Synaxis 1990 VIII

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ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO

SYNAXJ_ VIII

CATANIA 1990


Proprietà letteraria riservata

Stampato in Italia

Printed in Italy

Stab. Tip. «Galatea» - Via Piemonte, 84 - Acireale


PRESENTAZIONE Anche Synaxis VIII si articola seguendo i tre filoni di ricerca che hanno caratterizzato in questi anni la proposta culturale della rivista: la riflessione teologica sulla fede e la ''praxis ecclesiae", mediante un collegamento sinergico tra forze culturali diverse, la ricerca storica con attenzione particolare alla storia delle Chiese di Sicilia, e il dibattito culturale emergente. Il convergere insieme di queste tre attenzioni è guidato dalla fede, una fede cristologica che per sua natura si innesta nei gangli della storia per farla vivere della sua linfa divina. Significativamente Synaxis VIII si apre con lo studio di Reginaldo Cambareri O.P. che evidenzia le indicazioni del Vaticano Il sulla ''prassi storica" dei cristiani.

La pubblicazione di questo lavoro postumo, ad un anno della prematura scomparsa del['autore, vuole essere un segno della memoria viva e grata che si conserva di p. Cambareri, religioso motivato e docente saggio. Synaxis, espressione della cultura siciliana e dei siciliani, si pone senza vena di presunzione tra i segni di crescita e di speranza della Sicilia e della sua vitalita, di una Sicilia, dove sempre, alla luce anche degli ultimi avvenimenti, è difficile saper cogliere piccole ma significative presenze.

Lo Studio Teologico San Paolo, attorno al quale orbita Synaxis, zl 14 Settembre 1990 è stato aggregato alla Facolta Teologica di Sicilia allo scopo di approfondire i problemi riguardanti la Teologia Morale con particolare riferimento alle istanze provenienti dalle condizioni socio-culturali della nostra Isola. È auspicabile, pertanto, che Synaxis possa simultaneamente beneficiare dell'apporto accademico dello Studio Teologico e contribuire ad evidenziare la dimensione caratteristica etica del patrimonio del nostro popolo. SALVATORE CONSOLI Catania, Natale del Signore 1990.



LA "PRASSI STORICA" DEI CRISTIANI NEL CONCILIO VATICANO II

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REGINALDO CAMBARERI O.P."

I. INTRODUZIONE

1. Il Vaticano Il: un Concilio aperto sulla storia del mondo

Il Concilio Ecumenico Vaticano II fu ufficialmente indetto dal papa Giovanni XXIII con la costituzione apostolica Humanae Salutis del 25 clic. 19611• Con lettera apostolica motu proprio del 2 febbr. 1962 stabiliva che il Concilio avesse inizio il giorno 11 ott. dello stesso anno', giorno in cui egli stesso lo inaugurò solennemente alla presenza di oltre 2500 padri con ciliari 3•

Morto papa Giovanni XXIII il 3 giugno 1963, il Concilio continuò il suo svolgimento negli anni successivi per volontà e sotto la guida del papa Paolo VI, eletto il 21 giugno 1963; egli stesso ne dichiarò ufficialmente la chiusura 1'8 dicembre< 1965 con la lettera apostolica In Spiritu Sancto 4 • * Già Docente di Teologia morale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.

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Il testo si può leggere in Enchirùlion Vaticanum, Documenti: il Concib:o Vaticano II, Dehoniane, Bologna 1970 8 , 2-19 tra parentesi quadre. Avvertiamo che ogni qualvolta rinviamo a quest'opera, indicando semplicemente la pagina, questa va sempre intesa tra parentesi quadre e si tratta sempre di documenti non emanati dal Concilio. Per i documenti conciliari invece indicheremo sempre il numero del testo, secondo la numerazione voluta dal Concilio stesso. 2 Enchiridion Vaticanum, cit., 20-23. 3 Cfr. S. TRAMONTIN, Un .1ecolo di .1toria della Chiesa. Da Leone XIII al Concilio Vaticano II, II, Studium, Roma 1980, 268-270. 4 Ench. Vat., cit., 316-319. Il Concilio si è svolto sotto la guida di due papi: il primo periodo (o prima sessione) dall'll ott. 1962 all'8 clic. 1962 sotto la guida di Giovanni XXIII; gli altri tre periodi, sotto la guida di Paolo VI, si sono svolti nell'autunno del 1963, 1964, 1965. .


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Gli studiosi sono concordi nel definire il Concilio Vaticano II come un evento di grande portata storica. «In realtà lo storico non bada tanto a quello che si sarebbe potuto fare, quanto a quello che si è concretamente realizzato. In questa prospettiva, la sola valida, il concilio segna una svolta nella storia della Chiesa: chiude un'epoca e ne apre un'altra» 5 • Che questo evento epocale non riguardi soltanto la Chiesa cattolica, ma anche le altre confessioni cristiane e l'umanità intera lo esprime bene lo studioso protestante P. Ricca: «L'importanza del Concilio Vaticano II può difficilmente essere esagerata. Non solo perché esso ha segnato una svolta decisiva nella storia più che millenaria della Chiesa cattolica ma perché la storia religiosa, spirituale e anche politica dell'intera umanità, nei prossimi decenni e, forse, secoli, ne sarà certamente determinata, in una misura che non si può ancora precisare ma che sarà tutt'altro che trascurabile. Il Vaticano II non è stato solo un fatto interno della Chiesa cattolica, come qualcuno ingenuamente asserisce» 6 • 5 G. MARTINA, La Chiesa in Italia negli ultimi trent'anni, Studium, Roma 1977, 92; il corsivo è nostro. Il vaticanista H. Fesquet alla fine del Concilio annota: «Il Vaticano II è oggi terminato; Giovanni XXIII, che lo aveva indetto, è scomparso. Ma l'uno e l'altro restano così vivi nel ricordo che c'è poco spazio per la nostalgia di questa fine d'anno 1965 che resterà nella storia come una data che salda due epoche ben distinte del Cristianesimo. Più passerà il tempo e meglio si vedrà questa paradossale realtà vissuta dal Concilio: questa di una discontinuitJ nella continuitJ della Chiesa, È nel corso del Vaticano II che Roina è veran1ente entrata nel XX secolo, ciò che dà insieme la misura del ritardo della Chiesa e del suo sforzo di aggiornamento» (I-I. FESQUET, Il diario del Concilio. Tutto il Concilio giorno per giorno, Mursia, Milano 1967, 1125-1126). Anche K. Rahner esprime un giudizio simile, quando afferma che «questo concilio rappresenta la linea di demarcazione fra !"epoca piana' della chiesa e la nuova eta, quando la chiesa, malgrado ogni tendenza ritardante, sta diventando la chiesa veramente universale» (K. RAHNER, Opportune et importune, in Conciliun1 10 [1983] 163). 6 P. RICCA, Il Cattolicesimo del Concilio. Un giudizio protestante sul Concilio Vaticano·II, distribuito dalla ed. Claudiana, Torino 1966; il corsivo è nostro. Il Ricca è talmente convinto della svolta radicale del Vaticano II da essere indotto a parlare di "neocattolicesimo": «Bobbiamo sapere con esattezza che cos'è il neo-cattolicesimo conciliare. Dobbiamo imparare a conoscere il nostro attuale interlocutore cattolico, che non è più quello di ieri)) (ibid., 3). Anche V. SU BILIA parla di "nuovo cattolicesimo post-conciliare" in: La nuova cattolicitd del Cattolicesimo. Una valutazione protestante del Concilio Vaticano Il, Claudiana, Torino 1967, 263 ss. E il card. M. PELLEGRINO parla del Concilio come di «un evento destinato ad incidere profondamente suIIa vita della Chiesa e sulle sorti deII'utnanità», in H. FESQUET, op. cit., V. Riguardo all'importanza del Concilio relativamente ai problemi ecumenici basti ricordare che esso ha coinvolto la quasi totalità delle confessioni cristiane più significative: «Presero parte al quarto periodo 83 osservatori, delegati di 27 chiese, e 15 ospiti del segretariato per l'unificazione dei cristiani» (E. ISERLOH, Il Concilio Vaticano]], in R. KOTTJE-B. MOELLER [cc.], Storia ecumenica della Chiesa, III, Età moderna, Queriniana, Brescia 1981, 338).


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H. Jedin ci ricorda che l'opinione pubblica mondiale fu grandemente interessata all'evento del Concilio'; bisogna aggiungere che l'interesse fu crescente fino alla chiusura dello stesso'. E non senza ragione: il Concilio durante i suoi lavori mostrava di essere attento e aperto alla storia e alla condizione concreta dell'umanità. In questo senso esercitò un particolare influsso l'attesa della promulgazione dello Schema XIII, il quale avrebbe dovuto trattare i problemi più vivi e scottanti dell'epoca contemporanea, e che fu approvato e promulgato l'ultimo giorno dei lavori conciliari (il 7 clic. 1965) col titolo di Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Come vedremo, è questo il documento conciliare che più di ogni altro ci mostra un Concilio che guarda alla storia e alla problematica umana 9 . La portata storica del Concilio, sotto questo stesso profilo, è posta in netto rilievo da Paolo VI nella lettera apostolica In Spiritu Sancta con la quale 1'8 clic. 1965 dichiara definitivamente concluso il Vaticano II: «Il Concilio ecumenico Vaticano Il[ ... ] deve senza dubbio annoverarsi tra i maggiori eventi della Chiesa» (maximis Ecclesiae eventis est accensendus) 10 • Tale giudizio viene suffragato da Paolo VI da tre sintetiche ragioni: il Vaticano II «infatti fu il più grande per il numero dei Padri [... ];il più ricco per gli argomenti [... ];fu infine il più opportuno (convenientissimum) perché, avendo presenti le necessità dell'epoca odierna, innanzi tutto va incontro alle necessità pastorali e[ ... ] grandemente si è sforzato di raggiungere 7 «Che il concilio fosse considerato un avvenimento mondiale lo dimostrava la presenza di quasi mille inviati della stampa e dei mass-media» (H. ]EDIN, Il Concilio Vaticano II, in H. ]EDIN [c.], Storia della Chiesa, X/1, Jaca Book, Milano 1980, 115). 8 G. Caprile in una nota delle cronache sul Concilio, da lui pubblicate sulla nota rivista La Civiltrl Cattolica e poi raccolte in cinque volumi col titolo Il Concilio Vaticano II, nel V volume, a p. 441, nota 1, scrive: «L'Ufficio Stampa chiuse i battenti qualche giorno dopo la fine del Concilio. I giornalisti accreditati presso di esso salirono da circa 1.400 nell'ottobre 1962 a 2.616 nell'ulti1no periodo. Si calcolano non meno di 1.500 telefonate mensili per l'estero, durante i lavori del Concilio: i paesi verso i quali vennero fatte 1naggior numero di chiamate furono, in ordine, la Gennania, la Francia, la Svizzera, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, gli Stati Uniti. Più di 500 bollettini in nove lingue vennero distribuiti nel corso dei quattro periodi conciliari (Ag. Kipa-Concile, 12 dic. 1965)». 9 «Aucun document conciliaire n'a éveillé autant d'espoir dans le monde, spécialement parmi les non-chrétiens, que la Constitution Pastorale: Gaudium et Spes, longtemps connue sous le nom de Schema XIII. On y voyait le symbole de l'aptitude dc l'Eglise à engager avec le monde d'aujourd'hui un dialogue sincère. Cctte Constitution, en effet, trate des grands problèmes qui se posent à l'humanité: [... ]» (L. VEREECKE, "Aggiornamento": tdche historique de l'Eglise, in Studia moralia 4 [1966] 43-72: 43). 10 Paolo VI, Lettera Apostolica "In Spiritu Sancta", in Ench. Vat., cit., 317.


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non solo i cristiani ancora separati dalla comunione della Sede Apostolica, ma anche tutta _la famiglia umana}> 11 •

Il Vaticano Il è pertanto finalizzato a incidere nella storia dell'umanità. Ciò viene affermato non nel senso generico che ogni Concilio Ecumenico ha sempre un riflesso storico anche quando si occupa di questioni interne alla Chiesa o strettamente dottrinali, ma nel senso che - a partire dalle intenzioni di Giovanni XXIII che l'ha convocato 12 - il Vaticano Il si è data questa specifica finalità: adeguare ("aggiornamento" di papa Giovanni) la Chiesa ad inserirsi efficacemente nella problematica della storia contemporanea. D'altronde ciò che ha determinato la convocazione del Vaticano Il non è stato un problema di dogmi e di dottrine, ma è stato il problema della presenza della Chiesa nella storia, sebbene la chiarificazione di tale prospettiva abbia comportato anche questioni dottrinali. Rispetto a quelli del passato, il Vaticano II è un Concilio di tipo nuovo: non definitorio-dogmatico, ma pastorale; questa è la comune qualificazione del Vaticano II a partire da Giovanni XXIII. Ciò significa presenza viva nella storia e nella concreta esistenza degli uomini. Basti ricordare le chiare parole di papa Giovanni nel discorso di apertura del Concilio: «Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa [... ]. Per questo non occorreva un concilio [... ]; è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo•P.

2. L'oggetto del presente lavoro e la "Gaudium et Spes" Entro questa prospettiva generale si colloca la nostra particolare ricerca. Questa vuole evidenziare che il Vaticano II ha affermato e motivato, tra le altre forme, anche un tipo di presenza dei cristiani nel mondo da noi qui denominato prassi storica. 11

L.c.; il corsivo è nostro. Cfr. la costituzione apostolica Humanae Salutis di Giovanni XXIII, con la quale egli il 25 dic.1961 indice il Concilio Ecun1enico Vaticano II, in Ench. Vat., cit., 2-19; il suo radiomessaggio dell'll sett. 1962, ibid., 24-31; e soprattutto il suo discorso nella solenne apertura del Concilio, l'll ott. 1962, ibid., 32-53. È in questo discorso che appare il termine "aggiornamento", talvolta frainteso: cfr. A. FRANZEN, Breve storia della Chiesa, Queriniana, Brescia 19804 , 364-65. 13 Ench. Vat., cit., 45. 12


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Come tanti altri studiosi, Rahner e Vorgrimler affermano che «il concilio è stato un concilio pastorale. Tale era stato inteso da Giovanni XXIII e tale il concilio stesso si è inteso. Esso volle essere un concilio della preoccupazione della Chiesa per l'uomo» 14 • In verità il Vaticano Il mostra di comprendere in maniera veramente nuova i rapporti tra la Chiesa e l'umanità nel suo insieme. Mediante il Concilio la coscienza cristiana afferma e giustifica la responsabilità mondana del credente dentro la storia, in modo tale che la sfera terreno-temporale diviene oggetto di responsabile impegno. Cosicché il dibattito preconciliare, soprattutto quello degli anni '40 e '50, specialmente in Francia, tra escatologismo e incarnazionismo, trova nel Concilio una sufficiente chiarificazione 15 • La vera questione è posta in termini chiari da Duquoc: «L'affermazione di Dio, quale è data nella Chiesa, ha un significato per il nostro mondo, o è una pura affermazione religiosa senza legame con la storia e senza punti di contatto col cammino del mondo?» 16 • Questa tematica viene sviluppata nella costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ( Constitutio pastoralis de Ecclesia in munda huius tenzporis); comunemente viene anche chiamata Gaudium et Spes (Gs), secondo l'uso ecclesiastico di denominare i documenti ufficiali con le parole iniziali dell'originale latino. La nostra ricerca si concentra proprio sulla Gaudium et Spes, perché solo in questa costituzione il tema viene affrontato ex professo e in maniera articolata; mentre in altri documenti conciliari gli approcci al tema sono funzionali alla trattazione di altre prospettive. Vi è di più: essendo stata elaborata soprattutto nel terzo e quarto periodo, la Gaudium et Spes esprime - anche per questo motivo - la coscienza più matura dei padri conciliari sul nostro tema. 14 I docunienti del Concilio Vatfrano Il, con Introduzioni di I(. RAHNER- H. VORGRIMLER, Paoline, Roma 1968 7 , 25; il corsivo è nostro. 15 I termini della polemica teologica sono chiaramente esposti in G. THILS, Trascendenza o incarnazione?, ARES, Roma 1957; è corredato di un'essenziale e utile bibliografia. Cfr. anche J. COMBLJN, Verso una teolog1'a dell'azione. Trent'anni di ricerche, AVE, Roma 1967, specialmente le pp. 95-131; Y. CoNGAR, Per una teologùt del laicato, Morcelliana, Brescia 1966; A. RIGOBELLO, L'evoluzione dellu teologia e il problema del Cristianesimo, in V. VERRA (c.), La filosofia dal '45 ad oggi, ERI, Torino 1977 2, 224-235. 16 C. DUQUOC, La Chiesa e il mondo, in AA.Vv., La Chiesa e il mondo, AVE, Roma 1966, 88; il volumetto è la traduzione italiana del n. 73 di Lu1nif:re et Vie, maggio-luglio 1965; la questione formulata dal Duquoc era molto sentita e dibattuta durante gli anni dello svolgimento del Concilio.


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Questo lavoro sostanzialmente evidenzia l'istanza etica della prassi storica affermata dalla Gaudium et Spes1'. Sotto questo profilo la costituzione pastorale Gaudium et Spes è un documento unico tra i documenti conciliari di tutti i tempi; i concili infatti non hanno mai tematizzato il problema della prassi storica a motivo della mutevolezza e contingenza del suo oggetto; cosicché su tale prassi non si possono dare prescrizioni determinate universalmente valide ed una volta per tutte. Per questo motivo la Gaudium et Spes è una novità legata al Vaticano II ed è stata considerata un atto di coraggio 18 • In realtà il Concilio ha dato al tema dell'impegno nel mondo tanta importanza da trattarlo in un documento qualificato come "costituzione", che è la forma più solenne e obbligante di un documento conciliare. È utile precisare che il presente lavoro non vuole costituire un commentario al testo della Gaudium et Spes; né intende affrontare e valutare i temi specifici del documento. La ricerca si propone di fare emergere la prospettiva centrale, da cui ricevono senso i temi particolari. In altri termini ci sforziamo di cogliere la chiave di lettura del documento. Essa viene individuata nella intenzionalità che genera il documento ed è polarizzata dall'obiettivo di prospettare una prassi cristianamente motivata e capace di rispondere alle sfide della storia contemporanea. Tale obiettivo costituisce l'esito più coerente e concreto di quella apertura del Vaticano II alla storia umana, di cui abbiamo parlato all'inizio. Come abbiamo già accennato, la fonte principale e diretta per una tale indagine è la Gaudium et Spes. Quanto alla storia e alle vicissitudini di questo documento esistono apprezzabili studi 19 . Qui ci pare utile ricor17 La metodologia e, insieme, la motivazione fondamentale, mediante cui la Gaudium et Spes fonda tale obbligazione morale sono sviluppate da R. CAMBARERI, Il discerninunto dei "segni dei tempi" come metodologia per un corretto orientamento della prassi slorica dei cristiani nella "Gaudium et Spes", in AA.VV., Sermo sapientiae. Scritti in memoria di Reginaldo Cambareri 0.P. (Quaderni di Synaxis 7}, Galatea, Acireale 1990. Questo secondo aspetto

prova da sé che l'impegno del cristiano nella storia non è fatto valere dal Concilio in forza di un atto volontaristico, o per un precetto dell'autorità gerarchica, onde superare l'accusa di alienazione dalla storia, ma esso viene fatto scaturire da ragioni interne alla fede stessa; così l'impegno storico si pone come conseguenza di una fede matura e responsabile. 18 I(. RAHNER - H. VORGRIMLER nelle Introduzioni a I docu1nenti dcl Concilio Vaticano II, cit., 26 e 27. Per i molteplici aspetti per cui la Gaudium et Spes è una novità tra i documenti dei concili cfr.J.M. G!RARDA, Proemio, in AA.VV., Comentarios a la constituciòn "Gaudiu1n et Spes" sobre la Iglesia en el munda actual, BAC, Madrid 1968. 19 Indichiamo anzitutto quello di un collaboratore all'elaborazione della Gaudium et Spes: R. Tucc1, Introduzione Pastorale "Gaudium et Spes", in AA.VV., La Costituzione Pastorale


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dare che durante il periodo conciliare, e anche dopo, esso è stato chiamato Schema XIII, perché ad un certo momento venne ad occupare il 13° posto (ma ne aveva occupato altri, prima) nell'elenco degli schemi da elaborare per la presentazione alla discussione dei padri conciliari. 3. Chiarimento dell'espressione ''prassi storica"

Nelle pagine precedenti abbiamo adoperato l'espressione prassi storica. Essa è piuttosto inusuale; dobbiamo pertanto un chiarimento al lettore, anche perché ciò contribuisce alla esplicitazione ulteriore dello status quaestionis. Secondo la nostra opinione, la tesi di fondo della Gaudium et Spes afferma che l'autentica fede cristiana genera impegno responsabile nei riguardi della promozione dei beni umani terreni; anzi afferma che il cristiano trova la verifica dell'autenticità della sua fede anche nella capacità di operare responsabilmente per la soluzione umana dei problemi terreni. Tale contributo operoso al progredire umano, lo chiamiamo qui prassi storica. Per chiarire meglio ricordiamo che la prassi dei cristiani nei confronti della comunità umana può assumere molteplici forme; accenniamo a tre di esse, perché connesse con tre documenti conciliari. Una di esse consiste nella attività missionaria in senso stretto e riguarda l'annuncio del vangelo ai non cristiani. A questa tematica il Concilio ha dedicato il decreto sull'attività missionaria della Chiesa (Decretum de activitate missionali Ecclesiae), Ad Gentes Divinitus, promulgato il 7 dic. 1965. La finalità di tale attività è specificamente religiosa; è prassi religiosa. Un'altra forma di prassi dei cristiani è quella dell'apostolato in ambienti di tradizione cristiana; in questa attività sono ugualmente coinvolti, come soggetto attivo, gerarchia e laici. Tuttavia nel nostro secolo si è assistito ad una crescente rivalutazione del ruolo dei laici nella Chiesa e nell'apostolato20 . Il Vaticano li esprime queste nuove istanze del laicato sulla Chùsa nel mondo conte111poraneo, Loc, Torino-Leumann 1968 3, 17-134. Cfr. anche H. RIEDMATTEN, Storia della costituzione pastorale, in AA.Vv., La Chiesa nel mondo contemporaneo, Queriniana, Brescia 1966, 19-59; M.G. McGRATH, Note storiche sulla costituzione, in AA.VV., La Chiesa nel mondo di oggi. Studi e commenti intorno alla costituzione pastorale

"Gaudium et Spes'', Vallecchi, Firenze 1966, 141-156. 2 Cfr. l'opera ormai classica di Y. CONGAR, Per una teologia del laicato, cit. Il termine ortoprassi ha anch'esso molte accezioni; cfr. in merito E. CAMBON, L 'ortoprassi. Documentazione e prospettive, Città Nuova, Roma 1974.

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cattolico nel decreto sull'apostolato dei laici (Decretum de apostolato laicorum), Apostolicam Actuositatem, promulgato il 18 nov. 1965. La finalità di questo tipo di prassi è chiaramente di carattere spirituale-religioso; è una prassi religiosa. Vi è infine una terza forma di prassi; ed è quella prevista dalla Gaudium et Spes. Essa non può essere definita una prassi religiosa in senso stretto; i destinatari di tale documento sono tutti gli uomini (cfr. Gs, 2); in tale prassi, assieme ai cristiani, possono collaborare anche i non credenti (cfr. Gs 20, 1383; 75, 1573-1578; 92, 1642); le finalità di tale prassi non sono di carattere religioso, altrimenti non si capirebbe come i cristiani potessero collaborare anche con non credenti. In realtà la Gaudium et Spes propone una prassi storica; quella prassi che si accorda con i profondi movimenti della storia verso l'umanizzazione della città terrena (cfr. Gs 92, 1642). Studiosi come McGrath, che è stato uno dei protagonisti della elaborazione della Gaudium et Spes, affermano che il c. III della prima parte esprime il significato centrale di tutto il documento: «Le coeur de tout le problème est la réalité du service que la religion chrétienne rende à l'ordre tempora!. Le coeur de la Constitution Gaudium et Spes est le chapitre III de la première partie, où ce service est discuté sans faux-fuyant» 21 . Orbene questo terzo capitolo è intitolato precisamente: L'attivita umana nell'universo (De humana navitate in universo munda). In esso non si parla né di missioni né di apostolato, ma - sia pure all'interno di una visione cristiana - di quell'attività che «specialmente con l'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su tutta intera quasi la natura e, con l'aiuto soprattutto degli accresciuti mezzi di molte forme di scambio tra le nazioni, la famiglia umana poco a poco è venuta a riconoscersi e a costituirsi come una comunità unitaria nel mondo intero» (Gs 33, 1423). È questo l'oggetto dell'attività di cui parla la Gaudium et Spes: la sua finalità non è di carattere religioso. Tale prassi, invece, è ordinata a promuovere la civiltà umana a misura d'uomo e l'unificazione solidale della famiglia degli uomini. Si noti che anche la terminologia è cambiata per denominare questa prassi. Mentre per la "prassi religiosa" in Ad Gentes Divinitus (per le mis21 M.G. McGRATH, L 'Eglùe dans le 1nonde de ce temps, in AA.VV., L 'Eglise dans le 1nonde de ce temps. Constitution Pastorale "Gaudium et Spes", t. II, du Cerf, Paris 1967, 29; il corsivo è nostro.


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sioni) e in Apostolicam Actuositatem (per l'apostolato dei laici) sono state usate le parole activitas e actuositas, qui invece, per l'attività concernente le condizioni di vita terrene, si adotta il termine navitas e viene ripetuto lungo tutto il capitolo. Effettivamente il verbo navare (e derivati) indica fortemente la diligenza, lo zelo, nell'operare per realizzare valori terreni. La stessa Gaudium et Spes nel capitolo III, di cui stiamo parlando, definisce «l'attività umana» (humanam navitatem) «quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso

dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita» (Gs 34, 1425). Occorre subito chiarire, però, che la Gaudium et Spes non è un trattato di sociologia, di politica, o qualcosa del genere; è, invece, un'opera

teologica. E proprio in ciò consiste, non da ultimo, l'importanza della Gaudium et Spes sia per i laici cristiani che per i non credenti: per i primi, i quali proprio dal radicamento della loro esistenza nella fede cristiana si vedono decisamente rinviati ad una maggiore responsabilità 1nondana, arricchiti da ulteriori nuovi motivi; ma essa è anche importante per i secondi, i non credenti, i quali dalla fonte più ufficiale e autorevole, qual è il Concilio Ecumenico, ricevono la solenne garanzia di trovare nei cristiani dei partners non meno affidabili di altri in ordine alla costruzione della città terrena. In ogni caso essi ormai devono sapere che l'eventuale colpe-

vole disimpegno dei cristiani nella storia non discende dalla fede cristiana, ma dall'incoerenza dei cristiani (Gs 43, 1459). Aggiungiamo, infine, che a preferire l'espressione prassi storica siamo stati indotti anche dalla valenza sociale, che il termine "prassi" è andato acquisendo nella cultura contemporanea, e dallo spessore dinamico-evolutivo, di cui è carico il termine ''storico". In effetti ci è sembrato che questa espressione rendesse meglio di ogni altra, e con minore ambiguità, il

senso forte di quell'attività di cui parla la Gaudium et Spese che ci accingiamo ad esaminare da vicino.

li. LA "PRASSI STORICA" COME INTENZIONALITÀ CENTRALE DELLA COSTITUZIONE PASTORALE GAUD!UM ET SPES

Il compito preliminare che ci viene imposto dalla presente ricerca è ovviamente quello di chiarire che l'intenzione del Concilio nella Gaudium et Spes non è di ordine teoretico, ma di ordine pratico; e più precisa-


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mente che in questo documento si tratta di prassi storica e non di azione

pastorale in senso religioso, come si potrebbe essere indotti a credere dalla qualifica di costituzione pastorale, quale appare nel titolo. Pertanto il presente capitolo è costituito da un excursus teso a rintracciare nelle affermazioni testuali quella intenzionalità prasseologica da cui è generato e giustificato il documento stesso.

1. Proemio: cooperazione della Chiesa per l'edificazione dell'umana società Nulla di più normale che rivolgere l'attenzione anzitutto al Proemio della Gaudium et Spes, essendo questo il luogo dove normalmente si annuncia l'argomento, le intenzioni che lo ispirano e le finalità che si vogliono raggiungere. È proprio il n. 3 del Proemio che risponde a queste nostre esigenze: «Si tratta di salvare la persona umana, Ji tratla di edificare fumana societrl. È l'uomo dunque, 1na l'uomo integrale, nell'unità di corpo e di anima, [... ] che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione» (Gs 3, 1322).

Appare chiaro che l'azione di cui qui parla il Concilio non tende di per sé ad una semplice salvezza spirituale, ma all'uomo integrale e all'edificazione dell'umana società. Il fine, poi, della «cooperazione sincera della Chiesa» è individuato nell'obiettivo della «fraternità universale» (Gs 3, 1323). Certo, questo primo testo non ci dice che il documento intende promuovere quella prassi storica, di cui abbiamo parlato nell'introduzione; ma esso già prelude ad essa; e lo manifesterà il confronto con altre affermazioni più esplicite. Fin da adesso, però, possiamo dire che il documento vuole esprimere una tensione etica di carattere sociale, cioè una.finalità operativa nel mondo. Infatti la Chiesa «si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (Gs 1, 1319); desidera, inoltre, esporre come il Concilio «intende la presenza e l'azione della Chiesa nel mondo contemporaneo» (Gs 2, 1320). Si preannuncia, così, una riflessione teologica sulle realtà temporali tendente a chiarire le responsabilità storiche anche da parte dei cristiani. Da un proemio non si potrebbe pretendere di più.


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2. Esposizione introduttiva.'far fronte con impegno alle sfide della nostra epoca Al Proemio segue una Esposizione introduttiva, sulla quale torneremo anche in seguito. Per adesso notiamo che essa si presenta come una sintetica indagine conoscitiva sulla complessa realtà attuale provocata dalla svolta epocale del XX secolo 22 , costituita da progressi e conquiste esaltanti, da fermenti culturali nuovi, da squilibri talvolta drammatici (cfr. Gs spec. n. 8). Dopo l'analisi, al n. 9 il documento annota: «Cresce frattanto la persuasione che l'umanì tà non solo può e deve sempre più rafforzare il suo dominio sul creato, 1na che le compete inoltre instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e meglio serva l'uomo e aiuti i singoli e i gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità» (Gs 9, 1346).

Per percepire l'intenzionalità del documento, al testo citato occorre collegare anche l'ultima frase di questa Esposizione introduttiva: «[ ... ] il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo» (Gs 10, 1351). In quale maniera la Chiesa intende collaborare alla soluzione dei «problemi del nostro tempo»? Che la sua cooperazione sia da interpretarsi nel senso della prassi storica, e non nel senso di pastorale religiosa, ci autorizzano le esplicite affermazioni del padre conciliare E. Guano concernenti precisamente il senso globale del documento da lui presentato alla discussione per la prima volta il 20 ott. 1964: «Non si tratta della evangelizzazione del mondo, ma piuttosto del rapporto della Chiesa con i problemi temporali». E aggiunge: «Si tratta dunque di questo: sotto quale aspetto la Chiesa partecipa e fa suoi i problemi della nostra epoca, con la pienezza di quell'amore a tutto l'uomo, che Cristo ha trasmesso alla Chiesa» 23 • 22 La svolta epocale è meglio espressa dalla lingua originale latina: <(Hodie genus humanum in nova historiae suae aetate versatur in qua profundae et celeres mutationes ad universum orbem gradatim extenduntur» (Gs 4, 1325). 23 E. GLIA.NO, Relatio circa rationem qua schnna elaboratum est, in Acta Synodalia Sacrosancti Conci/ti Oecumenici Vaticani II, III, pars. V, Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1970-1983, 145. Avvertiamo che da ora in poi citere1no soltanto come segue: Acta Syn., cui seguono due numeri romani indicanti rispettivamente il volumen e la pan, più il numero arabo per indicare la pagina. Lo stesso padre conciliare E. GUANO ha espresso la medesima idea in un saggio in lingua italiana: Introduzione alla lettura della "Gaudium et Spes", in AA.Vv., Con1mento alla Costituzione pastorale su la Chiesa nel 1nondo contemporaneo "Gaudium et Spes", Massimo, Milano 1967, specialmente alle pp. 137-138.


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D'altronde da tutta l'economia del documento appare chiaro che quell'analisi storico-sociologica dell'Esposizione introduttiva non può avere altra ragione, se non quella di consentire una prassi pertinente; per

questo è introduttoria a tutto il resto del documento che delinea la natura dell'azione necessaria. Per inserirsi nella problematica del mondo la Chiesa ha bisogno di conoscere la realtà nella sua complessità. Per agire nel mondo occorre, infatti, situarsi nella storia reale, non in quella aprioristicamente immaginata. Nella Gaudium et Spes la Chiesa allo studio della rivelazione abbina lo studio dell'uomo nella storia. Ciò comporta uno sforzo quanto più possibile oggettivo di analisi delle condizioni reali, processi, mutamenti, orientamenti e contraddizioni del mondo contem-

poraneo. È quello che fa molto sinteticamente, ma sufficientemente, l'Esposizione introduttiva; e certamente non per semplice curiosità cono-

scitiva, ma con finalità operativa.

3. Parte prima: nel servizio alla persona e alla comunità delle persone consiste il

significato dell'attività umana Nella direzione dell'attività storica, appunto, ci orientano i testi espliciti della prima e della seconda parte; ci soffermeremo su alcuni di essi, i più espliciti ed inequivocabili. E vogliamo anticipare uno dei concetti fondamentali da cui l'impegno storico è dedotto: nella visione cristiana dell'uomo la tensione alla trascendenza e l'impegno terreno non si pongono in alternativa; al contrario sono indissociabili, come due aspetti dell'unica vocazione umana, intesa questa come profonda struttura antropologica.

Sotto questo profilo è significativo che la Gaudium et Spes adopera con insistenza l'espressione «vocazione integrale>> (integra vacatio: cfr. Gs 11,

1352; 35, 1429; 57, 1504; 63, 1533; 91, 1636); l'aggettivo "integrale" vuole precisamente sottolineare che la persona umana non si definisce per l'uno o l'altro aspetto, ma nell'affermazione del legame e reciproca implicanza delle due dimensioni, terrena e trascendente. Tutta la prima parte della costituzione pastorale presenta i fondamentali valori terreni che l'uomo deve perseguire per realizzare la sua vocazione integrale, senza per questo dimenticare la sua dimensione trascen-

dente. Non a caso il titolo di tutta la prima parte è La Chiesa e la vocazione dell'uomo; e il primo numero, che funge da premessa generale, parla di «vocazione integrale» e di «soluzioni pienamente umane,, (Gs 11, 1352).


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I valori fondamentali proposti in questa prima parte sono: a) la promozione della dignità della persona; b) l'edificazione di una valida comunità degli uomini; c) il significato positivo dell'attività umana e la sua finalizzazione ad una migliore qualità di vita per tutti gli uomini. Per realizzare tali valori occorre un impegno adeguato nel mondo. È quest'impegno che il Concilio vuole valorizzare, soprattutto agli occhi dei cristiani. L'occasione iniziale viene data dalla trattazione dell'ateismo marxista, sebbene il marxismo non venga nominato. L'accusa di alienazione dalla storia, rivolta al cristianesimo, viene così formulata dal docu1nento: «Si pretende che la religione sia di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto elevando la speranza dell'uomo verso una vita futura e fallace, lo (ipsum) distoglie dall'edificazione della città terrena (civitatis terrestris aedificatione)» (Gs 20, 1377).

Quest'accusa viene respinta dal Concilio, il quale lascia anche intendere che essa discende da una falsa interpretazione del messaggio cristiano; infatti uno dei rimedi contro questa forma di ateismo è riposto nella «esposizione conveniente della dottrina della Chiesa» (Gs 21, 1381). Ma il rimedio sta anche nell'eliminazione dei «difetti della propria vita religiosa, morale e sociale», i quali «nascondono e non [... ] manifestano il genuino volto di Dio» (Gs 19, 1375). Invece la vera fede muove i credenti «alla giustizia e all'amore specialmente verso i bisognosi» (Gs 21, 1382). In ogni caso «la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terrenz~ ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi» (Gs 21, 1380). I motivi della speranza escatologica sono detti nuovi rispetto ai normali motivi di solidarietà umana; questa quindi viene potenziata nella sua tensione all'edificazione di una degna città terrena. Che i cristiani debbano farsi carico di una opportuna prassi in questa direzione il documento lo afferma esplicitamente, dicendo che «tutti gli uomini, credenti e non credenti, debbano contribuire alla retta edificazione di questo mondo» (Gs 21, 1383). Il Concilio afferma, quindi, che il cristianesimo offre motivi ulteriori da cui fare scaturire la prassi storica dei cristiani. Se i cristiani siano stati e siano sempre coerenti col messaggio cristiano, è un'altra questione, sulla quale il Concilio - nello spirito di dialogo che lo anima - esprime una severa autocritica a nome di tutta la Chiesa (cfr. Gs 19, 1375). Nel capitolo secondo della prima parte l'impegno di promuovere il


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valore terreno della comunita degli uomini è variamente fondato sul messaggio cristiano. Coerentemente al nostro assunto ci basti evidenziare che qui l'affermazione della prassi che supera il rapporto privato di solidarietà interpersonale per diventare intervento efficace nei centri istituzionali, dove maturano quelle decisioni che incidono sulla corretta convivenza sociale e sulla qualità della vita, a livello nazionale e internazionale: «Il dovere della giustizia e dell'amore viene sempre più assolto per il tatto che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e privale che servono a migliorare le condizioni di viLa degli uomini» (Gs 30, 1413).

Il testo riportato è incluso nel n. 30, il quale porta il significativo titolo24: Occorre superare l'etica individualistica. Ugualmente significativi sono i titoli, per i contenuti che manifestano, dei nn. 29 e 31: La fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini e la giustizia sociale e Responsabilita e partecipazione. In essi, oltre che esplicitata nel corpo del testo, è chiaramente implicita l'affermazione assiologica della prassi socio-politica. Riportiamo un solo brano: «Perciò bisogna stimolare la volontà di tutti ad assumersi la propria parte

nelle con1uni imprese. È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe della gestione della cosa pubblica in un cli1na di vera libertà» (Gs 31, 1417).

Mentre nei primi due capitoli l'importanza della prassi storica è fatta valere in funzione dell'eccellenza dell'oggetto, cioè la dignita della persona (c. I) ed edificazione di una valida comunita umana (c. II), il capitolo terzo manifesta il «profondo senso e significato" (GS 40, 1444) dell'attività terrena in quanto tale. Esso spiega perché «il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo [... ], li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo più stringente (sed potius officio haec operandi arctiu.< obstringz),, (Gs 34, 1427). Il primo carattere che conferisce valore all'attività umana, tesa ad utilizzare la natura, sta nel fatto che essa «corrisponde al disegno di Dio" (Gs 34, 1425) e «prolunga la sua opera creatrice" (GS, 1426). Non vi è dunque contrapposizione tra l'opera di Dio e l'opera dell'uomo. 24 Ricordiamo che quello deIIa Gaudium et Spes è l'unico caso in cui il titolo dei singoli articoli è ufficiale ed è riportato anche nel testo originale latino approvato dal Concilio.


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Non occorre negare Dio per esaltare l'uomo; i cristiani «sono persuasi che le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno» (Gs 34, 1427), che ha creato l'uomo ponendolo nelle condizioni, quale essere culturale, di compiere tali conquiste. Vi è un secondo aspetto che, nella visione cristiana, conferisce valore all'attività umana nell'universo; paradossalmente tale aspetto è visto in relazione alla tensione escatologica: «Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine del lavoro relativo alla terra presente [ ... ].Pertanto,

benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande iniportanza per il regno di Dio» (Gs 39, 1440).

Il lungo brano che abbiamo riportato è piuttosto discusso dagli studiosi e lascia spazio a varie interpretazioni 25 ; nella prospettiva della nostra indagine ci limitiamo a rilevare che lo "stimolo" a trasformare la realtà presente discende proprio dalla tensione escatologica, la quale, se è autentica, diviene forza anticipatrice di quei valori ai quali tende; e rimane sempre dinamica, perché mai pienamente soddisfatta26 . In questo senso la tensione escatologica si trasforma in atteggiamento critico-negativo relativamente a quegli aspetti manchevoli e imperfetti della realtà storica presente, e di conseguenza diviene forza di trasformazione positiva. In realtà tescatologismo alienante non è cristiano; è una deviazione. La prassi storica, invece, è richiesta dalla speranza escatologica come verifica del suo essenziale carattere di forza prolettica. Il cristiano sa che l'attesa escatologica non consiste in una pura capacità immaginativa del futuro; egli la vive come tensione che necessariamente incide nel presente storico, poiché essa è frutto dello Spirito che 25 Cfr. M. FLICK, L'attività u1nana nell'universo, in AA.Vv., La Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Loc, Torino-Leutnann 1983 3, 623-629.

26 Ecco come Schillebeeckx sintetizza la implicanza della prassi storica nella speranza escatologica: «La speranza in un 'mondo nuovo' relativizza ogni risultato terreno della umanizzazione umana, poiché il risultato raggiunto non può essere ancora lo sperato 'mondo nuovo' [... ]. Il Cristianesimo è la conferma di un avvenire che rimane sempre aperto» (E. SCHILLEBEECKX, Fede cristiana ed aspettative terrene, in AA.VV., La Chiesa nel mondo contnnporaneo, cit., 103-135: 132. Per il presente tema è particolarmente interessante l'ultima parte dello studio, intitolata: Relativizzazione cristiana e, al tempo sleHo, radicalizzazione della costruzione della "città dell'uonio" [ibid., 130-135]).


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sostiene la esistenza cristiana nell'atto di coerenza con se stessa, in attesa della pienezza della parusia: «il Cristo tuttora opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma perciò stesso anche ispira'ndo, purificando efortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uo1nini cerca di rendere più umana la propria vila e di sottomettere a questo fine Lutta la terra>) (Gs 38, 1437).

Il terzo capitolo, che stiamo esaminando, è anche importante perché determina il soggetto direttamente responsabile della prassi storica in ordine alla costruzione della città terrena, confermando ancora una volta l'intenzionalità di fondo del documento stesso. La missione della Chiesa, infatti, comprende due aspetti nella sua proposta di salvezza globale. La gerarchia e il clero sono particolarmente dedicati al!' annuncio dei valori spirituali e trascendenti; invece quasi esclusivamente i laici lo Spirito «li chiama a consacrarsi al servizio degli uomini sulla terra» (GS 38, 1437). Facciamo notare che la traduzione è imperfetta; il testo latino è ancora più significativo: ut terreno hominum servitio se dedicent, cioè: «affinché si consacrino al servizio terreno degli uo1nini». Comunque il testo nel suo insieme è chiaro: i laici credenti sono portatori della responsabilità per un futuro sulla terra (cfr. anche Gs 43, 1455). Altro che alienazione dalla storia! Di fondamentale importanza per l'individuazione della responsabilità storica dei laici cristiani è il n. 43, nel c. IV della prima parte: L'aiuto che la Chiesa intende dare all'attività umana per mezzo dei cristiani. Qui è chiaramente manifesta l'intenzione centrale della Gaudium et Spes; qui vengono pronunciate parole durissime, le uniche in tutta la costituzione p~storale, nei riguardi di quei cristiani che mostrano disinteresse ai problemi del mondo in cui vivono. Le riportiamo per la loro incisiva efficacia: «Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di potere per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancor di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno [... J. Il cristiano che trascura i suoi ùnpegni temporali, trascura i suoi doversi verso il prossin10, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (Gs 43, 1454).


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Il brano parla da sé nella sua dura chiarezza. Nessun cristiano pensi di pervenire alla pienezza dell'eternità, saltando le realizzazioni possibili nella storia27 • L'impegno storico, se vuole essere serio, deve mirare all'efficacia; e lefficacia richiede, come indispensabile condizione, la competenza specifica nell'ambito di propria pertinenza. I cristiani perciò «non solo rispetteranno le leggi proprie dì ciascuna disciplina, ma sì sforzeranno dì acquistarsi una vera perizia» (Gs 43, 1455). Inoltre «daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità» (Gs 43, 1455). Si allude qui al dialogo e alla collaborazione anche con i non credenti, quando si tratta di realizzare valori umani e temporali. Vi è, infine, l'affermazione di un legittimo pluralismo di opzioni sociopolitiche anche tra gli stessi cattolici. La ragione è ovvia: la fede orienta ai valori umani fondamentali, ma non offre gli strumenti concreti (scientifici, giuridici, politici ... ) pq poterli realizzare. Orbene l'unità, necessaria a livello di fede e di valori, lascia spazio all'opinabilità per quanto concerne gli strumenti da adottare nelle complesse situazioni storiche e, di conseguenza, ammette una pluralità di giudizi «sulla medesima questione, ciò che succede abbastanza spesso e legittimamente» (Gs 43, 1456). Il pluralismo riguarda i mezzi, non i fini o i valori (cfr. anche Gs 92, 1639). Il quarto capitolo, di cui abbiamo parlato, chiude la prima parte della costituzione pastorale. Questa prima parte è intitolata La Chiesa e la vocazione dell'uomo, come abbiamo già rilevato. Da quanto abbiamo esposto si rileva chiaramente che la prassi storica, con la quale l'uomo umanizza il suo mondo, è una istanza della sua vocazione integrale; e siccome la vocazione nel senso teologico del nostro documento connota la struttura profonda della persona, ne consegue che il compito della prassi storica non è qualcosa di facoltativo, ma scaturisce come istanza antropologica strutturale, naturalmente salva restando la necessaria diversità di ruoli, richiesti e giustificati dalla medesima finalità.

27 A proposito dell'importa11za che i laici cristiani hanno acquistato a partire da Giovanni XXIII e dal Vaticano II, V. Schurr annota: «La gerarchia e la Chiesa esistono per il responsabile servizio del laico verso il mondo [... ]. Certamente si deve vedere in tale orientamento della Chiesa verso il inondo il più grande avvenimento pastorale del nostro tempo» (V. ACHURR, Teologia pastorale, in AA.VV., Bilancio della teologia del XX secolo, III, Città

Nuova, Roma 1972, 399-469: 466).


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4. Parte seconda: i valori oggi più urgenti come oggetto della prassi storica Quanto alla seconda parte della Gaudium et Spes notiamo in via preliminare che i temi ivi trattati riguardano particolari determinazioni dei valori fondamentali espressi nella prima parte, e cioè: la dignità della persona e l'ordinata comunità degli uomini. Perciò quanto è detto dell'importanza della prassi circa quei valori vale anche per i valori più specifici trattati nella seconda parte: il matrimonio e la famiglia (c. I), la cultura (c. II), /'economia (c. III), la politica (c. IV), la pace e la solidarie/a tra i popoli (c. V). Omettiamo qualsiasi riferimento al capitolo sul matrimonio, perché l'argomento richiederebbe la ricostruzione dello sviluppo storico di alcuni temi, che ci porterebbero lontani dalla nostra prospettiva che è quella di individuare l'unitaria tensione etica del documento alla prassi storica. Non possiamo, invece, passare sotto silenzio un testo del capitolo sulla cultura, dove - tra l'altro - viene chiaramente messo in rilievo il carattere della mondialità dei problemi e la interdipendenza dei popoli, al-

l'interno di quel fenomeno contemporaneo che urge verso l'unificazione mondiale. In questo contesto la prassi storica si carica di una responsabilità a più vasto raggio: «Noi siamo testimoni della nascita di un nuovo umanesimo in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia)) (Gs 55, 1496).

In questo testo, se bene interpretato, vi è il senso di tutta la Gaudium et Spes. Il Concilio non si nasconde il rischio che questo nuovo umanesimo dia troppo peso a una sola di1nensione umana e si tramuti in secolarismo riduttivo: (<un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione» (Gs 56, 1503). Nel capitolo sulla cultura il Concilio richiama le varie motivazioni che fondano la prassi storica: la tensione escatologica «non diminuisce ma anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano» (Gs 57, 1504); inoltre: l'uomo ha ricevuto da Dio il mandato di «assoggettare la terra e di perfezionare la creazione» (GS 57, 1505); e con tale impegno il cristiano «mette in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli» (Gs 57, 1505). Ancora una volta appare chiara l'intenzione cen-


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trale della Gaudium et Spes ed emerge da tutti i capitoli: il cristianesimo autentico origina anche responsabilità per la costruzione della città terrena, sebbene non si fermi ad essa. Anche nel capitolo sulla vita economico-sociale il Concilio afferma a

più riprese di volere contribuire - naturalmente mediante l'opera dei laici cristiani - al superamento di difficoltà e sperequazioni esistenti su questo piano. Esso si mostra convinto che «si richiedono molte riforme nelle strutture della vita economico-sociale e in tutti un mutamento nella mentalità e nelle abitudini di vita» (Gs 63, 1537). Riscontriamo qui, oltre che un invito alla prassi per trasformare le strutture al fine di renderle più eque, anche un'allusione alle abitudini provocate dal consumismo, che si risolve in uno spreco, mentre alcuni

strati sociali e molti popoli soffrono la fame e la miseria; situazione questa «che può mettere in pericolo la pace nel mondo intero» (Gs 63, 1536). Volendo orientare la prassi dei cristiani nel campo economicosociale, giustamente viene dato particolare rilievo al principio - ispirato alla Bibbia - della destinazione universale dei beni: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all'uso di tutti gli uomini e popoli [... ]». Perciò «si deve sempre ottemperare a questa destinazione universale dei

beni» (Gs 69, 1551). Precisamente questo principio correttivo viene invocato per una giusta attuazione dell'istituto giuridico della proprietà privata (cfr. Gs 71, 1558). Naturalmente le indicazioni di queste finalità di giustizia e di equità suppongono l'invito ad una prassi coerente. L'appello ad un impegno serio e co1npetente giunge, anche qui, puntuale: «I cristiani che hanno parte attiva nello sviluppo economico-sociale contemporaneo e propugnano la giustizia e la carità, siano convinti di potere contribuire molto alla prosperità del genere umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano come singoli, sia come associati, siano esemplari. A tal fine è di grande importanza che, acquisite la competenza e l'esperienza assolutamente indispensabdi, mentre svolgono le attività terrestri conservino il retto ordine [... ]". (Gs 72, 1560).

Il capitolo sulla comunita politica non è molto sviluppato; è costituito soltanto da tre numeri (Gs, 73-76); esso è stato inserito tardivamente nel progetto 28 . Ma ciò non vieta di scoprire anche in esso l'intenzionalità pro28 Nello schema presentato ai padri il 20 ott. 1964 è ancora assente; viene redatto durante la ii1ter-sessione, tra il 1964 e il 1965: cfr. M.G. McGRATH, Note storiche sulla Costituzione, cit., 150-151.


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fonda che anima tutta la Gaudium et Spes. Viene ricordato a tutti «il dovere di apportare alla cosa pubblica le prestazioni, materiali e personali, richieste dal bene comune» (Gs 75, 1574). Ai politici di professione, cioè a «coloro che sono o possono diventare idonei per l'esercizio dell'arte politica, così difficile, ma insieme così nobile» (Gs 75, 1578), il Concilio esprime il suo apprezzamento incoraggiante, che è anche un invito rivolto ai cristiani ad assumersi anche questo tipo di responsabilità: «La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità» (Gs 75, 1573).

Questi professionisti della politica «si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti, anzi con l'amore e la fortezza richiesti dalla vita politica (caritate e fortitudine politica») (Gs 75, 1578). Infine «Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere di esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune» (Gs 75,

1577).

Questi testi non hanno bisogno di commento; l'invito alla doverosa prassi socio-politica è estremamente chiaro. L'ultimo capitolo riguarda la promozione della pace e della com unita dei popoli. Vi troviamo anzitutto una sottolineatura del valore indispensabile della pace: d'umanità non potrà tuttavia portare a compimento l'opera che l'attende, di costruire cioè un inondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con ani1no rinnovato alla vera pace» (Gs 77, 1585).

Senza pace ogni altro bene dell'umanità potrebbe essere compromesso; urgente è dunque la necessità di partecipare alla creazione delle condizioni che consentan<' la realizzazione della solidarietà tra i popoli. Questa dimensione planetaria, entro il cui orizzonte la Gaudium et Spes colloca tutti i problemi trattati, si manifesta in modo peculiare per il problema della pace. Riteniamo che nessun altro capitolo è così fortemente impregnato di tensione etica verso l'impegno storico come questo dedicato alla pace. Qui l'imperativo si fa più che mai categorico:


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«la Chiesa deve essere assolutamente presente nella stessa comunità dei popoli, per risvegliare e incitare gli uomini alla cooperazione vicendevole» (Gs 89, 1631).

Tanta è la preoccupazione da sembrare che il Concilio voglia incitare ad una specie di mobilitazione generale per «una pronta collaborazione con la comunità internazionale a cominciare dal proprio ambiente di vita» (Gs 89, 1632). Grande importanza viene attribuita al lavoro prestato da parte dei cristiani all'interno delle istituzioni internazionali: «lndubbia1nente una forma eccellente d'itnpegno cristiano in campo internazionale è l'opera che si presta, individualmente o associati, all'interno deglì Istituti già esistenti o da costituirsi, con il fine di promuovere la collaborazione tra le nazioni» (Gs 90, 1633).

Ma il Concilio non si ritiene soddisfatto di quanto già esiste; dispone «la creazione di un organismo universale della Chiesa», che «avrà come scopo di stimolare la comunità dei cattolici a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni» (Gs 90, 1635) 29 . L'istanza etica della prassi storica sembra avere raggiunto, in quest'ultimo numero della seconda parte, lo spessore più denso e la sua maggiore impellenza proprio in ordine alla realizzazione della pace, vista come valore condizionante l'esistenza di tutti gli altri.

5. Conclusione: un compito immenso da svolgere sulla terra

La Conclusione (Gs 91-93), ancor più che il Proemio (Gs 1-3), ha una particolare rilevanza ai fini della nostra ricerca. In essa i padri conciliari riassumono il senso profondo e l'intenzionalità pratica della Gaudium et Spes: «rendere il mondo più conforme all'eminente dignità dell'uomo" (Gs 91, 1636). Se poi poniamo attenzione alla premessa, secondo cui «quanto viene proposto da questo Santo Sinodo fa parte del tesoro di dottrina della Chiesa" (Gs 91, 1636), dovremo senz'altro concludere che - secondo il Concilio il compito della prassi storica investe molto seriamente la responsabilità del cristiano. 29 Tale organismo internazionale sarà effettivamente creato da Paolo VI col nome di Pontificia Commissione Justitia et pax il 6 genn. 1967: cfr. Ench. Vat., Il, 811 ss.


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Ancora una volta rileviamo l'inequivocabilità delle affermazioni conciliari. Nel n. 92 il Concilio dichiara (come nel Proemio) la disponibilità della Chiesa al dialogo e alla collaborazione con tutti gli uomini sui problemi che concernono l'esistenza terrena; infatti «essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò [... ]possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace,, (Gs 92, 1642). L'ultimo numero della costituzione ci riconduce al centro del messaggio cristiano, la carità, dicendo che essa deve tendere a «servire con

maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò [... ] uniti con tutti coloro che amano e cercano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso·dovranno rendere conto a Colui che tutti giudicherà nell'ultimo giorno" (Gs 93, 1643). Riteniamo che non si possano ormai nutrire ulteriori dubbi sul fatto che l'obiettivo della prassi storica, scaturente dalla fede cristiana, sia l'intenzione profonda e la prospettiva generale che traversa da capo a fondo tutta la Gaudium et Spes. Un ultimo rilievo. La Conclusione del documento prospetta un impegno storico caratterizzato come risposta «agli appelli più pressanti della nostra epoca (urgentibus nostrae aetatis postulationibus)" (GS 91, 1636). Si tratta quindi di un intervento pertinente e tempestivo nella problematica viva degli uomini e che renda veramente contemporanei della propria epoca gli attori di tale prassi, la quale anche perciò si caratterizza come storica.


IL MINISTERO DELLA CARITÀ POLITICA

MARIO CASCONE"

La sensibilità etica verso i fatti politici va crescendo sempre di più, mentre sembra diminuire o scarseggiare in altri campi dell'esistenza. Vorremmo però sfatare subito un pericolo, che potrebbe essere già insito nel titolo di questa riflessione. Il pericolo consiste nell'usare termini etici ridondanti e accattivanti, nei quali si rischia però di perdere di vista la sostanza stessa del discorso etico. Parlare della politica nei termini di ministero e carità potrebbe farci cadere in una sorta di genericismo etico, che alla fine dei conti potrebbe risultare improduttivo e rimanere nel campo dei puri pronunciamenti teorici.

Faremmo del basso moralismo, se pensassimo di prospettare il giudizio etico nella forma di una semplice comparazione tra i fatti bruti della situazione politica odierna e gli ideali astratti dell'etica politica 1. In altri termini non vogliamo correre il pericolo di parlare, da un lato, dello squallore morale esistente nella situazione politica attuale (scandali, corruzione, assenteismo, etc.) e dall'altro dei valori etici assoluti e universali, quali la giustizia, la verità, l'amore. Sarebbe troppo facile e nello stesso tempo sterile. Per parlare di politica nei termini di servizio amoroso e di n1inistero

occorre immergersi nella complessità dell'attuale situazione socio-cultu-

'' Docente di Teologia morale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Cfr. G. ANGELINI, Il cattolico e !apolitica nell'Italia di oggi, in R. BINDl-G. GERVASO (a cura di}, Una cultura per la politica, AVE, Roma 1989, 71-78. 1


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Mario Cascane

raie, la quale conduce inevitabilmente a vedere in termini assai problematici il rapporto tra etica e politica. Solo a partire da questa premessa potremo poi tentare di delineare alcune note di riflessione sullo specifico tema della carità politica.

!. La complessita della situazione socio-culturale

Oggi non si pensa più nei termini di civilta cattolica. Il titolo della rivista gesuitica, che descriveva emblematicamente un certo periodo storico, si presenta oggi come superato. La società oggi è caratterizzata dalla messa in crisi di un consenso religioso di massa, anzi, dal distacco dì ogni consenso ideale. Si fa un gran parlare di caduta delle ideologie e di fine del regime di cristianità. È un fatto: quello che era stato lo scontro frontale tra l'ideologia marxista e i movimenti di ispirazione cristiana, allo stato attuale è solamente un ricordo storico. Le tradizionali ideologie crollano, 1nentre si stenta a trovare nuovi comuni ideali che sostengano eticamente l'impegno politico. Viviamo in un contesto di pluralismo culturale, che è anche situazione di frammentazione culturale, in quanto difficilmente si organizzano i materiali culturali in un sistema organico. Si vive all'insegna del provvisorio, dell'immediato, dello spontaneo. Anzi, molto spesso la spontaneità emotiva viene interpretata come espressione dell'autenticità personale e come norma della verità del comportamento. Tale spontaneità descrive la libertà individuale come semplice ripetizione di esperimenti e di scelte soggettive, che non hanno altro sistema di valori se non quello del soddisfacimento dei bisogni, i quali vengono di fatto elevati a valori. Giustamente il card. Martini si chiede se la libertà possa consistere in questo. Egli sostiene che si ha l'impressione che l'uomo contemporaneo trascorra gran parte della sua vita nell'accumulare esperienze, senza mai sentirsi vincolato a scelte serie, nelle quali impegnare tutto se stesso 2 . La conseguenza di questo clima socio-culturale è la crisi del costume e dei tradizionali paradigmi morali di comportamento. Qualcuno parla di spaesamento morale, nel quale è difficile di fatto discernere le norme etiche3. La classica distinzione tra buoni e cattivi si fa problematica, mentre 2 C.M. MARTJNI, Educare al servizio, Dchoniane, Bologna 1987, 16 ss. 3 G. VENDRAME, Il problema ntorale oggi, in T. GoFFl-G. PIANA, Corso di morale, I, Queriniana, Brescia 1983, 16-22.


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la presa di coscienza individuale dei cattolici sembra più esposta ai messaggi collettivi e frammentari della comunicazione di massa. È in questo clima di smarrimento e di spaesamento che ci pare di poter cogliere il grido di tanti uomini politici, che si richiamano ai valori evangelici, grido che si può tradurre emblematicamente in un rimprovero rivolto per lo più ai pastori della Chiesa: «Ci avete lasciati soli». La speranza è che tale appello non significhi volontà di un ritorno a vecchie e superatissime forme di collateralismo, ma sia un invito rivolto alla gerarchia, affinché essa possa svolgere la sua funzione magisteriale e formativa anche nel delicatissimo settore della politica. Non stupisce, a partire da queste premesse, che la politica oggi appaia fortemente malata'. Nel clima culturale che abbiamo rapidamente tratteggiato la politica si situa come mero apparato strumentale al servizio dei bisogni e dei desideri individuali. È la politica dell'efficienza pratica, talvolta affaristica e dichiaratamente opportunistica. È la politica che crea istituzioni pubbliche concepite come macchinoso apparato burocratico, nel quale il cittadino medio stenta ad orientarsi. È la politica-spettacolo, dove più che le idee conta molto spesso il carisma dell'immagine, divisticainente veicolata dai mass-media. È la politica in cui rinascono fortissimi egoismi corporativistici e si hanno enormi difficoltà a far funzionare la macchina della giustizia, anche perché si stenta a sapere quali sono i canoni di questa giustizia. È la politica degenerata, che ha perso di credibilità e che crea un profondo senso di disagio generale nella gente comune. Il segno più evidente di questa degenerazione è rappresentato dalla crescente perdita di credibilità dei partiti, i quali di fatto non sono più canali di rappresentanza degli elettori, riducendosi tante volte ad essere rissose federazioni di correnti e di clientele. Significativo è il fatto che la gente stia cercando nuove forme di rappresentanza politica, attraverso per esempio i cosiddetti movimenti di opinione.

2. La difficoltà del rapporto tra etica e politica

La cultura frammentaria e individualistica che presenta punte di vero e proprio nichilismo ha progressivamente svuotato di contenuto etico la politica. 4 B. SORGE,

VII-XXII.

Introduzione a E.

PINT ACUDA,

Breve corso di politica, Rizzali, Milano

1988,


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La crisi di senso etico è parente stretta della crisi delle ideologie, che di fatto hanno sempre costituito il supporto metaetico della politica. In questo contesto si intuisce che la politica necessita di una rifondazione etica, ma si comprende anche che tale rifondazione etica appare assai problematica, non solo per i motivi già esposti, ma anche per la difficoltà di delimitare il campo della politica. La politica tende sempre più a dilatare il suo spazio. La linea di demarcazione tra il sociale e il politico è molto fluida. È quindi difficile capire l'identità specifica della politica, e di conseguenza formulare un'etica della politica. Ci pare ancora valida una classica e schematica descrizione del rapporto tra etica e politica, che si può così sinteticamente formulare 5 :

a) per il realismo politico la morale è qualcosa di idealistico e di irreale, che non si può mai conciliare con la politica. Realisticamente bisogna dire che la politica ha le sue leggi autonome e non può avere preoccupazioni morali: è la classica posizione di N. Machiavelli. b) Secondo il moralismo politico è vero che la morale e la politica sono inconciliabili, ma il primato deve essere della morale, per cui la politica va rifiutata, in quanto >{cosa sporca". Storicamente questa è stata la posizione della classe borghese. c) In una terza posizione l'inconciliabilità tra etica e politica viene vissuta co1ne tragedia. Qui l'uomo sente che è irrinunciabile vivere sia l'esperienza etica che quella politica. E tuttavia sente anche che non è possibile conciliare queste due esigenze. Egli avverte che non può soddisfare l'una e l'altra esigenza, ma sente pure che non può prescinderne. Ecco allora la tragedia: non c'è via d'uscita, perché l'uomo deve essere morale, ma anche politico, e non può esserlo contemporaneamente. d) Una quarta posizione è quella che vede il rapporto tra etica e politica in modo drammatico. Qui si afferma che la moralità politica è ardua, come del resto quella privata, ma che è possibile, se la si vede come "compito". La moralità è lotta drammatica, cammino faticoso, fatto di cadute e di rialzamenti. La tensione non è quindi sul terreno metafisico (come vorrebbe la posizione "tragica"), ma su quello etico. Ciò significa che l'uomo non è cattivo, ma fa il male, non è peccato, ma pecca: cade e può rialzarsi continuamente.

Questo significa anche che nel dramma non sono assegnati anticipa5

Cfr. J.L. ARANGUREN, Etica e politica, Morcelliana, Brescia 1966.


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tamente i ruoli. Non ci sono tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall'altra, né all'interno del singolo uomo c'è la totale bontà. I buoni e i cattivi si vanno facendo tali, senza esserlo mai del tutto, ossia senza coincidere mai completamente con la bontà o la cattiveria. Per questo motivo è pericoloso in politica usare il nome di Cristo, che è il Bene assoluto. Dovremmo capire che "cristiano" più che un aggettivo è sostantivo, cioè una persona.

Pensiamo quindi che sia più giusto parlare di azione politica "dei" cristiani, piuttosto che di azione politica "cristiana" 6 . Non meno pericoloso è pensare a un'etica socio-politica sganciata dal valore della persona. È stato questo, storicamente, l'errore di certe ideologie, che hanno preteso di "salvare'' gli uomini, anche senza tenere conto di essi o finanche contro la loro volontà. Molti uomini sembrano preferire la "sicurezza" di certi agi materiali, alla fatica della "libertà", che è presupposto essenziale dell'eticità della persona. Se ci si pensa bene è la tentazione del popolo di Israele nel deserto: dinanzi alla fatica del cammino di liberazione, gli israeliti cominciano a mormorare e a rimpiangere le pentole piene di carne dell'Egitto ... Decisamente dobbiamo dire che la possibilità di moralizzare la vita politica si situa nella drammaticità della relazione tra etica e politica. Essa è una possibilità ardua, mai del tutto raggiunta, ma reale e perseguibile.

3. L'amore alla poh'tica e la politica come amore

Nella tensione drammatica tra etica e politica si può pensare finalmente all'impegno della politica, inteso come dedizione incondizionata al bene comune; una dedizione che di fatto è compito inesauribile e che può benissimo chiamarsi "carità". Diceva già nel 1927 Pio XI che «il campo della politica è il campo della carità più vasta, la carità politica». Chi si dedica all'attività politica deve sapere che sta lottando drammaticamente per il perseguimento del bene comune, che è, come dice Giovanni Paolo II, il bene di tutti e di ciascuno', ma anche il bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo'. 6

7

8

B. HARJNG, Liberi e fedeli in Crislo, III, Paoline, Ro1na 1981, 415-419. II, Sollicitudo rà socialis, 38. G10VANNJ PAOLO II, Christifideles Laici, 42. G10VANNI PAOLO


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Concretamente questo impegno, inteso co1ne esercizio ministeriale, si può sintetizzare in queste due espressioni: amore alla politica e politica intesa come amore. a) Amore alla politica, in un momento di grande difficoltà ad accettare questo tipo di servizio. La tentazione del rifiuto moralistico, per non «sporcarsi le mani», è sempre ricorrente e, di fatto, si traduce nel dare deleghe in bianco ad uomini politici, che poi vengono sistematicamente criticati, vilipesi e... rieletti! Già il documento della CE! La Chiesa italiana e le prospettive del Paese affermava che «il Paese non può dare deleghe in bianco a nessuno: ha il bisogno e ha il dovere di partecipare»9 • E più recentemente il papa ha esortato tutti i fedeli laici a impegnarsi nell'attività politica, perché le accuse di arrivismo, di idolatria del potere e di corruzione, che spesso vengono rivolte ai politici e alla politica, non giustificano minimamente né lo scetticismo né l'assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica 10 • Effettivamente la politica appare oggi come una terra di missione, nella quale vanno impegnate molte energie, e particolarmente quelle dei fedeli laici, il cui compito specifico è per l'appunto quello di «trattare le cose temporali, ordinandole secondo Dio» 11 • Questo significa particolarmente per la Chiesa lo sforzo di elaborare una pastorale della politica, che in verità in questi ultimi anni è apparsa piuttosto carente. Per fortuna stiamo assistendo ad una forma di ri-radicamento della Chiesa nella società, quale si esprime di fatto attraverso la presenza nelle varie aree dell'emarginazione (droga, AIDS, immigrati esteri) e attraverso lo sviluppo di associazioni cristiane di promozione umana. È ovvio che non ci si può fermare a questo. Il rischio concreto è quello di una sorta di neo-gentilonismo, per cui dinanzi alla crisi del politico si punta sulla durata del sociale. b) L'amore alla politica deve tradursi nell'impegno di una politica intesa co1ne amore. Perché questo discorso non rimanga sul piano dei semplici pronunciamenti astratti, incappando nel pericolo che abbiamo denunciato all'inizio, riteniamo opportuno concretizzarlo in una serie di considerazioni, che si limiteranno a costituire una pista di riflessione, senza nessuna pretesa di esaustività.

9 CEr, 10

La Chiesa italiana e le prospe!tive del Paese, Roma 1981, 9.

GIOVANNI PAOLO Il, Christifideles Laici, 42. 11 CONCILIO VATICANO Il, Lumen Gentiunt, 31.


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I. Dire che la politica è amore significa affermare che essa è fondamentalmente azione di libertà, giacché senza libertà non si dà amore. L'esistenza politica è un riconoscimento reciproco tra persone libere 12 • Il riconoscimento della libertà dell'altro è la sostanza del rapporto politico. Ecco perché non può mai essere lecito ridurre l'altro in nostro possesso, trasformarlo in "oggetto" da usare per i nostri scopi. La politica è alterità,

fondandosi sul riconoscimento dell'altro, che è radicalmente altro da me. Tutto questo è già, almeno implicitamente, apertura a Dio, il totalmente altro, autore e garante della libertà e dell'amore. IL La politica vissuta come amore obbliga ad essere persone mature, adulte, perché solo l'adulto ha la capacità di uscire da se stesso per aprirsi all'altro nell'amore. L'impegno politico non si addice ai "fanciulli" egocentrici e agli "adolescenti" carichi di soggettivismo. III. La politica va vissuta come amore, ma non può essere il regno perfetto dell'amore. Ciò significa che si deve sempre tendere verso l'ideale, dicendo però un "sì" realistico alle opportunità del presente 13 • In altri termini, si tratta di non cambiare mai la direzione del proprio impegno, dicendo però un ''sì" concreto al successivo passo possibile. IV. Vivere il proprio impegno politico come servizio al bene comune significa avere la prontezza a servire al di sopra delle parti, liberi da ogni fa. natismo e da ogni esclusivismo. Questo comporta la capacità di dialogare con tutti e di non demonizzare mai l'avversario. Soprattutto il politico che si professa cristiano sa di non avere nemici, ma solo avversari, nei

quali si nasconde sempre una parte della verità. In questo senso il politico che persegue il bene comune si distingue per la sua ampia capacità di dialogo, per la sua non-violenza e per la sua attitudine a non assolutizzare la propria verità.

V. Intendere il proprio impegno politico nei termini della "carità politica" vuol dire anche fare una scelta preferenziale per i poveri, cioè per gli ultimi, per quelli che non hanno difesa e non possono agire come gruppi di pressione. La prima attenzione che va rivolta ai poveri è quella educativa, che consiste nel far prendere loro coscienza dei loro diritti, della loro dignità di persone, delle loro capacità. Sarebbe poca cosa limitarsi a fare una politica assistenziale o, peggio, far passare come privilegio ciò che invece è solo un diritto. 12

l.Y. CALVEZ, La politica e Dio, Paoline, Milano 1987, 19. op. cit., 419.

13 Cfr. B. HARING,


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VI. Questo significa anche riaprire il «Palazzo» alla gente, cioè favorire la reale partecipazione del cittadino medio ai problemi politici. li politico non può essere un burocrate, che sta dietro una scrivania, ma è chiamato a stare con la gente, per ascoltarne i problemi e captarne i bisogni, ma anche per coinvolgerla nella risoluzione dei problemi, evitando di presentarsi come il mago onnipotente, capace di risolvere ogni cosa con un tocco di bacchetta magica. VII. Infine una politica intesa come amore comporta l'impossibilita di sacrificare le persone ai giochi di parte. Ciò significa automaticamente la messa al bando della slealtà, della menzogna e della calunnia come mezzi per consolidare le proprie posizioni di potere. La politica deve attrezzarsi meglio, in questo senso, per non consentire che, con una certa facilità, l'intelligenza umana appaia soltanto come scaltrezza per ingannare l'altro e calpestarlo. In questa direzione va anche rivisitato il sistema dei partiti e della rappresentanza politica.


PRIMA PHILOSOPHIAE PARS. TEMI ETICI NELLE "CONFERENZE" DI GIOVANNI CASSIANO

MAURIZIO ALIOTTA"

1. Introduzione Lo studio di Giovanni Cassiano ha rivestito sempre una grande importanza per la conoscenza dello sviluppo iniziale del monachesimo occidentale, se non della stessa cristianità occidentale'; le sue Istituzioni infatti rappresentano una delle principali fonti per conoscere lo sviluppo dell'esperienza monastica in occidente 2 • Inoltre egli è ricordato soprattutto per essere stato coinvolto nelle vicende della polemica antipelagiana3. Un aspetto poco noto del suo pensiero riguarda invece il suo modo di concepire l'etica. L'intenzione di questo articolo è di presentare sinteticamente alcuni temi etici che si trovano delineati nelle sue Conferenze'. ,., Docente di Te o logia dogmatica nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Cfr. O. CHAD\VICK,john Cassian. A Study in primitive Monasticism,.University Press, Cambridge 1968 2 ; L. DATTRINO, Il primo monachesùno, Studium, Roma 1984 (questo testo contiene la traduzione italiana dei libri V - XII delle Istituzioni cenobitiche di Giovanni Cas~ siano); C. LEONARDI, Alle origini della cristianitt1 medievale: Giovanni Cassiano e Salviano di Marsiglia, in A Gustavo Vinay, Studi Medievali, III serie, 18 (1977) 1057-1174; H.0. WEBER, Die Stellung des joannes Cassianus zur ausserpachomianischen M6nchstradition, Miinster Westf.1960. La maggior parte della critica attuale accoglie la notizia che Giovanni sia nato verso il 360 nell'odierna Dobrugia a!I~ foci del Danubio. Ordinato, probabilmente, presbitero a Roma, dopo aver trascorso un lungo periodo in Egitto, si stabilisce a Marsiglia. Morì intorno al 435. 2 JEAN CASSIEN, Institutions cénobitiques, Sources Chrétiennes 109, par J.C. Guy, Cerf, Paris 1965. Il De institutis coenobioru1n si suddivide in dodici libri. I libri I-IV si occupano della vita del monaco; i libri V-XII trattano dei vizi contro cui deve lottare il monaco. Questa seconda parte dell'opera fu separata e considerata come a sé stante e costituisce il De acta principalium vitiorum remediis. Fu inserita anche nella Filocalia. 3 Cfr. a titolo di esempio il giudizio di H. RONDET, La grazia di Cristo. Saggio di storia del dofma e di teologia dogmatica, Città Nuova, Roma 1966, 155-156 e passim. Le Conlationes sono divise dallo stesso autore in tre parti distinte, ma coordinate 1


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Quest'opera è rivolta essenzialmente a monaci, ma i terni che vi si affrontano riguardano la vita del cristiano tout court. Infatti lo scopo dichiarato di Cassiano è quello di passare «ab exteriore ac visibili monachorum cultu, quem prioribus digessimus libris [le Istituziont], ad invisibilem interioris hominis habitum» 5 • Certamente non troviamo un'esplicita intenzione di trattare ex professo alcune questioni etiche, tuttavia in tutte le sue conferenze vi sono continui riferimenti ad alcuni temi- etici essenziali, come diretta conseguenza della sua antropologia e della sua concezione della vita spirituale, essendoci un forte legame tra esse ed etica. Nei limiti di questo studio vogliamo mettere a fuoco proprio questo aspetto. Non si tratta che di alcune suggestioni che meriterebbero uno sviluppo più ampio, soprattutto perché sarebbe necessario tener presente il contesto socio-politico del tempo di Cassiano e la situazione generale delle Chiese del suo tempo, ma ciò costituirà oggetto di studio successivo e ben più ampio.

2. Alcuni presupposti

Giovanni Cassiano è convinto che Dio abbia inserito nell'uomo i "semi della virtù": «Non si può dubitare, dunque, che i semi delle virtù siano inseriti naturalmente, per la benevolenza del Creatore, in ogni anima: ma non potrebbero giungere a perfetta maturazione se non fossero stimolati dal soccorso divino, poiché, secondo il beato Apostolo, 'né colui che pianta, né colui che irriga, è qualcosa, ma Dio che fa crescere' [I Cor 3, 7]» 6 . tra di loro: I-X; XI-XVII; XVIII-XXIV. Giovanni Cassiano usa il genere letterario del dialogo, tra lui e il suo compagno Germano e i padri del deserto che egli ha conosciuto. Ciò gli permette di sviluppare le sue conferenze seguendo le tappe del suo soggiorno in Egitto. L'edizione critica che noi seguiamo mantiene la divisione in tre parti ma non secondo l'ordine dello stesso Cassiano: }EAN CASSIEN, Conférences I-VII, Sources Chrétiennes 42, par E. Pichery, Cerf, Paris 1955; Io., Confirences VIII-XVII, Sources Chrétiennes 54, par E. Pichery, Cerf, Paris 1958; Io., Conférences XVIII-XXIV, Sources Chrétiennes 64, par E.:"Pichery, Cerf, Paris 1959 (<l'ora in avanti citeremo abbreviando Conférences: SCh). 5 Praefatio: SCh 42, 75. 6 <(Dubitari ergo non potest inesse quidem omni animae naturaliter virtutum semina beneficio creatoris inserta: sed nisi haec opitulatione dei fuerint excitata, ad incretnentum perfectionis non poterunt pervenire, quia secundum beatum apostolum neque qui piantai es/ aliquid, neque qui rigai, sed qui incrementu1n dat deus [1 Cor 3, 7]» (Conférences XIII, xii: SCh 54, 166).


Prima philosophiae pars.

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Se da una parte, perciò, si può parlare di virtù che l'uomo possiede natura/iter, d'altra parte è chiaro che ciò non significa capacità assoluta dell'uomo di vivere le virtù; è necessaria l' opitulatio Dei e la risposta dell'uomo. Natura/iter rimanda alla creazione, non all'autonomia dell'uomo da Dio. Le affermazioni di Giovanni Cassiano si devono leggere alla luce del concetto di sinergia, così caro ai padri della Chiesa. Nella Conferenza VIII l'autore chiarisce: «Creando l'uomo Dio gli infuse naturalmente la conoscenza della legge. Se fosse stata custodita dall'uomo, secondo la volontà di Dio, come aveva cominciato a fare, non sarebbe stato necessario promulgare successivamente un'altra legge, equesta scritta: infatti era superfluo dare dall'esterno un rimedio che avrebbe agito ancora dall'interno» 7 . Non vi è dunque una posizione ingenuamente ottimistica nei confronti delle capacità naturali dell'uomo, si tratta piuttosto di una precisa concezione antropologica: l'uoi°no creato da Dio e perciò chiamato a vivere come tale. Da ciò consegue una visione della natura dell'uomo e della sua perfezione. Questa perfezione si esplica nel suo impegno etico. Da una parte l'uomo si caratterizza per avere ricevuto da Dio la sua stessa immagine, d'altra parte proprio per questo ha un compito da assolvere.

In questa prospettiva va letta la dottrina ascetica di Giovanni Cassiano e il suo stretto legame con l'etica, che egli ama chiamare «disciplina etica» 8 .

3. Fondazione dell'etica

L'etica è la «prima parte della filosofia,,, la disciplina che porta il monaco a realizzare gli scopi della sua professione religiosa, che è sempre finalizzata al regno dei cieli. Per spiegare il senso della vita monastica e 7 (<Deus homine1n creans omnem naturaliter ei scientian1 legis inseruit. Quae si fuis-

set ab homine secundum propositum domini ut coeperat custodita, non utique necessarium fuisset aliam dari quam litteris postea promulgavit: erat enim superfluum extrinsecus offerri ren1ediu1n quod adhuc intrinsecus vigebat insertum» (Conférences VIII, xxiii: SCh 54, 31 s.). 8 Per es. in Conférences V, xxi: SCh 42, 213. Oppure in Conférences XVI, x: SCh 54, 231 (qui usa il tennine disciplina tnoralis).


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della "disciplina etica" che la contraddistingue, Cassiano utilizza come strumento concettuale la distinzione tra scopo e fine. La distinzione è posta all'inizio della prima Conferenza, fungendo quasi da premessa. Si afferma che ogni arte e disciplina ha un certo scopo (Cassiano utilizza il termine greco scopon), cioè una ''destinazione", e un fine che gli è proprio. Chi vuol raggiungere il fine si sottopone volentieri a fatiche e pericoli; così è per la professione religiosa del monaco'. Perciò lo scopo è «animae destinatio sive incessabilis mentis intentio,,w Il fine determina la direzione e il contenuto dello scopo. Lo scopo (intentio mentis) tende al fine, ma senza fedeltà allo scopo non si raggiunge il fine. Ora, il fine della professione religiosa è il regno dei cieli 11, lo scopo è la purezza di cuore 12 . Ciò significa che la vita monastica ha come suo scopo il raggiungimento della purezza di cuore (che come vedremo per Cassiano è la caritas) per possedere il regno dei cieliB Si tratta perciò di mettere in atto tutto ciò che conduce al fine attraverso lo scopo. L'esercizio delle virtù e l'ascesi (disciplina) monastica sono la risposta a questo fine 14 • La «prima parte della filosofia,,, cioè l'etica, è la prassi, che assume un rilievo fondamentale. Infatti la stessa definizione di etica si fonda sulla distinzione tra prassi e theoria: dopo aver osservato che le scienze che consentono la conoscenza di questo mondo si sviluppano solo se si segue il metodo proprio a ciascuna di esse, Giovanni Cassiano afferma che ciò vale a maggior ragione per la disciplina e la professione del monaco, che sono finalizzate alla contemplazione dei misteri invisibili e comportano perciò certo ordine ac ratione. Ciò costituisce l'oggetto di due scienze: «Di ciò vi è una duplice scienza: la prima, rcpax-ctx'fi, cioè la scienza attuale, che si consegue con la riforma dei costumi e la purificazione dei vizi; l'altra 8ewp1rrnàj, che consiste nella contemplazione delle realtà divine e nella conoscenza" dei significati più sacri» 15 • 9 Cfi·. Conférences I, ii: SCh 42, 79. 80. 10 Conférences I, iv: SCh 42, 80. 11 Conférences I, v: SCh 42, 82. 12 L.c. 13 i<Finis quidem nostrae professionis ut diximus regnum dei seu regnum coelorum est, destinatio vero, id est scopos, puritas cordis, sine qua ad illum fìnem impossibile est quem~iam pervenire» (Conférences I, iv: SCh 42, 81). 4 Cfr. Conférences I, v: SCh 42, 82-83. 15 «Cuius quidem duplex scientia est: pri1na n:prx:wnxfi, id est actualis, guae emcndatione morum et vitiorum purgatione perfìcitur: altera 0rwprrnxf], quae in contemplatione divinaru1n rerum et sacratissimorum sensuum cognitione consistit» (Co1~férences XIV, i: SCh 54, 184).


Prima philosophiae pars.

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Scienza attuale è la disciplina etica, theoria è la contemplazione. Dall'esame del rapporto tra rcpaxnxij e E>rwprp:ixij emerge il ruolo assegnato all'etica (che possiamo in questo contesto chiamare anche "scienza della prassi"): la prassi è il presupposto fondamentale per giungere alla theoria: «È necessario, dunque, che chiunque voglia giungere alla E>rwprynxij tenda con ogni suo impegno ed energia innazitutto alla scienza attuale. Infatti questa npc.tX.1'1:xf) si può ottenere senza la scienza teoretica, invece la teoretica, senza l'attuale, non può assolutamente essere appresa» 16 • Il motivo è che «sono come due gradi ordinati e distinti, affinché l'umiltà umana possa salire alle cose sublimi. Se si susseguono nel modo che è stato indicato si può giungere fino alla cima, alla quale non si può accedere se si elimina il primo grado. Invano dunque tende al cospetto di Dio chi non elimina il contagio del vizio: 'infatti lo spirito di Dio odia l'astuzia, né abita in un corpo schiavo del peccato' [Sap 1, 5 et 4]•P. In questo modo si assegna un ruolo molto importante all'esperienza. Infatti la scienza spirituale (theoria) non si può conoscere né comunicare se non è fondata sull'esperienza. Ma questa esperienza ha un contenuto etico: si tratta infatti della disciplina etica, della purezza di cuore, della caritas, che si esercita nelle virtù e che dispone alla contemplazione delle realtà divine 18 • L'etica perciò è la disciplina necessaria per giungere alla contemplazione. Cassiano fa così dire all'abate Nestero a proposito dei sensi della Scrittura: «Custodite quella diligenza per la lettura (delle Scritture] che 16 «Quisquis igitur ad 0ewprp:txfiv voluerit pervenire, necesse est ut omni studio atque virtute actualem primun1 scientia1n consequatur. Nam haec rcpo:x-nxf] absque theoretica possideri po test, thcoretica vero sin e actuali omnimodis non potest adprehendi» (ConJérences XIV, ii: SCh 54, 184). 17 «Gradus enim quidam ita ordinati atque distincti sunt, ut humana humilitas possit ad sublime conscendere: qui si invicem sibi ea qua dixin1us ratione succedant, potest ad altitudinem perveniri, ad quam sublato primo gradu non potest tansvolari. Frustra igitur ad conspectum dei tendit qui vitiorum contagia non declinat: spiritus na1nque dei oditfictum, nec habitat in corpore subdito peccatis» (I.e.). 18 «Inpossibile est autem haec sicut praefati sumus inexpertum quemquam vel agnoscere vel docere. Nam qui ne ad percipiendum quidem capax est, quomodo erit idoneus ad tradendum? De quibus ta1nen etiamsi aliquid docere praesun1pserit, inefficax procul dubio et inutilis usque ad aures tantummodo audientium eius sermo perveniet, cor autem eorum penetrare non poterit inertia operum et infructuositate suae proditus vanitatis, quia non de thesauro bonae pro1nitur conscicntiae, sed de inani praesumptione iactantiae. Inpossibile namque est inmundam animam, quantalibet desudaverit lectionis instantia, adipisci scientiam spiritalem» (Conférences XIV, xiv: SCh 54, 201-202).


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avverto voi avete e affrettatevi a possedere con impegno e integralmente la scienza attuale, cioè la disciplina etica. Senza di essa, la purezza della contemplazione di cui parliamo non sì può apprendere; solo coloro che sono diventati perfetti, non per effetto della parola dei loro maestri, ma per la virtù delle proprie azioni, l'ottengono quasi come premio in ricompensa delle loro opere e del loro lavoro» 19 • Così l'impegno etico è sostanzialmente purificazione dei propri vizi 20 • Questa ''disciplina", però, non sostituisce la grazia, anzi la suppone. I limiti di questo lavoro non ci consentono di esaminare il coinvolgimento di Cassiano nella controversia semipelagiana, ci limitiamo pertanto a sottolineare alcuni aspetti attinenti al nostro tema. L'autore ha chiara coscienza della necessità della grazia. Le critiche degli agostiniani, in particolare Prospero d'Aquitania, e poi la presa di posizione del Concilio di Orange, hanno certamente una base oggettiva nella terminologia usata da Cassiano, tuttavia il suo pensiero globale è ortodosso. I passaggi maggiormente ambigui si trovano nella Conferenza XIII. Altrove il rapporto libertà-grazia, fede-opere è delineato, invece, senza incertezze. Nella Conferenza III si ripresenta in maniera chiara il concetto di sinergia: «Distinguiamo chiaramente (sulla base della Scrittura] ciò che dobbiamo attribuire al libero arbitrio e ciò che dobbiamo attribuire alla concessione o al quotidiano aiuto del Signore: ricevere occasioni di salvezza e giungere alla vittoria finale è (opera) della grazia divina, rispondere ai benefici ricevuti, con diligenza o con pigrizia, è (opera) nostra» 21 . La conclusione è che nihil sine deo prorsus in hoc munda gerin L'ascesi non è frutto del solo sforzo umano: «In tal modo i nostri atti e i nostri pensieri saranno diretti a realizzare il fine che ci proponiamo. Se 19 «Tcnentes itaquc illam quam habere nos sentio diligentiam lectionis omni studio festinate actualem, id est ethicam quam primum ad integrum comprehendere disciplinam. Absque hac namque illa quam dixiinus theorctica puritas non potest adprehcndi, qua1n hi tantum qui non aliorum docentum verbis, sed proprioru1n actuum virtute perfecti sunt post multa operum ac laborum stipendia ia1n quasi in praen1io consequuntur» (Conférences XIV, ;x: SCh 54, 192 s.). zo «Et idcirco si scientiac spiritalis sacrun1 in corde vestro vultis tabernaculu1n praeparare, ab 01nnium vos vitiorum contagiane purgate et curis sacculi praesentis exvite» (I.e.). 21 «Quo testi1nonio manifeste discernitur, quid libero arbitrio quidve dispensationi vel cotidiano adiutorio domini debeamus adscribere, et quod divinae sit gratiae praestare nobis occasiones salutis et proventus secundos atque victoria, nostrum vero ut concessa dei beneficia vel intentius vel segnius exsequa1nur» (Conférences III, xix: SCh 42, 163). 22 Conférences III, xx: SCh 42, 163. Cfr. pure Conférences V, XV.


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non fosse costantemente dinanzi ai nostri occhi [il fine che è il regno dei cieli], non solo i nostri sforzi vani e incerti renderebbero a vuoto e si produrebbero senza alcuna ricompensa, ma susciterebbero anche i pensieri più diversi e contrari» 23 . La purezza di cuore di cui parla Giovanni Cassiano non è semplice sforzo umano, anzi egli mette in guardia dall'avere dinanzi agli occhi solo le nostre capacità. Tutto il cap. VI della Conferenza III mostra che ogni ascesi è veramente tale se fondata sulla carita, altrimenti è nulla, anzi va contro il fine dell'esistenza cristiana. La purezza di cuore sarà dunque il termine unico delle nostre azioni e dei nostri desideri24. Il principio delle buone azioni risiede unicamente in Dio: «Perciò si conclude manifestamente che il principio non solo degli atti, ma anche dei buoni pensieri sta in Dio, che ispira a noi l'inizio della buona volontà e ci dona la virtù e l'opportunità di compiere i buoni desideri: infatti 'ogni

buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce' [Gc 1, 17]» 25 • Così è chiaro il primato della carità per la perfezione spirituale del monaco. I digiuni, le veglie, la meditazione delle Scritture, la povertà e la privazione d'ogni cosa non sono la perfezione, ma gli strumenti per acquistarla 26 • La purezza di cuore è anche necessaria per la vera conoscenza della realtà. L'impegno etico è dunque anche fonte di conoscenza. L'ascetica talvolta si identifica con l'etica, ma in ogni caso ascetica ed etica sono strettamente legate alla vita spirituale27 • 23 «Hac itaque nobis destinatione proposita semper actus nostri et cogitationes ad eam obtincndam rectissime dirigentur. Quae si prae oculis nostris iugiter statuta non fuerit, non solum cunctos labores nostros vacuos pariter atque instabiles reddens in cassum eos ac sine ullo emolumento conpellet effundi, sed etiam cogitationcs omnes diversas sibique contrarias suscitabit» (Conférences I, v: SCh 42, 83). 24 Cfr. Conférences III, vii. Nella Conferenza XV, viii si mette in guardia anche nei confronti di chi può manifestare capacità taumaturgiche: non deve essere lodato per il segno che ha compiuto, «sed de ornatu morum debet apud nos ess.e laudabilis, nec utrum daemonia ei subdita sint, sed utrum caritatis n1embra guae describit apostolus possidcat inquirendum" (SCh 54, 218). 25 <(Quibus manifeste colligitur non solum actuum, verum etiam cogitationu1n bonarum ex deo esse principium, qui nobis et initia sanctae voluntatis inspirat et virtutem atque oportunitaten1 e o rum guae recte cupin1us tribuit peragendi: ontne enim datum bonu1n et omne donu1n peifectu1n de sursum est descendens a patre lu1ninu1n [Gc 1, 17]» (Conférences XIII, iii: SCh 54, 151). 26 Conférences l, vii: SCh 42, 85. 27 Conférences XIV, ix: SCh 54, 192.


