancesco Foggini e Gio. Bottari dai 30 settembre 1744 ai 8 settembre 1752"). Le lettere segnate ai numeri 3 e 4 per quanto intestate a monsignor Guido Bottari sono in realtà indirizzate a monsignor Giovanni Bottari, come si evince dal contesto. Nella trascrizione ho seguito l'ortografia e la punteggiatura degli originali sviluppando solamente le abbreviazioni.

1 Sono stato per qualche tempo in villa: onde non emmi stato permesso di poter prin1a d'oggi rispondere al gentilissimo foglio di Vostra Signoria Illustrissima per cui mostra di gradire cortesemente il piccol dono, che le ho fatto del mio libro: quando piuttosto, che spettare a Lei, a me si spetta .i.I dover rendere divote le grazie perché giova a me meglio che a Vostra Signoria Illustrissima l'averglielo io mandato: mentre posso così ottenere quel profitto, che per sua bontà mi fa sperare id.i aprirmi con ischiettezza il suo sentimento, col fervore del quale posso essere più avveduto negli studi futuri. Per quanto si appartiene al rito gallicano -introdotto in Sicilia nel tempo dei Normanni, prego Vostra Signoria Illustrissin1a che in capitando l'accennato libro, osservasse come io poi d'aver ciò detto nel capitolo 12 nel seguente tosto spiegai non parlare io dell'antico rito


Un riformatore del Settecento: Giovanni Di Giovanni 393 gallicano, in vece di cui ,sin dal tempo di Pippino e di Carlo Magno sottentrò in Francia il rito Romano (trattane la salmodia, per la ragione che mi ho .ingegnato di: esporre nel capitolo 15 dal numero 5) ma di ivi disporre dello stesso rito Romano, il quale per le molte alterazioni ricevute in Francia ottenne il non1e di Gallicano. E poi nei capitoli che al tredicesimo seguono, espongo da parte in parte la .forma di questo nuovo rito, il quale ho dovuto chian1are Gallicano per uniformarmi al titulo degli antichi Messali e Breviali della ·Chiesa di Sicilia, scritti tanto prima del Concilio di Trento, e per non mostrare di volermi opporre ai Bollandisti ed a tutti quegli scrittori siciliani i quali sempre che trattano di questo rito, si vagliono del ter1nine Gallicano; tuttavia se anche in questo ritrova Vostra Signoria Illustrissima onde dovessi io correggern1i, favorirà dirmelo con libertà non inferiore all'autorità che tiene sopra di me qual suo riverente servo, venerando io i! suo sentimento assai più, che mille autorità. Il Signor Abbate Como -da Napoli mi rende sicuro della cortese memoria che Vostra Signoria Illustrissilna conserva di me e n1i da pure la tanto da me desiderata notizia d'essere già ter1ninata la di lei gran raccolta Reru111 Jtalicariun.. .come anche il primo ton10 dell'Antichità Italiche e che fra breve vcdrassi il primo volume del suo Thes. Nov. Vetr. In.script. con questa occasione mi sollecita di mandarle quelle iscrizioni che le ho promesse. Io sebbene mi riconoscessi in obbligo di inolto con Vostra Signoria Illustrissi1na, non pertanto non ini ricordo di haver contratto questo debito: mi piace non din1eno sentire che le sono grate queste sorta di antichità, e che le giungono in tempo per la stampa, potendo io servirla con alcune di Tavormina, che soppiegate :le invio: tutto che pensava farle comparire la prima volta ìn pubblico nella storia della medesima città, la quale spero fra brieve dare alle stampe. Di queste iscrizioni diverse da quelle "Che le n1andò da qui il signor Abbate Pantò sempre ·che così le paresse ne farà imprimere due fogli di più per con11nodo inio e per aver io poi l'onore d'imitarla nella 1nia stampa: n1entre riprolestando1ni qual sempre disposiissi1no per servirla mi soscrivo per se1npre Divotissimo ed Obbedientissimo Servo vero Palermo li 21 agosto 1739 Giovanni di Giovanni [A Ludovico Antonio Muratori ]

2 Sono diversi i titoli, che mi costituiscono debitore di molto a questo Illustre Abate Que~ci, tra' quali quello certamente reputo il mag-


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giore, che per suo mezzo mi è toccata la buona sorte di entrare nel numero dei servitori di Vostra Signoria Illustrissima. lo la ringrazio dell'onore, che si è compiaciuta volermi fare e ad un'ora la priego, che per mezzo de' suoi riveriti comandamenti tenghi in esercizio la mia divota osservanza. La ringrazio pure del cortese gradimento della mia operetta delle cose spettanti alla Liturgia ed alla Salmodia di Sicilia: e mi confesso grandemente obbligato pel prezioso dono del libro, che mi ha fatto sperare: giacché ogni suo studio può a me servire come di regola per le letterarie fatiche, che vorrò im· prendere e sottomettendo all'ubbidienza ·di ogni suo riverito cenno tutti gli atti del ·mio divoto ossequio, mi soscrivo per sempre Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Palermo li 30 settembre 1744 Divotissi1no ed Obbedientissimo Servitore Giovanni di Giovanni

Illustrissimo e Reverendissimo Signor Canonico Pierfrancesco Foggini Roma

3 Illustrissimo e Reverendissimo Signore Signore Mio Padrone Colendissimo Debbo grazie infinite a Monsignor Foggini, per J'onore che mi ha fatto meritare, di venir ammesso nel numero de' Servidori di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima "infin a 1prendere ,sopra di sé la noiosa briga della stampa del consaputo manoscritto; in cui altro più ed altro meglio non si trova, che quella gentile approvazione, di cui l'ha fatto Ella degno. Di tanta eccessiva bontà le rendo divote grazie; come pure del prezioso .dono ·delle erudite stampe, che spero oggi o domani di ricuperare, giacché sicuro riscontro d'essere già capitate in mano del Signor Abate Guerci mio buon amico. La priego dell'onore de' suoi pregevolissin1i co1nandamenti affinché potessi mostrar colle opere la venerazione che conservo per la .sua rispettabilissima persona, di cui divotamente baciando le mani con pieno ossequio mi soscrivo Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Palermo li 21 giugno 1748 Divotissimo e Obbedientissimo Servitore vero Giovanni di Giovanni Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Guido Bottari Roma


Un riformatore del Settecento: Giovanni Di Giovanni 395 4 Ieri appunto questo nuovo Arcivescovo Monsignor Melendez rivocando le sagge disposizioni del suo buon degno predecessore intorno all'apertura delle proprie scuole del Seminario de' Chierici onorate col Dottorato conceduto dalla Santità di Nostro Signore, prese la risoluzione di spiantare le suddette .scuole, di rinunziare al particolare privilegio del Dottorato e ·di obbligare i Chierici del medesimo Seminario a frequentare quelle del pubblico comuni a tutti i ragazzi del paese: con persuadere la Real Corte a ritrarsi dall'ordine già emanato di non farsi su tale soggetto veruna novità. Cotale improvvisa risoluzione mi costrinse a differire la stampa della consaputa Storia de' Seminarj, imperocché quanto già in essa si esalta il zelo del defunto Prelato, in effettuare l'accennato laudevolissimo sistema delle scuole uniforme alle regole della disciplina ecclesiastica, tanto .maggiorn1ente temo, che s'ecciti contro di me una grave persecuzione uguale a quella che soffrii per la pubblicazione del Tomo Primo della mia Sicilia Diplomatica. La priego intanto che sospenda la stampa del libro sino a nuove suppliche che darò a Vostra Signoria Illustrissi· ma e Reverendissima di cui baciando col costumato ossequio le mani, desideroso dell'onore dei suoi pregevolissimi con1andamenti, mi soscrivo Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Palermo li 28 giugno 1748 Umilissiino Devotissimo Obbedientissilno Servitore Giovanni di Giovanni Monsignor Guido Bottari

5 Le lodi -che Vostra Signoria Illustrissima si degna dare alla mia opera sopra i Sen1inarj, anziché appropriarmile come mie proprie, le rinfondo tutte nella sua innata gentilezza, di cui già pruovo i vantaggiosi effetti; confesso però, che mi lusingo di qualche buon incontro presso il Pubblico della suddetta mia opera ogni qualvolta venga autenticata dalla di Lei approvazione. In altra mia pregai Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima a sospendere la stampa pe' consaputi motivi; ora sono a pregarla a volern1i favorire della continuazione dì sua graziosa assistenza pel proseguimento dell'edizione sino a tutto il capitolo XII perché per tutto il corso di questi capitoli non si trova cosa che possa recar molestia ad alcuno. Io frattanto andcrò pensando come si possano ragiustare gli altri capitoli, perché non diano nel naso a persona veruna. L'accludo una nota di poche correzioni, che in rileggendo il ma-


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noscritto ho veduto esser neces.sarie: quantunque può essere, che lo amanuense sia stato più diligente nella copia trasmessa a Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima, che in quella rimasta in mio potere. In ogni caso se gli errori scor.sero ancor nell'esemplare che sta nelle sue mani, e si r.itrova in tempo di correggerli, favorirà effettuarne l'emenda. Dichiarandomi intanto al sommo tenuto di tanta bontà, che n1i dimostra e pregandola caldamente a continuarmela, col costumato ossequio mi soscrivo

Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Palermo li 2 agosto 1748 Devotissimo ed Obbedientissimo Servitore vero Giovanni di Giovanni Monsignor Giovanni Bottari

6 Avendo fatto un maturo esan1e sulla n1aniera di tenersi per la continuazione della sta1npa, ho creduto dovcrn1i prevalere de' savj riflessi di Vostra Signoria Illustrissin1a. in conseguenza di che l'accludo una nota di diverse correzioni stimate da ine opportune, perché non dia fastidio ad alcuno la lettura del mio libro. Prima d'ogni altra cosa mi fò lecito di rarnrnemorarle che la data dell'impressione deve essere indispensabilmente anticipata di un anno, doè facendola comparire per effettuata nel-l'anno MDCCXLVII, perché come avrà benissimo potuto osservare si suppone sempre vivo il fu arcivescovo Domenico Rosso. Per ovviare poi a molte contraddizioni, che potrebbero far nascere i capitoli trattanti del Sc1ninario di Palermo per l"innovazioni ultimamente seguite, e ormai a Vostra Signoria Illustrissima ben note, ho stimato tornar bene .il far precedere all'opera la Dedicatoria, che troverà trascritta, sotto non1e del suddetto defunto Arcivescovo: parendomi che in questa guisa si venga a caricare la pubblicaziOne dell'opera alla diligenza ed autorità del medesimo, e così resti al coperto di qualunque taccia l'autore. Del :rimanente per quel che riguarda i fogli da stamparsi, farà l'onore di regolarsi e per l'ordine de' Capitoli, e pel corso dell'Opera secondo la soppiegata nota: non pretendendo però mai di restr.ingere la libertà che Vostra Signoria Illustrissima tiene, e da cui priego a servirsi francamente si nell'aggiungere come nel levare conforme le sembrasse più a proposito. Riguardo poi ai fogli già tirati avrei desiderio che si facessero


Un riformatore del Settecento: Giovanni Di Giovanni 397 reimprimere quelle tre pagine ove cade il titolo del capitolo II e del capitolo III coll'altra del capitolo X paragrafo XIII dove contro la nostra supposizione si fa morto l'arcivescovo Rosso. La correzione intanto conforme alla mia brama la troverà Vostra Signoria Illustr.i.ssima in fondo alla suddetta nota; ed unite a quelle ne osserverà altre di minor conseguenza da mettersi nell'errata corrige. Dopo tutto questo non mi rimane altro, che rappresentarle di non usare niun risparmio o pe' fogli da rifarsi o per l'ajuto che stimasse necessario per la revisione: non dovendo io in niuna maniera abusarmi della sua gentilezza, chiarnandon1i per troppo contento .se continuerà a soprintendere benignamente alla perfezione e al compimento dell'opera. Si persuada intanto che io riconosco l'accrescimento dell'obb1igazioni che contraggo con Vostra Signoria Illustrissima e mi creda quale mi professo Di Vostra Signoria I!lustrissi1na e Reverendissima Palermo .Jj 23 agosto 1748 Devotissimo ed Obbedientissimo Servitore vero Giovanni di Giovanni Monsignor Giovanni Bottari Roma

7 L'avviso datomi da Vostra Signoria Illustrissima nell'ultima sua in data de' 10 settembre d'avere ricevuta la lista delle variazioni da farsi nel manoscritto mi è stato al sommo grato. ·Le osservazioni poi ch'.Ella si degna fare a proposito della dedicatoria me le rendono più che mai obbligato. Il fatto però recente dell'innovazione fatta dal Papa nel seminario di Bologna non mi pare che distrugga il fatto anteriore cioè d'avere lo stesso Pontefice sul bel principio provveduto lo stesso Seminario -di ottimi Maestri. La ·difficoltà sul Voi, non doveva farle prendere l'incomodo di darmene parte. Sa' Ella benissimo, che io ben volentieri mi rimetto a quanto le sen1bra giusto; e che le nuove correzioni sono tanti nuovi piaceri ch'Ella mi fa: sicché senz'altro potrà EIJa servirsi della libertà che io le ho data ed io la priego a volersi prendere. L'interesse che EIIa ha della m·ia persona mi fa parteciparle Ja notizia della promozione che s 1è degnato fare questo Inquisitor Mag· giare Monsignor Bonanno della mia persona alla carica di Inquisitor Fiscale della Suprema Inquisizione del Santo Ufizio. Siccome Ella gode d'ogni mio vantaggio mi persuado che gradirà questo avviso e mentre io preventivamente la ringrazio del suo affetto mi' dichiaro per sempre


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Giuseppe Di Fazio Di Vostra Signoria Il-lustrissima Palermo li 4 ottobre 1748 Devotissimo e Obbedientissimo Servitore vero Giovanni di Giovanni Illustrissimo Monsignor Bottari

Roma

8 II compimento della mia opera, il gradimento che ha riscosso da Nostro Signore, l'approvazione che Vostra Signoria Illustrissima mi lu· singa sia per avere dal pubblico, sono certamente tutti effetti di sua innata gentilezza, e dell'efficace sua mediazione: la ringrazio .intanto vivamente di quanto ha operato fin adesso in mio favore, e di quel più, che Ella mi promette di fare in appresso coll'agevolarmi lo spaccio dell'istess'opera nell'Italia: risguardo a questo punto potrà Ella intendersela col gentilissimo signor Foggini, cui scrivo più diffusamente in questo medesimo ordinario. Tutte le gentili espressioni, Le quali adopra ad innalzare il n1erito, che in me non riconosco, non .servono ad altro, che a farmi meglio dichiarare contento ogni qualunque volta posso essere stin1ato abile ad impegnarmi nell'esercizio de' suoi riveritissimi comandamenti, de' quali desideroso, mi protesto e mi confern10 Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Palermo li 7 febbraio 1749 Devotissimo e Obbedientissimo Servitore vero Giovanni di Giovanni Monsignor Giovanni Botiari Roma

9 Per :lungo tempo mi son guardato dall'unire alle serie applicazioni di Vostra Signoria Illustrissima la noja delle mie lettere, contentandomi di conservare dentro .me stesso la venerazione che Le porto; ma ora vengo precisato di parteciparle il mio passaggin dal posto di Inquisitore del Santo Offizio alla Suprema Giudicatura dell'Apostolica Legazia o vogliam dire Regia Monarchia di questo Regno, che vien considerata come Ja prima carica ecclesiastica della Sicilia: acciocché riconoscendo Ella di poter io nel nuovo impiego applicarmi in suo serv1z10, me ne dia Hberamente i comandamenti, che saranno da me eseguiti con la costumata attenzione.


Un riformatore del Settecento: Giovanni Di Giovanni 399 La stima di partecipare questo avviso a Nostro Signore da mia parte, La pr.iego di farlo, con formare eziandio a proposito per mio no1ne, supplicandolo di felicitare il principio del mio governo con la paterna sua Benedizione; la quale .mi darà speranza di continuarlo con amichevole concordia tra ,n Sacerdozio e il Reame. Tra le altre facoltà accordate dalla Concordia Benedettina a questo mio Tribunale, vi è quella di concedere alle persone povere la dispensa 1natrimoniale pel terzo e quarto grado, gratis ta111e11 nulloque recepto vel minin10 emoluntento, come sono le parole della stessa Bolla. Ciò si è religiosamente osservato infin al presente, solamente esigendosi la tenue somma di tarì diciassette dai Ministri cd Uffiziali subalterni che durano la fatica di formare e registrare la scrittura a proposito. Oltre a questa somma hanno i Giudici della Monarchia esatti soli tarì tre moneta di Sicilia, che corrispondono a due paoli e pochi baiocchi romani, non già per ragione di composizione o di dispensa, ma solamente per ragione di sigillo e di sottoscrizione; cioè tarì uno per [ ... ] il sigillo e tarì due per due scritture che deve sottoscrivere il Giudice. Questa rescussione si è fatta dal principio che fu conceduta alla Monarchia -sicola la sudetta facoltà .per insino all' immediato mio Predecessore eletto l'anno 1742 il quale non seguitando :l'esempio dei tre suoi predecessori, per tenerezza di coscienza, ha lasciato i suddetti tari tre a sé spettanti solamente permettendo l'esazione dei diritti dei Ministri cd Offiziali subalterni. Io che nuovamente entro nel posto vengo soliecitato a seguitare l'esempio piuttosto dei primi, che dell'ultimo nlio predecessore, per non recare pregiudizio ai successori tuttavia non ho infin ad ora esatta detta piccola somma, e mi guarderò di esigerla fintanto che Vostra Signoria Illustrissima ne parlerà con Nostra Santità e mi additerà il suo sentimento, che sarà da me con la dovuta venerazione eseguito. E pregando Vostra Signoria compatire il disagio e a darmi l'onore dei suoi riveritissimi comandamenti divotarnente mi soscrivo Di Vostra Signoria Illustrissima Palermo H 19 di novembre 1751 Devotissimo ed Obbedientissimo Servitore Vero Giovanni di Giovanni Monsignor Giovanni Bottari Roma



LA CHIESA SIRACUSANA NEL 1874

PASQUALE MAGNANO*

Quadro d'insieme delle condizioni generali della Chiesa siracusana dal 1850 al 1872

1.

Nel 1850 alla guida della Chiesa siracusana c'era mons. Michele Manzo 1, napoletano, che era stato eletto il 21 aprile 1845

* Direttore dell'Archivio 1storico della Curia Arcivescovile di Siracusa. Nacque a Napoli il 31 luglio 1785, venne cresimato il 27 marzo 1803; fu consaerato sacerdote diocesano il 27 .maggio 1809; entrò nelle grazie degli uomini di corte. Il 9 dicembre 1844 fu nominato arcivescovo di Siracusa; il 10 1n·arzo ottenne con .i1l .favore del :re, ·il titolo ·di dottore in teologia all'università di N'apo'li; il 1 maggio 1845 fu consacrato vescovo a Ron1a dal card. Pietro 0Psi.n.i; i1 27 sette1nbre 1852 venne trasferiito da Siracusa a .Chieti, dove 1n-orì il 7 marzo 1856. Pubbr1icò una Raccolta di De· creti della S. Congregazione, Catania 1845; e Epito1ne theologiae Moralis, Ed. Orzì 'Pa11111ae 1851 (.cfir. A. GA1VIBASIN, Religiosa ntagnificenza e plebi in Sicilia nel XIX secolo, Edizioni Storia e ,Letteratura, Roma 1979, 87, no· ta 28); O. GARANA, I vescovi di Siracusa, Società Tipografica di Siracusa 1969, 225-229; A. PRIVITERA, Men1orie, in P. MAGNANO, Me1norie siracusane, Edizioni Archi1vio Storico della Curia Arcivescovi.le, Siracusa 1980, 129-131. Il volume raocoglie, assieme ad altri documenti, il manoscritto dal lungo titolo: Sulla s,c1ppressione dei conventi, ,dei 1nonasteri e di alcune chiese della città di Siracusa nella rivoluz.ione del 1860: cronaca con l'aggiunta di altre 111e1norie. Sarà citato solamente con Me1norie o Cronache. S. PRI~ VITERA, Storia di Siracusa antica e 1noderna, II, T·ipografia già del Fibreno, Nwpoli 1879, 381; 428-430). Sulla !SHu·azione deJle diverse Chiese di S~cilia in questo periodo vedi: A. SINDONI, Giovanni Guttadauro. Un vescovo dall'Unità ai n1oti sociaU 1


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con il titolo di arcivescovo della ricostituita sede arcivescovile'. Mons. Manzo «fu un buon prelato. Egli era di delicata coscienza e rigoroso, esigeva in tutti l'adempimento ai propri doveri, e per vigilare su la condotta di tutti si ebbe molti nemici non solo in Siracusa, ma in tutta la Diocesi» 3 • Subì anche

di fine secolo, in AA.Vv., Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità (18611878), 4/1, VHa e Pensiero, Milano 1973, 257·264; G. CONTARINO, Le origini della diocesi di Acireale e il prùno vescovo, Aocadem•ia d,egli Zelanti e dei Dafnic'Ì, A·cireale 1973; F. M. STABILE, Il clero palermitano nel prin10 decennio dell'unità d'Italia (1860-1870), Istituto Supeiriore di Scienze .Religiose, Palermo 1978; Atti del Convegno di Studio su n1ons. Giovanni Blandini nel 150° della nascita, Noto, 8-9 ot,tobrc 1982, Tip. Santocono, R·osorlini 1986; G. ZITO, La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusn1et (1867·1894), Galatea, Acireale 1987. 2 Nel 1832, Siracusa, suffiraganea di Monreale, !divenne di giuri.sdiziane pap·ale con bolla del 27 marzo (cfr. R. RITZLER · P. SEFRIN, Hierarchia Catholica, VII, 355). Poi per la bolla In supre1na ntilitantis Ecclesiae di Gregorio XIV del 20 magg,io 1844, i1l vescovo di Siracusa vem1c elevato ad arcivescovo ,m,etropolitano con tutti gli onori, privilegi, pallio, insegne ed altro anness-o a tale ·dignità e gli furono assegnate le dioces.i suffraganee di Piazza, Caltagirone e Noto (cfr. O. GARANA, op. cit., 219-224; N. AGNELLO, Ricordi storici sullo stato antico e n1oderno della Chiesa siracusana, T.Lpografia Miuccio, S.1racusa 1888, 131-139). Sulla sua 011igine apostolica cfr. P. MAGNANO, La chiesa siracusana nel 1739, ·in Synaxis 2 (1984) 527, nota 2; Io., Filiale devozione alla Santa Sede dell'antica chiesa siracusana, in L'Os· servatore Ron1ano, 11 gennaio 1986, 5. 3 A. PRIVITERA, Men1orie, -cit., 129. Il parroco S. Privitera 1so11isse: «Or l'a11civescovo Manzo, che era di rette intenzioni, mancavga di queUa soavità idi maniere, e di quella dolce attrattiva, che senza ;i111ritare ha tanta potenza ad avvincere e di guadagnare. Per accrescere lustro aUa chiesa metropolitana avea ·ottenuto dalla S. Sede un breve (18 ma:rzo 1850), per cui i Canonici potessero far ·uso delle insegne pont,ificali al paTi di queJUe degli Abati di Montecassino so1I·amente nelle grandi solennità e :iin tempo di sede vacante. Volea però che ,j,J Cap,itolo togliesse affatto .il P,resbitèro canoni1cale rpiamtato di fronte a.il soglio arcivescovile; ed usasse invece il semplice faldistorio al corno sin,istro de1l'altare. Da qui 1com1nciarono i fastLdiosi d·issapo.ri; poi vennero le lunghe ostinate controversie, cui pTendeva parte 1il popolo, e ne -sentiia noie H governo. E si aggiungevano le calde contese susoitatesi tra lo 'Stesso Arcivescovo e vari Oirdi1ni religiosi per difesa di <li11it·tri giurisdizionali, e di rprìvilcgi; e di gravan1i e i ilitigi con la maggior parte delie claustrali della icittà e della diocesi» ( S. PRIVITERA, op. cit., 430).