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Tutto il cap. III della Conferenza XIV si può considerare un vero e proprio piano di fondazione dell'etica; essa si distingue in due momenti: - conoscenza della natura dei vizi e del metodo per guarirli; - discernimento dell'ordine delle virtù. Si tratta di un piano concepito attorno alle categorie di virtù e vizio perché, se l'etica è la via della purificazione del cuore, essa deve conoscere ciò che deve lottare, cioè il vizio, e ciò che deve attuare, cioè le virtù. La lotta ai vizi e il consegui1nento delle virtù caratterizzano l'esistenza cristiana: essa è la risposta alla grazia di Dio che trasforma l'uomo. Che cosa è allora la perfezione cristiana? 4. Perfezione cristiana e virtù La dottrina cristiana sulla virtù non coincide con la nozione aristotelica di virtù. Infatti non significa una tensione spontanea a fare qualcosa 28 , è invece l'impegno, lo sforzo a modificare la realtà: «Senza sforzo non si compie alcuna virtù, né è possibile ad alcuno elevarsi a quella stabilità di mente che desiderate, senza una immensa contrizione del cuore» 29 • Poiché l'impegno etico è strettamente finalizzato alla conversione e alla perfezione cristiana, presuppone la stabilitas mentis, cioè la perseveranza, la lotta indefessa contro il vizio e il peccato. La perseveranza determina la differenza tra i perfetti e gli imperfetti: «Tra i perfetti e gli imperfetti vi è questa differenza: in quelli la carità, ben radicata e, per così dire, più matura, possiede una maggiore tenacia e Ii fa perseverare più facilmente nella santità; in questi, invece, meno presente e più facilmente si indebolisce, li lascia prendere più presto e più frequentemente nei lacci del peccato» 30 • 28 ARJSTOT!LE, Etica Niconiachea, 1099 A. 29 «Nulla namque virtus sine labore perficitur ncc ulli possibile est ad istam guam cupitis stabilitaton mentis sine ingenti cordis contritione conscendere>) (Conférences VII, vi: SCh 42, 253). Cassiano usa il termine mens come traduzione di nous, dandogli perciò un significato nlolto ampio. NoHs si caratterizza per la sua dinainicità: <(NoHs itague, id est mens dcfinitur, id est semper mobilis et multu1n mobilis» (Conférences VII, iv: SCh 42, 248). Per questo Cassiano può parlare da una parte di mobilità e quindi progresso dello spirito umano, d'altra parte di stabilità, intesa con1e perseveranza. Da qui l'accentuazione dell'importanza della volontà dell'uomo. 30 dnter pcrfectos autem et inperfectos ista distantia est, guod in illis quidem fixa et ut ita dixerin1 maturior caritas tenacius perseverans firmius eos ac facilius facit in sanctitate durare, in his vero velut infìrmius conlocata ac facilius refrigescens cito ac saepius eos peccatorum conpellit laqueis inplicari» (Conférences VIII, xxv: SCh 54, 37).


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Si tratta della stabilitas caritatis. Infatti la carità sta al centro della prassi che si storicizza nella disciplina etica 31 • Questo significa che la vita spirituale non può essere concepita staticamente, cioè come l'acquisizione di uno stadio definitivo di vita. Piuttosto è un continuo progresso, pena il regresso spirituale; è un vero aut... aut: «È necessario, come dice l'Apostolo, o che, rinnovato nello spirito della sua mente [cfr. Ef 4,23], ogni giorno proietti sé verso eia che sta sempre davanti, o se si trascura, si tornerà indietro e si ricadrà in ciò che è peggiore. Perciò in nessun modo la 1nente può restare nello stesso stato>> 32 . La conseguenza è che dobbiamo compiere le virtù incessantemente per evitare che cessando di progredire nella perfezione si regredisca 33 • Stabilitas non significa immobilis1no, dunque, ma perseveranza. L'immutabilità di cui si parla non è di natura fisica, ma spirituale frutto dell'ascesi ecclesiale e richiede come presupposto la grazia di Dio: «Una cosa è essere immutabile per natura, altra cosa è per lo sforzo della virtù (virtutis industria) e la fedeltà al bene, frutto della grazia del Dio immutabile. Ciò che la diligenza acquisisce o conserva, si può perdere anche per negligenza» 34 • Perciò non bisogna lasciarsi ingannare dalla terminologia che viene usata. Quando si parla di immobilità, o di apatheia, non bisogna interpretarla soltanto con le categorie della filosofia ellenistica; si tratta invece di un concetto dinamico: la calma del "perfetto", infatti, non è passiva ma attiva in quanto il "perfetto" non si fa plasmare dagli eventi, ma plasma gli eventi. Non è perciò impassibilità, che denota insensibilità o passibilità, ma l'imperturbabilità dei forti. Si tratta di «unum statum iugiter reti31

Cfr. Conférences XV, ii.viii: SCh 54, 211 s. 218. Conjèrences I, vi.vii: SCh 42. «Necesse est ut secundu1n apostolum aut renovatus quù spiritu 1nentis suae (Eph 4, 23) per singulos dies proficiat ad ea Je quae in ante sunt snnper extendens (Phil 3, 13), aut si neglcxerit, consequens est ut retro redeat atque in dcterius relabatur. Et idei reo nullo modo poterit mens in una atquc eadem qualitate durare» (Conférences VI, xiv: SCh 42, 238). 33 «ldcoque debemus ad virtutum studia inremissa cura ac sollicitudìnc nos1net ipsos sen1per cxtendere ipsisque non iugiter exercitiis occupare ne cessante profèctu confesti1n deminutio subsequatur. Ut enin1 dixi1nus, in uno mcns eodemque statu manere non praevalet, id est ut nec augmenta virtutun1 capiat ncc detrimenta sustincat. Non adquisissc eni1n eius minuisse est, quia desincns proficicndi adpctitus non aberit a periculo rcccdendi» (Conférences VI, xiv: SCh 42, 239). 34 «Aliud namque est inmutabilis naturae esse, aliud virtutis industria bonique custodia per imn1utabilis dei gratiam non 1nutari. Quidquid ei;iim per diligentiam ve! adquiritur ve! tenetur, po test etiam per negligentiam deperire» ( Conjèrences VI, xvi: SCh 42, 240). 32


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nere et in eadem se1nper qualitate persistere», come domanda Ger1nano 35 . In altri termini, l'uomo è chiamato a lottare con l'instabilità della sua natura, non per abolirla, ma per ricondurla al progetto originario di Dio. La lotta al vizio e al peccato è segno della santità che deriva dalla grazia. Cassiano utilizza interamente la tradizione dei padri sugli otto vizi capitali. Prende la suddivisione dei vizi da Evagrio Pontico 36 • Lo stesso fa nelle Istituzioni. A differenza di altri padri occidentali 37 egli conserva il numero e l'ordine del catalogo stabilito da Evagrio. Tutto il libro V delle Conferenze sviluppa il discorso sui vizi 38 • «Otto sono i vizi principali che rovinano il genere umano: primo l'ingordigia, secondo la fornicazione, terzo l'avarizia, quarto l'ira, quinto la tristezza, sesto l'accidia, setti1no la vana gloria, ottavo la superbia» 39 . Questi vizi si dividono in due generi: - naturali (cioè che riguardano la vita fisica); - fuori natura (che riguardano le passioni e l'affettività). Vi souo, poi, due modi di attuarli: - «quaedatn sine actione carnali consummari non possunt» (e. g.: gastrimargia, fornica/io); - «quaeda1n sine ulla corporis actione co1nplentur» (e. g.: superbia, cenodoxia). Alcuni hanno una causa esterna (e.g.:filargyria, ira), altri una causa interna (e.g.: acedia, tristitia). Inoltre Cassiano distingue tra vizi carnali e spirituali; egli è consapevole di distanziarsi dall'accezione paolina di "carnale" e lo spiega con la 35 Conférences VI, xiii: SCh 42, 238. Traité pratique, 6, II, Sources Chrétienncs 171, par A. et C. Guillaumont, Cerf, Paris 1971, 506-508. 37 Per es. GREGORIO MAGNO, Mora/es sur ]ob, 1et2, Sourccs Chrétiennes 32, par R. Gillet, Cerf, Paris 1950, 89 ss. 38 Come abbiamo già ricordato la seconda parte delle Istituzioni è dedicata interamente allo stesso tema, cfr. n. 2. 39 «Octo sunt principalia vitia guae humanum infestant genus, id est primum gastrimargia, quod sonat ventris ingluvies, secundu1n fornicatio, tertiu1n filargyria, id est avaritia sive a1nor pecuniae, quartum ira, quintum tristitia, sextum acedia, id est anxietas seu taedium cordis, septimum cenodoxia, id est iactantia seu vana gloria, octavum superbia» (Conférences V, ii: SCh 42, 190). Evagrio Pontico nel suo Trattato pratico: «Primo è quello della gola e dopo di esso quello della lussuria (porneia); terzo è quello dell'avarizia (philargyria); quarto è quello della tristezza ({ype); quinto quello dell'ira (orge); sesto quello dell'accidia (akedia); settin10 quello della vanità (kenodoxia) ed ottavo quello della superbia (hyperephania)» (Traité pratique, cit., 506-508. Cfr. GREGORIO MAGNO, Mora/es sur }oh, cit., 89 ss. 36


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necessità di conoscere esattamente la natura dei singoli vizi e porvi così rimedio. Sono carnali quelli che hanno uno speciale rapporto con i sensi della carne; spirituali quelli che nascono dal solo incitamento dell'anima'°. I vizi sono tra di loro connessi, perciò per estirparli tutti occorre sradicare la loro comune radice, così come si farebbe con un grande albero. I suoi grandi rami possono giungere lontano dal tronco ed estendere perciò la sua ombra; vi è un mezzo semplice per eliminarla, cioè 1nettere a nudo le radici che sostengono l'albero. Delle acque sono portatrici di una infezione? trovando la loro sorgente e fermandola si può eliminare !'origine dell'infezione 41 • Così è per i vizi. Poiché essi sono l'uno con l'altro collegati, basta combattere quello che precede i successivi. La lotta è più efficace, poi, se si combatte la radice di tutti i vizi. A questo proposito diventa un momento importante della lotta ai vizi la rinunzia di sé. Parlando dell'abate Pafnuzio, Cassiano dice che «mortificando ogni sua volontà mediante la disciplina dell'umiltà e dell'obbedienza estingueva ogni vizio ed esercitava tutte le virtù che sorgono dalle istituzioni monastiche e dalla dottrina degli antichi padri» 42 • La rinuncia di sé è presupposto fondamentale per estirpare i vizi perché questi nascono proprio dall'amore smodato di sé (la philautia). Richiamandosi esplicitamente alla tradizione dei padri e delle Sacre Scritture, Cassiano distingue tre rinunce: «Bisogna ora parlare delle rinunce, che secondo la tradizione dei padri e l'autorità delle Sacre Scritture sono tre e occorre compierle con cura da parte di ciascuno di noi. La prima è quella con cui fisicamente disprezziamo tutte le ricchezze e i beni del mondo. La seconda con cui respingiamo la nostra vita passata, i nostri vizi e le passioni dello spirito. La terza con cui sottraiamo la nostra mente dalle cose presenti e visibili per contemplare solamente le cose future e desiderare le cose invisibili» 43 • 4

° Cfr.

Conflrences V, iv: SCh 42, 191 s. Cfr. Conférences V, x: SCh 42, 197 ss. 42 «Humilitatis namque et oboedientiae disciplina omnes suas 1nortificans voluntates et per hanc extinctis universis vitiis cunctisquc virtutibus consumn1atis, quas monasteriorum instituta vel antiquissimorum patrum doctrina fundavit» (ConférenceJ III, I: SCh 42, 139 s.). 43 «Nunc de abrenuntiationibus disserendum est, quas tres esse patrun1 traditio et scripturarum sanctarum detnonstrat auctoritas, quasque unumquen1que nostrum omni studio oportct inplere. Prima est qua corporaliter universas divitias mundi facultatesque contemnimus, secunda qua inores ac vitia affectusque pristinos animi carnisquc respui41


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Sebbene nel libro III Cassiano non menzioni esplicitamente Basilio Magno, ci sembra di poterlo scorgere tra gli "antichi padri" di cui si parla. Anche Basilio parla di tre gradi della rinuncia: di "me stesso": l'Io si identifica con l'"anima e lo spirito"; - di ciò che "ci appartiene" come nostro pri1no bene, cioè a dire il corpo e i sensi; - di ciò che è "attorno a noi", cioè i beni esterni e tutti gli oggetti della vita 44 • Vi è una progressione della rinuncia, da ciò che sta "attorno a noi" a "noi stessi"; e questo è proprio l'ordine che segue Giovanni Cassiano. La rinuncia esteriore è inutile se non perviene a quella interiore. Sarebbe come fuggire dall'Egitto corporalmente, ma rimanervi spiritualmente. Per ottenere la vera perfezione occorre la rinuncia del cuore 45 • La vera perfezione si raggiunge infatti con la terza rinunzia, cioè quando la nostra mente si è liberata dalle pesantezze mondane per elevarsi alla contemplazione delle realtà divine"L'enfasi posta sull'ascesi e l'etica (virtù e vizi), non significa sopravvalutazione delle capacità dell'uomo, anche se in alcuni testi la dottrina di Cassiano, con l'accento posto sull'impegno del cristiano e le sue virtù, poteva facilmente indurre il lettore occidentale a pensare a qualche venatura semi pelagiana. Tuttavia Giovanni Cassiano si pone su di un piano dimus, tertia qua mentem nostram de praesentibus universis ac visibilibus evocantes futura tantummodo conteinplamur et ea quae sunt invisibilia concupiscimus» (Con,férences III, vi: SCh 42, 145). 44 «Fai attenzione a te stesso (cfr. Dt 15, 9), cioè non a ciò che ti appartiene, né a ciò che è attorno a te, ma a te solo. Infatti, altro è ciò che noi siamo, altro ciò che ci appartiene, altro ciò che ci circonda. Ciò che sian10, cioè a dire anima e spirito in quanto siamo stati creati ad immagine del nostro Creatore; ciò che è nostro e ci appartiene, è il nostro corpo con i sensi che, grazie a lui, possediamo; e attorno a noi i beni, i talenti e tutti gli oggetti della vita)) (Ho1n. in illud attende, 3: Pc 31, 204 A). 45 «Nihil ergo nobis proderit abrenuntiatio corporalis et localis quodam1nodo ex Aegypto transmigratio, si renuntiationem cordis quae sublimior et utilior est non valuerimus similiter obtinere» (Conférences III, vii: SCh 42, 149). 46 «Huius ergo renuntiationis tertiae veram perfectioncm tunc mcrebi1nur obtinere, quando mcns nostra nullo carneae pringucdinis hebetata contagio, sed pcritissimis climationibus expolita ab omni affectu et quali tate terrena per indesinentem divinaru1n rerun1 meditationem spiritalesque theorias ad illa quac invisibilia sunt eo usque transierit, ut circundatam se fragilitate carnis ac si tu corporis supernis et incorporeis intenta non sentiat atque in huismodi rapiatur excessus, ut non solum nullas voces auditu recipiat corporali O.("C in intuendis praetereuntium imaginibus occupetur, scd ne adiacentes quiden1 moles et ingentes 1naterias obiectas oculis carnis aspiciat» (Conférences III, vii: SCh 42, 147).


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verso, egli eredita dai padr~greci la convinzione che non esiste automatismo tra l'opera della redenzione e la sua attuazione per il singolo cristiano. Occorre l'atteggiamento penitenziale, cioè di accoglienza della salvezza e farla diventare operante nell'esistenza storica. È l'ascesi ecclesiale, intesa come attuazione dinamica della gra;z;ia. Per questo ci sembra che talune espressioni dì Cassia.no siano sì ambigue, non però fuori dall'ortodossia, come del resto i testi citati a proposito del rapporto libertà-grazia, fede-opere mostrano.

5. Il valore dell'intenzione

Una conseguenza rilevante, dal punto di vista etico, del discorso di Cassiano l'abbiamo nella sottolineatura del valore dell'intenzione. Partendo dai casi concreti della menzogna e della fedeltà agli impegni assunti dai monaci, l'autore pone il problema del significato etico della volontà e dell'intenzione finalizzata al regno dei cieli. La Conferenza XVII affronta il problema se occorre mantenere ad ogni costo gli impegni assunti, anche quando il bene della persona sembra richiedere il contrario. La risposta che Giovanni Cassiano dà, per bocca dell'abate Giuseppe, è molto articolata. Si fonda, però, essenzialmente sul primato del fine, che è il regno dei cieli. Poiché il fine del monaco è il conseguimento file! regnçi dei cieli, egli può mutare decisione se si accorge che essa lo distòglie dal fine. Per questo, allora, è bene non assumere 1nai impegni defiÌiitivi 47 , f)ef- evitare di trovarsi poi in conflitto con la propria coscienza. Ciò che è definitivo è la scelta del regno, gli strumenti sono mutevoli 48 • Ciò nOn vuol dire, per Cassiano, relativismo, ma solo disti~zione tra 47 · \<Oh quam reni nihil oportet abrupte monachum defìnrre, ne aut.id quod incaute pron1isi~ implere cogatur aut consideratione honestioris intuitus revocatus spohsionis suae

praevari(;ator exsistat» (Conférences XVII, viii: SCh 54, 254). , _, 48 ',,Et idcirco nihil debet abrupte monachus super his dumtaxat qu,ae açl corporales exercitationcs pertinent definire, ne adversarium ad inpugnationem eorum quàe velut sub legis obscrvatione custodit magis incitans citius ea violare cog~tur. Praefigcns siquidem sibi legcm unusquisque sub libertatis gratia constitutus perniciosa'seinet ipsum obligat servitutc, ut ea quae licito, immo-etia1n laudabiliter cum gratiarum actione praesumere potuisset, si neccssitas f()ltasse conpulerit, velut transgressor percipere conpellatur, cum praevaricatione peccati. Ubi•enint non es/ !ex, nec praevaricatio [Rom 4, 15]» (Conférences XVII, xxx: SCh 54, 282 s.).


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ciò che è essenziale e ciò che è strumentale". La scelta del regno è per il monaco irreformabile, così come la professione religiosa, mentre i luoghi e i tempi della sua attuazione sono riformabili. È necessario perciò il discernimento del proprio carisma e del proprio modo di vita 50 • Le Conferenze riportano numerosi esempi di discernimento o di mancanza di discernimento per sottolineare che il criterio ultimo deve essere la carità, che in questo caso si oppone alla temerarietà. L'ascesi, perciò, non è "cieca',, ma guidata dalla "purezza del cuore" 51 • In questo contesto si giustifica talvolta l'uso della menzogna. Mentre nella teologia medievale scolastica si giungerà alla determinazione della peccaminosità della menzogna in quanto tale 52 , in Giovanni Cassiano, all'interno della tradizione di alcuni padri greci, la menzogna rientra tra gli atti indifferenti 53 • La menzogna è giustificata dal fine. Infatti, è ]'intenzione del soggetto che determina il valore dell'azione. «In ogni cosa, come abbiamo detto, non è il risultato dell'azione che dobbiamo considerare, ma la volontà di colui che agisce» 54 • Perciò dopo aver portato alcuni esempi tratti dalla Scrittura per dimostrare il valore dell'intenzione (voluntas operantis), dice: «Videtis igitur apud deum non processum operis, sed destinationetn rnentis inquiri» 55 . Non ci sono dubbi sul valore etico dell'intenzione: «Bisogna considerare il fine dell'atto, le disposizioni (adfectus) dico49 Cfr. Con/érences XVII, xxviii: SCh 54, 281. so Tutta la Conferenza II è dedicata al discerni1nento e ai modi di vita nella Chiesa; n1a in numerosi altri passaggi ciò viene ricordato: «Multis enim viis ad deum tenditur, et ideo unusquisque illam quam semel arripuit inrevocabili cursus sui intentione conficiat, ut sit in qualibet professione perfectus» (Conflrences XIV, vi: SCh 54, 187). Cassiano fonda la molteplicità dei carismi nell'unità della Chiesa su Ro1n 12, 4 ss. 6-8 e i Cor 12, 28 (ibid., XIV, v: SCh 54, 186 s.). 51 Cfr. Conflrences II, v-ix: SCh 42, 116 ss. 52 Cfr. in particolare S. TOMMASO, Su1nma Th., II-II, q, 69 e llO, a. 1 e 2. 53 «Tria sunt omnia quae in hoc mundo sunt, id est bonum, malum, 1nediu1n. Debemus itaque nosse quid proprie bonum, quid malum quidve sit n1edium, ut nostra fides vera scientia communita in cunctis te1nptationibus inconcussa perduret» (Conférences VI, iii: SCh 42, 221). Della menzogna si parla ampiamente, forse anche con prolissità, nei capp. V-IX della Conferenza XVII. 54 «In ornnibus ut dixin1us causis non processus operis, sed voluntas operantis est intuenda, nec statim quis quid egerit, sed quo voto egerit inquirendum» (Conférences XVII, xi: SCh 54, 256). 55 Conférences XVII, xii: SCh 54, 258. Così anche XVII, xvii: «Non enim deus verborum tantu1n actuumque nostrorum discussor et iudex, sed etiam propositi ac destinationis inspector est».


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lui che opera, attraverso ciò, come è stato detto sopra, qualcuno può giustificarsi mentendo e un altro cadere nel peccato mortale dicendo la ve. ' 56 r1ta» . In questi testi non si fa altro che applicare il principio enunciato fin dall'inizio delle Conferenze: «Totum ergo in fine consistit» 57 ,

Conclusione A. Hamman affermava che «Cassiano non è un teologo di razza e manca di spirito speculativo del tenore di quello dei Cappadoci o di Agostino. Tuttavia egli percepisce nettamente le implicazioni spirituali delle verità dogmatiche» 58 . Q}Jesto giudizio, riferito in particolare al trattato De incarnatione Domini contra Nestorium 59 , si può estendere anche alle Conferenze. Occorre però considerare la natura e l'origine degli scritti di Cassiano. Essi sono soprattutto una riflessione che nasce dall'esperienza e, soprattutto, dall'attenzione alla persona. Da ciò nasce talvolta un linguaggio ambiguo, non "logico" o retorico. Non si tratta solo di un'assenza di capacità speculativa dell'autore, vi è pure una scelta di fondo: l'esperienza come presupposto della comunicazione della vita spirituale. Non, dunque, un'astratta riflessione su di un corpus di dottrine, ma una presentazione dell'esistenza cristiana, vissuta nel particolare modo di vita del monaco. Perciò l'etica si presenta essenzialmente come prassi, cammino di purificazione dai vizi per l'esercizio delle virtù; risposta alla grazia di Dio che rigenera l'uomo. Si tratta dell'impegno per la costruzione del regno, fine ultimo dell'esistenza cristiana. La disciplina etica è dunque la prassi del regno.

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«[ ... ] finis operis et adfCctus considerandus est perpetrantis, quo po test q uis, ut supra dictum est, etiam per mendacium iustificari et a!ius per veritatis adsertionem peccatum perpetuae tnortis incurrere» (Coriférences XVII, xvii: SCh 54, 261-262). 57 Conférences III, v: SCh 42, 144. 58 A. HAMMAN, Scrittori della Gallia. Giovanni Cassiano, in Patrologia (a cura di A. Di Berardino), III, Marietti, Torino 1978, 491. 59 PL 50, 9-270.



JOHN HENRY NEWMAN E IL DINAMISMO DELLA FEDE"»

GIUSEPPE CRISTALDP

«È l'essere concreto quello che ragiona [... ].Si muove l'uomo tutto intero; la logica cartacea non fa che registrare questi movimenti» 1• Così J.H. Newman scriveva nel lB64, nell'Apologia pro vita sua. Nel 1845, nel periodo più cruciale della sua vita, così aveva scritto nello Sviluppo della dottrina cristiana: «Qui sulla terra vivere è mutarsi e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni»'. E ancora, nel 1843, nel quindicesimo e ultimo Sermone Universitario, con esplicito riferimento ai dogmi, aveva detto: «Credo e dogmi vivono nell'unità dell'idea che hanno il compito di esprimere, e che sola è sostanziale; e sono necessari soltanto perché lo spirito umano non può riflettere su quell'idea se non separandone le varie *Già Professore associato di Filosofia della Religione all'Università Cattolica di Milano.

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Relazione svolta nell'Università Cattolica del S. Cuore di Milano nelle celebrazioni per il primo centenario della morte del cardinale John Henry Newman. 1 «Avevo una profonda avversione per la logica cartacea. Per quel che mi concerneva, non era la logica a farmi avanzare; tanto varrebbe dire che il mercurio del barimetro cambia il tempo. È l'essere concreto quello che ragiona; passano degli anni, e mi accorgo che la posizione del mio spirito è mutata: com'è stato? Si muove l'uomo tutto intero; la logica cartacea non fa che registrare questi movimenti. Tutta la logica del mondo non sarebbe bastata ad accelerare il mio cammino verso Roma( ... ]. Le grandi imprese richiedono tempo» a.H. NEWMAN, Apologia pro vita sua, in Opere, a cura di A. Basi, UTET, Torino 1988, 297). 2 «A seconda delle nuove relazioni che essa [l'idea] si trova ad avere, sorgono pericoli e speranze e principi antichi riappaiono sotto forma nuova. Essa muta insieme a loro per restare sen1pre identica a se stessa. In un mondo soprannaturale le cose vanno altrimenti, ma qui sulla terra vivere è mutarsi e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni)) (ID., Lo sviluppo della dottrina cristiana, trad. it., Il Mulino, Bologna 1967, 47).


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parti, non può usarla nella sua unità e pienezza, senza risolverla in un insieme di aspetti e di relazioni» 3 .

In tali affermazioni possono essere individuate le tre movenze del dinamismo della fede: esistenziale, storica, psicologica. Tre movenze che come tali sono proprie dell'uomo, che è esistente nella storia, con un dato spessore psicologico, ma che ricevono, dal fatto di riferirsi e di applicarsi alla fede, un carattere che potrebbe dirsi "atipico". Tale dinamismo, cioè, si carica della paradossale novità e del misterioso bagliore che sono propri della fede. Il paradosso atipico, ma non irragionevole, del dinamismo della fede fu da Newman, prima che pensato, vissuto. Dal vissuto, nella sua reale concretezza e nella sua pregnanza di implicito, egli attinse le premesse e le direttrici della sua riflessione, la quale peraltro veniva a saldarsi con il vissuto, rendendolo più consapevole e, come orientamento volitivo, più deciso.

È significativo che l'ultimo Sermone Universitario, aprendosi, com'era

consuetudine, con un passo scritturistico, abbia scelto quello lucano (2,19), che presenta la Madonna la quale «serbava in sé tutte queste cose, collegandole insieme nel suo cuore» 4 . L'incisivo commento cl1e segue indica in Maria il «modello della nostra fede, sia per quanto riguarda l'accoglierla che per quanto riguarda lo studiarla. Non le basta accettarla, viriflette sopra; non le basta possederla, la usa; non le basta sottomettere la ragione, essa ragiona sulla propria fede; non cbe prima ragioni e poi creda, come Zaccaria; al contrario, prima crede senza ragionare, poi, con rispettoso amore, ragiona su ciò che crede» 5 . Giunto, nel dinamismo della propria fede, al punto di massima e sofferta tensione - che per un verso annunciava una ''rottura", mentre per un altro verso profilava una certa ''continuità" - Newman poteva scorgere in Maria «modello della nostra fede» l'ideale che aveva sorretto il suo impegno di anglicano e che egli voleva anche sorreggesse il suo prossimo impegno di cattolico: una fede che sia pensata e che, nel pensare se stessa, scopre, consonante con il proprio dinamismo, l'autentico dinamismo della ragione. Apologia pro vita sua: ossia storia delle sue idee religiose 6• La sua vita 3

Io., Opere, cit., 713.

4 lbid., 699-728. 5 Ibid., 700. 6

Il

testo inglese dice: J.I--f. NEWMAN, Apologia pro vita sua, being a History o.f hù Re/i-


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si identifica con la sua religione, di cui la fede è il principio e il centro. La sua fede è, nella sincronicità del tempo esistenziale, vissuta e pensata: pensata e vissuta. Cogliere perciò i punti emergenti del vissuto significa pure individuare i punti nodali della riflessione. Si possono perciò individuare le seguenti movenze: inizio e sviluppo, il rischio, la catarsi, la lezione della storia, l'intenzionalità cristologica, il nodo ecclesiologico, la presenza di Maria.

Inizio e sviluppo

Nelle prime pagine dell'Apologia pro vita sua, Newman riferisce di una sua «intima conversione», «della quale - aggiunge - ero consapevole (e della quale sono ancor oggi più certo che di avere mani e piedi)» 7• La prosa di Newman è tersa e limpida, ma come la superficie compatta e luminosa di un mare tranquillo, che può celare anfrattuosità inesplorate e scorci abissali. È"stato detto che Newman è forse lo scrittore più autobiografico che ci sia 8 . Ma le pagine autobiografiche di Newman sono più allusive che narrative. E talvolta più che rivelare sembrano celare. Secretum meum mihi. Così s'inizia l'Apologia. È vero che in queste pagine che, per tanti versi, si apparentano alle Confessioni di Agostino, il segreto viene, con trepidazione e pudore, svelato. Ma non del tutto. La radice, e forse anche il nucleo, rimangono come nascosti o seminascosti, in quanto si saldano con quel segreto dell'esistenza, che tale resta anche di fronte all'introspezione del soggetto. Anche nel seguito della narrazione autobiografica, pur dopo tante e talora puntigliose documentazioni, balza improvvisa l'allusione al segreto. Solus cum Solo 9 • Nel segreto inviolabile della coscienza, dove si prendono le decisioni ultimative. gious Opinions (Oxford University Press, London 1964). Il termine inglese opinion oscilla, secondo la rilevazione semantica fattane dallo stesso Newman nella Grammatica, tra credence e convinction (Io., Grammar of Assent, a cura di I.T. Ker, Clarendon Press, Oxford 1985, 44-45). Si può dire che la opinion ha un duplice volto: quello di opinione o credenza dal punto di vista fenomenologico, e quello di convinzione, dal punto di vista soggettivoassiologico. Sembra molto appropriata la traduzione di Bosi con «idee religiose». 7 Io., Apologia, in Opere, cit., 139. 8 Cfr. H. BREMOND, Newnian. Essai de biographie psychologique, Bloud et Gay, Paris 1906. 9 J.H. NEWMAN, Opere, cit., 321.


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E nel diario della sua avventura siciliana, nel maggio 1833, aveva scritto: «[ ... ] e ci furon cose che non amo mettere in carta» 10 • «Quando avevo quindici anni (nell'autunno del 1816) si verificò in me un grande mutamento di pensiero. Caddi sotto l'influsso d'un credo ben definito e la mia intelligenza ricevette impronte del dogma che, per grazia di Dio, non sono state più cancellate né offuscate» 11 • Quel pensiero, di cui si ha un grande 1nutarnento, non è certo il pensiero astratto del puro procedimento cognitivo. Non è il pensiero «nozionale», secondo l'espressione che Newman adotterà nella Grammatica dell'assenso. In questo senso interpretativo si muovono pure le espressioni seguenti: «influsso d'un credo ben definito», «impronte del dogma» ricevute nell'intelligenza. Tenendo presente quanto da Newman precedentemente affermato, d'essere. stato cioè educato, in fanciullezza, nella «religione della Bibbia» che amava leggere con «grande diletto», e di sapere «a perfezione il Catechismo», senza peraltro avere «precise convinzioni», si può affermare che il nucleo della conversione sia consistito nel passaggio, certamente sofferto per le implicazioni morali ed esistenziali 12, da una fede nozionale a una fede "reale". Il mutamento della conversione si ha con il riempimento del vuoto, che la fede nozionale comporta, con la fede reale, per la quale il dogma non è semplice proposizione, che l'intelligenza apprende, ma è evento di salvezza, che interpella e coinvolge la vita. La vita dell'intelligenza anzitutto, giacché, come Newman dirà ancora nell'Apologia, «ogni vera conversione deve avere inizio dalle sorgenti stesse del pensiero» 13 • Subito dopo c'è un'altra frase particolarmente significativa. Parlando delle conversazioni e dei sermoni del reverendo Walter Mayers, di netta tendenza Evangelica!, Newman lo chiama «strumento umano di quest'inizio di fede divina in me»M Questo inizio non è quello sacramentaleontologico, prodotto dal Battesimo, ma è di carattere psicologico, come

10

«There were somethings I do not like to put on paper» (Io., Malattia di Sicilia. Il viaggio di Ncw1nan in Sicilia 1833, a cura di C. Scordato e R. La Delfa, edizione integrale bilingue dell'epistolario e del diario, Fondazione Lauro Chiazzese, Palermo 1990, 186). 11 Io., Apologia, in Opere, cit., 138. 12 Nei Diari parlerà di sofferenze (<terribili,, (awful), conosciute solo da Dio (Cfr. Io., Écrits autobiographiques, testo bilingue, Desclée de Brouwer, Bruges 1956, 422). 13 ID., Opere, cit., 369. 14 Ibid., 138.


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vissuta consapevolezza. È a livello psicologico, a livello di coscienza riflessa, che si svolge il passaggio dalla fede nozionale alla fede reale, anche se sotteso e sostenuto dall'arcana azione della grazia. Ora per questo inizio, che sorge, nell'interiorità dello spirito, come libero donarsi alla provocazione di Dio, si dà uno strumento umano che è quello della testimonianza.

Il quinto Sermone Universitario, tenuto da Newman nel gennaio 1832, ha come tema: L'influenza personale come mezzo per diffondere la verità 15 • La verità della fede, che è verità che salva, non è diffusa mediante ciò cbe Hegel chiamava la «fatica del concetto», ma attraverso la testimonianza per-

sonale della libertà, che K.ierkegaard chiamava «comunicazione indiretta». La fede, che è libera risposta alla libera iniziativa di Dio, s'irradia attraverso la testimonianza, che è scommessa della libertà. Come conseguenza, e non come essenza, della conversione, Newman poi parla del riposo «nel pensiero di due, e solo due, esseri assoluti e d'intrinseca e luminosa evidenza: me stesso e il mio Creatore» 16 . Nella concretezza del processo psicologico è la fede reale che fa riscoprire la struttura originaria della coscienza religiosa. È nel dinamismo dell'esperienza della fede divina che la coscienza originaria emerge e s'illu1nina. Nel capitolo quarto dell'Apologia, quasi incidentalmente, spiegherà: «fin dalla infanzia avevo imparato a vedere il mio Creatore e me stesso sua creatura, come i due esseri che in reru1n natura s'imponevano per la loro

luminosa evidenza» 17 • Nella crisi adolescenziale, però, della quale si parla nel capitolo primo, questa struttura originaria della coscienza sembra psicologicamente riconquistata all'interno di una esperienza di fede. Come struttura originaria, essa rimane autonoma, non dipende dalla fede, ma nel dinamismo concreto dell'uomo nella storia, dove è presente l'evento salvifico che provoca l'esistenza e a sé la intenziona, il processo religioso naturale s'incontra, s'innerva e s'intreccia con il dinamismo della fede. L'intreccio tra discorso religioso naturale e discorso di fede è da vedere nella luce di una geniale coniugazione, compiuta da Newman solo in pregnanza di scorci, del principio di "analogia", desunto dal vescovo Joseph Butler, con il principio di "economia", di cui parlava, con parole che giungevano «all'anima come una musica», la scuola alessandrina 18 . 15

16 17 18

Jbid., 520-537. ID., Apologia, in Opere, cit., 139. ID., Opere, cit., 320. ID., Apologia, in Opere, cit., 145-146; 162-164.


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In questa luce, di analogia storica e d'intreccio concreto del discorso di fede e del discorso di ragione, è da collocare l'alternativa drastica tra cattolicesimo e ateismo, posta da Newman in una pagina dell'Apologia, che non mancò di suscitare discussioni: «[ ... ] e giunsi alla conclusione che, in una vera filosofia, non esiste una via di mezzo tra ateismo e cattolicesimo, e che un'intelligenza perfettamente coerente, nelle circostanze in cui si trova quaggiù, deve abbracciare l'uno o l'altro. E ne sono tuttora convinto: sono cattolico perché credo in Dio; e se mi si chiede perché credo in Dio, rispondo che ci credo perché credo in me stesso, perché trovo impossibile credere nella mia esistenza (e di ciò sono assolutamente certo) senza credere anche nell'esistenza di Colui che vive nella mia coscienza come un essere personale, che tutto vede e giudica» 19 • «Probabilmente - aggiunge - non mi sono espresso in modo filosoficamente corretto, perché non mi sono dedicato allo studio di ciò che i metafisici hanno detto sull'argomento; ma penso che in quello che ho detto vi sia un forte nucleo di verità capace di reggere ad un esarne)/ 0 • Se si facesse un'analisi strutturale-semantica di questo brano, si rileverebbe che la parola-chiave di tutto il discorso è «credere» (believe), la quale, però, nella movenza del discorso, assume una duplice intenzionalità referenziale. Il semantema è unico, ma il referente è duplice. Il credere nella propria esistenza è un'affermazione di fede umana, ma il credere in Dio che vive nella mia coscienza è atto di fede divina. Non si tratta infatti di una semplice affermazione teistica, frutto del movimento dialettico della pura ragione, 1na di un aprirsi e di un muoversi dell'esistenza verso colui, che non viene astrattamente dimostrato, perché concretamente si mostra, come presenza, nella coscienza. Anche nella Grammatica dell'assenso Newman mostrerà di non avere Differenze e anche divergenze tra Butlcr e Newman sono state rilevate da O. CHADef Doclrinrd Developn;ent, University Press, Cambridge 1957. Cfr. B.-D. DuPUY, Bul!etin d'histoire des doctrines: Newman, in Revue des Sciences Phdosophiques et Théologiques 45 (1961) 153 ss. La differenza fondamentale sen1bra consistere in questo: per Butler l'analogia è un metodo di ragionamento, di CMattere perciò logico; per New1nan invece l'analogia è un «fatto», che si può constatare con la rivelazione. Essa è una logica divina, che giustifica, da parte dell'uomo, le «attese», permettendo di porre una probabilità a priori degli sviluppi (la probabilità antecedente).' L'analogia avrebbe quindi un carattere fondamentaltnente stoneo. 19 ID., Opere, cit., 423. 20 Ibid., 423-424. Cfr. ].G. SAINT-ARNAUD, Newman ef l'incro)1ance, Desclée, ParisTournai, Bellarmin, Montreal 1972, 271-285. \VICH, From Boussue/ lo Nnoman. The Idea


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né propensione né gusto per le prove dell'esistenza di Dion Il fatto è che le prove, certo possibili e anche teoreticamente valide, sono, nella concretezza del movimento spirituale dell'uomo, come sopravanzate e, in certa guisa, rese pleonastiche dalla presenza di Dio che si mostra: nell'intimità della coscienza e negli spazi della storia come rivelazione soterica. Si dà perciò un'analogia di attrazione e di rimando tra la presenza di Dio nella storia e la presenza di Dio nella coscienza. L'una richiama l'altra e l'una con l'altra si collega, come in un circolo solido. Da un punto di vista logico-formale può sembrare che ci sia contaminazione di piani; ma a livello di concretezza psicologico~esistenziale si dà intreccio e compenetrazione dei due piani: quello della fede naturale e quello della fede divina. In altre parole: tra il piano della struttura, in cui si configura la fede naturale, e quello dell'evento, in cui emerge la fede divina. Nella compenetrazione però è l'evento a emergere e a coinvolgere in sé anche la struttura. La considerazione di Newman segue una precedente sullo sviluppo. L'alternativa tra ateismo e cattolicesimo proviene dalla legge stessa dello 21

«Si noti che io ho in sospetto le dimostrazioni di carattere scientifico anche su punti di fatto concreto, quando intervengono in discussione tra uomini fallibili. Se qualcuno h.1 il dono della dimostrazione, ditnostri: unusquùque in suo sensu abundet. Alla 1nia fOrma mentale si adatta meglio il tentativo di provare il Cristianesimo nella stessa maniera, non rigorosamente dimostrativa, in cui posso provare che sono nato e che 1norirò» (ID., Grammatica dell'assenso, trad. it., Jaca Book Morcelliana, Milano-Brescia 1980, 254). Nell'Apologia aveva scritto: «Partendo dunque dall'esistenza di Dio (che, come ho detto, è per me altrettanto certa della mia stessa esistenza, anche se q unndo cerco di dare forma logica a tale certezza trovo difficoltà ad articolarla in modo soddisfacente) guardo fuori dcl 1nio io, nel mondo degli uomini, e qui mi si offre uno spettacolo che mi riempie d'indicibile sgomento. Sembra che il mondo semplicemente smentisca la grande verità che riempie tutto il mio essere; e l'effetto su di me è quindi necessariamente altrettanto sconcertante che se vedessi negare la mia stessa esistenza. Se guardassi in uno specchio e non vi vedessi il mio volto, avrei lo stesso tipo di sensazione che mi assale quando guardo questo mondo vivo ed affaccendato, e non vi vedo il riflesso dcl suo Creatore. Questa costituisce per 1nc una delle grandi difficoltà di quest'assoluta, basilare verità, della quale ho appena parlato. Se non fosse per questa voce, che parla con tanta chiarezza nella mia coscienza e nel nùo cuore, quando guardo il mondo io sarei un ateo, un panteista o un politeista. Parlo per mc solo; e sono lungi dal negare l'autentica forza degli argomenti a dimostrazione dell'esistenza di Dio, tratti dalla considerazione generale della società umana e dal corso della storia, 1na questi argomenti non m'illu1ninano né mi scaldano; non scacciano l'inverno della mia desolazione, né fanno sbocciare in me le geinme e crescere le foglie, non rallegrano il mio spirito. Lo spettacolo del mondo non è che il rotolo del profeta, pieno di 'lamentazioni, gemiti e guai», (ID., Opere, cit., 262-63).


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sviluppo «come una curva matematica ha la propria legge e la propria espressioue», secondo l'esempio addotto dallo stesso Newman 22 • Per filosofia qui Newman intende, come nel primo dei Sermoni Universitari23 , non già un determinato sistema, ma lo spirito logico di rigore e di coerenza. Si tratta cioè di «concatenazioni di argomenti mediante i quali l'anima sale dalle iniziali idee religiose fino a quelle definitive»24 • Ora all'interno del discorso religioso, dove fede e ragione s'intrecciano e si compenetrano, si dà tra il movimento della ragione e quello della fede continuità formale, a livello logico, ma discontinuità assiologica, a livello di contenuto. È questa discontinuità che crea la tensione tra ragione e fede, che ne costituisce, è vero, 1notivo di dinamismo e di vitalità, ma che può divenire conflitto e opposizione, qualora un polo prevalga sull'altro e a sé lo assorba. Nell'esito ateistico e nell'esito cattolico sta a monte la stessa parabola logica, ma con contenuti assiologici diversi. Nella parabola ateistica è la ragione a emergere co1ne valore originario e assoluto così da non lasciare spazio alla novità epistemica della fede. Nell'esito cattolico, invece, emerge il valore epistemico della fede, ma dentro una trama e un cumulo di probabilità che rendono ragionevole la fede, senza dissolverla in pura razionalità. «La coerenza è la vita d'un rnovirnento» 25 • La coerenza del movimento che porta all'esito cattolico è quella della fede che, partendo da Dio creatore, di cui la coscienza morale dà chiara testimonianza, passa attraverso la rivelazione storica, per giungere all'accoglimento della Chiesa cattolica romana come il «luogo storico» della verità che salva 26 • 22

ID., Apologia, in Opere, cit., 323. Io., Opere, cit., 463-473. 24 Si potrebbe qui stabilire un confronto, sia pure a distanza, con quanto Kierkcgaard dice del suo Giovanni Climaco: «Innamorato egli lo era, innamorato perdutamente, ma del pensiero o piuttosto del pensare[ ... ] innamorato del 'passaggio dei concetti' in cui i pensieri si concatenavano gli uni gli altri [... ] ascoltava il ·gorgogliare misterioso delle idee [... ] il movimento delle idee gli diveniva quasi visibile: la sua gioia consisteva nel cominciare con un pensiero isolato e, partendo da esso, salire con un movimento logico, di gradino in gradino, sen1pre più in alt~; perché la logica lo rapiva co1ne una 'scala paradisi'>> (S. KIERKEGAARD, Diario, a cura di C. Fabro, III, Morcelliana, Brescia 1980, 101). Cfr. E. PRZY· \VARA, Kierkegaard-New111an, in Newn1an-Studien I (1948), Glock und Lutz, NiirnbergBamberg-Passau, 77-104). ' 25 ].H. NEWMAN, Apologia, in Opere, cit., 313. 26 «Diecimila difficoltà, secondo il mio modo di vedere, non fanno un solo dubbio; difficoltà e dubbi sono elen1enti tra loro incommensurabili [... ]. Di tutte le verità della 23


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Per rispondete ~!te· critichi' mosse a questa pagina,. Newinan, nel 1880, aggiunse una nota alla Grammatica dell'assenso 27 • Nel titolo della nota l'alternativa è posta come «concettuale» (intellectually) e nel testo è dichiarata «astratta» (my abstract alternative). Nella concretezza, invece, della vita i cammini non sono semplici e lineari. Sono spesso «sentieri interrotti». Ci sono interferenze allogene, difficoltà ambientali, remore psicologiche, grumi pregiudiziali, gusti sotterranei, tutto un complesso di elementi che rende l'itinerario esistenziale non coestensivo a quello lineare logico-formale. Newman parla dei vari gradini della scala ascendente o discendente, ma il salire o lo scendere o il fermarsi dipende dalla decisione del singolo. Come risposta globale c'è però tutta la Grammatica dell'amnso, che è opera, tra quelle newmaniane, forse la più sottile 28 • Newman intende 1nostrare come l'assenso di fede è sempre, anche nella persona culturaltnente non evoluta, «grammaticalmente» corretto. Risponde cioè alla correttezza logico-formale. Per questa è sufficiente il cumulo delle probabilità. Ma dietro la correttezza formale, il battito dell'assenso è quello della libertà. Ci sono in Newman espressioni che fanno pensare ad altre quasi identiche di Husserl: andare alle cose in carne e ossa; aprire gli occhi e vedere. Ma per aprire gli occhi e vedere, bisogna volerlo; per andare alle cose stesse, bisogna volerlo. È significativo quanto Husserl dice nel paragrafo 31 del primo libro delle Ideen, cioè che noi esercitiamo l'epoché «in piena libertà» 29 .

fede, è l'esistenza di Dio che a mio 1nodo di vedere presenta le maggiori difficoltà; eppure è quella che con n1aggior forza s'impone al nostro spirito» (ibid., 361). 27 Io., A Gra1nn1ar of Assent, Claiendon Press, Oxford 1985, 318-322: On the alternative intellectually betwcen Atheism a11d' Catholicity (cfr. ID., Gram111atica dell'assenso, cit., 312-318). 28 Cfr. L. KULD; Lcrntheorie dcs Glaubens. Religidses Lehrcn und Lcrnen nach }.!-!. Newmans Phiinomenologie des Glaubensakts, in Newnutn-Studien XIII (1989), dove sembra pertinente, con riferimento al metodo di Newman, l'espressione di «fenomenologia», che era stata usata daJ.D. Holmes e G. Biemer nella presentazione della Gram1natica nella loro antologia di testi newmaniani: Leben als Ringen u1n dù Wahrheit, Griinewald, Mainz 1984, 56-61. 29 E. HUSSERL, Idee per unafenon1enologia pura e per u11afilo.wfiafeno111enologica, trad. it., Einaudi, Torino 1965, 65.


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Il rischio Il dinamismo della fede non è indenne da rischi. Anche la fede corre quei rischi dell'"idea", di cui parla lo Sviluppo della dottrina cristiana 30 • Newman corse un rischio, nel contatto con i "noetici" dell'Oriel College 31 • Il rischio era quello di un liberalismo iniziale che, esaltando la struttura cognitiva della ragione, tendeva a restringere lo spazio della fede, minacciandone la novità epistemica. Era il prevalere della struttura, che in sé assorbiva e vanificava l'evento. E la struttura finiva con il configurarsi essa stessa come l'evento. Era, in Germania, la potente seduzione di Hegel. Nell'Apologia Newman confessa: «La verità è che stavo cominciando a preferire la perfezione intellettuale a quella morale; stavo scivolando verso il liberalismo di moda» 32 • Il liberalismo religioso, che Newman si premura a distinguere dal liberalismo politico dei cattolici francesi 33 , vanificando la fede come evento di libertà e come novità epistemica, illanguidiva anche l'impegno etico che la fede comporta, rendendo emergente e tendenzialmente egemone la perfezione intellettuale. «Per 30, 40, 50 anni mi sono opposto con tutte le mie forze allo spirito del liberalismo in religione» 34 : così Newman ebbe a dire, nel 1879, ricevendo a Roma il biglietto di nomina cardinalizia. Già nella prima opera di grande respiro, gli Ariani del quarto secolo, nel 1833, risuona, nella conclusione, lo squillo vibrante della protesta contro il «Potere Eretico» che intende dominare la Chiesa 35 • 30 «Ma pur ammettendo che essa [l'idea] vada incontro al rischio di corrompersi a contatto con il mondo esteriore, bisogna che una grande idea affronti tale rischio se vuole essere debitamente compresa e, a maggior ragione, se le è proprio il volere realizzarsi co1npletamente. Sono le prove a renderla manifesta e a darle forza di espansione e le lotte che affronta la portano alla perfezione e alla supremazia» (J.l--1. NE\X'MAN, Sviluppo della dottrina cristiana, trad. it., Il Mulino, Bologna 1967, 46). 31 Cfr. T. MERRIGAN, New1nan's Oriel experience: its significancefor his lffe and thought, in Bijèagcn 47 (1986) 192-211. 32 ].H. NE\VMAN, Opere, cit., 149. 33 Cfr. ID., Apologia, in Opere, cit., 403-413, nota 9. 34 Speech of his Eminence Cardinal Ne1oma11 on the reception of the "Biglietto" tJI Cardinal Ho111Jard's palace in Ronte on the 121/J of M~y 1879, Libreria SpithOver, Rome 1879, 6. In seguito così viene definito il liberalismo in religione: «Libcralism in religion is the doctrine that there is no positive truth in religion, but that one creed is as good as another, and this is the teaching which is gaining substance and forse daily. It is inconsistent with any recognition of any religion, as /J"Ue» (ibid., 7). 35 «Così i pericoli attuali da cui è circondata la nostra Chiesa ricordano molto quelli


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Del liberalismo in religione il Traci 73, scritto da Newman nel 1835, metteva in luce l'aspetto razionalistico, in chiara opposizione alla fede 36 . L'insidioso avversario della religione - che, nella sua progressione logica, è uaturale, cristiana, cattolica - è il liberalismo, che esalta la struttura intellettuale e razionale dell'uomo come suprema libertà. L'errore filosofico che, nella prospettiva di Newman, intacca in radice il liberalismo è l'identificazione della libertà con il pensiero. Questo perciò si gonfia, oltre i suoi limiti noetici, come valore originario e assoluto. Il liberalismo, perciò, tende a svuotare la fede del suo volume reale, atipico, per risolverla in contenuto noetico, cioè nozionale. La fede religiosa viene sopraffatta dalla forma noetica, perdendo la carica di paradosso, di rottura, di provocazione 37 . La religione diventa acco1nodante, si piega alle pressioni mondane della politica e del costume. In fondo le stesse espressioni di High Church e di Low Church, come in seguito quella di Broad Church, quali articolazioni dell'anglicanesimo, tradiscono interferenze allogene e denunciano ]'infiltrarsi corrosivo del principio liberale.

del quarto secolo che, conle lezioni offerteci da quel ten1po antico, sono particolannente gioiose ed edificanti per i cristiani di oggi. Ora cotne allora si avverte la possibilità futura, ed in parte la presenza, nella Chiesa di un Potere Eretico che intende don1inarla, esercitando una influenza di varia natura e pretendendo illegittima1nente di nominarne i funzionari e di interferire nei suoi affari interni. Ora con1e allora 'Chiunque cadrà su questa pietra si spezzerà, 1na su chiunque essa cadrà, questi sarà polverizzato'. Possiamo comunque confortarci in parte considerando che, sebbene la tirannia prese11tc sia più insultante di quella che favorì l'ascesa all'arianesimo, essa è però meno scandalosa; e che possiamo rallegrarci della pietà, della prude11za e delle varie virtù dei nostri reggitori spirituali, confidando che, se la inano di Satana dovesse stringerci dolorosamente, ci verrebbero concessi, al momento opportuno, un nuovo Atanasio ed un nuovo Basilio per spezzare le catene dell'Oppressore e liberare i prigionieri» (J.H. NE\VMAN, Cli Ariani del quarto secolo, trad. it., Jaca Book Morcelliana, Milano-Brescia 1981, 298). 36 Il Traci 73 venne più tardi ripubblicato con il titolo On the lntroduction o/Rationalistic Pri11nj1les into Revea!ed Religione inserito in EsJrrys Critica! and 1-listorical, 1870. Cfr. gli estratti in: I. KER, Ncwman thc Theologian, Collins, London 1990, 75-80. 37 «Ora, per liberalismo io intendo la falsa libertà di pensiero, cioè l'esercizio del pensiero su argomenti nei quali, per la struttura della mente un1ana, il pensiero non può raggiungere risultati soddisfacenti, ed è perciò fuori posto. Argomenti di questo tipo sono i primi principi di qualsiasi genere; e i più sacri ed in1portanti di tutti sono da considerarsi le verità della Rivelazione. I! liberalisn10 è dunque l'errore di assoggettare al giudizio un1ano quelle dottrine rivelate che per la loro natura !o trascendono e ne sono indipendenti, e di pretendere di determinare con criteri interni la verità e il valore di proposizioni la cui accettazione si fonda puramente sull'autorità esterna della Parola di f)io» (J.H. NEWMAN, Apologia, in Opere, cit., 405).


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Nelki Speech del 1879, il vecchio cardinale par\e;l di «grande apostasia»38, quasi riecheggiando, a distanza di tanti anni e in situazione di confessione religiosa diversa, l'espressione usata da J. Keble nel celebre discorso del 14 luglio 1833, sull'Apostasia nazionale, con il quale Newman fa iniziare il movimento di Oxford 39 • Al principio liberale che, in una forma o nell'altra, può essere ricondotto al principio dell'egemonia della struttura, Newman oppone il principio dogmatico, il riconoscimento cioè dell'oggettività e della trascendenza del dogma, come evento della libera e sorprendente iniziativa divina40. Il principio dog1natico è "storico", mentre il principio liberale è "strutturale". Ne discende, perciò, la conseguenza che la fede, come evento di libertà, si salda con il principio dogmatico, mentre è vanificata dal principio liberale. Anche il "modernismo", che esplose dopo la morte di Newman e che cercò di ipotecare, come suo ispiratore, il pensiero di lui, potrebbe essere ricondotto, in certa maniera, al liberalismo religioso e in tale luce forse sarebbe stato visto e valutato da Newman 41 • La pericolosa tendenza infatti del modernismo, condannato dalla Pascendi, era da individuarsi nell'enfasi data alla struttura del soggetto - la coscienza, il sentimento, l'esperienza - che in sé fagocita l'oggettività del mistero. 38

Speech, cit., 8. 39 «[ ... ] la domenica successiva, 14 luglio, Keble predicò l'Assàe Sermon dal pulpito universitario. Fu poi pubblicato col titolo di National Apostasy. Ho sempre ricordato e considerato quel giorno co1ne la data d'inizio del 1novimenlo religioso del 1833» (J.H. NEWMAN, Apologia, in Opere, cit., 172). 40 «In primo luogo, v'era il principio del dogma. La mia battaglia era contro il liberalismo, intendendo con questo termine il principio antidogmatico ed i suoi sviluppi [... ]. Ma a proposito di questo primo punto ho la soddisfazione di sentire che non ho nulla da ritrattare, nulla di cui pentinni. Il principio fondamentale del movimento mi è ora altrettanto caro che in passato. Ho cambiato in molte cose, n1a non in questa. Dall'età di quindici anni, il dogma è stato il principio fondamentale della mia religione; non conosco altra religione, né riesco a capire co1ne potrebbe essere; una religione di puro sentimento è per n1e un sogno ed una beffa. Una devozione senza la realtà d'un Essere supremo è co1ne l'a1nore filiale senza la realtà d'un padre. Ciò che pensavo nel 1816, lo pensavo nel 1833, e lo penso nel 1864. Se Dio vuole, continuerò a credervi fino alla fine» (ibid., 184-185). 41 Cfr. AA.-Vv., Newn1an and the Modernists, ed. by Mary Jo Weaver, University Press of A1nerica, Lanham, New York, London, 1985. Cen hu1nour la curatrice così conclude la prefazione: «Hopeful that Newman s1niles kindly both on this work and on that ofhis interpreters, the Modernists [... ]».La genialità di Newtnan è inf3.tti così personale da non farsi catturai-e dentro nessuno schema definito. Cfr., pure }.H. Ne1&ma11 and MtJdernis1n, ed. by A.H. Jenkins, Newman-Studien XIV, Glock und Lutz, Sig1naringendorf 1990.


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Può sembrare paradossale, ma è coerente, che il principio dogmatico, che caratterizza l'intransigenza ill.iberale di Newman nel campo religioso, gli consenta poi posizioni "liberali" nel campo della cultura e dell'educazione42. Il fatto è che il principio dogmatico, che è affermazione dell'evento di libertà del mistero che si rivela, si può coniugare, per interiore consonanza, con ogni forma autentica della libertà umana. Il principio di autorità, legato al principio dogmatico, non si irrigidisce in forme di autoritarismo che ledono quel nucleo originario della libertà che è la libertà della coscienza 43 • La quale libertà, pur essendo nel soggetto, non è soggettività, giacché si inscrive nella oggettività della legge morale. Myself and my Crea/or: ma il myself, con tutto il suo spessore soggettivo, si radica e si sostiene sulla oggettiva trascendenza del my Creator.

La catarsi Nei diari privati Newman ricorda tre significative malattie nella sua vita, in quanto accompagnate da crisi spirituali 44 . La prima del 1816, legata alla sua «intima conversione»; la seconda, nel 1827, accompagnata dalla morte della sorella Mary, durante la quale si effettuò il suo distacco dal liberalismo. La terza del 1833, in Sicilia. La malattia in Sicilia fu la più grave, in quanto la violenta febbre tifoidea, che lo sorprese a Leonforte, lo portò sul limitare della morte e fu, per c~rti versi, la più emblematica. La malat,tia cioè come momento catartico nel dinamismo della fede. Si trattò veramente, come è stato osservato, di una «avventura spirituale»45. Tratti di questa - «ma ci furono cose - come annota lo stesso Newman - che non amo mettere in carta» - furono da lui consegnati a uno speciale diario, iniziato nel 1834, ma ripreso varie volte, con precisa42 Cfr. specialmente J.H. NEWMAN, l 'tdea di Università definita e illustrata, in Opere, cit., 731-953. 43 Cfr. A Letter AddreJsed lo His Grace the Duke of No1folk on occasion ofMr. Gladstone's recent expostulation (1875), in Io., Certain Dif]icultiesfelt by Anglicans in Catholic Teaching, II, 1866. 44 Cfr. ID., Écrits autobiographiques, cit., 370; 422-424. 45 Cfr. X. TILLIETTE, New1nan en Sicile. Une aventure spirituelle, in AA.-Vv., Luce nella solitudine. Viaggio e crisi di Newman in Sicilia 1833, Ila Palma, Palermo 1989, 271-286. Cfr. pure, nello stesso volume, G. CR!STALDI, Vissuto efCde nell'esperienza siciliana di ).H. Newman, 74-101.


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zioni e aggiunte, fino all'ultima nota in data 24 aprile 1874 46 • Fu ripreso, cioè, sia da anglicano che da cattolico. Diario singolare. Diario esistenziale. Pur dentro una sommaria linea cronologica, pur con fugaci ma intensissimi scorci paesistici, senza alcun cedimento a ricordi mitici che quella terra pur poteva suscitare, l'attenzione si concentra tutta nel tempo interiore della coscienza, percorsa da lucidi e talora impietosi sguardi sulla propria fede così povera di amore, in un primo tempo come atterrita dalla «guerra che Dio gli moveva contro», poi pacifica e come esaltata nella confortante visione della misericordia di Dio. Ma tra i sussulti della febbre implacabile e tra le angosce dello spirito, che si vedeva come «Un pezzo di vetro che trasmette il calore pur essendo freddo», ritornavano insistenti due motivi: «non ho peccato contro la luce»; «Dio mi riserba un'opera da compiere in Inghilterra». L'esperienza siciliana ha il tono e la vibrazione di una nuova conversione. Conversione nel dinamismo della fede, come passaggio da una fede insidiata dalla caparbietà dell'orgoglio a una fede disponibile alle novità di Dio. Le nuove vie di Dio erano quelle del ritorno in patria, dove stava per nascere quella grande avventura spirituale che fu il movimento di Oxford. La lezione della storia

«Non sono stati i cattolici a farci cattolici. È stato Oxford a farci cattolici [... ].Oxford de facto paidag6gos verso la Chiesa" (into the Church)". La pedagogia oxoniense è costituita dalla grande lezione della storia: lo studio dei padri e dell'antichità cristiana. Ci fu pure lo studio appassionato e inquieto dei Caroline Divines 48 • Ci fu pure l'impegno attuale, intellettuale e apostolico dei Tracts for the Times. In questa fase, fervida di ricerche e di dibattiti, la riflessione di Newman si volge a ciò che può essere chiamato il «polo oggettivo" del dinamismo della fede, cioè al "contenuto" dogmatico e proposizionale della fede stessa. Però questo polo oggettivo è considerato non in una estrapolazione astratta, ma dentro il travagliato svolgersi della storia. Si tratta, cioè, del polo "oggettivo-storico" della fede. 46 J.I-1. NEWMAN, My Illness in Sicily, in Malattia di Sicilia, cii'., 162-211. Io., Letters and Diaries (a cura di St. Dessain), t. 19, 352. 48 Caroline Divines erano i teologi del sec. XVII, vissuti all'epoca di Carlo I e di Carlo II, come R. Hooker, W. Laud, E. Stillingfleet ecc. A questi teologi, più che ai primi riformatori, si ispirava il n1ovimento di Oxford. 47


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Il tema centrale diventa quello della "tradizione", sia in relazione alla Sacra Scrittura, che viene sempre considerata norma fondamentale e assoluta della fede, sia in rapporto al vario e variegato insegnamento e alla prassi della Chiesa. Nelle Lectures on the Prophetical Office of the Church del 1837 49 , che sono come l'esito di una sofferta e tesa elaborazione, nella quale si inscrivono i dibattiti con I' Abbé Jean-Nicolas Jager e con l'amico carissimo Richard Hurrel Froude 50 , emerge la distinzione tra «tradizione episcopale o apostolica)> e «tradizione profetica». La prima costituisce una linea continua e ininterrotta, garantita dal carisma dell"'indefettibilità", che Newman chiama talora anche «infallibilità» 51 ; la seconda è sì come un'irradiazione della prima, ma in cerchi via via dispiegati, che possono anche conoscere zone di ombre non immuni dalla possibilità di errore. Si distinguono così le dottrine di fede propriamente dette, garantite dalla tradizione apostolica, e le «dottrine fondamentali»~ come venivano chiamate dai Caroline Divines - cbe costituiscono il nucleo della tradizione profetica. Newman riteneva dì essere confortato, nelle sue prospettive, dalla dottrina dei padri. Ma fu proprio lo studio dei padri a fargli rilevare, non senza angoscia interiore, che la Via Media esisteva solo sulla carta 52 , mentre la concreta realtà della storia mostrava un'altra via. Era la via della continuità apostolica, come sviluppo coerente e omogeneo, quale storicamente si mostrava nella Chiesa cattolica romana. La lezione della storia urgeva, allora, come dovere di coscienza. Affinché la fede si esprimesse correttamente anche nel suo polo oggettivostorico. È questo il significato della conversione del 9 ottobre 1845 53 • 49 L'opera venne ripubblicata da Newman, in terza edizione, come primo volume della Via Media of the Anglican Church, London 1877. 50 Per la ricostruzione della vicenda cfr. ]. STERN, Bible et Tradition chez Newman. Aux origines de la théorie du développenient, Aubier, Lyon 1967 (spec. c. V, 99-141). 51 Cfr. ibid., 119-121. 52 «Anche se la Via 1nedia fosse stata un sistema religioso così definito, non era ancora una realtà oggettiva: non v'era da nessuna parte un originale del quale fosse la rappresentazione. Per il momento era una religione cartacea» (J.H. NEWMAN, Apologia, in Opere, cit., 202). In Certain Dijfìcultiesfelt bJ1 the Anglicans in Catholic Teaching I (1850), aveva scritto; «the very badge of Anglicanism, as a system, is that it is a Via 111edia; this is its lifc; it is this, or it is nothing; deny this and it forthwith dissolves into Catholicism or Protestantism» (J. STERN, op. cit., 105, nota 17; il brano di quest'opera di New1nan viene citato dalla edizione del 1901, p. 374). 53 «[ ... J Il problen1a è sen1plicemente questo: posso io (è una questione personale, che non riguarda altri che me), posso io salvarmi nella Chiesa d'Inghilterra? Sarei salvo, se


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Intenzionalità cristologica

È stato notato, non senza sorpresa, un certo silenzio cristologico nel primo Newman. Nel resoconto della prima conversione, nel 1816, fatto nell'Apologia, manca ogni riferimento esplicito alla realtà di Cristo. Il pensiero si concentra, come riposando, sui soli esseri luminosamente evidenti: myself and my Creator. Eppure quella conversione si era svolta nel clima dell'Evangelicalism, in cui la presenza di Gesù era molto sentita. Anche nel resoconto della malattia e della crisi in Sicilia, nel maggio 1833, manca il riferimento a Cristo. Eppure nel vortice dell'angoscia spirituale, l'immagine del Crocifisso sarebbe riuscita d'immenso conforto. Anche nei primi sermoni parrocchiali i richiami cristologici sono per lo più indiretti e sobri. Bisogna arrivare al 25 dicembre 1834 per avere, a soggetto del ser1none, l'incarnazione 54 . In merito a tale argomento Jean Guitton ha recentemente detto: «Newman non studiò particolarmente il Cristo perché non cessò mai di essergli fedele» 55 . Forse anche questo è vero. Ma si può pure individuare un dinamismo psicologico, di coscientizzazione cioè del dinamismo intrinseco della fede. Nella conversione del 1816, come passaggio da una fede nozionale a una fede reale, e nell'esperienza siciliana del 1833, come passaggio da una fede insidiata dall'orgoglio a una fede disponibile alle novità di Dio, il morissi stanotte? È per me un peccato mortale non passare ad un'altra comunione?» (da una lettera del 7 novembre 1844). «Avevo iniziato il mio Essay on the Development of Doctrine ai primi del 1845, e per tutto l'anno vi lavorai intensamente. Col procedere del lavoro, i dubbi mi si chiarirono, e smisi di parlare di 'cattolici ron1ani', chiamandoli senz'altro 'cattolici'. Prima di completare l'opera decisi di entrare nella Chiesa cattolica, ed il libro è rimasto al punto di allora, incompiuto. Uno dei miei amici di Littlemore era stato accolto nella Chiesa il giorno di san Michele, nel convehto dei Passionisti di Aston, vicino a Stone, dal superiore, padre Domenico. All'inizio di ottobre quest'ulti1no doveva passare da Londra, diretto in Belgio; ed avendo qualche dubbio sui passi da fare per essere ammesso anch'io, aderii alla proposta che 1ni fu fatta, che il buon prete passasse da Littlcmore nell'intento di renderrni lo stesso caritatevole servizio che aveva reso al mio amico» (Io., Apologia, in Opere, cit., 353, 356). 54 lo_, Parochial and Plain Sern1ons, lgnatius Press, San Francisco 1987, 242~250. 55 J. GUITTON, il Cristo della mia vita, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1988, 169. Si tratta di un 'intervista, che non si può dire sempre felice. Oltre a qualche errore storico (la prima conversione posta a diciassette anni, p. 168; farsi consacrare vescovo, p. 167; l'assenza di Cristo nel Sogno di Geronzio, p. 169), è rilevabile pure qualche contraddizione (p. 171).


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pensiero si concentra su Dio, sull'assoluto e trascendente mistero, che si fa presente alla coscienza, la scuote, l'interpella, la chiama. Durante il periodo del movimento di Oxford, il pensiero si concentra, preoccupato, sulla Chiesa come luogo "profetico" della trasmissione della verità che salva. Anche qui non si esplicita l'intenzionalità a Cristo. Il riferimento dominante è all'Onnipotente Dio (Almight God), che nella Chiesa ha costituito apostoli e profeti, con diversi ma convergenti compiti, così da formare come un corpo di verità, mentre il loro insegnamento avvolge la Chiesa come un'atmosfera"Ma nel fervore dello stesso movimento trattariano, Newman pubblica le mirabili Lectures on the Doctrine of]ustification 57 , che indicano come il punto assiale del dinamismo della fede la realtà personale di Cristo Gesù. Opera teologica, ma non di teologia nozionale. Si tratta di un pensare teologico, che è nreale", perché si nutre del mistero, che concretamente si rivela all'uomo sulle strade della sto;ia e negli spazi dell'esistenza. «Quando parlo di fede - scrive Newman -- non parlo di una definizione astratta, d'una creaziç>ne dello spirito, ma di qualcosa di concreto. Mi attengo alle realtà, non alle parole. Intendo studiare la fede come la si incontra nell'anima, dove essa non è una grazia isolata, distinta dalle altre, così come un uomo non è un ritratto. L'uomo ha una profondità, una ampiezza, uno spessore che mancano alla tela; la fede partecipa ad una vita interiore che sporge sopra la sua definizione; unita a questa vita, la fede non è un'astrazione, essa ha un cuore, sangue, nervi» 58 • Proprio perché il pensare teologico è "realista", esso nello studiare la fede, che del pensiero teologico è il principio genetico e sostenitore, non può assolutizzare la fede stessa, dandole uno spessore di fine, ma ha da coglierne l'intenzionalità che è Cristo. Polemizzando con la sola fide luterana, Newman mostra come la fede deve essere una «trasparenza attraverso la quale l'anima vede il Cristo. Essere giustificati dalla fede significa 56 Cfr. Lecture 10, in J.H. NEWMAN, The Prophetical Office of the Church, riportata in I. KER, Newman the Theologian. A Reader, Collins, London 1990, 81-83. 57 Le Lectures on the Doctrine ofjustification furono pubblicate nel 1838, in III ed. nel 1874. Qui le citazioni sono fatte secondo l'edizione Longmans, London 1924. 58 «When I assign an office to faith, I am not speaking of an abstraction or creation of the mind, but of somcthing existing. I wish to dea! with things, not with words. I do not look to be put off with a na1ne or a shadow. I would treat of faith as it is actually found in the soul; and I say it is as little an isolated grace, as a man is a picturc. It has a depth, a breadth, and a thickness; it has an inward life which is·something aver and above itself; it has a heart, and blood, and pulses, and nerves, though not upon the surface» (ibid., 265).


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vedere Cristo e possederlo; riflettere su questa giustificazione potrebbe anche comportare il rischio di perdere di vista il Cristo» 59 • Il pensare teologico s'innerva nella vita teologale, dove la fede è vita operosa e produce frutti di santità. Se i padri, osserva ancora Newman, non sono freddi, mentre lo sono i sapienti, è perché i primi scrivono in prima persona, coinvolgendo la propria vita, mentre i secondi scrivono da logici o da polemisti 60 . Il pensare teologico dice concreto riferimento alle "realtà" della fede, che Newman chiama una volta il «sistema di Dio». Il punto assiale di questo sistema è, nella concretezza della storia, Cristo Gesù. Più che teologico-speculativa, la concetrazione cristologica in Newman si fa impegno di vita, sgnardo contemplativo, anelito di preghiera. Da cattolico egli consacrerà il sedicesimo dei Discourses to Mixed Congregations ai «dolori mentali di Nostro Signore nella sua passione» 61 e il medesimo tema tornerà in Meditations on Cristian Doctrine62 • La luce benigna cui, dopo la sconvolgente malattia in Sicilia, si rivolgeva il giovane fillow del!' Oriel College, per intraprendere un nuovo cammino (Lead, kindly Light, lead Thou me on), quella luce assume il volto, il cuore, la realtà di Gesù. «The light, O Jesus, will be al! from you. It will be you who shines trough me upon others» 63 •

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«The Pharisee recounted the signs ofGod's mcrcy upon and in 1-litn; the Publican simply looked to God. The young Ruler boasted of his correct life, but the penitent woman anointed Jesus' feet and kissed them. Nay, holy Martha herself spoke of her 'tnuch service'; while Mary waited on Hi1n far the 'one thing needful'. The one thought ofthe1nselves; the others thought of Christ. T o look to Christ is to be justified by faith; to think of being justified by faith is to look fro1n Christ and to fall from grace. He who worships Christ and works for Hiin, is acting out that doctrine which another does but enunciate; his worship and his works are acts of faith, and avail to his salvation, because he does not do thcm as availing» (ibid., 339). 6 Cfr. O. DE BERRANGER, Dogme et existence dans l'oeuvre de Newn1an, in Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques 58 (1974) 3-40: 31. 61 J.I-1. NE\VMAN, The f(ingdo1n Within. Discourses to Mixed Congregalions, Di1nension Books Inc., Denville 1984, 323-341. 62 Io., Prayers, Verses and Devotions, Ignatius Prcss, San Francisco 1989, 341-345. 63 V. BLEHL (a cura di), A Newman Pra)1er Book, Oratory, Birminghain 1990, 8.

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Il nodo ecclesiologico

L'intenzionalità a Cristo porta con sé l'intenzionalità alla Chiesa. Qui però l'intenzionalità si articola a un duplice livello. A livello radicale, come intenzionalità trascendentale alla Chiesa come tale, in quanto fondata e sostenuta da Gesù Cristo. A livello storico, come intenzionalità categoriale al «luogo storico", in cui la Chiesa si configura ed emerge. Il «dubbio serio", che colse e angosciò Newman, non fu un dubbio di fede, ma un dubbio storico. Storicamente constatò, non senza sofferto turbamento, che la Chiesa d'Inghilterra non era in continuità con la Chiesa delle origini, mentre questo lo poteva rivendicare per sé la Chiesa di Roma. Era la stessa intenzionalità radicale a richiedere il mutamento dell'intenzionalità categoriale. Era lo stesso dinamismo della fede a richiedere la correzione di rotta. Il passaggio di Newman dall'anglicanesimo al cattolicesimo fu, per un verso, "rottura", a livello storico-giuridico ma, per un altro verso, in

forza dell'intenzionalità trascendentale alla Chiesa, fu "continuità" e "sviluppo". L'implicito "che, per le segrete fecondazioni della grazia e anche per la stessa pregnanza della teologia carolina, viveva nell'anglicanesimo, venne reso esplicito nella professione romana.

Sarebbe fuor di luogo, e anche furoviante, parlare di inopportunità dal punto di vista ecumenico. Quando è interpellata la coscienza, non valgono le ragioni dell'opportunità, ma solo quelle del dovere. Per Newman fu un caso di coscienza. Anche qui: solus cum Solo. Nel segreto della coscienza, nella scommessa della libertà. Nella conversione al cattolicesimo, come viene riprCsa sincronicamente nel quinto capitolo dell'Apologia, il problema centrale appare la Chiesa come «luogo storico" della verità che salva. Ma la Chiesa in tanto vale e conduce a salvezza, in quanto è istituita e sostenuta da Cristo. E scrivendo, la vigilia della sua immissione nella Chiesa cattolica romana, agli amici carissimi, diceva di entrare nel «unico Ovile del nostro Redentore»64.

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J.H. NEWMAN, Apologia, in Opere, cit., 356-57.


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La presenza di Maria

Nel delizioso mese di maggio, dettato per l'oratorio di Birmingham, una meditazione è rivolta alla Madonna come «stella del mattino». Ma subito Newman aggiunge: «Maria ha la prerogativa di essere la Stella del mattino, perché Lei annuncia il Figlio. Quando Lei appare tra le tenebre, sappiamo che Lui è vicino. Egli è l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine. 'Ecco io vengo presto. Amen. Vieni Signore Gesù'» 65 . In lui, nel Cristo Gesù, che è il punto assiale, il dinamismo della fede si esalta e, in certa guisa, si consuma.

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ID., Prayers ... , cit., 179.


L'APPORTO AL DIALOGO !SLAMO-CRISTIANO DEL "PERSONALISMO MUSULMANO" DI M.A. LAHBABI

ENRJCO PISCIONE"

1. Introduzione Gli studi di carattere generale sulla corrente personalistica si sono poco occupati del contributo filosofico di un pensatore contemporaneo, il marocchino Mohamed Aziz Lahbabi, che ha elaborato nel volume che reca l'omonimo titolo\ una forma originale di "personalis1no musulmano". Esso, proprio in quanto si presenta intenzionalmente aperto ad accogliere l'apporto della rivelazione musulmana e non poco debitore nei confronti del personalismo di Emmanuel Mounier, ha il carattere di una riflessione religiosa intimamente ispirata dal dato coranico e riespressa col linguaggio e con l'apparato categoriale del movimento personalistico francese, di cui peraltro Lahbabi è un profondo conoscitore'. L'impiego delle categorie proprie della tradizione filosofica personalistica non vanifica, però, lo sforzo teoretico più significativo del nostro autore che non consiste tanto nell'individuazione per via puramente filosofica dei dati fondamentali della condizione umana, quanto in un procedimento riflessivo che tenta di mostrare, passo dopo passo, come la rivelazione coranica illumini l'intera indagine speculativa, che si qualifica pertanto come una sorta di naturale propedeutica alla verità rivelata.

'' Docente nei Licei. Diamo le indicazioni' esatte del volume ed avvertiamo che la traduzione dei brani tratti da esso e presenti nell'articolo è nostra. M.A. LAHBABI, Le personnalisme 1nusulman, Presses Universitaires de France, Paris 1964. 2 Lahbabi ha dedicato un intero capitolo all'evoluzione del concetto di persona nel suo libro filosoficamente più significativo. M.A. LAHBABI, De l'Etre J la penonne, Essai de personnallis1ne réaliste, Presses Universitaires de France, Paris 1954. 1


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2. La nozione di persona nella cultura musulmana Prima di soffermarci su alcune delle più significative categorie del personalismo di Lahbabi, sarà bene osservare coll'autore stesso che la nozione di persona ha assunto nel mondo arabo un significato nuovo e stabile proprio all'interno dell'esperienza religiosa musulmana. L'idea di persona sarebbe nata colla prima affermazione storica dell'Islam allorché il fedele musulmano, andando al di là dell'egocentrismo tribale dell'Arabia pre-islamica, prese coscienza di sé come appartenente alla unzma, ossia la comunità dei credenti che costituì per i primi musulmani il vivente superamento delle angustie razziali della tribù. Alla realtà del clan che non dava alcuno spazio alla personalità umana ed al suo armonioso sviluppo, il dato coranico ha contrapposto l'affermazione che ciascun uomo è «un esemplare di una medesima opera divina» 3 , anzi, più precisamente, un esemplare unico, a prescindere da qualsiasi condizionamento etnico, linguistico e religioso. Fatte queste puntualizzazioni storiche, Lahbabi, riprendendo da vicino, come già si accennava, l'impianto teorico del personalistno di Mounier, ritiene che un individuo si eleva alla dignità dell'essere personale quando coglie se stesso come coscienza incarnata ed impegnata a realizzare l'unicità del suo destino umano. Già questa prima tesi per l'autore si giustifica sul piano più squisitamente religioso-dogmatico. La scoperta filosofica dell'unicità irrepetibile della persona umana viene a trovare, infatti, la sua ragione d'essere proprio nel punto focale della rivelazione coranica: l'unicità di Dio. Una tale acquisizione di fondo permette, fra l'altro, di respingere come eretica la dottrina averroistica di un'anitna co1nune alla specie umana, dottrina questa che, mutuata più dalla tradizione greca che dal testo coranico, negherebbe di fatto l'unicità riservata dalla rivelazione musulmana soltanto a Dio. È opportuno adesso seguire il ricco excursus storico-filosofico sul termine persona fatto da Lahbabi che ci consente di accostarci ad un altro elemento, forse il più originale, del suo personalismo, ossia la categoria di testimonianza. Se in' occidente il concetto di persona è passato dal suo significato originario di rrmaschera" alPaccezione che da Boezio in poi viene comunemente data a questo termine attraverso un non semplice iti3

M.A.

LAHBAFll,

Le personnalisnze n1usuln1an, cit.,

7.


L'apporto al dialogo islamo-cristiano

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nerario teologico-speculativo, nella cultura musulmana il problema non ha avuto uno sviluppo meno complesso. Oggi la parola araba impiegata per indicare la persona è shakhç, mentre nel Corano è usato il termine wadjh (viso, faccia) che ben presto ha assunto l'accezione figurata di sguardo. È di certo interessante capire come

si sia potuto stabilire un nesso di sinonimia fra wadjh (viso) e shakhç (persona). La coincidenza semantica fra i due termini ha per Lahbabi questa spiegazione: il viso, racchiudendo i tratti personali di ciascun uomo e, perciò, anche la lingua che è l'organo della comunicazione, viene a coincidere tout court con la persona, la cui caratteristica fondamentale risiede nella capacità di testimonianza che, come già si ricordava, costituisce la

nozione più originale del personalismo musulmano di Lahbabi o, per dirla con lo stesso autore, la sua «sostanza nutritiva» 4 .

3. La categoria di testimonianza

Il nucleo centrale del volume Il personalismo musulmano ruota dunque attorno alla categoria di testimonianza di cui Lahbabi offre un'ampia delucidazione filosofica. La testimonianza, in arabo shahdda, si precisa subito come quell'atto per cui gli esseri umani di fede musulmana concepiscono la vita come un continuo rimando all'esistenza del loro Creatore,

alla sua unicità e alla sua onnipotenza. Proprio attraverso l'esercizio della testimonianza, la persona perviene alla più con1piuta definizione di sé come «una totalità cosciente di se stessa in quanto un io impegnato per e

nella shahàda» 5. L'approfondita indagine sulle varie valenze filosofiche della shahàda conduce innanzitutto l'autore a scoprire di essa la struttura bipolare, per-

ché la testimonianza presenta appunto due poli: da un lato rinvia all'esistenza di Dio e, dall'altro, alla puntuale realtà della persona che è interiormente consapevole dell'infinita distanza che la separa dal divino. La sha-

hdda costituisce dunque, se così ci si può esprimere, la zona di frontiera fra la trascendenza e ]'immanenza, conferendo un'ulteriore dignità eticoontologica all'essere personale. Analizzando la nozione di testimonianza Lahbabi individua un 4 Jbid., 5

41. lbid., 28.


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nesso strettissimo fra essa e la dimensione intersoggettiva della persona, dato questo che verrà acutamente confermato dal confronto che l'autore si impegna a fare fra la shahdda e il cogito cartesiano. La testimonianza ricorderebbe, dunque, il cogito cartesiano, benché si tratti di un cogito, in qualche modo, rovesciato: mentre infatti nella shahdda il punto di partenza è Dio e da Dio si è rimandati all'io-che-testimonia, nel procedimento cartesiano si va dal dubbio al mondo, attraverso la mediazione dell'idea dell'infinito. Questo dissimile procedimento di metodo ha delle conseguenze gnoseologico-ontologiche notevolmente diverse: a differenza, infatti, del cogito cartesiano che ci dà notizie sull'attività del nostro

pensiero svalutando la percezione dell'essere altrui e chiudendosi in un insormontabile solipsismo, la shahdda si rivela, invece, come un io che medita ma le cui meditazioni sono strutturalmente aperte a dei rapporti

fondamentali, come le due relazioni dell'uomo con Dio e dell'uomo con gli altri uomini. Si può dunque affermare che, attraverso la testimonianza, la persona avverte in sé la compresenza di Dio e dei suoi simili. La shahdda ha anche il merito di costituire una conferma di un dato di fondo accettato dalla gnoseologia di Lahbabi, ossia la non immediatezza della coscienza umana giacché, secondo l'autore, si conosce se stessi, solo nell'atto in cui si diviene consapevoli di qualcosa che è al di fuori di noi. Infine una riflessione sul contenuto religioso della shahdda fornisce argomenti al nostro filosofo per difendere il "personalismo musulmano" dalle due grandi obiezioni che comunemente gli si muovono quando si considera la condizione della donna a tutt'oggi presente nel mondo islamico e quella degli schiavi che fu propria delle origini dell'Islam. Prendendo in esame il primo rilievo critico, Lahbabi osserva che fra uomo e donna non vi sono ineguaglianze ontologiche, ma solo differenze di statuto giuridico e che la shahdda, comunque, offre ai due sessi una identità fondamentale nella dignità del loro essere personale. Alla seconda obiezione che si precisa come una denuncia del fatto che la tradizione musulmana non abbia soppresso, sin dai suoi inizi, a.nche sul piano dottrinale e pratico la schiavitù, l'autore controbatte che lo schiavo e l'uomo libero hanno per il Corano egualmente un'anima della stessa essenza e creata 'dallo stesso Dio. Da ciò deriva che la diversità in-

stauratasi fra schiavi e liberi non è d'ordine metafisico, ma contingente perché, anche in questo caso, ci si troverebbe di fronte soltanto ad una


L'apporto al dialogo islamo-cristiano

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differenza di statuto giuridico. Dal suo punto di vista, poi, Lahbabi per dare maggiore consistenza alla sua argomentazione aggiunge che gli schiavi non-musulmani, se si convertivano all'Islam, acquistavano attraverso la shahdda la loro libertà intera. Discende da qui l'affermazione di principio secondo cui la professione di fede avrebbe di fatto la forza emancipatrice del diritto.

4. L'unità della persona Il ''personalismo musulmano", come ogni forma di personalismo, ha la pretesa di offrire una visione armoniosamente unitaria della persona.

Secondo il nostro autore, l'unità della persona è teoreticamente giustificata quando si evitano gli opposti limiti di una antropologia materialistica e di una angelistica e si presenta l'essere umano come una sintesi

mirabile di tinge e di béte. L'unitarietà strutturale della persona umana non può nemmeno ac-

cettare alcuna forma di dualismo dell'io, sia che essa prospetti kantianamente una distinzione fra un io empirico ed un io trascendentale, sia che

essa riproponga la dottrina bergsoniana di una differenza fra l'io profondo e l'io superficiale. Respingere la visione dualistica dell'io di un Kant e di un Bergson ha l'indubbio vantaggio speculativo di far comprendere meglio come l'essere personale sia un delicato punto d'equilibrio fra due elementi, il corporeo e lo spirituale, che vanno armonizzati in una unità sempre più profonda.

L'antropologia religiosa del nostro autore si sofferma non poco sulla tesi che la persona è «potere d'auto-unificazione e, in seguito, attività d'auto-

creazione a partire dai dati creati da Dio e secondo principi che Egli ha stabilito e trasmesso attraverso la mediazione dei Profeti-Inviati» 6.

Se dal piano antropologico si passa ora a quello propriamente etico, Lahbabi, facendo suo il principio coranico secondo cui «ogni anima è responsabile soltanto di sé>», affida alla persona solo la responsabilità delle sue azioni ed è ben lontano dall'affermazione, tipicamente cristiana, che l'uomo possa assumersi, in libertà di spirito, il peso del suo simile. Nell'orizzonte del personalismo musulmano, come è del tutto as6

lbid., 51.

7

Corano, VI, 164, citato dall'autore.


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Enrico Piscione

sente la nozione cristiana di comunione, così sono completamente svalutate le categorie etiche di intercessione, sostituzione e di compassione riparatrice. Categorie queste che al nostro antore appaiono addirittura dei disvalori contrari alla nozione stessa di persona che si connota - lo abbiamo appena ricordato - come libertà creatrice e confidente nei suoi atti. Anche la relazione uomo-mondo viene prospettata dal Lahbabi in termini positivi. Il nostro autore, fedele alla tradizione musulmana che è su questo teina refrattaria a farsi permeare da influssi neo~platonici o gnostici, non considera la natura e il corpo come male. Corpo e materia sono anzi, secondo Lahbabi, realtà correlative e complementari della dimensione spirituale. Esposta, a grandi linee, l'antropologia filosofica del pensatore personalista marocchino, vorremmo notare che essa è impregnata di un ottimismo di fondo. Ottimismo che spinge Lahbabi, nelle pagine finali del volume che stiamo esaminando, ad ingaggiare una troppo dura ed ingiusta polemica contro la dottrina biblica del peccato originale, argomento su cui non possiamo non fer1narci in inodo più analitico.

5. Il peccato originale e "/'universo della colpa" Forse riuscirà chiarificatore, prima di riferire le argomentazioni dell'autore contro la visione cristiana della colpa di Adamo, svelare l'intenzione che sottende le pagine conclusive de Il personalismo musulmano. Ci sembra che essa possa esprimersi in questi termini: il racconto biblico che presenta il peccato di Adamo come un'orgogliosa rivolta alla volontà di Dio, avrebbe un aspetto così intensamente drammatico da relegare il cristianesimo in ciò che Lahbabi chiama «l'universo della colpa». Il discorso, a questo punto, diviene estremamente complesso, perché i1nplica, in ultima analisi, un confronto fra le due rivelazioni, terreno su cui, in qualche modo, il nostro autore s'incammina e sul quale noi vorremmo seguirlo per comprendere quale dei due dati rivelati spieghi di più e meglio, per dirla con Pascal, "l'enigma-uomo". Seguendo con animo sgombro da pregiudizi il ragionamento dell'autore su una tale affascinante problematica, ci accorgiamo che egli insiste molto, e con certo rigore argomentativo, nel sostenere che se la colpa di Adamo, così come è prospettata dalla rivelazione cristiana, fosse vera, noi uomini saremmo responsabili di quanto non abbiamo commesso e


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trascineremmo il peso del peccato di cui si sono macchiati soltanto i nostri progenitori. Nell'universo della colpa in cui, come già si è fatto cenno, il cristianesimo rientrerebbe, verrebbe istruito un processo contro gli uomini, senza gli uomini e a loro insaputa. L'uomo si troverebbe così nella situazione paradossale di essere colpevole ed innocente ad un tempo e, in un modo del tutto irragionevole, la responsabilità umana verrebbe ad essere coinvolta in una specie di «crimine metafisico» 8 • L'assurdità del racconto biblico della caduta sarebbe poi aggravata dal fatto che, secondo Lahbabi, all'infelicità che deriva dal peccato commesso dai nostri progenitori non è possibile, in alcun modo, venire in soccorso. L'universo della colpa si presenterebbe in tal maniera senza via d'uscita, perché per sempre «stregato dalla fatalità del male» 9• È giusto osservare, a questo punto, che l'indagine dell'autore, pur scartando l'ipotesi che in Adamo tutto il genere umano sia stato solidale nella colpa, presenta una sua penetrante profondità perché essa vertiginosamente s'appunta sul grande enigma dell'origine del male e sembra ricalcare la trepidante domanda di Agostino che osa interrogarsi: «Da dove Dio fece ciò che vi è di cattivo?» 10 • La domanda di Agostino si trasforma nel pensatore musulmano nel tentativo di spiegare il fatto che la perfezione divina non sia riuscita ad escludere dalla sua immagine «l'elemento distruttore, la bruttezza, e il male». Secondo Lahbabi, nell'universo della colpa ci si deve rassegnare ad accettare che «fra l'augusto modello divino e la sua replica umana c'è una maledettissima frattura)) 11 • Se si vuole uscire da questa visione teologica disperata che potremmo definire di un agostinis1no che respinge la redenzione di Cristo, non rimarrebbe che abbracciare la rivelazione coranica per la quale ciascuno si procura da sé la salvezza attraverso le proprie azioni di cui dovrà rendere conto il giorno del giudizio universale. Il credente musulmano viene dunque esaltato come l'uomo della speranza la cui fiaccola egli sempre alimenta, nonostante la presenza del male nel mondo, gli errori degli uomini e gli scacchi subìti nel corso della storia dalla civiltà araba. Le radici più profonde del personalismo musulmano, a cui «né il pec8

M.A.

LAHBABI,

9 lbid., 112.

op. cit.,

109.

10 AGOSTINO, Le confessioni, VII, 5, trad. it., Edizioni Paoline, Alba 1967, 241. 11

M.A.

LAHBABI,

op. cit., 113.


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Enrico Piscione

cato originale, né il sentimento del tragico possono ostruire l'orizzonte» 12

della storia, affonderebbero così in una sopravvalutazione delle capacità dell'uomo di liberarsi, in fondo, con le sole sue forze dall'oscura e minacciosa presenza del male.

6. Un confronto con Mounier

Il totale rifiuto che Lahbabi oppone alla dottrina del peccato originale ci autorizza a tentare un confronto essenziale fra le due rivelazioni, confronto che intenderemmo portare avanti sia attraverso una considerazione sulla ragionevolezza del dogma cristiano della caduta e sia anche

mediante un brevissimo parallelo fra il personalismo del nostro autore e quello di Emmanuel Mounier. Procedendo con ordine, vorremmo osservare che non è razionalmente assurda l'idea di un convergere degli uomini nel male, soprattutto se si accetta, come è nella rivelazione musulmana, la solidarietà nel bene che renderebbe in Adamo l'essere umano testimone della grandezza di Dio. A noi sembra che accogliere il dogma del peccato originale· rende maggiormente realistica la vicenda umana e non lascia nell'enigma la genesi del male. Cade, a tal proposito, molto opportuna l'osservazione di Nabil Alam che, polemizzando proprio con Lahbabi, ha scritto che «riconoscere il peccato originale è, per il personalista, riconoscere solamente che c'è una solidarietà ed un'interdipendenza nel male come nel bene» 13 • Un tale riconoscimento renderebbe il personalismo una proposta filosofica che presenta una maggiore credibilità perché esso acquisterebbe una dimensione più profondamente universale. Tentando adesso d'instaurare un breve confronto tra il personalismo di Lahbabi e quello di Mounier, confronto volto ad indagare più che le convergenze già intraviste le opposizioni, ci proponiamo di porre l'accento soltanto su due problemi. Essi si possono così enunciare: lo spessore comunionale dell'agire umano e l'atteggiamento d'avere di fronte alla storia. Analizzando il primo problema, ci accorgiamo che per Mounier lari12

Ibid., 116.

13 N. ALAM,

Le personnalisme 1nusulman, in Travaux et jours 22 {janvier-mars 196 7) 75.


L'apporto al dialogo islamo-cristiano

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voluzione personalistica si compie quando la persona attinge la sfera della comunione che trova proprio la sua espressione più originale in quell'atto grazie a cui l'uomo, per citare direttamente il filosofo francese, liberamente e gioiosamente «prende su di sé, assu1ne il destino, la sofferenza e la gioia, e il dovere degli altri»"Dunque nella prospettiva cristiana paradossalmente il portare il peso dell'altro è la realizzazione suprema della lib.ertà umana, in quanto essa è chiamata ultimamente ad imitare da vicino il sacrificio di Cristo in croce che muore per la redenzione di tutti. Circa il secondo problema, ossia il modo in cui atteggiarsi di fronte alla storia, possiamo constatare che il personalismo cristiano di Mounìer è ben lontano dal trionfalismo ottimistico di Lahbabi. La filosofia della storia mounieriana, mettendo da parte sia un "profetismo tetro" e sia anche ciò che Mounier icasticamente chiama }'«allegria del sagrestano» 15 , sa mantenersi in un atteggiamento rischioso ma realistico di ''ottimismo tragico". L'ottimismo si giustifica con la convinzione che l'esito escatologico della storia è favorevole a coloro che hanno impegnato tutta la loro vita nella testimonianza viva della verità cristiana. La tragicità deriva da una realistica accettazione dei limiti della realtà storica e della condizione umana, ferita com'è, da quel "male metafisico" per cui l'uomo non trova in sé l'energia necessaria per compiere il bene ed avverte il bisogno della grazia che lo salva e dà compimento alla sua libertà.

14 E. MOUNIER, Il personalismo, trad. it., Garzanti, Milano 1952, 36. Io., La paura del secolo ventesimo, trad. it., Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 19 51,

15

8.



LA LOGOTERAPIA. UNA TERAPIA AL SERVIZIO DELLA VITA E DELLA SOFFERENZA

FRANCESCO FURNAR!"

1. Antecedenti e contesto La logoterapia di V.E. Frankl si inserisce nel contesto filosofico dell'esistenzialismo e della fenomenologia. La psicologia filosofica, nel senso non scolastico, si può fare risalire agli scritti di S. Kierkegaard 1 e continuati, nel nostro tempo, da Jaspers, Heidegger, Sartre e, nel contesto dell'esistenzialismo religioso, da Marce], Berdjaev, Tillich. Gli aderenti alla contemporanea psicologia esistenziale hanno appreso la psicologia e la psicoterapia esistenziale di Kierkegaard attraverso M. Heidegger2, ma il filosofo che ha applicato direttamente questi principi alla psicoterapia, chiamandola psicoanalisi esistenziale, è stato J.P. Sartre'. Q;iesto filosofo ha anche sviluppato una teoria della coscienza da un punto di vista fenomenologico ed esistenziale. Psicologi come May4 e psi-

'' Docente di Psicologia generale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Cfr. S. KIERKEGAARD, Timore e tremore, in Opere (a cura di C. Fabro), Sansoni, Firenze 1972. 2 Cfr. M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1982 5. 3 Cfr. J.P. SARTRE, Essere e nulla, Mondadori, Milano 1965; e TraJcendenza dell'io: una teoria esistenziale della coscienza, Berisio, Napoli 1971. 4 Cfr. R. MAY, (Ed.), Existential Psychology, Random, New York 1969 2. 1


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Francesco Furnari

chiatri come Binswanger 5, Condrau e Boss 6 guardano ad Heidegger come a loro maestro, mentre Frankl si rifà a Scheler 7 come a suo maestro. Anche la "psicologia individuale" di Adler8 con la sua teoria dello scopo e del piano di vita, può essere avvicinata alla fenomenologia e all'esistenzialismo e ha avuto il suo influsso anche su Franld. Le finalità della terapia, che si riconosce nella fenomenologia e nell'esistenzialismo, sono l'autenticità e non la tranquillità nella maniera degli stoici, la "trasparenza", la "genuinità". L'autenticità si può raggiungere non mediante il ''piacere", come in tante teorie edonistiche odierne, ma una "ragione d'essere" consustanziata dall'esercizio della "scelta", della "libertà", e della "responsabilità". L'uomo non è un essere "bello e fatto"; l'uomo diventa ciò che lui vuole diventare e niente più. L'uomo si costruisce attraverso le sue scelte, perché ha la libertà di compiere scelte vitali, e la libertà di scegliere tra una modalità di esistenza "inautentica" e una "autentica". L'esistenza inautentica è la modalità dell'uomo che vive sotto la tirannia della massa. Quella autentica è la modalità in cui l'uomo assume la responsabilità della sua propria esistenza, del suo Dasein, che è superiore in quanto umano a tutte le caratteristiche delle cose fuori dell'umano, Vorhandensein. Per passare da una esistenza inautentica a una autentica, un uomo deve soffrire la disperazione e l'ansia esistenziale: la morte e il nulla.

5 Cfr. L. BINSWANGER, Being-in-the World, Basic, New York 1963. 6 Cfr. G. CoNDRAU-M. Boss, Existenlial Analysis, in].C. HOWELLS (Ed.), Modern Perspectives in World Psychiatry, Oliver and Boyd, Edinburgh, London 1968; M. Boss, Psychoanalysis and Daseinanalysis, Basic, New York 1953. 7 Cfr. M. SCHELER, Il fermafi51no in etica e l'etica non-formale (materiale) dei valori, Bocca, Milano 1944. Opere di Frankl tradotte in italiano: Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia 1977; Uno psicologo nei lager, Ares, Milano 1982; Teoria e terapia delle nevroJi, Morcelliana, Brescia 1978; Psicoterapia nella pratica medica, Giunti-Barbera, Firenze 1974; Alla ricerca di un significato della vita. I fondamenti spirituali della logoterapia, Mursia, Milano 1980; Homo patiens. Interpretazione umanistica della sofferenza, 0ARI, Varese 1979; Dio nell'inconscio. Psicoterapia e religione, Morcelliana, Brescia 1977; Fondantenli ed applicazioni della logoterapia, SEI, Torino 1977; La sofferenza di una vita senza senso. Psicoterapia per l'uomo d'oggi, Loc, Leumann (Torino) 1982; Psicoterapia per tutti. Conversazioni radiofoniche sulla psichiatria, Paoline, Roma 1985; Un significato per l'esistenza. Psicoterapia e umanesimo, Città Nuova, Roma 1983. Per un tentativo di situare Frankl nel contesto storico-filosofico, cfr. E. F1zzorr1, Angoscia e personalità, Dehoniane, Napoli 1980. 8 Cfr. A. ADLER, The Science of living, Doubleday, Garden City, N.Y. 1966.


La logoterapia

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2. Il significato della logoterapia di V.E. Frankl 2.1. Il vuoto esistenziale Oggigiorno, psicologi e psichiatri sono a contatto con un nuovo tipo di paziente, con una nuova classe di nevrosi, una nuova sorta di soffe-

renza, che non è una malattia vera e propria. Questa malattia presunta si potrebbe chiamare "vuoto esistenziale": un'esperienza di perdita del si-

gnificato che rende la vita degna di essere vissuta. Questo fenomeno del vuoto dipende dalla "frustrazione esistenziale", o dalla frustrazione della "volontà di significato". L'ultimo concetto, la volontà di senso o di significato è, secondo la logoterapia, la più fondamentale forza motivazionale nell'uomo. La psicoanalisi freudiana incentra la sua teoria motivazionale nel principio del piacere, o nella «volontà del piacere», mentre la psicologia individuale di Adler mette l'accento in quello che egli chiama «volontà di potenza». In contrasto con le due teorie precedenti, la logoterapia considera l'uomo come primariamente motivato a dare e a realizzare un significato per la sua esistenza: l'uomo è motivato dalla volontà di significato. La ricerca del significato da parte dell'uomo non è una cosa patologica, ma il sicuro segnale di essere veramente umano. Anche se questa ricerca è frustrata, non può essere considerata come un segno di malattia. È uno stress spirituale e non una malattia mentale. In questo contesto, che tipo di risposta potrebbe dare il clinico? Tradizionalmente, egli non è certo preparato a dare risposte che non siano in termini medici. Certamente, sia il signficato dell'esistenza umana sia la volontà dell'uomo orientata verso il significato sono accessibili solamente attraverso un approccio che va oltre il piano puramente psicodinamico e psicogenetico. Dobbiamo entrare dentro quella dimensione specificamente umana che è la dimensione spirituale dell'essere. Per evitare la confusione che potrebbe sorgere con la dimensione religiosa, Frankl parla di dimensione «noetica» in contrasto coi fenomeni psichici e di «dimensione neologica» in contrasto con la dimensione psicologica. La dimensione «noologica» è definita come quella dimensione in cui sono collocati i fenomeni specificamente umani. Attraverso un'analisi solamente psicologica, i fenomeni umani sono portati fuori dalla sfera noologica e ridotti alla sfera psicologica. Questa procedura viene chiamata posicologismo. In questo modo viene perso di


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Francesco Furnari

vista l'intero essere umano. Ridurre l'uomo al livello biologico e psicologico della sua esistenza significa togliergli il vero significato del suo esistere, che è autotrascendersi, cioè l'essenza della sua esistenza.

2.2. Logoterapia e noologia Ciò che si è affermato nel paragrafo precedente vale a maggior ragione anche per la terapia. La logoterapia è quella psicoterapia che è centrata sul significato della vita così come l'uomo lo ricerca. Infatti, logos significa "senso" ed anche "spirito". Sono queste due dimensioni dell'essere umano che la logoterapia tiene in gran conto. La logoterapia tiene distinte le due di1nensioni ma non le separa e mantiene dell'essere umano una concezione multidimensionale ma unitaria. Vi è una dimensione pratica insita nella nostra "ontologia dimensionale". Mi riferisco alla specifica capacità dell'uomo di distanziarsi da se stesso. Attraverso la dimensione noologica l'uomo diventa capace di distanziarsi dalla sua dimensione puramente psicologica. La capacità specificamente umana di distanziamento in logoterapia è mobilizzata particolarmente contro eventi patologici all'interno della dimensione psicologica, come i sintomi nevrotici e psicotici. Anche se si mette l'accento sulla responsabilità come qualità essenziale dell'essere umano, la logoterapia non fa l'uomo responsabile dei suoi sintomi. L'uomo è sì responsabile e libero ma non dalle condizioni bensì di prendere una posizione attraverso le condizioni. Ciò che è chiamata intenzione paradossa è una tecnica logoterapica designata per fare emergere la capacità umana per il distanziamento noopsichico. Una visione multidimensionale dell'uomo così come esposta dalla logoterapia ci fa evitare i rischi estremi non solo dello psicologismo ma anche del "noologismo"i cioè a ridurre tutto a motivi endogeni: non solo ci si sente in colpa ma si è in colpa. In se stesso, il vuoto esistenziale non è nulla di patologico, anche se può sfociare in un comportamento nevrotico o, co1ne la chiama Frankl, in una ~<nevrosi noogena». Questa nevrosi non è il risultato di conflitti istintuali tra gli strati della nostra struttura psichica: Id, Ego e Superego, ma l'effetto di problemi spirituali e di frustrazione esistenziale. È come dire che tra soma e psiche vi è una stretta correlazione e che la logoterapia come visione dell'uomo può aiutare a fare emergere una base noogena dal


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soma ed una base somatogena da un conflitto noogeno. Per esempio, l'ipertiroidismo spinge a una inclinazione all'ansietà. La persona però è impaurita da queste ricorrenti ansietà e le anticipa aspettandole. Questo circolo vizioso può essere spezzato dalla intenzione paradossa, tecnica che usa la logoterapia per fare uscire fuori da questa empasse.

2.3. Autotrascendenza e noodinamica È uno dei luoghi della logoterapia che la trascendenza è l'essenza dell'esistenza: l'esistenza è autentica solamente quando puntiamo a ciò che è fuori di noi e che non è "noi stessi". Il significato non si può ridurre solo nell'essere umano. Lo sforzo dell'uomo per realizzare il suo sé e la sua identità è destinato a fallire se non si rivolge come dedizione e devozione a qualcosa che sia prima e oltre il suo stesso sé. L'unica cosa che l'uomo può realizzare e attualizzare, come suo impegno e responsabilità, so110 i valori. Una psicoterapia che mette a confronto l'uomo con il significato e la finalità può essere criticata come un qualche cosa che va al di là del suo campo e che chiede molto all'uomo paziente. Schiacciati da questa critica e presi da queste paure, molti terapeuti hanno quasi paura di chiedere, di stimolare, di sconvolgere e rimangono dietro le quinte aspettando l"'autoattualizzazione" spontanea o si limitano a sotto-domandare. Bisogna rilevare che non c'è solo una patologia dello stress ma anche una patologia dell'assenza di tensione. È pericoloso pensare che tutto ciò di cui l'uomo abbisogna è il raggiungimento dell'omeostasi. Tutto ciò di cui invece l'uomo di oggi ha bisogno è un sovrappiù di tensione che possa portarlo a lottare per raggiungere un significato della sua vita che lo riempia e lo realizzi. Questa tensione è insita nell'essere umano e anzi indispensabile alla sua salute mentale. Ciò che io chiamo noodinamica è la dinamica in un ca1npo di tensione i cui poli sono rappresentati dall'uomo e dal significato che lo interpella e lo chiama.

2.4. Le tecniche logoterapiche Prima di presentare sinteticamente le tecniche psicoterapiche in uso in logoterapia, bisogna rilevare che il significato e la finalità nella vita non


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Francesco Furnari

possono essere prescritti come un farmaco. Non è compito del dottore dare il "significato" alla vita del paziente. Potrebbe però, attraverso l'analisi esistenziale, diventare uno scopo quello di far in modo che il paziente impari a cercare da sé il significato della sua vita. Il significato è, infatti, qualcosa che deve essere trovato e cercato piuttosto che dato. In logoterapia anche la morte, la malattia, la sofferenza assumono un significato terapeutico, se il paziente le percepisce e le accetta come fatto esistenziale, non negandole o sentendole in modo masochistico.

Dereflessione

La tecnica dereflessiva ha a che fare con la forza del piacere. Più uno si sforza di cercare il piacere, in qualsiasi campo e in qualsiasi modo, più si sente incapace di ottenerlo e raggiungerlo. L'impotenza e la frigidità, per esempio, sottendono una nevrosi sessuale. Se noi ci fissiamo su un oggetto di piacere sovraintensificando l'intenzione o l'attenzione a questo oggetto, si può parlare rispettivamente di iperintenzione e di iperriflessione ... Il togliere energia all'oggetto della fissazione e il rivolgerla al soggetto è la dereflessione. Nella dereflessione bisogna saper prescindere da noi stessi e guardare oltre. È sempre un progresso spirituale che sta a base della dereflessività. Solo chi affina questo aspetto spirituale può altresì strappare un senso anche a situazioni che non racchiudono immediatamente un obiettivo desiderabile bensì sofferenza e dolore. In questo contesto, Frankl parla di realizzazione di particolari «valori dell'atteggiamento".

L'intenzione paradossa

Accanto alla dereflessione vi è un'altra tecnica logoterapica che serve per il trattamento breve di comportamenti ossessivo-compulsivo e fobici, anziché di quelli nevrotico-sessuali: l'intenzione paradossa. Essa si basa su una fondamentale capacità umana che è l'autodistanziamento. Tale tecnica aiuta il paziente ad affinare tale qualità. Questa consiste nel tentativo di fare desiderare al paziente ciò di cui ha paura, togliendo così le vele all'angoscia. In altri termini, la dereflessione rafforza la capacità alla autotrascen-


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denza, riduce l'egocentricità e l'iper-riflessione con le sue nefaste ripercussioni. Essa viene applicata nelle nevrosi psicogene (disturbi sessuali), nelle malattie psico-somatiche e nei disturbi da insonnia.L'intenzione paradossa rafforza la capacità all'autodistanziamento; distanzia dagli scatti psicogenici e li rende inefficaci. Essa viene applicata nelle nevrosi psicogene (paura, costrizione).

Modulazione di atteggiamento

È il passaggio al positivo di una situazione vissuta soggettivamente in negativo. Essa, stimolando lo spirito di contraddizione, migliora l'atteggiamento verso il negativo rendendone possibile il suo superamento. Stimolando la "volontà al sensato", migliora l'atteggiamento verso il posi~ tivo e rende possibile il suo totale uso. Essa viene applicata, verso il negativo, nelle nevrosi reattive (isterismo, dipendenza), per il superamento della sofferenza, nelle nevrosi somatogene (pseudonevrosi), gravi malattie fisiche e psicosi e negli immutabili colpi del destino. Verso il positivo, viene applicata nelle nevrosi noogeniche e nelle depressioni di origine noogena.

3. Applicazioni

3.1. La cura della tossicodipendenza Partendo dalla considerazione che il tossicodipendente è più simile come comportamento all'isterico, la terapia di tale soggetto può essere approntata sia a livello somatico, mediante la disintossicazione e conseguente astinenza, sia a livello psichico, mediante l'addestramento della volontà attraverso la suggestione ipnotica o l'incoraggiamento alla rinuncia, sia a livello noetico. Quest'ultimo livello si può attuare usando metodi logoterapeutici, che servono ad allargare il sistema dei valori personali e alla ricerca del senso della vita: modulazione dell'atteggiamento ederejlessione. Presentiamo le caratteristiche e gli obiettivi terapeutici di questi due metodi di cura:


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Francesco Furnari Modulazione dell'atteggiamento

Derejlessione

Passaggio da una soggettività sperimentata negativa1nente a una soggettività sperimentata positivamente.

di problemi a una obiettività conscia del senso della vita.

Scoperta di una prospettiva del passato, al di fuori della quale il passato può essere visto in maniera nuova,

Scoperta di qualcosa di nuovo, che lascia sbiadire il passato, mentre ci si rivolge ad esso.

Ricerca del senso della vita all'interno di quello che vi viene trovato.

Ricerca del senso della vita oltre quello dove è già stato trovato.

Educazione al coraggio (nonostante il morboso) e alla dignità.

Educazione all'impegno (al di là del morboso) e alla dedizione.

Trasformazione di una sofferenza che non s1 può can1biare in un trionfo dell'uoino.

Annullamento di una sofferenza che si può cambiare attraverso la trascendenza dell'io.

Passaggio da una soggettività carica

Obiettivo terapeutico

Obiettivo terapeutico

Correzione di un atteggiamento malsano verso qualcosa.

Diminuzione della iperriflessione 1nalsana verso qualcosa.

Nuova concezione di qualcosa su cu1 si deve riflettere.

Ignorare qualcosa, che deve essere ignorata.

Crescita interna attraverso il cambiamento di se stessi.

Crescita interna attraverso il dimenticare se stessi.


La logoterapia

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3.2. Gravi malattie psicofisiche e gravi colpi del destino

È compito della cura medica dell'anima, come la usa chiamare Frankl, rendere visibile ancora un'ultima e la massima possibilità di trovare un significato laddove l'uomo sofferente è confrontato con un destino ineluttabile, trovando il giusto atteggiamento verso questo destino, nella giusta, cioè nella sincera sofferenza.

Nei malati gravi e handù:appatifùici

Diamo tre regole fondamentali per la terapia: a) essere umili e lasciare da parte l'ipotesi della pretesa; b) bisogna orientare la percezione del malato verso lo spazio libero ancora esistente;

c) nello spazio libero identificato bisogna indicare delle possibilità di significato.

Regole fondamentali per il trattamento dei pazienfi psicotici

a) Identificare la "fata morgana" ed evitarla, oppure togliere la forza alle illusioni mediante determinati atteggiamenti; b) incoraggiare alla sopportazione paziente delle fasi negative e attirare l'attenzione sulle fasi positive della vita; c) indicare, durante le fasi positive, delle possibilità di significato, in modo che queste illuminino in certo qual modo anche le fasi negative.

In questa cura medica dell'anima, Frankl parte dalla fondamentale idea che l'uomo ha la libertà di volontà, che questa volontà è volontà di significato e che questo significato dà il senso della vita. Ora, il senso della vita è realizzato e incarnato dai valori creativi, di quelli dell'esperienza e dell'atteggiamento. Di questi, i valori creativi hanno la priorità, quelli dell'atteggiamento la superiorità.


Francesco Furnari

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Situazione di vita

il settore ancora

il settore non

intatto

piĂš intatto

)

settore della sofferenza

/~ mutabile

motivare il paziente alla percezione, allo sfruttamento, alla gratitudine, alla realizzazione nel senso di "vita vissuta"

t

motivare il paziente al cambiamento attivo, miglioramento, definizione di obiettivi sensati, realizzazione di valori creativi

non mutabile

t

motivare il paziente alla co1nprens1one, accettazione, sopportazione con umiltĂ , realizzazione di valori dell'atteggiamento

Il terapeuta decide su che cosa porre l'accento. (A volte, la percezione della parte intatta è possibile solo quando si è preso posizione nei confronti della parte non intatta).


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La logoterapia

8 Valori creativi:

L'uomo interviene nel mondo e crea qualcosa di nuovo in esso che migliora quel che c'era prima.

G Valori dell'esperienza: L'uomo viene "preso" dal mondo, sperimentando qualcosa

di buono, di vero e bello.

indirizzato verso il sĂŠ (accumulo interiore, autolesione ... ) che causa la sofferenza personale

aumenta inutilmente la sofferenza nel mondo

destino, infelicitĂ , malattia

viene superato mediante la esplicazione della causa della sofferenza o n1ediante valori dell'atteggiamento: l'uotno prende un atteggia1nento coraggioso e dignitoso verso un destino ineluttabile

si indirizza verso persone o cose 1nnoce11ti e non coinvolte

impedisce un auinento della sofferenza nel mondo


Francesco Furnari

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L'aiuto pratico che la logoterapia può dare nel caso di gravi colpi del destino si può compendiare in queste quattro variabili: a) indicare un valore; b) indicare un significato; c) indicare il resto; d) indicare prospettive. Queste quattro variabili dell'indicare si possono sintetizzare e attuare nell'importante dimensione spirituale del programmare, del progettare, del pianificare. L'uomo è l'unico essere vivente in grado di esercitare questa qualità spirituale. È come un buon giocatore 9 che si concentra sulle proprie mosse, per potere produrre dei vantaggi nel gioco e un senso nella vita. Con la logoterapia si possono insegnare in genere quelle regole del gioco, vissute già dal terapeuta, a cui deve rispondere e rispettare responsabilmente chi domanda, chi chiede, per poter contrapporre ai dati del caso, del destino, privi di pianificazione una programmazione umana: a) flessibile, b) coscienziosa, c) pronta a dare risposte. «Flessibile in quanto la nostra pianificazione rimane aperta per essere adattata alle esigenze del destino e ciò nonostante resta fedele ai valori e agli obiettivi fondamentali della nostra vita. Coscienziosa vuol dire che ci orientiamo secondo la voce della nostra coscienza quando 'tocca a noi muovere', quando il destino ci spinge dopo essere intervenuto 'per caso'. E, infine, pronta a dare ris11oste non significa altro che trattenersi dal porre domande all'avversario grande e potente e dargli invece, che sia desiderato o indesiderato, un senso mediante la propria reazione e il proprio atteggiamento)) 10 , Nell'uomo come regno dei fini o del valore abita il logos che va oltre il tempo. Però .l'uomo è un essere storico e situato nel tempo, nel flusso del tempo. Nell'uomo storico, regno del reale (ciò che è) e regno del possibile (ciò che può essere) coincidono nel suo presente di uomo: ciò che è realizzato e ciò che è possibile senza alcuna possibilità di scelta e lo spazio libero come possibilità di scelta. L'uomo deve dare forma al flusso del tempo, deve andare dal possibile al reale, viceversa cadrebbe in un horror vacui, in una depressione di morte. Deve dunque decidersi a scegliersi e scegliere responsabilmente il suo essere. Qui si conclude la grandezza dell'uomo, tra colpa e merito e responsabilità, tra accettazione e speranza.

9 Cfr. E. LUKAS, Dare un senso alla sofferenza, Cittadella, Assisi 1983, 275-<284. IO

/bid., 282.


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La logoterapia

Presente di un uonzo

Destino realizzato che non poteva essere scelto

Possibilità realizzate che sono state scelte

ciò che è diventato il destino attuale

Possibilità libere tra cui si può (e si deve!) ancora scegliere

ciò che si offre come attuale spazio libero

Destino possibile che non si può scegliere

non dipende dall'uomo (volere divino, provvidenza, destino, caso?)


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Francesco Furnari

credere al senso al di fuori dello spazio libero

quel che è diventato il destino attuale

(direzione contraria a! flusso del tempo)

-

<

quel che si offre attualmente come spazio libero

contraddizione alle ideologie della autorisoluzione!

ricerca del senso all'interno dello spazio libero

ricerca di qualcosa e credere in qualcosa, che non viene fatto, va oltre l'uomo, è trascendente!


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La logoterapia

quando si realizza: grazia, felicittr., dono

quando si realizza; merito personale

quando si realizza: sofferenza dettata dal destino quando si realizza: colpa personale

L'uotno non può realizzare ciò che deve essere, che non rientra tra le sue possibilità di scelta (p.e. migliorare il mondo ... ), ma è responsabile del fatto di realizzare o meno ciò che deve essere, o ciò che rientra tra le sue possibilità di scelta (= ciò che ha senso).


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Francesco Furnari

4. Considerazioni 4.1. L'oggettività dei valori Per Frankl, i valori sono universali di significato, validi in sé. Sotto questo aspetto la logoterapia di Frankl, considerando l'uomo come essere-al-mondo, situato, storico, responsabile delle sue scelte e decisioni, può essere inserita nel quadro filosofico-culturale dell'importanza che le scienze storico-sociali hanno avuto nell'avere consentito di determinare le dimensioni storiche del mondo umano. Nella presentazione che Frankl fa del senso della vita, del valore, del significato sembra riecheggiare, nel riaffermare l'assolutezza dei valori contro la dispersione e l'anarchia odierna di una vita senza Senso, il Troeltsch, il Meinecke, il Windelband, il Rickert contro lo Spengler. Nell'affermare la storicità dell'essere umano e le conseguenti decisioni e scelte come realizzazioni di possibilità attuate nel corso del processo storico in cui l'uomo vive, sembra invece riecheggiare Heidegger e Jaspers che si rifanno a Dilthey e Weber. Tra fenomenologia ed esistenzialismo, l'autore che è però presente a Frankl nel suo modo di concepire i valori come "essenze", distinguendoli dai fatti come "beni" fondati sui valori, è lo Scheler del Formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, che apparve per la prima volta nello fahrbuch di Husserl tra il 1913 e il 1916. ,,5j è detto che essere-uomo vuol dire essere-responsabile. Ora, l'essereresponsabile è sempre tale nei riguardi della realizzazione dei valori. E di tali valori è stato anche detto che bisogna osservare anche quelli irrepetibili, i 'valori di situazioni', come li chiama Scheler. Le occasioni di realizzare i valori acquistano così un'impronta di concretezza. Essi non sono legati solo alla situazione, ma anche alla persona, in modo da cambiare di ora in ora e da persona a persona. Ogni uomo ha delle possibilità esclusive, completamente e specificamente sue, così come altrettanto specifiche sono le possibilità presentate da ogni situazione storica nella sua unicità irrepetibile)> 11 •

11

V.E. FRANKL, Logoterapia e analisi esistenziale, cit., 96-97.


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4.2. Il destino e la libertà Nella riflessione logoterapica, il discorso sul destino, sul fato sembra avvicinarsi alla scuola filosofica dello stoicismo 12 là dove parla dell'accettazione del passato senza crogiolarsi o ribellarsi orgogliosamente, giacché in questo modo ci si lega, rimanendovi fissati. Davanti al destino bisogna essere severi e rassegnarsi ma in un modo propulsivo, progettuale e attivo. Questo è lo "spazio di libertà" nel determinismo della concatenazione di causa ed effetto insito nel logos dell'uomo come capacità di domandarsi su che cosa sia una cosa in se stessa e come capacità di cogliere "essenze" al di là dell'interesse pratico-immediato e come capacità di progettare la speranza. L'uomo (il saggio) è felice quando accetta e segue il corso della natura ed è virtuoso quando realizza la concordanza del genio di ognuno col volere del governatore dell'universo 13 • Il filosofo stoico Cleante 14 ci dice "determinati" nel seguire ciò che è stabilito dalla ragione universale. Determinati fino a sottomettersi anche con il sacrificio della vita, col suicidio 15 • E tutto ciò in funzione di quello che dice Crisippo sulfato, che esso è la ragione del mondo, dove passato, presente e futuro sono contemplati1 6 e dove alberga la verità fluente da tutta l'eternità 17 • Questa visione, se ha una parte positiva nell'accettazione, può concludere in una visione immobilistica della volontà a cui non resta che l'assenso solamente. Con il logos Frankl propone la risposta e proposta di liberazione coniugata con l'impegno e la responsabilità della lotta, dell'agonia per la realizzazione del senso e significato della vita. Questa è anche la risposta data dalla logoterapia all'idea e realizzazione del suicidio. Questo viene rischiato per componenti '~isterici" (tendenza a scaricare la colpa); viene scatenato da situazioni di emergenza e crisi (disperazione attuale) e viene preparato da una componente "noogena" (vuoto interiore). La strada logoterapica, oltre alla possibile eliminazione o immunizzazione contro modelli negativi, consiste nell'appello 12 Per quanto riguarda le citazioni dei filosofi storici qui presentati, cfr. R. MON· DOLFO, Il pensiero antico, La Nuova Italia, 13 Cfr. Crisippo nel L 1 dei Fini, in 14 Cfr. STOB., Fior., VI, 19. 15

Firenze 1967, 376-409. Diog. L., VII, 87-88.

Cfr. CICERONE, De fin., III, 60; SENECA, Ep., 12. Cfr. STOB., Ecl., I, 79. 17 Cfr. CICERONE, De divin., I, 55, 125. 16


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all'auto-responsabilità, nello svegliare atteggiamenti positivi e nell'indicare il senso della vita. Il caso è il luogo in cui si nidifica il miracolo, o meglio in cui può nidificare il miracolo, perché sempre qualcosa può - e mai deve essere mero caso. Senz'altro l'essere naturale può essere portatore di un senso soprannaturale, di un supersenso, ma il supersenso è discreto: esso non ci si impone e può anche rimanere inosservato. L'imporsi, poi, di un senso che mi si presenta dipende dal mio fare e non fare: a secondo di quel che faccio e non faccio, qualcosa succede - o non succede nulla; però il supersenso si impone indipendentemente dal mio fare o non fare, dalla mia collaborazione o dalla mia omissione. In altre parole: la storia in cui si realizza il supersenso, avviene o attraverso le mie imprese o oltre le mie omissioni. Per quanto riguarda la libertà, nel campo psicologico possiamo dire che il sentirsi o percepirsi liberi nell'effetto, cioè nell'avere un'elevata probabilità di ottenere i risultati desiderati o di decidere, cioè quando si ha la possibilità di scegliere determinati risultati piuttosto che altri, è di importanza fondamentale per la crescita e la salute psichica della persona. Anche la ricerca psico-sociale su questo tema sembra appoggiare, in generale, la visione logoterapica di Frankl. Lo spazio o il grado di libertà che un individuo ritiene di avere influisce sull'interpretazione del proprio comportamento e degli altrui atteggiamenti e tratti di personalità 18 • Bisogna anche rilevare che il modo di percepire la libertà non è in tutti uguale. Ciò è dovuto al percepito luogo del controllo 19 • Partiamo dalla supposizione che gli individui hanno bisogno di credere in un mondo ordinato dove c'è carenza tra ciò che loro fanno e ciò che ad essi succede'°. Riguardo alla percezione di questo ordine delle cose, due sono gli at18 Cfr. H.H. K.ELLEY, Attribution Theory in Socia! Psychology, in D. LEVINE (Ed.), Nebraska Symposiu1n on Motivation, Nebraska Univ. Press, Lincoln, Neb. 1967; l.D. STEINER, Perceived Freed01n in L. BERKOWITZ (Ed.), Advances in Experimental Socia! Psychology, V, Aca-

demic Press, New York 1970. 19 Cfr. J.B. RoTTER, Generalized Expectancies for Internal versus Externals contro! of reinforcements, in Psychological Monographs 80 (1966). Il costrutto di Rotter applicato alla esperienza religiosa è stato il perno di uno studio pubblicato dall'autore del presente articolo in Synaxis 1 (1983) 187-205 dal titolo Esperienza religiosa e teoria del locus oj' Contro!. 20 M.J. LERNER-C.H. SIMMONS, Observer's reactions lo the lnnocent Victùn: Compassion and Rejection, in Journal of Personality and Socia! Psychology 4 (1966) 203-210.


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teggiamenti dominanti che caratterizzano due diversi tipi o tratti di personalità degli individui: gli interni e gli esterni. Alcune persone (interni) sono convinti che facendo grossi sacrifici riescono a controllare l'effetto del caso o della fortuna: sono persone che percepiscono una elevata relazione positiva tra costi probabili e risultati. Altre persone (esterni) credono invece che non esiste una relazione tra costi e risultati prevedibili, perciò gli effetti che si raggiungono sono considerati prevalentemente frutto di forze che non sono sotto il controllo dell'individuo che agisce e subisce i costi. Anche in questo contesto e distinzione, si può dire che la teoria di Frankl sulla libertà sia più dal lato degli interioristi che degli esterioristi.

4.3. Senso di colpa e sofferenza Abbiamo due tipi di senso di colpa: costruttivo e distruttivo. La colpa costruttiva o ontologici-esistenziale, qualora se ne prenda coscienza, porta alla resistenza all:i tentazione, in quanto si vuole riconfer-

mare nella propria vita il valore prima smarrito; la colpa distruttiva o psicologica o inconscia mi fa resistere con rabbia, perché non voglio più sen-

tire l'umiliazione e la sottomissione. Questa colpa del secondo tipo è il rimorso, mentre quella del primo tipo è il pentimento. «Liberi del sentirci genuinamente in colpa così da riscoprire la bellezza del valore perduto» 21 .

La scoperta del valore perduto, che nella terminologia di Frankl si chiama valore dell'atteggiamento o comportamento, ci fa ammettere che l'esistenza può trovare il suo adempimento non solo nella gioia ma anche nel dolore, nella sofferenza. «La sofferenza umana procura quindi una tensione fruttuosa, si potrebbe dire rivoluzionaria, in quanto fa percepire all'uomo ciò che come tale non dovrebbe essere» 22 .

21

A.

22

V.E. FRANKL,

CENCINI,

Vivere riconciliati. Aspetti psicologici, EDB, Bologna 1983, 29. Logoterapia ... , cit., 146.


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Anche il lutto e il pentimento, come la sofferenza, così come gli stati affettivo-emotivi dell'uomo racchiudono una profonda saggezza, che sta prima d'ogni razionalità; in particolare si contrappongono al criterio «razionalistico dell'utile» 23 • Anche se il lutto o il pentimento non tolgono il dolore o la colpa, tuttavia col primo continuiamo la vita della persona amata, col secondo ci solleviamo e ci liberiamo dalla colpa, rinascendo a un'altra vita morale, più elevata".

Conclusione A livello umanistico, l'opera di V.E. Frankl propone un cammino di riumanizzazione, per consentire all'uomo di riappropriarsi della pienezza della sua libertà e responsabilità. In questo appello della logoterapia c'è anche la proposta, l'indicazione, l'invito all'uomo di riappropriarsi del legame con Dio, di questo desiderio della trascendenza che, anche se per Frankl rimane all'orizzonte dell'impegno e della nostra responsabilità in logoterapia, infatti, si parla di autotrascendenza -, è foriero di autentici significati e valori che hanno il potere di guarire, di fare sperare. L'antropologia di Frankl non solo richiama le disposizioni religiose insite nell'animo umano ma mette anche l'uomo dinanzi alla scelta del totalmente altro. La logoterapia si ferma, dunque, all'esperienza sensibile del dolore, della morte, delle sofferenze e bisogni dell'uomo di oggi senza lasciarsi andare ad affermazioni su ragioni o realtà metafisiche e senza ridurre Dio all'inconscio. Anche in questo Frankl ci è maestro di umanità e umiltà e ci aiuta a fondare un retto rapporto, e perciò stesso utile e fruttuoso, tra riflessione psicologica e riflessione teologica.

23 24

L.c.

Cfr. E. LUKAS, op. cit.. Altri studi sulla sofferenza: E. FIZZOTTI, Tutto nella vila ha un prezzo, (a cura di G. Barra), in Vangelo vùsuto, Gribaudi, Torino 1973, 73-74; Io., Annota-

zioni sul significato della sofferenza in V.E. Franld, in La Sapienza della croce oggi, Atti del Congresso Internazionale, III, Roma 1975, Loc, Leumann (Torino) 1976, 36-44; Io., Coscienza religiosa dell'uomo e comprens;one della croce crisàana nella logoterapia, in Croce cristiana e cultura oggi, Atti di un Symposiurn, Napoli 1976, Dehonianc, Napoli 1977, 43-75; Io., !!ruolo della coscienza in un'epoca di vuoto esistenziale, in Lottare per l'uo1no. Coscienza e responsabilitti, Dehoniane, Napoli 1981, 105-127.


IL TEMA DELL'ANGELO NELLE ELEGIE DUINESI DI RAINER MARIA RILKE

MARIO TAMBURJNO"·

Introduzione Un recente volume di Massimo Cacciari, L'angelo necessario1, ripropone, in modo vigoroso, all'attenzione di noi uomini dell'età postmoderna l'affascinante, ma forse un po' desueta, tematica dell'angelogia. Questa indagine che può sembrare peregrina, si trova espressa in termini poetici nell'opera di Rainer Maria Rilke. Anzi, la figura dell'angelo che domina le Elegie Duinesi2 è senz'altro il tema più affascinante che la genialità poetica dello scrittore praghese sia riuscita a creare. La sterminata letteratura rilkeiana ha da sempre tentato di coglierne il significato, facendone loggetto di vivaci discussioni. In realtà, proprio sull'interpretazione della figura dell'angelo, si gioca molta parte del significato che si vuole assegnare alla globalità dell'opera di Rilke e alle Elegie in particolare. Vorremmo tentare, col presente contributo, un approccio a questa straordinaria immagine dell'universo poetico del nostro autore, tenendo conto della provocazione che ci viene da una personalità che, con una radicalità e una drammaticità eccezionali, si è rapportata con le domande ultime dell'uomo di ogni epoca, cioè quelle relative al significato della realtà, del suo destino e del valore dell'esistenza umana. ~, 1

2

Dottore in Lingue e letterature straniere moderne. M. CACCIAR!, l'angelo nece.15ario, Adelphi Editore, Milano 1986. R.M. RILKE, Duineser Elegien, in Saemtliche Werke, Insel Werkausgabe, Frankfurt am

Main 1955, voi. II, 683-726.


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Domande queste che per l'uomo all'inizio di questo secolo si presentavano tanto più esasperate e pressanti quanto più le risposte tradizionali venivano progressivamente accantonate.

Il "bello" maschera del "terribile" Sebbene consapevoli che la comprensione di un'immagine non possa prescindere dall'analisi del contesto nel quale essa si pone, tuttavia proprio il non comune spessore semantico che la figura dell'angelo assume all'interno della poesia"rilkeiana, rende forse legittima un'indagine che più precipuamente si focalizzi su questo tema e si limiti ad analizzare, nell'ambito dell'ultima fase rilkeiana, il contributo offerto dalle Elegie Duinesi. Accennando ora alla traiettoria tematica svolta dal poeta nell'arco del suo intero itinerario, notiamo che il protagonista della fase giovanile è lo stesso ''io lirico" dell'autore chej in un traboccare di sentimenti, si riversa

su quegli aspetti della realtà che più lo suggestionano. Nei Neue Gedichte, grazie al modello offerto a Rilke dallo scultore parigino Auguste Rodin, il poeta, novello Prometeo, si propone di cogliere, attraverso lo sguardo, l'essenza stessa della realtà e di esprimerla, realizzandola per mezzo della parola. Ci troviamo di fronte ad un processo di ri-appropriazione delle cose (Dinge) di cui il mondo è fatto, di ri-nominazione di esso per strapparlo all'abisso dell'indifferenza e della caducità e per conferirgli una consistenza ontologica. Entrando ora nel vivo della discussione, analizziamo in primo luogo dei famosi versi tratti dalle Elegie Duinesi: «Ma chi, se gridassi mi udrebbe dalle schiere degli Angeli?,,'. Questi versi spalancarono a Rilke le regioni più remote della sua interiorità. Sintomaticamente l'io si impone subito prepotentemente all'attenzione del lettore, ma questa forza è solo apparente. La riserva espressa dalla protasi «se io gridassi", smorza immediatamente l'imperiosità del grido che altrimenti salirebbe fino alle «schiere degli Angeli". Così, anche la possibilità che qualcuno lo ascolti e che effettivamente gli risponda da quelle «schiere,,, rimane una possibilità preclusa all'indagine del poeta. Sottoponendo i versi citati a quella che Paul Ricoeur chiama una «se3

R.M. RILKE, Elegie Duinesi, trad. it., Einaudi, Torino 1970, vv. I-IL


Il tema dell'angelo nelle Elegie Duinesi

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conda lettura», ci accorgiamo che l'io del poeta si impone, nelle Elegie, col peso della sua esistenzialità proprio in relazione con l'angelo. Tale rapporto sembra essere, prima ancora che di dipendenza gerarchica, come la dogmatica cristiana ci ha abituato a pensare, di dipendenza ontologica. L'uomo dunque si concepisce come Dasein a partire dal rapporto con l'angelo. Cade opportuna, a questo punto, l'osservazione di Romano Guardini: «L'Angelo è dunque per l'uomo una realtà-limite in cui si rende sensibile ciò che l'essere terrestre non è» 4 • Per Rilke, dunque, ciò che permetterebbe l'instaurarsi di un rapporto sarebbe il "grido", che è sempre, per sua natura, "invocazione" (Werbung, VII EL) dell'uomo a un "tu". Il "grido", infatti, permette all'uomo, a un tempo, di ricapitolare e di trascendere tutta la sua esperienza umana e di esprimerla come desiderio di relazione. E l'angelo dovrebbe realmente essere il destinatario di tale grido e dovrebbe esaudirlo, giacché, se a lui è diretta ]'invocazione, da lui dovrebbe provenire la risposta. Tuttavia proprio un istante dopo che il poeta ha concepito una tale possibilità, essa viene negata. Quella dipendenza espressa dal primo verso è rovesciata dal secondo, dove Rilke afferma che se anche «un angelo» lo «stringesse al suo cuore>>, «l'essenza più forte>• di quest'ultimo lo farebbe morire.

L'angelo dunque, anche se nella tenerezza di un abbraccio, ucciderebbe colui che esprimesse il grido. Il poeta vorrebbe dare libero sfogo alla sua domanda di compimento, ma glielo impedisce il sospetto che: «Il bello non è che il terribile al suo inizio» 5 • Il bello è, in questo caso, certamente una caratteristica dell'angelo, ma ci pare estensibile, nelle Elegie, a tutti quegli aspetti della realtà che riempiono di grandi promesse il cuore dell'uomo. Il bello è perciò la parte affascinante della realtà, quella che ci attira a sé ma per soffocarci. L'angelo, che è la forma-tipo dell'alterità, viene avvertito come una minaccia addirittura per l'esistenza stessa, proprio nel momento in cui ci accarezza. L'origine di questo atteggiamento in Rilke ci pare che abbia una genesi psicologica coglibile esattamente nel rapporto vissuto dal poeta, durante la sua infanzia, con la n1adre. Una madre che, adorando la sua creatura, la amava di un amore tirannico, in quanto non sapeva accogliere il bambino

ma lo soffocava con l'imposizione del proprio sentimento. 4 R. GUARDINI, le Elegie Du;nesi come interpretazione dell'esistenza, trad. it., Morcelliana, Brescia 1974, 32. 5 R.M. RILKE, op. cit., vv. IV-V.


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Riconosciuta l'impossibilità del rapporto con l'angelo, non resta al poeta che l'amara decisione di rinunciare alla dinamica del compimento del proprio desiderio di totale comunicazione, rinuncia che diviene scelta di solitudine cosmica, avvertita da Rilke come incolmabile.

Uomo-angelo: l'impossibile rapporto? La complessità del rapporto uomo-angelo non si esaurisce però nei termini finora descritti. Infatti se nella Prima Elegia la causa dell'impossibilità di relazionarsi con l'angelo dipende dall'essenza stessa di questo, cioè dalla sua "terribilità", i versi finali della Settima Elegia approfondiscono tale rapporto spostando, però, sull'uomo la responsabilità di questa distanza. Nella Settima Elegia, che è certamente uno dei vertici della poesia rilkeiana, è ripreso il motivo del "grido" la cui natura, indagata dal poeta, viene riconosciuta come Werbung, cioè come ''invocazione". «Non più supplica, non supplica, o voce che mi sfuggi sia del tuo grido natura» 6 • La "natura", ovvero, l'intima essenza del grido rilkeiano, è, lo si diceva, connotata come invocazione, ma Rilke non può sopportare il peso

di una tale scoperta e rivolgendosi alla sua stessa voce le chiede la rinuncia a quell'atto a essa connaturale che è la Werbung. Tuttavia, seppure per un solo atti1no, il poeta non resiste al richiamo di essa e ne scopre l'inesprimibile grandezza. In versi di impareggiabile bellezza, Rilke paragona la natura del "grido" a quella del canto di un uccello, l'allodola. Il grido dell'uomo sarebbe dunque fatto per invocare l'angelo. Se seguisse il suo itinerario naturale, l'invocazione del poeta (non diversamente da ciò che accade all'allodola che si eleva al di là delle bellezze dell'estate fino a raggiungere il cuore di esse: "le notti"), attingerebbe il centro di cui l'esistenza e la realtà tutta sono fatte. Rilke ha dunque effettivamente seguito la natura del suo "grido", ma d'improvviso si strappa dall'estasi a cui le sue immagini lo hanno condotto. La possibilità del compimento nell'abbandono a ~n "tu", benché intuita come vera, viene, non appena concepita, subito rigettata. Un sottile scetticismo si insinua iufatti tra l'uomo e quest'alterità rappresentata dall'angelo: «Non credere ch'io ti supplichi I Angelo», assicura infatti Rilke. 6

lo., Settima El., vv. I-II.


li tema dell'angelo nelle Elegie Duinesi

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L'atteggiamento di Rainer Maria Rilke nei confronti di una realizzazione autentica della sua domanda umana è dunque quella di un'assoluta indisponibilità a una risposta proveniente da «Un altro», sia che si tratti di una realtà soprannaturale sia che si tratti di una presenza umana. Rimane,

però, l'ambivalenza drammaticamente espressa dai potenti versi finali della Settima Elegia: «E se anche supplicassi - sembra ammettere il poeta - tu non vieni. Perché I il mio grido ti invoca e ti respinge; contro sì forte corrente I tu non puoi andare. È come un braccio teso I il grido mio. E la sua mano aperta in alto come per ghermire, resta dinnanzi a te, I o inafferrabile, a schermo e monito, I slargatamente aperta!>/. Forse dunque il poeta ha effettivamente invocato l'angelo, e l'uso dell'esclamativo, così raro in Rilke, non può non essere carico di un signi-

ficato affermativo. I versi appena citati, che esprimono, a nostro avviso, un approfondi-

mento nelle Elegie dell'esplorazione del rapporto tra l'uomo e l'essere angelico, confermano che una tale relazione è fondamentalmente richiesta, e dunque affermata come necessaria, anche se il più delle volte è di fatto negata. In questo senso, appare particolarmente efficace l'immagine della mano «slargatamente aperta» simboleggiante il tramite per mezzo del quale potrebbe avvenire la comunione con l'angelo e che si trasforma in uno "scudo" impenetrabile che eternamente separerà la domanda dalla possibilità di una risposta.

Il dramma della libertà nel rapporto col mistero

La radice dell'impossibilità di una comunione tra l'uomo e l'angelo non sta allora, come cantava la Prima Elegia, e come ha scritto la Buddenberg8, in una diversità di "essenze" fra i due esseri che si rapportano fra loro, uno terreno e l'altro trascendente, bensì nella libertà dell'uomo che, per un misterioso dramtna della volontà, sceglie di non relazionarsi con ciò che pure riconosce come l'oggetto del suo desiderio. Cercando di cogliere più esattamente la struttura del rapporto tra 7

fbid., vv. 86-92. E. BUDDENBERG, R.M. Rilke. Bine innere Biographie, Metzlersche Verlagsbuchhand~ lung, Stuttgart 1955. 8


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l'angelo e l'uomo, così come essa si sviluppa nel corso delle Elegie Duinesi, si può notare come nelle prime due Elegie l'indisponibilità al rapporto con la sua presenza avvertita come ('terribile" e minacciosa per l'esistenza stessa, abbia una sua ragionevolezza. Ragionevolezza che viene meno nei

versi finali della Settima Elegia, laddove il poeta sposta sull'uomo la responsabilità dell'impossibilità di instaurare un rapporto. Infatti, lo scetticismo che impregna questa Elegia non esprime più una paura, bensì, decisamente, un pregiudizio.

Nelle restanti tre Elegie l'angelo non sarà più l'oggetto, seppure incerto, di un rapporto dal quale, comunque, il Dasein trae coscienza di sé, bensì il testimone dei "prodigi" di cui il genere umano, che sempre di più nell'opera di Rilke tende ad identificarsi con il poeta stesso, può essere capace nella sua "adesione alla terra". Se abbiamo analizzato puntualmente le caratteristiche del rapporto uomo-angelo, rimane però sostanzialmente aperta la domanda su chi sia l'angelo delle Elegie Duinesi. Come è noto, il Nostro rifiutò categoricamente l'identificazione della sua creatura con l'angelo della tradizione cristiana, «piuttosto - dirà Rilke in una sua famosa lettera al suo traduttore polacco W. Hulewicz somiglia alle rappresentazioni angeliche dell'Islàm» 9 • La "terribilità" dell'angelo, così come la sua indifferenza al destino umano, è infatti estranea alla tradizione cristiana. Tentando di definire positivamente il significato di questa figura, Rilke afferma, nella stessa lettera, che l'angelo «è quell'essere nel quale la trasformazione del visibile nell'invisibile, che noi dobbiamo ancora realizzare, è già compiuta». La tematica della "trasformazione'', così co1ne il concetto di "visibile" e di "invisibile", richiederebbe

ben altro approfondimento; ci limiteremo dunque ad affermare che nella figura dell'angelo si realizza la pienezza dell'essere, così come tale pie-. nezza veniva immaginata dal poeta praghese. È importante, a questo punto, chiarire subito che l'angelo delle Elegie non è Dio. Non si tratta del Dio dei cristiani verso il quale, forse a causa del gretto moralismo materno, il poeta nutriva un astio profondo, e nemmeno del Dio di Rilke che ormai, dopo il Libro d'ore, è sempre meno "effabile". Come nota lo Steiner, e con lui più o meno •implicitamente quasi tutta la critica rilkeiana, le definizioni date dall'autore non riescono a spiegare per intero il significato di tale figura. In realtà, aggiungiamo noi, Rilke usa una meta9 Dalla lettera a W. Hulewicz del 13.11.1925, in R.M. RILKE, Briefe 1914-1926, Herau-

sgegeben durch K. Altheim, Wiesbaden 1950, 200.


Il tema dell'angelo nelle Elegie Duinesi

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fora per spiegare un siinbolo ma così ne estende il campo semantico senza

chiarirne il significato. Per altro verso, bisogna notare come un filone consistente della critica rilkeiana abbia scorto in tale figura il simbolo del trascendente. Tuttavia gli stessi fautori di questa linea interpretativa, da Else Buddenberg a Romano Guardini, a Herrman Kunish, hanno manifestato una certa insoddisfazione per i risultati raggiunti. Agli antipodi di tale posizione critica si colloca invece, in un suo saggio intitolato Mithopoietische umkehrung in Rilkes Duineser Elegien 10 , Hans Georg Gadamer il quale, utilizzando la metodologia a lui cara del rovesciamento mito-poetico, arriva a sostenere che l'angelo, lungi dal testimoniare la trascendenza divina, è unicamente «la più alta possibilità del cuore umano» 11 , possibilità destinata al fallimento. Alla proposta interpretativa di Gadamer si può muovere un'obiezione di fondo: il filosofo di Heidelberg smorza, fino a quasi ad azzerarla, la drammaticità' del rapporto tra l'uomo e l'essere angelico e riduce il "grido" di invocazione di Rilke a un mero soliloquio. Al di là del limite or ora intravisto, l'interpretazione gadameriana ha però l'indiscutibile merito di fungere da comune denominatore di tutte quelle analisi.testuali che, soprattutto in epoca più recente, hanno negato un carattere extratestuale all'opera di Rainer Maria Rilke. Ciò che, a nostro avviso, il poeta praghese rappresenta con la figura dell'angelo è l'anelito del cuore nmano verso il suo compimento, verso una realtà che lo trascenda e che pure lo completi nel suo essere terreno. Essa non è più Dio nel senso teologico, bensì rappresenta il mistero, senso ultimo del reale, verso cui l'uomo tende.

Conclusione A noi pare che Rainer Maria Rilke, questo straordinario genio poetico, riassuma nella sua vita e nella sua opera tutto il dramma dell'umanesimo ateo del nostro secolo. Egli rifiuta il fatto che una risposta alle domande ultime dell'uomo possa provenire da un altro che non sia l'uorno stesso. Rilke intuisce, tuttavia, che solo l'infinito costituisce un 'adeguata

risposta al desiderio umano. 10 H.G. GADAMER, Mithopoietische1onkehrung in Ri!ki:s Duùiesi:r Elegien, in /{/eine Schriften, Suhrkainp, Tuebingen 1967. 11 H.G. GADAMER, op. cit., 200.


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Mario Tamburino

Concordiamo con Claudio Magris quando afferma che «le Elegie sono una continua domanda, un'interrogazione circa l'essere, che contiene già in sé la risposta)> 12 . Ma dal rapporto che il poeta instaura con l'essere angelico si evince che non si tratta di una domanda propriamente retorica o, meglio, essa diventa tale proprio nell'istante in cui l'autore si sottrae definitivamente al rapporto con quella presenza angelica che domina l'universo delle Elegie Duinesi. Non possiamo infine fare a meno di chiederci, accogliendo fino in fondo il suggerimento di Magris, se sia autentica una interrogazione che contenga già in sé una risposta o se non sia più vera quella risposta che costituisce uno scarto qualitativo rispetto alla stessa domanda. E non possiamo non concludere, dunque, proprio perché abbiamo preso sul serio il rapporto tra l'uomo e l'angelo, che l'istanza rilkeiana di infinito avrebbe trovato risposta solo se esso avesse avuto i tratti tipici del-

I'"Altro".

12 C. MAGRIS, Dal/'estetisnzo allo sperimentaliHno, in AA.VV., Rilkes Duineser Elegien, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1982, vol. III, 159.


DUE VISITE PASTORALI DEL VESCOVO BONADIES AD ACI AQUILIA (1673, 1678) ADOLFO LONGHITANO''

Pubblicando parte degli atti della prima visita pastorale ad Aci Aquilia del vescovo Michelangelo Bonadies avevo indicato le motivazioni di questa scelta 1• Con la pubblicazione di questa terza e ultima parte di documenti porto a compimento il progetto iniziale, che intendeva indicare una pista di ricerca, più che pubblicare integralmente una documentazione varia e complessa sulla vita sociale e religiosa di una città, che proprio nel secolo XVII si avviava a raggiungere il suo maggiore sviluppo. Se prendiamo in esame i documenti pubblicati delle quattro visite, troviamo delle costanti e delle variabili. La continuità è data soprattutto dai verbali delle visite delle chiese, solo apparentemente ripetitivi, pubblicati integralmente. Assieme a essi, che costituiscono il nucleo centrale, sono stati pubblicati di volta in volta altri tipi di documenti, che nell'insieme offrono elementi di notevole rilevanza per delineare le condizioni della città di Acireale nel secolo XVII: le ordinationes, gli editti per la correzione dei peccati pubblici e per la festa di S. Venera, gli elenchi delle chiese, dei religiosi e i nomi dei chierici, un piccolo regolamento per il monastero femminile, i dati sulla popolazione, gli atti della visita personale e della visita dei registri contabili, gli elenchi delle reliquie, degli oggetti preziosi e dei paramenti sacri ... ~ Docente di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. A. LONGHJTANO, La visita p({storale del vescovo Michelangelo Bonadies ad Aci Aquilia nel 1666, in Mnnorie e Rendiconti dell'Accade1nia di scienze, lettere e belle arti degli zelanti e dci da fui ci di Acireale, serie Ili, 6 (1986) 367-423; ID., la seconda visita pastorale del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia nel 1669, in AA.Vv., «Senno sapùntiae". Scritti in niemoria di Reginaldo Cambareri O.P., Quaderni di Synaxis 7, Galatea, Acireale 1990, 141-197. 1


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Adolfo Longhitano

1. I verbali di visita delle chiese e degli enti ecclesiastici Poiché lo stato delle chiese e degli enti ecclesiastici era già stato descritto nelle precedenti visite, il notaio è molto più sobrio nella descrizione; per questo motivo negli atti del 1678 i rinvii alle visite precedenti sono più frequenti. Gli elementi che questo materiale ci offre sono abbondanti e vari; solo a titolo di esempio si è cercato di indicare una loro utilizzazione storiografica. Un'analisi più attenta potrebbe suggerire riflessioni di non poca rilevanza per la pietà popolare, per l'organizzazione ecclesiastica, per il rapporto vescovo-clero e vescovo-popolo, per l'associazionismo religioso, per il patrimonio ecclesiastico, per la società acese in genere. Se fin dall'inizio si è sottolineata la presenza di numerose associazioni e confraternite nelle chiese di Aci, non si è approfondito il tema della loro natura e delle loro funzioni specifiche'. Una lettura sinottica dei documenti pubblicati può offrirci degli elementi di indubbia validità per abbozzare una prima tipologia di questo fenomeno. Tutte le associazioni si prefiggevano anzitutto di dare una formazione cristiana ai loro membri. Le periodiche riunioni erano quasi sempre presiedute e guidate dail'assistente ecclesiastico.1, che provvedeva a insegnare i primi rudimenti della dottrina cristiana e a dare indicazioni concrete sul comportamento più coerente con la fede professata. Alla finalità formativa bisogna aggiungere quella di culto: i confrati non solo avevano l'obbligo della preghiera comune, ma anche quello di partecipare alla messa domenicale, di 2 Sulla base di un comune denon1inatore (associazioni laicali approvate dall'autorità ecclesiastica), nelle confraternite troviamo una tipologia molto varia, derivante dalle finalità che si prefiggono e dagli statuti: for_mazione religiosa, devozione, culto, carità, suffragi ... Le stesse opere di carità possono assumere una diversa configurazione: gestione del monte di pietà, dell'ospedale, istituzione di doti per le ragazze orfane o povere, assistenza agli ammalati o ai moribondi, sepoltura dei 1norti ... Sul tema vedi in particolare: G. C. ANGELOZZI, Le confraternite laicali. Un'esperienza cristiana tra 1nedioevo e età 1noden1a, Qucriniana, Brescia 1978 con una raccolta antologica di testi e statuti; G. C. MEERSSEMAN - G. P. PAC!NI, Le con_fraternite laicali in Italia dal Q}tattrocento al Seicento, in AA. Vv., Problen1i di storia della Chiesa nei secoli XV-XVII, Dchoniane, Napoli 1979, 109-136; R. RusCONJ, Cm?fraternite, con1pagnie e devozioni, in La chiesa e il potere politico (a cura di G. Chittolini e G. Miccoli), Einaudi, Torino 1986, 467-506 e la bibliografia indicata in questi saggi. 3 Se inizia!tnente si nota un certo spontaneismo nelle associazioni laicali, col tempo le autorità ecclesiastiche cercarono di disciplinarle per evitare che assumessero atteggia1nenti ereticali o svolgessero attività prive del necessario coordinamento con il resto della Chiesa. Un indirizzo costante che, soprattutto al tempo della controrifOrma, si cercò di seg'uire nella revisione degli statuti da parte dell'autorità ecclesiastica, fu la presenza di un assjstente ecclesiastico e il controllo sulla elezione dei governatori (vedi bibliografia nella nota precedente).


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia

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fare la comunione in determinati periodi dell'anno, di prendere parte alle processioni religiose 4 • Ritengo che meriti un particolare rilievo il contributo che associazioni e confraternite erano chiamate a dare alle diverse celebrazioni del culto eucaristico, secondo la prassi affermatasi nel periodo della controriforrna5: quarantore cittadine, esposizione, comunione generale, processione del SS.mo Sacramento nella prima o nella terza domenica di ogni mese nelle diverse chiese, accompagnamento del sacerdote che porta la comunione agli infermi ... 6 • Con il culto eucaristico pubblico si intendevano raggiungere finalità divese: rafforzare la fede dei cristiani sulla presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, in polemica con i riformati che la negavano; affermare la signoria di Cristo nella società; creare occasioni di evangelizzazione e momenti di aggregazione religiosa. La finalità caritativa di associazioni e confraternite si concretizzava non solo nell'aiuto reciproco fra i membri, ma anche negli scopi istituzionali, che alcune di esse si prefiggevano in modo specifico: fondare e dirigere il monte di pietà o l'ospedale, visitare i malati, aiutare i poveri, assistere i condannati a morte, seppellire i 1norti ... 7. 4

Nei documenti pubblicati troviamo numerosi riferimenti su questi temi: i confrati di San Michele Arcangelo si riuniscono ogni domenica per pregare (visita 1673, f. 3r), lo stesso fanno i confrati nella chiesa Santa Maria dei Miracoli (ibid., f. lOv), i confrati di Gesù e Maria si comunicano in tempi determinati (ibid., 4v), i confrati di San Francesco di Paola si riuniscono ogni prima domenica del mese per l'adorazione al SS. Sacramento e per ricevere la comunione (ibid., f. 5r), lo stesso fanno i confrati della chiesa del Suffragio in tutti i lunedì del mese (ibid., f. 6r). 5 Soprattutto in questo periodo si afferma l'uso di collocare il tabernacolo nell'altare maggiore, in una posizione centrale, si diffonde la pratica dell'adorazione del SS. Sacramento e delle quarantore, delle processioni eucaristiche mensili, oltre che nella festa del Corpus Domini, di portare la comunione agli infermi con una certa solennità (R. CABIÉ, L'Eucaristia, in A. G. MART!MORT, La Chiesa in preghiera, trad. it., II, Queriniana, Brescia 1985, 284-292; H. JEDIN, Storia della Chiesa, trad. it., VI, Jaca Book, Milano 1975, 680-682; C. CARGNONI, Le quarantore ieri e oggi, Conf. it. sup. prov. Cappuccini, Roma 1986). 6 Nelle città di Aci Aquilia, oltre la confraternita del SS. Sacra1nento, che troviamo nella chiesa di Santa Maria del Carmelo del quartiere «Pataneraum» (visita 1673, f. 6v), altre confraternite avevano al centro della loro vita religiosa il culto eucaristico sotto forma di adorazione e di comunione: Santa Maria degli Agonizzanti (ibid., f. 4v), Gesù e Maria (ibid., f. 4v), San Francesco di Paola (ibid., f. 5r), Santa Maria del Suffragio (ibid., f. 6r), Santi Pietro e Paolo (ibid., f. 7v). È inoltre docurnentata la pratica delle quarantore, che coinvolge anche il monastero di Santa Agata (ibid., f. 3v} e chiese che sorgono fuori le mura della città (San Martino, ibid., f. 5v). 7 Negli atti delle visite di Aci Aquilia sono documentate le seguenti attività caritative da parte delle confraternite: gestione del Monte di Pietà (visita 1673, f. 6r) e dell'ospedale (ibid., f. 9v), la costituzione di doti per ragazze orfane (ibid., f. 7r). Notizie su alcune confraternite di Aci Aquilia sono riferite da V. RAcITI ROMEO, Acireale e dintorni·. Guida storico-monumentale, Galatea, Acireale 1980 (ristarnpa anastatica con aggiornamenti), 118, 119, 173-174, 176.


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Negli atti della visita delle chiese non mancano le novità e le ripetizioni, che in alcuni casi indicano il persistere di prassi che il vescovo non riesce a cambiare, nonostante i ripetuti inviti all'osservanza della disciplina canonica. Si noti, a esempio, l'uso di esporre ritratti di defunti negli altari delle chiese, che famiglie private avevano avuto in concessione per la sepoltura dei propri cari 8 • Si tratta di una prassi che denota una strana commistione di pubblico e di privato, che deve essere tenuta presente nella vita religiosa di questo periodo storico. La chiesa era un edificio pubblico; ma nello stesso tempo parti di essa potevano essere date in uso a privati per la costituzione di benefici, per la celebrazione di messe, per la sepoltura dei defunti'. Queste concessioni erano disciplinate da norme precise; tuttavia non sempre si evitavano gli abusi che ne derivavano: i fedeli erano portati a considerare propri gli altari o i luoghi loro concessi; pertanto non si sentiva la necessità di coordinare le celebrazioni liturgiche all'interno della stessa chiesa 10 e si dava sfogo a forme di religiosità popolare nelle quali il culto dei santi e il culto dei morti tendevano a essere collocati sullo stesso piano. Nelle ordinationes dei verbali pubblicati troviamo sempre il richiamo aila regolare riscossione e amministrazione delle somme dovute per legati pii, per censi o per celebrazione di messe. Il vescovo sembra impotente dinanzi al persistere di negligenze e abusi. Le persone incaricate alla riscossione non riuscivano ad avere le somme dovute proprio dalle «persone di rispetto», per le quali avevano una sorta di timore reverenziale 11 • Non sappiamo se abbia avuto successo l'idea del vescovo di affidare ai sacerdoti il compito di riscuotere tali so1nme 12 . Dai documenti pubblicati è possibile stabilire l'ubicazione delle diverse chiese nelle città e nelle frazioni. Nella visita non si seguiva un or8

Visita 1669, f. 14r; 1673, f. 7r; 1678, 13, 19, 22. Sono le conseguenze derivanti dall'affermarsi dell'istituto giuridico della chiesa propria e del sistema beneficiale: R. BJDAGOR, La «Iglesia propria" en Espaiia, PUG, Roma 1933; L. NANNI, La parrocchia studiata nei documenti lucchesi dei secc. VII-Xl!, PUG, Rozna 1948; G. LE BRAS, Le costituzioni ecclisiastiche della cristianità medievale, in A. PLICHE - V. MARTJN, Storia della Chiesa, trad. it., Xl/2, SAIE, Torino 1974, 532-565. 10 Per la presenza di innumerevoli altari de requie che si trovavano lungo le pareti, nelle colonne e negli angoli della cattedrale di Catania e per le conseguenze che ne derivavano per l'ordine e il culto vedi il inia volume: A. LoNGHITANO, La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il concilio di Trento, Ist. Sup. Scienze Religiose, Palermo 1977, 25, nota 12. 11 Visita 1678, 20. 12 L. c. 9


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dine prestabilito; probabilmente si cercava di conciliare le necessità del visitatore con quelle del rettore della chiesa. Inoltre si ha l'impressione che le mura della città fossero un'entità più simbolica che reale; infatti nelle diverse visite una stessa chiesa a volte viene collocata dentro le mura e a volte «extra moenia civitatis» 13 • La stessa mancanza di una chiesa dai verbali della visita non sempre può indicare un cambiamento di titolo o la sua distruzione 14 ; probabilmente l'edificio sacro non era stato visitato per dimenticanza o per l'indisponibilità del rettore. Ma dallo stato delle chiese e dal tipo di frequenza dei fedeli è anche possibile avere delle indicazioni sullo sviluppo demografico dei quartieri in cui gli edifici sacri sorgevano. Si noti, a esempio, la chiesa di Sant' Antonio ad Aquilia vetere: dalla sua estrema povertà e dallo stato di abbandono in cui si trova 15 , si può arguire che ormai attorno a essa non esistessero più abitazioni. Mentre fra le altre chiese considerate fuori le mura Santa Maria la Scala sembra che avesse già attorno a sé un primo nucleo di abitanti, se possedeva una propria rendita, era governata da due rettori e ogni sabato si celebrava una messa con l'elemosina dei fedeli 16 • Da tenere presente che l'elenco delle chiese visitate dal vescovo non comprende tutte quelle esistenti nelle città, mancano le chiese annesse ai conventi dei religiosi esenti, cioè di quei religiosi che non sottostavano alla giurisdizione del vescovo (minori, carmelitani, cappuccini ... ) e che perciò non potevano essere da lui sottoposte a visita canonica.

2. L'inventario degli oggetti preziosi e delle suppellettili La pubblicazione dell'inventario dei «giogali» e delle suppellettili 13

Nella visita del 1666 la chie!)a Santa Maria dell'Indirizzo è indicata dentro le mura della città (f. lSv}, mentre nella visita del 1669 (f. 16v) e del 1673 (f. llr) si considera «extra 1noenia)). La chiesa di San Giovanni Evangelista nel 1666 è posta filari le mura (f. 2lr}, nel 1669 sembra sia considerata co1ne appartenente al «quarteria Patanearum» (f. lSr), nel 1673 (f. lOr) e nel 1678 (p. 14) sembra sia dentro le mura della città. 14 Nella visita del 1669 troviamo le seguenti chiese che n1ancano in quella del 1666: San Giovanni Battista (f. 17r), Santa Maria Ammalati (f. 16v), Santa Maria la Scala (f. 17r). Nel 1673 non è indicata la chiesa di San Giuseppe, annessa al convento dei don1enicani, che troviamo, invece, in tutte le altre visite. Nella visita del 1678 mancano le chiese di Sant'Antonio ad Aquilia vetere, Santa Maria di Loreto, Santissimo Salvatore e Santa Maria la Scala; compare per la prima volta la chiesa dei Santi Cosi1no e Da1niano (p. 34). 15 Visita 1669, f. 17r; 1673, f. llr. 16 L. c.


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della chiesa madre e di San Sebastiano costituisce una delle novità nei documenti pubblicati in questa terza parte del mio studio. Negli atti del 1678, leggendo i verbali della visita delle chiese si può notare un costante rinvio del notaio a questi elenchi (con l'indicazione anche della pagina del manoscritto). Sono riferimenti preziosi non solo per stabilire la consistenza di suppellettili d'argento o d'oro, di paramenti sacri, registri o libri liturgici per le diverse chiese, ma anche per accertare la presenza di determinati oggetti nei diversi verbali delle visite pastorali. Se questa prassi, prescritta da precise norme canoniche 17 , fosse stata mantenuta nel corso dei secoli con il rigore con cui veniva osservata dal Bonadies nelle sue visite, si sarebbe potuto evitare la dispersione di un ingente patrimonio artistico, verificatasi in epoche diverse e per vari motivi. Il patrimonio di oggetti preziosi, di arredi sacri e di suppellettili della chiesa madre sembra abbastanza consistente, soprattutto se si confronta con quello della chiesa di San Sebastiano. Nell'elenco dei messali e dei libri della chiesa madre si noti l'indicazione dei registri parrocchiali, «incominciando il primo libro di battesimi dall'anno 1558»"- Questa data è una definitiva conferma della tesi sostenuta da Matteo Donato, sulla base di una documentazione inoppugnabile, circa lo status giuridico dell' Annunziata19: contrariamente a quanto aveva affermato Vincenzo Raciti Romeo nei suoi scritti, anche in polemica con Salvatore Bella, l'Annunziata di Aguilia nuova, prima del 1558, amministrava i sacramenti come filiale della chiesa di San Filippo di Carcina (Aci San Filippo)'°. Nel 1558, nel quadro della riforma promossa dal vescovo Nicola Maria Caracciolo, la chiesa ebbe la sospirata autonomia e da quell'anno, come tutte le chiese sacramentali autonome, fu obbligata a tenere i registri parrocchiali: Battesimo, Matrimoni, defunti. 17

Una prima prescrizione, emanata da un concilio particolare, viene riportata dal Decreto di Graziano (C. XXII, q. 1, c. 20-21). In modo più esplicito si pronunzia il Concilio di Vienne (1311-1312), Decreta, [17] (Concilioru1n oecutnenicorum decreta, Ist. Scienze Religiose, Bologna 1973 3 , 375), ripreso dal Concilio di Trento (Sess. VII, de ref., c. 15). 18 Visita 1678, 113. 19 M. DONATO, le chiese sacra1nentali del territorio di Aci nel Cinquecento, in Memorie e rendiconti dell'Accademia di scienze, lettere e belle arti degli zelanti e dei dafnici di Acireale, serie lii, 5 (1985) 39-90. 20 Negli scritti di V. Raciti Romeo l'an1or patrio sembra avere ostacolato una serena ricerca deJla verità (per le indicazioni bibliografiche sul tema vedi M. DONATO, op. cit.). La polemica col Bella, che aveva sostenuto la tesi contraria con toni molto accesi (5. BELLA, Aci S. Filippo ed Aquilia, Risposta del can. pref. D. Salvatore Bella alle memorie sulle origini di Aci, Donzuso, Acireale 1893), non favorì un serio approfondimento della questione.


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3. Le ({ordinationes» generali

Nella visita del 1669 il vescovo aveva prescritto di portare a compimento i lavori all'interno e all'esterno della chiesa madre, «che è rimasta rustica e s'abbellisca come si conviene»21 • A distanza di nove anni, nella visita del 1678, non sembra che il progetto sia stato pienamente realizzato, se il vescovo prescrive ancora: «essendo molto indecenza che le colonne seu pilastri della chiesa stiano tanto tempo rustichi e negri s'ordina che si biancheggino» 22 • Analoghe prescrizioni erano state date per costruire «il coro· di noce con le sedie sufficienti per li cappellani e clero per l'assistenza nelle messe cantate et offitii divini» 23 ; per realizzare convenientemente questo progetto aveva anche prescritto di ritirare «l'altare maggiore più innanti, sotto l'arco maggiore» 24 • Anche queste prescrizioni sembra abbiano seguito la stessa sorte della prima, se leggiamo nelle «ordinazioni»: «fra sei mesi si dia principio a fare il coro di legname, altrimente, passato detto termine e non essendosi dato principio, si levino le sedie e si pongano banchi sotto pena di sospe!1-sione» 25 . 4. Le «ordinationes» per il monastero femminile Possiamo considerare un piccolo regolamento per il monastero di Sant'Agata le ordinationes rilasciate dal Bonadies nella visita del 1673. Si tratta di norme che ci permettono di farci un'idea dei problemi e della vita interna di un istituto, che esercitava un'influenza limitata nella vita religiosa della città, considerata la povertà dei mezzi di cui disponeva e il piccolo numero di religiose e di educande che accoglieva. Le ordinationes dettate dal Bonadies vogliono essere un richiamo all'osservanza dei voti e delle regole e un invito a realizzare quella vita comune che doveva contraddistinguere l'ideale della vita monastica. Alcune delle indicazioni contenute nel documento potranno farci sorridere, ma è indubbio che costituiscono uno spaccato interessante per illuminarci sulla vita di un mondo sconosciuto ai più. 21

Visita Visita 23 Visita 24 L.c. 25 Visita 22

1669, f. 3r. 1678, 375. 1669, f. 3r. 1678, 375.


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5. L'elenco dei chierici della città Al numero complessivo dei chierici, indicato in tutte le visite dei diversi centri abitati, si aggiungeva a volte l'elenco nominativo, che si è voluto pubblicare per dare una diversa consistenza alle aride cifre di una statistica. Infatti l'elenco contenuto negli atti della visita del 1673, oltre a permetterci di stabilire il rapporto clero-popolazione della città di Aci Aquilia, ci dà la possibilità di conoscere i nomi delle persone che in quegli anni erano i principali responsabili della sua vita religiosa. Si tratta di persone che esercitavano la cura delle anime, che istruivano i fedeli, che animavano le associazioni religiose, che promuovevano attività religiose e sociali in favore dei ceti più bisognosi, che perciò possono ricorrere anche in altri tipi di documenti.

Conclusione

Il Bonadies negli anni del suo governo episcopale portò a compimento sei visite pastorali negli anni 1665-1668, 1669-1671, 1673, 1678-1679, 1681-1682, 1684-1685. È difficile ipotizzare la pubblicazione integrale dei diversi volumi che contengono gli atti di queste visite. I documenti pubblicati contengono già un'abbondanza e una varietà di dati che non possono essere reperiti con la stessa facilità in altre fonti, ma nello stesso tempo rinviano ad altri ancora più numerosi, che lo storico non può ignorare. Questo mio lavoro vuole essere un contributo allo studio del vescovo Michelangelo Bonadies, la cui azione pastorale merita di essere approfondita, e un invito alla conoscenza e alla utilizzazione di una fonte di notevole rilevanza storiografica, non solo per gli studiosi di storia locale26.

26

Per la trascrizione dei documenti ho seguito gli stessi criteri inetodologici degli altri: ho sciolto le abbreviazioni più difficili, ho adatto all'uso inoderno la punteggiatura e le maiuscole, ho indicato tra le aggiunte al testo. Le carte della visita del 1673 non sono numerate; la numerazione riportata è mia.


ACIREALE, ARCHIVIO DELLA CURIA VESCOVILE

Visite 1673, carte non numerate

[lr] In nomine Domini nostri. Amen

VISITATIO ĂŠ:IVJTATIS ACIS 1 AQUILEAE 1. Visitatio ecclesiarum intra moenia civitatis Die 13 iulii,

uae

indictionis, 1673

Incepta visitatione, prosequendo, 111.mus D.nus ad civitatein predictam se contulit, ubi perventus, a clero, officialibus ac magno populi concursu receptus et ductus ad matricem ecclesiam sub titolo Divae Mariae Annunciationis, ubi perventus, post crucis deosculationem, aspersionem aquae lustralis et incensazionem in porta et in altare maiore, decantatas orationes prout in Pontificali ac de Beata Virgine titolare, sollemniter papula benedixit et ad episcopale palatium se contulit. Die 27 eiusdem

mens1s

De ordine III.mi Domini fuit promulgatus edictus convocationis cleri et populi et suspcntionis missarum pro initio visitationis in infrascripto die. Die 30 eiusde1n

mensis: visitatio ecclesiae 1natricis

111.mus D.nus cum toto clero accessit ad predictam matricem ecclesiam, ubi pervehtus, ante SS.mum Sacramentum flexis genibus oravit. In soleo postea ascendit et edictum preceptivum visitationis perlectum fuit, ad obedientiam deinde recepit cum osculo manus clerum, officiales et alios, post cuius, missam de Spiritu Sancta celebravit. Expleta missa ac 1

Acis] scrive nell'interlinea Cod.


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Adolfo Longhitano

preci bus per ecclesiam et cemeterium in paramentis violaceis pro fidelibus defunctis absolutis, in paramentis albis cum luminibus sacrosanctum Christi Corpus in tabernaculo marmoreo, in cappella et altare dextrae tribunae, in vasis argenteis auro litis visitavit. Battismalem fontem deinde in destro latere ingressus maioris ianuae, et in sacristia sacra olea in vasis argenteis [lv]. Die 2 agosti Accessit iterum Ill.mus D.nus ad predictam matricem ecclesiam et visitavit Sanctorum reliquias cum attestationibus prout in repertorio, in volumine scripturarum, et invenit quod reliquia S.tae Catharinae fuit in anno 1624 2 visitata et in visitatione fuit posita nota prout sequitur: «una reliquia di Santa Catarina vergine et martire ingastata in una raiia d'argento, quale s'espone il giorno della festività di detta santa, quale reliquia li fu presentata dal Rev.do Provincialc 3 della Compagnia di Giesù, veni è autentica» et quod adsunt testes per curiam spiritualem civitatis Acis recetti, sub die 28 augusti 1613, de publica adoratione et circun1itione in processione in eius festo, ut per predictam notam et testes in predicto voluminc. Claves supradictaruin reliquiarum detinent vicarius unam, alterain unus ex gubernatoribus ecclesiae et aliam unus ex iuratis. Visitavit et sta! uam mcdeam argenteam Beatae Venerae, cum corona in capite et palma in sinistra inanu, cum tribus parvis coronis et in dextra crux, in tabernaculo, in sacristia, cum quinque clavibus clauso, quas detinent iurati et patrisius, iugalia deindc omnia ac libros parocorum et altaria: maius scilicet, SS.mi Sacramenti, cappellam et altare S.tae Mariae Annunciationis cum simulacris Divae Mariae et Angeli Gabrielis 4 , SS.mi Crucifìxi, SS.mi Rosarii, Sanctae Catharinae, Sancti Antonii de Padua, sacellum et altare Sancti Ioannis Battistae, et Sanctae Annae, altaria item Passionis, Sanctae Venerae, Sanctae Mariae Montis Carmeli, Sanctae Agathae quorum denique et corales libros totamque ecclesiam et campanile, et iussit 5 guae sequuntur. Ordinatìones in visitatione ecclesiae 1natricis sub titulo SS.mae Annunciationis Ordiniamo primariamente che il quadro dell'altare della SS.ma Passione si vogli commodare. La tavola dell'altare dcll'Annunciatione si accomodi che stia sopra la {2r] fabrica dell'altare e non elevata. In tutti li confessionarii si tengano li casi rescrvati in bulla Cenae et all'ordinario Per li sacristani minori si faccino le cotte necessarie, tre pianeti bianche, due rossi e due verdi di damasco con sue stoli e manipoli, sei palii d'altari, quattro bianchi e due rossi. Le giornate delle note de' libri parrocchia.li si scriviono in lettera e non in abaco. Alli cappellani che adn1inistrano il sacramento del matrimonio e dano alli sposi la beneditione ecclesiastica de more, s'ordina che s'habbiano da notare nella nota, sotto pena di privatione. 2 3

4 5

1624] 1614 corregge e soprascrive Cod. Provinciale] Provingiale Cod. Gabrielis] Grabielis Cod. iussit] iupsit Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia

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Nella sacristia si tenghi tabella affissa dell'obligo delle messe che si devono celebrare in detta chiesa, et alli sacerdoti che devono celebrare dette messe, si ordina che, statim celebrata la messa, s'habbia da notare di propria manu nel libro. Nella sacristia si faccino le armarii per conservarsi le reliquie, conforme s'ordinò nella precedente visita. Si confirmano l'ordinationi della nostra precedente visita, fatti in visitatione totius corporis ecclesiae, come e pure et in visitatione sacristiae, quale ordiniamo che inviolabilmente si adempliscano e non altrimente. De servitio ecclesiae

Reperiit quod bona et reditus ecclesiae (guae sunt cuin oneribus prout in revelo) administrantur per quatuor deputatos seu gubernatores, et quomodo eliguntur et sacramenta adiministrantur per insignitos cappcllanos amovibiles, ac de servitio in spiritualibus, satis abunde descriptum est in prima nostra visitatione. Missae vero, quae ex debito celebrari debent, sunt prout in revelo [2v]. Visitatio ccclesiae sacra1nentalis Sancti Mhhaclis Arcangeli: die octavo agusti 1673

Ill.mus Dominus ecclesiam sacramentale1n matricis coadiutricem sub titulo Sancti Michaelis Arcangeli visitavit, in qua parochialia sacramenta administrantur per unicum cappellanum insignitum, cum alio coadiutore amovibiles, ab ordinario elettos, pro quorum salario solvuntur ex gabella panis unciae 20 scilicet: unciae 10 cappellano, unciae 6 sacristano et unciae 4 coadiutori pro celebrationc missae. Et primo SS.1num Eucharistiae Sacramentum in altare majore, in tabernaculo aurato et in vasis argenteis pariter auratis visitavit, fontem deinde baptismalem in sinistro latere ingressus ecclesiae, et prope ipsum in vasis argenteis alea sacra, confessionaria et altaria: 1naius sci!icct, in quo ce le bratur quotidie per cappellanum sin e merito, SS.mae Conceptionis, ad presens S.ti Michaelis6 , Sanctae Mariae de Monte Carmelo, sacristiam et iugalia prout in repertorio et ibi reliquiam Sanctae Apolloniae in parvo reliquiario argenteo, in bracchio ligneo, a gubernatoris societatis tradita per acta notarii loseph ZappalĂ , 20 augusti, 6ae indictionis, 1668, ad quorum nomen fuit expeditum privilegium per acta Magnae Episcopalis Curiae, 8 octobris, gae indictionis, 1654. Reperiit in visitatione predictae adesse societatem sub titulo S.ti Michaelis Arcan[3r] geli cuius confratres uniuntur ad orandum singulis dominicis, solvunt granos duos singulis 1ncnsibus, post quorum mortem celebrantur trigintae missae. Festum fit ex elemosina recolletta a consulibus, qui a vicario eliguntur, et singulis primis dominicis n1ensium exponitur de mane SS.mum Eucharistiae Sacramentum. Ordinationes in visitatione ecclesiae 7 sacramentalis Sancti Michaelis Arcangeli Le note delli libri parrocchiali si scriviono in 8 lettera e non abaco et il cappellano non si passi scrivere curato.

6 7 8

ad - Michaelis] Santae Apolloniae cancella e soprascrive Cod. ecclesiae] parochialis scrive e cancella Cod. in] il cancella e soprascrive Cod.