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persecuzioni e ingiustizie da parte della corte di Napoli 4, che continuava a considerare il vescovado come un cumulo di ministed e di privilegi di origine medievale più che tridentina, e ad amministrarlo come un principato e sommo sacerdozio organim camente innervato nel confuso labirinto di gerarchie sociali e di ordinamenti amministrativi civili. Non c'era posto per il pastore d'anime borromeano, bellarminiano, alfonsiano o crispiniano 5• Intendenti e funzionari borbonici si erano messi alle calcagna del malcapitato arcivescovo, «muovendo una persecuzione contro di me - scriveva l'arcivescovo - con spacciare essere io stato il contraddittore, e nemico della monarchia in Sicilia [ ... ], così allarmate le autorità tutte siciliane [ ... ] di soppiatto mi tramano ruina, e mi marchiano il discapito. Io per altro, non mi sgomento, ed indegnamente mi lusingo di ripetere ineco stesso con l'apostolo: nec facio animan1 mean1 pretiosiore111, qiLa111 1ne: dumn1odo consun11ne111 cursum meum, et ministeriu111 vetbi)) 6 • Tuttavia mons. Manzo continuava a denunciarne i soprusi: «Si conculcano le leggi della chiesa - scriveva il 22 giugno 1852 al cardinale Pignatelli di Palermo - a discapito della disciplina e del regolare andamento della diocesi, e del disonore, ed avvilimento dei diocesani; perciò è che la parte mia prego il Signore Iddio voglia assisterla, a perorare con forza, e zelo vangelico la causa di tutti noi altri. Ricordo [ ... ] quello che nell'anno scorso le umiliava circa il dispotismo di monarchia nella mia quistione, non solo contro il disposto del Tridentino nel cap. I della sess. 14 de reformatione circa la sospensione ex informata con4 Manzo, che era napoletano, tuttavia capeggiava l'opposizione contro il tribunale della regia monarchia che 1si sostituiva in tutto o in parte a1la g,iurisdizione vescovile. I suoi -nemici a corte erano il p:riinoipe di Satriano, duca di Tao!rmina, luogotenente in Sicilia, e Cassisi, m~1nist·ro per gli affari di Sicilia in Napoli. 5 Cfr. G. DE RosA, Giuseppe Crispino e la trattatistica del "Buon Vescovo", in Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Laterza, Bari 1978, 103-143. 6 ARCHIVIO STORICO ARCIVESCOVILE PALER?v!O {abbr. ASAP), Atti Arcivescovili (1839-1853), b. 8, Lettera di mons. Michele Manzo al card. Ferdinando Maria Pignatelli, 10 agosto 1850.


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scientia; ma anche contro il preciso sovrano rescritto degli 11 luglio 1840; [ ... ]. Si ricorda dell'abuso del cappellano maggiore, e per esso del di lui vicario in Sicilia; a disprezzo della bolla Convenit, la quale faculta il detto cappellano maggiore di poter ordinare o spedire dimissorie ai soli chierici della cappella palatina di Napoli, e della parrocchia di S. Sebastiano nel castello nuovo di costì, giusta il paragrafo 7 di detta bolla; e che se spedisse pure dimissorie, dovrebbe rimettere ai rispettivi loro ordinarii per ordinarli. Che abbia facoltà di prendere dai cleri diocesani sacerdoti, già ordinati, in quel numero, e non più, determinato nella detta bolla Convenit il paragrafo III. Intanto si ordinano quanti se ne vogliono ubique, ed a proprio arbitrio, in modo che in Agosta vi sono più di 26 sacerdoti regii, o diaconi ordinati, e più di 12 chierici. Eppure con qual coraggio si è detto: che non si è ecceduto alle prescrizioni della bolla Convenit? Dandosi una smentita a tutto il corpo episcopale siculo? V.E. è nella medesima posizione, e perciò la causa è comune; anzi causa della chiesa. Quindi uopo è di parlar forte, e disingannare sua maestà (D.G.), perché essendo religioso al sommo, quando conosce la verità, dovrà far giustizia all'episcopato, o almeno chiamarlo alla giustificazione» 7 • L'arcivescovo :Manzo fu un pastore scomodo per la lotta vigorosa che sosteneva contro le prerogative della cappellania maggiore 8; fu trasferito, quindi, a Chieti il 27 settembre 1852 e

Ibid., 22 giugno 1852. {{Sorta nel secolo XI per il servizio liturgico nel palazzo del re, si era evoluta in ufficio episcopale, con abituale, piena ed autonoma giuri,sdizione ·sulle persone e cose sacre dei quartieri militari, castelli, palazzi, chiese e benefici regi. Il cappellano ·maggio:re aveva diritto di precedenza sui vescovi anche nei luoghi dove erano presenti men1bri della famiglia reale; poteva conferire ordini sacri a candidati non appartenenti a feudi rregi. Era un' 'istituzione nascente da prerogativa sovrana inerente al principato', legata alla corona, con ·poteri di giurisdizione superiori a quella degli a1rcivescovi. Nel 1817 pure il vicario .generale d'el cappeHano maggiore, rresidente a S. Lucia del ·Mela, 'per i sudditi de' ,reaJi do1nini a I di Jà dol Faro', godette diritti e insegne vescovili}> (A. GAMBASIN, op. cit., 61-62). 7 8

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lasciò Siracusa il 19 ottobre 1852 9 • Il giudice di monarchia 10, mons. Diego Pianeta, arcivescovo titolare di Damiata 11 , di lui scrisse che «fu il primo a suscitare Roma contro la legazia del re e che non desistè dal suo proponimento, stancando inoltre la pazienza del re e del real governo, anche dopo essere stato rj.. mosso da Siracusa» 12 • A succedergli fu chiamato il siciliano AnCfr. O. GARANA, op. cit., 229, nota 17. «E·ra emanazione dell'apostolica legazia ..L'ufficio dal 1573 spettava ad un ecclesiastico, idi nomina regia e ·responsabile unicamente verso il re delle sue azioni. Aveva il potere cli concedere il placet per la nomina dei superiori provinciali e generali dei regolari, di convocare capitoli e sinodi e di approvarne gli atti, di visitare conventi e monasteri, d'inqtùsire prelati, vescovi e arcivescovi, e denunciare caI'dinali, di assolvere da sco1nuniche e giuKa1nenti riservati 1alla S. Sede. Avocava a sé cause d'istanza vescovile; accordava 1dispense inatrimoniali; godeva del privilegio di visita pastorale, con diritto di precedenza sui vescovi, delle chiese, abbazie, dei priorati soggetti al patronato regi.o. I1l Giudice era titolare del beneficio della badia di S. Maria Terrena, con giurisdizione sulle sedi filiali delegate ·in Messina e 1nelle princiipali città dell'IsO'la. Pres.iedeva uffici e tribunali per '1difend·cre Ii .sudditi [ .... ] nel caso che fosseiro m·olestat·i dagli officiali, e ministri dell'ordinaria giudisdizione per cause civili o criminali [ ... ]'. Dopo la concordia benedettina del 29 settembre 1728 accumulò nelia sua persona anche Je facoltà riservate al cappellano ·maggiore e per n1aggior risalto della preminenza della legazia» (A. GAMBASIN, op. cit., 9

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62-64). Il tribunale della regia monarchia fu ·abolito da Pio IX con bolla del 28 gennaio 1864 e resa pubblica il 10 ottobre 1867. Il giudice in carica, n1ons. Cirino Rinaldi, continuò nel suo ufficio e fu scomunicato il 25 luglio 1868 (cf.r. F. MARGIOTTA BROGLIO, Legislazione italiana e vita della Chiesa, in Chiesa e religiosità in Italia, cit., 3/1, 132, nota 87; F. M. STABILE, op. cit., 175·200 e ,Ja bibliografia indi,cata da questi autori). Il governo italiano rinunziò alla legazia di Sicilia con l'.art. 15 della ,Jegge delle Guarantigie del 23 n1aggio 1871 (cfr. A. PRIV.ITERA, Me1norie, cit., 124). Il Nacque a San1buca di Sicilia nel 1794 e morì a Palermo nel 1858. Insegnò nel seminario di Monreale per 24 anni. Fu arcivescovo di Brindisi e am1ninistratore apostolico di Ostuni; nel 1849 fu nominato giudice della regia n1onarchia e apostolica legazìa, consultore di Stato e presidente della Pubblica Istruzione (cfr. D. DE GREGORIO, Il card. Giuseppe Guarino, Edizioni Apostole della S. Famiglia, Messina 1982, 34-37; A. GAMBASIN, op. cii., 40-41). 12 La posizione di mons. Manzo non era condivisa 1dal Pianeta, il quale, in un suo rapporto del 6 set·tc1nbre 1853 a Satr-iano, luogotenente gene·


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gelo Robina (1853-1868) 13 , di temperamento mite, «di bella persona, colle labbra a riso, di bel cuore, caritatevole, umile, ed affabile con tutti» 14 • La pesante situazione lasciatagli dal predecessore fu appianata 15 ; tuttavia l'arcivescovo si trovò coinvolto «nell'incertezza della situazione politica meridionale tra il 1861 e il 1870, all'indomani della unificazione, nel contrasto di parte del clero meridionale, legato o fedele ai Borboni, con il nuovo Stato, nella estensione della legislazione piemontese e nei primi provvedimenti restrittivi della giurisdizione e delle proprietà ecclesiastiche» 16 • La sua ultima relazione ad limina 17 del 15 gennaio 1865 sembra la mappa di una Chiesa in liquidazione a causa della «guerra promossa dagli anticlericali», ossia dai «novelli rifar-

rale, difendeva la prassi costante del suo ufficio (cfr. G. CATALANO, Studi sulla legazia apostolica in Sicilia, Edizioni Parallelo 38, Reggio Carlabria 1973, 308-310; cfr. anche A. GAMBASIN, op. cit., 43-78). 13 Nacque a Sai1em'i il 28 agosto 1805. Fu eletto arcivescovo di Siracusa il 27 giugno 1853 e consacrato in Roma il 3 luglio. II 14 novembre dello stes·so anno entrò solennemente in Siracusa. Riaprì il seminario e pro·mosse in .cattedrale la devozione all'Addolorata e alla Madre degli AbbandonaJt-i; al cardinale di Venezia chiese ufficialmente il cor,po di S. Lucia e compose una officiatura in onore della santa patrona, che fu inoltrata al papa Pio IX •in data 16 maggio 1854 ,per essere approvata daNa competente congregazione (cfr. A. PRIVITERA, Me111orie, cit., 119-124, 206-216; O. GARANA, op. cit., 230-236). 14 A. PRIVlTERA, Me111orie, cit., 119. 15 In data 19 novembre 1853 emise un editto «onde attutire ed ultimare il litigio e nell'atto stesso lasciare libero il Capitolo nell'esercizio dei suoi antichi e nuovi privilegi, in modo stabile e non più controverso>> (cfr. N. AGNELLO, op. cit., 95). Dall'Agnello viene riportato il decreto (cfr. ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE [abbr. ASCA]), Edictorun1 et Nota1'Um, 1853-1896, 4. 16 A. MoNTICONE, I vescovi 1neridionali: (1861-1878), in AA.Vv., Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità (1861-1878), 3/I, cit., 60. 17 E' breve e consta di 11 pagine (ff. 226-231 ). Alla rrclazione è unita la ·sintesi approntata daHa S. Congregazione (ff. 232-255). Di n1ons. Robrino si conservano, inoltre, altre idue relazioni (cfr. ARCHIVIO SEGRETO VATICANO [abbr. ASV], Syracusan - S. Congreg. Concilii Relationes [abbr. Relationes] [1858], ff. 200-217; [1862], ff. 218-223). La ~clazione del 1862 non è datala; la data l'ho ricavata dalla minuta di risposta che è del 20 dicen1bre 1862. 1


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matori» locali per umiliare i religiosi e depredare i conventi e i monasteri, cioè la Chiesa 18 • Il canonico Antonio Privitera 19 , fedelissimo dell'arcivescovo Robina, annotò con amarezza e rimpianto la 11 cronaca 11 e le "memorie" di quel tempo difficile, che «rappresentano un punto fermo, un'occasione di meditazione e di ripensamento» oltre che un «punto di partenza per nuove esplorazioni su una problematica, a livello locale, sconosciuta» 20 • La Sicilia aveva celebrato lo storico "plebiscito" il 21 ottobre 1860. Anche Siracusa da questo avvenimento sperava molto: «dall'anno 1860 in poi le cose siracusane - ebbe a scrivere Emanuele De Benedictis - presentansi in altro aspetto» 21 • Nei documenti relativi al plebiscito si nota che, nel circondario di Siracusa su 13.323 vot,i si ebbe un solo "no", che proveniva dai votanti nel comitato elettorale della chiesa madre (la cattedrale) di Siracusa. E' probabile che questo unico "no", della annessione della Sicilia al Piemonte, sia stato espresso dall'arcivescovo, il quale, fra l'altro, doveva essere consapevole rn Cfr. A. ·PRIVITERA, Cronaca-Me1norie, c~t., 22-196. 19 Nacque a Si-rHcusa il 25 aprile 1824. Ebbe come maestro di filosofia il celebre P. Curcio da Palazzolo, ex provinciale dei domenicani. Fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1854 da n1ons. Angelo Robina, appuntò con diligenza gM avveni111enti del suo tempo. Ho dato alle stan1pe, assieme ad arltri documenti, il m·a1noscritto inedito, ora i,n mio posses-so, di cui alla nota 1 (cf.r. C. GIANNINOTO, Mistero che attira. Per una storia del Carmelo Teresiano in Sicilia, Locomonaco 1986, 11, 65, nota 1). Per ulter-iori notizie su Antonio P11ivitera, cfr. P. MAGNANO, Me1norie siracusane, cit., 9-12. 20 lbid., 14. 21 E. DE BENEDICTIS, Men1'Drie storiche intorno alla città di Siracusa, Edizioni Imag, Siracusa 1973, 499. I comitati elettorali furono ubicati nelle sette parrocchie (chiesa madre [cattedrale], S. Giovanni Battista, S. Pietro, S. Paolo, S, Giacomo, S. Tommaso e S. Martino). Faceva ·parte del comitato elettorale anche il parroco e cioè Nunzio Agnello per 'la chiesa madre, Carmelo Zivillica per S. Giovanni Battista, Giuseppe Spinelli per S. Pietro, Serafino Privitera per S. Giacomo, Vincenzo Baiona per S. Tommaso e Giuseppe Loreto per S. Martino. I risultati della provincia di Siracusa, che era divisa nel circondario di Siracusa, Noto e Modica, furono: su 47.611 votanti, 47.607 voti fll'Tono affermativi e 4 negativi. Questi si ebbero: un voto in Si racusa (chiesa maidre) e rispettivamente a Buscemi, Palazzo· fo e Biscari (Acate) (ibid., 501·504). 1

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della inutilità del suo gesto. Voleva essere forse la dimostrazione coram omnibus della intransigenza e amarezza di mons. Robina che, prima della pubblicazione delle leggi eversive 22 , fu costretto ad interrompere la visita pastorale, iniziata nel 1858, «temporum locorumque difficultate» 23 ; a prendere atto che nel 1861 la chiesa di S. Teresa fu annessa all'ospedale militare, quella della Madonna d'Itria e la cappella dell'arca furono adibite ad usi profani e l'altra di S. Maria delle Grazie, nel 1864, «e fundamentis evertebatur jussu civilis Potestatis» 24 • Nel 1862, poi, a Chiaramonte furono cacciati via dal convento i frati conventuali, che «privata in domo adhuc commorantur» 25 ; invece a Vittoria gli osservanti, a Monterosso i riformati, a Comiso i conventuali e a Chiaramonte i cappuccini subirono !'occupazione del loro convento per cui «una cum Fratribus Milites comn1orantur>> 26 . In Siracusa il monastero dell'Annunziata fu adibito a teatro 22

Le più note sono: la legge 7 luglio 1866 n. 3096 sulla soppressione degli ordini, corporazioni e congregazioni religiose e secolari, col relativo regolamento di cui al regio decreto del 21 luglio 1866 n. 3070, e la legge 15 agosto 1867 n. 3848 Telativa alla soppressione di enti secolari ed alla liquidazione dell'asse ecclesiastico. Con tali :leggi fu sancita la soppressione di 35.000 enti ecclesiastici e 1a confisca dei loro beni (cfr. D. MACK SMITH, Storia d'Italia, I, Editori Laterza, Bari 1969, 147-148). Bisogna, inoltre, tener presente: la legge 21 agosto 1862 n. 794 con cui si ordinava la devoluzione, al demanio dello Stato, idei beni immobili assegnati precedentemente alla cassa ecclesiastica, iscrivendo, invece a nome di questa una corrispondente rendita del 5%; Ja legge del 24 gennaio 1864 su1l'affranca1nonto dei icanon•i enfiteutici, livelli, censi, decime ed alLre prestazion~ dovute ,a corpi morali; la legge del 19 giugno 1873 n. 1402 che applicava a Roma e alle sedi suburbicarie le leggi eversive del 1866-1867 con diverse eccezioni che accond'avano alla Chiesa una posizione più favorevole. Inol-tre •si r.icordano gli art•t. 2, 425, 233, 932, 1060 del codice civi,le 1cVel 1865; le disposizioni del decreto n. 320 del 25 giugno 1871, che \Stabilivano una nuova n0tr1n·ativa in relazione all'art. 16 della legge delle Guarant~gìe in tema di exequatur agli at,ti e alle provviste della S. Sede e di placet a quelli emanati dagli ordinari diocesani. 23 Relationes (1865), f. 228. 24 lbid., f. 227. 25

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comunale (<huiusmodi sacriligae concessioni idem Guberniun1 opera nostra noluerit indulgere» 27 • L'arcivescovo Robina, tuttavia, lottò con tutte le sue forze per contenere la volontà usurpatrice. «Et hic amitti nequit nonnulla Monasteria et Collegia tam Syracusis quam ceteris Dioccesis oppidis Civile Potestatem abolere voluisse et velle ut in usus addiceren1ur profanos. Nos tamen nostris quaerin1oniis effìgere potuimus ut haec scelesta voluntas executioni minime demanderetur. Nescimus vero in posterum conatus i1ostri pari fn1ctus donentur» 28 , Il futuro prossimo, però, si mostrò peggiore di quel presente. Il seminario 29 , che era stato occupato dalle truppe fin dal 1848, per cui era stato chiesto al governo che almeno pagasse l'affitto, fu riaperto il 1 novembre 1854 in alcuni locali, debitamente restaurati dello stesso palazzo arcivescovile; ma «qui11 imo eodem ad Gubernium exclusive pertinere contendebat Militaris Potestas, et Scolas Seminarii invadere sibique usurpare audebat anno 1862. Nunc vero, nobis agentibus nedum scholae restitutac, sed etiam sacra proprietatis jura Ecclesiae agnita 1

Ibid., f. 227r. L. c. 29 Sulla chiusura dcl se111inario del 1848 è da tenere presente la seguente nota. «L'arcivescovo Di Michele M·anzo tuttoché desiderava ardente1nente la istruzione letteraria e scientifica del clero, pure suo malgrado tcinne chiuso il se1ninario, non tanto per la scarsezza dei chierici, quanto per la deficienza dei mezzi abbisognevoli ad istituirvi quel numeTo di scuole e di :professori, che egli riconosceva necessari in questa chiesa, secondo il metodo di studii prescritto dal regio Visitato.re De Ciocchis, e giusta il regolamento 1del seminario di Napoli; in cui era stato alunno. A quale uopo ,chie-se ·instante111enle dal real Governo un annuo soccorso, che non gli riuscì di ottenere; e quindi i pochi giovani che :raccolse della diocesi li affidò alla cura cd aila direzione dei PP. della Missione di S. Vincenzo de' Paoli allora qui esistenti nell'oratorio di S. Filippo Neri, oggi occupato dal .real liceo Gargallo, sicché il seminario restò tra noi chiuso per un decennio)) (N. AGNELLO, op. cit., 415; A. PRIVITERA, Me1norie, cit., 130, nota 1). A inons. Robina, poi, fu cspres·samenle ordinato neHa bol1la di inom1na «institutioni C1ericorun1 in Se111inario Diocesano consulat» (ASCA, Bullariu1n Apostolicu111 Archiepiscopi Syracusani, f. 172). Nel 1858 lo stesso arcivescovo scri veva: ({Seminarium ad novam vitam revocavin (Relatio11es [1858], f. 210). 21

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sunt ad eodem Gubernio, et nos haud inconsulte speramus fore ut de praedictis locis alterum quam primum restituatur, ac de altero saltem annua pensio persolvatur, usque dum Militum Copiae in eodem detinebuntur» w. L'impegno dell'arcivescovo si profuse nell'istituzionalizzare le conferenze teologiche e liturgiche per il clero che veniva riunito due volte al mese; tuttavia «ob temporum circumstantias huiusmodi Conferentiae saepe suspendere oportet» 31 • Il clero, però, subì lo sbandamento prodotto dalla "novità dei tempi", per cui «verum sileri nequit de nonnullis Praesbiteris qui pravis exagitati cupiditatibus ac moribus praedicti infandis adversus Civilem Potestatem istius Sanctae Sedis, scelestis libellis suscribere audacter ausi sunt, et nondum se rectractare voluerunt. Quamplurimi vero qui ve! metu ve! ignorantia se pariter suscribere expediens putarunt, semel moniti laudabiliter se subjecerunt et inde absolutionis gratia rite fuere donati» 32 • D'altra parte <da massa favorevole alla S. Sede in opposizione al nuovo regime si chiudeva in un atteggiamento arrabbiato, attendendo passivamente l'imminente sfacelo del regno sorto dalla rivoluzione» 33 •

io Relaliones (1865), L 227r. Ibid., !. 229r. Ibid., ff. 229r-230. Durante I'episcopato di m.ons. Robino si verificarono le defezioni del canonico tesoriere D. Federico Rizza, del priore dei Fatcbenefratelli, di un romito di S. Giovanni e di un laico del convento di S. Agostino. Durante la sede vacante, :poi, ({i1l monaco padre Arcangelo Dinatale dei conventuali di Siracusa sacerdote, deposto l'abito e fattosi evangelico, nel 1871 fu aid rm pelo che non contras·se il matTimonio civile; però non poté riuscire nel suo i1npegno, perché vi 1si opposero ,i suoi fra· telli che lo dichiararono ·come non sano di mente presso il sindaco. Egli sempre ostinato, nel settembre 1875 volle a tutta forza contrarre matrimonio presso il sindaco Rizza; e per 111ogliera si prese Ja figlia di una sua cugina)) (A. PRIVITERA, Cronaca, cit., 73). Un altro grave episodio avvenne nel convento di S. Maria di Gesù. Un sacerdote, tale D. Salvatore Giardina, che era a don1icilrio coatto -in quel convento, ii.I 25 rluglio 1860, uccise d~ pugnale padre Giammaria da Avola dei minori osservanti per ,sospetto di tradimento e di spionaggio politico (cfr. G ..PARLATO, op. cit., 146). 33 H. JEDIN, Storia della Chiesa, VIII/2, Jaca Book, Milano 1977, 408; cfr. A. PRIVITERA, Cronaca, cit., 59. li 32


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La relazione riferisce ancora la triste vicenda delle monache di Aracoeli, «le quali spinte dai suggerimenti di taluni, domandarono al Governo (e ciò sin dal principio della rivoluzione) di avere una annuale pensione, lasciare il Monastero e ritirarsi nelle proprie case» 34 . «Maximo autem animi nostri moerore n.ostro officio coacti, non possumus quin patefaciamus octo moniales in hoc monasterio sub titulo Aracoeli, scelesti Sacerdotis suggestionibus, scripta cessisse claustra ac reditus Rectoribus huius civitatis, ut domi vitam ducere ipsis liceret, congrua obtenta pensione. Huiusmodi impia atque sacrilega cessio, nobis pro viribus obnuentibus ac reluctantibus, nullum adhuc sortita est effectum» 35 • L'arcivescovo, infine, segnalò che la diocesi era sotto l'influsso nefasto di libri, «ephemeridas exitiales, maximo iuventutis detrimento» 36 • Nel primo decennio dell'unità d'Italia, la mappa religiosa della diocesi subì un radicale cambiamento. A Siracusa, per esempio, i conventi di S. Lucia e dei cappuccini furono dati in affitto; le grancie dei conventi, che erano in città, furono vendute e dai nuovi padroni trasformate in case e botteghe; i conventi di S. Francesco di Paola e di S. Filippo Neri divennero scuole tecniche, ginnasiali e liceali; quello di S. Domenico fu assegnato alla banda "paesana" e l'altro di S. Agostino alla Direzione Compartimentale delle Imposte Dirette. I conventi del Carmine e di S. Francesco d'Assisi, inizialmente, furono dati in affitto a persone ·private 37 • Fu, insomma, un grande rivolgimento che causò sofferenza e, poi, la morte improvvisa dell'arcivescovo. «La morte di monsignore a dir vero fu inaspettata a tutti,

1

Ibid., 31-32. Relationes (1865), ff. 230-230r. Il sacerdote di cui si parla è il canonico tesoriere della cattedrale D. Federico ·Rizza, fratello del medico Alessandro. Mons. La Vecchia, nel 1878 ancora annotava: «Thesaurioratus vacat per ·sententiam depositionis sui possessoris qui turpiter civile concubinatum cum n1oniali initio suppressionis ordinum regularium, iniit» (Relationes [1879], .f. 253). Il nome della monaca era suor Teresa Picone (cfr. A. PRIVITERA, A4.en1orie, cit., 162). 36 Relationes (1865), f. 231. 37 A. PRTVITERA, Cronaca, cit., 85-88. 34

35


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financo agli stessi suoi parenti; imperocché sebbene acciaccato da più anni nella salute a cagione delle amarezze ricevute dai maligni dopo la rivoluzione del '60, per cui ritiratosi visse privatamente in compagnia dei suoi» 38 • Il fatto, inoltre, che il canonico Tarantello aveva accettato la nomina governativa di delegato del giudice di monarchia e della legazia apostolica, che era stata soppressa da Pio IX, «l'essere il Tarantello in tale carica vogliono alcuni che sia stata una delle cause che accelerarono la morte di monsignore» 39 , che «cessò di vivere su l'alba del 28 agosto 1868; nel qual giorno compiva gli anni 63 dell'età sua» 40 • La diocesi, in seguito, fu amministrata da due vicari capitolari 41 ; dal decano D. Angelo Ardizzone, che, eletto il 2 settembre 1868, dopo alcuni mesi, il 20 settembre successivo, fu colpito da ictus cerebrale (apoplessia) e morì il 19 gennaio 1869; e dal cantore D. Gaetano Bonanno, eletto il 27 gennaio 1869, il quale, poi, dal novello arcivescovo fu delegato a prendere possesso della diocesi, secondo la consuetudine, «per acceptationem Mi trae Archiepiscopalis in capite» 42 •

Profilo biografico dell'arcivescovo Giuseppe Guarino

2.