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Ado{fo Longhitano

Die 12 eiusdeni

mensis: visitatio ecclesiae sacramentalis S.tae Catharinae

Fuit visitata sacra1nentalis ecclesia S.tae Catharinae in qua parochialia sacramenta per unicum cappellanum insignitum amovibilem et ab ordinario electum administrantur, cui ex gabella panis solvuntur a matrice ecclesia unciae 20: unciae 14.5 pro salario cappellani, restans sacristani, expensio cerae et olei fit ex redditibus ecclesiae. Visitavit primo SS.mum Sacramentum in altare maiore, in tabernacolo a urato, in vasis argenteis intus auro litis, baptismalem fontem in sinistra parte ingressus ecclesiae, et propre ipsum sacra alea in vasis argenteis, et in arn1ariolo in pariete sacristiae reliquiam Sanctae Catarina e in bracchio argenteo, cum tribus clavibus clauso, detentis duo a gubernatoribus ecclesiae et una a gubernatore confraternitatis. Adest privilegium Magnae Episcopalis Curiae, 24 novcmbris, 7ae indictionis, 1633, confessionaria deinde et altare maius in quo quotidie celebratur per cappellanu1n sine merito, aliae vero missae, guae ex debito celebrantur, sunt prout in revelo, altare item SS.mae Passionis et Sanctae Catharinae cum eius sitnulacro a urato in tabernaculo, sacristiam, demum, et iugalia prout in repertorio, et ibi libros parocorunl. Invenit quod adest confraternitas laicorum cum capitulis confirmatis, et quod in temporalibus gubernatur per duos gubernatores ad sortem electos [3v] ex quatuor per preteritos gubernatores, cum interventu et consensu rev.di vicarii electis. Ordinationes in visitatione ecclesiae sacramenlalis Sanctae Catharinae Le note dclii libri parrochiali si scriviano in lettera e non in abaco. Die 15 eiusdent

mensis: visitatio ecclesiae et 1nonasterii S.tae Agathae

Visitavit 111.mus D.nus ecclesiam et monasteriu1n sub titulo Sanctae Agathae, ordinis Sancti Benedicti, et primo SS.mum Eucharistiae Sacran1entum in tabernaculo aurato, in altare maiore et in vasis argenteis auratis, oleu1n deinde infirmorum invase argenteo et altaria: maius in quo quotidie celebratur per cappellanum sine merito cum elemosina unciarum 10, item Sanctae Rosaleae, communicatorium, confessionarium, rotam et crates in ecclesia e in finestrella comunionis, moniales ad aures eas interrogando, prout in visitatione 1nonasterii civitalis Paternionis. Visitationibus predĂŹctis expletis, visitavit collocutorium et ibi rotain et crates, clausuram exteriorem et interioren1 in qua cum vicario et visitatori generali, vicario loci et cappellano ingressus, a monialibus in porta receptus et ad oratorium ductus, ibique facta a censuris absolutione ac benedictione, ad obedientian1 cum osculo manus recepit moniales veletae 11, novitias unam, educandas 4, servientes 4. Obedientia prestita, cum abatissa et decanis visitavit dormitoria, do1nos 01nnes 01nnesque officinas et loca, sacristia1n et iugalia prout in repertorio. Temporalia bona et redditus sunt prout in revelo; administrantur per procuratorem et abatissam. lnvenit quod in festa S.ti Benedicti exponitur SS.mum pro oratione quatraginta orarun1. Ordinationes in visitatione ecclesiae et monasterii Sanctae Agathae Il SS.1no Sacramento, nelli venerdĂŹ di marzo, si esponga solamente la matina per il spatio di due hore.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia

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L'altare di Santa Rosolea si proveda di carte di gloria (4r]. Die 17 eiusdem

1nensis: visitatio ccclesiae Sanctae Mariae Agonizantium

Visitavit Rev.mus D.nus Vicarius et Visitator generalis ecclesiam Sanctae Mariae Agonizantiu1n, seu Montis Serrati eiusque altaria: maius cum imagine SS.mi Crucifixi et Sanctae Mariae Montis Serrati, in quo celebrantur undecim missae ex legatis quondam Agathae Grasso, et iugalia prout in repertorio. Reperiit quod per quondam D. Nuzzium 9 Tosto fuerunt relictae unciae 2 pro celebratione missarum in ecclesia hospitalis, quae predicta est. lten1 et quod adsunt due congregationes sub titulo agonizantium una, cum expositione SS.mi de mane cum ianuis clausis, et celebratur missa pro sumptione ipsius, altera sub titulo Sanctae Mariae Pacis in omnibus dominicis, in vigesima secunda hora. Ordinationes in visitatione ccclesiae Montis Serrati, seu S.tae Mariae Agonizantium. L'altare di Monserrato si facci più largo et si muri l'altaretto 10, che sia stabile e più elevato della planitie. Il scabello dell'altare si facci più largo per potersi più commodamente farsi le genuflessioni. Don Giovanni Grasso, legatario delle messe di O. Nuzzo Tosto, eletto per li rettori dello spedale come fidei commisso per la celebratione di dette messe, senza explicationc di chiesa, s'habbia da celabrarle, conforme dispose il testatore per il suo testamento, in notaro Francesco Russo di Aci S. Antonio, a 28 di gennaro, 6ae indictionis, 1608. Vùitatio ecclesiae S.ti Viti: eodem

die

Visitavit idem Rev.mus D.nus ecclesiam S.ti Viti, in qua adest congregatio [4v] clericoru1n in omnibus fCriis sextis, in hora vigesima secunda, eiusque altare, in quo ex devotione celebratur, et iugalia prout in repertorio. Congregati solvunt singulis mensibus granos quatuor pro celebratione viginti missarum post morte1n ipsorum. Ordinationes in visitatione ccclesiae S.ti Viti Si facciano due pianete almeno di tirzanello con suoi stole e manipoli, una verde e l'altra bianca, due sopra calice, uno murato e l'altro verde. E odon

die: vùitatio ecclesiae S. ti Rocci

Visitavit etian1 ecclesia1n S.ti Rocci in qua adest congragatio in on1nibus feriis quartis, in vigesin1asecunda bora, eiusque ad presens unicum altare, in quo celebratur in omnibus dominicis et festis per capellanum curo elemosina unciarum quatuor scilicet unciae 2 ecclcsiac, restans congregatorum. Redditus et iugalia sunt prout in repertoriis. 9

lO

Nuzzium] Nuntium corregge e soprascrive Cod. et - l'altaretto] ripete.


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Adolfo Longhitano Ordinationes in visitatione ecclesiae S.ti Rocci

Il quadro di S. Filippo Nerio, levato per haver cascato il tetto, si riporti nella chiesa. L'altaretto dell'altare si muri, che stia stabile e poco elevato dalla planitie e non più basso d'essa, e detta planitie s'accomodi, che sia eguale. Die 18 eiusdem

1nensis: visitatio ecclesiae !esus Mariae

Visitavit ecclesiam sub titulo Iesus Mariae eiusque altare et tabernaculum, ubi conservatur SS.mu1n Sacramentum de mane indie communionis congregatorum, in qua adest congregatio cum nomine lesus Mariae, et quotidie in vigesimaterza hora adest congregatio, et singulis secundis dominicis mensium communicantur; reguntur cum capitulis Messanae impressis, quotidie celebratur ex legato relicto per quondam sacerdotem D. Ioannem Tosto, et demu1n visitavit confessionarium et iugalia prout in repertorio [Sr]. Ordinationes in visitatione ecclesiae Iesus Mariae Alla porta del tabernacolo, dove si conserva il SS.mo Sacramento nelle 40 hore della città, si f.1cciano il scudo e chiave d'argento, altrimente non si possi conservare più il SS.mo Sacrainento, né esponersi, conforme se l'ordinò nella precedente visita. Eodem

die: visitatio ecclesiae S.ti Francisci de Paula

Visitavit pariter ecclesiam S.ti Francisci de Paula eiusque altare, in qua adest congregatio laicorum et invenit quod singulis primis dominicis mensium congregati, ianuis clausis, SS.1num Christi Corpus exponunt, communicantur et expleta communione, in celebratione missae sumitur. lte1n quod celebratur in omnibus dominicis et festis per cappellanum cum elemosina congregatorum, qui solvunt tarenos tres singulis annis pro sustentalione ecdesiae, ac etiam in omni prima dominica mensium celebratur pro anin1a quondam Francisci Castorina, et tandem quod triginta missae relictae per quondam Thon1asum Patania non celebrantur refertur nec exiguntur redditus, ut dicitur. Et tandem visitavit sacristiam et iugalia prout in repertorio. Ordinationcs in visitatione ecclesiae S.ti Franciscì de Paula Alla porta del tabernaculo del SS.mo Sacramento si faccia la chiave e scudo d'argento, altrin1ente non s'esponga nelle 40 hore il SS.mo Sacramento. Si procuri con ogni diligentia esigere l'elemosina delle messe lasciate per T omaso Patania. Eodem

die: visitatio ecclesiae S.ti Antonii de Padua

Fuit ctiam visitata ecclesia S.ti Antonii de Padua, in qua adest congregatio trigìnta trium confratruum in omnibus feriis quintis, et primo altare maius cum simulacro Divini Antonii, in quo celebratur in omnibus dominicis et festis cum elemosina congregato-


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rum, quia non habet redditus [Sv]. Altare deinde SS.mi Crucifixi seu S.ti Petri dell'Alcantara, in quo pariter ex dcvotione celebratur, confessionariu1n, sacristiam et iugalia prout in repertorio. Ordinationes in visitatione ecclesiae S.ti Antonii de Padua Alla porta del tabernacolo, dove si conserva il SS.mo Sacramento nelle 40 hore della città, se li facciano il scudo e chiave d'argento, altrimente non si passi esponere, conforn1e se l'ordinò nella precedente visita. Die 20 eiusdem

mensis: visitatio ecclesiae S.tae Mariae de !tria

Visitavit idem Rev.mus Yicarius et Visitator generalis ecclesiam Divae Mariae ltriae et invenit quod congregatio clericorum et sacerdotum extinta et adesse solum altcram laicorum, qui congregantur singulis do1ninicis in 20 hora, et primo eiusque altare, in quo celebratur singulis tertiis feriis ex legatu quondam magistri Petri Barbagallo, qui pro elen10sina relinquit fructus cuiusdam predii, qui sunt circiter unciae 5, vigore testamenti in attis notarii Alessandri Scuderi, 2dae aprilis, yae indictionis, 1592. Item non invenit quod celebrantur aliae duae missae singulis annis, vigore legati quondam Bernardi 11 Costare Ila, pro suis consanguincis et demum aliae septem pro anima quondam Sebastiani d'Amato. ' Ordinationes in visitatione ecclesiae Santae Mariac Itriae Si tenghi un libro nella sacrestia dove si notino le messe che si celebrano d'obbligo e si scrivano di mano delli celebranti, altrimente s'haveranno per non sodisfatti. Eodem

dù: visitatio ecclesiac S.ti Martini

Fuit visitata per 111.mum D.num ecclesia S.ti Martini, parum distans a civitate eiusque unicum altare, tabernaculum ubi SS.1nu1n Christi Corpus in adoratione quatraginta horarum conservatur, confessionarium, sacristia1n et iugalia [6r]. Die 23 ciusdent

mensis: visitatio ecclesiae S.tae Mariae S1rffragii

Idem D.nus Vicarius et Visitator gencralis visitavit ecclesiam S.tae Mariae Suffragii, seu Animarum SS.mi Purgatorii, in qua adsunt duac congregationes titu!o praedittae Divae Mariac, una in omnibus feriis secundis, in vigesi1na sccunda hora, in omnibus dominicis de mane alia; a congregatis solvuntur granos quatuor singulis mensibus; post mortem ipsorum quinquaginta missae pro quolibet celebrantur. Est aggregata ecdesiae Suffragii almae urbis Romae, vigore privilegii, prùno ianuarii 1642. Invenit etiam quod in omnibus feriis secundis mensium SS.um Sacramentum de n1ane et de sero, in on11ù hora 22a, exponill

Bernardi] Antonii corregge e Joprascrive Cod.


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Adolfo Longhitano

tur et indie sequenti in missa sumitur, et hoc vigore capitulorum confìrmatorum ab ordinano. Et primo altare maius visitavit, in quo in omnibus dominicis et feslis per capellanuin cu1n elemosina unciarum 4 ecdesiae celebratur, confessionarium postea, sacristiam et iugalia prout in repertorio, et altare prope sacristiam in quo non celebratur. Ordinationes in visitationc ecclesiae divae Mariae Suffragii

Nel confessionario si tengano li casi reservati in bolla Coenae et all'ordinario. Si faccia un palio d'altare rosso fra il termine di quattro mesi, sì coine s'ordinò nella precedente visita. Eodan

die: visitatio Montis Pietalis

1nVisitavit etiam Montem Clllll eius compotis annorun1 ottavae, 9ae, x~e et x1ae dictionis istantis 1673 et invenit guod gubernatur per vigintiquatuor fratres ad circulum, annis singulis duo 12 ex ipsis cu1n noinine rectorum, expensio fit ad mandata subscripta a rev.do vicario et a predictis duobus rettoribus [6v/. Ordinationes in visitatione Montis

Si confirmano l'ordinationi della precedente visita di non essere rettori parenti nel grado prohibito nel sinodo diocesano, e nel caso di morte d'alcuno dclli rettori annuali 13 , fra il tern1ine di otto giorni, s'eliga il successore, quale elasso, l'elctione sia devoluta all'ordinario, et in tal caso il vicario faccia nomina di tre persone e la mandi al Prelato per farne d'una l'elettione.

111

Die 28 eiusde1n mensts: visitatio ecclesiae sacramentalis S.tae Mariae de monte Canne/o quar/erio Patanearum

Rev.mus D.nus Vicarius et Visitator generalis sacran1entalem ecclesiam sub titulo S.tae Mariae de monte Carmelo 14 visitavit et reperiit quod adest confraternitas laicorum seu societas SS.mi Sacra1nenti cum capitulis confirmatis, in qua sacramenta parochialìa administrantur per tre capellanos cum salario unciarum 8 pro quolibet, sunt amovibiles, ab ordinario elettos, quorum primus est insignitus, salarium predictun1 ac pro sacristano et pro aliis expensis solvitur ex gabella panis quarterii eiusdem ecclesiae sub nomine Patenearum. Item etiam quod in temporalìbus gubernatur per quatuor magistros operae, qui ad sortem ex otto electis a preteritis cun1 intcrventu \'icarii et cappellani eliguntur. Item etiam quod confratres predicti associant pro processione SS.mi Sacramenti tam 1n eius festo, octava quam in communione infirmorum cum cappis et mantellis. 12 13 14

duo] duae corregge e soprascrive Cod. annuali J corregge e soprascrive stf parola illeggibile Cod. Carmelo] Carmine corregge e soprascrive Cod.


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Indie etiam Sanctae Apolloniae cun1 eius reliquia fit processio per ecclesiam et habitatum, et quod Sanctissimum Christi Corpus in omnibus tertiis dominicis, de mane et de sero, et in feriis sextis martii in vesperis exponitur, et fit processio per planum ante ecclcsiam [7rJ.

In dominica ite1n in al bis fit sollemne festum Divae Virginis cum processione, et extrahitur una orfana ex bussolo, in quo annotantur omnes ortĂ nae quarterii, cui extractae solvuntur unciae 8 pro dote et singulis tribus annis a societate preditta alia nuptui traditur cum dote, prout ascendunt redditus plures, et demum in singulis pri1nis dominicis mensium et in festis Divae Virginis fit per quarterium processio. Visitavit primo SS.mae Eucharistiae Sacramentum in altare maiore, in tabernaculo a urato et in piscidibus argenteis aurolitis, fontem baptĂŹsmalcm in ingressu ianuae maioris, in latere sinistro et prope ipsum olea sacra in vasis stagneis, reliquiam deinde S.tae Apolloniae in bracchio ligneo aurato cum attestatione Magnae Episcopalis Curiae, deci1no aprilis 1638, conservata in sacristia, in finistrella, in pariete cuin duabus clavi bus clausa, a cappellano detentis una, a rettoribus altera. Confessionaria postea et altaria: maius, in quo quotidie per cappellanum edomadarium sine merito celebratur, capellan1 et altare sinistrae tribunae cum icona S.tae Apolloniae, Sancti Spiritus et SS.nii Crucifissi, sacristiam et iugalia prout in repertorio, et ibi libros parochorum. Missae vero guae ex debito celebrantur sunt prout in revelo, sicuti et redditus eccles1ae predittae et sociatatis. Ordinationes in visitatione ecclesiae sacramentalis Sanctae Mariae de monte Carmelo Si confirmano primaria1nente le ordinationi fatti nella visita della sacristia della precedente visita. L'altare de Spiritu Santo si preveda di nuovo altaretto. Li ritratti che sono nelli quadri dell'altari si cancellino [7v]. Die primo septembris eiusden1 anni:

visitatio ecclesiae Sanctonnn Petri et Pau/;

Ill.mus Dominus visitavit ecclesiam confraternitatis seu societatis Sanctorum Petri et Pauli, adest etiam congregatio laicorum; congregati 15 singulis festis feriis, uniuntur ad orandun1 et ĂŹn tertiis dominicis percipiunt sacrosanctuin Christi Corpus, et in tertiis feriis maioris edomadae cum sacchis induti processionaliter cum cruce ad matrice1n ecclesia1n accedunt, ad orationem 40 horarum civitatis. Titulus congregationis est Iesus Mariae; habent capitula in visitatione visa. Et primo infrascripta reliquias: frustum 16 ligni Sanctae Crucis, spina coronae lesus Christi in reliquiariis a1nbo argenteis cum attcstatione Magnae Episcopalis Curiae, zdae iuli i 1630, frusta 17 ossium SS.ru1n Pctri et Pauli in bracchlis argenteis cum docu1nento dictae Curiae, 14 ianuarii 1648, capillum Beatae Virginis in cristallo pariter CU!ll documento zdae 15

congregati] congregatis Cod. frustu1n] frustrum Cod. 17 frusta] frustra Cod. 16


Adolfo Longhitano

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septembris 1630, frustum 18 ossium S.ti Antonii abbatis in bracchio argento cum privilegio datum Catanae, 4 ianurii 1642, demum frustum 19 ossei S.tae Luciae ill parvo reliquiario argenteo sine attestatione. Altaria dcinde: maius, in quo per capeilanum celebratur in omnibus dominicis et festis sine merito, cum obligatione assistentiae et confessionis, cum salario unciarum 10 ecclesiae, immagines item auratas Sanctorum Petri et Pauli et S.tae Luciae et S.ti Antonii abbatis: altaria item Iesus Mariae, S.ti Antonii abbatis, Divae Mariae Gratiae et SS.mi Crocifissi, confessionaria et sacristiam et ibi iugalia prout in repertorio. Redditus sunt prout in revelo. Ordinationes in visitatione Ecclesiae Sanctorum Petri et Pauli Si confinnano l'ordinationi della precedente visita, dati nella visitatione della sacristia e della chiesa, come pure di non esponersi a publica adoratione la reliquia di S.ta Lucia per non esserci privilegio [8rJ. Nelli confessionari si tengano li casi reservati in bulla Coenae et all'ordinario. Nella sacristia si tenghi tabella affissa del'obligo delle messe che si devono celebrare in detta chiesa, con il nome per cui ogni messa si celebra, giorno et altare e messa dalli testatori prefissi, sotto pena al cappellano di privatione e carceri ad arbitrio. Si tenghi di piĂš in detta sacristia un libro, dove si notano le messe celebrate di obligo di giorno in giorno, con scriversi li sacerdoti di propria mano che celebrano le messe d' obligo, statim finita la messa, altrimenti si haveranno per non celebrate e a loro spese si faranno di nuovo celebrare, e sotto pena di scomunica non possi detto libro uscire della sacrestia ma continuamente stare in essa. Si ordina parimente che il thesoriero non passi spendere piĂš somme di quella che li pervenerĂ in potere, sotto pena di perderla e non esserli fatta bona a' conti. S'hordina parimente al governatore et altri officiali della compagnia o ad altri a chi spetta di far ademplire il legato di onza 1.18 lasciato per inessi il quondam Salvatore de Leonardo, quali il sacerdote D. Pietro Mangano ha tralasciato di celebrare, ordinando pure al rev.do vicario che habbia da costringere a detto di Mangano alla celebratione delle rnesse tralasciate e per l'avvenire non volendo celebrarli Ii renuntia. Che il collettore che raccoglie la elemosina per Ii defonti ogni prima dotnenica di mese, come etiam delli renditi lasciati per detto effetto, habbia da portare il registro, dove sono notate li renditi lasciati per detti defonti, in potere del detentore di libri della chiesa, con farsini fare cautela pubblica, quale collettione ordiniamo sii 20 [8vJ annuale, conforme21 si ordina per Ii costitutioni sinodali e non potersi confirmare senza nostra espressa licenza; e finito l'anno dell'amministratione se li faccia dare giusto e legale conto al rev.do vicario et officiale di detta compagnia, fra giorni quindici finito l'offitio, reservando a noi la revisione a nostro arbitrio; et havendosi ritrovato nell'introiti del thesoriero Giuseppe Sfilio dell'anni 7ac et 8 indictionis 1668 et 1670 esserci introito di uncie 16.4.8, pirvenuti del legato del quondam Salvatore di Leonardo, in grave danno delle legatarii, non spet18 19 20

21

frustum J frustrum Cod. frustum J frustrum Cod. siiJ an - Cod. conforme J alli scrive e cancella Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia

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tando in detti anni l'annualità di detto legato a detta chiesa, che perciò s'ordina al governatore et altri officiali a chi spetta che, fra il termine di giorni quindici, habbiano da comparire innanti noi e nostra Gran Corte Vescovile, con presentare l'incartamenti necessarii per farsi ammettere a detto legato, presumendo essercene la chiesa cessionaria di alcuni legatari, e passato detto termine e non ademplite le cose suddette, s'ordina al rev.do vicario che abbia da far depositare la suddetta somma nel depositario dei legati pii e non altrimente. Non si possono spedire mandati alli legatarii, di quale la chiesa ni tiene l'amministrazione se non sono le denari effettivamente entrati nel thesaurario delli legati pii. Alli torci di Agatha 22 Cutuli si facciano li coppi con il nome e cognome di essa e suo marito, con la figura del SS.mo Sacramento, conforme per essa si dispone per il suo testa1ncnto in notaro Fabio la Liotta, a 28 luglio, xuae indictionis , 1628. Ordiniamo di più al governatore della compagnia et altri a chi spetta che habbiano senza hu1nani rispetti di recuperare le uncie 10 annue lasciati dal quondam Galeotto Fichera per celebrazione di messe, come pure li uncie 1.15 lasciati per detto effetto dal quondam Nicolao Leonardi, quale celebrava il quondam D. Giuseppe di Leonardi. Parimenti le uncie 2 lasciati per ser Francesca Chianillaro per il suo testamento in notaro Sebastiano di 23 Leonardi a dì [9r]. Die 3° eiusdem

mensis: visitatio ecclesiae S.ti Sebastiani

Visitavit idctn lll.1nus D.nus ecclesiam confraternitatis seu societatis S.ti Scbastiani et primo infrascrittas Sanctorum reliquias: S.ti Sebastiani scilicet in bracchio argenteo cum 24, S.ti Fabiani in bracchio pariter argenteo cum privilegio in ecclesia autentica data matrice, frustum ligni S.tae Crucis in cruce argentea cum reliquiis Sanctorutn lanuarii, Potentianae, Florentiae, Urbanae, cum privilegio datum Catanae, 15 maii, X indictionis , 1657, Sanctorum item Marci Evangelistae, S.ti lanuarii et S.ti Caii martiris in bracchio argentato, S.ti Celiani martiris, S.ti Vittoriani martiris, S.ti Lucii martiris, S.ti Felìciani, S.ti Dionisii martiris, S.ti Di1nitri, S.ti Aurelii in reliquiario cum superficie argentea et cruce desuper, Sanctorum item Cosmae et Damiani in parvo reliquario argenteo, et tandem diversorum Sanctorum in quadam arca prout in inventario, in volumine scritturarum. Visitavit deinde altaria: maius scilicet, in quo celebratur in omnibus dominicis et festis per cappellanum cu1n salario uniciarum 10 pro assistentia et confessione, cappellas et altaria SS.mi Crucifixi et lesus Mariae, item S.ti Sebastiani, Reginae Codi seu S.ti Gaetani, Omnium Sanctorum et S.ti Marci, et demum confessionaria, sacristiam et iugalia prout in repertorio, totamque ecclesiam. Ordinationes in visitatione ecclesiae S.ti Sebastiani Primariamente confirmiamo l'ordinationi della nostra precedente visita, dati in visitatione corporis ecclesiae. Gli ordinia1no che inviolabilmente s'osservino che il thesoriero non possi spendere più somma dell'introiti che li perveniranno in potere, sotto pena di perderli (9v]. 22 23 24

Agatha] dilla suddetta cancella e soprascrive Cod. non indica fa data Cod. non indica la data Cod.


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Ado!fò Longhitano

Nella sacristia si tenghi affissa tabella delle messe che per obligo si devono celebrare con il nome del testatore che l'ha lasciato, giorno, altare et messa dal testatore prefissi, sotto pena al cappellano di privatione e carcere ad arbitrio. Ordinarne di più che si tenghi un libro dove si notano le messe che d'obligo si celebrano giornalmente, con scriversi Ii sacerdoti che celebrano di propria mano et statim, finita la messa, altrimenti s'haveranno per non celebrate, e si faranno di novo a loro spese celebrare, e sotto pena di scomunica non si passi detto libro uscire della sacristia, ma continuamente stare in essa. Non si possano spedire mandati a legatarii, dclii quali la chiesa ni tiene l'amministratione, s'effettivamente non sono entrati li denari in potere del thesoriero deUi legati pii. Nelli confessionarii si tengano casi riservati in bulla Coene et all'ordinario. All'altare del SS.mo Crucifisso si muri l'altaretto. L'altare di S. Bartolomeo et di Regina Coeli seu S. Gaetano si preparino d'altaretti, si munno poco elevati della planitie. Eodem

die: visitatio hospitalis

Visitavit idem Ill.mus D.nus hospitale sub titulo S.tae Mariae de Monserrato eiusque altare in infìrmaria cum icone descensus Crucis, in ipso cclebratur per cappellanum in omnibus do1ninicis et festis cum elemosina unciarum 4. Invenit quod manet sub reggimine duorum rettorum, qui singulis annis eliguntur ex maioribus natis, ex nutnero 24 confratrum, qui confratres seu congregati vocantur. Bona et redditus sunt prout in revelo sicut et bona mobilia et onera. Expensio fìt ad mandata apochis subscripta a vicario loci, thesaurario diretta, cuius elettio fit a predittis confratribus. Adest hospitalarium cum salario unciarum 6 [lOr]. Ordinationes in visitatione hospidalis sub titulo S.tae Mariae del Monserrato S'habbia da tenere un libro dove il cappellano habbia da notare li defonti che moriranno in detto spidale, con scrivere alle note, conforme al Rituale della felice recordatione di Paulo V0 , sotto pena di privatione. Die 7° settentbris 1673:

visitatio ecclesiae S.ti ]oseph

Visitavit predittus D.nus Vicarius et Visitator generalis ecclesiam confraternitatis S.ti Ioseph in quarterio Patenearum eiusque oratoriun1 coniunctum, qui etiam deservit pro vestiario, et primo unicum eius altare, in quo celebratur in omnibus dominicis et festis cum elemosina confratrum, qui habent regi1nine ecclesiae, guae non habet redditus; celebratur in 25 omni edomada una missa relicta per quondam loannem Baptistam Pinnisi, confessionarium deinde et iugalia prout in repertorio. Eodem

die: visitatio ecclesiae S.tae Mariae Pietatù

Visitavit ecclesiam S.tae Mariae Pietatis eiusque unicum altare in quo celebratur in omnibus feriis sextis cum elemosina unciarum 2 per sac. D. Antoninum Pinnisi, assignata25

in] ogni scrive e cancella Cod.


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run1 per atta not. Francisci Ingrassia zdae augusti, 4ae indictionis 1652, cum conditione quod eius vita durante per ipsum celebrentur, post cuius mortem preferetur ab heredibus, non habet redditus Iugalia prout in repertorio.

Eodem

die: visitatio ecclesiae S.ti loannis Evangelistae

Visitavit pariter ecclesiam confraternitatis S.ti Ioannis Evangelistae eiusque altare, in quo i11 omnibus dominicis et festis per capellanum celebratur sine n1erito, cum salario unciarum 4 ecclesiae, qui redditus et iugalia sunt prout in repertoriis.

2.

Visitatio ecclesiarum extra moenia civitatis

Fuerunt visitata di ordine Ili.mi D.ni per utriusque iuris doctorem D. losephum Cavallaro [lOv] vicarium infrascrittas ecclesias: et pri1no ecclesiam S.ti Mauri visitavit eiusque altare, in qua adest beneficium unciarum 1.12, debìtaru1n super b~nis quondam Viti d'Amico, ad presens per Regiam Curiam possessis. lten1 ecclesiam S.tae Annae in qua aliquando ex devotione celebratur. Ecclesiam item S.tae Mariae ad Nives ciusque altare, in quo in omnibus dominicis et festis cum elemosina fidelium celebratur. Ecclesiam etiam Sanctac Mariae Gratiarum eiusque altare, in quo celebratur in on1nibus sabbatis cum elemosina gabellac unius clausurae, quae solet ingabellari pro unciis 4. Iugalia sunt prout in repertorio. Ecclesiam item S.tae Mariae Miraculorum, in qua adest congregatio in 01nnibus dominicis de mane, in qua congregati uniuntur ad orandu1n, et primo altare maius, in quo per cappellanum in omnibus dominicis et festis et sabbatis celebratur cum elemosina unciarum 6 ecclesiae, altaria item SS.mi Crucifìssi et SS.mae Passionis, et fuerent inventa suspensa per precedentes ordinationes. Iugalia den1um prout in repertorio. Visilavit pariter ecclesiam SS.mi Salvatoris seu montis Calvarii eiusque altare, in quo celebratur in omnibus kriis sextis ex legato quondam Ioannis Baptistae Leonardi, sacristiatn et iuga!ia prout in repertorio, in qua ecclesia adest congregatio cum capitulìs confirmatis; confratres in principio solvunt granos decem et singulis mensibus granos duos pro celebratione triginta tria missarum post mortem uniuscuiusque confratris. Ecclesiam item S.tae Mariae de Loreto ciusque unicum altare, in quo in omnibus dominicis et festis per cappellanum cun1 salario unciarum 6 ecclesiae sine merito celebratur, et aliae 12 missae relictae per quondarn Ioseph Maccarrone cum elemosina tarenorum 24, et de1nu1n iugalia prout in repertorio. Sanctae Mariae item Infirmorum vulgariter «del!' Ammalati» eiusque altare [llr], in quo celebrantur 29 missae cum elemosina unciarun1 2.12 pro anima quondam Angelae Grasso, et iugalia prout in repertorio. Item et ecclesiam et altare Sanctae Maria e Directionis 26 , in qua celebrantur 30 missa e singulis annis pro anima sororis Agathae Calanna et singuiis sabbatis cum elemosina fìdelium, sacristiam demum et iugalia prout in repertorio 27 . 26 27

Directionis) Dilectionis Cod. repertorio] repcrtorium Cod.


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Adolfo Longhitano

Visitavit etiam ecdesiam S.tae Mariae de Scala eiusque unicum altare, in quo celebrantur quindecim missae cum elemosina unciae 1 ecclesiae, provenientis ex quaddam clausura prope ipsam ecclesiam, singulis etiam sabbatis cum elemosina fidelium. Regimen habent duo rectores a preteritis eletti cum intervento et consenso rev.di vicarii et in defectu rettoru1n ab ipsomet vicario, bona et iugalia sunt prout in repertoriis. Item et ecclesiam S.ti loannis Baptistae, in qua celebratur in omnibus dominicis et festis cum elemosina gabellae unius clausurae, guae solet ingabellari pro unciis 4, et iugalia prout in repertorio. Visitavit item ecdesiam S.ti Antonini Aquiliae Veteris eiusque altare, non habet redditus, iugalia sunt ornamenta altaris et paramenta missae coloris albi, et in ea ex devotione aliquando celebratur. Ordinationes in visitatione ecclesiarum extra moenia Primariamente ordinamo che tutte le sopranominate chiese, dove non assiste cotidianamente persona di servitio, stiano serrate et non si aprino, eccetto che nel giorno delle loro feste et in altri giorni nel tempo che si celebra la messa, quale finita di nuovo si serrino

[12c]. 3.

Visitatio Jegatorum piorum

Fuerunt visitata omnia legata pia a fidelibus defunctis relitta per atta publicoru1n notariorum civitatis predittae ab anno gae indictionis per totum annum Xae proxime preteritae. Ordinationes in visitatione legatorum pioru1n S'ordina al rev.do vicario che per l'ademplimento delli legati non adempiuti habbia da costringere I'heredi all'ademplimento, nella conformità dell'ordine dato da noi nella nostra prima visita, havendoci lasciato copia delli reveli di detti legati per informatione. Ordinamo di più al detto rev.do vicario che habbia da 28 far ademplire a notaro Erasimo Costarella la volontà del quondam Francesco Custarella suo fratello, con conprare della somma delli uncie 27, che li foro depositati nell'anno 1636 29 a nome della chiesa delli morti, onze dui di rendita, per comprarne tanta cera per servizio del SS.mo Sacramento, necnon che l'officiali di detta chiesa dei morti habbiano da constringere per quos decet 30 al detto di Costarelia a pagare li tarì 11 annui, lasciati per il quondam suo padre sopra tutti suoi beni, senza respetti humani, altrimente facendo si procederà confOrme sarà di giustizia, che per una informatione e chiarezza si trasmette il rivelo fattone. Ordinamo di più a detto rev.do vicario che habbia da far sodisfare le 1nesse lasciati del quondam Giovanne Fichera, per la quale elemosina diede a D. Ippolito Leonardi, ad titulum benefitii, dui pezzi di terra nella piana di Mascali, valutati per uncie 1.20 l'anno per celebratione di una messa la settimana, per la quondam Giovanna Fichera sua madre, 28 29

30

da J consignare scrive e cancella Cod. aJ comprarne scrive e cancella Cod. per - decetJ scrive nell'interlinea Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia

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come per atti del quondam Alessandro Scuderi, a 7 di novembre, 4a inditione 1620 si vede, e per detto di Leonardi renuntiato il benefitio a D. Fabritio lo Gullo per detti atti, a 4 gennaro 1621, e per detto di lo Gullo vendutÒ parte di detti [12v] terri, con carico di pagare tarì 26 annuali in conto della celebratione di dette messe, percependosi il soprapiù del prezzo del capitale di detti tarì 26, quali da molti anni che non si pagano né si celebrano dette messe; da perciò constringerà al detto D. Fabritio lo Gullo alla celebratione della detta messa la settimana, et alle messe tralasciate da celebrare per sua causa per la venditione fatta delle terre, come pure retrovandosi essersi perceputo più somma del capitale di detti tarì 26, ce lo farà restituire e si ni conpri rendita in augumento del legato; e anche per una informatione si manda pure copia del revelo. Ordinationes pro matrici et sacramentalibus ecclesiis Per renderni conforme alla dispositione del sacro Conseglio di Trento assignamo al servitio delle chiese sacramentali di S. Michel'Arcangelo, S. Catherina e S.ta Maria del Carmine tutti li chierici che habitano nelli ristretto seu ripartimento d'ogni una di dette chiese, e tutti !'altri clerici di detta città al servizio della chiesa matrice, per assistere con le cohe e servire in quella in tutri li festi sollemni e di precetto, nelle messe maggiori vesperi e processioni solite farsi in dette chiese, e comunicarsi in esse ogni prima 31 domenica, sotto pena di esser privati delle franchezze et altri a nostro arbitrio; ordinando al rev.do Vicario che delle suddette assignationi n'habbia da mandare a noi notamento con li nomi et cognomi delli clerici assignati in ogni una delle suddette 'chiese e con la sua sottoscrittione

[13r]. Ordinationes in visitatione computorum Primariamente confirmamo (et si et quatenus opus est di nuovo ordinamo) l'ordinationi fatti nella nostra precedente visita nella visitatione dell'heredità lasciata a S.ta Vennera per il quondam Trailo Saglimbene, come pure l'ordinatione nella visitatione di conti circa l'exigenza delli decorsi delle chiese da chi spetta esigere: monasterio, confraternità, ospidale, Monte di Pietà, legati e lochi pii, dati da noi nella visita di conti nella precedente nostra pri1na visita, sotto le pene in quelle contenute, et inoltre mancando di non ademplire e far ademplire le suddette nostre ordinationi per rispetti humani, oltre il conto doveranno dare a sua Divina Maestà, lo daranno anco a noi, a procedere conforme sarà conveniente di giustizia. Ordiniamo parimente al rev.do vicario che habbia da far depositare nel depositario di capitoli per conto a parte le uncie 9.19 che si devono a S.ta Venera da Elisabetta l'Arciacono e per essa da mastro Andrea suo 1narito, per altri tanti per detta Elisabetta raccolti d'elemosina a nome di detta Santa e consignatovi la quondam Nunzia Patania, conforme al notamento lassatoci, fatto per mano di D. Domenico Smiraldo, come pure le uncic 2.7.1, che restare in potere della detta di Patania con esigerli dalli sai heredi, come pure per un conto fatto da detto di Smiraldo habbiamo riconosciuto et conservato in nostro potere, ad effetto di impiegarsi in giugali per servitio di detta Santa o come noi disponiremo, e dell'a31

prima] terza cancella e soprascrive Cod.


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Adolfo Longhitano

demplimento ni darà con sue lettere avviso, con avvertirlo di non perseverare sopra sud~ detta esigenza per quanto la grazia nostra tiene cara,

4.

Visìtatio personalis

Explicita locale visitatione, personalem incepit et visitavit on1nes cappellanos matricis et sacramentalium ecclesiarum aliosque sacerdotes insignitos et sine, eos interrogando de statu ecclesiarum, sacran1entorum administratione et de aliis adnotatis in visitatione preditta precedentis nostrae visitationis, sicut in visitatione personali civitatis Paternionis. Sub diversis item diebus tenuit III.mus D.nus confirmatione1n in matrice et in aliis ccclesiis, exan1en confessorum, et digni recepti fuerunt approbati [13v]. Et denique pro compliinento visitationis fuerunt relictae ordinationes necessariae pro regimine spirituali et ten1porali omniu1n ecclesiarum, monasterii eorumque moniaIium, confraternitatum, legatoru1n piorumque locorum piorum et prout in dictis ordinationibus [14r]. Ordinationi fatte da Mons. fr. D. Michelangelo Bonadies, Vescovo 5. di Catania, per lo monasterio di Sant'Agata della città di Iaci, a 30 agosto 1673, in discursu visitae 1. In primis s'ordina che s'osservino inviolabilmente l'ordinationi lasciate nella visita antecedente et in particolare che gli huon1ini etiam parenti non vadino a parlare al n1onasterio, se non li giorni assegnati, che sono il martedì e vennerdì, e con le dovute licenze, sotto le medesime pene fissate in quelle, nell'editto e sinodo diocesano. Anche si guardino di non introdurre nella clausura del 1nonastero figliuoli di qualsivoglia età e conditione, sotto qualsivoglia pretesto, nemeno cani, sì come si è ordinato nell'altre visite, sotto pena di scomunica. 2. Che le moniali frequentino la sacra communione, conforme alla loro regola, si conservino in santa pace e buona concordia e si guardino di manifestare alli secolari le cose che occorrono nel monastero, sotto pena di scomunica. 3. S'incarica sotto precetto d'obedienza che si stabiliscono sempre due ascoltatrici di zelo, le più anziane, le quali dovranno assistere con ogni attentionc alle gradi per vedere e sentire quello si fa' e si dice, conforme alla regola, e sopra ciò ne incaricamo vivamente le loro consc1enze. 4. Si proibisce affatto il fare spese superflue per le feste che s'incontrano nel monastero, ma vogliamo che si facciano parca1nente e con meno spesa sia possibile, mentre si vede che il monastero appena può havere le cose necessarie alle monache et deficit in necessariis [14v]. 5. La madre superiora habbia pensiero di chiedere al vicario del luogo un confessore straordinario ogni tre o quattro n1esi, confanne alla dispositione del sacro Conseglio di Trento, et il vicario gli assegni uno delli confessori straordinari lasciati in discorso di visita, secolari o religiosi e conforme alla divotione e sodisfattioùe del 1nonastero, non però potranno chiedere persona particolare.


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6. Nelle feste e funerali, che suol fare il monastero et anche di 40 hore, potrà la madre superiora envitar alcuni preti e sacerdoti religiosi per dir le messe, con saputa però del vicario del luogo. 7. S'incarica espressamente che la madre superiora 32 non possa, anche in fine del suo officio, f;u atto di cessione di somma alcuna per qualsivoglia causa, né apache di ricevuta in credito di denari o robba non havuta, senza espressa licenza del Prelato, e facendosi altrimente, l'atto sia nullo ipso facto, et il notare incorra nella pena della scomunica. 8. Ogni mese si daranno li conti dell'introito ed esito dalla madre 33 superiora e celleraria con l'intervento del procuratore, cappellano e vicario del luogo, alla presenza delle moniali, discreti del monastero, quali conti dovranno sottoscriversi dalli sopraddetti superiora, celleraria, cappellano e vicario; et in caso che non vi possa essere il vicario, interverrà uno delli deputati. Ogn'anno poi si daranno li conti alla presenza di tutta la deputazione, che dovrà intervenire in un giorno da assegnarsi dal vicario, quale sia in obligo darne ogn'anno avviso al Prelato dell'esecutione, sotto pena della nostra disgratia [15r]. 9. Per buon governo del monastero si tenga un libro seu quinterno, dove distintamente si notino gli effetti e debiti del monastero et un altro libro di cascia, dove si notino l'introito et essito annuali e si rinovino ogni triennio, sotto pena di sospensione alla madre superiora che lascerà di eseguir!O. 10. Il procuratore del monastero usi tutte le diligenze per esiggere tutti li debiti maturati, così d'alimenti, rendite, censi, gabelle et altri, né lasci per rispetti humani o per soddisfattioni di particolari di costringere li debitori a tempi opportuni, acciò si possano sovvenire alle molte necessità del monastero; et a questo effetto segli farà dalla madre superiora la procura e la firma ad exigendum, et il vicario del luogo havrà cura di farlo eseguire et sopraintendere all'esigenza con attentione. 11. Nessuna persona nel monastero possa tenere serva particulare senza espressa licenza in scriptis del Prelato, quale non la concederà se non a persone inferme habituali e necessitasi d'aiuto, con far prima lo scrutinio delle moniali a voci sacre ti e non altrimente, con conditione che tali serve non habbiano a vivere a spese del monastero, ma a spese di quelle che le vogliono o che paghino gli alimenti, conforme pagano !'educande. 12. Si proibisce alla madre superiora o altra offitiale il poter pignorare cosa alcuna del monastero e particolarmente l'argento per qualsivoglia causa, senza espressa licenza del Prelato, sotto pena di sospensione dell'ufficio e di perder il denaro la persona che l'haveva [lSv] uscito, con restituire la cosa pignorata. 13. Sia avvertita la madre superiora che nell'hora del pranzo, quando le moniali vanno alla menza, che il parlatorio si serri e non si apri se non dopo vespro, e la sera si serri al tramontar del sole infallibilmente. 32 33

superiora] abbadessa cancella e soprascrive Cod. madre] abbadessa scrive e cancella Cod.


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Adolfo Longhitano

14. Occorrendo fare scrutinio secreto il bussulo stia a parte patente, che possa essere veduto dal capp·elJano o vicario che assisterà, il quale immediatamente sia tenuto vedere e contare li voti e publicarli secondo Dio e la verità, acciò con questa diligenza si levino li sospetti. 15. Quando le 1noniali siano infenne con febre fennata, habbia cura la madre superiora34 che siano trasportate all'infermeria, doppo la seconda accessione, procurando che siano assistite come richiede la carità. 16. La superiora del monastero habbia cura particolare di far osservare esattamente 35 la cominunia, conforme si è osservato per il passato, così circa il vitto e vestito, procurando che in refettorio ni si dia ad ogn'una delle monache almeno una minestra ogni mattina, e che si legga la Iettione nel refettorio mentre dura il pranzo, così la mattina come la sera, e si provedano le monache deile cose necessarie per quanto porterà la possibilità del monastero. 17. Tutto quel che esiggcrà il procuratore del monastero Io dovrà portare e consegnare alla madre superiora alla presenza della celleraria, quale havrà cura di notare nel suo libro tutte le partite che vanno entrando, per darne conto ogni mese come sopra. 18. Dovendo fare qualche spesa straordinaria di fabrica, di [16r] ornamento di chiesa, o altro si faccia sempre con licenza del vicario del luogo e con saputa del cappellano, e ciò per evitare le spese superflue. 19. Tutte le monache siano avvisate a fare le solite communioni, conforrne all'osservanza della regola e del monastero e la religiosa che manca senza causa ben vista alla superiora sia corretta a proportione della negligenza. 20. Non s'ammetta persona alcuna, di qualsivoglia grado e conditione si sia, a parlare nelle gradi della chiesa se non in casi particolari di precisa necessità ben vista alla superiora e al vicario del luogo. 21. Intrando persona alcuna nel monastero, secondo il bisogno che occorrerà, si faccia segno dalla portinara, acciò le religiose si ritirino, anche quando entra il medico et il cappellano, e procuri la superiora, per quanto sia possibile, trovarsi presente con le solite decani, che l'accompagnino et assistano sino all'uscita. 22. Nelli giorni di communione, et altri tassati nel nostro sinodo diocesano, non sia lecito alle monache di parlare alle gradi, se non per causa grave benvista alla superiora. 23. La superiora non permetta che nel monastero si operi tela di qualsivoglia sorte per venderla, sotto pena di suspensione dall'officio, atteso che li tilari nel monastero si per34 35

superiora] abbadessa cancella e soprascrive Cod. esattamente J scrive nell'interlinea Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bona dies ad Aci Aquilia

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mettono per far robbe che servono alla chiesa e al monastero [16v]. 24. S'ordina espressamente che nessuna monaca, di qualsivoglia grado e conditione si sia, ardisca di dare seu presentare la loro pitanza, minestra 36 o altre cose, che dà la communità per mangiare, a loro parenti seu ad altre persone fuori del monastero, sendo ciò contra la buona osservanza et in pregiudizio della communia, sotto pena di proprietà et altre a noi arbitrarie. 25. Le monache si rigordino che han fatto voto d'obedienza, che perciò procurino d'obbedire prontamente la madre superiora, rispettandola e riverendola in tutte le occasioni, sicure che facendo il contrario saran maledette da Dio e dal Padre suo benedetto, e da noi castigate a proportione dell'eccesso che faranno. 26. Habbiano a cuore la communia così nel vitto come nel vestito e la madre supe~ riora procuri con ogni sollecitudine che le monache habbino a sufficienza le cose necessarie, con che possino osservare la vita monastica, secondo la possibilità del monastero. Habbiano però per bene tutte di contentarsi del sostentamento che il monastero le può dare, ricordevoli della povertà del monastero e delle doti così tenui che ne percepisce. 27. Nell'espensioni che si faranno ogni anno per lo sostentamento del monastero sia avvertita la superiora a conformarsi con la tassa che la deputatione ha fatto sopra le spese necessarie, procurando che non si spenda più di quello ch'è stato tassato sopra tutte le cose, conservando appresso di sé la tassa che si è fatta d'ordine nostro, sotto pena della suspensione dell'officio [17r] e di non esserle passato alli conti quello che spenderà di vantaggio. 28. Il vestito di ciascheduna monaca sia di lanetta negra, conforme fu stabilito da principio, né si alteri, se non con licenza del Prelato, quale non la concederà senza grave necessità, attesa la povertà del monastero. 29. Per le cose necessarie le monache ricorrino alla superiora, la quale darà ad ogn'uno quel che bisogna, secondo la tassa e possibilità del monastero; né la celleraria si faccia lecito dare alcuna cosa alle monache senza espressa licenza della superiora, sotto pena di proprietà e di non esserci passato alli conti. 30. Nel pigliare le cose della spetiaria vadano con moderatione e non pigliano se non quanto fa necessità e non più, ricordevoli che il monastero ~·endo povero non può fare spese superflue; si ordina perciò che lo spetiale non dia cosa alcuna per servitio del monastero se non viene la ricetta firmata dal medico ordinario nel libro stabilito, e facendosi altrimenti non gli sarà passato alli conti. 31. Le presenti ordinationi si leggeranno alle monache in piena communità dal cappellano del monastero et il vicario del luogo le farà registrare al suo officio et havrà cura di farli eseguire.

fr. Michelangelo, Episcopus Catanensis [18r] 36

minestra] scrive e cancella parola i!leggibtle Cod.


Adolfo Longhitano

138 6.

Rollo del clero delJa città di laci

Dr. D. Giuseppe _Cavallaro, vicario D. Simone Marano D. Giovanni Battista Ippolito D. Francesco Rosso D. Ambrogio Lanzafame D. Angelo Leo D. Giovanni Battista Zappalà Dr. D. Giovanni Grasso

D. Michele d'Amico D. Giuseppe Mudò D. Fabrizio Leotta D. Francesco Mignemi D. Giuseppe Mangano D. Antonino La Rocca D. Giovanni Battista Sfilio D. Thomaso Xacca D. Francesco Maria Greco D. Giuseppe Lao D. Mario Costanzo D. Pasquale Calierano Dr. D. Thomaso lo Buono D. Alessandro Grasso D. Alessandro Cavallaro D. Giuseppe La Rosa D. Francesco Larciacono

D. Paulo Sorvello D. Eusebio Barbagallo D. Giuseppe Pinnisi D. Francesco Mazzulli D. Erasmo Finocchiaro D. Paulo Grassi D. Nuntio Fichera D. Giovanni Vecchio D. Giovanni di Maria D. Bonaventura Patania D. Salvatore Lao D. Giuseppe Maccarrone D. Benedetto Grassi D. Giovanni Battista di Savia D. Salvatore Leonardi D. Domenico Smiraldi Don Sipio di Maria Dr. Paulo Sfilio


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia D. Gicomo Grasso D. Giovanni Pennisi D. Antonio Calatabiano D. Francesco Grasso, maggiore D. Giovanni Battista Grasso, Patanei D. Bartolo Patania D. Francesco Puglisi D. Francesco d'Amato D. Giacinto Mirane Don Sebastiano Samperi

Don Placido Pinnisi D. Giovanni Battista Leonardì D. Giuseppe Grasso, di Fabrizio D. Mare' Antonio Grasso D. Giuseppe Grasso, di Paulo D. Giuseppe Grasso, quondam Blasio Don Blasio Grasso D. Giuseppe Leotta Don Paulo Patania [18v] D. Giovanni Battista Pucciardì D. Francesco Xacca D. Giuseppe Custarello D. Giuseppe Puglisi D. Giovanni Battista Pinnisi D. Vincentio Barbagallo D. Francesco Grasso D. Giuseppe Vasta Don Stefano d'Amico D. Andrea Polito Dr. D. Giovanni Battista Musmeci Don Alessandro Contarino Don Erasmo Xacca Don Giovanni Battista Raxi ti Don Salvatore Musmeci Don Tho1naso Grasso Don Angelo Raxiti, Patanei D. Giuseppe Littio Don Alfio Pinnisi Don Antonio d'Amato Don Fidirico Riggio Don Geronimo Indelicato Don Paulo Grasso, Patanei Don Filippo Russo, Patanei Don Marc'Antonio Leonardi D. Giovanni Battista Calì

13 9


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Adolfo Longhitano

Don Didaco Vasta Don Salvatore Calì D. Giuseppe Perni Don Paulo Cannavò

D. Diego Patania Don Vincentio Mangani Don Francesco Leotta Don Alfio Catanzaro Don Cherubino la Leotta Don Marc'Antonio Caliarano Don Giuseppe Larciacono D. Giovanni Battista Maccarrone Don Domenico Vasta

Don Alfio Leotta Don Marco Antonio Gambino Don Beneditto Costa Don Ignatio Carmaci

Don Antonino Alì Don Filippo Cavallaro Don Filippo Mirane Don Francesco Sfìlio Don Alessandro Barbagallo Don Fiderico Russo, Patanei Don Carlo Grasso Fra Don Pietro Mangano Don Filippo Spina Don Francesco Maccarone Don Nicolao Interdonato Clerici in sacris, in maioribus 37 Don Giovanni Battista Zappalà D. Giuseppe Grasso /19rJ D. Giuseppe d'Amico Don Giacinto Vasta Don Giacomo Mangano Don Nicodemo Russo Don Antonio Lao, Patanei Don Giuseppe Grasso Don B1asio Spata In minoribus D. Baldassarre Rosso D. Pietro Marano 37

maioribus] minoribus Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia D. Santino lo Castro D. Francesco Costarella Don Francisco Gambino D. Sebastiano di Maria D. Alfio Maccarrone D. Marc'Antonio Grasso D. Francesco Mirane Dr. D. Filippo Pulvirenti D. Giuseppe Gulisano D. Giuseppe Grasso, figlio dello Spataro Don Francesco Pagano D. Francesco Leotta D. Giuseppe Bella Don Giovanni Battista Panebianco D. Giuseppe Pirvitera, di Giacomo Don Giuseppe Gambino Don Antonio Pinnisi D. Giuseppe CalĂŹ D. Giovanni Mazzulli D. Salvatore Siminara D. Antonio Vasta D. Salvatore Gravagno D. Francesco Conti D. Paulo Finocchiaro D. Giovanni Battista Bonaventura D. Giuseppe Calanna D. Giuseppe Mangano D. Erasmo Finocchiaro D. Sebastiano la Spina D. Giuseppe Patania D. Antonio Gangi D. Sebastiano Leonardo D. Giuseppe Costarella D. Salvatore d'Angelo D. Giovanni Battista Patania, guondam Giuseppe D. Sebastiano Musumeci D. Giovanni Battista Salvedo D. Domenico CalĂŹ D. Giuseppe Burzi D. Bennardo di Vasta D. Francesco Patania Don Augostino Mangano Don Luciano Maugeri D. Francesco Greco D. Alfio Cavallaro

141


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Adolfo Longhitano

D. Aloisio Pinnisi D. Giuseppe Pinnisi D. Nicolao Sorbello D. Thomaso Gugliano [19v] D. Filippo Russo D. Giovanni Battista la Rocca D. Giovanni Battista Rosso Don Pasqule Xacca D. Giuseppe Leotta D. Giovanni 38 Mirane D. Giovanni Pinnisi, di Francesco Don Pasquale la Spina D. Andrea Grasso D. Giovanni Battista Rosso, di Giovanni Don Francesco Barbagallo Don Andrea la Spina Don Salvatore Leonardo Don Francesco Geremia D. Andrea Giuffrida Don Paulo Mudò D. Giovanni Battista Rosso D. Francesco Nugarisi D. Giacomo Patania D. Marc'Antonio Grasso D. Filippo Grasso Don Sebastiano Mignemi Don Salvatore Larciacono Don Vincentio Mangano Don Giuseppe Pirvitera Don Pasquale Grasso, di Carlo D. Giuseppe Patania D. Antonio Guarneri Don Stefano Calamia D. Domenico Vasta Don Pasquale Gambino Don Giovanni Battista Xacca D. Giovanni Battista Bonaviri Don Francesco Culli D. Matteo Raxiti D. Andrea di Maria D. Francesco Gambino, di Michcli D. Leonardo Campisani D. Egidio Cavallaro Don Gaetano Geremia 38

Giovanni] Battista scĂ ve e cancella Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia D. Domenico Leotta D. Giovanni Battista Grassi Don Paulo Grassi Don Antonio Larciacono D. Antonino La Rosa Don Francesco Vecchio D. Paulo Bonaventura D. Filippo Costanzo D. lgnatio Pirvitera D. Giuseppe Leotta D. Giuseppe di Maria D. Giuseppe Patania Don Salvatore Mignemi Don Sebastiano Pinnisi

143


Visite 1678, 3-34, 107-119

[3 J In nomine Do1nini nostri. Amen

VISITATIO CIVITATIS ACIS AQUILEAE 1. Visitado ccclesiarum intra moenia civitatis

Die tertio mensis maii, primae indictionis, 1678 Peracta iam visitatione urbis Catanae, volens Ill.mus et Rev.mus D.nus fr. D. Michael Angelus Bonadies, Episcopus Catanensis eam prosegui, ad civitatcm Acis Aquileae se contulit, ubi perventus a clero et iuratis ac magno populi concursu ductus fuit processionaliter ad maiorcm ecclesiam sub titulo Sanctae Mariae Annuntiationis et, post Crucis deosculationem, aspersionemgue aquae lustralis et incensationem in porta n1ore solito, petiit ad altare maius cum decantatione hymni Te Deum laudamus per clerum et, dictas orationes prout in Pontificali ac de Beata Virgine titulari, sollemniter populum benedixit. Postea dictus Ill.mus D.nus in soleuin ascendit et clerum offĂŹcialesque recepit ad obbedentiam cum osculo manus, post cuius factum perlectum fuit edictum praeceptivu1n visitationis et missa decantata sollemniter a vicario loci; quibus expletis ad domu1n episcopalem rediit [4J. Die quarto mensis maii 1678:

visitatio ecclesiae S. Mariae AnnuntiationĂš

Ill.mus et Rev.mus D.nus Episcopus Catanensis denuo se contulit ad maiorem ecdesiam, ad cuius ianuam perventus, fuit receptus a clero et, post aspersionem aquae lustralis, accessit ad altare Sanctissi1ni 1 Eucharistiae Sacrainenti uhi, fatta adoratione, missam cele1

SanctissimiJ Sanctissi1nae corregge e soprascrive Cod.


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bravit in altare maiori, qua finita, indutus paramentis violaceis, absolutionem pro fidelibus defunctis in cimi terio fecit, post, psalmis 2 decantatis per ecclesiam ac deinde paramentis al bis indutis, cum lumini bus accessit ad capellam et altare Sanctissimi Sacramenti, in quo sacrosanctum Christi Corpus in tabernaculo marmoreo porfido et in vasis argenteis visitavit cum eius altare, ubi invenit legatum unius missae in qualibet ebdomada relictum per quondam sororem Obbedientiam la Marina super unam apotecam in contrata ut dicitur «dell'Abbadia» et de caetero capellam bene detentam et hornatam. Et redditus sunt vero ut in revelo fol. 103 3. Deinde ad fontem baptismalem in dcxtero latere ingrcssus ianuae maioris fccit, que1n 4 invenit bene custoditum. Visitavit etiam sacra olea in vasis argenteis et in sacristia conservatis. Altare deinceps 5 S.ti Nicolai in quo nulla adest obligatio. Altare etiam S.tac Annae visitavit, in quo adest legatum duarun1 missaru1n in qualibet ebdomada, relictum per quondam D. Salvatorem Organanti. Postea visitavit altare Passionis Jesu Christi et nullam invenit adesse obligationem [5]. Altare itetn S.tae Venerae, ubi adest legatu1n unius 1nissae quotidianae, relictum per quondam Troylum Saglimbene super bona haercditaria possessa per eamden1 ecclesiam. Item et altare S.ti Antonii de Padua. In questo altare il quondam D. Santoro Lo Cullo lasciò un legato sopra certi effetti possessi dalla chiesa, che importano once 22 in circa l'anno, per maritaggio delli suoi consaguinei sino al quarto grado, e volse che finita questa linea si raccoglie~·sero orice duecento e se ne facesse la cappella del detto santo, doppo la quale costruttione con gli introiti delli suddetti effetti si dovessero celebrare tante messe ogn'anno per l'anima sua. Visitavit etiam altare S.tae Catarinae, ubi adest legatum unciarum 11 circiter, relictum per quondam sac. D. Matthaeum Puglisi pro celebratione missarum sopra alcune tenute in Mascali. Altare etiam SS.mi Rosarii absque obligatione; et alcuni asseriscono che un padre domenicano lasciò 27 messe l'anno sopra certe rendite, delle quali non si tiene altra notitia. Item altare S.ti Crucifixi absque ulla obligatione. Postea visitavit altare S.tae Mariae Montis Carmeli, ubi adest legatum unius missae in qualibet ebdomada, relictum per quondam Antonium Calanna, che lo fanno sodisfare gli heredi. Vi è altro legato di 30 messe l'anno, lasciato per il quondam mastro Francesco d'An1ato sopra un giardino alla contrata «del Corvo» e pure si sodisfà. Item et altare S.tae Agathae et nullam invenit obligationcm [6]. Postea visitavit altare S.tae Mariae Annuntiationis in quo invenit legatum unius missae quotidianae relictum per quondam Dominum Ioannem Mazzullo, quae nunc non celebratur, quia redditus fucrunt adiudicati per aliam personam. S'avverte che questo altare fu costrutto dal detto di Mazzullo con quest'obbligo della messa quotidiana, et hoggi dicono haverci il ius li suoi heredi; però la messa non si celebra. Aliud legatun1 invenit in eo2

psalmis] spalmis Cod. 3 et rcdditus - fol. 103] aggiunge nell'interlinea Cod. quem] corregge parola illeggibile e soprascri11e Cod. deinceps] deinde corregge e soprascri11e Cod.


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dem altare unius missae quotidianae, relictum per quondam D. Franciscum Chiarenza, su~ per aliquas tenutas in territorio Mascalarum et missa ad praesens celebratur. Item et aliud legatum unius missae pro qualibet ebdomada, relictum per quandam sororem Clementiam de Lao super aliqua bona in contrata S.ti Leonardi possessa per haeredes quondam

Fabii Liotta. Tandem altare maius in quo nullam invenit obligationem. Confessionales deinde et fontes aquae lustralis, totam ecclesiam et campanile. Postea visitavit sacristiam eiusque superlettiles et iugalia prout in inventario fol. 107, ac etiam sacras reliquias descriptas et annotatas in foL 119, ac in praecedenti visitatione, die 2 augusti 1673. Visitavit etiam libros baptizatorum et matrimonii et mortuorum 6. Ordinò che si accommodasse il quatro della Passione di Christo fra due mesi altrimente, passato detto termine e non essendo accommodato il quatro, si levi l'altare [7J. Che nella custodia vecchia di ramo segli accomodino le reliquie sfuse, che sono conservate in sagristia per non perdersi la buona manufattura. Aliae ordinationes prout in fol. 375. De servitio ecclesiae Bona et redditus ecclesiae (guae sunt prout in revelo fol. 131) administrantur per quatuor deputatos seu gubernatores, qui eliguntur prout descriptun1 est in prima visitatione nostra. Sacramenta vero administrantur per cappellanos insignitos amovibiles per ebdomadam7 et de reliquis satis descriptum est in dieta priina nostra visitatione. Missae guae ex debito celebrantur in matrice sunt prout in revelo fol. 135. Visitatio personalis: die quinto mensis maii 1678

Ill.mus et Rev.mus D.nus Episcopus Catanensis incepit visitationen1 personale1n et visitavit omnes cappeilanos matricis et sacramentalium ecclesiarum aliosqe insignitos sacerdotes et sine, eos interrogando de statu ccclesiarum, de administratione sacramentorum et de aliis prout in visitatione personali urbis Catanae. Die 61naii1678, primae indictionis: visitatio ecclesiae sacramentalis Sancii Michaelis Arcangeli

Ill.mus et Rev.mus Episcopus Catanensis se contulit ad ecclesiam sacramentalem Sancti Michaelis Arcangeli, matricis [8] coadiutrice1n, in qua sacramenta parrochialĂŹa administrantur per unicum cappellanum insignitum amovibilem cum alio coadiutore ab ordinario electo 8 , et post aspersionem a qua e lustralis et audito sacro, Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum in altare maiori et in tabernaculo a urato, in vasis argenteis pariter intus 6

ac in praecedenti - mortuorumJ aggiunge nell'interlinea Cod. edomadamJ egdo1nada1n Cod. 8 electo J electus corregge e soprascrive Cod. 7


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auratis visitavit. Idemque altare in quo fundata invenit a!iqua parva legata missarum prout

in revelo fol. 139. Postea fontem baptismalem, in sinistro latere ingressus ccclesiae visitavit etprope ipsum alea sacra in vasis argenteis. Deinde altare S.tae Mariac de Monte Carmelo et altare S.tae Apolloniae, in qui bus nulla adest obligatio missarum. Confessionales et totam ecclesiam. Postea sacristiam visitavit, iugalia et superlectiles prout in inventario fai. 143 et ibi rcliquiam S.tae Apolloniae in parvo reliquario argenteo, positan1 in brachio ligneo deargentato cu1n eius privilegio, prout in praecedenti visitatione, ac etiam libros baptizatorum, mortuorum et matrimoniorum 9 . Ex gabella panis istius civitatis solvuntur ecclesiae Sancti Michaelis uncias 20 quolibet anno, videlicet: unciae 10 pro salario capellani, unciae 6 pro sacristano et unciae 4 pro coadiutore. Bona vero sta bilia sunt prout in revelo fol. 147 et fcstum fit ex elemosina recolletta a consulibus, qui cliguntur per vicarium loci. Singulis primis dominicis mensium exponitur de mane Sanctissi1num Eucharistiae Sacramentu1n. Ordinò che nelli libri di battesi1no, di matrimonio [9] e delli defonti si faccino le giornate e millesimo in lettera e non in abaco e cossì si facciano le fedi e che al fine dell'anno d'ogni indizione li suddetti libri si porti110 all'archivio nella sagristia della madrice consegnandosi ai vicario che ne tiene la cura. In questa chiesa vi è una compagnia fondata sotto titolo di San Michele Arcangelo e li fratelli si uniscono ogni do1nenica per far orationi e pagano due grani ogni mese per celebratione di 30 messe alla loro 1norte. Dù septimo 1naii, prinzae indictionis, 1678: visitatio Sanctae Catarinae

Ill.mus et Rev.mus D.nus fr. D. Michael Angelus Bonadies, Episcopus Catanensis, accessit ad ecclesiam sacramentalem Sanctae Catarinae, in qua administrantur sacra1nenta parochialia per unicum capellanum insignitum amovibilem et ab Ordinario electum, cui ex gabella panis solvuntur a matrice ecclcsia unciae 20, nempe unciae 14.5 pro salario capellani et restans pro sagristano; expensio vero 10 fit ex redditibus ecclesiae pro 11 cera et oleo 12 · Et primo sacrutn audivit post aspersionem aquae lustralis; quo finito 13 Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum visitavit in altare maiori positum et in tabernaculo aurato, in vasis argenteis intus auro 14 litis. Idemque altare maius, in quo quotidie celebratur per capellanum sine merito, et in eo nulla adest obligatio missarum. Fontem baptismalem deinde in sinistra parte ingressus ecclesiae, et prope ipsun1 sacra alea, in vasis argenteis et pede, ut dicitur, «di ramo,), 9

ac - matrimoniorum] aggiunge nell'interlinea Cod. vero] ecclesiae scrive e cancella Cod. 11 pro] per corregge e soprascrive Cod. 12 cera et oleo] ceram et oleuin corregge e soprascrive Cod. 13 quo finito] qua finita corregge e soprascrive Cod. 14 auro] aulo corregge e soprascrive Cod. 10


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Altare item Passionis Domini nostri et altare S.tae Catarinae sine ulla obligatione, ac etiam visitavit simulacrum auratum [IOJ dictae sanctae positum in tabernaculo. Totam ecclesiam et confessionales et demum sacristiam visitavit eiusque superlectiles et iugalia prout in inventario fol. 155. Invenit adesse reliquiam S.tae Catarinae virginis et martyris in brachio argenteo, posita in armariolo, sito in dieta sagristia cum tribus clavibus, detentis duo a gubernatoribus ecclesiae et una a gubernatore confraternitatis. Adest privilegium Magnae Episcopalis Curiae, sub die 24 novembris, 7ae indictionis, 1653. Visitavit etiam libros baptizatorum, mortuorum et matrimoniorum 15 . Aliae vero missae, quae ex debito celebrantur, sunt in revelo fol.159. Bona stabilia et redditus prout in repertorio fol. 163. Invenit adesse confraternitatem laicorum, quod in tcmporalibus gubernatur per duos gubernatores, ad sortem cxtractos et electos ex quatuor per praeteritos gubernatores, cum interventu et consensu rev.di vicarii loci elettis. Ordinò: che li libri delle note di battesimi, matrimonii e morti vi si portino all'archivio nella sagristia della chiesa madrice, consignandosi all'archiviario per ogni tre anni. Alli due missali si faccino li canoni nuovi e si comprino missali di moro. Che li fratelli habbiano pensiero, fra termine di sei mesi 16 , fare spedire li-capitoli di compagnia e farli firmare da Mons. III.mo altrimente, passato ditto tennine, si intende sospesa [11]. Eodem die, 7 maù' 1678: le Patanie.

Visitatio ecc!esiae S.tae Mariae de Monte Canne/o

Accessit Ill.mus et Rev .mus D .nus Episcopus Catanensis ad ecclesiam sacramentalem sub titulo Sanctae Mariae de Monte Carmelo, sitam et positam in quarteria, ut dicitur, «delle Patanie)>, in qua administrantur sacramenta parochialia per tres capellanos, cum salario unciarum 8 pro quolibet eorum, et sunt amovibiles et ab Ordinario eliguntur, quoru1n primus est insignitus; salarium autem predittorum ac pro sagristano et pro omnibus aliis expensis solvitur ex gabella panis eiusde1n quarterii Patanearum. Et primum, post aspersionem aquae lustralis, Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum visitavit in altari 1naiori, in tabernaculo aurato et in pixidibus argenteis auro litis. ldemque altare ubi adsunt 30 missae annuatim, relictae a quondam Alexandro Fragiti, solvuntur ab eade1n ecclesia ut ereditaria. Fontem baptismalem deinde, in sinistro latere ingressus ecclesiae, et prope ipsum alea sacra ad sanctum chrisma et oleum cathacumenorum, sed oleum infirmorum est positum et conservatum in sagristia in vasis stamneis. Altare postea S.ti Crucifixi vìsitavit, ubi ad est unica missa in omni dic veneris, relicta per quondam Salvatorem et Dominicum Sorvello et consortes. Altare S.ti Rosarii, in quo celebrantur 30 missae annuati1n, relictae per quondam Stephanum Pennisi; solvitur super clausuram gua1ndam ab Antonio Platania et consortes. Cappellam et altare deinde, positum in sinistro latere et tribuno, cum icone S.tae Mariae Portus Salutis, ubi adest legatum missaru1n trium qualibet ebdomada, relictu1n a quondam Marino Calì, super suos effectus celebrandarum per sacerdotes electos ab eredibus. 15

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visitavit - nlortuorum] aggiunge nell'interlinea Cod. mesi] aggiunge e poi cancella parola illeggibile Cod.


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Altare etiam S.ti Spiritus, in quo celebrantur 15 missae annuatim pro anima quondam Leonorae Puglisi, solvuntur per Leonardum Pennisi. Adsunt aliae 9 missae pro Leo~ nardo [12] Pennisi et solvuntur per Agatam Cacì et celebrantur per cappellanos. Totam ecclesiam deinceps et confessionales. Et demum ad sagristiam se contulit17 , ubi visitavit eius superlectiles et iugalia prout in inventario fol. 167. Missae quae ex debito celebrantur sunt prout in revelo fol. 171, ac etiam redditus prout in repertorio fol. 175. Adest confraternitas laicorum seu societas Sanctissimi Sacramenti cum capitulis confirmatis. Gubernatur in temporalibus per quatuor magistros operae, qui ex octo electis ad sortem a praeteritis, cum interventu vicarii loci et capellani eliguntur. Item et confratres praeditti associant Sanctissimum tam in eius festo, quam in communione infirmorum cum cappis et mantellis. Bona sta bilia et redditus praedictae confraternitatis sunt prout in revelo fol. 179, et iugales etiam prout in repertorio fol. 183. Indie festi S.tae Apolloniae fit processio cum eius reliquia per ecclesiatn et suum habitatum. Exponitur in dieta ecdesia Corpus SS.mi Domini nostri in omnibus tertiis dominicis de mane et de sera et in feriis sextis mensis martii in vesperis, et fit processio per planum ante ecclesiam. In dominica item in Albis fit sollemne festuin S.tae Mariae Virginis cum processione, in quo die extrahitur una orphana ex bussulo, cui solvuntur pro maritaggio unciae 8 in dote; redditus sunt prout in revelo fol. 187 et singulis tribus annis a societate praedicta alia nuptui traditur cum dote, prout ascendunt redditus. Si ordina che per lo suddetto legato si eligga un depositario, il quale havrà cura di farlo esigere a spese dell'istessa opera con dar tarì due per onza all'esattore, ad effetto di assignarsi ad'un [13] orfana maritata che sarà. Et demum in singulis pri1nis dominicis mensium et in festis divae Mariae fit processio per quarterium. Ordinò che l'altare dello Spirito Santo si preveda di nuovo altaretto. E che si cancelli il ritratto ch'è nel quatro dello Spirito Santo con sospendersi l'altare finché si cancelli. Come pure si sospende l'altare della Madonna del Rosario finché si cancelli il ritratto. Si murino l'altaretti. La compagnia ha cura di un monte, dove tutti pagano grana quattro il mese, per poi celebrarsi alla morte d'ogni uno 60 messe per la loro anima. Eodem die, 7 maii 1678; S.ti /oseph, Patanie 18 .

Rev.mus D.nus canonicus U.I.D. Ioannis de Palermo et Caram1na, Vicarius generalis et Visitator, accessit, ad ecclesiam Sancti Ioseph in quarteria Patanearum cum eius unico altare. Adest legatum unius tnissae celebrandae in qualibet dominica pro anima quondam sac. D. Ioannis Baptistae Pennisi, cum elemosina unciae 1.24; satisfit per doctorem Alexan17

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contulit] conferit Cod. Patanie] Platani e corregge e soprascrive Cod.


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drum Russo Acis Sancti Philippi super quamdam vineam relictam per ipsumet de Pennisi et celebratur per capellanum. Totam ecclesiam, sachristiam deinde eiusque superlettiles prout in inventario fol. 191. Vi è una congregationc e li fratelli si giuntano ad orandum ogni domenica; la chiesa s1 manutiene d'elemosine. Ordinò che si levi il confessionario [14]

Eodent die, 7 maii 1678; S.tae Mariae de Pielate, Patanie Iden1 Rev.mus D.nus Vicarius et Visitator gencralis visitavit ecclesian1 Sanctae Manac de Pictate, posita1n in eodem quarterio Patanearum et eius unicum altare. Vi è assignata una messa la settimana per dote della chiesa, lasciata dal quondan1 D. Antonio Pinnisi per l'anima sua; la sodisfano !'eredi del quondan1 Giovanni Battista Penn1s1 e si paga sopra certe vigne al Capo dclli Mo lini. Totam ecclesiam et iugales prout in inventario fol. 195. Ordinò: si facci la carta della gloria, del lavabo et Evangelio. Eodcnt

rlic

Sancti loannis Evangclistae

lde1n Rev.mus D.nus Doctor Ioannes de Palern10 et Caran1anna, canonicus cathedralis ecclesiae Catanen. ac Vicarius et Visitator generalis, se contulit ad ecclesiam Sancti Ioannis Evangelistae et visitavit eius unicu1n altare sine ulla obligatione. Totam ecclesian1 et iugales prout in inventario fol.199 et confessionariun1. Bona vero stabilia sunt prout in revelo fol. 199. Ordinò: che si facci la landetta al confessionario e vi si mettano li casi riservati [15]. Die octa110 maii, printac indictionis, 1678: dies chrisma!is

111.mus et Rev.n1us D.nus D. Michael Angelus Bonadies, Catanensis Episcopus, se contulit ad tnatricem ecclesia111 huius praedittae civitatis Acis Aquileae cum associatione cleri, ubi perventus detenuit confirn1ationem, qua finita rediit ad domum episcopalem. Die nono ntaii, prùnae indictionis, 1678: 11isilalio 1nonasterii

Voluit Ill.mus et Rev.mus D.nus ecclesìan1 et monasterium sub titulo Sanctae Agathae, ordinis S.ti Benedicti, visitare et pri1no post aspersione111 aquae lustralis sacrum, audivit, quo finito Sanctissimae Eucharistiae Sacramentun1 visitavit in altare maiori et Ìn pixide argentea aurata positum. Idemque altare 111aius in quo q uotidie celebratur per capel!anu1n sine merito cun1 ele1nosina unciarum IO. Altare deinde S.tae Geltrudis in quo nulla adest obligatio. Item et altare S.tae Rosoliae in quo usque adhuc non celebratur. Oleuin infirmoru111 visitavit in vase argenteo.


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Ii'.I

Communicatorium, rotam et crates in ecdesia et iugales prout in inventario fol. 203. Bona vero stabilia et redditus sunt prout in revelo fai. 205. In fenestrella communionis, moniales ad aures, eas interrogando prout in visitatione monasteriorum urbis Catanae, visitavit 19 . Visitationibus praedictis expletis visitavit colloquutorium et ibi rotam et crates. Bona temporalia ac redditus administrantur per procuratorem et abbatissam. lnvenit quod in festa S.ti Benedicti exponitur Sanctissimum pro oratione quadraginta horarum [16].

Die eodem, nono mensis maii 1678: visitatio clausurae dicti monasterii Iterum dictus Ill.mus et Rev.mus D.nus Episcopus Catanensis accessit ad monasterium et post aspersionem aquae lustralis et adorationem ad Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum interiorem clausuraffi cum Vicario generali et Visitatori, vicario loci, capellano et aliis visitavit. In porta a monialibus receptus ét ad oratorium ductus, ibique fatta a censuris absolutione ac benedictione, ad obedientia1n cum osculo manus recepit moniales velatae n° 13, novitias n° 2, educandas n°15 20 , servientes n° 5. Obedientia praestita, cum abbatissa et decanis visitavit dormitoria, domos omnes et officinas et loca et deinde sagristiam, quibus finitis egressus est et ad domum episcopalem rediit. Ordinò: si confirmano l'ordinationi della visita antecedente. Die decimo 1naù, printae inditionis, 1678: visitatio ecclesiae Sancii Petri et Pauli

111.mus et Rev.mus Dominus fr. D. Michael Angelus Bonadies, Episcopus Catanensis se contulit ad ecclesiam et confraternitatem Sanctorum Apostolorutn Petri et Pauli ubi perventus, post aspersionetn aquae lustralis, sacruin audivit; quo finito visitavit altare 1naius, in quo per capellanum celebratur in 01nnibus dominicis et festis sine merito cum obligatione assistentiae et confessionis, cum salario unciarum 10, soluto ab ecclesia. lmagines auratas item visitavit Sanctorum Apostolorum Petri et Pauli, S.tae Luciae et S.ti Antonii abbatis. Altare postea Sanctorum Petri et Pauli, antea altare lesus Mariae sine obligatione. Altare etiam S.ti Antonii abbatis visitavit in quo nulla adest obligatio et altare divae [17] Mariae Gratiae. Altare item S.ti Crucifixi. Missae guae ex debito celebrantur in dittis altaribus sunt prout in revelo fol. 211. Confessionaria et totam ecclesiam, deinde eiusque superlectiles et iugalia prout in inventano fol. 215. Bona vero stabilia sunt prout in revelo fol. 227. Furono visti e condennati li conti dclii anni 1673, '74, '75 e '76 per tutto il ten1po di Pasqua 1677, ch'è quando li fratelli mutano l'offitiali; restando di vedersi il conto dell'ul19 visitavit] aggiungere nell'interlinea Cod. 20 15] 13 corregge e soprascrive Cod.


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ti1no governatore e tesoriera da Pasqua '77 per tutta la Pasqua del '78 21 . In dieta sacristia visitavit infrascrittas reliquias videlicet: frustrum ligni Sanctae Crucis, spinain coronae Domini nostri Iesu Christi in reliquiariis ambo argenteis et alias prout in revelo fol. 231. Adest congregatio Iaicorum; congregantur singulis sextis feriis; uniuntur ad orandum et in secundis 22 don1inicis Sacrosanctu1n Christi Corpus et in tertiis feriis maioris ebdomadae cum sacculis induti processionaliter cum cruce ad matricein ecclesiam accedunt ad orationc1n 40 horaru1n civitatis. Titulun1 congrcgationis est lesus Mariae. In omni secunda dominica confratres Iesus Mariae exponunt Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum de mane durante sacro et communione. In detta chiesa si espone il Santissimo due volte l'anno, cioè nella domenica in quinquagesilna per l'oratione delle 40 horc e nell'ottava di Tutti i Santi; come pure si espone il Santissimo ogni lunedì. Ordinò: si confìrn1ano l'ordinationi della visita passata. Si facci la tabella delle messe d'obligo fra 4 giorni, altri1nente il capellano resta privo della capellania. Si sospende di esponersi il Santissimo il suo giorno, stante non esservi la licenza d'esponersi [18J. Si avverte che tutte le cappelle sono della chiesa e che non si metta lapide sopra le sepolture se prima non si procurano la concessione. Le onzc 16.4.8 esattesi la chiesa dal legato dcl quondam Salvatore di Leonardo nell'anno 7a et Sa indizione 1668 e 69, si ordina che, comparendo li legatarii, la chiesa sia tenuta pagarglieli perché se le ha speso. Si cancelli il ritratto nell'altare di Santa Mafia la Gratia. Die undecinzo maii, prùnae indictionis, 1678: visitatio eccfeJiae Sancti Sebastiani Ill.1nus et Rev.1nus D.nus fr. D. Michael Angelus Bonadies, Episcopus Catanensis, accessit ad ecclesiam et societatcn1 Sancti Sebastiani et primo, post aspcrsioncm aquae lustralis, sacrum audivit, quo finito visitavit altare maius cum icone S.ti Sebastiani, in quo celebratur in 01nnibus do1ninicis et festis per capellanu1n, cum salario unciarum 12 23 pro assistentia et confessione. Capel/am S.ti Crucifixi deinde visitavit guae fuit concessa ad Ippolitum Puglisì, cum usu sepulturae pro se et suis, ubi adest congregatio S.ti Crucifixi et confratres uniuntur ad orandutn quolibct dei veneris. Altare item Ascensionis, quod fuit etiam concessum ad dominum Andream Geremia ad beneficiandum cum usu sepulturae pro se et suis. Altare Omnium Sanctorum, ubi adest legatu1n unius missae in quolibet die festi, relictum a D. Pasquale Mirone et altare praedictum fuit concessun1 ad do1ninu1n dc Mirane ad beneficiandum, cu1n usu scpulturae pro se et suis. Altare postea S.ti Marci visitavit, conce.<<:um ad Iacintum Grasso ad bencficandum, 21 22 23

Furono - 1678] aggiunge in margine a/la pagina precedente Cod. secundis J sopraJcrive su parola illeggibile Cod. 12] 10 corregge e sopraJcrive Cod.


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cum usu sepulturae pro se et suis [19]. Altare etiam et capellam S.ti Caetani visitavit. Ubi adest congregatio nobilium, in qua congregantur quolibet die mercoris ad orandum. Altare deinceps Sanctorum Chrispini et Chrispiniani, concessum ad Franciscum de Bella ad beneficandum, cum usu sepulturae pro se et suis. Ubi adest missa quotidiana relicta ab eodem de Bella. Altare et capellam lesus Mariae, quae fuit concessa 24 a quondam loseph Grasso ad beneficiandum, cum usu sepulturae pro se et suis. Adcst legatum unciarum 10 pro celebratione missarum relictum ab eodem de Grasso. Ubi etiam adest congregatio lesus Mariae et uniuntur ad orandum quolibet die. Et demum confessionaria totamque ecclesiam et deinde sacristiam eiusque superlectiles et iugalia prout in inventario fol. 235. Bona etiam stabilia, qua e sunt prout in revelo fol. 23 7. Aliae missae, guae in dieta ecclesia celebrari debentur, sunt prout in revelo fai. 247. Visitavit etiam in dieta ecclesia reliquias, guae inveniuntur prout in revelo fol. 251 ac etiam statuam auratam noviter constructam S.ti Caetani bene conservatam.

Ordinò: si facci la tabella delle messe d'obbligo fra 4 giorni e si tenghi in sacristia. Si ordina di più che fra termine di mesi due habbiano da cancellare il ritratto alla capella del Santo Crocifisso, fatto nell'altare come pure il ritratto nell'altare dell'Ascensione, nell'altare delli Santi Crispino e Crispiniano e li due ritratti nell'altare di Gesù e Maria [20} altrimente, elasso detto tennine di mesi <lui, ditti altari s'intendono e siano sospesi Si ordina parimente che fra 15 giorni si faccia la marmoretta all'altare dell'Ascensione, cossì pure all'altare di S. Marco. Si confirmano tutte l'ordinationi delle visite passate. Perché in questa chiesa di San Sebastiano vi sono alcuni legati lasciati per maritaggio d'orfane o parenti, conforme al revelo fol. 317 ne Ili legati pii, e la chiesa ne tiene le sue annualità secondo le dispositioni, e perché per lo passato li rettori hanno fatto l'assegnatione in cessione 25 delli beni ogn'anno alle legatarie e si è visto resultarne incoveniente, che li legatarie non li possrino esigere dalle persone dì rispetto, ordina perciò Monsignor Hl.mo che li suddetti legati l'esiggano ogn'anno li rettori della Chiesa e li facciano depositare in potere del depositario delli legati pii e poi li paghino per loro mandati alli legatarii a cui tocca, conforme sono stati ammessi, e questo stante che la chiesa per questi travagli tiene assegnata la sua annualità, né 26 possan far cessione 27 alle legatarie senz'ordine in scriptis di Monsignor 111.ino. E quanto all'annualità di ditti legati spettante alla chiesa ordina Monsignor 111.mo che s'habbino da depositare in potere del depositario medesimo del\i legati pii e spendersi a mandati [21} delli rettori non per altra cosa se non per lo choro, tetto, fabriche et altre cose simili per maggior servitio della chiesa, né il te~·oriero li possa pagare per altro effetto sotto pena di pagarli due volte. Perché gli effetti, tenute, case et altri di ditti legati di maritaggio sono in gran parte 24 25 26 27

concessa 1 ad scrive e cancella Cod. in cessione] scrive nell'interlinea Cod. né} nel scrive e corregge Cod. far cessione] assegnare corregge e soprascrive Cod.


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deteriorati e per tal causa sono mancate le gabelle in molte somme et hanno necessità di racconci e di benfatti, pertanto ordina Monsignor III.mo che si facci deputatione e si congreghino li deputati delle chiese e consultino quel che si deve fare sopra ciò e stimando che si debbano reparare e megliorare le dette tenute e case per accrescimento e stabilimento delle rendite, ne diano l'ordine necessario alli rettori per far ditti repari e melioramenti e sospendano il pagamento di uno o due anni delli ditti legati che necessitano di essi re pari e miglioramenti per applicarsi in ditti repari e miglioramenti, facendoci le spese a mandati delli stessi rettori della chiesa con le liste delle spese separatatnente e per minuto, ad effetto che apparano per l'avvenire e se ne possa [22] dar conto in visita a Monsignor III.mo. Die undecimo maii 1678: Sancti Martini

Ill.mus et Rev.mus D.nus Episcopus Catanensis accessit ad ecclesiam Sancti Martini, parum distans a civitate, ubi perventus, post aspersionem aquae lustralis, sacrum audìvit, quo finito eius unicu1n altare visitavit et tabernaculum ubi Sanctissimum Christi Corpus in oratione 40 horarum conservatur. Adest legatum unius missae quotidianae, relictum per quondam U.I.D. Marcum Antoniuin de Maria. Sacristiam dcinde eiusque superlectiles et iugalia visitavit. Ordinò: si levi il ritratto dal quadro per essere contra li decreti apostolici. Eodem die, 12 n1aii 1678: Sancti Francisci de Paola

Idem Ill.mus et Rev.mus Dominus post visitationem Ecclesiae Sancti Martini accessit ad ecclesiam Sancti Francisci de Paola et, post aspersione1n aquae lustralis et adorationem ad Sanctutn Franciscum de Paola, visitavit eius unicum altare, in quo celebratur in omnibus dominicis et festis per cappellanum cum elen1osina societatis, qui solvunt tarenos tres singulis annis pro manuntentione ecclesiae praedittae. Invenit quod in omni pri1na dominica mensium celebratur pro anima quondam Francisci Castorina [23]. Adest societas sub titulo Sancti Francisci de Paola et uniuntur omni die veneris ad orandun1. Sacristiam deinde visitavit eiusque superlectiles et iugalia prout in inventario fOI. 255. Ordinationi: si replica l'ordinatione passata che alla porta del tabernacolo del Santissimo Sacramento si faccia la chiave e scudo d'argento, altrimente non si esponga nelle 40 hore il Santissimo Sacramento. Die decimotertio 111aii 1678: visitatio hospitalis

Ill.mus et Rev.mus D.nus Episcopus Catanensis accessit ad hospitale sub titulo Sanctae Mariae Montis Serrati, ubi perventus, post aspersionem aquae lustralis et adorationem, visitavit altare in infinnaria cum icone descensus crucis, in quo celebratur per capellanuin in omnibus dominicis et festis cum elemosina unciarum 4. Reperiit quod per quondam D. Nuzzium Tosto fuerunt relictae unciae 2 pro celebratione missarum in ecclesia hospitalis.


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Invenit quod gubernatur sub regimine duorum rettorum elettorum singulis annis ex maioribus natis, ex n° 24 confratum, qui vocantur confràtres seu congregati. Visitavit etiam iugalia et superlectiles prout in inventario fol. 259. Bona vero stabilia et redditus sunt prout in revelo fol. 261. Expensio fit ad mandata a praedictis subscripta et a vicario loci et thesaurario dicti 28 hospitalis, cuius electio fit a predictis rettoribus. Adcst etiam hospitalaria cum salario unciarum 6 [24]. Ordinò: si facci un libro per notare li morti di ditta hospidale e che il capellano habbia questa cura con copiarvi tutti quelli che havran 1norto dall'ultima visita in qua, fra un mese, e cossì seguirà per sempre, altrimente, passato detto termine di un mese, si sospende il capellano. Eodem die, 13 maii 1678: Sanctae Mariae Agonizantium

Rev.mus Dominus U.LD. D. Ioannes de Palenno et Caramanna, canonicus cathedralis Catanensis ecclesiae et Vicarius ac visitator generalis, accessit ad visitandam ecclesiam sub titulo Sanctae Mariae Agonizantium seu Montis Serrati et primo visitavit altare n1aius cum icone S.ti Crucifixi. Altare deinceps visitavit sub titulo S.tae Mariae Montis Serrati, in quo celebrantur undecim missae ex legato quonda1n Agathae Grasso. Riferisce il cappellano e fratelli che non si han celebrato e che si celebrano ad'altra parte. Jugalia deinde prout in inventario fol. 267. Bona stabilia et redditus sunt prout in revelo fol. 267. Adsunt duae congregationes, una sub titulo Agonizantium cum expositione Sanctissin1ae Eucharistiae Sacramentum, de inane, ianuis clausis, et celebratur missa pro sumptione ipsius. Confratres uniuntur omni die mercoris et omnibus diebus vcneris mensis martii ad orandum. Altera congrcgatio sub titulo Sanctae Mariae Pacis et confratres uniuntur in omnibus dominicis 29 in 22a hora et in omnibus diebus veneris tnensis martii de sero ad orandum [25]. Et in omnibus dominicis de inane exponunt Sanctissi1num Eucharistiae Sacramentum. Haec congregatio fuit eletta per societatein. Questa compagnia esce ad accompagnar tutte le processioni della città e senza detta cornpagnia non si fa processione. Iugalia dittae societatis adsunt in inventario fol. 269. Ordinò: il scabello dell'altare si facci più largo per potersi più comodamente farsi la genuflessione, fra 8 giorni, altrimente si sospende l'altare.

28 29

dicti] dictae scrive e corregge Cod. dominicis] aggiunge nell'interlinea e cancella parola illeggibile Cod.