Giuseppe Guarino 43 nacque a Montedoro (Caltanissetta) il 6 marzo 1827 da Michele e Angela Papia. Nel 1838, a li anni, -' 8

Io., Me111orie, cit., 121.

_N

f/Jid., 124.

40

Jbid., 119. " Jbid., 123·124 . .i.2 O. GARANA, op. cit., 237. ~ 3 Per LÙteriori notizie biografiche, cf,r. D..DE GREGORIO, op. cit.; Io., P. G. Cns1na110 e il card. Guarino, in La carità 3, 1963; AA.Vv., Il cardinale GiusefJpe Guarino. Un grande Pastore e1nerge dall'oblio, Ec1iz. Apostole de11a S. Fam,igHa, Mess.j;na 1984; G. CosTA, Il card. Guarino, Ediz. Apostole della S. Famiglia, Messina 1985; P. MAGNANO, Il card. Guarino risollevò oon fede e coraggio le sorti della chiesa siracusana, in L'Osservatore Ro1nano, 8 noven1bre 1875, 7; Io., Me1norie Siracusane, op. cit.; G. PARLATO, Siracusa dal 1830 al 1880, Editore Giannot,ta, Catania 1919, 275-276; O. GARANA, op. cit., 237-240.


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secondo la consuetudine del tempo, ricevette la tonsura e l'ostiariato; l'anno successivo entrò nel seminario di Agrigento. Fu ordinato sacerdote da mons. Antonio Maria Stromillo 44 , vescovo di Caltanissetta, il 22 settembre 1849; nel 1850, previo concorso, fu ammesso nel celebre collegio dei SS. Agostino e Tommaso 45 , che aveva carattere ed ordinamento di collegio universitario. Nel 1855, con il consenso del vescovo, fu segretario del giudice di monarchia mons. Diego Platena e nell'ottobre del 1859 fu nominato ufficiale capo del 2° Carico degli Affari Ecclesiastici del Real Ministero e Segreteria di Stato; a tale ufficio rinunciò dopo la soppressione della lnogotenenza siciliana (febbraio 1862). Nel decennio successivo si dedicò alle attività pastorali, insegnò diritto e riunì nella sua abitazione, in cenacolo di studio teologico e giuridico, un gruppo di giovani sacerdoti fra cui Giacomo Cusmano ~ 6 e Antonino Casaccio, segretario dell'arcivescovo Naselli prima, e poi suo vicario generale in Sirac11sa 47 •

H Nacque a Gorga rprcsso Capaocio 1'11 lugEo 1789; fu consacrato sacerdote il 26 n1arzo 1814; ·entrò .nell'ordine dei teatini il 4 maggio 1831; fece la professione religiosa il 29 giugno 1832; divenne preposito generale dell'·ordine 1'8 dice1nbre 1838; fu eletto vescovo di CaJtani ssetta il 9 novembre 1844; il 10 gennaio fu insignito del titolo accademico di dottore in teologia con breve apostolico di Gregorio XVI; il 6 febbraio 1845 fu consacrato vescovo a Rnma dal card. Gabriele Ferretti. M-ori a Caltanisset la il 7 gennaio 1858 .(cfr. A. GAMBASIN, op. cit., 88, nota 31). 'i 5 Cfr. D. DE GREGORIO, op. cit., 32-33. Il collegio dei SS. Agostino e To1n1naso era i1nbevuto di dottrine regaliste e plasmava «preti colti, ma di spirito gallicano e antitemporalista» (A. GAMBASIN, op. cit., 101). Il Guarino, co1nunque, non .si lasciò influenzare da tali idee e non fu lra quelli che puntavano «sui titoli accademici per impadronirsi dei benefici ecclesiastici ipingui e dei posti chiave della pubblica an1ministrazione)) (ibid., 100). Il gesuita Alessio Narbone si dissociava dai regalisti del collegio e dai .canonisti dell'università di Palermo, ed esercitava influenza sui preti zelanti e papali, di origine plebea (ibid., 96-97, 100-101), come il Guarino. '16 Cfr. D. DE GREGORIO, op. cit., 41; A. SINDONI, Il card. Guarino e l'episcopato siciliano del suo te1npo: l'opera pastorale e sociale, in AA.Vv., Il cardinale Giuseppe Guarino. Un grande pastore e1nerge dall'oblio, cii., 87-89. 47 Il decreto di non1i11a a vicario generale è datato «die Festo Nativitatis Beatae \lirginis anno 1872)) (ASCA, Edictorun1 et Notarum, 18531


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Nel concistoro del 23 febbraio 1872 fu resa pubblica la sua nomina ad arcivescovo di Siracusa 48 ; il 17 marzo fu consacrato vescovo 49 da mons. Michelangelo Celesia, arcivescovo di Palermo e il 17 aprile fece il solenne ingresso in diocesi 50 • Le fonti ufficiali 51 non accennano in questa circostanza a manifestazioni ostili o a disordini causati dalla massoneria locale 52 ; tuttavia il Parlato scrisse che «al suo arrivo in Siracusa 1896, ff. 292r-294r). Mons. -La Vecchia nel 1880 lo no1ninò anche a.rcidiacono del capitolo (ASCA, Rerum Apostolicarum, 1879-1886, ff. 36r-41.r), suscitando 1nalcontenti (cfr. A. PRIVITERA, Men1orie, cit., 123, nota 1). 48 Contemporaneamente furono eletti mons. Domenico Turano per la diocesi di Agrigento, mons. Antonino M-orana per Caltagirone (in archivio di :lui si conservano alcune lettere ·indirizzate a mons. Guarino) e -mons. Benedetto La Vecchia per Noto (ck La Civiltà Cattolica, 1872, V, 740-741). Mons. Guarino fu informato deHa sua elezione ad arcivescovo di Siracusa da mons. Celesia nella prima decade di dicembre 1871; sperò di esserne esonerato :in seguito alla ·sua lettera di rinunzia dell'll dicembre 1871 (cfr. D. DE GREGORIO, op. cit., 57-58). La datazione riportata dal Garana o è errata o è opera di rifuso tipografico (cfr. O. GARANA, op. cit., 237). 49 Il quotidiano cattolico di Palermo :riportò :la cronaca dell'avvenimento. «Palermo 18. Ieri ebbe luogo la solenne e commovente funzione ,d'ella consacrazione dei quattro vescovi, mons. Guarino di Siracusa, mons. Turano di Gi.rgenti, mons. La Vecchia Guarnicri di Noto e mons. Marana di Caltagirone. Sin dalle 'Ore mattutine la piazza della cattedrale era gren1ita di popolo; e appena le porte del ·vasti.ssimo tempio furono aperte, la folla si versò istantemente per occupare i migliori posti. Non erano ancora Ie 9 a.m. e già il ten1pio era zeppo aUa lettera, e mDlti si arrampicavano sui confession:ili e :sui pilastroni per poter vedere almeno in qualche modo le sacre e sublimi cerimonie [ ... ].'Fu cost'ruito l'altare .maggiore per nostro esimio Arcivescovo consaorante [ ... ]>>(La Sicilia Cattolica, 19 marzo 1872, 3). 50 «Sappiamo che l'egregio mons. Guarino, arcivescovo di Siracusa, sia stato fatto segno alle più vive accoglienze, ed alle più ,sentite acclamazioni nei paesi per cui è passato, anche non appartenenti aUa 'sua archidiocesi» (ibid., 17 aprile 1872, 3; inoltre, ibid., 24 aprile 1872, 2-3; 27 aprile 1872, 3-4; 1 maggio 1872, 3-4; 4 giugno 1872, 3-4). 51 ASV, Segreteria di Stato, Lettera di Guarino al card. Antonelli, 28 aprile 1872, rnbr. 3, fase. 5, 131; ARCHIVIO DI STATO ROMA (abbr. ASR), Ministero Affari Culto, Siracusa. Telegramm a del .prefetto TUIT'ati e Lettera da Ministero del1 1Jnterno a Ministro di Grazia e Giustizia, busta 125_. fase 304. 52 Aveva costituito un circolo politico che prendeva il nome dal motto inrizziniano «Ora e sempre)) e pubblicava «un giornale che ;portava lo 1


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che fu il 17 aprile, grandi preparativi di festose accoglienze si eran fatti; ma una dimostrazione ostile turbò il solenne ingresso dell'eminente Prelato nella città, e contrasti e risse e tafferugli avvennero qua e là, lungo la via percorsa dal corteo che lo accompagnava» 53 • Anche il nipote dell'arcivescovo, Pietro Guarino, raccontava che quando il corteo giunse in via Maestranza tra la folla si levarono alcuni fischi in segno di ostilità. «Erano - scrisse - i patrioti di allora che sentivano il bisogno di quell'espettorazione anticlericale, dicevano essi, ma che era invece antireligiosa e incivile. Lo zio ricordava sorridendo quell'incidente, ma il ricordo gli serviva per dire della civiltà finissima della città di Siracusa, una delle migliori dell'isola e alla quale rimase sempre affettuosamente legato. Quei fischi, invero, dimostravano lo stato di tensione degli animi in quel periodo tanto agitato per la vita della nobile città» 54 • A Siracusa, mons. Guarino si sentì legato soprattutto all'impegno episcopale di consapevole fedeltà ad una missione divina stesso titolo>) (G. PARLATO, op. cii., 274), fondato nel 1872 (c.fr. C. PrccroNE, Il giorna.Zisn10 siracusano dal 1864 al 1930, in Provincia di Siracusa 3 [1984], 8). La massoneria aveva degli adepti anche tra i religiosi. «Il padre Serafino era ex·priore dei Carmelitani: dopo che il suo cadavere fu associato dai suoi compagni, insieme ad altri religiosi fino alla prima porta di terra, con sorpresa e meraviglia di tutti fu ricevuto 1d'a un gran numero di frammassoni i quali dopo aver messo sulla cassa mortuaria una specie di pallio ricamato cogli emblemi della frammassoneria, fu accompagnato da essi fino al ·camposanto, dove gli furono apprestati gli onori C'ome a c·avaliere appartenente aJla loro setta. Oh tempi!» (A. PRIVITERA, Cronaca, cit., 87, nota 34). 53 G. PARLATO, op. cit., 275. Per I'ingresso dell'arcivescovo Luigi Bignami ( 1906-1919), avvenuto il 16 settembre 1906, «non ci furono 'Solo i fiori e gli ·evviva, [ ... ] eccoti che da un ieosidetto oaffé dell'Unione di via Maestranz·a, davanti al palazzo della Prefettura sale acuto un fis·chio, cmi rtien 1diet,ro 1a caginara dei soliti belHmbusti, che a quei tempi volevano dare ·l'aria dei supenromini [ ... ] (a) togliere ogni velJeità ·di ·replica anche ad un altro giruppo, capitanato da un av.vocatuzw che appena ardì guaire, all'<imbocco di Piazza Archimede, s'ebbe addosso le reazioni di un campagnolo, il quale insegnò da par suo la creanza» (V. MARASCHI, Un vescovo 111ilanese siciliano 111011.signor Luigi Bignarni, arcivescovo di Siracusa, C·asa Editrice Gas,parini, Mil ano 1942, 126). 54 Vd. D. DE GREGORIO, op. cit., 63-64. 1


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che trascende le prospettive terrestri e ad un serv1z10 religiososociale che sembrava sempre più urgente nello stato di aggravata miseria e di disgregazione in cui versavano le popolazioni. Trovò «l'archidiocesi tutta permeata dalla massoneria; le chiese erano deserte, il clero, ostacolato dall'ambiente ostilissimo, non aveva la forza di impegnare la lotta che rappresentava la ragione precipua della sua missione nel mondo. Bisognava spezzare quel cerchio di ghiaccio che circondava le anime e fugare i lupi che insidiavano l'ovile» 55 • Così avvenne nella sua triennale permanenza a capo della diocesi siracusana, la quale trovò una strada nuova in un uomo forte e amabile insieme, impulsivo e capace di dominarsi e non meno capace di imporsi tutte le volte che la fedeltà al suo dovere lo richiedeva 56 • Le sue lett,ere pastorali e le notificazioni alla diocesi indicano il suo p-rogetto pastorale: « Verren10, quindi, o carissimi fratelli e figlioli, a visitarvi nel nome del Signore: e confortati dallo Spirito Santo, già ricevuto nella nostra unzione episcopale, ravviveremo la vostra fede, mettendola in guardia dalle false dottrine, che con spudorata e menzognera filosofia va spargendo nel popolo; vi comunicheremo la pace del Signore; vi predicheremo il regno dei cieli [ ... ] » 57 • Alla iniziale attività di mons. Guarino, il Parlato ha voluto dare una equivoca e distorta ispirazione politica 58 • In lui, inveJbid., 66.

55

Il Guarino {(aveva fama idi intelligente e collo e che dicevasi esperto politican1ente e molto stin1ato dalla .Curia Ro111ana» (G. PARLATO, op. cit., 275). Il Parlato era prevenuto nei confronti dell'arcivescovo, tuttavia ha dovuto ammetterne l'<,opera industre e sagace>> (l. c.). 57 G. GUARINO, Noti{lcaz.ionc all'Archidiocesi di Siracusa, 2 settembre 1872, 8-9. ss «[ ... ] sperò il Guarino sin dai pri1ni giorni del suo insediamento, di rafforzare il partito nero, creando as·sociazioni cattoliche, promuovendo feste religiose, procurandosi larghe aderenze e cercando popolarità in tutti i modi; ma Siracusa è ·stata sempre una città poco adatta alle tendenze clericali, e la storia del suo ·popolo dimostra che è sempre vissuto nel moto saliente del pensie1~0 e dell'azione nazionali, pur travagliato da avvers i•tà e da -ingiustizie che l'han danneggiato e depresso. Anche al'lora, senza venir 111eno ai doveri della religione e senza .affievolire il sentimento della fede, la grande maggioranza guardò indifferente all'opera industre 56

1


L'arcivescovo Michele l'v'Ianzo (arcivescovado di Siracusa)


L'arcivescovo Angelo Robino (arcivescovado di Siracusa)


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ce, v1v1ssimo era lo zelo pastorale e il suo atteggiamento era proprio dettato da quell'ansia apostolica che più d'ogni altra dote Pio IX richiedeva ai suoi vescovi. «La frase, citata dall'Aubert, che Pro IX avrebbe detto a proposito del successore 'dovrà ispirarsi al mio attaccamento alla Chiesa ed al mio desiderio di far del bene. Quanto al resto tutto è cambiato intorno a me, il mio sistema e la mia politica han fatto il loro tempo, ma io son troppo vecchio per cambiare indirizzo [ ... ]',poteva ben valere» 59 per l'arcivescovo Guarino, che rimase sempre sostanzialmente ed efficacemente fedele al mandato ricevuto. La prima città della diocesi, visitata dall'arcivescovo, fu Melilli in occasione della festa di S. Sebastiano di maggio 60 e da Melilli, poi, inizierà la sua visita pastorale 61 • e -sagace dell'Arcivescovo, e però si mantenne salda nei suoi intendimenti e nelle sue aspirazioni; mentre jJ Circolo Ora e Sen1pre, a mezzo del suo giornale, continuava la guerriglia pressante, insistente, con polemiche morid'aci e sgarbate e con articoli violenti contro il lavorio di quel nuovo guelfismo, del quale svelava i segreti, censurava i metodi, combatteva i fini. L'arcivescovo cercò di opporre resistenza, anche con la stampa; ma inasprì di più gl'irruenti ardori degli avversari, che trascesero in ingiurie gravi, compromettendo grandemente Ia dignità di .chi stava a capo della chiesa inetropolitana. Fu allora che il Guarino preferì più cauta temperanza e più :riservato e prudente contegno dedicandosi ai suoi doveri sacerdotali e trascurando le brighe partigiane; tanto più che si avvicinavano le elezioni generali politiche, alle quali egli e il suo partito non avrebbero potuto liberamente partecipare, in ossequio alla astensione 1dal voto, i1nposta ai cattolici dal Vaticano}> (G. PARLATO, op. cit., 275-276). 59 F. fONZI, I Vescovi, in AA.Vv., Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità (1861·1878), 3/I, cit., 57. 60 «Ci s·crivono da Melilli che l'egregio Arcivescovo di Siracusa, mons. Giuseppe Guarino, passò due giorni in quella città, in occasione che il prim·o maggio vi si celebra 1a festa del santo Patrono, S. Sebastiano. Quei bravi .cattolici andarono in folla incontro al loro novello Pastore, preceduti dalla banda musicale, accogliendolo con le più sentite acclamazioni di fede e di affetto. Mons. Guarino .pontificò solennemente tanto ai vespri della vigilia, quanto alla Messa del ginrno in cui celebrassi la festa del S. Patrono. I cattolici di Melilli ne restarono sommamente soddisfatti, e non dimenticheranno più il giorno in cui ebbero la sorte di conoscere da vicino il loro an1ato Pastore}} (La Sicilia Cattolica, 4 giugno 1872, 3). 61 ASCA, A. ROBINo-G. GUARINO, Visitationes Ecclesiarum 1854-1874,


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Questa, iniziata il 12 settembre 1872 e ultimata il 23 aprile 1874, riuscì a scuotere la generale apatia e a risollevare le sorti della diocesi mettendo ordine in tutte le cose attinenti al culto, alla vita del clero, riparando i guasti della lunga «sede vacante» 6', risvegliando la fede e curando una appropriata catechesi. Nella visita in Melilli (12-20.IX.1872), che fu estesa a Villasmundo (17.IX) e a Priolo (18.IX), dispose la ricostruzione della cupola della chiesa madre; costituì tre commissioni (dei "civili", dei "maestri" e dei "massari") per reperire i fondi necessari; suggerì di far fare una perizia ad un «abile e coscienzioso Architetto»; aprì la sottoscrizione con 393 lire e 37 centesimi e dispose, inoltre, di distribuire ai poveri 55 lire e di consegnare 200 lire alle tre superstiti collegine 63 . Il 21 settembre Sortino (21.IX - S.X) accolse l'arcivescovo al grido di «Viva l'Arcivescovo, Viva Pio IX» (acclamazioni che si ripeteranno in quasi tutti i centri). Nel monastero di Montevergine trovò 22 monache (comprese 7 converse ed 1 educanda); altre otto monache, inoltre, si trovavano fuori del chiostro perché ammalate. Nel collegio di Maria, le collegine erano 17 (comprese 6 educande e 2 converse) 64 •

f. 238 (·sul dorso del volume è stato scritto soltanto: A. Robine 1854-1859; manca la dicitura: G. Guarino 1872-1874), 62 La sede vacante si protrasse dal 28 ag.osto 1868 al 23 febbraio 1872. Nella lettera dell'll maggio 1872 a ·mons. Celesia, l'arcivescovo Guarino scr·i-veva: «Mons. R.mo molto travaglio hu trovato qui [ ... ]. Dei parochi nessuno faceva al popolo l'istruzione catechistica, né istruiva i fanciulli nei rudimenti della fede cattolica. I preti tra buoni e cattivi son vissuti alla buona di Dio, o meglio alla carlona. Man ma.no procurerò d'aggiustare ogmi cosa. Sto formarud:o un !libro sullo stato della diocesi, onde avere una informazione preventiva, e poi aprire la visita con maggiore facilità. Sto attivandomi pel Seminario, .non ho .trovato alcun chierico [ ... ]». Vd. D. DE GREGORIO, op. cit., 66-67); in altra lettera (17 maggio 1872) allo stesso Celesia confidava: «Quante spine trovo qui, Mons. Ecc.mo che ignoranza! che rilasciatezza de' costumi, salve poche eccezioni! V'a dei comuni in Diocesi ove .con dolore dee tollerarsi che qualche prete dica ·messa. Dio mi ajutb) ( ibìd., 66 ). 63 ·Cfr. ASCA, A. RoBINO - G. GUARINO, Visitationes Ecclesìar.un1 1854-1874, ff. 238·252r. 64 lbid., ff. 253·268.