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Ado!fo Longhitano Eodem die, 13 maii 1678: Sancii Viti

Idem Rev.mus canonicus et Vicarius ac Visitator generalis visitavit 30 ecclesiam Sancti Viti eiusquc altare in quo ex devotione celebratur. Visitavit etiam iugalia prout in inventario fol. 275. Adcst congregatio clericorum et confratres uniuntur in omnibus feriis sextis bora zza et ad orandum. Congregati solvunt singulis mensibus granos quatuor pro celebratione 20 missarum in morte cuiuslibet. Ordinò: si facci una pianeta almeno di tirzanello con sua stola e manipulo bianca, due sopracalici, uno verde e l'altro murato. Eodem die, 13 maii 1678: Sancti Rocci

Postca Rev.dus D.nus Canonicus U.l.D. Ioannes de Palermo et Caramanna, Vicarius ac Visitator gencralis, accessit ad ecclesiam Sancti Rocci et visitavit eius unicum altare, in quo celebratur in 01nnibus dominicis et festis per cape!Ianum, cum elemosina unciarum 2, saluta ab opera [26]. Visitavit deinde iugalia prout in inventario fol. 279. Redditus et bona stabilia sunt prout in revelo fol. 281. Vi è una congregatione e Ii fratelli si uniscono ogni mercoledì a 22 hore e li venerdì di nlarzo e quadragesima. In detta chiesa si espone il Santissimo ogni 4a domenica di mese, la mattina a tempo di messa e doppo la sera si espone ad hore 22. La sera di Tutti Santi dalla madrice esce il Santissimo Sacramento processionalmente con tutto il clero, si porta in detta chiesa di San Rocco 31 e vi sta per tutta l'ottava di detta festa. Vi è un'opera di messe 70 e tutti li confrati che si scrivono in detta opera pagano grani 4 il 1nese per conseguire dette messe. E la detta opera ogni primo lunedì di mese dice l'officio delli defonti e messa cantata per l'anima di tutti Ii fratelli morti, scritti in detta opera. Ordinò: si faccino due corporali. Eodem die, 13 tnaii 1678: visitatio ecclesiae32 sub titulo lesus Mariae

Peractis supradictis visitationibus idem Rev.mus Doininus U.I.D. D. Ioannes de Palermo et Caramanna, canonicus cathedralis Catanensis et Vicarius ac Visitator generalis, accessìt ad ecclesiam sub titulo Iesus Mariae et visitavit eius unicum altare et tabernacuIum, ubi conservatur Sanctissimum Christi Corpus indie communionis congregatorum. Tota1n ecclesiam et c~nfessionarium. ,Deinde ad [27] sacristiam ingressit et visitavit 30

31 32

visitavit] ad aggiunge e cancella Cod. si - Rocco] aggiunge nell'inlerlinea Cod. ecdesiae] S.tae Mariae aggiunge e cancella Cod.


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iugalia, quac sunt prout in inventario fol. 289. Bona stabilia sunt prout in revelo fol. 295. Adest congregatio sub titulo Iesus Mariae et congregantur quotidie ad orandum in z3a hora. Communicantur singulis secundis dominicis mensium; reguntur sub capitulis Messanae impressis. Adest legatum missae unius quotidianae, relittum per quondam sacerdotem D. Ioannen1 Tosto. Ordinò: che ogni mattina che il sacerdote celebra la messa del quondam D. Giovanni Tosto s'habbia da scrivere al libro che si tiene per quest'effetto nella sacristia, altrimente non s'havranno per sodisfatte.

Eodem die, 13 maii 1678: sancii Antonini de Padua Visitavit postea idem Rev.mus D.nus Vicarius ac Visitator generalis ecclesiam Sancti Antonini de Padua et primo altare maius cum simulacro S.ti Antonini, in quo celebratur in omnibus dominicis et festis cum elemosina congregatorum quia non habet redditus. Altare deinde S.ti Crucifixi seu S.ti Petri de Alcantara sine obligatione missaru1n. Altare etiam S.ti Gregorii visitavit, in quo nulla adest obligatio. Totam ecclesiam et confessionarium, sacristiam eiusque superlectiles visitavit prout in inventario fai. 299. Adest congregatio 33 confratrum, qui congregantur ad orandum in omnibus feriis quintis et solvunt granos duos in [28] quolibet mense pro celebratione 30 missarum, post tnortem cuiuslibet ipsorum. Eodem die, 13 1naii 1678: Sanctae Mariae ltriae

Idem Rev.mus Dominus Vicarius et Visitator generalis visitavit ecclesia1n Sanctae Mariae Itriae et eius unicum altare, in quo celebratur singulis tertiis feriis, ex legato quondam magistri Petri Barbagallo, qui pro elemosina reliquit fruttus cuiusdam predii circiter unciarum 5, vigore testamenti in actis notarii Alessandri Scuderi, 2° aprilis, yae indictionis33 1592. Item invenit adesse alias decem missas singulis annis, sed nunc celebrantur quinque ex reluitione bullae et sunt ex legato quondam Bernardi Contarella pro suis consanguineis. Adsunt etiam aliae septem missae pro anima quondam Sebastiani de Amato. Sacristiam deinde visitavit eiusque iugalia, guae sunt prout in inventario fol. 303. Bona etiam stabilia et redditus sunt prout in revelo fol. 305 ac etiam missae 34 . lnvenit adesse congregationem laicorum, qui congregantur ad orandum singulis dominicis in 22a hora; confratres solvunt granos duos quolibet mense pro celebratione 33 missarum post morten1 cuiuslibet ipsorutn. Eode1n die, 13 maii 1678: sanctae Mariae Sujfrag,gii s1Ve Purgatorii

Visitavit demum ecclesiain Sanctae Mariae Suffraggii sive animarum S.ti Purgatorii et primo unicum altare, in quo celebratur per capellanum in omnibus dominicĂŹs et festis, 33 34

indictionis] 16 aggiunge e cancella Cod. ac - missa e] aggiunge in margine Cod.


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cum elemosina unciarum 4, solutan1 ab ecclesia [29]. Altare prope sacristiam, in quo non celebratur. Tota1n ecdesiam, confessionaria et deinde sacristiam eiusque superlectiles, guae sunt prout in foL 307. Bona stabilia et redditus non habet35 . Adest societas sub vocabulo Sanctae Mariae Suffragii qui congregantur in omnibus feriis secundis in zza hora. Solvunt granos quatuor singulis mensibus pro celebratione 50 missarum post mortem cuiuslibet ex congregatis. Est aggregata ecclesiae Suffragii vigore

privilegii almae urbis Romae, die primo ianuarii 1642. Invenit etiam quod in omni primo dic lunis exponitur Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum de mane, dum celebratur sacrum, et de sero in 22a hora et Sanctissimum su1nitur in seguenti die, et hoc vigore capitulorum confirmatorum ab Ordinario. Exponitur etiam Sanctissimum Christi Corpus indie Omnium Sanctorum et permanet usque ad octavam Fidelium Defunctorum.

Eode;n die, 13 tnaii 1678: societas Sancti loseph in conventu Sancti Dominià Accessit ad oratoriuin et societatem Sancti loseph in ecclesia et conventu Sancti Donlinici et primo visitavit altare Sancti Ioseph, situm et positum in ecclesia praeditta S.ti Do1ninici. Deinde oratoriun1 cu1n eius unico altare, in quo celebratur in festo Sancti Ioseph36. Confratres congregantur in omnibus feriis sextis ad orandum et <lieti confratres sunt ad numerum 40 stabiles. Solvunt granos quinque quolibet n1ense pro celebratione 100 missarum post 1nortem cuiuslibet ipsoru1n. Communicantur in omni pritna dominica mensium cum expositione Sanctissin1i et celebratione /30] duarum missarum de mane ianuis clausis. Ordinò: si sospende l'altare di S. Giuseppe nella chiesa di San Domenico e non vi si possa celebrare finché si metti l'altaretto e si muri con farsi un 37 puoco fuori.

2.

Die 14 mensis maii 1678: visitatio legatorum piorum

Rev.1nus D.us U.1.D. Ioannes de Palermo, canonicus cathedralis ecclesiae Catanensis et Vicarius ac Visitator generalis, visitavit 01nnia legata pia a fidclibus defunctis relicta per atta publicorum notarioru1n civitatis huius Acis, ab anno xpc indictionis per tota1n xvam proxime praeteritam. Omnia bona stabilita et redditus sunt prout in revelo fol. 311. Ordinò: che si eseguissero l'ordinationi della visita precedente sin'hora non eseguite. E perché trqvò alcuni inconvenienti ne!Ii legati di maritaggio e particolarmente nel legato lasciato il quondan1 Bartolo1neo Musumeci, che dovendosi conferire un'annualità di detto legato ad'una legataria parente del testatore et ogni quinto anno spettare alla chiesa di San Sebastiano, si trovano spediti due e tre incartamenti per la nostra Gran Corte 35 36 37

non habetJ sunt etiam prout in revelo fol. corregge e soprascrive Cod. losephJ iugalia visitavit et redditus prout in revelo fol. aggiunge e cancella Cod. un] da corregge e soprascrive Cod.


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Vescovile in un'anno, in maniera che restano da sodisfarsi hoggi legatarii sin dell'anno 1672 e 1673. Il che, continuandosi in questa maniera a spedire incartamenti, porterebbe grandisima confusione nelli legatari [31], nelli officiali che amministrano gli effetti e nelle stessa Gran Corte Vescovile di Catania; che perciò havendosi riferito questo disordine a Monsignor Hl.mo Vescovo di Catania, non potendosi rimediare alla Gran Corte Vescovile, dove non si tiene notitia se ve ne sono stati conferiti altri di maggior numero, ordina Monsignor III.mo che da qua avanti non si possa dalla corte vicariale di questa città affissare editto per ditta legato del quondam Bartolon1eo Musumeci o per altri legati, per li guaii si siano spediti antecendentemente altri incartamenti, publicati editti e ricevutisi ordini per lettere della Gran Corte Vescovile di pagarsi e spedirsigli li mandati, nonostante che venisse ordinato dalla medesima Gran Corte Vesco vile, né eseguire lettere da hoggi innanzi di pagarsi e spedirsi mandato per detto legato di Musu1neci, o per altri come sopra, se prima non siano soddisfatti li legatarii che si trovano già spediti li loro incartamenti con le lettere della Gran Corte Vescovile, presentate et escquute per tutt'hoggi in questa corte vicariale della città di Iaci, e sodisfatti che saranno li ditti legatarii già ammessi, all'hora si vadino ammettendo di anno in anno quelli legatarii che dovranno entrare, cioè una legataria ogn'anno, sodisfatta ancora ogni quinta annualità alla chiesa, e questo vi si è detto per levar ogni confusione et inconvenienti, che sono occorsi e possono occorrere sotto pena per ogni contravventore ben vista a Monsignor IILmo [32]. 3.

Visitatio ecclesiarum extra civitatem

Die decùnosexto maù; prùnae indictionù, 1678: ecdesia Sanctae Mariae Miraculorum Rev.dus sacerdos D. Erasmus Xacca, unus ex cappellanis insignitis huius 1natricis ecclesiae, ex com1nissione Ili.mi et Rev.mi D.ni Episcopi Catanensis, visitavit ecclesian1 Sanctae Mariae Miraculorum et primo eius altare maius sub titulo Sanctae Mariae, in quo adest legatum unius missae in quolibet die sabato, relictuin per quondam Marianum Musumeci super aliqua bona possessa per dictam ecclesiam, prout in revelo fol. 321 et ad praesens celebrantur per sacerdotem U.l.D.rem loannem Battistam Musumeci capelanum. Item altare S.ti Crucifixi si ne obligatione et altare Passionis Domini nostri Icsu Christi in quo non celebratur. Totan1 ecclesiam et iugalia prout in inventario fol. 319, et demum sacristiam. Ordinò: che si levasse fra otto giorni il confessionario sotto pena di suspensione della chiesa e capellano.

Eodnn die, 16 maii 1678: visitatio Sancii loannis Baptistae in loco di Scammacca Rev.dus Sacerdos D. Ioannes Battista Sfilio, unus ex cappellanis insignitis huius n1atricis ecclesiae, ex comn1issione Hl.mi et Rev.1ni Domini Episcopi Catanensis, visitavit ecclesiam Sancti Ioannis Battistae in loco, ut dicitur, «di Scammacca» eiusque unicum altare in quo cclebratur in diebus festivis et dominicis. Iugalia visitavit et totam cappellam [33]. Ordinò: che si pintasse alla croce il Santo Crocìfìsso e si murasse l'altaretto.


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Sanlae Mariae uti dicitur «della Grafia» Idem de Sfilio visitavit ecclesiam Sanctae Mariae, ut dicitur, «della Gratia» eiusque unicum altare, in quo adest legatum unius missae in qualibet ebdomada, relictun1 per quondam Erasmum Littio, ad presens celebratur per D. Ioseph La Rosa, effectus sunt prout in revelo fol. 323. Totam ecclesiam et capellam, deinde iugalia visitavit prout in inventario fol. 323.

Ordinò: si murasse l'altaretto e che si pintasse il Santo Crocifisso nella croce.

Santi Mauri Deinde idem sacerdos de Sfilio visitavit ecclesia1n Sancti Mauri et eius unicum altare, in quo celebratur in omnibus dominicis et diebus festivis per cappellanu1n, cum elemosina unciarum 1.18 et restans ex elemosina re colletta ab eodem capellano. T o tam capellam et iu~ galia visitavit. Ordinò: si murasse l'altaretto e si pintasse il Santo Crucifìsso alla croce e si abbeIIisse la chiesa dalla parte di dentro.

Sanctae Mariae ad Nives Idem de Sfìlio visitavit ecclesiam Sanctae Mariae ad Nives eiusque unicum altare, in quo celebratur per cappellanum ex elemosina reco!Ietta. Cappeilam et iugalia prout in inventario fol. 327. Ordinò che delI'once sette più o meno, che sono in potere di [34] Giuseppe Castorina, recollette d'elemosina, non s'habbiano di erogare ad altra cosa, se non che per fabrica della detta chiesa. Si muri l'altaretto e si pintasse il Santo Crucifìsso nella croce e che si accon1modasse la patena fra due mesi, altrin1ente si intenda sospesa la detta patena.

Ecclesia Sanctae Annae Idem de Sfìlio visitavit ecclesia1n Sanctae Annae, positam in capite, ut dicitur, «delli Molini» eiusque unicum altare in quo celebratur in festa S.tae Annae. Capellam et iugalia prout in inventario fol. 331. Ordinò: si tnuri l'altarctto e si pintasse il Santo Crucifisso nella croce.

Eodem die, 16 ntaii 1678: visitatio ecclesiae Sanctorunt Cosmi ef Damiani Rev.dus sacerdos D. Paulus Cannavò 38 , concappellanus insignitus huius tnatricis ec38

CannavòJ unus aggiunge e cancella Cod.


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clesiae, ex commissione III.mi et Rev.mi D.ni Episcopi Catanensis, visitavit ecclesiam Sanctoru1n Cosmi et Damiani eiusque unicum altare sub titulo Sanctorum Cosmi et Damiani sine obligatione missarum. Cappellam et iugalia prout in inventario fol 335. Ordinò: che alla faccia dell'altare vi si facesse la croce. Ecclesiae Sanctae Mariae ut dicitur «dell'Ammalati» Idem de Cannavò visitavit ecclesiam Sanctae Mariae, ut dicitur, «dell'Aminalati» eiusque unicu1n altare in quo adest legatum 29 missarum relictum per quondam Angelam Grasso, cum elemosina unciarum 2.12, nunc cclebratur per sacerdotem D. Blasiu1n Grasso.

4. lugalia et superlectiles ccdesiae matricis

[107] Iesus, Maria loseph, Franciscus de Paula. Die vigesimo aprilis primae inditionis millesimo sexcentesimo septuagesimo octavo 1678

Rev.dus sac. D. Antoninus de Alì, quondam magistri Stephani, huius civitatis Acis, praesens, mihi notario cognitus, coram nobis interveniens ad haec, veluti sacrista tnaior maioris ecclesiae sub titulo SS.mae Annuntiatae, praedictae, huius civitatis Acis, vigore actus electionis celebrati in actis meis notarii infrascripti die etc. ad quem etc. omnique alio meliori modo et specie, cum iuramento, vi praesentis actus eiusque vigore dixit et declaravit ac dicit et declarat penes se habuisse et recepisse ab Erasmo Musmeci, notario, Ioanni Baptista Russo, Francisco Mironi et Philippo Tosto, gubernatoribus eiusdem matricis ecclesiae huius praedictae civitatis, mihi notario etiam cognitis, praesentibus cum praesentia ta1nen et interventu et consensu administratoris Rev.di sac. et Sacrae Theologiae Doctoris D. loseph Cavallaro, vicarii huius praedictae civitatis Acis, mihi notario etiam cogniti, praesentis etc., infrascritta robba aurea, argentea et alia per modum ut infra videlicet: In primis una pisside d'argento grande, che sta come al presente nel sacrario Item un altra d'argento per !'infermi Item un altra d'argento piccio!a per lo stabile Item una sfera d'argento con il piede di rame con dui angioli rotti pure di rame Item una sfera seu baderna d'argento per l'angelo Gabriele Item una corona d'argento per la SS.ma Annunciata con tre serafini Item una palomba d'argento pure per la SS.ma Annunciata Item una pace d'argento pure per la SS.ma Annunciata Item un ciglio d'argento per l'angelo Gabriello Item una croce d'argento per il molto rev.do clero Item una cassetta d'argento per l'aglio santo del battesmo con una cocchiara d'argento Item un vasetto d'argento con pede di rame per l'estrema untione


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Item una chiavetta d'argento per il tabernaculo del SS.mo Item una landa d'argento innante la portina del SS.mo ltem tre lampieri grandi d'argento della SS.ma Annunciata Item un inccnsiero d'argento con sua navetta e cocchiarina pure d'argento [108] lten1 un Iampiere d'argento per l'altare di Santo Antonio, fatto da Giuseppe Mirane Item una rama d'argento per il velo della Madonna Item mezza corona d'argento posta nel quadro del SS.ino Rosario Ite1n un secchietto con sua spancia d'argento Item <lui reliquiarii seu piastri d'argento Item un braccio d'argento per la reliquia di S.ta Anna Item una crocetta d'argento dove sta ingastato il segno della croce Item una schocca d'argento con diverse reliquie Item sei calici, dui d'argento e quattro con coppe e patene d'argento e piede di rame Item una sfera d'argento grande e cinque lampieri grandi d'argento, quali sono della luminaria del SS.010 Sacramento, fatti con sue spese proprie Item due anelli d'oro che sono posti alla reliquia di S.ta Anna e l'altro al braccio di S.ta Venera. Item un crocifisso d'argento picciolo, lo presentò Rosolea Guliti a S.ta Venera Item un stratta di granatini della SS.ma Annunciata Item una cascetta fatta di ritina d'argento la presentò a S.ta Venera 39 D. Anna Spatafora Item Ramo, bronzo e stagnio In primis una custodia di ra1ne vecchia fatta in pezzi Item una croce di bronzo per il funerale de' defonti Item un lampiero grandi di bronzo con 48 bracci Item dui candileri grandi di bronzo che stanno innanti l'altare maggiore Item cinque lampieri di rame, che stanno innante il SS.mo Sacramento Ite1n un lampiero della SS.ma Annuntiata Item un lampiero innante il SS.n10 Crocifisso presentato dal quonda1n n1astro Giacomo Zappalà Item un lampiero innante l'altare di S.to Antonio di Padova Item una brancha di bronzo innantc l'altare di San Giovanni Battista Item un altra brancha di bronzo innante l'altare di S.ta Anna Item un lampiero grande di bronzo innante l'altare de la Passione presentato dal quonda1n Giuseppe Ninnari fa1niglio di detta chiesa lten1 una brancha di rame innante l'altare del Carmine Item un lampieretto nell'altare di S.ta Agata Iten1 un lampierctto vecchio rotto nell'altare di S.ta Venera e quello che vi è al presente è della venerabile dell'hospedale Iten1 una busciola di stagno per la stuppa dell'estrema untione Item un'altra busciola di stagno per !'ostie 39

la presentò a S.ta Venera] ripete e cancella Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia Item Item Item Item Item Item Item Ite1n Item Item Item Item

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quattro campanelle di bronzo per le messe un disco d'altare di bronzo due sponsi di rame [109] sei lanterni di landa per la luininaria del SS.mo quattro candileri piccioli di stagno quattro piatti di stagnio per l'ampollette un braggiero picciolo vecchio un braggiero grande di ramo vecchio un pignato d'odore fatto del pomo della croce vecchio un fiasco di stagno per il vino delle messe un lampiere vecchio innante l'altare del Rosario un lampiere innante l'altare di S.ta Catarina

Cappelle per il vestuario delle messe In primis una capella di lama d'oro doppia rossa, cioé cappa, casubbula, dui tunicelli, dui stoli, tre manipoli et un avante altare dell'istesso drappo per l'altare maggiore, tutti con suoi valloni d'oro e randa d'oro per ditta avant'altare. Item una capella d'oro doppia biancha, cioé cappa, casubbula, dui tunicelli, dui stoli, tre manipuli, un avant'altare per !_'altare maggiore, dell'istesso drappo con soi valloni d'oro e frinza per ditta avant'altare Ite1n un'altra capella di n1ezza lama bianca, cioé casubula, dui tunicelli, tre stole e tre manipoli Item un'altra capella di mezza laina vecchia, cioè casubbula, dui tonicelli, due stole, e tre manipoli, un avant'altare per l'altare maggiore con sua fascia palmiata di seta attorno con sua vecchia frinza d'oro Item una capella di mezza lama rossa, cioè casubula e dui tunicelli, cappa, una stola et un manipolo, un sopradisco dell'istesso drappo vecchi ltetn un'altra capella di broccatello falso rosso, cioè cappa, casubula, dui tunicelli, una stola, dui manipoli, un avant'altare maggiore con passamani e frinze di seta Item una tunicella di raso rosso antica vecchia Item una capella di damasco verde, cioè casubula, dui tunicelli, dui stole e tre manipoli Item una capella di damasco vecchia usitata di colore murato, cioè casubula, dui tunicelli e dui manipoli Item una capella di damasco nigro, cioè casubula, dui tunicelli, dui stoli, tre manipoli, una cappa, un avant'altare stilarato per l'altare maggiore Item dui tunicelli di domaschello lacerati vecchi cioè bianchi Item una cappa, casubula, dui tunicelli, dui stole, tre manipoli, un'avant'altare di damasco pavonazzo con guarnitione d'oro Item una casubbula, dui tunicelli, due stole, tre manipoli, di damasco verde d'argento con soi valloni d'oro Cappe di coro Item due cappe di coro di domaschel!o bianco usitati vecchi


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Adolfo Longhitano

Item una cappa di damasco d'oro bianca usitata Item due cappe verdi, una di velluto a fondo d'oro usitata, l'altra con sua fascia di velluto vecchia Item un altra cappa di domaschello morato usitata, vecchia [110J

Casubule Item dui casubuli di damasco con passamani d'oro, stoli e manipoli usitati Item una casubula di terzanello a dui fà.cci rossa e bianca usitata con stole e manipulo con valloni d'oro, lasciata dal quondam D. Giuseppe Rosso Item una casubula di damasco bianco lacerata vecchia Item <lui casubuli di damasco bianco con suoi stoli e manipoli Item tre casubuli di damasco rosso con sue stole e manipoli e valloni d'oro Ite1n·una casubula di velluto chiaro usitata vecchia Item una casubula di mezza lana bianca con stola e manipulo e valloni d'oro Item dui casubuli di damasco rossi con passamano di seta, stoli e manipoli, quali casubuli sono delli tunicelli, che si guastare Item tre casubule verdi, una di damasco con suo passamano d'oro, l'altra di tabi, l'altra di domaschello vecchio con suoi stoli e manipoli Item quattro casubule murate, cioè <lui di domaschello con suoi passamani bianchi e morati e !'altri due di domaschello con passainano di seta morato con sue stole e manipoli Ite1n tre casubule negre di tabi, cioè una nova e due vecchie con sue stole e manipoli Item due casubule negre nove Sopra calici Item un sopracalice bianco a dui facci una di taffità d'argento bianco e l'altro di taffità rosso con sua randa d'oro Item tre sopra calici a <lui facci bianchi e rossi con sua randa d'oro attorno Item un sopra calice bianco di terzanello raccamato con sua fodera di terzanello rosso Item tre sopra calici di taffità a <lui facci bianche e rosse con sua randa d'argento picciola usitata Item un sopra calice bianco e rosso con vandetta d'argento 40 Item un altro di mezza lan1a et Item un altro bianco con vandetta d'argento, che sta dentro il tabernacolo del SS.mo lten1 quattro sopra calici verdi, <lui di taffità, uno di dan1asco, l'altro di rasetto con sua randa d'oro vecchi Item sette sopra calici pavonazzi vecchi Item tre sopra calici di taffità violaci Item cinque sopracalici negri nelli quali v'è uno con vandetta d'oro attorno Item un sopra calice rosso Iistrato, quale fu presentato a Santa Venera Ite1n tre sopra calici a dui facci bianchi e rossi con sua vandetta d'argento 40

et] non continua testo Cod.


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Burze

Item due burze raccamate d'oro et argento una rossa, e l'altra bianca Item dui burzi di lama doppia d'oro con soi valloni d'oro attorno, una bianca e l'altra rossa

Item Item Item Item Item Item

una burza d'asprino d'argento lavorata con suo passamano d'oro un'altra di velluto rosso con sua randa vecchi [111] tre di mezza lama bianca con suo passamano d'oro attorno tre murate e nigre usitate vecchie tre morate e verdi di tabi altre tre a dui facci verdi di damasco

Palle Palle Item Item Item Item Item

raccamate a seta n° cinque altre due di mezza lama bianche altre quattro lavorate di seta rossa deci semplici vecchi altre due di mezza lama rossa usitati un altra raccamata d'argento presentata dal rev.do sac. D. Giuseppe La Rosa

Corporali Item corporali n° ventiquattro con randa e senza Item un sacchetto di purificatori novi lten1 fazzoletti di tela fina e bastarda piccioli e grandi, uno dei quali è con li inzalamonati d'oro, n° 20 dentro un baulletto lacerato d'osso Palii d'altare maggiore Item un palio d'aspirino d'oro con frinza e passamani d'oro Item un altro di domasco pavonazzo con fascia di velluto, frinza e passamani di seta Iten1 un altro di velluto verde a fondo d'oro con frinza di seta e d'oro Item un altro di velluto verde vecchio stilarato con serafini Palii d'altare del SS.mo Item un palio di mezza lama bianca con frinza e passamani d'oro Item un palio raccamato bianco dell'altare del SS.mo Rosario Item un palio di domasco bianco con valloni e passamani d'oro e con sua fascia di seta attorno Item un palio di damasco bianco con frinza e passamano di seta bianca e gialla e sua fascia lavorata di seta attorno Item un palio di domasco bianco con frinza di seta bianca e gialina con sua fascia lavorata di seta attorno, quale è del drappo del tosello Item un altro di damasco bianco con passamani e frinza di seta, con fascia di seta attorno, per l'altare di S.to Antonio di Padova


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Adolfo Longhitano

Item un altro di domaschello vecchio con passamani d'oro senza frinza, e stessa con passamano di seta qual è a S.ta Anna Item quattro palii d'altare bianchi di domaschello con passamani di seta e frinze di seta bianca e gialina

Palii rossi Item due palii rossi di mezza lana con frinze e passamani d'oro et a uno vi è attorno un vallone d'oro largho Item un palio d'altare di tabi d'argento con frinza e passamani d'oro quale è dclli canni del drappo che è nell'inventario Item un palio di damasco con frinza e passamano d'oro Ite1n un palio di damasco rosso tutti d'un lavoro con frinze e passamani di seta e randa bianca attorno Item <lui palii d'altare rossi con passamani e frinze di seta rossi [112] Iten1 un palio di damasco rosso con fascia di velluto attorno con frinza smorzata lte1n un palio di velluto rosso e verde con frinza e fascia verde per l'altare di S.ta Agata Item un palio di domaschello rosso senza frinza con passamani e fascia di seta attorno Item un palio di domaschello rosso e passa1nani di seta e frinza di seta Palii verdi Item un palio di damasco verde con passa1nani e frinza verde di seta Item un palio verde di domaschello con frinza di seta per l'altare di S.to Nicolao 41 Palii pavonazzi Item un palio di domaschello pavonazzo con passamane di seta senza frinza Item un altro di do1naschello vecchio con passamani e frinza di seta Item un altro di terzanello vecchio con frinza e passamani di seta e fascia di rete attorno Item un altro di velluto con sua frinza e fascia di rete attorno per l'altare della Pass1one Item quattro palii piccioli per l'altare della SS.ma Annunciata, cioè uno di tela di Milano bianco vecchio, uno di domaschello rosso, uno di dotnasco verde, un altro di damasco pavonazzo Pedane d'altare Item una pedana di legno nova dorata per l'altare inaggiore Ite1n cinque pedana d'altare di legno dorate, una per l'altare maggiore vecchio, dui 41

Nicolao] Item scrive e cancella Cod.


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per !'altari del SS.mo, un altro per l'altare della SS.ma Annunciata, un altra per l'altare del SS.mo Crocifisso

Tovaglie d'altare Item tovaglie di tela per la communione n° sei, de' quali veni sono dui con randa aggroppata tutti lacerati e vecchi Item tovaglioli della co1nmunione n° quattro, <lui di tela sottile, con randa aggrappata, con pedani lunghi e !'altri dui per la credenza Item vandili <lui uno lavorato d'oro e uno con randa di crepacore per la credenza del SS.mo Item tovagli di lavabo n° novi Item una tovaglia lavorata di seta morata per l'altare maggiore Item dui 42 fasci lavorati d'oro, una per l'altare maggiore e l'altra per il SS.mo Item una tovaglia di palmi 8 con sua randa di ca1nno per l'altare del SS.mo Item una tovaglia di ~ezza tela con sua randa presentata a S.ta Venera da una devota messinesa Item tovagli d'altare piccioli e grandi con randa picciola e grande novi et usitati n° 36 lten1 Cambi si lte1n tre cambisi di tela di laci con sua randa grande et usitati Ite1n altri tre di tela d'Olanda raccamati a basso usitati, vecchi Item un cambiso di tela d'abisso vecchio lasciato per il quondam D. Francesco Patama

Item Item Item Item

cambisi diversi vecchi e novi con randa grande e picciola n° 24 un cambiso di tela d'abisso con sua randa grande cingoli n° 20 vecchi e novi am1nitti vecchi e novi n° 20 [113]

Missali e libri Item missali novi n° quattro, cioè <lui di sta1npa d'oro e <lui nigri Iten1 missali vecchi n° quattro Item <lui libri uno dell'Evangelio e l'altro dell'epistole presentati dal molto Rev.do D. Giuseppe Cavallaro, vicario Item rituali n° cinque, tre 'vecchi e dui novi delli quali <lui non servi110 più Item antifonarii dui, uno novo e l'altro vecchio item graduale dui, uno vecchio e l'altro novo Item un libro d'hinni Ite1n un salterio Item un martirologgio 42

dui] tovagli aggiunge e cancella Cod.


Adolfo Longhitano

168

Item un cantolino; tutti questi libri di canto fermo ni tiene la chiave il rev.do Giovanni Battista Zappalà, cantore Item un breviario grande lasciato dal quondam Don Antonino Grasso Item dui ceremoniali di vescovi, un pontificale, un gavanto, in potere del Rev.do D. Francesco Leotta, maestro di ceremonie Item libri di battesimi, matrimonii, morti, crisme descrittioni d'anime, libri di messe de' defonti, incominciando il primo libro di battesimi dall'anno 1558, sonno tutti nel'armaro, che ni tiene la chiave il molto rev.do vicario, oltre li libri giornali, che sono nel cascione del molto rev.do hebdomadario

Casciarizzi et armari Item un armaro grande lavorato di pittura dove stanno li fiori e vasi Item un altro armaro picciolo, dove stanno le scritture della chiesa, ni tenino la chiave li governatori Item un altro armaro picciolo, dove stanno li libri de' battesmi, ni tiene la chiave il rev.do vicario Item un altro armaro dove stanno li libri de' defonti e bandi delli matrimoni, ni tiene la chiave il sacristano maggiore Item un altro armaro picciolo dove stanno li sopra calici e borzi Item una cascia d'abbito dove stanno le robbe bone Item una cascia dove sta la cera de!li sacristani per servitio ordinario Item dui casciarizzi grandi di noce 43 uno per li casubboli et l'altro per la biancaria Item un quadro del Angelo Custode vecchio Item un quadro di S.ta Anna vecchio Item un disco di legno vecchio per il coro Item un crocifisso per il pulpito Item tre banchitti per il coro Item un banco per li lanterni fatto a spese della luminaria Item una scala a forfice Ite1n una scala picciola (114] Candileri lte1n candileri argentati n° 42, cioè una paranza per l'altare maggiore, sua croce e crocifisso, un'altra per l'altare della SS.ma Annuntiata con sua croce, un'altra per il SS.n10 Crocifisso con sua croce e Crocifisso, un'altra per S. Antonio con sua croce e Crocifisso altri <ludici per la capella del SS.mo Sacramento, altri sci per l'altare di S.ta Venera Item candileri inargentati, vecchi, grandi e piccioli n° 22 Item altri sei vecchi con sua croce per l'altare n1aggiore Item quattro angioli inargentati, vecchi per l'altare del Rosario

43

noce] dove aggiunge e cancella Cod.


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16.9

Vasi e fiori Item <ludici vasi grandi inargentati per l'altare maggiore, cioè sei vecchi e sei novi con suoi fiori grandi Item sei vasetti inargentati d'una faccia e dell'altra dorati con suoi fiori di landa vecchi per l'altare della SS.ma Annuntiata Item sei vasetti vecchi per l'altare di S.to Antonio Item sei vasetti per l'altare del SS.mo Crocifisso Item dui schocchi grandi per l'altare del SS.mo Sacramento Item un candiliero grande con suo triangolo di legno, serve per la settimana santa Item sei fioretti ad una per l'altare dell'Annunciata Item una troccula picciola di legno Item una cassa di tenebre Carte di gloria Item carte di gloria dorate n° 9 delli quali vi ni sono due con suoi intagli attorno Item altre quattro vecchi semplici Item altaretti consacrati n° 14 Baldacchini Item un tosello di domasco rosso con passamano d'oro per l'altare del SS.mo Crocifisso con suo velo di taffità e velo di regina innante Item un baldacchino di velluto vecchio Item un altro di damasco morato vecchio Item un baldacchino 44 di mezza lama con sue baste inargentate Item un baldacchino di domaschello 45 bianco per la comunione dell'infermi Item un sopra disco morato Cassone del hebdomadario Item 46 tre cappetti per la communionc dell'infermi bianchi, cioè dui di mezza lama, una nova e l'altra vecchia et un'altra di tabi vecchio Item dui veli di taffità, uno con randa d'oro e l'altro senza Item dui stoli, una murata e l'altra bianca vecchia Cultri Item faldi di cultri di do1naschello gialino e rosso 47 n° 30 di palmi

18

per ogn'una

44

baldacchino] di tirzanello bianco per la comunione dell'infermi aggiunge e cancella

45

do1naschello] tirzanello corregge e soprascrive Cod. Item] dui scrive e cancella Cod. rosso] bianco corregge e soprascrive Cod.

Cod. 46 47


170

Adolfo Longhitano

Item un portale di do1naschello gialino e torchino usitato, vecchio Item una cultra del pulpito di don1aschcllo viola Item un'altra cultra picciola, vecchia, fatta dalla cultra vecchia del pulpito per la parte di dietro Item tre falde di cultri lacerati vecchi di damasco morato Item <lui tovagli di taffità rossi con sua randa d'argento per la comunione Item un portale di domaschello rosso con frinza d'oro e seta armisina innanzi il qua~ dro della Annuntiata [115] Item un velo di regina innanti ditta quadro Item una cultra di taffità innanzi il quadro di S.ta Maria del Carmine, fatta per il quondam mastro Erasmo la Spina Item un velo di regina con sua randa d'oro grande per l'Annunziata Item un altro velo di taffità bianco con sua randa d'oro vecchia Item un altro velo di regina ondoso piccolo con sua randa d'oro vecchia Item un altro velo domascato con randa di filo bianca lasciato dalla quondam Maria Pavone Item un altro di taffità rosso con randa d'oro, usitato Item un altro di terzanello rosso con sua frinza di seta vecchio Item un altro di tirzanello verde con sua frinza di seta vecchio ltetn altri dui morati, uno di taffìtà e l'altro di terzanelio usitati Item una tovaglia rossa listiata, regalata a S.ta Venera Item panni d'altare n° sei, cioè uno per l'altare maggiore, uno per l'altare del SS.n10 Sacramento, uno per l'altare della Annunciata, un altro di rubbiolo verde per il talamo di 1nonsignore, un altro di tarantolo verde a <lui faldi per l'altare del Crucifisso, un altro ditarantolo verde per l'altare dell'Annuntiata Paviglioni 48 antichi Item un paviglione di taffità rosso e canavazzello bianco con SU<l randa d'oro Item un paviglione di domasco verde con fodera di terzanello morato lten1 un paviglione di tela di Milano con sua frinza di seta et oro vecchio Item un altro di damasco rosso con sua fascia di seta attorno lten1 un altro di taffità murato con sua frinza gialina vecchia Ite1n una credenza di domaschello rosso con sua randa d'argento lten1 dui cossina di domasco carmisino con passamano d'oro attorno e giu1nbi d'oro e seta Item un paro di cossina di domaschello bianco con suoi zagarelli attorno di seta Item un cossino d'altare a <lui facci bianco e rosso di lama d'oro doppia con passamani d'oro, tre giun1bi d'oro e seta Cossini d'altare n° otto di laniglia rossa Item un cossino di velluto rosso vecchio Item tre stoloni di domaschello 1norato Item stole di colore pavonazzo n° 6 in potere delli Rev.di cappellani 48

Paviglioni] corregge e soprascrive su parola illeggibile Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aqui!ia

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Item un ferro per li particoli Item li ferri per retagliare l'hostie Item un ferro per fare !'ostie in potere di Don Vincenzo Mangano Item un tumulo foderato di velluto verde vecchio Item una varetta foderata del istesso velluto vecchia Item un stennardo bianco di mezza 49 lama per !'infermi Ite1n quattro sorpellizzi per gli sacristani Item una littera di tandi con suo matarazzo per li sacristani [116) Item un tosello di legno dorato per il SS.mo Ite1n un tosello di legno dorato grande della lu1ninaria del SS.mo Item una campanotta alla porta della sacristia Item un'altra campana picciola nella camera delli sacristani Itein li campani nel campanile, cioè la grande, la mezzana, campana di 1°, ca1npana di 2°, campana dcll'horologgio con suoi battagli Item <lui paln1i di frinze d'oro, vesti del tosello bianco Item un tosello bianco grande di don1asco con passa1nani e frinza d'oro, serve per l'altare maggiore Item un tosello di broccato falso rosso con frinza Item seta rossa e gialina Item seggi di coro n° 15 per li cappellani nel coro Ite1n una tela grande torchina innantc l'organo Iten1 un faldistorio di legno, serve per le feste principali Quae quidem bona desuper descripta et annotata multus Rcv.us de Alì quo supra nomine et nomine suo proprio principaliter cum iuramento etc. promisit et pro1nittit seque obligavit et obligat praesentibus gubernatoribus stipulantibus eorumque successoribus abnucntibus etc. detinere et conservare omni qua decet cura, vigilantia et diligentia pro scrvitio dictae maioris ecclesiae ut sanctus etc. et de omnibus illis et qualitcr parte ipsarum reddere iustum et legale compotum ad omnem primam et sitnplicem requisitionem dictorun1 gubernatorum corumque succcssorun1 [117] alias fìat nihil et ex quo prout infra in pracsentibus obligantur. Quae 01nnia praemissis ratha ha bere et in eorum eventum etc. In pace etc. subsignati

.. ]'°. Testes Sac. D. loannes De Bella et nolarius Petrus Marana

[119]

5.

Revelo de1le reliquie che sono

nel1a madrice chiesa di questa città di laci 1. Duo frusta SS.mac Crucis D.ni nostri Iesu Christi cum eius authentica, die 2° iulii, XIII indictionis, 1630.

49 50

mezza] aggiunge nell'interlinea Cod. firme illeggibili Cod.


172

Adolfo Longhitano

2. Partes ossiuro ex corporibus Sanctorum Maximi, Pii, Valentini, dentis S. Felicis, Vincentii, necnon de capite S. Venerae martyris cum eorum authentica, sub die 19 augusti, V indictionis, 1672. 3. Partes ossiuro S. Rosoliae virginis, Panormitanae cum eius authentica, die 17 octobris, 9 indictionis, 1625. 4. Partes ossium Sanctorum Vincentii, Venerandae, Techlae et Adriani cum eorum authentica, sub die 16 augusti 1669. 5. Partem ossis ex corpore S. Rosolini martyris cum eius authentica, sub die 12 augusti, 4ae indictionis, 1666. 6. lnsignis sacra reliquia ex corpore S. Venerae martyris cum eius authentica, sub die 30 octobris 1667. 7. Frustri ex ossibus S. Annae matris 51 B.M.V. et ex ossibus S. Fabiani cu1n eorum authentica, sub die 15 ianuarii, 5ae indictionis, 1652. 8. Partem ossis S. Viti cum eius authentica, sub die 12 iunii, 9ac indictionis, 1641. 9. Particulae veli B.M.V. cum eius authentica, die 12 augusti, 5ae indictionis, 1667.

[235]

6.

Notamento deJli giugali et argenterie che tiene la chiesa di S. Sebastiano di questa città di Aci

In primis un lampere d'argento Item <lui calici d'argento con sue patene d'argento Item un calice d'argento con pede di ramo e patena d'argento Item un crucifisso d'argento con titulo e testa di morte d'argento Item setti crucetti d'argento Item deci et otto festini d'argento Item una corona d'argento Item un voto d'argento Item deci felecci d'argento Item <lui bracci d'argento Item dui reliquiarietti: uno d'argento e l'altro con piangia d'argento Item un incensiere con suoi navetta e cucchiarella d'argento Item un vasetto d'argento per la SS.ma Communione Item una sfera col suo pede d'argento Item una crocetta d'argento dove vi sta collocato il legno della Santa Croce Item una chiave d'argento del tabernacolo Item una cappella di damasco d'oro rosso Ite1n casubuli boni n° setti, fra li quali ce n'è una raccamata item casubuli ordinarii n° <ludici Item una cappa di coro di diversi colori Item quattro avanti altare borri n° quattro Item avanti altare ordinarii n° <ludici

51

ma tris] scrive e cancella parola illeggibile Cod.


Due visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia

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Item quattro vesti di tammurinesi: dui di domasco d'oro e dui di domaschello Item borzi raccamati e di damasco d'oro varii n° deci Item palle raccamate n° quattro Item borzi ordinarii n° deci Item sopra calice borri n° otto Item sopra calice ordinarii n° quindici Item cammisi borri et ordinarii n° deci et otto Item tovagli borri et ordinarii n° ventiquattro Item un vacili et una tafaria di ramo con tre piatti di stagno Item lamperi di ramo n° novi lten1 un lamperi grandi di branche n° trenta di ramo Item una tovaglia rossa con randa d'oro Item un tosello grande di domaschello rosso con passamani d'oro Item un baldacchino di menza lama carmixina Item una fascia raccamata per l'altare maggiore [236] Item sei messali: quattro branchi e <lui di tnorte Item un libro di sinode Item campane al campanile n. 4: una grande e una mezzana e dui novi Item quattro campanelle 52 per le messe Ammitti n° 12 53 corporali n° 12 54 7. Ordinationi lasciate da Mons. Hl.mo Fr. D. Michel Angelo [375] Bonadies Vescovo di Catania in discorso di visita nella città di laci per la

madrice et altre chiese, oltr'a quelle ordinationi annotate nel libro della visita per ogn'una delle chiese separatamente In primis essendo molto indecenza che le colonne seu pilastri della chiesa stiano tanto tempo rustichi e negri s'ordina che si biancheggiano, come ancora che fra sei 1nesi si dia principio a fare il coro di legname, altrimente, passato detto termine e non essendosi dato principio, si levino le sedie e vi si pongano banchi sotto pena di sospensione. Si levino tutte le casse che sono nella sacrestia vecchia fra termine di sei mesi e vi si facci poi una bancata a torno da coloro·che vogliono la corriodità, acciò l'altare stia con decoro, così si dia luogo alla congregatione de' sacerdoti. Per la chiesa di San Pietro e Paolo si facci nuovo detentore e segli consegnino li libri e scritture, che hora restano in potere del vicario et altri che ve ne fossero, ad effetto che possa caminar bene la scrittura constituendogli salario competente. Si piglino li conti del legato di Vincenza Vasta e Fichera, lasciato nella chiesa dei Santi Pietro e Paulo che sta sotto l'amministrazione del sacerdote D. Michele d'Amico et altro fidecommissario secolare, ad effetto di riconoscersi se è stata esseguita la volontà di detto testatore. 52

campanelle] n° quattro scrive e cancella Cod. amitti - 12] aggiunge altra mano Cod. 54 corporali - 12] aggiunge altra mano Cod. 53


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Adolfo Longhitano

Il sacerdote D. Paulo Sorvello, capellano passato della chiesa dei Santi Pietro e Paulo, segli dia sodisfatione del soprapiù che ha speso per le robe nuove che ha fatto fare per la sacrestia, conforme sarà liquidato dal vicario di detta città audìtis partibus, et intanto che dette robe siano loco depositi in puotere del vicario sinché sarà sodisfatto. Com'ancora che si paghi al sudetto di Sorvello dalla chiesa di San Pietro e Paulo onza una che ha speso per lo ferro dcli' ostie e la chiesa si tenghi detto ferro loco depositi, overo si consegni al sacerdote di Sorvello il medesimo ferro dell'ostie ogni volta che pagherà egli alla chiesa l'onza una delle messe, che fece celebrare l'anima del padrone supposto morto et il Sorvello l'habia da tenere loco depositi per quando comparisse il padrone, con che sia sempre preferita la chiesa se vorrà trattenerse il ferro o pigliarse l'oncia 1 delle 1nesse [376]. Si tenga in sacrestia la tabella delle messe d'obbligo et il libro dove si notano giornalmente le messe che si celebrano. Nella sacrestia della chiesa di San Sebastiano si tenga ancora la tabella delle messe d'obbligo e vi si metta fra termine d'otto giorni sotto pena di privatione al capellano, e si tenga pure il libro dove si notino le dette messe d'obbligo ogni volta che li sacerdoti le celebrano. L'istesso s'ordina per tutte !'altre chiese dove vi sono messe d'obligatione, cioè di legati lasciati dalli defonti. Si facci anco per le chiese di San Pietro e Paolo e di San Sebastiano la giuliana di tutti gli effetti e rendite della chiesa e delli legati, così di maritagio come di messe, et sia sempre pronto appresso il detentore. Per le chiese di San Pietro e Paolo e di San Sebastiano si tenga conto separato degli effetti della chiesa et effetti di legati e dell'elen1osine che donano li fratelli, volendo che si stabiliscano le spese che ha da fà.re la chiesa per conto proprio e spese che fà.nno li fratelli per conto della compagnia, e che per la festa di San Pietro e Paolo non si possano spendere più d'onze quindeci delli danari della chiesa, e l'istesso s'ordina per la festa di San Sebastiano, che non si possano spendere più di onze 15 in tutto delli denari della chiesa, così per l'apparato, come per musica, strumenti bassi, spese minute, cera et altro che fosse necessario. Nel monastero si stabiliscano per 1nedici il dott. Xaverio Musn1eci et il dott. Giuseppe Rosso, di maniera che uno di loro un anno sia 1nedico ordinario et l'altro estraordinario, et un altr'anno quel che è stato estraordinario sia ordinario, col salario di onze 4 per lo medico ordinario che al presente è il dott. Xaverio Mus1neci. Per la chiesa della Platanie si faccia la giuliana delle rendite, legati et altri effetti della chiesa e s'eseguisca l'ordine lasciato nella visita di detta chiesa, di che si eligga un depositario a parte per gli effetti del legato di maritaggio. Il qual depositario habia cura di farsi essigere a spese dell'istcssa [377 J opera con dare tarì doi per onza alli esattore per quanto havrà esatto, ad effetto d'assignarsi ad un'orfana maritata che sarà secondo la forma di detto legato. In tutti li quadri delli altari di qualsivoglia chiesa si cancellino fra doi 1nesi li ritratti che vi sono, altrimente si intendano sospensi quell'altare dove non è stato cancellato il ritratto fra detto tennine. Si eseguiscano l'ordinationi poste nella visita del!i legati di 1naritaggio di non affissarsi sedia né esscguirsi lettere per alcun legatario, né spedirsi mandato per l'avvenire se prima non siano sodisfatti li legatarii che sono stati ammessi per !'anni passati. Datum in Iaci, in discorso di visita, a 20 1naggio 1678. Fr. Michele Angelo, Episcopus Catanensis


UNA MEMORIA INEDITA DI MONS. MARIANO PALERMO

SALVO NIBALP

I. Due documenti inediti

Maletto, nel versante nord~occidentale dell'Etna, è oggi paese al confine tra la diocesi etnea e quella acese. Nel passato, insieme alla vicina Bronte, appartenne alla diocesi di Acireale, e ciò fino al 1844 quando Catania fu elevata a sede arcivescovile. Grazie alla loro provenienza da altra diocesi, nei due paesi «erano regolarmente costituiti dei parroci perpetui» e perciò «fino al 1919» essi «costituirono le uniche eccezioni al principio: episcopus unicus parochus civitatis et dioecesis» 1• Fondato nel medioevo dai principi Spatafora, Maletto si sviluppò soprattutto fra il XVI e XVII secolo 2, pur conoscendo frequenti spopolatnef1li a causa di crisi economiche ed epiden1ie nonché di una dissanguante emigrazione che fino a.oggi, e soprattutto dalla seconda metà dell'Ottocento, non ha praticamente conosciuto soluzione di continuità 3 • A differenza delle vicine Bronte e Randazzo il paese non può anno· verare grandi e numerosi nomi di studiosi, ecclesiastici, scienziati, scrit'' Dottore in Lettere e Giornalista. A. LONGHITANO, La parrocchia nella diocesi di Catania prùna e dopo il Concilio di Trento, Ist. Sup. Scienze reiigiose, Palermo 1977, 143. 2 Agli inizi del XVI sec. risale, per esempio, la costruzione della piccola cappella annessa al palazzo degli Spatafora, per secoli poi rimasta chiesa madre e intitolata a S. Michele Arcangelo. Cfr. S. NIBALl-G.M. LUCA, Ma/etto. Memorie storiche, Catania 1983, 45. 3 Per queste e altre vicende storiche del paese si veda S. NIBALl-G.M. LUCA, op. cii. 1


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Salvo Nibali

tori, uomini politici o venerabili. Ad eccezione di uno, quel mons. Mariano Palermo che fu parroco per oltre vent'anni del paese e divenne poi vescovo di Lipari e successivamente di Piazza Armerina, grande amico del cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet e morto in odore di santità, nel 1903, a Piazza. Qui non parleremo degli anni del suo duplice episcopato ma semplicemente, sulla scorta di due documenti inediti, l'uno di mano dello stesso mons. Palermo e l'altro del sacerdote Antonino Schilirò, della sua intensa attività di parroco nel paese natale e dell'opera da lui profusa nella costruzione della nuova chiesa madre, sperando così di portare un minimo contributo alla conoscenza di un personaggio dalla statura morale e culturale notevole rimasto finora immeritatamente nell'ombra.

2. La <parrocchia modello dell'archidiocesi» «Monsignor Mariano Palermo nacque a Maletto il 17 dicembre 1825 da don Biagio e donna Margherita Mauro[ ... ]». Così Antonino Schilirò, parroco di Maletto dal 1928 al 1947, nellà sua inedita memoria La Chiesa Madre di Ma/etto, del 1937 4 • Padre Schilirò, fra i pochissimi a scrivere una seppur sommaria biografia di mons. Mariano Palermo', rendeva così omaggio a una delle figure religiose più amate di Maletto e certamente fra le più notevoli della diocesi etnea nella seconda metà del secolo scorso. Seguiamolo ancora: «Educato prima nel seminario - oggi Real Collegio - Capizzi di Bronte e poi in quello di Catania, qui fu ordinato sacer4 Antonino Schilirò, La Chiesa Madre di Ma/etto, mns., Maletto 1937, 3. Nipote di quell'antonino Schilirò (1841-1899) ch'era stato successore di Mariano Palermo come parroco di Maletto, lo Schilirò fu cultore di scienze u1nanistiche e scrittore scrupoloso non soltanto di cose locali. Scrisse un'opera sull'umanista e poeta brontese Vincenzo Schilirò, che però pubblicò con lo pseudonimo di ANTOS (1931, Soc. Ed. Dante Alighieri), un Viaggio per la Giudecca in Dante e il Diario di un curato, opere che come La Chiesa Madre di Ma/etto rimasero sempre inedite. Fu grazie all'interessamento dello Schilirò che la Memoria di Mariano Palermo fu ritrovata da padre Biagio Calanna di Brente fra le carte di padre Gioacchino Zappia, anch'egli di Brente e cugino di Palenno. 5 Notizie biografiche su mons. Mariano Palermo furono pubblicate su giornali e riviste perlopiù in occasione della sua morte ma anche per il cinquantesimo di sacerdozio e poi nel 1924, quando a Piazza Armerina furono traslate le spoglie mortali del vescovo. Si vedano L'eco armerina del 27 gennaio 1900, L 'Armerino del 15 febbraio 1903 e il Giornale dell'Isola del 22 luglio 1924.


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dote nel dicembre 1849. Ritornò al paese natio per esercitarvi ininterrottamente il sacro ministero. Reggeva allora la parrochia - da Cappellano Curato - don Pasquale Sgro, successo ali' Arcipr. Onofrio Ponzo, ultimo parroco di Maletto, morto il 17 gennaio 1847» 6• L'introduzione a questo essenziale profilo biografico di Mariano Palermo non è, però, serena. Nella sua dettagliata storia della chiesa madre di Maletto, dopo aver sottolineato che senza l'opera di Palermo il tempio «non ci sar~bbe», lo Schilirò confessa che «della sua (di Palermo) vita oggi ben poco sappiamo. Non se ne interessò nemmeno il clero di Piazza Armerina, dove Mons. Palermo continuò e compì il luminoso apostolato e morì venerato>/.

Un destino, questo, purtroppo non mutato in tutti questi anni - 87 trascorsi dalla morte del vescovo malettese, personalità schiva, umile, proverbialmente generosa, estremamente amata dalla gente e stimatissima dal cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet a cui in gran parte fu dovuta anche la nomina a vescovo di mons. Palermo.

Ma torniamo al racconto dello Schilirò. «Ritiratosi per ragioni d'età e di salute lo Sgro, gli successe don Mariano Palermo, nominato Cappellano Curato da Mons. Felice Régano il 19 maggio 1854 [... ] Cappellano Curato si firma fino al 25 febbraio 1881 quando - press'a poco - fu eletto vescovo di Lipari. Nel mese di marzo partì. Il 1887 fu trasferito a Piazza Armerina, dove morì il 13 febbraio 1903» 8 • Lo Schilirò aveva steso queste brevi note biografiche s.u mons. Mariano Palermo a inizio, anzi come primo capitolo del suo già citato lavoro

su La Chiesa Madre di Ma/etto. Nel secondo capitolo egli prevedeva di riportare per intero la Memoria di Mariano Palermo sulle ventennali vicende della costruzione del maggior tempio dd paese. Non prima, comunque, di avere aggiunto queste altre considerazioni su Palermo: «Chiamato a reggere questa Parrocchia, allora sotto il titolo di S. Michele Arcangelo ma - in verità - ridotta, dopo la morte del Ponzo, a un semplice 'vicariato', come dice il timbro fino al 1928, don Mariano Palermo vi portò il contributo d'una fibbra (sic) fisica robustissima, d'un bell'aspetto, de' modi signorili della famiglia e della facondia d'una parola affascinante. Aveva trovato - è vero - un popolo buono e religioso, degno del Ponzo, che lo resse per ben 41 anno; ma egli v·i lavorò poi così che il Card. 6 A. SCHIURò, La Chie1a Madre di Maletto, cit., 3. 7

Ibid., 4.

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L.c.


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Dusmet chiamò Maletto: 'La Parrocchia modello della mia Archidiocesi'. E ordinariamente si chiamava: 'La badia'» 9• La parrocchia modello dell'archidiocesi. Non era poco, soprattutto se detto dal cardinale Dusmet che con Palermo intrattenne sempre particolari rapporti improntati a stima e amicizia.

3. L'elezione a vescovo

«Libero dunque dal pensiero della costruzione della Chiesa Madre scrive più in là lo Schilirò dopo aver riassunto le vicissitudini della costruzione del tempio - il Palermo attese solo a lavorare tra il popolo che lo venerava, e vi passò altri quattro anni. Nel febbraio 10 1881 venne eletto vescovo di Lipari. Quest'elezione fu un vero lutto per il paese, che così perdeva il Padre. Il 25 di questo mese firma, per l'ultima volta, da Cappellano Curato un atto di battesimo e per alcuni giorni segue a lui, in qualità di Pro Vicario, don Giuseppe Maria Schilirò. Il 20 marzo viene eletto successore mio zio don Antonino Schilirò che il 21 si firma 'Vicarius foraneus et vice-parrocus'. Un passo avanti nella storia della Parrocchia» 0 «Vescovo di Lipari, trasferito poi nel 188?1 2 a Piazza Armerina, visse ugualmente vivo in mezzo al popolo del suo Maletto, ch'egli venne a visitar periodicamente ogni due anni. L'ultima sua visita fu nell'estate del 1902: villeggiatura assai tormentata da que' dolori, che alla distanza lo 9 10

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In realtà, la nomina di mons. Palermo a vescovo di Lipari giunse il 31 inaggio. A consacrare a Caltanissetta il nuovo pastore della Chiesa liparitarta fu mons. Giovanni Guttadauro che di Mariano Palermo era stato rettore negli anni del seminario a Catania. Cfr. G. ZITO, la cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato D11S1net (1867-1894), Galatea, Acireale 1987, 366. Lo stesso Zito, in un recente contributo, ci fornisce due preziose noti~ zie degli anni dell'episcopato di Palermo. Dopo la morte del card. Dusmet, infatti, nel maggio 1895, essendo ancora vacante la sede episcopale di Catania malgrado la nomina di mons. Francica Nava, Palermo suggerì alla Santa Sede, come nuovo arcivescovo di Catania, padre Vincenzo Lombardo, che rifiutò. Nel luglio dello stesso anno, poi, Palermo, rispondendo all'Uditore della Santa Sede, dava ancora informazioni su «parecchi buoni sacerdoti», nella sua e in altre diocesi, che secondo lui potevano aspirare all'episcopato. Cfr. ID., L'episcopato urbano della Sicilia dall'Unità alla crisi n1odernista in Chiesa e società urbana in Sicilia (1890-1920), Galatea, Acireale 1990, Quaderni di Synaxis 6, 93 e 108. 11 A. SCHILIRÒ, la Chiesa Madre di Malelto, cit., 7. 12 La data esatta dell'elezione è il 14 marzo del 1887. Palermo mantenne la giurisdizione sulla diocesi di Lipari in qualità di amministratore apostolico fino al 1890. Cfr. G. ZITO, la cura pastorale ... , cit., 366.


La lapide che ricorda, nella chiesa 1natrice di Maletto, monsignor Mariano Palermo.


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portarono alla tomba. Presago allora, volle far dono alla sua Chiesa della campana più grande consacrata poi - nel settembre di quello stesso anno - da Sua Emin. il Card. Giuseppe Francica Nava durante la s. visita». Così, ancora, lo Schilirò13 , il quale ricorda poi di avere assistito di persona, il 20 luglio del 1924, alla cerimonia della traslazione delle spoglie mortali di mons. Palermo «da una chiesetta suburbana» di Piazza Armerina, «dov'era stata provvisoriamente deposta, alla Cattedrale, dove s'era deciso d'erigergli un monumento» 14 e il solenne pontificale celebrato da mons. Mario Sturzo, fratello del più famoso Luigi e successore di mons. Palermo nella guida della diocesi armerina.

4. Il colera e la nuova chiesa madre Se si eccettuano gli anni dell'episcopato, a Lipari prima e a Piazza Armerina poi, periodo che merita una ricostruzione a parte, le fasi salienti

della esistenza di mons. Mariano Palermo sono quelle vissute da parroco a Maletto, soprattutto in due particolari momenti: quello dell'epidemia di colera scoppiata nel 1856 e quello della costruzione della chiesa madre, sulle cui vicende Io stesso Palermo scrisse la Memoria di cui ci occupiamo nel presente lavoro e che rappresenta un preziosissimo documento su un particolare momento storico del paese. Durante l'epidemia di colera del 1856 Mariano Palermo si prodigò senza sosta e senza risparmio di forze in aiuto della popolazione colpita. Aveva 31 anni ed era cappellano curato da poco più di due. Così come era successo già due anni prima e come sarebbe accaduto ancora nel 1877, decine furono le vittime dell'epidemia, sepolte in parte in paese e in parte nei pressi della seicentesca chiesetta del Carmine, poco fuori l'abitato 15 • L'abnegazione di Palermo in favore degli ammalati rimase memorabile, ma più ancora me1norabile rimase la sua opera per la costruzione del maggior tempio malettese. Non a caso i pochi ma significativi aneddoti che si raccontano ancora in paese sulla "santità" di Palermo riguardano quasi esclusivamente l'epoca e le circostanze della realizzazione della chiesa madre. 13 A. SCHILIRÒ, La Chiesa Madre di Male!to, cit., 7. 14 15

l.c. S. NIBALI-G.M. LUCA, Ma/etto. Memorie storiche, cit., 67 e 73 ss.


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Come la stessa Memoria di Palermo mostra, vent'anni e più durò l'edificazione della chiesa madre di Maletto e in essa il parroco profuse tutte le sue forze. Il paese, come in parte si evince dal manoscritto, era povero ma contava diversi proprietari che si erano arricchiti sulle terre dell'immensa ducea dei Nelson 16 • E furono probabilmente questi ultimi ad avere una parte preponderante nell'affrontare le spese di costruzione del tempio alle quali, tuttavia, l'intero popolo malettese partecipò generosamente. Le difficoltà, però, come afferma lo stesso Palermo, non mancarono, e furono dovute, prima ancora che si desse inizio all'opera di fabbricazione vera e propria, principalmente alle discordie alimentate da chi, per una ragione o per l'altra, non vedeva di buon occhio la nuova opera, soprattutto se costruita a monte del paese, nel luogo in cui attualmente essa sorge. Furono la grande volontà e la fede di Mariano Palermo a spingere i malettesi, e anche quella parte di loro che s'era opposta, a impegnarsi con le proprie risorse e il proprio lavoro nella costruzione della nuova chiesa madre che sorse dunque per l'apporto dell'intera popolazione, come più volte sottolinea nel suo .scritto lo stesso Palermo. La costruzione del nuovo tempio non era un capriccio, ma una necessità. La cinquecentesca chiesetta di S. Michele Arcangelo, un tempo cappella dei principi Spatafora, e la settecentesca chiesa di S. Antonio da Padova, s'erano fatte ormai troppo anguste per accogliere nelle festività e nelle occasioni solenni l'intero popolo dei fedeli. Da qui la decisione del parroco Palermo, avallata dall'arcivescovo Giuseppe Benedetto Dusmet, di edificare un nuovo più grande tempio a monte del paese. E la chiesa, lentamente ma costantemente, sorse. Palermo, dopo avere ricordato i diversi momenti della costruzione, riporta anche i contributi offerti per il completamento di essa, sicché ci sono pervenuti anche i nomi di coloro che concretamente intenrennero con contributi e donazioni varie nell'erezione della matrice, e si sofferma a descrivere la visita dell'arcivescovo Dusmet e la cerimonia di benedizione da lui presie16

Scrive lo Schilirò: «Il paese in genere era povero. Ma c'erano parecchie famiglie borghesi, le quali oltre a' propri terreni e a vistosi armenti gestivano estesi feudi della Ducea di Bronte [... ].All'epoca della messe, oltre al personale lauto contributo, raccoglievano da' loro inquilini un tumolo di frumento per ogni salma del raccolto. A questo modo era una som1na considerevole e sicura che giungeva ogni anno nelle inani .del Palermo. Il quale s'era riservato solo il compito di girare per il paese, finita la trebbiatura, e raccoglier le partite di quelli che coltivavano i campi nel territorio». A. SCHILIRÒ, La Chiesa Madre di Ma/etto, cit., 4.


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duta e seguita a quella di benedizione della chiesa avvenuta il giorno precedente, 3 giugno 1877. L'invito di Palermo era pervenuto a Dusmet appena tre giorni prima. Comprensibile, dunque, che l'arcivescovo lo declinasse «per motivi che non occorre dire», come confessa lo stesso Palern10. Ma la presenza del celebre e santo presule alla festa della piccola comunità malettese non mancò: il giorno dopo, 4 giugno, verso le due del pomeriggio, Dusmet, accompagnato da Luigi Taddeo Della Marra e da Paolo Proto, fu a Maletto e presiedette una solenne cerimonia, alla quale partecipò anche il clero di Bronte, e regalò al parroco Palermo 800 lire che andarono ad aggiungersi a un suo precedente contributo di 700, erogato due anni prima, a favore della chiesa madre.

5. Il manoscritto dello Schilirò Il documento del parroco Antonino Schilirò ci offre ulteriori notizie e particolari sull'opera di Palermo. Lo Schilirò ricorda a esempio che l'opera del vescovo fu completata dallo zio Antonino Schilirò, succeduto a Palermo nella cura delle anime, e da se stesso. Il campanile soprattutto e la cappella del SS. Sacramento. «Una cosa - scrive lo Schilirò - restava a farsi: il campanile. Ché le campane erano provvisorian1ente situate in un punto abbastanza basso, donde non rendevano un suono sufficiente a tutto il paese» 17 . Il parroco Schilirò vi spese cinquemila lire: «somma - commenta lo Schilirò - vistosissin1a a que' tempi, e più vi avrebbe speso se, per uno sbaglio di calcolo dell'ingegnere, non si fosse dovuto fermare al secondo piano visto che la colonna tra il primo arco e il secondo non sosteneva il peso enorme d'un muro sempre ugualtnente spesso. Si dovè, per forza, fermar a quel punto e contentarsi del campanile quale l'abbiamo oggi: bello tuttavia e rispondente allo scopo»"- Lo Schilirò racconta poi i successivi avvenimenti del completamento della chiesa madre. Al parroco suo zio succedette il vicario Antonino Portale (1851-1923) che, scrive sempre lo Schilirò, «si contentò di ridurre il disegno, di rinunziare alla croce latina e alla relativa cupola e di costruire l'abside e le due cappelle laterali attaccate immediatamente alle navate. E, per incominciare, costruì la cap17

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lbid., 10. L.c.


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pella del SS. Sacramento attigua al campanile e che fu inaugurata il 26 dicembre 1909»19 . Poi, conclude lo Schilirò, dopo che il «Card. Nava, volendo che si ultimassero le pratiche necessarie per l'erezione delle Parrocchie, lasciò qual Delegato Parrocchiale il Sac. Vincenzo Parrinello» e «dopo la morte del Parroco Ponzo, la Parrocchia passò a un semplice Vicariato Foraneo fino al febbraio 1928», anno in cui, scrive, «fui eletto con Bolla del Card. Nava il 29» di febbraio 20 • L'intenzione dello Schilirò era quella di scrivere un'opera in cui, come s'è detto, la Memoria di Mariano Palermo fosse riportata integralmente al paragrafo secondo. Ma anche La Chiesa Madre di Ma/etto di Schilirò, come altri suoi lavori e come lo stesso scritto del suo grande predecessore, non fece mai «gemere i torchi)>, come si dice. Manoscritta, ci è giunta insieme alla Memoria di Palermo solo grazie alla cura del prof: Francesco Longhitano Ferraù 21 , geloso conservatore di "cose" malettesi, oltreché brontesi, ed è anch'essa ricca di notizie che potremmo definire quasi di prima mano su Palermo e sulla sua opera. Ed è l'unica testimonianza che, oltre a parlare di Palermo, lamenti anche il silenzio e l'oblio nel quale ovunque, a Maletto come a Piazza Armerina, erano cadute da tempo la figura e l'opera del vescovo malettese. Con una sola eccezione, tuttavia, a parte la dimostrazione d'affetto dei piazzesi quando nel 1924 le spoglie mortali di Palermo furono traslate da una chiesetta di periferia alla cattedrale: la lapide in marmo dettata dallo stesso Schilirò l'll ottobre del 1928 e posta su una delle colonne della navata destra di quella chiesa madre voluta da Palermo: «A S.E. I Monsignor Mariano Palermo I nato il 1825 morto il 1903 I che vigile pastore educò a Cristo I la sua natia cittadina I e le costruì questo tempio I faro di luce e di salvezza I popolo comune associazioni I grati e riconoscenti I questo ricordo I posero».

19 lbid., 11. 20

Ibid., 12. Il prof. Longhitano Ferraù aveva ricevuto i manoscritti dal nipote di mons, Pa~ lermo, il dott. Antonino Palermo, i cui eredi tuttavia non conservano praticamente niente degli scritti del vescovo. 21


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6. L'oblio

Da quella data nessuno, se si eccettuano il sac. Antonino Schilirò, autore della memoria sulla chiesa madre di Maletto, il dott. Antonino Palermo, nipote del vescovo, e il già citato prof. Longhitano Ferraù, che di mons. Palermo aveva raccolto qualche cimelio e ricordato l'opera in diversi lavori rimasti manoscritti, si è più occupato di quella che a tutt'oggi resta la figura non solo religiosa ma umana e culturale più notevole di questo piccolo paese. Grazie a Synaxis abbiamo oggi intanto la possibilità di rendere nota, corredata da questo breve commento, la memoria inedita di Palermo sulla costruzione della chiesa madre malettese, ma sarebbe interessante, in un prossimo futuro, pubblicare, sulla scorta dei documenti giacenti negli archivi delle diocesi di Lipari e di Piazza Armerina, un profilo finalmente più preciso e più completo dell'uomo e del vescovo Palermo e della sua intensa attività pastorale nelle due diocesi.


MEMORIA, MNS. INEDITO, 1877

In nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. In Maletto li 3 giugno 1nilleottocentosettantasette. lo qui sottoscritto Sac. Mariano Palermo curato e vie. foraneo vedendo oggi coronati di felice successo il desiderio e gli stenti di parecchi anni e lustri ho creduta regolarissima cosa scrivere la presente memoria ed inserirla qual documento maggiore nei documenti e carte di questo archivio della chiesa. Essa è sommario e compendio ma veritiero e fedelissimo dei fatti, che han preceduto accompagnato e seguito fin oggi la Santa costruzione della Chiesa Madre che oggi è stata solennemente benedetta, titolandola ai SS. Cuori di Gesù e di Maria. Confesso anzi tutto, e potrei chiamare in testimonio taluni amici, ai quali io confidava le mie intenzioni, che fin dagli anni giovanili io sentjva in me ardente desiderio e zelo che una Chiesa più ampia e migliore fosse costrutta. Ciò non per vaghezza di novità, e soddisfazione d'indole faccendiera. Affatto; ma perché le due antiche mi pareano intieramente disadatte per luogo per giacitura, e peggio ancora per incapacità. Nei primi anni del 1nio sacerdozio, e più poi quando nell'anno ventottesimo di mia età fui, 1nio malgrado, obbligato dal comando del vescovo Regano di felice memoria ad accettare la cura di questi buoni fedeli, sentiva nell'animo mio amaro corruccio nel vedere, anche nella Chiesa maggiore di S. Antonio, nei dì festivi e di concorso, l'incomposto affollamento, e quindi il necessario ma irriverente bisbiglio, e la immodestia, e le profanazioni forse peggiori. Nel 1856 venne qui a predicare la Quaresima un sacerdote di Aci S. Antonio molto zelante e buono di nome D. Gaetano Digrazia. La di lui predicazione popolare e pia era da questo buon popolo avidamente udita, e quindi al solito il grande concorso rendeva evidentissima la evidente angustia ed incapacità della Chiesa. L'uomo di Dio significò a me i suoi pensamenti, intese i miei, parlammo a molti, e trovammo gli animi quasi istintivamente preparati. Faceva sgo1nento davvero l'arduità della impresa, ma fidenti in Dio deliberam1no invitare pubblicamente il popolo ad una soscrizione. Così fu fatto ed esso popolo accorse volenteroso, luogo di convegno fu la casa del Sig. D. Antonino Putrino ed il Notaro Sig. Mariano Petrina scriveva i nomi dei venuti e la cifra delle offerte promesse. I sussidi così ottenuti sulla parola dovevano erogarsi in ogni Agosto per cinque anni, a cominciare dal prossimo Agosto 1856. Gli oblatori intendevano fare atto di obbligo nelle forme legali; ma poi per vari rispetti non parve opportuno atto notarile, se1nbrando sufficiente la sola obbligazione morale. La cifra ottenuta sempre nelle promesse nella sua totalità per soli quei cinque anni salì ad onze cinquecento pari a L. 6375. I soscrittori nella grande maggioranza tennero parola, e loro si unirono quelli che non avevano sottoscritto, e non solo pei cinque anni, ma sin' oggi che siamo giunti al z1mo anno con perseveranza hanno contribuito in opere e sussidi per il Santo Edificio. Nell'agosto di quell'anno medesimo 1856 s'invitò e venne l'architetto di Acireale Sig. Raf-


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fa_ello Patanè Contarini, che fece la pianta e il disegno (il quale in seguito fu alquanto modificato e impicciolito) ed ebbe in mercede onze 24. Sotto la direzione di Lui furono fatte le più accurate osservazioni, e fu conchiuso che senza enormi spese ed inconvenienti notabilissimi nessuna delle due Chiese di S. Mic.hele e di S. Antonio era capace d'ingrandimento. È falso che lo Ex principe sarebbe stato pronto a cedere, e regalare.il così detto fondaco e locanda, ora posseduti dai frati Grupposo, se la Chiesa si fosse fabbricata in quella località, chiudendo così nel suo ambito la chiesetta di S. Michele. È perfetta bugia inventata in quei giorni e ripetuta finora dagli allocchi, che se anche quella fosse stata verità il dono non si sarebbe potuto accettare perché condizione impossibile essendo necessaria altra somma cospicua, e •'· e ritardo per la opera ed espropriazione forzosa delle rimanenti case giovevoli allo scopo. È falso eziandio che a capriccio non si abbia voluto l'ingrandimento dell'altra Chiesa di S. Antonio di Padova. Non solo la sua giacitura alla bassa estremità della borgata ma il largo comunale a tramontana, detto Camposanto, la stradella a mezzodì, le case a levante e la roccia a ponente dicono chiaro che quella non era capace d'ingrandimento. Più: essa per le necessarie opere di costruzione avrebbe dovuto per molti anni contare come non esistente, e per così lungo periodo la parrocchia non poteva privarsene e farne senza. Tant'e (sic) il de1nonio che ha sempre l'usanza di ficcare un corno o la coda nell'opere di Dio, per questo mottivo (sic) della diversa località, alienò molti animi, parte raffreddandoli, parte volgen-. doli a nimistà. Quello era vera1nente un pretesto, o se vi piace un titolo colorato, onde coprire la vergognosa passione dell'egoismo e dell'avarizia, che in simili casi ritiene gli abbienti dal dare, e perché certi cotali avrebbero rossore a palesarsi quali sono avidi ed egoisti, si avvalgono di un pretesto, o si cuoprono anche con veste di finto zelo, e dicono: io voglio la Chiesa qui, io la voglio colà, pronti, sempre con zelo, a volerla altrove se per caso si venisse nella determinazione di fabbricarla dov'essi prima desideravano. Queste riflessioni venivano come spontanee, a chi caldeggiando l'opera di Dio, conoscevan (sic) che il sito dove la Chiesa ora è, era il migliore, anzi l'unico da ciò. Come Dio volle spuntava limpida e bella l'aurora del diciassette Maggio 1857. Era giorno di Domenica, e chi scrive la presente me1noria arringò il popolo raccolto nella Chiesa di S. Antonio per assistere alla Santa Messa, e lo esortò ad accorrere tutti festanti fervorosi, poiché quel dì era fissato al con1incia1nento dell'ardua e santa i1npresa, e stessero avvertiti ch'Egli non facea da sé ma che il Prelato e Pastore della Diocesi avea con sua venerata lettera approvata incoraggiata e benedetta la Santa opera che si stava per cominciare. Verso le 7 io era sul luogo, e col cuore fra il timido e il coraggioso mi posi a ginocchio coi pochi allora venuti e cantai le Litanie Lauretane, affinché la gran Madre di Dio tesoriera di tutte le grazie avesse dato a me e al popolo quella virtù che fosse proporzionata all'impresa relativamente colossale. Durante il canto vennero molti, e finito, io diedi i pri1ni colpi, ai quali fece eco un po' di rumore di '''', e mortaretti nonché del suono a festa delle campane. A questo segno, che attirò di uomini e donne una vera folla, fu dato il generale assalto alla terra, designata per fondamento al muro di prospetto, dagli uoinini con pali e zappe scavando, e dalle donne trasportandola nel vicino vallone a mezzodì dell'abitato. Qµel giorno fu verarn'.ente giorno di santo tripudio e lavoro, poiché mentre una moltitudine si affaticava nello scavo e trasporto, altre parecchie centinaja portavano pietra, e ne fecero un monte, valutata da circa un centinajo di canne reali. Quell'entusiasmo proprio superlativo durò solamente quel giorno; ma in seguito partico,., parola indecifrabile.

** parola indecifrabile.


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larmcnte nei dì festivi il popolo accorse sempre volenteroso, e diede aiuto assai, non solo in quel prin10 anno, ma eziandio nei seguenti, con particolarità in opere di scavo e di trasporto di materiali. Il porto della pietra per fabbrica tutta interamente di lava, e della pietra di calce, credo per mettà (sic), fu eseguito gratisi (sic), così parimente esso popolo accorse numeroso nel trasporto dell'arena, e ultimamente nella costruzione delle volte per la schiuma di lava, o come qui chiamano pomice, della quale si consumò quintali 600 circa, la spesa fu troppo lieve perché fu portata tutta gratuitamente e per an1ore di Dio. Eziandio è da registrare che il combustibile necessario alle fornaci per la calce fu quasi interamente somministrato da questi fedeli. Ed invero l'offerta ch'essi han fatto in ogni anno, quando nel Sabbato (sic) Santo passava il curato a benedire le loro case, è stata legni per fuoco. Da due a tre mila '' in tutto il corso di venti anni, di tali legni vennero da queste divozioni. Non è vero che il popolo è neghittoso; esso è fervente sempre nelle opere di Dio, quando con perseverante pazienza è guidato! Con questi 1nezzi, ed altre industrie assai, e con travagli e stenti, e sacrifizf inenarrabili, e con soprapensieri, fastidi e anche amarezze incredibili, la Santa costruzione è venuta sù lentamente, e oggi dopo appena venti anni e diciassette giorni, dacché fu dato principio a scavare la terra per le fondamenta (è grazia di Dio proprio singolarissima) si è giunti al grande atto della sua solenne benedizione. Del quale atto preceduto di un giorno dalla consacrazione delle campane ora è a dire specificatamente. Era quasi un'anno (sic), dacché il sottoscritto osservando, che fatto uno sforzo supremo la Chiesa poteva essere compiuta e dedicarsi al Santo cuore nel 31 Maggio di quest'anno Festa del SS. Sacramento, avea supplicato l'lll.mo, e Reverend.mo Monsignore D. Giuseppe Benedetto Dus1net arcivescovo della Diocesi a degnarsi di eseguire egli medesimo la solenne cerimonia. Il Prelato aveva benignamente accolto la preghiera; ma per mottivi (sic), che non occorre dire, non potè nella solennità sudetta lasciare la Sede. li giorno appresso però verso le 2 pomeridiane fu qui, accolto da questo buon popolo con affetto, e con tripudio singolarissimo. Alle 7 .visitò il Sacro Edificio esternando gradimento e compiacenza pienissima e totale. Egli il prelodato Ecc.mo arcivescovo è per tutti i versi benemerentissimo di questa Chiesa, poiché dopo di averle donato, due anni or sono, L. 700, nel presente regalò L. 800 per la costruzione dell'Altare Maggiore, il quale perciò può dirsi costrutto a tutte sue spese, mentre non costò, co1ne appresso in appendice si dirà, che poco più. Ha meritato anche meglio di essa Chiesa col decreto che in tutte le forme canoniche emanò nel dì 28 del mese Maggio, col quale la erige a Chiesa parrocchiale traslatandola dalla Chiesetta di S. Michele, decreto che originalmente si alliga a questa Memoria. La dimane dell'arrivo il prelodato Ecc.mo Arcivescovo con tutta la pompa del sacro rito consacrò le due ca1npane titolando la maggiore a Maria SS. di tutte le grazie, e all'Arcangelo S. Michele la minore. Fecero da padrini, com'è costu1ne, alla prima il Rev. Sac. D. Antonino Schilirò e alla seconda il Sig. D. Pasquale Sgrò, spontaneamente regalando in tale occasione alla Chiesa L. 100 cadauno. Il Prelato infine tenne nobilissimo discorso, spiegando il rito e parafrasando le orazioni della Sacra Liturgia, dopo il quale le campane furono innalzate al posto conveniente, dove quali trombe di Dio, o voci della religione e della Chiesa a gloria di Lui, e a bene spirituale e materiale del Villaggio fanno e faranno udire il loro squillo salutare. Non è a tacere che in questa occasione fu consagrata eziandio la campanetta della chiesuola di S. Giuseppe. Di dette campane, ovvero del curioso ritrovato col quale si potettero prontamente ,., parola indecifrabile.


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ottenere le L. 900 circa necessarie all'acquisto, dico ora una parola: Il giorno di Domenica 15 ottobre dello scorso anno, create tante commissioni di'' quante sono le classi o condizioni degli abitanti, avvertito il pubblico dello incarico dato a dette commissioni, esse furono in giro, ed ottennero in due giorni con lieve esuberanza la somma desiderata. Il mottivo (sic) che persuase tutti a dare prontamente fu la condizione fissata e pubblicata, che per chi avrebbe dato solo due lire, la campana in morte loro suonerebbe gratis. Da ciò l'iscrizione latina che si legge in detta campana: Opera sum pauperum pro eis, dum vivunt, ut bene vivant ''''; dum moriuntur gemens precubor. Perché la promessa sia fedelmente manteputa, si conserva in archivio elenco esatto degli offerenti. Giunse finalmente questo presente giorno da tempo sospirato, tre giugno 1877 Domenica fra l'ottava del SS. Sacramento giorno per me meinorabile e solennissimo, e fra le cose del paese degno di 1nemoria più unica che singolare, nel quale con po1npa che maggiore qui non si poteva fu benedetta la nuova Chiesa Madre dedicandola ai SS. Cuori di Gesù e di Maria. Il prelodato Ecc.mo arcivescovo indossò gli abiti pontificali nella casa dello scrivente assistito ai lati dai Rev. Sacerdoti da Bronte D. Domenico Artale, e D. Gioacchino Zappia, vestito di cotta il rimanente clero, venti circa fra Preti e derici. Così processionalmente si venne alla porta 1naggiore della Chiesa, dove si diè principio alla Sacra Cerimonia che mi astengo a descrivere, bastando solamente il dire, che Essa riuscì in1ponente augusta, e per ogni verso degna di specialissima menzione. Indi da un coro di elette voci, e su *'''' venuti da Adernò si cantò la Santa Messa con assise ponteficale. T aie Messa prima e solenne fu celebrata dal Rev.mo Economo Curato di Bronte D. Antonino Saitta facendo da Diacono e Suddiacono i Sac. Ardizzone pure da Bronte e Portale D. Antonjno, assistendo al soglio i prelodati Artale e Zappia, e da presbitero codesto sac. D. Antonino Schilirò e cerimonieri i Rev.mi Cassinesi venuti coll'Arcivescovo D. Luigi Taddeo della Marra e D. Paolo Proto. Chiuse cotale solennità la processione del SS. portato per le maestre vie dall'Ecc.mo Prelato, il quale oltre l'omelia predicata dopo il Vangelo, anche ritornata in Chiesa la processione, predicò ancora parole di caldissimo affetto, ed a """""'* della Sacra funzione itnpartì al popolo col SS. Sacramento la trina benedizione. Quantunque le cose qui riferite resteranno lungamente impresse nella mente di questi fedeli, e i padri la racconteranno ai figli loro, e questi alla generazione avvenire, tuttavia lo scrivente per ogni buon fine ha creduto conveniente scriverle di propria mano sommariamente a perpetua memoria, e ad majorem Dei glofia1n, a cui ogni onore e lode per tutti i secoli dei secoli. Amen. Sac. Mariano Palermo Curato, Vie. foraneo Appendice

1 - L'altare Maggiore che fu lavorato in Acireale dal maestro Giuseppe Leotta Cardillo ed era al suo posto il dì della benedizione della Chiesa costò in tutto escluso il solo trasporto L. 1290.55 Cioè per detto altare e ossatura del tabernacolo e sua addoratura in legno L. 956.25 per drappo e ricamo in oro wopradetto drappo dentro il tabernacolo L. 93.50 per rete e ricamo in essa nella porta interna di detto tabernacolo L. 50.39

* parola indecifrabile *'~ parola indecifrabile. **'' parola indecifrabile. **"-·* parola indecifrabile.


Una memoria inedita di Mons. Mariano Palermo

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per lastra in ramo (sic) rosso con sua addoratura e argentatura nella porta L. esterna

110

L. 1210.10 L. 80.45

il rimanente per spesa '' e regalo al maestro Soccorsero la superiore spesa l'Ecc.mo Arcivescovo Dusmet in L. 800 La Signora D. Francesca Putrino per tabernacolo L. 382.50 2 - Per detto altare fu lavorata in Catania una bella tovaglia ricamata in oro sopra rete di filo a tutte spese della Signora D. Stella Rapisardi, costò L. 178.50 3 - L'altare che adesso è primo a destra di chi entra dalla porta maggiore, il dì della benedizione era collocalo al posto dell'altare della Madonna. Esso, e questo del SS. Cuore di Maria che è stato piantato in Sett. e corrente 1878 furono lavorati dal marmorajo catanese sig. Giuseppe Biondi pel prezzo entrambi di L. 1000, e per approvazione arcivescovile a carico dell'entrate delle Chiese, colla spesa per calce, gesso, murifabbro che, escluso il trasporto, costano in tutto compreso il vitto pel marmorajo L. 1140 4 - L'altare ch'è prin10 a sinistra di chi entra dalla porta maggiore da dedicare a S. Francesco Saverio fu lavorato dal detto Biondi pel prezzo di L. 500, e collocato nell'ottobre 1877 costa in tutto L. 570 N.B. Esso è stato eretto a spese di una rendita legata a quest'uso dal fu R. Vie. for. D. Francesco Battaglia come può legersi (sic) nel suo testamento agli atti del sig. Not. 0 Ant. 0 Putrino dell'agosto 1865. Detta rendita o la parte di essa che sian si porta nei conti sino a tutto quest'anno 1878. Appendice 5 - L'altare con urna grande dedicato al SS. Cuore di Gesù ed eretto nell'agosto 1877, fu lavorato dal marmorajo catanese Serafino Marino pel prezzo di L. 637.50. Vitto al medesimo nella sua dimora in Maletto L. 25, costò dunque escluse le spese di porto e di erezione L. 662.50 Sopra detto altare è il grande crocefisso lavorato in Acireale da Francesco Foti pel prezzo inclusa la croce di L. 350 N.B. Questa somma nel suo totale di 1012.50 fu erogata sopra i risparmi di parecchi anni dalla cassa detta del SS. Cuore e cioè dalla cassa di ,:.,, 60 che paga ogni anno ciascun socio dell'apostolato della preghiera. App. 6 - Le fonti per acqua santa della porta maggiore furono lavorate in Catania dal marmorajo D. Carlo Calì al prezzo totale di L. 10 ... N.B. Son dono una del Sig. Giuseppe Schilirò di Giuseppe e l'altra del Sig. Antonino Calì di Antonino. Le altre due fonti delle porte n1inori lavorate dai frati Serafino e Isidoro Marino da Catania costarono tutte due L. 68 ... e sono dono una dei frati Francesco Vinci e Carmelo Luca di M. Michele e l'altra in tnettà (sic) di M. Vincenzo Cordaro. App. 7 - Le altre tovaglie per l'altare maggiore e quello di S. Giuseppe son fin oggi a carico e cura delle sorelle Sig.e Giuseppa e Concetta Sciavarrello, e degli altri altari del SS. Cuore di Gesù, e dcl SS. Cuore di Maria, e di S. Francesco Saverio a carico, e cura delle Sig.ne Nunzia Portale e Nunzia Tirendi di Francesco [... ].

'' parola indecifrabile.

''* parola indecifrabile.



CONOSCENZA DI DIO E VITA IN DIO NELLE LETTERE PASTORALI DI MARIO STURZO PASQUALE BUSCEMI"

Introduzione Oggetto della presente ricerca sono le lettere pastorali di mons. Mario Sturzo, vescovo di Piazza Armerina, di cui intendiamo evidenziare la

catechesi ed i contenuti morali. Mons. Mario nacque a Caltagirone il 1° novembre 1861, secondogenito della famiglia Sturzo-Boscarelli dei baroni d'Alto brando, che apparteneva alla piccola nobiltà terriera. In un clima economicamente sicuro e in un ambiente culturalmente raffinato, caratterizzato da interessi storico-letterali e religiosi e aperto ai

problemi della vita politica locale e a quelli del movimento cattolico intransigente, il futuro vescovo di Piazza Armerina ebbe le sue prime salde basi di una educazione religiosa e ivi maturò la sua vocazione al sacerdozio. Dopo essersi laureato in Legge presso l'Università di Roma, a 26 anni, cioè il 21-9-1889, fu ordinato sacerdote. Dapprima fu educatore in seminario e assieme al fratello don Luigi si prodigò per il rinnovamento degli studi teologici e pastorali. Diresse diverse opere sociali e fu redattore e collaboratore di riviste locali. Quando già era conosciuto come vivace sacerdote e fascinoso oratore, nella primavera del 1903 fu eletto vescovo di Piazza Armerina; fu consacrato il 19-7-1903. Nella nuova sede il presule iniziò la sua missione rivolgendo ai sacerdoti l'invito di Leone XIII ad «uscire dalle sagrestie» per raccogliere tutti sotto il segno della croce di Cristo. Si preoccupò di riorganizzare la diocesi siciliana curando innanzitutto la formazione dei suoi diretti collaboratori, i presbiteri. A tal propo*

Docente dì Teologia morale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.


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Pasquale Buscemi

sito fondò il gruppo degli Oblati di Maria, sacerdoti legati al vescovo con il voto di obbedienza. La sua ansia pastorale lo spinse a rivolgersi a tutte le componenti della comunità diocesana per proclamare la Parola del Signore. Mons. Mario non si limitò solamente a prendere consapevolezza della sua missione episcopale, non espresse solo il desiderio di voler e dover essere al servizio della sua diocesi e non ne avvertì solo la responsabilità: a queste considerazioni affiancò un indefesso lavoro pastorale orientato alle componenti ecclesiali nelle loro diverse e molteplici dimensioni. Ebbe grande cura della diocesi, come dimostrano le numerose lettere pastorali; spesso si recò tra la sua gente, visitando le varie realtà diocesane;

tenne quattro sinodi e dedicò un'attenzione particolare alla famiglia, dalla quale doveva partire la rigenerazione della Chiesa e della società, per questo organizzò il bollettino mensile intitolato L'angelo della famiglia. Il rinnovamento ecclesiale, morale, sociale e pedagogico che Mario Sturzo auspicava necessitava di una ricchezza di idee e di una solida preparazione teoretica.