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A Monterosso (7-17.X), mons. Guarino emise un decreto per la contabilità della matrice, della chiesa di S. Antonio; creò tre commissioni per restaurare la chiesa madre e quella di S. Giovanni ed eresse tra i sacerdoti la congregazione dei Padri ricordanti detti della buona morte 65 • Nella visita a Chiaramonte (18.X-2.XI) constatò che nel monastero di S. Caterina si trovavano ancora 12 monache (comprese 3 converse); visitò anche la chiesa di Maria SS. di Gulfi, dove venerò «simulacrum pulcherrimum B. M. Virginis sub titulo de Gulphis» 66 • A Ragusa Ibla (3-20.IX) visitò anche il monastero di Valverde (18 monache comprese 3 educande e 4 converse) e il monastero di S. Giuseppe (con 16 monache comprese 3 educande e 3 converse) 67 ; a Ragusa (21.IX - 10.XII), il collegio di Maria (con 25 collegine comprese 3 educande e 3 serventi) 68 • L'll dicembre, mons. Guarino ritornò a Siracusa dopo ·essersi fermato a Modica, Ispica e Noto, dove fu ospite del vescovo La Vecchia 69 • Dopo pasqua, la visita pastorale fu ripresa a Lentini (22.IV 4.V.1873); nel collegio di Maria c'erano 19 collegine e nel monastero della SS. Trinità e S. Marciano 7 monache (compresa 1 servente). L'arcivescovo, inoltre, visitò in quella città alcune chiese prima conventuali: S. Maria di Gesù, antico convento dei PP. riformati, la chiesa dell'ospedale (o di S. Giovanni di Dio) e quella del Carmine e promulgò il «Decreto della Chiesa Delle 5 dirute Parrocchie, ovvero S. Maria La Cava olim Cattedrale» 70 • A Francofonte (4-11.V) e a Carlentini (12-14.V), l'arcivescovo si rivolse in particolare ai sacerdoti 71 • Ad Augusta (15-31.V), per le monache del monastero di S. Caterina (23 coriste, comprese 7 educande, converse e serventi) 72 , la paternità del pastore si

" Ibid., 66 Ibid., 67 Ibid., 68 lbid., '' Ibid., 70 lbid., 11 Ibid., 72 lbid.,

ff. ff. ff. ff. ff. ff. ff. ff.

269-279r. 280·284r. 285-291r. 292-298. 298-298r. 299-308. 309-320r. 321-333r. Il decreto per le monache è da f. 331 a f. 333r.


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effuse sulle figlie: «se da un lato la nostra visita pastorale vi ha dato conforto in mezzo ai dolori che vi circondano, e dopo i tanti pericoli a traverso dei quali siete per buon tempo vissute, vi è riuscita di gioconda e santa consolazione, ha presentato a noi dall'altro l'opportunità di conoscere i vostri bisogni spirituali, cosa che al nostro cuore paterno riesce carissima, p-er darvi direzioni opportune [ ... ] ,, 73 • Il 3 giugno l'arcivescovo rientrò a Siracusa: ripartì per Co· miso (4·27.VI), dopo aver pernottato a Noto 74 ; visitò Santa Croce (28-30.VI) 75 , tralasciando Vittoria ed Acate 76 e si diresse verso Modica (dove incontrò mons. Antonino Marana, vescovo di Caltagirone), Noto (dove rivide mons. La Vecchia) e il 2 luglio si trovò in mezzo ai fedeli di Bagni (Canicattini)"- Con la visita a Floridia e Solarino (6-15.VII) completò questo secondo ciclo della visita pastorale 78 • Dopo il periodo estivo, mons. Guarino visitò la cattedrale (22.IX), le parrocchie di S. Giovanni Battista (25.IX), S. Pietro (27.IX), S. Paolo (29.IX), S. Giacomo (7.X), S. Tommaso (9.X), S. Martino (14.X); i monasteri di S. Benedetto con la rispettiva chiesa (19-20.X), S. Lucia e chiesa (26-27.X), del Monte Carmelo

lbid., f. 331. Ibid., ff. 334-349. 1s Ibid., ff. 349r-351. 76 I n1otivi <lolla mancata vi.sita a Vit toria e a Biscari {Acate) sono esposti neUa relazione ad lùnina che 'pubb'lirchiamo (Relazione Guarino 1874 [abbr. RG], § II). Non è chiaramente fondata J'affermazione di G. De Rosa: «Il vescovo di Si.racusa ri velava di non aver potuto compiere la visita pastorale, dato lo stato di insricu-rezza ,in cui giaceva a;ncora la dioces i; forrti dissidi tra i cittadini ,divisi in fazioni, con omicidi. Più pru· dente sarebbe stato .rinviare ila visita 'ne occas·ionem tumultuandi ·ma.Iae volutateis hominum arriperent, quibus i'hla oppida satis abundant'}) (G. DE RosA, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Laterza, Bari 1978, 157-158). L'arcivescovo, P'iuttos-to, 1amentava i gravi ostacol,i per accedere da Siracusa ai villaggi ed ai hoPghi di camp·agna «etsi valde fatigans sit iter, cum contigua illa oppida ab hac civitate forme centum distent minaPlis» (RG, § I, II). 77 Cfr., A. RoBINO -G. GUARINO, Visitationes Ecclesiarunt 1854-1874, ff. 351r-352r. 1s Jbid., ff. 353-363r. 73

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con la chiesa (2-8.XI), soggetto un tempo all'ordine dei PP. carmelitani e ora sotto la giurisdizione vescovile per il rescritto apostolico del 28 febbraio 1873; la chiesa sacramentale sotto il titolo del SS. Cuore di Gesù all'interno dell'istituto delle suore di carità, la chiesa di S. Rocco allora dell'orfanotrofio sotto il titolo delle Cinque Piaghe del SS. Salvatore, amministrato dalla deputazione della carità (23.II.1874), la chiesa del Reclusorio sotto il titolo del SS. Salvatore (24.II), la chiesa sacramentale di S. Filippo Apostolo (25.II), la chiesa sacramentale dello Spirito Santo (26.II), la chiesa sacramentale dell'Immacolata Concezione o del soppresso convento di S. Francesco d'Assisi (28.II), la chiesa del soppresso convento sotto il titolo della B. Maria del Monte Carmelo (6.III), la chiesa del soppresso monastero dell'Immacolata Concezione (7.III), la chiesa del soppresso monastero di Aracoeli sotto il titolo di S. Margherita, la chiesa sacramentale di S. Giuseppe (19.III), la chiesa del soppresso convento di S. Francesco di Paola (ove esiste un altare dedicato a S. Antonio abate) (23.III), la chiesa di S. Agata (24.III), delle Anime Purganti (14.IV), di S. Michele Arcangelo, del soppresso monastero di Montevergine, di S. Maria dei Miracoli, S. Nicola, S. Maria delle grazie, dei Santi Martiri coronati e dell'oratorio di S. Filippo Neri (16.IV) "Uno dei maggiori problemi che assillò il cuore del pastore fu la riapertura del seminario. Nella difficoltà della «circonstanza dei tempi», deliberò con la deputazione del seminario di riaprirlo in forma di seminario-convitto nel locale dell'antico seminario con l'affidarne l'ufficio di rettore a un padre della missione, detto padre Vincenzino 80 • «Tolta in seguito !'esenzione dei chierici dalla leva militare divenne così scarso il numero dei Seminaristi, che all'arrivo dell'Egregio Arcivescovo D. Giuseppe Guarino nel 1872 non potendo riaprire il Seminario, onde attuarne l'apertura con sufficiente numero di alunni, meditava d'istituire un Collegio-Convitto di giovanetti per educarli nella vita morale, e civile ed istruir-

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lbid., ff. 364-376. ,Cfr. ASCA, Liber literarun1 ab anno 1874 ad anniun 1896, ff. 30-31.


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li secondo il programma degli studii governativi: quale suo disegno venne in seguito attuato in Noto da chi ne ebbe sentore, dal Sacerdote D. Giovanni El andini (che trovavasi qui da Predicatore Quaresimalista), tostochè fu eletto vescovo di quella città» 81 • Mons. Guarino, avendo rilevato che, a causa delle difficili circostanze, a Siracusa erano rimasti vacanti le dignità ed alcuni canonicati e che il dovere del coro ed il servizio della cattedrale non erano decorosi, udito il parere del capitolo, nominò otto canonici onorari 82 • Nella sua attività pastorale, scartò analisi di specifico ordine politico e si diffuse sui profili strettamente religiosi con proposte, indicazioni, direttive, nell'intento fondamentale di difendere o di ristabilire l'integrità della fede, della morale, del culto stimolando soprattutto nel clero un preciso impegno operativo. Il suo vasto programma di rinnovamento pastorale non poté essere attuato a causa del suo trasferimento nella sede di Messina 83 • Nell'ultimo anno della sua permanenza siracusana, mons. Guarino compilò e presentò alla S. Sede la Relazione sullo stato della diocesi; ebbe a soffrire i riflessi della mancata concessione dell'exequatur 84 e, quindi, con l'animo diviso tra due sentimenN. AGNELLO, op. cit., 415-416. Cfr. ASCA, Regestum Privilegiorum 1850-1934, ff. 169-169r. I novelli canonici furono: Antonino Casaccio, Nunzio Agnello, Rosario Lo Bello, Giuseppe Merendina, Antonio Privitera Salvatore Betagh, Vincenzo Annina, e Pasquale Zivillica (ibid., ff. 170-174r). 83 ·Cfr. D. DE GREGORIO, op. cit., 78-82. L'arcivescovo Guarino espose che <cdopo tre anni di cure in questa diocesi, che non trovai sicuramente in flori1d'e oondizioni [ ... ] mi sarebbe certo di grave dolore non poter compiere l'opera già con1inciata e di dolore più acerbo, lasciare non aperto il seminario, vera base di riforn1a di una diocesi, perocché dopo lunghe lotte, non mi è sinora riuscito che rivendicare il fabbricato ,tratto a sé dal demanio)) (Vd. D. DE GREGORIO, op ..cit., 79-80). J,l Parlato, invece, maldestramente insinua che «vista fallita l'opera sua, cercò di andare in altra diocesi» (G. PARLATO, op. cit., 276). 84 A melà maggio del 1875 W1a circolare ministeriale disponeva che i vescovi privi di exequatur fossero allontanati dagli episcopi; un'altra 1d!el 81

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ti 85 , lasciò Siracusa per Messina, dove, promosso cardinale da Leone XIII il 16 gennaio 1893, morì in fama di santità 86 il 21 settembre 1897. 3.

Regesto d'ella relazione ad limina del 1875 e documento originale

Mons. Guarino scrisse la sua relazione 87 , dopo aver termi· nato la visita pastorale 88 • Il taglio della relazione risente della 10 giugno 1875 .non escludeva la possibilità .di dilazioni (cfr. M. BELARDI· L'exequatur ai vescovi italiani, in AA.VV., Chiesa e Religiosità in Italia dopo l'Unità (1861-1878), 4/I, cit., 33). Il 16 luglio mons. Guarino fu sfrattato con la forza dall'episcopio (cfr. D. DE GREGORIO, op. cit., 74-78), che egli aveva fatto restaurare nel 1874 ·dai guasti lasciati dall'esposizi-0ne agraria artistica interprovinciale del 1871 {che l'aveva occupato assieme all'attuale seminario e .al giardino) "Spendendovi circa 8.000 lire (cfr. N. AGNELLO, op. cit., 327; G. PARLATO, op. cit., 262-268). L'episcopio, poi, fu restituito a mons. La V.ecchia nel settembre del 1879 (cf,r. O. GARANA, op. cit., 241). ss C.fr. G. GUARINO, Lettera pastorale al clero e al popolo di Messina, Siracusa 1875, 3. 86 Il 10 noven1bre 1985 l'arcivescovo di Messina, mons. Ignazio Cannavò, ha aperto ufficialmente il processo di beatificazione e canonizzazione del ca:nd. Giuseppe Guarino (cfr. La Scintilla, 29 dicembre 1985). 87 Il titolo è: Relatio Archiepiscopi Syracusani super statu suae Ecclesiae Metropolitanae pro anno Do111ini 1874. E' datata 25 giugno 1875; consta di 30 pagine; è scritta in modo leggibile e non contiene cancellature. Nell'Archivio Storico della Curia ho trovato la minuta del documento che con·sta di 39 p'agine, formato 31x21; .in es.sa abboniano correzioni, aggiunte e cancellature. Nello stesso fascicolo ·si trovano, inoltre, la minuta della lettera che accompagna la relazione e tre lettere (formato 27x20) della S. Congregazione del Concilio a firma del card. Prospero Caterini: la prima è datata 15 gennaio 1873 (si attesta che l'arcivescovo siracusano i'l 20 dicembre 1872 visitò personaliter sacra limina); la seconda del 26 gennaio 1873 (si conceid'e lUl anno di tempo per presentare la relazione sullo stato della .dioC'esi); la terza, infine, del 24 novembre 1873 (si comunica che il papa ha confermato la proroga). 88 La visita a1la diocesi fu espletata in t~re tempi: dal 12 settembre 1872 all'll dicembre dello stesso anno; dal 22 aprile all'll luglio 1873; e dal 22 settembre 1873 al 16 aprile 1874. NELLI,


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ecclesiologia del tempo; la tematica in essa contenuta coglie gli aspetti più vivaci ed attuali delle tensioni e delle difficili relazioni tra la Chiesa e lo Stato 89 • Lo schema predisposto, per molti aspetti preciso, non stimolava certo ad allargare la problematica proposta; era, tuttavia, tale da non impedire che le notizie potessero toccare nuovi e più aperti essenziali motivi di interesse. Quel che più conta è che la relazione non si accontenta di dare sempre una interpretazione negativa e pessimistica; si concreta, invece, in suggerimenti diretti all'azione nell'intento di neutralizzare gli effetti negativi che le vicende storiche, ormai irreversibili, esercitano sui ritmi tradizionali delle istituzioni ecclesiastiche e della vita religiosa. Pur essendo assertore del potere temporale del papa e della illegittimità dell'occupazione dello Stato pontificio 90 , come testimoniano gli atti di fedeltà a Pio IX 91 , egli seppe adeguarsi al fatto compiuto e adattarsi alla nuova situazione della Chiesa nello Stato; il suo temperamento di abile diplomatico, lo portò a cercare di salvare il salvabile 92 • Nel primo paragrafo, De statu mat~riali Ecclesiae, l'arei-

Sui :rapporti tra Stato e Chiesa esiste un'abbondante Iettera·tuTa, in particolare ,cfr. AA.Vv., Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità (1861-1878), 3/l; 3/ll; 4/l; 4/Il, cit.; F. SCADUTO, Stato e Chiesa nelle due Sicilie, !-Il, Edizioni della Regione Siciliana, Palermo 1969; C. A. JElvlOLO, Chiesa e Stato in Italia, Einaudi PBE, Torino 1977; F. LEONI, I cattolici e la vita politica italiana dal 1874 al 1904, Guida editori, Napoli 1984. 90 «[ ... ] Il sacerdote Guarino [ ... ] come prete mal vede l'ordine di oose stabilito in Italia dal '60 in qua; e sebbene riserbato non nasconde H desiderio che ha di vederlo distrutto. Per la quale cosa fu tenuto sempre d'occhio dalla Autorità politica, che qualche volta lo ha indiziato come complice di cospirazione co.ntro il Governo, il che per altro non si è potuto m.ai giudiziariamente stabilire)} (ASR, Ministero Interno Affari Cullo - Siracusa, Lettera Procura Gen. ,del Re a Ministro di Grazia e Giustizia, 30 marzo 1872, husta 125, fase. 304). 91 Cfr. D. DE GREGORIO, op. cit., 194-197. 92 Una delle prime visite, dopo il solenne ingresso, fu fatta al prefetto della città «il quale per debito di cortesia alla sua volta gli restituì la visita» (ibid., Lettera del Ministero dell'Interno a Ministro di Grazia e Gius·ti,ia, 22 aprile 1872). 89


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vescovo fotografa la Chiesa siracusana partendo dalla sua antica istituzione apostolica, che a quel tempo veniva data per certa, ricordando che fu chiamata «primarn B. Petri fìliarn, et secundarn post Antiochenam Ecclesiarn Christo dicatam» 93 . La diocesi siracusana, che era molto vasta prima della creazione di alcune diocesi 94 , era costituita da 21 paesi e città 95 con 120.000 abitanti 96 ; le parrocchie ammontavano a 31 97 e le 93 La citazione è presa dal breve che Leone X (5 n1aggio 1517) indirizzò al vescovo siracusano Pietro ·Drries (cfr. R. PIRRO, Sicilia Sacra, I, Panormi 1733 3 , 638). 94 Pio VII i,stituì la -diocesi di Caltagirone (12 settembre 1816) ·sottraendo a quella di Siracusa i comuni di Caltagirone, Riesi, Eutera, Grammichele, Licodia, Mineo, Mazzarino, Militello, Niscemi, Palagonia, Scordia, S. Michele, San Cono, Terranova (Gela) e Vizzini; e la idiocesi di Piazza (3 luglio 1817), distaccandola in gran parte da Catania. Gregorio XVI, poi, creò la diocesi di Noto (15 maggio 1844) .sottraendo uHerìor.m.ente a Siracusa i con1uni di Noto, Avola, Pachino, Portopalo, Rosolini, Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla, Palazzolo Acreide, Modica, Scicli, Spacca,forno (Ispica) e Pozzallo (cfr. O. GARANA, op. cit., 211-212; P. MAGNANO, L'eren1itis1no irregolare nella .diocesi di Siracusa, Edizioni .deH'Archivio Storico della Curia Arcivescovile, Siracusa 1983, 25, nota 52b; Io., La chiesa siracusana nel 1739, cit., 529, nota 6). 95 Sh"acusa, Pri·olo, Mehlli, Villasmundo, Augus,ta, B:rucoli Lentfali, Carlentini, Francofonte, Monterosso, Chiara1nonte, Ragusa, Comiso, Vittoria, Biscari (Acate), Santa Croce, Sortino, Canicattini, Floridia, S. Paolo Solarino, Belvedere, il villaggio ·d'i Scoglitti nella parrocchia di Vittoria e il villaggio di Cassibile nella parrocchia di S. Paolo di Siracusa. Il 6 maggio 1950, con la creazione della diocesi di Ragusa, furono anco:ra sot, tratti i con1uni di Ragusa, Acate (Biscari), Chiaramonte, Comiso, Mo.nterosso, Santa Croce e Vittoria. A Siracusa furono assegnati nuovamente i comuni di Buccheri, Ferla, Cassaro, Busccn1i e Palazzrylo Aoreide (cfr. O. GARANA, op. cit., 301-302). 96 Per la numerazione della diocesi dal 1595 al 1739, cfr. P. MAGNANO, La .chiesa siracusana nel 1739, art. cii., 535, nota 28). M"Dns. ·Guarino ITTOil elenca in dettaglio il numero di abitanti delle singole città e paesi. Alcuni anni dopo (1878), mons. La Vecchia nella ,sua :relazione scrive: ((Numerus civitatum et .oppìdorum est XXI cum incolis 175.000: quorum vulgata nonTina sunt: Siracusa cum incolis 24.000; Priolo 1.300; Melilli 6.000; Villasmunclo 500; Augusta 12.000; Bmcoli 500; Lentini 12.000; Carlentini 6.000; Francofante 5.000; Monterosso 7.000; Chiaramonte 8.000; Ragusa 30.000; Comiso 18.000; Vittoria cu1n pago Scuglitii 20.000; Biscari (Acate) 3.000; Santa Cr.oce 4.000; Sortino 9.000; Canicattini 6.000; Floridia 10.000; San


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chiese curate a 265 98 • Nella diocesi, a causa della perdita dei benefici e dell'incameramento dei beni, si accentuò il processo di impoverimento. Per la fabbrica e per la suppellettile sacra della cattedrale, il reddito ammontava a L. 1.530 e per il culto a L. 765; ma tale reddito era incassato dall'Economato Generale del Governo 99 • Il fisco, poi, aveva estorto via/enter una certa somma, che fu restituita dopo molte pressioni. In diocesi c'erano 6 collegiate e una «communia» di sacerdoti 100 • La povertà delle parrocchie mette in mente al pastore di unirne alcune. «Timeo enim - scrisse nella Relazione - ne

Paolo Solarino 3.000; Belvedere 1.100; pagus Cassibile 100 qui unitur Paroecìae S. Pauli Syracusarum)) (Relationes [1879], f. 252). La numerazione di mons. La Vecchia è approssimativa; la somma degli abitanti, infatti, è 187.000 e non 175.000. 97 A Siracusa erano 7, a Ragusa 2, ad Augusta 2 e negli altri singoli paesi, ad eccezione di Cassibile e Scoglitti, una. 98 ETano 33 più 4 rurali a Siracusa; 19 più 5 .rurali ad Augusta; 16 più 7 rurali a Lentini; 40 più 11 rurali a Ragusa; 10 a Vittoria; 1 a Priolo; 9 più 3 rurali a Melilli; 9 ·a Francofonte; 4 più 1 irurale a Monterosso; 13 più 26 rurali a Chiaran1ontc; 3 più 4 rurali a Biscari (Acate); 1 rurale a S. Croce; 10 più 4 ,rurali a Sortino; 1 a Canicat.tiini; 5 a f,Joridia. Dalla furia delle soppressiani, a Siracusa, durante l'episcopato di mons. Gu'arino ·si voleva salvare la bellissima chiesa di S. Maria di Gesù (oggi sul viale Teocrito). «Per ottenere cotesta chiesa, onde procurare di 1naintenervi il culto, monsignor Guarino e mio fratello :ill Parroco supplicarono e scrissero molto; ma Tiuscì vano ogni impegno, perché venne lor.o ,negata! Il magnifico organo per "il prezzo di 135 lire, come a.nche i quadri d'ella via crucis della stessa chiesa nel giugno del 1875 furono venduti al parroco di S. Marlino D. Giuseppe Loreto, il quale gli ha situati neHa sua parrocchia» (A. PRIVITERA, Menzorie, cit., 108, nota 2). 99 Mons. La Vecchia nel 1878 lamenta che {{pro fabrica et suppellecti-Ii sacra redditus habet 1.350 libellarum et pro culto divino libell{aru·m) 765 ex mensa archiepiscopali et actu ab Oecanon1atu Generali percipitur, curo redditus dictae mensae in eius potestate, Deo sic permittente, adhuc sint» (Relationes [1879], f. 252r). 100 Le c-ollegiate erano a Lentini, Ragusa, F·rancofonte, Augusta, Comiso (una nella ·chiesa madre e un'altra nella chiesa dell'Annunziata). A Car.Jent1ini, invece, c'era una co111munia di sacerdoti, fondata dal vescovo Gaetano Bonanno (1802-1806), i cui membri, 1d'etti "communistì" (cfr. Relationes [1858], f. 208), avevano il dovere delle recite delle ore.