Egli ebbe viva la vocazione agli studi filosofici; sviluppò il suo pensiero teoretico-filosofico in diverse opere fondamentali; collaborò a diverse riviste di filosofia. La sua preoccupazione era quella di introdursi nella scuola come campo di formazione e di rinnovamento della società. In quanto educatore voleva dare luce di verità al pensiero minacciato dalle nuove correnti

filosofiche (neo-idealismo crociano e marxismo) e convinzioni profonde della vita umana. La critica a tutto il pensiero moderno mirava esclusivamente a mettere la cultura al servizio di Dio e della Chiesa. Il presule di Piazza Armerina, desideroso di una nuova armonia tra pensiero tomista e quello moderno, tentò un avvicinamento fra i due diversi indirizzi ed anche una integrazione.

Due punti gli stavano a cuore: l'affermata supremazia del trascendente religioso e la rivendicazione di un ruolo centrale dell'individuo, secondo le istanze della fede cristiana; per il resto era fautore della più ampia e pur serena discussione, alla ricerca della verità. Nel pensiero e negli scritti del vescovo di Piazza Armerina viene continuamente operata una sintesi, ancora oggi di grande attualità, tra filoso-

fia, teologia e mistica. Per tutti questi motivi mons. Mario si distingue da tutti gli altri filo-


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sofi neo-scolastici per un atteggiamento proprio verso la filosofia moderna, di cui intende apprezzare e utilizzare ciò che è sua conquista.

Il sistema filosofico elaborato, da lui stesso denominato "neo sintetismo'', pone qualche problema centrale e prioritario di ogni speculazione quello gnoseologico o del procedimento conoscitivo, problema fondamentale della filosofia e propedeutico di tutti gli altri 1• La S. Sede nel 1931 non approvò questo suo modo di fare filosofia; il vescovo siciliano accolse docilmente il monito pontificio, abbandonando definitamente la sua attività di studioso per dedicarsi unicamente all'attività pastorale e agli scritti di spiritualità. Dopo il 1931 la sua instancabile penna non smise però di lavorare: cominciò ad occuparsi di santità, di mistica, di preghiera, di vita spiritnale e dei problemi annessi, di poesia, fino al giorno della sua morte avvenuta a Piazza Armerina il 12 novembre 1941. A conclusione di queste sommarie note biografiche sul presule siciliano possiamo affermare che Mario Sturzo resta un vero educatore e padre nella fede, perché ha saputo unire e collegare le conquiste del pensiero con quelle della fede. In questa particolare prospettiva le lettere pastorali sono concepite dal vescovo come un invito pressante ed accorato alla santità, a ritornare a

Cristo e mettersi al suo seguito, a ricercare Dio non solamente per il puro ragionamento, ma per la via dell'interiorità, del vivere bene, dell'ordine morale della vita che dà alla mente la rettitudine del ragionamento, ad aspirare alla comunione piena con lui, attraverso la preghiera, i sacramenti, le opere di bene 2 • Per mons. Mario tutti possiamo salvarci, perché la via della santità è aperta 'l tutti e salvarsi è il primo dovere che dà senso agli altri doveri. Vivere in Dio, credere in lui fortemente, amandolo senza riserve: ecco il se-

greto della vita cristiana che conduce a lui 3 . Dalle pastorali emerge pure l'invito a vivere la propria vita pienamente inseriti nella Chiesa, fuori della quale non si dà vita cristiana. Siffatta proposta di vita, come anche le argomentazioni dallo stesso proposte, sono sempre confortate da una abbondantissima esemplificazione e documentazione che va dall'agiografia più moderna ai classici 1

Cfr. S. LATORA, il Neo sintetismo di Mario Sturzo, in Il Contributo X-4 (1986) 69-74. Cfr. M. STURZO, La santità nell'itinerario dell'anima in Dio, Prefazione, Scuola Tipografica S. Giuseppe, Asti 1935, XXI. 2

3

Cfr. ibid., 110-111.


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della vita cristiana; non mancano riferimenti a studi seri di psicologia e sociologia contemporanei. Sull'esempio della tradizione apostolica, il vescovo siciliano considera le lettere pastorali come un mezzo essenziale della sua attività pastorale per la realizzazione del ministero di maestro nella fede per la diocesi tutta, per cui fin dal momento della sua elezione episcopale scrive per la sua Chiesa epistole, dove si nota con evidenza l'ansia dell'amore pastorale che non gli dà requie un istante. Alla fine della nostra indagine, dopo aver affrontato diverse difficoltà, siamo riusciti a raccogliere ed esaminare solamente 29 lettere pastorali. La produzione letteraria di Mario Sturzo, se però varia, tuttavia non è stata raccolta e custodita da nessuno, per cui è stata difficoltosa la ricerca e purtroppo la presentazione delle pastorali non può vantare la pretesa di completezza che avrebbe voluto avere. L'amore e la fedeltà alla mia Chiesa locale ed alla sua ricca storia, impreziosita da personalità di grande levatura culturale, teologica e sociale, ci hanno condotti a questa ricerca, coinvolgendoci personalmente nell'indagine e permettendoci di apprezzare e valorizzare quanto lo Spirito ha operato in essa. L'interesse per gli scritti di Mario Sturzo è andato maturando nel corso degli studi sia perché nell'ambiente in cui siamo vissuti è ancora vivo il ricordo di questo vescovo, ritenuto grande e di santa vita, sia perché per noi è stata altresì determinante la conoscenza di alcuni suoi discepoli, che ci hanno offerto l'occasione di conoscere approfonditamente il pensiero del loro maestro fino a farcene innamorare. In effetti le opere di mons. Mario Sturzo ci sono sembrate un autentico tesoro nascosto da scoprire, studiare accuratamente e far conoscere, perché contengono una grande ricchezza culturale e teologica, che sarebbe un grosso errore lasciare ancora nel silenzio.

A nostro parere, nessuno studioso può sottovalutare la figura di questo vescovo che per doti e carattere sovrasta di gran lunga i suoi conten1-

poranei, segnando la storia ecclesiale e socio-culturale della prima metà di questo secolo.

Il taglio della presente ricerca è coerente con il nostro obiettivo che consiste nel sottolineare alcuni aspetti morali presenti nelle lettere pastorali. Nella necessità di operare delle scelte precise, siamo consapevoli che altri temi e argomenti sono rimasti esclusi dalla linea metodologica adottata, l'un.ica, comunque, in grado di offrire al nostro lavoro la necessaria organicità.


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Dall'indagine condotta possiamo affermare che il nostro lavoro, al riguardo, gode di essere il primo su questo argomento specifico, in quanto finora diversi hanno studiato la filosofia di mons. Mario, ma nessuno ha esaminato specificamente il suo pensiero teologico e morale, come anche le sue opere pastorali, per cui il presente lavoro vuole essere un contributo in tal senso, un contributo forse modesto, ma certamente utile, perché sana una lacuna non più ammissibile. Conseguentemente nel nostro lavoro non possiamo avvalerci di altre fonti o studi in materia, se non degli scritti dello stesso autore, per cui molte volte abbiamo preferito far parlare il nostro vescovo citandolo abbondantemente. Oltre alla scarsezza di bibliografia in materia, questo studio non si presenta completo, come già abbiamo· avuto modo di affermare e conseguentemente non può avere la pretesa dell'esaustività. Queste obiezioni, tuttavia non ci hanno scoraggiato e disarmato di fronte all'idea di cimentarci sul problema in questione, per cui viene aperta la strada ad una ricerca e ad uno studio ulteriori nella vasta problematica del pensiero sturziano. Siamo grati ai proff. L. Vereecke e M. Nalepa dell'Accademia Alfonsiana, che hanno accettato di guidare pazientemente e diligentemente il nostro lavoro e che, con osservazioni, consigli e grande disponibilità hanno seguito l'evolversi della ricerca. È doveroso ringraziare quanti ci hanno offerto il loro contributo nel reperimento delle fonti e nella stesura dell'elaborato. Così pure siamo grati al nostro vescovo, che ha permesso di condurre questa ricerca tanto utile, interessante e preziosa per noi come, ci auguriamo, possa esserlo per la comunità diocesana tutta.

I. LA CONOSCENZA DI DIO

1. La vera conoscenza di Dio Il tema che tratteremo in questo capitolo è una delle costanti nel pensiero di mons. Sturzo, in quanto filosofo, ma anche teologo. L'uomo poiché è dotato di intelligenza e di volontà, è la creatura più nobile tra tutte le altre, ma ha in sé un desiderio inestinguibile e irresistibile di conoscere, che è paragonabile alla sete che lo stesso continuamente prova dopo essersi dissetato. Desiderio di conoscere se stesso, scoprire il fine della sua vita, il suo principio, il senso del suo esistere nella quotidianità, con i


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suoi aspetti positivi, ma anche con i lati negativi, quali la sofferenza, il dolore, la morte. L'uomo nasce filosofo, è filosofo per natura e come tale è alla ricerca perenne di sé e principalmente di ciò che spiega la sua esistenza: Dio, sommo e vero bene 4 ; «[ ... ] la sua filosofia è la prima esigenza del suo essere, [... ] che lo spinge a rendersi conto dell'origine delle cose» 5• Il problema gnoseologico è essenziale ai fini dell'impostazione del problema della vita; la conoscenza di Dio è un problema singolare, nel senso che supera di gran lunga le capacità intellettive e intuitive della conoscenza dell'uomo; tuttavia Dio non è del tutto trascendente, perché non sorpassa la nostra capacità raziocinante; infatti se così non fosse, l'uomo non potrebbe dire nulla di Dio, né potrebbe conoscerlo, tuttavia egli arriva alla conoscenza di Dio. «La cognizione per fede non è un atto estraneo e contrario alla ragione. Se fosse estraneo non sarebbe cognizione; se fosse contrario sarebbe irrazionalità» 6 . Mons. Sturzo approfondisce molto il rapporto fede e conoscenza umana; la prima i1nplica sempre una sproporzione tra il sapere di chi rivela e la capacità conoscitiva di colui a cui la rivelazione è diretta. Per il vescovo di Piazza Armerina si tratta di una sproporzione non di quantità, ma di qualità, di natura. La fede riguarda verità che l'uomo non può in nessun modo conoscere per via di percezione o di ragionamento. È anche vero che la rivelazione contiene verità di ordine razionale o morale, di cui l'uomo ha contemporaneamente scienza e fede: tuttavia la fede vi reca un elemento nuovo, superiore e trascendente di cui la ragione è priva: la certezza assoluta che deriva non dalla ragione, ma da Dio che è l'assoluto 7 • Mons. Federico, riassumendo il pensiero sturziano su questo argomento, presente in diverse lettere, di cui una sintesi completa è nella pastorale La vita in Dio 8, afferma che per Sturzo Dio si conosce per una singolarissima opposizione di termini e di rapporti che non riguarda che Dio. Una delle prime idee derivate per cui si inizia il processo della conoscenza di Dio è l'idea di proporzione, associata a quelle di principio e di 4

lbid., 65-66. lbid., 21. 6 lbid., 17. 7 Cfr. ibid., 14-15. 8 Cfr. ID., La vita in Dio, a cura del prof sac. S. Muscia, L.E.R., Napoli - Roma 1982, 5

61-62.


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conoscenza: ogni cosa che esiste ha un suo principio proporzionato; ogni effetto, e più in generale ogni fatto, ha una conoscenza proporzionata. Quando l'uomo arriva per via di riflessione all'idea di proporzione, vengono fuori anche l'idea di non principio e di assolutezza. Le idee di non principio, assolutezza, attualità, semplicità, domandano le idee di eternità, onnipotenza, onnipresenza, infinitezza, intelligenza, individualità e unicità 9 • La singolarità del processo della conoscenza di Dio risiede tutta nell'opposizione tra contingente e assoluto; conosciuta la contingenza del mondo, è conosciuta la sua relatività; questa conoscenza presuppone l'assoluto, cioè Dio. L'idea di contingenza è legata a quella di assoluto, l'idea di principio a quella di non principio, l'idea di tempo all'idea di eternità e l'idea di processo a quella di attualità pura. Questi non sono legami di pensiero in quanto puramente logico, ma di conoscenze reali per la logicità del pen· siero 10 • Dio non si conosce solamente per via razionale; Io studio è una delle vie privilegiate per cercare e trovare la verità, ma non la sola; un'altra via che è altrettanto privilegiata per arrivare a Dio consiste nel viaggio del nostro essere interiore. Così mons. Sturzo scrive ai suoi diocesani: «Lo studio che io indico come necessario e agevole a tutti è quello del catechismo e della storia sacra. Ogni altro studio trae la sua importanza dalle condizioni individuali dello spirito e dalle speciali circostanze della storia[ ... ]. Tutti hanno bisogno sempre della via interiore[ ... ] chi studia bene l'itinerario di questo tipico viaggio, crederà ad ogni passo di scoprire un nuovo mondo, avrà le più gradevoli sorprese e, soprattutto, si convincerà che è negligenza imperdonabile non mettersi con tutta l'anima a studiare cosa tanto bella e interessante [... ) e necessaria» 11 • Evidentemente non svalorizza né condanna lo studio, che resta sempre una possibilità di pervenire alla verità, n1a non è la vera via, che invece rimane la via interiore, accessibile a tutti. 9 Cfr. G. FEDERJCO, Il vescovo Sturzo, Tipografia del Centro Professionale Don Bosco, Caltanissetta 1960, 37-38. L'autore in questo opuscoletto biografico su mons. Sturzo offre una sintesi del pensiero del suo maestro; in esso dedica un lungo paragrafo all'argomento che è oggetto del nostro capitolo. IO Cfr. ibid., 39-42. 11 M. STURZO, La santitJ nell'itinerario dell'anima in Dio, Prefazione, cit., XIV-XV.


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Quest'ultima occasione, è presentata dal vescovo di Piazza Armerina, come cosa utile e necessaria. «Sicché per pervenire alla cognizione chiara

e all'amore determinato di Dio, non occorre, come vorrebbero certi filosofi, fare il viaggio dell'altro mondo [... ] solamente occorre fare il viaggio del nostro essere interiore [... ]>P. Abbiamo già avuto modo di constatare che la conversione conduce il singolo a rientrare in se stesso, a incontrarsi con sé e con Dio, il quale risiede nelle nostre più intime profondità. La conoscenza è un elemento fondamentale dell'identità umana; si direbbe che l'uomo sia nato, più per imparare che per scoprire o creare. Conoscere non è ricevere la conoscenza come cosa bella e fatta, che entra dall'esterno, ma è produrla 13 • Conoscere è un'attività faticosa per l'uomo, simile al viaggio che intraprende per spostarsi da un luogo all'altro; inoltre è un cammino lento e progressivo, che passa da verità a verità fino a pervenire alla conoscenza

piena della verità: Dio. Per mons. Sturzo in questo cammino verso la comprensione della ve-

rità è necessario badare alla propria moralità; infatti «[ ... ] l'uomo che cerca la verità, si mette in condizione di non poter determinare il corso del suo pensiero, e d'essere dominato dal medesimo[ ... ]. L'ordine morale della vita che pienamente non si attua che nella interiorità della medesima, dà alla mente la rettitudine del ragionamento non solo circa le verità razionali, ma anche circa le verità rivelate; l'ordine morale della vita dunque mena alla fede»H Q!iindi una vita moralmente retta conduce l'uomo, itinerante e ricercatore, alla comprensione vera di Dio, della realtà umana e di ogni altra verità. Il vescovo di Piazza Armerina studia e offre ai suoi fedeli le diverse possibilità per giungere alla conoscenza di Dio. C'è un tipo di conoscenza che il soggetto riceve quando osserva attentamente la realtà creata. L'uomo nasce in un contesto sociale e familiare ben preciso; qui spesse volte, quasi ingenuamente e inconsapevolmente, riceve una conoscenza di Dio che dev'essere approfondita e maturata; anche la sua vita razionale e investigativa è una possibilità offerta all'uomo per conoscere Dio. 12

Ibid., XVI. 13 Cfr. Io., La vita in Dio, cit., 66-67. 14 Io., La santitd nell'itinerario dell'anima in Dio, Prefazione, cit., XIX-XXI.


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Altre vie percorribili dall'essere umano per pervenire ad una conoscenza di Dio sono date dalla filosofia e dalla fede, che è conoscenza fondata sull'autorità di lui che si rivela ed anche quando si manifesta all'anima. Conosciuto Dio, il resto va da sé, perché ciò corrisponde a conoscere noi stessi, la nostra origine da lui, il nostro fine in lui. Conoscere Dio corrisponde a conoscere l'uomo come viaggiatore, diretto verso l'eternità 15 • 2. La conoscenza di Dio per via della creazione

Per mons. Mario la conoscenza del mondo precede quella di Dio, perché Dio non l'ha visto mai nessuno, né è possibile vederlo nelle condizioni della vita presente, ma si perviene alla sua conoscenza per mezzo del ragionamento, come già abbiamo avuto modo di affermare. Egli così afferma: «Prima conosciamo il mondo, perché [... ] si vede con gli occhi, si percepisce con tutti gli altri sensi. E siccome presto ci accorgiamo che il mondo è relativo; così per virtù ragionante,[ ... ] presto conosciamo che esiste l'assoluto[ ... ] cioè gli uomini conoscono Dio, perché [... ] si fece manifesto [... ] per mezzo delle cose create, le quali [... ] ben comprese, ci fanno in certo modo vedere le cose invisibili, la sempiterna virtù di Dio e la stessa divinità» 16 • Usando queste espressioni, fa riferimento esplicito a S. Paolo che parlando dell'azione creatrice di Dio afferma che è una sua prima rivelazione all'umanità, per cui gli uomini potevano riconoscere e contemplare le perfezioni divine invisibili attraverso le sue opere e così poter dare gloria a

Dio 17 • 15 Cfr. ibid, IX. Appartengono a questa pastorale le definizioni originali che 1nons. Sturzo dà riguardo all'uoino; lo definisce come un «essere itinerante», tutto proteso verso la piena realizzazione di sé, verso l'eternità, caratterizzato da questa forte tensione finalistico-processuale che troverà il compiinento nella dimensione escatologica. Nel corso di questa lettera offre un itinerario per raggiungere la meta del pellegrinaggio u1nano: è la santità come cammino per arrivare a J?io. In questo itinerario si trova ciò che l'uomo desidera e giudica irrangiungibile, cioè la possibilità di avere di Dio una conoscenza che sia immediata, speri1nentale, simile a quella che lo stesso ha delle cose create e anche superiore per immediatezza e certezza. 16 Io., La vita in Dio, cit., 32-33. 17 Rm 1,20;22: «Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto ne!le opere da Lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili».


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Appena l'uomo arriva alla conoscenza di Dio, ritornando col pensiero alle cose visibili di questo mondo, non certo facilmente, ma dopo attenta riflessione, scopre che il mondo non ha potuto avere altra origine che per via di creazione.

Egli perviene al concetto di creazione con molte difficoltà; per cui si rende necessario precisarlo e soprattutto superare la nozione volgare di causalità.

Nel mondo, infatti, non ci sono solamente cause che producono effetti analoghi alla loro stessa natura, ma ci sono altre attività che possono, in senso volgare, chiamarsi cause, ma che agiscono in modo più alto e di-

verso; un esempio a tale proposito ci è dato dall'uomo che inventa la macchina, questi è causa della macchina, ma la natura della macchina è diversa da quella dell'uomo 18 ; «[ ... ] nelle cose che l'uomo crea col suo pensiero, non c'è veramente il pensiero, ma c'è come la sua orma [... ] il suo vestigio, che non si scopre coi sensi, ma con lo stesso pensiero» 19 .

Il pensiero dell'uomo è un miracolo di natura, come la chiave che schiude i segreti della stessa natura, che investe di sé tutte le cose che l'uomo intuisce ed arriva alla scoperta di ciò che sfugge ai sensi. Il pensiero, però, per scoprire, creare ed agire ha bisogno di una realtà esistente perché ad esso manca la potenza di produrre dal nulla le cose che crea e solamente allora l'uomo sarebbe creatore in senso vero e proprio, se potesse produrre i suoi lavori con un semplice cenno del suo pensiero. Diversamente, di Dio possiamo affermare che non crea il mondo né da una materia preesistente né per emanazione del proprio essere: cioè

Dio non è una causa simile alle altre che agiscono nel mondo. «Se di causa si vuole parlare, trattando di Dio occorre concepire la causalità divina in modo molto più elevato e molto più spirituale,,' 0 • Quando Dio ha voluto creare il mondo, al di fuori di egli non esisteva nulla; la sua parola fu il cenno del suo pensiero; infatti Dio non pensa come fa l'uomo, perché quest'ultimo per pensare ha bisogno che qualcosa esista. «[ ... ] e fa pensiero dopo pensiero, perché non è eterno, ma temporale, non simultaneo, ma successivo» 21 . L'uomo crea perché pensa, ma non manipolando il suo pensiero e

mettendolo tale e quale nelle cose. Il suo pensiero, come atto del suo spi18 19

Cfr. M. STURZO, La vùa in Dio, cit., 33-35. Ibid., 37.

20

L.c.

21 lbid., 38.


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rito, è inseparabile da esso ed è incomunicabile, perché crea le cose, restando pensiero dell'uomo, non trasmissibile, ponendo nelle cose solamente la sua orma, perché se fosse comunicabile, l'uomo non creerebbe poemi o macchine, ma genererebbe un altro se stesso 22 .

Dio crea nel senso più proprio della parola, producendo le cose non da una materia preesistente, non dal proprio essere, ma dal nulla; egli crea per un atto del suo pensiero. La creazione dal nulla è una conoscenza assolutamente certa, perché è certo che il mondo esiste e che non è un Dio e che esistendo il mondo relativo, esiste Dio assoluto; ed è pure certo che il mondo non potendo nascere dal nulla senza l'intervento di Dio, fu creato dallo stesso Dio e dal nulla. Creare dal nulla è un atto di onnipotenza e quindi è proprio di Dio. «Per pensare che facciamo non arriviamo a comprenderlo, però compren-

diamo benissimo che è un atto di onnipotenza, giacché solo Colui che tutto può, potè fare ciò che, superando tutte le potenze limitate, rivela una potenza illimitata» 23 ,

La conoscenza della contingenza del mondo ci ha condotti a quella di Dio come assoluto, eterno e avente tutte le perfezioni. La via per arrivare alla conoscenza del!' esistenza di Dio, della sua assolutezza, infinitezza, eternità, onnipotenza da cui si desume pure la sua pura attualità è

proprio questa. A questo punto possiamo dire che la lettura fenomenologica della realtà è una via privilegiata per arrivare a Dio quale creatore e signore di tutto il creato. Mons. Sturzo si sofferma a parlare molto del concetto di contingente, come chiave di lettura per pervenire alla conoscenza di Dio per via filosofica. La contingenza del mondo ci conduce alla conoscenza di Dio come assoluto; essa indica pure principio; prima che il mondo fosse creato non

c'era; per cui la temporalità del mondo ci porta alla conoscenza dell'eternità di Dio. «Affermare l'eternità di Dio, è affermare che Dio non deriva da altro essere;[ ... ], che[ ... ] ha in se stesso la ragione del suo essere[ ... ], ha tutte le perfezioni[ ... ]. Con ciò abbiamo affermato che Dio è onnipotente, perché se non fosse tale, gli mancherebbe una perfezione, e non sarebbe 22 Cfr. ibid., 38-39. 23 Ib1d., 39.


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Dio» 24 • Il concetto di contingenza del mondo e la sua conoscenza sono utili anche per arrivare a quello di creazione dal nulla, in quanto, prima che il mondo esistesse c'era solamente Dio, il quale per la costruzione del mondo non aveva a sua disposizione nessun altro elemento, per cui fu creato dal nulla". Nelle creazioni dell'uomo, diverse da quelle di Dio, troviamo viva l'orma del suo pensiero, tanto da giudicare con certezza che esse non nacquero da cause analoghe alle medesime, ma per l'attività del pensiero umano. Analogamente considerando le cose create, benché in esse non scopriamo alcun elemento che sia divinità, vi possiamo trovare l'orma della divinità, tanto che ciò ha fatto dire ai filosofi che nel mondo troviamo la somiglianza, scopriamo l'esistenza e la natura di Dio 26 • Se questo lo possiamo affermare di tutta la creazione, a maggior ragione Io possiamo applicare per una creatura, che è la più nobile di tutto il creato: l'uomo; dalla rivelazione sappiamo che questi fu fatto ad immagine di Dio, per cui almeno l'uomo deve avere una qualche somiglianza con Dio. «I Padri[ ... ] dicono che si tratta di somiglianza morale, nel senso che l'uomo non è come tutti gli altri esseri che o non sentono o, sentendo, non pensano, ma è pensante e volente, cioè conoscente, e quindi in certo modo, benclié infinitamente diverso, paragonabile a Dio» 27 • Tuttavia, nel mondo conosciamo !'infinitamente diverso da Dio e in esso soltanto vi scorgiamo quasi l'orma del suo pensiero; così come scopriamo l'orma del pensiero umano nelle sue creazioni. Tra le due letture possibili che possiamo fare c'è una notevole differenza: le creazioni dell'uomo ci rivelano il loro autore quasi in modo immediato perché conosciamo l'uomo; la creazione di Dio non ci fa conoscere il suo autore con la stessa immediatezza, perché non conosciamo a priori Dio. Per cui coloro che affermano di arrivare a Dio per via della somiglianza delle cose create da Ini, non dicono una cosa vera, perché tra il mondo e Dio la differenza è infìnita 28 . Per giungere alla conoscenza dell'infinito occorre prendere le mosse dalla considerazione della contingenza e relatività del mondo, che impone il concetto di principio, come anche dalla lettura attenta della realtà 24 lbid., 40.

L.c. Cfr. ibid., 41-42. 27 Ibid., 43-44. 28 Cfr. ibid., 44 2s 26


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creata29 • Conosciamo Dio e ne parliamo, tuttavia tale conoscenza è incommensurabilmente lontana dalla sua realtà infinita. Più di Dio pensiamo, più scopriamo che è infinitamente diverso da come lo pensiamo, più ci sentiamo smarriti nella sua ìnfinita grandezza e nella sue perfezioni, più cresce l'ammirazione e il bisogno di avere di lui migliore conoscenza. Possiamo affermare che la conoscenza di Dio attraverso la lettura del suo operato nel creato, è una via che conduce l'uomo alla conoscenza del mistero, ma siamo di fronte sempre ad una conoscenza inadeguata dello stesso Dio 30 • NelPuomo c'è un processo tendenziale-finalistico, che è naturale, tutto proteso alla conoscenza di Dio, scaturisce dalla sua stessa realtà, poiché egli è dotato di intelligenza e quindi capace di conoscere la realtà creata che lo circonda; si rende conto che le cose cominciano e finiscono, nascono e muoiono. Egli, riflettendo e pensando, si accorge che il mondo è immensamente grande, bello; si rende subito conto che si trova davanti ad un sistema perfettamente armonico ed ordinato. Questo approccio diretto, a carattere esperienzale, con la realtà genera un tipo di conoscenza che è inconfutabile ed anche evidente, desta nello stesso uomo sentimenti di atnmirazione, stupore, meraviglia. Accanto a queste sensazioni, nell'uomo sorgono in modo sempre naturale e spontaneo, interrogativi profondi, fondamentali, inquietanti, perché esigono una risposta e mettono in movimento la sua capacità raziocinante. Tutto questo dinamismo interiore conduce l'uomo a ricercare l'autore delle meraviglie del creato, poiché non possono essere frutto del caso; se altri non lo possono aiutare in questa ricerca, egli stesso deduce che la creazione è opera di un essere molto più perfetto, molto più bello, molto più sapiente e potente degli uomini ritenuti sapientissimi e potentissimi31. L'uomo è così portato a fare tutto un ragionamento induttivo: dallo studio e dall'analisi del dato creaturale perviene al suo autore e può anche 29

Cfr. ibid., 45. JO Cfr. ibid., 45-46. La conoscenza che l'uomo può avere di Dio, qualunque sia il metodo seguito, sarà sempre inadeguata, perché Dio è il totalmente altro e il suo mistero è infinitame11te profondo e grande, per cui l'uon10 con le sole sue capacità non sarà n1ai in grado di comprenderlo; per arrivare a una conoscenza adeguata di Dio, egli dovrebbe avere le stesse qualità divine, ciò è assurdo e impossibile. La conoscenza piena di Dio l'uomo la possiederà nella dimensione escatologica della vita. Il vescovo di Piazza Annerina parla spesso della vita di beatitudine che si avrà in cielo. 31 Cfr. ibid., 23-25.


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affermare che questi gli deve essere certamente superiore, in quanto si ac-

corge che egli non può tutto, anzi tutto nel mondo lo limita; si rende conto che non tutti gli uomini sono giusti; scopre la presenza delle malattie come fattore limitativo delle sue attività e, finalmente, si accorge che la morte in lui annulla ogni cosa, compreso il suo essere 32 . L'uomo è come se salisse, per queste ed altre ragioni, di pensiero in pensiero, fino a quello ultimo di un essere il quale, come ha fatto il mondo e se ne prende cura, così si preoccupa ed ha pietà di chi è debole, infermo, angariato, perseguitato, oppresso. Alla luce di queste considerazioni nasce spontanea la preghiera di lode, quella invocatrice e propiziatrice. Per questa via e per altre simili l'uomo perviene alla prima conoscenza di Dio, la quale «[ ... ] se ha un immenso valore, perché risolve il primo e più interessante dei problemi della vita, non è ancora la cognizione chiara e distinta, ma semplicemente un abbozzo, va soggetta a molte deformazioni, come avvenne nell'antichità, prima che Gesù Cristo recasse la luce della Rivelazione, la peggiore delle quali deformazioni fu l'ammettere molti dei [... ]»33 • Questo tipo di conoscenza non è impossibile all'uomo, al quale non gli si chiede di scavalcare la realtà presente, per inoltrarsi in un'altra di gran lunga superiore alla precedente; è sufficiente che rientri in se stesso. «Questa è[ ... ] la via dell'intelletto[ ... ] la più agevole [... ] la più universale. Non è però la sola perché i nostri rapporti con Dio non sono[ ... ] di pura logica mentale, ma sono rapporti più complessi, più pieni, più essenziali[ ... ]. Tutta la natura ci parla di Dio[ ... ] con un linguaggio così caratteristico che è impossibile non intenderlo, è solo possibile fraintenderlo[ ... ]. Il Dio che si scopre badando solo al linguaggio della natura, è un Dio esteriore, o al più[ ... ] che tocca l'interno dell'uomo solo come cosa da temere e da propiziare a fini egoistici. Questo fraintendimento si evita solo quando col linguaggio della natura si bada al linguaggio del nostro essere più profondo, alle parole che scaturiscono dalle profondità più riposte dell'anima»H

3. La conoscenza di Dio ricevuta dall'ambiente e dalla natura umana Abbiamo visto la conoscenza di Dio per via di creazione; conti32 33 34

Cfr. ibid., 24-25. Ibid., 25. Io., La sanlitd nell'itinerario dell'anima in Dio, cit., 26-27.


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nuiamo a presentare altre possibili opportunità offerte all'uomo per conoscere Dio; a questo punto è necessario

tare diverse distinzioni; noi ab-

biamo una conoscenza di Dio che l'individuo riceve dallo stesso ambiente in cui è inserito. Nelle famiglie cristiane la prima conoscenza di Dio viene suggerita dagli stessi parenti quando per esempio, al bambino che comincia a mostrare di comprendere, si fanno giungere le manine, piegare le ginocchia e gli si mormora dolcemente il nome di Dio. Il bambino riceve tante espressioni come cose vive di tutta l'esperienza di fede e di amore che scorge nella persona dei genitori; egli avverte l'influsso benefico di queste parole per la fede che ha ricevuto con il Battesimo. Sente tutto questo che quasi corrisponde a una generazione a nuova vita 35 . «L'educazione dei primi anni, sia fisica, sia morale e religiosa, è come una seconda generazione

[... ] tutta l'azione dell'ambiente fisico e morale determina nel bambino tali acquisizioni e sistemazioni di corpo e di spirito [... ]» 36 le quali, anche se l'ambiente muta o se gli anni passano non cambieranno più o mute-

ranno soltanto in modo superficiale. «Si suol dire che i genitori trasmettono col sangue anche le loro tendenze morali ordinate o anche disordinate [... ] le trasmettono col fatto della convivenza familiare[ ... ] o se vogliamo parlare in modo più preciso, con le parole della vita [ ... ]» 37 • La natura umana è dotata di una tendenzialità finalistica. Mons. Mario afferma che ciò che è naturale nell'uomo è la tendenza ad amare il bene. Ora un legame che è in lui naturale e primario è quello che l'unisce ai genitori; infatti«[ ... ] il bambino che apre gli occhi alla luce di questa vita, nascendo sente, prima ancor che si desti la ragione, questa tendenza e

questo legame[ ... ]. Di Dio bisogna parlare ai bambini sin dai loro primissimi giorni[ ... ]. Appena la loro sensibilità si eleverà di tono e lascerà scendere nel cuore qualche lampo di intelligenza, le prime nozioni di Dio si imprimeranno nello stesso cuore con tanta soavità e forza [... }» 38 . 35 Cfr. ID., La vita in Dio, cìt., 21-23. Mons. Sturzo parla abbondantemente, in quasi tutte le sue pastorali, dell'educazione religiosa e 1norale dei fanciulli da parte dei parenti; questo teina è dominante in ID., L'educazione nelle sue ragioni suprenie, Tipografia Editrice Piemontese, Torino 1938; Io., La 1naternitfl apostolato, in Io., Per la vita interiore, Marietti, Torino - Roma 1940, 21-47; Io., La vocazione, in Io., Alla scuola di Cesil, Tipografia Editrice Pie1nontese, Torino 1941, 231-317. 36 Jbid., 22. 37 Io., La vocazione, cit., 298. 38 lbid., 297.


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Il bambino fin dalla sua nascita, quando ancora con la sua mente non è capace di pensare a realtà così alte e spirituali, sente parlare di Dio e ha una prima conoscenza del mistero divino, che gli viene trasmessa dalle parole, ma principalmente dall'esempio e dalla vita dei genitori e quindi dall'ambiente familiare, come anche dalla società, dato che ogni individuo nasce, cresce ed è inserito in un contesto sociale. Accanto a questa conoscenza iniziale di Dio che si riceve, quasi inconsapevolmente, ma sempre in modo determinato, dall'ambiente familiare e dalla società, abbiamo un'altra maniera di conoscere Dio: la conoscenza naturale che è la base per la fede nello stesso Dio, dato che la fede è atto di ragione, anche quando il suo contenuto è il mistero. Ammettiamo il caso in cui il bambino nasce e cresce in un ambiente familiare e sociale completamente indifferente al fenomeno religioso e quindi non riceve nessuna istruzione sul mistero di Dio. La prima conoscenza di Dio viene acquistata per lavorio della ragione, per una legge del pensiero che è fondamentale. Questo modo di conoscere Dio è un procedimento naturale e spontaneo nell'uo1no 39 . Per mons. Sturzo se l'uomo può per qualche tempo ignorare Dio, non può ignorare che è una coscienza che giudica del bene e del male delle proprie e altrui azioni. I primi contatti con la propria coscienza corrispondono ai primi rapporti con Dio, perché questa abita in essa e parla per suo mezzo tanto che le voci più profonde della medesima sono la stessa voce di Dio che si rivela. L'uomo non può rimanere tutta la vita nell'ignoranza di Dio, perché non può rimanere estraneo alla sua coscienza o indifferente quando in lui si desta l'ansia della prima origine delle cose e di se stesso, del suo fine; in quest'ansia è la prima rivelazione che Dio fa di sé all'uomo. Ascoltare queste prime esigenze personali, interiori, corrisponde a fare attenzione ai primi elementi e ai presupposti che conducono l'uomo ad avere una comprensione possibile di Dio. Interrogarsi sui fini e sulla realtà dell'uomo, come anche ascoltare la voce della coscienza, sono aspetti che mettono in movimento il soggetto e lo avviano alla conoscenza di Dio 40 • Dio ha creato l'uomo e ha posto in armonia le sue facoltà, tanto da rendergli agevole il conseguimento dell'ultimo fine che è la salvezza; ciò significa che ha messo la via che porta alla conoscenza di Dio non fuori, 39

Cfr. Io., La vita in Dio, cit., 23. ID., La santùJ nell'itinerario dell'anilna in Dio, Prefazione, cit., X-Xl.

° Cfr.

4


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ma nello stesso uomo. Gli rese possibile una conoscenza della somma verità così chiara e certa da non fare desiderare maggiore certezza; soltanto

volle che questa certezza crescesse con la corrispondenza dell'uomo e che la conseguisse non come diritto o merito, ma co1ne il maggior dono di Dio. Nello spirito dell'uomo, che è l'interno del suo essere, ci sono glielementi di natura e Dio vi pone quelli di grazia, per mezzo dei quali in lui si attua un processo che è uno svolgimento, un cammino della mente, una elevazione del cuore che conduce alla conoscenza di Dio, a quella di sé e al raggiungimento della pienezza di vita, alla salvezza41 • Questo processo corrisponde a quanto mons. Sturzo definisce «itinerario», «viaggio», poiché è un passaggio da verità a verità, fino ad una conoscenza della verità che faccia paga pienamente la mente e renda pienamente operosa nel bene la volontà; in questo viaggio la guida è tenuta da Dio. Egli afferma chiaramente non solo la presenza di Dio in questo cammino, ma anche la sua azione determinante: «Subito aggiungo a conforto di tntti, [... ] che in questo singolare viaggio noi non siamo soli, perché con noi c'è lo stesso Dio che ci guida e sorregge e non ci abbandona mai, e ci incita sempre ad andare avanti, e quando noi stolta1nente prendiamo la via del male, tra gli altri mezzi, si serve del rimorso della nostra coscienza per richiamarci sulla via del bene» 42 • Il vivere secondo i dettami della coscienza, corrisponde al viaggio di cui parla il vescovo di Piazza Armerina, ed è anche il primo passo, che provoca tutti gli altri, verso la conoscenza di Dio. «Fatto però questoprimo passo, gli altri vengono come conseguenza logica[ ... ] come esigenza dello stesso essere, perché l'uomo è fatto per Dio, tende a Dio, non può avere pace e felicità che in Dio» 43 . Per pervenire alla conoscenza chiara di Dio e per fare esperienza della sua realtà, diventa condizione indispensabile intraprendere il viaggio del nostro essere interiore; dobbiamo precisare un concetto fonda1nentale in qnesto discorso: la conoscenza di Dio è possibile perché Dio ce ne rende partecipi e perché egli è in noi; se non fosse nella nostra mente e nel nostro cuore, ogni speranza di conoscerlo e di amarlo sarebbe vana 44 . «[ ... ]. Noi non conosceremmo Dio, se non l'avessimo conosciuto 41 42 43

44

Cfr. ibid., XII-XIV. !bid., XIV. !bid., XII. Cfr. ibid., XV.


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prima di conoscerlo, non l'ameremmo, se non l'avessimo amato prima di amarlo. Noi, dicono gli scolastici, conosciamo Dio conoscendo la verità,

amiamo Dio amando il bene, perché Dio è la prima verità e il primo bene; solo è da aggiungere [... ] che questa prima cognizione è oscura, questo primo amore indeterminato: Sicché [... ] occorre fare il viaggio del mondo del nostro essere interiore [... )» 45 • Il procedimento di cui stiamo parlando, definito da mons. Sturzo «itinerario verso Dio», non sempre sortisce l'effetto sperato circa i singoli individui: sempre lo ottiene, invece, circa la società: infatti se ci sono persone che non hanno una conoscenza reale, essenziale e minima di Dio,

non c'è popolo e nazione privi del tutto di questa conoscenza, forse in modo distorto, incompleto, inadeguato, ma è sempre una essenziale conoscenza di Dio 46 .

Questo viaggio del proprio essere interiore conduce la persona ad ascoltarsi, a saper leggere e studiare le sue ansie di conoscenza e di vo-

lontà: è un altro tipo di conoscenza di Dio 47 • Il presule di Piazza Armerina pari~ abbondantemente della dimensione interiore dell'uomo come possibile via per giungere a Dio. Tutto ciò corrisponde a quanto ha insegnato il grande filosofo e teologo Agostino, che per giungere a Dio più che dell'argomento della contingenza, si serve di quello delle leggi dello spirito umano;«[ ... ] egli dice all'uomo che cerca la verità: non uscir da te, ma rientra nel fondo del tuo essere perché ivi abita la verità [... ]» 48 • Chiediamoci pure come l'uomo giunge alla conoscenza della verità e quali sono i presupposti che lo conducono a pervenire a questo dato. Per mons. Sturzo, noi conosciamo il procedimento che ci conduce

alla conoscenza e che ci parla di Dio, perché in esso c'è un elemento che sorpassa la pura capacità della mente: questo elemento è la nota caratteristica della verità. A superare noi stessi, a trascenderci, ci spinge la stessa attività conoscitiva, ci stimola la verità che è nostrai ma è superiore a noi;

che deriva dall'attività della nostra mente, ma nello stesso tempo la domina. Possiamo affermare che la verità che è frutto della nostra attività conoscitiva, cioè che proviene dalle nostre idee, pone in noi due termini:

quello della nostra contingenza che è dipendenza e temporalità e quello 45

lbid., XV-XVI. Cfr. lo., la vita in Dio, cit., 23. 47 Cfr. ibid., 23. 48 lbid., 28. 46


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della assolutezza che non è nostro, ma è in noi, non come attributo del nostro essere, ma come cognizione che domanda ulteriore conoscenza, che corrisponde alla conoscenza di una verità che non sia pura idea, ma realtà, personalità: questa entità è Dio49 . L'esame del processo conoscitivo, che è una caratteristica propria della realtà umana, è un'altra possibilità offerta all'uomo per pervenire alla conoscenza della verità oggettiva e reale di Dio. Per seguire questo itinerario e per essere certi di pervenire alla verità, è necessaria una condizione: saper rientrare in sé stessi e fare attenzione a certe voci che appartengono alle profondità dell'essere benché non derivino da lui; queste rivelano la relatività della creatura umana, la sua temporalità e limitatezza ontologica: caratteristiche proprie dell'uomo che esigono l'esistenza di un essere che sia di segno totalmente opposto con il quale egli possa rapportarsi 50 . «Noi possiamo intendere il muto linguaggio dei cieli, [... ] la parola della Scrittura solo quando intendiamo la parola profonda del nostro essere[ ... ]. L'uomo che si raccoglie in se stesso[ ... ] trova Dio, lo trova bensì nel pensiero, ma sopra del pensiero [... J lo trova fuori di tutto ciò che è spazio[ ... ] come cognizione, come verità[ ... ] come esigenza che non fallisce al suo termine [.. .j>,S 1. 4. La conoscenza di Dio per la via filosofica

La conoscenza di Dio nasce con l'uomo, poiché appena comincia a riflettere sulla realtà creata, scoprendone la contingenza, direttamente è 49 Cfr. ibid., 31-32. In questa lettera, come in tante altre, il vescovo di Piazza Armerina propone la vita interiore come via per arrivare a una conoscenza di Dio e a quella di noi stessi. È un innamorato lettore di S. Agostino, per cui suggerisce la prova psicologica: Dio va cercato dentro di sé, per cui è necessario scendere nella profondità più riposte dell'essere, guidati sempre dallo stesso Dio; soltanto così incontriamo Dio; questa è anche la conditio sine qua non per incontrarlo anche fuori di noi. Per mons. Sturzo le voci della coscienza non appartengono al soggetto, anche se sono in lui, ma sono la voce stessa di Dio; esse fanno conoscere la relatività dell'essere un1ano, che rimanda, di conseguenza, alla verità, all'assoluto: Dio. Quanto viene affermato in questa lettera a proposito della coscienza e della sua funzione nella vita morale del singolo è in piena sintonia con la dottrina conciliare del Vaticano II; Gaudium et Spes 16 così afferma: «Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire [... ]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria [... ]». so Cfr. ibid., 33. 51 lbid., 36.


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portato a scoprire l'Assoluto. Alla cognizione di ciò che non cade sotto i nostri sensi, come sono lo spirito e Dio, si arriva per via di ragionamento;

infatti per il presule di Piazza Armerina «[ ... ] il ragionamento è la prerogativa più bella della mente umana. Però, siccome l'uomo è un essere limitato, così il suo ragionan1ento non è immune dall'errore>~ 52 . La verità che appaga pienamente le ansie del nostro spirito è certamente Dio; «[ ... ] quando arriviamo alla cognizione di Dio, tutto si fa chiaro attorno a noi( ... ]. Prima è la cognizione di Dio, poi la negazione; la cognizione di Dio è una scoperta a cui arriva naturahnente il pensiero,

è ordine; la negazione di Dio è un errore a cui si arriva per ragionamento vizioso» 53 . Per mons. Sturzo è importante arrivare alla conoscenza di Dio, perché implicitamente comporta la comprensione della realtà. Nell'ordine delle idee che l'uomo si forma, prima viene la conoscenza di Dio, alla quale perviene grazie al processo tendenziale-finalistico, poi c'è la sua negazione che corrisponde ad un errore commesso dal soggetto pensante, in quanto ontologicamente limitato. Per pervenire alla conoscenza di Dio è necessario avere un atteggiamento caratteristico che è l'umiltà; questa è come una via che conduce a Dio perché porta alla verità, mentre !'orgoglio, che è l'atteggiamento opposto, la fa smarrire. Coloro che negano Dio si reputano essi stessi dei, perché sono orgogliosi. Lo studio di per sé non porta alla negazione di Dio, ma alla sua conoscenza; quando è fatto male, con l'orgoglio nel cuore, potrebbe condurre alla negazione di Dio 54 . Per mons. Mario è una sventura accontentarsi di una conoscenza superficiale di Dio e non curarsi di renderla più profonda e completa. È un dovere per l'uomo conoscere Dio e crescere sempre più in questa dimen-

sione; infatti non si stanca mai di studiare se stesso ed il mondo, perché questi hanno misteri che non si finirà mai di scoprire e di penetrare fino

in fondo; a maggior ragione quanto detto vale per Dio:«( ... ] è un dovere più alto, perché è la ragione di tutti gli altri doveri, non stancarci mai di studiare Dio, che è il principio e il fine di tutte le cose, e sopra tutte le cose, è il nostro primo principio e il nostro ultimo fine, Colui che dà senso al mondo e a noi stessi, che solo ci può fare beati nel tempo (... ] e felici [... ] nell'eternità» 55 • Mons. Sturzo ha una visione positiva ed ottimi52

ID., La vita in Dio, cit., 49.

53 !bid., 50-51. 54 Cfr. ibid., 51-52. 55 !bid., 53.


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stica della capacità speculativa dell'uomo: è un elemento naturale posto da Dio per pervenire al dato della fede e quindi per scrutare il mistero di Dio. La prima conoscenza di Dio, acquistata per virtù del buon senso, è molto imperfetta, però è la base di quella meno imperfetta, che il presule chiama «filosofica». Più imperfetta l'una, meno imperfetta l'altra e nessuna perfetta nel senso pieno della parola, dato che l'uomo è limitato per natura e si trova di fronte ad un essere, Dio, che non ha limiti; l'uomo relativo in rapporto a Dio che è assoluto: l'uomo imperfetto e dall'altra parte Dio che è perfettissimo. Per avere una conoscenza adeguata alla realtà che si vuole conoscere e nello stesso tempo se si vuole che sia perfetta, occorrerebbe avere tutte le perfezioni divine, cioè si dovrebbe essere tanti dei"L'uomo, poiché è dotato di intelligenza, ha l'indomabile bisogno, che è anche un dovere, di conoscere l'origine delle cose ed il loro fine, per cui non può rassegnarsi di fronte alla grandezza del mistero, ma è spinto sempre ad investigare e ad andare oltre nella comprensione. «E benché non tutti gli uomini siano in grado di studiare filosoficamente questo che è il problema dei problemi, tutti sono in grado di comprendere almeno la parte essenziale dei ragionamenti filosofici circa Dio» 57 • In ciò l'individuo è aiutato dalla fede, che è necessaria tanto all'ignorante, quanto al sapiente: tuttavia questa non esclude un qualche lavoro da parte della ragione, anzi lo domanda poiché la fede è atto razionale, è un dono che, per il vescovo, potrebbe perdersi se non lo si custodisce con Fistruzione 58 . Ma come si arriva alla conoscenza di Dio per via di ragionamento filosofico? Secondo mons. Mario l'uomo da sé si rende conto di una grande verità: dal nulla non si ricava nulla e se qualche cosa avviene ci deve essere qualcuno che l'ha prodotta. Così si esprime: «La scoperta che dal nulla non nasce nulla è una delle prime e vi si arriva molto presto, anche negli anni dell'infanzia[ ... ). Guardando, per esempio la terra, il mare, il sole, le stelle, nasce spontaneo il pensiero che non si fecero da sé, e che invece dovette farle un altro che esisteva prima che il mondo fosse[ ... ) chi lo fece? Ecco la domanda che gli uomini naturalmente si fanno; alla quale, se altri non risponde, risponde il loro pensiero, che dice che dovette farle un essere molto più perfetto molto più bello, molto più potente e sapiente degli uomini [... )» 59 • 56 57 58 59

Cfr. ibid., 26. Ibid., 27. Cfr. l.c. Cfr. ibid., 24-25.


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Pasquale Buscemi A questo punto possiamo affermare che, data l'esistenza di un solo

essere relativo, è data con la più sicura certezza l'esistenza dell'assoluto,

cioè Dio 60 . Noi parliamo di "assoluto" e di "relativo"; cerchiamo ora di precisare i concetti che stanno alla base di questo ragionamento, alla luce stessa del pensiero sturziano. Il relativo è l'essere che per esistere e durare ha bisogno di altri esseri, non basta a se stesso; dato che l'uomo non è autosufficiente e per esistere e durare nel tempo ha bisogno di una causa, quindi possiamo affermare che è relativo. L'assoluto è l'essere che non ha bisogno di nessuno, perché basta a se stesso: solamente un essere possiede queste condizioni: Dio. Inoltre quando diciamo "assoluto", parliamo di un soggetto che non dipende da nessuno né per vivere ed essere felice, né per esistere; con ciò indirettamente affermiamo che l'assoluto è eterno, perfettissimo, infinitb, che tutto ha in sé e da sé, da essere infinitamente felice, fonte di felicità e di ogni bene. Se esiste il relativo, deve necessariamente e certamente esistere l'assoluto; conseguentemente giacché esiste il mondo certamente esiste Dio; mentre se esiste l'assoluto, cioè Dio, non è necessario che esista il mondo, poiché è relativo 61 • «Però, esistendo il relativo, come di fatto esiste, è certo che esiste l'assoluto. Il che significa che esistendo il relativo che. come contemporaneo ebbe principio, certamente esiste l'assoluto come eterno, cioè senza principio. L'esistenza del mondo dunque mena alla scoperta di un essere che è stato sempre e ci sarà "Sempre, anche se il mondo cessasse di esistere» 62 . Mons. Sturzo propone la dimostrazione filosofica dell'esistenza di Dio, usando i concetti di assoluto, contingente, temporaneo, eterno, perfetto, imperfetto. Il mondo, essendo relativo, ha avuto principio: se ha avuto principio c'è stato chi lo ha fatto, dato che prima che fosse fatto non esisteva. Quindi ammesso il relativo, è certo che esiste l'assoluto. Così non affermiamo che esistendo il inondo, si deve necessariamente supporre l'esistenza di Dio, perché non si tratta di una conoscenza ipotetica, ma certa, nel modo più fermo e sicuro; per cui possiamo dire che esistendo il mondo, che è un dato oggettivo, evidente ed inconfutabile, esiste Dio certamente, con l'esclusione di ogni dubbio 63 . 6

° Cfr.

61

62 63

ibid., 28~29. Cfr. ibid., 29-30. Jbid., 31. Cfr . ./.c.


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I filosofi che non accettano Dio, non negano ogni idea del divino, ma solamente il Dio personale e trascendente; proprio perché il ragionamento fatto precedentemente è di una evidenza lapalissiana, per cui il concetto di relatività presuppone l'altro di assolutezza, ecco perché le varie menti che speculano non negano ogni idea del divino, ma solamente il Dio personale e nello stesso tempo trascendente, così come emerge dalla rivelazione cristiana.

La vera filosofia, la vera teologia che formano la vera sapienza, riconoscono in Dio la personalità e la trascendenza, cioè l'essere vero e proprio, anzi la pienezza dell'essere, che è assolutezza, infinitezza, eternità, l'essere a sé, principio di ogni essere creato, il quale ha tutte le perfezioni ed al quale, per creazione, deriva ogni altra perfezione, il soggetto che trascende e sorpassa infinitamente ogni essere creato 64 . Il mondo di Dio, che poi è Dio stesso, è del tutto diverso dal nostro, perché Dio è Dio e noi siamo creature. Per mons. Mario, Benedetto Croce, come anche altri filosofi, pensano che tale mondo all'uomo sia inconoscibile, perché «[ ... ] la diversità assoluta sarebbe assoluta irrelatività. Benedetto Croce conchiude dicendo che un tale mondo, se ci fosse, ci sarebbe del tutto ignoto, anzi sarebbe del tutto inconoscibile, per noi sarebbe come se non ci fosse» 65 . Questo ragionamento, per il presule di Piazza Armerina, è viziato, perché porta insito un errore: credere che la totale diversità comporti per l'uomo assoluta incapacità di conoscenza. Tutto questo potrebbe essere vero se l'uomo ilon fosse relativo, cioè se il suo essere non dipendesse da Dio 66 • La dipendenza assoluta è la grande legge del creato in quanto opera di Dio; dopo i puri spiriti, soltanto l'uomo ha questa conoscenza e di essa vive; per vivere bene deve saper agire sull'azione dei rapporti che lo legano alle cose create, e progredire in quei rapporti che lo legano a Dio: il primo passo da compiere in questi ultimi consiste proprio nella conoscenza di Dio. Mons. Mario si chiede: «Se nessuno ci parlasse di Dio, che cosa fa64

Cfr. lo., L'educazione nelle sue ragioni suprente, cit., 264. Per 1nons. Sturzo la legge delle relatività, intesa anche con1c assoluta dipendenza da Dio, resta la via inaestra per poter iniziare il discorso su Dio dal punto di vista razionale; è un argomento valido per poter anche dialogare con quanti negano Dio e la possibilità della sua conoscenza, anche se va capito e interpretato bene. 65 lbid., 264. 66 Cfr. ibid., 265.


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remmo per uscire dalla nostra ignoranza? E se ci si dicesse solamente che Dio non c'è, che quelli che a Dio credono sono dei poveri illusi, come vinceremmo il nostro errore? E se uno si convincesse [... ]per via di ragionamento che Dio non c'è, in che modo e per quale via di ragionamento tornerebbe alla verità? I modi e le vie sono tutti contenuti nella gran legge della nostra assoluta dipendenza da Dio, che è l'aspetto più interessante e più bello della legge della relatività» 67 . Rifacendoci a questa legge, di cui parla il presule, dobbiamo affermare che ha mille modalità diverse di attuazione: per il soggetto si concretizza nel modo più a lui conveniente, la cui scienza spesso gli sfugge, non però l'azione provvidenziale di Dio. Sant'Agostino inizia le sue Confessioni con il ricordare che l'ultimo fine dell'uomo è Dio ed aggiunge che questo fine importa una tendenza fondamentale, essenziale, necessaria a Dio, di maniera che il cuore dell'uomo non può avere pace fino a quando non perviene a Dio. La facoltà di conoscenza certamente non è il cuore, ma la mente, anche quando si tratta della conoscenza di Dio. Però, nell'itinerario della mente in Dio, il cuore ha una funzione tutta speciale, proprio perché l'uomo, secondo la visione sintetica ed unitaria di mons. Sturzo, è unità di sentin1enti, di ragione, di volontà e di sensitività 68 . Chi non conosce Dio, non ha cognizione di lui e non può far esperienza del suo amore; avrà l'amore delle creature, che non basta da solo a far felici, anzi ci dà soltanto delusioni e dolori. L'esperienza di ogni giorno ci conferma che la vita aliena da Dio può essere caratterizzata da ore ed anche da giorni di piacere, ma non ci sarà mai la pace e presto il dolore farà sentire la sua ferrea ed inesorabile legge. Per il presule è conseguenza e legge del dolore far rientrare l'uomo in se stesso; quando ciò avviene e nella misura in cui accade, l'uomo se non trova subito la via che lo porta o lo riporta a Dio, certamente troverà i preliminari del suo orientamento verso Dio 69 . «La legge della relatività come dipendenza assoluta che è la dipendenza da Dio, è la via da percorrere per arrivare alla cognizione del buon Dio che ci fece per sé, per arrivare al suo amore, per crescere nella fede e nell'amore sino alla santità vera e propria» 70 • Tuttavia questa legge spesso 67

Ibid., 266.

68

Cfr. ibid., 267.

69 Cfr. iNd., 267-268. 70 Ibid., 270.


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quando non è recepita bene sortisce l'effetto contrario, cioè ci allontana da Dio. L'uomo è così misero e cieco che spesso si smarrisce nelle vie di questa relatività e non sa più che cosa fare per mettersi sulla via giusta e andare o tornare a Dio 71 • Con quest'ultimo punto sfioriamo uno degli argomenti preferiti da mons. Mario, che corrisponde a una delle tante modalità per conoscere Dio: la conoscenza per via psicologica; la fonte a cui si ispira quando tratta questo argomento è quella agostiniana.

5. La conoscenza di Dio per mezzo della fede

Dalla rivelazione sappiamo che Gesù Cristo vuole rendere capace l'uomo dell'infinito, mettendolo in condizione di proporzione con esso. Accresce con la fede le forze dell'intelletto e con la carità quelle del cuore; se l'uomo in quanto limitato si trova di fronte al mistero, tuttavia è consapevole di non essere di fronte all'assurdo; il mistero per lui diventa argomento di nuovo apprendimento. C'è un nesso inscindibile fra la scienza dell'infinito, di cui è reso capace l'uomo, e l'amore verso l'infinito 72 • La conoscenza per fede, di cui ora vogliamo parlare, si collega strettamente a quanto abbiamo affermato precedentemente, poiché essa«[ ... ] non è un atto estraneo·O contrario alla ragione. Se fosse estraneo non sarebbe cognizione; se fosse contrario sarebbe irrazionalità. La cognizione per fede è un modo di conoscere e i modi di conoscere son parecchi. Si conosce in modo immediato e mediato, intuitivo e discorsivo, analitico e sintetico, attualistico e storico, con le sole facoltà e con le facoltà aiutate da strumenti, per via di parole e di cenni, per esperienza e per autorità» 73 . La conoscenza per fede è il modo certamente più privilegiato, più certo e più sicuro perçhé si fonda sull'autorità di Dio che si rivela; il presule di 71 Cfr. ibid., 270-271. 72 Cfr. ID., I lettera pastorale, Tipografia Pietro Giovenco, Piazza Annerina 1904, 13. 73 Io., La santità nell'itinerario dell'anima in Dio, cit., 17. In ordine alla conoscenza l'uomo non ha altro 1nezzo di certezza non assoluta che la ragione, per cui in can1po conoscitivo essa è un'autorità. Il processso della conoscenza è stato concepito e voluto da Dio, per cui non può entrare in contrasto con il dato rivelato, perché sia la rivelazione come la ragione sono opera dello stesso autore: Dio, il quale mise in perfetta armonia queste due realtà. Tra le righe e1nerge se1npre la visione sintetica che caratterizza il pensiero di mons. Sturzo.


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Piazza Armerina così si esprime: «[ ... ) nella cognizione per l'altrui sapere [... )entra come fattore indispensabile la confidenza nell'altrui onestà[ ... ) il conoscere per via di comunicazione è un fatto sociale, pel quale non basta avere i tempi e l'intelletto, ma occorre avere fiducia, né questo è possibile o ragionevole se colni a cui si presta fede non è onesto. Uno dei fattori che animano alla fiducia è l'amore reciproco. Più si ama sapendo d'essere riamati, più si è sicuri che colui che ci ama non c'inganna» 74 . Questo dinamismo scatta nella conoscenza del bambino quando gli viene trasmessa dalla mamma; infatti questi crede più alle parole della mamma che non alla propria esperienza. Questo è il caso più tipico della conoscenza per autorità, in quanto l'adesione del bambino alla madre è la più naturale, la più spontanea ed immediata. Tutto ciò che è comunemente affermato per quanto riguarda questo caso, si realizza a maggior ragione nei nostri rapporti con Dio che si autorivela, perché i rapporti con lui sono molto più intimi, naturali ed immediati di quelli con i genitori e perché sono rapporti di origine e di dipendenza, di conoscenza e d'amore75.

Evidentemente quando mons. Sturzo parla di conoscenza di Dio per fede, per autorità dello Stesso che si autocon1unica, non vuole escludere

l'aspetto razionale della conoscenza. Da queste brevi battute emerge chiaramente la concezione positiva che il nostro vescovo ha della razionalità umana e dei contributi che può offrire quest'ultimo aspetto ad una fede che diventi sempre più matura, dato che essa non esclude, ma presuppone i contributi razionali; Dio con la fede accresce le capacità intellettive umane. «Il miscredente rigetta la fede in nome della ragione [... ) è sicuro da non temere che un più serio, sereno, paziente uso del ragionamento non lo meni a conclusioni diverse o anche contrarie [... ]. Quelli che passano dall'incredulità alla fede, forse che fanno questo trapassano in nome di altro pl'lncipio che non sia la ragione? Dio che dà all'uomo la Rivelazione, che è l'oggetto della fede, forse pretende che l'uomo la riceva per via d'altra facoltà che non sia la ragione?» 76 • L'uomo che considera con cuore retto e con mente serena l'insufficienza della pura filosofia a scoprire in una volta tutta la verità, a scoprirla senza errori e senza progressività, dalla logica del suo pensiero è condotto a cercare sempre più in alto; queste considerazioni e queste ricerche con74 Jbid., 18. 75 Cfr. ibid., 18-19. 76 Cfr. lo., L'educazione nelle sue ragioni suprnne, cit., 8.


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dotte con gli atteggiamenti particolari di cui abbiamo parlato, conducono infallibilmente a Dio, poiché l'uomo nei suoi ragionamenti può errare in quanto non è la somma razionalità, ma è relativo, limitato ed ha una conoscenza progressiva e graduale della verità. Se così non fosse non ci sarebbero diverse filosofie e tutti gli uomini direbbero la stessa cosa e perverrebbero alle stesse verità. Una filosofia immune da errori c'è, poiché Dio è venuto in aiuto della ragione umana, donando la rivelazione. Questo tipo di filosofia esiste per diversi motivi: «[ ... ]c'è per la ragione, perché la filosofia è opera della ragione[ ... ] c'è per la fede che eleva la ragione, compie le sue scoperte e vi aggiunge altre verità alle quali la pura ragione non potrà mai pervenire, perché sono d'ordine superiore; delle quali ha bisogno perché sono necessarie al conseguimento del fine supremo» 77 .

Per il presule di Piazza Armerina alla fede non perviene solo la mente, o solo il cuore, ma l'uomo come unità di mente e di cuore. Nei suoi scritti riaffiora sempre la concezione sintetica dell'uomo e del suo processo gnoseologico. L'uomo giunge alla fede per la sua attività di pensiero e di affetto, ma anche per quella virtù particolare che si suole chiamare intuizione, senza tacere che vi perviene soprattutto per la grazia del Signore e che senza di questa ogni sforzo e ogni industria umana sarebbero vani. «Dunque inente, cuore, spontaneità sintetica e finalistica che fa quasi da intuizione nell'atmosfera della grazia che prepara, accompagna e segue [ ... ]» 78 , tutto ciò conduce alla fede che è una possibile occasione offerta per conoscere Dio. Nessuno può determinare praticamente o teoricamente il processo che nei singoli si attua per pervenire alla conoscenza di Dio per fede, perché questo processo può variare (e difatti varia) da uomo a uomo. Come già abbiamo visto quando abbiamo esaminato il tema della conversione, il processo conoscitivo, che provoca come sua conseguenza la conversione, può prendere le mosse dalla mente o dal cuore, da ragioni ben ponderate o da quella dalle quali non si arriva a scoprire lanatura, da ragioni serie, o da quelle che apparentemente non mostrano vera serietà e forza 79 . La conoscenza che possiamo avere di Dio in questo mondo è progressiva e sempre inadeguata; essa va da quella razionale, la più oscura, nella quale sono possibili errori e traviamenti, alla cono77 78 79

lbid., 9 Ibid., 12. Cfr. I.e.


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scenza per fede, di cui stiamo trattando in questo paragrafo,«[ ... ] che reca alla prima la luce della Rivelazione e della grazia, determinazioni a cui mente umana non può da sola pervenire, la certezza che esclude ogni dubbio e impedisce ogni errore e ogni deviazione» 80 , perché si fonda sull'autorità di Dio che si autocomunica, il quale non può ingannare l'uomo né può errare.

Parlando della conoscenza dì Dio per la fede, dobbiamo subito precisare che essa ha i suoi gradi: infatti va dall'adesione fredda della mente, a quella amorosa del cuore; dal puro atto del credere al fatto dello sperimentare. «L'uomo che ha fede[ ... ] che opera per mezzo della carità[ ... ] non ha solamente la fede (... ] ha soprattutto l'amore [... ] che non è un palpito ozioso del cuore; l'amore è attivo per natura: la sua attività sono le opere [... ]» 81 . In quest'ultima dimensione ha inizio quel fenomeno tipico che distingue la vita del vero credente da quella di ogni altro uomo: l'esperienza del divino. La manifestazione che Cristo fa di sé alla persona comincia dall'esperienza del divino più tenue e quasi impercettibile, per arrivare a una percezione di Dio che i mistici chiamano «esperienza di Dio» e che corrisponde alla conoscenza sperimentale di lui. «L'anima a cui Dio concede l'esperienza mistica di se stesso, si sente come toccata da Dio, sente se stessa come se toccasse veramente Dio, si sente in Dio come spugna immersa nell'immensità del mare[ ... ] e soprattutto sente che Dio le dà tali gioie, tali forze, tale sete dì rinunzie, tale volontà di amore e dì sacrificio, tale chiarezza di cognizione di quel che sperimenta e di quel che Dio vuole da lei, che anche volendo dubitare della realtà del fatto, non potrebbe» 82 • Questo tipo dì conoscenza di Dio è quella vera, di cui parleremo più approfonditamente nel paragrafo seguente; essa non ammette dubbi né errori, è opera di Dio perché preparata dalla sua grazia; tuttavia è raggiunta da pochi, anche se a tutti è offerta la possibilità. Per l'individuo questa è un esperienza trasformante, in quanto la persona dal mondo umano viene elevata a quello divìno 83 • La vita di fede ha certamente in sé le sue leggi e si nutre di fede ma anche di opere buone; quando essa è vissuta bene, la migliore conoscenza di Dio si acquista per le sue vie. so ID., La Jantità nell'itinerario dell'aninta in Dio, cit., 102. 81 Jbid., 103. 82 Jbid., 103-104. 83 Cfr. ibid., 104.


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Gesù Cristo non venne ad annullare la ragione, bensì a perfezionarla, poiché se l'avesse fatto avrebbe annullato lo stesso uomo, in quanto è una sua dimensione essenziale. La fede è un dono divino fatto all'uomo, il quale resta tale anche dopo che ha ricevuto questo immenso beneficio. L'atto di fede è anche atto di ragione, illuminato ed elevato da Dio, per cui si crede a Dio sulla sua Parola, perché la ragione ha le prove razionali che Dio ha parlato 84 . Mons. Mario ci tiene a sottolineare l'importanza della ragione, la quale precede la fede, perché il credere è atto di ragione come lo è anche il conoscere Dio. Nasce subito un interrogativo: la fede quali apporti nuovi e specifici dà alla conoscenza razionale di Dio? Essa, mentre perfeziona la conoscenza razionale di Dio, ne genera un'altra che è di ordine soprarazionale ed è principio della visione che di Dio si avrà nella dimensione escatologica, che è la vita della beatitudine eterna. Alla luce di queste considerazioni nasce subito il dovere di studiare, che non si può esaurire con la conoscenza soltanto del catechismo, ma secondo la possibilità di ciascuno deve avanzare e completarsi in tutti i modi e con tutti i mezzi consentiti alla ragione umana 85 . Secondo questa prospettiva la conoscenza di Dio per via della fede dà un contributo notevole a quella razionale, perché la eleva e nello stesso tempo sortisce un effetto considerevole nell'uomo: approfondire continuamente il suo contenuto, per giungere ad una vera conoscenza; ecco perché il vescovo invita ad andare oltre lo studio di quelli che sono gli strumenti essenziali per l'educazione e la formazione del cristiano, quale può essere il catechismo. Per il pensiero sturziano il mondo è limitato perché materia e anche il pensiero umano ha questa caratteristica, perché non è onniscente e il suo sapere è un perenne superare la sua ignoranza. L'uomo per conoscere senza deficienze ed errori cosa egli sia, quale sia la ragione vera della sua vita, la sua origine, il suo vero fine, oltre che della provvidenza divina ordinaria, che è espressa dalla capacità investigativa dell'uomo, ha bisogno di qualcosa di speciale, che corrisponde a ciò che noi chiamiamo "rivelazione", la quale ci trasporta nel campo della fede, avendo Dio voluto così 86 . 84 Cfr. ID., La vita in Dio, cit., 54~55. La conoscenza che di Dio si ha per mezzo della fede, secondo il pensiero sturziano, completa, esplicita e perfeziona quella che dello stesso Dio si ha per via di ragionamento, alla quale conferisce nuovi apporti. Inoltre la conoscenza di Dio per fede è una anticipazione di quella perfetta che si avrà in cielo. 85 Cfr. ibid., 55. 86 Cfr. ibid., 63-66.


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Dio conosce molto bene i bisogni dell'uomo e sa che, senza un suo particolare intervento, molte delle verità di ordine razionale che sono necessarie per vivere in modo moralmente retto, la ragione umana pur essendo capace di scoprirle, o non le scopre che in parte o le scopre miste ad errori. La ragione umana può arrivare alla conoscenza che Dio è ed è uno solo; eppure lungo i secoli che precedettero il cristianesimo questa verità di primissimo ordine fu conosciuta con la mescolanza di errori. Porta un esempio che gli viene offerto dalla stessa narrazione evangelica; Gesù Cristo disse che dava un comandamento nuovo, l'amore reci~ proco; fece una rivelazione e diede un insegnamento; ciò che rivelò è tale non perché inconoscibile, ma rifacendo in se stessi il suo ragionatnento si trova che gli uomini avendo la stessa natura, nella società con gli stessi diritti e doveri, dovendo tutti cooperare alla pace e all'armouia dei rapporti di vita sociale, essendo in quanto uomini tutti uguali, avevano il dovere di amarsi a vicenda come fratelli, perché senza quest'amore nel mondo non ci sarebbe pace, armonia di rapporti e benessere 87 . Alla luce di queste rivelazioni gli uomini compresero che il precetto dell'amore è la cosa più giusta e santa della vita, moralmente accettabile, infatti non è estraneo alla realtà umana né imposto dall'esterno, ina deriva dalla legge della stessa vita ed è una formulazione di quella regola aurea che suona così: «non si deve fare agli altri, quello che non si vuole che gli altri facciano a noi». Ed è giusto che sia così; una riprova di quanto detto ci è data dal fatto che gli uomini compresero s~bito il valore e l'importanza di questo precetto, perché in loro c'erano gli elementi fondamentali di questa verità; infatti come avrebbero potuto recepire questa verità se gli elementi della medesima non fossero stati nella mente di ciascuno di loro? Gesù in effetti pronunciava una verità nuovissima, ma tuttavia diceva cose che ognuno possedeva in certo modo, benché non sapesse di possederle 88 . Questo ragionamento non svalorizza il dato rivelato, sia perché mons. Sturzo distingue le verità razionali rivelate da quelle soprarazionali rivelate ed applica il suo ragionamento alle prime e non alle seconde, per le quali è necessaria la rivelazione divina per avere una minima comprensione; sia perché questo suo ragionamento è utile per rispondere a quanti, riferendosi all'aspetto morale di ciò che comporta la rivelazione, parlano di eteronomia, perché secondo questi ultimi sarebbero norme divine che 87

Cfr. ibid., 67-70.

88

Cfr. ibid., 70.


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vengono imposte all'uomo dall'esterno. Il vescovo di Piazza Armerina parlando proprio della morale fa luce su una difficoltà che potrebbe nascere in qualcuno che si chiede come in essa possa entrarci la rivelazione, perché«[ ... ] se Dio per le vie della Rivelazione comunica norme che la ragione da sé non può scoprire, queste norme non saranno secondo l'ordine della ragione umàna, e perciò non entreranno nella morale» 89 • Queste difficoltà sollevata dai suoi ipotetici interlocutori gli offre la possibilità di precisare meglio il concetto di verità e di norme morali rivelate. «Una parte della Rivelazione non è manifestazione di cose ignote alla ragione umana, ma sanzione divina di ciò che la ragione conosce [... ] . C'è poi nella rivelazione una parte che sorpassa le visioni della ragione, non però in 1nodo assoluto, ma relativo, nel senso che, pur essendo in qualche modo intravveduta dalla ragione umana, [... ] non attinge le ultime determinazioni e non entra nei codici morali umani [... ]» 90 • Mons. Sturzo con questo suo discorso logico e lineare vuole combattere questa tesi affermando che alcune verità essenziali erano già presenti nell'uomo. Se così non fosse, quando Cristo ha rivelato, per esempio, la legge dell'amore, gli uomini non l'avrebbero percepita; l'umanità comprese chiaramente la rivelazione di Cristo circa queste verità, perché la mente ha fatto un ragionamento analogo a quello di Cristo 91 • Quello che diciamo di questo aspetto della legge dell'amore, lo affermiamo di tutte le verità d'ordine razionale rivelateci e insegnateci da Cristo, distinguendole nettamente da quelle soprarazionali. Tuttavia crediatno a queste stesse verità non soltanto per ragionamento, ma anche per fede, cioè ce ne persuadiamo e le riconosciamo vere, perché il ragionamento lo rifacciamo noi; nello stesso tempo le crediamo, perché ce le ha dette Gesù Cristo, e in quanto Dio !?-On può ingannare, né errare. (<[ ... ] le credia1no sulla sua autorità, non per virtù di natura, ma per un dono superiore, che egli ha infuso nella nostra mente, che è una capacità, un abito, una luce sovraurnana, che chiamiamo fede, dunque crediamo per fede» 92 • Cosa intende mons. Mario con il termine "fede"? Chiarifica molto utilmente questo concetto. È fede umana credere un qualcosa, non per rigore di ragionamento che arrivi alla certezza filosofica, 1na per autorità umana, come il caso del medico che prescrive_ la 89

Io., L'educazione nelle sue ragioni suprCJne, cit., 336. Ibid., 337. 91 Cfr. Io., La vila in Dio, cit., 71. 92 !bid., 72. 90


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medicina all'ammalato. «Questa è la fede umana, che più propriamente dovrebbe esser chiamata fiducia, o presunzione di verità, la quale lascia sempre intera la possibilità del contr~rio [... ].Altra cosa è la fede divina, ed essa sola merita il sacro nome di fede, la quale è fede, non perché sia fiducia o presunzione, ma perché è certezza che deve escludere anche l'ombra del dubbio [... ]"A questo punto dobbiamo aggiungere una precisazione molto importante: la verità detta da Dio contenuta nella rivelazione va creduta senza riserve, senza condizioni e limitazioni, non freddamente ma con amore e gratitudine, perché non solo è ordinata alla pratica e quindi è un bene, ma è finalizzata alla conoscenza stessa di Dio, è un avviamento al suo possesso finale, in quanto somma verità e sommo bene 94 . L'apprendere che le conquiste della propria mente sono garantite dalla parola di colui che è il creatore della medesima, il sapere che hanno la certezza e sono verità senza mescolanza di errori, è una cosa molto positiva, è il maggior bene che si possa desiderare, «[ ... ] perché il maggior bene della nostra esistenza è la nostra mente, per la quale, conoscendo, ci leviamo sopra tutti gli altri esseri del mondo, dominiamo il mondo e reggiamo noi stessi, conosciamo noi stessi e il mondo [... J e Dio» 95 . La rivelazione divina che dà l'oggetto della fede o la sua sostanza, pur se non mira a risolvere a nostro vantaggio problemi puramente speculativi o di puro interesse naturale e temporale, ha lo scopo di rendere certi e sicuri i nostri rapporti con Dio in ordine alla salvezza e quindi alla vita eterna. Ecco perché la rivelazione mentre inizia dalle verità d'ordine razionale, circa le quali l'errore, l'incertezza sarebbero di nocumento alla conquista dell'ultimo fine, essa termina con le verità d'ordine soprarazionale«[ ... ] che hanno la vera ragione di Rivelazione, perché l'uomo non le potrebbe mai scoprire da sé, e che secondo gli arcani di Dio, son necessarie al conseguimento del fine ultimo [... ]» 96 • Dobbiamo ricordare che finora non si sta parlando delle verità soprannaturali, ma di quelle rivelate e che, secondo il pensiero sturziano, possono essere scoperte dall'uomo; sono verità d'ordine morale (come la legge dell'amore), ma anche d'ordine speculativo, quali: l'esistenza del mondo, la sua origine per creazione, la spiritualità e immortalità dell'a93

lbid., 73. Cfr. ibid., 74. 95 lbid., 76. 96 lbid., 77. 94


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nima, l'esistenza di Dio e via dicendo. Come già abbiamo detto, a queste verità possia1no arrivarci per via di ragionamento filosofico, ma possiamo avere qualche timore di esserci ingannati; nessuno può essere certo in

modo assoluto di aver fatto bene il suo ragionamento. Quando però una considerazione intellettiva è preceduta o seguita dalla fede, la cosa cambia aspetto, perché si ha la certezza, la tranquillità della mente, la pace del cuore 97 • Parlando adesso delle verità soprannaturali, la mente da sé non arriverà mai a scoprire i misteri divini, come, per esempio, quello della Santissima Trinità o della presenza divina nell'Eucarestia; incontra difficoltà per la loro giusta comprensione, anche quando Dio stesso glieli rivela. Ora noi, circa le verità d'ordine razionale, le crediamo perché facciamo un ragionamento analogo, ma trattandosi di verità di ordine soprarazionale, non siamo capaci di fare qualche ragionamento che ce li faccia comprendere, perché sono verità che superano le possibilità di comprensione della ragione, quindi non possiamo applicare la metodologia seguita nel procedimento ordinato alla conoscenza delle verità razionali98.

Il mistero vero e proprio non è il semplicemente ignoto, ma l'ignoto inconoscibile ed incomprensibile; «Dio con la Rivelazione provvede alla conoscenza dei misteri, senza che però [ ... ] faccia superare a noi l'ostacolo della loro incomprensibilità»". Quindi la rivelazione è un atto divino, orientato alla conoscenza dell'uomo, il quale riguardo al mistero di Dio è incapace di comprenderlo; tuttavia tale mistero resta sempre inconoscibile ed incomprensibile, perché di gran lunga più grande e superiore alle stesse possibilità umane. Anche se tra le verità soprarazionali e la capacità di comprensio11e dell'uomo c'è assoluta sproporzione, tuttavia le crediamo, perché sonorivelate da Dio, cioè sulla sua autorità, ma soprattutto perché egli merita la nostra fede, anzi ne ha assoluto diritto, in quanto è Dio; parla una lingua che comprendiamo sino ad un certo punto, è proprio il punto che conosciamo che rende possibile la fede, mentre l'autorità di Dio rivelante, la rende pienamente razionale, per cui possiamo affermare che anche queste verità di ordine superiore non sono irrazionali ed assurde. Quelli che at97 98 99

Cfr. ibid., 74-75. Cfr. ibid., 77~78. Ibid., 78.


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laccano la fede in nome della ragione, senza saperlo, combattono la stessa ragione 100 .

La fede è la parola del Maestro, la quale si accomoda così alla intelligenza limitata dell'uomo, che spesso non sembra diversa dalla parola umana.

Dio parlando all'uomo non adopera il linguaggio divino, perché non sarebbe mai compreso, ma adopera quello umano, per venire incontro all'uomo. La conoscenza di Dio, che dà il vero significato ed il vero valore a quella del mondo e dell'uomo, si fa più sicura, più completa, in modo tale che queste sue caratteristiche si riversano anche sulle altre, almeno per ciò che riguarda il destino futuro dello stesso uomo 101 • È chiaro che ancora siamo davanti ad una conoscenza inadeguata di Dio, perché Dio resta sempre mistero all'uomo, altrimenti non sarebbe più tale; se l'uomo riuscisse a comprendere la parola rivelata da Dio, così come comprende quella umana, evidentemente non crederebbe di trovarsi al cospetto di Dio. «Il mistero [... ] benché per un verso sembra tenebre, per un altro è luce, perché ci fa meglio. comprendere che noi non siamo divinità o emanazione della divinità [... ]» 10'. Ecco perché la conoscenza di Dio è sempre inadeguata; altrimenti per non essere tale l'uomo dovrebbe avere la stessa natura divina. Alla luce di queste considerazioni possiamo dire che non appena il pensiero di Dio si fa vivo e forte, nell'uomo nasce spontaneo il bisogno di nutrirsi di lui, di progredire nella conoscenza sua fino a vivere per e di lui. La fede in tanto è diversa da tutte le altre conoscenze, in quanto si fonda sull'autorità di Dio rivelante; è atto razionale e soprarazionale insieme, è la maniera più efficace di conoscere e di comunicare con Dio 103 . Questo tipo di conoscenza ha delle conseguenze notevoli sulla vita e sulle scelte morali del singolo individuo; infatti conoscere Dio in questo modo significa essere pieni del suo pensiero, aver pieno di Dio il cuore, perché non è una conoscenza soltanto intellettiva; tutto questo però in modo radicato e fondato nello stesso uomo, tanto che nessuna attrattiva di beni disordinati lo possa penetrare e ogni tentazione si infranga contro questa vo-

lontà così profonda e forte, perché illuminata dal pensiero stesso di Dio 10 '. 10

° Cfr. ibid.,

101

81-82.

Cfr. ibid., 82-83. 102 Cfr. ibid., 83.' 103 Cfr. ibid., 112-113. 104 Cfr. Io., Suggcrùnenti sul 1nodo di fare !'orazione, Scuola Tipografica S. Giuseppe, Asti 1935, 222.


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«Questa cognizione e questo amore [... ] questa saldezza di volontà nei proponimenti di bene viene da Dio per grazia, viene dall'uomo per cooperazione alla grazia» 105 • È un puro dono di Dio; il mistero divino lo si percepisce con l'intelletto reso a ciò idoneo dalla grazia, infatti Dio stesso vi si comunica in modo arcano; per cui questa conoscenza porta l'uomo a morire a se stesso per vivere soltanto di ciò che ha conosciuto; in questo caso la conoscenza di Dio influenza la vita morale del singolo, l'analisi più seria del problema del vivere e del suo agire responsabile 106 •

6. In cosa consiste la vera conoscenza di Dio Conoscere Dio non è ammetterne soltanto l'esistenza, ma è molto di più. Intanto si deve affermare che la conoscenza di Dio è graduale, in quanto la capacità di comprensione dell'uomo è lenta e progressiva, perché passa da verità a verità; essa provoca delle ripercussioni nel singolo, infatti nasce dalla fede, ma esige che essa sia adesione amorosa e confidente a Dio, uniente, purificante, trasformante, che dirà basta, quando dalla perfetta conformità alla volontà di Dio, alla sua Parola, avrà condotto l'uomo alla perfetta unione con lui nella visione beatifica 107 • Quindi la vera conoscenza di Dio è quella che coinvolge tutte le facoltà dell'uomo, provocando in lui una donazione piena e totale a Dio ed un amore assoluto, come risposta a quello divino. «La cognizione è funzione intellettiva, come è funzione volitiva l'amore. Però, siccome l'uomo è unità, così né il conoscere è del tutto fuori dell'affettività, né il volere è del tutto fuori della intellettività. E bisogna aggiungere che la cognizione è tanto più perfetta ed efficace, quanto più vi concorre di affettività» 108 • Questo tipo di conoscenza è di gran lunga superiore degli altri, anche se resta sempre una conoscenza inadeguata di Dio, dato che l'uomo non possiede le stesse caratteristiche divine. La vera conoscenza di Dio è per prima cosa la conoscenza della sua esistenza, non come entità astratta, n1a come perscina concreta, vera e tos L.c. 106 107 108

Cfr. ibid., 146-147. Cfr. Io., L'educazione nelle sue ragioni supreme, cit., 261. lbirl., 275.


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reale, che agisce nella storia; poi è la conoscenza dei suoi attributi veri, come già abbiamo avuto modo di constatare, quando abbiamo parlato di una sua prima conoscenza che nasce nell'uomo quando legge attentamente la realtà creata e la sua relatività 109 • Innanzitutto essa è semplice atto della mente, poi diventa atto della mente e della volontà, per cui invita a seguire la vocazione fondamentale dell'uomo, la santità, mettendo questi sulla via della medesima, diventando così una garanzia della salvezza e della felicità escatologica; è la conoscenza che riempie di sé tutta la mente ed il cuore, cioè è la piena attuazione del comandamento della legge divina: «Amerai il tuo Dio con tutta la tua mente, il tuo cuore e le tue forze ed amerai il tuo prossimo come te stesso» 110 •

Il primo passo in questo processo è sentire il bisogno di questa conoc scenza, che non ci può venire dal puro ragionamento,«[ ... ] non è la vera cognizione di Dio [... ] quella del filosofo che per via di dotto ragionamento scopre non solo che Dio esiste, ma che è eterno, infinito ed infinitamente sapiente, giusto e buono>> 111 occorre che vi intervenga il cuore, perché non si compie che nell'amore, dato che coinvolge l'uomo in tutte le sue molteplici dimensioni. L'ultima risposta al senso della vita, alla sete d'infinito che sale dal cuore dell'uomo non si trova nella ristrettezza della pura razionalità, ma proviene dal dono della grazia divina; la carità teologale infusa dallo Spirito Santo mette la persona credente in comunione di vita con il Signore. «Chi non ama Dio, è in rapporto con Lui, non con tutto l'essere, ma solo con una parte di esso>>uz.

La vera conoscenza non soltanto prende l'uomo nella sua interezza, rna ha bisogno di qualche altra cosa ancora per essere vera, perché la sua mente ed il suo cuore, anche se giungono a presentire il mistero, non perverranno mai a conoscerlo: occorre la rivelazione e la ragione. È utile ancora una volta precisare che tra rivelazione e ragione non c'è antinomia, né può esserci contrasto, perché questi sono i primi fattori della vera conoscenza di Dio, cui occorre che si aggiunga oltre al lavoro della mente, anche quello del cuore e alla luce della rivelazione faccia se-

109

Cfr. I.e.

lIO

L.c. lbid., 279. L.c.

Jll 112


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guito quella della grazia; a tal proposito possiamo dire che l'uomo ha il cuore e Dio gli dona la graziam Prendiamo un uomo che custodendo la grazia, ama Dio con la mente nella fede, con il cuore ed una vita moralmente ordinata, con le buone opere nella carità ed aspetta di arrivare a Dio nella speranza, chiediamoci se un tale uomo conosce Dio veramente. Possiamo rispondere positivamente per un verso, per un altro, nel modo più vero e più pieno, ancora non lo conosce 114 • La spiegazione di quanto affermato, mons. Sturzo la prende dalla esperienza di S. Agostino. Il vescovo di Ippona narra di sé, nelle sue opere, che cercava Dio, ma non lo trovava; infatti invece di cercarlo nell'interno del suo essere, lo cercava fuori, invece di cercarlo nella preghiera e nel raccoglimento, lo cercava nella dissipazione e nel peccato. Se fosse stato attento lettore della realtà, le cose create lo avrebbero dovuto portare a Dio, quale creatore, perché noi e tutte le cose create siamo in Dio. Il che significa che S. Agostino si fermava in modo disordinato alle relazioni immediate e trascurava di mettersi sulla via della relazione fondamentale ed essenziale, la quale mette ordine alle altre relazioni e conduce l'uomo alla conoscenza e all'amore di Dio. «Con altre parole vi dico quel che ci insegna a prezzo di tanti dolori S. Agostino, cioè, che è la vita veramente onesta quella che mena a Dio, mentre il peccato allontana da Dio, fa perdere Dio nella vita presente e nella futura» 115 •

L'inizio del processo che porta alla vera conoscenza di Dio consiste proprio in questa dimensione morale della vita dell'uomo; di contro, l'unico impedimento per una conoscenza iniziale e vera di Dio è il peccato e tutto ciò che è suo effetto. Questo è l'aspetto negativo che contiene in sé quello positivo: la vita morale buona ed onesta, la coscienza pura certamente portano alla conoscenza vera di Dio, alla totale unione con lui. Ma ciò che è necessario è il far attenzione alla propria dimensione interiore, curandola in tutto, facendo in modo di ascoltare la sua voce che è come il luogo dove Dio fa risuonare la sua Parola; il presupposto fondamentale per una vera conoscenza di Dio consiste nell'essere uomini di vita interiore, protesi verso la santità. 113

114

Cfr. I.e. Cfr. ibid., 279-280.

llS lbid., 280.


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Il prelato di Piazza Armerina non manca di portare la parola sia della Scrittura, come anche dei padri per avvalorare quanto ha chiaramente espresso. «Dice S. Giovanni Crisostomo che per la pratica del bene si va certamente a Dio [... ]. Meglio dice il Vangelo: Beati quelli che hanno puro il cuore, perché vedranno Dio[ ... ]. Si va a Dio a misura che il cuore si purifica>> 116 , per cui una vita moralmente buona, che nel pensiero

di Sturzo coincide anche con lo stato di santità, conduce la persona, aiutata pure dal dato rivelato e dalle proprie capacità intellettive, alla vera conoscenza di Dio e del suo mistero.

Per mons. Mario, Gesù Cristo ha affermato di rivelarsi alle persone che lo amano: «[ ... ] et ego manifestabo ei meipsum» (Gv 14,21). Questa speciale manifestazione e rivelazione presuppone dunque l'amore; ciò vuol dire che Gesù Cristo concede a quanti credono in lui e lo amano, una più chiara conoscenza di Dio e del mistero dell'incarnazione. È una rivelazione che presuppòne l'amore, inteso come atteggian1ento in-

teriore dell'uomo, ma anche come stile di vita conforme a quello di Cristo, cioè come vita morale orientata alla conformazione piena a quella di Cristo. «Questa cognizione fa crescere !a fede e l'amore; la fede diventata più profonda, l'amore diventato più puro e più saldo, fanno crescere la cognizione. Dio lo disse a S. Agostino, quando gli si rivelò come verità [... ].Gli disse: Tu ti trasformerai in me, come a dire, tu ti trasumanerai, tu in certo modo sarai deificato [... ].Quando ti sarai santificato e a misura che ti sarai santificato: tu mutaberis in me» 117 • Quindi la conoscenza di cui stiamo adesso parlando aumenta la fede e l'amore ed ha come suo apice la santità, intesa come vita d'amore; infatti la santità è vita di amore; questo è tale quando è puro, cioè quando non c'è nulla che vi si opponga e quindi non solo non c'è il peccato che spegne l'amore, ma nemmeno l'attacco al proprio essere ed alle creature, cioè l'egoismo, che impedisce il crescere dell'amore e tiene la persona più unita a se stessa che a Dio 118 . Quando ciò accade abbiamo l'esperienza mistica di Dio che è il punto di arrivo del cammino di conoscenza dell'uomo e quindi corrisponde alla vera conoscenza di Dio. li 6 Jbid 281 m 1bid:: 2si-2s3. 118 Cfr. ibid., 283.


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La conoscenza vera non soltanto implica una vita moralmente onesta, ma essa è anche conformità di volere a quello di Dio e quindi è santità, infatti l'uomo santo non vuole se non ciò che vuole Dio; ogni cosa che a questa dimensione si opponga o la affievolisca, è odiata, evitata, condannata. In ciò la legge della relatività si mostra nella sua piena luce, perché la persona vive bene la sua dipendenza da Dio soltanto quando con tutte le forze vive in Dio, con e per lui, per cui possiamo affermare che la vera conoscenza di Dio coincide con la vita in Dio, è la santità119 • Per crescere in questo tipo di conoscenza, che è quella vera, dobbiamo raccoglierci in noi stessi, nell'onestà delle opere, cioè in una vita moralmente retta, ascoltando quel che ci dice Dio che abita in noi. «Dio è verità[ ... ] è bontà[ ... ]. La verità e la bontà di Dio[ ... ] sono una sola cosa [... J che si esprime con una sola parola: santità. Dio non è la santità per essenza (... ] è quello che fa sante le anime; a Dio non si arriva che per via della santità; la santità è rettitudine di opere, è amore operoso» 120 , per cui la vera conoscenza corrìsponde alla santità, in quanto vita di Dio partecipata agli uomini e ad essa vi si arriva attraverso la vita interiore.

Questo grado sommo di conoscenza di Dio come e perché lo si può perdere? La risposta è implicita a ciò che nel corso di questo capitolo abbiamo affermato: l'uomo smarrisce la vera conoscenza di Dio o la rende inefficace in ordine al retto vivere, cioè alla vita moralmente retta, ed in ordine alla salvezza, qnando si allontana da se stesso, quando smarrisce le vie della sua interiorità, cioè con il peccato, quando non vive più in Dio 121 . «Il libro della Sapienza comincia col dire che bisogna cercar Dio con cuore semplice; che bisogna aver sentimenti retti rignardo a Lni, alla sna provvidenza, giustizia, sapienza, potenza [... ]. Perché trova Dio chi nol tenta; perché Dio si mostra a quelli che hanno fede in Lui[ ... ]. I pensieri malvagi separano da Dio [... ] perché la sapienza non entra in un'anima malevola né abita in un corpo schiavo del peccato [... ]1"Queste sono le caratteristiche che devono accompagnare colui che ricerca una vera conoscenza di Dio, perché determinati stati di vita ne impediscono l'accesso. L'uomo inoltre possiede le due grandi facoltà naturali, quella intellet119

Io., La santità nell'itinerario dell'anima in Dio, cit., 82. L.c. 121 Cfr. ibid., 76~77. 122 Jbid., 39. 120


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tiva e quella volitiva, che lo portano a cercare sempre il vero e il hene. Ci sono peccati che principalmente riguardano l'intelletto come, per esempio, la superbia, la quale oscura la mente impedendole nel suo processo di ricerca di pervenire a Dio o fa in modo che nel processo di azione si allontani da lui. Così pure ci sono peccati che riguardano principalmente la volontà come, per esempio, la malevolenza. Questi peccati privano la persona della sapienza, che è la virtù che ordina a Dio tutte le azioni, conferendole il gusto del divino, che corrisponde a quell'esperienza che dà un senso nuovo alla conoscenza di Dio. Chi vuole cercare e conoscere Dio deve osservare alcune condizioni indispensabili: avere un cuore semplice;

l'umiltà che è rettitudine, perché è conoscere la nostra limitatezza e la nostra assoluta dipendenza da Dio; lo stato di grazia, perché una volontà schiava del peccato non gusta Dio, non permette che vi entri la sapienza e quindi non si può avere conoscenza vera, né amore che perfezioni tale conoscenza 123 •

Conclusione Nell'uomo c'è qualcosa che suscita le ansie della ricerca di Dio, anche quando nessuno gliene ha mai parlato. Questa è una sensazione provata da tutti, è un'ansia che ha dimensione universale, perché l'uomo è razionale ed in quanto tale riflette sui fini della sua esistenza e della realtà circostante; anche se è tale, tuttavia l'uomo non è onniscente, anzi ignorante; consapevole di ciò, sente il bisogno di conoscere ed approfondire la sua pur sempre limitata conoscenza.

L'uomo è caratterizzato dal dinamismo finalistico-processuale, che è impegno di ricerca e di conoscenza intrinseca del bene assoluto e del fine ultimo: ciò è il presupposto necessario per la vera conoscenza di Dio, la quale si inserisce pienamente in questa prospettiva.

La conoscenza nell'uomo è progressiva ed ha diverse fasi: va dalla conoscenza per via di ragionamento, che è quella del perché, presente già nel bambino, oscura, dove è possibile avere errori, a quella per mezzo della realtà creata, per arrivare alla conoscenza per fede, la quale alle prime dona la luce della rivelazione e della grazia e determinazioni pre123

Cfr. ibid., 39-40.


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cise, cui la mente umana non può pervenire da sola; conferisce quella certezza che esclude ogni dubbio ed impedisce ogni errore e deviazione. È vero che questo cammino verso la conoscenza di Dio è graduale e nello stesso tempo ascendente, perché dal meno si passa al più, da una conoscenza oscura, imperfetta, ad un'altra sempre meno oscura ed imperfetta: tuttavia siamo sempre nell'ambito di una conoscenza di Dio inadeguata, in quanto Dio resta sempre il totalmente altro. La rivelazione e la grazia sono una garanzia per la conoscenza di Dio, perché forniscono certezza che all'uomo è impossibile avere, in quanto limitato. La vera conoscenza di Dio, quella che genera la conversione, non sfiora la mente, ma scende nel cuore e lo riempie di sé, permettendo all'uomo di fare esperienza reale di Dio; per pervenire a questo tipo di conoscenza occorre rientrare in se stessi. La sana filosofia ci insegna che a Dio ci porta la contingenza della realtà e principalmente quella dello stesso uomo: questa è la via dell'intelletto, della ragione ragionante; non è la sola, perché i nostri rapporti con Dio non sono di pura logica mentale, ma sono più complessi, più essenziali, più pratici che teo"retici, perché riguardano tutto il nostro essere e sono orientati al possesso pieno di Dio 124 . Per conoscere Dio l'uomo deve cercare non stando fuori di sé, così non lo troverà mai, ma scendere nelle profondità più riposte del suo essere, lì troverà Dio; egli lo si conosce tramite questa via, perché abita in lui e in lui si rivela, per cui la vita interiore è la via privilegiata per conoscere veramente Dio.

Se a Dio si arrivasse per lavoro dell'intelletto, la maggior parte degli uomini resterebbe nella più desolante ignoranza. «Ma Agostino [... ] nella prima pagina delle sue Confessioni dice la parola che deve animare tutta la sua sublime dottrina del processo che mena non alla conoscenza di Dio, puramente teoretica, che pura resterebbe sterile, ma alla conoscenza pratica che investe tutto l'uo1no per santificarlo e questa parola è la seguente ed è nota a tutti: Signore tu ci hai fatti per te, ed il nostro cuore non ha pace se non si posa in te» 125 • La ricerca dì Dio non è come le ricerche che si fanno per pura esigenza conoscitiva; infatti conoscere Dio non è sapere che Dio è Dio, ma sapere che l'uo1no non può prescindere da lui, che non può vivere bene 124 125

Cfr. ibid., 26. Ibid., 38.


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senza di lui, che non può conseguire il fine supremo della vita, senza compiere, per e con lui tutti i doveri della vita 126 •

II. LA VITA IN DIO

1. La vita in Dio e ciò che essa comporta nell'uomo Per mezzo delle sue pastorali, mons. Sturzo voleva far conoscere Dio ai suoi fedeli, non con procedimenti scientifici e teoretici, ma studiando e vivificando le vie battute dai santi, per arrivare alla meta: vivere in Dio, ri-

congiungersi a lui, fonte prima e causa principale dell'uomo; evitando del tutto il peccato ed agendo conformemente ai doni divini ricevuti. Che tutto ciò sia possibile nella realtà umana, ce lo conferma l'esperienza di tanti uomini che noi chiarnia1no santi; questi amano e conoscono Dio; vivono la loro esperienza umana ed esistenziale in lui, per cui tutto ciò

che sono, lo sono in Dio, le scelte morali che di volta in volta compiono, come anche tutto quello che operano, lo fanno in, per, con Dio. La vita dei santi è vita in Dio, i cui doveri, intesi con1e confor1nazione alla volontà di Dio, realizzazione della propria vocazione, sono vissuti come un sol dovere: quello per Dio. Quando abbiamo studiato il pensiero sturziano circa l'educazione, ci siamo resi conto che essa, vista nelle sue ragioni supreme, è tutta orientata ad ordinare e disciplinare le tendenze dell'uomo, in modo tale che il singolo che si giova di tale azione, sia reso disposto a compiere con facilità, amore e prontezza tutti i doveri della vita e particolarmente quelli del proprio stato, in ordine al suo fine intrinseco; che consiste nel concepire e

vivere la vita in Dio, fino al grado più alto che è la santità, intesa come amore totale ed assoluto verso Dio ed amore di Dio che si riversa gratuitamente ed abbondantemente sull'uomo. La stessa conversione è un atto fondamentale per l'uomo, che è chiamato e stimolato da Dio a vivere come creatura nuova e quindi a morire

al peccato e a mettersi sulla via della sequela di Cristo, che è la via della santità, della vita in Dio: questo ultimo aspetto è l'oggetto del seguente capitolo. Anche la conoscenza di Dio, nasce da quell'ansia presente nell'uomo 126

Cfr. I.e.


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di ricercare il perché, il fine e l'origine della propria vita e lo stesso Dio come proprio creatore e salvatore; essa non è semplice speculazione umana; ma consiste nel sapere che non possia1no fare a meno di Dio. Avere la conoscenza vera e piena di Dio corrisponde a scoprire che l'essere umano è stato creato per lui e vive bene quando vive in lui. Chi studia attentamente il fenomeno umano si accorge che l'uomo è determinato dal dinamismo finalistico-processuale che lo conduce verso il soprannaturale; la vita aspira ad una dimensione piena e completa in tutte le sue forme; ciò corrisponde a quello che mons. Sturzo individua con l'espressione: «vita in Dio». Chi sa leggere con attenzione queste costanti antropologiche è portato a ripetere le stesse espressioni di S. Agostino, che sintetizzano l'esperienza dell'uomo in cammino verso Dio: «Signore ci hai fatti per te, [... ] per arrivare a te e vivere eternamente con te; [... ] il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te» 127 • La vita in Dio, si può definire come vita d'amore; infatti chi accetta l'amore di Dio e corrisponde a tale amore e nella misura che per amore di Dio si spoglia dell'egoismo, gusta e vive in Dio. Essa consiste in una perenne ascesa verso Dio per le vie dell'amore che unisce sempre di più, a tal punto che l'uomo viene quasi divinizzato. Nel corso di questo capitolo esamineremo cosa è la vita in Dio, secondo il pensiero sturziano, come è partecipata all'uomo, guaii sono gli elementi che la caratterizzano, le sue conseguenze nella coscienza dell'uomo e i mezzi che la alimentano.

2. Cosa è la vita in Dio La riflessione sulla conoscenza di Dio porta con sé una verità fondamentale: Dio è creatore e noi siamo sue creature; quindi non siamo nostri, non ci appartenia1no, ma siamo di Dio, sua proprietà. Saremmo nostri se fossimo autosufficienti, se per vivere, durare nel tempo, prosperare, essere felici, non avessimo bisogno degli altri uomini né degli altri elementi della natura, se non avessimo bisogno di ogni altra realtà e non fossiamo figli di nessun padre e non contassimo gli anni della nostra vita, in quanto sarebbe l'eternità 128 • 127 A. AGOSTINO, Le 128 Cfr. M. STURZO,

confessioni, I, 1, Marietti, Torino 1953. La vita in Dio, cit., 86.


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Da ciò siamo condotti a scoprire ed identificare il legame stretto, esistenziale che c'è tra Dio e l'uomo. Tutte le creature durano naturalmente nel loro essere per l'azione conservatrice di Dio; inoltre gli uomini partecipano in modo più elevato di quest'azione divina, tanto da poter dire con le parole di Paolo, che vivono in Dio 129 • Ora«[ ... ] vivono veramente in Dio coloro che a Dio rivolgono il loro pensiero amoroso e riconoscente e ne traggono il nutrimento delle loro opere, cioè, che così vivono in Dio, da poter dire che vivono di Dio» 130 . La legge della relatività, mostra chiaramente che l'uomo vive bene la sua dipendenza da Dio solamente quando vive in, con e per Dio. Quando ciò si verifica non è più l'uomo che vive la sua vita soprannaturale, invece in lui vive lo stesso Dio, cioè c'è il mistero dell'inabitazione divina, avviene la divinizzazione dello stesso essere umano il quale, tuttavia, non

cessa di essere totalmente diverso da Dio, perché n9n perde la sua identità131.

«Che la vita umana si debba concepire come attività non separata da Dio, non indipendente da Lui, e che i nostri rapporti con Dio non si possono limitare ai soli atti di culto, non è solamente una legge del cristianesimo, ma anche[ ... ] di natura;[ ... ] che ci è nota non solo per la Rivelazione, ma anche per la ragione;[ ... ]. È una legge fondamentale, universale, essenziale, una di quelle leggi che si attuano per tutto e sempre e che solo possono essere non già ignorate, ma negate per degenerazione di pensiero» 132 . L'uomo dipende in tutto da Dio e non può fare a meno di lui che è continuamente presente nella sua vita; l'azione divina non si limita ai soli

atti soprannaturali, al solo campo della grazia, ma abbraccia tutta la vita, tanto che i cristiani«[ ... ] sanno che noi viviamo, ci n1uovia1no, siamo in Dio [... ] come insegnò S. Paolo, [... ] sanno che senza di Dio non possiamo far nulla[ ... ] come insegnò lo stesso Gesù Cristo[ ... ] che quel che dà la capacità di volere e fare, cominciare e compire è Dio, [... ] che sotto l'aspetto naturale, Dio interviene con la sua azione di concorso, cioè, in modo naturale, mentre sotto l'aspetto soprannaturale della vita, interviene con la sua azione di grazia, cioè, in 1nodo soprannaturale» 133 . 129

130 131 132 133

Cfr Gal 2 20 M . .S TURZO,' L.a vlla . tn . D.to, c1t., . 91 . Cfr. Io., l'educazione nelle sue ragioni suprnne, cit., 283. ID., Il giorno del Signore, Scuola Tipografica S. Giuseppe, Asti 1934, 8. lbid., IO.


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Mangiare, bere, lavorare, pregare, fare ogni altra azione sono atti di

religione, perché abbiamo il dovere di farli nell'ordine stabilito da Dio, per i fini voluti da lui per cui, in questo tipo di concezione antropologica, la religione diventa totalizzante, infatti i rapporti con Dio non si possono limitare solamente agli atti di culto, perché non sono formule vuote, ma sono la stessa vita.

«Dio poteva non creare l'uomo, ma, creandolo, non poteva crearlo fuori di quest'ordine, perché non poteva crearlo indipendente da sé. Il quale ordine è tanto inerente alla ragione, è tanto essenziale che non fu ignorato dai pagani( ... ]. Ai cristiani Dio ne ha dato il comando( ... ] è un atto di paterno amore, è come una riconsacrazione della natura, una dichiarazione, una conferma, un dono della grazia» 134 . L'uomo mostra di conoscersi poco e male quando crede che senza un

continuo riferirsi a Dio, che non è di tipo spirituale o solamente intellettivo, ma esistenziale, può vivere bene. Perché ciò sia possibile è necessario avere la fede, la carità, ma soprattutto che i suoi rapporti con Dio diventino vita della sua stessa vita 135 . Perché l'uomo pervenga a queste riflessioni è necessaria la rivelazione

divina, la quale mette in risalto lo stretto legame esistenziale presente tra Dio e lui. Il mondo pagano era consapevole di queta grande verità, cioè che tutto è da Dio e di Dio e che senza di lui non c'è né l'essere né il durare né il prosperare; non seppe che la vita in Dio consiste nell'attuare nell'uomo la santità stessa di Dio, che è la vita in Dio, quanto più gli è possibile; non comprese che la santità di Dio in lui si attua per mezzo della ragione, la quale è come un raggio della divinità che splende e si realizza operando in conformità con i suoi giudizi. Quindi la ragione ha un ruolo importante nella vita dell'uomo, orientata finalisticamente a vivere in Dio; infatti, anche se non perviene alla conoscenza di Dio per la fede, tuttavia una vita retta, cioè moralmente onesta,

che opera secondo i dettami della ragione, conduce a vivere in Dio 136 • Questa è una legge insita nel suo cuore che non può venir meno, soltanto occorre rientrare in se stesso con cuore retto, cioè essere uomo interiore137. 134 135 136 137

Ibid., 13. Cfr. ibid., 14. Io., La santitJ nell'itinerario dell'anima in Dio, cit., 44. Cfr. ibid., 43-45.


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Ai pagani, in verità, mancava la cognizione di Dio, per cui posero in Dio gli istinti disordinati dell'uomo e credettero di attuare in loro la vita di Dio, attuando quel che in Dio essi avevano posto. Soltanto con la predicazione del vangelo si fece un po' di chiarezza per quanto riguarda la conoscenza di Dio e il rapporto inscindibile ed esistenziale con lui. Con la testimonianza coerente dei primi cristiani, il mondo pagano, che non aveva ancora un'adeguata conoscenza della vita in Dio, comprese che era avvenuta nel mondo una profonda rinnova-

zione, grazie ad una particolare manifestazione divina: infatti la vita, le opere e soprattutto il martirio affrontato con gioia dai cristiani furono compresi come elementi espressivi della vita in Dio, e diedero maggiore efficacia alla predicazione stessa del vangelo 138 • Chiediamoci adesso qual è il rapporto tra la vita in Dio e quella naturale dell'uomo. Il presule parla di una morte nella vita e di una vita nella stessa vita: infatti «Nessuno mai esisterà indipendentemente da Dio. Indipendentemente da Dio non c'è la morte, ma il nulla. Pure chi non vive di Dio, benché in realtà viva, è morto[ ... ]. Questa è la morte nella vita. Chi invece vive in Dio e di Dio, non solo ha la vita di natura, ma anche la vita di grazia, cioè ha la vita nella stessa vita» 139 .

Alla luce di queste considerazioni possiamo affermare che, per mons. Mario, la vita vissuta in unione intima e profonda con Dio dà un tono

qualitativamente diverso alla vita naturale, tanto che non vivere di Dio e con Dio corrisponde al permanere in una situazione spirituale di morte nella stessa vita naturale, per cui anche se l'uomo fisicamente vive, svolge

pienamente ed attivamente tutte le sue funzioni fisico-biologiche, tuttavia a lui manca la dimensione più importante che qualifica tutte le altre, la vita in Dio, per cui si può considerare morto. La vita in intima unione

con Dio, che è la vita di grazia, corrisponde alla pienezza di vita dell'uomo, «alla vita nella stessa vita», secondo l'espressione sturziana.

Gesù Cristo espresse chiaramente questo concetto quando affermò che venne «affinché gli uomini abbiano la vita e l'abbiano in abbon• danza» (Gv 10,10). Per mons. Mario se il Signore afferma che è venuto per dare la vita, vuol dire che gli uomini, Pur essendo vivi, non avevano la vita di cui parla Gesù. 138 139

Cfr. Io., La vita in Dio, cit., 89-90. Ibid., 91.


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Anche S. Paolo, in 2Cor 5,17, spiegando questo grande mistero afferma che chiunque è in Gesù Cristo è una nuova creatura, perché il vecchio uomo dell'ignoranza, dell'errore, della colpa, che è la morte nella vita, è passato e tutto è stato rifatto nuovamente, per cui la vita in Dio corrisponde alla vita nuova donataci da Cristo. Del mistero della nuova creazione parla abbondantemente il Nuovo Testamento. Tutto questo è il ve/era transierunt affermato .chiaramente da S. Paolo: Dio, purificando, rigenera con la sua grazia; corrisponde anche al novafacio omnia del libro dell'Apocalisse e l'ecce /acta sunt omnia nova della 2Corinzi, dove non soltanto si ·annunzia una promessa, ma si constata un fatto, che è la presenza vera e reale della nuova creazione come 1nisteriosa partecipazione all'uomo della stessa natura divina, infatti la 2Pt 1,4 insegna proprio questo quando afferma esplicitamente che Dio creò l'uomo divinae consortes naturae140 . Possiamo affermare che, secondo mons. Sturzo, l'uomo per avere la vita umana nella sua pienezza è necessario che abbia non solo la vita fisica, ma anche quella di grazia; di quest'ultima non ne può fare a meno, perché è indispensabile per vivere da uomo, cioè da creatura chiamata a rapportarsi continuamente con Dio. Avere la vita di grazia, vuol dire avere una vita qualitativamente diversa, infatti la grazia inerisce alla realtà umana, tanto da formare una sola cosa con essa, con la conseguenza di elevare fino al grado della divinizzazione la stessa condizione umana; per cui possedere la vita di grazia corrisponde a vivere la vita umana nella sua pienezza, dato che l'uomo fu fatto per vivere sempre in Dio. Abbiamo abbondantemente parlato della vita in Dio così come la intende mons. Mario, ma ora esatniniamo attentamente in che cosa consiste: «[ ... ] vivere in Dio vuol dire far che Dio regni in noi» 141 . Vivere in Dio corrisponde non soltanto a riconoscere Dio come creatore, principio e fine del proprio essere, ma è qualche cosa che va oltre la dimensione intellettuale, equivale a ricevere la vita di Dio, come dono partecipato all'uomo; infatti è misteriosa partecipazione all'uomo della sua stessa realtà e natura 142 . 14

° Cfr. ibid., 92-93; per le citazioni bibliche: cfr. 2Cor 5,17; Ap 21,5.

141

142

Io., l 'educt1zione nelle sue ragioni supreme, cit., 224. Cfr. Io., La vita in Dio, cit., 92-93.


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La vita in Dio è comunione piena dell'uomo con Dio, in modo tale che Dio possa regnare in lui, vi possa avere la sua dimora: questo stato di vita mons. Mario lo definisce mistero della inabitazione divina, processo di divinizzazione, di trasumanazione. Quando si verificano queste condizioni, l'uomo vive in se stesso, come creatura nuova, trasformata, resa cristiforme e divinizzata, pur non cessando di essere creatura e non identificandosi mai con Dio, che rimane sempre il totalmente altro. «Vivere in noi vuol dire portarci con noi stessi come Dio vuole che ci portiamo [... ] come re, perché re veramente ci ha fatti, re del regno delle anime nostre» 143 • Quando accadono queste condizioni in modo tale che l'essere umano possa sentirsi e vivere in Dio? «Noi viviamo in Dio veramente quando la nostra fede è profonda, il nostro an1ore ardente, purificante, separante, trasformante, consumante, la nostra orazione assidua, la nostra mortificazione totale» 144 • Da queste brevi espressioni possiamo dedurre che la vita in Dio è caratterizzata dalla presenza incisiva della fede, della preghiera e dell'amore vero che trasforma rendendo attivi ed operosi. Questo tipo di vita è quella vera che è possibile realizzare perché viviamo in noi. Chiediamoci adesso: cosa è la vita in noi e quando viviamo in noi? Quando abbiamo coscienza dei nostri rapporti supremi ed essenziali ed operiamo nell'ordine dei medesimi: questi sono i rapporti che ci legano a Dio in modo esistenziale. La vita in Dio ha delle conseguenze nelle scelte morali della persona e presuppone la fede e l'amore; infatti vive in Dio chi è ricco di questi due elementi, tanto da compiere tutti i suoi doveri diligentemente, prontamente, costante1nente ed amorosamente. Tutto ciò significa che la fede viva e l'amore profondo rendono così forti le attrattive del bene, che la persona quasi non sente più gli stimoli che la spingono al male. La luce del Verbo illumina pienamente l'uomo, quando Dio abita in lui, che per questa inabitazione e illuminazione, l'uomo è portato a volere solamente il bene e ad evitare il male con tutte le sue forze. «Proprio perché la vera luce è vera forza. È vera forza perché purifica e perché accende e fa divampare l'amore[ ... ]. La fede purifica[ ... ] perché 143

144

Io., L 'educaz;one nelle sue rag;on; supreme, cit., 224. !bi"d., 224.


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è la luce soprannaturale che ci fa conoscere, con la certezza che viene dall'autorità di Dio, le supreme verità( ... ]. La purificazione si compie dall'amore. L'anima più crede, più si distacca dalla vanità e dalla menzogna, più crede, più ama la verità, più ama Dio [ ... ]» 145 • Questo significa vivere in Dio e in noi; Dio regna nell'uomo per la luce e per la verità, perché è la vera luce e l'assoluta verità. Per il vescovo siciliano, la persona quando perviene alla purificazione, che corrisponde allo stato di conversione, giunge conseguente-

mente a quello di illuminazione della santità, che è la più stretta unione con Dio consentita alla vita presente: allora essa regna veramente, perché ha la vera scienza del hene per pienamente volerlo e del male per pienamente evitarlo 146 .

Il volere è intero e forte quando sono superati tutti gli influssi di rapporti contrastanti e la volontà si muove per motivi eterni, quando si vive per, con ed in Dio: quando si perviene a questo stadio, si è nella santità,

perché qui è il massimo di forza ed interezza alla quale la creatura umana possa pervenire 147 . Possiamo levarci sopra noi stessi, perché possiamo giungere a Dio e

vivere in lui in perfetta conformità alla sua volontà, che poi equivale all'espressione più alta della santità; ma quando, corrispondendo con fedeltà vera alla grazia, Dio ci offre la possibilità dell'unione perfetta con lui, noi mentre per un verso ci leviamo sopra di noi, per un altro scendiamo nelle più riposte profondità del nostro essere, cioè entriamo nel nostro vero noi, nel suo dominio pieno. Quando siamo arrivati a vivere davvero in Dio, in perfetta confor-

mità alla sua volontà, allora vogliamo ciò che vuole Dio, siamo la nuova creatura di cui parla Paolo 148 •

2. La partecipazione dell'uomo alla vita in Dio Secondo il pensiero sturziano l'uomo partecipa alla vita in Dio; «Noi, ci pensia1no o no, lo crediamo e lo neghiamo, lo vogliamo o non lo vogliamo, viviamo in Dio [... ]» 149 . 145 146 147 148 149

Ibid 226 Cfr .. ,ibid.,· 224-226. Cfr. ibid., 248. !bid., 256; per le citazioni paoline: cfr. Ef 4,20-25; Col 3,9-10; Rin 13,14; Ef2,15. Ibid., 93.


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Questo è un mistero fondamentale della fede, che la rivelazione ci dà la possibilità di conoscere; At 17,28 così afferma: «in Lui infatti viviamo e ci muoviamo ed esistiamo». La vita divina partecipata agli uomini ri-

chiede un atteggiamento fondamentale dell'uomo che è la corrispondenza. La vita naturale non ci darà la possibilità della salvezza, perché questa vita l'abbiamo in comune con tutti gli altri esseri animati ed inanimati

ed anche perché questa condizione è ciò che è stato voluto, creato e donato all'uomo da parte di Dio; a questi non è stata richiesta nessuna forma di intervento personale. Gli altri esseri ricevono da Dio l'essere e il durare, ma sono incapaci di avere atteggiamenti di risposta verso ciò che

opera Dio; solamente gli uomini hanno questa capacità. «Noi non siamo pietre o piante o animali bruti, i quali essendo privi di senso e di conoscenza intellettiva, non sono capaci che di ricevere da

Dio l'essere e il durare e l'armonia dell'uno e dell'altro, senza nulla da parte loro, come riconoscenza e amore, poter dare a Dio in contraccam-

bio. Solamente noi tra le creature di questo mondo visibile[ ... ] siamo capaci di conoscenza vera e di corrispondenza di pensieri e di affetti; [... ] di dare a Dio qualche cosa del nostro. Or proprio in questa corrispondenza di pensieri e di affetti, consiste il vivere in Dio, per Dio, di Dio, che è la nuova creazione fatta da Gesù Cristo, e noi ne siamo capaci, perché Gesù Cristo ce ne ha dato la capacità con la grazia» 150 •

La vita in Dio consiste in questo tipo di corrispondenza e di partecipazione dell'uomo all'opera divina, che equivale alla nuova creazione operata da Dio stesso ed offerta agli uomini tramite l'opera redentiva di Gesù Cristo, per mezzo del quale gli uomini sono resi capaci, perché la grazia che il Salvatore conferisce è un validissimo aiuto all'incapacità u1nana. Senza la grazia ci sarebbe soltanto la ragione che con le sole sue forze, potrebbe dare a Dio una corrispondenza puramente naturale che, dato l'ordinamento divino, da sé non basterebbe a schiudere la via verso la salvezza, ma soltanto potrebbe, come avviene per i pagani, disporre l'uomo a conseguire la fede e la grazia, da cui deriva la nuova vita. La fede e la grazia sono doni divini, offerti agli uomini, perché siano in grado di vivere non più solamente secondo la pura natura, ma secondo la natura rigenerata, purificata, resa cosa nuova, come una nuova creazione. ISO

lbid., 93-94.


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«Noi viviamo di Dio come il fiore vive del sole, schiudendo il suo calice ai raggi della luce. Or il calice del nostro essere, che dalla S. Scrittura è anche paragonato al fiore, è appunto il nostro pensiero, per cui conosciamo, e, conoscendo, comunichiamo con Dio; [... ] come esseri spirituali cui conoscendo amiamo, giacché non c'è amore che non si attui per

la conoscenza. La quale conoscenza solo allora suscita l'amore e con l'amore le opere e con le opere la santificazione, quando non è come le in-

dagini scientifiche che mirano solamente al vero, ma come le ansie della vita, che cercano il vero pel bene, [... ]per amarlo, per possederlo [... ],, 151 ; un possesso orientato alla vita concreta, in modo tale che l'uomo possa vivere come è suo dovere e compiere tutte quelle scelte morali inerenti al proprio stato. Possiamo dire che la vita in Dio, come partecipazione della vita stessa di Dio all'uomo, dato che è un dono, esige un determinato atteggiamento nell'uomo, cioè domanda la fedele corrispondenza da parte di colui che ne ha il beneficio. Questa disposizione quando è viva e reale, è una garanzia e quindi si può essere certi che l'uomo vive in quella condizione ideale ed indispensabile per pervenire alla salvezza. La vita che Dio partecipa non aliena dai doveri della realtà quotidiana, anzi rende l'uomo più consapevole; né i doveri della vita presente sono contrari ai suoi rapporti con Dio,«[ ... ) ma sono anch'essi attuazione

di questi rapporti, quando sono osservati, perché così la ragione ci suggerisce, essendo anche da Dio l'ordine della vita presente, anzi volendo Dio che noi l'amiamo in sé, perché egli è il nostro Dio, e nelle creature, perché sono le creature di Dio, ed in tutti gli atti della nostra vita, perché è la vita che ha fatto Dio, [... ] che ci conserva e governa, in cui [... ] è presente, del cui ordine è glorificato» 152 • Chi vive dimentico di Dio non potrà compiere bene tutti i suoi doveri, perché dove non c'è il pensiero di Dio e dove non si fa esperienza della sua realtà che è l'amore, si vive nell'egoismo e conseguentemente ci si trova in quella situazione di morte nella stessa vita, di cui abbiamo già dato qualche accenno. Quello che noi non possiamo fare con le sole nostre forze, lo fa in e per noi Dio, soltanto che desidera la nostra cooperazione, la nostra corri-

spondenza. Dio opera instancabilmente a nostro favore fino ad attirarci a 151

152

!bid 94 ID., "L a v!la . . tn . D.10, c1t., . 95 .


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se m modo irresistibile, cioè fino alla follia, che è santità vera 1s3 • La vita interiore, come vita in Dio, non sempre è capita bene o considerata nei suoi vari aspetti; uno degli errori più funesti al retto vivere, anche considerato nel suo aspetto sociale, è credere che essa sia come un tutto a sé stante, estrinseco alla stessa vita. Tale errore si risolve in un concetto puramente razionalistico della vita, tanto da concepirla indipendentemente da Dio e, peggio, concepire Dio come la stessa vita 154 . «Intanto è bene avvertire che l'uomo non ha propriamente due vite, l'una interiore, esteriore l'altra, perché la persona non è dualità, ma unità. Le due vite sono due aspetti dell'unica vita e due modi di considerare la vita [... ]» 155 , per cui l'uomo vive una sola vita con due dimensioni essenziali diverse, tanto che la vita dell'uomo non può che essere vita interiore; questa è una qualità necessaria non soltanto in vista del conseguimento del fine ultimo, che è la salvezza, ma anche per la vita morale, perché orienta le scelte morali che i singoli sono chiamati a compiere. La vita di Dio all'uomo è partecipata gradualmente; infatti è un cammino che ha come termine ultimo il vivere piena1nente in lui, per cui la vita di preparazione al possesso pieno di Dio, va dal primo atto di ragione, per mezzo del quale l'uomo acquista la prima conoscenza di Dio, che è razionale, al primo atto di fede, che è l'inizio della conoscenza di Dio, di carattere diverso rispetto alla precedente, in quanto quest'ultimo è soprarazionale. Questa vita di preparazione alla unione piena con Dif?,. non coinvolge solo la capacità conoscitiva della vita umana, ma anche l'aspetto affettivo, per cui dal primo atto d'amore sotto l'influsso della grazia, che corrisponde al primo atto di vita soprannaturale, si va verso l'ultimo atto d'a-!J1ore, che chiude la vita presente, for1na.ta contemporaneamente, in una di1nensione sintetica, di natura e di grazia;,si passa dal possesso di Dio per conoscenza, a quello per l'amore; dal nutrirsi di Dio con il pensiero caratterizzato dall'amore, al nutrirsi di Gesù Cristo, Uomo-Dio, attraverso la vita sacramentale della Chiesa. Questo cammino verso la comunione piena con Dio, che è il raggiungimento della vita in Dio, è un itinerario graduale ma progressivo, perché si passa dal meno al più, è un nascere, un crescere, un perfezio153 Cfr. Io., La vita della salute. Lettera pastorale per la Qjtaresùna del 1934, Tipografia Zuccarello e lzzi, Catania 1934, 12-14. 154 Cfr. ibid., 25-26. 155 Cfr. ibid., 29-30.


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narsi, un vivere di Dio, un morire in lui, per vivere in lui eternarnente 156 • Ancora una volta dobbiamo affermare che la vita in Dio è un dono partecipato all'uomo, il quale in ordine alla grazia, non potrebbe nulla senza l'azione di Gesù Cristo, senza l'incorporazione a lui e il vivere in lui. Quando possiede questa unione, che è opera di Dio, compiuta per mezzo della fede, della carità, della grazia, l'uomo diventa fattore attivo nell'opera della sua santificazione; avverte l'obbligo di cooperare all'azione di Gesù Cristo, in 1nodo tale che si viene a creare questa dinamica: Cristo opera in lui e l'uomo accoglie la sua azione trasformante e vi collabora 157 • Noi tutti siamo limitati rispetto a Dio, il quale nella vita soprannaturale opera un miracolo grande: l'incorporazione a Cristo che è, per la fede, l'inizio della vita eterna, per la carità è l'animazione di questo inizio, per la vita liturgica, al cui apice sta l'Eucaristia, è il suo perfezionamento. «Di maniera che quando noi viviamo in grazia e osserviamo tutti i nostri doveri in ordine al soprannaturale, veramente in noi vive la vita soprannaturale, Gesù Cristo; la quale vita ha gradi, il supremo dei quali è l'apice della santità. Ma dall'infimo al massimo grado, quello che vive in noi e che al cospetto del Padre, Dio d'infinita grandezza, ci dà il vero merito, vuol dire il merito di valore infinito, è Gesù Cristo. E perciò possiamo dire [... ] che Dio non premia che la vita di Gesù Cristo in noi» 158 • La vita in Dio e la nostra incorporazione al mistero di Gesù Cristo vengono ostacolati dal peccato, dall'egoismo. «La vita cristiana è la via della carità... ed è vita soprannaturale; l'egoismo è l'amore disordinato di noi stessi che ci fa seguire le esigenze del piacere in opposizione all'osservanza dei doveri. È la vita in cui l'uomo si chiude in se stesso e si fa centro a se stesso, quasi come se fosse un Dio, in opposizione al vero ordine, che è l'ordine della carità [... ]»m Gesù Cristo non vive in noi e noi in lui quando si realizza questa situazione, ma quando ci cerchiamo in lui e moriamo all'uomo vecchio, quello dell'egoismo, per vivere al nuovo che pensa, vuole, ed opera in Gesù Cristo, cioè quando non siamo noi che viviamo, ma Cristo vive in noi. Questa fondamentale verità Cristo la illustrò nella similitudine della vite e del tralcio, secondo la descrizione di Gv 15,1-11 160 • 156

Cfr. ibid., 114. Cfr. Io., La vocazione, cit., 250. 158 lbid 251 "' 1b1/ 2si-2s3 16 Cfr .. ,ibid., 253: 157

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Ora Dio chiama tutti a vivere la propria vita in lui; questa corrisponde ad una vocazione che ha una dimensione universale, cioè è co-

mune a tutti gli uomini, non dipende da noi, non ha ragione di scelta, né vi si può rinunciare o mancare di corri~pondere senza mettere in pericolo

il proprio destino. Questa vocazione, che corrisponde al vivere in Dio, è la ragione della vita e della stessa creazione; infatti tutto il creato è soggetto a Dio ed è a lui ordinato. Ogni essere che esiste sulla terra è stato creato da Dio e realmente vive perché Dio con la sua azione conservatrice gli permette di esistere e quindi vive in Dio. Le modalità di questo rapportarsi con lui tra le realtà create sono diverse; infatti per gli uomini che hanno la ragione, la dipendenza è più elevata e perfetta: è di ordine morale 161 • «L'uomo deve vivere in Dio e per Dio, e per ciò deve vivere ordinatamente, evitare il male, fare il bene. Questo è il suo supremo dovere nel quale si risolvono tutti gli altri; e questa dev'essere la sua vita, e per questa via[ ... ] deve arrivare al fine della stessa vita che è, né può essere altro, che lo stesso Dio[ ... ]. Poteva Dio darci altra destinazione fuori di sé? Poteva bensì darci per ultimo fine un possesso di sé meno immediato e meno perfetto, ma non poteva darci altro fine perché non poteva separarci da sé [... ]. E noi tanto meglio viviamo quanto più abbiamo consapevolezza amorosa di questa felice dipendenza da Dio, di questa beata condizione della nostra vita che è vita, perché in ogni istante riceve l'azione vivificatrice del nostro amoroso Creatore» 162 . La vita umana è un'arcana partecipazione della stessa vita di Dio, non in modo panteistico, ma in senso di essenziale dipendenza. Sicché la nostra vera vita non siamo noi, ma Dio che senza essere noi, vive in noi e noi in lui. Raggiungiamo la pienezza della nostra vita solamente quando Dio vive in noi. Tuttavia questa vita, che è opera esclusiva di Dio, è orientata ad un compimento sen1pre più perfetto e totale, che è iniziato su questa terra, ma che avrà il suo coronamento nella dimensione escatologica, cioè nella vita eterna. La vita in Dio nell'uomo ha questa dinamica reale, è in continua tensione; così afferma mons. Sturzo:«[ ... ] noi avremo raggiunto la pienezza 161 162

Cfr. ID., L'educazione nelle sue ragioni supreine, cit., 57-58; 83-84. lbid.. 84.


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della nostra vita solamente quando Dio nel cielo vivrà in noi e noi in Lui in quel modo che, come dice S. Paolo, lingua umana non può dire, e che conosceremo, quanto a creatura è possibile, allorché la luce della divina sapienza ci si rivelerà nella gloria del Paradiso» 163 •

3. L'elemento fondamentale della vita in Dio: la santita

La vita in Dio ha come elemento essenziale e caratterizzante la santità. Chiediamoci pure: cosa intende mons. Sturzo quando, continuamente nelle sue lettere, parla di santità? A questo tema dedica la pastorale: La santita nell'itinerario dell'anima in Dio, pubblicata nel 1935. Il concetto di santità ricorre insistentemente nelle sue pastorali;«[ ... ] Dio è la santità per essenza; [... ] è quello che fa sante le anime; a Dio non si arriva che per via della san.tità; che è rettitudine di opere, è amore operoso [... ].Ma la santità non è nelle pure opere esteriori[ ... ] è interiorità, ordine della coscienza che si manifesta nell'ordine delle opere, [... ] quando ha Dio per principio e per fine, quando tutte le opere sono fatte come compimento di un unico dovere: quello verso Dio» 164 . In questa prospettiva la santità corrisponde alla realtà stessa di Dio partecipata all'uomo ed è anche la condizione indispensabile per pervenire a lui. La santità non è qualcosa di astratto, anzi incide profondamente nella vita dell'uomo quando è presente, ed è l'elemento principale della vìta in Dio. Chi comincia a rendere ordinata interiormente la coscienza ed esteriormente ordinate le opere come sua espressione, comincia a vivere per Dio, fa i primi passi sulla via della santità: ecco quali sono le condizioni necessarie per pervenire allo stato della santità, che corrisponde a vivere in Dio. Innanzitutto è indispensabile un continuo ascolto di Dio che parla al nostro cuore, perché le varie attività umane devono avere come principio e come fine Dio stesso; poi diventa pure necessario un ordinamento morale della stessa vita umana, che si esprime in diversi modi 165 • 163 164 165

L.c. La santità nell'itinerario dell'anima in Dio, cit., 82. Cfr. ibid., 81-82. ID.,


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La santità non è una nuova natura che si aggiunge o sostituisce quella u1nana, così come non è soltanto sforzo dell'uomo, o sua conquista, anche se precedentemente abbiamo affermato che presuppone l'ordinamento della vita morale dell'uomo. Dio interviene nella realtà dell'uomo e per mezzo della sua grazia gli conferisce questa nuova condizione esistenziale. «[ ... ] Gesù Cristo non venne per annullare la natura e creare una nuova umanità, ma (... ] per redimere l'umanità decaduta per la originaria colpa (... ] l'azione divina nella Chiesa non è un puro surrogato alla umana attività, non è una sostituzione, ma una collaborazione( ... ]. Tale azione non modifica la natura umana [... ] è un intervento intrinseco alla natura [... ]. Allo stesso modo la grazia è un intervento divino che dà all'uomo la santità non come una nuova natura, ma come un concorso soprannaturale che dà alla natura nuove forze [... ]per le quali l'uomo è reso capace di santificarsi. Dio santifica l'uomo come primo principio di santificazione; l'uomo, corrispondendo alla grazia, santifica se stesso come secondo principio; allo stesso modo che fa il bene ed evita il male come natura»166.

Troviamo una certa analogia tra il cammino di conversione e quello della santità, sia perché il primo ha quale sua naturale meta e sbocco la santità e quindi ambedue sono in un reciproco rapporto, ma anche perché come la conversione è opera di Dio che chiama l'uomo a cambiare vita, così la santità è dono che scaturisce dal mistero di Dio ed esige anche la corrispondenza umana. «Studiare la santità è studiare la più sublime e (... ] efficace manifestazione di Dio [... ].Qui non ci sono voci negative, ma solo positive [... ]. Sono umane perché sono le azioni del santo che è uomo; sono tali perché l'uomo si è disposto con un lavoro generoso e diuturno di purificazione. Ma non sono solo umane, né son tutte dall'uomo; e sono divine perché comportano un particolare intervento della divinità, perché son frutto della grazia che è divina[ ... ]. Sono dunque umane e divine, immanenti e trascendenti, presuppongono necessariamente due fattori, due autori: Dio e l'uomo (... ]» 167 • Nel cammino della santità dunque si fa esperienza di Dio e della sua azione, nel senso che l'uomo sente in sé la sua presenza e si rende conto 166 Ibid., 90-91. Ibid., 99-100.

167


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che non è più il soggetto che agisce, ma in lui opera e vive Dio. Ecco perché la santità è uno degli elementi più importanti e fondamentali della vita in Dio; il soggetto certamente rimane quello che è, non perde la sua identità di uomo. Lo stato di santità comporta quello della purificazione etica, è cioè perfezione e vita di puro amore elevata ai gradi più alti dello spogliamento di sé, fino ad arrivare al grado sommo dell'amore, con il solo palpito per Dio, che non esclude l'amore fraterno, anzi lo esige e perfeziona. L'essenza della santità è la totalità dell'ordine morale e religioso nella pienezza della sua esterna 1nanifestazione che sono le opere 168 . Come abbiamo già affermato, con la santità si fa esperienza di Dio: la persona umana si sente toccata da Dio e sente se stessa come se toccasse veramente Dio, avverte che è immersa in Dio.

Queste espressioni sono tipiche del vocabolario sturziano; evidentemente sono usate per indicare l'intimo rapporto che si viene a creare tra Dio e l'uomo nello stato santità: una comunione piena che non esclu-

ai

de la differente identità; anche se l'uomo vive in Dio, non è un altro Dio, ma resta sempre uomo che vive la vita stessa che Dio gli partecipa. Per mezzo della fede che si concretizza nelle opere e della carità che è una virtù attiva ed operante, nello stato di santità, la persona viene elevata dal mondo dell'umano a quello del divino, in essa inizia il processo graduale di trasumanazione, divinizzazione, che si compirà definitivamente nella realtà futura 169 . Per comprendere e studiare la santità è necessario mettersi per le sue vie, come fatto mistico nelle sue manifestazioni storiche, così si perviene pure alla conoscenza e all'unione con Dio. La ricerca di Dio va fatta attra-

verso l'ascolto di tutte le voci che ci parlano di lui, ci spingono verso di lui per la via della santità. In questo processo di attenta lettura della realtà e di introspezione di sé, l'uomo trova non solo Dio, 1na anche se stesso, per trovarvi Dio 170 •

Come più volte abbiamo detto parlando della conoscenza di Dio, l'uomo trova se stesso quando conosce la sua origine ed il suo fine, cioè

quando conosce Dio: questa è una conoscenza piena quando ordina la sua vita a Dio, per cui possia1no dire che la vera conoscenza di sé l'uo1no 168

Cfr. ibid., 98-99. 169 Cfr. ibid., 103-105. 17 Cfr. ibid., 106-108.

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la trova solamente in Dio; il suo vero dominio che 'conduce ad una vita morale ordinata, l'uomo lo possiede in Dio; così come la propria santificazione non può né iniziarla né attuarla che in, per e con Dio. «Questo di cui parlo [... ] è quasi mistero [... ]che si illumina di luce meridiana per chi rientrando in se stesso, ivi cerca, ivi trova Dio, perché ivi trova anche se stesso. Tutto il mistero della conversione, della santificazione, della salvazione è contenuto in quelle parole che Dio nelle Scritture rivolge ai peccatori: Redite praevaricatores ad cor, che significano: Cercatemi in voi stessi [... ]» 171 . L'atteggiamento opposto che contrasta e vanifica la vita in Dio, che è vita di santità, è il peccato: chi pecca non vive in Dio e neanche con se stesso, anzi si estranea sia da Dio che da sé. Tuttavia, poiché l'uomo dipende da Dio, sa per ragione, ma principalmente per fede, che è e vive sempre in Dio, anche quando per sua disavventura commette il peccato, perché Dio con la sua grazia lo libera da questo stato di morte; infatti il peccato non può condizionare o intralciare il disegno salvifico di Dio e la sua volontà di conferire all'uomo, così com'è, la sua stessa vita 172 • Ogni volta che ci lasciamo condurre dal nostro egoismo siamo o fuori di noi o alla superficie del nostro essere; mentre siamo in noi quando volgiamo la mente ed il cuore a ciò che è ordinato all'eternità. Ecco perché la vita interiore è vita essenziale, nel senso che è quella che si svolge in rapporto a ciò che è veramente essenziale e che corrisponde alla sua piena attuazione e integrazione nel conseguimento del vero fine che è Dio. Tutto questo ha delle implicanze positive nei rapporti con noi stessi e con gli altri; infatti«[ ... ] con l'attenuarsi di questa intimità si attenua anche l'amore e prende il suo posto l'egoismo. Di qui ogni disordine, ogni peccato e tutti i mali che fanno misera la vita [... ]•P 3 , Quando si realizzano queste condizioni, siamo veramente e pienamente uon1ini, perché l'umanità esiste nella sua pienezza solamente quando viviamo in unione di spirito, di fede, di amore con Dio 174 , Secondo il pensiero di mons. Sturzo, la santità che è un elemento molto importante della vita in Dio, è un dono di Dio e corrisponde ad 171

Ibid., 108-109. Cfr. Io., L'educazione nelle sue ragioni supreme, cit., 225; vd. Io., La pastorale collettiva de;,,li Arcivescovi e Vescovi di Sicilia, Scuola Tipografica S. Giuseppe, Asti 1935, 34. 1 3 Io., La pastorale collettiva degli Arcivescovi e Ve.1covi di Sicilia, cit., 73-75. 174 Cfr. ibid., 76-77. 172


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una sua chiamata, che interpella l'uomo nella sua realtà; quando gli uomini rispondono generosamente all'invito che Cristo rivolge, allora si mettono sicuramente per la via della santità vera, in essa progrediscono ed arrivano fino alle più alte cime. Non si bada più alle difficoltà del cammino, alle ripugnanze della natura, alle fatiche dell'ascesa, perché si è sicuri che è lo Spirito Santo, con l'efficacia dei suoi doni, che conduce e guida l'uomo 175 .

4. Conseguenze della vita in Dio nella coscienza Gli uomini sono chiamati da Dio a vivere in e per lui; non si può vivere in Dio senza vivere in se stessi; Dio infatti lo troviamo in noi; tutto ciò corrisponde alla vita interiore, che è l'essenza della vita cristiana, condizione indispensabile della santità, quale elemento fondamentale della vita in Dio e supremo dovere di tutti i cristiani. Così afferma mons. Mario: «[ ... ] dove troviamo Dio se non in noi stessi, nell'interno del nostro essere, nella parte più profonda del nostro spirito' Il Regno di Dio è dentro di voi, non fuori, dice il Vangelo [... ]. Ma che cosa è il Regno di Dio, se non è lo stesso Dio in quan.to regna in noi? E come regna in noi se non è nell'interno del nostro essere? Ma se noi stian10 fuor di casa con la vita superficiale ed esteriore, che cosa sappiamo di ciò che avviene dentro la nostra casa che è il nostro interno? Dio è in noi, anche quando siamo fuori di noi» 176 . Ed ancora: «La vita interiore è necessaria pel conseguimento del fine ultimo, perché genera la sanità spirituale che è condizione necessaria per entrare dove solo la sanità spirituale ha luogo. Ma è anche necessaria perché la vita terrena scorra ordinata, nel compimento dei doveri inerenti alla medesima. La sanità spirituale è religione, ma è anche moralità. È religione considerata in rapporto a Dio. Ma anche in questo rapporto è moralità, perché la moralità è l'ordine di tutti i rapporti[ ... ]. Ma la sanità spirituale anche nei rapporti con gli altri uomini, è insien1e religione e moralità. È religione perché l'ordine terreno è tale per Dio e in ordine a Dio [... ]ed è moralità perché è l'ordine dei rapporti umani in quanto umani, in quanto questi [... ] devono svolgersi nel compimento dei reciproci do175 Cfr. ID., L'ottava beatitudine, in Io., Per la vita interiore, cit., 139. lbid., 133-134.

176


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veri, dal quale compimento fedele e costante scaturisce soltanto il vero benessere della società, la vera libertà, la civiltà vera» 177 • Quindi la vita dell'uomo vissuta come vita in Dio non aliena dai doveri della stessa, come alcuni credono 178 • Per il vescovo siciliano, la vita in Dio ha delle notevoli ripercussioni nell'esperienza dell'uomo, infatti essa«[ ... ] non solo non impedisce i doveri umani della vita, ma dà ai medesimi quell'ordine, quella purezza, quell'intensità di amore, quella forza di generosità e di sacrificio, quel profumo di bontà e quell'ardore di affratellamento, che li rende veramente umani» 179 • Quindi la vita in Dio non soltanto non distoglie dagli impegni di ogni giorno e dalle responsabilità che la vita comporta, ma dà un valore completamente nuovo, conferisce loro quella pienezza di senso e di significato che altrimenti non potrebbero avere. Quando viviamo in Dio, egli stesso ci fa sentire la sua voce che comunica la sua volontà; per cui per vivere bene in Dio è necessario ascoltare quello che ci dice, ora per mezzo della sua Parola rivelata, ora per mezzo della sua Chiesa, ma anche della nostra vita, della coscienza come luogo dove risuona la voce di Dio in noi. Ecco perché è necessario per vivere in Dio essere persone di vita interiore 180 . Saper vivere così in Dio vuol dire essere immersi in Dio, sempre: 177 lbid., 130-131. 178 È evidente che n1ons. Sturzo quando usa queste espressioni critica e combatte la posizione di alcune correnti filosofiche come l'idealismo, il 1naterialismo, il positivismo che in quel tempo si facevano sentire in tnodo determinante; definivano la religione con1e fatto alienante per l'uomo, perché fa di1nenticare i doveri della vita presente, proiettando l'uomo e i suoi bisogni esistenziali in quella eterna. Sarebbe interessante approfondire questo tema confrontandolo con la posizione sturziana, ma è chiaro che ci porterebbe un po' lontano dal nostro obiettivo. Per mons. Sturzo i doveri della vita presente non ci alienano e non sono contrari ai nostri rapporti con Dio, perché sono attuazione di questi ultimi, in quanto l'ordine della realtà è stato voluto da Dio; per cui la distinzione tra religione e morale è possibile solamente nell'analisi, ma nella visione sintetica, che Sturzo propone, sono due aspetti della tinica realtà e diventano coincidenti, in base al concetto di dovere. La morale è il sistema dei doveri, perché l'uomo è relativo e ha rapporti che lo legano ad altri esseri razionali; pritna di questi rapporti e in modo più intrinseco ha rapporti che lo legano a Dio (reli'gione), ha doveri verso se stesso e verso gli altri (n1orale). Vd. Io., La santità nell'itinerario dell'anùna in Dio, cit., 86~87. Per quanto riguarda la posizione delle diverse correnti filosofiche che Sturzo combatte, vd. N. ABBAGNANO, Storia della filosofia, III, Paravia, Torino 1974. 179 M. STURZO, La vita in Dio, cit., 95. 18 Cfr. ibid., 148.

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tutto ciò costituisce il principio generatore ed animatore di una vita -saggia, ricca di bene, lieta. Anche in questo caso l'espressione «essere immersi in Dio» viene usata per indicare l'intimità di rapporti che si creano tra uomo e Dio. È ben lungi dalla riflessione sturziana il pensare che tali espressioni

facciano riferimento alla dottrina orientaleggiante, come, per esempio, quella del Nirvana, per la quale l'anima si perde in Dio, nel senso che fa parte dello spirito divino. Mons. Mario usando queste espressioni non manca mai di puntualizzare bene la totale differenza che c'è fra Dio e l'uomo, anche quando si arriva a queste vette alte di intimità. «Dio è amore che dà amore, luce che accende luce, forza che genera forza, bene che santifica e fa lieti. Vivere di Dio nella più fedele corrispondenza è vivere di amore, nella luce, nella forza, nel bene, nella letizia dell'amore, nella pienezza dell'amore, trasumanante che si diffonde intorno e genera atnore e letizia» 181 , per cui quando c'è la vita in Dio, al-

l'uomo vengono partecipati gli elementi che caratterizzano la realtà divina. La vita umana, come vita in Dio, ha bisogno di un continuo rapportarsi e confrontarsi con lui, quale sua sorgente; tutto ciò è necessario per orientare anche le scelte morali. Dio stesso viene incontro a questo biso-

gno dell'uomo, manifestandosi per mezzo della coscienza: «Il buon Dio [... ] ci parla per mezzo della coscienza. Egli, prima di scrivere la sua santa .legge, che è la manifestazione fondamentale della sua santa volontà [... ] sulle tavole di pietra, prima di annunziarla al mondo per mezzo dei Profeti e del suo santissimo Figliolo Gesù Cristo, ne scrisse i punti più essenziali nelle nostre coscienze. Dice S. Paolo che gli uomini non sono mai privi della conoscenza della legge del Signore, perché son legge a se stessi [... ] S. Paolo dice ciò perché sa che il buon Dio crea così le anime, che esse recano in se stesse un raggio della sapienza di lui, cioè, perché la loro ragione è capace di conoscere da se stessa i doveri essenziali della vita, come se leggesse in se stessa la santa parola di Dio» 182 ; per cui la ragione,

in sintonia con la coscienza, giudica in ordine alle azioni da farsi e alla colpevolezza delle azioni da evitarsi 183 • A questo punto del nostro argomento, secondo il pensiero sturziano,

possiamo affermare che credere e obbedire alla coscienza corrisponde a 181 182 183

lbid., 185. Ibid., 201. Cfr. I.e.


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credere ed obbedire a Dio che ivi parla e si manifesta. Fra Dio e la coscienza non ci può essere dissenso; compiere tutto questo significa liberare l'uomo dalle tenebre, purificarlo, rimetterlo nella sua originaria lucidità. «Tra la parola della legge scritta nella coscienza e la parola data per Rivelazione [... ]non ci dev'essere disaccordo, perché l'una e l'altra procedono dallo stesso Dio, sono la sua verità. Qualunque sia lo stato della coscienza, quando parla Dio, l'uomo deve credere ed obbedire. Se la coscienza dissente,[ ... ] si inganna. Quando parla Dio[ ... ] è anche certo che ogni dissenso della nostra mente, [... ] della nostra coscienza non può essere che ignoranza o passione[ ... ]. Quando però parla l'uomo[ ... ) è possibile avere la stessa certezza? La stessa certezza si può avere quando l'uomo che parla è il Papa e parla da Papa [... ]» 184 • Mons. Mario con queste espressioni sta parlando della coscienza come luogo dove risuona la voce di Dio, che è in sintonia perfetta con la Parola e la volontà di Dio; ma è chiaro che non esclude il caso in cui la coscienza possa ingannarsi per diversi e svariati motivi, che lui sintetizza con i termini «ignoranza e passione» e che noi diremmo perché non è infallibile. Tuttavia essa ci è stata donata come luogo dove Dio ha scritto la sua legge e dove risuona la voce della verità: ecco perché contro la voce di essa non si deve mai agire. Tuttavia quando mons. Sturzo parla di coscienza, non si riferisce alla pura luce della ragione 185 . Rivolgendosi a dei cristiani, vuole parlare della coscienza illuminata dalla rivelazione, corroborata dalla grazia, purificata dalla fede, la quale agisce nella Chiesa; essa mira a far conoscere ai cristiani la volontà di Dio, della quale il supremo maestro è Gesù Cristo, che ad essa si rivela specialmente quando è unita a lui per mezzo della carità 186 • Affinché l'uomo possa essere veramente forte contro le seduzioni del male, libero dal servaggio delle passioni, deve sempre agire secondo coscienza, secondo i dettami della retta ragione, nella cognizione della legge di Dio e dei doveri che ne derivano 187 • La presenza della coscienza in noi è intesa come luogo dove possiamo ascoltare la Parola nella sua essenza, confrontarci con essa; tutto questo permette di parlare di presenza di Dio in noi, di inabitazione di184 185 186 187

lbid 201-202 Cfr .. ,ibid., 207·. Cfr. ibid., 207-208. Cfr. ibid., 144.


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vina nell'uomo, anche se occorre fare le dovute distinzioni fra queste due realtà così diverse. «Dio è certamente sopra di noi [... ].Ciò non ostante è in noi e noi siamo in Dio. E Dio, solo Dio, è talmente in noi, da poter dire che noi siamo più di Dio che nostri[ ... ]. Il vero noi è la nostra ragione e la nostra volontà, e Dio vuole che noi non muoviamo un sol passo, senza essere noi, senza essere in noi, senza agire come se fossimo solamente noi a giudicare del bene e del male, a praticare il bene, a evitare il male. Quando diciamo che l'ultima parola deve dirla la coscienza, noi non ci separiamo da Dio, non ci mettiamo fuori o sopra l'ordine della sua legge, ma meglio che mai, ci uniamo a Dio e osserviamo la sua legge. Sicché l'ultima parola che attribuiamo alla coscienza [... ] è tutta pervasa della divina legge, della divina grazia, del divino amore, tutta unita alla divina volontà; e bensì la parola della coscienza, ma è la parola di Dio che Dio comunica per 1nezzo della coscienza» 188 . Fin qui, come abbiamo detto precedentemente, mons. Mario sta parlando della coscienza illuminata dalla fede e dalla rivelazione, la quale riceve certezza da Dio che si autorivela, ma per gli uo1nini che non hanno la fede, il ruolo della coscienza a che cosa si riduce e quali apporti può dare? Ai pagani manca la luce della rivelazione, come anche il magistero della Chiesa, però nessuno è mai privo della parola della coscienza. Se l'uomo sa essere fedele al dettato della coscienza, certa1nente non perirà, cioè si salverà, perché in esso troverà la parola della legge, la Parola di Dio1s9. 188

189

lbid 209

Cfr .. ,ibid...209-210. Per quanto riguarda la concezione della coscienza e della sua funzione, come già altrove abbiamo constatato, mons. Sturzo anticipa le grandi acquisizioni e formulazioni conciliari. Vd. Gaudiu111 et Spes, 16: parla della dignità della coscienza, intesa come nucleo segreto dell'uon10, luogo dove risuona la legge di Dio, che invita a fare il bene e ad evitare il male, come voce che l'uomo ha in sé e che va seguita, in base alla quale poi sarà giudicato. Vd. pure Dignitatis Humanae, 3: il testo è molto vicino alle concezioni di Sturzo; il Concilio, parlando della libertà religiosa, afferma che d'uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per arrivare a Dio, suo fine. Non lo si deve costringere ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa[ ... ]». Lo stesso documento, al n. 11, parlando del inodo di agire di Cristo e degli apostoli, ritorna sul teina della fedeltà alla propria coscienza: «Con vigore annunziavano a tutti il disegno di Dio salvatore [... ] nello stesso tempo però avevano riguardo per i deboli anche se erano nell'errore, inostrando in tal n1odo come ognuno di noi renderà conto di sé a Dio e sia tenuto [... ] ad obbedire soltanto alla sua coscienza».


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È necessario che gli uomini facciano quanto loro è possibile e innanzitutto occorre formare a se stessi l'ambiente più propizio e ciò metterà al sicuro la loro salvezza, poiché renderà la coscienza sensibile, perspicace,

intuitiva, forte. In tale ambiente, deve regnare Dio, che è il primo, vero ed assoluto valore; alla luce di ciò i disvalori che sono in essa presenti non hanno più ragion di esistere, per cui vanno allontanati; mentre tutti gli altri valori che compongono il mondo umano vengono purificati e riordinati: anche l'amore verso Dio viene trasumanato, elevato, santificato, per cui diventa amore che non gli nega nulla, per il quale Dio regna veratnente nel cuore 190 • In questo ambiente è importante e fondamentale la scelta della fede. Quando la persona è piena della luce che viene da Dio, l'unico suo interesse resta soltanto Dio; in lui risolve tutti i dubbi, supera tutti i tentennamenti, vince tutte le difficoltà, trova tutti i compensi. In Dio e per Dio trova se stesso, si possiede, si domina, non discute più tra il bene ed il male, una sola cosa le preme: vivere per, con e in lui, aspettando il giorno del suo pieno possesso, del regno eterno 191 • La vita in Dio quali conseguenze comporta per le scelte morali che siamo chiamati a co1npiere? Questo è un interrogativo molto importante, la cui risposta ci aiuterà a comprendere la valenza della vita in Dio per quanto concerne l'agire morale umano; infatti non possiamo operare in modo morahnente retto, se il pensiero che anima le nostre attività e le nostre opere, non è pieno della convinzione che non siamo nostri, non ci apparteniamo, ma siamo di Dio sotto ogni aspetto 1"Come insegna l'apostolo Paolo siamo di Dio; questa appartenenza la mostriamo in qualunque cosa faccia1no, anche quando compiano le cose più umili e più naturalmente elementari, come il mangiare e il bere, lo stesso vivere e lo stesso morire, così come insegna Col 3,17: «E tutto quello che fate in parole ed in opere, tutto si compie nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre». Qualcuno potrebbe muovere delle obiezioni: «Si dirà: dunque non operiamo rettamente, ogni volta che facendo qualche cosa, non pensiamo a Dio? Se così fosse la vita ordinata non sarebbe possibile, perché non è possibile aver Dio nel pensiero così costantemente, da non se ne di19

° Cfi·.

191

192

ibid., 209-214. lbid., 219. Cfr. ibid., 86.


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strarre un sol momento. Certo non è così né noi abbiamo parlato dell'attualità costante del pensiero di Dio (... ] sibbene della convinzione, che non dev'essere superficiale, ma profonda, che noi siamo di Dio» 193 • Questa convinzione possibilissima e tanto preziosa per la vita e le scelte morali dei singoli, corrisponde al primo dei nostri doveri; alla conoscenza di ciò l'umanità vi pervenne ben presto e con l'immediatezza di tutto ciò che è spontaneo, perché nasce dall'attività fondamentale della ragione che chiamiamo buon senso. A causa della mancanza della luce della rivelazione, nei secoli che precedettero il cristianesimo, la ragione umana traviò riguardo l'uso della conoscenza che noi abbiamo tutto da Dio e a lui tutto va riferito 194 • Il mondo pagano credeva che niente avvenisse nella natura e nell'uomo, che non fosse prodotto o favorito da una qualche divinità: inconsapevolmente affermava che nel mondo nulla è di se stesso e tutte le cose, dalle piccole alle grandi, dalle inanimate alle animate, dalle irrazionali alle razionali, dalle materiali o sensitive alle spirituali, tutte senza eccezioni, sono di Dio e provengono da lui; esistono, agiscono, durano, prosperano per Dio e la sua azione 195 • Ma chiediamoci esplicitamente guaii sono le conseguenze della vita in Dio per l'uomo. Il primo e principale effetto della vita in Dio è l'esclusione di ogni peccato e la decisa e risoluta rinunzia di esso, inteso cotne negatività e opposizione alla vera vita nella sua realtà piena. Un altro effetto conseguente al primo e ad esso collegato è l'acquisizione delle virtù che rendono qualitativamente diversa la vita del soggetto. La maggior parte dei peccati e delle mancanze che si commettono deriva dal non stare quanto si conviene alla presenza di Dio, cioè dal non vivere la propria vita in Dio, attraverso il perfezionamento e l'esercizio del raccoglimento, che conduce alla vera vita interiore. La vita spirituale, cioè quella secondo lo Spirito, importa tante rinunzie e tanti dolori, come la vita del peccato: con la differenza che i dolori del peccato precipitano l'uomo nella morte, mentre quelli della virtù e della santità si risolvono in gioia e generano la pace, assicurano il premio e fanno gustare la felicità della vita eterna 1% 193 lbid 86-87 194 Cfr..,ibid., 195 Cfr. ibid., 87-88. 196 Cfr. Io., Il santo raccoglùnento, in Io., Per la vita interiore, cit., 241, 288.

s7.


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La vita in Dio comporta delle scelte morali specifiche, che nascono dall'opzione fondamentale, la quale consiste nel voler vivere la propria vita in Dio: l'uomo è chiamato a spogliarsi dell'amor proprio, puramente umano, a far morire l'uomo vecchio, secondo il linguaggio paolino, in vi-

sta di una ricerca e di un godimento di Dio, a rivestirsi di Dio, a cristificars1. «Noi questo arduo lavoro di spogliamento e di rinunzie, con le sole forze naturali, aiutate dalle grazie ordinarie, non possiamo spingerlo oltre i primi gradi della vita interiore. Lo spogliamento totale non è in nostro potere, perché supera le forze ordinarie della natura. Se però noi ci mettiamo [... ] sulla via del Santo Amore [... ] il meglio lo farà lo stesso amore [... ] con l'amore di Dio entra nell'anima tutta la ricchezza soprannaturale delle virtù e il principio di tutte le forze per compire tutti i doveri; [... ] l'amore di Dio[ ... ] ci spoglia di ciò che deve perire come l'affetto alla colpa; ci riveste di ciò che fa la ricchezza della nostra vita spirituale [... ]»197 • La vita cristiana, che è vita in Dio, è la stessa vita umana elevata ad un ordine superiore: quello soprannaturale. Elevando la natura umana, Dio non l'ha condannata, bensì l'ha perfezionata ed arricchita di attività superiori, rendendola capace di vivere la dimensione divina. Spogliarsi degli affetti puramente umani non è uno spogliamento, ma un trapasso dal meno al più, è un vivere la stessa vita u1nana in modo sovrumano 198 . La vita in Dio esige quindi uno stato di purificazione, di scollamento di tutto ciò che non è Dio, richiede, conseguentemente, lo stato di perfezione che è l'unione di amore con Dio, che fa dare a Dio tutto l'amore senza riserve o condizioni, e fa vivere di lui e degli altri beni creati in e per

lui. Quando questa unione arriva alla sua ultima perfezione, dai grandi mistici, è chiamata «matrimonio spirituale» o «unione trasformante», perché comporta un mutamento profondo e radicale della vita umana interessata, fino a raggiungere la perfetta unione con Dio 199 . Per mons. Sturzo la vita in Dio è vita d'unione e di intima comu-

nione con lui, fino al punto di vivere la vita naturale e di agire esclusivamente per Dio; essa ha delle ripercussioni notevoli nella dimensione morale e nelle scelte che l'uomo, in quanto tale, è chiamato a compiere, che vanno in due direzioni ben precise: spogliamento dell'uomo vecchio, quello segnato dal peccato, per far nascere l'uomo nuovo, in modo tale 197

198

199

ID., La via del Santo Antore, in Io., Alla Scuola di Gesù, cit., 182-183. Cfr. ibid., 180-181. Cfr. Io., La preghiera che assicura il Paradiso, in ID., op. cii., 64.


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che si sviluppi e cresca fino a raggiungere la stessa altezza di Cristo Gesù, il vero uomo nuovo, al punto di cristificarsi e configurarsi pienamente a

lui, vivendo ed agendo solamente per Dio. La vita in Dio comporta questo cambiamento ontologico nell'uomo e nella sua vita morale ed ha delle conseguenze nella sua coscieuza, la quale è resa più sensibile e più attenta alla Parola che Dio le comunica e divenendo luogo dove risuona la voce di Dio.

5. I mezzi che alimentano la vita in Dio Parlando del mistero della conversione abbiamo già avuto modo di riflettere sui mezzi che favoriscono il cammino di ritorno a Dio e lo ren-

dono possibile per ciascuno; sono ausili che Dio mette a disposizione dell'uomo perché questi ne usufruisca a suo vantaggio, secondo la logica di amore di Dio stesso. Questi mezzi sono la penitenza, la carità operosa, la preghiera, i sa· cramenti e la Parola di Dio. È evidente che per vivere pienamente in Dio questi stru1nenti sono necessari, anche perché favoriscono lo sviluppo adeguato della vita in Dio, così come gli elementi materiali sono utili per la vita fisica e ne favo· riscono la crescita e lo svolgimento. La penitenza serve per dominare la parte istintiva e, quindi, negativa, dell'uomo, provocando la morte dell'uomo vecchio, del peccato, dell'e· goismo, perché co1nbatte l'amor proprio, causa di tutti i mali umani e principalmente causa dello spegnimento della fede e della vita che Dio ha posto in noi. Il nemico principale dell'uomo è l'egoismo, il quale impedisce il cammino di conversione diretto verso Dio, che corrisponde allo svolgimento della sua tendenzialità finalistica, ostacola la comunione di vita che c'è fra Dio e l'uomo, oscurandone la conoscenza vera del mistero di Dio 200 • Secondo il pensiero sturziano la penitenza ha questi obiettivi: è in funzione della vita in Dio, è strumentale rispetto alla santità; infatti la penitenza consiste nel (([ ... J trovar il nemico, armarsi contro di lui, non abbandonar la lotta mai [... ]. La santità è amore; i mezzi per arrivarci sono i mezzi che liberano l'amore dagli impedimenti che gli vengono dal nostro egoismo,,' 01 • ZOO Cfr. ID., Il 1nistero della conversione, in lo., op. cit., 147-148. Ibid., 148.

201


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Per cui la penitenza è in funzione della santità, cioè della vita in Dio, che è vita di amore, poiché riscatta l'amore da tutto ciò che lo mortifica. La carità operosa è un altro mezzo che Dio mette a nostra disposizione per alimentare la sua vita in noi. Dio è amore e si manifesta non solo a coloro che vivono secondo una rettitudine morale, conformemente ai dettami della coscienza illuminata dalla rivelazione, ma principalmente si fa conoscere da coloro che vivono nell' amore 202 . Quest'amore conduce a vedere Dio in ogni cosa, specialmente nell'uomo e a compiere tutti i doveri della vita come il solo dovere verso Dio; porta a vivere totalmente in Dio, perché è totalizzante ed esclusivo, stimola ad agire unicamente per Dio, ad amare le cose nell'amore di Dio; per cui possiamo dire che non è astratto, ma concreto: è carità operosa che trasforma tutto e ingloba ogni cosa nella sua sfera 203 • Un altro mezzo che Dio ci offre per curare e far progredire la vita sua in noi è la preghiera, di cui ci limitiamo a dare semplicemente qualche accenno breve per comprendere come la vita in Dio esiga la presenza della dimensione orante nell'uomo per progredire sempre più. La preghiera è elevazione della mente e della persona tutta a Dio; essa permette l'unione piena con lui, ne favorisce l'instaurarsi di rapporti amichevoli, per cui diventa l'esercizio che ci unisce a Dio per vivere di, con e

per lui 204 • La preghiera, come la meditazione, è un parlare con Dio, non con la bocca, ma con il pensiero che possiede e vuole rendere come visibile e concreto il suo possesso; è un parlare amoroso con Dio, cercato come verità e come bontà. «L'uomo medita perché ama. Chi non ama, dice S. Giovanni, resta

nella morte[ ... ] (lGv 3,14) [... )e chi resta nella morte, che è la morte nella vita, pur vivendo della natura, non vive la vita della grazia, e, pur comunicando con Dio col pensiero che conosce, non vi comunica col pensiero che ama, e, sotto questo rispetto, resta come lontano da Dio. Ama l'uomo

che medita, perché è l'amore che lo mette alla presenza di Dio,» 0 '. La preghiera che anima la vita in Dio, come anche l'amore, non è puro sentimento, infatti essa termina con i propositi, perché desta, at-

tualizza ed infiamma la capacità di amare e la stessa vita; essa infatti 202 203

204 205

Cfr. ID., La santità nell'itinerario dell'anima in Dio, cit., 82. Cfr. ibid., 86-87. Cfr. Io., La preghiera che assicura il Paradiso, cit., 92. Io., La vita in Dio, cit., 101.


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non si esaurisce in sé, ma è ordinata all'amore ed alle opere 206 .

La preghiera ha un segreto: ci rende disposti a meglio comunicare con Dio; ciò significa riconoscere che egli è tutto e noi siamo nulla; lui l'essere a sé e noi l'essere che ci dà e conserva; Dio il bene per essenza e

noi la bontà per partecipazione. Riconoscere ciò è collocarsi al posto che ci spetta, che non è l'indipendenza da Dio, ma la piena dipendenza, è accettare che la nostra vita è vera quando è vissuta in Dio 207 . Altri mezzi ancora utili per alimentare, far crescere e maturare la vita

in Dio sono i sacramenti e la stessa Parola di Dio. Per mezzo di Gesù Cristo il mistero invisibile è reso sensibile all'uomo: l'immensa distanza del trascendente è superata, ciò specialmente con i sacramenti: infatti con l'Eucarestia avviene una elevazione dell'uomo, un'altra unione del divino con l'umano: si realizza il mistero

della umana deificazione, che si compirà definitivamente nella dimensione escatologica, ma che inizia già su questa terra.

L'Eucarestia è il memoriale perpetuo del mistero di Cristo Gesù e la perenne mistica rinnovazione di esso e della redenzione. Per mezzo della redenzione Dio ristabilì in modo più perfetto i rapporti d'amore con l'umanità, che corrispondono all'attuazione della vita in Dio. La redenzione non si applica agli uomini una volta per tutte, ma è la vita nuova che si comunica con il Battesimo e si mantiene con le opere buone. Per mons. Mario, con l'Eucarestia, la redenzione si esprime nei sim-

boli del cibo e della bevanda e con essa l'uomo viene quasi mutato in Dio; mancando questo nutrimento si cagionerebbe lo spegnimento della

vita in Dio 208 . L'Eucarestia è simbolo, perché rappresenta quello che sarà la vita eterna, cioè «[ ... ] il possesso pieno, immediato, svelato e reale, pel quale l'anima è come immersa in Dio [... ] meglio di come il pesce è immerso nell'immensità dell'oceano; il quale possesso è l'ultima attuazione della deificazione urnana» 209 .

Per cui la vita in Dio, alimentata da questi mezzi è già l'attuarsi nel tempo della realtà futura, escatologica, tanto che l'andare in cielo non è il passaggio da una realtà ad un'altra del tutto diversa, di altro ordine e natura, ma è una perfezione, un compimento, infatti il vangelo afferma che 206

207 208 209

Cfr. ibid., 100-103. Cfr. ibid., 106.

Cfr. Io., La pastorale collettiva degli Arcivescovi e Vescovi di Sicilia, cit., 15-20. Ibid., 31.


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il regno di Dio è in terra, nell'anima dell'uomo, il quale comincia ad essere deificato in terra, perché qui deve vivere in, con e per Dio.

La vita in Dio è un'anticipazione di ciò che sarà realtà perfetta nella dimensione escatologica, così l'uomo conosce in modo più determinato e

certo che la terra e il cielo non sono due regni del tutto separati, due mondi reciprocamente diversi, ma che l'uno è per l'altro 210 •

Anche la Parola della rivelazione è divinizzante, cioè trasumanante, per cui l'uomo giunge ad una tale elevazione, per la quale è una nuova creatura211 • L'uomo non diventa un vero dio, ciò sarebbe impossibile, ma attra-

verso l'ascolto della Parola viene rivestito del dono della grazia che è una certa partecipazione della divinità, della sua natura e della sua vita. Ma chiediamoci: che cosa è la rivelazione di Dio? «[ ... ].È Dio che si comunica come verità; è il complesso delle verità che bisogna conoscere, alle quali bisogna credere per agire rettamente in ordine all'eterna salute» 212 .

Quindi anche la Parola è in funzione della vita in Dio, perché veicola quelle verità fondamentali che alimentano l'unione dell'uomo con Dio, cioè la vita in Dio, infatti essa è per la santità. Per mons. Sturzo chi accetta la Parola di Dio, l'ama e vi medita assiduamente, essa diventa luce che illumina, fuoco che purifica e infiamma; ragion per cui la vita di peccato è oblio della Parola di Dio, incomprensione del suo amore che si manifesta nell'Eucarestia e nella Parola. Inoltre la Parola di Dio è importante per l'agire morale dell'uomo; è il suo nutrimento, meditarla è unirsi a Dio, per cui l'uomo veramente vive in Dio, e, vivendo in lui, opera in santità.

Per mons. Sturzo i due termini estremi della vita cristiana sono: la Parola parlata e quella gustata; il primo è la Scrittura, il secondo è l'Eucarestia. Senza la conoscenza della rivelazione e la pratica del culto eucaristico, non c'è vera vita cristiana come vita in Dio, vita di grazia, come progressivo avanzamento nella santità 213 .

I mezzi di cui abbiamo parlato conferiscono la vita di grazia, che è la vita in Dio. Questa nuova condizione umana non è una cosa avulsa dalla vita 210

211

212 213

Cfr. ibid., 26. Jbid 42-43 Cfr:· ibid., 4·8-50. Cfr. ibid., 51.


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concreta, infatti chi vive nella parola rivelata e nutre la sua vita con quella di Dio che si rivela all'uomo per mezzo della Parola e dell'Eucarestia, non può non osservare tutti gli altri doveri che conducono alla vita eterna, che corrispondono ai dov~ri della vita umana come razionale e soprannaturale, tutti ordinati al dovere supremo che è di servire Dio, possedendolo nella fede e nell'amore.

Conclusione

La vita in Dio è la massima tendenza della natura dell'uomo che cerca con forte e profonda spontaneità Dio e non desidera altri su questa terra che vivere la sua vita in Dio, in comunione piena con lui. Noi uomini, come anche la realtà creata, siamo, esistiamo e viviamo in Dio; questa vita è partecipata in modo speciale agli uomini; la dipendenza da Dio da parte degli uomini è vissuta bene, quando con tutte le nostre capacità e con tutte le nostre forze vivia1no in e per Dio. Quando si verifica ciò non siamo più noi che viviamo la nostra vita, in noi vive lo stesso Dio: l'esperienza di Paolo raccontata in Gal 2,20 ne è una conferma. L'uomo, dato che è relativo, non può sottrarsi alla dipendenza di Dio, perché non può viverne senza, infatti al di fuori di Dio c'è il nulla e l'uomo è in Dio ed in lui ha la ragione del suo essere e la sua vera felicità esistenziale. Per cui non può rinunziare a se stesso e alla felicità vera ed eterna nel possesso e nell'unione con Dio, perché non può uscire dalla sua realtà e dalla sua natura che fu creata in questo modo. La vita moralmente ordinata consente all'uomo di mettersi nelle migliori e più sicure condizioni di convertirsi a Dio ogni giorno e di vivere in Dio, per lasciare comparire ed agire l'uomo nuovo, quello trasumanato, o meglio per far vivere Cristo Gesù che opera in lui e vive in lui. Siamo capaci di conoscenza vera, di corrispondenza di pensieri e di affetti e di vivere in e per Dio, perché Gesù Cristo ce ne ha data la capacità per mezzo della sua rivelazione e della sua grazia. Il vivere in Dio comporta per noi una migliore conoscenza, una più intima comunione e un profondo amore per Dio: tutto ciò suscita le opere e con esse la santificazione.



MONS. MARIO STURZO: UNO STUDIO SULLA CONVERSIONE DI LEONE TOLSTOJ

SALVATORE LATORA''

Le ricerche di Mario Sturzo sul fenomeno della conversione Il problema delle conversioni suscitò sempre l'interesse di Mario Sturzo, se si pensa che su tale argomento egli meditò costantemente scrivendo saggi e volumi che coprono tutto l'arco della sua esperienza culturale e religiosa, dallo studio su La psicologia della conversione che è del 1915, pubblicato nella Rivista di filosofia Neoscolastica, fino all'ultima delle sue lettere pastorali, Il mistero della conversione che è del 1941, cioè pochi mesi prima della sua morte 1• Il ruolo che occupano tali studi di Mario Sturzo tra le opere degli autori contemporanei che si sono interessati al problema della conversione è ancora da indagare, come d'altronde buona parte della produzione filosofica, estetica ed ecclesiale del vescovo di Piazza Armerina. Certo è che '' Docente di Filosofia nei Licei. 1 M. STURZO, Intorno al culto - Appunti di psicologia sulle conversioni, Vincifori, Piazza Armerina 1914; Io., le convinzioni intorno ai fini della vita, note psicologiche, Vincifori, Piazza Armerina 1915; ID., La psicologia della conversione, in Rivista di Filosofia Neoscolastica 7 (1915) 546-572; ID., La conversione di Leone Tolstoj ovvero La patologia di una conversione, Artigianelli, Monza 1916; Io., Le voyage du Centurion d'Ernesto Psichari, Tip. S. Giuseppe, Milano 1916; Io., la conquista delfine, ricerche psicologiche, Desclée, Roma 1917; Io., Il rinnovamento cristiano in Francia, Artigianelli, Monza 1918; ID., La vita in Dio, Vecchi, Trani 1928; Io., La vita in Dio, II ed. a cura del sac. prof. S. Muscia, L.E.R., Napoli-Roma 1982; ID., La santitti nell'itinerario dell'anima in Dio, Tip. S. Giuseppe, Asti 1935; ID., Il mistero della conversione. Lettera pastorale per la quaresima del 1941, Ed. Piemontese, Torino 1941.


Salvatore Latora

264

ci troviamo dinanzi ad apporti interessanti che studiano il fenomeno dal punto di vista psicologico e religioso, da parte di uno che potremmo dire "convertito di ritorno" e che quindi sente il problema anche per esperienza personale. Nell'articolo che l'Enciclopedia filosofica dedica a La conversione religiosa, D. Grasso, dopo avere passato in rassegna i vari studi sull'argomento, a cominciare da quello di W. James, che risale al 1902, all'opera di TH. Mainage (1915), al saggio ancora fondamentale del nostro Sante De Sanctis (1924), lamenta la unilateralità delle spiegazioni ipotizzate e conclude dicendo che «una teoria della conversione che voglia spiegare tutto il fenomeno, deve tenere presenti ed armonizzare i vari fattori: intellettivo, volitivo, sentimentale e libero, fusi nella trascendente azione della grazia» 2• Ma non conosce né quindi può citare le opere di Mario Sturzo, che quell'analisi dei vari fattori aveva elaborato in studi continui e approfonditi, primo fra tutti il saggio La psicologia della conversione, pubblicato su Rivista di filosofia Neoscolastica che è un'analisi puntuale e critica del volume di TH. Mainage, La psycologie de la comJersion. Leçon données à l'Institut Catholique de Paris (1914), G. Beauchesne, Paris 1915, allora appena pubblicato. Proprio in questo saggio si trova l'impianto teorico che presiede a tutta l'analisi che sul fenomeno della conversione svolge Mario Sturzo, sicché lo scritto sulla conversione di Leone Tolstoj, che pubblichiamo in appendice, non è altro che un'applicazione di questi principi interpretativi; anche cronologicamente, infatti, il saggio, che è del 1915, anticipa il volume in esame, che è del 1916. Ci pare corretto interpretare Sturzo con Sturzo e poi anche alla luce delle teorie moderne sull'argomento. Che cosa è la conversione, in senso generale e in senso specifico? si chiede il vescovo di Piazza Armerina. «Quando la vita, dalle risultanti discendenti, passa alle risultanti ascendenti, il fenomeno di riconquista e di orientazione è chiamato conversione; però, in senso specifico, per conversione non si intende che l'adesione teoretica e pratica alla soluzione proposta dal Cattolicesimo» 3 .

2 3

Enciclopedia filosofica, I, Sansoni, Firenze 1957, 1234 ss. M. STURZO,

La psicologia della con1Jersione, cìt.


Uno studio sulla conversione di Tolstoj

265

Ma alla base dello scritto ci sta una ben precisa concezione della storia e una antropologia, ispirata al suo sistema filosofico che è il neo-sintetismo, che tutto lo sorregge. «Per quanto le singole vite, guardate analiticamente, offrano lo spettacolo d'atomi vaganti nel tempo e nello spazio, che si cercano o si fuggono, si aggruppano o si separano; guardate nella storia, assumono l'aspetto di risultanti, esprimenti moto discendente o ascendente. Chi sa ben intendere il senso delle risultanti etiche nella storia, troverà che il moto discendente esprime la vita che smarrisce se stessa, il moto ascendente la vita che si possiede o si riconquista>) 4 •

La storia può ben definirsi allora come "la grafia della vita". La vita dell'uomo è caratterizzata da processi psicodinamici che ne assicurano la continuità, ma nei convertiti, in certi momenti, avviene come una rottura con il passato, allora «dal fondo della psiche inopinatamente, al contatto di fatti, spesso trascura bili, erompono nuove forze, attorno alle quali convergono tutti i fattori psichici, con una spontaneità ed un impeto che sorprende. L'essere sente che tutta la sua attività si concentra verso un dato termine, dal quale più non sa, non può distogliersi, e sente come una febbre indomabile d'azione. Questo fenomeno, non solo avviene nelle funzioni affettive, come l'innatnoramento, ma anche nelle intellettive, come nel culto della scienza. Però in fondo è sen1pre un fenomeno affettivo, anche quando desta delle speculazioni puratnente teoretiche, o meglio, è un fenomeno di convergenza nel quale l'affettività tiene il primo posto. La storia delle vocazioni, etiche o sociali, artistiche o scientifiche, speculative o pratiche, le quali spesso non sono che irrompenti manifestazioni di genio, registra non pochi di questi casi» 5•

Questi momenti psicodinamici possono essere di due tipi: spontanei o connaturali oppure acquisiti o accidentali. È certo che per Stùrzo la conversione non è un fenomeno derivato, ma primitivo, intendendo con ciò che la vera conversione è sempre il risultato di un processo intrapsichico, è frutto di una conquista personale, anche se occasionata da fattori esterni. La distinzione che anch'egli riprende fra conversioni istantanee o normali non cambia molto la sostanza del fenomeno bensì soltanto la modalità di esso. Quale interpretazione si deve dare?

4 !bid., 547. 5 Ibid., 548.


266

Salvatore Latora «Il teologo le spiega per via del miracolo, lo scienziato dice che sono un fenomeno morboso; lo psicologo non dice né l'uno né l'altro; non mette capo al miracolo, perché questo supera il campo delle indagini; non ricorre alla morbosità, perché queste conversioni, tranne l'istantaneità, in tutto il resto rientrano nella sfera dei fatti normali; constata il fatto e ne lascia lo studio agli apologisti,, 6 .

Sturzo si propone di seguire questa via, e cioè la spiegazione psicologica come la più idonea a rendere ragione degli atti umani, senza escludere l'intervento della grazia e quindi la spiegazione teologica e apologetica. L'uomo tende verso una molteplicità di fini e la legge della finalità che lo spinge ad agire lo porta anche ad organizzarli secondo una gerarchia. Spesso però in lui si verificano pseudomomenti psicodinamici, cioè convergenze verso il disordine piuttosto che verso l'ordine e la virtù. È questo il rischio della libertà; la vita psichica è di per se stessa una continua lotta e in modo particolare quella degli individui che vivono processi di conversione. Il Mainage, studioso delle conversioni, le cui opere Mario Sturzo legge con attento spirito critico, parte da una premessa, che potremmo chiamare popperiana ante litteram: «Nei ragionamenti negativi un sol caso ben constatato basta logicamente a togliere valore ad ogni affermazione contraria. Se un corpo pesante, abbandonato a se stesso, agente in virtù della sua massa e indipendente d'ogni estranea influenza, una sola volta non fosse caduto, la legge della gravitazione universale non esisterebbe più. Non vi è teoria, non vi è generalizzazione che non ceda alla forza di un fàtto scientificamente verificato>,7.

Sturzo, che pure ha affermato che «data una teoria e dato un fatto che vi contraddica, lo studioso è obbligato d'accertare il fatto, e accertatolo, è nel dovere di rivedere la sua teorÌa» 8 non può però accettare la generalizzazione impropria fatta dal Mainage che, dopo avere constatato l'insufficienza dei fattori umani per spiegare alcune conversioni deduce, in modo non certo logicamente corretto, che non sono sufficienti a spiegare nessuna conversione. A tali conclusioni Sturzo oppone il suo neo-sintetismo. Il Mainage ha considerato i vari fattori umani come la conoscenza, l'affettività, l'azione dell'amicizia in modo analitico e separatamente. Sa egli, invece, l'efficacia che questi fattori hanno sull'anima quando si combinano insieme sinteticamente? 6

Jb;d., 549. lbid., 566. 8 Ibid., 562. 7


Uno studio sulla converszone di Tolstoj

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«La conversione, qualunque sia il suo valore teologico, è essenzialmente un atto umano e perciò essenzialmente psicologico. E se è tale, non potrà avvenire che per via di fattori psicologici, propri ad ogni atto umano, quali sono la conoscenza, l'affettività e la libertà. E se non è questo, dovendo rimanere tuttavia nel campo psicologico, non potrebbe essere altro che una passività, ma in tal caso non sarebbe più un atto u1nano» 9.