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hic et nunc Municipium vel nihil vel valde parum in res Ecclesiae pronum, ac union<e lucrum faciat, si in parte impensae supprimendarum et uniendarum parochiarum venire renuat». E aggiunge con molto dolore: «Etenim tempus est spoliandi non autem reddendi Ecclesiae quod suum est» 101 • Un'altra difficoltà alla unione delle parrocchie era data dal fatto che per realizzarla bisognava attendere la vacanza delle parrocchie interessate. L'arcivescovo, invece, si sentiva più incoraggiato a ridurre da sette a quattro le parrocchie di Siracusa 102 , ridotta a 20.000

101 RG, § I, VII. Il canonico Privitera chiamò g1'i autori dell'incameramento dei beni 1della chiesa <<ingordi e orudi s·pogUatori)} (A. PRIVITERA, Cronaca, cit., 74). <(La consegna di tutti i beni dei Conventi e dei Monasteri dovea farsi dal Ricevitore [ ... ]. Le minacce contro quelli che non avrebbero confessato ciò che possedevano erano teriribili [ ... ]. Negli inventari adunque erano scritti [ ... ] quadri, vasi, gli arredi 'Sacri, tutti gli oggetti d'oro, 1d'argento, di :rame e dì legno, le biancherie, le cose .più preziose e di valore, fino a cennare :Je più .minute, le inservibili e Je logore dagli anni; il tutto col v·alore corrispondente a vi,sta dei periti che furono pagati dalle stesse parti» (ibid., 55). Poi i commissari &i portarono le scritture che fuvono consegnate al Ricevitore, «tutto il resto lo .lasciarono alle monache come depositarie responsabili di tutto quello, di cui fino a poche ore prilna erano state 'Sempre Je padrone, e che da quel mom·ento in poi venivano a perderne la proprietà» (ibid., 73). «Il giurno 17 dello stesso aprile .(dal monastero di S. Maria, n.d.r.), il Ricevitore si portò in casa sua una cassa grande piena di oggetti sacri d'oro e d'argento, dal peso, dicesi di rotoli 226 {1 rotolo= Kg. 0,739, n.d.r.); e ,jl giorno ventitré, spogliato i l s,imulacro dea'Im1nacolata Signora, [:a veste, gli addobbi di damasco· e di velluto, le .tocche d'oro e d'argento, i serici padiglioni che maestosi nel giorno della festa pendevano dal colmo .d'ell'a-bside e un gran cofano pieno di cose d'oro e d'argento, con quasi tutto ciò che vi era nel monastero, furono portati in casa del Ricevitore» (ibid., 71). 102 «.Porto ferma opinione scriveva circa un secolo prima Tom·maso Gargallo - che quattro parrocchie san più che sufficienti :alla città e alla popolazione ..Le stesse chiese parrocchiali ·sono miserabili nel materiale, e la cedono di molto ad alcune semplici ·chiese filiali e nella capaçità e nell'eleganza [ ... ] potrebbe farsi che rimanesse oltre la Cattedrale anche S. Paolo per essere bastanten1ente propria e necessaria al quartiere in cui è posta; e situerei le altre due neile basiliche di S. Filippo e dello Spirito Santo. Si farebbe allora una nuova divis·ione deM'ambito di eia1


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abitanti, le quali, tra tutte le parrocchie dell'archidiocesi, «pauperrimae sunt et inter civitatis tempia ignobiliores»; auspicava, inoltre, nel ridurre le parrocchie, di scegliere le «ornatiores et ampliores ecclesias» disponendo opportunamente delle rendite di quelle soppresse. In diocesi, inoltre, si contavano 91 oratori privati (i 46 conventi 103 erano divenuti proprietà dello Stato per le famose leggi eversive); dodici monasteri (otto lo Stato li aveva già adibiti a:d altri usi) 10'; e quattro collegi di Maria 105 , che erano con

scuna, dismembrandosi ed aggregandosi quello delle abolite e quello del1e superstiti)> (T. GARGALLO, Opere edite ed inedite, IV, Felice Le Monnier, Firenze 1925, 498). In nota lo ·stesso Gargallo ricorda che il progetto della riduzione delle parrocchie era molto più antico ed era stato discusso anche nella consulta dell'S agosto 1787 (Z . .c., nota 1). Il problema rimase irrisolto anche con inons. Guarino. Recentemente negli .anni '70 (1977), la questione fu portata all'ordine del giorno del consiglio presbiterale (t<rasferire cioè nei nuovi quartieri i titoli delle chiese parrocchiali di S. Martino e cli S. Giacon10 ai Miracoli riducendo a cinque le parrocchie di Ortìgia). Per pochi voti se ne impedì il benefico riordinamento. L'arcivescovo, mons Calogero Lauricella, nonostante il parere contrario, se ne riservò la decisione finale che ancora non è stata adottata. 103 RG, § II, VIII. M.ans. La Vecchia precisa: «Monasteria virorum in hac a11chidioeccsi erant 49 inclusi<S domibus tribus ne1npe: Cong,regationis S. ViJncentii a Paulo his Syracusis, alia OratoTii S. PhHippi Nerii Yhomisi et alia S. Philippi Nerii Augustae. Omnia per suppressionem periere» (Re/ationes [1879], f. 255). 104 A Siracusa c'erano 3 n1onasteri, 1 a Melilli, 1 a Sortino, 2 a Chiara1nonite, 2 a Ragusa, 1 a Lcntin·i, 1 ad Augusta e 1 a Comiso. Nel 1879, nlons. La Vecchia annotava che il n1onastero di Melilli era ·stato incame·rato daUo Stato (cfr. Relationes [1879], f. 255). Sulle vicende dei nlonasteri di Siracusa, cfr. A. PnrvrTERA, Cronaca· Me1norie, cit., 69-77, 132-134, 140-143, 161-164, 168·171. 105 I collegi di Maria, sotto la !regola del card. Corrardini, diedero un contributo deter1ninante alla istruzione popolare nella nostra diocesì (cfr. A. CRlMI, Il contributo dei Collegi di Maria all'istruzione pubblica in Sicilia, in La Sicilia, 5 febbraio 1971; ID., L'istruzione pubblica e priA vata in Vittoria neZ.Za prùna n1età del XIX secolo, iii1 L'era 5/6 [1977], 8-12; Io., L'istruzione fe1n111inile tra il Sette e l'Ottocento in Sicilia, in Nuovi Quaderni del Meridione 84 [1983], 465-471; Io., L'istr.uzione pubblica in Sortino prin1a del 1860, 'in Me1norie e Rendiconti, III, Acireale 1983, 211223). «Erano sorti in Sicilia nel prin10 '700 per opera di preti secolari,


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un numero esiguo di monache e, quindi, per legge sarebbero stati «proxime suppressura». Il seminario, <<vera base di riforma di una diocesi» 106 , fu la principale preoccupazione dell'arcivescovo che ebbe a superare non poche difficoltà per riaffermare i diritti della Chiesa sui locali dell'antico seminario adibito a distretto militare. «Perdif. ficile dictu est quanto labore et voce et scriptis ego et meus in spiritualibus Viracius Generalis coram Pisci ministris Seminarium pro Ecclesia vindicare satagerimus, sed frustra» 107 •

zelanti promotori delle mis·sioni e delle confraternite del catechismo. Gasch, arcivescovo di Palermo 1d:al 1703 al 1730, aveva ricevuto dal card. Corradini ile costituzioni e le applicò, per Ja prima volta, nel collegio di Maria all'Olivella nel 1721. Da Paler1no i collegi di Maria, destinati al ricovero e all'educazione delle fanciulle e zitelle, ,si erano diffusi in tutita l'Isola» (A. GAMBASIN, op. cit., 181). Nella diocesi di Siracusa nel 1739 ne esistevano uno a Chiaramonte e uno a Vittoria (cfr. P. MAGNANO, La chiesa siracusana nel 1739, ·cit., 555, nota 33). Nel 1858 ne erano sorti uno a V:ittoria, uno a Ragusa, uno a Melilli e uno a Sortino (cfr. Relationes [1858], f. 210). Nel 1878 erano a,ppena tre (ibid. [1879], f. 255). 106 Cfir. nuta 83. 101 RG, § I, IX. Il semina11io fu resti•tuito (l.c.); 1a solenne apertura, però, si ebbe durante l'episcopato di mons. Benedetto La Vecchia (18751896) il 3 novembre 1881 (cfr. S. PRIVITERA, Per la solenne apertura del se111inario arcivescovile di Siracusa, Stab. Tipo-Lit. Trombatore e Siena, Siracusa 1881; A. GIOIA, Mons. Benedetto La Vecchia, Officine Tipo-Litografiche Barravecchia e Balestrieri, Palermo 1925, 115-128). Il seminario, nel 1851, non fu chiuso per «danni idi guerra)> (cfr. A. GA1'v1BASIN, op. cit., 152) ma era «regiis militis occupatum» per cui «ne potest quidem - scriveva rnons. Manzo - aliquos iuvenes cxipcre; ita ut in episcopio coactus sim clericos Dioecesis colligere ad addicendos aiiquo modo quae possunt, ne penitus imperili et incompositi inve.niantur)) (Relationes [185-l], rf. 200). C'era .inoJt,re il problema dei contiributi «iuxta ul.titni ConcoPdati» (ibid., f. 198r) che il Governo non dava. Il Privitera conferma che «nel tempo di monsignor Manzo nan si aprì il seminario perché egli intendea ottenerne dal Re Ferdinando II Borbone i fondi opportuni per mantenerlo grandioso e .Juogo di ogni insegnamento)) (A. PRIVITERA, Me1norie, cit., 130, nota 1). SuH'origine 1d0l s·em-inario, cfr. P. MAGNANO, La chiesa siracusana nel 1739, cit., 538 e in part'icorlare la nota 33; -srul suo ·sviluppo con mons. La Vecchia, cfr. ,p, MAGNANO, Un Past.ore che ha dato il suo cuore alla diocesi e al popolo di Siracusa, in L'Osservatore Ronzano, 28 maggio 1987, 7).


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Le 71 confraternite, i 7 ospedali, i 4 orfanotrofi e i 2 eremi erano stati sottratti alla giurisdizione vescovUe; dal 1820 al 1860 furono soggetti ai consigli degli ospizi e dopo il 1860 alla congregazione di carità e alla deputazione provinciale. Un orfanotrofio a Siracusa era sottoposto ancora all'arcivescovo che era coadiuvato, nell'amministrarlo, da «duobus fideicommissariis de gremio CapituU Ecclesiae Cathedralis» ""· Il monte di pietà '09 era stato assegnato alla Deputazione provinciale. Nel secondo paragrafo, De iis quae pertinent ad meipsum Archiepiscopum, si ricorda l'ingresso dell'arcivescovo in Siracusa, la sua permanenza in sede ad eccezione del gennaio 1873 " 0 , tos Di quale orfanotrofio ·si tratta? A mio parere è l'opera pia .Bo.nanna, che apparteneva al conservatorio del Santis·simo Salvatore (teresiane) (cfr. A. PRIVITERA, Me1norie, oit., 134 ). L'orfanotrofio -deUe Cinque Piaghe o conservatorio del1e orfane, in.fatti, fondato dal vescovo Asdrubale Termin i (1695-1722) con atto del 10 giugno 1704, ((soggetto aill'Ordinario, con decreto del 19 marzo 1868 comunicato alla stesisa ·deputaziione deLlo stesso conservatorio il giorno 4 aprile, fu tolto dalia giurisdizione ed an11n·i.nistraziione deH'arrcivescovo e id'ato al Munici'pio» (A. PRIVITERA, Cronaca, cit., 90). Il 16 iluglio fu unita con J'orfanot,rofio l'opera ·pia di Silvestro Germano; ((il 31 gennaio 1871 fur.ono annesse !I-e Opere pie S. Rocco, Mezzo, La Valle, Amodei e Montalto, Bonaiuto, S. Lucia la piccola e Manserrato, SS. Trinità, Maria SS. dell'Itria e Falcone, le quali opere avevano, quasi tutte, per fine il mantenimento di orfane quali opere erano già am·m~nistrate dalla Commissione Comuntule di Beneficenza» (G. MERENDINO - F. LEONE SALVO, Cenno storico sulle Opere pie, ,ms. 1906, ff. 170-171). Mons. La Vecchia annotava che in dioces-i c'erano quattro o.rfa11otrofi, di cui due erano a Siracusa. Di questi uno, come ·:ricordava mons. Guarino, ·era soN:o la giurisdizione del vescovo con una rendita di L. 4.324 e il'altiro era passato con decreto governativo aNa congregazione di carità durante l'episcopato idii m-0ns. Robino, aUorché furono -sequestrati i beni della mensa vescovile (cfr. Relationes [1879], f. 256). 109 Per Ja storia del Monte di Pietà siracusano, cfr. S. Dr MATTEO - F. PILLITTERI, Storia dei Monti di Pietà in Sicilia, Edizioni Cas·sa di Risprurmio V. E., Palermo 1973, 446·457. l!O RG, § II, I. C'è discordanza tra la data ricordarta daU'arei vescovo nella sua relazi0ine e quella del documento della S. Congregazione del Con~ ciJio, che recita: <(Nos Prosper S. ·Mariae Scalaris S.R.E. Diaconus CarrdinaJris Ca.terini S. Congregationis ConciHi Praefectus, frdem f.aoimus atque tes1tamur, Perillustre ac Re.mum D.num Archiepiscopum Sy·racusanUllll Sacra .Lìmina ta.m pro praeterito quam pro currenti 96 ,triennio, die 20 De1

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allorché si recò a Roma per la visita ad limina, e del maggio del 1874 che fu a Milano, in occasione della solenne traslazione delle reliquie dei SS. Protasio e Ambrogio, assieme a mons. Benedetto Dusmet arcivescovo di Catania, in rappresentanza dell'episcopato siculo lil. La diocesi fu visitata personalmente dall'ardvescovo che, però, non poté recarsi a Vittoria e a Biscari (Acate) per il diffondersi di una malattia contagiosa e anche «ob quaedam homicidia partium studio crudeliter patrata, prudentum consilio visitationem praedictorum oppidorum ad tempus aptius transtuli, ne occasionem tumultuandi malae voluntatis homines arriperent, quibus illa oppida satis abundant» m. Il seminario era ancora chiuso, tuttavia era in fase di ripresa; i pochi chierici reclutati erano stati sistemati, in attesa di riavere i locali, nel seminario di Noto ed in quello di Catania. L'arciv.escovo faceva presente che, per vari motivi, non era stato tenuto il sinodo diocesano 113, tuttavia <<per restaurare la disciplina» aveva promosso esercizi spirituali al clero nei sin-

cembris huius anni expiraturo, personaliter visita,sse: Sacrosanctas enim Beatorum Petri et Pauli Apostolorum Basilicas pie ac devote veneratus est Idem autem Archiepiscopus infra currens triennium Relationem status suae Eccles•iae ad praefatam S. Congregationem Concilii tras,mit·tet, In quorum fiden1 ect. Datum Romae hac die 15 Januarii 1873. P. Card. Caterini praef.>> (ASCA, Relatio Archiepiscopi syracusani super statu suae Ecclesiae metropolitanae pro anno Doniini 1874, fase. 1). 111 Cfr. o. GARANA, op. cit., 239. 11 2 RG, § Il, Il. Questa espressione è stata attribuita erroneamente alla diocesi siracusana nel suo insieme, per cui è presentata come insicu.ra, faziosa e violenta (G. DE ROSA, Chiesa e .religione ·nel Mezzogiorno, cit., 157-158). 113 L'ultimo era stato celebrato dal vescovo Tommaso Marini (1724· 1730) il 1-2-3 giugno 1727. Fu dato alle stampe: Synodus Prima ab Illustriss. et Reverend. D.no F. D. Thoma Marino [ ... ], Panormi ex typog:raphia Joannis Baptistae Riccardo 1727. L'arcivescovo La Vecchia tentò invano <li celebrarlo e preparò delle bozze, che si trovano in archivio. Mons. Ettore Baranzini (1933-1968) lo celebrò il 6-7-8 giugno 1938 e Io promulgò il 13 dicembre 1938. La pubblicazio.ne del ·sinodo avvenne nell'aprile del 1939 per i tipi della Società Tipografica di Siracusa, Synodus Syracusana, A. D. MCMXXXVIII (cfr. O. GARANA, op. cit., 290).


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goli paesi e in città; aveva emanato decreti, in particolare durante la visita pastorale, sulla catechesi ai fanciulli e agli adulti, sulla soluzione dei casi morali, sulla amministrazione delle chiese etc.; aveva, inoltre, sfruttato tutte le occasioni per predicare la Parola di Dio. Infatti nel 1874 predicò ogni giorno in cattedrale per tutta la quaresima e nell'anno del giubileo (1875), durante la quaresima, fece gli esercizi spiritnali al popolo. Il clero, in modo particolare, fu oggetto della sua attenzione pastorale, «ad clerum vero civitatis et archidioecesis per missionarios verbum Dei praedicari curavi, praeter quarn ego inorum vigilans, rationem vivendi in hac praesertim aetate, ut maligni nihil habeant malum dicere de nobis, monita salutis, et hortamenta viva voce praebui: praeter quam quod ego ipse hoc an,no spir-i tua Jes exercitationes i-psi clero praedicavi» 114 • All'arcivescovo non fu impedito di esercitare la giurisdizione ecclesiastica e l'officio pastorale «praeter temporum nequitiam>>. L'impegno del pastore, quindi, è stato quello di eludere tutte le difficoltà che le leggi e «improbi» uomini avevano suscitato. Anzi «pro tuenda autem Ecclesia libertate audentius nihil umquam omisi: et, opitulante Deo, profanationes et intolerabiles abusus, qui jam ab anno 1860 miserrime irrepserunt, miscendi sacra profanis, celebrandi ritu ecclesiastico vetita festa quae nationalia appellant, quasdam collectas in Missis et post Litanias recitandi contra vet.itum Ecclesiae, aliaque id genus, a primo in hanc Sedem ingressu penitus praepedivi, et blandis verbis s·ed pro viribus arcui, quin animum eorum qui ex adverso sunt ad iracundiam provocarim» 115 • Lo spirito di condivisione animava le attività dell'arcivescovo che era andato incontro alle necessità di tante chiese parrocchiali fornendole di vasi sacri e di indumenti sacerdotali. L'animo del pastore, poi, si inteneriva davanti ai numerosi poveri «cum pauper sim et ego, modestissimo et tantummodo necessario contentus famulatu, valdeque frugali mensa, necnon 1

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RG, § II, V. Ibid., § Il, VIII.


L'arcivescovo Giuseppe Guarino (arcivescovado di Siracusa)



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quocunque excluso currus et equum ve! modesto ornatu, stipem meam ct1n1 indigenti.bus divido» 116 • Per risvegliare la fede nel popolo, per promuovere la for1nazione dei giovani d'ambo i sessi, mons. Guarino incrementò in diocesi Ie pie società del terz'ordine di S. Francesco, delle madri cristiane, delle figlie di Maria e il sodalizio del S. Cuore di Gesù 117 ; eresse, inoltre, a Siracusa per gli adolescenti la conJJ6 Ibid., § II, IX. I vescovi di Sicilia, in genere, erano tutori dei beni e degli interessi dei poveri. L'arcivescovo Giuseppe Ainorelli (1824-1840), giustificandosi, per -le sue troppe generose elargizioni, dall'accusa di favorire la 1nendicità, affermava che <(non aveva mai prestato mani e orecchio .facili ai poveri .oziosi»; aveva preposto alle opere di carità un «uomo del tutto onesto, ma 'Soprattutto misericordioso» (cfr. A. GAMBASIN, .op. cit., 207). Anche l'arcivescovo Manzo «nel lasciare Ia città incaricò il sac. D. Giovanni 1\11acca di raccogliePe quanto vi era nel palazzo: mobilia, carrozza, scoxte di frumento, per venderlo a vantaggio dei poveri della città» (O. GARANA, op. cit., 229, nota 17). 111 Leggo che in Siracusa «le congregazioni di recente fondazione come le spose del S. Cuore di Gesù, Je vincenzine e le figlie di S. Anna gestivano convitti, collegi, reclusori, ospizi per invalidi, vecchi, dementi, case per prostitute pentite» {A. GAl\,IBASIN, op. cit., 182). Tale notizia è scritto in nota - si ricava dalla relazione (1865) di mons. Robina. Riscontro in quelila relaz.ione che, oltre i monasteri, «Syiracusis FHiae Chariitatis habcntur, quae etiarn cura1n habent Hospitalis Miliiaris» .(Relationes [1865], f. 227r). La stessa cosa nelle relazioni precedenti: {{Filiae Charitatis Syracusis tantum habentur 0111ni laude dignissimae» (Relationes [1861], f. 210); {<Addi etiam necesse est Filias Charitatis Sy.racusis sedulo incumbere opera1nque n0vare puellis subsidiis sublevandis>> (Relationes [1858], f. 209). In questa relazione si accenna all'esistenza di un monastero «sub titulo S. Mariae et SS. Cordis Jesu», soggetto ai carm·elitani riformati (l. c.). Le fondazioni delle «spose del S. Cuore e di S. Anna», quindi, non erano presenti a Siracusa. Per -coltivare la fede nel popolo, nel 1872, mons. Guarino cominciò a solennizzaTe nella chiesa dell'ex n1onastero di S. Maria il mese n1ari'ano (cfr. A. PRIVITERA, A1e1norie, oit., 169, 1nota 2). Tuttavia bisogna notare che nel 1885 mons. La Vecchia scrive nella sua .relazione ad li111ina: «Item hoc anno fundatum est hospitale et orphanot.rophium in civ·itate Co1nisi sub cura fìliaruni Mariae Sanctae spei, quae 1nstituta sunt a Sacerd.ote Cajetano Gagliani Agirae (in Sic]Iia). Item Ragusiae fundaia est hoc ipso anno institutio fìliaru111 S. Annae pro rpuellarum re· Hgiosa educatione. In quibus ~nstituiionibus Ar-chiepiscopi intervenit actio ut ad feEce1n exitum habeantur» (Relationes [1885], f. 276). La sottolineai ura non è nel testo.


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gregazione dei luigini, che dirigeva personalmente. Alla congregazione delle figlie della carità 118 affidò le fanciulle. Il terzo paragrafo, De spectantibus ad clerum saJecular'em, si sofferma a lungo sul servizio del coro e sulla retta amministrazione delle rendite. L'arcivescovo esponeva ampiamente il suo pensiero e chiedeva il responso della S. Congregazione: 1. per evitare una controversia tra il capitolo e il vescovo «quia in hac civitate controversiae inter Archiepiscopum et Capitolum traditionales sunt, et nulla umquam ex iis bona Ecclesiae, populus, et disciplina consequuta sunt» 119 ; 2. «remedia a S. Congregatione sta tuta fìrmiora

118 Giunsero .a Siracusa 1'8 dicembre 1856 per invito del consiglio co·munale e per l'interessamento della n1a-rchesa Carmela Gargallo. Le 'suore, la cui superiora era la firancese Tén6dat, aprirono un modesto istituto detto ".La misericordia" per l'assistenza ai poveri (cfr. O. GARANA, op. cit., 234). AUe suore di carità venne poi assegnato il monastero di Aracoeli per asilo infantile. Per sistemare «il locale si richiedeva la somma di 30.000 lire, e siccome il Municipio non ne voleva apprestare se non 6.000: così le suore, a cui pareva duro, non avendo una casa propria, di dover pagare la pigione dell'abitazione ch'era entro l'antico palazzo Montalto, risolvettero di volersene andare e lasciare per 'sempre Siracusa)) (A. PRrVITERA, Cronaca, cit., 88). Le suore si trovano, poi, ali' ospedale di S. Teresa ;per a&sistere gi.i amn1a1lati civili e inilitari; licenziate, il 1 apri.le 1876, venne }Qlro assegnato l'orfanotrofio che fu destinato per ospedale civile (ibid., 134). Il 15 dicembre 1879 mons. La Vecchia ottenne un rescritto dalla S. Sede per la ces·sione alle suore della casa degli esercizi per nove anni (cfr. ASC, Reru1n Apostolicaruin ab anno 1879 ad annu1n 1886, f. 49). Non fu, quindi, mons. Robi.no a chiamare le suore nella casa degli esercizi (cfr. O. GARANA, op. cit., 234). Apprendo, inoltre, che <(i,J giorno di sabato 9 aprile 1882, le giovani che era.no 1nel Conservatorio del Santissimo Salvatore, cosi dette Teresiane - la cui Abbadessa era una tale Donna Eloisa Pirata - (erano di numero 21) passarono nell'orfanotrofio de1Je Cinque Piaghe, per ,vivere insien1e aHe orfane:lle, che sono sotto la direzione delle Sorelle della Carità in 111.ontevergine» (la sottolineatura no1n è nel testo) (A. PRIVITERA, Me1norie, clt., 134). 119 RG, § III, I. Si !11icoridano le controversie più cla.m.orose: con iù. vescovo Ludovico Platamone (1518-1540) a 1proposito di ceriti restauri eseguiti in c·a·ttedrale; con n vescovo Giambattista Alagona (1773-1801) per la ina1


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quidem et durabiliora essent quin censuris ferendis opus sit; etenim Canonici non adeo profecto audaces sunt, ut S. Congregationis oraculis. adversari praesumant» 120 • Si evidenziava anche che il capitolo della cattedrale e di alcune collegiate erano carenti di costituzioni 121 • Sollecito alla cura pastorale delle anime, l'arcivescovo richiedeva ai, parroci la residenza nell'ambito della propria parrocchia; solo a Siracusa tale norma non veniva osservata. La fedele amministrazione dei sacramenti, l'ufficio di predicare e la disponibilità alle esigenze del popolo furono i continui richiami pastorali operati dall'arcivescovo durante la sacra visita. Per i fanciulli, poco curati, furono designati alcuni sacerdoti nelle varie chiese, scelte «pro populi opportuniori commoditate», per provvedere alla loro educazione nei rudimenti della fede e alla formazione all'obbedienza ai genitori. Fu ripristinata la conferenza di teologia morale e di liturgia che era andata in disuso; fu promosso un incontro bimensile per istruire i giovani sacerdoti nel metodo e nell'arte di predicare; fu resa obbligatoria la partecipazione a tali incontri, da cui dipendeva l'approvazione alle confessioni e alla predicazione. L'arcivescovo notava che non pochi del clero erano «indigentes emendatione vitae» specialmente in città, oltre che in alcuni paesi del!' arcidiocesi. Il paragrafo si chiude mettendo in rilievo il problema delle vocazioni che erano diminuite. «lllud vero permaxime dolendum

spettata non1ina dcl nipote D. Filippo Scrofani da Modica a teso:riere del capitolo; con mons. Michele Manzo (1845-1852) per aver limitato alcuni privilegi dei ·canonici (cfr. N. AGNELLO, op. cit., 152-161; O. GARANA, op. cit., 132-133, 200). 120 L. c. 121 Durante l'episcopato di mons. 'La Vecchia e con la 1sua approvazione, il capitolo della cattedrale, il I agosto 1893, si diede le costituzioni, che furono ·sottoscriitte dalle dignità (Giuseppe Robina, Giuseppe Mortellaro, Luigi Tarantello e Pasquale Zivillica) e dai canonici (NUI1zio Agnello, Giuseppe Merendina, Onofrio D'A1nico, Vincenzo Annina, Salvatore Santange1o, Teodoro Dinata1le, Vincenzo Cassia e Vincenzo Sortino (cfr. ASCA, Regestu1n Privilegioru1n 1850-1934, Statuta Rev.mi Capituli Metropolitanae Syracusarum, ft. 282-292).