Un'altra dimensione della psiche va ancora considerata ed è quella inconscia; per Sturzo la conversione va spiegata anche come elaborazione mconsc1a. Egli infatti sostiene: «Si badi che qui io non faccio della pedagogia, ma della psicologia. Del resto per fare utilmente della pedagogia, bisogna prima aver fatto della buona psicologia. Anche le volontà che parevano più ferme e irremovibili, mutano. Q~esto è il fatto. Perché mutino, è necessario che nuove idee e nuovi sentimenti entrino nella psiche. Come entrano? Come si evolvono? Ecco quello che bisogna studiare. Nessuna teoria trovo plausibile fuor di quella dell'elaborazione incosciente. Lo so che non è da trascurare l'importanza dell'elaborazione cosciente; però è da osservare che questa, per quanto efficace, pure non risponde al caso estremo, che è quello che qui viene studiato come il più tipico e il più dimostrativo,, 10 .

La conversione è un processo evolutivo, nella quale Sturzo individua tre stadi che egli chiama rispettivamente: la fuga; lo studio; l'attesa. «Il primo quando l'essere decisamente resiste; il secondo quando, cessata la prima resistenza, entra nel periodo delle ricerche; il terzo quando, esaurite le ricerche, la convinzione si può reputare come formata. Il primo stadio è fuga, il secondo è studio, il terzo è attesa; tutti e tre però sono lotta. Nel primo l'essere lotta contro l'idea che lo ha affascinato; nel secondo lotta con se stesso tra la preoccupazione di trovare quello che teme di conoscere, e di lasciare quello a cui è legato il suo passato e il suo affetto; nel terzo lotta tuttavia con se stesso, nella convinzione che bisoy:na fare il passo decisivo, e nel manco di forza e di coraggio per farlo» 1.

Il caso Tolstoj: una conversione «suz generis»

È stato anche così il processo di conversione di Leone Tolstoj? Ha seguito la stessa linea di sviluppo? 9 Ibid., 567. 10 lbid., 554. 11 !bid., 557-558.


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Salvatore Latora

Il fenomeno della conversione può intendersi solo studiando la storia dei convertiti e M. Sturzo conosce bene questo dinamismo spirituale attraverso il caso del Pusey, analizzato dal Bremond, ma anche attraverso il Voyage du Centurion d'Ernesto Psicari, e del cammino di conversione del Newman. Perché si perviene a queste trasformazioni radicali? Perché si ascolta la legge di natura che alberga nel cuore dell'uomo e lo fa tendere al bene sommo, secondo quanto ha espresso in maniera icastica S. Agostino nella invocazione: Domine,Jecisti nos ad Te, et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te. «Quando per un fatto qualsiasi, l'uomo presta orecchio a queste voci,

la legge di natura si precisa e nasce il moto decisivo della ricerca del fine» 12 . Il caso di Leone Tolstoj, come ogni avventura umana, nella sua

particolarità è ben diverso dagli altri, è un caso tipico; ma ciò che lo accomuna agli altri è proprio la legge finalistica insita nella natura umana e che M. Sturzo aveva studiato e approfondito nelle sue varie opere con una costanza sorprendente. Lo accomuna anche il ritmo del processo di conversione che, come si è

visto, M. Sturzo aveva già individuato in tre momenti: 1) fuga; 2) studio; 3) attesa. Sono tutti e tre momenti di lotta: a) lotta contro l'idea che lo ha affascinato; b) lotta contro se stesso con la preoccupazione di trovare quello che teme di conoscere; c) lotta con se stesso per fare il passo decisivo. Si dice che per capire la dinamica della conversione bisogna studiare bene l'ambiente in cui il personaggio è vissuto; nel caso di Leone Tolstoj, osserva Sturzo, se ci fu un ambiente così lontano da indurlo alla conversione questo fu proprio il suo! Perché lo si lodava di ciò di cui invece bisognava vergognarsi, e proprio da una sua zia che egli chiama "buona" e

presso cui fu allevato dopo la morte dei suoi genitori; perdette infatti la madre all'età di due anni e il padre all'età di nove! «Fu battezzato ed educato nella religione cristiana ortodossa, ma a 18 anni, cioè quando terminò il secondo anno di università non credeva più a nulla [ ... ] la sua diserzione dalla religione però avvenne [... ] perché quella che egli praticava e che vedeva praticare dagli altri, non illuminava né dirigeva la vita; era come cosa esteriore, nulla più che una formalità. Guardando le opere di coloro che confessavano apertainente appartenere all'ortodossia e quelle di coloro che non credevano, se vantaggio trovava, era per questi ultimi»13. 12

M.

STURZO,

cit., 6. 13 Jbid.,

8.

La con'versione di Leone Tolstoj ovvero La patologia d'una conversione,


Uno studio sulla conversione di Tolstoj

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Tolstoj nelle sue memorie ricorda con disgusto e sofferenza quegli anni: «Provocai in duello per uccidere, perdetti grosse somme al giuoco, dilapidai il frutto del lavoro dei contadini, li punii, commisi adulterio, ingannai. La menzogna, il furto, la cupidigia in tutte le forme, l'ubriachezza, la violenza, l'assassinio [... ] non vi ha delitto che non abbia commesso. E per tutto questo ini si lodava, mi si considerava come un uomo relativamente morale. Vissi così dieci anni,,1 4 .

Dinanzi a questa crisi religiosa meraviglia come M. Sturzo non abbia osservato che al Tolstoj mancasse la madre e in seguito anche l'altro genitore, eppure il vescovo è così attento a questi problemi come dimostra anche la sua pastorale dal titolo significativo: Maternità e apostolato! Tuttavia, al grande scrittore sovietico, distolto dalla fede religiosa per le ragioni che abbiamo or ora indicate, resta la fede nel progresso scientifico e nel perfezionamento umano; diventa scrittore considerato eccelso dai suoi contemporanei; si farina una famiglia e mira ad avere tanto denaro e lodi per godere insieme delle massime comodità. Ma questo entusiasmo crolla insieme con la fede nel progresso di fronte a una penosa malattia e alla morte di un suo fratello; la fede nel progresso non spiega la vita, non dà un senso al dolore. Dopo i dubbi comincia la crisi. Dapprima chiede la risposta alle scienze, che si possono dividere in due grandi settori: scienze sperimentali e scienze speculative; le prime addirittura non ammettono le domande sul senso della vita; le seconde, pur ammettendo l'essenza della vita, non sanno nulla sul perché esista. Gli se1nbrava di essersi smarrito in una foresta senza via di uscita! Al fondo della sua ricerca arriva a quelle conclusioni a cui erano arrivati i più grandi spiriti dell'umanità: Schopenhauer, Salomone, Budda, e cioè che la vita è il più grande dei mali. Si smarrì, dice Sturzo, perché esaminò solo i ragionamenti di alcuni filosofi e non capì le parole di Salomone sulla vanità del tutto. Inoltre i loro ragionamenti avevano un vizio di fondo: quello di volere spiegare il finito col finito, la vita con la vita; è lo stesso errore che si commette in matematica, quando si crede di risolvere un'equazione mentre si tratta di una identità. In realtà il contingente non può spiegare il contingente, perché il relativo richiama l'assoluto; l'effetto, la causa. 14

Ibid.. 9.


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Allora cercò la risposta nella vita stessa non deformata dalle riflessioni speculative, tra gli uomini della sua condizione, che in genere si comportano o secondo ignoranza, o in n1odo epicureo, o secondo la forza o la debolezza; e soprattutto tra le enormi masse degli uomini che non possono essere classificate in nessuna delle quattro categorie sopra indicate, perché esse vivono di fede: «Vidi degli uomini che avevano compreso il senso della vita, che sapevano vivere e morire. Non ne vidi due, tre, dieci, ma delle centinaie, delle migliaia, dei milioni. Tutti infinitamente diversi per costumi, intelligenza, istruzione, condizione, tutti conoscevano il senso della vita e della morte; lavoravano tranquillamente, sopportavano le privazioni e le sofferenze, e vivevano e morivano, vedendo in tutto ciò, la felicità, non la vanità. Ed amai questi uomini[ ... ]. Vissi così due anni, durante i quali si compì in me quella trasformazione che si preparava da molto ten1po e il cui germe era stato sempre nella mia anima[ ... ]. Compresi che il senso attribuito a questa vita era la verità; e l'accettai,,1 5,

Tolstoj scopre allora che si era smarrito non per avere giudicato falsamente ma per avere vissuto male. Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché i loro atti erano cattivi! Ma questi non sono ancora che i preliminari della conversione; la logica del processo finalistico porterà Tolstoj alla più radicale delle ricerche: l'esistenza di Dio, perché Dio è la ragione di ciò che esiste, è il senso della vita. Qui sta il senso del nuovo orientamento che Tolstoj ha intrapreso, ma qui sta anche l'ultimo dramma e l'ultimo smarrimento del grande scrittore russo. Ecco la ragione del sottotitolo nell'opera di Sturzo: La patologia di una conversione! «Se l'u1nanità possiede le verità essenziali ai fini della vita[ ... ]. Ciò posto, se l'ufficio di sceverare la verità dall'errore fosse lasciato esclusivamente agli individui, la funzione sociale verrebbe per ciò stesso compromessa, anzi annullata. Accanto e sopra l'attività individuale dunque dovrà per necessità rin1anere altra funzione sociale, proprio quella della Tradizione e della Chiesa) 6.

La mancanza di ciò non diede al Tolstoj la gioia dell'ultima conquista! 15 16

Ibid.• 21. Ibid., 25.


Uno studio sulla conversione di Tolstoj

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«Tolstoj conobbe la ragione della fede, conobbe la deficienza della ragione, ma non conobbe l'essenza della fi:de, né che tra questa e la ragione non vi è né vi può essere antinomia. Il contrasto gli riusciva estremamente penoso e per trovare una relativa tranquillità non seppe fàre altro che mettere a tacere le proteste della ragione. Ora è proprio questo il lato tipico e patologico ad un tempo della conversione del Tolstoj» 17 •

Il testo su cui si fonda l'analisi di Sturzo è, come si è detto, Le Confessioni di Tolstoj, un documento di indiscusso valore per la lealtà e la sincerità con cui è scritto. Esse si chiudono con il famoso sogno in cui sembra all'autore di stare per cadere in un abisso, quando, a un tratto, alcuni saldi ordigni lo trattengono ed egli sente un punto di appoggio solido. Il senso è evidente: la fede ci trattiene dal cadere nell'abisso e ci salva. Dice Sturzo a conclusione: «La scienza della conversione, quando si sarà pienamente formata, gioverà sommamente alla penetrazione dei misteri della vita. Tuttavia l'uomo ha sempre posseduto quanto è necessario per sapere che la conversione è una logica finalistica e non un fatto storico senza valore))18. Certo, la struttura interpretativa, il procedere delle argomentazioni e lo stile delle opere di Sturzo sono in buona parte datate, e la scienza non si è fermata da allora, se si pensa agli studi psicoanalitici delle varie scuole. «Attualmente - scrive Giacomo Dacquino - sono molto più rare le conversioni dovute ad autentiche crisi spirituali ed anche quelle giustificate dall'opportunismo. La maggior parte di esse sono al contrario la conseguenza della nevrosi o della psicosi. In altre parole i malati mentali spesso cambiano religione per vendicarsi della religione dei genitori o per trovare una qualche soluzione ai loro problemi psichici,)'. Lo psicoanalista Dacquino fa una opportuna distinzione fra conversione religiosa matura, che contribuisce al processo di identificazione e di integrazione della personalità, e conversione religiosa nevrotica. Su tale tema ci orientano gli scritti di V.E. Frankl e quelli di L.M. Rulla che parte dalle categorie di personalità «consistente» o «Ìnconsistente» 20 . Maturo è l'individuo «consistente» (Rulla), colui cioè che sa vivere positivamente il rapporto tra bisogni e valori. L'individuo «consistente vive in una situa17

Ihid., 5.

18 Jbid.,

30. G. DACQUINO, Religiosità e fJicoanahsi, SEJ, Torino 1981, 182. 20 V.E. FRANKL, Fondamenti e apphcazioni della logoterapia, SEI, Torino 1970; Io., Alla ricerca di un significato della vita. /fondamenti spiritualistici della logoterapia, Mursia, Milano 1974; L.M. RULLA, Psicologia del profondo e vocazione. Le persone, Marietti, Torino 1975. 19


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zione di trasparenza interna ed esterna: quello che afferma essere lo scopo del suo agire è realmente la molla che lo spinge a fare[ ... ]. È una persona 'vera', e proprio per questo può conseguire i fini che si propone. Al contrario dell'inconsistente che in quello che fa, oltre a quelli 'ufficiali', ha anche dei secondi fini, pur senza saperlo, e normalmente non riesce a realizzare né i primi né i secondi» 21 • Tuttavia le opere di M. Sturzo sull'argomento della conversione conservano ancora la loro validità, almeno per due ragioni: perché partendo dalla distinzione fra teologia, apologetica e psicologia vogliono affrontare il problema dal punto di vista psicologico; il che non vuole escludere gli aspetti soprannaturali della grazia: distinguere non significa separare. In secondo luogo, perché egli ha affrontato il problema attraverso l'analisi dei cambiamenti nella vita dei convertiti; analisi di vita che resta sempre la via maestra per la conoscenza del fenomeno che è certamente complesso. Le analisi di Sturzo infine possono aiutarci ad una comprensione di quel «nascere di nuovo» che è la rinascita nella fede e che è stato oggetto del dialogo fra Gesù e Nicodemo 22 •

21 A. CENCINl-A. MANENTI, Psicolog;a e fonnazione, EoB, Bologna 1985, 125. 22

R. OSCULATI,

piani, Milano 1974.

Fare la verità. Analisifenomenologica di un linguaggio religioso, Bom-


LA CONVERSIONE DI LEONE TOLSTOJ OVVERO LA PATOLOGIA D'UNA CONVERSIONE

1. La tesi Quello di Leone T olstol fu sicuramente un caso di patologia, molto più importante dell'altro del Pusey, studiato da E. Bremond. Infatti, se l'austero anglicano sentì gli stimoli della riforma, non sentì certo quelli d'un nuovo orientamento, e non co1nprese il suo compagno d'azione, E. Newman. Il caso del Tolstoi" è ben diverso. Il famoso scrittore quando fu preso dalla preoccupazione del fine, se per poco si piegò all'ortodossia Russa, e se presto ne scorse le deficienze, non ebbe per questo pensieri di riforma, ma si spinse oltre, e in ciò fu più logico del Pusey. Però si smarrì talmente nelle sue ricerche da non pervenire né a una soluzione soprannaturale né a una soluzione naturale coerente; e quanto a ciò il Pusey fu più logico di lui. Il T olstoi" conobbe la ragione della fede, conobbe la deficienza della ragione, ma non conobbe l'essenza della fede, né che tra questa e la ragione non vi è né vi può essere antinomia. Il contrasto gli riusciva estremamente penoso e per trovare una relativa tranquillità non seppe fare altro che mettere a tacere le proteste della ragione. Ora è proprio questo il lato tipico e patologico a un tempo della conversione del Tolstoi'. A chi possiede la fede e anche a chi non crede questa conclusione sembrerà strana e irragionevole. Però i fatti umani vanno studiati e in modo assoluto e in modo relativo. Guardandola in modo assoluto, la soluzione adottata dal T olstoi' non può non apparire assurda; guardandola in modo relativo, apparirà ragionevole. Non arrechi sorpresa la parola ragionevole. Dice il De Lugo, a proposito del suicidio, che di certe verità vale più la convinzione che se ne ha, che gli argomenti con i quali si dimostrano. Ciò vuol dire - come osserva il Michelet nel bel trattato Dieu et tagnosticùme contemporain - che la logica spontanea alcune volte coglie quello che smarrisce la ragione riflessa. Il caso di Leone Tolstoi' è uno di questi, ma solo per deficienza soggettiva, e forse il più tipico che mai sia esistito. Egli vede che la ragione dei singoli non giunge a scoprire nella sua interezza i misteri del fine, vede che la funzione integratrice compete alla fede, e tuttavia non perviene nem1neno a una chiesa, e resta come sospeso tra due deficienze. Pure in questa incoerenza l'occhio esperto trova l'espressione d'una legge di natura, la legge del fine. La quale è così forte, che si esprime in mille modi e che in mille modi sollecita l'essere, almeno alla ricerca. Chi ben osserva, scorge questa legge, in modo diffuso, nella svalutazione spontanea del bene posseduto, nel bisogno indo1nabile di nuovi beni, nel desiderio del più e del meglio; legge così bene espressa da S. Agostino in quelle famose parole: Domine,fecisti nos ad te, et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te. Quando, per un fatto qualsiasi, l'uomo presta orecchio a queste voci, la legge di natura si precisa e nasce il moto decisivo della ricerca del fine. Estratto da La Scuola Cattolica di Milano - Fascicoli di Novembre e Dicembre 1916, Scuola Tipografica Ed. Artigianelli, Monza 1916.


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Si dirà: il Tolstol non pervenne che all'assurdo; non sarà quindi molto a proposito parlare di legge di natura. Però si osservi che altra cosa è la legge di natura, altra cosa è la piena rispondenza alla stessa; l'una è spontanea e necessaria, l'altra libera. E allora che cosa potrà insegnare una conversione come quella di Leone Tolstoi:? Io credo che qualche cosa insegnerà. Insegnerà a meglio conoscere le deficienze dell'essere umano, quando nella ricerca del perché della vita rimane solo in co1npagnia di sé; a meglio apprezzare gli appelli della natura, i quali, solo che vi si presti orecchio, possono divenire proprio imperiosi; e in fine a meglio valutare l'importanza delle conversioni complete. Poi la celebrità dcl nome del Tolsto'i gioverà non poco a richiamare l'attenzione dei meno disposti sul problema, oggi tanto trascurato, dell'umano destino. QJialcuno soggiungerà che, poiché nella conversione entra come fattore essenziale la grazia, ogni ricerca psichica, per lo meno sarà deficiente. Deficiente o no, sarà sempre utile, e direi anche necessaria. Infatti la grazia, pure prevenendo, accompagnando, elevando l'atto umano, domanda sempre e necessariamente !'u1nana cooperazione. Studiare quindi le leggi che governano la psiche, è già per sé studiare, nelle efficienze umane, le leggi dell'azione, e nelle umane deficienze, le leggi della cooperazione, tra le quali importantissima quella della preghiera. Tutte queste ragioni m'hanno indotto a studiare il caso di Leone Tolstol. ll lettore mi segua con animo benevolo, e vedrà che non ho avuto torto.

2. Gli antecedenti In questo studio non mi servo che d'un documento autobiografico: «Le Confi:ssioni», il quale ha un valore indiscusso per la lealtà e la sincerità con cui è scritto. Non sono le memorie di chi vuole magnificare se stesso, illustrare col racconto dei casi della propria vita, i propri scritti; è invece una storia di traviamenti deplorati, di lotte analizzate, di conquiste discusse; è una storia che l'autore rivive, perché vive ancora della soluzione alla quale pervenne; perché quella storia non è da lui riguardata come un fatto esclusivamente personale, ma come la storia di tutte le ani1ne, che peregrinano in questa misera terra 1. Trattandosi d'uno studio, per quanto compendioso, che si propone di penetrare il valore del fenon1eno psichico ed etico d'una conversione, non si co1nincierebbe bene se si tralasciassero gli antecedenti dell'eroe, perciocché una conversione preparata dalla pri1na educazione, dall'an1biente e simili, per quanto serbi tutto il suo valore etico, agli occhi, d'alcuni almeno, perderebbe non poco del suo valore dimostrativo. Orbene, gli antecedenti, se a qualche termine potevano condurre il Tolstol, questo certo non doveva essere la conversione. Fu battezzato ed educato nella religione cristiana ortodossa; ma a diciotto anni, cioè quando terminò il secondo anno d'università, non credeva più a nulla. Più tardi, rievocando le memorie dei suoi pri1ni anni, gli sembrava di non aver mai creduto davvero (5). Ancora fanciullo era convinto «che bisognava imparare il catechisn10 ed andare in chiesa, ma che non era necessario prendere tutto questo sul serio» (6). Ciò non ostante la sua diserzione dalla religione non avvenne che per un altro 1notivo; cioè perché quella che egli praticava e che vedeva praticare dagli altri, non illuminava né dirigeva la vita; era come cosa

1

Sia che riporti testualmente le parole dello scrittore, sia che ne riporti il contenuto, non darò altre indicazioni, oltre alle virgolette per ciò che è testuale, che quelle della pagina dell'opuscolo pubblicato in italiano dal Sonzogno.


Mons. Mario Sturzo

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esteriore, nulla più che una formalità. Guardando le opere di coloro cl)e confessavano apertamente appartanere all'ortodossia e quelle di coloro che non credevano, se vantaggio trovava, era per questi ultimi (6). «In tal modo, adesso come nel passato, la dottrina religiosa, accettata per fiducia e sostenuta da qualche impressione esteriore, sparisce sotto l'influsso della conoscenza e dell'esperienza della vita, che sono contrarie alla religione» (7). L'autore non parla che della religione del suo paese. «Avendo letto fin dai quindici anni delle opere filosofiche, la mia diserzione dalla religione fu assai presto cosciente ... Pure credevo in qualche cosa. La mia credenza d'allora era la fede nel perfezionamento; ma in che consistesse questo perfezionamento, quale fosse il suo scopo, io non sapevo. Cercavo di perfezionarmi intellettualtnente, imparando tutto ciò che potevo, tutto ciò verso cui la vita mi spingeva; cercavo di perfezionar la mia volontà, imponendomi delle regole che mi studiavo d'osservare; mi perfezionavo fisicamente con ogni sorta d'esercizi e abituandomi alla resistenza per mezzo di privazioni d'ogni specie; tutto ciò mi pareva essere il perfezionamento. Certo, al disopra di tutto vi era il perfezionamento 1norale, ma ben presto questo venne sostituito dal perfezionatnento in generale, cioè dal desiderio di rendermi 1nigliore, non ai n1iei occhi o agli occhi di Dio, ma a quelli degli altri uomini. Ben presto questa tendenza venne anch'essa sostituita dal desiderio d'esser più forte degli altri uo1nini, cioè più celebre, più importante, e più ricco di loro)) (9). Il danno peggiore in lui fu cagionato dall'ambiente. Lungo gli anni della sua giovinezza sentiva tuttavia forte il bisogno d'esser buono. Per questo «incontrava disprezzo e canzonature»; quando invece si lasciava sopraffare «dalle più vili passioni» lo «si lodava e incoraggiava». La zia, in casa della quale viveva e che da lui è detta buona e pura, gli ripeteva sempre che «non vi ha nulla che formi un giovane, quanto una relazione con una signora ammodo», cioè una relazione adultera (10). «Non posso, egli dice fremendo, ricordare questi anni senza orrore, senza disgusto, senza sofferenza ... Provocai in duello per uccidere, perdetti grosse somme al giuoco, dilapidai il frutto del lavoro dei contadini, li punii, commisi adulterio, ingannai. La menzogna, il furto, la cupidigia in tutte le forme, l'ubbriachezza, la violenza, l'assassinio ... non vi ha delitto che non abbia commesso. E per tutto questo mi si lodava, mi si considerava con1e un uomo relativamente morale. Vissi così dieci anni» (10).

3. Le convinzioni

A ventisei anni, nell'esuberanza della vita e dell'ingegno, privo dell'equilibrio che danno le credenze, privo della forza che viene dalla pratica della religione, che poteva trovare in sé se non quello che vi era? E fece lo scrittore. Quali erano le convinzioni che egli recava in quella missione? Di positivo non molto; appena la fede nel perfezionamento; molto però di negativo. L'anima sua quindi si trovò disposta a far proprie le convinzioni, se così potevano chiamarsi, degli scrittori coi quali cominciò a fraternizzare. Le costoro idee s'aggiravano su due punti cultninanti: teorie etiche molto facili, che giustificavano la depravazione dei costu1ni; fede nello svolgimento progressivo della vita, nel quale la parte principale spetta ai pensatori e, fra costoro, la più culn1inante agli artisti ed ai poeti. La loro missione era quella d'istruire gli uomini. Ma che cosa avrebbero insegnato? Domanda oziosa! L'artista ed il poeta insegnano inconsapevolmente. «Io ero considerato come un artista eccelso e un gran poeta. Artista e poeta, io insegnavo quello che neppure sapevo. Mi si pagava per questo. Avevo una buona tavola, un bell'appartan1ento, donne, società, avevo la gloria, per conseguenza ciò che insegnavo era assai buono.


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«Questa fede nell'importanza della poesia e dello svolgimento della vita era una religione, di cui io ero uno dei pontefici; cosa molto piacevole e molto vantaggiosa; ed io vissi parecchi tnesi in questa religione, senza mai avere il dubbio che non fosse la vtra. «La mia relazione con quegli uotnini mi valse un nuovo vizio, un orgoglio spinto fino alla malattia, e la folle sicurezza di credermi chiamato ad insegnare ciò che non sapevo io stesso. «Cosa strana!. .. ora soltanto io lo comprendo. Il nostro desiderio vero, il più intimo era quello di ricevere il massimo di denaro e di lodi. Per raggiungere questo scopo non potevamo che scrivere libri ed articoli; questo appunto facevamo; ma per fare un'opera così inutile e nello stesso tempo possedere la certezza di essere personaggi molto importanti, ci occorreva ancora un ragionamento che giustificasse la nostra attività, ed inventainmo il seguente: tutto ciò che esiste è ragionevole; tutto ciò che esiste si svolge; tutto si svolge per mezzo della istruzione; l'istruzione si misura dal grado di diffusione dei libri e dci giornali, e noi veniamo pagati e stimati perché scriviamo dci libri e degli articoli; per conseguenza siamo gli uomini migliori e più utili» (11-14). Dopo un viaggio in altre nazioni, prese moglie. «Le condizioni di una felice vita di famiglia tni distolsero co1npletamente da ogni ricerca dcl senso generale della vita. Tutta la mia vita, in quel tempo, si concentrò sulla mia famiglia, mia moglie e i miei bambini, e, per conseguenza, sui mezzi di aumentare le mie entrate. L'aspirazione al mio perfezionamento, che aveva già prima ceduto il posto all'aspirazione al perfezionamento in generale, al progresso, ora cedeva nettamente il posto al desiderio di avere per me e per la mia famiglia, una vita assai comoda. Così passarono quindici anni ancora, Quantunque considerassi la letteratura come una bagatella, pure, durante questi quindici anni, continuai a scrivere. Conoscevo l'enorme seduzione esercitata dalla letteratura, l'esca d'un largo guadagno e di applausi che ricompensavano un lieve lavoro, e vidi nella letteratura il mezzo di migliorare le mie condizioni materiali, di soffocare nella inia anima tutte le quistioni sul senso. della mia vita e della vita in generale. Scrivevo, insegnavo quello ch'era divenuto per me la sola verità: che bisognava vivere in modo da dare a sé e alla propria famiglia la massima felicità» (18-19).

4. I dubbi e la crisi Questi anni, tutti frementi di commozioni estetiche o di gioie di famiglia, tutti sorrisi dalla gloria, non passarono senza che qualche nube non velasse ad ora ad ora il bel sole della felicità. Un primo dubbio agita il T olstoi' verso il terzo anno dacché s'era messo a fare lo scrittore. Tra i suoi compagni di lavoro vide che mancava l'unione delle menti. Dove non è unità, dove è contrasto, non è possibile che tutti si trovino nella verità. Studiando meglio quelli e le loro teorie trovò che quasi tutti erano senza moralità, cattivi per la maggior parte, nullità, assai inferiori per il carattere a quelli che egli aveva conosciuto nel passato, nella vita militare, 1na per contrapposto molto sicuri e contenti di sé, come possono essere o i santi o quelli che non sanno neppure che sia la santità. Questi uomini gl'ispirarono un grande disgusto, sentì disgusto anche di sé e comprese che la loro missione era un inganno (12-13). Tormentato dalla domanda: che cosa devo fàre per vivere il 1neglio possibile? nei giorni dell'entusiasmo aveva risposto a se stesso: vivere d'accordo col progresso. La risposta era ingenua, ma allora non ne trovava altra (15). A un tratto la fede nel progresso perde di consistenza. A Parigi assistette all'esecuzione di un condannato a morte. «Quando vidi


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la testa staccarsi dal corpo ... e cadere ... compresi, non con la sola ragione, ma con tutto il mio essere, che nessuna teoria sulla razionalità dell'ordine esistente e del progresso avreb~ be potuto giustificare un atto simile>) (15-16). Quest'affermazione sarà eccessiva, ma non per questo è meno vero che la condanna di morte è per sé un fatto tale, da fare, per lo meno, dubitare del progresso, inteso in senso assoluto ed esclusivamente evolutivo. La lunga e penosa malattia e la morte d'un suo fratello compie l'opera di demolizione. «Nessuna teoria poté rispondere alle sue domande ed alle mie durante la sua lunga e crudele agonia>). La fede nel progresso non ispiega la vita, non ispiega il dolore, non ispiega la morte (16). «Ma queste occasioni di dubbio erano rare, e in realtà, continuai a vivere, non avendo altra fede che quella del progresso ... Tutto si svolge, èd io pure mi svolgo; perché? lo si vedrà» (18).

Ma eccoci alla crisi. Ebbe momenti di stupore, un arrestarsi della vita, quasi non sapesse né come vivere né cosa fare. Diventava inquieto e triste. In quei gravi momenti l'assalivano sempre le stesse domande. Perché? ... Ebbene? ... E poi? ... Nel primo tempo quelle domande gli sembravano senza scopo; pensava che la risposta sarebbe venuta col tempo. Però ne comprese la inesorabile importanza ed urgenza, quando s'avvide che erano come il grido dell'essere che vuole conoscere se stesso e la sua destinazione, e quando, provandosi a darsi una risposta conveniente, non vi riusciva in nessun modo (20). Il problema gli aveva invaso l'anima; egli si sentiva come l'uo1no avvolto nelle spire d'un terribile serpente, e che non se ne può liberare. Che importanza potevano avere più per lui la famiglia, la società, le pubblicazioni, la gloria, le ricchezze? Prima di tutto «dovevo sapere perché fare tutto ciò» (20). Perché? Ecco l'idea, diventata ossessionante. Perché? E poi? Che importa tutto questo? Ma la risposta non veniva. Tornare allo stordimento dei piaceri, ai fremiti dell'arte, alle gioie della famiglia, dimenticar le nuove preoccupazioni, spingersi nelle onde luminose del progresso fatale, più non gli era possibile. In un'agitazione che solo può comprendere chi è stato preso dal problema del fine, nei dubbi sul perché della vita, che al dire di chi ne sentì tutto lo strazio, come i!Jouffroy, sono i più angosciosi che l'uomo conosca, il pensiero del suicidio l'assalse e divenne gigante. «La mia vita s'arrestò. Potevo respirare, mangiare, bere, dormire, giacché non avrei potuto non respirare, non 1nangiare, non dormire. Ma non era la vita, poiché non sentivo un desiderio la cui soddisfazione mi paresse ragionevole. Se anche desideravo qualche cosa, sapevo in anticipo, che dal mio desiderio, soddisfatto o no, non sarebbe derivato nulla. Se fosse venuta una fata a propormi di soddisfare ogni mio desiderio, non avrei saputo che cosa chiederle. Se, in un tnomcnto d'ebbrezza ritrovavo, non il desiderio, ma l'abitudine del desiderio, appena tornato calmo, sapevo trattarsi di un inganno ... Non potevo neppure augurarmi di conoscere la verità, perché indovinavo in che cosa consistesse; secondo la verità, la vita è una pazzia. Avevo creduto di vivere e d'andare innanzi, ed ero arrivato all'abisso, e vedevo nettamente che davanti a me non v'era nulla, tranne la morte. Eppure non ci si può fermare né tornare indietro né chiudere gli occhi per non vedere che non si ha nulla davanti a sé, tranne il dolore e la morte: l'annientamento completo. «Arrivai al punto che, pur essendo sano e felice, sentii che non potevo più vivere. Una forza invincibile mi trascinava a sbarazzarmi della vita in un modo qualunque ... La forza che mi trascinava di là dalla vita era più potente, più completa, più generale del mio desiderio (cioè dell'amore alla vita); era una forza simile alla mia antica aspirazione alla vita, ma in senso inverso ... L'idea del suicidio mi divenne tanto naturale, quanto, altra


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volta, l'idea del perfezionamento della vita ... Era così suggestiva, che dovetti usare degli artifizi con me stesso per non metterla in esecuzione troppo in fretta. Non volevo affrettarmi unicamente perché volevo concentrare tutti i miei sforzi a veder chiaro in me; in caso d'insuccesso avrei sempre avuto il tempo di uccidermi. Ed ecco che io, l'uomo felice, per non impiccarmi, nascondevo a me stesso la corda tra gli armadi della mia camera, in cui la sera restavo solo a svestirmi; non andavo più a caccia col fucile per non lasciarmi tentare da quel facile mezzo di liberarmi della vita. Non sapevo neppur io che cosa desiderassi, avevo paura della vita, aspiravo ad uscirne, eppure speravo ancor qualche cosa da essa» (21-22).

5. La ricerca Ciò avvenne nel tempo che, sotto ogni riguardo, possedeva quanto potrebbe formare in questa terra la felicità co1npleta. Non aveva ancora cinquant'anni, aveva una moglie amante ed amata, dei bambini buoni, grandi ricchezze, era più che mai rispettato dai parenti e dagli amici, gli estranei lo colmavano di lodi; non solo non era né pazzo né malato, ma aveva forza 1norale e fisica, come rare volte se ne trova negli uomini (22-23). L'infelicità nel tranquillo possesso di tanti beni, il desiderio della morte quando la vita non ha che sorrisi e amore, non poteva venire, se non da quella che il Bourget chiama la disproporzione tra le esigenze della vita e la vita appresa come fine a se stessa. Quello che fremeva nello spirito del Tolstol quindi era un grido di rivolta, non della natura, 111a del pensiero; non del pensiero che ha conosciuto la verità, ma che s'è smarrito nell'errore e che tuttavia avverte l'irragionevolezza delle sue conclusioni, non direttamente e riflessamente, da poter dire a se stesso: questa non è la verità, ma in modo indiretto, nella insopportabilità dell'affermazione che dice: la vita è un male, mentre tutto l'essere si porta verso la vita come verso un bene, anzi il più intrinseco dei beni. QJ.iesta è una delle più evidenti prove sperimentali che la vita non si spiega solo con se stessa, ma che c'è assoluto bisogno d'altri elementi perché sia compresa, perché sia trovato l'equilibrio, l'armonia, la visione non fallace della felicità vera. E appunto per questa legge il Tolstol, che era forte abbastanza, da non si lasciare, come tante anime pusille, travolgere dal pensiero del suicidio, propone, con uno sforzo supremo, di studiare la vita con più pazienza ed accuratezza che priina non avesse fatto.

La ricerca cotnincia. «Cercai penosamente, lungamente, energicamente, non per vana curiosità; cercai con dolore, con ostinazione giorno e notte, cercai come l'uo1no che prega cerca la sua salvezza, e non trova nulla» (27). Da principio domandò la risposta alla scienza. Tutto l'umano sapere sotto questoriguardo «SÌ divide in due emisferi, alle due estremità opposte dei quali si trovano due poli; uno negativo e l'altro positivo; ma né all'uno né all'altro v'è la risposta alle domande della vita. Tutto un gruppo di scienze par che neppure ammetta questa domanda ... è il gruppo delle ~cienze speri1nentali, al limite estremo delle quali si trovano le matematiche. Le scienze dell'altro gruppo ammettono la questione, 1na non vi rispondono; è il gruppo delle scienze speculative, al cui limite estremo sta la metafisica» (29). (<La metafisica o la filosofia pone nettamente la questione. Che cosa sono? Che cosa è l'universo? Perché io sono, e perché l'universo è? E dacché esiste, dà sempre la stessa ri~ sposta. Che il filosofo chiami essenza la vita che è in me e in tutto ciò che esiste, le idee, la sostanza, lo spirito o la volontà, vuol dire una sola cosa; questa essenza esiste, io sono que-


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sta essenza. Ma perché esiste? Egli non ne sa nulla» (34~35). «Mentre cercavo la risposta al problema della vita, provavo esattamente lo stesso sentimento che prova l'uomo che s'è smarrito in una foresta. Sbocca in una radura, s'arrampica sopra un albero, vede distintamente degli spazi infiniti, ma si rende conto che non vi sono case, che non possono esservene; allora s'immerge nel più fitto del bosco, ove non vi sono che tenebre, senza nessun asilo. «Errai così nella foresta delle scienze umane, fra le luci delle scienze mate1natiche e sperimentali che mi scoprivano degli orizzonti rischiarati, ma senza rifugio alcuno, e nelle tenebre delle scienze speculative, che divenivano tanto più fitte, quanto più mi ci immergevo, fin che fui infine convinto che non vi era uscita e che non poteva esservene» (35-36). ((Nel punto in cui le scienze speculative sono precise ... la risposta è sempre la stessa, ed è data da Socrate, Schopenhauer, Salomone e Budda. - Noi non ci avvicinia1no alla verità che in quanto ci allontaniamo dalla vita - dice Socrate ... Ed ecco ciò che dice Schopenhauer: - Il fatto stesso che abbiamo tanta paura del nulla o, ciò che è lo stesso, che teniamo tanto alla vita, significa soltanto che noi stessi non siamo nulla se non questo desiderio di vivere e che non sappiamo nulla di più. Ecco perché dopo l'annientamento assoluto della volontà per noi che siamo pieni di volontà, non ritnarrà senza dubbio nulla. Vanità delle vanità, dice Salomone, vanità delle vanità, tutto è vanità ... Ed ecco ciò che dice la saggezza indiana. Sakia Munì non può trovare consolazione nella vita; conclude che la vita è il più grande dei mali, e, con tutte le forze, cerca di liberarsene e di liberarne gli altri, in modo che, dopo la morte, la vita non si rinnovelli; egli distrugge la vita nella sua stessa radice. «Così le mie incursioni nella scienza, non solo non cacciavano la mia disperazione, ma l'aumentavano. L'una non rispondeva affatto al problema della vita; la risposta dell'altra confermava la mia disperazione, confermandomi che le conclusioni alle quali ero arrivato, non erano il risultato del mio errore o di una disposizione malsana del mio spirito; essa mi confermava che avevo pensato giustamente, e che ero giunto alle stesse conclusioni dei più potenti spiriti dell'umanità» (38-45).

Non avendo trovato nella scienza una risposta soddisfacente, risolse di cercarla nella vita. Il trapasso fu logico. La scienza, è vero, scaturisce dalla vita, ma non è la vita. La più vicina alla vita, la filosofia, non è che l'isola1nento delle relazioni di vero, co1ne sono colte dalla mente. La mente, per un processo logico, isola date relazioni, in modo che vengano apprese solo sotto un dato aspetto. Ogni processo d'isolamento produce l'effetto d'un ingrandimento e d'un rimpicciolimento; il primo riguarda la relazione specifica, quella che si vuole studiare; il secondo riguarda le altre relazioni. Per ridare all'essere umano, così analizzato, l'armonia e le proporzioni naturali, occorre un lavoro di sintetizzazione, non agevole a tutti né possibile in modo assoluto. A questo si aggiunga che ogni sistemazione scientifica non è che effetto di ragionamento; e perciò quanto più le relazioni sono trascendenti, tanto è più agevole smarrirne alcune o alcuni lati. Tornando al Tolstol, troviamo che egli non esaminò che i ragionamenti d'alcuni filosofi, non comprese le parole di Salomone, non cercò le conquiste d'altri spiriti meno pessimisti e più oggettivi. La conclusione a cui pervenne fu disastrosa, n1a non irrimediabile. Dalla filosofia passò allo studio della vita, o meglio, dalla vita descritta e deformata dal processo mentale d'alcuni filosofi, passò alla filosofia in sé, attinta alle sue vere sorgenti, la vita. La vita ha in sé il suo valore e le sue leggi; la vita è una filosofia animata; prima che la ragione la traduca in sistetna, si riflette nelle opere, nella tradizione, nella sto-


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ria. Tutta la difficoltà si riduce a saper leggere nelle opere, nella tradizione, nella storia; cioè prima saper trovare la vita non deformata dalle deviazioni della ragione riflessa, la vita come è per natura; poi saper ciò che nelle sue manifestazioni è essenziale alla stessa e ciò che è solo accidentale. In questa nuova tappa il Tolstoi' si smarrì ancora una volta. Cercò tra gli uomini della sua condizione. Ecco la ragione del nuovo smarrimento. E che cosa trovò mai? Appunto delle deformazioni della vita naturale. ((Gli uo1nini di questa specie, egli dice, hanno quattro soluzioni; la prima è quella dell'ignoranza; essa consiste nel non comprendere che la vita, senza un perché soddisfacente, è un male, un'assurdità. La seconda è l'epicureismo ... Pur conoscendo la disperazione della vita, profitta dei beni che offre. La terza è quella della forza e dell'energia ... Distrugge la vita dopo aver compreso che è un male ... La quarta è la debolezza. Si comprende il male e la vanità della vita, ma si continua a vivere» (45-48). «Tutte queste ragioni non potevano convincermi abbastanza per condurmi a fare ciò che risultava dai miei ragionamenti, cioè uccidermi. E mentirei se dicessi che la ragione soltanto 1ni impedì di levanni la vita. Il mio spirito lavorava, ma v'era qualche altra cosa che lavorava, qualche cosa che non posso chiamare altrimenti che la coscienza della vita. Era come una forza che m'obbligava a badare a questo piuttosto che a quello, e questa forza mi salvò dalla mia situazione disperata e diede tutt'altra direzione alla mia intelligenza. Qpesta forza mi obbligava a fissar la mia attenzione sul fatto che né io né centinaia d'uomini simili a me, non eravamo tutta l'umanità, e ch'io non conoscevo ancora la vita dell'umanità» (52). «Mi rivolsi dunque alle enormi masse degli uomini che hanno vissuto e che vivono semplici, ignoranti, poveri, e vidi tutt'altra cosa. Vidi che quei miliardi d'uomini che hanno vissuto e che vivono, salvo rarissime eccezioni, non potevano entrare nella mia classificazione ... Risultava da questo che tutta l'umanità aveva una conoscenza qualunque del senso della vita, che io non riconoscevo e disprezzavo ... Qpesta scienza è la fede, quella stessa fede che io non posso accettare ... La mia situazione era atroce. Sapevo che nella scienza ragionata non avrei trovato ... che la negazione della vita, e nella fede ... la negazione della ragione ... Secondo la scienza ragionata, la vita non può essere che un male; gli uomini lo sanno, potrebbero non vivere, ma hanno vissuto e vivono; vivo io stesso, benché sappia da un pezzo che la vita è un ... male. Dalla fede risulta che, per comprendere il senso della vita, devo rinunziare alla ragione, a questa stessa ragione per cui il senso è necessario» (53-55).

6. lq critica Delle due l'una; o era errato il suo ragionamento filosofico o era errato il modo di concepire la fede. Come scoprire l'errore? «Controllando il cammino dei suoi ragionamenti sulla scienza ragionata» (25). Da principio gli parve che non facessero una grinza: la vita non può essere che un male. Presto però s'avvide che ogni sua argomentazione aveva un vizio fondamentale, pretendere di spiegare il finito col finito. La vita non ha in sé la sua ragione d'essere; questo lo sapeva già da gran tempo. Cercare il perché della vita nella stessa vita era lo stesso che cercare una cosa dove non è e non può essere. Il risultato non poteva essere che uno: la vita non ha un perché, dunque è un male. «Era qualche cosa d'analogo a ciò che avviene in mate1natica, quando credendo di risolvere una equazione, si risolve un'identità. Il cammino del pensiero è esatto, ma il risultato si esprime con A= AA, o X= Xx o O = 0 0 . Ragionando sul problema della mia vita, arrivavo a delle conclusioni identiche. Le risposte che tutte le scienze danno a questa domanda, sono delle identità» (56).


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La stessa filosofia non gli dava che una ((risposta vaga, indefinita», quando egli aveva bisogno d'una risposta netta e precisa. Era quindi necessario tornare alla fede perché, per quanto tuttavia gli apparisse come irragionevole, pure aveva il vantaggio d'essere precisa. Questa gli diceva: «Devi vivere secondo la legge divina. Dalla tua vita risulterà certamente o l'infelicità eterna o l'eterna beatitudine» (58). Bisognava quindi esaminare più accuratamente, più ampiamente, più profondamente la natura della fede. «Compresi che la fede non è soltanto la credenza nelle cose invisibili .... ma che è la conoscenza del senso della vita umana ... che è la forza della vita» (58). QJlesto un po' lo sapeva; ma ora non cerca se l'infinito spieghi la vita, ma se questo infinito esista, se questa spiegazione sia vera. Non formula proprio così la sua tesi, ma il senso dei suoi ragionamenti non è che questo. La sola filosofia non lo illumina; sarà vizio della sua mente, sarà effetto della sua formazione, sarà l'influsso, non sempre né in tutto evitabile, dell'ambiente, sarà quel che sarà, ma il fatto è questo. Si aiuta quindi con la logica naturale, con gl'intuiti dello spirito, con le visioni sintetiche di tutto l'essere. Come ha studiato la vita? I suoi processi non sono stati delle pure analisi, restate tali, prive di sintesi, prive della nozione di valore? Chi ignora il valore e si ostina di trovarlo fuori d'ogni valore integrale, chi ignora che cosa sia il contingente, il relativo, o si ostina di conoscerlo fuori d'ogni relazione con l'assoluto, che cosa potrà mai trovare? «Con orgoglio e presunzione, come dei bimbi, noi smontiamo l'orologio, ne toglia1no la molla, ne facciamo un giuoco e poi siamo stupiti che l'orologio non cammini più» (60). La soluzione che dà la fede non solo è l'unica, ma la troviamo presso tutti i popoli, ci viene dalla più remota antichità. «Sono idee elaborate nel lontano infinito del pensiero umano, sono idee senza le quali non ci sarebbe vita, senza le quali io stesso non sarei» (60). Che fanno certi uomini che si reputano sapienti? Negano questa soluzione, si propongono di nuovo il problema senza guardar che a se stessi; per questo non trovano più la vera risposta: «Allora non pensavo così, tna i genni di questi pensieri erano già in me. Comprendevo: 1° che la mia situazione ... era stupida, non ostante la nostra saggezza. Noi comprendiamo che la vita è un male e viviamo lo stesso ... 2° comprendevo che tutti i nostri ragionamenti giravano intorno a un circolo incantato, come una ruota che non si ingrana con gli altri ordegni; avremo un bel ragionare; non potremo trovare risposta alla quistione, perché sempre O= O; 3° incominciavo a comprendere che nelle risposte date dalla fede si trova la saggezza più profonda dell'umanità, e che non avevo il diritto di negar queste risposte, basandomi sulla ragione; e che infine queste risposte capitali soltanto rispondevano al problema della vita. Comprendevo questo, ma non mi avvantaggiavo» (60-61).

7. L 'orienta1nento Era già disposto ad accettare qualunque religione, a condizione che non si esigesse da lui «la menzogna della negazione diretta della ragione» (61). Qui si scorgono due errori; l'uno di non far distinzione tra religione e religione; l'altro di mostrarsi disposto a qualche rinunzia indiretta della ragione. Però questi medesimi errori già contengono in germe una verità, quella di preferire la ragione dell'>1manità, alla propria, cioè quella di dubitare del proprio giudizio in confronto al giudizi(") concorde dell'umanità d'ogni tempo e d'ogni luogo; e questo è già un orientamento iniziale. Studiò le varie religioni, il buddismo, l'islamismo, e sopra tutto, il cristianesimo. Cominciò con interrogare i credenti della sua stessa condizione. La religione di questi uomini non lo soddisfece «perché essi facevano passar per fede ciò che non era la spiegazione, ma l'oscuramento del senso della vita, e perché essi stessi affermavano la loro fede, non per ri-


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spondere a questo probletna della vita, che m'aveva condotto alla religione, ma in vista d'uno scopo qualunque, che m'era estraneo. Ricordo il sentin1ento doloroso che m'ispirava il timore di un ritorno all'antica disperazione, dopo la speranza che avevo sentito parecchie volte, in seguito ai rapporti con queste persone» (61-62). Esse associavano alle virtù cristiane, che al Tolstoi' <(erano state sempre care», mille cose inutili e irragionevoli. La costoro vita era si1nile a quella di lui, con questa grande differenza che la vita di lui contrastava con la loro dottrina. Esse «vivevano come tutti gl'increduli soddisfacendo la carne; vivevano altrettanto male, se non peggio degl'increduli ... Compresi che la fede di quelle persone non era quella che io cercavo, che la loro fede non era la fede, ma una delle consolazioni epicuree della vita» (62). Allora cominciò ad avvicinarsi ai credenti ... poveri, semplici, ignoranti. Trovò, che mentre «tutta la vita dei credenti della nostra classe era in opposizione con la loro fede, tutta la vita dei credenti che appartenevano al popolo era la conferma di questo senso della vita dato dalla fede. Mi misi a studiare la vita e la fede di questi uomini ... Allargai il campo delle inie osservazioni. Esaminai la vita delle masse d'uomini scomparsi e quella dei miei contemporanei» (63-65). «Vidi degli uon1ini che avevano compreso il senso della vita, che sapevano vivere e morire. Non ne vidi due, tre, dieci, ma delle centinaia, delle tnigliaia, dei milioni. Tutti infinitamente diversi per costumi, intelligenza, istruzione, condizione, tutti conoscevano il senso della vita e della 1norte; lavoravano tranquillamente, sopportavano le privazioni e le sofferenze, e vivevano e morivano, vedendo in tutto ciò, la felicità, non la vanità. Ed amai questi uomini ... Vissi così due anni, durante i quali si compì in me quella trasformazione che si preparava da molto tempo e il cui germe era stato se1npre nella mia anima ... Compresi che il senso attribuito a questa vita era la verità; e l'accettai» (65-66). Badi però il lettore; il Tolstoi' aveva anche visto che «la religione di questa gente era cristiana quanto quella dei pretesi credenti della nostra società», cioè che era un misto di verità e di errori, d'usi lodevoli e di superstizioni (63). Accetta dunque l'errore e la superstizione? certan1ente no; accetta, per ora, il fatto in genere, il valore fondatnentale. Si vedrà meglio più tardi.

La scoperta più importante che fece allora fu questa: «compresi che m'ero s1narrito e 1n qual modo; m'ero smarrito, non per aver giudicato falsamente, ma per aver vissuto 1nale. Co1npresi che la verità m'era stata-celata meno dall'errore del 1nio pensiero, che dalla mia vita stessa, ch'io avevo posto in condizioni esclusivamente epicuree, la soddisfazione della carne. Compresi che la n1ia domanda: che cosa è vita? e la risposta: è il male, erano perfettatnente corrette; soltanto era inesatto d'accordare alla vita in genere, una risposta che conveniva soltanto a 1ne ... Compresi questa verità, che trovai poi nel Vangelo: gli uomini hanno preferito le tenebre' alla luce, perché i loro atti erano cattivi ... Compresi che per cogliere il senso della vita bisogna prin1a di tutto che la vita non sia insensata e cattiva; allora la ragione potrà scoprirlo ... Da allora tutto divenne chiaro per me» (66-67). Se facciamo bene attenzione, ancora non abbiatno che dei preliminari. Aveva accettato la fede perché spiegava la vita, 1na ancora non era pervenuto che ad una conoscenza indiretta; se la fede accettata, vissuta, rende ordinata e buona la vita, dunque è vera. Che valore aveva questa connessione? Non poteva trattarsi solamente d'idee, prive d'ogni contenuto reale? La logica del processo, doveva condurre il Tolstoi' alla più essenziale delle ricerche; l'esistenza di Dio. «Durante tutto quel tempo, accanto al movimento d'idee e d'osservazioni di cui ho parlato, il mio cuore soffriva per un doloroso sentimento ch'io non


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posso chiamare altrimenti che la ricerca di Dio>) (70). Lo chiama sentimento, non perché fosse veramente tale, ma perché era espressione di apprendimenti della ragione solo avvertiti nella ripercussione sul sentimento. In quel tempo era convinto dell'assoluta impossibilità di provare l'esistenza di Dio. «Kant me l'aveva dimostrato e ne ero convinto»; «ciò non ostante, cercavo Dio, speravo di trovarlo, e secondo una vecchia abitudine, innalzavo preghiere a colui che cercavo e che non trovavo)>

(71).

Un giorno di primavera era solo nella foresta, ascoltando i suoi mille rumori. Tendeva l'orecchio, e il suo pensiero, come sempre, si rivolgeva a ciò che l'occupava senza posa in quegli ultimi tre anni. Cercava Dio. Discuteva e cercava da dove gli venisse l'idea di Dio. L'idea di Dio non è Dio, è effetto d'un processo mentale che l'uo1no può arrestare a volontà. Eppure al pensiero di Dio le onde liete della vita si sollevavano in lui, tutto attorno a lui si animava, riceveva un senso. Ma la gioia non durava a lungo. Egli sentiva di vivere quando credeva in Dio; appena se ne dimenticava o non vi credeva, gli pareva che cessasse di vivere. Una voce gridava in lui: che cerchi ancora? «Conoscere Dio e vivere è la stessa cosa. Dio è vita. Vivi cercando Dio, e allora non vi sarà vita senza Dio. - E più che mai tutto s'illu1ninava attorno a me. D'allora questa luce non mi lasciò più» (71-74). Egli non sa dire in che modo questa trasformazione si fosse fatta in lui. Come gradualmente e impercettibilmente aveva smarrito il senso della vita, così gradualmente e impercettibilmente rinacque alla vita. «E, cosa strana, questa forza della vita che riappariva in me, non era una forza nuova, ma l'antica, quella che mi trascinava nella mia prima età»

(74).

8. L'ultimo dra1111na È pervenuto alla conoscenza di Dio e del di là; ciò più non gli sembra contrario alla ragione, perché lo trova sostenuto da «esperienza indiscutibile»; se non arriva a dimostrare filosofican1ente l'esistenza di Dio e la verità della sua fede, se non s'accorge del vizio d'un processo limitato solo al campo del sentimento, cerca tuttavia come evitare il contrasto tra la ragione e la fede; «la conoscenza della fede prende la sua sorgente, come tutta la ragione umana, in un'origine misteriosa. Questa origine è Dio, principio del corpo umano, come della sua intelligenza ... Per conseguenza tutti i gradi dello svolgimento della vita non possono essere falsi» (77-78). Quel che segue è straordinariamente bello: «tutto ciò in cui gli uomini credono veramente dev'essere la verità; questa può essere diversamente espressa, ma non può essere menzogna. Se mi appar 1nenzogna, vuol dire soltanto che non la comprendo» (78). Qui si espri1ne una grande, una profonda verità, cioè che di ciò che è essenziale alla vita l'umanità deve nccessariainente possedere, sempre e in ogni luogo, almeno le verità fondamentali. E ciò è anche storicamente indiscusso. Il modo però come il Tolstol formula questa legge, non è rigorosamente esatto. Doveva quindi sentirne nel suo spirito la ripercussione, e la sentì formidabile. Per quanto il contenuto essenziale della fede gli sembri vero in modo assoluto, molti insegnamenti della religione gli appariscono come falsi. Qui comincia il nuovo, l'ultimo dramma. Lasciar la fede non può; accettarne tutti gl'insegnan1enti, neanche; non dubita più, non vuole più dubitare, ma non può, non sa rinunziare alla sua ragione. La sua angoscia è immensa. A ogni dottrina, che a diritto o a torto, ripugna alla sua ragione, cerca ad ogni costo una spiegazione, una qualsiasi spiegazione, con l'affannosa diligenza di chi non vuol vedere; anzi alcune volte proprio «chiudeva gli occhi per non vedere ciò che lo scan-


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dalizzava» (83). La sua condizione era come quella dell'amante, che sa che se cerca, scoprirà l'infedeltà dell'amata, ma che non osa cercare, per non vedere venir meno il suo amore. Invidiò ai contadini la loro ignoranza, e quando il contrasto tra la ragione e la fede diveniva troppo forte e pericoloso diceva: «è colpa mia, è perché io sono cattivo» (85). Ecco un uomo di ingegno fortissimo, un uomo che ha molto letto e studiato, che ha letto e studiato molti libri di storia, di letteratura, di scienza, di filosofia, ridotto a lottare contro di ciò per cui ogni uoino è uomo, ogni sapiente è sapiente, la ragione. Prima aveva lottato contro la fede; ora ciò non gli è più possibile; ora lotta contro la ragione. Agisce da insensato? No, perché la logica dell'essere in lui è forte, come in lui tutto è forte. Se non trova come spiegare ciò che gli sembra irragionevole, non per questo ammette l'assurdo. Ci sarà tuttavia una spiegazione che non vede; e che cosa farà? Non altro che fermare il corso dei suoi ragionamenti, anziché tornare ai dubbi di prima. Questo dramma è sublime, quanto acerbo. Ecco l'uomo che contrasta con la sua ragione, per una ragione più alta, che si rassegna ad alcune contraddizioni, per quanto implicite, per non cadere in una contraddizione più grande e più fatale, ecco un uomo che dice: vedo e non devo vedere, sento che qui è l'errore, e non voglio, non devo sentirlo; conosco che accettando questi errori mentirei a me stesso; conosco che respingendoli mentirei a me stesso sotto altri riguardi più essenziali. E che farò? Chiuderò gli occhi per non vedere? Ma ciò è già un accettare l'errore, un mentire a se stesso. Lo sa purtroppo, ma non trova altra via d'uscita, che d'umiltà e la sottomissione>>, cioè appoggiarsi con un grande sforzo divolontà «all'origine 1nisteriosa della conoscenza e dell'intelligenza».

9. L'ultimo smarrimento La contraddizione tuttavia esisteva, ed egli per evitarla non ricorreva che a poveri espedienti, i quali solo lo quietavano per poco. Qpando Dio parla all'uomo, anche rivelando misteri, non lo fa mai in contrasto con la ragione. Se la fede non fosse ragionevole, non sarebbe neanche vera. L'uomo non comprenderà l'infinito, ma dovrà pervenire alla dimostrazione che i misteri dell'infinito non implicano contraddizione. Il Tolstoi' s'avvede del suo errore, ma non ne esce, che cadendo in altro errore. «Portai la mia attenzione su ciò che si fa in nome della religione. Restai atterrito, e rinunziai quasi completan1ente all'ortodossia» (89). «Acquistai la convinzione che la dottrina di questa fede, alla quale m'ero avviato, non era tutta la verità ... Anche nelle credenze del popolo il falso si mescolava col vero. Ma da dove veniva la menzogna e da dove veniva la verità? La menzogna come la verità esistono nella tradizione, in ciò che si chiama la santa Tradizione e la Scrittura. La menzogna come la verità è trasmessa da ciò che si chiama la Chiesa» (90). Nella prima fase della lotta giunse a conoscere che aveva errato per essersi staccato dell'umanità, per aver negato la soluzione esistente nel seno di quella, e averne cercato una individuale. Non trovò che l'errore e la corruzione. Le sue critiche più belle e più probative girano tutte attorno a questo punto. Quanto poi i dolori e le ricerche di inolti anni lo menano alla grande legge della verità sociale, diinentica !'utt~ il cammino che ha fatto, tutte le conquiste che ha assimilato, e torna all'individualisn10. Lo smarrimento è fatale e più non vi rin1edia. Se l'umanità possiede le verità essenziali ai fini della vita, se queste verità non si tras1nettono che socialmente, se l'umanità non può non possedere un minimo necessario di verità, tuttavia, per l'individualismo sempre agente e reagente, molti errori si mescolano a quel primo patrimonio di vita inalienabile. Ciò posto, se l'ufficio di sceverare la verità dall'errore fosse lasciato esclusivamente agl'individui, la funzione sociale verrebbe per ciò


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stesso compromessa, anzi annullata. Accanto e sopra l'attività individuale dunque dovrà per necessità rimanere altra funzione sociale, proprio quella della Tradizione e della Chiesa. Se lo studioso trova che più chiese esistono l'una accanto alle altre, se comprende, come aveva coinpreso il T olstoi", che ciò che è essenziale ai fini della vita, deve essere patrimonio di tutti, dei dotti e degli ignoranti, deve essere vissuto, prima ancora d'essere conosciuto riflessamentc, non potrà venire ad altra conclusione, che a questa, cioè che tra tutte le collettività che si chiamano Chiese, una a preferenza delle altre, deve possedere tutta la verità. Le ricerche quindi, prima che alle singole dottrine, devono mirare alle note delle varie Chiese: quella sarà la vera che avrà tali note, che escludono la possibilità d'ogni errore. Se invece le ricerche si dovessero solamente portare sulle singole dottrine, la fede diverrebbe, come rileva il Di Ruville, il dono dei dotti, e il popolo resterebbe sempre in balia dei dotti, i quali gli potrebbero insegnare così l'errore come la verità, senza che esso fosse in grado di difendersi o di pervenire a una fede sicura e garantita contro ogni errore. Ovvero i dotti arriverebbero a una fede personale, che, secondo le menti, gl'influssi ambientali, potrebbe avere le più grandi divergenze, ed il popolo vivrebbe d'una fede collettiva, trasmessa socialmente, perché scaturente dalle profondità dell'essere e dell'infinito. Questa considerazione condusse il Di Ruville al cattolicis1no, dove trovò la piena armonia tra la fede e la ragione, la risposta adeguata alle esigenze dello spirito, la pace e il pieno senso della vita; la mancanza di ciò non diede al Tolstol la gioia dell'ultima conquista e lo lasciò nell'ambascia della contraddizione. Le confessioni perciò si chiudono con quel fa1noso sogno. Gli pareva di pendere sull'abisso; non lo sostenevano che poveri ordegni, insufficienti a impedire la caduta. A un tratto leva gli occhi in alto; come più s'affissa nell'infinito, più sente che i sostegni diventano saldi ed il suo corpo riprende l'equilibrio. «Non guardo intorno a me, ma sento con tutto il corpo il punto d'appoggio su cui mi tengo e vedo che non sono più sospeso, che non cado, ma che mi tengo solidamente ... Mi parve che qualcuno mi dicesse: attento. Questo non va dimenticato. E mi svegliai» (94-95). Ecco il senso; per non cadere nell'abisso, per mantenere l'equilibrio, non c'è altro mezzo che guardare in alto. Cioè per non perdere la fede, per vivere della stessa occorre evitare le discussioni della ragione; per non cadere nell'abisso del dubbio, occorre tenere fermo lo sguardo in alto, nelle regioni luminose della fede. È la lotta di prima, bella, generosa, ma anche angosciosa e dura: è la ragione che rinunzia a parte della sua logica, per non rinunziare a tutta la sua logica; in altre parole è la rassegnazione a errori parziali per non cadere nell'errore assoluto. Questa però non è la conversione, non è un tennine, non è la vita, ma un avviamento, che se non va oltre, equivale all'errore.

10. Concluiione Il lettore non molto versato nel proble1na della conversione ovvero avverso alle soluzioni finalistiche, dirà che la storia che abbiamo esaminato non è che una storia. Andò così, poteva andare in cento altri modi; che cosa volete che se ne possa cavare? La storia che abbia1no esaminato prova che il Tolstoi' ebbe sempre delle preoccupazioni finalistiche; da principio cercò il perfezionan1ento individuale, poi il collettivo, il progresso. A un certo punto la logica dell'essere gli fa avvertire che quei fini erano deficienti, che quelle soluzioni non davano alla vita un senso conveniente. Cercare il valore della vita è legge dell'umanità, il germe di questi aneliti si trova in tutti gli uomini; tutti cercano l'ultimo perché delle cose; potranno essere diverse le vie, il problema non è che un solo.


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Dopo indagini soggettive e oggettive, speculative, sperimentali e storiche, perviene alla conclusione che il senso della vita non può esser dato solo dalla vita, perché contingente, perché relativa. Ogni vita appella delle relazioni, vive di relazioni, tende a trovar sé fuori di sé. Infatti nessuna delle relazioni contingenti adegua le esigenze della vita. Ogni uomo, di qualunque razza o civiltà, tende alla pienezza, alla perennità della vita. Vi tende, perché ha l'idea dell'assoluto, ed ha l'idea dell'assoluto, perché vi tende. Che importa ciò? L'idea è una elaborazione della mente e può essere arrestata nel suo processo ed anche essere rigettata. Ciò è vero, ma non è qui il nodo della quistione. L'idea deriva dall'essere e dalle cose ed esprime sempre una relazione reale o logica, oggettiva o soggettiva. L'idea dell'assoluto, dell'infinito, non è solamente logica, non è solamente soggettiva, perché promana dalla stessa essenza dell'essere umano, dai rapporti di relativo ad assoluto, di effetto a causa. Il relativo, il contingente potrebbe non esistere, prima non esisteva. Per uscire dall'intrigo non ci sono che tre vie: il caso, il panteismo, Dio personale. Il caso non è che una parola che indica, non l'origine delle cose, n1a l'incontro fortuito di elementi esistenti e quindi non ispiega niente. Il panteismo importerebbe l'assolutezza del contingente, cioè la contraddizione. Potrebbe importare il fenomeno nel divino. Dato e non concesso che ciò possa avvenire, avremo l'uomo impersonale. E dato ancora e non concesso che il fenomeno del divino possa divenire persona umana, avren10 la persona senza consapevolezza della sua connessione naturale con l'assoluto. La ragione nel pieno possesso di sé rigetta come assurda ogni ipotesi panteistica. Non resta che la nozione di Dio personale; e quanto agli esseri contingenti, la connessione di causa e d'effetto, d'assoluto e di relativo, d'infinito e di finito; e quanto aglì esseri u1nani, in modo tutto speciali, i rapporti di pritno principio e di fine ultimo. Questo è il valore del processo del T olstoi', espresso nel modo che abbiamo visto, più sperin1entale che filosofico, più passionale che scientifico, ma non per questo 1neno logico e 1neno vero. Non solo ciò, ma è un processo vissuto da un uotno di genio, il quale non si limita alla propria vita; è un processo, non è solamente soggettivo, ma anche induttivo e storico. Il Tolstoi' con affannosa pazienza, per molti e molti anni, ha studiato sé al confronto con l'umanità presente e passata, con l'umanità dei dotti e degli ignoranti, degli uomini deformati dalle passioni o dall'abuso della ragione riflessa, e degli uomini della ingenua natura, ed ha trovato che il problema è universale, che il germe del processo è in tutti gli esseri, che però si svolge in n1odo diverso. La vita può smarrire se stessa appunto perché contingente; 1na può ripossedersi ap~ punto perché intelligente e finalistica. Da qui il fenomeno della conversione. L'uomo, si chiami Tolstol o S. Agostino, o Schouvaloff o con qualunque altro nome, ha smarrito la via diritta. È la triste storia dell'umana fragilità. Chi conosce la complessità dell'essere u1nano, non ne resta sorpreso e neanche resta sorpreso al vedere che molti non provano le angoscie d'un Jouffroy. Chi crede al finito non si preoccupa dell'infinito, ha detto con profondità lo stesso Tolstol. Ciò vuol dire che nella gerarchia dei fini, molti uomini si attengono ai fini prossi1ni, ai relativi; cercano i piaceri, gli onori, le ricchezze. Sentiranno a volte a volte lo scontento, n1a non per questo assurgeranno alle serene visioni della ragione; invece cercheranno di vincere lo scontento intensificando l'attività finalistica relativa, intensificando la ricerca dei piaceri, degli onori, delle ricchezze. Ci sarà per alcuni un mo1nento in cui il relativo vien n1eno appunto perché relativo. Sarà la malattia, la perdita dei beni, l'odio del mondo, l'ingratitudine. L'uomo vede attorno a sé il vuoto; se non si possiede, si toglie la vita; quelli che hanno ancora un po' di senno, si rassegnano; ma la vita, con tutta la rassegnazione, la vita divenuta infelice, non ha più senso. Altri si metteranno ad indagare l'arcano, perché d'una vita «che è sì bella in vista» la quale «perde agevoln1ente in un mattino quel che in molti anni a gran pena s'ac-


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quista». Altri, senza aspettare l'infelicità, talora anche nel colrno degli onori e dei piaceri, coine occorse al Tolstol, sentiranno l'inadeguanza dei fini relativi e il bisogno d'un po' di più di luce. Appena l'uomo sente queste preoccupazioni, o meglio appena queste preoccupazioni prevalgono, l'essere non è più tranquillo, non solo, ma è co1ne dominato da una forza misteriosa. Questo dran1ma ha caratteri propri, è profondamente diverso d'ogni altro dramma umano. Qualunque altra preoccupazione, qualunque altro dram1na, per quanto agitato ed angoscioso, ha sempre pronta una via d'uscita. L'amante tradito, il con1merciante che non può più i1npedire il falliinento, il morente, vedono, sanno, che un bene vale l'altro, che un amore infelice può compensarsi con altro amore, che dopo la perdita dei beni, c'è la carità pubblica, che dopo la morte c'è Dio; possono rassegnarsi e comprendere il valore della rassegnazione; per lo meno, possono sperare. Il dramma della conversione, parlo della conversione tipica, quella di chi ignora il dramma che in lui comincia, il termine verso cui si orienta, è ben altra cosa. È il dra1n1na di tutto l'essere che cerca la ragione della vita, la ragione piena, la ragione che spieghi tutti gli altri perché, tutte le altre relazioni. Da qui l'acerbità speciale della lotta, la irrinunziabilità delle ricerche, quella specie di necessità che gl'individui provano, dico una certa necessità di cercare e di trovare, pure ignorando il perché del dratnma e l'epilogo dello stesso, o lottando per non pervenire a una soluzione sospettata, intravveduta cd odiata, con1e si legge di A. Retté e di parecchi altri. La tipicità di questo fenomeno non brilla di minor luce nell'epilogo del dramn1a. I dubbi si dissipano, l'ultin10 perché si comprende, la vita si riordina e si possiede, la gioia e la pace, quale non dà nessuna altra conquista contingente, pervade !'essere sino alle sue più riposte profondità. Se non fosse una legge dell'umanità, tutto ciò non sarebbe possibile. La intelligenza che ignora, la volontà che non appetisce, non potrebbero essere spinte a cercare, a volere l'ignoto e il non desiderato, se nell'essere non ci fosse l'appetito, !'inclinazione, la ragione che apprende l'infinito, se non ci fosse la legge della correlazione e del 1noto. L'intelletto spesso cerca molte cose che non sono, la volontà desidera le chimere; ma ciò che non è, ma le chimere, sono sempre delle deviazioni di ciò che è, dopo tutto, non giovano punto a spiegare i misteri della vita o a rendere n1igliori. La scienza della conversione, quando si sarà pienamente fOrn1ata, gioverà so1nmamente alla penetrazione dei misteri della vita. Tuttavia l'uomo ha sen1pre posseduto quanto è necessario per sapere che la conversione è una logica finalistica e non un fatto storico senza valore. Il Tolstoi· non pervenne alla soluzione integrale, moltì altri prima e dopo di lui non vi pervennero neppure. Che prova ciò? Il psicologo dirà: o fu effetto di colpa, ovvero mancanza d'aiuti esterni. Se mancata la colpa e gli aiuti esterni, l'individuo fece quanto poté, e custodì le conquiste della sua n1ente e vi conformò le opere, soggettiva1nente entrò nell'ar1nonia finalistica, soggettivamente fu un vero convertito. In qualunque modo si riguardi il problema, salta fuori con lo splendore dell'evidenza che la conversione è un appello della natura, un appello verso i fini della vita, che talvolta supera la stessa resistenza che l'individuo vi oppone; che soprattutto, quando l'individuo vi risponde col riordinamento etico delle opere, che sono la funzione finalistica per eccellenza, segue il suo corso, più o meno sinuoso, più o tneno complesso, sino al termine ultimo, che non è e non può essere che un solo, perché la vita, che essenzialmente è identica in tutti gli uomini, non può avere che lo stesso perché e lo stesso fine.



CRONACA DELL'ISTITUTO

l. Assemblea dei soci

Giovedì 26 aprile 1990 alle ore 18,30 nella sede dell'Istituto si è riunita, a norma dello statuto, l'assemblea dei soci, in cui è stato presentato dal Presidente il resoconto delle attività del 1989 ed è stato approvato all'unanimità il bilancio consuntivo 1989 e preventivo 1990. In tale seduta, inoltre, sono state programmate le attività per il 1990-1991 e sono stati discussi problemi e proposte circa la vita e l'incremento del nostro Istituto.

2. 1:avola rotonda: «Le svolte sociali ed economiche nell'est e il compito dei cristiani» Giovedì 5 aprile 1990 alle ore 16,30 nell'aula magna del Palazzo delle Scienze dell'Università di Catania si è svolta una tavola rotonda promossa dal nostro Istituto su «Le svolte sociali ed economiche nell'Est e il compito dei cristiani». Vi hanno preso parte don Sergio Mercanzin, direttore del Centro "Russia Ecumenica" di Roma, fondato nel 1976 per informare sulla situazione dei credenti nei paesi dell'est e promuovere azioni per la difesa e il riconoscimento dei loro diritti, agevolando la comprensione e il dialogo delle diverse tradizioni cristiane dell'area bizantino-salva. Ha preso parte anche il p. Laurence Dominik, responsabile del programma russo della Radio Vaticana, il quale ha parlato degli avvenimenti che in questi ultimi anni hanno contribuito a cambiare la situazione dei credenti e delle Chiese in Unione Sovietica: la celebrazione del millennio del Battesimo delle Russie (1988); la visita di Gorbaciov in Vaticano (di-


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cembre 1989); la ripresa dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e l'Unione Sovietica. Alla tavola rotonda, moderata dal giornalista Salvatore Scalia, reduce da alcuni viaggi nell'est europeo, hanno partecipato alcuni esponenti dei paesi dell'Europa orientale presenti da diversi anni a diverso titolo a Catania: il prof. Grzegorz Kaczynski, visiting professor presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Catania e attualmente docente di Sociologia allo Studio Teologico S. Paolo; la sig.ra rumena Mihaela Dana Ionescu che esercita la sua professione di ingegnere a Catania; il seminarista polacco Andrej Wisniewski, ospite del seminario arcivescovile di Catania. I partecipanti sono stati concordi nel sostenere che, dopo gli ultimi avvenimenti dei Paesi dell'est, si impone alla Chiesa un compito immane per una nuova evangelizzazione di quei popoli, che richiede l'impegno e la solidarietà anche dei cristiani di occidente. Il compito primario e urgente della Chiesa in quelle nazioni è quello di diffondere una cultura del perdono e della misericordia, evitando di legarsi a scelte politiche di parte e agevolando la comprensione e il dialogo fra i diversi gruppi etnici e le diverse tradizioni cristiane.

3. Presentazione del volume del prof Attilio Gangemi Mercoledì 2 maggio 1990 alle ore 16 presso il salone del seminario arcivescovile di Catania il prof. Giuseppe Ghiberti, docente di Esegesi biblica alla Facoltà Teologica di Torino e all'Università Cattolica di Milano e presidente dell'Associazione Biblica Italiana, ha presentato il primo volume dell'opera di Attilio Gangemi, professore di Sacra Scrittura allo Studio Teologico S. Paolo, su I racconti post-pasquali del Vangelo di S. Giovanni. I. Gesù si manifesta a Maria Maddalena (Gv 20,1-18), Galatea, Acireale 1989. Il prof. Ghiberti ha espresso il proprio compiacimento per la ricca riflessione esegetica e teologica che il volume presenta. Ricca di conclusioni definite «sorprendenti» e condotta secondo un metodo personale, ha sottolineato il Ghiberti, l'opera rivela un rapporto esperienziale tra il testo sottoposto all'indagine esegetica e l'autore del volume, che di1nostra anche il ''coraggio" necessario per sostenere la validità del proprio cammino di ricerca e di studio.


Cronaca dell'Istituto

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4. Convegno di studi: «Oltre la crisi della ragione. Itinerari della filosofia contemporanea»

Nei giorni 24 e 25 maggio 1990 si è celebrato nell'aula magna del Palazzo Sangiuliano in Catania il convegno di studi sul tema «O !tre la crisi della ragione. Itinerari della filosofia contemporanea», organizzato in collaborazione tra lo Studio Teologico S. Paolo, la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi e il nostro Istituto. Il convegno è stato introdotto dal saluto di mons. Luigi Bommarito, arcivescovo di Catania e moderatore dello Studio Teologico S. Paolo, e del prof. Gaspare Rodolico, magnifico rettore dell'Università degli Studi di Catania. La prima giornata è stata presieduta dal prof. Salvatore Latora, dello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Il prof. Massimo Baldini, dell'Università di Perugia, ha iniziato i lavori con una relazione su «Parola e silenzio nella filosofia contempora-

nea>>, osservando che già dall'inizio del secolo l'interesse dei filosofi e dei poeti è stato sempre attirato dal tema del silenzio piuttosto che da quello del linguaggio. Questa inversione di tendenza accompagna la crisi della parola che emerge, paradossalmente, proprio nella civiltà della comunicazione. Oggi tutti parlano, usando per lo più parole "precotte", banali e prefabbricate, ma pochi sono disposti veramente ad ascoltare. La "chiacchera" prevale sulla "parola". La radice profonda di questa crisi risiede nella incapacità, propria del nostro tempo, a comunicare, trasmettere cioè

significati rilevanti per la vita. L'urgenza è allora quella di ritrovare degli spazi di autenticità che possano dare, anzi ridare, significato alle parole consuete. È questo, secondo Baldini, il valore primario del silenzio: in esso la parola può ridiventare il veicolo della comunicazione e lo strumento della comunione. In esso, inoltre, l'uomo può educarsi all'"a-

scolto" dell'altro, senza cui cade la possibilità stessa del dialogo. Alla prima relazione hanno fatto seguito due comunicazioni: - del prof. Corrado Dollo, dell'Università di Catania, su «A. Gramsci: ideologia e utopia nei Quaderni del Carcere»; - del prof. Giuseppe Pezzino, dell'Università di Catania, su «Filosofia e religione nel pensiero di B. Croce». Nella seconda giornata, al mattino ha presieduto i lavori il prof. Ro-


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berto Osculati, dell'Università di Catania, e sono state tenute due relaz1on1:

- della prof.ssa Angela Ales Bello, dell'Università di Roma, su «Fenomenologia ed Ermeneutica. Husserl e Heidegger»; - del prof. Francesco Coniglione, dell'Istituto Universitario di Magistero di Catania, su «Oltre la crisi dell'epistemologia positivistica». La prof.ssa Ales Bello ha inteso vagliare le posizioni dei due pensatori Husserl e Heidegger rispetto alla filosofia e alla cultura occidentale. Per Husserl la civiltà occidentale è da sempre segnata dall'aspirazione a raggiungere la "conoscenza vera". Egli crede che questa profonda intenzione non vada tradita ma recuperata in un metodo d'indagine di tipo fenomenologico. La ragione non è eliminata ma sostanzialmente "rivisitata" nel suo significato. Heidegger, a sua volta, critica la metafisica occidentale considerandola frutto di una pretesa "obiettiva", della pretesa, cioè, della ragione di poter determinare il significato della realtà. Egli intende perciò superare la mentalità propria della filosofia occidentale attraverso l'uso dell'analisi ermeneutica.

Dai due filosofi derivano poi delle correnti di pensiero che hanno contribuito non poco a caratterizzare il clima culturale che è definito post-moderno. In esso si delinea, ha osservato la Ales Bello, un contrasto sul modo di intendere le capacità e i limiti della ragione. Le posizioni legate alla fenomenologia husserliana sottolineano la possibilità della ragione di stabilire criteri di orientamento conoscitivo e pratico; le diverse posizioni ermeneutiche, invece, portano alle estreme conseguenze la con-

statazione dei limiti conoscitivi della ragione e negano pertanto che l'io teoretico possa cogliere le coordinate dell'esistenza. Il prof. Francesco Coniglione, a sua volta, ha in particolare analizzato l'opera di P.K. Feyerabend, il quale contesta chi, distinguendo l'osservazione dalla teoria, accusa la scienza di astrattezza o di lontananza dai bisogni. Il relatore ha parlato di un «misticismo epistemologico» di Feyerabend, misticismo tutto immanentistico per cui «la scienza è una realtà che non si può negare, ma che tuttavia non si può razionalmente cogliere». Alle due relazioni hanno fatto seguito due comunicazioni: - del prof. Luigi La Via, dell'Istituto Universitario di Magistero di Catania, su «La contraddizione dell'immagine nella vita di oggi»; - del prof. Francesco Pignataro, docente di Filosofia nei Licei, su «La scienza di fronte alle sfide del mondo».


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Nel pomeriggio della seconda giornata ha presieduto i lavori il prof. Antonino Franco, dello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Sono state tenute due relazioni:

- del prof. Roberto Osculati, dell'Università di Catania, su «Lineamenti di un u1nanesirno religioso}>;

- del prof. Enrico Piscione, dello Studio Teologico S. Paolo di Catania, su «Il compito della filosofia nell'ultimo Marce!». Sulla possibile collaborazione, delicata ma essenziale, tra ragione e fede si è soffermato il prof. Osculati, che ha cercato di tratteggiare i «Lineamenti di un umanesimo religioso». Ragione e fede sono, secondo il re-

latore, fenomeni che esprimono entrambi l'ideale e la speranza di universalità e di unità tra gli uomini. Questa tensione si esprime in forme storicamente determinate, ma mai completamente esaustive. La crisi della ra-

gione, come la crisi della fede, esprime perciò la crisi della forma particolare in cui questo ideale si è storicamente fissato. Non è in crisi la ragione o la fede ma una certa.razionalità e una certa religiosità. Resta aperta però la ricerca «mai finita e sempre di nuovo intrapresa di ciò che può essere comune a tutti gli uomini». In questa ottica il cristianesimo può presentarsi come un umanesimo attuale e universale, purché però accetti di ri-

pensarsi di fronte alle sfide del tempo presente, per cogliere con intensità gli impegni che la nostra storia propone. Particolare importanza il relatore ha infine attribuito al dialogo tra le diverse forme religiose presenti nel mondo. Il prof. Piscione ha affrontato la questione del ruolo della filosofia nel contesto del mondo attuale, che ha conosciuto Auschwitz e lo stalinismo. Compito del filosofo, secondo Marce!, è quello di mantenere il senso critico combattendo ogni forma di fanatismo. Ciò sarà possibile solo se il filosofo tiene desta la tensione alla verità e all'essenza delle cose. Egli deve discernere la realtà, valutando criticamente ogni fenomeno etico-sociale per "trattenere" l'eventuale valore positivo. Egli non deve farsi ricattare dal progresso scientifico e tecnico, ma deve sapere operare una

intelligente saldatura «fra il mondo della tecnica e quello della pura spiritualità». Per realizzare questo compito il filosofo, sostiene Marce!, deve farsi "irradiare" dalla presenza illuminante della verità.

Alle due relazioni finali ha fatto seguito una comunicazione del prof. Salvatore Latora su «Il neo-sintetismo di Mario Sturzo e i suoi rapporti con l'idealismo».


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I lavori del convegno sono stati conclusi dal prof. Antonino Franco che, dopo avere rilevato il «bisogno di filosofia», di cui la numerosa partecipazione del pubblico è stata testimonianza, ha auspicato che la filosofia ritorni a dare pieno credito alla razionalità, come ''strumento" di ricerca

della verità e come spazio di comunicazione tra gli uomini. 5. Commemorazione del socio R. Cambareri e presentazione del volume «Sermo Sapientiae>>

L'Istituto, assieme allo Studio Teologico S. Paolo, ha voluto ricordare, ad un anno dalla scomparsa, la figura e l'opera del suo socio p. Reginaldo Cambareri O.P., che fu anche docente di Teologia morale e primo preside dello Studio S. Paolo. La morte di padre Cambareri avvenne il 6 novembre 1989 in seguito all'ictus cerebrale che l'aveva colpito il 7 ottobre precedente, nella sua stanza alla Pontificia Università S. Tommaso in Roma. Aveva cinquantacinque anni.

«Abbiamo perso un amico. Ci è venuto a mancare un punto di riferimento)), Così mons. Giuseppe Costanzo, arcivescovo di Siracusa, che di padre Reginaldo fu collega ed amico, ha espresso, durante la celebrazione

eucaristica, i sentimenti di quanti ebbero la sorte di conoscere padre Cambareri. «Reginaldo fu del Signore - ha proseguito mons. Costanzo uomo di Dio, Ministro di Cristo». «Reginaldo visse per il Signore. Lui annunciava con la predicazione, a Lui rendeva testimonianza con l'insegnamento, Lui cercava con la preghiera e lo studio».

La commemorazione di padre Reginaldo è stata affidata a padre Elio Monteleone, priore provinciale dei Domenicani di Sicilia, il quale ha ripercorso le vicende e i tratti che ne hanno delineato la figura di religioso e di teologo. Nel prosieguo dell'incontro ha preso la parola il preside dello Studio Teologico S. Paolo, sac. prof. Salvatore Consoli, il quale ha tratteggiato le linee della presidenza di padre Reginaldo, proprio all'inizio della vita nello Studio (1969-1973). È stato quindi presentato il volume «Sermo Sapientiae». Scritti in memoria di Reginaldo Cambareri O.P., pubblicato nella collana "Quaderni di Synaxis", che raccoglie articoli di docenti del S. Paolo e dell'Angelicum, oltre che uno scritto postumo dello stesso padre Reginaldo su Il discernimento dei 'segni dei tempi'.


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6. Pubblicazioni

Il nostro Istituto ha curato le seguenti pubblicazioni: 1. Synaxis VII: nel mese di dicembre 1989 è stato pubblicato il n. VII di Synaxis, annuale dell'Istituto. Il volume, composto da 624 pagine, comprende 14 contributi di varia natura, di cui 7 interessano fatti e personalità della Sicilia.

2. Quaderni di Synaxis n. 6: AA.VV., Chiesa e società urbana in Sicilia (1890-1920), Galatea, Acireale 1990. Il volume di 336 pagine contiene gli Atti del convegno di studi che l'Istituto ha celebrato insieme allo Studio Teologico S. Paolo e all'Università degli Studi di Catania il 18-20 maggio 1989. 3. Quaderni di Synaxis n. 7: AA.Vv., «Sermo Sapientiae». Scritti in memoria di Reginaldo Cambareri O.P., Galatea, Acireale 1990. Il volume di 266 pagine contiene 15 contributi di varia natura in memoria di p. Reginaldo Cambareri, curati da colleghi docenti della Pontificia Università S. Tommaso di Roma e dello Studio Teologico S. Paolo di Catania.

4. Documenti e Studi di Synaxis n. 3: P. SAPIENZA, Rosmini e la crisi delle ideologie utopistiche. Per una lettura etico-politica, Galatea, Acireale 1990. 5. Documenti e Studi di Synaxis n. 4: A. GANGEMI, I racconti post-pasquali nel vangelo di Giovanni. II. Gesù appare ai discepoli (Gv 20,19-31),

Galatea, Acireale 1990. GIAMBATTISTA RAPISARDA Segretario dell'Istituto



INDICE

5

PRESENTAZIONE (Salvato" Como/i) LA "PRASSI STORICA" DEI CRISTIANI NEL CONCILIO VATICANO II (f Reginaldo Cambarm) I. Introduzione

7

Il. La "prassi storica" come intenzionalità centrale della costituzione pastorale Gaudium et Spes

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IL MINISTERO DELLA CARITA POLITICA (Mario Ca,rnne) 1. La complessità della situazione socio-culturale

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2. La difficoltà del rapporto tra etica e politica .

31

3. L'amore alla politica e la politica come amore

33

PRIMA PHILOSOPHIAE PARS. TEMI ETICI NELLE "CONFERENZE" DI GIOVANNI CASSIANO (Maurizio Aliotta) 1. Introduzione

37

2. Alcuni presupposti .

38

3. Fondazione dell'etica

39 44 49

4. Perfezione cristiana e virtù 5. Il valore dell'intenzione Conclusione

51

JOHN HENRY NEWMAN E IL DINAMISMO DELLA FEDE

(Giuseppe Crùtald1) Inizio e sviluppo Il rischio

.

La catarsi La lezione della storia Intenzionalità cristologica

55

62 65 66 68


Indice

298 Il nodo ecclesiologico

71

La presenza di Maria .

72

L'APPORTO AL DIALOGO !SLAMO-CRISTIANO DEL "PERSONALISMO MUSULMANO" DI M.A. LAHBABI

(Enrico Piscione)

1. Introduzione

73

2. La nozione di persona nella cultura musulmana

74

3. La categoria di testimonianza .

75

4. L'unità della persona

77

5. Il peccato originale e "l'universo della colpa"

78

6. Un confronto con Mounier

80

LA LOGOTERAPIA. UNA TERAPIA AL SERVIZIO DELLA VITA E DELLA SOFFERENZA (Francesco Furnan)

1. Antecedenti e contesto · 2. Il significato della logoterapia di V.E. Frankl

83 85

3. Applicazioni

89

4. Considerazioni

98

Conclusione

102

IL TEMA DELL'ANGELO NELLE ELEGIE DUINESI DI RAINER

MARIA RILKE (Mario Ta1nburino) Introduzione

.

Il "bello" maschera del "terribile"

!03

104

Uomo-angelo: impossibile rapporto?

106

Il dramma della libertà nel rapporto col mistero

107 109

Conclusione

DUE VISITE PASTORALI DEL VESCOVO BONADIES AD ACI AQUIL!A (1673, 1678) (Adolfo Longhitano) I. I verbali di visita delle chiese e degli enti ecclesiastici

112

2. L'inventario degli oggetti preziosi e delle suppellettili

115

3. Le «ordinationes» generali

117

4. Le «ordinationes» per il monastero femminile

117

5. L'elenco dei chierici della città

118

Conclusione

118

Testo originale della visita del 1673

119

Testo originale della visita del 1678

144


Indice

299

UNA MEMORIA INEDITA DI MONS. MARIANO PALERMO

(Salvo Nibah) 1. Due documenti inediti

175

2. La «parrocchia modello dell'archidiocesi»

176

3. L'elezione a vescovo

178

4. Il colera e la nuova chiesa n1adrc

180

5. Il manoscritto dello Schilirò

182 184

6. L'oblio Testo originale della Memoria inedita di 1nons. Mariano Palermo

185

CONOSCENZA DI DIO E VITA IN DIO NELLE LETTERE PASTORALI DI MARIO STURZO (Pasqita!e Buscen11) Introduzione

I. La conoscenza di Dio

IL La vita in Dio

191 195 232

MONS. MARIO STURZO: UNO STUDIO SULLA CONVERSIONE DI LEONE TOLSTOJ (Salvato" LatMa) Le ricerche di Mario Sturzo sul fenomeno della conversione

263

Il caso Tolstoj: una conversione sui generis

267

La conversione di Leone Tolstoj ovvero la patologia d'una convers1one

CRONACA DELL'ISTITUTO (Giambattista Rapisarda)

273

289


Finito di stampare dalla Tipolitografia ÂŤGalateaÂť di Gaetano Maugeri editore il 22 dicembre 1990


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