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quod in dies numero minuantur Sacerdotes, quin spes in hac Archidioecesi effulgeat fare ut, salva Dei omnipotentis Provvidentia, qui vita funguntur suppleantur» 122 • Il quarto paragrafo, De iis quae ad clerum regularem per'tinent, avrebbe potuto darci il quadro della situazione dei religiosi e dei loro conventi, invece recita cl1e «i11 praesenti eorum statu» non ha cosa alcuna da annotare e ribadisce l'applicazione della circolare della S. Penitenzeria di non affidare ai regolari parrocchia alcuna. Il paragrafo quinto, De iis quae ad Monia/es pertinent, mette in evidenza le pressioni psicologiche operate sulle monache in quel tempo definito «infelicissimo tempore violentae suppressionis». Le povere monache non furono aiutate a sostenere le insidie mediante le quali «Fisci procuratores simulatis periculis eas territare conabantur» 123 • L'arcivescovo ebbe a faticare non poco per riunire le monache di Siracusa 124 ; alcune, però, non vollero ritornare a vivere in comunità. Le monache dell'arcidiocesi furono affidate alla vigilanza dei vicari foranei, essendo stato impossibile riunirle in vita comune, dopo aver avuto l'indulto «vivae vocis oraculo» in occasione della visita ad limina. Le monache rimaste in monastero «religiosae observantiae fìdeles cultrices ad mortem usque permansuras declararunt, suas servant Constitutiones, clausuram inviolatam custodiunt et praeter ordinarium confessorem bis in anno extraordinarium petunt» 125 . RG, § III, XV. "' Ibid., § V.

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12 4 «Con la venuta del nuovo arcivescovo monsignor Guarino, alcune ,religiose ch'erano .fuori chiostr-0, entrarono in clausura. Le prime furono Suor Maddalena Occhione e Suor Nazarena Reale, monache di Aracoeli, che entrarono a S. Lucia, la prjma il 26, la seconda il 30 maggio 1872. A S. Benedetto il 3 giugno 1872 vi entrò suor Raffaella Alagona da Melilli, monaca di S. Maria; e a M.onteverginc vi entrarono Suor Maria di Gesù e Suor Assunta, ·sorelle Salonia, anch'esse monache di S. Maria; le quali non ci volendo 'Stare, fatta la domanda al S. Padre Pio IX, se ne uscirono la sera del 3 1dicembre 1872. Suor Maddalena Romano, monaca di S. Maria, voleva ·anch'essa entrare a S. Lucia, ma la comunità non volle accettarla» (A. PRIVITERA, Cronaca, c.it., 39, nota 11). 125 RG, § V.


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Al paragrafo sesto, De clericorum S!eminario, si rimanda all'inizio della relazione, al paragrafo primo. Il paragrafo settimo, De pertinentibus ad Ecclesi"as, c'onfraternitates et loca pia, accenna brevemente alle chiese delle confraternite e ai luoghi pii. Vengono annotate le ragioni per cui nelle sacrestie delle chiese non erano esposte le tabelle degli oneri di messe e di anniversari, «n.e vaperrimi procuratores Fisci ex ea notitiam legatorum haberent et reditus usurparent, ceu aliquando statim data lege vulgo dieta dell'Asse ecclesiastico evenit» 126 • Nella visita pastorale, tuttavia, l'arcivescovo chiese conto degli obblighi derivanti dalla volontà dei pii fondatori e stabilì la relativa annotazione in un libro segreto da custodire nelle sacrestie. Le confraternite, gli ospedali e altri luoghi pii furono visitati dall'arcivescovo per gli aspetti eminentemente spirituali e per ciò che riguarda,va il culto divino, non essendo «in temporalibus» sotto la sua giurisdizione. Da molti anni, infatti, questi enti erano soggetti al regio governo. Il paragrafo ottavo, De papula, ha poche battute. La fede e la pietà del popolo lasciavano bene a sperare e crescevano ogni giorno, tuttavia i costumi erano bisognevoli di una grande riforma; infine non si evidenziavano abusi tali da richiedere l'intervento della S. Congregazione. Nell'ultimo paragrafo, De postulatis, l'arcivescovo esprimeva la richiesta di avere direttive per un dialogo costruttivo con il capitolo della cattedrale.

"' Jbid., § VII, I.


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RELATJO ARCHIEP!SCOP! SYRACUSANI super statu suae Ecclesiae Metropolitanae pro, anno Domini 1874

§ I

De statu materiali Ecclesiae I. Institutio Pervetusta1n Ecclesiam Sy,racusana1n a B. Petra Apostulorum Principe du1n adhuc Anti.ochiae morabatur institutam fuisse indubiLm1 est apud omnes: imo primam B. Petri filiam, et secunda1n post Antiochenam Ecclesiam Christo dicatam antiquitus appellatam .fuisse Siculi testa-ntur Historici. Divus siqu~dem MaTcianus Antiiochenus ab Apostolo Petra ordinatus Episcopus ad praedicandum Christi Ev&ngelium in Syracusaru1n urbem tunc temporis magnitudine amplissimam missus est, ubi Crucis Don1inicae rdefixo vexillo, Iudeorum immanitate Martyr occubuit sub Imperatore Claudio Nerone. Hospite1n autem triduo habuis,se Apostolum Paulum :ewn Sociis suìs ·ab Insula Melitae Romam .peragrandibus perspicuum 0111.i.ùbus, testantibus Scripturis Sanctis Actorum XXVIII, 12: imo ipsum Apostolum Syra· cusis Evangelium praedicasse, maximisque gratulatione et honore ab Epi1scopo Marciano acceptum fuisse patriis traditionibus n1emoriae proditum est. Ab institutione ad haec usque tempora -centum et duodecim gloriatur P.raesulibus, cum di rissima Saracenorum occupatio per tria ferme saecula Pastorum obrun1pisset successionem. Notatu tamen dignum puto i,nter Syracusa.nos Antistites unum super viginti in Beatoru1n numeruin cooptatos venerari et pcrmultos alios concives tu1n Confessores •tum Martyres novo Sanctam Ecclesiam condecorasse splendore, quos inter prae mille .inclita Virga et Martyr Lucia :elaris,simis fulget honoribus. Notatu insuper digna sunt 1° ab huius sedis venerandan1 antiquitatein Beatum Chrestum Syracusanum Praesulem Synodi Arelatensis sub PP. SHvestro coactae, ad quam ab Imperatore Constantino fuerat aidvocatus, inter biscentum ·Episcopos ibidem congregatos primum fuisse subscriptO'ren1; EuJalium immediate post Metro1p0Htanum Ravvennatensem Synodis quartae et quintac S. Siinmachi Pa-pae subscripsisse; Maximinianum Divi Gregorii Magni Magistrum, et Joannem huius item Ecclesiae Episcopos ab eodem 1


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Pontifice Maximo in Vicarios Apostolicos Siciliae cum potestate minores causas cognoscendi assumptos fuisse, ut Iiquet ex Epistola XII Lib. 3, et LXI ·Lib. 7 eiusdem Magni Gregorii; Nicolaum I in Ep. 1 ad Michaelem Imperatoren1 Archiepiscopurn appellasse Syracusanum Praesulem, et in Ep. VIII Inter varios Metropolitanos Theodorum Syracusanum recensisse: ex quibus omnibus nonnulli inter patrios historicos nedum huius Ecc1esiac pervetustam antiquitatem colligunt, sed etiam veluti gravissima congerunt argumenta .cur hanc Sedem usque a priscis temporibus roeiropolitico honore condecoratam demon,strare ·satagant; eo vel magis quia, quin speciale extitcrit privilegium, plures antiquos Syracusanos Antistites et ante et post Barbarorum J.ncurslonem ·sacro pallio de more donatos legimus. 2° - Post electos Saracenos Rogerio ·Northmanno Syracusano Antistiti Urbanum II Bu!Ia, quae incipit Universis data Kal. Decembris an. 1093 Pontificatus sui an. VI, confir1nasse valde Iatam extensionem Di-oecesis suae, prout Co1nes Rogerius North1nannus 1deslgnaverat, quae ad haec usque tempora ferme pe:nduraverat, donec novisslmae Dioeceses Platiensis Calatayeronensis et Netensis erectae sunt, qua.rum primae magna ex parte, et postrema ex integro ab Ecclesia Syracusana fuere avulsae. Ex hoc au~ ,tem Gregorius Papa XVI Constitutione, quae incipit In suprenza 1nilitantis Ecclesiae data die XX Maji ann. 1844, hanc Sedem, cui tres Episcopatos praedictos subjecit, Metropolitica donavit potestate, seu, ut nonnulli tuenrtur, suo prisco restituit honori. Il. Confinia Finitimae Dioeceses, quae Syracusanam Ecclesiam ,s·epiunt, sunt Ca~ tanensis, a qua dividunt civitas Leontinorum, et oppidum Montis rubei a parte dextra flumin.is; Calatayeronensis, a qua dividunt hanc Dioecesim oppida Francifontis, praedicti Montis rubei ex parte laeva fluminis, Cla· rimontis, et Ragusiae; Piatiensis, a qua hanc Ecclesiam separant oppida Sanctae Crucis et Bis-caris. Dioecesis autem Netensis extat 1n medio territorii totius Ecclesiae Syracusana, a qua undique secus circumvallatur a flumine Cassibile ambitus Syr·acusani, et ab oppidis Cannicattini, Soirtini, Montis :rubei, Clarimontis, Ragusiae, Sanctae Crucis, Biscaris, Victoriae, Yho1nisi, et a pago Cassibili cum flumine, a quo delineationem incoepi. I I I. Privilegia Nullis Archiepiscopatus Syracusarum specialibus gaudet privilegiis, practer ea quae omnibus aliis Archiepisc:opis et Metropolitanis de Iure co1nmuni competunt.

IV. N.unierus civitatuni et oppidorum Dioecesls Syracusana XXI civitates et oppida, necnon duos pagos complectitur una silnul ferme centun1 sexaginta 1nille incolas continentes. Vulgari lingua appellantur Siracusa, Priolo, Melilli, Villasmundo, Augusta,


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Brucoli, Lentini, Carlentini, Francofo.nte, Monterosso, Chiaran1onte, Ragusa, Comiso, Vittoria, Bisc·ari, Santa Croce, Sortino, Cannicattini, Floridia, San Paolo Solarino, Belvedere, pagus Scoglittì in Paraecia Vìctoriae, et pagus Cassibile in .Paraecia S. Pauli Syracusarum.

V. Status tenzpli Metropolitani Caihedralis Metropolitana Ecclesia ·Nativitatis B.mae semperque Virginis Mariae titulo gloriatur. Aedificiu111 pervetustum est a Gentilibus extructum, qui in eo falsu1n Numen Minervae colcbant. Posthac in christianum templum inutatum S. Zosimus Episco.pus an. D.ni 654. B. Mariae V.irgini dedicavit. Nulla in praesentia indiget necessaria reparatione. Pro fabrica et -omni sacra supelleciili annuos redditus habet mille quigenti triginta libellarum (L. 1530), et pro cultu divino septingenti sexaginta quinque hbcllarum (765) ·ex Mensa Archiepiscopali, quos rediditus nunc temporis ab Oecon-0n1ato Generali .Gubernii percipit, in cuius pote·state sunt redditus Archiepiscopatus, praeter alios census particularibus Capellis ipsius Ecclesiae pro festis et cultu assignatos. Sacrariu1n praesto est sacra supellectil-i necessaria instructum pro A,rchiepiscopo ad: pontificalia exe·rcenda: non .sic vero ,pro Canonicis, aliisque presbyteris pontificalibus functionibus adsistentibus. Attamen salrem mcdiocriter qua1n cito instructurum spero: etenim cum injuste tniginta pro centeno Fiscus a fabrica et cultu divino Ecclesiae Cathcdralis Curatac extorsisset ante meum in hanc Sede1n advcntum a data lege, quam vocant dell'Asse Ecclesiastico, me pro v+ribus queritanle, Fiscus vio1cnter extortam pecuniam restituil: pecunia1n cLùtui divino debitam proprio usui appli.cari mandavi: illa1n vero fabricae et supellectilibus dcstinatam in comparandas necessarias sacras vestes impendi decrevi. Vasibus sacris ex argento Cathedralis Ec;clesia est bene instructa. Sanctissimum Eucaristiae Sacramentun1 in aediculae separatae decenter ornatae satis ampia custodia ex n1ar1nore :pretioso asservatur super alt.are etiam mar1nnreo candelabris argenteis instructo. Altare autem majus argenteum est perpulcrae structurae et pretiose viriculo exculptum. Capitulum Mctropolitanum quatuor constat Dignitatibus, quarum prì1na post pontificalem est Archidiaconatus, secuncla Deca.natus, tertia Cantoria, postre1na Thesauroriatus, et cluodecin1 Canonicis, quos inter Theologus et Penitanliarius, qui propriis gaudente praebendis iarn antiquitus erectis. Alii duodecin1 adnexi sunt Mansionarii, qui Canonici Secundarii nuncupantur, .et quatuor Vicarii ad nutum Archiepiscopi amovibiles, qui altcrnis hebdo1n'adis curan1 exercent anin1a-run1, quique etian1 inunus habcnt choro inserviendi diebus quibus cura vacant. Notandun1 est Capitulum nunquam curam habuisse colligendi spolium sive ArclTiepiscoporu1n, ·sive aliorum Beneficiatoru1n decedentium favore Ecclesiae Cathedralis ad tram.ites Constitutionìs S. Pii V, qua·e incipit


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Ro111ani Pontificis providentia die 3 Kal. Sept. 1567, et Littcrarum Apostolicaru1n Pii .Papae IX fel. regn. die 1 Ju11ii 1847 quae incipiw1t Quu1n illud. Ergo vero saepc ·saepius Canonicos de tanta negligentia admonui, quippe qui Ecclesia111 tot supellectilibus pretiosis usque adhuc privarunt.

T/f. Nu1nerus et Status Collegiataru1n Syracusana Archidioecesis sex co,ntinet Collegiatas, el unam, ut vocant, presbyterorun1 Com1nuniam. Haec sunt: Prima in Matrice Ecclesia LeontinorLun quae olim CathedraHs erat. Quinque Dignitatibus, ne111pe Archi1diaconato cum adnexa cura animarum, Decanato, P.rae.positura, Cantoria, et Thesauroriatu, et se:xidecim Canonicatibus cons-tat. Alias paucos habet Mansionarios no.n numeratos ad nu· lun1 Canonicorun1 amovibilibus, ut choro et sacro ìnserviant. Templum nulla cget reparatione, est perbelle ornatum opti.me extructum, et 01nni sacra supellcctili inw1itum. Sccunda -in Matrice Ecclesia Ragusiae. Quatuor Dignitates, nempe Praeposituram, Archidiaconatun1, Decanatum, et Cantorìam cum adnexa cura anin1arun1, undcci111 Canonicos, octo Ma.nsionarios, et duos Cappellanos curatos etian1 choro inservicntes comprehendit. Te1n,plu1n est peramplu1n, n1ìrifica et optima architectura extructum, nulla egans reparationes, et sacrariun1 habct omni sacra supc1llectHi et sacris vasibus absolutu111. Teriia in IVIatrice Ecclesia Francifo.ntis. Quatuor habet Dignitates, nc111pc Archidiaconun1, cu1n cura animanim, Cantorem, Thesaurarium, Dccsnun1, et octo Canonicos. Tem.p.lum nulla eget necessaria ·reparatione, et sacrarium praesto est sacris supellcctlli et vasibus 111ediocriter instructum. Quarta in Matrice Ecclesia Augustae. Quatuor Dignitatibus constat, ne111pe Archipresbytero Parocho, Cantore, Tesaurario, et Decano, necnon quatuordecùn Canonicis. 1

Templun1 est bonae structurae, sacra supcllecti1i et vasibus in· structu1n. A{ta1nen in Sacra Visitationc -reparation.ibus et suo cen-su pro cHvino cultu indigere vidi, quia Municipium civitatis administrationcn1 bonorun1 Ecclesiae pa.rochialis, quibus Regnum Siciliae pietas ean1 dotaverat, ·sibi injuste asserebat, et reditus sequestro posu-erat; ideoquc Archipresbyter inedi,is carcbat, quibus utrisquc .supped-hare ,potuisset. Pluries pro viribus cora1n Oecono1no Generali Gubern:ii conquestus sun1, :donec tande111 aliquando Municipium Regius Mini·ster ad restituenclum Ecclesìae quod suun1 erat adegit. Ex hoc cultus divinus jam suum habet censum, et cun1 primum sufficìens praesto erit pecunia, 1noenìa instaur'abuntur, prout deputatorum a me elcctorum propositionem pro instaura,tìonibus approbavi. Quinta in Matrice Ecclesia Yhomisi. Nove1n habet Canonicos, et qua-


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tuor Dignitates, nempe A,rcltidiaconatum, cui inest cura anlmarun1, Decanatum, Cantoriam, et Thesaurariatum. Temprlum reparationi-bus non in1d~get, sed o:rnatibus, quibus infra annum oblationibus populi et reditibus Ecclesiae suppeditari poterit. Sacrarium habet ,supellectili et vasibus sacri.s instructum. Sexta in Ecclesia coadjutrice Matricis ejusdem civitatis Annuntiationi B. Mariae Virginis dicata. Octo habet canonicos et quatuor Dignitates, quae eodem modo quo Dignitates Eccles·iae Matricis nuncupantur. Templurn perbelle extructun1 et ornatum est, omni supellectili et vasibus absolutum, et nulla eget reparatione. Notandum vero: 1° nullam ex praedictis Collegiatis ,suppressionem a pernota lege latam effugere potuisse: attamen Canonici choro :Lntersunt, ut suo ,loco dicam. - 2° nullam pariter earum habuisse praebenda1n theologalem: cumpertum autem est in praeserutibus ,reru1n adjunctis media a S. Concilio Tridentino et a Constitutione .Pastoralis officii Benedicti XIII proposita om,nino deficere, quibus ea institui possit. Tandem j.n Matrice Ecclesia .Carlentinorum habetur quaedam presbyterorun1 Communia vulgo dieta: idest presbyteri munus habent horas canonicas in choro persolvendi, quin ·sint Canonici, sed tantummodo pontionarii, qui stipendia pro celebratione Missarum, et portiones aliqua·s percipiunt. Templun1 necessariis non inddget reparationibus, .sed inopem habet supellectilen1. 1

VII. Nu111erus et status ecclesiar.um Archi.diocesis Syracusana Archidiocesis triginta unam habet Ecclesias parochiales, nempe septe1n Syracusis, inclusa Ecclesia Cathedrali, tres Ragusiae, duas Lcontinis, et totidcn1 Augustae, unam autem in reliquis oppidis. Ecclesias non curatas continet bisce.ntum sexaginta quinque, quarurn bìscentum quatuordecim saeculares, quinquaginta unam regulares, nempe: In civitatibus Syracusarum triginta septem, quarum quatuor rurales Augustae viginti quatuor, quarum quinque rurales Leontinorum viginti tres, quarum septem rurales Ragusiae superioris et i,nferioris quinquaginta unam, quarum undecim rurales Victoriae decem In oppidis Prioli unam Melil.Jis duodecim, quan1m tres rurales Carlentinorum novero quarum t-res rurales Francifontis novem Montis rubei quinque, quarum una ruralis


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Clari.montis triginta novem, quarum viginti sex ruirales Biscaris ,septem, quarum duae rurales Sancta Crucis unam 1ruralen1 Sortini quatuordeci1n, quarum tres rurales Cannicattini unam Floridiac quinque Ecclesiae parochiales Syracusarum omnibus aliis Archidiocesis paupcrrimae sunt, et inter civitatis tempia jgnobiliores. Etiam parochorum et aliorum ministrorum parochiarum reditus antiquitus a Municipio assignatì valde inopes sunt. Huic autem malo saepenumero recogitanti mihi non nisi per unionem paraeciarurn ,ipsarum mederi posse visum fuit, sed opportuniori temporc: timeo enim ne hic et nunc Municipium vel nihil vel valde parun1 in res Ecclesiae pronum, ex unione lucrun1 faciat, si in partem in1pensae supprimendarurn et uniendarum parochiarurn ven.ire renuat. Nec spcrandarum Conventioni inìtae inter Sanotissimurn Dominurn Pium VII et Ferdinandum I utdusque Siciliae Regem anno 1818 more1n facturum, etanirn ternpus est expoliandi n.an autem reddendi Ecclesiae quod suum est, ut quotidie ubique maximo animi m"Oerore evenire videmus. Coeterum expectanda esset ipsan1m parochiantm vacatio. Unio autem opportuna videtur, etenim in parva hac civitate, quae viginti mille ferme continet incolas, septem parochiae procul dubio supertluae sunt, abundarnter autem quatuor sufficerent, quae in ornatiores c.1 a1npliores ecclesias 'trans1latae, et aJctjecto t,rium uniendarum oen·su, n1elius 'possent -sustentari. Super his tamen humìliter sapienti S. Congregationis judicio mentem n1eam subjicio, et oracula S. Sed'is qua decet reverentia recipiam, et exequar. Aliae auten1 civitatis et archid:ioecesi-s E.cclesiae, sive curatae sive non, plusve minusve sacra supellettili et re necessaria, .necnon pern1ultae valde tenui censu pro di\rino culto instructae sunt. Ui plurimum auten1 lìdelium pietas impensis pro festis, -reparationi· bus, supellectilibus, aliisque urgentioribus occul'lrit. Pro fabrica autem earum nulla reditus habet assignatos; sed reparatìonibus fidelium oblationibus, ut dixi, et ex massa redituum subveniri solet, si reditus destinationem ex v.oluntate piorum donantiu1n, et testatorum non habuerint: secus Apostolicum Indultum cornrnutationis tempora.neae i1npetratur. Leontinis tantum varias vidi in S. Visitatione inversiones absque S. Sedis Indulto sub meorurn rpraedecessorurn gubernio pro fabrica Ecclesiae Matricis Collegiatae factas, et post sedulum d'e on1nibus exam'en on1nia S. Congregationi submi ttam, ut huic malo rnederi clementer dignetur. Oratoria privata totius Archidioecesis sunt nanaginta novero. In his ienorem Indulti Apostolici adamussim observari curo sive pro celebratione inissarum, sive pro eorum structura in loco ab omnibus domesticis 1


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usibus libero, sive pro co1npetenti decentia. Singula autem Indulta perle· ge:re ·Ctiam volui nedum ad legitimam concessionem observandam, verum etia1n ad Iegitimam continuitatcm declarandam.

VIII. Nun1erus Monasteriorun1 virorum et n1ulierun1 Hacc Archidioecesis Monasteria virorum continebat quatraginta sex quorum nec unum post violentam suppressionem extat. On1nia autem jurisdictioni Praelatorum Regularium subjecta erant. Continebat etiam Syracusis Congregationem PP. Mi,ssianariorum S. Vincenti.i a Paulo, Yhomisi et Augus'lae Oratorium S. Philippi Neri:i. Monasteria autem Monialium ante suppressionen1 viginti habebat: nunc vero tantu1nmodo dUodecim, nempe tria Syracusis, unum Melilli, unun1 Sortini, duo Claramonte, duo Ragusiae, unum Leontinis, alterum Augustae, alterun1que Yhomìsi. Continebat paritet quinque Monasteria Sacrae Familiae, seu Collcgia Mariae nuncupata, sub 1Regrnla Cardinalis Corradini: :nunc aurtem quatuor tantun1, quorum duo tres vel quinque tantum sorores oontinent, idooque proxime suppressura. Singula Monasteria sub jurisdictiune Ordinarii sunt. Unun1 1antum1noclo in civitate Syracusaru1n Praelatis Regularibus Carmelitanis subjcctum cr·at, sed S. Congregatio Episcopo-rum et Regularium negotiis praeposita Rescripto lato die XXVIII Februarii 1873 jurisdictioni Ondinarii Syracusani perdurantibus praesentibus reru1n ·adjunctis subjecit. IX. Se1ninariun1 Clericoru1n Pcramplun1 praesto erat Syracusis Clericorum Seminarium. Atta1nen contra.ctu 1nito cu1n Ill.mo et Rev.1110 D.mo A'rchiepiscopo Angelo Robino immediato meo anteccssore Gubernium pro castris ante praesentes rerum vices occupaverat. Ide1n cvenit per contractum locationis post annum 1860. Sed: procul dubio pius Archiepiscopus vi coactus fuerat et ante et post politicas rebelliones. Tandem Fiscus, nemine queri.tante, aedificium vetustate et amplitud-ine pernobile in rem ,5uam as-sumpsit; et nedum cun1 primum in hanc Sedem veni in eius postestate -inveni sed et locationi Municipi,o civitatis pro c'astris concessun1, imo et cum eo Fiscus conditioncs pro quadan1 pcrn1utatione paciscebatur. Perdi:fficile dictu est quanto labore et voce et scri-ptis ego et meus in spiritualibus V.icarius Generalis cora1n Fisci n1inistris Seminarium pro Ecclesia vindicare sa-tagcr:imus, sed .frustra. Tandem vero auspicatum .nactus occasionem visitationis Sanctorum Lìminum, Rnmae apud Regium Ministrum, uti vocant Gra,tiae et Tustitiae, personaliter de injuria postulavi, et, Deo sic disponente, Se1ninariu1n huic Archiepiscopatui restitutum fuit, ea tan1en Iege, ut locationis contractus servetur, qui per annum adhuc perdurat. Reditus habet libe1larun1 mille centum septuaginta (L. 1170), onera auten1 Iibellarum septingc.nti viginti trium: ideoque oneribus detectis, valde tenuem ccnsum habet quatuo.rcentu1n qua.t:ragi,nta septem IibeUa1


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run1. Liten1 vero intentavi, quae adhuc sub judice est, pro recuperando alio reditu quingentarum et decem Jibelilarum, Adest prncurator, qui quotannis corarn me et Seminarii deputatis ratione1n cornputoru1n reddit. Cum pri1nwn locat:ionis praedictae ·terminus expiraver·it, pro viribus Se1ninarium alun1nis pro scholis et ecclesiastica disciplina praesto esse satagan1.

X. Nunterus hospitalium, alioru1nque locoru1n piorun1 A~chidioecesis Confraternitates habet septuaginta unam, hospitalia septem, orphanatrophia quatuor, eremos duos, in quibus solitarii mendicando vitam sustentant. Horum locorum pi.orun1 annuum censun1 ignoro, etenim per lcges latas ante et ·post annum 1860. Reges utriusque Siciliae, et Parlarnenturn a jurisdictione Episcoporu1n abstraxenunt, et Consiliis hospitiorurn ab anno 1820 ad annum 1860, nunc temporis vero Consiliis Caritatis et Deputationibus P:rovincialibus subjecerunt. Unum tantummodo Orphanatrophium in hac civitate Archiepiscopo et duobus fideicomrnissariis de grernio Capituli Ecclesìae Cathedralis subjicitur ex voluntate testatoris quod annuos reditus habet quatuor ·mille tercentum viginti octo libellarun1 L. 4328. XI. Tandeni unus adest Mons pietatis oninino Deputationi provinciali subjeclus. § II

De iis quae pertinent ad meipsum Archiepiscopum I. Die XVII Aprilis 1872 in hanc Sedem ingressus sum, a qua non abfui, nisi n1ense Januario anni 1873 causa visitationis Sanctoru1n Liminu1n, et n1ense Majo praeteriti anni, ut Mediolanum cum aliis E1piscopis pera.grarer ad visitandas SS. Gervasii et Protasii Mm. et Amhrosii Ep. Conf. Doct. reliquias in .earum persolemni translatione; et cum tempus urgerei Ron1am iteru1n veni, ut Sancta limina visitarem, et ad SS.mi Domini pcdes provolutus benedictionem Apostolican1 super me et super gregem 1neae infirn1itati ,con1111issun1 obtinerem. Numquam vero terminos a S. Conc. Tr1d'. praefinitos praeterivi. II. Prima vice jam visitat,ionern huius Archidioecesis personal1ter explevi, praete.r oppiida Victoria:e et Biscaris: cum enim Viictoriae ob quamdam contagiosa·rn luem :pern1ulti quotide, n1axi1ne ex pueris, dum iinter vicinia pergere1n, 111o:rte absun1erentur, nolui occasionem ob occurentem inultitudine1n praebere ut contagio magis pr.opagaretur, que1nad1nodurn parochus ipse V1ictoriae proposuit. Ideoque cansultius duxi alibi pergere aniino i1lluc opportuniori tcmpore, remeandi, etsi valde fatigans sit iter, cun1 contigua iJ.la oppida ab hac civitate ferme centum distent milliariis.


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Inde vero abortis v,i.ctoriae g.ravissimis inter cives dissidii-s ab quaeda1n partium studio crudeliter patrata, prudentun1 consilio Visitationem praedictorum oppidorum ad ternpus aptius .t,ranstuH, ne occasionem rt:u1nultuandi malae 'Voluntatis hornines arriperent, quibus illa oppìda satis abundant. In discursu autem S. Visitationis .numquam pecuniam tempore meoru1n praedecessorurn pro procurationibus salvi solitam juxta S. Corre. Trid. praescriptum sess. 24 cap. 3 de Refor., et victualia simul accepi : imo, prout .ex eodem Concilio, in a:ptiore semper fuit eorum, quas visitabam, victualia ,Joco .taxatae pecuniae subministrare: nec procurationes ipsas praeter visitationem quaesivi, imo in pios u,sus, ut inferius dicam, impen· di, nec praeter procurationem aliud quodvis -munus accepi. In visitatione ·autem civitatis, uhi sedem h-abeo, nihil prorsus exegi: nec in visitatione Monialium totius Archidi-0ecesi·s, earumque Ecclesiarun1, in quibus nullum benefìcium ecclesiasticum adesse reperi. homic~d'ia

III. Perpaucos clericos habet Syracusana Arch~d:ioecesis, quorun1 nonnulli 1n Seminario Netensi, alii autem in Catanensi ecclesiastica insti· tuuntur educ·atione ob dieta 1 N. IX. Ideoque sive minoribus sive sacris ordinibus per Iitteras dimissorias a Tespectivis locorum Episcopi initian" tur. Pro iis autem qui vel cursum compleverunt, et ad presbyteratum aptos dijudica-vi, vel ad ininores ardines idoneos in S. Visi'tatione inveni, pers-onaliter ordinationes explevi. Sacramentum autem -Confirmationis semper personaliter confero. IV. Nec Synodum Diaecesanam, nec ·P.rovincialem adhuc cogi, tum ob temporu1n difficultates, quae in regionibus istis Iiberam congregandi parochos, Vicari-os foraneos, procuratures Cleri, et Capitulum pro Synodo Dioecesana, et ·suffraganeos Episcopos pro rprovinciali facultatern adi· mant; et 1data etiam hac libera facultate, media subtrahw1t quibus nov·ae decisiones observari queant: tum quia nisi decursu temporis, matura ponderatione et ex.perientia abusus omnes, neces,si'tates Dioecesis, et alda occurentia pernoscantur, nihil quod utile sit et durabile decerni rpotest. Nonnulla vero decernere incipio, quae veil manifesitos -abusus coi:;rigunt, vel quae in desuetudinem abierant .revocaint, vel al•iquid novi inducunt, ut pedetentim clerus assuescat, et inde Synodus absque difficultatibus et pertubationibus absoivi et observari possit, eo vel magis quia .non nisì gradatim aHqui abusus inveterati evelli possunt: et si unico .ictu, ut ita dica1n, eradicari vellent perturbationes et majora mala evenirent. Defectui autem Synodi Dioecesanae, quae procul dub:io utilissima est ad collapsarn di-sciplinam Testaurandam, quaeque usque ab anno 1727 in hac Archidioecesi ,non congregatur, per spiritualia Cleri exercitia :in singulis oppidis et in hac civitate suppleri curavi, necnon per utilia decreta in discursu S, Visitationis circa vi-tam et honestatem clericorum, celebra· tiones Missarum, administrationes Ecclesiaru1n, curiam animarum, rpue· 1


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rorum ·et adultorum in !rebus fiidei et morun1 ·instructionem, casuum conscientiae resolutionem, et ia-lia, prout necessitas paraeciaru,m ·suggessdt. V. Nulla1n verbum Dei personaliter pTaedicandi '5ive in civitate sive in archidioecesi ocoasionem praetermisi: quin imo praeterito anno per integram Quatragesimam quO'tidie ad populum canciones habui, prout saepe per annum sive in te111plo Metropolitano sive in aliis Ecclesiis civitatis non .praeterrn•it to Hoc aute1n anno in Quatragesima, occurrenti anni Sancti Iubileo, ad papulum .sip1ritua:les exercitationes ego ipse habui. Ad Clerum vero civitatis et archidioecesis per missionarios verbwn Dei praedicari curavi, pr'aeter quarn ego morurn ·regulas, rationem vivenid~ in hac praesertim aetate, ut maligni nihil habeant malum dicere de nobis, monita salutis, et hortamenta viva voce pTaebui: praeter qua-m quod ego ipse hoc anno sipirituales exercitationes ipsi Clero praedicavi. Ab antiquis temporibus 'in desuetudjnem abiissem reperi in hac Curia de;positarium pocnarun1 et 1nulctarum pecuniaria-rum. lino cum noru1ulli ex Mansionariis choro inservientes templi Metropolitani ab ilio depositario olin1 accepissent quotidianas distributiones, pradecessores Antistites ex n1assa reditum pro cultu divino -suppeditari decrevertmt. 1

VII. Taxia, quae viget jn hac Cancellaria ,es·t Innocentiana. Nonnullas vero inveni exactiones favore Archiepiscopi fieri solitas pro matrimoniis permittendis, pro beneficiis ecclesiasticis et ordinibus conferendis, aliisque id ge.nus, quas tanquam ab lnnocentiana Constitutione, a Sacris Canoni~ bus, et ConciVio Tridentino reprobatas statim abolevi. VIII. Nihil impedit, .praeter tempor:um nequi1tiam, quom11nus juris· dictione1n ecclesiasticam, et pastorale munus expleam. Studio tamen continuo impedimenta, quae leges improbique homines opponunt, eludere satago, ut jura spiritualia sarta tecta serventur. Pro tuenda autem Ecclesiae rliberta<te audentius ,n1ihil unquam omisi: et, opitulante Deo, profana· tiones et intolerabiles abusus, qui jam •ab anno 1860, m-isel'rime irrepse· rL1int, miscendi sacra profanis, celebrandi ritu ecclesiastico vetit,a festa, quae -nationalia appellant, quasdam collectas in Missis et post Litanias recitandi contra vet.itum Eclesiae, 1aliaque id genus, a primo in hanc Sedem ingressu penitus praepedivi, et bland'is verbis ·sed pro viribus arcui, quin animum eorum qui ex adverso sunt :ad iracundi-am provoca· rim. IX. Va,Ide parw11 temporJbus istis quoad pia opera pro Ecclesia, pro Clero, et pro populo peragi potest. Nihilo t·amen serius Dei Provi· dentia actum est ut curatis et .fere omnibus aliis Ecclesiis huius civ:itatis liteamina pro altaribus et pro sacerdotalibus indumentis suppeditare potuerim: necnon necess.Jtatibus harum parochialium ecclesiarum, pro· spicere cupiens, aliquan1 pecuniae ·summan1 quam mihi ineffab-ilis Dei Provìdentia sub-n1inistraverat, 1parochis elargitus sum pro planetis, quiibus indigebant, oomparandis.


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In discursu autem S. Visitationis procurationes Cleri et Eccles-iarun1, dcmpto victu (non autem modestn equitatu, cui meis surnptibus prospexi) pauperibus et indigentibus ecclesìis pro reparationibus necessariìs et supellectilibus dispensavi. Ubi autem Clerus non procurartiones, sed'. victual.ia sub1ninistrare inaluit, proprio aere, etsi Archiepiscopali praebenda carens, elee1nosynas permultis occurentibus pauperibus erogavi, prout temporibus hisce 1infeliciissin1is comn1unis angustia pern1isit: quod-quidem in hac sede quotidie evenit rnax,in10 animi mei n1oerore, optarem enÌln om,niu1n angustias susterrlare, cum per1nultas indigentes persiaepe eilationis generis haec urbs concludat: sed cum pau·per sìn1 et ego, rnodest.issirno et tantummodo necessario contentus fa1nulatu, valdeque frugali n1·ensa, .necnon quocu1nque excluso currus et equum vel modesto ornatu, stipem n1ea1n cum indigentibus divido. Pro populn sacrificiun1 offcrre nu111quam pratermisi singulìs Don1iniois festisque diebus, et alìquando etiam fcrialibus. Ad exoitand'a1n autem fideliu1n fìdem, sacra1ne.ntalis confessionis frequentiam, et christianarum vi'rtuturn cultum, populo prater quatragesi1nales oonciones spiritualia exercitia ·suppeditari providi quot·annis in tota Archidioeces.J, et saltem in oppicUs ubi comn1odc peragi possunt. Hoc auten1 anno ego ipse personaliier populo in Ecclesia 1\11ctropolitana eadem exercitia praedicavi. Coadunandi vero cJerum Archidioccesis, sallem parochos, vicarios foraneos, .confessarios, et sacerdotcs emendatione vitae indig.entos, ut in loco clauso .excrcit~a spiritualia c:xipleri 1possint, nulla haec urhs, vel aliud Archid:ioecesis oppiclun1 co1nn1oditaiem suppeditat. Tandem ad pietaie111 fovcndan1 ad populi spirituales necessitates sublevandas, necnon ad christinnan1 adolescentiae sexus utrusquc ins,tìtutionem provehendam, pias Societates tcrtii ordinis S. Francisci, Matrum christianarum, Filian1m Mariae, et Sodalitia SS. Cordis Jesu in Archidiocesim stabiliter inveni. Syracusis autem Congregationem S. Aloysii Conzagae pro adolescentibus erexi, et sodales ego ipse perso,naliter dirigo et lnstituo singulis dom1nicis festisque diebus: per Arch1dioece-sim vero pedetenitim tam utilem Congregatione1n inducturu1n spero. PueJ.las autem in fide, Jnoribus et pietate .instituendas perexcellenti Congregationi Filiarum Caritatis a S. Vincantio a Paulis nuncupatae in hac urbe commendavi et com1nisi. § III

De spectantibus ad clerum

s~ecularem

I. Canonici, alìique choro Ecclesiae Cathedralis addicti matcrialiter in civitatc resident, formaliter vero male de servitio Ecclesiae inerentur. Fateor nonnul1los vel suo confectos, vel non satis fir1na valetudine esse praepeditos. Sunt vero qui absque legithna c·ausa choro non intersunt 1naxime inter canonicos secundarios. Alii autem 1post Matut1num et Lau-


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des, alii dominicis tantum festisque 1diebus solemnioribus apparent. A :monendo tribus ab hinc annis numquam desinivì, sed frustra, etanim ·simulationes et velamina praesto habent, quibus negligentiam te· gere conantur. Aliquando juris remediis arcturum minitatus sum donec ad privationem beneficii ·deveniTcm, et aliquando poenis pecuniariis mulctavi: sed et1arn incassum. Canon.ici primarii numquam, uno vel ia.llero exceptis, in choro concinunt tempore Missae, raro autem in psalmis. Fru· stra ·autem saepe eos admonui, et obligationern non faciendi fructus suos exposui, sed perperam, etenim nedum cantum Gregorianum ignorant, sed etiam simplices concentus ad Credo et Gloria, qui usu addisci solent ab omnibus. Ad haec~ Capitulwn hoc Met:ropolitanum Iledum in choro ho.ras canonicas persolvendi, sed ·etiam munus habet multos reditus administ:randi per deputatos de gremio Capituli eligendos, scflicet u.num a Canonicis, alterum ab Archiepiscopo pro unaquaque ex decem va-riis ftmdationibus et negotiis ipsius Ecclesiae. Canonici existentes numero non sunt nisi octo, quorum unus jubilationis et non res1dendi in civitate Apostolico Indulto gaudet. Adm-inistra1tiones itaque sem1}er 1in ·manibus eorumdem permanent, quos inter valetudine infirmior inter decem fundatinnes ,sex habet administrationes. Ab antiqui-s temporibus numquam Arch1eipiscopo computorum i~ationem reddkterunt. Inoassum huc usque laboraV:l ut ad tramites C()II1° cilii Tridentini in Sacra Vi-sitatione rationem .redderent de '.l'editibus omnia bus: imo nec .ad.bue scio quot sint hi reditus, quam habuerint a fundato· ribus destinationem, ·an inversiones illegitimas deputati fecerint: me tamen ex peculiaribus informationibus in genere non latet festis, celebra· tioni n1:issarum, cultui divino, fabricae, supellectilibus comparandis, aliisque usi.bus Ecclesiae necessariis esse destinatos: sive autem bene sive male administrationes p.rocedant penitus ignoro: et ,ex eo quia praedecessores Jnei ipro unaquaque fundatione ,sutun deputatum eligebant ex Capitulo, cui expensae innotescerent, Jiberos a r-eddenda ,ratione se autumant, nec Concilii Tridentini Decreto in hac parte obedi:re intendunt, d'uobus tantummodo Canonicis exceptis. Quanti sit haec reluctandi ratio S. Congragationis sapientia dijudicabit. Hoc unum scio Concilium Tridentinum neminem a .reddenda ratione Episcopo in S. Visitatione de reditìbus Ecclesiae excipere, quacumque non obsta·nte contraria consuetudine; eo vel m·agis quia ego deputatos praedictos 1adhuc non elegi, nec eHgere possum, quia exi-stentes Canonici vel v.alde negHgentes, verl inhabiles sunt; et si unus vel alter sint eligibiles, eos excluderem ab electione Capitularium deputatorum, ideoque pro parte Capituli semper et in perpetuum iremanerent iidem deputati ut ut socordes (!) et inepti qui a multis annis administrant. Deputatus autem ab Archiepiscopo electus de facto non administrat, ·sed tantummodo de expensis instructus redditur nisi sit aetate major eo quem Capitulum elegit. Et esto administret, non est equidem persona Archiepiscopi, et deberet 1ipse suo Antistiti .rationem 1


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reddere saltem in sacra Visitatione: sed neque ipse rationem reddit, et liberum a redde.ndo se autumat. Ex hoc fit ut cuncta pessundent, cultus divini s.plendbr vilesC'at, necessariae supellectiles com.parari non possint, adeo ut .Canonici in Missis Pontificalibus suas vestes ab aliis Ecclesiis magno curn dedecore Ecclesiae Metropolitanae mutue.ntur, quia Oeconomus Regius reditus addictos ex mensa Archiepiscopali nisi rationes computaru1n reddentur, solvere :renuit; et quod pejus est, ex incuria etiam instrumenta, et t-ituli authentici, quibus -oenisuum praprietas cauta est, prout fide digni Sacerdotes me instructum Teddiderunt, non inveniuntur in Archivio. Haec omnia nud'a et aperta sunt oculis omnium. Valde quidem majora deprehenderem si scripturae omnes et tabulae redituum et administrationum .mihi ponderentur, p.rout S. Conc. Trid. ad sartia tecta servanda Ecclesiae bona salubriter decrevit. Horum m,alorun1 causam .non invenio nisi in vetusto abusu non .reddendi de omnibus rationem Archiepisoopo ,saltem in S. Visitatione, necnon in eo quod pro aliquibus administrationibus semper Hdem a Capitulo deputati eligantur. Sed iis mederi permaxime profecto urget. Parvo Canonicorum numero per onorarios surppeditari curavi, praevio S. Cong:ri(egation)-is Rescripto diei 13 Sept. 1872, cui difficultatem conferend.i vacantes praebendas exposui. Sed cum nullam honorarii vel parvam recipiant retributionem, exceptis ferme decem vel duodecim annu矛s i talicis libellis pro celebratione miss,arum, 路etiam -ipS!i pedetentim a senritio chori deficere coeperunt. Scholarn cantus Gregoriani constitui, ut ornnes possent sive in Missis sive in 1ps路almis ca.nere. Pro ali-is vero praedictis maiis efficacia a S. Congr(egation)e rem,edia humiliter et instanter peto. Iuris remedia a Conc. Trid. et Ap(ostoli)cis Constitutionibus statuta in ordinaria Episcoporum jurisdictione praesto esse non ignoro sive atdJ chori servitium provehendum, sive ad censuum rectam administrationem tuendam. Sed non mi.nus certum ex alia parte est temporibus h.isce infelicissimis concordJ.am Cap-itulum inter et Praesuiem obrumpere periculis scandalorum omnino non carere, quae omni diligentia et cura prorsus vitanda sunt, eo vel magis quia in hac civitate co.ntroversiae inter Archiepiscopum et Capitulum traditionales sunt, et nuUa unquam ex iis bona Ecclesi,a, populus, et disciplina consequuta sunt. Coeteruan remed1ia ia S. Congr(egation)e statuta frrmiora quidem et durabLliora essent, quin ce.nsuris ferendis opus 路sit: etenim Canonici non adeo profecto awdlaces sunt, ut S. Congregationis oraculis adversari praesumant. Si autem mihi, omnibus :in ,loco inspectis, ,aliquid proponere fas sit, mentern meam hum.iliter aperiam, ut S. Congregatio, quae opportuniora sunt decernere dignetur. 1


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1. Itaque dicam - Negligentia choro intenreniendi a tenuitate distributionem oriri non dubito. Tenues sunt canonicorum praebendae, tenuis~ simae autem Mansiona,rioru1n, ,adeo ut canonicus qui per annum integrum .non interest non amittat nisi ferme septuaginta sex libellas italicas, et hanc dicunt esse tertiam part,em praebe..ndae, dernptis oneribus a Fiiscu impositis. Canonicus autem secundairius seu ,Mansionarius vail1d'e minus amittit, scu vel viginti, vel duodecim vel quinquagi.nta libeUas per annum, quia valde minus percipit ex 1praeber11d'a. Peropportuna itaque, imo necessarium esse crederem mulctas vulgo le falte o fallenze ad dim.idiium integrae pl"aebendae pro Canonicis primarils et Dignitatibus decevnere, et totam. Secundariorum praebendam in quotidianas distributiones vertere. Quia autem, ut praemisi, pauci ·sunt numero, et adjutorio Canonico· rum honorariorum in psallendo vaJ,de indigent, justitiae et rationi valde consentaneum est ut salte1n, inspectis peculiaribus E·cclesiae Syracusanae circunstantiis, pro gratia honorariis aliquod vel m.inin1um en1olumentum assignctur, nen1pe di,stributiones Canonicatuum vacantium, quorum substinent onera. Secus si nu.Jla ipsis gratituidinis ergo assignetu.r retributio, choro non interertmt Qmnino nisi so1emnioribus diebus, et divina psalmodia quotidie in templo Metropolit,ano amplius sustineri procul dubio non poterit magno cum dedeco.rc istatus ecclesiastrici. Canonici de illa retributione ut 1singuli conveniunt: capitulariter autem ce.rte qu-idem renuerent, ut et ips.i fatentur. Sed S. Congregati.io instante necess,itate, defectui capitularis consensus ·supplere pro gratia posset, in1,posita obbligatione honorariis quotidie insenniendi, et mulctandi faillentias favore praesentium, prout favore praesentium cedunt fallentiae Canonico.rum. 2. P.racdicta mala ,adrn.inistrationum ex eo proveniunt quod ratio non red'datur Archiepiscopo, et quod ob parvum Canonicorum numerum semper iide1n sint ad1ninistratores quamvis inepti et negligentes, etenim sibi invicern 'suff:ragia in e1ectionibrns gratiose conoedunt. IneluctabiMs itaque urget necessitas, secus reditus omnes procul -dubio pessundabunt, ut de· cernatur, praevia benigna quoad praeteritum ind'ulg-entia, 1° !ratiiones .reddi debere Archiepiscopo de .omnibus administrationibus, quas vulgo Opera e Cappelle v.ocant, saltem in S. Visitatione sub penis a S. Congregatione definiendis, nec non cuncta instru1nenta ·esse in Archivio asservanda; 2° jus, attentis peculiaribus ci.rcunstantiis, tribuere honorariis sessionibus capitular.ibus interven.iendi et suffragium .ferendi in electionibus .deputatorum pro administrationibus, et in aliis Capituli negotiis, et vocem passivam habendi, ut et ipsi •in deputatos administratores eligi valean,t; 3° huiusmodi Capitulum quotannis celebrari, ut electiones deputatorum renoventur; 4° tandem attentis etiam peculia-ribus circumstantiis, Canoni· cos honorarios ·tanquam Senatum Archiepiscop.i cum aliis Canonicis habcndos esse, ut ipsum in administranda Metropolitana Ecclesia ad tramites juris adjuvent; ·etenim, flens dico, uno saltem vel altero juvari vix possum.


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Enixe deprecor ·ut S. Congreg·ationis Patres necessitatibus huius Ecclesiae providere, pout humiliter proposui, non dedignentur. Canonici Collegiatarum Archiidioecesis choro inserviunt: in aliquibus autem parvo Canonicarum numero ob vacantes canonias per honorarios de consensu Caipitularium supplevi: :remanet ut vacantes canonias Leontinorum ubi divina psalmodia substineri nequit oh defectum Ministrorum, conferam, vel ·saltem per honorarios suppleam: ·Sed adhuc c-irca promovendos Sacerdotes angor, cum maxime animi mci moerore perspectis loci ci'rcumstantiis cui canonias conferam non invenio. II. Modo quo exposui Canonici Ecci. Cath. et Collegiata.rum praeter Matutinum, Laudes, ceterasque Horas Canonicas, quilibet die celebrant Missam Conventualem.

III. Eamque pro benefactoribus applicant. IV. Capitulum Ecci. Cath. proprias non habet Constitutiones: itemque statutis care.nt nonnullae ex Collegiati,s. V. ·Praebenda theologaHs nuperrim·e a BeaNssimo Patre oollata fuit digno Sacerdoti, qui nudius tertius in possessionem fuit immissus. Poeni1tentiarius laudabiliter suo munere fungitur. VI. Parochi Archid!ioecesis in propris Parrochiis resident. Non sic vero Parochi huius civitatis. Olim parochiales aedes ecclesiae adhaerentes habebant. Decursu temporis illas favore Ecclesiae in enphiteusim concesserunt: et nescio quomodo Antisti,tes ipermiser1nt, nec j.is Apostolico freti indulto, necne: ex hoc auten1 actum est ut permultis ab bine annis paull1atim extra limites suae pairochiae habi-tare -eoeper1nt seu in propriis dornibus, nedum Parochi ·sed etiam capellani coadjutores. Praedecessores mei ·silentio hanc habitandi ·rationem toleraverunt, quia cum sit valde angusta civitas, nwnquam evenire potest ut parochum aliorun1que min.ist,rorum habita-tiones longe ab ecclesia parochiali distent, ideoque damna pro populo difficile timeri possent: nec facile possent parochi intra arctos Jimites propriae parochiae dornos invenire, quas conducere possent. Haec autem S. Congregationis sapientiae humiliter subjicere puto, .si forsan extra limites parochiales parochorum habitationem, .inspectis particularibu,s circumstantiis, tolerari posse indulgebit. 1

VII. .Parochi omnes libros a Rituale Romano praescriptos retinent. Mendas autem quas in S. Visitatione in notulis scribendis inveni, oppositis dccretis corrcxi, ut fonnulac a ·Rituali Romano praescriptae omnino observentur. VIII. Omnes P,a:rochi capellanri.s, seu vice-parochiis in sacrarnentorum administratione pro opportunioci populi commoditate et servitio adjuvantur.


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IX. In civitate pa.rochi per se, in A,rchidioecesi autem non omnes personaliter sed per idoneos ·sacerdotes plebes sibi commissas pro sua et earnm capacitate possunt salutaribus verbis, docendo quae scire omnibus necessairirnn est ad salutem. Nonnulli parochi Archidioecesis hoc munus neglexerant, quos in Sacra Visitatione improbavi, et excitavi ad opte1nperandum Decretis Conie. Trid. Sess. 5 cap. 2, Sess. 22 cap. 8 et Sess. 24 cap. 4 de Ref. X. In S. V.isitatione pueros ncglectos inveni: sed ad provehenà'am eorum institutionem i,n fidei Tlldimentis, in pietate, in obedientia erga parentes, Sacerdotes in v·ariis Ecclesiis pro populi opportuniori commod-itate designavi. XI. Parochi, omnesque curarn animarum exercentes Parochorum vice in ecclesiis parochial-ibus vacanti.bus singulis 1d'ominicis .festisque diebus Missam applicant 'pro .populo eorum curae com111IÌsso ,ad tramites Constitutionis Cun1 se1nper Benediieti XIV et posterinrum decretorum SS.mo D.ni Nostri Pii Papae IX, quem Deus adhuc in aevum saspitet. XII. Minorihus et Sacris ordinibus initiandi in Clericorum Seminariis Netensi et .C-atanensi, ut praemisi, instituuntur, et ibi spiritualibus exercitiis vaca-nt antequam promoveantur ad ordines. XIII. In hac Archidioecesi nedum Clerici nondum sacris ordinibus initiati, et B-eneficiatii, sed etiam omnes presbJteni vestes clericales, imo talares deferunt, paucis exceptirs, qui breviari veste utuntur. XIV. Conferentiae Theologiae Mor·alis, seu casuum conscientiae, et sacrorum rituum in desuetudinem abierant: sed in usum revocandos curavi, et concionum specin1ina aidnecti ad provehendam verbum Dei praedicandi 1'Cctam n1ethodum inter juniores presbjteros statui. Bina vice in mense habendos esse conventus huiusmodi decrevi. Intervenire debere Curatos omnes ·confessarios, et concionatores decrevi: alias de clero etiam advocandos statuì: nullum vero qui non conveniat, approbari passe pro confessionibus et praedi,catione mandavi. De profectu dicam in alia relatione, tempus enim breve est ut de fruotòbus rationem reddam. XV. Non paucos de clero ·em'andatione vitae .Lndigentes praesertim in hac urbe, et .in aliquibus aliis oppidis et civitatibus Archidioecesis inv veni; quibus ad tramites decreti Conc. Trid. Sess. 13 Cap. 1 de Refor. moderandis et verbis et scriptis ad persuandendun1 accammodatis, salutaribus correptionibus, ac etiam, ubi delicti gravitas ita postulaverit, suspensionibus a div:Lnis, quantum in me est, omnem continenter do sedulitatem. Si autem, quod Deus avertat, aliquod' erit scandalum potentiori indi~ gent remedio Sacrae Congregationi humi.liter rreferan1, ut quid agendum sit .in tanta rerum et ,temporum difficultate decernat. Illud vero permaxi-


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me dolendum quod in dies .numero minuantur Sacerdotes, quin spes in hac archidioecesi effulgeat .fore ut, salva Dei Omnipotentis Providentia, qui vita funguntur suppleantur. 1

§IV

De iis qua,e ad cferum regularem pertinent De regularibus nihil notandum censeo in praesenti eorum statu. Erga eos sollecitudi.nem episc'Opalern juxta regulas et iresolutiones a S. Poenitentiaria de mandato SS.rni traditas adhibeo. Tantummodo dicam in hac Archidioecesi nullam esse vel umquam fuisse parochiam r-egularem.

§V

De iis quae ad M oniales pertinent Infelicissimo tempere violentiae suppressionis ordinum :regularium lnstructiones a S. P.oenitentiaria de mandato Sanctissimi latae ab antecessore meo exequutioni minime demandatae fuerunt: ideoque dispersas per p11opinquorum fa1nilias plures. Moniales inveni, quae ab omnibus dereHctae, thnore ,peocuJsae, valde parum institutae, vel nec alicuius .consilio adjutae contra insidias, quibus Pisci procu1iatores simulati's periculis e·as territare conabantur, sponte religiosis domibus cessarent, quas statim procuratores Gubernii occuparunt. lncassum .iteru1n atque iterLun laboravi u·t :in alia Mo.nastea:ia, vel in privatas aedes .insin1ul conve.nirent huius urbis dispersae Moniales: etenim elapsis jam fern1e sex annis, quibus liberiorum duxerant vitam, etiam seniores, perpaucis bonae indn.lis exceptis, instanter obstiterunt. MoniaJes vero Archidioecesis, quae a propriis Monasteriis fuerant exturbatae, vellent utique in propriis oppidis in unum convenire, sed nullam in discursu Sacrae Visitationis invenire .potai don1um, in qua oongragari potuerint. Eas vero per Vicarios Forane-0s custodiri, consiliis juvari, probisque conscientiae m"Oderatoribus gubernari invigilo. Quibus omnibus a me occasione visitationis Sacroru1n Liminum Sanctissin10 D.mo Nostro humiliter e.narratis, ·cun1 famillis ·suis moniales praedictas inhabitare vivae vocis oraculo indulsit. M.oniales autem quae se in Monasteriis suis religiosae observantiae fìdeiles cultriccs ad inortcm usque perman.suras declararunt, suas servant Cons,titutdones, clausuraim 1inviolate custod:iunt, et pnaeter ordinarium confessorem bis Ln anno extraordinariu1n petunt. Abusus i·rrepserat a lata lege suppressionis ut, triennio elapso, Supe'riorissae et Confessarii Ordinarii non renovarentur. Sed abstuli omnino, et omnia aid' norma111 I uris procedunt. Omnia Monastcria jurisdictioni Archiepiscopi subiecta sunt. De 1reditibus in praesentibus rerum adjunctis nihil est quod S. Con-


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gragationi referam. Pensionem quam Maniales a Fisco aGcipiunt, in ma.nibus Superiorissae deponunt, ut in mensa ieommuni eis alimenta vel parce suppeditentur. § VI

De Clericorum Seminario Iam dixi § 1 N° IX. §VII

De pertlinentibus ad Ecctesias, Confraternitates et Loca pia I. In Sacristiis Ecclesiarnm expositam non haberi tabellam onerum Missarum et anniversariorum ad tramites decretorun1 san ..mem. Urbani Papae VIII permisi, (ne vaperrimi p.rocura tores Fis,ci cx ea notitiam le~ gatorurn haberent, et reditus usurparent, ceu aliquando statim data lege vulgo dieta dell'Asse Ecclesiastico evenit. Sed iUac tabulae in omnibus oppidis penes missarum et legatorum curatores asserv·antur, qui eis satisfieri invigilant, et ,in sacra Visitatiane rationem reddunt. In sacristiis autem libri secreto asservantur, ubi capellani .missas piorum fundatorum jam celebratas sub:i.nde conteribunt. 1

II. Quaad Conf<I"aternitates, infirmorum Hospitalia, a1Haque pia Loca quae cultus divini et >Spiritualia sunt tantummodo visitavi, etenim, ceu praenotavi, in temporalibus 1permultis ab hinc annis Regio Gubernio subduntur.

§VIII

De papula I. Etiamsi fides et pietas :i.nter populum in dies aurescant, dolendum tamen est mo:res perampl-a .reformatione indigere: ideoque Eminentissi· mos S. Congregationis .Patres enixe deprecar, ut orationibus suis me adjuvent, ad hoc ut continua verbi Dei praedicatione valeam mores populi in melius immutare, Dei gratia opitulante. II. Nu1li vero adsunt abusus, qui remediis S. Congregationis indigeaint.

§IX

De postulatis Nìhil habeo quod' postulem, nisi remedia quae pro Capituli Cathedralis Ecclesiae negotiis humiliter proposui. Dat. Syracusis die 22 Junii 1875

+

Joseph Archiepiscopus Syracusan.



CRONACA DELL'ISTITUTO

1.

Assemblea dei Soci

Il 28 aprile 1987 martedi alle ore 16 si raduna l'assemblea dei Soci nella nuova sede ubicata nei locali del seminario arcivescov1le di CwtJania aJ pi=o terra. In tak seduta è stato presentato il resoconto delle attività del 1986; è stato approvato il bilancio consuntivo 1986 e preventivo 1987; sono state infine programmate le attività relative all'anno 1987-88.

2.

Pubblicazioni

Il nostro Istituto ha curato la pubblicazione dei seguenti volumi: 1. Synaxis IV: nel mese di dicembre 1986 è stato pubblicato il n. IV di Synaxis, annuale dell'Istituto. Il volume,, composto di 544 pagine, comprende 12 contributi e ricerche di varia natura con particolare interesse per quanto riguarda fatti e persone della Sicilia.

2. Quaderni di Synaxis n. 3: nel mese di giugno 1987 è stato pubblicato il n. 3 di Quaderni di Synaxis, edito da Galatea Editrice di Ackeale, dal tiltolo «Il ,sinodo diocesano nella teologia e nella storia». Il volume contiene gli Atti del convegno di studi che il nostro Istituto ha celebrato insieme allo Studio Teologico S. Paolo e alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, nei giorni 15-16 maggio 1986.


Cronaca dell'Istituto

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3. Documenti e S~udi di Synaxis n. 1: nel mese di novembre 1987 è stato pubblicato il n. 1 della nuova collana «Documenti e Studi di Synaxis», edito da Galatea Editrice di Acireale, del soci-o G. Zito, dal titolo «La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894)», con prefazione di Giacomo Martina S. J. Il volume, di 600 pagine, inaugura la nuova collana e nasce dalla duplice esigenza di conoscere meglio la figura del card. Dusmet e cogliere le radici della Chiiesa e del clero catanese.

3.

Presentazione di Synaxis

A cura della Facoltà di Lettere dell'Università di Catania, della Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale di Catania e dell'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo, martedì 29 aprile 1986 alle ore 17,30 nell'aula magna di Palazzo Sangiuliano, Piazza Università, i proff. Antonio Coco, Salvatore Consoli, Salvatore Leone e Adolfo Longhitano hanno introdotto una conversazione sul tema: «Storiografia e cultura in una re~ cente rivista catanese: Synaxis (1983-1986)».

4.

Tavola rotonda su «Morale ed economia»

Per iniziativa del nostro Istituto, martedì 31 marzo 1987 alle ore 16,30 nell'aula magna del Palazzo delle Scienze di Catania si è tenuta una tavola rotonda su «Morale ed economia. A proposito del documento dei Vescovi USA sulla giustizia economica>>.

Sono intervenuti i proff. Emilio Giardina della Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Catania e P. Julio de la Torre c.ss.r. dell'Accademia Alfonsiana della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha moderato il dibattito il dott. Piero Isgrò della RAI di Catania. E' mancato l'intervento previsto del prof. Michele Colasanto


Cronaca dell'Istituto

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della Facoltà di Scienze dell'Università Cattolica di Milano, impedito· a venire a causa di uno sciopero aereo.

5.

Convegno di studi: «Manipolazioni m biologia e problemi etico-giuridici»

Giovedì 14 e venerdì 15 maggi!O 1987 nell'aula magna della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania si è svolto il convegno di studi sul tema: «Manipolazioni in biologia e problemi etico-giuddici». Il convegno, promosso dallo Studio Teologico S. Paolo, dall'Università di Catania e dal nostro Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo, conferma l'esperienza di collaborazione divenuta ormai tradizionale e significativa negli ambienti della cultura catanese. Giovedì 14 maggio aH.e ore 16,30 hanno aperto il convegno l'arcivescovo di Catania e moderatore dello Studio Teo1ogico S. Piro1o, mons. Domenico Picchinenna e i,l magnifico rettore dell'Università degli Studi di Catania, prof. Gaspare Rodolico. Il prof. E. De Luca, della Facoltà di Scienze M.F.N. dell'Università di Catania, ha trattato il tema: «La trasmissione dell'informazione ereditaria». In una seconda relazione il prof. S. Motta, della Facoltà di Scienze M.F.N. dell'Università di Catania, ha parlato su: «Metodologie e obiettivi della ingegneria genetica». Ha presieduto questo primo giorno di lavori il prof. S. Consoli, preside dello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Venerdì 15 maggio in mattinata hanno svolto le loro relazioni: - il prof. F. D'Agostino, della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania, su «Ingegneria genetica ed ingegneria giuridica: confronti e scontri»; - il prof. R. Cambareri o.p., dello Studio Teologico S. Paolo di Catania, su «Riflessione etica sugli interventi manipolativi dell'uomo nell'ambito della genetica umana»;


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Cronaca dell'Istituto

- il prof. F. Nardo, della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Catania, su «Attività in tema di fertilizzazione artificiale: risultati e prospettive». Ha presieduto il dibattito il prof. I. Panella della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Catania. Nel pomerlgg1o, con la presidenza del prof. G. Lo Ca,stro, della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma, sono state svolte le seguenti relazioni: - il prof. T. Auletta, della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania, su «La tutela giuridica dell'embrione e della coppia nella fecondazione artificiale»; - il prof. W. Bueche c.ss.r., dell'Accademia Alfonsiana della Pontificia Università Lateranense di Roma su «Problemi etici della fecondazione artificiale».

Il convegno è stato un'occasione preziosa, per studiosi e anche per numerosi studenti universitari, per approfondire con serietà e scientificità uno dei problemi più scottanti del nostro tempo.

6.

Presentazione di Documenti e Studi di Synaxis 1

Giovedì 12 novembre 1987 alle ore 16,30 neWaula magna deMa Facoltà di Lettere, dinanzi ad un numeroso e ruttento pubblico, a cura della Sodetà di Storia Patria per la Sicilia Odentale e del nostro Istituto, i profes,sori: Antonio Coca dell'Università di Cwtania, P. Gfacomo MarHna S. J. della Pontificia Univernità Gregoriana di Roma, Giuseppe Giarrizzo preside della Facoltà di Lettere di Catania, harmo presentato il volume del socio G. Zito «La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894)», che inaugura la nuova collana «Documenti e Studi di Synaxis». GIAMBATTISTA RAPISARDA Segretario dell'Istituto


INDICE

PRESENTAZIONE (Salvatore Consoli) L'EPISTEMOLOGIA TEOLOGICA DI M. ·D. CHENU. Itinerario e prospettive (Antonino Franco) Introduzione I. La teologia come .scienza della fede II. ·La •teologia come intelligenza critica della prassi 1della Chiesa Bilancio critico Conclusione IL MATRIMONIO NEL PENSARE TEOLOGICO DI A. ROSMINI (Giuseppe Cristaldi) Introduzione 1. Pensare filosofico e pensare teologico 2. Il matrin1onio . LE REGOLE DEL SEMINARIO DI CATANIA DEL 1788. Approccio di lettura critica (Piero Sapienza - Salvatore Consoli) Premessa I. Aspetti pedagogici e culturali (Piero Sapienza) Introduzione 1. Ventimiglia e Moncada: due vescovi riformatori del seminario di Catania 2. Motivazioni che giustificano la necessi-tà delle Regole del semina.rio 3. Ideali formativi e strumenti pedagogici 4. La forn1azione culturale . Osservazioni conclusive IL Tentativo di lettura teologico~moraJe (Salvatore Consoli) I. Lo ,scopo delle Regole .

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Indice 2. L'immagine di sacerdote intesa dalle Regole 3. L',educazione alla pietà ovvero al rapporto con Dio 4. I -sacramenti 5. La carità nei rapporti reciproci . 6. Ubbidie.nza e libertà 7. Educazione al rapporto con la ,donna e col mondo . Conclusioni

IL DIBATTITO SU RELIGIONE NATURALE E RIVELAZIONE CRISTIANA NELLA FILOSOFIA MODERNA (Enrico Piscione) 1. In traduzione 2. :L'iconoclastia della rivelazione -cristiana in Spinoza 3. Il deismo e il cristianesimo 1ragionevole di Locke . 4. Corrosione scettica e valenza pratico-sentimentale del fenomeno religioso in Hume 5. Coscienza e rivelazione cristiana in Rous·seau . 6. Gli esiti della religione kantiana: moralismo e razionalismo illuministico IL NEO-SINTETISMO DI MONS. MARIO STURZO ESPOSTO E INTERPRETATO IN UN ARTICOLO DEL FRATELLO DON LUIGI STURZO (Salvatore Latora) Appendice I: ,testo tradotto dell'articolo Appendice II: testo originale dell'articolo

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NOTE SUL PENSIERO EDUCATIVO E DIDATTICO DEL CATANESE GIUSEPPE COCO ZANGHY (Francesco Furnari) 1. Educazione del clero ed educazione cattolica 2. Sull'educazione 3. Sull'istruzione Conclusione

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RINASCITA E DECADENZA DEL MONASTERO BASILIANO DI S. FILIPPO DI FRAGALA' (Salvo Nibali) t. L'epoca normanna 2. L'epoca sveva 3. L'epoca angioino-aragonese 4. In regime di commenda .

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Indice ANCORA SULL'ENCOMIO «LACERATO»: DUE EPISTOLE INEDITE DI EMERIC BIGOT A LEONE ALLACCI (Carmelo Crimij _

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Epistola II

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IL MONASTERO CATANESE DI S. NICOLA L'ARENA TRA IL 1675 E IL 1719 (Gaetano Zito) 1. Il ritrovamento del Registro 2. La vita del monastero 3. Gri,teri metodologici -seguiti nella trascrizione del testo Appendice

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LE RELAZIONI «AD LIMINA,, DELLA DIOCESI DI CATANIA (1691) (Adolfo Longhitano) 1. Il vescovo Frrancesco Antonio Carafa 2. Provvedimenti del Carafa nei primi mesi del suo governo pastorale 3. La relazione «ad limina>J del vescovo Carafa 4. Criteri metordologici seguiti nella pubblicazione di questo documento Testo tradotto della relazione «ad limina» . Testo originale della ,relazione «ad limina»

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UN RIFORMATORE ECCLESIASTICO NELL'ITALIA DEL SETTECENTO: GIOVANNI DI GIOVANNI (Giuseppe Di Fazio) Appendice .

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LA CHIESA SIRACUSANA NEL 1874 (Pasquale Magnano) 1. Quadro d'insieme delle condizioni generali della Chiesa siracusana dal 1850 al 1872 2. Profilo biografico dell'arcivescovo Giuseppe Guarino . 3. Regesto della relazione ad lin1ina del 1875 e ·documento originale Testo originale 1della relazione ad lùnina del 1875

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CRONACA DELL'ISTITUTO (Giambattista Rapisarda) .

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Finito di stampare Il 15 dicembre 1987 coi tipl dello Stab. Tip. ttGALATEAÂť Acfrea!e


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